Time is up -Heroes

di _Wonderwall_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
 
 
 
Un rintocco.
Due rintocchi.
Tre rintocchi.
Quattro. Cinque. Sei.
Shailene contava i secondi che passavano.
Sette. Otto. Nove.
Non si muoveva, restava immobile aspettando un qualunque cambiamento.
Dieci. Undici. Dodici.
I secondi sembravano infiniti. Cinque minuti. Solo cinque minuti.
Tredici. Quattordici. Quindici.
Era ancora bagnata. Era ancora sporca.
Sedici. Diciassette. Diciotto.
Sentì il respiro mancarle e avvertì un’altra crisi di panico.
Diciannove. Venti. Ventuno.
Non riusciva a toccarsi. Non riusciva a guardarsi. Chiuse gli occhi.
Ventidue. Ventitré. Ventiquattro.
Morse il labbro inferiore e si pentì subito dopo, avvertendo il sapore del sangue nella bocca. Strizzò gli occhi, non voleva piangere.
Venticinque. Ventisei. Ventisette.
Perché Madama Chips non tornava?
Ventotto. Ventinove. Trenta.
Il cuore accelerò la sua corsa.
Trentuno. Trentadue. Trentatré.
Sentì il vestito ancora appiccicoso attaccarsi alla pelle come una trappola, come una gabbia che la imprigionò senza darle via di fuga.
Trentaquattro. Trentacinque. Trentasei.
Si concentrò sull’altro respiro nella stanza.
Trentasette. Trentotto. Trentanove.
Un rumore di porte.
Quaranta. Quarantuno. Quarantadue.
Shailene contò ad alta voce.
Quarantatré. Quarantaquattro. Quarantacinque.
Due mani le afferrarono le braccia e la scossero, cercando di attirare l’attenzione.
Quarantasei. Quarantasette. Quarantotto.
Shailene non voleva nessuno.
Quarantanove. Cinquanta. Cinquantuno.
Voleva stare sola.
Cinquantadue. Cinquantatré. Cinquantaquattro.
Un urlo che Shailene nemmeno sentì.
Cinquantacinque. Cinquantasei. Cinquantasette.
Uno schiaffo la colpì in viso.
Cinquantotto. Cinquantanove. Sessanta.
Finalmente solo quattro minuti.
Solo quattro minuti e sarebbe finito tutto. Madama Chips sarebbe tornata e l’avrebbe aiutata. Ed avrebbe aiutato Axel.
Altre mani l’afferrarono per le spalle e la scossero più forte, cercando di svegliarla. Cercando di attirare la sua attenzione.
<< Shailene, rispondimi >>
Urla. Shailene sapeva di conoscere quella voce, ma non sapeva a chi apparteneva. Non era quella dell’infermiera e tanto le bastava. Non voleva svegliarsi, non voleva. Aveva paura di quello che avrebbe potuto trovare.
<< Shai, ti prego >>
Un’altra voce, questa volta femminile.
<< Devi ripulirti >>
Lei ignorò tutte quelle voci, rilegandole in un angolo lontano del suo cervello. Non voleva più sentirle.
Tre minuti e mezzo.
Qualcuno le alzò il viso e cercò di fissarla negli occhi, trovandoli vuoti. I capelli ancora sporchi di sangue erano attaccati al viso, anch’esso rosso cremisi.
Tre minuti.
Shailene avvertì d’un tratto la sensazione del sangue su tutto il corpo, il sangue che la ricopriva, il sangue che si stringeva sulla sua pelle.
Due minuti e mezzo.
Un odore di morte insopportabile le colpì il naso e si accorse che stava per svegliarsi. Riconobbe la lucidità che si faceva spazio nella sua mente.
Due minuti.
Sentì il sapore del sangue.
Un minuto e mezzo.
Il cuore aumentò il ritmo del suo battito.
Un minuto.
Il respiro accelerò.
Trenta secondi.
Shailene era lucida.
Zero.
Urlò.
 
