Mia - The Maze

di _JustOurStory_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


1.
 
Mi tirai a sedere, seppur a fatica, e mi appoggiai con la schiena contro il muro alle mie spalle.
Mi portai le mani fra i lunghi capelli rossi, scuotendo il capo.
Cosa stava succedendo?
Un minuto prima correvo nel Labirinto, scappando a fatica da un Dolente che, per qualche assurdo motivo, era uscito durante il giorno, e l’attimo dopo ero precipitata non si sa bene dove.
La testa era incredibilmente pesante, ma la cosa peggiore era la mia gamba.
Uno squarcio ne percorreva tutto il profilo. Il sangue non smetteva di scorrere, imbrattando i miei abiti.
Mi guardai attorno: ero ancora nel Labirinto.
Un moto di tranquillità mi avvolse, facendomi sospirare, sollevata.
Ora non dovevo che trascinarmi fino alla Radura, trovare Ambra e farmi curare la ferita.
Tentai di alzarmi, facendo leva sulle braccia, ma la cosa risultò più difficile del previsto. Poggiai il capo contro il muro, sospirando affannosamente, ormai mancava poco alla chiusura delle mura.
Camminai con lentezza, trascinando i piedi, ma la fatica e il dolore mi fecero piegare, cadendo a terra.
Non sarei mai sopravvissuta lì fuori di notte, non in quelle condizioni.
Stavo per arrendermi. Poi sentii delle voci.
«Sì, lo so, Minho, ma era meglio andare tutti insieme a controllare, non è saggio dividersi, non nell’ultimo periodo».
«Okay Ben, ma così non facciamo che sprecare tempo, da domani ricominciamo come sempre».
Mi immobilizzai sul posto. Quelle voci non appartenevano di certo a Sonya e a Miriam.
Chi erano?
Cosa ci facevano nel Labirinto?
Mi voltai indietro, afferrando il pugnale che tenevo ben salto, attaccato al polpaccio sano, e lo puntai in avanti, pronta a qualunque attacco.
I passi si facevano sempre più vicini.
Mi guardai attorno e, poco dopo, alcuni ragazzi sbucarono da dietro un muro, all’improvviso.
Si immobilizzarono sul posto, osservandomi.
Io rimasi ferma a mia volta. Come potevano essere lì? Nel Labirinto?
«Ma che caspio…?» mormorò uno di loro.
«Chi siete?» esclamai, il pugnale sempre puntato contro di loro.
«Chi sei tu, semmai!» disse uno di loro, ma subito un altro, dai tratti asiatici, che sembrava essere il capo, gli fece segno di tacere.
«Non c’è tempo, i muri si stanno per chiudere! Ne parleremo più tardi nella Radura con Alby».
«Scherzi? Per quanto nei sappiamo potrebbe essere stata mandata qui dai Creatori per ucciderci tutti!» esclamò uno, sfoderando una lunga lancia e puntandomela contro.
«Ora non c’è tempo! Il Labirinto si sta già chiudendo, muoviamoci!» si misero a correre, oltrepassandomi.
Cercai di farmi forza, ma il dolore mi fece piegare nuovamente.
Gemetti.
«Ce la fai?» mi chiese il tipo dai tratti asiatici.
«S-Sì» mormorai, tirandomi su.
Ma lui non sembrò credermi, perché in un secondo mi fu accanto, mi sollevo, passandomi una mano dietro la schiena e una sotto le ginocchia, per poi ricominciare a correre.
«Ce-ce la faccio» provai a dire, ma lui non mi sentì nemmeno.
Il dolore iniziava a diffondersi, chiusi gli occhi, impotente, e lasciai che il buio mi inghiottisse.
 
Era tutto nero, non vedevo nulla, ma riuscivo a sentire.
Sentivo delle voci.
Troppe voci.
«Quando si sveglierà vedremo il da farsi» disse qualcuno.
«Io dico di farla fuori ora» proferì qualcun altro.
Cercai di aprire gli occhi, ma era come se non avessi il controllo di me stessa.
«Non dite sciocchezze! E tacete, razza di pive!».
Mossi con cautela una mano, tastando il letto sul quale ero sdraiata e socchiudendo gli occhi.
«Fermi, si sta svegliando» proferì la stessa voce che, fino a poco prima, aveva intimato agli altri di fare silenzio.
Aprii del tutto gli occhi.
Mi trovavo in una stanza piuttosto piccola, fatta interamente di legno, mentre attorno a me erano radunati una decina di ragazzi, tutti con lo sguardo puntato su di me.
Immediatamente mi misi a sedere, tirandomi indietro.
Sentii un dolore lancinante alla gamba destra, ma lo ignorai, cercando il mio pugnale.
Non c’era.
«Chi diamine siete voi?!» esclamai, allontanandomi il più possibile, seppur seduta sul letto.
«Tranquilla, non vogliamo farti del male» disse un ragazzo di colore.
«La mia domanda era un’altra! Chi siete?».
Ero nel panico: dov’erano le altre ragazze?
«Forse non ricorderai nulla del tuo passato, è normale, ma ti pasti sapere che ci troviamo in una Radura, ogni mese arriva un nuov…».
«Non ti ho chiesto la storia della tua vita! Certo che so queste cose! Voglio solo sapere chi siete» la mia voce apparì più debole di quanto sperassi – ma comunque arrabbiata –, ero esausta.
Lui sospirò, frustrato «Io sono Alby, tu? Ti ricordi il tuo nome?».
«Si, certo, mi chiamo Mia» mormorai, tentando di alzarmi.
«È meglio se rimani sdraiata» disse un ragazzo, ma lo ignorai, alzandomi e borbottando un “sto bene”.
Certo, faceva male, ma non volevo mostrarmi debole.
«Be’, Mia, ricordi altro?».
Certo! Certo che ricordavo!
«Sì certo, o almeno, ricordo cos’è accaduto negli ultimi anni, prima di ritrovarmi in quel posto» aggrottarono le sopracciglia.
«Nel Labirinto, intendo» precisai.
«Di che caspio stai parlando?» esclamò uno di loro, facendo un passo in mia direzione, ma io lo ignorai.
«Gally! Calmati!» sbottò Alby «E metti a posto le chiappe!» poi continuò «che vuoi dire?».
Io sospirai, mi faceva male la testa «Ho vissuto per due anni in un Radura, circondata da un immenso Labirinto insieme alle mie compagne».
«Compagne? Intendi che eravate tutte ragazze?» chiese qualcun altro.
Annuii.
All’improvviso la porta si spalancò e ne entrò un ragazzo dai capelli biondi e gli occhi castani, decisamente alto, accompagnato da quello che avevo incontrato precedentemente nel Labirinto.
«Oh, vedo che ti sei svegliata!» sorrise.
Io accennai un sorriso a mia volta, non seppi per quale motivo, mi venne spontaneo.
«Newt!» lo richiamò Alby «Dobbiamo organizzare subito un’Adunanza» sbottò, poi si rivolse a me «Tu vatti a fare una doccia, non hai una bella cera, poi ti faremo avere dei vestiti puliti, ti accompagnerà Chuck, l’ultimo arrivato» disse.
Annuii, l’idea di farmi una doccia, circondata da ragazzi che – da quanto avevo capito – non vedevano una donna da due anni, non mi allettava, ma dovevo assolutamente sciacquarmi di dosso la terra e il sangue. Non dovevo avere un bell’aspetto.
Uscii scortata dal ragazzino paffutello, mi faceva male la gamba, ma era sopportabile.
«Quindi hai vissuto in un Labirinto proprio come questo?».
«Già» annuii «Solo che eravamo tutte ragazze… e c’era meno puzza» arricciai il naso e lo sentii ridere.
Camminammo ancora un po’ e poi arrivammo alle docce «Eccoci, lavati tranquilla, nessuno entrerà».
Probabilmente voleva solo rassicurarmi: missione fallita.
Ad ogni modo non lo diedi a vedere e mi fiondai sotto il getto freddo.
Quando uscii, poco dopo, mi diedero dei vestiti puliti. Erano da ragazzo, e mi stavano decisamente larghi. Erano almeno tre taglie più della mia.
Mi sistemai la maglia, troppo lunga, e tentai di stringere i pantaloni, così che non cadessero, ma la cosa non mi riuscì un granché bene.
Ero decisamente ridicola con quei cosi addosso.
Mi passai le mani fra i capelli bagnati e scompigliati e li lascai liberi sulle spalle, tornando al punto in cui, prima, Chuck aveva detto che mi avrebbe aspettata.
«Chuck?» chiesi.
«È andato a cena, e sarebbe ora che andassimo anche noi».
Mi voltai e vidi il ragazzo dai capelli biondi fissarmi.
«Io sono Newt» mi porse la mano.
Gliela strinsi e poi l’allontanai «Mia». 
«Vieni, ti accompagno a cena», mi affrettai ad affiancarlo, imprecando per il dolore alla gamba.
«Posso farti una domanda, Newt?» chiesi dopo poco.
Lui mi guardo di sfuggita annuendo.
«Non è che avreste una spazzola?». Avrebbe potuto sembrare una domanda sciocca, ma in quel momento ne avevo bisogno. I miei capelli erano un vero disastro.
Lui rise «Mi spiace, ma no».
Sbuffai contrariata «E come vi pettinate?».
«Bè… con le mani».
Io annuii, passandomi le mani fra i lunghi crini rossi, ma non ottenni un gran risultato «E dei vestiti un po’ più stretti? Non per dire, ma mi sento alquanto ridicola» sorrise, fermandosi per un attimo e guardandomi da capo a piedi.
«Non ti stanno poi così male» ricominciò la sua marcia.
Sbuffai ancora.
«Allora, da voi com’era la Radura? Come questa?».
Mi guardai attorno «All’incirca sì… ma i nostri edifici erano più belli» sorrisi.
Lui ridacchiò «Per oggi stai tranquilla, questa sera terremo un’Adunanza, ma domani dovrai raccontarci tutto».
Annuii, anch’io dovevo sapere molte cose, prima fra tutte: come diamine c’ero finita in quel posto?
«Eccoci arrivati».
Quando entrammo nella sala, una cinquantina di ragazzi erano radunati attorno a diversi tavoli, chiacchieravano animatamente, ma quando entrai, tutti si ammutolirono.
Mi sentivo leggermente fissata.
Newt mi posò una mano sulla spalla, spingendomi lievemente in avanti «Ignorali» mi sussurrò.
Annuii e mi sedetti ad un tavolo, accanto a Chuck «Ehi» lo salutai.
Lui continuò a mangiare, rivolgendomi solo un cenno del capo.
Sorrisi e mangiai un pezzo di pane, non ero poi così affamata.
Mangiai in fretta, volevo solamente andare a dormire.
«Ti accompagno nel Casolare, è lì che dormiamo» disse Chuck alzandosi. Camminammo in silenzio, sentivo le palpebre chiudersi.
Quando entrammo, alcuni ragazzo si stavano già sdraiando nei rispettivi sacchi a pelo, mi guardai attorno.
«Sdraiati pure in quell’angolo, e non ti preoccupare» mi sorrise.
Sbuffai, facendo come indicato, e mi avvolsi nel sacco a pelo che mi era stato dato. Quello doveva essere un incubo, un orribile incubo.  

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


2.

Quando aprii gli occhi, quel mattino, la prima cosa che sentii fu un forte rumore. 
Qualcuno, sdraiato al mio fianco, russava sonoramente. Ma non era quella la cosa peggiore: il suo braccio, infatti, era appoggiato sulla mia pancia.
Lo spostai con uno scossone, alzandomi di scatto. Mi guardai attorno: dormivano tutti.
Oltrepassando a fatica qualche corpo malamente buttato sul rigido terreno, riuscii a raggiungere l’uscita del Casolare.
Uscii in fretta, il sole non era ancora al massimo del suo splendore, ma le imponenti mura iniziavano ad aprirsi.
Davanti ad esse erano radunati un paio di ragazzi, fra cui riconobbi immediatamente Newt, Alby e il ragazzo asiatico, di cui ancora non conoscevo il nome.
Mi avvicinai con cautela: la ferita alla gamba bruciava lievemente, ma – ne ero certa seppur non ricordassi nulla fino al mio arrivo al Labirinto, avvenuto due anni prima – avevo patito di peggio.
I ragazzi si affrettarono ad entrare nel Labirinto di corsa, lì fuori rimasero solo Newt e Alby.
Parlavano sommessamente e, da ciò che avevo compreso, immaginavano discutessero sulla misteriosa Adunanza tenutasi la sera prima. Doveva essere più o meno l’equivalente delle Riunioni che tenevamo io e le altre mie compagne che facevano parte del Consiglio Ristretto.
Li vidi voltarsi e poi immobilizzarsi, quando posarono lo sguardo su di me.
«Sei già sveglia?» chiese Alby, entrambi si stavano avvicinando.
Scrollai le spalle, «Forza dell’abitudine».    
«Bene, perché oggi ti presenteremo gli Intendenti» disse Newt, oltrepassandomi.
Strabuzzai gli occhi, cosa?
«Come scusa?».
«Be’, solo perché sei una ragazza non vuol dire che tu non debba lavorare, qui non c’è spazio per le Testepuzzone  nullafacenti» sbottò Alby.
Io li fulminai con lo sguardo «Non so se ve lo ricordate, ma non sono un “Fagiolino”, come li definite voi».
Cosa credevano? Molto probabilmente avevo esplorato il Labirinto meglio di tutti loro messi insieme, e ora cosa volevano? Che me ne stessi in cucina?
«Questo lo sappiamo» proseguì il ragazzo di colore «Ma ne parleremo dopo, ora sei richiesta, devi raccontarci com’era il Labirinto in cui eri rinchiusa tu».
Alzai un sopracciglio «Scusami? Per prima cosa, io non devo raccontarvi proprio nulla! Lo farò solo perché anch’io necessito di risposte!» sbottai «Secondo, ora vado a farmi una doccia, finché tutti dormono, ci vediamo dopo».
Detto ciò mi diressi alle docce;  avevo capito dove si trovavano.
Non ci misi molto, per fortuna, e, quando uscii, vidi che tutti i ragazzi avevano iniziato a lavorare. Avevo ancora i capelli umidi, ma li legai in una coda improvvisata, e mi diressi nel luogo dove c’erano Newt, Alby, e qualche altro tizio – uno mi pareva fosse qualcosa tipo Gully, o Gally, una roba del genere.
Avevo indossato i vestiti del giorno seguente e, come a copione, erano decisamente larghi.
«Quando potrò riavere i miei abiti?» chiesi, raggiungendoli.
Loro mi lanciarono un’occhiata, ma non dissero nulla.
«Pronto?» chiesi. Ora non si rispondeva nemmeno? Che maleducati.
«Presto» disse Alby, poi si girò «Ora seguici».
Non feci domande, le avrei fatte più tardi, e mi diressi con loro fino al Casolare. Una volta lì ci sedemmo, loro tutti disposti a ferro di cavallo e io di fronte.
Mi sentivo osservata.
«Allora, Mia, cosa sai dirci sul Labirinto?» non conoscevo colui che aveva parlato, nessuno me lo aveva presentato – seppur l’avessi visto una volta sveglia – ma non me ne curai.
«Se volete sapere se il Labirinto dov’ero prima era uguale a questo, allora sì. Certo, gli edifici diversi, ma, a grandi linee, la Radura è la stessa».
«Continua» mi spronò Newt.
Lo guardai negli occhi. Erano nocciola, decisamente bellissimi.
Sospirai amaramente e annuii «Come immagino sia successo anche a voi, be’, diciamo che, due anni fa, un gruppo di ragazze è stato mandato nel Labirinto. Io ero fra le prime, attualmente credo di avere più o meno diciassette anni, forse poco meno, ma quando siamo arrivate eravamo piuttosto piccole. Non sapevamo che fare, non ricordavamo nulla, eravamo spaventate» presi un bel respiro «Passammo la prima settimana in preda al panico, solo in sette giorni, morirono nove ragazze» li vidi stupiti, ma non vi badai «Credo avessimo quattordici o quindici anni al tempo, e, be’, avevamo paura. Quando, però, ci rendemmo conto che proseguire così non avrebbe portato a nulla, cercammo di ragionare; in particolare fummo in tre, io, Sonya e Harriet. Capimmo che dovevamo organizzarci, così assumemmo il comando, se così si può definire. Per prima cosa costruimmo la Torre, una specie di Casolare» spiegai «Con materiali trovati o forniti dai Fondatori, così li definivamo, ad ogni modo, nessuna di noi si avvicinò al Labirinto. O questo finché non arrivarono le prime Compagne. Ogni mesi una ragazza nuova, non sapevamo come comportarci, ma capimmo che era d’obbligo esplorare il Labirinto» spiegai, cercando di essere il più dettagliata possibile.
«Come sapevate che si trattava di un Labirinto?» domandò Gally, sì, era quello il suo nome.
Gli lanciai un’occhiata «Pochi giorni dopo il nostro arrivo, alcune di noi vi entrarono, ma non fecero ritorno» abbassai il capo «Ci accorgemmo che le mura si chiudevano la sera, così entrai io stessa, insieme ad altre due mie compagne, e rientrammo prima che quelle ci intrappolassero dentro. Lo capimmo così, ma dopo quell’esperienza nessuno volle tornarci».
«Ma poi lo faceste» non era una domanda.
«Sì, questo avvenne più o meno dopo tre o quattro mesi. Organizzammo una squadra, un gruppo che entrasse ad esplorarlo».
«I Velocisti» disse uno.
Ridacchiai «Be’, non ci chiamavamo così, ma sì, una specie».
Molto probabilmente avevamo vissuto esperienze simili.
«Lo mappammo tutto» sospirai «Ma nulla. Non c’era una via di fuga».
«Sembrano due fotocopie» disse Newt, osservando il pavimento come se stesse riflettendo fra sé «I Creatori hanno creato due Labirinti identici, uno interamente composto da ragazzi e uno da ragazze, sono certamente complementari, come se si trattasse di due progetti, ma di un’unica prova».
Alby lo guardò «Ma a quale scopo?».
«Questo non lo so» disse il biondo, alzandosi «Ma lo scopriremo».
Poi si voltò verso di me e mi porse una mano «Vieni».
Afferrai la sua mano e lui mi aiutò ad alzarmi. Era sorprendentemente morbida, seppur potessi sentire il lieve spessore delle cicatrici dovute, molto probabilmente, al lavoro nella Radura.
«Devo mostrarti i vari mestieri» mi sorrise e io sbuffai «Non ho intenzione di mettermi a cucinare, se è questo che intendete» li indicai con un gesto della mano, e li vidi guardarmi, chi scocciato, chi curioso «Il che è un bene sia per me che per voi, fidatevi, faccio schifo in cucina» incrociai le braccia e sentii qualche risatina.
Ehi! Io ero seria!
«Vorrà dire che ti occuperai del Macello» rispose tranquillo il biondo, uscendo dalla stanza. Notai che, qualche volta, zoppicava lievemente. Immediatamente me ne chiesi il motivo; ma non lo domandai a lui.
Spalancai lievemente gli occhi e lo seguii «Cosa?».
Rise «Vieni, ti faccio fare il tour».
Sbuffai, ma non dissi nulla.
«Il Casolare l’hai già visto, lì dormiamo, anche se, comunque, la maggior parte resta fuori, è molto più grande di quello iniziale. Poi ci sono le Faccemorte» proferì mentre passavamo accanto a una fitta boscaglia – seppur non eccessivamente larga.
«È il cimitero, lì puoi andarci se, per caso, hai bisogno di stare tranquilla o cose del genere» annuii, ma sapevo già che non ci sarei mai andata. Insomma, si trattava di… morti.
Anche nel mio Labirinto c’era il Cimitero – lo chiamavamo proprio così – ma non mi ci ero mai avvicinata, mi metteva soggezione.
«Ci sono, in totale, quattro lavori: Spalatore, Battimattone, Insaccatore, Scavatore, tu li proverai e poi…» lo afferrai per un polso, non permettendogli di proseguire.
«No» sbottai.
Mi guardò stupito, così chiarii «Non sono una dei tuoi Fagiolini, a cui dai gli ordini e fai fare tutto ciò che vuoi, ho vissuto in un fottutissimo Labirinto per due anni, contando solo su me stessa e sulle poche persone di cui mi potevo realmente fidare. Ora non ho intenzione di tornare al principio».
Alzò un sopracciglio «E quindi, che vorresti fare?». Dalla sua voce capii che era alquanto irritato, ma non me ne preoccupai: prima ero una dei Capi, ora non sarei diventata l’ultima arrivata.
«Andare ne Labirinto?» dissi con tono ovvio, alzando un sopracciglio.
«Scordatelo» disse ricominciando a camminare.
«Cosa?!» feci una piccola corsa – il  dolore alla gamba stava sparendo velocemente – e gli afferrai un polso, facendolo voltare verso di me «Perché?».
«Be’ perché sei… perché è pericoloso».
Assottigliai lo sguardo «Newt, l’ho fatto per due anni».
«Può darsi, ma che ne sai che questo non è diverso?».
In effetti non potevo dirlo, ma in quel momento non potevo farmi vedere insicura «E cosa potrebbe essere diverso?».
Lui sembrò pensarci, poi parlò «I Dolenti».
Sbuffai, intuendo a cosa mirasse «Se intendi mostri giganti, mezzi robotici, che escono di notte e ti pungono, iniettandoti così un veleno, che poi, per mezzo del Dolosiero, ti porta a subire la Mutazione, grazie, ma so già tutto».
Scrollai le spalle, oltrepassandolo.
Lo sentii sospirare pesantemente «E va bene».
A quelle parole mi fermai, ma lui continuò: «Ma dovremo parlarne con Alby, organizzare un’Adunanza e, soprattutto, la decisione finale toccherà a Minho»
Immaginai che Minho fosse il ragazzo che mi aveva aiutata nel Labirinto il giorno precedente.
Mi girai a guardarlo e sorrisi «Perfetto!».
«Come sta la tua gamba?» chiese dopo qualche istante di silenzio.
«Decisamente meglio, era solo un taglio superficiale, dopotutto, dammi due giorni e sarò come nuova» dissi entusiasta.
Continuammo il nostro giro ancora per un po’, mi presentò diverse persone, come Winston o Frypan. Dovevo ammettere che erano ben organizzati, non seppi perché, ma non lo sarei mai aspettato; forse perché erano ragazzi.
Pranzammo piuttosto in fretta, poi tutti tornarono ai rispettivi lavori, Alby mi disse che, poiché ufficialmente quello era il mio primo giorno, avrei potuto stare tranquilla, così andai a sedermi sul retro del Casolare e osservai le mura.
Chissà cosa stanno facendo le mie compagne, pensai.
Mi mancavano da morire: chissà se erano andate a cercarmi nel Labirinto, se si erano preoccupate. Mi immaginai Sonya organizzare immediatamente una Riunione, poi Harriet cercare di calmarla, ma inutilmente.
Immaginai Rosalyn passare le nottate a pensare, preoccupata, e poi Elizabeth… la mia Betty, chissà cosa stava facendo.
«Stai bene?» mi chiese una voce. Alzai lo sguardo e vidi Chuck fissarmi.
«Oh… sì, certo» la mia voce non era affatto convincente, ma non riuscii a fare di meglio.
Si sedette accanto a me «Okay» mormorò.
Io alzai un sopracciglio «Non dovresti lavorare?».
Lui scrollò le spalle «Per oggi sono apposto… io sono uno Spalatore».
«Che intendi?».
«Io… be’, non hanno trovato un lavoro in cui andassi… bene, così ora sono uno Spalatore» borbottò abbassando lo sguardo.
«Sai, sono qui da sì e no due settimane».
Io annuii, doveva essere il più piccolo, lì. Avrà avuto dodici o tredici anni.
«Sai» dissi, appoggiando la testa al muro «Mi ricordi una mia amica. Si chiama Elizabeth» sospirai amaramente al suo ricordo «Nel Labirinto era la più piccola, era come una sorellina minore. Io mi prendevo cura di lei, l’aiutavo. Era la persona con cui avevo legato maggiormente, seppur fosse lì da nemmeno due mesi. Penso avesse più o meno la tua età».
«Ah sì?» sembrava contento «E com’era?».
Ci pensai un attimo «Be’, era un po’ uno scricciolo, aveva i capelli biondi e gli occhi castano chiaro, circa nocciola. era un roccia, per essere tanto piccola» sorrisi.
Lui fece lo stesso «Mi piacerebbe conoscerla».
Annuii, poi rimanemmo in silenzio per un po’. Ad un certo punto, le mura iniziarono a chiudersi; vidi Minho e i Velocisti tornare giusto in tempo.
Era il momento di andare a parlare con loro.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


