Storia di un deserto che fiorì grazie ad una goccia di pioggia

di Small Wolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Custodi di vite ***
Capitolo 2: *** Frasi mute ***
Capitolo 3: *** Caso ***



Capitolo 1
*** Custodi di vite ***


dChiunque avrebbe descritto come pressappoco “perfetta” la vita di Sakura Haruno. Lei, giovane donna sui ventotto, bella di una bellezza particolare quanto il colore rosa dei capelli e le sfumature smeralde dei grandi occhi, figlia di una famiglia media, aveva raggiunto con determinazione la carriera di medico in uno degli ospedali più prestigiosi di Tokyo. Educata nelle migliori scuole della capitale giapponese, visti i suoi ottimi risultati e la sua mente propensa alla logica e alla profondità letteraria, si era impegnata a fondo per riuscire a diventare un perfetto chirurgo e a pochi anni dalla sua entrata nell’ospedale, da semplice specializzanda era diventata capo del reparto maternità. Fine e dolce come poche era riuscita ad incantare l’ultimo rampollo di una delle famiglie più importanti del Giappone, gli Uchiha, nonché capo della polizia dell’intera capitale.
L’esistenza dell’Haruno si proiettava come ricca di successi, bellezza e ricchezza ed agli occhi dell’alta società di Tokyo ma anche dell’enorme quantità di gente comune che aveva conosciuto tramite il proprio lavoro e per fama, non poteva essere migliore di quella che la superficialità mostrava loro. In realtà, la scoperta di non poter avere figli era stata per Sakura, la donna forte e di successo, un colpo alla propria identità di donna. Il dolore per i segreti che si celavano dietro a quell’impossibilità erano emersi un pomeriggio di Giugno quando avevano incontrato lo sguardo fermo ma lievemente mesto della direttrice dell’ospedale in persona, Tsunade Senju.
Le due donne erano amiche da anni, da quando Sakura era arrivata in stato di shok e profonde ferite sul corpo all’interno del prontosoccorso presieduto da un’allora molto più giovane Tsunade. Dal primo momento in cui quella donna dai lunghissimi capelli biondo spento e le labbra rosse le aveva preso la mano, dicendole mentre la trasportavano nella sala visite che in quel momento aveva bisogno di tutto il suo aiuto e che avrebbe dovuto essere forte, lei aveva stretto i denti ed annuito, tirando su col naso per poi cacciare indietro le lacrime di terrore e rispondere alle domande della dottoressa che l’avrebbe controllata per un’ora intera.
Così quando la bionda si sollevò dall’enorme poltrona nera a rotelle da cui osservava il suo studio illuminato e ordinatissimo di oggetti di buon gusto quanto essenziali, e la stessa mano di 24 anni prima si appoggiò e poi si strinse sulla spalla minuta della ragazza, lei comprese di dover prepararsi alla notizia che nessuna donna amante dei bambini, della maternità, del suo essere femmina ed orgogliosa del proprio ruolo, avrebbe mai voluto sentirsi dire.
-Mi dispiace, Sakura.-mormorò la direttrice mentre conficcava le unghie laccate di rosso nel camice della sua sottoposta.
La giovane serrò le labbra più di quanto avesse fatto nell’esatto istante in cui i loro occhi si erano incrociati e chiuse le palpebre, come se volesse impedire alle lacrime calde e piene di uscire, come se non volesse arrendersi col pianto al fatto di non poter essere madre. Lei che adorava vedere i bambini venire alla luce, emettere quel piccolo urlo che ogni volta era un inno alla vita, osservare con dolcezza il pianto delle madri stanche e sudate che guardavano con amore infinito la piccola creatura maneggiata con delicatezza dalle mani di medici e infermiere in procinto di congratularsi. Lei che camminava per i corridoi e spiava bonariamente il più puro dei contatti, quello che si instaura fra una donna e il suo bimbo durante l’allattamento e che rimane fissato in qualche parte dello spirito, portando l’istinto a fidarsi ciecamente di quell’essere in particolare, il nodo della vita che genera altra vita. Lei, lei non avrebbe mai potuto vivere quella sensazione che si prova quando si stringe al petto una minuscola creatura e si comprende quanto questa possa fare la differenza non solo nella propria vita ma anche nel mondo. Lei non avrebbe mai visto lo sguardo sensuale e un po’ freddo del suo Sasuke negli occhi di una creatura solo loro, il frutto di quell’amore particolare che aveva legato anime tanto diverse l’una all’altra.
I singhiozzi le scossero le spalle mentre si vedeva distruggere l’unico regalo che avrebbe voluto ricevere dal cielo.
Tsunade rivolse il suo sguardo alla fonte di luce proveniente dall’ampia finestra accanto alla scrivania e socchiuse a sua volta lo sguardo sul cielo azzurro: la piccola fanciulla che aveva visto crescere durante le visite di controllo e con la quale aveva instaurato un legame simile a quello fra una sorella maggiore e la più piccola, quella ragazzina che aveva sostenuto nella sua scelta di diventare dottore per aiutare gli altri e che ora aveva raggiunto il suo scopo, adesso, quella piccola colonna che nascondeva un lume delicato come una spiga di grano, avrebbe dovuto essere forte per l’ennesima volta e per la stessa, venire a contatto con l’immenso danno che le era stato provocato.
Non le disse nulla, non le sussurrò niente all’orecchio anche se avrebbe tanto voluto poter dirle qualcosa come quando da piccola veniva per la solita visita mensile e le confessava i suoi patemi adolescenziali o i più seri ricordi terribili che la tormentavano. Semplicemente la chiuse fra le braccia forti e carnose come tutto il suo corpo attraente per una cinquantenne e la tenne stretta al seno prosperoso, lasciando che le lacrime finalmente avessero luogo.
 