 
 
Sentì le mani di Lily percorrerle i capelli, massaggiando la testa con lo shampoo. Avvertì la pesantezza delle mani di Alice rompere il vestito bianco e spogliarla, facendola sedere nella vasca. Shailene chiuse gli occhi e lasciò che il sapone le scorresse sul viso, sul collo, sulle spalle, il petto, la pancia, le gambe, i piedi.
Lasciò che le due ragazze lavassero via il sangue, facendola sentire di nuovo libera. Libera di respirare.
Sentì il getto d’acqua calda sulla testa e le dita di Lily che le accarezzavano i capelli corti, risciacquandoli.
Sentì le mani di Alice che le massaggiavano le spalle tese.
Portò le ginocchia al petto e poggiò la fronte su di quelle, prendendo un respiro profondo.
Quell’odore era sparito. Quel sapore era sparito. Finalmente.
Shailene si lasciò andare in un sospirò di gratitudine e sollievo e buttò la testa indietro, facilitando il lavoro di Lily.
<< Lene >> sussurrò Alice, impaurita di rompere il silenzio.
La ragazza mantenne gli occhi chiusi ma mosse la testa per farla parlare ancora. Sentiva di nuovo il respiro regolare e il cuore battere ad un ritmo normale. Sentiva di nuovo i capelli leggeri e sapeva di essere libera dalla trappola del vestito.
<< Come stai? >> continuò la Serpeverde, mantenendo il tono di voce basso per non alterare di troppo il silenzio.
Shailene si era finalmente lasciata trasportare nel suo bagno e aveva permesso alle due di lavare via il sangue. Aveva lasciato che l’infermiera si avvicinasse e aveva guardato le ragazze negli occhi, chiedendo di Axel. Aveva parlato. E non aveva più urlato.
Sembrava essersi ripresa e ne Alice ne Lily volevano che ritornasse nell’oscurità. In quello stato catatonico in cui era stata i minuti precedenti.
Minuti troppo lunghi per essere composti davvero da soli sessanta secondi. Minuti interminabili. Minuti orribili.
<< Mi sento… >> Shailene si bloccò per qualche secondo prima di tornare a parlare << …strana >> concluse poi, arricciando il naso.
Quella non era la parola adatta, ma era l’unica che la sua mente era riuscita a trovare. L’unica che riusciva a descrivere il modo in cui si sentiva.
Vuota e piena di emozioni. Impaurita e sollevata. Preoccupata e rilassata. Piena di contrari. Non riusciva a capire se stesse bene.
<< Stanca >> sussurrò poi << Mi sento stanca >>
Chiuse di nuovo gli occhi e tornò con il viso sulle ginocchia.
Lily chiuse il getto d’acqua e le accarezzò dolcemente i capelli.
<< Vieni >>
Le allungò una mano e Shailene l’afferrò, alzandosi in piedi. Tremava, aveva freddo. Faceva freddo.
Alice le coprì le spalle con un asciugamano e lei lo strinse a sé, cercando di scaldarsi. Lily le infilò la biancheria e Alice l’aiutò a mettere il pigiama dopo di ché la infilarono sotto le coperte. Shailene finalmente si rilassò e lasciò andare la testa sul cuscino, chiudendo gli occhi.
Si addormentò.
 
 
 
