Final Fantasy IV Before - The Nightmare Within

di Final_Sophie_Fantasy
(/viewuser.php?uid=846114)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hunting a shadow ***
Capitolo 2: *** Rosa's Nightmare - Let's play... ***
Capitolo 3: *** Cain's Nightmare-The Dark Side ***



Capitolo 1
*** Hunting a shadow ***


L’estate era scesa calda quell’anno. Aveva posato le sue grandi ali sulla natura, trasformando i fiori della primavera in carnosi frutti, dipingendo i prati con colori ancora più intensi e portando sulla steppa di fronte al castello un’afa intensa. Solo sulle coste a est del regno batteva un vento rinfrescante che agitava  il mare contro la scogliera a strapiombo.
Nelle foreste fitte di larici e abeti che circondavano Baron, gli uccelli tacevano nell’arsura del sole del primo pomeriggio, i cervi pascolavano pigramente lungo le ondeggianti colline verdeggianti, un falco sorvolava la zona tranquillamente, virando verso le montagne per tornare al nido con la preda per i suoi pulcini. I ruscelli scorrevano calmi, freschi, deviando dal corso del grande fiume a nord, invitando la fauna di quelle terre a dissetarsi per trovare sollievo.
Inoltrandosi nel sottobosco, dove le folte chiome degli alberi coprivano le rigogliose felci dal sole, rinfrescando l’ambiente, si cominciava a percepire un lieve e dolce canto di una bambina accompagnato dallo scrosciare di un piccolo, sottile e diramato ruscello. In mezzo alle ramificazioni di quest’ultimo stava un grande masso coperto di muschio e licheni. Sopra vi era una ragazzina con lunghi e ariosi capelli biondi dai riflessi lucenti, raccolti in un’alta coda. Indossava una canottiera nera dalle maniche staccate. Sulla vita portava delle fasce e sulle piccole e magre gambe aveva dei leggins chiari, ai piedi sandali con i lacci che salivano lungo il polpaccio. Al collo aveva una collanina con una pietra di smeraldo e sulle spalle un corto mantello trasparente attaccato alla canottiera.
Le piccole mani giocavano con una margherita, perdendo i suoi petali candidi lungo il corso del ruscello.
La sua voce invadeva la foresta, riempiendola della dolce melodia.
I minuti scorsero lunghi e calmi, immersi nella cantilena, mentre i passeri correvano a posarsi sui rami per ascoltare l’infantile canto. La bambina emise una nota alta e un pettirosso rispose al verso. Lei sorrise, alzando gli occhi verdi verso il piccolo animale.
All’improvviso ci fu un rumore secco, di rami spezzati e la ragazzina con la coda dell’occhio vide un’ombra passare dietro di lei. Sentì chiaramente lo spostamento d’aria al passaggio, una presenza e la corsa di qualcuno davvero affiatato.
Gli uccelli si dispersero con confusione nel cielo, terrorizzati.
Allora la bambina sbarrò gli occhi e si guardò intorno, cercando la fonte di quel movimento. Ma nessuno, nemmeno in lontananza, sembrava esserci.
« Rosa! » Gridò una voce alla sua sinistra.
Seguirono dei passi affrettati che battevano scrosciando nell’acqua del ruscello e lei si girò, quasi sorpresa.
Vide un ragazzino sui dieci anni farsi avanti, zampettando nell’acqua bassa e sulle zollette di terra umida.
Indossava una maglietta scollata caramello, manopole d’orate sugli avambracci, segno che era di casa nobile, e la spalla sinistra era coperta da un semplice spallaccio. In vita aveva fasce tenute insieme da cordini, le gambe coperte da pantaloni leggermente larghi e stivali.
Sulla sua testa i corti e arruffati capelli platino  s’agitavano disordinatamente mentre le correva incontro.
Quando il ragazzino fu arrivato al masso si fermò a prendere fiato, poi con un profondo sospiro si ricompose e la guardò.
Rosa adorava vedere i suoi grandi occhi celesti, coperti da una lieve penombra che li rendeva ancora più luminosi e vivi.
« Cecil! Cosa ci fai qui? » Chiese lei, voltandosi per risedersi comodamente verso la sua direzione.
Il bambino s’avvicinò ancora di un passo:
« Sto cercando qualcuno… »
« Chi? »
« Non so neppure io chi sia! » Esclamò lui « Aspetta, ti racconto tutto: ieri ero al castello, nel cortile, e ho visto un tizio tutto vestito in nero che s’allontanava. Non so come abbia fatto a passare i cancelli d’entrata, perché le guardie hanno detto di non aver visto nessuno né entrare né uscire. Mi sono insospettito, l’ho cercato in città tutto il giorno ma non c’era. Poi questa mattina sul tardi l’ho rivisto passeggiare sotto la mia finestra e nessuno sembrava essersi accorto che c’era. Allora sono sceso e come sono arrivato nel cortile lui stava scappando. L’ho inseguito, sono passato per il canale del castello e sono uscito che ero in un angolo remoto della città. Poi è uscito per un secondo canale ed e fuggito qui nel bosco. » Raccontò Cecil, tutto agitato.
Rosa invece lo guardò un po’ per storto:
«Ma sei sicuro di non averlo scambiato per qualcun altro? Magari è uno che abita nel castello ed è nuovo del posto, forse un ospite… oppure è uno che ti sta facendo degli scherzi… »
Cecil scosse il capo e i suoi capelli bianchi ondeggiarono arruffati:
« No, Rosa! Era velocissimo! Un umano non corre così veloce. E i suoi passi non facevano rumore, come se non avesse i piedi… e poi nessuno a corte porta mantelli neri strappati. Non gli ho visto nemmeno il volto: aveva un cappuccio in testa. »
La bambina ora era un po’ scossa, glielo si leggeva nello sguardo:
« Che fosse… un mostro? » Azzardò con voce più bassa.
« Le guardie l’avrebbero visto. E comunque nessuno al castello sembra averlo notato… » Disse Cecil.
Dopo lunghi minuti di silenzio e di tensione, il bambino alzò lo sguardo verso Rosa e vide che era tesa.
Si sentì in colpa:
« Ti ho spaventata, vero? »
Lei scosse il capo, ma senza convinzione:
« No… è che… poco fa ho sentito qualcuno passarmi dietro e… penso che possa essere stato questo fantasma che hai visto… »
Cecil azzardò un sorriso, poi s’arrampicò  sul masso e si sedette vicino a lei. Le cinse una spalla con il braccio e con voce sincera le disse:
« Non c’è nulla di cui avere paura. Ti proteggo io, Rosa. »
Lei lo guardò e sorrise:
« Grazie Cecil! »
Rimasero così per qualche minuto, ad ascoltare i rumori della foresta intorno a loro.
Nel cielo erano comparse diverse nuvole e il sole scendeva lento e pigro verso l’orizzonte. Un debole e quasi impercettibile vento s’era alzato, proveniente dal mare.
Cecil decise di alzarsi e issandosi sulle punte dei piedi si sporse verso un albero, ruppe un rametto e innalzandolo come una spada esclamò:
« Forza, Rosa! Andiamo a cacciare questo tizio misterioso e smascheriamolo! »
Lei rimase per un istante pensierosa. Pensava che in fin dei conti fosse tutto uno stupido scherzo progettato, quindi annuì, sorridendo, e disse:
« Ok! »
 
