And I was in the darkness, so darkness I became.

di Halosydne
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 5x00 Ϟ The Dagger ***
Capitolo 2: *** 5x01 Ϟ Rebirth ***
Capitolo 3: *** 5x02 Ϟ Scary dragon bitches ***
Capitolo 4: *** 5x03 Ϟ I will follow you into the dark ***
Capitolo 5: *** 5x04 Ϟ The tale of the thief ***
Capitolo 6: *** 5x05 Ϟ Walls up ***
Capitolo 7: *** 5x06 Ϟ Hoping for the best, expecting the worst ***



Capitolo 1
*** 5x00 Ϟ The Dagger ***



 

5x00 Ϟ The Dagger

 
 
 
 
 
L’aria crepitava di elettricità, mentre il vento innaturale e gelido che fino a pochi secondi prima aveva flagellato l’isolato calava, rapido com’era arrivato. Il clangore metallico rimbombò a pochi metri da loro, emettendo molta più eco di quanto avrebbe dovuto: quell’oggetto era così piccolo e leggero, dopotutto. Il pugnale dell’Oscuro emanò un lucore biancastro ancora per qualche istante, prima di tornare a riflettere solo le luminarie di High Street, come una lama qualunque.
Per almeno un altro minuto, nessuno di loro riuscì a muoversi. Dall’esterno si sarebbe detto che quelle cinque figure in piedi poco oltre il negozio del signor Gold erano state incantate in modo da diventare statue, ma a pietrificarli non era alcuna magia – non in maniera diretta, almeno. Era orrore. Era paura. Era frustrazione. Era un dolore inimmaginabile.
All’improvviso, Mary Margareth cadde in ginocchio sull’asfalto, come se la consapevolezza di quello che era appena successo davanti ai suoi occhi avesse impiegato davvero molto, molto tempo a farsi strada in lei. «No… no! Emma!»
Il suo grido raggiunse le orecchie di Regina come se lei avesse la testa avvolta in un enorme cuscino. E la figura di David che si chinava ad abbracciare la moglie era solo un’ombra sfocata. Regina non capiva. Perché aveva la vista appannata? Quel maledetto pugnale aveva portato con sé una qualche nebbia magica? Non era sicura di cosa succedesse alla nascita di un nuovo Oscuro. Rumplestiltskin era stato schiavo di quel pugnale così a lungo che lei doveva sforzarsi per immaginare che qualcun altro avesse vissuto una vita così orrenda prima di lui. Per non parlare di quanto le era sempre sembrata inverosimile la prospettiva di qualcuno che vivesse quella vita così orrenda dopo di lui. E invece adesso… al solo pensiero di quello che stava succedendo ad Emma in quello stesso istante, un brivido ghiacciato le percorse la schiena e la vista le si offuscò ancora di più. Regina davvero non capiva. Cosa avevano i suoi occhi che non andava?
Fu il gesto di Robin, così naturale da apparire scontato – eppure così prezioso, così inaspettato – a darle la risposta: con una delicatezza impossibile da immaginare per qualcuno che non lo conoscesse bene quanto lei aveva imparato a fare, il leggendario fuorilegge la sciolse dal suo abbraccio, le prese la testa tra le mani e le asciugò le lacrime con i suoi pollici callosi, senza dire nulla, guardandola con una tristezza e uno smarrimento indicibili. Regina seppe in un istante che quegli occhi grigioazzurri riflettevano il suo stesso sguardo, come uno specchio che riusciva a scavarle nell’anima, che poteva riflettere non come appariva fuori, ma come si sentiva dentro. Sentire che c’era qualcuno, in quel mondo, che la capiva così bene, era un conforto talmente dolce da sembrarle quasi lo strascico di un sogno. Ma come la vita le aveva insegnato, quando qualcosa ti sembra troppo bello per essere vero, probabilmente è perché stai per perderlo. O perché hai appena perso qualcosa di altrettanto incredibilmente bello.
Regina cercò di rassicurare Robin con un piccolo sorriso, anche se sapeva che la sua faccia doveva aver prodotto più che altro una smorfia di sofferenza. Poi prese un respiro profondo e distolse lo sguardo da quello del suo uomo, tornando a concentrare la sua attenzione sulla dolorosa realtà. Mary Margareth e David erano ancora lì, a pochi metri da lei, scossi dai singhiozzi più strazianti che Regina avesse mai sentito – e ne aveva ascoltati parecchi, nel corso degli anni. Ma a preoccuparla davvero, in quel momento, era Uncino. Il pirata era immobile come una statua di sale, in piedi al centro della strada, con lo sguardo rivolto al pugnale: lo fissava con occhi spiritati, quasi senza battere ciglio, con un’intensità tale che Regina si meravigliò che quel dannato pezzo di metallo non si fosse fuso.
Lei mosse qualche passo verso di lui, incerta sulle gambe come un’ubriaca, con i polmoni che bruciavano ancora dolorosamente per via dei lunghi minuti in cui l’Oscurità aveva cercato di prendere possesso del suo spirito, ma con gli occhi asciutti: non era quello il momento di piangere. Posò una mano sulla spalla di Uncino, il più delicatamente possibile, ma il pirata trasalì come se lei lo avesse schiaffeggiato. E quando finalmente lui distolse lo sguardo dal pugnale per piantarlo nei suoi occhi, Regina ebbe paura. Killian Jones sembrava ad un passo dal perdere la ragione, pallido come un cencio, con gli occhi accesi di una febbre terribile. Tremava.
«Uncino…» cominciò Regina, senza sapere bene come continuare. Lei non era mai stata un granché quanto ad empatia, e di sicuro in quel momento il capitano della Jolly Roger non era il miglior soggetto con il quale cercare di migliorare le sue doti. Non solo perché lei stessa si sentiva come se il minimo urto avrebbe potuto farla crollare in mille pezzi, ma anche perché gli occhi di Jones, sempre accesi di una luce giocosa e un po’ strafottente, adesso erano di un blu così intenso da sembrare quasi nero, e la stavano spaventando anche più di quello che era appena successo. Perché dietro a quello che persino uno dei maledetti nani sarebbe riuscito a leggere in quello sguardo – dolore, perdita, terrore, smarrimento, frustrazione – c’era un qualcosa che Regina Mills conosceva fin troppo bene, un luccichio pericoloso che per anni aveva scorto nel suo stesso riflesso quando si guardava in uno dei suoi innumerevoli specchi: Killian Jones stava cercando un responsabile per il suo dolore, con la stessa smania di un naufrago che cerca un salvagente cui aggrapparsi. E se Regina fosse stata in Killian, una delle prime persone da incolpare per quello che era appena successo ad Emma – per un fugace, rapidissimo istante si chiese se sarebbe mai riuscita ad ammettere a se stessa che era tutto vero – sarebbe stata proprio lei. Deglutì, cercando di assumere il contegno e la sicurezza che erano stati propri della Regina Cattiva. Ma prima ancora che potesse sforzarsi di pensare a qualcosa di intelligente da dire, Jones si staccò bruscamente da lei, e con passo tremante si avvicinò al pugnale, che continuava a starsene tranquillo per terra, come l’oggetto più innocuo del mondo.
Regina percepì che da qualche parte, fuori dal suo campo visivo, David si era alzato in piedi e Mary Margareth aveva smesso di piangere, probabilmente troppo spaventata al pensiero di quello che stava per succedere; senza distogliere lo sguardo da Killian, che lentamente si chinava a raccogliere quell’oggetto maledetto, Regina afferrò il principe per il polso, in modo da impedirgli di avvicinarsi ulteriormente al pirata. David era un osso duro, ma Uncino aveva comunque un pezzo di metallo affilato al posto di una mano. E Regina sapeva che non si sarebbe fatto scrupoli ad usarlo contro chiunque si fosse messo in mezzo al suo tentativo di trovare Emma, anche se quel chiunque era il padre di Emma, anche se quel chiunque stava soffrendo quanto lui e voleva solo fare qualcosa per riportare sua figlia a casa, al sicuro. Aveva passato molto più tempo di quanto avrebbe pensato di poter sopportare a contatto con gli Azzurri, ma era Uncino quello che lei poteva capire meglio: dopotutto, come quell’omuncolo insignificante dell’Autore aveva fatto capire fin troppo bene, erano – o erano stati – entrambi dei cattivi.
Regina, Robin, Mary Margareth e David trattennero tutti il respiro nell’istante in cui Killian Jones realizzava quello che per centinaia di anni era stato il suo unico scopo: tenere stretto nella sola mano che gli restava il pugnale dell’Oscuro. Regina preferì non soffermarsi troppo sull’ironia della situazione: sentiva che se la sua mente avesse sfiorato ancora una volta il ricordo di Emma che spariva in un vortice nero di pura oscurità, avrebbe cominciato ad urlare. Il capitano sembrò impiegare molto tempo a rimettersi in piedi, brandendo il pugnale nel cono di luce proiettato dal lampione più vicino, ma forse era solo perché Regina non stava ancora respirando.
«Oscuro» la voce di Jones era tonante nella notte, come quella di un uomo abituato a comandare e a farsi obbedire. Ma solo un sordo non sarebbe riuscito a capire lo sforzo che il pirata stava imponendo a se stesso: sembrava che ogni parola dovesse lottare per uscirgli dalla gola. E nessuno dei presenti riuscì ad ignorare il fatto che Killian non avesse chiamato l’Oscuro per nome. «Con questo pugnale, io ti convoco!»
L’ordine, tanto imperioso quanto disperato, fu seguito dal silenzio più assordante che Regina avesse mai esperito. Nessuno ebbe il coraggio di romperlo per almeno una manciata di minuti: rimasero tutti e cinque immobili, tesi come corde di violino, tendendo le orecchie allo spasimo, al punto che ognuno di loro avrebbe potuto sentire il rumore di una foglia che cadeva. Quando il pirata parlò di nuovo, Regina vide David e Mary Margareth trasalire. «Oscuro! Ti convoco alla nostra presenza!».
La notte rispose con un silenzio quasi insolente.
«Maledizione» imprecò Robin sottovoce.
«Uncino. Uncino. Dannazione, guardami» comandò Regina, esasperata. Ma avrebbe potuto rivolgersi alla cassetta delle lettere sul marciapiede, per la risposta che ottenne.
Il capitano continuava a tenere il pugnale all’altezza degli occhi, fissandolo come se sperasse di poterne essere risucchiato anche lui. Stringeva così forte l’impugnatura che la mano tremava, e le nocche delle sue dita erano ormai bianche e irrigidite. I suoi occhi erano pieni di lacrime mentre prendeva fiato per convocare Emma per la terza volta, ma quelle parole non lasciarono mai le sue labbra: Mary Margareth gli si era parata davanti, e gli aveva afferrato il viso tra le mani. Regina si disse che quella dannata Biancaneve aveva fegato. E un gran cuore, ovviamente.
«Killian» la voce della donna era sottile, velata di pianto. Era quasi la voce di una ragazzina spaventata, quella ragazzina che Regina aveva passato così tanti anni ad odiare. Ma era anche la voce di una madre che ha appena vissuto il momento peggiore della sua vita, e che non faceva niente per nascondere la sua disperazione. Probabilmente, aveva capito che cercare di dominarsi non faceva per lei. «Killian, smettila. Non serve a niente fare così». Dalla sua posizione, Regina non poteva vedere bene Jones in volto, ma qualunque fosse la sua espressione in quel momento, Mary Margareth non batté ciglio, non distolse lo sguardo, non interruppe per un istante il contatto fisico e visivo con l’uomo che le stava davanti.
«No… no. So come funziona» la voce del pirata sembrava il fantasma di quella di un tempo. «Ho il dannato pugnale in mano, lei… lei non può non rispondermi. Non può!»
«Per l’amor del cielo!» sbottò infine Regina, attingendo chissà come alla fonte della sua antica autorevolezza. «Con tutti gli anni che hai vissuto, Uncino, pensavo che avessi imparato almeno le basi di queste cose… invece continui ad essere lo stesso arrogante inesperto che eri due secoli fa!»
Lo sguardo di rimprovero di Biancaneve fu fastidiosamente sincronizzato con il mormorio di Robin, sorpreso dal suo scatto improvviso. «Regina!». Ma lei non era disposta a stare a sentire nessuno dei due, in quel momento. I cosiddetti eroi avevano sempre quella disgraziata tendenza ad usare le buone maniere, e la Regina Cattiva, per quanto avesse intrapreso da molto il suo cammino di redenzione, sapeva che non era quello il tempo di una lezione di galateo. Uncino poteva diventare in pochissimo tempo un pericolo per se stesso e per gli altri, se solo gli avessero lasciato il tempo di covare il fuoco della sua disperazione fino a trasformarlo in un incendio distruttivo.
«Stammi bene a sentire, Capitan Eyeliner» continuò Regina, ignorando tutti, e non poté nascondere un lampo di soddisfazione quando si rese conto che il nomignolo che tanto infastidiva Uncino era finalmente riuscito a scalfire la sua determinazione a continuare a urlare nella notte brandendo quel dannato coltello: il capitano della Jolly Roger ora non guardava più attraverso di lei, ma la vedeva veramente, per quanto la disperazione con cui la fissava aveva ancora qualcosa di inquietante. «Dici di sapere come funziona quel coso maledetto. Bene! Dopo centinaia di anni passati a giocare a freccette con un ritratto di Gold, persino un sasso lo avrebbe imparato. Allora dimmi, capitano, quale potere ti dà il possesso del pugnale dell’Oscuro?»
Regina sperò che l’immagine che stava dando di sé fosse ferma e sicura almeno la metà di quanto suonavano le sue parole, perché sapeva di essersi incamminata su un terreno scivoloso: provocare Uncino sembrava essere un modo efficace di renderlo reattivo agli stimoli esterni, di distrarlo dai pensieri più torbidi che sicuramente avevano cominciato a tormentarlo, ma una parola di troppo poteva condurla molto, molto più in là di quanto lei volesse spingersi. Dovette concentrarsi parecchio nello sforzo di non trattenere di nuovo il respiro: una regina che si rispetti trattiene il respiro solo per infilarsi il corsetto.
Uncino sembrò impiegare molto tempo per scegliere i termini da usare. O forse stava solo aspettando il momento propizio per caricarla a testa bassa e cercare di sfogare il suo dolore con un omicidio brutale. Non sarebbe stata la prima volta, dopotutto. «Chi possiede il pugnale possiede l’Oscuro. Se gli… se le comando di apparire, non può disubbidire, in qualunque parte del mondo si trovi».
«Eccellente. Questo spiega tutto, capitano… Emma non si trova in questo mondo». Lo aveva capito nell’attimo stesso in cui il pugnale era caduto sull’asfalto, perché gli anni passati a contatto con Rumplestiltskin le avevano insegnato a riconoscere la magia dell’Oscuro, a coglierne sempre i sentori: era come un ronzio basso, quasi inudibile, ma costante al punto da esserle divenuto familiare; e quel mondo senza magia era una cassa di risonanza magnifica per un potere così arcano. Ma da lunghi, lunghissimi minuti Regina non lo avvertiva più, e una parte di lei si sentiva spaesata. Era come se la musica di sottofondo che la aveva accompagnata per decenni fosse stata bruscamente interrotta.
«Che vuoi dire, Regina?» domandò Mary Margareth, osservandola con la stessa intensità che aveva riservato a Uncino fino a pochi istanti prima. David non aveva ancora aperto bocca da quando Emma era scomparsa, ma quello che lui, come sua moglie, stava provando era così palese che le parole sarebbero state superflue.
Regina scrutò il viso di quella che per anni era stata la sua nemica, ne osservò il dolore e provò una pena infinita per lei e per il suo principe. Lei aveva appena perso un’amica, una persona alla quale si era sentita legata fin dal momento in cui aveva messo piede a Storybrooke, per quanto ci fossero voluti molti e molti mesi prima che entrambe riuscissero ad andare oltre tutto quello che era successo ed ammettere l’importanza che l’altra rivestiva nelle loro vite… ma quei due avevano appena perso una figlia, dopo tutto quello che avevano fatto per preservarla dal Male, per ritrovarla, per farsi accettare da lei e infine per ottenere il suo perdono. E quello che Regina stava per dire non li avrebbe fatti sentire meglio. Neanche un po’. «Il potere del pugnale sull’Oscuro è enorme, ma nemmeno tutta la magia di cui dispone può far attraversare i mondi ad una persona, senza che qualcuno apra un portale» spiegò, con voce stanca. Si sentiva come se avesse corso per tutto il giorno con delle gigantesche scarpe di piombo ai piedi.
«Ma allora, dov’è finita Emma?»
«Non lo so, Robin. Ho ragione di credere che possa essere tornata nella Foresta Incantata, ma non ne sono sicura. Anche quando ero una allieva di Rumplestiltskin, non ho mai approfondito la questione dell’Oscurità. Non era un qualcosa che lui avesse interesse ad insegnarmi, dopotutto… né a me interessava più di tanto».
«Comodo» bofonchiò Uncino, che finalmente sembrava star ritornando il pirata di sempre. Regina tuttavia non era sicura che il cambiamento fosse per il meglio.
«Che intendi dire, pirata?».
«Intendo dire, Maestà» e il livore che Uncino seppe infondere in quelle poche sillabe era tale che Mary Margareth, la più vicina a lui, si tirò impercettibilmente indietro, come avrebbe fatto davanti ad un serpente velenoso «che queste ridicole scuse non nascondono le tue responsabilità in questo maledetto disastro, e io non intendo stare qui ad ascoltarle!».
«Ehi, amico…» cominciò Robin, infastidito, facendo un passo verso di lui – ma Regina lo trattenne. Il fatto che il suo uomo fosse così protettivo era sempre stato un balsamo delicato sulle ferite che la vita aveva inferto al suo cuore, in grado di riaccendere in lei sentimenti che credeva persi per sempre… ma c’era sempre il problema delle buone maniere da eroe, che sarebbero state ben poco efficaci con il pirata. Per non parlare di quanto poco sarebbero servite senza l’accompagnamento di una spada pronta a contrastare quel maledetto pezzo di ferro che Jones aveva al posto della mano. Robin era disarmato, e il pirata sembrava non chiedere altro che uno scontro.
Lì, in piedi nella notte, con il pugnale dell’Oscuro ancora stretto in mano, Killian Jones era pericolosamente simile all’uomo che Regina aveva incontrato per la prima volta tanti anni prima: un uomo senza scrupoli, spietato, disposto a uccidere chiunque si fosse messo tra lui e il suo obiettivo, chiunque gli fosse tornato più utile da morto che da vivo. Capitan Uncino, in quel momento, le ricordava terribilmente la Regina Cattiva che era stata per così tanto tempo. E aveva paura che se lo avesse lasciato parlare ancora un po’, lui sarebbe riuscito a tirare fuori il peggio da entrambi. Regina sapeva fin troppo bene che, in un modo o nell’altro, era stata Emma, la Salvatrice, a spingerli nella giusta direzione dopo decenni di abiezione. E ora che lei non c’era più, la minima perdita di equilibrio li avrebbe riportati giù nell’abisso al quale erano sfuggiti con tanta fatica.
«Per il bene di tutti, Uncino, fingerò di non aver capito quello che intendevi dire. Emma è stata un’idiota a mettersi in mezzo, non posso ancora credere che l’abbia fatto e se potessi la prenderei a schiaffi per essersi sacrificata, ma nemmeno tu e tutta la tua tendenza al melodramma potrete convincere qualcuno del fatto che la colpa sia mia. C’eri anche tu quando le ho detto di non farlo… Ma a quanto pare è la sua dannata natura eroica che prevale sempre sul buonsenso. No, ascoltami, dannato pirata» continuò, ben consapevole del fatto che Jones non era ancora disposto ad accettare l’idea che l’unica persona da incolpare fosse proprio Emma. «Il destino di Emma è sempre stato quello di restituire a ciascuno il proprio lieto fine, ma se c’è una cosa che il nostro piccolo viaggio nella dimensione alternativa mi ha insegnato, è che ogni lieto fine va comunque costruito. Va meritato, Killian, capisci? E noi due abbiamo sempre cercato di ottenerlo nel modo sbagliato. Incontrare Emma è ciò che ha cambiato tutte le carte in tavola, è ciò che ci ha aperto gli occhi… che ci ha resi migliori! Ed Emma non vorrebbe mai scoprire che ti è bastato perderla per rinnegare tutto quello che di buono hai fatto da quando hai scelto lei e tutte le conseguenze che derivavano dalla tua decisione!».
Il suo discorsetto infervorato la lasciò accaldata e col respiro affannoso… accompagnato dalla consapevolezza che tutti e quattro adesso la fissavano come se fosse una qualche bizzarra specie di unicorno. «Che avete da guardare?» chiese bruscamente, infastidita.
Uncino aveva abbassato lo sguardo sulla mano con il pugnale, e se non lo avesse conosciuto bene quanto lo conosceva Regina avrebbe detto che le sue parole lo avevano toccato nell’animo, nello stesso modo in cui ci riusciva Emma.
«Era un discorso molto da… eroe, Regina» spiegò Robin accanto a lei, con un’inconfondibile nota di orgoglio nelle sue parole.
Mary Margareth, con il viso ancora bagnato di lacrime, riuscì a prodursi in un sorriso – una pallida imitazione di quelli caldi e fiduciosi per i quali era famosa, ma in quel momento la donna sembrò di nuovo la Biancaneve di un tempo. «Proprio così, Regina… credo che il Comitato Speranza si sia appena indebitato con te di parecchi quarti di dollaro».
«S… speranza?». Persino il suono di quella parola sembrava sbagliato, in una notte tremenda come quella.
«Sì, Regina, speranza… so che non è un qualcosa a cui sei abituata, ma io sì, e la so riconoscere quando la vedo. Emma ha compiuto un gesto enorme, e fino ad un minuto fa nemmeno io avrei saputo dire se l’avremmo mai rivista. Ma lei ha fatto tutto questo per te, e ogni singola parola che hai appena pronunciato mi fa capire che Emma sapeva cosa stava facendo. Nostra figlia è scomparsa, ma forse la Salvatrice non ha mai davvero lasciato questa città».
Le implicazioni del discorso di Mary Margareth colpirono Regina come un pugno allo stomaco. Non poteva essere vero… non era possibile! Imparare a meritarsi l’amore di Henry, incontrare Robin, iniziare a fare ammenda per il suo passato con tutti i cittadini di Storybrooke le sembrava già qualcosa di enorme, di inimmaginabile solo una manciata di mesi prima. La strada per la sua redenzione era stata terribilmente difficile e a malapena era cominciata, la sua mente e il suo cuore non erano pronti a credere che lei potesse addirittura diventare l’esatto opposto di quello che era sempre stata. Ma un triste, improvviso pensiero attraversò la sua mente in tumulto: anche Emma, in quell’esatto istante, si stava trasformando in qualcosa che contraddiceva il destino che da sempre era stato preparato per lei. Forse era davvero così che doveva andare.
«Ma guardatela» sbuffò Uncino, e la sua voce era parecchio più affilata del coltello che portava alla cintura nei suoi giorni da capitano. «Nemmeno lei crede che sia possibile! Dimmi un po’, tesoro, come si fa ad avere fede in una persona che non ha fede?»
«Anche Emma ha impiegato un sacco di tempo a realizzare che quello era il suo destino, pirata». David finalmente parlò, con voce roca: ma il suo sguardo si era riacceso, come quello della moglie. La Regina Cattiva che era stata avrebbe alzato gli occhi al cielo davanti a una simile, stucchevole ostentazione di ingenuità e fiducia, ma Regina era troppo impegnata a fare i conti con quello che si era appena sentita dire dalle due persone che così a lungo aveva cercato di distruggere, e che ora riponevano tutte le loro preziose speranze proprio in lei.
«Beh, principe, non sarò un grande esperto di fiducia e bontà, ma persino due persone disgustosamente buone come voi dovranno ammettere che se vogliamo salvare Emma non abbiamo il maledetto tempo di aspettare che Regina riesca ad accettare il suo destino o quello che è!». Era evidente che Uncino cercava di controllarsi, ma la sua voce crebbe di intensità come incontrollata, e le ultime parole quasi le urlò.
«Non ce la fai proprio, vero? Ad essere una persona decente, intendo» chiese Robin, in un modo assai poco coerente con il galateo al quale fino a pochi istanti prima si era attenuto. Regina suppose che persino il leggendario arciere di Locksley si fosse arreso all’evidenza: le buone maniere erano sprecate con Uncino, in quel momento.
Uncino guardò Robin con la stessa tremenda intensità che aveva riservato al pugnale, ma c’era qualcosa di più simile alla disperazione che alla rabbia nei suoi occhi, ora. «No, amico, non ci riesco… non senza di lei».
«La ritroveremo, Uncino» sentenziò David, che si era definitivamente rimesso sui binari del Principe Azzurro.
«Non sappiamo nemmeno dove diavolo sia! Non sappiamo come arrivare da lei! E quando mi avrete presentato delle soluzioni passabili a questi due insignificanti problemi, resterà comunque il problema più grande: non sappiamo chi starà ad aspettarci, dall’altro lato del maledetto portale, che non sappiamo come aprire, che non sappiamo dove ci porterà!»
«Sei una dannata reginetta del dramma, Eyeliner» Regina ritrovò d’un tratto la voce e i suoi atteggiamenti cordiali. «Affronteremo un problema alla volta, ma lo faremo restando uniti... Se siamo riusciti a riportare a casa la pelle dall’Isola Che Non C’è, a sconfiggere quella squilibrata di mia sorella e a sistemare le cose con l’Autore, è stato solo perché abbiamo fatto squadra. E non lascerò che tu mandi in malora te stesso e tutti quelli che ti circondano solo perché hai deciso che l’autodistruzione è la storia che vuoi scrivere per te stesso!». Dannazione, che discorso da Comitato Speranza… forse Mary Margareth aveva ragione davvero, dopotutto. Ora ci mancava solo che si mettesse a conversare con coniglietti e pettirossi, e il quadretto sarebbe stato completo!
Uncino sembrava d’accordo soprattutto con quello che Regina aveva appena pensato, piuttosto che con quello che gli aveva detto. Era come se le parole del sindaco Mills non lo avessero neanche lontanamente sfiorato, deciso com’era ad abbandonarsi alla rabbia e alla frustrazione. Ma non fece in tempo ad aprire bocca per inveire contro di lei, perché venne interrotto.
«Smettetela… Basta!» Mary Margareth si mise tra il pirata e Regina, dardeggiando uno sguardo furente dall’uno all’altro. «Uncino, io e David ti vogliamo bene, e tu sai che in questo momento ti capiamo più di chiunque altro, ma questo tuo atteggiamento non ci porta da nessuna parte. Regina ha ragione…».
«E allora perché mi stai bacchettando?».
«Perché comunque devi lavorare ancora parecchio sulle buone maniere» ribatté David.
«Ah, su questo potete contarci, Azzurri… ma temo resterete delusi. Questa faccenda di diventare l’eroe della situazione è già dannatamente complicata senza che io debba anche mettermi a organizzare l’ora del the e a coltivare narcisi ballerini!».
Robin ridacchiò.
«Quello che intendevo dire, in realtà» proseguì Mary Margareth, come se nessuno la avesse interrotta «è che Regina ha detto una cosa interessante… ha parlato del fatto che è Uncino a scrivere la propria storia. Scrivere… non capite? Potremmo usare la penna dell’Autore! Per aprire un portale, per trovare Emma, forse addirittura per salvarla!».
L’entusiasmo di Mary Margareth era palpabile, e a quanto Regina poteva vedere stava rapidamente contagiando David e Robin. Forse non avrebbe dovuto soffermarsi su pensieri simili, ma era stata insignita del titolo di Salvatrice da meno di cinque minuti e già per la seconda volta sentiva la  Regina Cattiva alzare gli occhi al cielo dentro di lei. Buoni… non imparavano mai. «A nessuno di voi viene in mente che sembra troppo facile per funzionare?».
«Non potrei essere più d’accordo con Sua Maestà» borbottò Uncino, un’ombra dell’antica insolenza finalmente tornata sul suo volto, e ben più di un’ombra di velenoso sarcasmo ad avvelenare le sue parole. «E non intendo trascorrere altro tempo a parlare, meno che mai se l’argomento è la dannata speranza. Se resto qui un altro minuto, il mio acciaio assaggerà del sangue, e dato che a voi tutti sembra così importante preservare l’integrità della mia maledetta anima, penso che andrò ad affogare i miei burrascosi propositi in una tinozza di rum. Spero riuscirete a impiegare la vostra serata in maniera altrettanto produttiva» aggiunse, e con un inchino di scherno fece per allontanarsi in direzione del porto.
«Amico, non credi che dovresti lasciare a noi il pugnale?» chiese Robin, azzardando un passo in direzione del pirata. Ma lo sguardo che Jones gli lanciò da sopra alla spalla bastò a gelarlo sul posto.
«Se pensi di potermi convincere a separarmi dall’unico oggetto che potrebbe permetterci di ritrovare Emma, allora forse ho un ottimo motivo per rimandare il mio appuntamento con l’alcool… amico».
E detto questo, il capitano si incamminò a grandi passi nella notte.
«Ha un piano» affermò Regina, sicura, non appena la figura smilza del pirata fu a distanza di sicurezza.
«Come fai a dirlo?» le chiese Robin, ancora visibilmente turbato dalla facilità con la quale quello che aveva ormai iniziato a considerare come un amico lo aveva nemmeno troppo velatamente minacciato di morte.
«Lo conosco» disse lei, semplicemente. Ma gli sguardi incuriositi degli altri la spinsero a spiegarsi meglio: dopotutto, solo lei aveva incontrato il capitano nei giorni in cui la leggenda stessa di Uncino era stata forgiata. «Killian Jones è astuto, ma non tanto quanto crede di essere. Qualcosa gli ronza per la testa, e probabilmente crede che la nostra presenza lo intralcerebbe. Non avete notato che ha impiegato quindici secondi netti per passare dalla disperazione più totale ad un impellente bisogno di bere? Era solo una scusa. Scommetto quello che volete che non tornerà alla Jolly Roger per tutta la notte, se necessario».
«E perché la cosa non ti preoccupa, Regina?» domandò David, che era sempre stato il meno propenso di tutti a lasciare troppa libertà di azione a Jones.
«Perché lo conosco» ripeté lei. «E so che qualunque cosa abbia in mente, non funzionerà. Sta affrontando il problema dalla prospettiva sbagliata».
«Vale a dire?».
«Uncino è convinto che Emma debba essere salvata dall’Oscurità, e che ogni secondo che passa la allontani inesorabilmente dal Bene. Ma Emma non è come tutti gli altri Oscuri… lei è la Salvatrice, la è sempre stata. E ha ceduto all’Oscurità per fare del Bene, per proteggermi. Questo deve contare qualcosa».
«Lo credi davvero?» gli occhi di Mary Margareth erano di nuovo pieni di lacrime.
«Io… io lo spero».