Nonostante fossero ormai cinque anni che stesse ufficialmente con Sasuke, Sakura non si era ancora abituata ai ricchissimi ambienti che gli Uchiha erano soliti frequentare: sale conferenze, ristoranti lussuosi, ville enormi in cui si organizzavano rimpatriate di ex nobili e giovani imprenditori. Dunque, anche se cercava di nasconderl al meglio dietro a modi educati e sorrisi cortesi, si sentiva ancora a disagio quando Sasuke la lasciava sola per raggiungere dei colleghi e discutere con loro riguardo qualche affare di cui lei sarebbe stata poi informata.
In quel momento si trovava proprio nella medesima situazione, sola accanto al lunghissimo tavolo da bouffet che era stato allestito nell’immenso salone di casa Choji per celebrare la nuova apertura del ristorante cinque stelle “Butterfly” di cui il padrone di casa era artefice.
-Sakura, che piacere- l’irritante voce di Karin, la viziatissima figlia di un imprenditore locale entrato da poco nell’elitè ma che già si dava l’aria di un borghese vissuto richiamò la sua attenzione.
-Ciao Karin-mormorò sollevando gli occhi al cielo prima di girarsi ed esprimere un sorrisetto forzato.
-Ti trovo bene-le disse la ragazza mentre con una mano si spostava i capelli rossissimi dal viso e scopriva i lineamenti appuntiti ma fini in piena armonia col corpo sottile ma attraente.
-Si, grazie, sto bene-mentì-anche tu vedo.
Karin sfoggiava un abito lungo e rosso in pandan con i guanti che le arrivavano al gomito. Le paiettes ricoprivano l’intera lunghezza fino al breve strascico che probabilmente doveva compensare la profonda scollatura che le divideva i seni prosperosi e raggiungeva l’ombelico.
-E Sasuke invece come sta?-la sua voce si inacidì ancora di più nel pronunciare il nome del suo ex.
-Oh, sempre meravigliosamente. Di recente stiamo passando più tempo assieme e la cosa sembra giovare ad entrambi-si divertì a notare il rossore che tempestò le guance pallide di Karin e il suo sforzo per mantenere l’autocontrollo. Poi l’atteggiamento di Karin mutò d’improvviso e un lampo di malignità e astuzia attraversò il suo sguardo.
-Se state così bene insieme sono felice per voi-biascicò portandosi alle labbra carnose un pasticcino alla crema- sicuramente avrete in progetto una famiglia, no? Un bel bambino.
Sakura provò una sorta di dolore al petto come se un coltello le squarciasse gli organi dall’interno e si sentì punta nel vivo. Trattenne a stento le lacrime prima di salutarla frettolosamente e saettare via in mezzo alla folla di gente che chiaccherava raccolta in gruppetti.
Attraversò a tempo record il grande salone, picchiando il pavimento lucido e marmoreo con gli alti tacchi a spillo rosa e bianchi come il suo elegante vestito a bratelline e il fermaglio candido fra i capelli raccolti. Non badò ai saluti dei gentiluomini in giacca e cravatta che, con i calici in mano, osservavano la sua semplice bellezza, né alle donne nelle gonne a tubino, adornate di gioielli enormi che dividevano la luce dei grandi lampadari a gocce e proiettavano in tutta la sala numerosi spicchi di luminosità.
Si portò la mano davanti alla bocca e osservò spaesata la gente attorno a lei, incontrando a tratti schiene, chiome ricce e sguardi veloci e mentre nella sua mente si ripeteva di trovare i bagni all’esterno eccheggiavano risate, chiacchericci e il suono armonioso della piccola orchestra ingaggiata per la festa.
Il turbinio di stimoli le fece perdere per qualche minuto la padronanza di sé ed in quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per vedere la snella figura di Sasuke comparire fra la gente in ghingheri per raggiungerla e puntare i suoi taglienti occhi neri nei propri, facendole provare quel senso di sicurezza che solo lui riusciva a darle. Probabilmente lui era l’unico uomo sul pianeta, tolto suo padre, a farla sentire realmente al sicuro e lei l’unica donna in grado di accettare e comprendere i suoi modi apparentemente freddi e distaccati e a trovare conforto in quell’essere misterioso e affascinante che era.
Ad un tratto una risata infantile dietro di lei ne richiamò l’attenzione e la sua persona sconvolta venne calmata da una bambina di circa due anni che si dirigeva determinata verso la folla, inseguita e richiamata da una signora elegante che poteva avere all’incirca la sua età.
-Misha, Misha, tesoro!
Sakura non ci pensò troppo ad afferrare la piccola che l’aveva appena superata e prenderla in braccio, sorridendole.
La bambina la guardò stupita con un paio di lucenti occhi azzurri simili a quelli della donna che la inseguiva e poi rispose spontaneamente al sorriso di Sakura.
-Ciao-mormorò alla piccola.
-Oh, piccola peste-esclamò la donna, una volta raggiunte Sakura e la bimba-mi farà impazzire.
La rosa si lasciò sfuggire una risata mentre le restituiva la bambina che per tutto il tempo non aveva mollato la zampetta del suo amico di peluche.
-E’ bellissima-affermò Sakura.
-La ringrazio e grazie anche per averla recuperata! Sa, non sta ferma un secondo-ansimò la signora che vista la somiglianza dei lineamenti doveva essere la madre. Si portò la piccola da un braccio all’altro e porse la mano all’Haruno.
-Piaere, sono Ino Yamanaka!
-Oh, la signora Ymanaka! Suo marito ha l’azienda di rifornimento per la polizia, vero?E lei quella bellissima catena di fiorerie.
La ragazza annuì prima di domandarle se lei era la signora Haruno, moglie di Sasuke Uchiha con cui suo marito era in affari da anni.
Parlarono brevemente quando il discorso non ricascò sulla bambina che ora sgambettava, impaziente di scendere dalle braccia della madre e raggiungere il sontuoso banchetto.
-D’accordo, d’accordo, adesso andiamo-le disse sbuffando-credo che non diventerà mai una signorina educata!
Sakura sorrise teneramente a quella scena e dopo aver frugato nella sua poshette, estraè una caramellina alla fragola.
-Se fai la brava, prometto che questa è tutta tua-disse alla piccola che si calmò immediatamente e prese la caramella per poi ringraziare nella sua personalissima lingua.
-Lei è magica, signora Haruno! Sono sicura che sarà un’ottima madre.
A quelle parole un’ombra tornò a catturare l’espressione della rosa che, carezzata la piccola sulla testa, chiese ad Ino dove fossero i bagni e salutò cortesemente prima di dileguarsi.
 
