New York - No Place Else Is Good Enough

di Ledy Leggy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Blue Diamond ***
Capitolo 2: *** Prova A Prendermi ***
Capitolo 3: *** Pasta Al Sugo ***
Capitolo 4: *** Niente Di Illegale ***
Capitolo 5: *** Love The Way You Lie ***
Capitolo 6: *** Identikit ***
Capitolo 7: *** Tu Vedi Un Blocco, Pensa All'Immagine ***
Capitolo 8: *** Brutti Giorni ***
Capitolo 9: *** Furto di caffé ***
Capitolo 10: *** Bird Watching ***
Capitolo 11: *** Pink Panthers ***
Capitolo 12: *** Buonanotte Papà ***
Capitolo 13: *** Pancakes ***
Capitolo 14: *** Una Persona Particolare ***
Capitolo 15: *** Tornerò ***
Capitolo 16: *** Riunione Ufficiale ***
Capitolo 17: *** Fino Ai Guai Seri ***



Capitolo 1
*** Blue Diamond ***


New York – No Place Else Is Good Enough
 

Capitolo 1

Blue Diamond
 

 

 

"Sara?"

"Non mi piace." Commentò Ed.

"Julia?"

"Troppo comune." Ribatté Margot.

"Rachel?"

"No!" Esclamarono i due in coro.

"Allora proponetemelo voi due un buon nome!" Esclamò la ragazza esasperata, la testa china sul nuovo passaporto.

"Elsa?" Propose Ed.

"Mi piace." Dichiarò Margot soddisfatta.

"A me no, ma siamo già in ritardo." Elsa stampò il nome sul passaporto falso e lo lasciò ad asciugare insieme agli altri due, su un tavolo.

"A che punto siete con i bagagli?" Chiese Margot mostrando la sua valigia già pronta.

"Ti ricordo che noi dobbiamo partire due ore dopo di te." Le fece notare Ed.

"Già, tre noti ricercati sullo stesso aereo sono un po' troppi." Osservò Elsa.

"Okay, io vado. Ci vediamo a New York tra qualche ora. Non usate i telefoni che abbiamo ora, sono tracciati dall'Interpol e non accendete i computer e..."

"Lo sappiamo Margot." La interruppe Elsa con un sorriso.

Poi la spintonò fuori di casa e dopo un ultimo saluto Margot si avviò per l'aeroporto.

Ed ed Elsa si dedicarono a preparare i bagagli in fretta e furia e a sistemare le ultime cose che lasciavano in Francia. Non potevano portarsi dietro tutto, essendo braccati dall'Interpol, perciò si limitarono a pulire a fondo la casa per non lasciare impronte digitali o tracce di dna.

"Odio le partenze improvvise." Borbottò Elsa mentre, i lunghi capelli castani legati in una coda, si dedicava alla pulizia del bagno.

"Non è che abbiamo molta scelta." Le fece notare Ed sorridendo mentre puliva la stampante da qualsiasi impronta digitale.

"Mi piaceva Parigi. È una delle città più ricche di Europa. È così bella..." Sospirò Elsa con un sorriso malinconico.

"Ci torneremo un giorno." Dichiarò Ed passando a pulire i pavimenti.

 

Due ore dopo i due erano all'aeroporto di Parigi, falsi documenti in una mano, pronti a partire per New York.

"Vorrei evitare le telecamere, dato che ancora non hanno nessuna nostra foto, sarebbe carino non fargliela avere proprio ora." Spiegò Elsa sorridendo ad uno sconcertato Ed che la guardava mentre strisciava contro il muro.

"Di sicuro non attirerai l'attenzione di nessuno." Commentò lui ironicamente.

"In un aeroporto? No, vanno tutti di fretta."

Elsa e Ed fecero un rapido check in con i loro nuovi passaporti falsi e montarono sull'aereo spacciandosi per una giovane coppietta in luna di miele.

Ed aveva criticato più volte quella scelta, dicendo che erano troppo giovani, ma Margot li aveva convinti che con un travestimento tutto era possibile. Aveva costretto Elsa ad indossare vestiti eleganti e tacchi, cose che lei non usava mai. Poi gli aveva fatto mettere gli anelli con i diamanti che avevano rubato qualche mese prima, in modo da portarli facilmente oltre oceano e aveva lasciato il tutto alla loro capacità recitativa.

I due avevano fatto la parte degli sposini a meraviglia e adesso l'hostess li guardava commossa sorridendo. Il che li costringeva a recitare anche per tutto il viaggio in aereo. Ed e Elsa si scambiarono uno sguardo seccato e si prepararono al viaggio.

A New York, scesero come tutti dall'aereo e si prepararono al controllo documenti americano, il più difficile da passare. Ma Elsa sapeva che i suoi documenti erano a prova di bomba, perciò li fece controllare con un sorriso rilassato mentre si aggrappava al braccio di Ed per non cascare sui tacchi e per sembrare una perfetta sposina.

Quando uscirono dall'aeroporto trovarono Margot che li aspettava.

"In queste due ore sono andata a casa, ho sistemato i nuovi telefoni e i computer, ho trovato un'altra stampante da passaporti, un po' illegale e ho stabilito un po' di nuovi contatti con la gente del posto." Disse senza nemmeno salutarli.

"Brava, sei il tecnico migliore che potessi trovare." Sorrise Elsa soddisfatta.

"Aspetta a dirlo: non ho cucinato nulla per cena e è tutto da pulire." Dichiarò poi fermando un taxi. "E dobbiamo assolutamente procurarci un'auto." Disse salendo insieme agli altri.

Arrivati a casa, senza nemmeno riposarsi un po', le due ragazze mandarono Ed a cucinare, mentre Elsa iniziava a pulire e a rifare i letti e Margot tornava alle prese con i computer.

"Ma perché non cucinate mai voi?" Si lamentò Ed, un'ora dopo davanti a un piatto di minestra fumante.

"Eddai, tu sei riuscito a farmi piacere anche la minestra!" Fece notare Margot indicando il suo piatto.

"Quando cucino io ci sono solo due possibilità: brucia il cibo, o mi brucio io. Niente da fare. Resti tu il cuoco." Aggiunse Elsa.

"Allora, programmi per la settimana?" Chiese Elsa preparandosi a parlare di uno dei loro piccoli colpi.

Avevano deciso anni prima di non fare mai colpi troppo grossi per non attirare le attenzioni delle autorità, motivo per cui non era ancora nota la loro identità e per cui dopo circa cinque anni non erano ancora stati presi.

"Ho sentito che ci sarà una mostra a un museo qui vicino, con quadri di oltre 15 milioni di dollari." Per l'appunto Margot cercava sempre di alzare i loro profitti.

"Partiamo con qualcosa di più piccolo, siamo in una nuova città che non conosciamo." Osservò Elsa.

"Aspetta, non hai sentito tutto. Ho trovato un tipo che farà lì un colpo, allora gli ho hackerato il computer e ho scoperto che fa parte di un gruppo chiamato Blue Diamond. Se non sbaglio quello in cui si trovava tua madre aveva lo stesso nome. Ho pensato che potrebbero conoscerla. Se la vuoi ritrovare devi infiltrarti." Margot sorrise soddisfatta davanti allo sguardo di Ed e di Elsa. "Lo so, sono un genio."

"Come posso infiltrarmi?" Chiese Elsa.

"Il colpo sarà tra due settimane. Dobbiamo metterti in contatto col gruppo, vedrai che gli mancherà un uomo, casomai glielo facciamo mancare noi." Sorrise Margot.

Il colpo era già deciso.

Due settimane dopo un certo James, nome in codice Big Jim, aveva vinto un viaggio alle Maldive tutto pagato per lui e la sua ragazza e Margot aveva predisposto tutto perché partisse.

Elsa nel frattempo aveva preso il suo posto all'interno della banda. Non andava molto d'accordo con i suoi membri, soprattutto per quanto riguardava le tecniche di scassinamento e le vie di fuga dal museo, ma era riuscita a trovare qualcosa di vagamente simile a un recapito per sua madre, perciò si era preparata al colpo senza protestare più di tanto.

Il martedì mattina si svegliò eccitata, ripassando tutti i piani. La banda aveva deciso di rubare un Picasso, perciò lei aveva deciso che avrebbe rubato una collana di valore minore esposta lì vicino, così avrebbero sospettato i membri della banda e non lei.

La banda si ritrovò la sera in un garage. Il capo, un certo John, prese la parola.

"Allora il piano è questo. Primo, disattivare il sistema di allarme. Secondo, rubare il quadro. Sarà collegato ad un cavo che dopo quindici secondi che è staccato fa scattare un allarme silenzioso. Dobbiamo uscire dalla stanza prima dei quindici secondi, poi scenderà una grata e saremo bloccati, a meno che non si riesca a trovare un pannello di controllo, che di sicuro non è all'interno della stanza. Dobbiamo fare molto in fretta, altrimenti arriverà la polizia.

I componenti del gruppo annuirono e salirono sul camion per andare al museo. Elsa salì con loro, ma nascondendo sotto al passamontagna l'auricolare che la teneva in contatto con Ed e Margot, disposti fuori dal museo, uno con la macchina pronto per un salvataggio di emergenza e l'altra con le telecamere sotto controllo e che ascoltava le frequenze della polizia.

La banda parcheggiò il camion in un vicolo, scese ordinatamente e rapidamente dal camion e aspettò che uno dei membri, che sarebbe rimasto all'esterno a fare da palo, disattivasse l'allarme.

Poi, quando questo diede loro l'okay, entrarono in punta di piedi e si avvicinarono al quadro di Picasso che volevano rubare.

Lo smontarono dalla cornice tenendolo sospeso per non staccare il cavo che faceva partire l'allarme silenzioso, poi una volta separata del tutto la tela dalla cornice, poggiarono quest'ultima a terra e Elsa tagliò il cavo con un colpo deciso di cesoie.

Nel frattempo, senza che nessuno la vedesse, si mise in tasca una collana di pietre che era appartenuta alla regina Vittoria che era esposta lì accanto.

La banda uscì rapidamente dalla stanza, mentre la grata si abbassava subito dopo di loro.