 
҉҉҉҉҉҉
 
 
Cecil e Rosa camminarono per molto tempo nel bosco, seguendo l’intricato percorso del ruscello per avere un riferimento. Lui conosceva abbastanza il posto, ma avendo la responsabilità di badare a lei non rischiò di perdere la strada. Inoltre, le aveva promesso di farla tornare a casa entro sera perché in caso contrario la madre si sarebbe potuta preoccupare e anche al castello avrebbero cercato il Principe. Avevano ancora qualche ora del pomeriggio a disposizione, poi quando il tramonto si sarebbe preannunciato sarebbero tornati indietro.
Rosa sulle prime fu tranquilla, ma più andavano avanti, più il bosco s’infittiva, più la natura diventava selvaggia e più lei tendeva a stare attaccata a Cecil. Lui non era molto preoccupato, non ancora, doveva dimostrare di essere forte, per la sua amica, per sostenerla.
Presto il ruscello arrivò all’entrata di una grotta scavata in un enorme masso.
Si fermarono.
« Sono sicuro che è lì dentro. » Disse Cecil che avanzò il primo passo per entrare.
Ma Rosa lo tirò per la manica, fermandolo:
« No, Cecil! È pericoloso ed io ho paura… »
Lui la guardò a lungo, combattuto se costringerla o darle ragione.
Ma mentre i due riflettevano un rumore si fece sentire.
I due sobbalzarono.
Si guardarono intorno, persi.
« Ho paura… » Mugolò Rosa.
Cecil le fece segno di tacere e i suoi occhi nemmeno si spostarono a guardarla. Lui quasi perse un battito quando le mani tremanti di lei gli strinsero convulsamente la maglia da dietro.
Anche lui aveva paura, doveva ammetterlo.
Improvvisamente, il lieve vento portò con sé un soffio, il sospiro agonizzante di qualcuno che si confuse con l’afa calda. Le chiome degli alberi si mossero.
Rosa urlò.
Cecil si voltò per vederla correre via nel bosco.
« Rosa! Torna qui! » Urlò.
Non si fece scrupoli e la inseguì.
Che stupido sono stato! Che stupido! Si rimproverò in testa.
 