 
Lysander Scamander in otto anni passati ad Hogwarts non era mai stato in infermeria nemmeno per sbaglio. Era riuscito ad evitare quel posto che odiava con tutto se stesso, aveva una paura matta degli intrugli che Madama Chips preparava per curare i suoi pazienti.
Quelle poche volte che aveva preso l’influenza si era chiuso a doppia mandata nel suo dormitorio e aveva impedito a tutti di portarlo lì. Gli ospedali l’avevano sempre reso ansioso.
Eppure adesso era lì, seduto su una sedia, le gambe abbandonate al suolo, le spalle curve e la testa poggiata su un pugno, aspettando.
Aspettando che arrivasse Lorcan.
Aspettando che Axel aprisse gli occhi.
Aspettando che Axel gli parlasse.
Aspettando che sua zia Laura sapesse ciò che era successo.
Aspettando notizie di Shailene.
Aspettando, semplicemente aspettando.
Alzò il viso con un sospiro e lanciò uno sguardo al cugino che era disteso sul lettino, profondamente addormentato. O perlomeno era ciò che Lysander continuava a ripetersi.
Axel dormiva.
Axel dormiva.
Axel dormiva.
Ma Axel non dormiva. Axel era in coma.
Era arrivato in infermeria quasi completamente dissanguato e Madama Chips aveva definito miracolo il fatto che fosse riuscita a salvargli la vita. O almeno a non farlo morire subito. Axel non si era svegliato, erano sette ore che era steso nella stessa posizione, nello stesso letto. Senza muovere nemmeno un muscolo. Senza un respiro più veloce di un altro. Senza sussurrare qualcosa, qualunque cosa.
E non sapevano se si sarebbe mai svegliato.
Lysander sospirò ancora e si passò le mani sul viso stanco e provato. Era pallido e delle forti occhiaie si vedevano sotto gli occhi, era stato nell’infermeria tutta la notte senza nemmeno chiudere occhio. Aveva fissato suo cugino cercando di cogliere un qualsiasi movimento.
La porta si aprì, ma Lysander non avvertì i passi avvicinarsi e sussultò quando qualcuno poggiò una mano delicatamente sulla spalla. Si girò di scatto, rilassandosi quando incontro lo sguardo chiaro e dispiaciuto di Alice.
<< Ciao >> salutò semplicemente, tornando a guardare Axel.
Alice sospirò e si sedette accanto a lui, trascinando una sedia. Era a piedi nudi ed indossava ancora il vestito della sera precedente. Era pallida e Lysander immaginò che non avesse dormito neanche lei.
<< Vai a dormire. Ho incontrato Lorcan mentre venivo qui, starà lui con Axel >> disse a bassa voce.
Sembrava spaventata di parlare con un tono normale, come se potesse succedere qualcos’altro se avesse alzato la voce. Come se chiunque avesse fatto questo ad Axel e Shailene potesse sentirla e tornare a finire il suo lavoro. Non che ci fosse molto da finire.
Lysander scosse la testa.
<< Aspetto che arrivi zia Laura >> rispose.
Alice aprì la bocca per rispondere, ma poi si accorse di non poter fare niente e la richiuse, portando le gambe al petto.
Osservò il viso di Axel e sentì una morsa stringerle il petto e impedirle quasi di respirare. Perché Axel? Perché lui? Alice non riusciva a capacitarsene.
Perché una delle poche persone a cui teneva?
Probabilmente era egoista e cattiva, lo sapeva e non le importava, ma avrebbe dato tutto ciò che aveva per far sì che Axel scambiasse il posto con qualcun altro. Qualcuno di cui non le importava.
<< Come sta Shailene? >> chiese Lysander.
Alice lo guardò. Indossava ancora lo smoking, lo stesso smoking in cui aveva pensato fosse davvero affascinante. Adesso voleva solo non aver mai indossato quel vestito, non aver mai accettato l’invito di Lysander, voleva solo che quel ballo non fosse mai esistito.
<< Dorme. Continua a ripetere il nome di Axel nel sonno. Non voleva andare via di qui >>
Il ragazzo scosse la testa e tornò silenzioso.
<< Come stai? >> chiese Alice dopo qualche secondo.
Lui rimase in silenzio per un po’, poi si tirò su e poggiò la schiena alla sedia, lasciandosi andare con tutto il peso.
Non gli andava di scherzare, non gli andava di ridere, non gli andava di fare battute maliziose, non voleva essere più la persona che tutti conoscevano. Non si sentiva più come lui. E non riusciva a capire come qualcosa che non fosse successo a lui direttamente potesse inferire così tanto con la sua vita.
Come potesse farlo sentire così male.
<< Vorrei stare al suo posto >> disse ciò che sentiva.
Non gli andava di mentire e dire che stava bene, che sapeva che Axel si sarebbe svegliato, non aveva senso. Tutto ciò che voleva era poter invertire la situazione, fare svegliare suo cugino, anche se avesse dovuto prendere il suo posto.
Alice lo colpì con forza sul braccio, facendolo girare verso di lei.
<< Ahi >> si lamentò << E questo per cos’era? >> chiese, aggrottando le sopracciglia.
La Serpeverde lo guardò arrabbiata e gli tirò un altro pugno, facendolo gemere di nuovo. Preparò un terzo pugno, pronta a sfogare tutta la rabbia e la preoccupazione su braccio del Grifondoro che, con i riflessi da cercatore, la bloccò.
Lei lo colpì con l’altra mano, prima che Lysander bloccasse anche quella.
<< Che diamine ti prende? >>
<< Che diamine mi prende? >> chiese retorica alzando la voce di un paio d’ottave << Che diamine prende a te? Che significa che vorresti stare al suo posto? >>
<< È mio cugino, non vorrei vederlo steso su un cazzo di lettino >> si arrabbiò anche lui, alzando la voce.
<< Cosa credi, che se ti vedesse steso su quel lettino starebbe meglio? Vuoi solo liberarti del dolore che senti, il tuo sarebbe un gesto egoista >> urlò lei, cercando di liberare le mani dalla sua presa.
Non sapeva da dove veniva tutta quella rabbia nei confronti di Lysander. Non sapeva perché era esplosa adesso per qualcosa che nemmeno la riguardava. Non sapeva perché non riusciva a smettere di urlare. Non sapeva perché tutto ciò di cui aveva voglia era picchiarlo. Picchiare qualcuno.
<< Egoista? Io sarei quello egoista? Qui l’unica egoista sei tu >> urlò di rimando, stringendo ancora di più le sue mani.
Lysander non sapeva perché stesse reagendo così. Non sapeva perché non cercava semplicemente di tranquillizzare Alice, decisamente scossa da ciò che era successo. Anche lui era scosso, devastato.
<< Lasciami >> ordinò lei, smettendo di muoversi.
Smettendo di urlare. Guardò Lysander negli occhi e aggrottò le sopracciglia quando lui trattenne le sue mani nelle proprie.
Il Grifondoro sospirò e lasciò andare la presa, portandosi le mani tra i capelli.
Alice si alzò e uscì dall’infermeria.
 