Sasuke non aveva mai sopportato gli incontri generali, specialmente quelli dedicati alle inaugurazioni. Fin da bambino i suoi defunti genitori avevano portato lui e suo fratello maggiore Itachi a noiosissimi aperitivi del genere che si concludevano puntualmente con cene affollate dal numero spropositato di portate che lui, piccolo com’era, non riusciva mai a concludere, guadagnandosi lo sguardo severo di suo padre.
Anche se per sua madre la presenza dei bambini alle riunioni non era indispensabile, suo padre insisteva che fosse invece fondamentale che i piccoli del futuro impero Uchiha conoscessero fin da subito l’ambiente in cui un giorno avrebbero dovuto districarsi da soli. Dunque Sasuke nutriva una sorta di secolare antipatia per le rigide convenzioni di quei luoghi, le strette di mano occasionali con persone che da soci avrebbero potuto diventare concorrenti a seconda dell’andamento del mercato, la musica classica soffusa e disturbata dalle chiacchere futili delle signore, persino il gusto zuccherino dello champagne gli dava ai nervi, seppur fosse l’unica cosa con la quale si riempiva prontamente la bocca di fronte a sciocchi discorsi in cui, in caso contrario, sarebbe intervenuto con una delle sue temutissime battute taglienti e leggermente ironiche. Egli sapeva di non essere ben visto dai suoi colleghi in affari e che le loro riverenze erano il semplice frutto del timore che lui gli incuteva non solo sul piano lavorativo ma anche personale. Anche se così giovane, Sasuke sapeva far calare il silenzio attorno a sé con un breve sguardo e l’aura di mistero e fascino che avvolgevano il suo portamento, la finezza dei suoi lineamenti pallidi in netto contrasto con gli occhi e i capelli color carbone, non facevano altro che mettere soggezione. Suo fratello maggiore, invece, era molto più apprezzato che fosse per la gentilezza che lo caratterizzava, i sorrisi gentili e i modi educatissimi o per il fatto che nascondeva molto meglio del suo fratellino la disapprovazione per quella società pompata di soldi e rigidamente incastrata nella sua gabbia d’oro, questo neanche a Sasuke era ancora chiaro.
Lo champagne frizzò per l’ennesima volta fra le labbra fini e sensuali di Sasuke appena il signor Akimiji, un uomo panzuto che a stento entrava nel suo smoking, si presentò al gruppo di uomini che stavano parlando con lui e con fare fin troppo amichevole per i gusti dell’Uchiha gli diede una pacca sulla spalla.
-Che piacere vederla, signor Uchiha. Come sta suo fratello? Avrei avuto il piacere di rivolgerli i miei ossequi.
-Sono certo che mio fratello le avesse descritto i motivi della sua assenza.-rispose secco Sasuke intanto che sulla piccola combriccola calava una certa tensione.
Akimiji rimase interdetto per qualche istante prima di riscuotersi con un colpo di tosse e tornare alla sua tipica espressione amichevole.
-Ah, certo, certo. Gli porti i miei ossequi e anche a suo zio…
-Sarà fatto-annuì il moro prima di bere un altro sorso d’alcol e incrociare di sfuggita la chioma rosa di Sakura farsi strada decisamente troppo velocemente fra la gente. Alzò con sospetto il fine sopracciglio destro e senza guardare appoggiò il calice vuoto sul vassoio sgombro un cameriere di passaggio.
-Ora, signori, se volete scusarmi.
-Ma certo, faccia con calma-farfugliò il signore della festa prima di spostarsi per far passare il giovane, diretto all’ampio terrazzo verso il quale aveva visto incamminarsi Sakura.
Appena superò le vetrate una tiepida aria estiva scompigliò un po’ i capelli rigidi di gel e davanti a sé si spalancò la vista in lontananza del monte Fuji, bianco come le poche nuvolette arrossate dal sole in ritirata all’orizzonte il quale proiettava lunghe ombre scure delle poche persone intente a mangiucchiare e sorseggiare drink accanto alla ringhiera di pietra. Individuò subito Sakura e la raggiunse in ancor meno tempo. Erano giorni che la sua risata non animava più costantemente le ampie camere del loro lussuosissimo appartamento all’ultimo piano di uno dei grattacieli centrali di Tokyo e lui, sebbene cercasse di nasconderlo per orgoglio, stava iniziando realmente a preoccuparsi.
A differenza delle altre volte, in cui dopo qualche ora di silenzio veniva fuori attraverso una breve sfuriata il motivo del broncio, Sakura aveva mantenuto un atteggiamento troppo composto per essere naturale e il suo ragazzo l’aveva osservata attentamente per giorni.
-Sakura-esclamò, facendola sussultare.
Gli rivolse un’occhiata furtiva ma lui si accorse subito dell’estrema lucidità dei suoi occhi.
Con discrezione appoggiò i gomiti sulla pietra e annusò l’aria pura della campagna. Era il suo modo per farle capire quanto fosse pronto ad ascoltarla e lei sorrise al gentile venticello che li investì. La rosa capiva velocemente ciò che il suo uomo voleva dirle anche solo da un gesto. Aveva imparato ad osservare le sue azioni più che ascoltarne le rare parole e lui, di conseguenza, si sentiva libero di agire quasi con naturalezza in sua presenza, abbandonando la tipica rigidità del proprio atteggiamento. Sapeva che Sakura, nonostante l’immensa diversità che separava i loro caratteri, era riuscita a cogliere in lui qualcosa che il resto del mondo ignorava o da cui spesso veniva spaventato. Con quel strano colore di capelli e la parlantina irrefrenabile che all’inizio della loro conoscenza lo aveva addirittura infastidito, era poi riuscita a conquistarsi la sua fiducia ed ora, dopo cinque anni di convivenza, il rapporto fra alti e bassi non era cambiato molto se non per approfondirsi.
Quindi, attese tranquillamente qualche minuto che lei si aprisse a modo suo, con un pianto o con una piccola scenata isterica. Ma Sakura non fece nessuna delle due cose.
Con sorpresa semplicemente gli cinse la vita sottile da dietro ed appoggiò il capo sulla sua spalla ampia.
-Sasuke…-sussurrò solleticandogli con il fiato, la guancia sinistra.
Lui non potè impedirsi di scorrere con le mani grandi sugli avambracci lisci della sua fidanzata, come per accarezzarla anche se non era tipo da effusioni romantiche in pubblico.
-Dimmi cosa c’è-le ordinò con un tono secco che non ammetteva repliche.
Lei si allontanò dalla sua schiena magra e si interpose fra lo spettacolo delle colline e il suo viso interrogativo per guardarlo meglio negli occhi.
-Sasuke… penso che la nostra storia debba…
-Cosa?-la interruppe con stizza per la preoccupazione della risposta.
-Debba finire.
 
Il riso non era decisamente dei migliori, anzi, Naruto non riusciva a spiegarsi come avesse fatto a renderlo così pessimo. Eppure Hinata gli aveva spiegato un sacco di volte come prepararlo e mentre la guardava affaccendarsi con velocità e precisione attorno ai fornelli aveva pensato più volte di come con lei al suo fianco era sempre tutto semplice, quasi rilassante. Probabilmente era dovuto al fatto che Hinata lo guardava come nessuno, tolto il maestro Iruka dell’istituto per minori abbandonati in cui era cresciuto, faceva mai. Con quei grandi occhi azzurro ghiaccio riusciva sempre a calmarlo e convincerlo che qualunque cosa sarebbe andata per il verso giusto. Lei lo faceva sentire a casa e rendeva quel microscopico appartamento alla periferia di Tokyo un po’ meno degradante.
-Mi dispiace, Hinata-borbottò con una faccia schifata mentre si arrendeva e buttava esausto le bacchette nel cestino dell’immondizia sotto al tavolo-Non ne combino una giusta!-aggiunse imbarazzato mentre si prendeva i capelli biondi come il grano fra le dita.
La ragazza accanto a lui lo guardò con tenerezza e arrossì appena gli occhi azzurro zaffiro di lui le lanciarono delle mute scuse. Sapevano entrambi che non ci sarebbe stato un secondo e che ogni pasto doveva essere razionato a dovere per non commettere sprechi quindi il semplice fatto di non poter mangiare quel riso creava a Naruto un senso di colpa più pesante del normale al quale si aggiungeva il rimorso che spesso si infliggeva ingiustamente per averla trascinata in quella situazione, seppur lei ne fosse stata consapevole.
-Va tutto bene, Naruto-kun…-balbettò mentre posava la sua piccola mano bianca come il proprio viso su quella ben più grande e dal colorito olivastro di lui-Può succedere di sbagliare, ricordi?
Il ragazzo sospirò e poi sorrise dolcemente alla stessa frase che le aveva detto un giorno d’una decina d’anni prima all’interno della pista di pattinaggio al coperto in cui si allenavano le migliori promesse del pattinaggio. Allora quelle parole sincere ed esclamate con un sorriso erano servite a toglierle la malinconia dallo sguardo da quindicenne a causa della disapprovazione del padre una volta finiti di vedere i suoi esercizi di pattinaggio artistico.
La luce negli occhi di lei gli diede la forza di tornare ad indossare il suo solito sorriso sfacciato e largo e a scattare in piedi come sull’attenti. Sentiva di dover assolutamente resistere ed essere forte anche se la situazione era estremamente difficile.
-Che succede?-balbettò con una piccola risata.
-Mi sono appena ricordato di una cosa!
La lasciò al tavolo per raggiungere il giaccone color verde militare appeso all’attaccapanni accanto alla porta d’ingresso che dava l’accesso a un piccolo bagno ed una minuscola camera da letto in cui stava a mala pena una piazza e mezza e due comodini. Frugò all’interno di una tasca e ne estrasse una barretta di cioccolata al latte che si sventolò davanti al naso dritto.
-Questa è per te-annunciò sorridendo- l’ho comprata oggi alle macchinette in centro… la volevo mangiare per merenda ma alla fine ho pensato che sarebbe stato meglio regalartela.
Appena notò quanta meraviglia e dolcezza si dipinse sul volto della sua ragazza, espressione di quel particolare calore in grado di scaldarla da dentro ogni qualvolta si trattasse di Naruto stesso, il suo cuore prese a battere frenetico come la prima volta in cui l’aveva vista danzare con leggiadra eleganza sui pattini da ghiaccio. Nel corso del tempo aveva capito di essere era tutto il colore che le era mancato durante un’infanzia passata in un angolo all’ombra del cugino maggiore e della sorella minore sempre migliori di lei, a dire di suo padre, in qualunque cosa facessero. Per questo, sebbene le loro precarie condizioni economiche a volte gli piaceva farle dei regalini, piccoli pensieri da pochi spicci che però alimentavano come minuscole gocce il mare d’amore che li teneva uniti l’uno all’altra. E lui l’amava proprio per il fatto che lei fosse tanto diversa della gente degli ambienti a cui era stata abituata. A differenza di tutti quei “bellinbusti” come li chiamava sgarbatamente il suo datore di lavoro, Ikaru, Hinata non aveva mai atteggiamenti di superiorità, né di sgarbo. Pareva non conoscere la cattiveria anche se ne aveva subita tanta. Il suo animo era rimasto gentile e puro come quello di una brava bambina innocente e Naruto adorava prendersene cura e sentire che le discrete dolcezze di lei, lo sguardo un po’ timido ma ricco di dolcezza erano dedicate tutte a lui.
La vide alzarsi dallo sgabello spagliato e buttarglisi al collo, stringendogli le braccina snelle attorno al torace ben modellato dapprima rigido, poi completamente coinvolto nel suo abbraccio. Se la portò sempre più contro di sé e annusò il profumo dei liscissimi capelli corvini della ragazza per tentare di imprimere il profumo nella sua mente dato che era uno dei pochi ricordi positivi che avrebbe potuto tenere della sua vita disastrata.
-Andrà tutto bene, Hinata, te lo prometto, farò del mio meglio per sistemare tutto questo casino.- le mormorò contro la guancia mentre serrava le palpebre quasi volesse concentrarsi meglio sulla promessa e suggellarla.
Lo strinse ancora di più, e il biondo percepì con un sorriso la forza che riusciva a tirare fuori dalla sua figura formosa quando si trattava di lui lasciò che si asciugasse le palpebre contro la sua felpa grigia. In quei momenti sentivano che nessuno al mondo avrebbe potuto separarli, nessuno avrebbe potuto fargli del male e tutto attorno a loro scompariva, il tavolino in plastica, il divanetto sfasciato contro la parete di fronte, i mobili di povero compensato… c’erano semplicemente loro due. Le pareti si dissolvevano e loro entravano in quella dimensione in cui contavano solo i sentimenti e la fame, la stanchezza e il calore esasperante di Giugno non erano assolutamente nulla.