Rosa correva tanto veloce che lui ebbe difficoltà a starle dietro. Ma mantenne a tutti i costi il contatto visivo.
La bambina svoltò dietro una roccia, ma parve inciampare su qualcosa e Cecil udì il suo urlo mentre cadeva.
« Rosaa! » Gridò, arrivando anche lui dietro il grumo di rocce.
Ma anche il suo piede incappò sulla radice e si trovò a ruzzolare giù per un dislivello di qualche metro. Con le dita cercò di aggrapparsi a qualcosa, ma alzò solo foglie, terriccio e fango che lo imbrattarono da capo a piedi.
Dopo qualche altra capriola, arrivò sul fondo.
Era dolorante, ogni arto gli faceva male e aveva fango e foglie perfino in bocca. Sputò tutto e con la manica si pulì. Cercò di alzarsi in piedi, con continui capogiri, e le sue gambe tremarono per lo sforzo.
« Cough… Rosa… ? » Tentò di chiamare con voce rauca, bassa e dolorante.
Alzò lo sguardo e vide la bambina in piedi, anche lei sporca, che lo guardava con terrore.
Lui era all’incirca in piedi quando la vide allungare una mano verso di lui, forse per chiamarlo. Ma qualcosa gli finì addosso, rigettandolo a terra con la faccia di nuovo nel fango. Sentì un bastone premere contro il collo e qualcuno era seduto sopra di lui, che lo bloccava.
Sentì Rosa urlare:
« No! Cain! È Cecil! Lascialo! Fermo! »
Subito sentì il peso sopra di lui sparire e pure la pressione del bastone svanì di colpo. Così poté almeno issarsi sulle ginocchia doloranti, cercando di nuovo di pulirsi la faccia dal terriccio e dalle foglie.
Quando ebbe gli occhi puliti, si guardò intorno, confuso.
Rosa era ancora al suo posto e a sovrastarlo c’era un ragazzo di almeno undici anni, alto, snello e vestito anche lui con una maglia scollata e delle manopole in ferro. Aveva un’unica fascia in vita e una borsa posta dietro attaccata ad una cintura. Le lunghe gambe erano coperte da pantaloni aderenti e stracciati, ai piedi degli alti stivali. Lunghi capelli biondi erano legati a coda, mentre le ciocche più corte gli incorniciavano i lati della testa.
Il ragazzino lo guardava dall’alto e Cecil dovette alzare ancora di più lo sguardo per scorgere i suoi occhi rossi. Ancora non capiva che razza di colore avessero. Quando erano alla luce, diventavano marroni, ma quando erano in ombra nell’iride comparivano screziature vermiglie, accese, brillanti.
Lo vide porgergli la mano:
« Scusa Cecil. Ho visto Rosa scappare terrorizzata e preso dalla foga ti ho scambiato per il suo aggressore. »
Cecil accetto l’aiuto e una volta in piedi si scrollò lo sporco dai vestiti.
Subito Rosa gli si fece incontro con gli occhi lucidi, portandosi le mani alla bocca:
« Scusa, Cecil! Scusami tanto! Ho avuto così paura! » Pianse lei.
Lui sorrise e la prese per le spalle:
« No, sono io che ti devo chiedere scusa, non avrei dovuto portarti qui. Sono contento che tu stia bene. »
« Perché siete qui? » Interruppe Cain.
Il ragazzino si rivolse al suo amico:
« Sto seguendo un tizio vestito in nero da due giorni e oggi è fuggito nel bosco, dove ho trovato Rosa. Insieme stavamo andando a cercarlo, ma… cos’è questo posto? »
Cain guardò alle sue spalle senza voltarsi, rivolgendosi alla lugubre selva che s’apriva davanti loro:
« Siamo molto a sud da Baron. Credo che questa foresta ci divida dalle montagne che danno sul mare. Non so quanto sia ampia e nemmeno so in quale punto siamo. Non ho esplorato molto questa zona. »
Cain era sempre stato uno per le sue. Spesso spariva dal controllo di suo padre per andare a nascondersi nel bosco, per quanto seguisse regolarmente gli allenamenti. Ma era un trasgressore di prima classe e Cecil lo vedeva con il suo unico genitore solo quando era a lezione o quando veniva sgridato. Il padre di Cain, Richard, era un tipo davvero duro e severo.
« E tu perché sei qui? » Chiese Rosa a quel punto.
Cain la guardò ma aspettò prima di rispondere:
« Anche io a castello ho visto questa strana figura. Ero a dare il cibo al drago di mio padre quando è comparsa e nelle stalle dei Dragoni tutti gli animali hanno cominciato ad agitarsi. Non ho mai visto un drago ringhiare in quel modo… Ho immaginato che si sarebbe nascosto qui, allora sono venuto. »
« Ma non hai paura? » Chiese la bambina.
Lui la guardò, senza rispondere, per poi evitare lo sguardo di entrambi.
Cecil si voltò verso lo strapiombo da cui era caduto. Rifletté:
« È troppo ripido ed impervio per risalire… »
Cain gli si fece vicino:
« Se sapessi saltare abbastanza in alto vi riporterei in cima… »
Rosa era dietro di loro.
Fu per istinto, forse perché qualcosa dentro la istigò a muoversi che si voltò verso la selva oscura che s’apriva a sud.
Vide centinaia di tronchi venosi crescere dall’humus nero e umido, radici si contorcevano come serpi ferite, le foglie avevano i loro colori, ma erano spenti, opachi, come fossero prive di linfa vitale. Inoltre, in basso s’estendeva come un velo una nebbia fitta e lattiginosa, completamente fuori luogo in estate. Sembrava che lì l’estate fosse sparita.
« Cosa facciamo? Tra poco sarà sera e noi dobbiamo tornare indietro. » Sentì replicare Cecil.
Rosa fu scossa da un brivido alla vista di quel bosco.
« Cerchiamo un punto di risalita. » Disse Cain.
« D’accordo. » Annuì l’altro « Vieni Rosa, andiamo a casa. »
Una mano si posò sulla sua spalla e lei sobbalzò, voltandosi.
Incontrò i suoi occhi celesti, rassicuranti.
« Tranquilla, ci siamo noi. » Disse lui, sorridendo.
Lei annuì.
Così i tre presero un strada verso ovest, inoltrandosi nella selva.
Cecil e Cain circondarono Rosa da entrambi i lati, per proteggerla e rassicurarla.
I loro occhi scattavano in ogni angolo del bosco, attenti, guardinghi, ogni rumore era un avvertimento. Gli alberi erano mostri pronti ad assalirli, il terreno non si vedeva, coperto dalla nebbia lattiginosa che s’alzava al loro passaggio.
Camminarono per un tempo indefinito, senza sapere dove stessero andando, il cielo era ormai coperto dalle chiome scure e una cupa penombra era scesa sul luogo.
Poi un vento freddo prese a serpeggiare lungo i tronchi, ululando.
Rosa strinse la mano di Cecil e lui ricambiò la stretta. Spostò lo sguardo su Cain… ma lui non c’era più.
Si fermò, di colpo.
« Cecil…! »
Ma quando si voltò anche il suo compagno non c’era.
Infatti non sentiva neanche più il contatto con la sua mano.
Sobbalzò e guardò la foresta sommergerla.

 

Salve a tutti! 
Avrete già letto nella descrizione che sono nuova di questo genere ed è la prima volta che mi ci imbatto con i personaggi di FF. Quindi potrei non rendere bene gli effetti, anche se qui per ora non ce ne sono molti. Inoltre ho messo Yaoi perchè con Cain potremmo avere qulche piccola incongruenza, ma niente di terribile. Spero che il primo capitolo vi abbia  interessato, spero di pubblicare il secondo il prima possibile.
A presto!  

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Rosa's Nightmare - Let's play... ***


