Ciclo siricano

di Tizio_Caio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La morte di Leinar il sommo ***
Capitolo 3: *** LE CURE DI AIREL ***
Capitolo 4: *** L'inganno del guidrigildo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


                                                                          CICLO SIRICANO

PROLOGO

Ildric, dammi la forza.
Dona al tuo servo lingua retta e giusta nel parlare: grandi sono gli eventi che mi accingo a narrare.
Fa che la notte e le stelle brillino in eterno. Concedi alla splendente Leonor di continuare il suo viaggio lungo le tenebre, senza che i Lupi la prendano.
Tu intanto chiama a raccolta la gente, e fa che essa non si stanchi mai delle storie, doni che il tuo santo ingegno ha concepito per il diletto dell’uomo. Prendi con te la tua cetra, segui e aiuta il tuo servo.
Di Airel il grande narro le gesta, narro la guerra che egli fece contro Calior, signore di Sirica dalle bianche mura.
Ricordi i motivi per i quali si è giunti a simile scontro? Non era forse la terra di Airan già scossa da simili conflitti? Aiutami, Ildric. Aiuta la mia mente.
Forse che gli dei, presi da grande gelosia nei confronti degli uomini, ebbero il coraggio di pensare ad un simile misfatto?
Solo l’Astuto era in grado di farlo: proprio lui, Gothl la Volpe, il Lusingatore, l’Abile Menzognere.
Solo lui poteva scatenare quella simile peste, diffondendo per tutta la terra di Airan la rovina e la discordia, e tutto a causa di un capriccio umano.
Tu che custodisci la sacra cetra, aiutami a raccontare la storia di tali uomini valorosi.
Aiutami a raccontare la loro storia.  

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Capitolo 2
*** La morte di Leinar il sommo ***


                                           “LA MORTE DI LEINAR IL SOMMO”