 
 
 
 
Laura Lovegood era una di quelle persone con il sonno molto pesante. Il sonno tipico di chi è senza molte preoccupazioni, quello tipico di chi riesce a farsi trasportare nel mondo dei sogni.
Aveva un rituale. Ogni sera preparava una tazza di thè, intrecciava i lunghi capelli biondi in una treccia che arrivava fino a metà schiena, prendeva uno dei romanzi babbani amati tanto da sua sorella Danielle e poi leggeva fino a quando non si addormentava con il libro sul petto e gli occhiali ancora inforcati sul viso.
Quella per lei era una sera come tutte le altre. Preparò il suo thè, pettinò i capelli appena lavati e li costrinse in una comoda treccia, afferrò Orgoglio e Pregiudizio, si sedette sul letto e inforcò gli occhiali, ricominciando a leggere da dove aveva lasciato.
Poi il thè era finito e il libro adesso giaceva sullo stomaco, gli occhiali erano scesi fino alla punta del nasino alla francese e i capelli erano ormai scomposti.
Ma quella non era destinata ad essere una notte come le altre nella quale Laura avrebbe fatto uno dei suoi sogni strani e poi si sarebbe svegliata e scritto una lettere ad Axel e Shailene, no, quella notte sarebbe stata la peggiore della sua vita.
Sarebbe stata la peggiore della sua vita perché alle sei sarebbe stata svegliata da un gufo di Hogwarts. Si sarebbe vestita velocemente e materializzata fuori dai confini della scuola per poi correre in infermeria.
Ed in questo momento Laura stava correndo, correndo come non aveva mai fatto. Continuava a correre perché, nonostante non le avessero detto ciò che era successo, sapeva, sentiva, che qualcosa di orribile si era riversato su Hogwarts.
E corse, corse fino ad arrivare alla porta dell’infermeria. Aprì la porta e si fermò. Non riuscì ad avanzare di un altro passo, non riuscì più nemmeno a respirare.
Axel era sdraiato su un lettino.
Suo figlio era sdraiato su un lettino.
Non esiste dolore più grande di vedere colui che amiamo di più in una situazione di pericolo. Non esiste dolore più grande di quello di una madre che prega in un Dio in cui non crede per salvare il proprio bambino.
I genitori non dovrebbero vedere i propri figli strappati dalla vita, non dovrebbero vivere così tanto. I genitori dovrebbero avere il diritto di andarsene prima, di non soffrire così tanto.
<< Zia >>
Sentì la mano di Lysander posarsi sul suo braccio e Lorcan avvicinarsi a loro. Prese un respiro profondo e osservò gli occhi del nipote, trovandoci un dolore simile al suo. Simile al vuoto che provava dentro, ma, allo stesso tempo, diverso. Osservò Lorcan e trovò lo stesso dolore.
Soffrivano. Tutti.
<< Laura >> una voce femminile la chiamò e subito la donna la riconobbe.
Luna Lovegood si avvicinò a lei e la circondò con le braccia. Laura si lasciò abbracciare e la strinse a sé, cercando di riempire il vuoto che aveva dentro di sé. La strinse chiudendo gli occhi, lasciandosi andare tra le braccia della sorella, cercando di dimenticare per un solo minuto.
Non pianse perché le lacrime non erano abbastanza per esprimere il suo dolore.
 