« Cecil!! Cain!! Rispondetemi! Per favore! »
I tronchi grigi degli alberi intorno a lei erano attraversati da profonde venature nere, disegnando facce di mostri orripilanti, mentre i loro rami sottili erano mani scheletriche pronte ad afferrarla; le foglie, ombre di spettri vaganti che oscuravano la rincuorante luce delle due lune.
« Dai! Non fatemi scherzi! Dove siete!? »
I suoi piedi incerti pestavano un terreno che lei non era capace di vedere, nascosto nel mare di nebbia tanto intensa da sembrare tangibile. Ma ad ogni passo portava dietro di lei uno sputacchio di vapore lattiginoso che spariva, disperso nell’aria fredda e immobile.
Vagava verso il buio che s’apriva davanti a lei, una vastità oscura incanalata nel bosco.
Pestò un ramoscello e quello gemette, assomigliando più ad un singhiozzo.
Rosa sobbalzò dallo spavento, indietreggiando, tremando, quando sentì qualcosa afferrarla da dietro per il mantello.
Gridò e si girò. 
Un ramo secco di un cespuglio morto si protendeva verso di lei come una mano artigliata.
La bambina ora aveva gli occhi lucidi, le sue iridi sembravano due grandi smeraldi luccicanti ora che erano velate dalle lacrime.
« Cecil!!! Cain!!! » Urlò, scappando « Io ho paura! »
Non le interessò più la direzione, tanto ormai era già persa da un bel pezzo. Ogni posto era diverso ed uguale allo stesso tempo. Il bosco cambiava strade, cambiava d’aspetto ma per lei ogni albero valeva comunque come quello precedente. Non sapeva dov’era, non sapeva dov’erano i suoi amici, i suoi punti di riferimento e non sapeva come uscire da quel posto.
Pensò a sua madre, a casa, preoccupata, che magari già la cercava, in ansia per aver perso anche la sua unica figlia.
Papà è morto per colpa di questi mostri della notte… che io debba morire come lui? Pensò, traumatizzata.
Inciampò in una radice e cadde, sparendo nella nebbia lattiginosa. Rimase a terra, lasciando che i singhiozzi venissero fuori e senza tenere alcun contegno, perché il suo pianto echeggiasse nel bosco e qualcuno, anche da lontano, potesse sentirla. Ma per lunghi, dolorosi, minuti ciò che le rispose fu l’eco dei suoi lamenti.
Nessuno verrà a salvarmi…, pensò, nascondendo il volto tra le braccia.
Rimase così, immobile, lasciando che la nebbia fredda la coprisse e che l’humus umido le bagnasse i vestiti.
Passarono forse ore, silenziose e tetre.
Era sicura di morire.
Sarebbe rimasta lì a morire di freddo, fame e sete.
Nessuno l’avrebbe mai trovata.
Sarebbe rimasta divorata da qualche mostro di passaggio, qualche lupo affamato l’avrebbe sbranata.
I suoi amici, sempre che fossero sopravissuti, non avrebbero più giocato con lei. 
E  sua madre sarebbe rimasta sola, senza più quello che lei rappresentava: la sua famiglia.
No, no, no… devo tornare a casa… devo trovare Cecil e Cain e devo tornare a Baron con loro. Cecil non mi abbandonerebbe mai e Cain è coraggioso; pensò, dandosi un minimo di forza d’animo.
Così si portò in ginocchio, alzò lo sguardo.
Gelò all’istante.
Cadde indietro e si spinse con gli arti tremanti lontano.
La figura non era molto alta, completamente coperta da un saio nero stracciato, sul volto una cappuccio abbassato che ne oscurava il volto, abbassato per fissarla con orbite inesistenti. Era lui, il tipo comparso sotto la finestra di Cecil, il mostro che tutti e tre si erano messi a cercare, era il motivo per cui si erano dispersi in quell’incubo.
La seguiva, senza concederle distanze:
« C-c-c-c-chi sei tu!? » Balbettò la bambina, arrivando con la schiena contro un muro.
La figura non le rispose, continuando a pressarla contro il tronco.
« Chi sei!? » Urlò lei.
L’elemento si fermò a pochissima distanza da lei, torreggiandole sopra.
Come vide le braccia muoversi, Rosa gemette e si coprì gli occhi, rannicchiandosi, temendo che l’aggredisse.
Ma le mani dell’essere andarono agli orli del cappuccio che fu tirato indietro rivelando un volto infantile.
Rosa aprì timorosa le palpebre e incrociò due grandi iridi celesti, contornati da un penombra ora più accennata e profonda.
Non voleva credere ai suoi occhi, non poteva semplicemente crederci:
« C-Ce… Cecil…? »
Il bambino la guardava, serio, quasi stupito di quella sua reazione.
« Sei… sei davvero tu? » Chiese Rosa, sempre più incredula.
Alla fine lui le sorrise:
« Sì, sono io. Perché sei così spaventata? Non c’è nulla da temere: adesso ci sono io qui. »
La mano del ragazzino le si aprì davanti, offrendole supporto per farla alzare. Lei guardò con occhi sbarrati il suo gesto, ragionando. E arrivò alla sua parte razionale.
S’arrabbiò, colpendo con la sua la mano dell’amico mentre s’alzava:
« Sei uno scemo! Non mi piacciono questi scherzi! Mi hai fatto prendere una paura terribile! »
Ora lo stava fronteggiando, il bambino era quasi esterrefatto del suo atteggiamento.
« Avanti! Stavamo solo giocando! » Replicò lui.
Rosa fu presa una rabbia ceca e lo spinse indietro:
« Non ci gioco più con voi due! »
Il volto di Cecil si chinò, rabbuiandosi di un’oscura penombra, mentre i suoi occhi che ancora la fissavano, ora silenziosamente irati, trasformavano il celeste in un bianco ghiaccio. Colore che tornò originale come vide la bambina pentirsi di averlo spinto.
Rosa evitò il suo sguardo:
« Scusa… scusa… io… non volevo spingerti… Ma sono molto turbata… »
Cecil le rivolse un sorriso luminoso e si avvicinò, poggiandole una mano sulla spalla:
« Non importa. Hai ragione, è stata colpa nostra. Forse abbiamo un po’ esagerato. »
Lei lo guardò dal basso, accennando un sorriso:
« Sono contenta che tu stia bene. Cain dov’è? »
Il bambino prese un portamento fiero, sorridendo, ma lei, non seppe per quale motivo, ci lesse solo malignità in quello sguardo:
« Abbiamo trovato la strada di ritorno, lui ci sta aspettando là. Vieni. »
E si voltò, facendo ondeggiare il saio nero alle sue spalle.
Rosa gli fu dietro a ruota.
 
Percorsero tutta la foresta, o forse buona parte, in silenzio. Ogni tanto, però, il bambino aumentava inspiegabilmente il passo, lasciandola indietro. Lei cercava con tutta sé stessa di stargli dietro, anche perché aveva ancora paura, e un volta fu costretta a chiamarlo:
« Cecil, aspettami! Vai troppo veloce! Non voglio restare indietro! »
All’inizio sembrava non averla sentita, poi era tornato al suo fianco.
Erano forse verso la fine del loro tragitto che Cecil le disse:
« Sai, io e Cain sapevamo che avresti potuto prendere un grosso spavento, così abbiamo deciso che per chiederti scusa giocheremo tutti ad un gioco tranquillo, così ti rilasserai. »
« Che gioco? » Chiese Rosa.
« Sorpresa… » Rispose.
 