COMMENTO AUTRICE
Eccomi tornata con una nuova fic di Naruto :) era moltissimo tempo che non ne scrivevo una, spero di non essere troppo arrugginita :/ Grazie a tutti coloro che hanno speso un attimo per leggere questo primo capitolo e grazie mille a chi recensirà! 

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Capitolo 2
*** Frasi mute ***


Sasuke rimase impietrito davanti al viso chino di Sakura che intanto si proteggeva le lacrime con i ciuffi rosati che le cascavano dal morbido chinion. 
Una folata di vento molto meno gentile delle brezze precedenti li travolse, smuovendo gli abiti in un'unica direzione e probabilmente, anche le emozioni del moro che provò un moto di stizza e di consapevolezza riguardo il fatto che probabilmente, in quel momento, la sua Sakura non era in sé.
Le afferrò con sicurezza il piccolo polso cinto di perle e non le lasciò neanche il tempo di protestare che si incamminò verso l’entrata del salone. 
La gente affianco a cui passavano rimaneva a guardarli un po’ scioccata da tanta teatralità e fra loro si scambiavano occhiate complici e già ghiotte di pettegolezzi. Ma Sasuke non badava a nessuno di loro, il suo cuore batteva molto più velocemente del normale e l’unica cosa che desiderava in quel momento era saltare a bordo della Ferrari nero metallizzato parcheggiata nel grande cortile del parco privato della villa e correre a casa loro.
-Ah, ecco il signor Uchiha e la signora Haruno!-esclamò Akimiji, frapponendosi fra loro e l’uscita dalla sala affollata proprio nel momento più sbagliato.
-Siamo dolenti d’informarla che dobbiamo abbandonare la festa-gli disse il giovane mentre aumentava la stretta contro la mano della sua fidanzata per comunicarle di stare al gioco.
-Ma come, non è ancora iniziata la cena-ridacchiò l’altro un po’ imbarazzato.
Sasuke si bloccò pochi passi oltre il grasso proprietario di ristoranti e, voltando appena il viso gli puntò addosso gli infuocati occhi neri. In quel momento, Akimiji dovette aver sentito un brivido corrergli lungo la schiena poiché impallidì e non protestò oltre quando l’Uchiha ripetè la stessa frase di prima con una calma spaventosa che contrastava paurosamente con la sua espressione.
Dal canto proprio, Sakura non aggiunse altro se non un arrivederci sussurrato e continuò a seguire Sasuke senza opporre resistenza. Era felice che la stesse portando via da quel luogo in cui non avrebbe mai potuto dare apertamente sfogo alla propria frustrazione ed era altrettanto sollevata nel vedere che per l’ennesima volta era stato lui a prendere provvedimenti senza lasciarla da sola nella disperazione. Ad un occhio esterno quell' improvvisa presa di decisioni per entrambi poteva apparire sgarbata e indelicata da parte dei Sasuke, ma Sakura lasciava con piacere che fosse lui a muoversi come ritenesse meglio in quegli ambienti e soprattutto conosceva il modo di far del suo uomo ed era certa che non c’era ombra di cattiveria in quel gesto, solo preoccupazione manifestata in malumore.
Raggiunsero il cortile, scansando camerieri e custodi curiosi, Sasuke prese le chiavi dall' autista che gli aveva parcheggiato la macchina e dopo averle aperto la portiera con una certa fretta, saltò dentro.
Sakura si legò la cintura di sicurezza in silenzio e rimase zitta fino a quando non fu lui a prendere parola.
-Dimmi cosa significa tutto questo.- le ordinò mentre con manovre precise e rapide attraversava il centro paurosamente affollato e trafficato della capitale.
Sakura non gli rispose subito ma si prese del tempo, osservando dal finestrino abbassato ora la due uomini d’affari che si scontravano, ora un gruppo di ragazzini in skate, ora un trio di uomini a lavoro. Tutto catturava il suo sguardo ma nulla la interessava realmente poiché nella sua testa l’unico pensiero che aveva era riuscire ad esprimere a Sasuke la sua frustrazione e dirgli che non avrebbe dovuto pesargli oltre. 
-Allora?- le domandò mentre tamburellava impaziente le dita sul volante di cuoio e lanciava rapide occhiate al semaforo rosso.
Continuò a fissarla intensamente ma lei non faceva altro che spingersi contro al sedile come alla ricerca di protezione e, nonostante si sentisse addosso lo sguardo penetrante del ragazzo continuò a tenere il volto girato verso la strada stretta fra gli alti grattacieli brillanti agli ultimissimi raggi solari.
-Non ho voglia di parlarne..-mormorò e si morse il labbro inferiore.
-Dopo quello che mi hai detto? Non vuoi parlarne ora?-la freddezza nel tono che utilizzò sperò che riuscisse a far capire a Sakura quanto dolore e negativa meraviglia stesse provando in quel momento ed avesse provato quando lei gli aveva detto quella assurda frase sul terrazzo degli Akimiji. Sakura era diventata parte integrante della sua vita e lui, sebbene non lo dimostrasse apertamente, non avrebbe mai voluto perderla. Non avrebbe sopportato facilmente il distacco dall’unica donna che a modo suo lo avesse realmente colpito e coinvolto in qualcosa di diverso dai ricordi dolorosi e dai sentimenti contrastanti verso la propria famiglia.
-Sakura-insistette dopo qualche minuto di ostinato silenzio da parte della rosa.
-Basta Sasuke!-gli urlò in un impeto d’ira che però non fece mutare di un millimetro l’espressione seria dell’Uchiha-Non capisci che si tratta di nuovo di “quello”?
Sta volta Sasuke non riuscì ad impedirsi di lasciarsi sfuggire un sussulto né di stringere con forza le dita attorno al volante. 
-Possibile che tu non ti accorga mai di niente?!-aggiunse mentre nuove lacrime iniziarono ad appannarle la vista e un fiume di parole spingeva da dentro la gola per uscire-possibile che debba spiegarti ogni cosa, che tu non comprenda quando smetterla di insistere?!
I singhiozzi iniziarono a scuoterle le spalle strette e il naso cominciò a colare. 
Sasuke dapprima rimase in silenzio e solo dopo qualche secondo si rese conto del suono dei clacson delle altre automobili e del semaforo ormai verde. Con rabbia e confusione svoltò a sinistra, verso il parcheggio semi-sgombro del centro commerciale lì vicino.
Si allontanò a sufficienza dalle auto dei consumatori e frenò bruscamente in una zona più libera e distante dalle porte scorrevoli che si spalancavano ai carrelli carichi di roba ed intere famiglie, coppie per mano e gruppi di ragazzini saltellanti.
Sakura non aveva smesso di singhiozzare per tutto il breve tragitto ed ora si teneva una mano davanti alla bocca e lo guardava con le sopracciglia fini contratte di frustrazione e dolore.
Lui, dal canto suo, scese dall’auto e, sbattuta con violenza la portiera, fece qualche passo lontano dalla sportiva per tentare di calmarsi. Odiava sentirsi dire di non capire le situazioni proprio lui che sapeva calcolare e prevedere quasi ogni reazione. In questo assomigliava al suo defunto papà il quale affermava con ironia che il lavoro negli uffici di statistica sarebbe stato più appropriato per lui rispetto quello del dirigente d’azienda. 
Fece dei profondi respiri prima di sentire il ticchettio dei tacchi della sua ragazza invadere l’angolo di pace che si stava creando. 
Si voltò e incontrò il corpo minuto di lei, stretto in quell’elegante vestitino e i capelli scompigliati che si addicevano al carattere un po’ bipolare e si sentì in vena di andare lì e portarle il capo contro la sua spalla. Qualcosa però non lo fece muovere e rivide un lampo di delusione apparire negli occhi lucidi dell’Haruno, lo stesso molto meno raro che appariva dei primi mesi di conoscenza quando lei non era ancora abituata alla fragilità di Sasuke ed interpretava la lontananza come un rifiuto. 
Si rese conto da solo di star peggiorando le cose e si decise infine ad andarle di fronte e prenderla per le braccia, portandosela dritta davanti alla faccia, apparentemente apatica.
-Sei tu a non capire-le alitò-che questi comportamenti sono da ragazzina noiosa.
-Lo vedi?!-si liberò dalla sua presa e gli diede la schiena visibile dal profondo spacco dell’abito-cazzo, Sasuke, così staremo sempre male! Io non posso darti quello che vorresti, ok? E non posso neanche sentirmi bene senza potertelo dare!
Sasuke chinò il capo e lo voltò leggermente dalla parte opposta a quella di lei. Comprese in un attimo che quella conversazione aveva molto di più di una banale lite di coppia. Sakura era giunta da sola ad una conclusione che lui non avrebbe neanche voluto prendere in considerazione.
-A me va bene così, dannazione!-sbottò lui.
-Sasuke, non cercare di mentirmi…-la voce le si affievolì e d’improvviso la rabbia sembrò disperdersi per lasciare il posto alla malinconia della consapevolezza-Lo so che non ti va bene così… l’ho sempre saputo, sai? Credi che non mi accorga di come tu guardi la famiglia Yamanaka? Come ti lasci sfuggire sorrisetti alla vista della piccola Misha che corre in braccio a suo padre e fa i dispetti? Sasuke tu ne hai bisogno… hai bisogno di quel calore che io non posso darti.