Grandi festeggiamenti si svolgevano allora ad Alra, poiché Airel, suo sovrano, aveva appena placato le ribellioni delle città costiere di Neapala e Gradine. Esse si erano ribellate a lui e per tre lunghi anni avevano combattuto aspramente per ottenere l’indipendenza da un regno e da un popolo a loro estraneo, dato che gli abitanti di tali città non erano originari di Airan. Quelle genti erano venute dal mare, con navi robuste e veloci, e in passato erano divenute così potenti tanto che avevano formato dei regni indipendenti.
 Ma in quei giorni, la gloria spettava ad Airel solo: in sella al suo cavallo dal manto scuro come la pece, aveva varcato la Porta dell’Aurora, accompagnato dal suo fratello, Leinar il sommo. Costui, dicevano, era l’uomo più bello di tutta Airan: forte quanto dieci orsi messi assieme, era un po’ più alto del normale e aveva una folta chioma di capelli neri che gli ricadevano ordinati sulle spalle; due occhi di un azzurro simile al colore del cielo brillavano sul volto fiero dell’eroe, lui che per primo arrivò sugli spalti delle mura di Neapala uccidendo da solo più d’una dozzina di guerrieri con l’aiuto della sua possente ascia, Igderalt la spacca ossa.
Dietro a loro sfilava tutto l’esercito e l’immenso stuolo dei prigionieri catturati, oltre ai carri carichi di tutto il bottino dei saccheggi: spade, elmi, corazze, ma anche sete e vesti pregiate, spezie e profumi provenienti dalle lontane terre al di là del mare. I sacerdoti dei templi di Sigrid e di Aiser suo figlio sacrificarono grasse vacche e bruciarono gli incensi, rendendo grazie agli dei per la vittoria del loro amato signore. La gente per le strade cantava inni di gioia spargendo petali e ghirlande di fiori al passaggio dell’esercito del re:
“Osanna al figlio di Baler, osanna al grande re!”
La sera ci fu un gran banchetto al quale parteciparono tutti i sovrani, gli amici e gli alleati di Airel. Anche gli dei furono invitati alla festa, tutti eccetto uno. Gothl l’astuto non ricevette alcun invito. Ed egli. Vedendo che tutte le dimore degli dei suoi fratelli e di suo padre Sigrid erano vuote, si adirò moltissimo. Maledisse il nome di Airel e della sua stirpe e giurò vendetta.
Scese dunque nel mondo degli uomini, celando il suo volto e mutando il suo aspetto in modo tale che nemmeno gli dei potessero riconoscerlo. Mentre gli uomini mangiavano carni di maiale e selvaggina fresca condite con spezie deliziose e l’idromele e la birra scorrevano a fiotti, Gothl sussurrò all’orecchio di Airel queste parole:
“Domani organizza una grande caccia al cervo: fa che i nobili di tutta Airan possano ammirare la forza di tuo fratello, Leinar il sommo.”
Rispose dunque il re:
“Non posso esporre mio fratello in questo modo. So bene che un oracolo gli ha predetto la morte durante una caccia”
Ma il Lusingatore, che certo sapeva anch’egli dell’oracolo, non aspettava altro. Annebbiò la mente del sovrano con l’alcol e le donne, facendogli dimenticare il pericolo. Preso dall’eccitazione propose ai nobili l’idea della caccia, e tutti furono concordi, compreso suo fratello Leinar, dimenticandosi le parole e gli avvertimenti dei servi. I nobili acconsentirono tutti all’unisono, tra cui il principe Calior, re di Sirica, grande amico della casa di Airel da generazioni.
Il mattino seguente furono preparati i cavalli, incoccate le corde di nervo di bue agli archi in puro legno di tasso o nocciolo e i cani furono sguinzagliati per la foresta al di fuori della città. Allora l’Astuto prese le sembianze di un cervo, ingannando il sommo Leinar e il prode Calior. Li fece girovagare per ore nella foresta fino a quando i due si trovarono nello stesso punto. E il siricano, sentendo che una preda veniva alla sua volta, estrasse il dardo fatale dalla faretra in fine cuoio, incoccò la freccia e con grande precisione colpì al petto il principe di Alra.
 Un rumore sordo, simile ad un’ascia che viene piantata sul tronco di un albero, seguì; un urlo agghiacciante scosse la vegetazione intorno e il siricano, sorpreso, uscì dal suo nascondiglio tra la vegetazione per constatare l’accaduto. Grande fu lo stupore che gli apparve in viso non appena vide che la preda non era l’agognato animale, bensì il fratello di Airel, Leinar il bello. Trasalì, si avvicinò all’amico per prestargli soccorso, piangendo e dicendo tali parole:
“Oh Leinar, amico mio! Cosa ti ho fatto? Resisti, ora ti riporter&o alla reggia splendente, alle sale di tuo padre, nella casa di tuo fratello nella quale sarai medicato e assistito da ancelle esperte nella cura delle ferite, medici e saggi che conoscono i segreti del corpo. Ti chiedo solo di resistere, amico mio. Fallo per te stesso, per tuo fratello, per i tuoi cari. Che cosa dirà la tua donna? Cosa diranno il padre già vecchio e il fratello tuo? Resisti, non cedere alle lusinghe di Sceirin, la regina delle tenebre!”
Ma ormai c’era poco da fera: Gothl assisteva alla scena, nascosto alla vista degli uomini. Aveva fatto in modo che la freccia andasse dritta al fragile cuore, quel cuore di quel principe puro e innocente. Con il petto già macchiato del rosso sangue e sentendo la fredda Morte ormai vicina, disse il così Leinar, simile ad un fiore appassito:
“Valoroso Calior, amico mio, oggi muoio per mano tua, inaspettatamente. Sapevo che l’oracolo mi aveva avvertito che sarei morto andando alla caccia. Sappi che per te non porto riserbo, ma provo solo compassione. Di a mio fratello che io ti perdono, oh grande Calior. Ma ti avverto: Airan sarà messa a ferro e a fuoco, la tua città, Sirica, verrà distrutta e la tua gente sarà fatta schiava. Muoio col cuore triste e pieno di rabbia, poiché a causa mia il mondo intero non conoscerà più la pace.”
E detto questo, spirò. E la fredda Morte scese su di lui, portando il suo spirito a “Kaer Sref”, la casa dell’eterna gloria.  