 
 


Eccomi qui, dopo tanto tanto tanto tempo.
Mi dispiace, so di aver detto che sarei stata veloce a pubblicare il seguito e non o sono stata, chiedo venia, ma era finita l’ispirazione. Ma adesso è tornata (spero non siano le ultime parole famose)!
Comunque due parole sul capitolo e la seconda parte in generale: ovviamente, come avrete capito, è un po’ più dark della prima e c’è, oltre le storie dei personaggi, anche un ‘mistero’. Spero di essere in gradi di svilupparle tutte, le storie, ma ovviamente qualcuno avrà più attenzione di altri. chiedo anche a voi, quali storie vorreste conoscere più a fondo?
Non mi dilungo troppo sulle note di questo primo capitolo, non credo ci sia molto da dire!
Spero che vi piaccia e mi facciate sapere la vostra opinione nelle recensioni :)

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
 
Quel giorno nel bagno di Mirtilla Malcontenta non c’era il solito brusio delle voci degli studenti che si rintanavano lì per sfuggire qualche lezione. Il silenzio regnava in ogni angolo eppure il bagno era colmo di ragazzi.
Ragazzi che si guardavano tra di loro, non sapendo bene come iniziare quella riunione. Perché, sì, quel giorno, 29 Novembre, una settimana dopo quel fantomatico ballo, tutti i Weasley, nessuno escluso, si erano incontrati nel bagno al terzo piano per la solita riunione.
In un angolo Lucy, ancora un po’ scossa dalla rivelazione del suo passato avvenuta appena due giorni prima, sedeva vicino a Fred che le stava ricordando ciò che era successo durante quei mesi ad Hogwarts, senza alzare però la voce, avendo paura di spezzare quel silenzio.
Sul muro opposto Roxanne, seduta vicina a Hugo e Lily, aveva gli occhi chiusi, mentre i cugini cercavano di comunicare con lo sguardo, come se potessero leggersi nella mente. Seduto con la schiena appoggiata al primo cubicolo c’era Albus Potter che non riusciva a staccare gli occhi dal fratello. James Potter aveva infatti deciso di presentarsi alla riunione e stava in piedi, a braccia incrociate e lo sguardo puntato fuori dalla finestra a fissare il temporale.
E ancora, Louis e Dominique Weasley erano seduti uno accanto all’altro, la testa della ragazza sulla spalla del fratello, il viso senza trucco e libero da quell’espressione di superiorità che raramente lavava via.
Oltre ai Weasley erano stati invitati straordinariamente alla riunione Lysander e Lorcan Scamander, Shailene Ricci, Scorpius Malfoy e Alice Paciock che erano seduti in un angolino un po’ distante dal resto dei presenti come se non volessero violare quello spazio familiare.
Per finire, Rose Weasley era in piedi, tesa, le mani intrecciate tra di loro, la schiena dritta, i capelli rossi legati in una rigida treccia e gli occhi che vagavano su ognuno di loro.
Nessuno aveva la forza di parlare perché nessuno sapeva cosa dire. Quella riunione aveva una ragione e non era il ritrovarsi insieme e passare un po’ di tempo di qualità in famiglia. Quella riunione serviva perché da una settimana a quella parte nessuno riusciva più a vedere il sorriso contagioso di Shailene, ne a sentire le battute divertenti di Lysander, o le risate di Lily ed Hugo.
Quella riunione serviva perché da una settimana nessuno poteva vedere Axel se non steso in un lettino in infermeria.
Quella riunione serviva perché il corpo deturpato e dissanguato di Cho Chang non era stato ritrovato.
Quella riunione serviva perché gli omicidi non si erano fermati e le persone continuavano a scomparire.
Quella riunione serviva perché i ragazzi non volevano rimanere a guardare. Loro volevano combattere.
Quella riunione serviva perché ognuno di loro doveva capire che gli altri erano lì.
Rose prese un profondo respiro e posò lo sguardo sulla figura di James. Il moro guardava Shailene che aveva a sua volta il capo chino e i capelli, fatti crescere di nuovo con la magia, legati in una coda.
Shailene non voleva più i capelli corti, aveva bisogno di cambiare e di ritornare quella che era prima di quella fatidica notte. Il colore era ritornato naturale. Voleva che tutto tornasse come prima ed aveva cominciato con se stessa.
Rose si schiarì la gola e attirò l’attenzione di tutti su di sé.
<< Buongiorno a tutti >> esordì, non sapendo bene cosa dire << Siamo qui perché dobbiamo parlare di ciò che è successo e trovare un modo per cambiare la situazione >>