Un piccolo sorriso di nervosismo si accese come una lampadina guasta sul volto della rosa. I denti stretti del moro e i pugni chiusi erano chiari segni che ciò che gli aveva appena detto fosse vero. Per l’ennesima volta era stata lei a capire i suoi sentimenti. 
-Se solo quel giorno fossi riuscita a scappare…-il mento le tremò ed un brivido le scosse il busto mentre i suoi occhi si perdevano in immagini di una ragazzina di quattordici anni e di un uomo sopra di lei, del dolore lancinante fra le cosce ancora troppo immature per ciò che si era consumato una notte d’inverno. D’un tratto i suoi incubi notturni si proiettarono come immagini vive di un film davanti agli occhi sbarrati e le sue stesse grida stridule simili a quelle di un agnellino sgozzato, il pregnante odore di sudore e il suono delle sirene tornarono ad essere attimi pieni. 
Quelle immagini nascevano ogni volta che lei e Sasuke discutevano, come se legasse ogni propria frustrazione a ciò che le era accaduto da ragazzina. A volte si domandava come riuscisse ad amarlo tanto se proprio l’insensibilità era ciò che più la faceva soffrire in un uomo, senza però mai riuscire a darsi una piena risposta. In parte era dovuto al fatto che comunque Sasuke riusciva, proprio attraverso quell’involontario sistema di autodifesa che era l’impassibilità, a calmare le sue crisi e sapeva trasmetterle quiete attraverso i propri modi sicuri. Come di routine, anche quella volta fu lui a placare la situazione, avvicinandosi senza che lei se ne accorgesse per offrirgli il suo corpo come appoggio. 
-Io ho solo bisogno che tu stia zitta… zitta-Le mormorò mentre le mani le stringevano i bicipiti sottili. 
A quelle parole dette con tanta schiettezza, la rosa non potette far a meno di ubbidire e provare a regolare il respiro. 
-Torniamo a casa-concluse quando le lacrime di Sakura si furono asciugate almeno un po’ e con la galanteria che utilizzava quando voleva esser dolce, le aprì la portiera e l’aiutò a salire nuovamente in auto poi, prima di dare gas, le spostò con delicatezza un ciuffetto di capelli rimasto appiccicato alla guancia.
-Perdonami, Sasuke…
Il moro incurvò un angolo della bocca in un sorriso sghembo ed in quell’espressione che quasi chiunque avrebbe interpretato come una smorfia, Sakura si rilassò e rimase a guardarlo con gratitudine e di sottecchi per l’ultimo tragitto prima di casa. 