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Capitolo 3
*** LE CURE DI AIREL ***


III

LE CURE DI AIREL



 
Raccolse il pesante corpo dell’amico ucciso, il prode Calior signore di Sirica, e si incamminò lungo la strada che portava alla reggia splendente. Lungo la strada vide gli altri nobili signori, pallidi e attoniti in volto: il loro sgomento fu grande quando videro il cadavere inerme del bello, del sommo Leinar. La Fama, la grande annunciatrice di ogni notizia, sia essa fausta o infausta, corse rapida di bocca in bocca. Il popolo tutto accorse lungo la strada, in modo tale da accertare quell’infausta voce purtroppo vera. Le donne si velarono il capo, gli uomini si levavano i berretti di lana in segno di lutto. Urla strazianti seguite da pianti amari riecheggiarono per le strade di una città ora accorsa in strada a salutare il suo cittadino più illustre, l’uomo più forte, l’amante più desiderato. I nobili suoi pari corsero a chiamare lo sfortunato Airel e il povero Baler loro padre. La gente, al passaggio del deceduto, esclamava accusando il siricano:
“Cane! Sia la tua stirpe maledetta in eterno, giacché uccidesti col dardo il nostro amato principe!”
I più arditi e i più boriosi gli sputavano addosso mentre le madri nascondevano i volti ai bambini per fare in modo che essi non vedessero il macabro spettacolo. Dalla folla cominciarono allora a levarsi insulti e minacce sempre più gravi e un uomo, un soldato della guardia alto più di due uomini e robusto quanto una quercia, gli si parò innanzi, sferrando un violento pugno al volto di Calior. Cadde per la prima volta il siricano, disteso a terra come un tronco appena caduto.
Il giovane si rialzò a stento, proseguendo il suo lento viaggio verso le sale della casa di Airel, sovrano di Alra. La gente intanto, presa da un furore crescente, cominciò a lapidarlo, costringendo il principe a celare il corpo del morto sotto il suo, esponendolo così al flagello delle pietre. Tale la rabbia del popolo, che i ragazzi facevano a gara nel cercare di colpirlo, scagliando via via sassi e pietre sempre più grandi. Il fresco volto subì lo sfregio del sangue e degli ematomi, così come anche il torace e la schiena furono colpite subirono lesioni gravissime. Cadde a terra una seconda volta il misero Calior, colpito da una grossa pietra alla meninge: come un tronco appena viene tagliato o come il grano appena falciato cadde il sire Calior, disteso col corpo dell’amico stretto alle sue braccia.
Ancor più a fatica si rialzò, e con la vista accecata da una parte proseguì la sua strada. Ma la gente adesso lo voleva vedere morto. Vennero a prenderlo in due dozzine, armati di pietre e bastoni, e uno di loro portava un cappio di fino canapa, lungo quanto basta per poter legarlo saldamente ad un albero. Presero il corpo dalle mani di Calior, picchiandolo a sangue, sputandogli in faccia, calciandolo sui genitali, strappandogli le vesti regali, maledicendo il suo nome.
Ma quale visione, quanto attoniti rimasero gli astanti nel sentirle, le trombe! Come un raggio che squarcia le nubi ed illumina la terra sottostante, eccolo, Airel lo splendente, accorrere in aiuto dell’amico in groppa al suo bel destriero, nero come la pece.

“Amico mio, appena in tempo!”