3.
 

Salutai in fredda Chuck e mi alzai, avrei parlato con loro quella sera stessa.
Mi diressi verso i ragazzi a grandi falcate – ormai il dolore alla gamba era minimo – e i giovani a loro volta, vennero in mia direzione, probabilmente in quel posto che Newt aveva definito la stanza delle Mappe o qualcosa del genere.
Parlavano fra loro sommessamente, con foga, ormai mancavano pochi passi e li avrei raggiunti, ma, prima che potessero anche solo vedermi, Alby mi afferrò per un polso, trascinandomi con sé.
«Ehi!» protestai, tentando di divincolarmi dalla sua presa, ma senza un gran risultato.
«Dobbiamo parlare, Mia» buffando mi decisi a seguirlo fino a che non arrivammo a pochi passi dal Casolare. C’era anche Newt.
Quando mi lasciò il polso, incrociai le braccia al petto e affiancai il biondo «Che c’è?» domandai.
«Newt mi ha detto che vuoi diventare una Velocista» dal suo tono non traspariva alcuna emozione, così mi limitai ad annuire.
Non capivo perché non potessi diventare una Velocista! Avevo passato due anni nel Labirinto, molto più di alcuni di loro, perché era così difficile da credere?
«Non credo sia una buona idea, prima proverai i vari lavori e poi vedremo» disse, accarezzandosi lievemente il mento.
«Si può sapere per quale fottuto motivo non volete farmi andare nel Labirinto?» chiesi esasperata. Non sarei rimasta lì a non far nulla, assolutamente! E, se loro non mi avessero ascoltata, ci sarei entrata per conto mio. Al diavolo le conseguenze!
«Mia, vogliamo solo trovare un lavoro più adatto a te» disse Alby, tentando di mantenere la calma.
Socchiusi le labbra, indignata «Aspettate un attimo!» esclamai «Non volete farmi diventare una Velocista perché sono una ragazza?!».
Okay, forse avrei dovuto intuirlo prima, ma , quanto me ne resi conto, mancò poco che non tirai un pugno in faccia ad Alby.
Come si permettevano!
«Mia…» Newt mi poggiò una mano su una spalla, ma io la scostai.
«Credete che non sappia difendermi? O cosa? Siete forse impazziti?» mi scostai qualche ciuffo rosso che era caduto sulla fronte.
Alby mi afferrò per un polso, portandomi difronte a sé «Ora ascoltami, ragazzina, non so com’eri abituata prima, ma qui io sono il capo. Io comando».
Mi spostai con uno scossone e mi allontanai lievemente «Cos’è, Alby? Una dittatura? Non mi importa se non vuoi farmi andare nel Labirinto, perché io non sono un dei tuoi Fagiolini, okay? Parlerò con Minho, che tu lo voglia o no».
E con quelle parole mi voltai.
Camminai spedita fino al Casolare, che cosa credevano?
Se pensavano di avere a che fare con un bella bambolina di porcellana che se ne stava lì a cucire  vestitini a maglia si sbagliavano.
Io ero una guerriera.
Io correvo nel Labirinto e combattevo con i Dolenti.
Era evidente che non avessero contatti con l’altro sesso da parecchio tempo. Avrei voluto vederli insieme alle altre ragazze. Harriet avrebbe dato loro una bella strigliata.
Risi lievemente al ricordo della mia amica e, dopo essermi guardata attorno per un po’, intravidi Minho chiacchierare con qualche ragazzo.
Mi avvicinai in fretta e gli picchiettai su una spalla con insistenza.
Quando si voltò parlai «Sei Minho, no?».
Lo vidi annuire, fra un misto di curiosità e confusione, così continuai «Possiamo parlare?».
Alzò un sopracciglio, ma poi annuì nuovamente «Okay, ci vediamo dopo, ragazzi». Gli altri parvero un po’ straniti, ma fecero come indicato.
Quando gli altri se ne furono andati, camminammo in silenzio per un po’, poi mi fermai e gli poggiai una mano sulla spalla.
«Volevo ringraziarti» iniziai, dopotutto non ero un insensibile, io!
«Intendi perché ti ho salvato la tua bella pelle nel Labirinto?» chiese ghignando lievemente «Non c’è di che!».
Ridacchiai, alzando gli occhi al cielo e sbuffando, seppur divertita «Sei sempre così modesto?».
«Una delle mie tante doti».
Ridemmo entrambi e non parlammo per qualche istante, camminando ancora un po’, ma poi decisi di continuare «Minho, devo chiederti una cosa».
Lo vidi sorridere leggermente, non sembrava affatto sorpreso «Immagino di sapere cosa… e la risposta è no».
Sbuffai infastidita, fermandomi di colpo «Perché?».
«Perché sei una ragazza, e io non ci tengo a riportare il tuo cadavere alla Radura».
«Andiamo, lo faccio da due anni, anzi, molto probabilmente sono arrivata nel Labirinto prima di te».
Lui ricominciò a camminare senza dire nulla, sembrava alquanto irritato, ma la cosa non mi importava. Ero stufa di essere considerata una bambolina inutile solo perché ero una ragazza!
Maschilisti del Caspio… oh no! Stavo già iniziando a parlare come loro!
Scossi il capo con forza e lo raggiunsi, bloccandolo per un braccio.
«Una sola volta!».
«Come?» chiese confuso.
«Voglio entrare nel Labirinto una sola volta. Solo per confrontarlo con quello in cui ero rinchiusa io! Se poi muoio, be’… avrete un peso in meno, no?» alzai un sopracciglio.
Quello era l’unico modo che avevo per convincerlo.
«E se sopravvivrai?» .
«Be’, in tal caso avrò il permesso di tornarci altre volte. E poi, se siete così sicuri che non ce la farò, qual è il problema?».
Sorrisi, ormai ce l’avevo in pugno.
Infatti, il ragazzo moro sbuffò «Sei sempre così irritante?» chiese, seppur fosse chiaro che era divertito.
Annuii.
«E va bene».
Istintivamente mi aprii in un largo sorriso.
«Ma prima ne parlerò con Alby e con Newt, poi be’, vedremo, in caso ci sarà una votazione».
Sorrisi maggiormente e lo abbracciai di slancio.
Era in imbarazzo, senza dubbio, ma dopo qualche istante in cui rimase immobile, mi passò le braccia attorno alla vita, rilassandosi un po’.
Mi separai dopo qualche istante: «Grazie mille!».
Lui mi fece l’occhiolino.
Quando Minho si fu allontanato, decisi di andare a cena, che sarebbe stata servita di lì a poco. Mi sedetti ad un tavolo a caso, non guardando nemmeno chi ci fosse, e aspettai che venisse servita.
Sorprendentemente, mi stavo ambientando piuttosto bene.
«Ehi, Fagiolina» la voce di Gally mi fece voltare in sua direzione; era seduto al mio fianco e mi guardava attentamente, quasi volesse imprimersi nella mente ogni dettaglio.
«Chiamami ancora così e ti soffocherò nel sonno, stanne certo» dissi a denti stretti, odiavo quel soprannome! E odiavo i fagioli!
«Qualcuno qui è nervosetto» disse sghignazzando. Decisi di ignorarlo e di concentrami sul mio cibo.
La mia testa, in quel momento, era da tutt’altra parte, volevo sapere se Minho aveva già parlato con Alby, con Newt.
E loro che avevano detto?
Immaginai che Newt fosse d’accordo, dopotutto era stato lui stesso a dire che ne avrebbe parlato con Alby, ma quest’ultimo? Avrebbe posto tanta resistenza?
Finii di mangiare in fretta, come sempre del resto, e uscii.
Lasciai che il debole venticello mi scompigliasse i lunghi capelli rossi, liberi, e, dopo qualche istante di silenzio, aprii gli occhi verdi.
O almeno questo era il colore che mi era stato detto.
Decisi di andare a sedermi accanto al Casolare, mi sentivo quasi protetta, lì. Come se nulla potesse sfiorarmi.
Chiusi gli occhi e rimasi immobile per qualche minuto.
Dovevo capire cosa fare.
Ma, prima di tutto, dovevo scoprire se i due Labirinti coincidevano.
«Mia» sentii la voce di Newt chiamarmi, e immediatamente sorrisi, socchiudendo prima un occhio e poi l’altro.
Il biondo era a pochi passi da me, e ora mi guardava curioso.
«Sì?» chiesi.
«Alby vorrebbe parlarti» mi informò.
Sospirai mettendomi in piedi e lo seguii fino al luogo prestabilito. Lì erano radunati alcuni ragazzi, gli Intendenti probabilmente.
Quando entrai, nella stanza cadde il silenzio, ma fu Alby – dopo pochi istanti – a romperlo.
«Minho mi ha parlato della tua… idea» proferì. Io mi limitai ad annuire.
«Non demordi mai, eh?» chiese Newt in un sussurro. Era al mio fianco, e aveva proferito quelle poche parole al mio orecchio, facendomi percorrere la spina dorsale da un brivido.
Nervi saldi, Mia! Rimani concentrata!, mi rimproverai.
Gli lanciai un’occhiata divertita. Era dannatamente vicino.
Annuii lievemente e riportai lo sguardo su Alby. Dovevo mantenere la concentrazione.
«Abbiamo votato» disse rigido. Poi fece un istante di pausa.
«… E potrai andare nel Labirinto».
Istintivamente sorrisi.
«Ma…» ovviamente lui doveva distruggere la mia felicità.
«Ad una condizione: domani andrai con Minho, non possiamo rischiare che tu muoia, potresti essere un caspio di indizio o chissà che altro, perciò lo seguirai. Sarà lui a decidere, alla fine, se sei in grado di diventare una Velocista. E anche in quel caso, però, la decisione finale la prenderemo votando».
Annuii, imponendomi di non dire nulla di sarcastico. Non volevo che cambiasse idea!
Lanciai un’occhiata a Minho, e lui mi fece l’occhiolino.
«Molto bene».
Quando tutti se ne furono andai, finalmente tirai un sospiro di sollievo, lanciando uno sguardo a Newt, a pochi passi da me.
«Sei contenta?».
«Certo! Insomma, avrei preferito andare da sola, ma come inizio piò andare» dissi sorridendogli, incoraggiante.
«Bene così» mormorò, poi mi scompigliò lievemente i capelli, passandomi accanto «È ora di andare a dormire, Pive, ci si vede domattina».
Gli sorrisi e feci come indicato.
Nel Casolare si stava stretti, e si rischiava sempre che qualcuno di desse un calcio nel sonno, ma quella notte non me ne preoccupai.
Mi accucciai in angolo, affianco al muro, e mi raggomitolai su me stessa.
Ci misi poco ad addormentarmi.
 
«Promettilo» sussurrò il ragazzo di fronte a me. L’oscurità mi circondava, non riuscivo a vederlo in volto, eppure sapevo di conoscerlo.
«Io…» provai a parlare, ma le parole non uscirono. 
Ma, anche se avessi voluto, non avrei potuto. Non ero io a comandare il mio corpo.
Io non ero che uno spettatore.
Il ragazzo si avvicinò di un passo; era decisamente più alto di me, ma, anche se ormai i nostri nasi sfioravano, non riuscivo a vedergli il volto.
«Hayley, promettilo» sussurrò ancora, poggiando una mano sulla mia guancia.
La me stessa spettatore, poiché l’latra me se ne stava lì immobile, lo guardò confusa.
Hayley? Chi era?
«Devi proteggere mia sorella, è solo una bambina, non permettere loro di farle del male» mormorò, i suoi occhi – marroni – erano umidi.
«Non mi ricorderò di lei…» la mia voce era spezzata, distrutta «… e non mi ricorderò di te». Ora le lacrime scendevano lungo le mie guance appannandomi la vista.
Lui sorrise amaramente «Non importa se non avremo più i nostri ricordi» mormorò «perché ce ne creeremo di nuovi».
E in un tacito assenso unì le nostre labbra.

N/A:
Scusate, ma davvero non ho avuto occasione di entrare su EFP, comunque, su wattpad sono già arrivata alla publicazione di ben 8 capitoli, perciò i prossimi arriveranno molto in fretta!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


4.
 