Il trillo del campanello la fece sussultare: era sempre troppo persa fra i suoi pensieri, suo padre glielo aveva ripetuto un miliardo di volte quando era ragazzina. Purtroppo Hinata non era mai riuscita a cambiare quella sua inclinazione a pensare tanto, così tanto da dimenticare il presente e risultare distratta o poco pronta all’azione. In realtà la profonda insicurezza che si trascinava dietro come la catena di un condannato, la portava a riflettere fin troppo o a perdersi nei pochi dolci ricordi che aveva della sua infanzia per non morire dell’oggi. 
Appoggiò velocemente il cucchiaio di legno sul marmo del cucinino incastrato fra il minuscolo soggiorno semibuio e il bagno e si spostò di pochi metri per aprire la porta all’unica persona che le avrebbe mai fatto visita oltre alla sorella minore Hanabi: Naruto. 
Appena la catenella fu sganciata, il ragazzo le piombò praticamente addosso in un abbraccio. Rimasero immobili per qualche istante e lei si godette quelle braccia forti che le cingevano il busto sottile e la testa, molto simile ad un grumo dorato, appoggiata alla propria piccola spalla.
-N-Naruto-kun-balbettò per la sorpresa mentre un fuoco interno ed immaginario le colorava la pelle del viso come una lampadina colora d’arancione un foglio illuminato da dietro.
Lui le si allontanò e esibì i denti bianchi e leggermente appuntiti, schiacciando le cicatrici orizzontali sulle guance. Poi le prese le mani e la guidò fino al tavolo della cucina, chiudendo col piede la porta dietro di sé.
Dal modo in cui le stringeva le dita Hinata comprese che le doveva darle notizie. Ogni volta che doveva dirle qualcosa di importante le faceva quel gesto di tenerla per mano e guardarla dritto negli occhi in modo da farle percepire la propria sincerità ma anche la sua vicinanza. Naruto aveva quel qualcosa di speciale per cui chiunque, e questo era ciò che aveva amato sin da subito di lui, anche una timida come lei, riusciva a fidarsi. L’impulsività che esplodeva come un vulcano unita alla grande forza d’animo che traeva dalle poche persone che lo avevano amato durante la breve vita solitaria, gli conferivano un’aria spavalda quanto buona. La gentilezza che nascondeva nei piccoli gesti, così diversa dalla pomposità e all’apparenza in cui era cresciuta Hinata, l’avevano colpita oltremodo, facendole conoscere, durante le ore rubate verso sera agli occhi severi di Hiashi, un mondo fatto di contenuto. 
-Hinata-chan… il lavoro da Ikaru non è molto stabile in questo periodo. Ha detto che non può pagarmi un altro mese…
Una forte inquietudine le catturò il battito cardiaco, facendolo aumentare mentre le gambe si fecero molli e poco buone a sostenere il suo peso. 
-Q-quindi- lo sguardo corse istintivamente sulle pareti verdognole e quasi nude del salottino, sulla luce fioca che arriva dal piano cottura per poi saettare verso la tavola poveramente apparecchiata su cui erano appoggiate anche diverse bollette scartate con cura, come se chi le avesse aperte avesse avuto una tremenda paura di leggere l’importo da pagare.
Non riuscì a parlare e tornò a fissarlo sgomenta. Avrebbe voluto solo che le dicesse che si sarebbe sistemato tutto, che sarebbero riusciti sostenere l’affitto e le altre spese ma purtroppo Naruto non fu in grado di fare altro che abbassare le palpebre verso le loro mani unite. 
Hinata cercò di ingoiare il nodo che le si era formato in gola.
-V-va bene Naruto… troveremo un altro modo… l’agenzia delle pulizie mi ha assicurato che sto svolgendo un ottimo lavoro… n-non devi preoccuparti, farò delle ore in più e ce la faremo.


Naruto si sentì quasi morire, il fiato arrivava a stento ai suoi polmoni mentre una catena gli stinse lo stomaco fino a fargli venire il vomito. I sensi di colpa sembravano divorarlo dall’interno e il pensiero che la sua piccola, adorata ragazza avrebbe dovuto lavorare più di quanto già facesse, lo fece tremare.
Da quando erano fuggiti da una realtà che non avrebbero potuto vivere separati, si erano trovati in un'altra ben peggiore che adesso stavano cercando di affrontare insieme con sorrisi, parole di speranza sussurrate di notte prima di addormentarsi vicini sul letto troppo molle, regalini da poco e silenzi malinconici che tentavano di ignorare sperando che passassero da soli come un’influenza sparisce da sé quando incontra un organismo forte. Eppure a nessuno dei due sfuggivano i sacrifici reciproci. Il biondo sorrideva commosso in silenzio quando lei, dopo una giornata di duro lavoro a casa della signora da cui puliva, lo guardava con occhi insonnoliti mentre erano stesi sul letto a chiaccherare della giornata trascorsa, ridendo di qualche sciocchezza commessa al negozio di ramen di Ikaru da parte dei due poveri, distratti apprendisti presenti oltre lui e si sentiva malissimo se, tornando a casa dal lavoro, la salutava e poi la vedeva andare a sedersi alla finestra della sala e guardare il cielo stellato, sospirando, ed ancora, adorava e si doleva nel notare come si prendesse cura di lui, preparando tutto a puntino ogni sera quasi come se sul tavolo arrivasse cibo da ristorante e non roba da discount. Se le mani di Hinata gli accarezzavano le guance marcate dalle cicatrici, percepiva ancora la ruvidezza e un vago odore di detersivo che, per quando familiare gli fosse diventato da quando lei aveva ottenuto il posto fisso in agenzia, ancora lo disturbava sapere che fosse una delle testimonianze più acute di quanto faticasse a svolgere un mestiere a lei sconosciuto fino a pochi anni prima. Quando l’aveva conosciuta e durante gli anni che avevano trascorso insieme, di nascosto dalle rigide pretese paterne di lei e dal coprifuoco dell’istituto di lui, lontani anni luce dal giudizio della gente dei loro rispettivi quartieri, durante i crepuscoli estivi e le mattine gelide d’inverno, la Hyuga aveva le mani ancora lisce e soffici di una ragazza di buona famiglia, i capelli mai raccolti in una coda alta per farla essere più comoda in qualsivoglia lavoro manuale e gli occhi turbati solo dall’ira della sua famiglia e dalla propria insicurezza.
A guardarla ora, la piccola fragile, timida Hinata era parecchio cambiata e i suoi gesti erano divenuti più veloci, più simili a quelli di una ragazzina innamorata che di colpo, per la propria felicità e per quella del ragazzo che amava, si era dovuta trasformare in donna, subendo l’allontanamento da casa da parte di un padre rigido e troppo attaccato all’onore e alla visione adulta più che alla felicità di quella figlia la quale, a suo dire, era riuscita a provocare in lui, col proprio carattere troppo gentile, mite e taciturno, una sorta di imbarazzo e dispiacere per quei livelli che forse, non sarebbe mai stata in grado di raggiungere nonostante si trattasse di una futura direttrice d’azienda.
-Un giorno tutto questo finirà, troverò un bell’impiego e ti farò vivere come una regina, come meriti..-le disse in un impeto di commozione per il sorriso dolce che gli rivolgeva-ti restituirò tutto quello che hai perso a causa mia.
La sentì irrigidirsi fra le sue braccia e allontanarsi a malincuore da lui, come una fanciulla che si sente tradita.
-Andiamo, N-naruto.. la cena dovrebbe essere pronta.
-Hinata ma…-provò a fermarla ma lei trattenne la mano che stava per circondarle il polso, facendolo arrossire.
-N-Naruto-kun, io non… non ho perso niente-balbettò-se siamo qui è perché… perché l’ho voluto anche io…
Naruto sbarrò gli occhi: era forse la terza volta che Hinata lo rincuorava su quell’argomento poiché in genere la difficoltà dell’affrontare il discorso, seppur causa principale della loro situazione, impediva un po’ ad entrambi di aprirsi realmente e la tensione si perdeva nei loro gesti teneri e ricchi di amorevolezza.
-Non devi sentirti responsabile, Naruto-kun- aggiunse esibendo un sorrisino mesto ma sincero.
Lui si alzò e la raggiunse, cingendole la vita.
-D’accordo-respirò-però non fallirò nella promessa che ti ho fatto quella sera di due anni fa.
Hinata lasciò che lui si sedesse nuovamente sul divano con lei a cavalcioni sulle cosce e che appoggiasse il capo sopra il seno prosperoso sotto la canottiera bianca.
-N-non stai fallendo.
Le parole di Hinata gli fecero alzare il capo per baciarla delicatamente prima sul collo e poi sempre più su verso la bocca mentre lei, paonazza e un po’ tremante, gli sollevava la maglietta ancora odorosa delle spezie del ramen caldo e lasciava che le mani grandi, dalle vene in rilievo del ragazzo, iniziassero ad ispezionare quel corpo formoso che ormai conoscevano alla perfezione ma di cui non erano mai sazie, così come le sue orecchie non lo erano mai della vocina minuta di lei, il suo naso del profumo semplice di sapone che emanava ad ogni movimento ed i suoi occhi degli sguardi profondi e ricchi di frasi mute che si scambiavano.