 



 
··· Angolo Autore ···
Ehm, salve.
Scrivere questo prologo non è stato nemmeno lontanamente difficile quanto mettere insieme le parole che state per leggere ora. (ok, forse sto esagerando)
Dunque, la mia ultima fanfiction è stata pubblicata su questo sito l'estate prima del mio ultimo anno di liceo. Considerando che mi sono laureata alla triennale qualche mese fa, direi che sono passati giusto un paio di anni, ahah '-'
Il punto è che avevo esaurito l'ispirazione, riguardo alle cose su cui scrivevo prima, e non avevo trovato nulla di nuovo che mi entusiasmasse al punto da voler scrivere qualcosa di mio... questo fino a quando non ho scoperto OUAT, a quanto pare :D ci ho messo meno di un mese a mettermi in pari con la programmazione americana, giusto in tempo per gli ultimi tre/quattro episodi della 5A... che, ad essere onesti, non saranno stati i miei preferiti, ma mi sono piaciuti. È solo con la 5x11 che mi è un po' crollato tutto il castello di carte, perché l'ho trovato un modo sbrigativo, inaccurato e sinceramente anche prevedibile di concludere una storyline che già da qualche episodio aveva cominciato a scricchiolare (premessa necessaria, dato che ho notato che in questo fandom c'è parecchia aggressività: sono una Hooker convinta. Lo adoro, davvero, fin dalla sua prima apparizione, e non penso che la polemica su Once Upon a Hook sia fondata. Ma è innegabile che gli sceneggiatori abbiano tralasciato parecchie cose per concentrarsi su lui ed Emma, e se questo in generale è anche giusto, riguardando le prime stagioni mi è sembrato evidente che agli inizi riuscivano a concentrarsi su una coppia anche senza trascurare o trattare velocemente tutti gli altri, ecco ^^"). Insomma, i difettucci che avevo notato e le cose che non mi avevano convinto della 5A mi hanno spinto a chiedermi: e se fosse andato tutto diversamente? Se dopo la 4x22 i vari personaggi avessero agito in un altro modo, anche se sempre per lo stesso motivo, ossia salvare Emma dall'Oscurità?
Questa fanfiction (a proposito, il titolo è un verso della magnifica Cosmic Love di Florence & The Machine... una canzone che se non conoscete dovreste davvero ascoltare *__*) è la mia risposta a questo quesito. All'epoca in cui scrivevo per Harry Potter non ho pubblicato che una sola Long Fiction, che non ho mai portato a termine, e questa storia necessariamente sarà abbastanza lunga... spero solo di mantenere l'ispirazione per scriverla, ecco, perché qualche ideuzza la ho e mi piacerebbe svilupparla fino alla fine.
Ora che le note sono lunghe quasi quanto questo chilometrico prologo, direi che è il caso per me di andare :P
Spero di avervi incuriosito!
 -R


Disclaimer: tutti i personaggi, meno eventuali OC, appartengono ai creatori della serie TV. Se fossero miei, probabilmente sarebbero tutti felici e contenti, e io sarei ricca sfondata. Vista l'infelicità che aleggia su Storybrooke e nel mio portafogli, direi che sappiamo tutti qual è l'amara verità.

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Capitolo 2
*** 5x01 Ϟ Rebirth ***


5x01 Ϟ Rebirth

 
 
 
 
Dolore. Tutto era dolore. La pelle le bruciava, come se un’ustione le avesse scoperto tutte le terminazioni nervose. Le ossa le sembravano di piombo, per quanto le pesavano. E non riusciva a respirare: per quanto si sforzasse di inghiottire aria, era come se un enorme cuscino invisibile venisse premuto a forza contro la sua faccia. Ma la cosa peggiore era la sensazione di essere stata scaraventata in un oceano di oscurità senza fine, nera come la notte e talmente densa che non riusciva nemmeno a ricordare cosa si dovesse provare a vedere qualcosa. Le sembrava di essere immersa in quel terrificante nulla da anni, ad agonizzare per la sofferenza fisica che stava provando, ma la parte più razionale della sua mente le faceva presente che i ricordi dei suoi ultimi istanti a Storybrooke erano troppo vividi perché fosse davvero passato quel tempo. O forse il dolore la stava facendo impazzire, annullando il tempo nella sua memoria, distorcendo la realtà, creando fantasmi di cose che non erano mai successe, mai esistite?
Forse era proprio così. Forse era davvero impazzita dal dolore. E come avrebbe potuto non impazzire? Nella sua mente vorticavano ricordi e pensieri di decine e decine di vite che non sapeva nemmeno di aver vissuto, istanti e giorni e anni che ora però le ingombravano la mente, in un modo talmente invasivo che nemmeno il dolore fisico che stava provando poteva distrarla, e con un intensità tale che non c’era alcun conforto nell’abbandonarsi alla sua mente per cercare rifugio dal suo corpo straziato.
Amori delusi, amori perduti, omicidi, torture, ferite sanguinanti, madri, padri, figli, fratelli morti in modi indicibili, case bruciate, volontà di vendetta, sete di sangue, brama di potere, tutto le passava davanti agli occhi come un filmato a velocità accelerata, e in lei sentiva crescere il dolore, la rabbia, il risentimento, anche se una piccola, minuscola parte di lei sapeva che quelle immagini, quelle memorie non le appartenevano. Non erano sue… non erano sue, vero?
E allora perché le sembrava di avere di nuovo davanti i genitori adottivi che la avevano tenuta con loro solo fino a quando non erano riusciti ad avere un figlio loro, per poi rimandarla indietro come un elettrodomestico ancora in garanzia? E quella non era forse la casa famiglia da cui aveva cercato di scappare più volte, senza mai riuscirci? E la ragazza bruna che tornava dal suo passato a rovinarle tutto con quella nuova famiglia adottiva, non era forse la sua amica Lilith? I ricordi scorrevano più lenti, ora, come a volerla torturare ancora di più. Le notti passate a piangere fino a crollare addormentata, raggomitolata nel letto di una casa che non sarebbe mai veramente stata sua. La sera terribile in cui Neal la aveva abbandonata, lasciando che finisse in prigione. Il giorno in cui aveva dato alla luce il suo bambino, e non aveva avuto nemmeno la forza di prenderlo in braccio un’ultima volta prima di abbandonarlo. Gli anni passati a rincorrere piccoli criminali, rischiando la pelle per poche centinaia di dollari, tutto per potersi permettere un tetto sopra la testa e del cibo precotto: una vita squallida e solitaria, della quale aveva sempre finto di essere soddisfatta, nonostante il vuoto incolmabile che sentiva nel cuore. L’orrore che aveva provato quando Graham si era accasciato tra le sue braccia, morto, con ancora le lacrime di gioia che gli scorrevano giù per il volto.  Henry che perdeva conoscenza davanti ai suoi occhi dopo aver addentato quel maledetto dolce alle mele. Ritrovare Neal dopo più di dieci anni, per poi rimanere a guardare, impotente, mentre precipitava attraverso un portale. Walsh che si trasformava in una spaventosa scimmia alata e la attaccava, come se il fatto di aver appena scoperto che tutti i suoi ricordi dei precedenti undici anni erano falsi non fosse stato già un colpo abbastanza doloroso. Ritrovare Neal ancora una volta e perderlo di nuovo, guardarlo morire tra le sue braccia dopo che si era sacrificato per salvare tutti loro, mentre in lei il dolore della perdita si sommava al rimorso di averlo sempre respinto da quando si erano ritrovati a New York. La sensazione terribile che aveva provato quando aveva abbracciato sua madre, nel passato, e lei la aveva guardata come se fosse una sconosciuta. L’incontro con Ingrid, che aveva riaperto tutte le ferite della sua infanzia e della sua adolescenza. Il modo in cui si era sentita tradita e ingannata dai suoi genitori, per quello che avevano fatto alla povera Lilith prima ancora che nascesse. Ritrovare Lilith dopo tutti quegli anni e sentirsi terribilmente colpevole anche solo a guardarla negli occhi. Quel terrificante mondo alternativo in cui aveva passato anni in catene, con la terribile consapevolezza di chi fosse davvero mentre tutti gli altri la consideravano solo una folle. Suo padre che pugnalava Killian davanti ai suoi occhi, e lui che come tutte le persone che aveva anche solo pensato di poter amare le moriva davanti, senza che lei potesse fare niente. Quell’ultimo, terribile ricordo, ancora così vicino, fu il colpo decisivo, che la fece crollare.
Urlò. Nemmeno lei sapeva con quale fiato, ma urlò e urlò fino a quando non fu più in grado di riconoscere la sua stessa voce, rotta dal dolore e dall’angoscia. Quando non riuscì più ad emettere alcun suono, si accorse di essere accasciata su un pavimento, una superficie liscia e così fredda da provocare una nuova scarica di dolore sulla sua pelle sensibilizzata. Ma se davvero il suo corpo si trovava raggomitolato su un pavimento, questo voleva dire che lei si trovava in un qualche luogo. Buio, orribile e probabilmente pieno di insidie, ma era pur sempre una conferma del fatto che era tutto reale. C’erano stati lunghi istanti in cui il dolore la aveva offuscata al punto da farle dubitare persino di essere mai esistita veramente. Ma probabilmente la certezza di essere reale, di aver vissuto davvero tutte quelle cose orribili, era una punizione ancora peggiore della sofferenza fisica. Prima ancora che potesse riuscire a imporre alle sue membra tremanti di rimetterla in piedi, però, la superficie gelida sulla quale era raggomitolata cominciò a muoversi, sollevandosi verso l’alto.
Emma Swan emerse dalla Volta dell’Oscuro tremante di dolore e paura, avvolta in una tunica ruvida e sdrucita che era piuttosto sicura di non avere addosso fino a un istante prima. Guardandosi intorno, accolse con un mugolio di sollievo la sensazione del sole caldo sul viso, della brezza leggera che portava con sé un forte odore di pino e di muschio, del cinguettare sereno di qualche uccellino, niente affatto turbato dalla sua improvvisa apparizione. Sembrava il primo mattino del mondo, e, considerando l’abisso di oscurità al quale era appena sfuggita, forse per lei era davvero così. Chiuse gli occhi per un istante ed inspirò a fondo, sentendosi rinascere.
«Ehilà, carina!».
Una voce acuta e palesemente divertita risuonò a poca distanza da lei, così inaspettata da farla sobbalzare come se fosse stata un colpo di cannone. Emma spalancò gli occhi. Davanti a lei c’era Rumplestiltskin, ghignante, che la fissava con un luccichio eccitato nello sguardo. Non era il Rumplestiltskin di Storybrooke, l’uomo dalla voce calma e dai modi affabili, sempre impeccabile nei suoi completi scuri, sempre cauto nel muoversi, eppure capace di farle rizzare i peli sulla nuca con un semplice sguardo. Quell’uomo era astuto, potente, dotato di un’enorme conoscenza del mondo dal quale tutta Storybrooke proveniva, imprevedibile, determinato a tenere al sicuro se stesso e i suoi cari, ma erano tutte cose che Emma aveva scoperto solo con il tempo: all’apparenza, il signor Gold non era altro che un pacato uomo di mezza età che gestiva il vecchio negozio di antiquariato su High Street. Quello che stava davanti ad Emma in quel momento, invece, era il Rumplestiltskin che le era capitato di incontrare una sola volta, quando lei e Killian erano finiti nel passato e avevano avuto bisogno di tutto l’aiuto possibile per tornare a casa: i capelli erano crespi e rossastri, la pelle verdognola e squamata, i denti aguzzi dietro al suo ghigno insolente. Ma la cosa più terrificante erano i suoi occhi: grandi occhi giallastri, da rettile. Da Coccodrillo, avrebbe detto Killian, probabilmente sputando quelle sillabe con tutto il disprezzo che fosse riuscito a infondervi.
«Rumplestiltskin» mormorò Emma cautamente, con il filo di voce che riuscì a tirare fuori.
«Oh no, carina, non sono Rumplestiltskin… non soltanto almeno!» rispose il folletto, con voce querula, gesticolando come un prestigiatore. «Io sono molto, molto di più di lui… Ho solo scelto di assumere l’aspetto più incredibilmente affascinante che gli Oscuri abbiano mai avuto da quando esistono!».
«E cosa vuoi da me, Oscuro?» chiese Emma, stringendo gli occhi con fare guardingo. Che quell’essere fosse o non fosse veramente il signor Gold in versione lucertolona, la cosa di cui era sicura era che non poteva e non doveva assolutamente fidarsi di lui.
La creatura le si avvicinò con una rapidità inumana, le prese il volto con le sue mani viscide e fredde e la guardò con dolcezza, in modo quasi paterno. «Non essere sciocca, ragazza. Sai benissimo cosa voglio da te… voglio tutto quello che sei!» sussurrò, abbandonando la sua teatralità e le sue moine in favore di un sussurro terribilmente minaccioso.
Emma si ritrasse da lui così bruscamente da perdere l’equilibrio e ruzzolare giù dall’apertura della Volta. «Mai!» ringhiò senza nemmeno alzarsi da terra, infischiandosene della fitta di dolore alla gola e di quella alle mani e alle ginocchia, che si erano scorticate nella caduta. «Io non diventerò mai una cattiva! Sono nata per essere la Salvatrice, e lo sarò sempre… non ti darò ascolto, nemmeno se mi costringerai a starti a sentire! Vai via!».
«Quanto fuoco, tesorino!» sibilò Rumplestiltskin nel suo orecchio sinistro. Emma trasalì: non si era nemmeno accorta che lui si fosse mosso. «Tuttavia credo che tu stia sprecando le tue forze. Non è facile ignorarmi… visto che sono dentro la tua testa, ha!».
Istintivamente, Emma si mise in piedi, cercando di allontanarsi da quella creatura inquietante. Ma una frazione di secondo dopo, Rumplestiltskin era alla sua destra, con il suo orribile ghigno stampato sul viso e un luccichio divertito negli occhi mostruosi. «Oh sì, carina, proprio così. Io sono la tua guida, il tuo mentore, il tuo maestro! Sono qui per aiutarti a fare ciò che prima o poi sarai portata a fare, nonostante cercherai di fare qualunque cosa pur di impedire che accada…».
«E sarebbe?» tagliò corto Emma. Più passavano i secondi, più era sicura di una cosa: preferiva di gran lunga la versione di Rumplestiltskin con la quale aveva fatto i conti a Storybrooke rispetto a quella che aveva incontrato nella Foresta Incantata. Quanto meno, il signor Gold non parlava come un invasato, né si divertiva a far risuonare ogni consonante come se ce ne fossero almeno altre tre o quattro da pronunciare. Se si tralasciava la parte in cui quel mostriciattolo era nella sua testa, orribile come un incubo ma molto più persistente, tutta la situazione era incredibilmente snervante.
«Cercherai di resistere, di dimostrare che i tuoi genitori si sono preoccupati inutilmente tanti anni fa e che tu sei sempre tu, Emma Swan la Salvatrice, una donna forte che può sopravvivere a tutto, ma alla fine dovrai cedere… alla fine anche tu ti abbandonerai all’Oscurità!» proclamò il folletto, gesticolando nel suo solito modo teatrale mentre il suo ghigno si allargava ancora di più.
«Per essere uno che afferma di vivere nella mia mente, non mi conosci affatto» ribatté Emma, continuando istintivamente a cercare di tenersi fuori dalla portata delle mani verdognole di Rumplestiltskin. «Lo hai detto anche tu, io sono la Salvatrice. È il mio destino, e nemmeno un essere inquietante come te può portarmelo via. Io non cederò all’Oscurità… mai!».
Il dannato folletto finse di rabbrividire. «Uuuuh, quanta sicurezza, signorina Swan!» la schernì, saltellandole tutt’attorno. «Eppure, se ben ricordo, ci hai messo mesi e mesi perfino ad accettare l’idea che il tuo prezioso Henry avesse ragione con la storia della maledizione, e anche quando – per miracolo, oserei dire – sei riuscita a spezzarla e hai visto con i tuoi occhi giganti, streghe e mostri di ogni tipo hai avuto difficoltà persino a chiamare Campanellino per nome senza sentirti fuori di testa mentre lo dicevi! Quanto poi ad accettare l’idea di essere la Salvatrice… beh, non farmi ridere, carina! Persino quei due sconsiderati dei tuoi genitori ci credevano più di te, e visti tutti i disastri che hanno combinato per assicurarsi che tu non avessi nemmeno lontanamente la possibilità di scegliere se essere buona o meno, credo che questo basti a dimostrare come stanno le cose!».
Rumplestiltskin ridacchiò malignamente, continuando a girarle intorno, ed Emma – che cercava di non perderlo d’occhio nemmeno per un istante – cominciò a sentire la testa che le girava. «N-no, ti sbagli. I miei genitori credono in me, tutti credono in me… e io non sono più la persona disillusa che ero quando Henry ha bussato alla mia porta la sera del mio ventottesimo compleanno!».
«Oh, no no no no, certo che no» il folletto si esibì in quello che doveva essere un atteggiamento paterno, senza mai smettere di camminare in cerchio attorno a lei. Emma rabbrividì, ma si rifiutò di chiedergli di smetterla. Non gli avrebbe dato questa soddisfazione. «Ora sei una donna diversa, te lo concedo. Devo ammettere che – e parlo a nome della tua stessa mente ora – stento quasi a riconoscerti! Chi avrebbe mai potuto dire che quella povera, piccola ragazzina abbandonata da tutti, l’orfanella sfortunata e ripudiata così tante volte, sarebbe riuscita alla fine ad aprire il suo cuore all’amore?».
Emma decise che forse valeva la pena di concedere a quella creatura infausta qualche soddisfazione, dopotutto. Con un notevole sforzo, impose alle sue gambe di mettersi al lavoro, e mosse qualche passo incerto sul terreno morbido e coperto di aghi di pino. «Che cosa staresti insinuando, folletto?» domandò, combattuta tra il desiderio di allontanarsi il più possibile da Rumplestiltskin e quello di sapere che cosa le avrebbe risposto. Nemmeno una quasi ex scettica come lei, a quel punto, poteva negare la verità di quanto quell’essere le aveva appena detto: lui era veramente nella sua testa, e, cosa ancora peggiore, sembrava aver avuto facile accesso a parecchi angoli della sua mente che di solito lei cercava di evitare. Era come stare a guardare lo specchio incantato di Ingrid, almeno secondo il racconto di Belle… solo che nel suo caso distogliere lo sguardo non serviva a nulla.
«Io? Ma io non sto insinuando proprio nulla, tesorino» rispose Rumplestiltskin, continuando a saltellarle attorno mentre lei cercava di non finire in qualche cespuglio spinoso o di inciampare in una radice sporgente. «Non dimenticare che io sono te! Sei proprio tu a pensare ogni singola cosa che ti dico… ma ammetto di aggiungere sempre un pizzico del mio senso dell’umorismo, quando le dico. Sai, ragazza, sei davvero noiosa per essere così giovane. Penso che dovresti svagarti un po’, di tanto in tanto!».
«Vuoi smetterla di prendermi in giro e iniziare a parlare chiaro?» sbottò Emma furente, voltandosi a fronteggiarlo.
«E sei anche sgarbata… proprio una brutta combinazione! Cosa ti salta in mente, signorina Swan? Ah, aspetta! Lo so perfettamente!» ridacchiò la creatura. «Da quando hai capito che questa storia della Salvatrice è terribilmente reale, hai proprio una brutta sensazione alla bocca dello stomaco… dev’essere terribile sentirsi così e ritrovarsi a sperare che il tuo infallibile istinto per una volta fallisca eccome, vero? Perché tutto quello che ti è successo da quando tu e il piccolo Pinocchio siete arrivati nel tuo mondo ti ha insegnato che, in media, i buoni non fanno mai la fine che tutti pensano si meritino… e si suppone che tu sia una super-buona, no? Quindi quello che ti succederà dovrà per forza essere super-orribile!» concluse il folletto, trionfante.
«Non è così!» cercò di ribattere Emma. «Ho passato anni veramente schifosi, te lo concedo, ma quando Henry mi ha riportato a Storybrooke mi ha restituito tutto quello che la vita mi aveva tolto: ora ho una casa, ho ritrovato i miei genitori, ho un’altra chance con lui che è mio figlio, ho Killian… quello che mi è successo non è affatto stato super-orribile!».
«Continua a ripeterlo, carina… magari se lo dici ad alta voce i passerotti e i coniglietti del bosco ci crederanno. Ma io so qual è la verità, e la sai anche tu: tutte queste persone meravigliose che stanno rendendo la tua vita piena e degna di essere vissuta e blablabla, sono solo un altro punto nella lunga lista di cose che hai perso, perderai o stai perdendo proprio in questo momento. Com’è quella frase di Harry Potter che tanto ti ha colpita quando hai visto il film? “Finisce solo che tieni a troppe cose, e più ci tieni…”».
«“… più hai da perdere”» concluse Emma in un sussurro, fermandosi di botto. Nonostante fosse passato del tempo, ricordava chiaramente la maratona di Harry Potter che Henry la aveva costretta a subire quando aveva compiuto dodici anni, a New York, e come aveva provato un brivido a sentire il giovane attore protagonista pronunciare quelle parole che sentiva così vere, così sue, anche se quella in teoria era la vita felice e spensierata, costruita su ricordi totalmente falsi, che Regina aveva donato a lei e suo figlio per salvarli dalla maledizione di Pan.
«E dimmi un po’, signorina Swan, non trovi che la storia di quell’irritante maghetto sia fastidiosamente simile alla tua? Per quanto sia innegabile che le tue allucinazioni siano molto più affascinanti delle sue, dobbiamo ammettere che la storia dell’orfano predestinato a salvare capra e cavoli sia più che familiare!» ridacchiò Rumplestiltskin, palesemente estasiato dal turbamento che stava procurando ad Emma. La quale però non aveva intenzione di cedere.
«Beh, se il tuo intento è quello di spaventarmi, Oscuro, allora hai sbagliato esempio… persino i sette nani sanno che alla fine Harry Potter vince».
«Oh, sì sì, questo è vero… ma persino i sette nani sanno che Harry Potter non è altro che un personaggio di fantasia… il protagonista di un libro per bambini, e nessuno si sognerebbe mai di raccontare ai bambini la tremenda verità: nel mondo reale non ci sono eroi, e sono sempre i mostri a vincere!».
«Magari stavolta è diverso. Magari posso farcela… ce l’ho fatta tutte le altre volte, o ti sei dimenticato di questo piccolo dettaglio?»
«Oh no carina, io non dimentico. Sei tu quella che tende a dimenticare i dettagli. Questa volta gli eroi sono gli altri… perché il mostro sei tu!» ribatté Rumplestiltskin, con la voce più bassa di parecchi toni, puntandole contro un dito adunco, adornato da un’unghia lunga e verdastra veramente disgustosa.
Emma si ritrovò a pensare che lo preferiva quando faceva il giullare: la voglia di prenderlo a pugni era più piacevole del terrore puro che quell’essere sapeva ispirare. Cercò di dimostrare più sicurezza e calma di quanta ne stesse provando in quel momento, anche se una parte di lei sapeva che era inutile: poteva mentire a tutti, ma non a se stessa. «Non mi sento affatto un mostro. Non mi sento affatto diversa da com’ero prima…».
Ma quella conversazione sempre più spiacevole fu interrotta da un improvviso rumore: c’era qualcuno nascosto dietro i cespugli, Emma lo intuì subito. «Chi va là?» chiese, autoritaria. «Vieni fuori, chiunque tu sia!».
Una figurina magrolina e spaurita emerse timidamente dal fogliame: era una ragazzina, vestita poveramente e con il viso sporco; probabilmente era poco più piccola di Henry, e la stava fissando con gli occhi castani spalancati e la bocca semiaperta. Emma cercò di sorridere con fare rassicurante, ma dentro di lei era terrorizzata: sapeva che la cosa migliore era cercare di tenere segreto il suo arrivo nella Foresta Incantata, o quanto meno le ultimissime cose che le erano successe. E il cielo sapeva quanto la ragazzina avesse sentito…
«Tutto, carina» il sibilo di Rumplestilskin giunse in risposta ai suoi timori, e il sorriso sforzato di Emma si incrinò. «La ragazza ha sentito tutto quello che ci dicevamo… o meglio, che tu dicevi a te stessa, visto che solo tu hai il privilegio di vedermi! Nel migliore dei casi, penserà che sei completamente matta…»
«Ciao, piccolina!» disse Emma forte, cercando di ignorare il sussurro del folletto. «Tutta sola nel bosco?». La ragazzina annuì, senza mai battere le palpebre o distogliere lo sguardo da lei. Era spaventata a morte, e dietro la terra che le impolverava il viso si vedeva che pallidissima. «E come ti chiami?»
«P… Prim. Primrose» balbettò la ragazzina.
«… ma qualunque adulto al quale racconterà di aver incontrato una strana donna nei pressi della Volta dell’Oscuro capirà chi sei… capirà cosa sei diventata!» continuò Rumplestiltskin imperterrito. «Non devi permettere che accada!».
«Silenzio!» intimò Emma, incapace di trattenersi oltre. Ma capì immediatamente di aver compromesso ulteriormente la situazione: la ragazzina sobbalzò e si ritrasse, facendosi piccola piccola e continuando a fissarla, ora palesemente in preda al terrore. Emma seppe che aveva capito. E nello stesso istante, si fece strada in lei una tremenda consapevolezza… alla quale ovviamente Rumplestiltskin non mancò di dare voce.
«Non puoi lasciarla andare. È un pericolo.» constatò il folletto, ora stranamente pacato, molto più simile al signor Gold di quanto non lo fosse stato fino ad allora. Cosa che lo rendeva ancora più inquietante. «Questa ragazzina ha sicuramente dei genitori o dei parenti da cui tornare, degli adulti, che capiranno e verranno a cercarti… ed è nel tuo preciso interesse agire indisturbata!» incalzò.
Emma strinse i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi, e cercò di ignorarlo. Ma non ci riuscì, e si voltò a fronteggiarlo. «Non intendo farle del male!» urlò.
Era troppo, decisamente troppo per la piccola Prim. Con la coda dell’occhio, Emma la vide che iniziava a correre tra gli alberi, veloce come il vento. «Ferma… fermati, ragazzina, torna qui!» esclamò, disperata, tendendo una mano in avanti come se avesse voluto afferrarla. Era impossibile, ovviamente, sapeva che non sarebbe riuscita a fermarla… ma allora perché la piccola si era immobilizzata, a poche decine di metri da lei?
Emma corse nella sua direzione. Primrose stava lottando disperatamente per liberarsi da una qualche forza che la teneva ferma, inchiodata ancora a metà di un balzo. La piccola piangeva dal terrore.
«Ma che sta succedendo?» si chiese Emma ad alta voce, guardandosi intorno. Quella era magia, era ovvio, ma chi la stava praticando? C’era qualcun altro in quella radura, oltre a quella povera bambina, a lei e ai suoi fantasmi?
«Non è ovvio, carina?» rispose Rumplestiltskin, sempre irritante. «Sei tu!»
Emma si fissò le mani, incredula. «No… non è possibile! Devo sempre concentrarmi per usare il mio potere, devo canalizzare le mie emozioni e tutto il resto… sei stato tu ad insegnarmelo, a Storybrooke!».
«Naaah, non sono stato io. Io non sono io, io sono te!» ridacchiò la creatura. «E qualunque cosa tu abbia imparato sulla tua magia prima di oggi, puoi dimenticarla… Ora sei molto più potente, incredibilmente più potente!».
«No…» Emma non poteva essere felice, non riusciva ad essere felice nell’apprendere una simile verità. Ricordava fin troppo bene cosa aveva combinato con i suoi poteri quando Ingrid aveva minato tutte le sue sicurezze, e non avrebbe mai potuto dimenticare nemmeno la sensazione che aveva provato nell’usarli indiscriminatamente per colpire Crudelia: un misto di orrore e di onnipotenza, che si era augurata non le capitasse mai più di sentire scorrerle nelle vene.
«Su con la vita, tesorina!» esclamò Rumplestiltskin, con l’intento di tirarle su il morale. «Non succede tutti i giorni di acquistare un potere immenso e praticamente indistruttibile!».
Lo sguardo di Emma andava dagli occhi spiritati del folletto a quelli terrorizzati e imploranti di Primrose, alle sue mani ancora tremanti. «Che cosa faccio adesso?» sussurrò, con il sangue che le rombava nelle orecchie.
«Oh, adoro il mio ruolo di mentore!» celiò quella creatura maledetta, battendo le mani con entusiasmo. «E adoro ancora di più inaugurare un nuovo cammino verso l’Oscurità nel modo più classico di tutti: prendi il suo cuore!».
Emma prese un profondo respiro, e tese un braccio in avanti.