Nel Casolare, quel mattino, c’era un caldo soffocante.
Probabilmente a causa di tutti quei corpi ammucchiati e, quando aprii gli occhi, mi ritrovai schiacciata fra due tipi.
Non avevo idea di chi fossero, e il mio primo istinto fu quello di urlare.
Avevo già socchiuso le labbra, che una mano vi si posò sopra, impedendomi di svegliare tutti i presenti nella stanza.
«Shh» mormorò Newt, calandosi lievemente su di me, attento però a non calpestare il ragazzo che mi stava accanto «Vieni» mormorò poi, porgendomi una mano.
L’afferrai sicura e mi tirai su.
Sorpassammo con non troppa fatica tutti i corpi ammassati e uscimmo all’aperto. Non potei evitare di sospirare di beatitudine.
«Ti consiglio di prepararti in fretta, i Velocisti partono appena le porte si aprono» disse, poi mi porse una pacchetto di abiti «Sono i tuoi vestiti» sorrise, e io ricambiai.
Decisi di sciacquarmi il corpo in pochi minuti, e poi misi ciò che mi aveva dato il ragazzo biondo – che poi consistevano in una maglia a maniche corte marroncina e un paio di short un po’ più scuri. Un moto di nostalgia mi scosse lievemente: mi mancavano così tanto le mie amiche.
Ero così preoccupata per Elizabeth. Sapevo che dovevo proteggerla.
Legai i capelli rossi in una coda alta e mi affrettai a raggiungere le mura, erano ancora chiuse, ma sapevo che mancavano pochi istanti all’apertura.
«Pronta pive?» mi chiese Minho quando lo raggiunsi. Annuii poggiando una mano sulla sua spalla, e lo vidi sorridermi «Stammi dietro, vediamo se ce la fai» ghignò.
Alzai un sopracciglio in segno di sfida «O magari sarai tu che dovrai cercare di stare al mio passo».
«Non contarci troppo» rise e io feci per aggiungere altro, ma fui costretta a tacere, perché Alby ci venne incontro.
«Mia!» mi chiamò, io alzai lo sguardo e lui si avvicinò «Armi».
Annuii, prendendo ciò che mi porgeva, ma poi alzai le sopracciglia «Il mio pugnale?». Era l’arma a cui ero più affezionata, era la mia certezza.
Sentii una mano posarsi sulla mia spalla, mi girai lievemente e vidi il volto di Newt a pochi centimetri dal mio «Immaginavo l’avresti detto» mormorò, porgendomi l’attrezzò.
Sorrisi a trentadue denti facendogli un cenno con il capo «Grazie».
«Tu e Minho ispezionerete la sezione otto» Alby interruppe il nostro contatto visivo facendomi sobbalzare.
«E… c’è un’altra cosa…» mormorò, quasi fosse a disagio.
«Di che si tratta?».
Fu Minho a rispondermi «Ricordi quando sei arrivata, no?».
Mi girai e lo guardai, annuendo.
«Io e i ragazzi eravamo andati tutti insieme quel giorno» si grattò il collo «Vedi, non era una cosa fatta a caso, il fatto è che, da un po’ di tempo, le porte iniziano a chiudersi prima».
Cosa? Non l’avevo notato – okay, che ero lì da due giorni, ma avrei dovuto almeno rendermene conto.
«Non di molto, per ora solo una manciata di minuti, ma non si può sapere, quindi dovremo tronare un po’ prima».
Lanciai un’occhiata alla porta occidentale annuendo ancora, e, proprio in quel momento, le mura iniziarono ad aprirsi. Affiancai Minho.
«Spero tu abbia una buona memoria» disse, un secondo prima di schizzare nel Labirinto.
Scossi lievemente il capo, divertita, e, dopo un ultimo sguardo a Newt – situato a pochi passi da me – lo seguii.
Riuscivo a stare al suo passo senza troppi problemi, ero molto allenata, e correvamo quasi l’una accanto all’altro.
Svoltavo a destra e a sinistra senza nemmeno accorgere.
Era tutto esattamente come lo ricordavo.
Corremmo per diverso tempo senza proferire parola, quando raggiungemmo la fine del percorso, Minho rallentò fino a tenere uno svelto passo di marcia e scrisse qualche appunto su un taccuino, per poi rimettere via tutto, senza mai fermarsi davvero.
Io tenevo gli occhi puntati sulla sua schiena, aveva i muscoli tesi e il capo lievemente chino; cercavo di fare mente locale, ti trovare un qualche collegamento, ma tutto ciò che avevo capito era che i due Labirinti sembravano coincidere perfettamente.
Corremmo ancora per un po’ prima di arrivare a un incrocio. C’erano tre strade possibili, ma Minho svoltò a destra senza esitare e io lo seguii senza indugio. Ogni tanto tagliava qualche dell’edera, mentre talvolta ero io a farlo, senza alcuna difficoltà.
Lo affiancavo e avevamo all’incirca la stessa andatura. Di tanto in tanto mi lanciava uno sguardo, e potei giurare di averlo visto sorridere, soddisfatto.
Correvamo da molto quando il ragazzo si fermò, tanto che per poco non gli finii addosso «Facciamo una pausa» disse, e io annuii.
Minho mi lanciò una mela, e io la presi al volo, bevendo un sorso d’acqua. Sentivo la gola in fiamme, ma non lo diedi a vedere, mi limitai ad appoggiare la schiena alla rigida pietra, per poi scivolare giù fino a sedermi per terra.
Chiusi gli occhi, ma sapevo che Minho mi stava fissando.
«Allora?» chiese, obbligandomi ad aprire prima un occhio e poi anche l’altro.
«Uguale» dissi in un sussurro «Se la memoria non mi inganna – e fidati che non l’ha mai fatto – i Labirinti sono due fotocopie».
«Io non capisco» borbottò il moro, sedendosi di fronte a me «Come caspio ci sei finita qui?».
Scrollai le spalle «Ve l’ho detto, non ne ho idea. Stavo correndo nel Labirinto, quando è spuntato un Dolente. Era assurdo, di giorno non erano mai usciti, così ho cercato di seminarlo, e per fortuna ce l’ho fatta. O così credevo, ad ogni modo, stavo tornando, poiché non mancava molto alla chiusura delle porte, quando quel coso enorme è spuntato di nuovo. Sono corsa via, fino a che non ho raggiunto la Scarpata e lì… be’ lì è tutto incredibilmente confuso» mormorai passandomi le mani sul viso «Non ricordo cos’è successo di preciso, ho come un vuoto di memoria, ma so che sono precipitata, sentivo l’aria spingere contro il mio viso, uno strano verso e poi ho perso conoscenza, anche se credo solo per pochi istanti. Poi ho aperto gli occhi e ho visto te e gli altri Velocisti».
Avevo spiegato meglio che potevo, ma i ricordi erano incredibilmente confusi, dovevo aver battuto la testa.
«Credo sia ora di ripartire» disse Minho, finendo di masticare e alzandosi. Mi porse una mano e io l’afferrai.
Corremmo ancora per molto, tagliando di tanto in tanto qualche edera, in modo da non perdere la strada.
Gli spostamenti delle mura non erano mutati, e qualunque cosa era identica a quella nell’altro Labirinto, anche le Scacertole.
Arrivammo alla fine della sezione in fretta e, quando ci fermammo, Minho parlò «Sarà meglio sbrigarci a tornare, Mia, non vorrei rimanere bloccato qui».
Io annuii, sfiorando la scritta sul quadrato di metallo inchiodato al muro.
CATASTROFE ATTIVA TOTALMENTE.
TEST INDICIZZATI VIOLENZA OSPITI.
Era tutto identico.
«D’accordo, allora sbrighiamoci» confermai e, senza aspettare che lui aggiungesse nulla, partii.
Lo sentii ridere e poi scattare in avanti, eravamo a pochi passi di distanza, ma io, al momento, ero in testa.
«Cos’è, fagio? Una sfida?» chiese dopo diverso tempo che correvamo.
Ormai, immaginai che non mancasse molto all’arrivo; avevamo mantenuto un’andatura costante per tutto il tragitto, ma, quando quasi si riusciva ad intravvedere la Radura, Minho accelerò di colpo.
«Non sperarci troppo, pive» dissi a denti stretti, facendo uno scatto.
Le porte erano ancora aperte, per fortuna, e potei intravvedere Newt e Alby all’entrata, seguiti da qualcun altro, fra cui, però, distinsi solo Chuck e Gally.
Eravamo l’uno affianco all’altra, ma lui cercava in tutti i modi di sorpassarmi.
Ormai era diventata una gara. E nessuno dei due sembrava intenzionato a perderla.
«Andiamo Minho, non puoi farti battere da una ragazza!» esclamò Gally, ridendo sonoramente.
Io lanciai un’occhiata al ragazzo al mio fianco, era decisamente concentrato, ma io non ero da meno.
Quando varcammo la soglia, eravamo ancora l’uno affianco all’altra, ma qualcosa andò storto; forse inciampai in qualcosa, o forse fu Minho a cadere, fatto sta che mi precipitò addosso.
Mi ritrovai con la schiena schiacciata a terra e il moro sopra di me, mentre gli altri Radurai ci fissavano ridendo.
Lo guardai un attimo e, non potendo trattenermi, scoppiai in una fragorosa risata. Lo vidi ridacchiare a sua volta, per poi tirarsi su e aiutare anche me.
«So che sono incredibilmente irresistibile, ma non è necessario trascinarmi a terra, la prossima volta basta chiedere» disse.
Io gli tirai un pugno sul braccio «Come no, Minho» sbuffai fintamente.
«Sei ancora viva» disse una voce e, quando mi voltai, trovai Newt che mi fissava. Aveva uno strano sorriso sulle labbra che, come sempre, contagiò anche me.
«Avevi dubbi?» chiesi alzando un sopracciglio e avvicinandomi. Posai una mano su suo petto, mentre lui mi spostava una ciocca rossa – scivolata dalla coda – dietro l’orecchio.
«Neanche uno» mormorò facendomi sorridere maggiormente.
«Ma come siete carini!» gracchiò Minho, con una voce decisamente strana, per poi poggiare una mano sulla schiena di ciascuno e spingendoci l’una contro l’altro, per poi unirsi anche lui a quello strano abbraccio.
Io sbuffai, lanciando un’occhiata a Newt che, alzando gli occhi al cielo mimò: Che vuoi farci? È fatto così!, facendomi ridacchiare.
«Ora, però, è il caso di andare a riportare tutto sulle Mappe» proferì tornando serio.
Non ci volle troppo tempo, per fortuna, e, nel giro di una ventina di minuti, potei gettarmi sotto l’acqua della doccia.
Mi sciacquai con calma, beandomi della meravigliosa sensazione di pulito, fino a che non sentii il mio stomaco brontolare e decisi che era tempo di andare a cena.
Frypan, quella sera, aveva preparato la sua “ricetta segreta” e sinceramente ero alquanto preoccupata; mi sedetti al tavolo con Newt, Minho, Chuck, Gally e qualcun altro di cui però non ricordavo il nome.
«Hai richieste?» domandò il ragazzo asiatico, alzando un sopracciglio.
Aggrottai le sopracciglia, non capendo, e fu Newt a rispondere: «Domani arriveranno le provviste, hai bisogno di qualcosa?».
Ci pensai un attimo, passandomi una mano sotto il mento.
«Be’, dei vestiti della mia taglia, e magari una spazzola per i capelli».
«Una spazzola per i capelli?».
«Be’, a noi l’avevano data» scrollai le spalle.
«Nient’altro?».
Scossi il capo, al momento ero apposto.
Mangiai tutto – e non si rivelò neanche tanto male – e poi decisi di andare a sedermi sul retro del Casolare. Ormai era diventato il mio posto, mi serviva per pensare.
Mi accucciai contro la parete fredda e chiusi gli occhi.
Non avevo capito come ero arrivata lì, ma diventando Velocista di certo la cosa sarebbe diventata più semplice.
Sentivo il sonno montare pian piano in me, e rimanere sveglia era sempre più difficile.
 
«Sarà un test molto importante» disse la donna «E non potrai ottenere un risultato inferiore a 99, sono stata chiara, Hayley?».
Era giovane, avrà avuto si e no una trentina di anni. Vestiva interamente di biarco e, sulla camicetta raffinata, era incisa la parola C.A.T.T.I.V.O., i capelli neri e corti erano tirati indietro da un cerchietto blu, mentre il viso era privo di trucco.
Annui, per poi seguirla.
Camminava in fretta, ma non faticavo nello stare al suo passo «Lo so, Candice, me ne parli da settimane, ormai. Ho ripassato tutto il necessario, e ho fatto anche gli allenamenti con la signorina Marville» dissi, ma lei non ebbe alcuna reazione.
Continuai a camminare in silenzio. Era una cosa spontanea e, come nel sogno precedente, non avevo il controllo di me stessa.
Quando passammo di fronte ad una porta, lei vi entrò senza indugiare.
Nella stanzetta – dalle pareti rigorosamente bianche – c’erano tre dottori, una donna, un uomo, e infine una ragazza che doveva avere circa quindici anni.
«Accomodati, Hayley» disse Candice, e io mi sedetti sul lettino.
In un angolo della stanza, c’era un ampio specchio. Quando lo guardai, quello rifletté l’immagine di una ragazzina sui tredici anni. Ero davvero piccola!
Avevo i lunghi capelli rossi pettinati in un’accurata cosa di cavallo, la pelle perfettamente pulita, e indossavo una maglia azzurra a maniche corte e un paio di pantaloni grigi.
«Il test inizierà domani, lo sai, e quando avremo i risultati, potrà avere inizio la prima parte della fase uno». Non conoscevo cosa mi aspettava, sapevo solo che il giorno seguente avrei avuto un particolare esame.
«Sarà cos’ difficile?» anche questa volta non ero io a comandare le mie labbra.
«Non sarai sola» disse la donna che fino a prima non aveva proferito parola. Non conoscevo il suo nome, ma aveva i capelli color mogano e gli occhi verdi. Stava accanto all’uomo e gli stringeva lievemente il braccio, come preoccupata; la ragazzina, invece, le stava accanto, e il suo sguardo esprimeva un misto di odio, disgusto e… invidia.
Aggrottai le sopracciglia «In che senso?» chiesi.
«Ci sarà anche un ragazzo, dell’altro progetto» poi scosse il capo «ma lo conoscerai a tempo debito».
Io non capii, ma non potei porre altre domande, che un medico mi si avvicinò «Ora sdraiati». La sua voce era gentile e io feci come indicato, senza indugiare. Quasi fossi abituata.
La luce puntata contro i miei occhi era forte, così chiusi gli occhi, e l’ago punse il mio braccio.
 
Sentii qualcuno sollevarmi, ma non avevo la forza di aprire gli occhi, cos’ poggiai le mani, chiuse a pugno, contro il petto del ragazzo.
«Shh» mormorò al mio orecchio, e mi sistemai meglio fra le sue braccia.
Probabilmente mi stava accompagnando nel Casolare, non avrei saputo dirlo, ma in quel momento non mi importava.
«Newt?» chiesi in un sussurro.
«Dormi, Mia» mormorò lui, e io decisi di lasciarmi andare.
 
N/A:
Allora, cosa ne pensate della storia?
E chi saranno le misteriose persone del sogno? Cosa intendono dire?
Bene, ringrazio tutti coloro che stanno seguendo questa mia prima fanfiction, se vi va lasciate un commento!
Come avrete notato, pian piano scopriremo il passato di Mia, attraverso i suoi sogni.

A presto!
P. S. Se vi va, passate alla storia di questa mia mica, è una raccolta su Newt, e partecipa a un concorso sul sito : 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3237976&i=1

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


5.

C’era qualcosa di strano, quella mattina.
Il sole batteva contro il mio viso quasi con dolcezza, delineandone il profilo, mentre qualcosa di morbido avvolgeva il mio corpo, raggomitolato su se stesso.
Socchiusi lievemente gli occhi, passandoci sopra le mani, in modo da potermi abituare alla luce mattutina.
Quando mi misi a sedere, però, notai che qualcosa mi teneva stretto a sé; voltai lievemente il capo, e notai un viso a pochi centimetri da me.
Aveva gli occhi chiusi e il volto rilassato, ma i capelli biondi gli ricadevano scomposti sulla fronte. Newt.
Allungai la mano e, quasi senza rendermene conto, scostai un ciuffo dal suo viso, passando i polpastrelli sulla pelle liscia.
Poi scesi con la mano sulla sua guancia, non potendo evitare di sorridere.
I ricordi della sera prima erano confusi, sapevo solo che mi ero addormentata sul retro del Casolare, e che il ragazzo mi aveva riaccompagnata dentro, probabilmente poi mi aveva fatta sdraiare e si era messo accanto a me.
«Mmmh» mugugnò, muovendo appena il capo, nel tentativo di svegliarsi completamente.
«Ehi» sussurrai scostandomi un po’, in modo che potesse alzarsi.
Tuttavia lui si mosse solo di qualche centimetro, portando un braccio accanto alla nuca, in modo da poterla tenere sollevare.
«Sei già sveglia?» chiese, io annuii, rimettendomi sdraiata al suo fianco.
«Sì» mi limitai a dire, e lo vidi sorridere.
«Forse dovremmo raggiungere Alby e Minho» sussurrò.
«O forse potremmo rimanere qui ancora un po’» mugugnai accoccolandomi meglio su me stessa, e chiudendo gli occhi.
Il ragazzo non rispose, ma immaginai che stesse sorridendo, così socchiusi un occhio e, sorridendo a mia volta, sbuffai «Dobbiamo andare per forza, eh?».
«Possibile».
«E non ho alcuna possibilità  di corromperti in modo da poter dormire altri due minuti, vero?» chiesi ghignando appena.
«Possibile».
Sospirando sconfitta, mi alzai e mi misi in piedi, porgendogli una mano.
Newt sorrise, alzando un sopracciglio e poi si alzò, ignorando, però, l’arto che gli avevo porto. Stavo per ritrarla, quando lui l’afferrò, intrecciando le nostre dita.
Poi si avvicinò «Andiamo» sussurrò.
Scavalcammo qualche corpo sdraiato sul suolo e uscimmo fuori. Newt lasciò la mia mano e, improvvisamente, sentii una sensazione di vuoto scuotermi le membra.
Mi guardai un po’ attorno. Le mura erano chiuse, e nessun Velocista era ancora lì fuori.
«Mia» quando sentii una voce chiamarmi, mi voltai e notai un ragazzo venirmi incontro.
«Ehi» disse, ansimando lievemente, non appena mi fu accanto.
«Ehi, tu sei Jeff, vero?» chiesi. Se non sbagliavo, lui era uno dei Medicali che mi avevano aiutata quando ero arrivata nella Radura.
Lui annuì, e io continuai «Come posso aiutarti?».
In risposta, lui indicò la mia gamba, e io corrugai la fronte «Sto bene, sta guarendo».
Il lungo taglio che ne delineava il profilo si era rimarginato, certo, bruciava ancora, e nel Labirinto avevo avuto qualche fitta, ma decisamente sopportabile.
«Ne ho discusso con Alby, era davvero un brutto taglio, crediamo sia meglio fare un altro controllo, non possiamo rischiare che tu ti senta male nel Labirinto» disse convinto.
Io sbuffai «Vi ho detto che sto bene».
Perché non mi credevano? Ero perfettamente in salute.
Jeff spostò lo sguardo da me, al ragazzo alle mie spalle e, quando mi voltai, vidi Newt annuire.
«Bene così» mormorò, mentre Jeff, inspiegabilmente, se ne andava.
«Bene così cosa?» domandai inarcando un sopracciglio.
«La tua gamba non ha proprio un bell’aspetto, sarà meglio controllarla» proferì, scostandomi una ciocca dietro l’orecchio e fissandomi negli occhi.
Okay, Mia! Resisti!
Ma come potevo resistere a quegli occhi? Erano troppo dolci!
Autocontrollo! Ricordi?
Ma…
«E va bene» sbuffai, gonfiando le guance.
 Lo vidi sorridere, trionfante, e mi pentii di avergliela data vinta, ma ormai ci stavamo già dirigendo al Casolare.
Quando entrammo, notai Alby e Minho che discutevano «Andiamo! È stata grande, anzi, meglio di molti nostri Velocisti!».
«Lo so, Minho, ma…» sbuffò il ragazzo di colore «E va bene, ma solo quando sapremo che è tutto apposto, ora vai a prepararti, le porte si stanno per aprire».
«Okay, ma…».
Newt interruppe la conversazione, tossendo, e i due si girarono verso di noi.
«Eccola» sorrise, facendomi segno di avvicinarmi.
«Molto bene» proferì Alby, per poi continuare «abbiamo notato che la tua gamba non ha un bell’aspetto, ti ha fatto male nel Labirinto?».
Sbuffai sonoramente, inclinando lievemente il capo all’indietro «Punto uno, non ha un brutto aspetto, è normale che il segno del taglio ci sia ancora, anzi, forse non se ne andrà mai. Punto due, non mi ha fatto male… cioè, solo un pochino» mormorai «Ma quasi nulla!» chiarii in fretta.
I due annuirono, mentre Jeff mi prendeva una mano e insieme all’altro Medicale mi faceva accomodare su uno dei letti malandati.
Ci fu silenzio, mentre loro mi controllavano l’arto.
Erano mezzi arrossiti un po’ tutti, forse perché, comunque, indossavo solo un paio di pantaloncini corti, ed erano chiaramente in imbarazzo all’idea di toccarmi la gamba nuda.
Ridacchiai all’idea.
Dovevo essermi svegliata anche prima del solito, perché le mura non si erano aperte e, poiché Minho era ancora lì, immaginai mancasse molto.
«Ah!» quasi urlai, quando qualcosa mi tocco la ferita.
«Ma che diamine era?» esclamai allontanandomi.
«Tranquilla, la stiamo solo disinfettando, vieni» disse Clint, ma io mi alzai.
«Col caspio! Io a quel coso non mi avvicino» dissi. Stavano diventando ridicoli! Io volevo solo andare in quel maledettissimo Labirinto! Non mi sembrava di pretendere la luna!
Li vidi alzarsi e poi voltarsi in direzione degli altri ragazzi presenti «Non è messa poi così male, ma andare nel Labirinto, ha peggiorato la situazione» disse Jeff, poi mi guardò «Ti servirà un giornata di totale riposo».
Mi prendeva in giro, vero?
«Scherzi?».
«No» riprese Clint «Oggi riposerai, anzi, non farai proprio nulla, e allora domani potrai rientrare».
Chiusi gli occhi, passandomi le mani sul viso.
«E chi mi dice che domani non vi inventerete un’altra scusa per non farmi andare?».
«Non lo permetterò» esclamò Minho, sorprendendomi «Abbiamo bisogno di Velocisti in gamba e tu lo sei, conosci il Labirinto e sei veloce, ci servi».
Sarebbe stato un discorso serio e profondo, se poi non avesse ammiccato, facendomi ridere.
«Quindi è deciso» proferì Alby «Ora però vai a riposarti» e detto ciò uscì con i Medicali e con Minho che, passandomi accanto, mi scompigliò i capelli rossi.
«Bene così» sorrise Newt «Okay, Fagio, io vado a lavorare, ci si vede dopo» mi salutò prima di uscire, mentre io sbuffavo per il soprannome, ma nascondendo un sorriso.
Decisi di farmi una doccia veloce, nel mentre che le porte si aprivano, e fortunatamente ci misi poco.
Rindossai i soliti vestiti, e mi accomodai sotto un sontuoso albero, posizionato non molto lontano dalle Faccemorte.
Odiavo quel posto!
Mi metteva in soggezione, come se un cadavere avesse potuto raggiungermi da un momento all’altro.
Mi appoggiai con la schiena appoggiata al largo tronco per diverso tempo, rigirandomi fra le dita affusolate alcuni fili d’erba.
Mi stavo annoiando, decisamente.
Non era da me non fare nulla tutto il giorno.
«Sei troppo iperattiva… e ti esalti per tutto!» mi diceva sempre Harriet, prima di scompigliarmi i capelli.
Tamburellai con i piedi sul suolo, canticchiando una melodia che non sapevo di conoscere, eppure le note erano uscite da sole, quasi senza controllo.
Non c’erano parole, solo una dolce musichetta che, per qualche motivo, sentivo fosse mia, che mi appartenesse.
Era strano, non mi era mai successo prima.
Provai a ricordarne il testo, ma non avevo la più pallida idea di quali potessero essere le parole, ne di come continuasse.
«Woah, però, canti bene» sorrise Chuck, a pochi passi da me, sorridendomi.
Sorrisi, facendogli cenno di accomodarsi al mio fianco «Grazie» proferii.
«L’hai inventata tu?» chiese con innocenza, facendomi sorridere ancora di più «No» mormorai «È come se me la ricordassi».
«Cosa?» esclamò «Vuol dire che tu ricordi?».
«No, no» chiarii subito «Ma è strano».
Poi presi un bel respiro, voltando il capo lievemente, in modo da osservarlo negli occhi «Sai, a volte di notte sogno delle cose… come ricordi… è confuso, ma credo siano spezzoni della mia vita passata».
Lo vidi strabuzzare gli occhi «Davvero? E com’è?».
«Non saprei definirlo, la maggior parte delle volte, sono in questa sede enorme e bianca, ci sono medici e cose varie… chissà, forse ero una pazza psicopatica e mi avevano chiusa in un ospedale di cura… in un manicomio» abbozzai, facendolo ridacchiare.
«Nah, non ti ci vedo come psicopatica» questa volta risi anch’io.
Feci per dire qualcosa, ma un forte rumore ci fece voltare entrambi.
«La scatola con le provviste!» chiarì subito il ragazzino, poi si alzò «Vieni, dev’esserci qualcosa anche per te».
Ci avvicinammo al luogo, e vidi che molti ragazzi si erano radunati lì attorno, mentre altri continuavano a lavorare indisturbati.
Newt aprì quella sottospecie di ascensore, calandosi dentro insieme a qualche altro raduraio, e iniziò a tirare fuori il cibo e altre varie cose che, fra la confusione, non distinsi.
Rimasi in disparte fino a che Gally non si avvicinò a me «Vestiti» disse, porgendomi un pacchetto.
«Oh, che bello!» esclamai afferrandoli «Grazie mille».
Lui annuì «E la tua… spazzola per i capelli».
Risi, mentre me la porgeva «Grazie ancora». Lui annuì, per poi tornare ad aiutare gli altri, mentre io decidevo di recarmi nuovamente sotto l’albero.
Rimasi lì tutta la mattinata senza fare nulla, se non spazzolarmi i capelli rossi, con l’intento di renderli un po’ più presentabili.
Anche a pranzo, non avendo fame, decisi di rimanere lì, ma me ne pentii quasi subito, quando il mio stomaco iniziò a brontolare.
«Io e le mie idee del caspio».
«Affamata?» chiese Newt, avvicinandosi.
«Pff, io? No!» cercai di essere convincente, ma il mio stomaco brontolò ancora sonoramente, tradendomi.
Newt ridacchiò, scuotendo il capo, e mi porse un panino.
Io lo afferrai, ringraziandolo e iniziai a mangiare, mentre lui si accomodava al mio fianco.
Mangiai tutto in fretta, sentendo il suo sguardo bruciare su di me e, quando ebbi finito, mi voltai a
guardarlo, bevendo un sorso d’acqua e sorridendo.
«Perché mi guardi?» chiesi alzando un sopracciglio.
«Non posso?».
Sorrise e io scossi il capo, divertita, bevendo ancora un po’.
«Tu non dovresti lavorare?» chiesi sospettosa dopo poco, e lui ridacchiò «Dovrei, ma penso che, per oggi, ti farò un po’ di compagnia» ammiccò e io sorrisi ancora.
 