Dominique alzò il viso dalla spalla di Louis e fissò la cugina prima di prendere la parola.
<< Cosa c’è da discutere? >>
<< Solo perché a te non importa di nessuno oltre a te stessa non significa che tutti la pensino allo stesso modo >> intervenne Lily, improvvisamente arrabbiata << Se non sei qui per cercare una soluzione, puoi anche andartene. Non abbiamo bisogno di una ragazzina viziata >>
La più grande strinse gli occhi celesti e si portò indietro una ciocca di capelli, poggiandola dietro le orecchie. Non c’era tempo per litigare e lo sapeva bene, ma sua cugina sapeva essere così irritante a volte.
Prese un respiro profondo e decise per una volta di comportarsi da adulta.
<< Non è quello che ho detto >> replicò con calma << Ho semplicemente chiesto cosa c’è da discutere. La situazione mi sembra abbastanza chiara >>
Lily aprì la bocca per rispondere, ma Roxanne si intromise.
<< Dobbiamo parlare con i nostri genitori. È l’unico modo per saperne qualcosa di più, loro sapranno di certo ciò che sta succedendo >>
<< Purtroppo, Rox, non è così. Ho parlato con mia madre e dice che anche loro brancolano nel buio >>
<< Se zia Hermione non sa niente allora siamo tutti nella merda >>
<< Ben detto, Rox >>
<< Probabilmente non vogliono darci alcune informazioni >>
Tutta l’attenzione si focalizzò su James. Il ragazzo sbuffò scocciato e parlò di nuovo.
<< Rosie, anche se tua madre ti ha dato qualche indizio non significa che voglia che tu sappia tutto. Con questo non voglio dire che loro sanno ogni cosa. Ma deve esserci qualcosa. Deve >>
Lily annuì con energia.
<< Jamie ha ragione. Probabilmente zia vuole che sappiamo il minimo indispensabile per tenerci più al sicuro possibile >>
<< Rosie, mamma ha detto solo che siamo in pericolo, vero? >> quando la sorella annuì Hugo continuò << Probabilmente l’unica cosa che voleva farti sapere era che dobbiamo stare attenti. Sai come è mamma, a volte decifrare le sue frasi è una vera rottura di … >>
Lo sguardo di fuoco della più grande fece interrompere Hugo che, dopo aver sussultato e balbettato uno ‘scusa’ a denti stretti, diede uno schiaffetto sul braccio di Roxanne che si era lasciata scappare una risatina.
<< Mamma ha nominato anche il Torneo tre Maghi, dicendo che l’ultima volta era stato utilizzato come mezzo per portare zio Harry da Voldemort >>
Roxanne sbuffò.
<< Questo Voldemort ha veramente rotto i coglioni. Rose non guardarmi così, sai che è vero. >>
La sedicenne diede un’occhiata a suo fratello e richiamò l’attenzione con una mano.
<< Fratello, una sigaretta, grazie >>
Fred sbuffò e scosse la testa.
<< Non pesarci nemmeno >>
James afferrò il suo pacchetto di Marlboro e, dopo averne lanciata una alla cugina, ne accese una. Aspirò profondamente e rilasciò una nuvola di fumo che si diffuse per la stanza.
Roxanne sorrise, accendendo la propria con la bacchetta e portandola alla bocca.
<< Grazie, Jamie. Visto che non è diventato proprio un’ameba?! >> si rivolse agli atri, facendo ridere leggermente il cugino.
<< Se c’entra qualcosa il Torneo Tremaghi, posso vedere dall’interno se c’è qualcosa di strano >>
Si intromise per la prima volta Lysander.
Alice sbuffò.
<< Sì, facendoti uccidere >>
<< Come se ti importasse qualcosa >>
<< Niente, infatti procedi pure >>
Fece un gesto eloquente con la mano, alzando le sopracciglia.
<< Ciò che puoi fare, Lys, è controllare se qualcun altro dei campioni o i rispettivi presidi sono dentro questa storia. Dubito che Voldemort in sé centri qualcosa, ma non bisogna escludere la possibilità che c’entri qualche ex-mangiamorte >>
<< Non era un mangiamorte >> sussurrò Shailene << Colui che ci ha attaccato non era un mangiamorte. Io lo so che non era un mangiamorte. Era solo…>> la ragazza rabbrividì e scosse la testa << era solo Ted >> concluse, ben sapendo che il ragazzo non fosse il colpevole, ma non trovando altre parole con cui definire l’aggressore.
<< Ma forse dovremmo tenerli d’occhio lo stesso >>
Rose annuì.
<< Quindi, per adesso, Lysander si occupa dei partecipanti al Torneo, io continuerò le ricerche. Lily, Hugo, Roxanne e Shailene, voi cercate di nascondervi in più posti possibili per ascoltare le discussioni tra i professori e soprattutto ciò che dice la preside. Tutti gli altri, state attenti a tutto ciò che avviene intorno a voi e ricordatevi che tutti possono essere colpevoli >>
 