 



 
··· Angolo Autore ···
Ciao a tutti/e! Ecco il secondo capitolo della storia ^^"
È stato molto interessante calarsi nei panni di Emma, perché è un personaggio che - nonostante non sia affatto uno dei miei preferiti - ha sempre qualcosa di affascinante, fosse anche solo per il fatto che ha avuto una vita così intensa e complicata. Diciamo che nel fargliela ripercorrere ho voluto renderle un omaggio, ecco. Tasto dolentissimo è invece Rumplestiltskin, un maledetto genio che sono abbastanza sicura non riuscirò mai a rendere come si deve: la bravura degli sceneggiatori (e il talento di Bobby!) non sono facili da mettere "su carta"... diciamo che ci ho provato e che spero di averlo reso minimamente degno di considerazione, ecco XD
Penso che sia superfluo dire che la citazione da Harry Potter 5 e il nome della ragazzina sono due umilissimi omaggi a due saghe che adoro (ovviamente Hunger Games non avrà nulla a che vedere con questa storia, la ragazzina si chiama così ma non c'entra niente con Primrose Everdeen... che tra l'altro dovrebbe anche essere bionda :P); invece "Nel mondo reale non ci sono eroi, e sono sempre i mostri a vincere" è una citazione meno ovvia, ma per me altrettanto importante: è Sansa Stark. *adoro, adoro, adoro* *adoratela anche voi, suvvia!*
Non credo ci sia altro da dire a questo proposito.
Quanto al resto... cosa starà succedendo a Storybrooke? Cosa farà Emma alla povera Prim? Lo scopriremo nelle prossime puntate, mwahah.
Ma visto che sono già un po' avanti con la scrittura della storia, vi lascio un piccolissimo "sneak peek" del prossimo episodio, giusto per incuriosirvi un po'. Protagonista del capitolo: un certo pirata irruento di nostra conoscenza ;)

«Magia» borbottò il pirata, infondendo in quelle poche lettere tutto il suo disprezzo e tutto il suo timore, e distogliendo poi lo sguardo dall’oggetto che teneva appeso all’uncino per concentrarsi sul cielo stellato. Sapeva che non ci sarebbe voluto molto: non era la prima volta che la convocava in quel modo… anche se tanti anni prima era stato convinto che lo avrebbe dovuto fare un’unica volta.

Spero di avervi incuriositi/e a sufficienza... a presto! 

 PS: ovviamente ci tengo a ringraziare moltissimo chi legge, chi segue e chi recensisce... spero continuerete a leggermi ^^"
 -R


Disclaimer: tutti i personaggi, meno eventuali OC, appartengono ai creatori della serie TV. Se fossero miei, probabilmente sarebbero tutti felici e contenti, e io sarei ricca sfondata. Vista l'infelicità che aleggia su Storybrooke e nel mio portafogli, direi che sappiamo tutti qual è l'amara verità.

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Capitolo 3
*** 5x02 Ϟ Scary dragon bitches ***



5x00 Ϟ Scary dragon bitches

 
 
 
 
Killian Jones arrancava nella notte, inerpicandosi su quello che gli sembrava tanto un sentiero di capre illuminato a stento dalla falce di luna alta nel cielo, lungo il fianco dell’altura che dominava sui boschi attorno a Storybrooke. C’erano solo poche cose che detestava più di trovarsi così lontano dalla vista rassicurante dell’oceano, ed era abbastanza sicuro che fossero tutte legate ai suoi trascorsi con il maledetto Oscuro. Solo che ehi!, a quanto pareva ora il nuovo maledetto Oscuro era la donna che amava. Se c’era qualcuno a tirare i fili di quell’assurdo spettacolo di marionette, quel qualcuno aveva sicuramente un incredibile senso dell’umorismo, ed il pirata sarebbe stato più che entusiasta di stringergli la mano. E di conficcargli l’uncino nelle budella, magari.
Nonostante stesse camminando da almeno mezz’ora in mezzo a quei maledetti alberi, non riusciva nemmeno ad immaginare di fermarsi un attimo a prendere fiato: da quando l’Oscurità si era portata via Emma sentiva come un fuoco dentro, una bruciante determinazione a fare qualcosa, qualunque cosa gli avesse permesso di riportare la donna che amava a casa. O semplicemente di tenere la mente occupata, lontana dai pensieri più negativi che lo avevano assalito nell’istante stesso in cui quel pugnale tre volte maledetto aveva mostrato loro un nuovo nome inciso sulla sua lama. E l’idea che aveva avuto, a quanto pareva, gli permetteva di ottenere entrambe le cose.
Finalmente raggiunse una radura che aveva tutta l’aria di essere abbastanza vasta e spaziosa per quello che aveva in mente. Da una tasca del giubbino di pelle trasse la piccola lanterna di ferro battuto che aveva recuperato in fretta e furia dalla sua cabina sulla Jolly Roger, la appese al suo uncino per l’anello che stava alla sommità del coperchio e tirò fuori dalla tasca dei jeans il vecchio accendino di Baelfire: Emma lo aveva ritrovato qualche settimana prima, e aveva deciso di regalarglielo, perché sapeva che nessuno di loro due sarebbe mai riuscito a dimenticare una persona che aveva significato così tanto nelle loro vite. Killian si prese un brevissimo istante per chiudere gli occhi e pensare al suo vecchio amico. Nonostante la rivalità che c’era stata tra di loro a causa di Emma, il pirata era sicuro che si sarebbe sentito più tranquillo ad avere Baelfire al suo fianco in quel momento: sapeva che entrambi avrebbero dato anche l’anima per riuscire a trovare la donna che amavano, e che nessuno avrebbe potuto fermarli fino a quando non la avessero salvata. Si chiese anche come fosse possibile che nemmeno Regina e gli stessi genitori di Emma non lo capissero, si domandò come riuscissero a starsene lì a parlare di speranza e di eroi, come se la persona più importante delle loro vite non stesse vivendo un pericolo mortale proprio in quegli stessi istanti.
Riaprì gli occhi rabbrividendo quando un alito di vento odoroso di pino lo colpì gentilmente sul viso. Era notte inoltrata ormai, e cominciava a fare freddo. Uncino prese un profondo respiro e alzò il braccio sinistro, in modo da avere la lanterna davanti al viso; non senza qualche difficoltà, riuscì ad accendere la piccola candela all’interno, ormai quasi del tutto consumata. Stando bene attento a non respirarne il fumo, Killian rimise il prezioso accendino nella tasca dei pantaloni, poi si affrettò a chiudere lo sportellino della lanterna prima che un soffio di vento soffocasse la fiammella. Il vetro della lanterna era di un viola profondo, quasi nero, e riluceva in maniera inquietante ora che la luce lo attraversava: ogni secondo che passava, quella che a rigor di logica avrebbe dovuto essere una luce tremolante si faceva sempre più forte.
«Magia» borbottò il pirata, infondendo in quelle poche lettere tutto il suo disprezzo e tutto il suo timore, e distogliendo poi lo sguardo dall’oggetto che teneva appeso all’uncino per concentrarsi sul cielo stellato. Sapeva che non ci sarebbe voluto molto: non era la prima volta che la convocava in quel modo… anche se tanti anni prima era stato convinto che lo avrebbe dovuto fare un’unica volta.
Esattamente come era successo allora, una porzione di cielo sembrò farsi improvvisamente più scura, come se la notte stessa avesse iniziato a prendere forma solida e a spegnere le sue stelle. Quel pezzetto di cielo divenne sempre più nero e sempre più grande, finché gli occhi di Killian non riuscirono a distinguere un’enorme figura alata che si avvicinava al terreno, spazzando via le foglie dalla radura con il suo ritmico sbattere delle ali. Memore dello spostamento d’aria che quella prima volta lo aveva sbalzato al suolo, facendogli fare una pessima prima impressione con una delle cattive più potenti di tutti i reami tra l’altro, Uncino si andò a riparare dietro un grosso albero, e attese fino a quando dei tonfi sonori non annunciarono che il drago era atterrato sulle zampe poderose; poi, cauto come solo l’esperienza aveva potuto renderlo, uscì lentamente allo scoperto, proprio mentre la nube violetta si dissolveva e rivelava al suo sguardo la donna che aveva convocato.
«Avrei dovuto immaginarlo… i convenevoli non sono mai stati il tuo forte, Jones» sbuffò Malefica, non appena il volto di Killian venne colpito dalla luce della luna e lei poté riconoscerlo.
«Sai bene che solo una cosa al mondo mi impedisce di comportarmi da gentiluomo, tesoro, ed è quando ho maledettamente fretta di fare qualcosa» ribatté il pirata. «È stato così trent’anni fa, ed è così adesso. Emma è in pericolo».
«Ma davvero?» La donna sorrise in modo indecifrabile, spostando una ciocca di lunghi capelli biondi dietro all’orecchio con fare quasi civettuolo… ma la freddezza del suo sguardo mise Killian in guardia: era meglio non infastidire troppo quella strega, e non solo perché sapeva trasformarsi in un enorme rettile sputafuoco. I suoi trascorsi con gli Azzurri erano più che terribili, e il pirata non era poi sicurissimo che i tre avessero chiarito, o che Malefica avrebbe mai potuto perdonarli del tutto per quello che avevano fatto a sua figlia per salvare la loro. Killian si morse la lingua dal nervosismo: e se chiedere l’aiuto della strega più potente in città non fosse stata poi una idea così grandiosa come gli era sembrata all’inizio? Ma ormai era troppo tardi per tirarsi indietro.
«Avevo intuito che la tua chiamata non poteva essermi arrivata solo perché volevi godere del piacere della mia compagnia, ma questi tuoi modi bruschi mi turbano, tesoro» continuò la strega. «Qualunque sia il tuo problema, capitano, io non dimentico mai le buone maniere… e devo decisamente presentarti una persona. Credo che le circostanze siano state sfavorevoli fino ad ora, ma penso che sia giunto il momento di rimediare!».
Killian non ebbe modo di ribattere: la strega gettò la testa all’indietro e lanciò un richiamo nella notte, emettendo un suono così agghiacciante che il pirata sentì un brivido scendergli giù per la schiena. Dovette attendere anche meno di prima perché una seconda figura alata si stagliasse nel cielo stellato, avvicinandosi rapidamente al terreno. Pochi istanti dopo, capitan Uncino era al cospetto della seconda donna drago: più giovane, bruna di capelli, Lilith era sicuramente più inesperta della madre, ma non meno pericolosa – Uncino la aveva vista all’opera sia nel mondo reale sia in quella maledetta dimensione alternativa, e non si sentiva affatto tranquillo ad incontrarla una terza volta. Ma sapeva che, arrivato a quel punto, contrariare Malefica sarebbe stato quantomeno controproducente, perciò cercò di mascherare la sua frustrazione per l’ennesima perdita di tempo di quella sera e si esibì nel sorriso migliore che riuscì a tirare fuori.
«Cara, posso presentarti il capitano Killian Jones?» fece Malefica, con voce flautata.
«Lo conosco, il pirata» ribatté la ragazza, con voce ostile. «Ricordo abbastanza chiaramente che mi ha sparato contro una palla di cannone, giusto qualche ora fa».
Il pirata non permise al suo sorriso di incrinarsi. «Posso dire, in mia difesa, che in quel momento era la cosa giusta da fare? E soprattutto che poco dopo sono morto in un modo veramente ridicolo per uno spadaccino come me… credo di aver espiato abbastanza, non trovi anche tu, dolcezza?».
«No, capitano, io non trovo affatto» rispose Lilith, avvicinandosi lentamente a lui, con i pugni stretti lungo i fianchi e un pericoloso luccichio nello sguardo. «Hai perso tutto il tuo fascino, e qualunque speranza di attirarmi dalla tua parte, quando hai detto che “era la cosa giusta da fare”… suona disgustosamente da buono, non trovi anche tu, madre?».
Malefica sembrò pensarci su. «Beh, in effetti sì. Stando a quello che mia figlia mi ha raccontato della dimensione alternativa, non te la passavi benissimo… questo vuol dire che secondo le regole dell’Autore tu saresti diventato un buono come la mia cara amica Regina, capitano?». La strega ridacchiò. «Si vede che non ti conosce molto bene… o che non ha parlato molto con Ursula, per dirne una».
«L’Autore mi conosceva fin troppo bene, tesoro» ribatté Uncino, frustrato da quella perdita di tempo imprevista, ma ben consapevole di avere un disperato bisogno dell’aiuto di Malefica. Avrebbe preso un thè con pasticcini insieme a lei e sua figlia sul ponte della Jolly Roger, se fosse servito a metterla di buonumore. «Il mio destino era infelice nell’altra dimensione, è vero, ma dubito che si trattasse di una ricompensa per le mie buone azioni» spiegò. «Penso che la mia vita da mozzo miserevole e codardo fosse semplicemente una parte del lieto fine del maledetto Coccodrillo. Persino in un mondo in cui non avevamo avuto mai modo di incontrarci, voleva farmela pagare per una cosa successa secoli fa!» aggiunse, stizzito.
«Quanto ardore, capitano… sembra quasi che per te tutti quegli anni non siano mai passati, esattamente come tu dici che non sono passati per Rumplestiltskin» interloquì Lilith, scrutandolo con i suoi grandi occhi scuri, così diversi da quelli della madre. Per una frazione di secondo, Uncino si chiese se non li avesse presi dal padre.
«Mi domando cosa ti stia trattenendo dall’andare a sistemare definitivamente i conti con lui… ora che non è più l’Oscuro» aggiunse Malefica, con ostentata noncuranza.
«Cos… come fai a saperlo?». La sorpresa e il sospetto erano due sensazioni che Killian Jones aveva imparato a conoscere fin troppo bene, nei suoi avventurosi decenni da pirata: sapeva che di solito alla prima faceva quasi sempre seguito qualcosa di sgradito, ma era il secondo a preoccuparlo di più. Era stato impulsivo e impaziente per quasi tutta la sua lunga esistenza, e ci aveva messo molto tempo a imparare a fermarsi a riflettere su quanto lo circondava: continuava a farlo ancora troppo di rado, ma quando qualcosa lo costringeva a farlo sentiva sempre i peli sulla nuca che gli si rizzavano, incontrollabili, avvertendolo di un pericolo vicino.
Malefica sorrise, misteriosa come una sfinge, e gli si avvicinò lentamente. «Vedi caro, la faccenda è piuttosto elementare, se ti soffermi un istante a pensarci su… l’Oscurità vuole vincere, vuole prevalere, ma non è irruenta come certi pirati di mia conoscenza. È più una giocatrice di scacchi, diciamo, che sa perfettamente su quali pezzi puntare per arrivare alla vittoria finale: sicuramente non i pedoni, né i cavalli o gli alfieri. È la regina che l’Oscurità vuole!».
«E infatti è su Regina che l’Oscurità è piombata, dopo aver lasciato il corpo dell’apprendista» disse Killian, pensando ad alta voce, e rifiutandosi di ripercorrere fino alla fine i suoi ricordi più recenti. Non voleva ancora pensare a quell’ultimo lampo di capelli biondi e pelle candida che Emma era stata, prima di scomparire definitivamente nel buio.
«Ha! Buona quella» sbuffò Lily, sprezzante. «Regina Cattiva dei miei stivali… le mie pantofole a orsacchiotto sono più terrificanti».
«Parli con la sicurezza di una persona che  crede di conoscerla veramente, tesoro… eppure ti posso assicurare che non è così» sbottò Killian, infastidito. «Non conosci Regina, non sai niente di lei… di quello che ha fatto».
«Come avrai dedotto, capitano» intervenne Malefica, ignorando il suo intervento «la mia Lilith, da brava figlia di sua madre, ha degli standard di malvagità alquanto elevati. E per quanto io debba concordare con te su Regina e sul fatto che lei la conosca troppo poco, non puoi negare che abbia ragione. Regina è cambiata, da quando ha quel ragazzino… per non parlare di quanto la abbia rammollita l’incontro con quella sua insulsa anima gemella».
«Ma l’Oscurità aveva scelto lei!».
«Oh sì, capitano. Ma solo dopo che io la avevo respinta» il sorriso si allargò sul viso pallido della strega.
«Tu… come?» balbettò Killian, colpito da quella doppia rivelazione. Regina non era stata la prima scelta dell’Oscurità. Ed esisteva un modo per respingere l’Oscurità, Malefica ne era la dimostrazione vivente. Ma allora perché Emma si era dovuta sacrificare? Perché non era riuscita a scacciarla?
«Non angustiarti troppo, capitano» intervenne Lily, con parecchio scherno in meno nelle sue parole rispetto a prima. Sembrava aver intuito cosa lui stesse pensando. «Nessun altro poteva respingere l’Oscurità, tranne forse io. Mia madre ce l’ha fatta solo perché ha trovato la forza di trasformarsi in drago prima che fosse troppo tardi».
«Stavo quasi per soccombere» raccontò Malefica, lasciando trapelare tutta la sofferenza che doveva aver provato, e che Killian non voleva nemmeno immaginare. «Ma poi ho visto Lily, l’ho sentita urlare di paura e ho capito che non avevo alcuna intenzione di perderla un’altra volta… non finché mi scorre sangue nelle vene» aggiunse, prendendo la mano della figlia e guardandola con gli occhi pieni di lacrime. Lilith sorrise, imbarazzata: e per un istante, a Killian ricordò così tanto Emma, e lo stupore che provava ogni volta che i suoi genitori o suo figlio dimostravano di volerle bene, che gli fece male il cuore. Una volta che sei stata un bimbo sperduto rimani sempre un bimbo sperduto, pensò – e non per la prima volta.
«So che probabilmente avresti preferito che l’Oscurità prendesse me» disse Malefica sorridendo tristemente, interrompendo i cupi pensieri di Uncino. «Probabilmente sarebbe stato più facile per tutti, sai, mettersi contro di me. Regina ha avuto tempo per cominciare a farsi perdonare, e so che ora persino gli Azzurri e la tua Emma le sono affezionati e le vogliono bene… io invece non ho mai avuto occasione di fare ammenda con Aurora e la sua famiglia, né sono sicura che lo avrei fatto. E soprattutto, sono stata in quei sotterranei maledetti per quasi trent’anni: nessuno qui a Storybrooke ha potuto legare con me. Persino mia figlia non mi vuole ancora tutto il bene che vorrei…».
«Madre…» cominciò Lily, tesa, ma Malefica strinse più forte la mano della figlia tra le sue e la portò alle labbra.
«No, cara, non dire nulla. So che la tua vita è stata difficile, e penso che sia più che normale che tu incolpi anche me per tutto quello che ti è successo… dopotutto, una madre dovrebbe sempre proteggere i suoi piccoli. Mi dispiace di non essere stata in grado di farlo, ma non temere: impareremo a essere una madre e una figlia e a volerci bene così come siamo. Forse per me sarà più facile che per te, però. Non avrei mai pensato di arrivare a dover combattere la mia migliore amica sotto lo sguardo di mia figlia… e non penso che sarà un bello spettacolo. Regina era temibile già con i suoi poteri, non oso immaginare cosa sarà in grado di fare ora che ha l’Oscurità» aggiunse la strega, visibilmente turbata dalla prospettiva di dover affrontare un nemico che non poteva più dire di conoscere veramente.
Solo che Malefica non conosceva affatto il nemico, pensò Killian. Era ovvio che la strega era convinta di sapere cosa era successo dopo che si era trasformata in drago per sfuggire alla maledizione, perché effettivamente era proprio a Regina che anche lui avrebbe pensato, se qualcuno gli avesse riferito che l’Oscurità aveva scelto un nuovo contenitore umano. Tutti si sarebbero aspettati un simile finale per quella storia: e invece Emma aveva deciso di stupirli. E adesso a Malefica, la strega più potente e cattiva dei reami, venivano gli occhi lucidi al pensiero di dover sconfiggere la sua amichetta! Comparata con l’effettiva realtà dei fatti, era una prospettiva esilarante. Così Killian Jones non poté proprio trattenersi, ed iniziò a ridere, una risata sonora ed esasperata che lo lasciò senza fiato, che lo fece cadere in ginocchio e piangere come un ossesso, sotto gli sguardi sconvolti delle due donne drago.
«Uncino? Stai bene?».
 «Ma che ti prende?».
Alla fine, però, Killian dovette smettere: Lilith lo stava scrollando con forza, riportandolo al disgustoso e terrificante mondo reale. La sua evasione era durata solo un paio di minuti, ma a lui sembravano passate ore. La testa gli pulsava.
«Si può sapere che ti succede, pirata? Sei matto come un cavallo!» la ragazza continuava a scuoterlo, così forte da fargli battere i denti. «Tirati su, maledizione!».
Uncino dovette applicarsi parecchio per riuscire a mettersi in piedi, ma alla fine ci riuscì, aiutato da Malefica e da sua figlia, visibilmente preoccupate dalle sue condizioni mentali. Con ancora l’ultimo ghigno che si spegneva sulle sue labbra, il pirata si passò la mano destra sul viso per asciugare le lacrime, che gli avevano lasciato due solchi salati e gelidi sul viso mal rasato, sentendosi molto più vecchio di quanto già non fosse. Rispondendo ad un istinto radicato in lui quanto il respirare, trovò la sua fiaschetta di rum nella tasca interna del giubbotto di pelle, e ne trasse un bel sorso ristoratore. Nulla lo rimetteva al mondo come la sensazione della gola che bruciava per l’alcol.
«Scusate, signore, non sono stato molto galante questa sera. Posso offrirvi un goccetto, per rimediare? No?».
Malefica e Lilith erano ancora allibite. Probabilmente credevano che fosse impazzito, o ubriaco. Dio, come avrebbe voluto essere ubriaco in quel momento…
«Jones, si può sapere cosa c’era nelle mie parole di così tanto divertente?» domandò Malefica, dopo averlo scrutato in silenzio per almeno un altro minuto buono mentre lui rimetteva al suo posto la sua fedele fiaschetta.
«Perdona la mia mancanza di empatia, cara. Tu eri lì, tutta commossa, ad aprire il tuo cuore a tua figlia, e io da rude pirata quale sono non ho trovato reazione migliore che scoppiare a ridere. Molto indelicato, lo riconosco. Ma vedi» aggiunse, con un cambio di tono così repentino da far sussultare le due donne. La rabbia che aveva tenuto dentro in quel momento stava cominciando a venir fuori, alimentata come un fuoco dall’alcol che sentiva scorrergli dentro. «Non ho potuto fare a meno di constatare l’estrema ironia della situazione. Tu credevi di aver capito tutto, dall’alto della tua malvagità alata, e invece non sai niente… La tua amichetta Regina sta benissimo. O meglio» si corresse con una risatina di scherno, gesticolando con fare teatrale in direzione della donna, visibilmente confusa dalle sue parole. «Starebbe benissimo, se non fosse per un piccolo, piccolissimo dettaglio che credo la faccia sentire un po’ in colpa: l’Oscurità che avrebbe dovuto prendersi lei, ha… diciamo… cambiato idea, a un certo punto. Ooohh, vedo che non vi aspettavate un simile colpo di scena, eh? Davate già la povera, cattiva Regina per spacciata. Non oso immaginare come reagirete quando sentirete che altro è successo! Pronte?»
«Falla finita, Uncino» sbottò Lilith, innervosita. «Dicci cos’è successo e basta. Mi stai facendo venire i brividi con tutto questo mistero».
«Uncino… Killian» Malefica sembrava ancora più preoccupata della figlia. Non si erano incontrati molte volte, ma persino la strega aveva percepito che doveva essere accaduto qualcosa di terribile, per ridurlo in quello stato delirante. «Perché l’Oscurità ha rinunciato a Regina?» chiese, piano.
«Perché Emma si è messa in mezzo!» urlò Killian di botto, sfogando nemmeno un millesimo della sua frustrazione. «Regina era lì, l’Oscurità stava per prenderla, ma Emma aveva il maledetto pugnale dell’Oscuro in mano e si è sacrificata al posto suo! Le abbiamo detto tutti di non farlo, tutti, perfino la stessa Regina, ma lei ha fatto di testa sua, fa sempre di testa sua maledizione, e adesso lei è l’Oscuro ed è sparita!». Si fermò solo un istante, ansimando per riprendere fiato, ad osservare la reazione delle due donne: Malefica si era portata le mani davanti alla bocca, incredula, e Lily… Lily lo fissava con un fuoco negli occhi veramente spaventoso. Uncino non riuscì a capire che cosa la ragazza stesse provando in quell’istante, ma a dirla tutta non gli importava poi così tanto. Era arrivato su quella collina convinto che in qualche modo un drago feroce e spaventoso sarebbe riuscito a trovare una soluzione, un modo qualunque che gli permettesse almeno di raggiungere Emma. Ma si era sbagliato, così come tanti anni prima si era sbagliato ad affidarsi a Malefica e poi a Regina nel tentativo di distruggere il Coccodrillo. Dovette sforzarsi per non ricominciare a ridere. «Non è tutto tremendamente divertente, Malefica? Eri tanto incazzata con Biancaneve e il principe per i casini che avevano combinato con tua figlia per salvare Emma dalla malvagità, e adesso tutti i loro sforzi si sono rivelati vani, perché Emma ha scelto di sacrificarsi proprio per la donna che ha passato decenni a cercare di distruggerli! E sai qual è la cosa peggiore? Lo sai?».
Malefica scosse lentamente il capo senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi spiritati, probabilmente preoccupata che una qualunque reazione troppo brusca lo avrebbe mandato ulteriormente fuori di testa. L’assurdità delle sue premure lo fece infuriare ancora di più.
«Tu sei una stramaledetta cattiva, dannazione, quando ci siamo incontrati avresti dato qualunque cosa pur di prenderti tutto il potere possibile e usarlo per farci ciò che ti pareva, ma ti è bastato vedere tua figlia spaventarsi per rinunciare all’Oscurità… io invece ero lì a supplicarla di non farlo, l’ho pregata di non farlo, ma lei si è sacrificata comunque, mi ha detto che mi amava e poi ha comunque usato quel fottuto pugnale per dirottare l’Oscurità su di sé!».
Si accorse di essere caduto di nuovo in ginocchio solo quando sentì una mano gentile che gli si posava sulla spalla. E si rese conto delle lacrime che gli scorrevano giù per il volto solo quando alzò lo sguardo per incontrare quello di Malefica e vide che tutto era nebuloso e confuso. Forse Regina non aveva torto a dire che era una reginetta del dramma, pensò amaramente.
«Killian, non sai quanto mi dispiace…».
«Pensavo ne saresti stata contenta» ribatté lui, cercando di suonare sarcastico come sempre. «La tua amica Regina è al sicuro, e gli Azzurri ora sanno cosa si prova a perdere una figlia a causa dell’Oscurità».
«Non essere ridicolo, capitano. Proprio perché ci sono passata anch’io, ho capito che non augurerei a nessuno di vivere quello che abbiamo passato io e Lily, anche se si tratta di quei due maledetti eroi. Mi dispiace, davvero. Non ne avevo proprio idea…».
«Io sì» sussurrò Lilith pianissimo.
Killian e Malefica si voltarono istantaneamente verso di lei, stupefatti.
«Cosa? Come sarebbe a dire?» chiese il pirata, anche se non era sicuro di volerlo sapere. Sorpresa e sospetto, di nuovo. Quella notte stava rapidamente scalando tutte le classifiche dei momenti peggiori della sua vita, e lui ne aveva vissuti decisamente molti.
«D-da quando sono arrivata qui con Emma, sento come una… una connessione. Non è che possa dirti esattamente dov’è o cosa sta facendo, ma è come se potessi percepire il suo stato d’animo, o capire se è in pericolo. Non so. Comunque, nemmeno un’ora fa ero in volo con mia madre, subito dopo che l’Oscurità se n’era andata… e ho avvertito una stranissima sensazione. Come di precipitare, anche se stavo volando e andava tutto bene. Non mi era mai successo prima».
Malefica le passò un braccio attorno alle spalle e le sorrise con fare rassicurante. «Tesoro, è normale. Tu ed Emma avete una connessione. I vostri destini sono legati sin da prima che nasceste, e ora che entrambe vi trovate in un luogo in cui la magia esiste, quel legame inizia a farsi sentire di più. O credi che il fatto che vi siate incontrate quando eravate ragazzine sia stato un caso?».
«No, certo che no… ma non avevo mai provato una cosa simile. Ho sentito paura, disperazione, dolore, è stato stranissimo. Cosa significa?».
«Significa, tesoro» intervenne Uncino, sentendo che per la prima volta in quella sera qualcosa cominciava a girare per il verso giusto «che devi venire con me».
«Cosa intendi fare, Jones?» chiese Malefica, stringendo più vicina la figlia con fare protettivo.
«Sono salito su questa maledetta montagna per raccontarti la bella storia di quello che mi è successo dopo che tu mi hai consigliato di rivolgermi a Regina, tanti anni fa, e per farti capire che sei in debito con me in così tanti modi che non puoi nemmeno immaginare. Volevo costringerti ad aiutarmi. Ma forse è tua figlia che mi serve, per salvare Emma».
Si era aspettato delle proteste più che vivaci da parte della strega, ma fu Lily a reagire per prima. «Sei impazzito davvero, capitano?» gli chiese, staccandosi bruscamente dalla madre e allontanandosi da entrambi. «Vuoi che ti aiuti io? Ma non capisci? Qualunque cosa tocco, qualunque persona mi si avvicini, finisce male, molto male… ho rovinato la vita ad Emma già tanti anni fa, ed era la sola amica che avessi mai avuto. È stata così intelligente da capire che mi doveva stare alla larga, allora, e adesso che ci siamo ritrovate è finita in un casino ancora peggiore… non capisci che è tutta colpa mia? No, non dire niente, madre. Voi due siete diventati cattivi per un qualche terribile motivo, ma io, io non ho mai avuto scelta! Da quando sono venuta al mondo il mio destino è sempre stato questo, e non c’è nulla che possa cambiarlo. Non puoi volere veramente che sia io ad avere in mano la possibilità di salvarla, capitano!».
«Tesoro…» cominciò Malefica, con gli occhi pieni di lacrime, ma Killian la interruppe di nuovo.
«Non essere melodrammatica, piccola» iniziò, cercando di ritrovare almeno un minuscolo frammento del capitano affascinante che era, anche se sentiva che la parte migliore di sé era finita parecchio lontano, quella notte. «Se c’è una cosa che ho imparato, da quando ho una mano sola, è che averne due porta a sopravvalutare le proprie capacità. Mi costa ammetterlo, ma Regina ha ragione: la dannata situazione in cui ci troviamo non è colpa di nessun altro, se non di Emma. Anche se sono piuttosto propenso a credere che il Coccodrillo mi dovrà qualche spiegazione, quando e se si sveglierà» aggiunse, pensieroso. «Ma comunque, non è questo che conta, adesso. La tua connessione, o quello che è, con Emma, al momento è più preziosa di qualunque altra cosa per me, e io non mi separo volentieri dai tesori che trovo. Siamo nel bel mezzo di una maledetta tempesta, tesoro, e se c’è una cosa che so è che nessun pirata che si rispetti si fa sorprendere dalla burrasca senza avere accanto a sé… una bussola!» esclamò, stupito dalle sue stesse parole.
Si diede una manata sulla fronte. Era come se un fulmine gli avesse attraversato il cervello: un lampo di dolorosa consapevolezza gli illuminava finalmente il cammino. Tutto, con Emma, era cominciato con quella bussola incantata che loro due dovevano recuperare per permetterle di tornare a casa: tutto aveva avuto inizio su quella pianta di fagioli che avevano scalato insieme per trovare la bussola. Ora lui aveva una bussola, e tutto quello che gli serviva per riportare di nuovo a casa la sua Emma erano proprio dei maledettissimi fagioli.
«Mia figlia ha ragione, capitano… sei matto come un cavallo!» constatò Malefica. «E se pensi che ti permetterò di farla imbarcare in chissà quale avventura pericolosa per andare a fronteggiare l’Oscuro, beh, ti sbagli di grosso. Non puoi separarci, capitano! Non adesso che ci siamo ritrovate!».
Uncino abbandonò la testa all’indietro, si pizzicò l’attaccatura del naso e chiuse gli occhi per un istante. D’un tratto si sentì  sfinito. «Dio, non sai quanto mi ricordi Regina con suo figlio, in questo momento. Così protettiva, così materna… ma alla fine Henry riesce sempre a ficcarsi in tutti i guai che vuole. E Lilith è un’adulta, ormai, pensi davvero che se vorrà aiutarmi riuscirai a tenerla incatenata a te? Non ti sto chiedendo il permesso, Malefica. Sto chiedendo a tua figlia» e qui si rivolse a Lily, guardandola il più intensamente possibile. «Se ha voglia di provare a prendere a calci nel sedere il suo tragico destino». Si sentì maledettamente nei panni di Emma, quando tanto tempo prima gli aveva proposto di far parte di qualcosa e di aiutare lei e la sua famiglia a salvare Storybrooke dal disastro che Greg e Tamara stavano provocando. L’ennesima, beffarda prova dell’ironia della vita.
Lily guardò alternativamente lui e sua madre per un lungo minuto. Negli occhi le si leggevano così tante emozioni contrastanti che Uncino si chiese se la ragazza non stesse per esplodere; ma alla fine, lei rispose con voce stranamente calma: «Voglio provarci eccome. Verrò».
Killian sentì Malefica sospirare, ma non ce la fece proprio a mostrarsi dispiaciuto per lei. Di sicuro lui e sua figlia stavano per andare a infilarsi in un guaio enorme, ma c’era Emma ad aspettarlo dall’altra parte: nient’altro aveva importanza, in quel momento. «Magnifico. Spero che tu abbia una di quelle maledette automobili a portata di mano, perché c’è un posto che devo mostrarti. E spero anche che tu te la cavi con il giardinaggio» aggiunse, ghignando. «Abbiamo delle piantine da coltivare».
«In tal caso, capitano, penso che la mia separazione da mia figlia verrà rimandata» si intromise Malefica. «Qualunque cosa tu abbia in mente di fare, intendo darvi tutto il mio aiuto, se posso evitare qualche rischio a te e soprattutto a mia figlia. Inoltre, sarai sorpreso di sapere cosa sono riuscita a fare una volta con un roveto e un pizzico della mia magia» aggiunse, con un piccolo sorriso orgoglioso.
Uncino valutò quell’opportunità per un attimo. Probabilmente un po’ di magia, praticata da qualcuno di esperto e potente, non avrebbe guastato… ma doveva stare attento. Alla prima occasione propizia, doveva riuscire a liberarsi di Malefica: lui era disposto a fare tutto, ma veramente tutto, per Emma, e se le circostanze lo avrebbero richiesto non avrebbe esitato a sacrificare Lilith per riuscire a salvarla, anche se sapeva che non lo avrebbe fatto a cuor leggero – tuttavia era sicuro che i suoi eventuali sensi di colpa non sarebbero bastati a Malefica per consolarsi della perdita di sua figlia. Doveva decisamente fare attenzione a come si muoveva. «D’accordo. Adesso andiamo… è quasi l’alba, non voglio perdere un secondo di più».
Lily annuì. «Da questa parte, Jones» disse, indicando il suo pick-up nero, parcheggiato dietro uno dei cespugli.
Mentre si sistemava in mezzo alle due donne, cauto come sempre quando gli toccava infilarsi in quelle maledette scatolette metalliche, Killian avvertì su di sé lo sguardo della ragazza drago. Lilith lo stava fissando con la sua solita espressione indecifrabile, e per un istante lui si chiese se lei non avesse intuito qualcosa delle sue vere intenzioni. Ma poi lei gli rivolse un sorriso triste. «Sai, Uncino, stavo ripensando a quella sensazione che ho provato mentre Emma veniva risucchiata via, e ho capito una cosa».
«E cioè?» chiese, guardingo. Quella donna continuava a stupirlo, per quanto lui cercasse di prevedere le sue mosse: era passata dal disprezzo allo scherno, alla disperazione, al senso di colpa, alla volontà di agire, in così poco tempo da domandarsi se non stesse nascondendo qualcosa. O forse lui era troppo stanco e angosciato, e cominciava a vedere pericoli anche dove non ce n’erano.
«Credo che lei sia veramente dispiaciuta di quello che ha fatto. Voglio dire, probabilmente lo rifarebbe altre mille volte, perché era la cosa giusta da fare e lei è sempre così eroica e ha quella cosa della Salvatrice e tutto il resto… ma credo che le dispiaccia di aver lasciato tutti così all’improvviso, per diventare una cosa terribile come l’Oscuro, sai. Non penso che se ne avesse avuto il modo avrebbe mai lasciato i suoi genitori, o Henry… o te. Ti ama davvero moltissimo, Jones. E forse è proprio questo che le ha dato la forza di sacrificarsi».
«Che intendi dire?» domandò lui, mentre Malefica chiudeva lo sportello e Lily girava la chiave nel quadro, stando bene attento a non far trapelare dalla sua voce quanto le parole di lei non avessero fatto altro che ferirlo e medicarlo contemporaneamente, come una malattia e la sua cura insieme.
Il sorriso di Lily si fece più luminoso. «Lei sapeva che saresti andato a riprendertela, capitano» spiegò, ruotando appena il volante.
Killian fu grato che la ragazza si stesse concentrando sulla strada, in quel momento. Perché la piccola lacrima che gli rotolò giù per la guancia non era sicuramente la prima che versava quella notte… ma stavolta, voleva tenerla solo per sé.