N/A
Come vi sembra il capitolo?

Non fa impazzire neanche me, diciamo che è solo di passaggio, ma vedrò di rimediare con il prossimo che, se tutto va bene, arriverà domani o dopodomani.
Qui non abbiamo flashback, lo so, ma ci rifaremo nel successivo, che ne conterrà uno piuttosto lungo…
Lasciate un commentino, se vi va.
Ci sentiamo presto!
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


6.

Il vento soffiava leggero, scostando le foglie che, beffarde, erano andate a depositarsi sul suolo.
La corteccia dell’albero a cui ero appoggiata era ruvida, e grattava contro la mia pelle, coperta solo da un misero strato di tessuto.
«Sai, credevo sarebbe stato peggio» mormorai, poggiando il capo contro il tronco.
Io e Newt eravamo lì da diverso tempo, ormai, eppure i minuti sembravano passare tanto veloci, quanto il vento che, prepotente, soffiava contro i nostri visi.
«Che ti aspettavi? Mmmh? Una banda di zotici primitivi?» chiese ghignando appena, lanciandomi un’occhiata.
Il ragazzo se ne stava al mio fianco, giocherellando con un sasso, preso non so dove, e fissando di fronte a sé, dove molti dei radurai erano intendi a lavorare.
Sbuffai fintamente, dandogli un leggero pugno sulla spalla «Be’, la prima impressione non è stata delle migliori, ma poi mi sono corretta, o almeno, in parte» dissi.
Lo vidi sorridere  appena, annuendo «Ma ti mancano le tua amiche».
Sentendolo, tirai le labbra in una linea sottile, per poi fissare anch’io dritto, dove Gally stava rimproverando un povero tizio per chissà che cosa «Questo sicuramente, è strano svegliarmi la mattina e non vederle discutere per qualcosa, oppure andare nel Labirinto senza di loro; tornare e non vederle è… non lo so, mi mancano, sono preoccupata, potrebbero essere state aggredite, magari qualcuna è morta, o mi staranno cercando, e magari incontrano un Dolente, saranno preoccupate e…» feci per proseguire, ma Newt si girò verso di me, posandomi una mano sul braccio e attirando il mio sguardo «Tranquilla» mormorò «e prendi un bel respiro» ridacchiò, mentre io mi univo a lui.
«Scusa… comunque sto bene qui, con voi» mormorai, riappoggiando il capo contro la solida corteccia e chiudendo gli occhi.
«Bene così» mormorò, passandosi una mano fra i capelli.
«Voi… non avevate trovato nulla di utile?» chiese dopo svariati secondi di silenzio.
Mi voltai a guardarlo: fissava il pavimento, gli occhi fissi in un unico punto, quasi fosse indeciso su cosa dire.
«Nulla. Abbiamo esplorato il Labirinto milioni di volte, ma niente. Tutto estremamente, maledettissimamente uguale» dissi frustrata.
Volevo sapere chi ci aveva rinchiusi lì, e perché.
Newt fece una pausa e, dopo poco, si fece sfuggire una risata amara «Anch’io mi sono ricreduto sul tuo conto». Sulle sue labbra c’era ancora un lieve sorriso, mentre batteva il piede sul suolo.
«Ah sì?» chiesi curiosa, girandomi verso di lui e alzando un sopracciglio «Come mai? Cosa pensavi prima?».
Volevo davvero saperlo, immaginai che tutti, in principio, fossero stati parecchio scettici sul mio conto, ma Newt mi era sempre parso così naturale con me.
«Intendi quando ti ho vista priva di sensi fra le braccia di Minho?» ghignò, facendomi sbuffare e alzare gli occhi al cielo.
«Mi sei sembrata fragile, come se avessi potuto romperti fra le sue mani da un minuto all’altro».
«Be’, sai com’è, ero appena stata attaccata da un Dolente, ma, ehi, una giornata come le altre, no?» chiesi sarcastica, mettendo su un finto broncio.
Lui sorrise lievemente «Insomma, capiscimi, non vedevo una ragazza da due anni, anzi, magari anche di più, poi arrivi tu, così piccola, e la prima cosa che ho pensato è stata che non saresti sopravvissuta un’ora».
«Per questo non volevi che andassi nel Labirinto?» domandai.
«Già» sussurrò «Poi, però, ho cambiato idea. Non sei niente male alla fin fine».
«Cos’è? Un complimento velato o un insulto maschilista?» cercai di rimanere seria, ma faticavo a non ridere.
Stavo bene con lui, mi faceva scordare tutti i problemi che mi affliggevano.
«Mmmh» finse di pensarci, passandosi una mani sotto il mento «Opterei per il complimento» ridacchiò, e io assunsi un’aria fiera «Ottima scelta».
Rimanemmo ancora in silenzio. Era una cosa che accadeva spesso, quando parlavamo, ma mi piaceva. Non erano quei silenzi imbarazzanti in cui senti la necessità di doverli riempire. No, erano quelli tranquilli.
Sereni.
Quasi senza accorgermene, sbadigliai sonoramente, affrettandomi, però, a coprirmi la bocca con una mano e ad appoggiare il capo contro la corteccia.
«Sei stanca?» domandò lui, osservandomi.
«Uhm, no» dissi, ma venni tradita da un altro sbadiglio, così sbuffai «È solo che faccio fatica a dormire la notte, continuo a fare sogni assurdi e, non lo so, mi sento davvero, ma davvero debole da quando sono arrivata qui» borbottai infastidita.
Era vero. Le mie forze sembravano star scemando sempre più in fretta, e io l’odiavo.
«Sarà meglio che riposi» proferì, alzandosi «e poi io devo dare una mano agli altri, perciò ti lascio un po’ in pace» e con un ultimo sorriso si allontanò.
Avrei voluto gridare che non ce n’era bisogno. Che stavo bene con lui, e che non avevo voglia di riposare, ma lui se n’era già andato, e io ero davvero distrutta.
Non che stessi facendo nulla di particolare, in realtà.
Allora perché ero così debole?
Che fosse perché non avrei dovuto trovarmi lì? Che il mio posto non fosse quello?
Chiusi gli occhi sospirando, ero stanca.
Troppo stanca.
 
«Hayley, ti prego» mi richiamò la donna al mio fianco. Era quella del sogno precedente, con i capelli mogano. La signora che stava insieme all’uomo e alla ragazzina.
«Lo so, lo so» borbottai infastidita, raccogliendo i capelli rossi in una coda. Alcuni ciuffi più corti ricadevano sul mio viso, rendendolo più sbarazzino e, seppur provassi a riacciuffarli, quelli non ne volevano sapere di rimanere fissati nell’elastico nero.
«È solo che nessuno mi vuole dire a cosa serva questo maledetto test! Ho il diritto di conoscere ciò a cui vado in contro».
«E lo saprai presto, te lo prometto, ma solo quando avremo avuto i risultati» mormorò accarezzandomi con delicatezza una guancia, poi però si allontanò quasi subito.
Solo quando lei ebbe raggiunto un tavolino, la me stessa della Radura si rese conto che ero in una stanzetta piuttosto piccola, nella quale c’era solo un letto perfettamente rifatto, e un tavolo sul quale c’erano diverse scartoffie.
Il tutto era bianco, dalle lenzuola pulite, alle pareti lisce.
«Ecco qui» disse porgendomi i documenti «E ora va’» continuò, aprendo la porta.
Con lieve riluttanza uscii all’esterno. Lì notai immediatamente due uomini, vestiti da medici, che, senza giri di parole, mi ordinarono di seguirli; dal canto mio, io feci come indicato senza proferire parola, e proseguii lungo tutto il corridoio.
Era incredibilmente spoglio, se non fosse stato per qualche porta, grigia, ma naturalmente chiusa.
«Prego» disse uno dei due, aprendo una porta che prima non avevo notato.
Su di essa c’era la scritta SALA D’ASPETTO – TEST INDICIZZATI VIOLENZA OSPITI.
Solo in quel momento mi accorsi che ci eravamo fermati. Entrai nella stanza con sicurezza, mantenendo il mento alto, e notai che anch’essa era spoglia, c’erano solo un paio di sedie grigie in un angolo, e una porta in fondo, per il resto non vi era nulla.
I due tipi se ne andarono senza aggiungere nulla e, io, annoiata, mi andai a sedere in un angolo. Non seppi dire quanto aspettai, rimasi lì ferma per diverso tempo, la noia mi stava uccidendo.
Passai le mani sui pantaloni grigi – che indossavo sopra il corto camice bianco – e, con le unghie, ne percorsi il contorno.
«Ma quanto ci mettono?» sbuffai e, come se mi avesse sentita, una donna entrò in quel momento.
«Perdona il ritardo, Hayley, ma sembrano esserci stati dei problemi. Comunque ora è tutto risolto, io sono Ava Paige» sorrise appena, avvicinandosi alla porta nell’angolo «Prego, seguimi pure, l’latro soggetto è già entrato».
Feci come indicato, avvicinandomi a lei, per poi fare il mio ingresso nell’altra sala.
Questa era decisamente più spaziosa, e numerosi monitor facevano bella mostra di sé un po’ ovunque.
Io seguii la donna, che, con calma, mi accompagnò di fronte ad uno dei super attrezzati computer, dicendomi di accomodarmi sulla sedia.
Solo quando mi fui seduta, notai che, esattamente di fronte a me, dietro il suo schermo, c’era un ragazzo. Aveva i capelli biondi lievemente spettinati, ma che, in realtà, gli stavano davvero in modo impeccabile, gli occhi marroni mi scrutavano con curiosità, quasi volesse leggermi dentro; erano profondi e… caldi.
Lo osservai per un istante, alzando un sopracciglio in segno di sfida quando lo vidi ghignare appena.
«Molto bene, premettetemi di spiegarvi cosa sta per succedere» disse «Per poter dare inizio alla fase uno, abbiamo bisogno dei risultati ai vostri test d’ammissione, e, se saranno sufficientemente corretti, avrete il permesso di unirvi agli altri. Ma vi verrà spiegato tutto in un secondo momento, tutto ciò che dovete fare, ora, è completare la prova» si allontanò di qualche istante, raggiungendo un uomo lì accanto.
Non l’avevo notato prima, ma era lo stesso che stava sempre accanto alla donna dai capelli color mogano di prima.
«I soggetti A5 e B5 sono pronti per il test iniziale, punteggio minimo per l’ammissione 98.75, punteggio massimo 100» disse con voce neutrale, mentre il signore annuiva.
«Molto bene, potete iniziare, avete tre ore e quindici minuti».
Quanto sentii tali parole, osservai il monitor di fronte a me. Riportava davvero tantissimi esercizi da svolgere, erano di una difficoltà incredibile,  ma la me stessa del sogno non sembrò preoccupata, perché iniziò a trafficare con quel aggeggio con incredibile facilità.
Quelle furono le tre ore più corte della mia vita. Il tempo sembrò volare, ogni tanto lanciavo un’occhiata al tipo di fronte a me, e lo vedevo estremamente concentrato. Mi ritrovai spesso a sorridere, nel fissarlo.
Quando sentii il fischio che indicava la conclusione della prova, scostai le mani e, sotto ordine di quella che aveva detto di chiamarsi Ava Paige, abbandonai la sala.
Il tipo che aveva fatto la prova con me mi seguì fino fuori e, quando raggiungemmo la saletta, vidi Candice – o così mi pareva che si chiamasse – seduta lì.
«Oh!» esclamò raggiungendoci «Mi hanno chiesto di informarvi di aspettare qui l’esito dei risultati, purtroppo non posso rimanere, ma sono sicura che siete andati alla grande» tentò di sorridere rassicurante, ma non le riuscì molto bene.
Poi, senza aspettare alcuna risposta, se ne andò in fretta. La guardai confusa, ma, intenzionata a non pormi troppe domande, mi accomodai su una delle sedie grigie.
Il soggetto A5 – non sapevo ancora il suo nome – rimase a pochi passi di distanza, mi osservava con quel suo sorriso vagamente strafottente, ma in realtà non mi dava fastidio.
«Come credi sia andata?» chiese. Sembrava piuttosto nervoso.
Scrollai le spalle «Spero bene, o Candice mi uccide davvero questa volta» ridacchiai, e lui fece lo stesso.
«A proposito!» esclamai «Sono Hayley».
«Jake» rispose a sua volta. Si avvicinò e mi strinse la mano che gli avevo porto. Feci per parlare, ma la porta si spalancò di colpo.
«Abbiamo i risultati» disse Ava Paige, avvicinandosi «Novantanove punto novantacinque» proferì, quasi con orgoglio.
«Chi dei due?» chiese Jake, tenendo gli occhi puntati contro la donna.
«Entrambi».
 
«Mia!».
Spalancai di colpo gli occhi, ritrovandomi il viso di Newt davvero vicino.
«Come?» mormorai confusa, sbattendo le palpebre più volte, non capendo «Che succede?».
«Non lo so, hai iniziato ad agitarti e a mugugnare cose prive di senso, mi sono preoccupato» disse allontanandosi lievemente. Era chiaramene agitato.
«Scusami» mormorai passandomi le mani sul volto «Ho... ho fatto un strano sogno».
«Ricordi qualcosa?» mi porse una mano e io, afferrandola, mi misi in piedi.
«Sì, dovevo fare una specie di test, non so per cosa, e c’era anche un altro ragazzo, soggetto A5 o qualcosa del genere» borbottai confusa.
«Sapresti descriverlo?».
Scossi il capo «Ricordo vagamente come fosse ma, anche se si trovasse esattamente di fronte a me, non riuscirei a riconoscerlo» brontolai infastidita all’idea di non riuscire a fare chiarezza nel mio cervello.
«Non fa niente» rispose sorridendo rassicurante.
«Io… io vado a darmi una rinfrescata, okay?» chiesi strofinandomi lievemente gli occhi.
Avevo bisogno di schiarirmi le idee, e una doccia fredda faceva al caso mio.
«Certo, a dopo» mi allontanai e corsi al luogo sopracitato.
L’acqua gelida scivolava lungo la mia pelle con delicatezza, amavo quella sensazione di benessere e tranquillità.
Una volta finito, indossai gli abiti puliti che mi erano stati dati prima, ovvero un paio di pantaloncini e una maglia nera a maniche corte.
Mi sentivo pulita e… fresca.
La giornata stava giungendo al termine e, quando uscii all’esterno, notai che poca gente si aggirava ancora lì vicino. Sorrisi vedendo Chuck trascinare un pezzo di legno più alto di lui, e feci per correre in suo aiuto, ma fui costretta a fermarmi.
«Sei Mia, no?» domandò una voce.
Quando mi voltai, di fronte a me trovai un giovane parecchio alto, aveva i capelli biondissimi, platino, che quasi sembravano bianchi, due occhi azzurrissimi, e la pelle molto chiara.
«Sì, perché?» domandai. Lui si avvicinò con calma, passando gli occhi su tutto il mio corpo, quando mi fu accanto, notai che era parecchio più alto di me, probabilmente la stessa statura di Newt.
«È un piacere poter fare, finalmente, la tua conoscenza, io sono Emil» sorrise.
Ma il suo sorriso mi metteva a disagio.
«Hai bisogno di qualcosa?» chiesi scettica.
Lui scosse il capo, sorridendo ancora «Voglio solo darti un consiglio» mormorò, per poi avvicinarsi al mio orecchio e, posandovici contro le labbra disse «Stai molto attenta, questo non è un posto per ragazze, e la gente non sempre e quella che sembra».
Poi, lentamente, si allontanò, diretto verso il Casolare.
Rimasi immobile per qualche istante. Cosa intendeva dire?
Che tipo strano, pensai.
 
Angolo dell’autrice:
Allora, poiché immagino abbiate compreso chi è il soggetto A5, per chi ha letto il libro, vi voglio spiegare il motivo del nome “Jake”.
Ero molto indecisa in proposito, così ho deciso di affibbiargli il nome di uno dei personaggi interpretati da Thomas Sangster in una serie! Perciò… be’, sì, mi è parso giusto fare in questo modo!
Ah, e abbiamo anche un nuovo personaggio, Emil! Vi avviso che sarà fondamentale nel corso della trama!
Anyway, fatemi sapere ciò che pensate del capitolo con un commentino!
A presto.
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


7.


Mia.
Che nome strano.
O meglio, non era un nome strano, lo diventava se associato a me.
Mi guardavo allo specchio e tutto ciò che vedevo era Hayley.
Hayley, non Mia.
Hayley.
Questo era il mio nome, e nessuno, nessuno aveva il diritto di cambiarlo.
La targhetta attaccata alla porta della mia stanza – e incollata su ogni mio quaderno – era chiara, ma mentiva.
Era una lurida bugiarda, come tutti, lì dentro.
 
MIA. PROPRIETÁ DELA C.A.T.T.I.V.O. GRUPPO B. SOGGETTO B5. LA CREATRICE.
1° parte della fase 1:
Ammissione: 9.95
Creazione D|L|N|T|
Annullamento DoloSiero.
Mutazione – W|C|K|D|
2° parte della fase 1:
Ammissione: Approvata | Rifiutata
Primo soggetto.
Gruppo B.
B5.
Prova di resistenza: da definire.
Prova d’intelligenza: da definire.
Fase 2:
Non attiva.
 
Quella era ciò che diceva, ma non avevo idea di cosa significasse.
Sapevo solo che quella non ero io.
Erano passate ben due settimane da quando avevo avuto i risultati della famigerata prova, e quello era il giorno del cambiamento.
Non sapevo cosa significasse, non mi avevano detto altro.
Camminavo lungo il corridoio quasi con sguardo assente, fissandomi i piedi. Non provocavano quasi alcun rumore, venendo in contatto con il lucidissimo pavimento bianco. Era quasi inquietante.
Alzai il viso solo quando mi ritrovai di fronte a un muro. L’intonaco era vagamente scrostato, ma solo ad una ravvicinata distanza era percepibile. Su esso c’erano due porte grigie, ermeticamente sigillate, mentre, poco distante da me, era appeso un piccolo monitor, le cui luci erano un pugno in un occhio, nella penombra del luogo.
Strisciai il bracciale metallico che portavo al polso sullo schermo.
«Soggetto B5. Approvazione, apertura porte attivata» proferì un voce robotica. Feci un passo indietro, e le porte scorrevoli si aprirono, permettendomi di entrare.
Camminai sicura ed entrai. Vi ero stata spesso, lì’ dentro, ma questa volta, ad aspettarmi c’era Ava Paige, in compagnia di un ragazzo.
Il soggetto A5.
Vestivano entrambi con un camice bianco, sopra i pantaloni, ma, mentre quelli di lei erano bianchi, quelli del giovane erano neri, come i miei.
La cosa che, però, mi attirò maggiormente, fu la targhetta che portava sul lato sinistro del petto, appuntata sul camice.
NEWT. SOGGETTO A5.
Tirai le labbra in una linea: era uguale alla mia.
«Molto bene, ragazzi, vi chiedo scusa per l’inconveniente. Come avrete notato, ci sono volute ben due settimane per la conclusione di tutti i test, ma fortunatamente siamo riusciti a finire le rispettive prove, e ora inizieremo la fase uno. Sarete curiosi di sapere di che si tratta, e lo scoprirete subito. Vi invito ad accomodarvi».
Non troppo distante c’era una scrivania, di fronte alla quale si trovavano due sedie, poste davanti a un’altra, sulla quale si sedette lei. Io e Jake, che immaginai dover chiamare Newt, d’ora in poi, ci accomodammo.
«Da questo momento, non vivrete più soli nel vostro reparto, ma vi unirete agli altri soggetti. Ad ognuno di voi verrà assegnato un differente compito, che svolgerete da soli – insieme a determinati scienziati –, uno di gruppo, e uno in coppia.
Quindi, in conclusione, avrete tre diversi tempi di addestramento. Primo fra tutti, quello singolo: a ognuno verrà assegnato un compito preciso, da portare a termine entro un tot di tempo. Il secondo sarà di gruppo: vi allenerete, e studierete tutti uniti, insieme agni altri soggetti. E per concludere ci sarà quello in coppia. Voi siete i soggetti A5 e B5, perciò avrete un compito da concludere insieme, ma vi spiegheremo cosa a tempo debito, per ora vi chiediamo solo di unirvi nella mensa dove sono già presenti la maggior parte degli altri soggetti» detto ciò, ci fece segno di alzarci. Non capivo nulla, ma non feci domande. Sapevo che non dovevo.
Ava Piage si avvicino al monitor attaccato alla parete, e digitò pochi numeri, in seguito le porte si aprirono, rivelando un immensa sala, dove erano disposti alcuni tavoli.
Un sacco di ragazzi, dalle più svariate età, popolavano il posto.
 