Arrivarono in un posto che Rosa sentiva di aver già visto prima.
Poi tutta’d’un tratto ricordò di essere nel posto in cui lei aveva preso a scappare per i terribili rumori che erano arrivati dal bosco, spingendo Cecil ad inseguirla.
La grande roccia era lì, ma il muschio era nero e il torrente quasi disseccato aveva un inquietante colore rosso.
Cecil era perfettamente a suo agio ma Rosa, fissando il rivolo “d’acqua” chiese, inquietata:
« Cecil… cos’è successo qui? Perché è tutto così lugubre? »
Il bambino era andato avanti, mento alto, verso la roccia e ci si era appoggiato:
« Io e Cain abbiamo deciso di allestire la cosa. E lui voleva una parte rilevante nel gioco, così l’ho accontentato… »
Rosa lo guardò interrogativa.
Il bambino le sorrise:
« Nascondino. Si è nascosto. Trovalo, non è poi molto lontano. »
Così Rosa, seppur inquieta, in totale silenzio prese a cercare, senza mai allontanarsi troppo dalla roccia.
Controllò dietro gli alberi circostanti, scostò con le mani nella nebbia per aprire un poco la visuale. Poi andò a fare il giro della roccia, arrivando anche ad arrampicarcisi sopra, visto che l’amico adorava stare in punti alti. Finché, sconfitta, andò da Cecil, ancora fermo in quella posizione, e scosse il capo:
« Mi arrendo. Dai, fallo uscire e andiamo a casa, sono stufa di giocare. »
« Non andiamo finché non lo trovi. » Fu l’improvvisa risposta di lui.
Rosa rimase di sasso.
Perché si comportava così? Era così… serio, poco affidabile… e quel sorriso non era il suo, questo era cattivo, finto.
« Ma non so dove cercare! » Ribatté lei.
« Ti do un aiuto. Hai guardato ai lati e sopra la roccia… ma sotto… » Replicò lui.
Lei lo guardò male, poi fissò la crepa dove il torrente s’inabissava e contenne un brivido. Tremante, s’avvicinò lentamente all’entrata oscura. Si sporse oltre. Dentro era tutto buio. Non voleva entrare, anche perché dall’aria di chiuso la grotta doveva essere piccola.
« Dai Cain! Lo so che sei qui! Vieni fuori! »
Ritornò solo l’eco delle sue parole.
Tornò composta ed improvvisamente sentì le mani di Cecil bloccarla per le spalle. La bocca del bambino s’avvicinò al suo orecchio e con un sussurro a fior di pelle che la lasciò stizzita, disse:
« Non lo troverai mai. Lui non verrà mai. Lui non giocherà più: ha perso. »
Rosa istintivamente abbassò lo sguardo e volle gridare quando vide una mano spuntare dal buio della crepa. Era lasciata morta sotto l’acqua rossa del torrente. Abbandonata, priva di vita.
« Cosa… cosa… hai fatto!? »
Cecil sorrideva:
« L’ho ucciso, così giocheremo solo noi due… lui non interferirà più. »
Rosa si ribellò e tremando s’allontanò dal bambino.
Gli occhi di Cecil ora erano bianchi, il vestito strappato s’agitava, mosso da un vento quasi etereo.
Lei aveva il cuore in gola:
« No! NO! Tu l’hai ucciso! HAI UCCISO CAIN!!! »
Cecil le porse la mano:
« Vieni, Rosa! Giochiamo! »
Rosa indietreggiò, intrappolata in quegli occhi gelidi:
« NO! No! No! No! »
« Giochiamo! »
« NOO!!! Stammi lontano! Tu non sei Cecil! Tu non sei il mio Cecil! » Urlò lei.
« Ma sì, sono io! Vieni, Rosa! Giochiamo! » Ripeteva lui, levitando verso la sua figura tremante.
« Giochiamo! »
Rosa sentì una seconda voce venire da dietro. Si voltò e si trovò di fronte ad una copia.
Scattò indietro, gridando.
Poi ne ebbe una terza di lato.
« Giochiamo! »
« Vieni, Rosa! »
« Giochiamo insieme! »
Ovunque i suoi occhi guardassero, c'erano quegli iridi bianchi a fissarla.
Le teste folte di capelli bianchi e smorti dondolavano da una parte all'altra in un­ eterna cantilena.
« Vieni! »
« Giochiamo! »
« Giochiamo! »
Rosa s'afferrò i capelli e gridò
« Basta! Basta! BASTAAAA!!!! »
Improvvisamente tutto si spense come le sue ginocchia toccarono il terreno.
La cantilena di centinaia di voci finì.
Rosa piangeva, piangeva, coprendosi la faccia con le mani.
Poi sentì delle braccia avvolgere le sue spalle tremanti.
Le scappò un lamento e una voce, la sua vera voce, le disse, tremando anche lui:
« Sssh, sono io… ti ho sentito urlare… scusa, Rosa, scusa… non avrei mai dovuto portarti con me… » Percepì il suo brivido sul suo corpo « … sono contento che tu stia bene… »
Lei si rintanò nel suo petto, piangendo sommessamente, e lui la strinse, coprendola con il corpo, e poggiando la testa sulla sua.
Sentì le lacrime del bambino scendere fino a bagnare le sue guancie.
Allora seppe che era davvero lui.



 

Salve a tutti!
Beh, diciamo che sto sperimentando com'è scrivere cose inquietanti... ragazzi, mi viene la fifa solo scriverle. Sono una persona facilemente influenzabile, sto combattendo contro le paure che più o meno corrispondono a queste. Poi se vi fa paura o meno sta a voi vedere.
Ci si vede al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Cain's Nightmare-The Dark Side ***


Era tornato solo.
Solo come era stato al principio di tutto. Non che gli fosse mai stato estraneo quello stato di essere. Ma in quel momento, lo era più che mai.
Si sarebbe aspettato di tutto da quel bosco, ma mai che gli rubasse anche gli amici.
Quella foresta era divenuta ladra del suo tempo, della sua infanzia, e ancora gli prendeva inesorabilmente le ore della sua vita. Un furto che lui gradiva e permetteva.
Concedeva al silenzio e alla natura di avvilupparlo con catene infrangibili, lo teneva imprigionato lì, lo rendeva una parte di sé, un amico e un compagno. La sua casa che lo rapiva. Questo era diventato per lui il bosco vicino a Baron.
Scappava lì, quando gli occhi del genitore si spostavano lontano dai suoi. E sorrideva.
Ma ora che la natura aveva osato troppo, lui si sentiva in dovere di rivoltargli contro il suo disprezzo. Con lui poteva giocare, con Rosa e Cecil neanche un po’.
Loro erano intoccabili, loro erano giusti, loro erano puri.
Lui no.
Loro dovevano tornare indietro per forza, Cain, invece, poteva restare nell’oscuro per quanto voleva, le tenebre della notte non lo ferivano affatto.
E combattendo contro il buio, la sua ricerca era iniziata, silenziosa. Dopotutto, gridare non sarebbe servito in quel vuoto. Non che cercare così superficialmente fosse meglio.
Ma una parte di lui condivideva quella tetra quiete, la sua mente non si poneva quasi più la domanda di dove fossero i suoi amici… perché lui cercava qualcos’altro. O almeno, questo era la spiegazione che dava al suo comportamento.
 