“Amico. Quale parola mi tocca vedere uscire dalla bocca del carnefice di mio fratello: potessero i miei occhi non assistere a tale misfatto, le mie orecchie non udire ciò che invece hanno udito, sarei più che contento di poterti chiamare anch’io così, amico. Ma adesso, mettiamo via i dissidi: ti condurrò a palazzo, dove verrai curato, e una volta che ti sarai ripreso, solo allora potremmo parlare.”

Calior fu dunque condotto alla reggia, ove fu medicato da ancelle esperte nel curare le ferite e da saggi guaritori conoscitori attenti dei segreti del corpo. Furono spalmati sulla sua pelle martoriata olii di ogni genere. Dapprima gli furono applicati impacchi di ghiaccio di montagna, aceto e sale per sgonfiare i lividi e pulire le ferite. Bende e garze di lino finissimo intinte nel vino, strette abbastanza in modo tale da far respirare le piaghe, andarono a fasciare quest’ultime, e creme a base di miele ed erbe furono spalmate sul resto del corpo.
Furono serviti cibi e vivande magre quali formaggi di capra, pani di orzo e olive, brodi di carne ed infusi alle erbe per curare anche dall’interno le ferite corporee. Il corpo del ferito venne adagiato su un comodo letto, le cui gambe erano fatte di solida quercia, e il materasso era imbottito a strati alterni di morbide piume d’oca e di foglie essiccate miste, intervallate tra di loro da stuoie in pelle di montone; comodi e morbidi guanciali fecero d’appoggio per il capo del principe mentre calde e soffici coperte di lana coprivano il suo corpo. Solo una fiaccola venne accesa, per timore di rendere l’aria della stanza calda e irrespirabile per via del fumo: al loro posto furono bruciati rametti dei più squisiti incensi, seguiti a ruota dalle foglie di menta.
Fu stabilito che tre ancelle, un medico e un sacerdote avrebbero vegliato per tutta la notte il principe Calior, mentre fuori della stanza furono poste due guardie per proteggerlo da qualsiasi pericolo. Passò così la notte il principe di Sirica, curato dagli unguenti e dalle preghiere del suo amico Airel che ciononostante diede prova di grande cura e rispetto per una persona del suo rango, ma soprattutto diede prova di aver rispettato la sacralità dell’ospite.   
 

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Capitolo 4
*** L'inganno del guidrigildo ***