"Elsa." L'auricolare nel suo orecchio si mise in funzione con un ronzio fastidioso. "C'è troppa gente qui fuori in macchina. Secondo me sono poliziotti." La avvisò Ed.

Elsa si guardò un po' intorno, cercando una via di fuga alternativa.

"C'è un'uscita sul retro con solo due uomini appostati. Prova con quella." Ed le lesse praticamente nel pensiero.

Di sottofondo Elsa sentì Margot che imprecava.

"Els, ho la pianta. Devi per forza ripassare dalla stanza di prima, ma è bloccata dalla grata."

"Sta arrivando la polizia." Sussurrò intanto Ed.

"Niente nomi, Marge!" Sussurrò Elsa scherzando, ripetendo una scena che avevano già visto al Louvre in uno dei loro primi colpi.

"Okay, il pannello di controllo è nella stanza alla tua destra." Spiegò Margot

"Devi tagliare il filo rosso."

"Sì mh, come dire... non c'è un filo rosso." Dichiarò Elsa.

L'adrenalina iniziò a pomparle nelle vene, mentre il battito accelerava.

Sorrise con soddisfazione, amava quella sensazione, finché non la prendevano.

"Giusto scusa! Cavi americani... taglia il verde." Si corresse Margot.

Elsa eseguì e tornò alla stanza della grata, la sollevò manualmente, tutto senza togliere i guanti. Poi mentre passava nella stanza lasciò scivolare un biglietto su una teca e si diresse nel corridoio opposto, dove due agenti le stavano correndo incontro.

Accelerò mentre correva e quando fu abbastanza vicina si lanciò in terra per una scivolata, passandogli all'altezza dei piedi e facendogli in contemporanea lo sgambetto. Alla fine del corridoio si rialzò in piedi e uscì correndo, inseguita da altri agenti.

Senza togliersi il passamontagna né i guanti di pelle nera, corse in direzione della macchina di Ed, che avevano 'preso in prestito' per il colpo, ovviamente senza targa, e vi saltò agilmente dentro, mentre Ed partiva a tutta velocità seminando le macchine che avevano dietro.

Elsa si rilassò soddisfatta sul sedile e finalmente tolse il passamontagna ridendo allegramente.

"Mi mancava." Commentò.

Margot sospirò nell'auricolare.

"Non sai quanta ansia mette solo ascoltare e vedere, non so come tu faccia."

"È così piacevole..." Commentò Elsa contenta.

Ed accelerò per seminare gli inseguitori.

"Ci vediamo al quartier generale." Disse, e nel frattempo gettò il suo auricolare in un tombino.

"Perché l'hai fatto?" Chiese Elsa stupita.

"C'era un ronzio sospetto." Spiegò lui.

Elsa scrollò le spalle e lo imitò.

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Capitolo 2
*** Prova A Prendermi ***


Capitolo 2

Prova A Prendermi


 

Ed e Elsa erano posizionati dietro la sedia di Margot a casa. Quest'ultima batteva con rabbia sulla tastiera da almeno dieci minuti.

I due si scambiarono uno sguardo preoccupato.

"Che succede Marge?" Chiese Elsa dopo un po'.

Margot batté ancora un po' sui tasti, poi allontanò la sedia dalla scrivania, permettendo agli altri due di vedere il monitor.

"Ecco qua." Disse con rabbia.

Sul monitor c'era una pagina con un rapporto dell'FBI sulla rapina al museo di quella sera.

Sotto, parola per parola, c'era la trascrizione del loro dialogo agli auricolari.

"Hanno i nostri nomi." Commentò Margot indicando le righe con 'Elsa' e 'Marge'.

"Non proprio." Ribatté Ed, sollevato che il suo non ci fosse.

"Dobbiamo cambiare nome." Dichiarò Margot preoccupata. "Peccato, perché il mio durava da molto."

"Non possiamo cambiarlo ora. È quello che si aspettano. Già dopo il Louvre gli abbiamo fatto capire che potevamo vedere il sito dell'FBI, se ci scrivono qualcosa è perché vogliono farla sapere a noi e si aspettano che cambiamo nome."

"Che ragionamento contorto." Si lamentò Margot massaggiandosi la testa. "E ora sono più vicini che mai a noi."

"Lo dici sempre. L'hai detto anche quando mi è cascato quel biglietto al museo d'Orsay, e invece adesso lo lasciamo apposta in tutti i musei dove rubiamo qualcosa." La calmò Elsa.

Nonostante le parole di conforto, passò il resto della nottata sul sito dell'FBI, mentre i suoi due compagni dormivano a leggere le informazioni su di loro e sulle altre bande locali, per finire con le informazioni su sua madre.

 

Neal scese dalla macchina della polizia porgendo con un lieve sorriso le manette a Peter e calcando in testa il cappello.

"Neal, avremo bisogno di un disegno." Gli disse Peter mentre riprendeva le sue manette. "Abbiamo perso qualcuno con dei complici all'esterno. Anche se siamo riusciti a intercettare il loro segnale radio e abbiamo dei nomi parziali."

"Come avete fatto a perderlo?" Chiese Neal critico.

"Perderla vorrai dire." Lo corresse Peter. "È una lei."

"Ah ho capito chi è. Era una nuova, portava sempre cappello e occhiali da sole, posso farvi solo un mezzo identikit. Sembrava una tipa sveglia, aveva proposto un'altra via di fuga più sicura, ma anche più stretta e quindi l'idea era stata bocciata."

"Andiamo in ufficio, ti faccio sentire la registrazione."

 

"Elsa, c'è troppa gente qui fuori in macchina, secondo me sono poliziotti." Disse una voce maschile, uscendo dal viva voce del telefono della sala conferenze.

"C'è un'uscita sul retro con solo due uomini appostati. Prova con quella." Aggiunse poco dopo la stessa voce.

"Els, ho la pianta. Devi per forza ripassare dalla stanza di prima, ma è bloccata dalla grata." Una voce femminile si aggiunse alla prima.

"Sta arrivando la polizia." Di nuovo il maschio.

"Niente nomi, Marge!" Finalmente quella che doveva essere Elsa intervenne.

"Okay, il pannello di controllo è nella

stanza alla tua destra. Devi tagliare il filo rosso." Quella doveva essere Marge.

"Sì mh, come dire... non c'è un filo rosso." Questa era la voce di Elsa.

"Giusto scusa! Cavi americani... taglia il verde." Rispose la voce di Marge.

Neal sorrise pensando a quanto doveva essere stata eccitante la situazione. In sottofondo si sentivano le macchine della polizia.

Passò qualche secondo in cui si sentirono solo fruscii e tonfi.

"Mi mancava." La voce di Elsa si sentì forte e chiara nonostante il fiatone e le sirene della polizia.

Si sentì un sospiro di sottofondo.

"Non sai quanta ansia mette solo ascoltare e vedere, non so come tu faccia." Disse Marge poi.

"È così piacevole..." La voce di Elsa suonava allegra e spensierata, quasi da ragazzina.

"Ci vediamo al quartier generale." Fu l'ultima cosa che si sentì, prima di qualche tonfo e il silenzio.

 

"Abbiamo capito a chi potrebbero appartenere." Esclamò Diana entrando nella stanza con un fascicolo in mano. "Non abbiamo molte notizie di loro, fino a poco fa erano in Europa, mi sono fatta mandare un po' di dati dall'Interpol, non ci hanno dato molto, ma mi sa che non sanno molto loro stessi." Diana aprì il fascicolo sul tavolo e ne proiettò una copia sullo schermo.

"Loro tre sono i sospettati di cinque furti in Francia nei musei e un furto a casa di un ricco proprietario di una multinazionale, sospettati di altri furti in Italia qualche anno fa, e forse autori di un blocco di documenti falsi che abbiamo intercettato l'anno scorso. Non abbiamo immagini chiare, ma solo parziali. E quella che chiamano Marge è nuova ed è nel gruppo da solo due anni. Fino ad ora non sapevamo nemmeno i nomi." Spiegò Diana facendo scorrere alcune immagini sfocate delle telecamere del Louvre che mostravano la ragazza che doveva essere Elsa mentre rubava un quadro.

"Ah, Marge è l'esperta in informatica, è riuscita già più di una volta a hackerare il sito dell'FBI."

"Quindi se mettiamo qualcosa sul sito, loro lo scoprono subito." Osservò Neal.

"Allora lasciate queste informazioni cartacee." Ordinò Peter.

"No facciamo all'opposto, mettiamole, si sentiranno braccati e in ansia. È più probabile che facciano un errore. Fino ad ora non si sapeva niente e adesso abbiamo addirittura i loro nomi." Propose Neal sorridendo.

"Molto probabilmente sono falsi. Li cambieranno." Concluse Peter.

"Terrò d'occhio i miei contatti." Disse Neal.

"Che mi dici di quel biglietto?" Chiese poi Peter a Diana.

"Ce n'era uno uguale in tutte le altre scene del crimine di cui sono sospettati. Niente impronte né nulla, un normalissimo biglietto da visita." Spiegò Diana.

"Con scritto Prova a Prendermi." Sospirò Peter. "In quanto a vanità mi ricorda qualcuno." Disse guardando verso Neal che gli sorrideva pacificamente dalla sedia.

"Quale sarà il loro prossimo furto?" Chiese ancora Peter rivolto a Neal.

"Non so se gli interessa così tanto rubare, credo che lo facciano per la sfida è il divertimento. L'hai sentito come parlava Elsa, no? E hanno rubato una collana che rispetto a tutto il resto non valeva quasi nulla." Spiegò Neal. "Mi piacciono, sono organizzati, rapidi e sicuri." Peter lo guardò male, poi iniziarono a cercare un modo per rintracciarli.

 

Qualche giorno dopo Elsa camminava lungo il molo, lentamente e guardandosi intorno.

Dalle informazioni che aveva ricavato aveva saputo che sua madre sarebbe stata lì. I membri del Blue Diamond si erano tenuti in contatto con lei e il posto dove la vedevano più spesso era il molo.