« Dillo… »
Cain diventò di masso sul posto.
Sguardo basso.
Occhi rossi infissi sul terreno.
Quella voce… L’aveva sentita davvero?
Il silenzio accolse le sue orecchie e nel petto sentiva di aver trovato qualcosa. Il fine della sua inconsapevole ricerca era vicino.
« Dillo che mi vuoi… »
Rimase fermo, la nebbia sembrava diventare più fitta.
« Dillo che hai bisogno di me… »
Ma… quella voce… era così simile alla sua. Era così poco distante, così affiata su di lui, così oppressiva e sensuale.
I suoi occhi andarono a spalancarsi, le pupille a ristringersi dalla consapevolezza, mentre nell’animo sentiva un peso crescere e alle spalle una pressione d’aria, una presenza.
« Dillo… » Un fiato soffiò sull’orecchio.
Cain scattò e con il bastone colpì alle sue spalle. Ma il legno tranciò solo l’aria con un basso fischio.
Il cuore batté forte.
Gli occhi vagavano nella nebbia.
« Perché hai paura? »
Cain sobbalzò ma scosse il capo.
Nessuno poteva osare di dirgli che aveva paura. Lui non ne aveva.
« Non ne ho! » Disse, rispondendo a chi lui ancora non conosceva né vedeva.
« Perché ti illudi da solo? Sapevi che sarei venuto. L’hai sempre saputo. »
Lui strinse i denti e si muoveva verso ogni direzione, cercando ancora.
« No… »
Ci fu una risatina ghignosa di bambino.
« Chi sei!? » Urlò Cain.
Cercava. Con vista, orecchie, animo.
« Che intransigente sei! Non credevo mi volessi così tanto. »
Lui sospirò.
Si fece coraggio, pronto a vedere qualunque gli si fosse parato davanti:
« Sì! Voglio vederti! Ti voglio! Vieni e mostrati! Codardo! »
L’ultima potevo risparmiarmela…, pensò, sentendo l’atmosfera scendere fitta in un’afa di tenebra.
Vide la nebbia muoversi davanti ai suoi occhi e strinse il bastone.
Il velo lattiginoso si raggrumò in lunghe e sottili composizioni che si unirono a formare uno scheletro. Si solidificarono in ossa, sopra le quali crebbero organi, muscoli ed infine uno strato di pelle nera.
Una figura.
Un bambino.
Cain perse il respiro.
Era lui.
Il suo clone era chino su sé stesso, poggiato su gambe instabili, coperto di pantaloni e maglia ridotti a stracci marci. I lunghi capelli erano disordinati, raccolti in una coda identica alla sua, neri invece di biondi.
Il capo si mosse, un’inquietante scricchiolio venne dal collo.
Comparvero due occhi cupi, solo l’iride rosso brillava in quelle che sembravano orbite vuote. Lo fissarono di sottecchi, sulla sottile bocca un sorrisino.
Cain non poté risparmiarsi un passo indietro quando lo vide portarsi composto nella postura in un continuo suono di ossa mosse ed incastrate mentre prendevano posto.
« Ciao, Cain. » Disse la figura, con la sua stessa, identica, voce.
Lui non rispose.
Vide il capo scuro chinarsi di lato, il sorriso incancellabile dal suo volto:
« Ti stupisci? »
« Cosa sei? » Chiese, la voce ora meno decisa.
« Sono te. »
« Non scherzare. Faccio sul serio. Dove sono Cecil e Rosa? Cosa gli hai fatto? » Replicò.
« Non lo so e non mi interessa. » Fu la risposta che sembrò venire dalla stessa persona.
« Lo so che sei stato tu! » Disse Cain a voce più alta, infastidito che i loro toni fossero così uguali.
Ricevette una scossa di capo come risposta.
Cain montò sulle furie e sapeva che presto avrebbe perso il controllo.
« Sei un mostro… » Disse, tornando sull’argomento iniziale.
« Non credevo che ti avrei stupito così tanto. Credevo mi conoscessi abbastanza. Ma d’altronde sei ancora un bambino incosciente. » Disse la figura, diventando seria solo per un istante.
« Smettila di parlare così! Dimmi cosa sei, una volta per tutte! »
Una serie di bianchissimi e luminosi denti comparve dietro le labbra ritratte in un sorriso. Cain gelò come vede due canini lunghi come zanne brillare.
« Come hai cominciato a vivere, così io ho preso a condividere questa tua esistenza. Le tue emozioni, i tuoi pensieri, i tuoi ragionamenti, le tue sensazioni sono parte di me. Io solo un contenitore della tua energia oscura che porti in corpo. Un tempo questo tuo potenziale non era abbastanza per permettermi anche solo di possedere un corpo, ma ora che ne hai nutrita a sufficienza, sono stato capace di costruirmene uno materiale. » Si guardò le mani nere, dalle vene attraversate di sangue oscuro « Devo dire che non avevo mai provato una pesantezza del genere… Sei più leggero nel corpo che nell’animo… il tuo odio pesa di più… »
Sorrise, guardandolo con occhi socchiusi.
Cain stava ancora rimuginando sulle sue parole.
Non voleva credergli, ma sentiva dentro che non stava affatto mentendo.
« Di che odio parli? Io non provo alcun odio. » Disse, sentendo di dire il falso.
« Oh, tu ne provi. E posso anche elencarti verso chi… la tua lista non ne è sprovvista. » Gli occhi divennero improvvisamente sinceri, seppur ancora ridenti di una perversione che stava andando crescendo nel semplice sguardo « L’odio che provi per nostro padre. Lui non ci tratta come dei normali bambini e da una parte nemmeno lo vogliamo. Vogliamo invece la fama, la forza, l’onore che cerchiamo con le nostre sole capacità. Richard non deve interferire con la sua serietà e con il pugno di ferro. E ti dirò di più: la sorte ci verrà incontro. Il Capitano dei Dragoni morirà in sella al suo glorioso drago, l’armatura d’oro non lo difenderà dalla volontà di suo figlio… »
Cosa dice? Cosa diavolo sta dicendo!? Pensò, ma quando gli nacque la domanda se davvero lui provava questo per suo padre, preferì quasi non sentire la sua stessa risposta.
« E c’è l’odio per il tuo amico. » Sorrideva e lui aveva gli occhi sbarrati « Sì… Cecil… Perché lui avrà il trono, avrà il potere, avrà un regno, avrà una flotta, il potere di un Cavaliere delle Tenebre, un cavaliere oscuro che dominerà su tutto e avrà al fianco la sua donna… la nostra donna. »
Rosa…
« Esatto… lei… il nostro amore, il nostro desiderio. Ma tu sei un cuore buono, morbido, tenero, dietro quella scorza che ti fai giorno dopo giorno, con il rimorso di non poterle dire “ti voglio bene” perché è arrivato per primo il tuo amico a confessarglielo. »