Quella mattina mi ero alzata in fretta, non riuscivo più a dormire, così mi ero affrettata a lavarmi; odiavo farlo durante il giorno: avevo sempre il terrore che qualcuno entrasse all’improvviso o sbirciasse da chissà dove, ma se mi lavavo mentre dormivano, la cosa era molto più tranquilla.
Passai le mani fra i capelli bagnati, passandoci la spazzola, per poi legarli in una treccia laterale, era umida, ma non mi importava.
Sapevo che le porte si stavano per aprire, così mi affrettai a raggiungerle, notando subito Minho che, pensieroso, si passava una mano sotto il mento.
«Ehi» lo salutai. Lui mi rivolse un’occhiata, sorridendo appena, per poi tornare a fissare le porte chiuse.
«C’è qualcosa che non va?» chiesi, notando che era insolitamente silenzioso. Il ragazzo asiatico sorrise, con l’intenzione di rassicurarmi, e annuì: «Tranquilla!».
«Okay» borbottai indecisa e lui mi passò una mano fra i ciuffi che sfuggivano alla treccia, scompigliando i capelli.
«Gli altri?» chiesi guardandomi attorno.
«Arriveranno a momenti» sorrise. Annuii, avvicinandomi alla porte, ancora chiuse, e alzando un sopracciglio.
Volevo entrare, non vedevo l’ora di poterlo esplorare di nuovo.
Stavo fissando un punto dell’altra parete, quando venni scossa da un forte capogiro. Sentivo le tempie pulsare con forza, il cervello premere contro il cranio, quasi volesse uscire.
Appoggiai le mani sulla fronte, prendendo un profondo respiro.
«Ehi, Mia, è tutto okay?» chiese Minho, poggiandomi una mano sulla spalla. Scostai i palmi dal viso e annuii, raddrizzando la schiena «Certo, sto bene».
«Noi siamo pronti!» disse Ben, raggiungendoci. Mi si raggelò il sangue nelle vene quando notai, dietro di lui, Emil, il ragazzo della sera precedente.
Sorrideva strafottente, non distogliendo lo sguardo dal mio.
Mi avvicinai a Minho con cautela, poggiando una mano sul suo braccio. Il tipo dai capelli biondissimi mi incuteva paura. Disagio.
«Perché è qui?» domandai confusa.
«Chi? Emil? È un Velocista» disse, quasi fosse la cosa più normale del mondo.
«Come? No. Insomma, non c’era l’altra volta» mugugnai non capendo.
«Be’, sì, dopo la Mutazione non ha più corso per un po’, ma ora ha voluto tornare» spalancai gli occhi «Intendi dire che… che lui è stato punto?».
Da quel che sapevo, dopo la Mutazioni perdevi il senno, almeno un po’, insomma, i ricordi – o solo alcuni – tornavano e la persona stava male.
«Esatto, uno dei pochi a non essere impazzito, dice che non ricorda quasi nulla, solo pareti bianche» scrollò le spalle, ma io non mi fidavo: c’era qualcosa nei suoi occhi.
Una scintilla che stonava in quelle iriti azzurre.
Un forte rumore mi costrinse a voltarmi: le porte si stavano aprendo.
La sera prima, io e gli altri c’eravamo accordati perché andassi da sola, e la cosa mi faceva piacere, non avevo bisogno di Minho.
Sfrecciai dentro con sicurezza, lasciandomi alle spalle tutto il resto. Volevo solo correre, sentire il vento contro il viso, la sensazione di libertà.
Svoltavo a destra e a sinistra con naturalezza, tagliando di tanto in tanto un po’ d’edera, quando venni scossa da un altro capogiro.
Che diamine stava succedendo? Poggiai i palmi delle mani contro l’alto muro.
Avevo il fiatone e la fronte imperlata di sudore, ma non aveva senso: non correvo poi da così tanto, e la mia resistenza era decisamente superiore.
«Non può farcela!» una voce improvvisa scagliò l’aria, rimbombando nella mia testa.
«Il suo corpo non può sopportarlo» ancora altre parole che non facevano che confondermi la mente. Che intendevano dire? Parlavano forse di me?
«C’è stato un sbalzo incredibile con il passaggio da un Labirinto all’altro, ne risentirà».
«Cosa le accadrà?».
«Non lo sappiamo con sicurezza, ma non sarà in grado di sopportarlo; il suo corpo non reggerà per molto, e inizierà presto a sentire i primi sintomi. Il suo corpo si rifiuta di procedere».
«Basta!» urlai, portandomi le mani alle tempie. Sentivo il capo scoppiare, quasi stesse per andare a fuoco.
«Tacete!» non capivo se qualcuno stesse parlando davvero o se si trattasse semplicemente di un’allucinazione, ma il dolore era insopportabile.
Mi accasciai al suo, stringendo le ginocchia al petto. Mi sentivo male, era doloroso.
Tentai di ristabilire l’andamento regolare del respiro, ma senza grandi risultai, la mia testa pulsava pericolosamente, come se centinaia di persone non facessero che parlarmi all’orecchio, incasinando il flusso dei miei pensieri.
Poggiai il capo sulle ginocchia «Basta, vi prego» mormorai.
Sentivo frasi sconnesse, urla, e tanto dolore.
Poi, ad un tratto, una voce sembrò sovrastare le altre, permettendomi di capirne le parole «Questo non è il tuo posto» mormorò «Devi tornare, non puoi rimanere».
Scossi il capo, contrariata, e lei proseguì «Sai che è la cosa giusta, non ce la farai qui».
Le voci cessarono.
Quando finì di parlare, ogni mormorio si bloccò, e io alzai il capo, fissando di fronte a me.
Che mi era preso, diamine?
Non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo.
Appoggiandomi con le mani al muro, mi tirai in piedi e respirai con calma. Mi sembrava di stare meglio.
Mi spostai i crini rossi dal viso e, prendendo un profondo respiro, decisi di proseguire; non c’era tempo di fermarsi.
Corsi ancora per un po’, e mi sembrò che le cose andassero meglio. Non sentivo più dolore, e non faticavo nemmeno più come in precedenza.
E allora cos’era accaduto?
Perché quel male improvviso?
Dopo svariato tempo, in cui non feci altro che svoltare da una parte all’altra, fui costretta a bloccarmi.
Ero alla fine. Lì non c’era che la Scarpata.
Che, effettivamente, era anche l’unica cosa che ricordavo di quando ero stata catapultata nell’altro Labirinto.
«Ed eccoci qui. Sempre e solo qui, nulla di nuovo» borbottai.
Tirai fuori la bottiglia d’acqua e ne bevvi un po’, sentendo la gola sfiammarsi lentamente. Ormai avrei dovuto tornare, non c’erano state novità.
Poi, un rumore metallico.
Corrugai la fronte, avvicinandomi alla Scarpata di qualche passo.
Cosa c’era, lì?
«Devi tornare» sussurrò la voce che avevo sentito in precedenza nella mia testa.
Mi avvicinai ancora, incuriosita. Era come se sentissi il bisogno di raggiungerla.
«Non hai scelta» mormorò ancora.
Mi sembrava di non possedere la forza di andarmene.
Come nei sogni, quando non avevo alcuna possibilità di scelta.
Ormai avevo raggiunto l’orlo, guardavo in basso, e mi sentivo… bene.
Felice.
Quasi sapessi che quello era il mio posto.
Un altro passo.
Pochi centimetri.
La consapevolezza di star facendo la cosa giusta.
Poi la sensazione di vuoto sotto i piedi.
Il buio.
Una mano che sfiorava la mia.
Un urlo.
 
N/A:
Scusate se non riesco a rispondere alle vestre recensioni! Prometto che rimedierò il prima possibile!

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***



8.

Mi ero davvero buttata?
Cioè, ero seriamente saltata giù dalla Scarpata?
Non potevo crederci. 
Non l’avevo fatto di proposito, ma non ero riuscita a fermarmi.
Quindi… ora ero morta? Ero morta sul serio?
C’era qualcosa di strano, però: non mi sarei mai immaginata la morte così; tutto ciò che percepivo era freddo, gelo, e dolore in ogni parte del corpo. Ero sdraiata supina, percepivo il pavimento duro graffiarmi le spalle, ma non avevo la forza di fare nessun movimento, nemmeno il più piccolo.
Se ero davvero morta, allora perché provavo un dolore immenso ovunque, quasi mille aghi mi stessero perforando la pelle?
«Mia?» chiese una voce, sfiorandomi la spalla. Sembrava un misto di preoccupazione e frustrazione, ma non avrei saputo identificarne la provenienza.
«Mia, tutto okay?» disse ancora.
Finalmente riuscii a muovere la punta delle dita e, con una forza che non credevo di possedere, socchiusi lievemente gli occhi, guardando dritto verso di me.
Si stava facendo pericolosamente buio.
Che quello fosse l’Inferno?
Stavo per accettare l’idea di essere finita in chissà quale zona degli Inferi, quando notai qualcosa su di me.
Chino sul mio corpo, c’era un ragazzo; non poteva che essere un angelo. I capelli chiarissimi gli ricadevano sulla fronte vagamente scompigliati, mentre gli occhi chiari mi scrutavano con attenzione.
«Riesci ad alzarti?».
Provai ad annuire, seppur con fatica, e facendo leva sulle bracca mi tirai su, mettendomi seduta.
«So-sono morta?» fu la prima cosa che pensai, osservandolo con gli occhi leggermente aperti, per via della luce che, seppur flebile, mi dava parecchio fastidio.
«Se fossi morta, dovrei esserlo anch’io, no?» domandò alzando un sopracciglio.
Solo nel sentire quelle parole, mi passai le mani sugli occhi, riuscendo a mettere a fuoco il viso del giovane che se ne stava seduto di fronte a me.
«E-Emil?» chiesi non capendo.
«Sorpresa» mormorò ammiccando.
Con lentezza mi alzai e, dopo essermi passata le mani sui pantaloni, nel vano tentativo di ripulirli in qualche modo, mi guardai attorno.
Ero ancora nel Labirinto!
«Ma com’è possibile! Io… io sono caduta. Non c’era nulla sotto i miei piedi» provai a protestare, non smettendo di osservarmi intorno, quasi mi aspettassi che quella non fosse altro che una proiezione del mio cervello.
«Sì, ho seriamente pensato che saresti piombata di sotto, ma per fortuna sei davvero leggera e sono riuscito ad afferrarti al volo» sorrise.
Spalancai gli occhi. Lui mi aveva davvero salvato la vita?
«Io…» ero senza parole «Grazie».
«Nessun problema» si avvicinò a me di qualche passo, ma la cosa non mi rassicurò: mi metteva in soggezione il suo sguardo tagliente.
«Sembri sorpresa» mormorò camminando con calcolata lentezza.
«No! Cioè… è solo che non me lo sarei mai aspettata, insomma, dopo quello che mi hai detto l’altra sera…».
«Ti riferisci alla frase “Stai molto attenta, questo non è un posto per ragazze, e la gente non sempre è quella che sembra”?» annuii, e lui ghignò «Era solo un avvertimento, sai, qui la gente è furba, e tu sei l’unica ragazza, fatti due calcoli».
Corrugai la fronte, ma non potei aggiungere nulla, perché lui continuò «Sarà meglio andare prima che si faccia buio».
Posai una mano sul suo braccio, fermandolo «Aspetta, come facevi a essere lì? Mi seguivi?».
Il giovane scrollò le spalle «Non importa, ero di passaggio, ora andiamo» e detto ciò si mise a correre.
Qualcosa non tornava, assolutamente, ma non mi andava di indagare. Posai una mano sulla guancia destra, che bruciava, e potei sentire un graffio sotto i polpastrelli; avevo qualche taglio in giro per il corpo, ma erano perfettamente sopportabili, così lo seguii senza indugiare.
Non avevo idea di che ora fosse, ma immaginai che non mancasse molto alla fine della giornata, così eccellerai, rimanendo al fianco di Emil, che correva fissando dritto di fronte a sé, non celando, però, ai miei occhi un sorriso vagamente strafottente.
Fortunatamente il tempo sembrò passare in fretta e, quando le porte non si erano ancora chiuse, riuscimmo a rientrare senza difficoltà nella Radura.
Notai Minho riprendere fiato chino su se stesso, con il palmi appoggiati sulle gambe e il viso rivolto al pavimento. Corrucciai la fronte osservandolo, ma l’avrei raggiunto più tardi.
Oltrepassando qualche Velocista che prendeva fiato, andai da Emil.
«Ehi» mormorai, avvicinandomi.
Alzò lo sguardo su di me, e parve sorpreso nel vedermi, ma decisi di lasciar stare, per il momento «Ehm… per quanto riguarda ciò che è successo prima» dissi un po’ indecisa «Ti sarei immensamente grata se non ne parlassi con gli altri».
«D’accordo, ma perché?» alzò un sopracciglio.
Mi passai stancamente le mani sul viso, prima di rispondere: «Il fatto è che già hanno fatto storie per quanto riguarda il mio ruolo di Velocista, e non voglio dar loro motivo di togliermi l’incarico».
Annuì, lanciandomi un’occhiata strafottente «Vorrà dire che sarà il nostro piccolo segreto» sussurrò al mio orecchio prima di allontanarsi.
Lo guardai scuotendo il capo, sapevo che non era un bene avere un segreto con quel ragazzo, ma non avevo davvero scelta.
Io e gli altri Radurai provvedemmo a riportare tutto il necessario sulle mappe e, quando finalmente finimmo, mi fiondai sotto la doccia.
L’acqua sfiorava i miei capelli rossi, e io non facevo altro che pensare all’accaduto nel Labirinto.
Quelle voci erano così dannatamente reali.
Ricordavo perfettamente ciò che avevano detto:
«Non può farcela!».
«Il suo corpo non può sopportarlo».
«C’è stato un sbalzo incredibile con il passaggio da un Labirinto all’altro, ne risentirà».
«Cosa le accadrà?».
«Non lo sappiamo con sicurezza, ma non sarà in grado di sopportarlo; il suo corpo non reggerà per molto, e inizierà presto a sentire i primi sintomi. Il suo corpo si rifiuta di procedere».
Chiusi gli occhi, mentre l’acqua fresca batteva contro la mia pelle pallida, creando uno strano fruscio quando si scagliava al suolo.
Se ciò che dicevano era vero, non sarei resistita a lungo, e il la mancanza di forza poteva benissimo essere uno dei famosi sintomi.
Ma quali sarebbero stati gli altri?
Per un istante, pensai di doverne parlare con gli altri Radurai, ma cambiai subito idea; non volevo che mi considerassero debole, non potevo permetterlo.
Quando mi fui sciacquata, uscii e indossai degli abiti puliti, sentendo subito il mio stomaco brontolare sonoramente.
Decisi che era sufficientemente tardi, e la cena, probabilmente, stava per essere servita, così spazzolai in fretta i capelli umidi e li lasciai liberi sulle spalle, dirigendomi dagli altri.
Si stava bene lì, mi piaceva il posto, nonostante la mancanza delle mie amiche.
Non avevo idea di cosa stessero facendo, e la cosa mi preoccupava parecchio. Avrebbero potuto essere ovunque.
Scrollando il capo presi un respiro profondo. Le avrei raggiunte nuovamente, prima o poi, e al momento non importava, dovevo concentrarmi sul mio ruolo di Velocista lì, con i radurai.
Quando raggiunsi il luogo prestabilito, notai che in molti avevano già iniziato a mangiare, così mi affrettai a sedermi accanto a Newt, che non avevo visto per tutto il giorno.
«Ehi Pive!» esclamai quanto fui alle sue spalle, accomodandomi al suo fianco.
Lo sentii ridacchiare e alzare un sopracciglio «Fagio» mi appellò, mentre io gli facevo la linguaccia.
«Stai bene?» mi chiese dopo qualche secondo di silenzio.
Spalancai le palpebre, lui sapeva cos’era successo?
«Ehm… p-perché me lo chiedi?».
«Così…» scrollò le spalle indifferente, e io sospirai con sollievo, annuendo.
«Sì, tu?».
«Abbastanza, l’unico problema sono i muri, continuano ancora a chiudersi in anticipo, Alby è davvero preoccupato, e ammetto di esserlo anch’io» borbottò. Tirai le labbra in una linea, non sapendo che dire, così mi limitai a sorridere rassicurante.
«Andrà tutto bene» mormorai.
«Lo spero».
«Ehi!» arrivò Minho, raggiungendoci «Come  state?».
Sorrisi, mormorando un leggero “Bene” e mi concentrai sul mio piatto, nel mentre che i due iniziavano a parlare di qualcosa che non compresi.
Non ero poi così affamata come immaginavo, anzi, il mio stomaco era stranamente chiuso.
Sospirai, allontanando il piatto e, dopo aver salutato tutti, mi avviai al Casolare.
Le giornate sembravano volare, lì. Mi alzavo, andavo nel Labirinto, tornavo, mangiavo e dormivo. Fine.
Era piuttosto presto, e quasi nessuno era lì dentro, ma poiché, dopo l’esperienza di quel pomeriggio, mi sentivo stremata, mi sdraiai supina e osservai in alto.
Avrei dovuto ringraziare maggiormente Emil, mi aveva salvato la vita dopotutto. Alcune cose non me le aveva spiegate, come perché si trovasse lì proprio in quel preciso momento, ma ero troppo stanca per arrovellarmi il cervello.
Chiusi gli occhi.
Mi sentivo vuota, in quel momento, mi mancava Elizabeth come non mai.
La prima volta che ci aveva raggiunte nel Labirinto, mi aveva fatto una tenerezza immensa. Lì, piccola e spaventata.
Avevo il terrore che stesse male, che le fosse accaduto qualcosa, e io non potevo permetterlo.
Sospirai, nella speranza che tutto andasse bene.

C’era tanta gente, nella stanza, dove un sacco di ragazzi e ragazze di tutte le età mangiavano.
Notai subito che c’erano quelli che schiamazzavano quasi fossero abituati a tutto ciò, mentre ce n’erano altri che, spaventati, se ne stavano in un angolo. Qualcuno, addirittura, piangeva.
Mi voltai a guardare Jake con la fronte corrucciata, notando subito che Ava Paige se n’era andata senza una parola.
«Cosa dovremmo fare, esattamente?» chiesi incerta, e lo vidi scrollare le spalle «Non chiederlo a me».
Mi guardai ancora attorno, finché non notai qualcosa di strano: una bambina che non poteva avere più di otto o nove anni si stava avvicinando a noi. La guardai non capendo, ma ogni mio dubbio fu chiarito quando quella raggiunse il ragazzo al mio fianco.
«Newt» mormorò.
Lui annuì, sorridendo appena «Ciao Beth», e poi l’abbracciò.
C’era qualcosa di strano in quel gesto, ma non posi domande, finché non fu la bimba a prendere parola «Io sono Elizabeth, tu?».
«Ehm… Mia» borbottai incerta.
Sorrise in mia direzione, annuendo «Venite a sedervi?». Entrambi accettammo, avviandoci verso un tavolo dove erano seduti parecchi ragazzini.
Prima che lo raggiungessimo, però, afferrai Jake per un braccio, fermandolo «Come la conosci?» chiesi.
«Oh, beh, lei è mia sorella» sorrise, e io spalancai le palpebre incredula.
«E vi hanno permesso di rimanere insieme»?. 
Sapevo quanto lì alla C.A.T.T.I.V.O. fossero severi in questo campo, e non pensavo l’avrebbero permesso.
«Quando siamo arrivati qui, Elizabeth aveva a malapena quattro anni, non avrebbe potuto restare sola, e poiché i nostri genitori sono morti ancora tempo fa, non avevano scelta, se non permetterci di rimanere insieme» proferì, quasi fosse irritato nel dover rispondere.
Beh, in realtà non irritato, più che altro frustrato.
Annuii senza aggiungere nulla e mi sedetti al tavolo che ci aveva indicato la ragazzina.
Lì si presentarono in molti, fra cui Minho, Thomas, Teresa, Sonya, Alby, Gally, Harriet, Frypan e parecchi altri.
Lì per lì mi parvero dei bravi ragazzi, nulla di più,  ma non potevo immaginare che presto sarebbero stati la mia nuova famiglia.


N/A:
Grazie a tutti coloro che mi sostengono, lasciando recensioni o anche solo leggendo silenziosamente i capitoli!
Ad ogni modo, con l'aiuto di una mia specialissima amica, ho creato il trailer della storia, vi lascio qui il link: 
https://www.youtube.com/watch?v=iPX70mbnZ20

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


 
9.