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L’INGANNO DEL GUIDRIGILDO

Così, trascorsi due giorni e una notte, l’alba del terzo giorno vide il risveglio del prode Calior signore di Sirica, il quale scese cautamente dal suo comodo ricovero e poté finalmente sedersi di nuovo alla mensa di Airel scettro luminoso. Ricominciò a vagare per le ampie stanze della sontuosa reggia, a camminare, seppur con grande sforzo, lungo i viali dei grandi giardini del palazzo; ma non era ancora giunto il momento dell’affronto diretto col signore di Alra, e si dovettero aspettare altri tre giorni. Così, al mattino del giorno fissato, il principe Airel tenne grande adunanza al cospetto del re suo padre, così come lo richiedevano le circostanze, e invitò i nobili e il popolo tutto a vedere il re che riceveva le adeguate scuse da parte del siricano. La Sacra Legge, quella che i padri della terra di Airan avevano stabilito cogli dei, poiché ad essi era ispirata, prevedeva che, qualora vi fosse stata contesa tra i nobili per l’uccisione di un parente, i familiari del defunto avrebbero dovuto ricevere un guidrigildo pari al rango dell’ucciso più un tributo per un periodo di tempo che variava tra l’uno e i tre anni, consistente in una parte del proprio raccolto stabilendolo sempre in base al rango dell’ucciso, partendo dal minimo di un decimo, misura usata nei ranghi più bassi della nobiltà, arrivando fino alla misura di un terzo, raramente applicata, usata solo nei casi in cui la famiglia fosse di sangue reale o principesca: Calior queste cose ben le sapeva, ma confidava nella ricchezza della sua terra, tra le più prospere di messi che tutta Airan avesse. Il siricano era dunque pronto a pagare il riscatto, qualsiasi fosse il prezzo, tanto era addolorato per la morte di Leinar. E vedendo che qui i suoi sogni di vendetta contro gli dei suoi pari e l’insolenza della casa di Baler venivano messi a repentaglio, l’Artefice di ogni male prese a pensare altri e più loschi piani per nuocere il regno degli uomini. Questo è dunque ciò che Egli nella sua mente contorta riuscì a tramare: vi erano molti uomini al servizio di Airel e di suo padre Baler, tra guardie, servitori, ancelle e consiglieri. Ma il più fidato, quello sul quale entrambi, sia padre che figlio, riponevano una gran fiducia, era il generale Ilguid, consigliere militare e politico del saggio re Baler: uomo dalla grande forza, era di un acume e di un intelligenza tali da superare tutti gli abitanti di Alra, oltre ad essere un valoroso soldato. Ebbene, l’astuto fece calare un sonno pesante sull’uomo e quella mattina prese le sue sembianze alla grande adunanza. Quando tutti arrivarono nell’ampia sala, il grande Baler, re di Alra, parlò agli astanti:
“Oggi si compirà quanto è stato prescritto nella Sacra Legge. Un pegno sarà pagato, in base al lignaggio dell’ucciso, e da là in poi ogni dissidio tra noi e il popolo di Sirica sarà eliminato. Ma adesso, fate venire l’assassino, nonostante mi duole chiamarlo così. Fate avanzare il principe Calior, signore di Sirica dalle splendide mura: sentiamo le sue scuse e le sue offerte per il pegno.”
Ciò detto, si alzò, e venne innanzi al re e al principe suo figlio. Prese la mano del primo, si inginocchiò e baciò il suo anello; dopodiché i coppieri portarono due calici, uno per Calior e l’altro per Baler il giusto, e versarono del vino scuro. I due furono serviti e porsero i calici l’uno alla bocca dell’altro, sicché Calior pronunciò l’atto di perdono:
“Oh buon re, accetta questo calice come segno del mio perdono. Umile mi sono inchinato a te, e umilmente io ora ti chiedo formalmente scusa: rimpiango la morte del tuo amato figlio Leinar, e per questo offro il calice come segno di perdono. Il vino rosso sia simbolo del mio sangue, quello che versai e che io ora vengo a restituire, poiché la mia vita ti appartiene.”
Bevve il saggio sovrano e ringraziò il colpevole, perdonandolo:
“Ti ringrazio del calice, simbolo del tuo sangue, e per questo sei perdonato. Ma ora dimmi: quali le offerte per il guidrigildo?”