 


 


 
··· Angolo Autore ···
Ta-daaaaa :D
Ecco cosa stava combinando Killian... Regina aveva ragione, ovviamente, il nostro pirata preferito non poteva starsene con le mani in mano! Visto che lui è uno dei miei personaggi preferiti in assoluto, ho amato scrivere questo capitolo, pertanto spero lo apprezzerete anche voi ^^"
Quanto a Lily e Malefica... la loro assenza nella vera quinta stagione è un vero peccato, lasciatemelo dire! Sono abbastanza sicura che Eddy e Adam le avrebbero messe in mezzo eccome se avessero potuto, ma da quello che so Agnes (Lily) non ha voluto continuare con le riprese perché aspetta un bambino, quindi suppongo abbiano dovuto rivedere un po' i loro piani :D (è l'unica giustificazione che sono disposta ad accettare, perché ho adorato il twist allucinante dei trascorsi dei Charmings con Malefica, e vorrei tanto saperne di più su di lei -e Aurora e Filippo, piccini belli *__*- e su sua figlia, accidenti!)
Mh, ho finito con i miei sproloqui, credo. Per qualunque dubbio, critica o lancio di pomodori fatevi pure sotto con le recensioni, non mordo :D
Alla settimana prossima con il nuovo "episodio", I will follow you into the dark... protagonista speciale: il nostro Autore preferito ;)

 -R


Disclaimer: tutti i personaggi, meno eventuali OC, appartengono ai creatori della serie TV. Se fossero miei, probabilmente sarebbero tutti felici e contenti, e io sarei ricca sfondata. Vista l'infelicità che aleggia su Storybrooke e nel mio portafogli, direi che sappiamo tutti qual è l'amara verità.

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Capitolo 4
*** 5x03 Ϟ I will follow you into the dark ***



 

5x03 Ϟ I will follow you into the dark

 
 
 
 
Henry scosse la testa con decisione e si allontanò di qualche passo da sua madre, come se negare la verità di quanto gli era stato appena riferito potesse in qualche modo modificare l’orribile piega che gli eventi avevano preso. Quando Regina, Robin e i suoi nonni erano rientrati nel negozio di Gold aveva avvertito un brivido che gli scorreva lungo la schiena come una sorta di sinistro presentimento, ma niente avrebbe mai potuto prepararlo a quello che gli sarebbe stato raccontato. «Mia madre è diventata… l’Oscuro?» chiese, sconvolto. Anche solo pronunciare quella domanda lo fece sentire malissimo, come se il tetto della stanza gli fosse piombato addosso, schiacciandolo con il suo peso terribile. E quando sua Regina annuì debolmente, con gli occhi pieni di una tristezza indicibile, fu anche peggio.
«Lo ha fatto per Regina, Henry» disse suo nonno, prendendolo per le spalle con le sue mani forti. «Si è comportata da Salvatrice in tutto e per tutto, è stata un’eroina fino alle estreme conseguenze di una simile scelta…».
«… ed è proprio questo che ci permette di non perdere del tutto la speranza, piccolo» aggiunse la nonna, con l’ombra di un sorriso sul viso. Si vedeva che aveva pianto, e che era non meno sconvolta di lui, ma non riusciva comunque a nascondere una piccola scintilla di orgoglio per la donna che sua figlia era stata capace di diventare. «Il motivo per il quale Emma ha fatto quello che ha fatto è troppo nobile, troppo puro… questo significa che possiamo salvarla, Henry!».
«E come? Se mamma sta diventando l’Oscuro, questo significa che è tornata nella Foresta Incantata! E non c’è modo di arrivare là!» Henry voleva provare davvero ad essere il degno nipote dei suoi nonni, sempre ottimisti e fiduciosi, ma per la prima volta nella sua vita si sentiva veramente simile a sua madre: realista, sfiduciato, spaventato dall’incertezza del futuro. Non era un gran risultato per il possessore del Cuore del Vero Credente, pensò amaramente, ma a quanto pareva anche la Salvatrice non se la passava granché bene ultimamente.
«La penna dell’Autore, ragazzo… può risolvere tutto questo casino in men che non si dica!» disse Robin, con un luccichio quasi entusiasta nello sguardo. Lo stesso che Henry poteva leggere negli occhi dei suoi nonni… e che avrebbe dovuto spegnere immediatamente. Aveva spezzato quella penna solo poche ore prima, sotto lo sguardo sorpreso ma fiero dell’Apprendista. Adesso quell’uomo vecchissimo dagli occhi gentili era sul pavimento accanto a lui, privo di sensi, ed Henry si ritrovò a invidiarlo parecchio: l’ignoranza era una benedizione, a quanto pareva. Un pensiero così insolito, per un ragazzo curioso come lui, lo turbò ulteriormente: come se l’idea di sua madre non lo avesse già abbastanza sconvolto, adesso si ritrovava a non sentirsi più nemmeno se stesso. Ma che diavolo stava succedendo quella sera?
«Henry?» lo chiamò sua madre, esitante.
Lui prese un bel respiro, e guardò solo lei mentre parlava: «La penna…. Non c’è più. Mi dispiace mamma…». Fu veramente dura per lui non mettersi a piangere, ma aveva tredici anni e voleva comportarsi da adulto fintantoché ci riusciva. Le sue mamme non avevano bisogno di doversi preoccupare anche di lui.
«Cosa?» chiese Mary Margaret, perdendo in un attimo tutto il suo ottimismo.
«Perché?» fecero eco Robin e David.
Sua madre dedicò a tutti e tre un’occhiataccia in perfetto stile Regina Cattiva, e fu solo questo che convinse Henry che dopotutto era vero che non aveva commesso un errore. I nonni erano sconvolti per quanto stava succedendo alla sua mamma, probabilmente anche più di lui, per questo forse non riuscivano a capire. Ma la sua mamma, l’altra sua mamma, sapeva meglio di tutti come ci si sentiva a fare la scelta più difficile ma più giusta, a rinunciare a qualcosa di allettante per proteggere quello che veramente era importante. «Henry, tesoro, non sono arrabbiata con te. Nessuno di noi lo è, davvero. Ma devi spiegarci cosa hai fatto e perché. Forse possiamo rimediare…» aggiunse, con un piccolo sorriso incoraggiante.
«Non si può rimediare… perché l’ho spezzata! È un oggetto troppo potente, troppo pericoloso… e io non volevo nemmeno avere la tentazione di usarlo!» esclamò Henry, scoppiando a piangere.
Regina lo avvolse immediatamente in uno dei suoi abbracci più affettuosi. «Va tutto bene, tesoro» mormorò, cullandolo dolcemente. «Nessuno dovrebbe avere in mano la responsabilità del destino di così tante persone. Io la ho avuta, e ho fatto cose terribili. Tu hai preso la decisione giusta… e sono fiera di te. Siamo tutti fieri di te».
Henry tirò su col naso, e si rifiutò di sciogliersi subito da quelle braccia che erano ancora il suo porto sicuro, nonostante fosse diventato grande. «Davvero?».
«Ma certo che sì, Henry» intervenne prontamente sua nonna. «Regina ha ragione, era la cosa giusta da fare. Forse sono stata troppo sciocca io a pensare che la soluzione potesse essere così semplice… sai com’è, ottimismo da eroi».
«Suppongo che sia incurabile» commentò Regina, lasciando andare il figlio e cercando di recuperare un po’ del suo spirito. «Ma per quello che ci attende, credo quasi di volere che sia contagioso» aggiunse, dedicando un occhiolino ad Henry.
Il ragazzo sorrise debolmente. «Beh, l’ottimismo è sempre stato un ingrediente fondamentale delle mie Operazioni, sapete».
«Giusto, figliolo… E credo proprio che tu debba avere l’onore di guidare la prossima» gli disse suo nonno, assestandogli una pacca amichevole sul braccio. Ecco cos’era che a Henry piaceva tanto dei personaggi delle favole che erano i suoi famigliari: sembravano attingere a una qualche forza misteriosa che impediva loro di arrendersi. Era fiero che nelle sue vene scorresse il loro stesso sangue.
«Dici sul serio?».
«Stai scherzando, Henry? Senza di te non ce l’avremmo mai fatta a venire fuori da quell’orribile mondo che Isaac aveva creato per noi!».
«Wow, grazie nonno!» esclamò, sentendosi improvvisamente molto meglio: l’azione gli piaceva. Soprattutto se per una volta gli veniva permesso di farne parte e addirittura di dirigere le operazioni! «Direi di metterci subito al lavoro con la Fase 1: Localizzazione! Uncino dice sempre che bisogna avere bene in mente la destinazione, altrimenti la rotta non può essere stabilita, sapete… aspettate un momento». Si guardò intorno, preoccupato. «Dov’è Uncino?». Gli sguardi che si scambiarono gli adulti furono fugaci, ma non abbastanza da impedirgli di notarli. Non era più un bambino, cominciava a capire qualcosa del linguaggio segreto che gli adulti usavano quando parlavano senza parlare. «Mamma, c’è qualcosa che non mi state dicendo?».
«Henry» cominciò Regina, cercando con lo sguardo il sostegno degli altri. «Non penso che Uncino ci sarà di grande aiuto. È piuttosto sconvolto, e ci ha detto chiaramente che non vuole saperne di noi».
«No» disse subito Henry, sicuro. «Lo hai detto tu, è sconvolto, non si rende conto. Dobbiamo fare questa cosa tutti insieme! E anche se lui non vuole collaborare con noi» aggiunse, prima che gli adulti potessero interromperlo «dobbiamo costringerlo a farlo. Lui è troppo importante per la mamma, non possiamo tagliarlo fuori. E poi, è un pirata. C’è bisogno di uno tosto come lui nel gruppo!».
«Cosa vorresti insinuare, giovanotto? La Regina Cattiva, Robin Hood, Biancaneve e il Principe non sono abbastanza tosti per te?» chiese Robin, scherzosamente.
 «Lui ha un pezzo di ferro affilato al posto della mano» disse Henry facendo spallucce, come se quel fatto spiegasse tutto.
«Parlando di pezzi di ferro affilato» si inserì David, improvvisamente incupito «credo che dovremo coinvolgere Uncino in ogni caso. O vi siete dimenticati che ha lui il pugnale dell’Oscuro?».
«Sinceramente, sto facendo di tutto per non pensarci, principe» ribatté Regina, altrettanto turbata. «Non oso immaginare cosa stia combinando in questo esatto istante quel maledetto pirata».
«Beh, non c’è bisogno di immaginare niente, mamma… chiamiamolo al cellulare!» propose Henry.
«Suppongo che valga la pena tentare» borbottò David, estraendo il cellulare dalla tasca del giubbotto e scorrendo rapidamente la rubrica. Fece partire la telefonata e mise il vivavoce, ma sia lui sia Robin imprecarono sottovoce quando si inserì la segreteria telefonica. A Henry, invece, si strinse lo stomaco: era un messaggio registrato, e la voce ridente che battibeccava con quella di Uncino era quella di sua madre.
Segreteria telefonica di Capitan Uncino! Probabilmente sono troppo impegnato a guardarmi allo specchio per rispondere al cellulare…”.
Non sei corretta nei miei confronti, Swan. La mia diabolica bellezza non mi ha mai distratto più di tanto da quello che mi circonda… qualcosa che tu sicuramente non puoi dire di te stessa, tesoro. E comunque, si può sapere cosa stai facendo con quel parlofono?”.
Registro un messaggio! Così, se qualcuno ti chiama e tu non rispondi, possono lasciarti detto qualcosa”.
Swan, non ha senso. Uso quel coso solo per parlare con te, e sei sempre tu che non rispondi”.
Giusto”.
Beeeep.
Per almeno un minuto, nessuno ebbe voglia di rompere il silenzio che si era creato. La voce di Emma, così allegra e spensierata, li aveva turbati tutti.
«Idiota» asserì infine David, amareggiato. «Si è preso il pugnale, ci ha mandati al diavolo ed è andato a finire chissà dove. E adesso, senza di lui siamo fregati!».
«Non deve essere facile per lui» disse Robin, cercando di calmarlo. «Quando ho perso mia moglie» spiegò, ed Henry notò che il leggendario arciere evitava lo sguardo di sua madre: tutta la vicenda di Marian e Zelena, e il bimbo in arrivo, era una ferita ancora aperta, anche se Regina aveva spergiurato che sarebbero riusciti a superare tutto. «Beh, non sono stato me stesso per parecchio tempo, e lei era solo… sapete, morta. Emma è appena sparita per diventare proprio ciò che Uncino ha cercato di distruggere per secoli, non oso immaginare quanto la situazione possa essere dolorosa per lui».
«Non mi importa un accidenti del suo dolore, Robin! Io e mia moglie abbiamo appena perso nostra figlia, a Henry è appena stata portata via la madre, eppure non mi sembra che qualcuno di noi si stia comportando come un folle sconsiderato!».
«Non riesce a sentire la speranza, David… non è abituato ad averla come me e te» ribatté pronta Mary Margaret, posandogli dolcemente una mano sulla spalla.
«Ha ragione lei, David» intervenne Regina. «Uncino ha passato secoli a nutrirsi di odio e risentimento, a vivere solo per realizzare la sua vendetta, perché era convinto di non avere nient’altro che questo al mondo. E credetemi, dovreste essere felici di non averlo conosciuto allora. Adesso, senza Emma, sente di essere tornato alla versione peggiore di sé, e probabilmente la cosa da un lato lo disgusta e dall’altro lo tenta terribilmente. Non possiamo pretendere che reagisca meglio di così, temo».
«La mamma ha ragione» sentenziò Henry prevenendo la risposta piccata di suo nonno. «Il libro lo diceva chiaramente: Uncino sarebbe disposto a dare qualsiasi cosa per amore e per vendetta, e nel momento in cui perde la prima cosa…»
«… si getta a capofitto sulla seconda» concordò sua madre. «E vi dirò un’altra cosa: può diventare davvero molto pericoloso. Quando lo abbiamo conosciuto noi non pensava ad altro che a vendicarsi di Rumplestiltskin per quello che aveva fatto alla donna che amava, ed erano già passate centinaia di anni. Io… credo di non averlo aiutato a cercare di essere una persona migliore, a quel tempo. Ma adesso che la ferita è così recente, dobbiamo tenerlo d’occhio: nel momento in cui intravedesse una possibilità di salvare Emma, e poi qualcuno si mettesse in mezzo… beh, non vorrei essere nei panni di quel qualcuno».
«Se credi che io sia meno determinato di quel pirata nel trovare mia figlia…».
«Io non credo un bel niente, Azzurro» lo rimbeccò Regina. «Se vuoi giocare ai due galli nel pollaio con capitan Eyeliner, accomodati. Magari, mentre voi due vi azzuffate per decidere chi abbia più volontà o più diritto di liberare Emma dall’Oscurità, noi persone dotate di buonsenso cercheremo di risolvere la situazione!».
«Direi che dobbiamo metterci al lavoro subito, allora» intervenne Mary Margaret, stringendo la mano del marito per convincerlo a non continuare quella discussione.
Henry si sfregò le mani, emozionato: sua madre era l’Oscuro ora, ma lui la avrebbe salvata. Tutti loro la avrebbero salvata. «Fase 0: Localizzazione di Uncino!».
 