Mi passai una mano sui pantaloncini, cercando di ripulirli dalla polvere che vi si era accumulata sopra durante la notte; rinunciandovici, però, quasi subito.
Allungai le braccia sopra il capo, così da stiracchiarle, e portai il capo all’indietro.
Mi sentivo vagamente soffocare nel Casolare, dove decine di ragazzi erano ammassate su se stessi, e, di conseguenza, ti capitava sempre di ritrovarti accanto quello che russava, o quello che ti tirava un calcio in faccia.
Mi misi in piedi abbastanza in fretta, e, non avendo la più pallida idea di quanto mancasse all’apertura delle mura, mi diressi fuori.
Rischiai un paio di volte di schiacciare qualche mano, oppure di inciampare su qualche corpo malamente buttato per terra, ma alla fine uscii e, con mia grande sorpresa, non scorsi nessuno nella Radura.
Mi guardai attorno, indecisa sul da farsi, e poi mi diressi verso la doccia, dove avrei potuto darmi una sciacquata prima di andare nel Labirinto.
Mi tolsi i vestiti sporchi, preparando quelli puliti, che posai accanto ad un asciugamano, e mi misi sotto il getto dell’acqua.
Non avevo dormito un granché bene quella notte, e non ricordavo molto del sogno fatto, ma ora mi sentivo davvero stanca.
Strofinai con forza la pelle, mi sembrava di essere sempre sporca, lì, ed era una sensazione che odiavo profondamente. Sciacquai i capelli e il corpo abbastanza velocemente, poi afferrai il telo e me lo avvolsi attorno al corpo; strizzai i crini rossi e mi specchiai in fretta allo specchietto mezzo scheggiato che era appeso lì affianco, avevo delle leggere occhiaie sotto gli occhi, ma fortunatamente non molto marcate, perciò la somiglianza con uno zombie non era molta.
Passai le mani sul viso, sbadigliando, e afferrai i vestiti sporchi, immergendoli sotto l’acqua e lavandoli meglio che potevo, così da poterli rindossare il giorno seguente. Li strizzai con forza, facendo così uscire l’acqua, e li sbattei un paio di volte.
Poi li piegai uno sopra l’altro e li posai in un angolo; assicurandomi che fossero messi bene.
Sbadigliai profondamente, sbuffando subito dopo; stavo per indossare quelli puliti, quando una voce attirò la mia attenzione.
Corrugai la fronte, non distinguendo con nitidezza le voci, così mi avvicinai lievemente all’uscita, socchiusi la porta in legno, leggermente traballante, e mi sporsi in avanti, sbirciando fuori: di fronte a me, Newt e Minho sembravano assorti in una conversazione parecchio animata.
«È molto pericoloso» rifletté il biondo, passandosi una mano sotto il mento, come indeciso.
«Lo so, Caspio, ma potrebbe essere un indizio, un fattore contribuente. Insomma, qualcosa che ci permetta di trovare un’uscita».
«Forse hai ragione, ma ciò comporterebbe mettere a rischio la vita tua e degli altri Velocisti, hai visto anche tu che le porte si chiudono sempre prima e se qualcuno non riuscisse a tornare, non avrebbe speranza di sopravvivere lì dentro».
«Non lo nego, Newt, ma non possiamo sprecare quest’opportunità» borbottò Minho, scompigliandosi i capelli scuri.
«Penso anch’io che sia un indizio, ma dovete stare attenti».
«Certo, puoi fidarti di noi!» sorrise «E… credi che anche lei sia un indizio?» domandò il moro.
Vidi Newt accigliarsi appena, come sorpreso di tale domanda «Che intendi?».
«Andiamo, Newt, hai capito».
Lui sospirò «In realtà no» sussurrò dopo un attimo di esitazione «Ho come l’impressione che lei non fosse prevista».
«Dovremo parlarne anche con Alby, appena è un attimo libero, per evitare che…».
Ecco, in quel momento avrei avuto occasione di scoprire molto più di quanto non mi avrebbero mai detto, ma, data la mia grazie da elefante zoppo in una cristalleria, spinsi un po’ troppo la porta, che si aprì di colpo; fu in miracolo che non caddi per terra come una perfetta imbranata, in compenso mi aggrappai non seppi bene nemmeno io dove, reggendomi per un soffio.
Tuttavia, i due ragazzi sembrarono sentirmi, perché si voltarono immediatamente in mia direzione, alzando un sopracciglio.
Cercando di ricompormi, mi passai una mano fra i capelli bagnati, abbozzando un sorriso.
«Ehi, già svegli?» domandai innocentemente.
Vidi Minho ridacchiare «Che facevi?».
«Uhm» dissi con finto stupore «Che intendi dire?».
Rimasero un attimo in silenzio, e solo dopo aver analizzato le loro espressioni, e il lieve rossore delle loro guance, mi ricordai di indossare solo un misero asciugamano allacciato appena sopra il seno, che mi copriva a malapena fino a metà coscia.
«Ehm» disse Newt, passandosi una mano fra i capelli, come imbarazzato.
«Io… io vado a vestirmi!» esclamai convinta, per poi tornare dentro in fretta, chiudendomi la porta alle spalle e appoggiandomici contro con la schiena.
«Che idiota!» esclamai, rimproverandomi, per poi allontanarmi e indossare gli abiti puliti in fretta.
Raccolsi i capelli in una coda alta, ma, prima che potessi fermarli con un elastico, un giramento improvviso mi costrinse a portarmi le mani ai lati del capo, imprecando.
«Caspio» mormorai, chiudendo li occhi «Ma che sta succedendo?» borbottai, passandomi le mani sul viso. La testa pareva scoppiare, e le tempie andare a fuoco.
Fortunatamente, il dolore durò solo qualche istante, poi potei riaprire le palpebre, respirando profondamente, così da regolare il battito del cuore.
Sollevai il viso, specchiandomi nello specchio, e ciò che vidi mi immobilizzò.
Sotto il mio naso, una lunga riga di sangue scivolava giù, fino a sporcarmi le labbra.  La raccolsi con il pollice, rendendomi conto che quello non era vero e proprio sangue, quello era troppo scuro, troppo simile al nero.
Lo asciugai in fretta, ma il naso non smetteva di sanguinare copiosamente «Ma che Caspio…?» mormorai, afferrando l’asciugamano, un po’ umido per la doccia, e cercando di darmi una ripulita.
La testa pulsava contro le tempie in modo incredibile «No, no, no…» mormorai, posando lo straccio in modo che bloccasse l’emorragia.
Rimasi così diversi minuti, finché, finalmente, il sangue iniziò a placarsi.
Sospirai pesantemente togliendo lo straccio e ripulendo quello che ancora avevo sul viso, poi sciacquai tutto in fretta: nessuno doveva saperlo. I Radurai avevano già troppi problemi con la chiusura delle porte, non potevo complicare la situazione.
Ripiegai tutto e, decidendo che si era fatto fin troppo tardi, uscii fuori.
In giro c’era qualche Velocista, ma si limitava solo a preparare il materiale: a quanto pareva, mi ero svegliata prestissimo, anche perché c’era davvero poca luce.
Sistemai la coda di cavallo in qualche modo e, dopo essermi osservata un po’ in giro, raggiunsi la cucina di Frypan, nella speranza che avesse già preparato qualcosa da mangiare.
«Ehi» lo salutai.
Lui sorrise, «Posso fare qualcosa per te, Mia?». Stava dando una sistemata in giro, così afferrai una delle mele appoggiate lì accanto.
«Ti spiace se ne prendo una?», lui scosse il capo, così l’afferrai e uscii fuori dopo un veloce “Ciao ciao”.
Una volta fuori, scorsi Minho prepararsi, saltellando lievemente, accanto a lui, invece, qualche altro Velocista discuteva, ma non mi andava di raggiungerli, così mi limitai a mordere la mia mela, osservandomi in giro, e ammirando l’immensità di quel posto; erano poche le volte in cui mi ero realmente fermata a guardarlo – anche nell’altro Labirinto – e ogni volta ne rimanevo affascinata.
«Pronta?» per poco non feci un infarto, nel sentire la voce di Newt dietro di me.
Mi portai una mano al cuore «Mi hai fatto perdere dieci anni di vita» esclamai, prendendo fiato; lui rise, affiancandomi, e mi lanciò un’occhiata «Torna prima, oggi».
Corrugai la fronte «In che senso?».
«Le porte si chiudono troppo presto e, secondi i nostri calcoli, potrebbero aumentare notevolmente oggi».
«In che senso?».
«Abbiamo notato che ogni giorno si chiudono due minuti e mezzo prima del solito e, anche se fino ad ora non hai sentito la differenza, da oggi potresti risentirne».
Annuii «Okay, d’accordo».
«Ora sarà meglio che tu vada» sorrise, allontanandosi dopo aver fatto un cenno del capo.
«Ciao» dissi, quando era ancora un po’ lontano.
Raggiunsi la porta che avrei dovuto oltrepassare di lì a poco e, senza guardare gli altri, non appena quella si aprì, schizzai dentro.
Avevo una voglia incredibile di correre, troppa.
E, a differenza del giorno precedente, mi sentivo in forma, non sapevo cos’era successo quella mattina, ma ormai sembrava solo un ricordo lontano.
Tagliai un pezzo d’edera, segnando la strada, e poi scribacchiai un paio di appunti su un pezzo di carta, senza però mai fermarmi, ma limitandomi a diminuire la velocità.
Corsi a destra e a sinistra con naturalezza, continuando a tracciare la direzione corretta.
Una volta arrivata piuttosto avanti, mi fermai e bevvi un profondo sorso d’acqua, mangiando in fretta il mio panino che, fortunatamente, era molto buono.
Inghiottii tutto, asciugandomi il sudore sulla fronte, e ripartii.
Mappai tutta la strada come sempre, arrivando alla fine, dove mi fermai per svariati minuti, stanca. Il tempo passava molto in fretta, lì, e la paura di non tornare in tempo mi costrinse a ripartire quasi subito. Ero veloce, certo, ma costantemente in ansia.
Corsi a lungo, fermandomi una volta soltanto per qualche secondo, così da poter bere un sorso, finendo così l’acqua a mia disposizione.
Quando ripartii, notai di avere un gran fiatone, ma non mi bloccai comunque, riuscendo ad arrivare alle porte piuttosto velocemente.
Fortunatamente erano ancora aperte, ma nella Radura notai che, oltre Gally, Newt e Alby, c’erano solo Minho e altri due Velocisti con cui però non ero solita parlare. Ne mancavano, e avevo la sensazione che il tempo stesse per finire.
Quando varcai la soglia, mi fermai a prendere fiato, poggiando le mani sulle ginocchia.
«Tutto okay?» domandò Alby, e io annuii.
«Avete dell’acqua?» chiesi con un filo di voce. Newt mi porse la bottiglia e io la bevvi tutta, lasciandone un misero goccio.
«Assetata?» ridacchiò Minho, mentre io annuivo, nascondendo un sorriso.
«Ma si può dove sono gli altri?» sbottò frustrato Alby «Le porte si chiudono fra un paio di minuti» proferì frustrato.
«Arriveranno» cercò di dire Newt, mentre Gally annuiva, ma il ragazzo di colore non sembrò nemmeno sentirlo.
«Eccoli» mormorò Gally, indicando alcuni giovani che correvano in nostra direzione; fra loro riconobbi solo Emil.
Con immensa fortuna, riuscirono ad arrivare nella Radura giusto in tempo, ma, non appena ci ebbero raggiunti, le porte iniziarono a chiudersi.
«Chi manca ancora?» chiesi.
«George, Michael e Rob» mormorò Alby, fissando intensamente il Labirinto.
Mi morsi il labbro inferiore, dispiaciuta, fissandomi le scarpe, ma subito dovetti alzare il capo: uno dei tre correva verso di noi. Sembrava esausto e in procinto di svenire da un momento all’altro.
«Corri Rob!» urlò Minho, muovendo animatamente le braccia.
Il giovane correva a perdifiato, agitando un po’ le mani; le porte si chiudevano molto in fretta, ma lui era veloce. Un secondo prima che rimanesse bloccato dentro, Newt allungò un braccio, afferrando la mano del ragazzo, che ormai era arrivato, e lo strattonò dentro al Labirinto.
Poi solo il rumore delle mura che si chiudevano.
Rob sembrava sconvolto «G-Grazie» disse al biondo, che mosse semplicemente il capo, in segno di assenso.
Sospirai sollevata, seppur dispiaciuta per gli altri due, sorridendo rassicurante al ragazzo appena arrivato.
Quando feci per voltarmi, come tutti gli altri, però, un urlo mostruoso squarciò l’aria.
«Cos’era?» chiesi.
«Michael» mormorò semplicemente Minho, allontanandosi.
Anche se non conoscevo i due ragazzi che non avevano fatto in tempo, mi dispiaceva da morire per loro, il mio stomaco era incredibilmente chiuso, e aveva la sensazione che, da un momento all’altro, avrei vomitato. Per questo non cenai, quella sera, concedendomi, invece, una lunga doccia. Rimasi sotto il getto freddo per parecchio tempo, sciacquandomi per bene e, quando uscii, mi rifugiai subito nel Casolare.
Mi avvolsi nel mio sacco a pelo e rimasi lì, immobile.
Volevo solo dormire, eppure non ci riuscivo, appena chiudevo gli occhi sentivo rimbombare nella mia testa l’urlo disumano di Michael.
Era inquietante.
Il Casolare si riempiva, e sentivo gli sguardi dei Radurai bruciare su di me, ma non mi importava: tenevo gli occhi ermeticamente chiusi, fingendo di dormire.
«Mia?» questa era la voce di Chuck.
«Lasciala in pace, Chuck, non vedi che dorme?» lo rimproverò qualcuno, forse Jeff.
«Ma io…».
«Va’ a dormire» lo ammonì, mentre sentivo lo strisciare dei sacchi a pelo sul pavimento.
In molti parlarono ancora un po’, ma dopo non troppi minuti, il tutto divenne fastidiosamente silenzioso, così sospirai amaramente.
Ad un certo punto però sentii un rumore acanto a me, poi una mano fresca scostarmi i capelli dal volto «Stanno dormendo, puoi anche smettere di fingere di dormire».
Aprii gli occhi, sorridendo, e notai che Newt era seduto al mio fianco, così mi misi a sedere anch’io  e gli lanciai un’occhiata «Come sapevi che fingevo?».
Scrollò le spalle «Intuizione».
Non seppi perché, ma capii che sotto c’era dell’altro, comunque non indagai, annuendo.
«Non riesci a dormire?» chiese.
Scossi il capo «Non molto».
«Si risolverà… intendo, la questione delle mura che si chiudono prima» specificò, e io sospirai «Lo spero».
Rimanemmo ancora in silenzio, mentre nella stanza l’unico rumore percepibile era il russare dei ragazzi «Posso farti una domanda?» chiesi lievemente incerta.
Era un dubbio che avevo dal primo momento in cui l’avevo visto.
«Certo, dimmi».
«Ti sei ferito? Nel senso, ho notato che zoppichi un po’» proferii con un filo di voce.
Immediatamente, notai i suoi occhi rabbuiarsi.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


 
10.


«Scusa» dissi dopo poco, agitando lievemente le mani «Non volevo essere invadente, solo…» mugugnai incerta.
Lo vidi scuotere il capo, ma i suoi occhi erano ancora tremendamente bui «Non fa niente, è normale che tu me l’abbia chiesto».
Io annuii, osservandolo dritto negli occhi, sperando che decidesse di raccontarmi ciò che volevo sapere.
«Quando sono arrivato qui, ero spaventato, beh, come tutti, certo, ma lo ero davvero parecchio» iniziò «Credo che avessi quindici anni all’incirca, ed ero confuso e disorientato, non capivo cosa stesse succedendo; poi nacquero i Velocisti e, beh, io mi unii a loro».
Lo guardai stupita, non immaginando che lui avesse corso nel Labirinto, e notai che stava ridacchiando, probabilmente della mia espressione incredula; tuttavia non dissi nulla, terrorizzata all’idea di proferire qualcosa di sbagliato, che lo portasse a non proseguire.
«Andava bene, insomma, sì, riuscivamo a mappare la maggior parte delle sezioni, ma c’era qualcosa che non andava. Non so cosa, ma non stavo bene, per niente» sospirò «Così, disperato, decisi di fare qualcosa di azzardato. Una sciocchezza» lo vidi chiaramente deglutire, mentre si torturava le dita delle mani, incerto «Un giorno, invece di correre come mio solito, mi sono arrampicato sull’edera attaccata alle mura, circa fino a metà e… e poi… poi mi sono buttato».
Trattenni il respiro, non sapendo che dire: mi aveva spiazzata, decisamente.
Non immaginavo che Newt avrebbe mai potuto fare qualcosa del genere, insomma, l’avevo visto sempre come quello tranquillo, nel gruppo. Riflessivo e piuttosto pacato, non immaginavo fosse stato tanto disperato da tentare il suicidio.
«E poi?» chiesi con un filo di voce.
«Poi Alby mi ha trovato» sussurrò, distogliendo lo sguardo, e posandolo su qualche Raduraio addormentato.
Non volevo chiedere di più. Mi terrorizzava l’idea di dire qualcosa di sbagliato, ma faticavo a controllare la mia lingua «Perché non me l’hai detto? Gli altri lo sanno?».
Riportò lo sguardo al suolo e scrollò le spalle «Non tutti. Sto cercando di dimenticare questo avvenimento della mia vita. Non ne vado affatto fiero, perciò ti pregherei di non dirlo a nessuno».
Annuii, facendo per dire qualcosa, ma lui continuò «Sarà meglio andare a dormire» mormorò, alzandosi.
«Ehm, okay» acconsentii, seppur incerta, e mi sdrai, accoccolandomi nel mio sacco a pelo.
Newt sorrise, dall’alto – poiché era in piedi – e mi lanciò un ultimo sguardo.
«’Notte» sussurrò.
Sbadigliai sorridendo lievemente «’Notte Newt» e poi lasciai che Morfeo avvolgesse le sue dolci braccia attorno al mio esile corpo, trasportandomi con sé.
 
Quel posto non mi piaceva.
Non avevo idea di dove fossi, o del perché indossassi un camice banco e un paio di occhiali da laboratorio, ma sapevo perfettamente che quel posto non mi piaceva affatto.
Mi accorsi subito di essere più grande, forse intorno ai quattordici anni, e, nel tentativo di osservarmi i palmi, mi accorsi che erano coperti da un paio di sottili guanti bianchi.
Ero in una sottospecie di laboratorio, di questo ne ero certa, ma non sapevo a che scopo.
«Come procede?» chiese una voce, alle mie spalle.
La me stessa del sogno non si voltò, ma continuò a trafficare con quei monitor e le mille scartoffie sul tavolo «Non sarà facile concludere la creazione» mormorai.
Sentii dei passi dietro di me e, dopo poco, la donna dai capelli mogano comparve nel mio capo visivo.
«Devi riuscirci, lo sai, vero?».
Annuii, sospirando in un sussurro, e vidi che se ne stava andando senza una parola, lasciandomi lì da sola. Continuai a lavorare a quella sottospecie di computer per diverso tempo.
Minuti che sembravano ore.
Ore che parvero giorni.
Quel posto era triste, e mi incuteva decisamente cattive vibrazioni.
Ad un certo punto, un rumore metallico si scagliò nell’aria secca, seguito da qualche passo.
«Sai che non dovresti essere qui, vero?» le mie labbra si mossero da sole, senza però che io staccassi gli occhi dallo schermo.
«Esattamente, quando mai ho rispettato gli ordini di Janson?» chiese la persona alle mie spalle.
Era decisamente la voce di un ragazzo.
«Jake…» lo rimproverai sbuffando, ma in realtà ero felice che lui fosse lì con me.
«Come procede?» chiese, mettendosi dietro di me  e appoggiando il mento sulla mia spalla destra.
«Procede…» mormorai.
«Pensi di riuscirci?» chiese ancora, allontanandosi di qualche passo.
Io mi voltai a guardarlo, appoggiandomi lievemente al tavolo, e tirai le labbra in un sorriso amaro «Sai che non ho scelta».
«Già…».
Dopo pochi secondi di silenzio, scossi il capo, quasi nel tentativo di cacciare un cattivo pensiero «Betty?».
«Aveva un… test» disse, fra un misto di dispiacere e rabbia.
«Andrà tutto bene, te lo prometto».
E a quelle parole lo vidi sorridere.
 