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Capitolo 3
*** Caso ***


A naruto pareva che i palazzi avrebbero potuto sciogliersi e crollare da un momento all’altro come pezzetti di burro. Il caldo era opprimente e innalzava dal cemento ampie folate roventi.
La città, a quell’ora di primo pomeriggio, era quasi del tutto deserta e la gente si rifugiava in casa sotto la frescura dei propri condizionatori. Già, condizionatori. E dire che a lui sarebbe bastato un po’ di venticello fresco ma lì, nel centro di Tokyo, la brezza del mare non riusciva ad arrivare e rimaneva impigliata fra i muri vetrati dei grattacieli, i fumi di scarico delle auto che generalmente affollavano le grandi strade a quattro corsie, i semafori e le mille insegne torreggianti in mezzo ai larghi incroci.
L’esterno appariva come un deserto grigio e bollente in cui  camminava da ore, passando di negozio in negozio, di magazzino in magazzino con in mano il suo povero curriculum. Da quando era stato licenziato da Ikaru, non faceva altro che girovagare per la metropoli alla ricerca di un qualunque impiego anche se il periodo estivo e l’oligopolio industriale di cui faceva parte Hiashi, gli impedivano parecchi sbocchi. 
Il padre di Hinata, preso com’era dalla fama d’imprenditore in cui si era chiuso a riccio dopo la morte dell’adorata moglie, non lasciava spazio ai desideri neanche della propria figlia ma anzi, s’imponeva di evitare a lei ed a Naruto una vita semplice, controllando spesso la lista dei dipendenti sotto il suo vasto controllo.
-Non voglio che quell’Uzumaki lavori per nessuna delle mia filiali-doveva aver detto ai capi superiori delle varie industrie, i quali avevano certamente sparso parola ai dirigenti minori di tutte le compagnie Hyuga. Sebbene la città fosse grande, Naruto e Hinata erano schiacciati in una morsa di ferro tesa al punto giusto da parte di poteri maggiori.
Il biondo era sicuro che Hiashi sapesse molto di lui e con tutti gli uomini che aveva sparsi per Tokyo, non c’era da stupirsi se conoscesse i suoi movimenti e gli impedisse così di trovare un lavoro stabile.
Tirò un calcio ad un sasso, stizzito da quei pensieri e per il fatto di sentirsi come un animale braccato, senza curarsi della direzione né dell’oggetto che andò a colpire con la pietruzza.
Stava ancora camminando con le mani nelle tasche dei pinocchietti larghi quando una voce sicura e maschile, lo costrinse a voltarsi.
-Hey, tu-fece.
Naruto si girò ed incrociò il viso perfetto di un giovane uomo sulla trentina che, dalla sua altezza privilegiata, percorse con sufficienza la sua povera figura. Doveva essere qualcuno degli alti ambienti giapponesi visti i jeans di marca su cui una camicia e una cravatta cascavano con un tocco di classe giovanile, le mani lisce abbandonate lungo i fianchi sottili e la tipica espressione saccente dei giovani di buona famiglia. Affianco a lui c’era un omino dai capelli grigi legati in una coda bassa il cui ghigno tagliente era reso ancor più irritante dagli occhiali da professore che gli scivolavano sul naso.
-Hai graffiato una macchina che vale più della tua reputazione, temo.-la voce dell’uomo con i capelli grigi sembrava quasi felice di poter pronunciare quelle parole mentre il volto del moro rimaneva impassibile ad analizzarlo.
Naruto contrasse le sopracciglia folte e bionde e strinse i denti: non poteva permettersi di protestare ma la fiamma che era la sua personalità non gli impedì di tacere.
-E tu che ne sai della reputazione, conciato come un pinguino?!
L’uomo sfoggiò a stento un’espressione contenuta, poi sorrise nuovamente in modo magligno.
-Dovrai ripagare il danno-aggiunse semplicemente intanto che qualcosa nello sguardo di Sasuke, si era acceso di curiosità, sebbene tentasse di rimanere apatico.
-Non ripagherò un bel niente, non l’ho fatto apposta. E poi con tutti i soldi che ha uno che si può permettere una macchina così, il danno è in grado di ripararselo tre volte da solo.
Percepì le guance, abbronzate e percorse da una serie di cicatrici orizzontali, accaldarsi e la rabbia salire assieme alla temperatura corporea. Non riusciva a sopportare chi se la prendeva per poco, segnato com’era da problemi ben maggiori, né la sua precaria pazienza gli consentivano di trattare con moderazione personaggi del genere di quei due uomini palesemente benestanti ed arroganti.
-Ancora una parola e sarò costretto a denunciarti per aggressione verbale.
Naruto stava per ribattere quando il finestrino oscurato dei posti posteriori si abbassò ronzando e dalla fessura che dava sull’interno si intravidero due occhi ambra dal taglio deciso e le pupille lievemente allungate verso l’alto.
-Va bene così, Kabuto. Sono certo che un giorno questo ragazzo ripagherà il suo debito.
-Il mio…
Sasuke sollevò una mano e per una volta qualcuno riuscì ad ammutolire la bocca larga dell’Uzumaki. Per qualche strana ragione quel cenno e quello sguardo erano riusciti a farlo star zitto senza bisogno di spiegazioni. Rimase in silenzio ad osservarli rientrare in auto e partire dalla piazza in cui era avvenuta la conversazione verso una delle strade principali.
Era ancora inebetito da quello strano ed inquietante incontro quando il cellulare vecchio modello che aveva da tempi immemori, squillò. 
Guardò il numero che era sconosciuto e sperò con tutto se stesso che la chiamata appartenesse ad una delle tante agenzie a cui aveva distribuito il curriculum assieme ad una parlantina incessante su quanto fosse in grado di svolgere i più svariati lavori, ma quando sollevò la cornetta la voce che sentì non gli comunicò nulla di buono.

La mattinata era iniziata come molte altre. Alle sette era già in piedi e dopo una doccia, Hinata si era preparata per andare a lavorare. Una semplice magliettina sopra ad un paio di jeans fuori moda erano il meglio che potesse trovare nel cassettino che le apparteneva.
Il colorito che aveva notato riflesso nello specchio tondo del minuscolo bagno non l’aveva preoccupata dato che la sua pelle era sempre stata chiarissima, così chiara da farla apparire quasi angelica sotto determinate sfumature di luce. Eppure sentiva di avere qualcosa che non andava. Un lieve dolorino al basso ventre e un senso di nausea non le avevano neanche fatto mangiare entrambi i biscotti di routine che le spettavano e quando si era diretta a piedi all’agenzia di pulizie, si era dovuta fermare diverse volte per placare quel fastidioso bruciore.
-Sta bene, signorina?- le aveva chiesto un vecchietto dallo sguardo mite.
Hinata, sorridendo commossa per quell’attenzione, gli aveva risposto di non preoccuparsi nonostante il malessere andava progressivamente aumentando. 
Fu mentre lavava i vetri di un ufficio da cui era stata chiamata che, improvvisamente, si sentì mancare. I suoi grandi occhi chiari cercarono aiuto nel panorama caotico e sfumato dell’ufficio mentre lei si portava una mano allo stomaco. Ricordava di aver indietreggiato tremolante dal vetro, con ancora la pezza bagnata in una mano, di aver cercato appoggio alla scrivania dietro la sua schiena magra e cinta dalla divisa, di aver tastato con le mani il vuoto ed aver percepito un urlo femminile. Poi il buio.
Ora si trovava sdraiata su un lettino nel pronto soccorso di uno degli ospedali centrali della città con una flebo conficcata nella tenera piegatura del braccio e la testa pesante. Pareva che i capelli liscissimi e profumati fossero diventati catene di piombo.
-Salve, come si sente?-un giovane donna poco più grande di lei l’accolse con un sorriso amichevole, entrando nella cameretta chiara.
Hinata cercò di sorridere e con un breve cenno del capo affermò di sentirsi molto stanca.
-Posso immaginare…-rispose la giovane dottoressa mentre si accomodava sullo sgabellino accanto alla barella ed accavallava le lunghe gambe magre-per una persona nella sua condizione è normale…
La voce parve tremarle ma Hinata non rimase a domandarsi il motivo. Anche se lo sguardo della donna si era coperto di una sorta di ombra, lei era spaventata e provata per essere in quell’ospedale e soprattutto era in ansia per Naruto che certamente, avvertito da qualcuno, doveva essere fuori di se per la preoccupazione. La Hyuga sapeva benissimo quanto lui si agitasse per lei e tentasse di proteggerla in modo quasi morboso da ogni cosa. Comprendeva di essere la cosa più preziosa che lui avesse ed oggetto su cui rovesciava tutto il suo sentimento,il quale corrispondeva poi nell’impegno di vederla serena. Hinata conosceva le fragilità più segrete del suo Naruto, quella costante sensazione di perderla, perdere la persona più importante della sua vita, perdere la fonte della sua forza e la ragione di tentare di migliorarsi.
-Nel… mio stato?-mormorò perplessa.
La dottoressa parve riscuotersi da una sorta di oblio ed esibì un’espressione stupefatta.
-Come non lo sa?
Hinata era visibilmente confusa e sempre più frastornata.
-Lei è incinta, cara.