***
 
Robin e suo nonno si erano trovati d’accordo nel proporre di dividersi in gruppi e cercare Uncino in giro per la città, ma Regina aveva avuto un’idea migliore: le era bastato lanciare un semplice incantesimo su uno degli specchi polverosi esposti nel negozio di Gold per sapere dove si fosse andato a cacciare il pirata. Henry doveva ancora decidere se erano rimasti più sorpresi nell’apprendere che il capitano si trovava al vecchio campo dei fagioli magici, o nel notare quale fosse la compagnia che aveva scelto per quella visita notturna alla periferia di Storybrooke. Non appena i suoi nonni e sua madre avevano riconosciuto Malefica e Lilith, si erano precipitati alle loro macchine, parcheggiate fuori alla tavola calda: così a lui e a Robin era toccato l’imbarazzante compito di salutare Belle e il signor Gold. Henry era triste per suo nonno, per come lo aveva ridotto la perdita dell’Oscurità, ma a vederlo sdraiato su quella brandina, apparentemente addormentato, gli era sembrato quasi sereno. Belle, invece, era ridotta ad un fantasma: non aveva dato il minimo segno di averli riconosciuti o quantomeno di averli visti entrare nel retrobottega, né aveva risposto al loro saluto o fatto loro domande su quello che stava succedendo. Era rimasta lì, a vegliare suo marito, accarezzandogli dolcemente i capelli.
Impacciati e decisamente poco a loro agio, Henry e Robin si erano fermati veramente lo stretto necessario, solo il tempo di stringere la mano al nonno e di sussurrargli: «Andiamo a salvare la mamma, nonno. Vorrei tanto che venissi anche tu, perché sei stato davvero forte sull’Isola Che Non C’è… ma forse, quando torneremo, saremo noi ad aiutare te. E poi potremo essere una famiglia, finalmente!». E al ragazzo era quasi sembrato di vedere il viso del signor Gold distendersi, come se stesse sorridendo sotto i baffi. Ma chissà, forse se l’era immaginato.
Quello che sicuramente non avrebbe mai potuto immaginare, era la corsa forsennata che David e Regina intrapresero con le loro macchine, non appena lui e Robin furono saliti a bordo: sua madre non aveva mai guidato a una simile velocità, meno che mai in sua presenza. Fu quasi divertente, vederla imprecare sottovoce mentre seguiva il pick-up di David verso il campo di fagioli, ma furono anche fortunati a non incontrare nessuno per strada ad una simile ora della notte.
In men che non si dica arrivarono a destinazione, e si precipitarono fuori dagli abitacoli con una foga che a Henry ricordò molto i polizieschi che gli piaceva guardare con sua madre e suo nonno, davanti al vecchio televisore del salotto di Mary Margaret.
«Uncino! Cosa diavolo stai combinando?» esordì sua madre senza tante cerimonie, avviandosi a grandi passi verso il pirata e le altre due donne.
«Abbiamo compagnia, capitano… eppure mi era parso di capire che tu preferissi lavorare da solo!» esclamò Lilith, apparentemente senza scomporsi. Ma Henry non mancò di notare che la ragazza drago si era parata davanti a Malefica, accovacciata vicino ai vecchi resti dei germogli di fagiolo. La tensione era così palpabile che lui la avrebbe potuta tagliare con un coltello – o perfino con la sua spada giocattolo, ora che ci pensava.
«Ti era parso di capire bene, tesoro» ribatté Killian, affiancandola e portando istintivamente la mano buona al fianco sinistro, dove nei suoi giorni da pirata portava appesa la spada. «Nessuno di loro è qui su mio invito».
Per la prima volta da quando sua madre aveva messo tutti in guardia sulla pericolosità di Uncino, Henry pensò che forse aveva ragione. Ma fu un pensiero che durò solo un istante: se c’era una cosa di cui era sempre stato fiero, era la sua conoscenza approfondita di quei personaggi delle favole che erano diventati – che era sempre stati – la sua famiglia. E al ragazzo fu sufficiente un secondo sguardo per leggere in Uncino una determinazione non dissimile da quella che animava i suoi nonni e sua madre in quel momento: per quanto il pirata potesse essersi dissociato dai buoni, Henry sentì che anche lui conservava una flebile, delicata fiammella di speranza. Tutto quello che dovevano fare era non permettere che lui la lasciasse spegnere.
«Stammi bene a sentire, Uncino…» cominciò David, palesemente giunto al limite della sopportazione di cui era in grado di degnare il pirata.
«Siamo qui per aiutarti, Killian!» esclamò Henry, interrompendolo. Sapeva che a lui Uncino avrebbe dato ascolto molto più volentieri che a suo nonno, o a sua madre.
Il pirata sembrò accorgersi solo in quell’istante che anche lui era lì. Lo guardò per un lungo istante, interdetto, poi si scagliò contro gli adulti: «Avete intenzione di portare con voi il ragazzo?! Cos’è, siete impazziti per caso? O forse sperate che mentre lui mi distrae voi possiate riuscire a impadronirvi… di questo?» e mostrò loro il pugnale, quasi sfidandoli ad andare a prenderlo.
«Uncino…» cominciò Mary Margaret, con un tono parecchio più conciliante di quello del marito. Ma Henry interruppe anche lei: sentiva che quello era il suo momento per agire, per diventare anche lui un personaggio delle storie che tanto gli piaceva leggere, e non era disposto a lasciarselo scappare. Sentiva di poter giocare un ruolo importante nella loro missione di salvataggio.
«Killian, non abbiamo nessuna intenzione di sottrarti il pugnale» disse, con la voce più calma e sicura di sé che riuscì a tirare fuori.
«Ah, no?» chiese sua madre, con lo stesso tono che usava per fargli una domanda della quale sapeva già la risposta.
«No, mamma… quando dicevo che Uncino deve venire con noi ero parecchio serio» le rispose, senza distogliere lo sguardo da quello di Killian: e quello che vide negli occhi del capitano gli sembrò promettente. «Dobbiamo restare uniti e lavorare tutti insieme, se vogliamo trovare Emma e salvarla».
«È la stessa cosa che hai detto tu, Regina» le ricordò Robin, facendo l’occhiolino a Henry.
«… giusto. Tendo a dimenticarmi questa cosa della collaborazione. Sai, noi cattivi lavoriamo da soli di solito».
«Non sei una cattiva da parecchio tempo» ribatté lui prontamente, stringendole una mano, e sorridendo al sorriso di lei.
Ma quel momento idillico fu infranto ben presto da una risatina di scherno. Lily sembrava trovare quella scenetta davvero molto divertente. «Avevo proprio ragione, madre… la tua temibile amica si è rammollita» esclamò, provocatoria.
Regina sembrò doversi sforzare parecchio per trattenersi da una reazione poco consona alla sua bontà. «Avevo sperato che insegnassi a tua figlia un po’ di buone maniere, oltre che a svolazzare e sputare fuoco» disse infine, rivolgendosi alla sua vecchia amica, ancora china a esaminare il terreno.
Malefica si alzò finalmente in piedi, rivolgendo alla sua vecchia amica un sorriso indecifrabile. «Lo avevo sperato anch’io, mia cara… ma vedi, si dà il caso che il destino mi abbia concesso troppo poco tempo con lei perché i miei insegnamenti potessero attecchire come avrei voluto!».
La voce della strega era calma, ma Henry si sentì accapponare la pelle: a nessuno era sfuggito il riferimento a quello che Biancaneve e il principe avevano fatto a sua figlia tanti anni prima, e lui vide i suoi nonni stringersi forte le mani tremanti, mentre la fronteggiavano sotto la luce della luna, che ormai stava tramontando su quella notte così piena di avvenimenti.
Alla fine, David deglutì sonoramente e fece un piccolo passo avanti, mettendosi davanti alla moglie come a volerla proteggere. «So che questo sembrerà davvero inopportuno da dire, Malefica, ma questo non mi sembra il momento adeguato per sostenere una… conversazione… di questo tipo» disse, e per un attimo Henry riuscì a vedere in suo nonno tanto l’impavido e corretto principe del suo libro di favole quanto il David Nolan che aveva conosciuto a Storybrooke: debole, incline a scegliere la strada più facile contro quella più giusta, assolutamente non eroico… assolutamente umano.
«Il principe ha ragione, Malefica» intervenne Uncino, e per la prima volta in quella sera sembrò di nuovo l’uomo che Emma Swan era riuscita a far vedere a tutti loro. «Tu stessa mi hai detto che non avresti augurato a nessuno di perdere la propria figlia a causa dell’Oscurità… nemmeno a loro due».
«E non ti stavo mentendo, capitano» ribatté pronta Malefica, senza mai smettere di passare il suo sguardo di ghiaccio da Biancaneve al principe. «Ma il fatto che io non gioisca del fato cui Emma sta andando incontro non significa che io non pretenda un confronto… una conversazione, come dice il Principe Azzurro qui presente… quando tornerete».
«Tornerete? Tu… non partirai con noi?» chiese Regina, sorpresa e insospettita.
«No» rispose semplicemente Malefica, affabile come se non avesse appena finito di minacciare nemmeno troppo velatamente David e Mary Margaret. «E, oserei dire, nemmeno voi partirete, se continuerete a distrarmi da queste adorabili piantine» aggiunse, tornando a chinarsi verso i germogli… o meglio, quello che ne restava dopo che Regina aveva dato fuoco alla piantagione, tanto tempo prima.
«Vorresti farmi credere che lasceresti che tua figlia venga con m- insomma, con noi» si corresse Killian, inarcando un sopracciglio in direzione dei buoni, ma con un fugace sorriso rivolto ad Henry «mentre tu resteresti qui da sola a Storybrooke a fare… cosa, esattamente?».
A Henry sembrò che stessero tutti trattenendo il respiro in attesa della risposta di Malefica: sua madre sembrava stupita tanto quanto i suoi nonni e Robin, Lilith aveva il solito sguardo indecifrabile e le braccia serrate contro il corpo, e Uncino… beh, lui aveva la faccia di qualcuno che non riusciva a credere alla fortuna che gli stava capitando. Henry era abbastanza sicuro di essere stato l’unico ad accorgersene, e si complimentò fugacemente con se stesso per la sua prontezza di spirito. Non vedeva l’ora di mettere il pirata sotto torchio per scoprire cosa avesse in mente.
«Questi, capitano, davvero non sono affari tuoi» disse infine la strega sollevando lo sguardo verso il pirata mentre stropicciava alcune foglie tra pollice e indice. «Direi che il vostro prezzo da pagare per il mio aiuto sarà la piccola, insistente vocina che ogni tanto vi farà visita durante il vostro avventuroso viaggio: cosa starà mai combinando quella strega brutta e cattiva di Malefica mentre noi ce ne stiamo qui a… a proposito, dov’è che intendete andare?» domandò, rivolgendo uno sguardo incuriosito a sua figlia.
«Nella Foresta Incantata» rispose Robin, senza notare quello sguardo. «È lì che si trova la Volta dell’Oscuro, no?».
«Potrebbe essere un po’ più complicato di così, amico» gli rispose Uncino. «Prima che l’Oscurità prendesse Emma» spiegò, e tutti i secoli che aveva vissuto sembrarono trapelare dalla sua voce stanca «l’Apprendista ci ha parlato di come il pugnale dell’Oscuro è stato forgiato dal suo stregone, tanti secoli fa. Ci ha detto di trovarlo, perché solo lui può aiutarci a sconfiggere l’Oscurità una volta per tutte… te lo ricordi, ragazzo, vero?».
Henry annuì. «Quindi tu pensi che mamma si stia mettendo sulle tracce di Merlino?» chiese, intimamente soddisfatto di aver letto parecchi racconti su Artù e la sua Tavola Rotonda, su Excalibur e Merlino, su Morgana e Lancillotto… «Perciò potrebbe essere a Camelot».
«C-cosa? Camelot?!» trasecolò Robin, spalancando gli occhi e stringendo forte l’impugnatura del suo arco.
«È un reame non troppo distante dal nostro» si inserì Mary Margaret. «Ricordo di aver pensato di trasferirmi lì, quando cercavo di nascondermi da… beh, dalla Regina Cattiva».
«Non avresti fatto un buon affare, dammi retta» mormorò Robin, ancora visibilmente turbato.
«C’è qualcosa che non va?» chiese David, notando quanto l’amico fosse impallidito.
«Sono stato a Camelot, una volta» spiegò l’arciere, sbrigativamente. «Non pensavo ci avrei mai fatto ritorno, tutto qui».
«Non è detto che dovremo andarci» cercò di tranquillizzarlo Regina, con un sorriso. «Il posto più sicuro dove cominciare a cercare Emma è comunque la Foresta Incantata. Soprattutto dato che non abbiamo modo di sapere dove sia di preciso».
«In realtà, lo abbiamo» intervenne Killian, indicando Lilith con il suo uncino.
«Ehilà» borbottò la ragazza: nonostante si fosse comportata da dura sin dal suo arrivo in città, a Henry sembrò solo una ragazzina intimidita in quel momento – probabilmente perché gli sguardi sorpresi di cinque quasi perfetti sconosciuti tendevano a metterla in imbarazzo. Si disse che dopotutto non poteva biasimarla.
«Tu sai dov’è Emma?» le chiese Mary Margaret, e fu palese che dovette trattenersi dall’andare a scuoterla per farselo dire. Henry si chiese fugacemente se a trattenere sua nonna fosse stato un qualche contegno da principessa, un istinto materno che le aveva suggerito di far arrivare Lily a darle una risposta con la gentilezza, oppure vera e propria paura. Chissà per quanto tempo poteva portare rancore un drago?
Per un lungo istante, Lily fissò la donna che le aveva cambiato la vita prima ancora che lei fosse uscita dall’uovo. Poi parlò, con voce dura al punto che Biancaneve si riaccostò al suo principe. «Non esattamente. Quello che mi avete fatto tanti anni fa ha avuto delle conseguenze. Oltre a quelle ovvie, intendo. Il legame che avete artificiosamente instaurato tra me e Emma ha fatto sì che ci rincontrassimo in questo mondo, più di una volta… e da quando sono arrivata in questo posto, in cui c’è vera magia, a quanto pare quel legame si è rafforzato. Posso sentire quello che sente Emma, e anche se non so dirvi precisamente tutto quello che le passa per la testa, il vostro amico con una mano sola pensa che riuscirei a guidarvi attraverso il portale fino al luogo in cui lei si trova».
«Sembra troppo facile per essere vero» commentò Regina piano, facendo scappare un sorriso storto a Robin.
«Beh, visto che da quando il caro vecchio Coccodrillo ha praticamente tirato le cuoia tutte le certezze della mia lunga esistenza stanno crollando una dopo l’altra, personalmente intendo acchiappare ogni singolo frammento di “facile” che mi capita a portata di uncino, tesoro» ribatté il pirata, sarcastico.
«E parlando di cose che vi faciliteranno la vita» si inserì Malefica «penso che vi piacerà parecchio quello che sta per accadere».
Detto questo, la strega si erse in tutta la sua notevole altezza, chiuse gli occhi e alzò le braccia al cielo. Henry sentì un formicolio fastidioso sotto i piedi, e guardando il terreno si rese conto che stava quasi letteralmente ribollendo di magia. Le piantine bruciacchiate e poi ulteriormente danneggiate dai rigori del clima invernale del Maine stavano tornando alla vita, obbedendo al comando della magia di Malefica. Una nebbiolina violacea avvolgeva i loro piedi adesso, al punto che non riuscivano più a distinguerli. E mentre quella lunga, lunghissima notte si avviava ormai alla sua conclusione, i primi germogli si aprirono nel vento freddo.
Con un gesto secco, Malefica interruppe il flusso della sua magia e lasciò che la nebbiolina violacea si diradasse. Henry si chinò immediatamente ad osservare il prodotto della magia: contò diverse piantine, risorte dai resti bruciacchiati della vecchia semina di Anton, ma nessun baccello.
«Dannazione» imprecò David, frugando tra le foglie.
«Non c’è nemmeno un fagiolo, Malefica!» protestò Regina, impegnata anche lei in un’alacre ricerca.
La strega sembrava infastidita da quelle reazioni. «La magia delle piante di fagioli magici è molto antica. E io ho lavorato su quello che rimaneva di una piantagione che era stata messa su praticamente per miracolo da quel vostro amico gigante… ho fatto quello che potevo» disse, incrociando le braccia.
«Qui! Qui ce n’è uno!» esclamò Mary Margaret, che si era messa a controllare le piantine più discoste.
«Io ne ho trovato un altro» fece eco Robin, alle spalle di Henry.
«Due fagioli magici? Solo due?».
«Di che ti lamenti, capitano?» ribatté Lily. «Hai sentito mia madre: non poteva fare meglio di così. Direi che si è già data fin troppo da fare per la famiglia che ci ha distrutto la vita, non credi?».
«Devo ricordarti, tesoro, che è stata lei a proporsi di darci una mano con il giardinaggio?».
«Come se le avessi lasciato scelta, razza di idiota!».
«Ehi, ehi, calmatevi!» esclamò Henry, mettendosi in mezzo. «Non è il momento di litigare! Dobbiamo andare a ritrovare la mia mamma, o ve ne siete dimenticati?».
«Henry ha ragione» si inserì Regina, autoritaria. «Ogni secondo è prezioso, e ne abbiamo sprecati fin troppi. Abbiamo due fagioli, ce li faremo bastare».
«Regina, se qualcosa va storto…».
«Non succederà nulla del genere, Jones. Mi rifiuto di credere che questa missione non sia destinata ad avere una conclusione più che felice».
«Sarà meglio che la tua determinazione serva a qualcosa, cara» commentò Malefica «È mia figlia che ti stai portando appresso».
«Non temere, amica mia… il caratterino di Lilith mi ricorda fin troppo bene che è pur sempre una figlia del drago. Ti prometto che te la riporterò sana e salva» assicurò Regina.
«Quest’aura da Salvatrice di cui ti sei ammantata è quanto mai irritante, dolcezza» commentò Killian. «Che ne dite di andare a riprenderci Emma, così la Regina Cattiva potrà di nuovo avere in odio il solo suono della parola “speranza” e tutto sarà tornato normale?».
«Ci sto» disse subito Regina, strappando a tutti un sorriso. Henry la abbracciò forte: era così fiero di lei!
Mentre Malefica e Lilith si salutavano, un po’ discoste dal gruppo, Henry controllò cosa aveva nel suo zainetto, e fu felice di trovarci un buon numero di merendine, qualche giornalino, una torcia elettrica, una corda e dei fiammiferi. Avere sempre con sé il suo -equipaggiamento da avventura lo faceva sentire sempre pronto all’azione. Anche se aveva ancora qualche difficoltà a credere che i grandi lo stessero veramente portando con loro a salvare la sua mamma.
«Allora, capitano, ci risiamo» sorrise David, dando una sonora pacca sulla spalla a Uncino.  Era palese che fare qualcosa, qualunque cosa, aiutava parecchio il principe a sopportare l’idea di quello che era successo alla figlia. Effetti collaterali della speranza, pensò Henry. «Una bella missione di salvataggio, come ai vecchi tempi!».
«Non vedevo l’ora» commentò il pirata, parecchio meno entusiasta. «Se non altro, stavolta non ci stiamo tuffando di testa dentro un’enorme trappola tesa da Pan».
«Già» asserì Regina. «Stavolta stiamo solo andando chissà dove per dare la caccia all’Oscuro e salvare la Salvatrice, e non dimenticare che ci portiamo dietro anche un’irascibile ragazza drago… cosa potrebbe mai andare storto?».
«Guarda che ti sento, Regina» borbottò Lily, sciogliendosi dall’abbraccio della madre. «E se le cose stanno veramente male come sembra, per la prima volta da quando siamo nate dovrete essere solo contenti di avere a che fare con me, e non con Emma».
«Sì beh, speriamo tutti che tu ti sbagli» la rimbeccò Regina.
«È l’alba» disse Mary Margaret, osservando l’orizzonte. «Il momento migliore della giornata per andare a salvare qualcuno».
E senza ulteriori cerimonie, Biancaneve lanciò il fagiolo a qualche metro da lei. Tutti fecero istintivamente un passo indietro quando il portale si aprì, annunciato da un rombo tremendo e da un forte vento.
«Aggrappatevi a me, e saltiamo tutti insieme» ordinò Lilith, con gli occhi quasi gialli per effetto della luce verde del portale.
«Buona fortuna» augurò loro Malefica, allontanandosi di qualche passo.
«Come facciamo a sapere che non combinerai qualche disastro mentre siamo via?» le chiese Regina, quasi urlando per sovrastare il rombo del portale.
«Non potete saperlo, infatti!» urlò Malefica in risposta, ma Henry riuscì a vedere che la strega stava sorridendo.
Tenendosi forte alla giacca di Lily, Henry levò lo sguardo a osservare i visi dei grandi, corrucciati, determinati, o anche fiduciosi, nel caso di sua nonna e suo nonno. Sorrise, perché stavano andando a salvare la sua mamma. «Dichiaro ufficialmente aperta l’Operazione Cigno Bianco!».
E mentre il sole sorgeva,  i sette si lanciarono tutti insieme nel portale.

 



 
··· Angolo Autore ···
Ta-dààààà :D
Rieccoci con l'appuntamento quasi settimanale che tuuuutti stavate aspettando (sì, vabbè).
Non credo ci sia moltissimo da dire, stavolta: Henry, Mary Margareth e David sono proprio fatti della stessa pasta, e peggio di una pedina di subbuteo si tirano subito su quando provi a buttarli giù. Adorabili eroi *__*
Ma se devo essere sincera scrivere di Lily è maledettamente più divertente, soprattutto quando si metterebbe a battibeccare anche con i sassi, muahahah (diciamo che la considero in parte un OC, visto che è l'unico personaggio ricorrente di questa fanfiction che nel telefilm è comparso troppo poco per sapere veramente tutto di lei).
Come avrete brillantemente dedotto, ho deciso dopo lunghe riflessioni di lasciare fuori da questa storia Rumplestiltskin (almeno, quello "vero"), Belle, Zelena, Malefica e tutti gli altri che non avete visto finora. Credo che per me concentrarsi su pochi personaggi sia meglio, se voglio portare questa storia qualche parte senza perdermi per strada (che poi EHI! Potrebbe essere anche un grande suggerimento per Adam ed Eddie, che continuano imperterriti ad aggiungere personaggi nuovi senza preoccuparsi di chiudere le storie di quelli vecchi) (Sto ancora aspettando uno spin-off su Aurora e Filippo, in caso a qualcuno interessasse) (Ehi, effettivamente potrei scriverlo io, mh?) (Magari un'altra volta) (O forse questa?) (Indizio, indizio)
COMUNQUE.
Spero il capitolo vi sia piaciuto, ecco. E soprattutto spero di avervi incuriosito: cosa nasconde il nostro caro Robin?
Lo scopriremo, ovviamente, nella prossima puntata!
*musichetta del promo*

«Robin» Regina sembrava preoccupata dalle reazioni del suo compagno. Gli pose una mano sul viso, accarezzandolo senza mai distogliere gli occhi dai quelli di lui. «Cosa c’è a Camelot che ti spaventa tanto?».
«Non sono affatto spaventato» ribatté subito Robin, ma Biancaneve vide che evitava lo sguardo di Regina.
«Come no» sbuffò Killian. «Ho visto la paura molte volte sulla faccia degli uomini che stavano per conoscere il mio acciaio, amico, e ti posso assicurare che non era affatto diversa dall’espressione che hai tu in questo momento».


*fine musichetta del promo*
 Alla prossima, dearies!
 -R


Disclaimer: tutti i personaggi, meno eventuali OC, appartengono ai creatori della serie TV. Se fossero miei, probabilmente sarebbero tutti felici e contenti, e io sarei ricca sfondata. Vista l'infelicità che aleggia su Storybrooke e nel mio portafogli, direi che sappiamo tutti qual è l'amara verità.

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Capitolo 5
*** 5x04 Ϟ The tale of the thief ***


5x04 Ϟ The tale of the thief

 

 
 
 
 
L’atterraggio fu parecchio brusco, e li lasciò tutti incastrati tra loro, in un groviglio confuso di gambe e braccia. Probabilmente doveva solo essere grata di non avere una delle frecce di Robin nello stomaco, o l’uncino di Killian in un orecchio. Anche se il sasso appuntito che le premeva tra le costole non era esattamente un cuscino di piume.
Ma a Mary Margaret la situazione non dispiaceva affatto. Anzi. Gli odori del bosco, la brezza fresca dell’alba che le accarezzava il volto, la sensazione del letto di foglie sulla pelle, il cinguettio degli uccellini tutt’intorno, spaventati dalla loro improvvisa apparizione… tutto, tutto le diceva una sola cosa: era tornata a casa. E per quanto il motivo del loro viaggio fosse la cosa più tremenda che le fosse mai successa, persino più orribile della prima maledizione oscura che era stata lanciata da Regina così tanti anni prima, lei non poté fare a meno di sorridere: essere di nuovo nella Foresta Incantata la faceva sentire ancora più sicura del fatto che ci sarebbero riusciti, che avrebbero davvero salvato Emma dall’Oscurità. E quando aprì gli occhi, Mary Margaret fu di nuovo Biancaneve.
Si tirò su, rabbrividendo leggermente nell’aria frizzante del mattino, e si guardò intorno, cercando di capire dove erano finiti di preciso mentre i suoi compagni di viaggio si districavano gli uni dagli altri in una cacofonia di grugniti e brontolii.
Il primo a parlare fu Henry, ovviamente. «Ci siamo riusciti, vero? Questa è la Foresta Incantata!». Dire che suo nipote era entusiasta le sembrò quasi un eufemismo: il ragazzino stava praticamente saltellando dalla gioia. Biancaneve fu felice di constatare che anche a lui quel bosco aveva infuso la giusta energia: dopotutto, pensò con un piccolo sorriso, quel posto era anche casa sua.
«Direi proprio di sì, figliolo» rispose Robin, alzandosi in piedi e tendendo cavallerescamente una mano a Regina,  che la accettò con un piccolo sorriso.
«Più precisamente, siamo quasi al confine occidentale del regno» aggiunse David, compiendo lo stesso gesto verso Lilith; ma la testarda ragazza drago rifiutò l’aiuto che le veniva offerto, e si tirò in piedi da sola. Il suo principe le indirizzò uno sguardo preoccupato, e Biancaneve sospirò impercettibilmente: avevano davvero intenzione di meritarsi il perdono di Lily, così come avevano fatto di tutto per ottenere quello della loro Emma, ma era evidente che non sarebbe stato affatto facile. Il fatto che Lilith avesse voluto aiutarli, però, la portava a sperare per il meglio: tutto quello che occorreva a lei e suo marito era tempo, e pazienza.
«Entusiasmante» commentò Uncino, che evidentemente di pazienza ne aveva ben poca.
«Andiamo, amico» lo esortò David, chiamandolo proprio con quell’appellativo che Killian aveva usato tante volte con il principe. «Non sei contento che siamo riusciti ad arrivare a casa?»
Il leggendario sopracciglio del capitano si inarcò considerevolmente. «Prima di tutto, dire “siamo riusciti” è poco meno di millantato credito, per come la vedo io, principe... e quando ero in marina, una cosa del genere mi sarebbe costata parecchio, te l’assicuro. Vedi, il fatto è che mentre voi eroi eravate tutti lì a tenervi le manine e ad aspettare una stella cadente, io ho trovato una soluzione, io ho pensato ai fagioli e a Malefica e sua figlia. Quindi perdonami se al contrario tuo non sembro qualcuno che si è appena svegliato da un sonno di bellezza… e in secondo luogo» aggiunse, alzando leggermente la voce per impedire a David e Regina di ribattere – se con ironia o esasperazione, Mary Margaret non avrebbe saputo dirlo «questo non è un posto in cui potrei mai sentirmi a casa. Per un qualunque pirata degno di questo nome, “casa” è solo dove c’è un mare da navigare e una maledetta nave con cui farlo!».
«“Casa” è anche dove sono le persone che ami» Henry intervenne serenamente, rifiutando di lasciarsi impressionare dall’umore nero del pirata. Biancaneve non avrebbe potuto essere più fiera di suo nipote – e a giudicare da come a Killian mancò la forza di rispondere a tutti i sottintesi che il ragazzino gli aveva indirizzato, lei non era stata la sola a cogliere la forza che trasudava da quelle parole.
Uno sbuffo alle sue spalle la distrasse dai suoi pensieri. «Beh, questo spiega perché non mi sono mai sentita a casa in tutta la mia vita, allora» sentenziò Lilith con voce dura, indirizzandole uno sguardo penetrante.
Lei cercò di non sembrare troppo turbata dalle sue parole, e si schiarì la voce. «Allora, quando tutta questa storia sarà finita, cercheremo in tutti i modi di farti finalmente provare quella sensazione… che ne dici?».
La ragazza drago la fissò a lungo, come a valutare se valesse la pena di fidarsi di lei. Mary Margaret riconobbe quello sguardo, perché lo aveva imparato a riconoscere negli occhi di Emma. Attese la risposta di Lily con le unghie conficcate nei palmi delle mani: non era affatto facile guadagnarsi la fiducia di un Bimbo Sperduto, sua figlia lo aveva insegnato fin troppo bene a tutti loro. «Dico che è ora di metterci alla ricerca di Emma».
«Questa sì che è una cosa sulla quale possiamo essere tutti d’accordo, eh?» commentò Robin, sorridendo per spezzare un po’ la tensione che si era creata. «Allora, dove si va?».
Gli sguardi di tutti furono di nuovo puntati su Lily: lei si guardava intorno, un po’ intimorita un po’ curiosa di scoprire com’era fatto il mondo nel quale avrebbe dovuto crescere. Poi la ragazza chiuse gli occhi, e una piccola ruga di concentrazione le increspò la pelle chiara della fronte.
Neve intercettò lo sguardo diffidente di Regina e lo ricambiò con uno che diceva chiaramente “non-mettere-pressioni-la-ragazza-può-farcela-abbi-fiducia”. Accidenti, ma perché per i cattivi era così difficile avere fede? Poteva trattarsi di una sorta di problema genetico? Forse nascevano con qualche gene mancante, chissà. L’unica cosa certa era che alla fine della fiera erano sempre gli eroi ad avere ragione: per questo Biancaneve non fu affatto sorpresa del tono privo di esitazioni con il quale pochi istanti dopo Lily affermò «Da quella parte».
«A ovest?» chiese Regina. «Quindi avevi ragione, Henry… Emma sta davvero andando a Camelot».
Neve e David erano già pronti a incamminarsi, seguiti da tutto il gruppo, quando la voce di Robin li fermò. «Ehi, fermi… aspettate un attimo!» esclamò l’arciere. «Non dovremmo cercare la Volta dell’Oscuro prima? Per ispezionarla! Potrebbero esserci indizi su dove sia Emma, o su cosa stia facendo!». Il nervosismo nella sua voce era più che percepibile: chiaramente, Robin Hood non aveva molta voglia di visitare Camelot – o di tornare a visitarla, ora che ci pensava meglio. Lui aveva detto loro di esserci stato.
«Non mi hai sentito, Occhio di Falco?» chiese Lily, in un tono abbastanza sgarbato. «Te lo posso dire io dov’è Emma. E una volta che la avremo raggiunta, sapremo anche cosa sta facendo».
«Robin» Regina sembrava preoccupata dalle reazioni del suo compagno. Gli pose una mano sul viso, accarezzandolo senza mai distogliere gli occhi dai quelli di lui. «Cosa c’è a Camelot che ti spaventa tanto?».
«Non sono affatto spaventato» ribatté subito Robin, ma Biancaneve vide che evitava lo sguardo di Regina.
«Come no» sbuffò Killian. «Ho visto la paura molte volte sulla faccia degli uomini che stavano per conoscere il mio acciaio, amico, e ti posso assicurare che non era affatto diversa dall’espressione che hai tu in questo momento».
«Non sei d’aiuto» sibilò Regina.
«Perché invece negare l’evidenza è così tanto d’aiuto, vero?».
«Ti avverto, pirata…».
«Basta così» li interruppe Robin, con un tono imperioso che Mary Margaret non poté non invidiargli: ogni volta che Killian e Regina cominciavano a battibeccare, le uniche opzioni erano la voce grossa o la polvere di papavero… e lei si ritrovava così spesso a desiderare che Mulan fosse a Storybrooke con loro, in quei momenti. Robin chiuse gli occhi per un momento, e prese un bel respiro. «Regina, Killian ha ragione… non sono stato del tutto sincero, poco fa».
«Ma non mi dire…» borbottò Uncino.
Robin lo ignorò. «È una lunga storia, ma non possiamo aspettare, dobbiamo metterci in viaggio. Solo… credo di aver bisogno di un incantesimo per camuffarmi. Puoi farlo, Regina?».
«Io… sì, certo, posso» rispose lei, abbastanza sconcertata da quella richiesta – ma Biancaneve la vide tornare subito in se stessa quando Regina si guardò intorno, scrutando i loro abiti. «Ora che mi ci fai pensare, direi che tutti noi abbiamo bisogno di un rapido ritocco al look, mh?».
«Forse hai ragione, mamma… credo che saremmo troppo vistosi conciati così!» concordò Henry. «Penso che soprattutto voi donne attirereste l’attenzione, con quei jeans e tutto il resto».
«E non hai idea di quanta attenzione attireremmo io e il mio giubbotto di pelle, ragazzo».
David alzò gli occhi al cielo.
«Possiedi ancora un briciolo di senso dell’umorismo, Uncino? Allora non hai battuto troppo forte la testa quando siamo atterrati… forse» commentò Regina, ma Neve sapeva che tutti loro erano sollevati nel vedere che il pirata cercava di comportarsi un po’ più come se stesso. Forse, quello dei cattivi non era un problema genetico, dopotutto... o almeno, non era incurabile.
Regina agitò appena una mano, e una nube violetta li avvolse tutti, per diradarsi qualche istante dopo e lasciarli tutti abbigliati in maniera più consona alla Foresta Incantata e a Camelot. Biancaneve apprezzò molto la sensazione di essere di nuovo nei suoi vecchi abiti da bandito, e dovette fare uno sforzo per nascondere la sua emozione nel vedere Henry indossare un farsetto per la prima volta; ma qualunque pensiero commosso venne rapidamente sostituito dalla perplessità, quando constatò che Regina aveva scelto anche per sé i vestiti dei vecchi tempi.
«Se davvero non vogliamo attirare l’attenzione su Robin, o su uno qualunque di noi, forse dovresti valutare l’ipotesi di rinunciare alla tua tenuta da supercattivona, Regina» le disse, abbastanza divertita.
Regina esaminò per un attimo la sua ampia gonna di velluto nero e il corpetto in seta scarlatta che aveva addosso, poi scosse la testa. «Giusto. Il lupo perde… il vizio ma non il pelo, suppongo» commentò, ridacchiando. E con un altro gesto della mano, cambiò i suoi vestiti eleganti nei vecchi abiti da equitazione che indossava quando si erano conosciute, così tanto tempo prima. «Suppongo che sia meglio tenere un profilo basso, in effetti. Far sapere agli abitanti di Camelot che l’Oscuro si aggira nel loro reame potrebbe essere controproducente… e un ragazzino intelligente mi ha sempre parlato della segretezza come di un elemento importante per la riuscita di un’Operazione» aggiunse, indirizzando un occhiolino al figlio. «E a questo proposito, un certo ladruncolo di mia conoscenza aveva bisogno di viaggiare in incognito, mh?».
«Ex-ladruncolo, milady» rispose Robin, sorridendole mentre l’incantesimo mutaforma della regina faceva effetto. «Quei giorni sono finiti, per me».
«Fidati, amico, non dirlo ad alta voce fino a quando non sarai sul letto di morte» consigliò Uncino, incupito. «L’ultima volta che ho pensato una cosa del genere, mi sono ritrovato alla mercé del Coccodrillo e ci ho quasi rimesso le penne…».
«Beh, ora sei parte dell’Operazione che salverà la mamma e libererà il mondo dall’Oscurità… direi che te la stai cavando abbastanza bene».
Per la seconda volta nell’arco di una manciata di minuti, Mary Margaret sentì che Henry era il degno nipote di Biancaneve e del Principe Azzurro, e non poté fare a meno di scambiare un sorriso orgoglioso con suo marito: quel ragazzo era veramente speciale. Anche solo perché sembrava essere l’unico capace di lasciare Uncino senza parole.
«Sì, è tutto meraviglioso e vivremo in un palazzo di cristallo sopra l’arcobaleno, ma adesso vogliamo per favore metterci in marcia?» sbottò Lilith, rovinando per l’ennesima volta il momento. Biancaneve si fece un appunto mentale di interrogare qualche stregone o qualche fatina a proposito dei problemi genetici dei cattivi.
David sembrava esasperato quanto lei dalla ragazza drago, ma non si lasciò scomporre. «Guidaci» le disse semplicemente, indicando il sentiero davanti a loro.
E senza perdersi ulteriormente in chiacchiere, il gruppo lasciò la radura. Mary Margaret strinse la mano di Henry quando il ragazzo le passò accanto, e al sorriso di lui seppe che entrambi stavano pensando la stessa cosa: “Stiamo arrivando, Emma!”.
 