Dopo circa mezz'ora in cui non era successo niente Elsa notò una figura in lontananza che camminava spedita verso di lei.

Ma non era sua madre.

Era un uomo, un bell'uomo, avrebbe aggiunto in futuro raccontando quella storia, con capelli neri e occhi azzurri, vestito con un completo elegante.

Sforzandosi un po' Elsa ricordò che era uno degli uomini del gruppo con cui aveva quasi rubato il Picasso qualche giorno prima.

"Dovresti essere in prigione." Gli disse quando fu abbastanza vicino, controllando che il berretto fosse ben calcato in testa e che gli occhiali da sole le coprissero bene il viso.

"Stavo cercando te." Sorrise lui, cercando evidentemente di distrarla.

Elsa sapeva che dalle telecamere Margot stava ricevendo le immagini e che di sicuro stava già indagando sull'uomo, perciò non si stupì quando sentì l'auricolare vibrare.

"Se fossi in te correrei via." Iniziò Margot.

Elsa controllò velocemente le vie di fuga dal molo, che erano molte, ma notò che c'era un camioncino bianco alquanto sospetto e un po' troppe persone in giro.

"Sei dell'FBI." Dichiarò squadrandolo.

Imprecò mentalmente mentre gli agenti sotto copertura che li circondavano si avvicinavano velocemente.

"Scusami, ma mi lasciate poca scelta." Tirò fuori una pistola dai pantaloni e la puntò verso l'uomo.

Tutti gli agenti intorno si bloccarono, osservando la scena spaventati.

"Vieni con me. Muoviti. E togliti l'orologio." Lo spinse velocemente verso l'uscita del porto, cercando di evitare posizioni troppo scoperte e nel frattempo controllò che si sfilasse l'orologio trasmittente dal polso e lo buttasse in terra. Lo fece salire nella sua macchina e iniziò a guidare per seminare gli inseguitori.

"Tienimi questa." Disse mollandogli la pistola in mano.

"Scusa, ma potrei spararti." Ribatté l'uomo sconcertato.

"Buona fortuna. È scarica." Dichiarò Elsa.

"Marge, dammi una strada rapida." Ordinò poi nell'auricolare mentre curvava a un semaforo rosso.

L'uomo accanto a lei si era affrettato a mettersi la cintura di sicurezza e la guardava curioso, ma non sembrava spaventato.

Elsa seguì le indicazioni di Margot fino ad arrivare a casa, senza più nessuno alle costole.

Riprese in mano la pistola e la infilò nei pantaloni.

Prese l'uomo per un braccio e lo portò rapidamente in casa, mentre Margot accorreva giù dalle scale imprecando.

"Ma sei impazzita! Non puoi portarlo qui! Ora che ci ha visti come facciamo?"

"Accomodati." Disse tranquilla Elsa, facendo cenno all'uomo di sedersi sul divano, cosa che lui fece in tutta tranquillità.

"Tu sei matta." Dichiarò Marge uscendo dalla stanza.

"Eddai Marge non ti arrabbiare. Marge!" Ma lei non rispose e li lasciò da soli.

"Che ci facevano tutti quegli agenti al molo?" Chiese Elsa all'uomo porgendogli un bicchiere d'acqua.

"Mi sono ricordato che quando eravamo sotto copertura avevi chiesto in giro di un posto, non so per cosa, e ti avevano risposto di andare al molo. Eravamo lì da qualche giorno." Spiegò l'uomo.

"Okay. È plausibile. Ripartiamo dall'inizio ti va? Io sono Elsa, tu?"

"Neal Caffrey. Sono un consulente dell'FBI. Immagino che ormai la tua amica lo sappia di già, visto che può hackerare il sito." Disse l'uomo con un mezzo sorriso.

"Può darsi."

In quel momento entrò un ragazzo, mettendosi anche lui un cappello in testa e degli occhiali da sole, mentre al collo portava già una sciarpa.

"Marge mi ha raccontato." Esordì entrando. "Sai, il bello di casa è che si poteva girare senza coprirsi il viso. Non lo puoi bendare?" Sospirò il ragazzo.

Quando Elsa e Margot litigavano Ed aveva sempre il ruolo di pacificatore e giudice.

"Per quel che mi riguarda può anche vederci." Borbottò Elsa. "Tra un po' lo lascio andare, giusto il tempo di trovare un'altra casa. Ma dove trovo mia madre ora? Accidenti." Imprecò. "Se era al molo di sicuro adesso non ci tornerà per un bel po'."

"Provo a rintracciarla, tu cerca una nuova casa." La calmò Ed.

"Non è che posso aiutarvi? Cioè adoro lavorare all'FBI, ma sono più in stile criminale." Si intromise Neal.

"Così ci fai catturare? No grazie." Ribatté Ed.

"Come potresti aiutarci?" Chiese invece Elsa divertita.

"Prima di tutto mi dite il nome di questa persona che state cercando, se non ho capito male tua madre. Se è una criminale posso chiedere in giro ai miei contatti." Disse Neal stendendosi rilassato sul divano.

"Pensaci bene Els." Disse solo Ed prima di uscire.

"Lo faresti davvero?" Chiese Elsa sedendosi accanto a lui.

"Perché no?" Chiese lui con un sorriso.

"Ad esempio perché ti ho preso in ostaggio e rapito." Osservò Elsa sorridendo a sua volta.

"Con una pistola scarica: hai tutto il mio rispetto."

"Danielle Sander." Sospirò Elsa sottovoce.

"Come prego?"

"Danielle Sander. È il nome di mia madre." Ripeté Elsa ad alta voce.

"Ah." Neal sembrava piuttosto sconvolto.

"La conosci?" Chiese rapidamente Elsa osservandolo attentamente.

"Io... l'ho conosciuta molto tempo fa." Rispose Neal. "Ho un amico che sa dove trovarla." Aggiunse poi.

"Chiamalo. Lo voglio sapere ora." Ordinò Elsa porgendogli un telefono. "Metti in viva voce."

Neal prese il telefono in mano e dopo averci pensato un po' digitò un numero.

"Pronto?" Rispose una voce.

"Mozzie, sono Neal."

"Mr FBI ha detto che sei stato rapito! Hai visto quante balle racconta il governo?" Esclamò Mozzie.

"È una lunga storia. Dovresti cercare di contattare Danielle Sander. Te la ricordi?" Lo interruppe Neal.

"Sì certo... una delle tue amichette di molto tempo fa." Cominciò Mozzie, ma di nuovo fu interrotto da Neal, un po' imbarazzato.

"Sì lei. Quando scopri dove è richiama su questo numero."

"D'accordo, metterò all'opera le mie capacità di investigatore." Dichiarò Mozzie riattaccando.

"È simpatico il tuo amico." Sorrise Elsa.

Margot entrò in casa in quel momento.

"Elsa! Vieni qui. Ci vuole una discussione a quattro occhi. Da donna a donna."

"Ho paura." Sussurrò Elsa alzandosi dal divano e andando in cucina per parlare, facendo sogghignare Neal.

Margot chiuse la porta.

"Adesso lo butti fuori." Dichiarò decisa. "Non mi importa se va a dire ai federali dove abitiamo, basta che esca di qui. Voglio poter girare a volto scoperto in casa mia. C'è un appartamento in offerta a qualche minuto da qui. Prendiamo quello, ma mandalo via."

"D'accordo ho capito. Marge calmati." Sbuffò Elsa.

Tornò in salotto da Neal e gli sorrise.

"Mi dispiace, ma non possiamo più ospitarti. Dovrai tornare a casa tua. Se vuoi ti do un passaggio in macchina."

"Sarebbe carino. Ci vuole un'ora da qui a casa mia." Sorrise Neal.

I due salirono in macchina e si avviarono verso casa di Neal.

"Cosa intendevi quando hai detto che sei più un criminale che un agente dell'FBI?" Chiese Elsa curiosa.

"Oh io sono un criminale. Sono un truffatore e un falsificatore. Sono anche stato dentro." Spiegò Neal.

"E ora collabori con l'FBI." Concluse Elsa per lui.

"Scusa il dubbio, ma ce l'hai la patente? Perché secondo me sei minorenne." Disse dopo un po' Neal.

"Certo che ho la patente!" Rispose subito Elsa. "Però sono anche minorenne." Aggiunse facendo l'occhiolino.

"Capito. Documenti falsi. Da chi te li fai fare?" Chiese Neal curioso.

"Sono fatti in casa." Sorrise Elsa. "Ma io non ti ho detto niente."

"Ovviamente. Li fai te?" Chiese ancora Neal.

"Marge non ha manualità, e Ed per ora è l'addetto alla cucina e alla macchina. Io... a buon intenditor poche parole."

"Puoi lasciarmi davanti a quell'edificio lì? Oggi ho il primo colloquio, tra qualche giorno decidono se togliermi la cavigliera elettronica." Chiese Neal dopo un po'.

"Wow! In bocca al lupo allora." Elsa parcheggiò al bordo del marciapiede e fece scendere Neal. Poi restò un po' ferma. Era curiosa di sapere come sarebbe andata a finire per Neal.

In quelle poche ore che lui era stato a casa sua, seduti a chiacchierare sul divano, aveva legato molto con lui. Lo sentiva quasi più vicino di Margot e di Ed. Non sentiva di potersi fidare in tutto e per tutto, ma si sentiva come se riuscisse a capire quando poteva fidarsi di lui e quando no.

Poco prima di girare l'angolo Neal si girò e la salutò con un cenno della mano. Lei sorrise, risistemò gli occhiali da sole e mise in moto.

Ripartì e tornò a casa, pronta a mangiare e riposarsi.