Quando quella mattina decisi finalmente di alzarmi dal mio comodo sacco a pelo, per uscire nella Radura, non avevo idea che una terribile notizia mi stesse aspettando dietro l’angolo.
Vidi subito i Velocisti radunati poco distante, così li raggiunsi in fretta, curiosa di sapere l’argomento della conversazione. Picchiettai con l’indice sulla spalla di Minho, guardandolo confusa, e lui, prendendomi una mano, mi portò un po’ distante dagli altri.
«Che succede?» chiesi.
«Per ordine di Alby, oggi nessuno entrerà nel Labirinto».
Strabuzzai gli occhi, sorpresa, e aggrottai le sopracciglia, ma lui continuò «Dobbiamo prima analizzare la chiusura delle mura, non possiamo perdere altri Velocisti».
Io annuii, capendo che aveva ragione e sorrisi «Beh, allora ci andremo un’altra volta».
Ridacchiò anche lui, mentre ci ricongiungevamo con gli altri, che parlavano animatamente.
«Allora, Pive» ci richiamò il capo dei Radurai, mettendosi al centro del cerchio di persone improvvisato «Oggi nessuno entrerà lì dentro, ma non per questo siete autorizzati a comportarvi da facce di caspio sfaticate» osservò tutti negli occhi, soffermandosi qualche secondo in più su di me «Di conseguenza vi affideremo qualche lavoro da fare».
Iniziò a elencare i vari mestieri, ricevendo qualche sbuffo e qualche protesta, ma alla fine tutti fecero come indicato, e lì rimanemmo solo io, Minho, Alby e Chuck, che ci aveva raggiunti in fretta.
«Io che faccio?» domandai rompendo il silenzio.
Alby sorrise, facendomi segno di avvicinarmi «Tu potrai dare una mano a Frypan».
Lo guardai come a chiedere “Scherzi, vero?”, ma lui era serio.
«Guarda che io non scherzavo, potreste davvero morire tutti mangiando qualcosa fatto da me, e io non ci tengo ad avervi  sulla coscienza!».
Il ragazzo di colore tirò le labbra in una sottospecie di sorriso, ma gli occhi erano tremendamente seri come sempre «Non preoccuparti, Pive, non cucinerai tu» poi poggiò una mano sulla schiena, spronandomi a camminare.
«Darai solo una mano».
Io non dissi nulla, mentre ci incamminavamo. Non ero affatto entusiasta del mio nuovo lavoro, ma sapevo che Alby non avrebbe mai cambiato idea, perciò protestare non sarebbe servito a nulla.
Le scarpe consumate e sporche di terra che avevo ai piedi scricchiolando, talvolta venivano in contatto con il terreno, mentre io mi limitavo a fissarle, chiedendomi quando sarei potuta rientrare nel Labirinto.
Mi sembrava quasi di essere vuota, lì, senza la possibilità di correre.
Amavo farlo, era un modo di lasciarmi i problemi alle spalle, lontani da me.
«Bene Fagio, ora sei nelle mani di Frypan» Minho batté la mano sulla mia spalla, ammiccando.
Solo in quel momento, mi accorsi che ci eravamo fermati: Alby parlava sommessamente con il cuoco, mentre Chuck frugava nelle tasche dei pantaloni sporchi di terra qualcosa di indistinto.
Sospirai amaramente, e lui continuò «Scommetto che te la caverai alla grande».
Annuii, seppur poco convinta, e posai gli occhi su Frypan, che sorrideva apertamente «Bene! Avevo proprio bisogno di una mano, su Fagio, vieni, non c’è tempo da perdere» e detto ciò mi afferrò per un braccio, portandomi con sé.
Lanciai un ultimo sguardo a Minho, supplichevole, ma lui si limitò ad annuire, sorridendo smagliante.
Sospirai amaramente, seguendolo, finché non entrammo in cucina; notai che alcuni Radurai stavano consumando la propria colazione, mentre altri uscivano già all’aperto, probabilmente per iniziare i rispettivi lavori.
«Allora, i ragazzi arriveranno a darti una mano fra poco, ora inizia pulendo là» e con una mano indicò un mucchio di piatti accanto accumulati l’uno sull’altro. Erano piuttosto rudimentali, ed era chiaro che i Creatori li avessero forniti loro ormai parecchio addietro, ma non vi diedi peso, raccogliendo i capelli in una coda alta e mettendomi a pulire per quel che riuscivo gli oggetti.
Frypan mi guardò ancora per qualche secondo, e poi si voltò, per andare a preparare qualche strano intruglio che avrebbe poi servito la sera.
Non mi ero mai annoiata tanto in vita mia. Talvolta, tentai di intavolare una conversazione con i ragazzi che entravano e uscivano dalla cucina, ma senza successo. Se ne stavano lì a dare una mano a Frypan, a preparare varie robe o a sistemare qui e lì, e nessuno pareva in vena di chiacchere.
Dovetti ammettere di non essermela cavata poi così male, certo, avevo rischiato di scivolare per terra un paio di volte, ma non per colpa mia! Insomma, è ovvio che se qualcuno viene dietro di te e ti tocca la schiena con le mani, prendi paura, no?
Fortunatamente non dovetti difendermi da eventuali stupratori, poiché si trattava solo di Frypan che, con la sua padella stretta fra le mani, richiamava la mia attenzione.
«Ehi, Mia».
«Ehi».
«Senti, ho bisogno di un favore. Non è che andresti agli orti? Devi solo cercare Wyatt, un ragazzo abbastanza alto, biondo, che lavora lì, e dirgli che ti mando io, va bene?» chiese, mentre io lo ringraziavo mentalmente per avermi dato uno scopo in quella giornata monotona e inutile.
«Ehm… certo» e con quelle parole uscii.
Trovare gli orti non fu poi così difficile. In realtà ricordavo dove fossero – seppur solo per sentito dire – e ci misi pochi minuti nel raggiungerli.
Lì lavoravano un bel po’ di ragazzi, che però, anche quando tossii per attirare la loro attenzione, non sembrarono notarmi.
Passai gli occhi su ognuno, ma di biondi non ce ne erano molti, se non fosse stato per un ragazzino, bassino e magrolino, che non poteva avere più di quattordici anni.
Dubitavo fortemente che fosse lui.
Con riluttanza, mi avvicinai a uno dei ragazzi. I capelli castano scuro erano parecchio scompigliato, e la maglia grigia sudata per via del lavoro.
«Scusa?» chiesi, sfiorandogli la spalla.
Il giovane non sembrò sorpreso di vedermi, così continuò il suo mestiere, degnandomi di una misera occhiata.
«Sai dirmi dov’è Wyatt?».
Per poco non sobbalzai, quando vidi i suoi occhi farsi improvvisamente scuri, carichi di rabbia.
«Non è qui» scandì per poi voltarsi.
Iniziavo seriamente ad infuriarmi.
«E sai dirmi dov’è?».
«No».
Sbuffai seguendolo; poi feci un piccolo scatto e, con naturalezza, mi piazzai di fronte a lui.
«E fra quanto torna?».
«Senti, ragazzina, io sto lavorando, e di certo non ho il tempo di star qui a parlare di quello stronzo vigliacco di Wyatt, chiaro?».
Aggrottai le sopracciglia, ma non mi spostai.
«Aspetta qui, fra un po’ torna» sbuffò infine.
«Grazie» e con ciò decisi di andare a sedermi lì vicino, nell’attesa.
Mi posizionai ai piedi di una roccia parecchio grossa, incrociando le gambe e mettendomi a giocherellare con un sassolino.
Aspettai a lungo, ma di Wyatt nemmeno l’ombra.
Iniziavo seriamente a stufarmi, e non era da me non fare nulla, quindi decisi di progettare un’attività nel frattempo che attendevo. Quando notai Minho passare lì di fronte, infatti, gli lanciai il sassolino, colpendolo dritto a una gamba.
«Ahi!» esclamò.
«Ehi Minho, vieni qui» dissi.
Lo vidi sorridere e raggiungermi in fretta, per poi posizionarsi al mio fianco.
«Ehi Pel di Carota, come va?» domandò con il solito sorriso sornione.
«Chiamami ancora così e giuro che ti sgozzo nel sonno».
«Auch!» mi prese in giro, ghignando «Allora, Carotina mia, dimmi un po’, che fai di bello?».
Questa voltai non replicai per il soprannome, sapendo che comunque non mi avrebbe ascoltata, e scrollai le spalle «Aspetto un certo Wyatt, deve darmi delle cose, ma non sembra intenzionato ad arrivare tanto presto. Comunque quel tipo là» e indicai il moro di prima «mi ha detto di aspettarlo qui».
«Chi? Stephen?».
«Se Stephen è un tipo scorbutico e insopportabile allora sì, proprio lui» risposi.
Lui osservò il tipo alzando un sopracciglio «Non mi sorprende che si sia arrabbiato, quando hai nominato Wyatt».
«Perché?» con quelle parole aveva decisamente scatenato la mia curiosità.
«Hanno litigato non troppo tempo fa».
«E tu come lo sai?».
«Beh, tutti lo sanno. Se le sono date di santa ragione, sai, alcuni sospettavano che stessero insieme – nel senso di insieme sul serio – ma Wyatt ha sempre negato tutto».
«E Stephen?».
«Lui niente, non diceva mai niente». Per un attimo mi dispiacque per Stephen: forse avevo capito il perché. Forse per questo Stephen era arrabbiato, perché Wyatt negava.
«Minho caspio!» urlò qualcuno poco distante «Vieni a darmi una mano!» ridacchiai, osservando il giovane, che però non conoscevo.
«Perdonami, ma il lavoro chiama» rise «Ci vediamo Carotina!» e detto ciò si alzò, allontanandosi.
Mi limitai a salutarlo con un gesto della mano e rimasi lì ad aspettare.
Mi dispiaceva per ciò che sembrava esserci fra i due ragazzi.
«Sei Mia, no?» domandò una voce alle mie spalle.
Un ragazzo piuttosto alto e dai capelli biondi sparsi un po’ sul viso, sorrideva in mia direzione. Il suo sorriso era contagioso, dolce, mi faceva stare bene.
«Beh, sono anche l’unica ragazza della Radura» dissi alzandomi.
Il giovane ridacchiò, annuendo «Già. Io sono Wyatt, perdona il ritardo, ma oggi sembrano avere tutti bisogno di me, oggi».
Scossi il capo «Non ti preoccupare, capisco. Nel frattempo ho conosciuto… Stephen» non potei trattenermi, troppo curiosa di osservare la sua reazione.
«Ah… e… cosa ti ha detto?» il suo sorriso si era affievolito notevolmente.
«Beh, nulla di ché, solo che stava lavorando, e che non aveva il tempo di parlare di “quello stronzo vigliacco di Wyatt”» dissi con finta nonchalance.
Il giovane abbassò lo sguardo, come se gli avessi appena tirato uno schiaffo «È tutto okay?» domandai.
«Mi odia proprio?».
Sospirai «Non so cosa c’è fra di voi, ma credo che dovreste parlarvi con tranquillità, chiarirvi».
Lo vidi sospirare amaramente «Io… non lo so, forse hai ragione. Ma non avere nessuno con cui parlarne è dura. Qui sono tutti pronti a giudicare» sbuffò.
«Beh, io sono una persona che non giudica» tentai di rassicurarlo.
Lo capivo. Non avere nessuno con cui parlare faceva schifo, e io lo sapevo.
«Grazie».
«Ma tu parla con Stephen, okay?».
«Sì certo» sorrise «Ah, qui c’è la roba per Frypan». Mi porse un fagotto e io lo afferrai.
«Perfetto, allora ci vediamo» dissi, salutandolo con una mano, mentre lui faceva lo stesso.
Controllai che il fagottino fosse messo bene – e che quindi non cadesse nulla – e poi mi avviai verso la cucina.
Pochi passi dopo, però, mi voltai.
Wyatt parlava con Stephen, ma lui non sembrava degnarlo di uno sguardo. Poco dopo, Stephen iniziò ad urlargli contro, furioso.
Sospirai amaramente, decidendo che avrei parlato con il biondo.

N/A:
Qui abbiamo altri due personaggi nuovi, che per il momento penso siano gli ultimi, okay, forse è un po’ un cliché, ma non potevo non inserire la coppia gay. Io sono perdutamente innamorata dei ragazzi omosessuali, e li trovo troppo dolci.

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


11.
Mi avviai velocemente verso le cucine, desiderando ardentemente di trovare in fretta Frypan e di consegnargli il bottino che mi aveva dato Wyatt.
L’ora di pranzo si stava avvicinando, così accelerai il passo, mentre tenevo gli occhi puntati sul suolo duro e ruvido.
Ero arrivata nella Radura da a malapena una settimana eppure erano successe fin troppe cose. Per primo c’era certamente Newt, di cui ormai avevo capito di potermi fidare, e che anche lui si fidava di me; poi c’era Minho, e beh, lui era semplicemente Minho. Chuck era dolce, e fin da subito l’avevo visto come un fratellino da proteggere, mentre Alby, che sinceramente non tolleravo, non mi incuteva una granché fiducia. Emil, poi, mi aveva salvato la vita, ma, nonostante gli fossi riconoscente, non lo sopportavo, perché sembrava impossibile da identificare. Qualsiasi suo atteggiamento ai miei occhi appariva ambiguo.
Se Newt, Chuck e Minho erano, quindi, finiti subito nella lista delle “Persone a posto”, mentre Alby alloggiava solo soletto – anche se Gally molto probabilmente lo avrebbe raggiunto –  nella zona “Insopportabili e possibilmente nocivi alla mia incolumità”, Emil non avrei saputo dove metterlo.
E poi, avevo conosciuto Wyatt e Stephen. Il primo sembrava a posto, ma il secondo era già stato catapultato nella mia lista nera.
Avrei sinceramente voluto parlare con il biondo, perché in un certo senso – anche senza saperne il perché – mi rispecchiavo in lui. Mi ispirava fiducia, sì, decisamente.
Quando arrivai in cucina, la trovai deserta, così poggiai il fagottino sul bancone dov’era posizionato il cibo e, dopo aver dato una sistemata qua e là, non tenendoci a venir bruciata viva da Frypan, constatai che, poiché nessuno sembrava intenzionato a tornare, avrei potuto aggirarmi per la Radura a dare un’occhiata.
Non sapevo che fare, poiché tutti erano intenti a lavorare, così mi misi a camminare priva di una qualunque meta e mi resi conto di dove stavo andando, solo quando per poco non andai a sbattere con il viso contro il ramo di un albero. Ero arrivata nella zona della Radura dove le piante erano più fitte, e sapevo esattamente cosa avrei trovato di lì a poco: le Faccemorte.
Quel posto non mi piaceva! Avevo davvero un pessimo presentimento a riguardo.
Tuttavia, decisi di non fermarmi, dopotutto, ormai mi ero già inoltrata fra gli alberi e, anche se avessi fatto ritorno al Casolare, che avrei potuto fare, se non rimanere lì ad annoiarmi?
Camminai con calma, sfiorando con le dita i tronchi e sospirando. Quella sarebbe stata la mia eternità? Il mio futuro? Non avrei più fatto ritorno alla vita reale? Perché doveva esserci una realtà, al di fuori di quelle vertiginose mura, non poteva essere altrimenti.
Non guardavo nemmeno più davanti a me. Ormai la mia mente era altrove.
Mi sentivo vuota.
Mi sentivo schiacciare fra quelle mura.
Con se fossi stata claustrofobica.
Non volevo che tutto finisse così. Non chiusa in quel posto.
Non dopo tutto ciò che avevo passato.
Improvvisamente, un’immagine si presentò prepotente nella mia mente, come un flash. L’avrei definita un fulmine a ciel sereno.
Fu un attimo.
Strinsi con forza gli occhi. Lo stomaco si contorceva su se stesso, i polmoni bruciavano, come in fiamme, mi mancava l’aria.
Poi un urlo.
Ero io, io urlavo.
Gridavo colpendo con forza il metallo, gli arti bruciavano, ma non mi importava.
Lasciatemi, esclamavo.
La voce era differente, più giovane, ma era la mia.
Gli uomini mi spingevano dentro quella sottospecie di scatola, ma io mi dimenavo.
Io so la verità, gridavo, ma non sono l’unica! Lui vi fermerà.
Eppure loro non mi ascoltavano. Non mi credevano.
Non avrei dovuto! Non avrei dovuto aiutarvi!, dissi con rabbia.
Poi qualcosa mi colpi il capo, e io caddi. Era tremendamente doloroso, un oggetto indefinito mi punse la pelle, non seppi nemmeno dire dove, tutto era confuso. Nebbia, fumo e puzza di bruciato.
Le informazioni giravano davanti ai miei occhi, eppure non riuscivo ad afferrarle, mi sfuggivano tra le dita.
Ricorda, Hayley.
Ricorda.
Newt. Elizabeth. La C.A.T.T.I.V.O., Thomas, Alby, Sonya, Harriet, Teresa, Minho, Celina, Emil, Wyatt, Stephen.
Ricorda.
Le informazioni, i documenti, i Dolenti.
Ricorda.
Il dolore, la morte, l’Eruzione.
Ricorda.
Il tradimento, il rimorso, la rabbia.
Ricorda, Hayley, ricorda tutto.
L’amore, l’amicizia e l’odio.
Un rumore metallico alle mie spalle.
Il buio.
Poi tutto tornò come prima.
Mi ritrovai in ginocchio, senza nemmeno rendermene conto. Sbattei le palpebre un paio di volte, notando che il dolore stava via via scemando, e riuscendo finalmente a respirare con regolarità.
Sospirai, fra il sollievo e il confuso, ma, se per un attimo pensai che tutto fosse finito, fui costretta a ricredermi, quando mi portai una mano al viso. Le dita, pallide e sottili, erano coperte di una densa sostanza scarlatta.
«Oh no, non ancora» mormorai in preda al panico, mentre afferravo un fazzoletto che, fortunatamente , avevo messo nella tasca dei pantaloni e lo premevo con forza contro il mio naso.
Forse fu merito di una buona stella che, chissà, magari anch’io avevo, da qualche parte, o magari fu solo un caso, fatto sta che il sangue cessò di scorrere dopo pochi minuti.
Accartocciai lo straccetto in fretta e lo gettai a terra: era meglio se nessuno lo trovava e lì, in mezzo alle foglie, sarebbe stato molto difficile.
La mia voglia di rimanermene in quel posto era totalmente scemata, eppure ero stanca.
Troppo stanca, mi sembrava quasi che il mio corpo stesse cedendo.
Appoggiai la schiena contro l’albero più vicino che riuscii a trovare e, con lentezza, mi lasciai scivolare verso il basso, finché non andai a sedermi ai sui piedi. Rannicchiai le gambe e sospirai, non sapevo se avrei trovato la forza di alzarmi di lì.
Appoggiai il capo contro le ginocchia e rimasi ferma per qualche istante, finché alcune voci non mi fecero trasalire e alzare il viso.
«Ti prego» urlava una voce, ma faticai a distinguerla.
«No!» tuonò un’altra con forza e potei chiaramente sentire alcuni passi alle mie spalle.
Mi rannicchiai su me stessa, sperando che il tronco riuscisse a coprirmi, e rimasi in ascolto.
«M-Mi dispiace, okay? Ma tu-tu hai visto le occhiate che ci lanciano» la prima voce ora si era fatta più tenue, quasi abbattuta.
«Esatto, Wyatt! Maledizione, come puoi non capirlo? Lo sanno già, non cambierebbe nulla!» urlò l’latro, ancora più forte, tanto da farmi rabbrividire.
Ora finalmente avevo capito di chi si trattava: se il primo era Wyatt, l’altro non poteva essere che Stephen.
«Io-Io non posso. Perché n-non lo capisci?» chiese il biondo, trattenendo, chiaramente, le lacrime a fatica.
Stephen, invece, rise. Una risata finta, derisoria, «Capirti? Davvero? Sai, perché cerco di capirti da quasi due anni, eppure non ci sono ancora riuscito!».
«Steph, ti-ti prego».
«No, Wyatt, basta con le suppliche, sono stufo. Sono stufo di aspettarti» prese un profondo sospiro «Lo faccio da troppo tempo».
«Non devi aspettarmi, non devi! Po-possiamo stare insieme, io ti amo, ti amo perdutamente, ma ho bisogno di un attimo. Non sono pronto affinché tutti lo sappiano».
«Ah no? Perché sembravi tutto intenzionato a chiacchierare allegramente con quella nuova, la ragazza, o sbaglio?».
A quella domanda aggrottai le sopracciglia. Possibile che dovessi rientrare in qualsiasi questione, lì nella Radura?
«Non c’entra. So che lei non giudicherà, me lo sento. Ma-ma gli altri…».
«Gli altri? Sei sicuro che siano gli altri il problema e non l’altro?».
Non capivo. Di chi parlavano?
«Lui è una storia vecchia, lo sai».
«Davvero? Non direi che ne sei così sicuro».
«Non mi piace più, Steph, smettila di pensarci».
«Come posso esserne sicuro? Dopotutto ne avresti tutti i motivi! Non solo è oggettivamente un gran figo, ma è anche incredibilmente intelligente e, come se non bastasse, è l’Intendente dei Velocisti».
Spalancai le palpebre: Wyatt era stato innamorato di Minho?
Per un attimo mi sentii in colpa, dopo tutto li stava ascoltando senza il loro consenso… eppure la curiosità era troppa.
«Questo non ti basta?», a quelle parole seguì un lungo silenzio e, seppur non potessi vederli, supposi si stessero baciando.
Istintivamente sorrisi, che cosa carina!
Dopo poco, sentii un leggero schiocco e i loro respiri farsi pesanti.
«Forse…» sussurrò Stephen.
«Allora perché non continuare così, per ora?».
«Wyatt…».
«Niente occhiate, niente pettegolezzi».
«N-No… W-Wyatt».
«Solo io e te».
Ci fu ancora silenzio – spezzato solo da qualche rumore – e io, sentendomi improvvisamente avvampare, decisi di lasciarli soli, ma, prima che potessi anche solo provare ad alzarmi, la voce di Stephen mi fece trasalire.
«No. Wyatt, fermati» tuonò.
«Come?».
«No. Mi dispiace, ma io non voglio essere un segreto, non voglio questo per noi».
«Steph-».
«Mi dispiace», e poi non sentii altro che il suono dei passi di Stephen che si allontanava.
Istintivamente, mi misi in piedi, ero stata stupida e invadente, non avrei dovuto origliare. In fretta mi pulii i vestiti con un movimento rapido delle mani e, facendo il più silenziosamente possibile, mi allontanai da lì. Corsi verso la fine della boscaglia in fretta, i sensi di colpa e la confusione erano l’unica cosa che percepivo nella mia testa.
Le gambe si muovevano in fretta e, fortunatamente, raggiunsi “l’esterno” in fretta, ma non feci in tempo a tirare un sospiro di sollievo che mi scontrai con forza contro un petto, magro ma largo.
«Sc-Scusa» farfugliai, allontanandomi lievemente.
«Sempre a correre, eh?».
«Emil» mormorai, riconoscendo il viso del biondo «Ehm, sì, più o meno».
Lui socchiuse le labbra per aggiungere qualcosa, ma non ero davvero in vena, così lo interruppi sul nascere «Scusa, ma davvero devo andare, ci vediamo dopo».
In un attimo mi ero già allontanata e ora mi dirigevo a pranzo. Non avevo idea di che ore fossero, ma avevo fame, così entrai e mi osservai attorno: la stanza era interamente vuota, se non fosse stata per qualche ragazzo che aiutava Frypan e, in un angolo, Newt.
Sorrisi istintivamente, vedendolo, e mi avvicinai; quando gli fui dietro, posai le mani sui suoi occhi e, tentando di camuffare la voce, senza successo, dissi: «Chi sono?».
Lo sentii ridacchiare lievemente e poi fingersi pensieroso «Mmh… Mia?».
Sbuffai e mi sedetti al suo fianco «Com’è che è così facile riconoscermi?».
«Sai, non credo che qualche altro Raduraio giocherebbe a non a farsi riconoscere» sorrise, e io feci lo stesso, «Beh, in realtà non saprei, sono sempre più convinta che Gally presto tirerà fuori quel suo lato romantico che tanto tenta di nascondere».
Newt rise, «Certo».
Io lo osservai per qualche secondo, ammirandone i capelli biondi, più scompigliati del solito, e la pelle chiara lievemente imperlata di sudore – probabilmente per i lavori svolti –, e poi parlai.
«Come mai già qui a mangiare?» dissi, indicando con un cenno del capo il piatto quasi interamente vuoto di fronte a lui «Sbaglio o Frypan non cederebbe nemmeno un po’ del suo cibo fuori gli orari previsti, cosa sono questi favoritismi?» chiesi sarcastica.
«Purtroppo niente favoritismi» disse «Ma fra poco devo incontrarmi con Alby per discutere di affari internazionali, e non avrò tempo per pranzare».
«Capito, è tanto grave la situazione?».
«Abbastanza».
«Si tratta del Labirinto, non è vero?».
Lui sospirò, «Già, Alby si sta davvero rincaspiando a forza di passare le notti a pensarci, cerco di riportarlo sulla retta via». Era sarcastico, ma non sorrideva.
«Sono sicura che si risolverà tutto, tranquillo» mormorai «E Minho?».
«Non lo so. È preoccupato, ma sai com’è Minho, si comporta, beh, da Minho» ridacchiò.
«Uh, allora sì che dobbiamo preoccuparci» mormorai e lui rise.
«Tu non ti preoccupare, sono sicuro che voi Velocisti potrete tornare nel Labirinto già fra pochi giorni».
Io annuii e poi lo guardai dritto negli occhi tornando seria «Pensi sia a causa mia?».
Tempo addietro l’avevo sentito parlare di ciò con Minho, ma avevo bisogno di discuterne io in persona con lui.
«No» disse schietto, quasi senza pensarci «Ci ho pensato, e non credo».
Sorrisi, non aggiungendo nulla, ma ero più che convinta che, se i miei occhi avessero potuto parlare, avrebbero gridato un immenso “Grazie”.
«Bene» disse alzandosi «Ora devo raggiungere il grande boss, ci vediamo Fagio», detto ciò ridacchiò e, passandomi accanto, mi scompigliò i capelli con una mano.
Sbuffai fintamente per il soprannome e distesi le braccia in avanti, stiracchiandole, poi mi sedetti meglio sulla panca, il sorriso ancora sulle labbra.