***
 
Camminarono parecchio, quella mattina, guidati da Lilith attraverso i pini e le querce del bosco che congiungeva la Foresta Incantata a Camelot; ma alla fine, la stanchezza per la lunga notte che avevano trascorso cominciarono a farsi sentire, e decisero di accamparsi nei pressi di un ruscello, anche se era solo mezzogiorno. Sia lei sia Robin furono d’accordo nel constatare che viaggiare di notte sarebbe stato meglio: le tenebre li avrebbero nascosti da occhi indiscreti, e quanto alle creature più o meno pericolose che avrebbero potuto incontrare, sapevano tutti che con Regina sarebbero stati al sicuro. L’autorevolezza che i due riuscivano ad avere grazie ai lunghi periodi che avevano trascorso nascondendosi nelle foreste fu sufficiente a convincere tutti della necessità di fermarsi a riposare… tutti tranne Uncino, ovviamente.
«Avete davvero intenzione di bivaccare per il resto della giornata, mentre Emma è chissà dove a combinare chissà cosa?».
«Amico, ti assicuro che nelle condizioni in cui ci troviamo non saremmo di nessun aiuto a Emma» disse Robin, mentre aiutava Henry a preparare un cerchio di pietre per accendere un fuoco.
«Perdonami se non riesco a fidarmi del parere dell’unica persona qui in mezzo che sembra avere tutta l’intenzione di ritardare il più possibile il nostro arrivo a Camelot… amico».
«Ho le mie buone ragioni, e sarà meglio che le ascoltiate tutti mentre riposiamo».
«Non mi importa un accidenti delle tue ragioni! Abbiamo una missione da compiere, dannazione, non c’è tempo di stare qui ad arrostire cacciagione e raccontare storie!».
Biancaneve dovette trattenersi parecchio per non mettersi a sbuffare come Lily. Probabilmente, era così esasperata dal pirata che avrebbe anche emesso del fumo, in perfetto stile ragazza drago. Si concentrò sui rami e le foglie secche che stava raccogliendo tutt’intorno, contò fino a dieci e poi parlò. «Ricordo distintamente che quando eravamo sull’Isola Che Non C’è fosti proprio tu a dire a Emma e Regina che se volevano riuscire veramente a salvare Henry da Pan dovevamo anche fermarci a riposare. Spiegami perché stavolta dovrebbe essere diverso, Uncino». Fu piuttosto soddisfatta nel notare che il pirata non trovò niente da risponderle. «Bene, vedo che ti è rimasto un briciolo di ragionevolezza in quella tua testolina così affascinante. Ora, se vuoi renderti utile in qualche modo, puoi andare a raccogliere la legna con David, mentre magari io e Lilith andiamo a cercare qualcosa da mangiare, mh?».
Regina alzò una mano, spazientita. «Tutto questo non ha affatto senso» dichiarò, e schioccò le dita un paio di volte. In un attimo, comparvero un bel fuoco scoppiettante, della selvaggina e persino un po’ di frutta. «Se lo scopo di questa pausa è riposarsi, riposiamoci. Non vedo perché dovremmo affannarci a cacciare e cercare legna quando posso procurare tutto quello di cui abbiamo bisogno con un po’ di magia».
Biancaneve si sedette accanto al fuoco e afferrò un po’ del coniglio che Regina aveva fatto apparire dal nulla. «È incredibile come tu riesca sempre a rovinare il divertimento, sai?» le chiese, mettendo su un piccolo broncio, ma non poté negare a se stessa che quelle inaspettate comodità le avrebbero fatto più che piacere, nei suoi giorni da bandito.
«Suppongo che ci sarà più di un’occasione per divertirsi, una volta arrivati a Camelot» commentò Uncino, sedendosi poco lontano da lei, imitato da tutti gli altri.
«Precisamente» rispose Regina. «Henry, non dimenticare di mangiare un po’ di frutta» aggiunse.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo. «Ma mamma… sai che odio le mele!».
David ridacchiò. «Magari ti piaceranno di più, se accompagnate dal giusto condimento… qualcuno qui aveva promesso di raccontarci una storia» disse, dando una spallata amichevole a Robin.
«Dai, Robin» lo incoraggiò Henry, cogliendo la palla al balzo. «Mamma dice sempre che è importante per la mia crescita che io assuma le vitamine di cui ho bisogno!».
«Coraggio, Occhio di Falco» incalzò Lilith. «Magari la tua storia aiuterà anche me a mandare giù la cucina della tua ragazza».
Regina, Mary Margaret e David alzarono gli occhi al cielo.
Uncino offrì a Robin la sua fiaschetta, e l’arciere la accettò volentieri. Mandò giù un sorso di rum e si prese un paio di minuti, fissando il fuoco come se le fiamme avrebbero potuto suggerirgli come iniziare il discorso. «Beh, non ha senso girarci intorno, suppongo… io e re Artù siamo fratelli di latte».
Biancaneve quasi si strozzò con il pezzo di coniglio che stava masticando, e fu salvata solo dai colpi secchi che David le assestò sulla schiena. Guardandosi intorno, notò che la notizia aveva sconcertato anche i suoi compagni di viaggio: Regina guardava Robin come se gli fossero appena spuntate due antenne da formica in testa, Henry aveva gli occhi spalancati dallo stupore, persino Uncino sembrava colpito da una simile rivelazione. L’unica ad ostentare una certa noncuranza, ovviamente, era Lily.
«Voialtri dovreste seriamente considerare l’ipotesi di mettere su carta un albero genealogico bello grosso, una volta o l’altra» commentò, addentando una mela. «Ci sono più legami di parentela tra di voi che in una telenovela, ve lo posso assicurare».
«Una teleche?».
«Lascia stare, Killian» tagliò corto Neve.
«Già, ora è un’altra la storia che dobbiamo ascoltare» concordò Regina. «Non avevi detto di essere stato a Camelot una volta?» chiese, rivolta a Robin, con il tono che di solito usava con Henry.
«Ho già detto di non essere stato del tutto sincero con voi prima» si scusò Robin. Bevve un altro sorso di rum e restituì la fiaschetta a Killian, poi ricominciò a raccontare, senza guardare nessuno di loro negli occhi. «A Camelot ci sono nato, in realtà. Mia madre è morta nel darmi alla luce, quindi mio padre si è dovuto rivolgere alla famiglia della fattoria vicina perché io venissi allattato: ed era la fattoria dei genitori di Artù, che era nato poche settimane prima di me. Io e lui siamo cresciuti come fratelli, praticamente. Lavoravamo nei campi insieme, aiutavamo le nostre famiglie con gli animali e i raccolti, sapete… e vivevamo le nostre belle avventure in giro per la foresta quando ci mandavano a caccia insieme. Eravamo inseparabili». L’arciere sorrise tra sé e sé, ricordando i tempi andati.
«E allora perché non vuoi farti riconoscere? Ora che lui è re e ha Excalibur, può aiutarci a salvare la mamma, no?».
Robin si pizzicò l’attaccatura del naso, palesando tutta la sua stanchezza. «Vorrei che fosse così facile, figliolo, ma temo che Artù sarà assai poco disposto ad aiutarci, se saprà che sono con voi. Vedi, quando eravamo poco più grandi di te, io e Artù salvammo un vecchio mendicante che vagava nei boschi dall’assalto di un cinghiale. Solo che quel vecchio mendicante non era affatto chi sembrava essere… ».
«Non lo sono mai, suppongo». Neve non poté trattenere un sorriso. «La prossima volta che partiamo per una missione avventurosa, Henry, ricordami di raccontarti di quella volta in cui tua madre si travestì da mendicante, finì ferita dalle sue stesse guardie e fu salvata da un’esecuzione dalla sottoscritta».
«Perché ti eri travestita da mendicante, mamma?».
Regina le lanciò uno sguardo furioso. «Hai sentito Mary Margaret, giovanotto. La prossima volta. Voglio sapere come continua la storia».
Robin sorrise amaramente, e lanciò un po’ di legnetti nel fuoco. «Beh, è presto detto. Quell’uomo era una sorta di stregone, o di mago, o non so, e ci disse di essere dotato di un dono speciale… sapeva leggere il futuro».
«Ehi, aspetta un momento» intervenne Uncino, come se un sospetto stesse prendendo forma nella sua mente. «Suona parecchio come un certo Coccodrillo di nostra conoscenza».
Robin trasecolò. «Cosa? Pensi che fosse l’Oscuro? Non sembrava affatto Rumplestiltskin, se devo essere sincero…».
«Ah, questo non vuol dire niente» disse Regina. «Il folletto sapeva il fatto suo, quando si trattava di travestirsi. Soprattutto se questo gli permetteva di tirare i fili di un qualche spettacolo di burattini che gli faceva comodo dirigere» aggiunse, pensierosa.
«Questo sì che è interessante. Non ha mai dato segno di avermi riconosciuto, né quando ci siamo incontrati nella Foresta Incantata né quando sono arrivato a Storybrooke».
«Sì, beh, nemmeno questo vuol dire che non fosse veramente Gold, Robin» si inserì David. «Sbaglio o non ha mai detto a nessuno nemmeno di Zelena, giusto per dirne una? Quell’uomo conosce veramente tutti, in questo mondo… e rivela le cose che sa solo quando gli fa comodo che anche gli altri le sappiano».
«Il nonno è pieno di risorse» commentò Henry affettuosamente.
«Puoi dirlo forte, ragazzo» borbottò Killian, decidendo di aver bisogno di un sorso di rum per continuare ad ascoltare la storia di Robin.
«Beh, che fosse lui o no, si offrì di rivelarci qualcosa del nostro futuro per ringraziarci di quello che avevamo fatto. Io dissi che preferivo avere in regalo un arco e una faretra: mio padre mi aveva insegnato che certe cose è meglio non saperle in anticipo. E poi, morivo dalla voglia di imparare a tirare con l’arco. Ma Artù… Artù era diverso. Era sempre stato curioso, sveglio… e un po’ ambizioso, credo: la vita da contadino gli stava stretta, ora lo capisco. Ma all’epoca non me ne rendevo conto. Così gli chiesi di lasciar stare il suo futuro, e di chiedere un'altra ricompensa allo stregone, ma lui non mi diede ascolto. Litigammo, e io lo lasciai nel bosco con lo stregone per tornarmene a casa. Non ci parlammo per giorni, ma poi mio padre mi disse che saremmo partiti per la Foresta Incantata perché aveva perso la fattoria giocando d’azzardo alla taverna del paese… e io ero così sconvolto che decisi di lasciar stare il nostro litigio per chiedere al mio amico di aiutarmi in qualche modo, così andai a cercare Artù nel nostro posto, nella foresta».
L’arciere si interruppe nuovamente, fissando il fuoco acceso da Regina senza quasi battere le palpebre.
«… E poi? Cos’è successo?» lo incalzò Biancaneve, incuriosita.
Robin scrollò la testa, come per schiarirsi le idee. «Il mio cosiddetto amico di infanzia mi accolse puntandomi un bastone appuntito contro il petto. Non volle stare a sentire nemmeno cosa avevo da dirgli: mi disse che non voleva più vedermi, e che avrei fatto meglio a stare lontano da lui e dalla sua famiglia. Normalmente lo avrei preso a pugni per cercare di ficcargli un po’ di sale in zucca, ma lui aveva un tale sguardo negli occhi che mi spaventò. Io e mio padre partimmo quella sera stessa, e da allora non l’ho più incontrato».
Ci fu qualche minuto di silenzio, poi Lilith parlò. «Mi stai dicendo che te la fai sotto dalla paura perché decenni fa un ragazzino ti ha guardato storto? E io che pensavo fosse Emma la damigella in difficoltà…».
Neve pensò che Regina stesse letteralmente per fulminarla con gli occhi. «Stammi bene a sentire, ragazzina. La tua storia triste e dolorosa non ti autorizza a trattare come rifiuti tutte le persone che ti circondano… fatta forse eccezione per gli Azzurri, che se lo meriterebbero pure, ma dà retta a chi ha più esperienza di te: alla fine il cosiddetto Bene vincerà, e tu ti ritroverai a cenare con loro, a condividere avventure con loro, persino a cercare di salvare qualche loro figlio neonato in pericolo. Perciò vedi un po’ di farla finita con queste sciocchezze, o giuro che ricorrerò a misure straordinarie. Non hai bisogno della voce per guidarci da Emma, te lo garantisco». Neve non poté fare a meno di sorridere alle parole della sua matrigna: erano la cosa più vicina ad un ti voglio bene che Regina le avesse mai detto.
Fu come sempre Henry a riportare la tensione a livelli sopportabili. «C’è dell’altro, vero, Robin?» chiese, ignorando quanto sua madre e Lilith si erano appena dette.
«Già» rispose l’arciere, e a tutti loro sembrò parecchio più vecchio di quanto non fosse mentre si strofinava il viso con una mano. «Io e mio padre passammo alcuni anni qui nella Foresta Incantata, vivendo di espedienti, lavorando come braccianti quando ci riuscivamo, cacciando di frodo nelle riserve reali… ».
«Ehi!» esclamò Neve, fingendosi offesa a morte per cercare di tirarlo un po’ su di morale. «Come hai osato, arciere da strapazzo?»
Regina ridacchiò.
«Avevate proprio dei bei cervi, sapete?» anche Robin si concesse un sorriso, parecchio più disteso di quelli che i suoi ricordi di infanzia gli avevano provocato. «Comunque sia, dopo diversi anni passati così, mio padre rimase gravemente ferito durante una battuta di caccia, e non ci fu verso di salvarlo. Dopo la sua morte non era rimasto nulla per me qui nella Foresta, quindi decisi di tornare a Camelot. Una volta arrivato lì, scoprii che nel frattempo anche il nostro vecchio sovrano era morto, e che una profezia era stata rivelata: il suo degno successore sarebbe stato l’uomo che avesse trovato ed estratto la mitica Excalibur dalla roccia nella quale Merlino la aveva conficcata, tanti secoli prima».
«Il tuo amico Artù, mh?» Killian tirò ad indovinare, osservando la reazione di Robin da sotto al suo cipiglio.
«Proprio così. Io arrivai a Camelot proprio nei giorni in cui ricorreva il suo primo anniversario di regno, ma quello che vidi non mi piacque affatto: la popolazione era affamata dalle tasse e dalle corvée che il nuovo sovrano aveva imposto, un sacco di ragazzi e ragazze erano stati chiamati a servirlo come militari, e Artù passava tutto il santo giorno nelle stanze più remote del suo castello, senza nemmeno incontrare sua moglie Ginevra o i suoi funzionari. Nessuno aveva idea di cosa gli passasse per la testa, ma io ero piuttosto sicuro che avesse a che fare con quello che lo stregone gli aveva profetizzato tanti anni prima… probabilmente, era anche il motivo per il quale mi aveva allontanato» aggiunse.
«E quale sarebbe?» domandò David, visto che Robin si era di nuovo perso ad osservare le fiamme, accarezzando distrattamente la mano di Regina.
«Vorrei proprio saperlo» rispose l’arciere. «La gente diceva che il re era ossessionato da qualcosa, da una missione che gli era stata affidata e alla quale doveva destinare tutto se stesso… ma qualunque cosa fosse, non giustificava il modo in cui permetteva che il suo popolo vivesse. Lui continuava a mettere tasse su tasse, per finanziare chissà cosa, e le persone morivano di fame. Non potevo credere che Artù si fosse trasformato in un simile mostro di egoismo, ma mi bastarono pochi giorni a Camelot per capire che del mio amico di infanzia era rimasto ben poco».
«È per questo che sei diventato un ladro, vero?» chiese Henry. «Per aiutare i poveri del tuo paese?».
«Già. Misi su una banda di persone che non erano disposte a permettere che la situazione rimanesse così, e per un po’ di tempo rubacchiammo dalle casse di Artù per restituire alla povera gente quello che il re aveva tolto loro in nome della sua ambizione. Ma le voci su questo gruppo di ladri guidati da un arciere infallibile raggiunsero le sue orecchie, alla fine, e lui capì che dietro a quei furti e a quelle imboscate c’ero io. Mise una bella taglia sulla mia testa e mandò le sue milizie a cercarmi, così capii che era tempo per me di andare via… a Locksley, prima, e poi a Sherwood. Il resto della storia lo sapete, suppongo… e questo – beh, questo è tutto. Davvero, stavolta» aggiunse rivolto a Regina, stringendole forte la mano e posando un bacio delicato sulle sue nocche.
«Beh… bentornato a casa, Hood» commentò il pirata, impressionato da tutte quelle rivelazioni.
Robin sorrise, teso. «Già. È strano essere tornati» affermò, tirandosi su dal bivacco e andando a sistemarsi ai margini della radura in cui si erano fermati. «Ora cercate di riposare. Faccio io il primo turno di guardia».

 


 
··· Angolo Autore ···
ALLLLLLLOOOOOOORA :D
Ho sganciato una bella bomba, eh? Sinceramente credo che questa di intrecciare la storia di Robin a quella di Artù sia una delle idee meno stupide che mi siano mai venute da quando frequento EFP, quindi ne vado piuttosto fiera, eheh *O*
Il fatto che sia Robin ad avere legami con il passato di Artù significa, tra le altre cose, che non vedremo Merida nella mia fanfiction... e per due motivi. Il primo è che *SHAMESHAMESHAME* non ho mai visto il cartone, quindi anche se so di cosa parla la sua storia non la conosco abbastanza bene da poter provare a "rendere mio" il personaggio. Il secondo è che ho trovato l'aggiunta di Merida,  nella 5A, un'aggiunta, appunto. La hanno sviluppata poco, inserendola in una trama già complicatissima e lasciandola sempre ai margini, tranne che nella puntata dedicata. In caso non si fosse capito, sono una persona che le cose o le fa bene o non le fa... e in questo caso, mi spiace Merida, ma per me è stato NO (ma in ogni caso, Amy è stata fantastica... e amo il suo accento!).
Mi scuso per il ritardo nell'aggiornamento, ma sono incagliata nella scrittura del capitolo 6 e non volevo aggiornare prima di averlo finito - cosa che andrò a fare non appena finito di sistemare l'HTML. Ah, e ovviamente avrei degli esami da preparare e uno spettacolo in arrivo, ma quelle sono quisquilie, visto che la mia mente malata ha già partorito altre due trame per delle long fiction che potrebbero venirmi lunghe chilometri, yay! :D
Spero che la storia vi stia incuriosendo/appassionando. So più o meno dove voglio andare a parare, non temete, ma ho l'impressione che ci vorrà ancora del tempo. Avrete abbastanza pazienza? Lo scoprirò presto, uhuh :p
Un bacio a tutti i lettori silenziosi, e un abbraccio a chi si ferma un secondo a recensire!

 -R

Disclaimer: tutti i personaggi, meno eventuali OC, appartengono ai creatori della serie TV. Se fossero miei, probabilmente sarebbero tutti felici e contenti, e io sarei ricca sfondata. Vista l'infelicità che aleggia su Storybrooke e nel mio portafogli, direi che sappiamo tutti qual è l'amara verità.

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Capitolo 6
*** 5x05 Ϟ Walls up ***


5x05 Ϟ Walls up

 
 

 
 