Angolo dell'autrice:

Buonsalve a tutti quanti!!
Nello scorso capitolo non ho scritto niente perché mi piaceva l'idea di lasciar parlare la storia da sola. (A chi la do a bere? E' chiaro che me ne sono dimenticata...)
Comunque adesso ci tenevo a dire che questa storia è probabilmente la migliore che ho scritto fin'ora e ci sono molto affezionata. Sia ai personaggi del telefilm che ai personaggi che ho inventato io.
Neal appare per la prima volta in questo capitolo, spero che sia abbastanza nel personaggio, mentre scrivevo avevo paura che risultasse un po' OC...
Ah una cosa che dovete assolutamente sapere è che questa storia si svolge in parallelo alla serie, mi piaceva l'idea di inserire nuovi personaggi e farli vivere in un contesto che conosciamo tutti bene. Verso la fine ci saranno anche un po' di capitoli di trascrizione quasi totale dagli episodi.
Detto questo, spero che apprezziate e aspetterò qualche recensione, positiva o negativa che sia.
Ci vediamo preso con il prossimo capitolo
Ledy Leggy

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Capitolo 3
*** Pasta Al Sugo ***


Capitolo 3

Pasta al Sugo

 

 

Arrivato a casa Neal vi aveva trovato una squadra dell'FBI sulle sue tracce, tutti molto preoccupati per lui.

Decise di chiamare Peter sul cellulare e l'amico gli rispose dopo nemmeno mezzo squillo.

"Neal?" Sentì la sua voce tesa.

"Sì, sto bene. Sono a casa. La ragazza mi ha lasciato andare tranquillamente, ora stanno traslocando..."

"Ma cosa è successo? Quella pistola..."

"Era scarica. Non voleva farmi del male, non credo che abbia mai sparato davvero." Raccontò Neal.

"Bene. Ora posso tornare da Elisabeth. Un'ultima cosa. Saresti capace di fare un identikit?" Chiese Peter speranzoso.

"Non si è mai scoperta la faccia." Si limitò a dire Neal.

In realtà poteva disegnare tranquillamente la metà inferiore del viso di Elsa, ma a che sarebbe servito?

 

Qualche giorno dopo Neal entrò in ufficio e notò un ragazzo con una divisa scolastica seduto al tavolo del caffè.

"Adesso facciamo anche le gite scolastiche?" Chiese con sarcasmo.

Saltò fuori che il ragazzo aveva scoperto dell'appropriamento illegale di fondi di un insegnante della scuola.

Lui e Peter andarono sotto copertura ad indagare.

Dopo poco Neal era diventato il professor Cooper, insegnante di letteratura della scuola.

Dopo aver fissato delle ripetizioni per il giorno dopo a casa del sospettato e aver parlato con Peter, si diresse a piedi verso casa.

"Professor Cooper!" Sentì una voce che lo chiamava. Rientrò rapidamente nella mentalità da insegnante, spingendo gli occhiali sul naso e si girò con un sorriso.

Restò sorpreso quando capì che la ragazza che l'aveva chiamato era Elsa.

"Adesso vai a scuola?" Chiese sconcertato.

"Veramente avevamo deciso di derubare il tipo che si appropria dei fondi scolastici, ma ci avete battuti sul tempo. Ve lo lasciamo a voi." Elsa sorrise.

"Apprezzo il pensiero." Commentò Neal.

"Ho sentito che le tue lezioni sono meravigliose." Aggiunse Elsa. "Sai, pettegolezzi da ricreazione."

"Se vuoi uno di questi giorni puoi venire da me e ti do ripetizioni." Scherzò Neal.

"Oh, non ho problemi a studiare letteratura. Semmai a cucinare e a tutto ciò in cui riesce bene chiunque alla mia età." Scherzò Elsa.

"Allora è deciso. Stasera vieni a casa mia. Ti insegno a cucinare la pasta con il sugo." Disse Neal improvvisamente serio.

Elsa divenne improvvisamente seria, poi sorrise inaspettatamente.

"Accetto. Vengo alle sei."

Mentre la campanella suonava segnando l'inizio della lezione, Elsa si tolse gli occhiali da sole, mostrando dei begli occhi marroni e tirò giù il cappuccio scoprendo il capelli castani mossi legati alti sulla testa.

 

Alle sei era davanti a casa di Neal. Da ormai cinque minuti stava cercando di decidere se era davvero il caso di suonare il campanello.

Già mostrare la sua faccia era stata una mossa rischiosa. Controllò ancora il sito dell'FBI sul cellulare e vide che non era stato aggiunto il suo identikit.

Prese un forte respiro e suonò.

Pochi secondi dopo una signora le venne ad aprire.

"Te sei la ragazzina che Neal sta aspettando vero? Per le lezioni di cucina." Chiese con un sorriso.

Elsa annuì per non far saltare la copertura, se così si poteva chiamare.

La signora la accompagnò ad una porta, alla quale bussò con gentilezza.

Pochi secondi dopo Neal aprì.

"Entrate!" Sorrise con il suo solito sorriso, Elsa era pronta a scommettere che solo con quello avrebbe potuto ottenere un sacco di cose.

Neal salutò la signora, June, con qualche parola, poi lei scese e nell'appartamento restarono solo Neal e Elsa.

Elsa si guardò intorno con circospezione, controllando che non fosse una trappola. Quando si poté ritenere soddisfatta si girò verso Neal con un sorriso.

"Tutto a posto. Non c'è nessuno dell'FBI." La rassicurò lui.

"Bene. Possiamo iniziare a cucinare." Sorrise Elsa. Era felice di potersi fidare di Neal.

"Taglia il sedano." Disse Neal mettendole davanti la verdura, un tagliere e un coltello.

Passarono gran parte della serata a cucinare, parlando e scherzando.

Parlarono soprattutto di vecchie truffe e rapine finite bene o male.

Elsa raccontò di un paio di furti al Louvre e agli Uffizi, Neal parlò di alcuni casi all'FBI, di Peter e della sua nuova vita.

Quando Elsa si schizzò la mano con l'olio e decise che non voleva più cucinare in vita sua, Neal si affrettò a fargliela mettere sotto l'acqua corrente.

"Ti rendi conto che una volta mi sono bruciata scolando la pasta? E un'altra volta prendendo un pentolino in mano. L'ultima volta mi sono bruciata con una pentola che non dovevo nemmeno toccare, dovevo usare quella accanto e l'ho toccata per sbaglio." Mentre Elsa elencava tutti i modi in cui si era bruciata, Neal se la rideva tranquillamente alle sue spalle, poi però si affrettò a consolarla e passò a raccontarle di quanto odiava le armi e di tutte le situazioni spiacevoli in cui si era ritrovato per colpa loro. Scoprirono che a Neal piacevano gli scacchi, mentre Elsa li odiava; invece Elsa adorava i combattimenti, soprattutto le arti marziali, mentre Neal preferiva le truffe, che Elsa usava solo se necessarie.

Alla fine capirono che la loro grande passione comune era lo scassinare e si ritrovarono alle dieci di sera, senza aver mangiato, a fare a gara a chi apriva più velocemente la cassaforte con uno stetoscopio. Poi confrontarono gli strumenti per scassinare, tirando fuori dai loro set ogni pinzetta, uncino e ago che avessero.

A metà del loro allenamento furono interrotti da qualcuno che bussava alla porta. Mentre Elsa correva a nascondersi entrò un uomo basso e pelato.

"Moz, che ci fai qui?" Elsa sentì la voce di Neal attutita, dalla stanza in cui si trovava.

"Ho trovato Danielle Sander. Ah ma qui c'è qualcun altro!" Esclamò dopo un tintinnio di bicchieri. Elsa capì che l'uomo era l'amico a cui Neal aveva chiesto di cercare sua madre, perciò prese un bel respiro e uscì dal suo nascondiglio.

"Dov'è?" Chiese all'uomo.

"Mozzie, lei è Elsa. Elsa, lui è Mozzie." Presentò rapidamente Neal.

Elsa si limitò a fargli un cenno con la testa, poi aspettò che Mozzie rispondesse alla sua domanda.

"Danielle ha comprato un magazzino qualche giorno fa, probabilmente per nasconderci la refurtiva di qualche suo colpo dopo la scena del porto..." spiegò Mozzie. "Qui c'è l'indirizzo." Disse porgendo un foglietto ripiegato a Elsa.

"Grazie." Disse Elsa mentre esultava interiormente.

Controllò l'indirizzo e poi sorrise.

"Quindi tua madre è Danielle Sander, sei figlia d'arte..." Commentò Mozzie.

"Se così si può dire." Rispose solo Elsa. "Ma non so chi sia mio padre. Mia madre mi ha abbandonata in un convento in Europa quando avevo un anno. È il momento di parlarle." Concluse Elsa. "Grazie di tutto, siete stati davvero gentili. Grazie per le lezioni di cucina, Neal." Sorrise un'ultima volta e uscì.

Elsa uscì contenta da quella casa, come se finalmente avesse trovato qualcun altro da aggiungere al suo ristretto gruppo che chiamava famiglia.





Angolo dell'autrice:

Ciao a tutti!!
Dunque, in questo capitolo nasce una bella amicizia tra Neal ed Elsa, anche se ancora non si fidano del tutto l'uno dell'altro.
Diciamo che si inizia anche a capire un po' meglio i caratteri dei personaggi e finalmente entra in scena, dal vivo, Mozzie.
Saltano anche fuori un po' di dettagli sulla madre di Elsa, ma vi anticipo subito che sarà un personaggio molto secondario.
Spero di sentire presto le vostre opinioni.
Un grazie enorme a tutti quelli che hanno recensito, inserito nelle seguite, preferite ecc... e anche solo chi ha letto.
A presto
Ledy Leggy

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Capitolo 4
*** Niente Di Illegale ***


Capitolo 4

Niente di illegale
 

 

 

La mattina dopo Elsa alle sette e mezza correva tranquillamente per le strade di New York, la musica a palla, con una canottiera e dei pantaloncini.

Da piccola si era abituata a correre tutte le mattine almeno una mezz'ora e non aveva interrotto quell'attività nemmeno nel periodo in cui era una dei maggiori ricercati dall'Interpol.

Mentre correva tirò fuori dalla tasca un foglietto stropicciato e controllò l'indirizzo.

La sera prima, quando era tornata a casa, aveva raccontato a Ed e a Margot che aveva un indirizzo in cui cercare sua madre. Non gli aveva detto però che era stata a casa di Neal. Di sicuro la avrebbero sgridata perché era stata una mossa molto poco prudente.