Cain sentì un dolore al petto: quelle parole lo ferivano e rendevano i suoi occhi doloranti per il rimpianto che sentiva premere dentro.
« Lo faccio perché voglio bene ad entrambi. Voglio che stiano bene e farò di tutto per mantenerli felici come sono ora. »
« Permettendoti di marcire e di morire nel dolore che ti procuri da solo? » Fu la domanda.
Cain chinò il capo.
Corrugò la fronte e gli occhi nacquero di determinazione. Quella era una convinzione su cui non vacillava:
« Sì. »
La figura s’avvicinò in un lugubre passo ciondolante che sparì quasi subito come le gambe trovarono equilibrio. La distanza improvvisamente diminuì in un battito d’occhio.  Come Cain lo vide torreggiare su di lui, alzò il bastone in orizzontale per difesa e due mani nere lo afferrarono. Un collo magro si sporse verso il suo viso, pochi centimetri di distanza.
« Un giorno morirai per questo se non ti lasci andare! » Disse l’oscuro bambino.
« Se questo aiuterà a far sparire anche te! » Gridò in risposta Cain, cogliendo l’occasione per sputarglielo in faccia.
Il clone sembrò rimanere più stupito dal suo coraggio che offeso.
Ma proprio quando Cain pensava di aver avuto la prima soddisfazione, in risposta arrivò uno sguardo perverso, sensuale, desideroso… affamato.
« Sarò io a costringerti… » Gli sussurrò a fior di pelle « Prova a resistermi… »
Cain fissò la creatura negli occhi, così simili ai suoi, così desiderosi, così… reali. Erano una calamita, non riusciva a staccarsi dal suo sguardo famelico.
Il corpo nero premeva su di lui, spingendolo in basso, facendo piegare le gambe. E nel petto sentiva un peso, quasi il clone cercasse di sopraffarlo anche nell’animo.
Cain oppose resistenza, risvegliando i sensi e strinse i denti: la creatura non cedeva.
I denti bianchi e le zanne al posto dei canini ricomparvero, vicinissimi alla sua pelle. Il mostro rise, divertito dalla sua ingenuità. Lui non poteva sostenere quella risata che cresceva e prese a strattonare il bastone tra le loro mani, cercando un distacco.
« Lasciami… lasciami! » Mugugnava nello sforzo di opporsi.
Ma l’intera situazione lo lasciava confuso, lo rendeva più debole di quanto volesse.
E quegli occhi… quell’immagine di specchio resa oscura era traumatizzante, ma mai quanto sentire la sua voce incrinarsi in quel desiderio perverso.
Il suo contegno era sempre andato prima di tutto all’atteggiamento, al portamento e al tono, mai incrinato di una nota. Ma sapere che sarebbe stato capace di storcerla in tale maniera… lo faceva sentire lui stesso un mostro.
Le mani del clone erano ferree sul bastone e sembravano non volerlo lasciare per nessuna ragione. La risata malefica ormai raggiungeva un tale tono che gli feriva le orecchie.
Vide la figura prendere improvvisamente la situazione in mano e lo spinse violentemente indietro.
Lui non sarebbe mai caduto se gli occhi fossero stati catturati dai canini sguainati di nuovo.
Si trovò per terra, costretto contro un albero. Il bastone era sfuggito dalle sue mani.
Portò una mano alla fronte, gli girava la testa improvvisamente.
Quando alzò lo sguardo gli occhi rossi del clone lo guardavano pieni di gioia perversa. Volle muoversi, ma in un istante il corpo del mostro gli bloccò la via di fuga. Ora che era chino, quasi addosso, a lui, Cain poteva chiaramente vedere le costole spuntare sotto la pelle, i fianchi ristringersi eleganti sotto la maglia blu notte strappata. Le gambe magre e nude sfioravano le sue, facendogli sentire una pelle ruvida e fredda. Le mani avevano preso a stuzzicare lo scollo della maglia.
Cosa sta facendo? Perché non lo sto fermando? Si chiedeva, guardando in basso non trovando più coraggio dentro di sé.
« Perché nessuno può ritrarsi da me. Tu mi vuoi. » Rispose la sua voce in un sussurro che gli fece accapponare la pelle.
Cain alzò lo sguardo.
Ora i suoi di occhi erano diventati quasi supplichevoli, avevano perso il ghiaccio in loro, sciolto, e ora erano quelli di un bambino perso e che chiedeva pietà.
La creatura fu spietata e una mano gli prese il mento, bloccandogli la testa:
« Vediamo quanto resisti al tuo lato oscuro… alla mia tentazione… » Replicò con voce impercettibile.
Cain lo vide chiudere gli occhi di sangue e avvicinarsi ancora. Vicini. Ancora. Ancora…
Sentì delle labbra ruvide premere contro le sue e scattò all’istante indietro, trovando però il duro del legno che lo bloccò. Nel panico, le sue mani fiondarono in un lampo alle spalle del clone, afferrandolo con le unghie e spingendolo lontano. Ma l’oscura figura era irremovibile, le mani nere gli correvano sui fianchi, facendolo impazzire.
Sentiva la saliva della bestia imbrattargli la bocca come un veleno, la faceva bruciare, ustionante. E il clone volle di più, premendo di più, come se volesse sbranarlo sul posto. I denti scintillanti presero a torturargli la lingua, affilati come coltelli, ferendolo, facendolo gemere in lamenti soffocati che sentiva riecheggiare in entrambe le gole.
Mosse le gambe per cercare di allontanarlo almeno con i calci, ma sentì un ginocchio spigoloso premergli in mezzo alle gambe e bloccarlo dallo stupore.
Non puoi resistermi… Non puoi scappare da ciò che sei… Puoi solo godere di ciò che ti sto offrendo… , sentiva ripetere nella sua testa dalla sua stessa voce.
Non cadrò… non devo! Si gridò.
I denti strinsero sulla lingua, schizzando il suo sangue nella bocca di entrambi, mischiandosi alla saliva velenifera, colando ai lati della sua bocca.
Cain contenne un grido tra il dolore e il disgusto.
Combatti quanto vuoi Cain Highwind… Tu non avrai mai la vittoria… Solo il piacevole dolore della mia esistenza in te.
Cain sentì la bocca concedergli aria solo dopo pochi minuti, che lui passò combattendo contro una parte di lui che gli sussurrava di cedere.
Si ritrovò ansante, cercando ossigeno. Ma intorno a lui non ce n’era molto, come se fosse rinchiuso da ore in una scatola. Sudava. Il sangue gli imbrattava le labbra, scivolando e gocciolando dal mento.