 
 
Naya Zabini non aveva mai visto la scuola così triste. Hogwarts sembrava morta da quella notte del Ballo del Ceppo. I corridoi sembravano vuoti e le classi mancavano di partecipazione, ognuno era troppo impegnato a pensare ai fatti propri per permettersi di avere anche una vita sociale.
I giardini e le rive del Lago Nero erano ormai diventati deserti e l´unico colore presente fuori era il manto bianco della neve che ricopriva ogni cosa. Una leggera patina di ghiaccio aveva ricoperto il Lago, ma, a differenza degli altri anni, non c’era nessun coraggioso che sfidava le acque gelide pattinando.
La Foresta Proibita poi non vedeva un’anima viva da ormai quella sera.
Gli scherzi dei cugini Weasley oramai non facevano più parte della scuola ed ogni persona legata, in un modo o nell’altro, ad Axel Lovegood sembrava essere andata in coma con lui.
Axel e tutta Hogwarts erano andati in letargo, aspettando il momento migliore per svegliarsi, se mai quel momento sarebbe arrivato.
O, per meglio dire, quasi tutta Hogwarts era andata in letargo. Perché sì, c’era ancora qualcuno che non aveva smesso di ridere, scherzare e soprattutto fare l’idiota.
<< Io l’ho sempre saputo >>
Alec sbuffò una nuvola di fumo, poggiando la testa sullo stipite accanto a lui e lanciando un’occhiata veloce a Naya seduta accanto a lui. Il Serpeverde non si poteva certo dire sprovvisto per quella giornata fredda, il mantello della divisa scolastica era poggiato con eleganza sopra un giubbino babbano verde, accostamento che, almeno secondo la ragazza, rientrava tra i più brutti mai visti, ma che, secondo il diretto interessato, era da definire originale e perfettamente in tema con la moda del tempo.
Naya, dal canto suo, aveva approfittato della giornata libera per indossare il più pesante maglione del suo guardaroba e la giacca invernale, ovviamente con la partecipazione di guanti, sciarpa e cappello che ora, coprendole la fronte, la faceva apparire più arrabbiata di quanto già non fosse.
<< Smettila >> si lamentò, lanciandogli la ragazza.
<< Non posso crederci che tu abbia passato la sera del ballo a dormire e non ti sia accorta di niente >>
Naya sbuffò di nuovo e chiuse gli occhi, cercando di ignorare la risatina di Alec.
<< Io non posso credere che tu riesca a ridere su quello che è successo >> gli fece notare lei, alzando finalmente lo sguardo << Tutta Hogwarts è spaventata e preoccupata. Non di certo divertita >>
Il tono di rimprovero nella voce della sua migliore amica spense la risata e il vento divenne l’unico rumore tra i due almeno finché Alec non si decise a parlare di nuovo.
Questa volta con tono serio, le sopracciglia aggrottate e le labbra tese in una linea. Perché Alec sapeva essere serio.
<< Non ho voglia di piangermi addosso e controllare ogni angolo prima di camminare. Mi dispiace per quel ragazzo, Axel, ma non voglio smettere di essere me stesso per questo. Hogwarts non sta reagendo >>
<< Tu non stai reagendo, Alec, stai semplicemente facendo finta di niente >> obiettò.
Naya si alzò e tirò su i jeans, diede una pacca sulla spalla di Alec e andò via.
 