E in effetti ripensandoci Elsa non avrebbe dovuto farlo. Razionalmente era così semplice. Se un criminale vuole avere degli amici devono essere dalla sua stessa parte e devono dimostrare la loro lealtà.

Di fatto funzionava poco e male. Margot l'aveva conosciuta quasi per sbaglio per la strada, era una senzatetto nei pressi del museo d'Orsay quando Elsa stava uscendo tranquillamente con un quadro sotto braccio. L'aveva portata a casa quasi per pena, sotto lo sguardo rassegnato di Ed e poi aveva scoperto la sua abilità con i computer e le aveva proposto di restare.

Ed, invece, era sempre stato un suo grande amico, sin dall'orfanotrofio. Erano diventati inseparabili quando avevano organizzato la loro prima truffa a scapito del bulletto di turno e da allora tutti avevano imparato a rispettarli.

Arrivata davanti al magazzino indicato sul foglietto, Elsa si fermò per riprendere fiato e per fare un po' di stretching.

"Caffè?" Sentì una voce nota dietro di lei.

Si voltò di scatto e trovò Neal con due bicchieri di Starbucks in mano.

Sorrise mentre si asciugava il sudore con una mano e prese uno dei bicchieri.

"Sapevo che c'era l'imbroglio." Scherzò Elsa mentre sorseggiava il caffè. Forse avrebbe preferito una bottiglietta d'acqua, ma non ci si lamenta mai di un buon caffè.

"Stavolta sono solo io. Niente FBI." Ribatté Neal. "Almeno finché Peter non viene a cercarmi." Aggiunse poi mostrando la cavigliera.

Elsa sorrise di sfuggita.

"Allora muoviamoci." Fece un respiro profondo e bussò con decisione alla porta del magazzino.

Pochi secondi dopo la porta si aprì leggermente lasciando lo spazio sufficiente per far passare Elsa e Neal uno alla volta.

Una donna si parò davanti a loro, una pistola in una mano e le braccia conserte.

"Neal? Che ci fai qui?" La voce di Danielle suonò forte e decisa.

"Accompagno Elsa." Rispose solo lui, indicando la ragazza accanto a lui.

Elsa fissava la madre per la prima volta dopo anni. Non si ricordava niente di lei, ma era riuscita ad avere una foto qualche anno prima, cercando nel database dell'Interpol.

"Ciao mamma." Disse infine.

La squadrò da capo a piedi. Era alta, gli occhi erano azzurri e i capelli castani come i suoi.

Danielle sbiancò e fissò alternatamente lei e Neal.

"Io... mi sa che ti devo delle spiegazioni." Disse con voce un po' incerta.

"Direi di sì." Rispose Elsa.

Le due si incamminarono lentamente lungo un corridoio formato da alcune scatole.

"Cosa vuoi sapere?" Chiese Danielle, la voce leggermente più morbida di prima.

"Tutto. Da perché mi hai abbandonata a chi è mio padre e a qual è il mio nome. Direi che sono abbastanza grande per le spiegazioni." Rispose Elsa decisa.

"Non ti aspettare grandi spiegazioni. Ti ho abbandonata perché ero troppo giovane e il mio stile di vita non era adatto a una bambina." Disse rapidamente Danielle, come se volesse togliersi il pensiero.

"Il mio stile di vita è perfettamente uguale al tuo. E sto vivendo benissimo." Ribattè Elsa tranquillamente.

Nei suoi pensieri era stata realista. Non si aspettava certo che la madre la abbracciasse e le chiedesse di restare con lei. Dopotutto l'aveva abbandonata.

"Avevo pensato anche di abortire, sai. Ma poi non l'ho fatto. Non so perché." Aggiunse Danielle.

"Questo sì che è un brutto colpo." Disse Elsa aggrottando le sopracciglia.

"E non hai un nome." Disse Danielle dopo un po'.

"Cosa? Ma cosa ti costava darmi un nome? Uno a caso, non c'era bisogno di sprecarsi!" Ora Elsa si stava innervosendo per davvero. Fece dei respiri profondi e mandò mentalmente un insulto a Ed perché non era lì. Ed era l'unico capace di calmarla e farla ragionare in ogni momento. E invece era rimasto a dormire.

Sbuffò sonoramente e ripose la domanda che aveva fatto all'inizio.

"Mio padre?"

"Mh. Devi proprio saperlo?" Chiese Danielle tossicchiando imbarazzata.

Elsa la guardò storto.

"Tu che dici?"

"Ok. Beh tuo padre è..." Lo sguardo di Danielle corse verso la porta, dove Neal aspettava che finissero di parlare. "Neal." Disse infine guardando in terra.

Elsa smise di camminare e si passò una mano sulla faccia.

La situazione stava diventando decisamente troppo intrecciata per i suoi gusti.

Sembrava decisamente troppo un telefilm scadente.

"Neal?" Sentì la sua stessa voce chiedere in un sussurro.

In quel momento Neal si avvicinò un po' incerto verso di loro.

"Lo sa?" Chiese Elsa rapida sotto voce.

Danielle scosse la testa e lo guardò con aria un po' spaventata.

"Diglielo." Ordinò Elsa con il tono che non ammetteva repliche.

"Ho sentito dei rumori sospetti da fuori, forse è meglio se ci allontaniamo per un po'." Disse l'oggetto della conversazione raggiungendole.

Elsa fissò sua madre a lungo prima che quella si decidesse ad aprire la bocca rivolta a Neal.

Elsa si allontanò di qualche passo, mentre sentiva sua madre che parlava con suo padre.

Che cosa incredibile da dire. Per ora l'unica volta in cui era riuscita a mettere madre e padre nella stessa frase era per dire: mi hanno abbandonata.

Ora invece stavano parlando.

Elsa si sedette in terra a gambe incrociate e fece un po' di calcoli. Dovevano essere davvero giovani quando era nata. A malapena maggiorenni.

Non le importava più di tanto che la avessero abbandonata, aveva imparato ad accontentarsi di ciò che le veniva dato dalla vita, e la sua vita le piaceva molto.

Si girò verso Neal e vide che anche lui era a bocca aperta.

Elsa si alzò in piedi e cercò di mettere in fila le idee.

Poi sentì dei fruscii strani fuori dalla porta. Chiuse gli occhi, concentrandosi su cosa sentivano le orecchie. Adesso c'era un silenzio totale.

Guardò preoccupata verso Neal e Danielle e li vide smettere di parlare.

Fece velocemente qualche passo indietro, ma non ebbe il tempo di allontanarsi molto dalla porta che questa venne spalancata dall'esterno e una ventina di uomini armati entrarono di corsa.

"FBI! Non muovetevi!!" Urlò un uomo entrando.

Elsa imprecò sorpresa, ma restò immobile.

"Fermo Peter!" Sentì da dietro la voce di Neal. Di suo padre. Si corresse mentalmente.

"Neal! Ti cerchiamo da delle ore! Perché non rispondi al telefono?" Disse l'uomo con la faccia preoccupata

"Peter. Tranquillo, sto bene." Rispose subito Neal cercando di distrarlo, purtroppo senza successo.

"Questa è uno dei quadri rubati alla galleria di arte moderna qualche mese fa." Notò infatti l'agente.

Gli agenti si affrettarono a bloccare Danielle, che stava cercando di scappare passando inosservata e ammanettarono lei e Elsa, ancora troppo scossa dalle recenti notizie per reagire.

Imprecò sottovoce quando si accorse di non avere l'auricolare nell'orecchio e di non poter contattare Margot e Ed.

Chiuse gli occhi quando Peter le si avvicinò e le sfilò gli occhiali da sole.

"Sono pronto a scommettere che te sei Elsa, la nostra ladra." Disse guardandola soddisfatto.

"Provalo." Disse lei con aria di sfida, nel frattempo tirò fuori una forcina dalla tasca dietro dei pantaloni, dove le teneva spesso e iniziò a forzare la serratura per liberarsi. Doveva riuscire a scappare prima che la facessero salire in macchina.

Neal la guardò accigliato e Elsa era sicura che avesse notato la forcina, ma non disse niente.

Nascose con un colpo di tosse il rumore delle manette che si aprivano e tenne le mani dietro la schiena per non far notare che si era liberata.

Un agente la prese per un braccio e la portò fino alla macchina, sotto lo sguardo preoccupato di Neal e di Danielle.

Arrivata a pochi passi dall'auto, mentre un altro agente apriva lo sportello, Elsa si liberò con uno strattone.

"Ci vediamo papà!" Disse a Neal con un sorriso, facendo bloccare gli altri agenti per lo stupore.

Tirò un calcio nello stomaco ad un agente che si stava avvicinando e corse al riparo, infilandosi in un bar dietro l'angolo per non farsi vedere. Per sicurezza si infilò nel bagno, sapendo che non vi avrebbero cercato a lungo.

Dopo qualche minuto uscì tranquillamente dal bagno, rubò un telefono dalla tasca di un signore e digitò in fretta il numero di Margot.

"Elsa. Sto dormendo." Rispose lei dopo qualche minuto.

"Sì. Sveglia Ed e digli di venirmi a prendere al magazzino di mia madre. Con discrezione magari. È pieno di agenti dell'FBI." Disse sottovoce riattaccando subito dopo.

Rimise il telefono in tasca al signore e cercò di mimetizzarsi ordinando una brioche.

Edward arrivò pochi minuti dopo, entrò tranquillamente nel bar e prese un caffè.

"Cavoli, ma gli agenti sono così svegli anche di prima mattina?" Chiese con uno sbadiglio.

"Sono le undici." Gli fece notare Elsa.

Lui la guardò in faccia per bene dopo aver sentito il tono scocciato e uscirono insieme dal bar, cercando di non farsi notare. Una volta raggiunta la macchina Ed si mise alla guida e mentre tornavano a casa si fece raccontare tutta la storia.

 

"Neal, devi dirmi qualcosa?" Chiese Peter dopo pochi secondi di inseguimento in cui avevano già perso la loro sospettata.

Neal guardava le manette che Elsa aveva buttato in terra con un lieve sorriso.

"Neal! Sbaglio o ti ha chiamato papà?" Peter ottenne l'attenzione di Neal solo dopo qualche secondo.