Sasuke non era solito organizzare cose romantiche. Non era il suo forte esprimere i propri sentimenti in quel modo. Preferiva di gran lunga la galanteria e la gentilezza dei piccoli gesti. Non era bravo con le parole per giustificare il suo bisogno di fare semplicemente qualcosa di tenero per Sakura.
Lei non se ne curava, comunque. Le bastava che quel ragazzo dagli occhi apparentemente freddi e distanti, persi in chissà che malinconie, con le mani ampie e sempre poco calde, i movimenti sicuri e scostanti, le fosse accanto, mostrandole quel lato segretamente bisognoso di affetto e comprensione che non era accessibile quasi a nessun altro. All’inizio della loro storia, Sakura aveva visto Sasuke come una sorta di principe dell’oscurità e spesso era rimasta delusa da alcuni suoi comportamenti che a lungo aveva scambiato per disinteresse e apatia. Ma ora, dopo anni e anni di convivenza, aveva accettato l’Uchiha sotto tutti i suoi aspetti ed aveva preso consapevolezza di quanto lui le andasse bene così, con quei suoi modi a volte distaccati e la voce bassa. Aveva imparato a scoprire alcune facce dell’amore che non pensava potessero esistere e ad apprezzare il silenzio e l’azione più che i lunghi monologhi che aveva sognato le facesse per dimostrarle il proprio affetto. 
Quindi, quando quella stessa sera tornò al loro appartamento all’attico del grattacielo nella quarantacinquesima, dopo aver lasciato la valigetta da lavoro ad una donna di servizio, il suo cuore prese a battere furiosamente alla vista del modernissimo ed ampio soggiorno tutto addobbato per una cena al lume di candela.
-Bentornata-la salutò Sasuke dall’alto della scala che portava alla camera da letto.
Gli fece un sorriso intenerito e lo osservò scendere lungo i gradini con una bottiglia di champagne in mano.
-E’ un Roederer-le disse-uno dei migliori champagne francesi, offerto direttamente dagli Akimiji. Credo temessero che l’ultima volta fossimo andati via per noia.
Sakura non riuscì a trattenere una risatina.
-Tutto questo è…-le parole morirono mentre gli occhi ammiravano il tavolo imbandito da una tovaglia di seta candida, le candele piangenti rosso scuro, l’argenteria pregiata che attendeva solo di essere riempita dalle gustose pietanze che già inondavano la sala di aromi squisiti, la luce soffusa delle lampade a muro e la vetrata del terrazzo spalancata da cui proveniva la lo sguardo del cielo stellato.
-Mi andava di fare qualcosa di diverso-affermò sasuke, stappando la bottiglia-ma non di andare in qualche palloso ristorante a cinque stelle.
Sakura rise ancora mentre gli si avvicinava e si sistemava i capelli rosati dietro un orecchio.
-Così ho pensato di organizzare qui… credevo potesse farti piacere.
Si guardarono e Sakura lesse nel suo viso delicato i contorni di un desiderio inespresso. Capiva benissimo che quello era il suo modo per occuparsi di lei, per farla sorridere perché era diverso tempo che non riusciva più ad essere la ragazzina “noiosa” di cui si era innamorato senza nemmeno accorgersi e la cui presenza era divenuta indispensabile.
-Grazie Sasuke-sussurrò, carezzandogli la guancia.
Lentamente, entrambi si avvicinarono l’uno all’altra e si scoccarono un tenero bacio.
-Com’è andata oggi?-la cena iniziò ufficialmente con quella frase.
Sasuke sbuffò e lei capì che aveva qualcosa da dirle.
-Uno strano tizio dei sobborghi ha quasi litigato con Kabuto.
-Ancora Kabuto?! Questo significa che c’era anche…
-Orochimaru-sama, si, Sakura.
La rosa sospirò lievemente irritata mentre lui continuava a mangiare noncurante.
-Insomma… ma perché ti ostini a frequentare quell’essere? Non mi trasmette alcuna fiducia, te l’ho detto mille volte…
-Serve per l’azienda, almeno su questo Madara ha ragione. 
-Come se tu prendessi ordini-lo stuzzicò-potrebbe pensarci Itachi.
Sakura si sentì gelare dopo aver pronunciato quella frase così delicata e un’occhiataccia di Sasuke parve trafiggerla come una katana e farla sentire intimorita ed in colpa.
-Itachi è malato e non deve agitarsi oltre.- Furono parole secche, dette con una certa rabbia per ciò che il suo adorato fratello maggiore stava vivendo. Itachi era l’ultimo che gli era rimasto oltre allo zio Madara che ora gestiva parte dell’azienda proprio perché il più grande dei due eredi non stava particolarmente bene. La malattia lo costringeva spesso a ricoveri e controlli e non era in condizione di poter gestire gli incontri fuori sede e, in generale, gli affari. Anche se contava di rimettersi in fretta Sasuke insisteva con stizza ad occuparsi anche del lavoro del fratello e detestava quando Sakura pareva non capire quanto questo impegno lo stressasse e lo preoccupasse.
-Scusami…
Continuarono in silenzio finchè non fu nuovamente il moro ad intervenire.
-Comunque quell’idiota a momenti non si beccava una denuncia per aggressione verbale.
L’Haruno sbuffò:-Conoscendo Kabuto, avrà esagerato come sempre. 
Sasuke sorrise e la tensione si affievolì.
-Oggi una ragazza incinta è stata portata in pronto soccorso per un malessere… non sapeva di aspettare un bambino. Sono stata così indelicata a svelarglielo…
Le forchette dell’Uchiha smisero di tintinnare contro il piatto.
-Sembrava… così spaventata… Quando è arrivato il suo ragazzo hanno pianto insieme. Non credo fossero lacrime di gioia…
La ragazza ingoiò a stento il piccolo pezzo di pollo infilzato sulla forchetta e lo usò come espediente per non singhiozzare. Lo sguardo di Hinata le balenava ancora in mente come un’oscura profezia sul futuro della creatura che aveva nella pancia. 
La sala si riempì nuovamente di silenzio: in quel momento la il caso della vita apparve ad entrambi tremendamente sbagliato.

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