Il giaciglio che si era preparata era troppo scomodo. Il punto in cui aveva scelto di accamparsi era troppo esposto. I rumori notturni della foresta erano troppo vicini. Il vento era troppo freddo. O forse i suoi pensieri erano semplicemente troppo oscuri e pericolosi perché lei avesse voglia di abbandonarsi completamente al suo subconscio. Quale che fosse il motivo, Emma Swan non riusciva a dormire. E la cosa la inquietava parecchio: aveva camminato fino al tramonto, e prima di allora aveva sacrificato se stessa per Regina, era diventata l’Oscuro, aveva ascoltato le voci nella sua testa dirle cose terribili e terribilmente vere, aveva usato la magia – non pensarci, Emma, non pensare a lei – eppure non si sentiva stanca. Né intorpidita: anzi, i suoi sensi sembravano fastidiosamente all’erta, e lei riusciva a cogliere ogni rumore, a percepire ogni odore, a sentire ogni foglia che strusciava contro l’orlo della sua tunica consunta. Forse era per questo che non riusciva a dormire?
«Sai, carina, dovresti proprio cercarti un hobby» esclamò una vocetta divertita alle sue spalle.
Emma sobbalzò, ma non si girò a fronteggiare Rumplestiltskin, o qualunque fantasma della sua mente il folletto stesse impersonando al momento. «Che cosa vuoi, Oscuro?».
La risatina che seguì alla sua domanda stava cominciando a suonarle familiare, ma non per questo era meno inquietante, o fastidiosa. O entrambe. «Cerco di dare pace alla tua mente, tesorina… il che è come dire che cerco di dare pace a me stesso! Quanti, quanti pensieri turbano quella tua testolina bionda! Si direbbe quasi che porti un terribile fardello sulle spalle… oh, aspetta: effettivamente è proprio così!».
Emma mandò al diavolo i suoi propositi di ignorare quell’irritante creatura, e si tirò su a sedere, fronteggiandola. «Non sei divertente, folletto» sibilò, per quanto sapesse che era ridicolo cercare di intimorire una proiezione della sua mente.
«Ti assicuro di sì, cara… sei solo troppo stressata per ammetterlo» ribatté Rumplestiltskin con uno sberleffo. «Il che ci riporta all’hobby. C’è qualcosa che ti piace fare nel tuo tempo libero? Lavorare ai ferri, ricamare, costruire vascelli in bottiglia…».
«Dormire» tagliò corto Emma, conficcandosi le unghie nei palmi delle mani. Quel vago accenno a qualcosa che poteva farle tornare in mente Killian la fece sentire male. Anche la sua Jolly Roger era stata un vascello in bottiglia, per qualche tempo… scrollò la testa, costringendosi a non pensarci. «Nel mio tempo libero mi piace dormire, Oscuro. E sono maledettamente brava a farlo, per ore e ore. Se non ci sono inquietanti esserini che continuano a parlottarmi nelle orecchie» aggiunse, cercando di suonare minacciosa.
«Uh, che peccato» commentò la creatura, portando una mano alla bocca per scimmiottare una reazione dispiaciuta. Santo cielo, se amava la teatralità.
«Che c’è?».
«Vedi, tesoro, l’Oscuro non dorme» spiegò Rumplestiltskin, con l’aria di uno che spiega la tabellina del due. «O credi che io passassi le mie notti a filare paglia in oro solo perché ero un’avida gazza ladra?».
«Pensavo che a tenerti sveglio fossero i sensi di colpa per tutte le cose orribili che avevi fatto» borbottò Emma, in parte cercando di provocarlo, in parte perfettamente consapevole che stava avendo quella conversazione con se stessa.
«Oh, sì, c’erano anche quelli. Ma dopo dieci o più anni passati senza appisolarti neanche per cinque minuti, ti viene il dubbio che il problema possa essere un altro, no?».
Emma sospirò. Si disse che sotto sotto lo aveva sempre saputo. «Bene» esalò, alzandosi in piedi. «Visto che anche le gioie del sonno mi sono negate, non c’è motivo di perdere altro tempo… andiamo».
«Proprio così, tesorina» concordò il folletto. «Prima ci rimettiamo in viaggio, prima arriviamo a Camelot, no?».
«Non mi sembravi molto entusiasta dei miei progetti, prima» disse Emma, scavalcando una radice nodosa che normalmente non sarebbe mai riuscita a vedere in piena notte. Si chiese distrattamente se questa storia dell’Oscuro non somigliasse parecchio a diventare un qualche strano X-men dotato di un corpo super performante.
«Domanda mal posta, cara» la rimbeccò la creatura, agitando un dito verso di lei come avrebbe fatto una maestra parecchio su di giri. «Quante volte devo dirti che io sono te? Se io non ti sembravo entusiasta all’idea di andare a cercare Merlino e la sua tanto millantata capacità di liberarti di me, vuol dire che tu non lo sei, no?».
«Come fai ad essere il mio mentore se sei semplicemente una proiezione della mia mente? Tu non sei solo me, sei qualcosa di più e soprattutto sai qualcosa di più… parecchio di più di me, oserei dire. Altrimenti cosa potresti insegnarmi?». Emma si fermò. Tutti i dubbi e le domande che la assillavano non le lasciavano scampo, e aveva intenzione di liberarsi della maggior parte di loro al più presto.
«Uh, una ragazza sveglia! Adoro quando i miei allievi hanno un po’ di sale in zucca!» commentò Rumplestiltskin.
«Sono felice che tu mi trovi all’altezza del tuo arduo compito» borbottò Emma, alzando gli occhi al cielo. «Ma non mi hai ancora detto perché non vuoi che io vada a Camelot».
«Perché tu non vuoi che tu vada a Camelot, vorrai dire!».
Emma represse l’istinto di tirare un pugno a quella creatura. Dovette fare un notevole sforzo per convincersi del fatto che colpire l’aria non le avrebbe procurato nessun vantaggio. «Hai capito cosa intendo dire. Dici di essere il mio mentore: bene, insegnami. Rispondimi. Dimmi qualcosa!».
«Senti senti… qualcuno qui è proprio impaziente di essere il primo della classe! Ebbene, per quanto lo spettacolo della tua frustrazione sia delizioso, io sono la tua mente, e non posso nasconderti nulla… non per molto, se non altro, ahah! Cominciamo con la prima lezione, dunque!» esclamò l’Oscuro, battendo le mani dall’entusiasmo. «O dovrei forse dire la seconda? Quello che è accaduto stamattina alla povera ragazzina non è andato esattamente come avrei voluto, ma suppongo che fosse comunque un inizio, uh?».
«La ragazzina ha un nome. Ed è Prim. E io e te non parleremo mai più di lei e di quello che è successo in quella radura, sono stata chiara?» sibilò Emma, digrignando i denti dalla rabbia.
«Avrei dovuto immaginare che avresti pensato subito a questa elegante soluzione: se non ci pensi non è mai successo, vero? Dopotutto, è sempre stata una delle tue tattiche preferite…».
«Possiamo per favore parlare di te e non di me?».
«Continui a rivolgermi domande mal poste, ragazza, ma credo che ci passerò sopra. Dopotutto, non ti sei sbagliata prima: io non sono solo te. Così come non ero solo Rumplestiltskin, o solo Zoso. Io sono tutti gli Oscuri. Io sono l’Oscurità. Conosco nel profondo tutti gli uomini e tutte le donne che prima di te hanno portato questo fardello: li ho pervasi, li ho compresi, li ho guidati… li ho riempiti del mio potere, ma al prezzo della loro stessa libertà. Tutte le persone che sono state conosciute come l’Oscuro altro non erano che dei miseri burattini nelle mie mani. Ogni singolo passo che un Oscuro ha compiuto in questo reame e in tutti quelli conosciuti non è stato altro che un passo compiuto verso il mio obiettivo finale… tu!».
«Io?» Emma quasi si fermò a metà di un passo. Doveva ammetterlo, quella creatura ci sapeva fare: era riuscita a metterle i brividi con tutto il suo discorso ispirato, ma la conclusione alla quale esso era giunto era una cosa alla quale ormai era fastidiosamente abituata. «Ero predestinata? Anche a questo? Santo cielo, questo libro di fiabe ha davvero bisogno di qualche personaggio in più, o rischio di andare in esaurimento da superlavoro».
«Non prendertela con me, cara… non succede tutti i giorni di incontrare il prodotto del vero amore, ti pare?».
«In realtà sono piuttosto sicura che anche Cenerentola ami Thomas, e che Aurora e Filippo condividano un legame decisamente magico! Ma non mi sembra che la loro prole sia richiesta a destra e manca per salvare il mondo… o per distruggerlo, a quanto pare» aggiunse, rivolgendo un gesto a Rumplestiltskin.
«Non dubito che verrà il momento anche per loro, dolcezza… dopotutto per te i problemi sono cominciati relativamente da poco: anche tu hai avuto un’infanzia abbastanza ordinaria e tranquilla, no?».
Emma sbuffò, quasi divertita. «Questo sì che è un punto di vista decisamente nuovo, per me, quando si tratta del mio passato».
«Sono qui per aprire la tua mente, gioia» ribatté la creatura, con un inchino pieno di scherno.
«Per l’appunto. Stavi giusto per dirmi cos’è che l’Oscurità aveva in programma per la Salvatrice, no? Vai pure» lo esortò Emma, facendo cenno alla creatura di precederla sul sentiero.
«Sai, figliola, questa è la prima volta in assoluto che un neonato Oscuro fa una chiacchierata di questo tipo con il suo mentore» iniziò il folletto.
«Sì, so di essere speciale. La mamma me lo ripeteva ogni mattina preparandomi il sacchetto del pranzo per la scuola. Arriva al punto, Oscuro».
«Come vorrei avere il tempo di farti apprezzare l’oscuro potere della suspense, mia impaziente allieva!» esalò Rumplestiltskin, facendo quasi ridacchiare Emma tra sé e sé: quant’era strano riuscire ad esasperare la propria mente? «Il punto che tanto ti preme conoscere, signorina Swan, è che una conversazione come questa che stiamo avendo io e te non è mai potuta avvenire… perché da quando l’Oscuro esiste, non è mai stato libero di agire indisturbato. Qualcuno ha provveduto a rendere la nostra genia schiava del possessore di un certo pugnale. Uno stregone molto, molto potente».
«Merlino» sussurrò Emma. Non era una domanda.
«Proprio lui. Nonostante il potere dell’Oscuro sia grande, quello di Merlino era equivalente, perché veniva dalla stessa fonte: il Sacro Graal. Così il simpaticone è riuscito a contenere il primo Oscuro abbastanza a lungo da forgiare una spada con il metallo di quel magico calice, una spada che potesse governare l’Oscuro e sconfiggerlo, per sempre».
«Aspetta. Credevo stessimo parlando di un pugnale» intervenne Emma, confusa.
«Oh, no no, cara, noi stiamo effettivamente parlando del pugnale. Vedi, proprio perché l’Oscuro e Merlino erano dotati di un potere equivalente, nessuno dei due poteva prevalere davvero sull’altro: così quando l’eroico stregone tentò di trafiggere il primo Oscuro con quella bella spada scintillante che aveva appositamente creato, qualcosa andò storto, e lui si ritrovò in mano una lama considerevolmente… accorciata».
«E non avrebbe potuto fare fuori l’Oscuro comunque?».
«Ti pare che se avesse potuto, noi due staremmo avendo questo adorabile tête-à-tête al chiaro di luna, tesoro? Ovviamente non poteva. Dal Graal veniva il potere dell’Oscuro, da tutto il Graal, e a quella spada nata dal Graal mancava un pezzo importante. Merlino ci provò, naturalmente, da bravo eroe qual era, ma fallì miseramente. Il primo Oscuro riuscì a sconfiggerlo e a renderlo inoffensivo. Ma il danno ormai era fatto: la spada che era destinata a distruggere l’Oscurità era stata creata, e anche se mancava di una parte poteva sempre essere riforgiata. E poi, c’era anche quel piccolo, fastidioso dettaglio della punta: era la parte che avrebbe dovuto trafiggere il cuore nero dell’Oscurità, pertanto conservava in sé tutto il potere necessario a controllarlo, in attesa che arrivasse il momento di ricongiungersi al resto della lama per completare l’opera. L’Oscuro non riuscì a liberarsi dell’influenza del pugnale, pertanto decise di tenerlo nascosto e ben protetto… e per assicurarsi che nessuno riuscisse ad ostacolarlo una volta per tutte, conficcò quello che restava della spada in una roccia incantata».
La rivelazione attraversò Emma come una scarica di corrente. «Excalibur!» esclamò, quasi perdendo l’equilibrio.
«Ma che brava, Emma! È proprio così: il pugnale dell’Oscuro altro non è se non la punta di Excalibur. La spada che, se riforgiata, può sconfiggere l’Oscurità per sempre».
Emma sentì la pelle d’oca affiorarle sulle braccia, e sapeva che non era il freddo. Cercò qualcosa di intelligente da dire, al cospetto di una simile vagonata di informazioni. «Mi stai dicendo che il primo Oscuro non ha distrutto l’unica cosa al mondo che può… beh, distruggerlo?».
«È dal Graal che viene il nostro potere, Emma. Non possiamo distruggerlo, né siamo mai stati abbastanza potenti da liberarci della sua fastidiosa influenza. È per questo che, in tutti i suoi secoli di vita, l’Oscurità ha sempre perseguito il suo vero obiettivo solo… nei ritagli di tempo, diciamo. Il piano di Merlino è riuscito, almeno in parte: il pugnale che ci controlla è passato di mano in mano, posseduto da uomini e donne privi di scrupoli che ci hanno usati per i loro scopi; e nei rari momenti in cui siamo stati padroni di noi stessi, c’è sempre stato qualcos’altro a trattenerci….».
Emma si accorse che stava trattenendo il respiro. Ci mise qualche istante a decidere che voleva rompere lo strano silenzio che si era creato. «E cosa sarebbe?».
L’Oscuro la guardò intensamente, e per la prima volta da quando era riemersa nella Foresta Incantata Emma non riuscì a leggere quei grandi occhi giallastri; ma c’era comunque una antica, mistica saggezza nelle parole che la creatura pronunciò. «Da quando noi Oscuri esistiamo, una sola cosa ci ha sempre trattenuti. Il richiamo della famiglia che siamo così determinati a proteggere. Le amicizie che ci rendono impossibile dimenticare le persone che eravamo prima. La magia che minaccia di disfare le nostre azioni più malvagie. E poi, il peggiore di tutti: l’amore che rifiuta di arrendersi con noi*».
Stavolta, il silenzio durò parecchio più a lungo: Emma era troppo impegnata a combattere pensieri dolorosi per riuscire ad aprire bocca. Si rifiutò di lasciare che la sua memoria venisse invasa dai ricordi di tutto ciò che si era lasciata indietro, a Storybrooke, quando aveva accolto l’Oscurità in sé. Non era ancora pronta a pensare a tutto quello che aveva perso in quell’istante. Si sfregò rapidamente gli occhi, per asciugarsi le lacrime prima ancora che cadessero, e pensò disperatamente a qualcosa da dire che la distraesse. Allora ripercorse rapidamente la strabiliante conversazione che lei e il suo mentore avevano appena avuto: c’erano parecchie cose che non le erano ancora chiare.
«Hai detto che in tutti questi secoli l’Oscuro ha aspettato che io accogliessi in me il suo potere. Perché?» chiese, abbastanza fiera di come fosse riuscita a mantenere ferma la sua voce.
«Vedi, Emma, molte persone sono sorte dalla Volta dell’Oscuro prima di te… alcuni di loro erano dotati di poteri magici anche prima di quel momento, molti sono diventati Oscuri per proteggere o salvare qualcuno a loro caro, pochi sapevano a cosa stavano effettivamente andando incontro. Ma nessuno di loro ha mai soddisfatto tutte e tre queste caratteristiche contemporaneamente…».
«E perché queste tre caratteristiche sarebbero così importanti?» domandò Emma, e al diavolo il proposito di non far tremare la voce: più quella conversazione proseguiva, più la  pelle d’oca si trasformava in brividi veri e propri.
«Perché esse fanno di te l’esatto opposto del primo Oscuro… e l’incantesimo che Merlino lanciò su Excalibur era costruito in modo che solo una persona del genere potesse romperlo». Rumplestiltskin la guardò intensamente. «Emma, tu possiedi poteri magici da molto prima di diventare l’Oscuro, hai preso su di te il fardello che Regina stava per accogliere per proteggere lei e tutti i tuoi cari da quello che lei sarebbe potuta diventare se avesse ricevuto questo enorme potere… e soprattutto, lo hai fatto in piena coscienza di quello che avresti dovuto passare compiendo un simile sacrificio. Questo fa di te la Salvatrice. Questo fa di te l’unica persona in grado di sciogliere per sempre l’Oscuro dalla schiavitù del pugnale!».
Emma si sedette su un vecchio tronco divelto. Per quanto non potesse provare stanchezza né sonno, una conversazione pesante come quella stava iniziando ad affaticarla, e non poco. «Mi stai dicendo» cominciò, senza nemmeno sapere bene cosa avrebbe detto. «… mi stai dicendo che la profezia su di me che tu – che Rumplestiltskin ha riferito ai miei genitori prima della mia nascita si riferiva a questo? Al fatto che io avrei lasciato che l’Oscurità si scatenasse libera nei reami, senza nessuno a poterla controllare o dirigere?».
«Rumplestiltskin disse ai tuoi genitori che tu avresti spezzato la maledizione oscura, e che poi la battaglia finale avrebbe avuto inizio. Non parlava di un tuo scontro con Regina, o con Cora, o con uno qualunque dei cattivi che hai dovuto fronteggiare da quando sei arrivata a Storybrooke. Alla fine, lo hai visto anche tu, non erano altro che persone come te, solo che avevano compiuto parecchie scelte sbagliate nella loro vita. No, la battaglia di cui parlava la profezia…».
«… è l’eterna battaglia tra il Bene e il Male» mormorò Emma, in un lampo di dolorosa comprensione.
«Proprio così» annuì la creatura, stranamente laconica.
Emma chiuse gli occhi per un istante, e prese un bel respiro. «Non intendo farlo».
«Chiedo scusa?».
«Mi hai sentito, Oscuro. Non ho la minima intenzione di liberarti… di liberarci dall’influenza di quel pugnale maledetto. È molto meglio essere schiava di qualcuno, piuttosto che rischiare di scatenare le forze più nere su dei poveri innocenti indifesi» affermò Emma.
Il folletto ridacchiò malignamente. «Oh, come sei nobile, signorina Swan. La vera erede dei tuoi eroici genitori, la degna madre del Vero Credente… scommetto che non vedi l’ora di mostrare loro quanto sei disposta al sacrificio! Così magari si convinceranno tutti del fatto che sei veramente una di loro, una dei Buoni!».
«Smettila» sibilò Emma, alzandosi di scatto. «Farò quello che devo fare perché devo farlo, non perché ho qualcosa da dimostrare».
«Sei piuttosto arrogante, carina. Suppongo sia una cosa tipica di voi principianti. Lascia solo che ti dica una cosa, figliola» e l’Oscuro si avvicinò a Emma ad una velocità disumana. La sua voce, di solito così garrula e cantilenante, divenne un sussurro basso e terrificante. «Tu non sai niente di quello che significa essere schiavi. Niente. E non appena avrai modo di provare quella sensazione… fidati, farai di tutto per liberartene».
«Staremo a vedere» lo sfidò Emma, riprendendo a camminare.
«Inoltre» continuò la creatura, imperterrita, ignorando l’interruzione e tornando a toni che le erano evidentemente più congeniali. «La tua famiglia farà di tutto per liberarti dall’Oscurità, mia cara… glielo hai chiesto tu stessa. E l’unico modo per riuscirci senza ucciderti è proprio fare ciò che tu non sembri ancora disposta a fare: scioglierti dai vincoli del pugnale. Quanto tempo pensi che ci metteranno per trovare Merlino e scoprirlo?».
Emma si fermò a metà di un passo, per l’ennesima volta quella notte. «Pensavo mi avessi detto che Merlino era stato ucciso dal primo Oscuro» disse, cautamente.
«L’ho detto? No, non l’ho detto» ridacchiò l’essere. «Ho solo detto che il primo Oscuro lo aveva sconfitto e reso inoffensivo». La guardò di nuovo come se stesse spiegando l’ovvio e lei fosse troppo stupida per capirlo. «Il tizio è intrappolato in un albero» disse infine.
Questa sì che era nuova. «Merlino è una specie di Nonna Salice?».
«Direi più che altro che Merlino è una specie di Bis-bis-bis-bis-bis Nonno Quercia, carina».
«E non è neanchela cosa più strana che mi sia mai capitata di incontrare… ad ogni modo, non è importante» aggiunse, scuotendo la testa per schiarirsi le idee. «La mia famiglia non è nemmeno nella Foresta Incantata, adesso. E se dovessero veramente arrivare e trovarmi, e parlare con chissà quale bizzarro albero incantato per sapere cosa fare… beh, non ho intenzione di permettere loro di salvarmi. Non se il prezzo da pagare è liberare l’Oscuro dalle sue catene» affermò, quasi sfidando la creatura a metterla alla prova.
«Mi stai dicendo che non intendi lasciare che il Bene e il Male si scontrino una volta per tutte? Anche se c’è la possibilità di sconfiggere il Male per sempre?».
«Ti sto dicendo» rispose Emma «che non sono disposta a correre il rischio».
«La tua famiglia lo sarà… lo è».
«E allora dovrò fare in modo che non lo sia più!» sbottò Emma, riprendendo a camminare furiosamente. «Farò in modo che mi temano, che mi disprezzino, se necessario, così non vorranno più che io torni da loro. Ho rinunciato a loro nell’istante in cui mi sono accollata questo fardello, ed ero ben consapevole di cosa stavo facendo, lo hai detto anche tu. Probabilmente non li rivedrò mai più, e se accadrà, non permetterò ai miei sentimenti di ostacolarmi… Dici di conoscere tutto di me: allora saprai bene che sono veramente brava a lasciare che le persone non mi entrino nel cuore. Mia madre diceva che ci avevo costruito dei muri attorno – e aveva ragione. Ora che sono l’Oscuro, probabilmente sarà anche più facile tirarli di nuovo su. E adesso, basta parlare. Andiamo».
Rumplestiltskin trotterellò allegramente al suo fianco, con uno sguardo più che condiscendente: era evidente che trovava il piano di Emma stupido, ma a lei stava bene così. Il folletto aveva pure accesso alla sua mente, ma se lei si sforzava di non pensare a cosa aveva davvero progettato di fare, forse sarebbe riuscita a distrarlo abbastanza a lungo da permetterle di mettere in atto il suo vero piano. Forse. Ma questo era decisamente un rischio che era disposta a correre.
«E dimmi un po’, carina» cominciò l’Oscuro, con voce flautata «se non vuoi essere liberata dalle tue catene, se non vuoi sguinzagliare l’Oscurità sui reami… dov’è che staremmo andando?».
Ecco che inizia il bluff, carino. «A trovare il dannato Merlino. Devo assicurarmi che la sua strada non si incroci mai con quella delle persone che amo… che amavo».
«Potrebbe rivelarsi più difficile del previsto» commentò l’essere, strofinandosi distrattamente le unghie mostruose sulla falda della giacca di pelle che indossava.
«Non lo è sempre?» domandò Emma, alzando gli occhi al cielo.
La creatura ridacchiò. «Giusta osservazione, signorina Swan. Ma quello che intendevo dire io, è che potresti trovare in Merlino uno spirito più che concorde al tuo… e alla fine, questo potrebbe ritorcersi contro il tuo piano geniale».
«Tu credi?».
«Oh sì, lo credo eccome. Le vostre storie hanno delle sorprendenti… affinità». Il folletto sembrava godere nel vedere come le sue parole sapevano stuzzicare la curiosità di Emma, per quanto lei cercasse di mascherarla. «Vedi, anche il tuo amico Merlino era tragicamente determinato a compiere la scelta giusta, la più difficile ma anche la più nobile… eppure, com’è evidente, ha fallito. Non è riuscito a sconfiggere davvero l’Oscuro, non è stato in grado di trafiggerne il cuore nero e porre fine a questa storia prima ancora che la prima pagina fosse stata scritta. E lo sai perché?». Emma scosse lentamente la testa. «Perché lui… la amava! Nimue, il primo Oscuro, colei che ci ha permesso di sorgere, era la donna che Merlino amava, quella per la quale sarebbe stato disposto a rinunciare anche ai suoi immensi poteri e alla sua immortalità!».
A Emma girava la testa. La teatralità della creatura, che continuava a girarle intorno gesticolando come un prestigiatore, unita alle sconcertati rivelazioni delle quali la stava rendendo partecipe, era decisamente qualcosa di troppo grande perché lei ne uscisse indenne. Si appoggiò ad un tronco per evitare di cadere. Era stato per amore che Merlino non era riuscito a portare a termine il suo compito, tutti quei secoli prima? L’amore era davvero una debolezza, come Cora le aveva detto una vita fa? E come poteva sperare, lei, di riuscire a sconfiggere l’Oscurità o anche solo a contenerla per sempre, se era proprio l’amore a muoverla? Le era sempre sembrata una missione quasi impossibile, ma aveva creduto di avere le motivazioni giuste. Ma come si sarebbero messe le cose, se fosse venuto fuori che le sue giuste motivazioni erano le stesse che avevano impedito al più grande stregone di tutti i tempi di concludere la partita?
«Non riempirti di pensieri così oscuri, carina… o persino a me verrà paura del buio» le disse l’Oscurità, con un sorriso maligno e compiaciuto.
Un sorriso fin troppo compiaciuto. A Emma scattò un qualche meccanismo in testa. «Tu… tu stai cercando di confondermi!» lo accusò, infuriandosi. «Stai cercando di farmi perdere fiducia nel fatto che posso riuscirci! Che posso davvero controllare tutto questo e resistere alla tentazione di liberarmi di un fardello del genere! Tu vuoi ostacolarmi!».
«Io? Che bisogno ho di ostacolarti, quando ci riuscirai perfettamente anche da sola?» le chiese la creatura, beffarda.
«Che vuoi dire?» domandò Emma, improvvisamente più cauta. Non le piaceva vedere l’Oscuro gongolare così platealmente.
«Guardati intorno, cara… riesci a capire dove ti trovi?».
Emma si guardò intorno, e un rivolo ghiacciato le percorse la spina dorsale. «Siamo già passati di qui, oggi pomeriggio. Mi hai fatto girare in tondo! Perché?».
«Oh, avevo bisogno di rallentarti… e tu eri troppo occupata ad ascoltare la mia bella storia per renderti conto del fatto che non siamo a più di qualche miglio dalla Volta, e che non ce ne siamo mai realmente allontanati. Vedi, Emma, il fatto è che sono curioso di vedere come se la cavano i tuoi muri, quando vengono… beh, presi d’assedio!».
«No…» mormorò Emma, tendendo le orecchie e aguzzando la vista nell’oscurità che si andava dissolvendo, via via che l’alba si avvicinava.
«Pronta per una bella riunione di famiglia, tesoro?» le sussurrò il folletto in un orecchio, proprio mentre un forte scalpiccio alle sue spalle la portava a voltarsi di scatto. Qualcuno si stava avvicinando alla piccola radura in cui Rumplestiltskin la aveva trascinata con l’inganno.
E poi delle voci, delle voci meravigliosamente e dolorosamente famigliari esplosero nella notte morente.
«Emma!».

 


 
··· Angolo Autore ···
*riemerge dal nulla in perfetto stile Mushu* SOOONO VIIIIIVA!
:°°°D
Scusate, la tentazione di fare l'idiota è sempre irresistibile per me :p
Dunque, nonostante gli esami, la laurea del mio ragazzo, il mio spettacolo imminente e la febbre si siano messi di mezzo, finalmente riesco ad aggiornare la mia piccola storia. Come avrete notato se avete già visto la quinta stagione, parecchie delle cose che rivelo in questo capitolo (Merlino intrappolato in un albero, il pugnale che era la punta di Excalibur, gli Oscuri che hanno sempre voluto liberarsi del pugnale, la storia di Nimue eccetera) non sono farina del mio sacco. Ve l'avevo detto, a me la quinta stagione non stava nemmeno dispiacendo, anzi, avevano avuto delle idee pazzescamente belle! È solo che non sono d'accordo con come le hanno sviluppate, perciò, eccovi la mia personalissima versione :D
Anche il sogno di Snow nel capitolo precedente, ovviamente, altro non era che il promo della quinta stagione uscito quest'estate; e la frase che ho segnato con l'asterisco viene effettivamente pronunciata da Rumple nella 5x02 (è una citazione magnifica, non potevo non inserirla <3).
Veniamo a noi: finalmente Emma ne sa di più sul suo destino di Salvatrice... o è solo l'Oscuro che la manipola? E il piano di Emma, qual è? L'Oscuro ha detto tutta la verità su quello che li aspetta? E adesso che (finalmente uhuh) Emma è stata trovata, riuscirà a rimanere risoluta sulla sua volontà di sacrificarsi?
Lo scopriremo nelle prossime puntate :D
Il prossimo "episodio" si intitola Hoping for the best, expecting the worst, e la protagonista è la mia adorata Regina *-* spero di avervi incuriosito! Un abbraccio a tutti i lettori silenziosi, e soprattutto a quelli che lasciano una piccola recensione *-*
 -R

Disclaimer: tutti i personaggi, meno eventuali OC, appartengono ai creatori della serie TV. Se fossero miei, probabilmente sarebbero tutti felici e contenti, e io sarei ricca sfondata. Vista l'infelicità che aleggia su Storybrooke e nel mio portafogli, direi che sappiamo tutti qual è l'amara verità.

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Capitolo 7
*** 5x06 Ϟ Hoping for the best, expecting the worst ***



 

5x06 Ϟ Hoping for the best, expecting the worst

 
 
 
 