"È nostra figlia." Disse Danielle accanto a lui, le manette ancora ai polsi.

"Io non lo sapevo." Si affrettò ad aggiungere Neal davanti allo sguardo stupefatto di Peter.

"Andiamo in ufficio." Disse Peter facendo salire i due sulla sua auto.

"Ieri sera era a cena a casa mia e Mozzie le ha trovato l'indirizzo di quel magazzino." Stava spiegando Neal nella stanza degli interrogatori un'ora dopo.

"Era a casa tua? E perché non me l'hai detto?" Lo interruppe Peter.

"Non è mica scema! Secondo te sarebbe venuta se ci fosse stato un agente dell'FBI in giro? Già prima di scoprirsi il volto davanti a me ci ha messo due giorni." Rispose Neal.

"Ah quindi potevi già darci un identikit ieri." Neal notò che Peter si stava iniziando ad arrabbiare, ma continuò a parlare.

"Allora stamattina sono andato lì ad aspettarla e abbiamo parlato con Danielle, che ha detto che io sono il padre. Non la vedevo da circa quindici anni." Concluse Neal.

"Dovevo aspettarmi qualcosa di sospetto quando ieri sera hai detto che non potevi venire a cena da noi." Sospirò Peter.

"Non ho fatto niente di illegale!" Protestò Neal ripassando mentalmente la giornata precedente. "Almeno credo."

"Lasciamo stare. Preparati per stasera. Oggi pomeriggio devi dare ripetizioni ad una ragazzina. Organizziamo il piano." Decise Peter.

"E con Elsa che farai?" Chiese Neal preoccupato.

"Non lo so." Disse solo Peter. "Lo sai che dovresti metterla sulla buona strada vero?" Aggiunse dopo qualche secondo.

Neal annuì brevemente.

"Sì, ma non mi darei retta se fossi in lei. Neanche essendo me mi do retta." Osservò poi.

"Due genitori criminali che non ha mai visto ed è una delle ladre più note al mondo." Sospirò Peter. "Il sangue non è acqua." Si ripromise di chiedere un consiglio a Elisabeth, sapeva sempre cosa fare.

"Neal ha una figlia?!" Fu la prima reazione di Elisabeth alla notizia. "E come l'ha presa?"

"Non gliel'ho chiesto." Disse Peter scrollando le spalle. "Da quel che ho capito non è che tra lui e la madre ci fosse questo profondo amore."

"Devi assolutamente parlargli. Non sono notizie che si assimilano così in fretta, sai?" Spiegò Elisabeth.

"D'accordo, ma che faccio? Non mi ha dato l'identikit, ma anche io l'ho vista in faccia per qualche secondo. E Neal non vuole disegnarla." Chiese Peter.

"Lo capisco." Commentò Elisabeth.

"Ma è intralcio alla giustizia!" Protestò Peter.

"Ma è sua figlia. Non puoi pretendere che te la consegni con le manette ai polsi. Trova un compromesso." Suggerì Elisabeth con un lieve sorriso. "Voglio conoscerla." Aggiunse poi andando in cucina a preparare la cena.




Ta Daaaan!!!
Colpo di scena.
Questa era l'idea principale sulla quale è basata l'intera storia.
Non so se le età corrispondono con precisione, ma... facciamo finta che torni tutto alla perfezione.
In questo capitolo il rapporto tra Neal e Peter è messo a dura prova ancora una volta. Mi piace il modo in cui si fidano e non si fidano allo stesso tempo l'uno dell'altro e ne ho approfittato per scriverne un po'. E poi mi piaceva l'idea di far apparire anche Elisabeth nella storia e mi sembrava perfetta per il ruolo di pacificatrice.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Per il prossimo aggiornamento ci sarà da aspettare un po', perché per qualche giorno non avrò la connessione a internet.
A presto
Ledy Leggy

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Capitolo 5
*** Love The Way You Lie ***


Capitolo 5

Love The Way You Lie

 



 

Neal arrivò nel suo appartamento solo a pomeriggio inoltrato.

Provò a riposarsi un po' perché si sentiva distrutto, ma non riusciva a dormire, perciò si limitò a disegnare, mentre pensava.

Era rimasto abbastanza deluso dalla poca comprensione di Peter, ma si era comunque rifiutato di fare l'identikit per lui. Piuttosto che se lo facessero da soli.

Non avrebbe aiutato l'FBI a catturare sua figlia. Non solo perché era sua figlia, ma anche perché era una persona per bene, una brava ragazza e aveva un carattere allegro che a Neal piaceva troppo.

Con lei era andato subito d'accordo, anche se lo aveva rapito. Era stata gentile e comprensiva, ma era anche forte e dura all'occorrenza. E Neal si ricordava perfezione i movimenti fluidi con cui aveva messo a terra gli agenti quella mattina. Conosceva di sicuro qualche arte marziale.

Dopo un bel po' di riflessioni e di dipinti, Neal decise che le doveva parlare.

Non voleva essere il padre che non aveva avuto, anche perché non si sentiva un buon padre, non era esattamente un buon esempio, ma poteva essere un amico.

La mattina dopo si alzò presto e chiamò Peter, spiegandogli che non stava bene e che non sarebbe andato a lavoro.

Andò a piedi fino alla casa dove Elsa l'aveva portato quando l'aveva rapito e restò un po' fuori a guardare.

"Sei in contemplazione?" Chiese la voce di Mozzie da dietro.

"Che ci fai qui?" Chiese lui girandosi.

"Miss FBI mi ha chiesto di venire a vedere come stai." Spiegò lui con un sorriso. "Sei entrato nel fantastico mondo dei padri che cambiano il pannolino e si preoccupano per i bambini." Commentò poi.

"Guarda che Elsa ha... non so quanti anni, ma è quasi maggiorenne." Ribattè Neal.

"Dettagli. Forse stava meglio senza genitori." Aggiunse Mozzie.

Neal lo guardò storto.

"Vuoi che ti dia la mano e che ti accompagni per la porta?" Chiese poi scherzando.

"Non so nemmeno se stanno ancora qui. Hanno detto che si trasferivano." Spiegò Neal.

"Allora sono ancora lì." Decise Mozzie.

"Aspetta." Neal indicò a Mozzie una ragazza che correva. "Lei è Elsa."

Elsa stava correndo a casa dopo la sessione di jogging quotidiana.

"Tu faresti mai jogging? Io no." Commentò Mozzie.

Neal sbuffò e la guardò mentre entrava in casa facendo stretching.

Gli somigliava? Occhi e capelli erano all'opposto, ma l'altezza...

Scosse la testa come a scacciare quei pensieri e si avviò con Mozzie verso la porta.

Suonò il campanello e aspettò che aprissero. Sentì qualcuno che si avvicinava alla porta e probabilmente guardava dallo spioncino, poi dopo qualche secondo Ed aprì la porta.

"Entrate. " disse sottovoce, poi si affacciò fuori dalla porta per vedere se c'erano agenti. Non trovando nessuno sorrise soddisfatto chiudendo la porta e dichiarando: "Sono puliti!" A vantaggio dell'altra ragazza, Margot, che li guardava male dal salotto.

"Elsa!" Chiamò Ed. "Ci sono visite."

"Aspetta!" Arrivò la sua voce dall'altra stanza. "Sto cercando di scassinare la cassaforte. Non ricordo il codice."

Mozzie trattenne a stento una risata, mentre Neal andava nell'altra stanza per dare una mano.

Neal la trovò ancora in tenuta da jogging, in piedi accanto ad una cassaforte, mentre la apriva con un sorriso soddisfatto.

"Finalmente." Disse Elsa.

Poi, dopo aver preso un mazzo di banconote, si girò e vide Neal.

"Ciao." Disse un po' imbarazzata.

"Ciao." Rispose lui sorridendo. "Scusa, forse non dovevo venire." Disse dopo un po', girandosi verso la porta.

"No aspetta!" Lo bloccò Elsa prendendolo per un braccio. "Io... sono contenta che sia tu mio padre." Disse guardando in terra per l'imbarazzo. Poi lo lasciò e fece qualche passo indietro, con un'espressione sollevata.

All'improvviso si ritrovò stretta in un abbraccio. Dopo i primi istanti, anche lei abbracciò Neal, poggiando la testa sul suo petto e annusando il suo profumo.

Poi si staccò lentamente.

"Scusa. È che è tutto così strano." Spiegò Neal.

"A chi lo dici. Fino a ieri non conoscevo nessuno dei miei genitori..." Fece notare Elsa sedendosi su una sedia. "Mettiamo subito in chiaro una cosa. Non pretendo che tu diventi all'improvviso mio padre, e ad essere onesti, non lo voglio nemmeno. Voglio solo... non lo so, che tu sia un po' più presente di mia madre. Mi accontento anche di una chiamata l'anno." Disse Elsa attorcigliando il ciondolo che portava al collo per il nervosismo.

"Senti, non sarò certo il padre dell'anno. Mi sento ancora un ragazzo, sono irresponsabile e senz'altro non sono un buon esempio, ma sarò sempre presente per te quando avrai bisogno di aiuto." Disse Neal, l'aspetto decisamente più rilassato di Elsa.

I due si sorrisero.

"Chiamami in ogni momento quando hai bisogno di aiuto." Aggiunse poi Neal.

"Anche tu." Ribatté Elsa.

Dopo quel dialogo raggiunsero gli altri in salotto, dove Mozzie e Margot avevano già legato sotto allo sguardo stupefatto di Edward.

"Chi prepara il pranzo?" Chiese Elsa battendo le mani per attirare l'attenzione di tutti.

Ed assunse uno sguardo scocciato mentre si dirigeva verso la cucina.

"Perché lo chiedi ancora? Puoi dirmi direttamente di cucinare." Fece notare.

"Se preferisci posso ordinare dal cinese." Disse Elsa affacciandosi alla porta della cucina.

"Ti do una mano io." Disse Neal con sorpresa di tutti, entrando in cucina e affiancando Edward.