 
I Tre Manici di Scopa era un bar carino, mai vuoto. C’era sempre qualcuno tra quelle quattro mura che rendeva quel posto pieno di felicità e speranza, come se fosse sempre aperto per chiunque avesse voglia di estraniarsi dal resto.
Era il posto giusto per chiacchierare con gli amici o semplicemente leggere un libro o ancora avere una burrobirra con il proprio partner.
Evan Rosier aveva sempre amato i Tre Manici di Scopa, sin da quando da bambino i genitori lo portavano ad Hogsmade, per passare il tempo con Naya e Alec a Zonco, con l’amico che provava ogni prodotto e la bambina che si lamentava. Evan aveva amato i Tre Manici di Scopa sin da quando, a dieci anni, i tre erano scappati e si erano rifugiati lì e avevano rubato a Madama Rosmerta tre burrobirre lasciando poi un po’ di sodi.
Evan aveva amato i Tre Manici di Scopa da quando ad undici anni era scappato dopo una lite con il padre, si era ritrovato lì e Madama Rosmerta lo aveva accolto a braccia aperte.
Evan aveva amato i Tre Manici di Scopa da quando a quindici anni gli aveva offerto una possibilità di lavoro e un posto fisso dove stare.
Evan aveva amato i Tre Manici di Scopa da quando era diventata la sua casa. Da quando aveva associato quell’odore di legno e alcol leggero alla sensazione di sicurezza. Da quando il camino era diventato parte importante della sua vita. E da quando girare tra i tavoli e scambiare due parole con i maghi che passavano di lì era diventato la sua quotidianità.
Ad Evan Rosier piaceva la normalità. Era cresciuto in una famiglia che aveva provato ad arruolarlo nel lato oscuro, aspettando o l’ennesima resurrezione di Voldemort o un altro pazzo che provasse a prendere il potere. Era stato cresciuto cercando di far entrare a forza nella sua testa un insieme infinito di pregiudizi su mezzosangue e babbani. Era stato cresciuto da genitori che volevano plasmare la sua mente, ma, nonostante tutto, Evan aveva resistito.
Lui era diverso dalla sua famiglia. Era nato ed aveva portato sin da piccolo un nome pesante sulle spalle, ma di suo nonno il piccolo aveva solo quello, il nome. Già nei primi anni di vita si era reso poco disponibile ad apprendere le lezione fasciste impartite dai suoi genitori e con Naya e Alec era riuscito a crearsi una propria identità. Quando poi ad undici  anni aveva scoperto la sua condizione, già preannunciata dalla mancanza di magia negli anni precedenti, non aveva certo fatto i salti di gioia, no, ma non l’aveva poi presa tanto male.
Per l’undicenne era un modo come un altro per mettere una fine decisiva alle somiglianze che aveva con la sua famiglia. Non immaginava di certo che avrebbe anche causato un taglio netto a tutti i rapporti che aveva avuto fino a quel momento, compreso quello più importante.
Ma Evan se ne era fatto una ragione. Era riuscito ad abituarsi alla nuova normalità, dove per cucinare doveva rimboccarsi le maniche e armarsi di olio di gomito e non limitarsi a sventolare una bacchetta. Era riuscito ad accettare la mancanza di magia, nonostante fosse continuamente circondato da maghi e streghe.
A lui non bastava imparare una formula magica per la moltiplicazione dei pani e dei pesci o semplicemente immaginare un luogo per poi smaterializzarsi. Ma andava bene così.
Ad Evan, a dispetto di tutti i pregiudizi che si potevano avere su di lui per il suo cognome, essere un magono piaceva.
E la sua normalità stava per essere messa a rischio dagli eventi che erano accaduti da qualche mese a quella parte. Anzi, era già stata spezzata. 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice
Ecco a voi il secondo capitolo, forse un po’ in ritardi rispetto al programma :) Come avrete capito questa storia sarà più che altro incentrata sulla parte del mistero. Mi rendo conto che questo possa essere considerato un po’ un capitolo di passaggio, ma come il primo serve per rintrodurre un po’ la storia, già dal prossimo si vedranno i primi sviluppi!
Spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto e che me lo facciate sapere con una recensione perché fa sempre piacere :)
Buon fine settimana, ci sentiamo presto!

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