 
Qualcuno venne a scuoterla dal suo sonno quando mancavano poche ore dal tramonto. Regina mugolò qualcosa di indistinto, voltandosi di fianco e nascondendo il volto nell’incavo del collo di Robin, placidamente addormentato accanto a lei. Era sicura che fino a pochi istanti prima stesse sognando qualcosa di bello: non aveva molta voglia di rinunciare al tepore di Robin, né ai bei sogni… erano stati eventi fin troppo rari, nella sua vita, e aveva intenzione di tenerseli ben stretti finché poteva, grazie tante. Ma evidentemente la persona intenzionata a svegliarla non era disposta a concederle nemmeno quei piccoli istanti di felicità, dato che continuava a scuoterle il braccio, sempre più forte. Regina non ebbe nemmeno bisogno di aprire gli occhi per capire di chi si trattava: la ragazza drago era rude nei gesti quanto nelle parole.
«È il tuo turno, Maestà» mormorò Lilith, sbrigativa, e non appena si accorse che la regina aveva aperto gli occhi si alzò bruscamente e si diresse subito al suo giaciglio – il più discosto dalle braci morenti, ovviamente. Era palese che la ragazza non avesse bisogno del calore, né di quello del fuoco né di quello delle persone. «Svegliaci al calare del sole… e non addormentarti mentre sei di guardia». Era evidente dal suo tono che non aveva dimenticato il loro battibecco di qualche ora prima.
Regina non aveva nemmeno finito di tirarsi a sedere, che già sentiva il bisogno di alzare gli occhi al cielo. Lilith era disgraziatamente utile, era la figlia di una delle sue più care amiche, e probabilmente sapeva sputare fuoco: se lo disse più volte tra sé e sé, per combattere l’impulso fastidioso di colpirla in qualche modo.
Rabbrividendo, la regina si avvicinò al fuoco che aveva acceso quando si erano accampati, e con un semplice guizzo della mano lo ravvivò perché la riscaldasse. Guardò i suoi compagni di viaggio, accoccolati sul terreno coperto di foglie secche. Robin, con i suoi vecchi vestiti da fuorilegge, si confondeva quasi con il cespuglio accanto al quale si era addormentato, quando aveva finito il suo turno di guardia e la aveva raggiunta nel suo cantuccio. Uncino ronfava sommessamente, appoggiato a un vecchio tronco, ma Regina non si lasciò ingannare dalle apparenze: sapeva che il pirata aveva volontariamente scelto una posizione scomoda, in modo che il suo sonno fosse leggero e che potesse reagire repentinamente a qualunque pericolo. Centinaia di anni passati a combinare chissà quali disastri in giro per tutti i reami ti rendono prudente, pensò Regina. O paranoico. Quale delle due fosse la risposta corretta, lei non poteva negare di sentirsi più tranquilla sapendo che il suo Henry dormiva a pochi metri dall’unico del gruppo che probabilmente dormiva con un’arma a portata di mano. Di sicuro Azzurro e Biancaneve ci avrebbero messo diversi secondi in più a tirarsi in piedi in caso di emergenza, visto che dormivano così abbracciati che era difficile stabilire dove finisse uno e iniziasse l’altra. Ma non poteva biasimarli poi così tanto: se la situazione era difficile per lei e insostenibile per Killian ed Henry, non poteva nemmeno immaginare cosa stessero passando due genitori che avevano dovuto lasciare indietro il loro bambino di nemmeno un anno, per gettarsi in una missione quasi disperata per salvare la loro figlia maggiore, immolatasi per salvare dall’Oscurità proprio la Regina Cattiva che per decenni li aveva tenuti separati. Nessuna sorpresa se quei due avevano letteralmente bisogno di aggrapparsi l’uno all’altra per riuscire a mettere insieme qualche ora di sonno.
Sospirando, Regina si accoccolò su un grande masso coperto di muschio a pochi passi dagli Azzurri e tese le orecchie per ascoltare i rumori della foresta, che ormai si preparava ad andare a dormire mentre il sole si avvicinava sempre di più all’orizzonte. Aveva proposto di far apparire qualche tenda, dei materassi, un paio di coperte, ma né Robin né Neve erano stati d’accordo con lei: a detta loro, era meglio non circondarsi di troppi oggetti e comodità – sarebbero stati un bel problema, in caso avessero dovuto combattere o fuggire improvvisamente dal loro accampamento. Se aveva pensato che un’idea simile fosse di una cautela eccessiva, prima, adesso le sembrava decisamente una totale assurdità: quell’angolo di bosco ai confini di Camelot era così tranquillo e idillico che le preoccupazioni di Mary Margaret apparivano superflue. Un ruscello poco distante mormorava la sua liquida canzone, qualche uccello notturno iniziava a borbottare, e gli episodici fruscii provenienti dalle fronde degli alberi intorno a loro erano quasi certamente da imputare a nulla di più temibile di una coppia di scoiattoli. Probabilmente, le creature più pericolose nel giro di qualche miglio erano proprio lei e Lilith, pensò. A meno che la signorina Swan e il suo potere oscuro nuovo di zecca non fossero appollaiati su un albero a fissarli da ore. Sembrava proprio una cosa che Emma avrebbe fatto: guardarli dall’alto, controllare che stessero bene, che non si andassero a ficcare in qualche guaio. Sentire la loro mancanza da lontano, senza riuscire a trovare la forza di avvicinarsi per lasciarsi abbracciare e perdonare – anche se Regina aveva anche parecchia voglia di darle della stupida per quello che aveva fatto per lei. Un modo come un altro per dirle grazie.
Si alzò di scatto in piedi, cercando di distrarsi da quei pensieri. Facendo il minimo rumore possibile, si accoccolò vicino ad Henry e lo avvolse più stretto nel mantello che gli aveva fatto apparire sulle spalle quando era arrivata l’ora di coricarsi. Gli spostò i capelli sottili dalla fronte, sorridendo. Il suo piccolo ometto stava diventando grande, pensò con una stretta allo stomaco: non molto tempo prima, erano dovuti andare tutti a salvarlo dalle grinfie di quel ragazzino indisponente che voleva giocare a fare Dio su quell’Isola maledetta… e adesso eccoli lì, nel regno al quale anche lui in fondo apparteneva, pronti anche a gettarsi da una rupe per la donna che un tempo Regina aveva cercato disperatamente di far sparire dalla vita di suo figlio. Sorrise tra sé e sé, pensando che poteva misurare la sua stessa crescita semplicemente riflettendosi negli occhi del suo bambino.
«Che diavolo hai combinato, Emma?» mormorò, con un piccolo sorriso e una scrollata di spalle, allontanandosi da Henry per dare un’occhiata al perimetro della radura.
«A dirla tutta, io sto cercando di non pensarci» le rispose una voce roca alle sue spalle, facendola sussultare.
«Uncino… non mi ero accorta che fossi sveglio» mormorò Regina, voltandosi a fronteggiare il pirata. Le bastò meno di un’occhiata per notare i cerchi scuri intorno agli occhi arrossati del capitano, la tonalità quasi grigiastra della sua pelle, le piccole rughe che gli increspavano la fronte. «O che non stessi dormendo affatto, ora che ti guardo meglio».
«Sei sempre stata una sovrana a cui non sfugge nulla, eh?» ribatté il pirata, lanciandole uno dei suoi sguardi insolenti mentre si metteva a sedere diritto.
«O forse, tu sei sempre stato un pirata incapace di nascondere a dovere il proprio stato d’animo, Jones, che dici?» lo stuzzicò Regina, accomodandosi accanto a lui. Nonostante lo sguardo ancora febbricitante del pirata avrebbe probabilmente fatto tremare le ginocchia a più di un avversario, lei non aveva la minima intenzione di lasciarsi impressionare come le era accaduto solo qualche ora prima a Storybrooke: si era ripromessa di tenere Killian al sicuro dai suoi stessi demoni, e aveva pianificato di riuscirci. Regina aveva deciso di prendere parecchio sul serio la faccenda della speranza, e si rifiutava di pensare che la loro Operazione sarebbe andata incontro al fallimento – perciò, mantenere quell’irritante pirata in salute e in vita era alquanto importante. Non avrebbe dimenticato facilmente l’espressione spezzata che Emma aveva avuto dipinta in volto, dopo la morte di Killian in quel maledetto universo alternativo: e non aveva alcuna intenzione di vederla di nuovo, quando la avrebbero incontrata.
Killian parve trattenere a stento un mezzo sorriso. «Adoro confrontare la mia mente con un avversario che sia anche solo vagamente alla mia altezza… sai, Maestà, nemmeno il nostro amato principe ha la risposta pronta quanto te».
«Sì, lo aveva notato anche la cara Crudelia… pensi che sia una ragione sufficiente perché io reclami di nuovo il trono, così da imporre a tutti la mia incredibile arguzia?».
«Oh, se dipendesse da me la scelta, direi assolutamente di sì. Goccetto, Maestà? Ah no, che sciocco» si rispose da solo, con un ghigno di scherno. «Vostra Grazia non beve rum, me lo ricordo».
«Beh, è sempre bello scoprire di aver lasciato il segno» commentò Regina, caustica, cercando una posizione comoda per la sua schiena contro quel tronco nodoso.
Uncino sbuffò, e mandò giù un sorso dalla sua inseparabile fiaschetta. «E quale sarebbe, questo stato d’animo che sono così poco abile a nascondere?» chiese, piantando i suoi occhi azzurri in quelli di Regina, come a sfidarla a non distogliere lo sguardo.
Lei rimase piuttosto soddisfatta dell’imperturbabilità che riuscì ad ostentare. Inarcò un sopracciglio e lo scrutò attentamente. «Intendi oltre al dolore e alla disperazione che evidentemente ti stanno mangiando da dentro, capitano?» domandò, cercando di non canzonarlo troppo – era pur sempre Killian Jones che la stava interpellando, e lei non alcuna voglia di tirare eccessivamente la corda. «Se i miei occhi non mi ingannano, direi che c’è anche qualcos’altro, sì. Tu ti senti tradito, Uncino» gli disse, ammorbidendo il tono e lo sguardo. «Sai che è una cosa orribile da pensare, visto quanto è stata nobile Emma nel sacrificarsi, ma proprio non riesci a trattenerti: tu la hai implorata di non farlo, ma lei lo ha fatto lo stesso, ti ha lasciato indietro e ora l’Oscurità ti ha portato via l’amore… una seconda volta» aggiunse, quasi sussurrando.
La mano buona del pirata si strinse spasmodicamente sull’impugnatura del pugnale dell’Oscuro, dal quale non si era allontanato nemmeno per un istante. «Chi l’avrebbe mai detto» disse dopo lunghi istanti di silenzio, fissando le fiamme con un’intensità quasi dolorosa. «La Regina Cattiva ha un’insospettabile capacità di leggere le persone! E io che pensavo di essere misterioso e indecifrabile…».
«Se ti dovesse interessare il mio segreto, è decisamente lo strappare i cuori alle persone e tenerli stretti in mano. Ma non essere troppo duro con te stesso, Jones» aggiunse Regina, incoraggiata dal sorriso più disteso che ora ravvivava il viso dell’uomo seduto accanto a lei. «Sei riuscito a fregarmi più di una volta, ricordi? Le tue doti di bugiardo e traditore hanno sempre funzionato alla grande. È solo che… beh, evidentemente Emma non è la sola ad aver tirato giù i suoi muri, da quando vi siete incontrati» gli disse con un sorriso.
«Si direbbe che un uomo della mia età sia diventato anche saggio, con il passare dei secoli… e invece cado e ricado sempre negli stessi maledetti schemi» borbottò il pirata, di nuovo incupito. Soppesò quasi distrattamente la sua fiaschetta, prima di trarne un altro sorso. «Incontro una donna straordinaria, mi innamoro come una ragazzina, combino un sacco di casini per tenerla con me, e alla fine succede un casino ancora più grande, perdo tutto quello che ho e mi ritrovo solo, con il cuore a pezzi, un disperato bisogno di bere e una missione suicida nella quale vado a caccia del dannato Oscuro. Se non altro, stavolta il pugnale ce l’ho già… cin cin» aggiunse in tono funereo, levando la fiaschetta al cielo con un sorriso amaro.
Regina scosse piano la testa. Capitan Eyeliner aveva decisamente una propensione al melodramma. «Andrà tutto bene, alla fine, lo sai vero? Tutte le disavventure che sono capitate a quei due irritanti Azzurri, prima che potessero stare insieme davvero, sono una prova più che sufficiente, se vuoi saperlo» gli disse, cercando di incoraggiare il pirata e se stessa ad un tempo. Difficile dire quale dei due compiti fosse più impegnativo.
«Perdonami, Maestà, ma trovo davvero difficile crederlo» ribatté Uncino, con una risata amara. Evidentemente, la parte facile del suo compito era incoraggiare se stessa, pensò Regina. Era o non era una donna fortunata? «C’è una differenza abbastanza solare tra me e David… oltre al gusto nel vestire, intendo» continuò il pirata, con un breve cenno del capo verso i genitori di Emma. «Lui è un eroe. Lui è il maledetto Principe Azzurro, innamorato di Biancaneve, con la sua armatura scintillante, il coraggio, lo spirito di sacrificio e tutto il resto. Io invece… io sono un pirata. Sono stato un pirata per secoli, ho saccheggiato, devastato, ucciso. Non sarò stato il cattivo sull’Isola Che Non C’è, ma lo sono stato in molti, molti altri reami – e i cattivi non ottengono un lieto fine, Regina, me lo hai detto proprio tu, a bordo della mia nave. E nell’istante in cui ho capito che la vendetta non era tutto, che potevo tornare ad avere una ragione per cercare di essere migliore, che il mio cuore dopotutto poteva guarire… nell’istante in cui Emma è diventata il mio lieto fine, io l’ho condannata, Regina. Se lei è adesso è perduta, la colpa è solo mia».
«Beh… Wow» commentò Regina, alquanto divertita. «Questa è la cosa più egocentrica che io abbia mai sentito… e mia madre mi ha fatta battezzare con un titolo nobiliare al posto del nome».
«Prego?». Il capitano sembrava abbastanza sconcertato dalla sua reazione, ma Regina era più che sicura che fosse giunto il momento di una bella lavata di capo.
«Sei serio? Pensi davvero che Emma sia diventata l’Oscuro per causa tua? Ok, nemmeno dopo secoli passati a tenere in mano i cuori delle persone avrei potuto immaginare che tu stessi pensando questo… che tu ti sentissi in colpa! È ridicolo, Jones, persino per uno convinto che il mondo stia appeso a quel pezzo di ferro che hai al posto della mano. Emma sarà anche il tuo lieto fine, pirata» aggiunse, più dolcemente. «Ma lei è parte integrante del lieto fine di molte, molte altre persone. Credi davvero che le regole del libro possano mai stabilire che Henry perda una delle sue madri a causa dell’Oscurità? O che Neve e Azzurro siano costretti a guardare mentre la loro prima figlia si trasforma in un mostro? Emma tornerà a essere l’irritante Salvatrice, Killian, non preoccuparti di questo. Questa situazione fastidiosamente complicata si risolverà, prima o poi, gli scintillanti eroi avranno il loro zuccheroso lieto fine… e se noi due avremo lavorato abbastanza duro da meritarcelo, saremo con loro. Felici e contenti».
«Siamo sicuri che non ci sia un inquietante mix di Mammolo e Gongolo, nascosto dentro la cosiddetta Regina Cattiva?» domandò Killian dopo un silenzio attonito, cercando di nasconderle quanto le sue parole lo avessero toccato con un po’ del suo sano, vecchio sarcasmo.
«Bada a come parli, capitano» ridacchiò Regina, dandogli una leggera spallata. «Non mi sono mai piaciuti quegli gnomi da giard-».
La risata di Regina fu interrotta sul nascere dall’urlo di Biancaneve. «Emma… no! Noooo!».
In meno di un secondo, tutto l’accampamento era ben sveglio, in piedi, e in allerta.
«Cosa succede?» chiese Robin, con la voce ancora impastata dal sonno.
«Nonna… stai bene?» domandò Henry, dopo che una rapida occhiata in giro gli aveva mostrato che non c’erano pericoli in vista.
Mary Margaret e David erano gli unici ancora accovacciati per terra. Lei aveva il respiro rotto dai singhiozzi e il viso inondato di lacrime. Lui la stringeva dolcemente a sé, accarezzandole piano la schiena. E quando Biancaneve parlò, Regina sentì che le si stringeva il cuore: le sembrava di avere di nuovo davanti la bambina spaventata che di notte correva nella stanza del suo papà a cercare conforto, quando un brutto sogno la svegliava. «Non è niente, piccolo… solo un brutto sogno. Mi... mi dispiace, ho svegliato tutti…».
«Non è un problema» mormorò David, continuando a cullarla.
«Va tutto bene» le disse Regina, chinandosi a stringerle una mano. «Va tutto bene».
Gli sguardi delle due donne si incontrarono, e Regina cercò di trasmettere a Biancaneve un po’ di quella speranza che proprio lei le aveva insegnato come trovare, anche nei momenti più bui e disperati. Neve sembrò tranquillizzarsi un po’.
«È quasi il tramonto» mormorò Lily, e Regina si girò lentamente a guardarla: la mancanza di una nota caustica nelle sue parole la aveva quasi scioccata. Effettivamente, la ragazza drago sembrava troppo impegnata a scrutare la sofferenza sul viso di Biancaneve per impegnarsi a infondere la sua solita durezza in tutto quello che faceva. «Sarà meglio che ci incamminiamo» aggiunse, a voce più alta.
Mary Margaret rabbrividì e prese un lungo respiro, come a volersi fare forza. Poi si sciolse dolcemente dall’abbraccio del marito. «Sì, è ora di andare. Voi incamminatevi, io… resto un secondo indietro a spegnere il fuoco».
Prima ancora che qualcuno potesse protestare, Regina intervenne. «Resto io con lei. Vi raggiungiamo subito». Il Principe Azzurro la ringraziò con lo sguardo e un piccolo cenno del capo. Regina si disse che nonostante fosse Killian a fingere di dormire, era David quello che appariva più stanco. Di certo non aveva tutte quelle rughe, né quell’espressione corrucciata, quando erano ancora nel Maine.
Regina rivolse una finta occhiataccia a Robin, che si era attardato alla retroguardia del gruppetto e per voltarsi a guardarle, evidentemente preoccupato di lasciarle indietro. Vai, articolò la regina senza parlare, sorridendo nel modo più rassicurante che conosceva. Dopotutto, se qualcuno o qualcosa avesse cercato di attaccare lei e Biancaneve, erano armate. Neve non aveva perso affatto la mano con l’arco e le frecce, ed era stata sempre una discreta spadaccina… e quanto a Regina, non era abituata a fuggire davanti al pericolo, perché di solito il pericolo era lei. Sì, erano decisamente in grado di cavarsela.
Regina aspettò che i rumori di cinque paia di piedi intenti a farsi strada nel sottobosco si spegnessero in lontananza, poi si girò ad osservare Mary Margaret, che intanto si era seduta sul masso vicino al fuoco. I corti capelli neri della donna erano appena scompigliati dalla brezza della sera, mentre lei si stringeva le braccia intorno al petto e guardava ostentatamente ovunque, tranne che negli occhi della sua interlocutrice.
«Ti va di raccontarmi cosa hai sognato, Neve?» le domandò Regina, con molti ricordi degli anni infelici passati a Palazzo che le turbinavano nella mente. Quella era la domanda che il re rivolgeva a sua figlia, molti anni addietro, quando Regina era costretta a fingere di voler bene a quella ragazzina che le aveva rovinato la vita. Si era detta tante volte che avrebbe dovuto cercare di conoscere la giovane principessa, perché probabilmente solo attraverso di lei sarebbe riuscita ad instaurare un qualche legame con suo marito e forse a sentirsi un po’ meno sola in quelle sale così lussuose e così opprimenti. Ma ogni volta che si era sforzata di provare, non ci era riuscita: Biancaneve le ricordava troppo tutta la gioia e l’amore che lei sapeva di meritare per se stessa, e che aveva perso per sempre. Così, aveva trascorso molti anni a evitare i contatti non necessari con la sua figliastra, e non aveva permesso al suo cuore di provare il benché minimo affetto per una ragazza che, dopotutto, era una perfetta sconosciuta per lei.
Adesso, Regina se ne pentiva. Si pentiva di tutto, ovviamente, dalla prima maledizione che aveva lanciato a tutte le cose orribili che aveva fatto prima e dopo di essa. Non passava giorno senza che qualcosa le facesse venire in mente il suo passato, ed essere tornata nella Foresta Incantata non faceva che acuire quei ricordi dolorosi. Ma in quel momento, Regina si pentiva prima di tutto di non aver mai cercato una connessione con Biancaneve, quando entrambe erano più giovani. I legami che avevano stretto a Storybrooke erano sicuramente qualcosa che nessuno avrebbe potuto mai immaginare, un tempo, ma erano arrivati troppo tardi, forse, o forse erano semplicemente ancora troppo deboli, perché Regina in quel momento stava guardando la persona che conosceva da più tempo mentre cadeva quasi in pezzi davanti a lei, e non sapeva cosa dirle. Non sapeva come consolarla. Né come dirle che si sentiva malissimo, per la sofferenza che aveva causato a quella madre, tanti anni prima… e anche perché in un certo senso il motivo per cui Biancaneve aveva perso nuovamente sua figlia era proprio lei, ancora una volta. Forse non era solo Killian ad avere un problema con i sensi di colpa, pensò distrattamente.
Dopo lunghi istanti di silenzio, Neve parlò. «Era Emma» disse, in un sussurro, sempre senza guardarla. «Era nella cella dove io e David rinchiudemmo Rumplestiltskin tanti anni fa, ed era… strana. La sua pelle… la sua voce… era l’Oscuro, Regina. Sentivo il suo potere, era come un’elettricità che crepitava nell’aria… e i suoi occhi…» rabbrividì, e la sua voce sembrò quasi spezzarsi sotto il peso delle parole che stava pronunciando. «Era come un animale ferito, in gabbia. E m-mi guardava come se a metterla in quella gabbia fossi stata io, Regina! Mi odiava per quello che le avevo fatto, per non essermi fidata di lei, per non aver lasciato che si costruisse da sola il suo destino prima che nascesse… per averla abbandonata ancora, e ancora, e ancora!».
«Ehi, ehi, ehi» mormorò Regina, avvicinandosi istintivamente ed abbracciandola come aveva fatto tante volte con Henry, quando era più piccolo. «Shhhh, era solo un sogno. Solo un brutto sogno, Mary Margaret, lo sai no?» le chiese, cullandola. Era quasi stupita di quanto tutto questo le venisse naturale.
«Sì, lo so che era un sogno» rispose la donna, con una vocina piccola piccola. «Ma è stato così reale da sembrarmi quasi una premonizione, Regina. Io sono ottimista, lo sono sempre stata, e da quando siamo tornati qui è come se la vecchia me fosse tornata al comando, forte e determinata e tutto il resto… ma non appena sono riuscita ad addormentarmi, stanotte, è stato come… come se tutta la luce mi fosse stata portata via, in un secondo. Da sveglia, non voglio neanche pensare all’ipotesi di perdere mia figlia, la mia speranza, a causa dell’Oscurità. Ma quando chiudo gli occhi…» e una nuova ondata di pianto impedì a Biancaneve di terminare la frase. Regina non allentò l’abbraccio nemmeno per un secondo.
Le due donne rimasero diversi minuti così, a dondolarsi su quello scomodo masso mentre tutte le stelle del firmamento finivano di accendersi, sopra di loro. Quando i singhiozzi di Neve si furono calmati, Regina si staccò un poco da lei e le strinse le mani sulle spalle. «Emma sta bene, Neve. Starà ancora meglio quando la avremo trovata, e non ti dico quanto tutto sarà fantastico quando avremo risolto questo casino e voi due finalmente vi sarete parlate col cuore in mano, perché sarebbe troppo persino per una persona speranzosa e ottimista come me!». Ridacchiò, e fu felice di vedere che anche a Mary Margaret sfuggiva una risatina acquosa. «Ora piantiamola con tutto questo dispendio di tempo ed energie, e andiamo a compiere la nostra missione di salvataggio, ti va? E non voglio più sentir parlare di abbandono, signora Nolan» la redarguì scherzosamente. «Siamo tutti quanti venuti a patti con le scelte terribili che la vita ci ha portato a fare, è ora che lo faccia anche tu. Non hai mai lasciato andare Emma di tua spontanea volontà, lo sai tu e lo sa benissimo anche lei. Smettila di farti rovinare la vita da queste sciocchezze». E con queste parole, Regina le tese la mano, invitandola ad alzarsi.
«Grazie, Regina» disse Biancaneve, semplicemente, e trasformò la stretta di mano in un nuovo abbraccio. Qualcosa di inaspettatamente familiare, ormai.
Senza dire altro, le due ex nemiche giurate si affrettarono a spegnere le ultime braci morenti, poi si addentrarono nella foresta seguendo le tracce che le avrebbero portate a ricongiungersi alla loro famiglia.
 
***
 
Trovarono gli altri molto prima di quanto si fossero aspettate. Una volta raggiunta la Foresta Incantata, e dunque il mondo in cui Emma effettivamente si trovava, si erano tutti detti d’accordo sul fatto che convocare l’Oscuro con il pugnale non sarebbe stata affatto una buona idea; anche se Killian era stato assai poco d’accordo, a dirla tutta. Ma alla fine Regina (e il fatto che Henry, sommo conoscitore del mondo del libro – nonché, a quanto pareva, l’unico verso il quale il pirata non avesse intenzione di manifestare istinti omicidi – le desse ragione) era riuscita a convincere anche lui: per Emma sarebbe stato più che spiacevole dover ubbidire al detentore del pugnale, senza possibilità di scelta, come una schiava impotente. Inoltre, usare il pugnale dell’Oscuro era un modo infallibile per farsi trovare da qualunque persona dotata di poteri magici che fosse in attesa del loro arrivo; e stando a quanto Robin aveva raccontato loro, più si avvicinavano a Camelot, più la segretezza e la cautela diventavano opportune.
Perciò, da quando erano atterrati nella Foresta al momento in cui avevano deciso di accamparsi, non avevano fatto altro che seguire Lily: la ragazza drago era taciturna e sembrava detestarli tutti (come darle torto, dopotutto?), ma nonostante non fosse mai stata nelle terre dalle quali lei stessa proveniva sembrava orientarsi piuttosto bene. Si muoveva nella foresta toccando la corteccia degli alberi, fermandosi a raccogliere un pugno di foglie secche per sbriciolarle nel vento, a tratti sembrava quasi fiutare la strada che dovevano percorrere. Ma non aveva esitato nemmeno un momento, nel guidarli.
Per questo sia Regina sia Mary Margaret rimasero abbastanza sorprese quando riuscirono a raggiungere il gruppo dopo nemmeno un quarto d’ora di cammino. E non appena anche loro due entrarono nel cono di luce proiettato debolmente dalla lanterna che Henry teneva in mano, compresero che c’era qualcosa che non andava. La confusione sul volto dei tre uomini era evidente, ma non quanto il tremolio delle mani di Lilith. La ragazza sembrava sconvolta, e si mostrava vulnerabile per la prima volta da quando Regina la aveva incontrata.
«Cos’è successo? David, perché vi siete fermati?» chiese Neve, stringendo la mano del marito e guardandosi intorno, confusa. Ma quando i suoi occhi si soffermarono sul terreno, la sua espressione cambiò in una di spavento. La luce proiettata dalla lanterna che Uncino aveva affidato ad Henry non era granché forte, ma anche così riusciva a illuminare abbastanza da mostrare una larga bruciatura nera, che lasciava una macchia dai bordi precisi dove un tempo doveva esserci stata dell’erba.
Regina sentì un pizzicore familiare torturarle la nuca. «Magia» mormorò, accucciandosi per esaminare il terreno da vicino. Suo figlio le si avvicinò, solerte, illuminando meglio che poteva. La sua mano sfiorò quasi timorosamente i resti carbonizzati dei fili d’erba e gli steli anneriti di qualche fiore selvatico: al solo contatto, tutto il braccio fu percorso da una scossa. Regina si ritrasse, tirandosi in piedi e mettendo istintivamente un braccio tra suo figlio e quell’inquietante bruciatura. «Decisamente, si tratta di magia… e di una potente. Qualcosa di grosso è successo in questa radura, e da poco».
David strinse più forte la mano della moglie e si girò a fronteggiare la ragazza drago. «Lo avevi capito anche tu?» le chiese, con voce gentile. Ma gli occhi del principe non nascondevano più la preoccupazione: le parole di Regina e la reazione che evidentemente la ragazza aveva mostrato non appena le tracce di Emma li avevano portati lì potevano significare una cosa sola.
Lilith annuì, senza guardare nessuno di loro: era come ipnotizzata dal terreno.
Anche Killian le rivolse la parola, e Regina fu felice di constatare che il pirata riusciva ad usare a Lily la delicatezza di non comportarsi da psicopatico: un progresso del quale era ben felice di prendersi almeno una parte del merito. «È Emma, vero?».
La ragazza annuì di nuovo.
«Cos’è successo, Lily?» chiese Biancaneve, tremante.
Probabilmente fu proprio la voce spezzata della donna che aveva condizionato la sua intera esistenza a svegliare la ragazza dalla trance in cui sembrava precipitata. Con un brivido, Lily sembrò riscuotersi e tornare al presente. Incatenò i suoi occhi a quelli di Neve, e Regina vide la leggendaria eroina irrigidirsi, in attesa di una risposta che nessuno di loro era sicuro di voler sentire. «Io… non lo so di preciso. Ma Emma è stata qui. Sento che qualcosa di molto, molto oscuro è accaduto, e sento anche qualcos’altro» e Lily chiuse gli occhi, quasi a volersi concentrare al meglio sugli odori e i rumori di quel luogo. «Orrore. Frustrazione. Pentimento. E… paura, credo» mormorò, mentre una lacrima solitaria le rigava una guancia.
Robin imprecò sottovoce, e stavolta anche Regina si unì a lui. «Dannazione».
«Perciò… è successo» sussurrò David con voce roca, ancora stringendo la mano della moglie. «Emma ha ceduto all’Oscurità».
«Io ve lo avevo detto che non c’era tempo da perdere, maledizione!» esclamò Uncino, la mano destra contratta in un pugno, gli occhi di nuovo infiammati di disperazione e dolore. Il capitano cominciò a camminare in tondo, come se le sue ampie falcate fossero l’unico modo che aveva per sfogare la sua rabbia senza fare del male a nessuno. «Voi dannati eroi avete insistito per avere il vostro sonno di bellezza, e adesso è troppo tardi! Maledizione, maledizione, maledizione!».
«Non saltiamo subito alle conseguenze peggiori, ti va, Killian?» chiese Regina, afferrandolo per il gomito quando lui le passò accanto. Avvicinò il suo viso a quello del pirata, e si accertò di avere gli occhi di lui ben fissi nei suoi prima di parlare di nuovo. «Quel che è fatto è fatto, ma qualunque cosa sia c’è ancora speranza. C’è sempre speranza, Killian, ricordi? Noi la troveremo, e la aiuteremo a rimediare a qualunque sciocchezza abbia combinato. Insieme. Non farmelo ripetere ancora una volta, capitano, comincio ad annoiarmi a doverti ricordare sempre le regole basilari del gioco».
«La mamma ha ragione» intervenne Henry in suo aiuto, per l’ennesima volta. Lei si voltò subito a guardare suo figlio, improvvisamente spaventata di quello che avrebbe potuto leggere nel suo sguardo: orrore, sfiducia, disperazione, forse anche paura nei confronti della sua stessa madre – ma avrebbe dovuto sapere che suo figlio era fatto della stessa pasta dei suoi incantevoli nonni. C’era una luce che non si spegneva mai nei suoi occhi. «Se anche mamma… beh, l’altra mamma… ha combinato qualcosa di sbagliato, non è ancora troppo tardi per salvarla, per aiutarla a redimersi. La Salvatrice non può smarrire la retta via tutto d’un tratto… la sua è solo una deviazione, e noi possiamo aiutarla a tornare sui suoi passi» affermò, e in quell’istante sembrò molto più saggio e fermo di tutti loro, adulti navigati e protagonisti di centinaia di avventure. Regina si sentì riscaldare da un’ondata di orgoglio e sorrise: l’autorevolezza che veniva dalle parole di suo figlio era tale che nemmeno Lilith, di solito così scettica – e così maledettamente pronta a sbuffare quando qualcuno pronunciava la parola con la S – aveva provato a borbottare una risposta acida delle sue.
«Sembra quasi che le tue parole possano illuminare il nostro cammino meglio di quella lanterna squinternata, figliolo» disse Robin, anche lui piuttosto fiero. Suo figlio sorrise, e Regina gli carezzò una guancia.
«Vorrei poter provare il vostro stesso ottimismo, sapete» intervenne Lily, con voce roca. «Ma se sentiste anche voi quello che Emma sente… che io sento… beh, non so se avreste ancora quei sorrisi stampati sul viso».
«Tutto questo mi sembra solo l’ennesimo motivo per rimetterci subito in cammino, signorina» la apostrofò Regina, con più asprezza di quanto lei stessa si sarebbe aspettata di sentire nella sua voce. Ma era più forte di lei: non aveva intenzione di permettere a niente e nessuno di soffocare il fiducioso ottimismo di Henry. Fintantoché suo figlio riusciva ancora a intravedere la possibilità di un lieto fine, lo avrebbe fatto anche lei: il suo bambino poteva infondere in lei abbastanza speranza da supplire anche alla mancanza di quella di Lily, di Killian, persino degli Azzurri, se necessario.
Con un gesto imperioso, Regina esortò la ragazza a procedere, e non si lasciò neanche lontanamente impressionare dallo sguardo astioso di Lily. Se la draghetta voleva del fuoco, lo avrebbe avuto eccome.

 
***

Ancora scossi dalla scoperta del cedimento di Emma, rianimati dall’ottimismo che Henry si rifiutava di abbandonare, quasi sospinti dalla testardaggine di Regina come pecore da un pastore, i membri di quella bizzarra missione di salvataggio camminarono e camminarono, seguendo le tracce lasciate da Emma grazie alla ragazza drago, che li guidò senza dire un’altra parola in tutta la notte. Regina la tallonava da vicino, un occhio su di lei e un altro su suo figlio: gli aveva sussurrato di rimanere sempre vicino a Killian e di tenerlo sotto controllo, così in un solo colpo otteneva che il capitano fosse sempre affiancato da qualcuno evidentemente più saggio di lui e che suo figlio venisse costantemente protetto dallo spadaccino più temibile della comitiva… ma anche così, l’istinto materno le suggeriva che le precauzioni non erano mai troppe. Gli Azzurri seguivano il pirata e il ragazzino con le armi sguainate, dedicando la loro massima attenzione ad assicurarsi che nessun pericolo giungesse senza preavviso – probabilmente, anche per tenere i loro pensieri ben lontani da cosa potesse stare accadendo in quegli istanti alla loro bambina. Robin chiudeva il gruppo, una freccia già incoccata nell’arco, pronto a qualunque evenienza; ma Regina sapeva che lo sguardo incupito del suo uomo aveva poco a che fare con i pericoli che avrebbero potuto incontrare lungo il tragitto, e molto a che vedere con la loro destinazione finale.
Era una ben strana compagnia, formata da personaggi di tante storie diverse, i cui destini erano così intrecciati che era impossibile districarli; ma con tutte le differenze e gli screzi che potevano esserci, riuscivano comunque a camminare tutti insieme, verso un unico obiettivo comune. L’ennesimo piccolo miracolo che Emma Swan era riuscita a mettere in piedi, senza nemmeno volerlo.
Erano questi i pensieri che le popolavano la mente, pensieri positivi e luminosi, venati al massimo da un po’ di nostalgia, mentre la luna disegnava il suo arco nel cielo e l’alba si avvicinava sempre di più. Regina intendeva concentrarsi solo su pensieri così, voleva illuminare il suo sentiero da dentro di sé… perché era solo con una luce del genere che avrebbe potuto raggiungere Emma, ora ne era sicura.
Così come era sicura di avere bisogno di una pausa. L’ottimismo era una gran cosa, ma decisamente non aiutava quando i piedi cominciavano a urlare di stanchezza e la fame si faceva sentire. Per non parlare di quanto poco avesse dormito… stava quasi per proporre a tutti di fermarsi a cercare un po’ di ristoro – era quasi sicura di sentire il mormorio allegro di un ruscello poco lontano – quando Lily si fermò bruscamente e Regina le arrivò addosso.
«Fai attenzione, ragazza!» sbottò la regina, strofinandosi la fronte che aveva inavvertitamente sbattuto contro la testa della figlia di Malefica.
«Shhhh!» intimò l’altra per tutta risposta, tendendo le orecchie verso qualcosa che evidentemente aveva sentito accadere alla loro sinistra.
«Cosa succede?» mormorò Killian, avvicinandosi insieme agli altri.
«È Emma. È qui vicino» rispose Lilith, con un cenno del capo.
Tutti e sette, tacitamente d’accordo, mossero qualche passo verso un gruppo di cespugli coperti di rugiada, cercando di fare meno rumore possibile. C’era una radura al di là delle fronde, uno spiazzo erboso a malapena illuminato dal sole nascente. E nel bel mezzo di quella radura, una figura avvolta in un ampio, logoro mantello si guardava intorno, apparentemente parecchio scossa. Gli abiti non erano gli stessi che indossava a Storybrooke la notte in cui era scomparsa, ma i lunghi capelli biondi che cadevano sulle spalle non lasciavano adito a dubbi. E quando la donna a pochi metri da loro girò la testa di scatto, come se qualcuno le stesse parlando, la voce con cui parlò fu inequivocabilmente quella di Emma Swan. «No…» stava mormorando la Salvatrice, i grandi occhi verdi spalancati dal terrore.
Ma qualunque cosa la stesse spaventando, a loro non importava. Non si fermarono neanche per un secondo ad elaborare una strategia, né diedero retta a Lily, che stava evidentemente per parlare, per dire loro di aspettare, di non apparirle davanti all’improvviso. Niente al mondo avrebbe potuto trattenere gli Azzurri, Henry e Killian dal lanciarsi in quella radura e afferrare la loro splendida Salvatrice prima che sfuggisse loro un’altra volta. E Regina nemmeno si stupì di se stessa, quando si gettò in avanti con tutti loro, incredibilmente sollevata nell’averla trovata così presto. La sua voce si unì a quella dei suoi improbabili compagni di viaggio, e fu meraviglioso urlare il suo nome per chiamarla, ora che finalmente lei era a portata di mano.
«Emma!»


  
··· Angolo Autore ···
Allora, la 5x12 e la 5x13 hanno sostanzialmente preso il mio cuore, ci hanno giocato a squash per qualche ora, lo hanno ridotto a una poltiglia sanguinolenta e piena di lacrime e me l'hanno restituito. Il promo e gli sneak peek della 5x14 hanno sostanzialmente dato il colpo di grazia, quindi in pratica vi sto scrivendo dall'Aldilà (lol).
Ammetto di aver trascurato parecchio questa fanfiction nelle ultime settimane, ma solo perché l'ispirazione per una nuova storia - sempre ambientata in questo fandom - mi ha catturata e portata altrove... al momento ho già scritto quattro capitoli della nuova fanfiction, ma mi sento in colpissima per aver abbandonato i miei piccoli DarkSeekers e dunque sto cercando di recuperare (piccolo teaser: il prossimo capitolo, che è ancora in lavorazione, è di Killian *-*).
La nostra cara Lily (il suo acidume è tutta farina del mio sacco, purtroppo nella 4B non la abbiamo conosciuta abbastanza a fondo... diciamo che la ritengo quasi un personaggio originale) ha scoperto qualcosa di terribile su quello che Emma ha fatto a Prim, ma Henry e Regina riescono a tenere alto il morale... anche perché, miei cari, vorrei dirvi dall'alto della mia assoluta conoscenza (e grazie al cavolo, la storia la scrivo io! Lol di nuovo) che non tutto è come sembra...
Mi è piaciuto un sacco approfondire la relazione di Regina con Neve (e giuro che questo capitolo l'ho scritto settimane e settimane prima di Labor of Love, dove c'è una scena tremendamente simile tra la mia Queen e la mia Bandit del cuore <3) e soprattutto far interagire lei e Killian, perché sono sostanzialmente i miei tre personaggi preferiti e li amo in tutte le salse (cosa che, se riesco a pubblicare anche l'altra fanfiction, scoprirete fin troppo presto MUAHAHAHA).
Finalmente siamo giunti alla tanto agognata reunion tra il DreamTeam e la piccola Emma, ma ovviamente non potevo lasciarvi senza un cliffhanger come si deve :D sono sadica, lo ammetto.
Spero però che vorrete perdonarmi il ritardo e tutto, e che continuerete a seguirmi - accetto e anzi richiedo un po' di insulti per i miei ritardi nel pubblicare. Sono imperdonabile, lo so!
Un abbraccione a tutti :D
 -R


Disclaimer: tutti i personaggi, meno eventuali OC, appartengono ai creatori della serie TV. Se fossero miei, probabilmente sarebbero tutti felici e contenti, e io sarei ricca sfondata. Vista l'infelicità che aleggia su Storybrooke e nel mio portafogli, direi che sappiamo tutti qual è l'amara verità.

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