"Bene. Allora io apparecchio." Si offrì Margot, mentre Mozzie si sedeva su una sedia. "Elsa, togli i piani dal tavolo." Disse iniziando ad ammucchiarli.

"Ferma!" La bloccò subito Elsa con un urlo che fece girare tutti verso di lei. "Sono più di cinquanta piani, se li disordini poi non capisco più niente!" Spiegò prendendo le mappe sul tavolo e rimettendole in ordine.

"Cosa sono?" Chiese Mozzie incuriosito.

"Le piante dell'edificio dell'FBI in cui sono contenuti i miei occhiali da sole. Stavamo pensando di fare una visitina." Rispose Elsa.

"Vi opponete al sistema?" Chiese Mozzie rizzandosi sulla sedia.

"Era solo un'idea. Così recupera i suoi amati occhiali da sole ed elimina un paio di vecchie prove su cui non hanno trovato niente, ma su cui potrebbero trovare qualche impronta se capissero come smontarle." Spiegò Margot apparecchiando la tavola.

"Siete stati voi a fare le frodi di sei anni fa a quel riccone di Bordeaux?" Chiese Ed curioso mentre iniziavano a mangiare.

"Non ammetto niente." Rispose Neal con un sorriso soddisfatto che diceva sì. "È l'a b c del truffatore." Aggiunse poi.

"Come se non lo sapessimo." Rise Elsa.

"Adoro il vostro accento francese." Rise Neal sentendo la pesante cadenza in quella frase.

"Adoro il modo in cui menti." Ribatté Elsa sottolineando l'accento ancora di più e facendo ridere tutti quanti.

Furono interrotti da telefono di Neal che squillava.

"È Peter, devo rispondere." Disse quello dopo aver letto il nome sullo schermo.

Sia allontanò un po' dal salotto e rispose.

"Pronto."

Mentre in tavola era calato il silenzio a parte per il tintinnio delle forchette nei piatti.

"Lasciami un po' di privacy!" Si sentì la vice di Neal protestare.

"No, non sono a casa. Ma scommetto che sai già dove sono."

"Esatto."

"Veloci, ci serve una scusa plausibile per ciò che sta facendo." Sussurrò Mozzie.

Quattro menti criminali si misero all'opera.

"Sono..." Neal guardò preoccupato verso di loro.

Margot si alzò in piedi velocemente e gli strappò il telefono di mano.

"Adesso basta! Se continui con queste chiamate a cena, non ti invito più. È un appuntamento dopo tutto!" Disse con un pestato accento francese tenendo il telefono ad una certa distanza, ma facendo in modo che Peter la sentisse.

Neal riattaccò in fretta scusandosi.

Dopo un secondo di silenzio tutti scoppiarono a ridere.

"Margot sei favolosa." Disse Elsa tra una risata e l'altra asciugandosi le lacrime agli occhi.

"Mi sembrava una scusa perfetta." Sì giustificò lei.

"Finché sono dette con naturalezza e sono plausibili, tutte le scuse sono perfette." Ribattè Ed scrollando le spalle.

"Meglio se somigliano alla realtà." Aggiunse Elsa.

"Non è mica detto!" Intervenne Margot. "Ti ricordi quella volta che hai distratto la guardia del parco raccontandogli che ti erano cadute le chiavi di casa nella vasca dei piragna?" Rise Margot.

"Oh già. A mali estremi, estremi rimedi. L'ho lasciato con i guanti a frugare tra i pesci." Ricordò Elsa mentre gli altri ridevano. "Chissà che fine ha fatto."

"Non farà lo stesso errore un'altra volta." Dichiarò Edward.

"Attenta, se verrai catturata sarà il primo a testimoniare contro di te." Scherzò Neal.

"Beh, tu ti sei fidanzato con Sara, che aveva testimoniato contro di te." Fece notare Mozzie.

"Puoi stare tranquillo Moz, era troppo vecchio per me." Rise Elsa.

Dopo essere passati a mangiare il dolce, Ed cambiò argomento.

"Allora, quali sono i vostri progetti per il futuro?"

"Andarmene su un'isola." Rispose subito Mozzie.

"Quanti soldi hai?" Chiese Margot curiosa.

"Ho abbastanza." Rispose Mozzie senza sbilanciarsi troppo. "Ma prima devo convincere Neal."

"Hai abbastanza soldi pere vivere su un'isola e non lo fai?" Chiese Margot sconcertata.

"Dovrei abbandonare New York per sempre." Spiegò Neal.

"Dopo essere vissuti a New York, dopo aver fatto della città la vostra casa, nessun altro luogo potrà più reggere il confronto." Citò Elsa con un mezzo sorriso.

"John Steinbeck." Riconobbe subito Mozzie.

"Non è per New York. È per la vita che ho qui. Per gli amici, i nemici. A New York c'è il mondo intero." Spiegò Neal pacatamente.

"Vedrai che al momento giusto farai la scelta giusta." Lo confortò Margot.

"Lasciala stare, è il suo mantra." Disse piano Ed.

"Secondo Peter il mio deve essere: concentrarsi sul lavoro." Sorrise Neal.

"Cosa hai combinato?" Chiese Margot curiosa.

Furono interrotti da un bip proveniente dalla stanza accanto.

"Dite che c'è un ospite indesiderato?" Chiese Margot sottovoce.

"Magari è il gatto del vicino." Rispose Elsa, sempre sussurrando.

"Il vicino non ha un gatto. Lo sapresti se fossi stata a casa per un po' più di dieci minuti." Le sussurrò di nuovo Margot.

"E da quando in qua i gatti fanno bip?" Sì intromise Edward.

"Okay, vado a vedere." Disse Elsa alzandosi in piedi.

"Siamo tutti con te." Rispose Margot tornando a mangiare tranquillamente.

Elsa uscì in punta di piedi e si diresse nell'altra stanza.

Dopo due minuti si sentì uno schianto seguito da una lunga serie di bip.

I commensali sobbalzarono.

"Margot! Non funziona più il fax!" Urlò Elsa dall'altra stanza.

Margot finì con calma il suo piatto e raggiunse Elsa nell'altra stanza.

"Lascialo stare. Prendendolo a botte non risolverai niente." Furono le ultime parole che sentirono prima che chiudesse la porta.

"Non fatevi impressionare. È bello lavorare con loro. Anche se ogni tanto risulta un po' stressante..." Disse Edward piano.

"Sono brave nel loro lavoro?" Interpretò Mozzie.

"Margot è la migliore con la tecnologia, mentre Elsa è la più agile del gruppo." Spiegò Ed con una scrollata di spalle. "È lei la ladra sconosciuta, come l'hanno chiamata i telegiornali, che si è arrampicata fino al cinquantesimo piano di un grattacielo a Las Vegas. All'esterno è chiaro. E dopo è riuscita a scappare nonostante le auto della polizia che lo circondavano." Raccontò ancora.

"Forse quello è merito dell'elicottero che tu stavi pilotando." Intervenne Elsa rientrando in cucina.

"Sì beh, io non mi sarei mai arrampicato." Ribatté Ed.

"Neal, per sostituire un Dégas sotto gli occhi dell'FBI, si è lanciato da un grattacielo con un paracadute." Intervenne Mozzie a quel punto.

"Ecco questo non l'avrei fatto." Disse Elsa con un brivido. "Odio quella sensazione in cui lo stomaco sembra restare metri sopra quando cadi."

"Era l'unico modo." Spiegò Neal.

"E nessuno ti ha visto atterrare per la strada?" Chiese Ed interessato.

"A New York sono abituati a tutto." Sorrise Neal.

"Fatto." Annunciò Margot tornando nella stanza. "Nessuno usi fax, stampante o fotocopiatrice per le prossime due ore."

"Perché? Volevo ristampare la patente di Ed... scade in questi giorni." Disse Elsa seccata.

"La stampi più tardi." Disse semplicemente Margot.

Appena finirono di mangiare presero i piatti e sparecchiarono.

"Grazie per il pranzo." Disse Neal una volta sulla porta.

"Non c'è di che. Sei te che hai cucinato." Sorrise Elsa.

"Se hai bisogno di aiuto con qualsiasi cosa, fammi sapere ok?" Disse Neal lasciandole il suo numero di telefono.

"D'accordo." Disse Elsa salutandolo.

 

 

 

 

Angolo dell'autrice:

Un aggiornamento veloce prima di ripartire!

Spero che apprezziate, fatemi sapere cosa ne pensate.

A presto

Ledy Leggy

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Capitolo 6
*** Identikit ***


Capitolo 6

Identikit

 





 

 

Un paio di giorni dopo Neal ricevette una sua chiamata. Rispose tranquillamente mentre era in ufficio, dato che non riconosceva il numero.

"Avrei bisogno di un aiuto." Disse la voce di Elsa in un bisbiglio non appena rispose.

"Che stai facendo?" Chiese preoccupato, mentre Peter si avvicinava alla sua scrivania.

"Non è che potresti chiamare il tuo collega che custodisce le prove della periferia di New York e distrarlo un attimo?" Chiese Elsa sempre sottovoce. "Dovrebbe girarsi dall'altra parte."

"In che edificio sei?" Chiese Neal cercando in rete i numeri di telefono.

"Non nel tuo tranquillo. Sono più a Nord." Sussurrò ancora Elsa.

Per l'esattezza in quel momento era aggrappata ad uno scaffale senza toccare terra e cercava di non farsi vedere dall'uomo alla sorveglianza.

"Mi basta qualche secondo. Ho già preso tutto, devo solo uscire."

Neal salutò con un cenno Peter che gli passava davanti e prese con disinvoltura il telefono dell'ufficio per chiamare la sorveglianza delle prove.

"Dice che non trovano una scatola di banconote false." Mimò a Peter che lo guardava incuriosito.

Peter annuì e andò a parlare con Jones.

"Salve, sono il consulente Neal Caffrey. Sto cercando delle banconote false... di qualche giorno fa. Le avete lì?" Chiese restando in linea con Elsa sul cellulare.

"Perfetto. Grazie." Sentì sussurrare e poi riattaccare.

"Ah, d'accordo nessun problema." Rispose all'uomo che rispondeva negativamente. Poi riagganciò anche con lui.