N/A
Come avrete notato, ci sono stati due/tre aggiornamenti molto rapidi, così ora qui su EFP la storia è in pari con Wattpad!

Credo che prima della fine delle vacanze aggiornerò ancora una o due volte, ma non ne sono certa…
Comunque sia, avete visto The Scorch Trials? Come vi è parso?
Personalmente, sono indecisa. Da una parte, mi sono a dir poco imbestialita per lo stravolgimento piuttosto marcato della trama, ma dall’altra, la scenografia e i personaggi sono stati davvero wow, nonostante quella Brenda non fosse la mia Brenda.
E voi? Fatemi sapere, sono curiosissima!
Bene bene, direi che è tutto.
Ci sentiamo si spera presto!

 


 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***



12.


La sala si affollò abbastanza in fretta e io, seppur con decisamente poca voglia, decisi che era il caso di andare da Frypan, poiché, almeno per quel giorno, avrei dovuto aiutarlo.
Quando entrai nella cucina, i ragazzi andavano frettolosamente da una parte all’altra, e la voce del cuoco riecheggiava fra le mura ormai consumate dal tempo. Rimasi un istante sull’uscio, le mani strette fra loro, mentre un dolce sorriso faceva capolino sul mio viso: improvvisamente, nella mia testa si fecero vivi decine di ricordi. Mi mancavano le mie amiche, ogni giorno di più.
«Non avvicinarti!» aveva urlato Naomi, richiudendo in fretta un barattolo e posizionandosi di fronte a me.
«Cosa? Perché, scusa?» misi il broncio, incrociando le braccia.
 «Non ti permetterò di avvelenarci un’altra volta» ridacchiò, facendomi sbuffare.
«Non vi ho avvelenate, diciamo che non è venuto esattamente come volevo io, ma non era così male».
«Mia?».
«Sì?» avevo chiesto speranzosa.
«Perché non vai a prepararti per andare nel Labirinto, mmh? Se abbiamo bisogno ti chiamiamo noi, okay?».
Io avevo sbuffato, alzando un sopracciglio, e lei aveva riso.
«Mia! Ehi, che fai? Dormi?».
«Co-come?» domandai, riprendendomi da quell’attimo di torpore.
«Stavo dicendo, noi qui ce la caviamo, perciò puoi portare fuori da le caraffe d’acqua e  poi sederti con gli altri» disse Frypan, porgendomi un vassoio sul quale erano disposte alcune brocche ricche di acqua.
«Oh, sì! Certamente!» sorrisi, prendendolo e, dopo un cenno del capo, uscii dalla stanzetta.
Posai le caraffe sui rispettivi tavoli, che pian piano erano sempre più affollati, e poi mi andai a posizionare al fianco di Chuck, che, tenendo in mano un po’ di legno, e un altro affare a punta, stava levigando il pezzo di tronco.
«Ma buongiorno!» esclamai sedendomi.
«Ehi Mia» disse, riponendo tutto in tasca «Come va?».
«Beh, tutto bene, circa», sorrise e io feci lo stesso.
«Immagino ti dispiaccia non poter andare nel Labirinto» mormorò, mentre ci servivano il cibo e lui si affrettava a tagliare il pezzo di carne.
«Beh, un pochino, ma in realtà Newt ha detto che fra poco i Velocisti potranno tornare al lavoro, perciò…» scossi le spalle, afferrando con la forchetta un po’ di cibo e portandomelo alla bocca.
«Newt, eh…?» ridacchiò, ammiccando lievemente.
Io, dal canto mio, aggrottai la fronte, non capendo cosa volesse dire, «Che intendi?».
Chuck ridacchiò, e io alzai un sopracciglio.
«Niente, lascia stare…».
Io scossi il capo, decidendo di rinunciare all’idea di capirlo e continuai a mangiare.
C’era parecchio chiasso, in realtà, ma ormai ci avevo fatto l’abitudine, e la cosa non mi dava affatto fastidio.
«Salve splendore!». Nel sentire quelle parole, alzai il capo, notando che Emil si era seduto al mio fianco.
«Ehm… ciao» dissi, inghiottendo l’ultimo boccone e un pezzo di pane.
Lui sorrise, «Tutto bene?».
Annuii, pulendomi le mani con un tovagliolo, e abbassai lo sguardo sul tavolo, il cui legno era ormai scheggiato e consunto.
Emil rise, avvicinandosi un po’ a me e, dopo aver posato due dita sotto il mio mento, mi sollevò il viso. Lo guardai stupita, non capendo quali fossero le sue intenzioni, e lui si avvicinò lievemente, posandomi una mano sulla guancia sinistra.
«Cos…?» mormorai, in imbarazzo.
«Hai delle briciole qui» sussurrò, passando il pollice sul mio labbro inferiore e togliendone, di conseguenza, quello che sembrava esserci sopra.
Io, immobile come una perfetta imbranata, deglutii lievemente, tentando di spostarmi un po’, poiché il biondo era decisamente troppo vicino, ma le mani di Emil mi tenevano ben salda, impedendomi un qualsiasi movimento.
«Ehm…» mormorai, in imbarazzo.
«Perdonate l’interruzione!». Ringraziai infinitamente Minho, che, con la sua immensa grazia da elefante zoppo, fece irruzione al nostro tavolo, andando a sedersi – ovviamente – fra me ed Emil, che fu costretto a scostarsi.
«Come va, mia dolcissima Carotina?» domandò, passandomi un braccio attorno alle spalle.
«Meravigliosamente, grazie» risi, dandogli un buffetto su una guancia.
«Perché non sei con Newt e Alby?» chiese Chuck, sporgendosi oltre la mia spalla, così da guardare l’asiatico.
«Beh, perché, a quanto pare, non sono abbastanza “importante” da potermi permettere di assistere alle loro riunioni private» borbottò, e, nonostante il tono fosse sarcastico, sembrava parecchio irritato.
«Ma sai nulla a riguardo?», questa volta fu Emil a parlare.
«Poco… ma neanche loro sanno molto. Semplicemente non si può prevedere quanto prima si chiuderanno le porte».
Sospirai, abbassando di nuovo lo sguardo, mentre mi torturavo le mani; ero preoccupata che qualcuno, in caso avessimo ricominciato a correre, non facesse in tempo ad uscire, ma, ancora di più, avevo paura che fosse tutta colpa mia.
«Basta! Non ne posso più!» esclamò all’improvviso Minho, alzandosi «Ho cercato di stare tranquillo, ma proprio non ci riesco, ora vado da quei due e vediamo cosa decidono di fare con i Velocisti».
Io sorrisi, quello era il Minho che conoscevo!
«Vuoi venire con me?», domandò in mia direzione.
«Ehm… d’accordo» risposi, lievemente titubante.
Lui mi sorrise e, dopo un cenno del capo, si avviò. Io schioccai un bacio sulla guancia di Chuck, salutando con un gesto della mano Emil. «Ci vediamo!», dissi, e poi seguii Minho, che camminava in fretta, e accelerando il passo riuscii ad affiancarlo.
«Andrà tutto bene, tranquillo» dissi, sfiorandogli il braccio, e lui annuì, seppur indeciso.
Era forse quello più agitato, ma potevo capirlo: correre era tutta la sua vita.
Camminammo per poco, a quanto avevo capito, i due Radurai si trovavano nella Stanza delle Mappe, così seguii il ragazzo finché non ci trovammo fuori dalla porta.
«Ho la sensazione che Alby non sarà felice di vedermi qui» sussurrai, incrociando le braccia. Minho sorrise, socchiudendo lievemente la porta e sbirciando dentro.
Il ragazzo di colore ci dava le spalle, era seduto su una sedia abbastanza traballante, teneva il capo fra le mani, mentre i gomiti erano puntellati sulle cosce. Newt, al contrario, era appoggiato alla parete con una spalla, e guardava l’amico, dicendo qualcosa che però non riuscii a cogliere.
Minho mi fece segno di scostarmi, così mi mossi un po’ in dietro e il ragazzo, con cautela, si posizionò davanti a me. Aspettai numerosi secondi, impaziente, e poi l’asiatico si volse nuovamente in mia direzione.
«Che dicono?» mormorai, e io stessa faticai a sentirmi.
Minho si avvicinò ancora, probabilmente spaventato all’idea che potessero sentirci, accostandosi al mio orecchio «Newt tenta di calmare Alby» sussurrò «Dicono che non possiamo rischiare che qualcun altro muoia».
Il suo viso era contratto in una smorfia, «Adesso ci penso io» disse e, prima che potessi parlare, il moro aveva già bussato con forza alla porta, la quale, sotto il suo tocco, si aprì.
I due si voltarono immediatamente e, per un istante, mi pentii di aver seguito Minho.
«Ehi» disse il giovane, con più calma di quanto mi aspettassi.
«Cosa succede?» domandò Alby, per poi notarmi ed incenerirmi, letteralmente, con gli occhi.
«Nulla, ho solo pensato che, poiché che sono l’Intendente dei Velocisti, fosse giusto che venissi aggiornato sulle decisioni prese», scosse le spalle.
«E lei?» chiese sempre il capo.
«Beh, lei è mia amica e mi accompagna» sorrise, come suo solito, guardandolo soddisfatto.
Da quando ero arrivata, avevo compreso che, in quei casi, era meglio non dire nulla, così, con un immenso sforzo, serrai le labbra e annuii semplicemente.
«Pensiamo sia meglio evitare ancora per un po’ che i Velocisti tornino al lavoro», proferì Alby, quasi sconsolato, alzandosi dalla sedia e iniziando a camminare avanti e indietro.
«Come? Perché?» chiese Minho, al mio fianco.
«Perché» tuonò «se vi facciamo andare, nel giro di cinque giorni ci troveremo con sì e no tre Velocisti rimasti».
«Quindi che dovremmo fare? Rinunciare a trovare un’uscita?».
«Non c’è un’uscita, Minho!».
«Non lo sappiamo con certezza!».
«Sì, invece!».
Ormai i due urlavano. Normalmente sarei intervenuta, ma avevo anch’io un cervello, e capii che non era proprio il caso.
Lanciai un sguardo a Newt, che, ancora appoggiato al muro, guardava gli amici immobile, senza proferire parola; solo quando notò che lo stavo fissando, incrociò i nostri occhi.
Scosse le spalle, come a indicarmi di non intervenire, ma io non l’avrei fatto lo stesso.
Poi, scostandosi dalla sua posizione, andò ad appoggiare una mano sulla spalla di Alby, che si voltò subito a guardarlo.
«Noi ci siamo già detti quello che dovevamo, ora discutine con Minho, dopotutto lui è l’Intendente», abbozzò un sorriso.
«Newt…» provò a replicare il ragazzo di colore, ma il biondo scosse lievemente il capo, «Tranquillo, sono certo che andrà tutto bene, io vado a vedere che tutti siano tornati al lavoro, vieni con me, Mia?», si rivolse a me, guardandomi, e io annuii, «Certo».
Newt sorrise, venendo in mia direzione, per poi dirigersi fuori dalla stanza.
Io, invece, rivolsi un ultimo sguardo ammonitore a Minho, e lo seguii all’esterno.
«Allora, il verdetto?» domandai, dopo un lungo momento di silenzio, mentre camminavamo in direzione della cucina.
«Alby non vuole che usciate, e devo ammettere che in parte sono d’accordo con lui, ma Minho è cocciuto – tanto cocciuto – e ho la sensazione che gli farà cambiare idea».
Io annuii, assorta nelle sue parole: volevo tornare a correre, era ovvio, ma, odiavo ammetterlo, la chiusura delle mura mi spaventava.  
«Non crede che troveremo mai un’uscita, vero?» chiesi con un filo di voce.
«Più che non crederci, non ci spera più» rispose lui, gli occhi puntati di fronte a noi.
«Siete arrivati insieme, qui?».
«Sì. Siamo stati nel primo gruppo», avevo intuito che fossero stati i primi, anche se nessuno me lo aveva detto esplicitamente.
«Ma ormai non ha più importanza» scosse il capo «Sono passati due anni, quel che è stato è stato, ormai le cose sono cambiate, e a me sta bene così» proferì, mentre apriva la porta e noi facevamo il nostro ingresso nella sala dove eravamo soliti mangiare.
Il posto era interamente vuoto, non c’era nemmeno la traccia di Frypan, forse rintanato in cucina, o dei suoi aiutanti.
«E ora io che faccio?» borbottai. Non avevo voglia di passare il pomeriggio a pulire e a preparare la cena.
«Credo che Frypan sia di là, prova a vedere, io devo un attimo prendere quelle casse» disse, indicando un mucchio indistinto di legno in un angolo «ma ci metterò solo qualche minuto» sorrise, e io annuii.
Così, decisi di recarmi dal cuoco, ma, quando aprii la porta che dava sulla cucina, mi sorpresi.
«S-Stephen?» chiesi incerta, vedendo il ragazzo seduto a terra, il capo fra le mani. Il moro non accennò a muoversi, così mi avvicinai lievemente, magari stava male.
«È tutto okay?».
«È mai possibile che non ci sia mai un momento di pace?» esclamò, alzando di colpo il viso e facendomi sobbalzare.
Incrociai le braccia al petto, «Beh, si da il caso che, fino a prova contraria, sono ancora io quella che lavora in cucina, qui l’intruso sei tu, non di certo io».
Lo vidi sospirare e riabbassare il capo, senza dire nulla o senza accennare ad alzarsi.
Un po’ mi pendii di ciò che avevo detto, così mi sedetti di fronte a lui, sul pavimento, e lo osservai. Non l’avevo mai davvero guardato, e mi resi conto solo in quel momento di quanto fosse bello, certo, non riuscivo a vederne gli occhi – di cui non ricordavo il colore – ma ora che non teneva le mani sul volto, potevo ammirarne i lineamenti dolci, ma mascolini, e i capelli castani sistemati in qualche modo.
«Vuoi una foto?» mormorò, ma non sembrava irritato.
«C’è qualcosa che non va?» domandai ancora, a bassa voce, quasi fosse un segreto.
«Anche se fosse, di certo non potresti aiutarmi tu» rispose aspro, ma non mi arrabbiai.
«Beh, prova a mettermi alla prova» sorrisi, quando alzò il viso «Sono una ragazza, ho tanti talenti nascosti» scossi le spalle, con finta vanità.
«Ti sei mai innamorata?» domandò di punto in bianco, spiazzandomi.
Mi ero mai innamorata?
Oddio, non lo sapevo! Di sicuro non negli ultimi due anni… eppure, forse prima, nei miei sogni non era chiaro, ma quel ragazzo…
Sì, perché, se avessi scegliere qualcuno di cui poter dire di essere stata innamorata, avrei detto lui, anche se non lo ricordavo.
«Forse» mormorai «Magari prima di tutto questo, non so. Tu?».
«Sì» disse secco «E l’amore fa schifo».
Ridacchiai a quell’affermazione, «Tutto ci fa schifo, quando ci ferisce».
Lui accennò un sorriso, «Stavi ascoltando, vero?».
«Co-Come?!».
«La mia discussione con Wyatt».
«Ehm… no, io, cioè… non sei arrabbiato?» chiesi, sotto il suo sguardo ammonitore.
«No».
Sorrisi maggiormente, chissà, forse mi ero sbagliata sul suo conto.
«Wyatt mi ha vista?», lui scosse il capo, e io mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo.
«Mi dispiace, davvero, non volevo» ed era vero, mi ero subito pentita del mio gesto.
«È okay, tranquilla» sorrise «Scusami tu, io... sono stato un vero stronzo».
Ridacchiai, «Beh, direi che siamo pari». Lui annuì, stringendomi la mano.
In fondo si sa, no? Mia giudicare un libro dalla copertina! Avrei decisamente dovuto ricordarmelo, in futuro.
«Mia?» chiese qualcuno, mentre la porta si spalancava «Oh, Newt!», sorrisi, vedendolo.
«Oh, ciao Stephen!» disse il biondo.
Il ragazzo si alzò, aiutando anche a me, e accennò un sorriso «Ehi Newt», poi si rivolse alla sottoscritta «Beh, io vado, ci si vede in giro».
«Ciao» mormorai, mentre il biondo mi affiancava e Stephen si avviva verso la porta.
«Oh, Mia» mi richiamò prima di uscire. Io alzai il viso, guardando il moro, «Sì?».
«Riguardo all’argomento di prima» sorrise «Io non credo che tu lo sia stata solo prima di arrivare qui. Sai, ti ho osservata e, magari, tutt’ora lo sei, solo che non te ne sei ancora accorta» disse, facendomi l’occhiolino e uscendo.
Io aggrottai la fronte. Cosa?
 
 
N/A
Sorpresi di rivedermi così presto? Che posso dire? Quando l’ispirazione bussa, bisogna farla entrare! Mi sto riprendendo dal blocco dello scrittore dell’ultimo mese, quindi conto di riuscire ad aggiornare nuovamente con regolarità, yeh!
Beh, come vi è parso il capitolo? Insomma, sembra che Mia sia l’unica a non accorgersi di niente. Ma sarà davvero così?
Chissà…
Ci vediamo presto e buon anno nuovo!!

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