Gli occhi luminosi del mostro lo fissarono, vicinissimi, terribilmente uguali ai suoi.
La bocca famelica scivolò a fior di pelle sul suo collo e Cain capì.
Vide chiaramente lo scintillio dei denti e si dimenò, scoprendo di non poter più parlare per la lingua dolorante e sanguinante. Ma il ginocchio nei punti bassi lo costrinse di nuovo all’immobilità.
E li sentì premere contro la carne. Bucarla come aghi e penetrare.
Cain gemette, ormai senza più contegno.
Il collo divenne rigido, il dolore insopportabile, lui impazzì, raggiungendo la soglia.
Afferrò i capelli neri e li tirò; la risata divertita e soffocata del mostro lo fece vibrare fin nelle ossa.
Il sangue caldo prese a colare e la bocca ruvida prese a succhiare, bramosa di quel sapore ferreo, senza concedere ad una sola goccia di scappargli.
Cain era distrutto, sull’orlo del cedimento. Avrebbe voluto piangere, ma non se lo voleva concedere: le lacrime non avrebbero risolto nulla. Al clone non sarebbe arrivato nessun segno di compassione, solo gioia nel vederlo perdersi. Ma la debolezza a cui era costretto lo traumatizzava, lo sfiniva, lo feriva.
Non credevo che il mio sangue fosse così buono…, sentì la sua voce in testa.
Strizzò gli occhi, strinse i denti, le unghie graffiarono la sottile pelle nera delle spalle mostruose.
Rabbia.
Rabbia.
Rabbia e ancora rabbia.
Non avrebbe permesso una tale sottomissione. Non una tale sconfitta da sé stesso. Non queste ferite generate soltanto da lui. Se avesse ceduto, Cecil e Rosa sarebbero stati le prossime vittime a subire questa tortura e lui non sarebbe più stato capace di controllarsi. Il solo pensiero di vedere i suoi amici al suo posto, tra le grinfie di quell’orribilità lo fece imbestialire. Le lacrime di Rosa traumatizzata e supplicante, gli occhi azzurri di Cecil guardarlo con un profondo senso di tradimento.
No, mai.
Mai avrebbe permesso questo.
Mai!
Mai!
Caricò tutta la sua forza d’animo in un pugno e con un colpo preciso, affondò nel ventre del clone, urlando contro il dolore:
« MAII!! »
La creatura fu strappata violentemente dalla sua attaccatura da sanguisuga, e rilasciando una scia di sangue fresco fu spinta via, lontano, rotolando nella polvere e nella nebbia lattiginosa.
Cain aveva le gambe che tremavano, dolore ovunque, ma si alzò, reggendosi e strisciando contro l’albero dietro di sé. Gli occhi furibondi impalati contro il mostro nero che si rialzava, emergendo dal velo bianco.
Si guardarono.
Poi la creatura sorrise:
« Ah… che illuso sono… »
Cain gli si sarebbe avventato contro, desideroso di spargere il suo di sangue. Ma sapeva di non essere in forze  per fare ciò. Si limitò a deturpare la faccia colante sangue in un ringhio tanto feroce da sembrare pazzoide.
« Tutti questi sforzi non ti serviranno a niente. » Replicò ancora, alzandosi in piedi « Io crescerò con te, diventerò tanto forte quanto lo sarai tu, diventerò l’onore e l’incubo di Baron allo stesso tempo, diventerò amico e nemico dei miei amici, diventerò forte e debole allo stesso tempo. »
« Tu sparirai. Per sempre! Perché sarà la mia volontà a non permetterti più nulla! » Gridò lui in risposta, massacrando la lingua per lo sforzo a cui la sottoponeva.
Tornò quel sorriso maligno:
« Fino al giorno in cui qualcuno non aprirà la mia prigione… e mi scatenerà contro coloro che tu ami. E tornerò ancora, fra molti anni. E tu mi rivedrai, in uno specchio, tornare in questa forma, con questa voce, a chiamare il tuo nome… a tradire quelli a cui più tieni. E dal momento in cui verrò liberato, tu non avrai più pace. »
« Non permetterò a nessuno di farti ritornare. E se lo incontrerò, lo ucciderò! » Sentiva di poter tenere il confronto.
Ma il corpo del bambino fu improvvisamente scosso in convulsioni, un dolore cresceva dentro il corpo oscuro e Cain lo vide gemere ed emettere un ultimo grido mentre s’impiantava le dita nelle tempie, come una spina che gli trafiggeva la testa.
Il corpo magro crebbe di misura e venne coperto di un’armatura nera, un enorme mantello lo coprì ai suoi occhi. E quando il tessuto fu scostato da un braccio, la trasformazione era completata, rivelando un uomo imponente, torreggiante su di lui, un elmo cornuto e il volto coperto da una sottile visiera oltre il quale brillavano ancora i suoi occhi rossi.
Cain tremò ed ebbe paura.
La voce che ne venne fuori  fu una fusione tra la sua e quella bassa e potente di un uomo:
« Ricorda questo volto, Cain! Perché un giorno tu dovrai trovare il coraggio di affrontarlo, resistergli ed eliminarlo! »
La sua risata invase la foresta. Divenne austera mentre l’elmo sembrava venire bruciato via in cenere per rivelare ancora la copia del suo volto infantile.
All’improvviso, la figura prese a levitare.
Gli si fiondò addosso con le zanne aperte in un grido acuto, i denti ed i canini scintillanti. Cain volle coprirsi ma non fece in tempo e si sentì venire spinto lontano.
Rotolò per metri e metri, l’urlo pazzo ancora nelle orecchie, mentre il mondo vorticava.
Quando si fermò, al petto sentiva un fortissimo dolore, tanto che portò la mano in quel punto emettendo lamenti contenuti.
Rimase così, dando la schiena tremante al cielo invisibile, il viso nascosto nel braccio steso e le dita contratte sul suo corpo, il sangue a sporcargli i vestiti.
Tutto intorno a lui era silenzio.
Il silenzio che lui conosceva.
La foresta che lui conosceva.
La ladra che tornava a derubarlo del tempo.
E lui tornò a desiderare quel furto eterno.



 

Salve a tutti!
Scusate l'immenso ritardo di qualche mese ma l'ispirazione proprio non veniva ed essendo Cain il mio personaggio preferito ci tenevo molto a scrivere bene questo capitolo. Fa strano, non scrivo quasi mai cose così, ma non è dispiaciuto poi così tanto. Provare non fa male, giusto? Grazie al cielo esistono musiche che sanno far venire le idee! :D
Bene, al prossimo capitolo! 


 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3352975