“Ebbene, mio buon re, queste sono le mie offerte: per il riscatto della morte di tuo figlio, ti darò ben trecento libbre d’oro, altrettante d’argento e ben cinquecento di ferro; vi donerò le migliori primizie della terra di Sirica: cinquecento sacchi di bianca farina, cinquecento di grano, mezzo quintale di carni e selvaggine, oltre mille anfore di olio e miele, il doppio di vino e birra schiumante. Saranno vostre ben due casse con dentro ogni sorta di gioiello, monile, bracciale e preziosi; cinquanta otri di profumi e fragranze provenienti dai paesi al di là dal mare, venti libbre di incensi, di mirra e nardo, oltre a più di duemila panni di stoffe, di sete e di pelli pregiate e ben lavorate; sette bellissimi e bianchi cavalli e due coppie di buoi con gioghi, gualdrappe e finimenti vi saranno dati. Vi faccio in oltre dono di cento graziose ballerine, tre dei miei migliori cuochi, e ancora, spade, scudi, elmi. Una sarà forgiata personalmente dai miei migliori fabbri per te, principe Airel, e sarà in duro acciaio; il pomo e il fodero saranno cesellati e rivestiti d’oro, con incastonate le gemme più belle che io possegga; a tua moglie regalo una preziosa veste bianca di lino pregiato, così bella e sottile che ad ella sembrerà quasi di non averla addosso. Ma per te, mio re, riservo il regalo più grande: la mia stima e riconoscenza.”
Tutti erano soddisfatti. Ma fu in quel momento che l’Artefice parlò: “Le tue parole sono state udite, principe Calior. Ma cosa se ne può fare del nostro anziano re della tua gratitudine? La perdita di Leinar per me vale molto di più!”
Rispose dunque il sovrano, rimproverando colui che credeva il suo consigliere più fidato:
“Che stai dicendo, mio buon amico? Ti è forse mancato il senno?”
“Proprio perché sono tuo amico, ascoltami, oh re! La morte di tuo figlio Leinar vale forse l’ammirazione di quest’uomo? L’ammirazione, certo, è gran cosa: per tutti è gradita, poiché suscita nell’animo il rispetto, sia per paura che per bene riguardo alla nostra persona. Ma come può uno come te, sire, dare ascolto a colui che ha ucciso tuo figlio, il sangue del tuo sangue?”
“Proprio perché con il sangue” - intervenne allora il principe Airel- “si ha suggellato la pace! Non basta più dunque il calice a sancire il perdono?”
“Il calice” - riprese l’Astuto- “è un mero simbolo. Noi tutti sappiamo come, in passato, il popolo siricano abbia prestato la sua fedeltà al primo governante di turno, ribellandosi ogni volta che esso lo voleva. È noto come, durante la guerra appena conclusa, sebbene Calior fosse con noi a combattere a Neapala e a Gradine,
Molte nobili famiglie del suo popolo abbiano fornito sussidi e aiuti ai ribelli! Come possiamo noi fidarci della parola di quest’uomo quando egli stesso non riesce a tenere a bada il suo popolo?” “Come osi insultarmi, cane insolente!”
“Lo avete sentito? Ascoltate! Lo avete sentito?”
“Lo abbiamo sentito.” - rispose il principe Airel- “e mi stupisce la sua insolenza: amici miei, popolo di Alra, ascoltiamo la voce di Ilguid! Come possiamo noi fidarci di un tale uomo?
“Figlio mio!” - lo rimproverò il padre- “ritira subito quello che hai detto! Come puoi trattare così l’ospite?
Le persone cominciarono a parlare tra di loro, e nessuno sapeva più cosa dire. Fu allora che, a malincuore, pronunciò ciò che segue:
“Credevo di essere stato perdonato. Oggi vedo come la casa di Baler figlio di Iluir si sia dimostrata indegna nei riguardi dell’ospite. Piange il mio cuore, giacché credeva di avere in voi degli amici. Con lingua viscida e biforcuta ha parlato Ilguid, il servo di Baler, che mi accusa ingiustamente. Dico a voi tutti: mi rifiuto di pagare il guidrigildo così come mi rifiuto di chiedere di nuovo scusa, poiché dubitate della mia parola. Casa di Iluir, grande è la colpa di cui ti sei macchiata, dato che, avendo insultato l’ospite, hai insultato gli dei stessi! Predico sciagura, morte e distruzione: maledetta la tua insolenza, maledetta la tua stirpe! Calior di Sirica va or aa casa senza pagare il riscatto, e con ciò si congeda da te: ritorna alla sua terra, sperando di non rivederti mai più, o terra di Alra!”
L’impeto scoppiò in tutti i presenti, tale fu la rabbia che suscitarono nei cuori queste parole.
“Calior”- disse così il sovrano- “Perché ci fai questo? È la guerra ciò che vuoi? Se cerchi questa, allora, eccola!”
Si congedarono dunque principi e sovrani, ciascuno incredulo alla notizia: quando pochi giorni prima si era lì giunti per concludere la pace, ora tutti se ne tornavano a casa col pensiero di una nuova guerra.P.

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