"Tutto a posto." Disse a Peter che gli si stava avvicinando.

"Mh." Peter lo guardò con sospetto e Neal sorrise. "Dovresti scrivere il rapporto sull'altra mattina, nel magazzino." Disse poi mettendogli sulla scrivania un plico con dei fogli. "E poi faremo quell'identikit di Elsa." Aggiunse, senza aspettare una risposta si diresse verso il suo ufficio.

Neal iniziò a compilare il rapporto, poi arrivato a metà decise di fare una pausa e ne approfittò per chiamare Elsa.

"Grazie per l'aiuto." Fu la prima cosa che gli disse non appena rispose.

"Figurati. Ha ripreso gli occhiali da sole?" Chiese curioso.

"Sì, i miei piccoli tesori. Fra circa mezz'ora vi arriverà la notizia del furto." Rispose Elsa.

"Le telecamere?"

"Evitate tutte con cura."

"Senti, sto scrivendo il rapporto dell'altra mattina e Peter mi ha chiesto di fare il tuo identikit." Iniziò Neal.

Elsa sospirò, poi Neal la sentì dire qualche parola, probabilmente a Margot o a Ed.

"Allora fallo." Disse infine.

"Sicura?" Chiese lui.

"Sì, tanto avevo intenzione di darmi alla macchia per un po', di prendermi una pausa." Rispose Elsa. "E poi non voglio metterti nei guai."

"D'accordo." Neal fece un mezzo sorriso. Non voleva rovinare del tutto il suo rapporto con Peter a causa di un identikit. Sapeva che dopo il rapimento di Elisabeth era un miracolo se gli rivolgeva ancora la parola.

"Piuttosto, sei sicuro che il tuo telefono sia sicuro?" Chiese Elsa interrompendo i suoi pensieri. "Non vorrei che rintracciassero il segnale fino a casa mia..."

"Mozzie l'ha controllato ieri, era pulito." Rispose Neal.

"Okay, allora siamo a posto. Grazie per avermi chiamata." Salutò Elsa.

"Ci vediamo." Rispose Neal riattaccando. Rientrò in ufficio al ventunesimo piano e trovò Peter che lo aspettava.

"Che c'è?" Chiese sedendosi alla sua scrivania e riaprendo il rapporto dove l'aveva lasciato.

"Andiamo adesso a fare l'identikit. Vieni nel mio ufficio e inizia a disegnare." Gli disse Peter.

Neal seguì gli ordini e iniziò a disegnare la faccia di Elsa.

Pian piano notava le somiglianze con Danielle, al momento trattenuta in carcere, e anche quelle con se stesso. Notò la somiglianza nella forma del viso e nella forma degli occhi, mentre il colore sia della carnagione che dei capelli era uguale a Danielle.

Finì il rapido schizzo, 'dimenticandosi' per caso di qualche dettaglio, sicuro che tanto Peter non se ne sarebbe accorto.

A disegno concluso Peter gli sorrise.

"Sai, lo apprezzo." Disse prendendo in mano il disegno e guardandolo con soddisfazione.

"Promettimi una cosa." Disse Neal, anche lui osservando il disegno con una punta di tristezza. "Se un giorno la prenderai, non essere troppo duro con lei." Detto questo, senza aspettare una risposta, Neal uscì dall'ufficio e si sedette alla scrivania, tornando a compilare il suo rapporto.

Peter nel suo ufficio sorrise, scoprendo quel lato preoccupato per gli altri che Neal tendeva sempre a nascondere.

 

Qualche giorno dopo Neal aveva la convocazione in cui avrebbero deciso se commutargli la pena.

Aveva capito che Kramer non aveva buone intenzioni, ma non capiva che cosa voleva ottenere. Cioè sarebbe rimasto con la cavigliera, ma non gli cambiava molto finché restava con Peter. Sperava solo di poter viaggiare e girare per New York senza preoccuparsi per il raggio limite della cavigliera. La sua vita sarebbe stata davvero sua a quel punto.

Mentre passeggiava per le strade di New York sentì squillare il telefono.

"Pronto." Rispose senza nemmeno guardare lo schermo.

"Ciao. Sono Elsa. Sono un po' di fretta, sai un inseguimento di affari, ma Margot mi ha detto di dirti che ha indagato e che Kramer ti vuole portare a Washington. Il che non mi dice niente. Mi puoi spiegare?" Disse Elsa col fiatone mentre correva dietro a qualcuno.

"Kramer è dei crimini d'arte, non vuole che mi revochino la condanna per portarmi a Washington evidentemente." Spiegò Neal.

Dall'altro capo del telefono arrivarono dei tonfi strani, poi calò il silenzio.

"Non può portarti a Washington!" Protestò Elsa dopo poco.

"Invece pare di sì. Avevo chiesto a Margot di fare qualche ricerca." Rispose Neal.

"Mozzie non poteva?" Chiese Elsa stupita.

"Non andiamo molto d'accordo ultimamente." Disse solo Neal.

"Ah. Vedrai che si risolverà tutto." Sì capiva chiaramente che Elsa non sapeva cosa dire.

"Non lo so. Lui vuole partire, ma io voglio restare. E ora sono nei guai, devo riportare il quadro di Raffaello che ho rubato sette anni fa a Sara prima delle sei." Sbottò Neal.

Elsa guardò l'orologio. Le tre e mezza.

"Ce la puoi fare. Se hai bisogno di aiuto sappi che puoi contare su di me." Disse solo.

"Lo so." Rispose solo Neal.

"Poi richiamami e fammi sapere come è andata." Disse Elsa riattaccando.

In quel momento Neal arrivò alla funivia per andare a casa di Ellen e chiamò Peter, sapendo che stava uscendo dal suo raggio. Sarebbero state tre ore faticose.

Alle sei e cinque Neal stava uscendo dalla compagnia di assicurazioni per cui lavorava Sara con un sorriso sulle labbra. Era riuscito a consegnare il dipinto a Sara in tempo e era abbastanza sicuro di ottenere la commutazione della pena.

Sapeva che Peter adesso avrebbe dovuto parlare a suo favore e era abbastanza sicuro che lo avrebbe fatto.

In ogni caso, prima che iniziasse voleva parlargli e ringraziarlo.

Mentre si avviava verso l'edificio, chiamò Elsa.

"Ciao. Consegnato il dipinto?" Chiese subito lei.

"Sì, per un pelo."

"Aspetta ti vedo!" Lo interruppe lei.

Con uno strombettio di clacson attirò la sua attenzione e lo fece salire in macchina.

"A proposito, avevi detto che ti prendevi una pausa, perché oggi pomeriggio inseguivi qualcuno?" Chiese Neal allacciandosi la cintura.

"Sai com'è, un imprevisto... ma raccontami del quadro." Chiese poi.

Mentre Elsa lo accompagnava all'edificio dell'udienza Neal raccontò a grandi linee la storia del quadro dall'inizio alla fine.

"In effetti quel quadro ha portato abbastanza sfortuna, quando l'ho rubato mi hanno catturato; poi non ho potuto rivenderlo e adesso tutta questa storia..." Concluse Neal.

"Sfortuna?" Sorrise Elsa. "Sfortunata sono io, che ho i entrambi i genitori con gli occhi azzurri e io invece li ho marroni per un qualche sfigato gene recessivo. Quel quadro è una maledizione."

Neal scoppiò a ridere mentre Elsa parcheggiava la macchina nel primo posto libero, poi scese e la salutò con un cenno.

Elsa lo lasciò all'angolo prima e aspettò un po' prima di andarsene. Era curiosa di sapere come sarebbe andata, ma sapeva di non poter restare troppo a lungo.

Lo vide camminare allegramente per la strada, girare l'angolo e guardare in cima alla scala con soddisfazione. Quasi con fiducia.

Poi lentamente la felicità svanì.

Guardava in su, adesso era accigliato.

Poi all'improvviso sparì.

Elsa scese dall'auto velocemente. Aveva riconosciuto il trucco, era uno di quelli che usava anche lei quando voleva sparire e non farsi seguire.

Corse per la strada, cercando il posto in cui poteva essersi rintanato.

Lo trovò in un vicolo un paio di strade più avanti, immobile come una statua, a riflettere.

"Andiamo." Disse tirandolo per un braccio. "Non ti stanno ancora cercando."

Lo trascinò fino alla macchina e lo fece sedere al posto passeggeri.

"Devo passare da casa mia." Furono le prime parole che disse appena Elsa si buttò nel traffico di New York.

Elsa guidò fino a casa sua e parcheggiò lì davanti.

Salì con lui fino al suo appartamento, ammirando ancora una volta la vista dalla terrazza, ma restando sull'uscio della porta, come se stavolta fosse di troppo in quell'ambiente.

Lo vide prendere una borsa da dietro un quadro è controllarne il contenuto.

Dopo pochi secondi era di nuovo sulla porta, pronto a uscire.

Risalirono in macchina ancora una volta e Elsa lo portò ancora a casa sua.

"Che ci fa qui?" Chiese Edward stupito vedendolo.

"Edward, Margot! Se uno di voi osa lamentarsi della presenza di Neal può uscire direttamente." Elsa usò il tono che non ammetteva repliche, lo stesso che aveva usato anni prima, subito prima di buttare Ed in acqua nonostante non sapesse nuotare.

I due si zittirono all'istante.

Elsa fece sedere Neal sulla poltrona e lo osservò riflettere. Era stanco e sulla sua faccia si leggeva un tentativo di autoconvincimento.

"Posso aiutarti?" Chiese Elsa sedendosi davanti a lui.

"Mi ero ripromesso che stavolta non sarei scappato." Sussurrò Neal passandosi una mano tra i capelli.

"Perché avevi trovato una famiglia? Peter, Elisabeth, June..." Chiese Elsa.

"Sì, e perché mi sembrava la volta buona per cambiare davvero, per non essere un truffatore. Ma forse è il mio destino."

"Secondo me, se il destino lo vuole, prima o poi tornerai a New York. E solo perché parti non vuol dire che abbandonerai la tua famiglia. E ti do solo un consiglio: se devi partire fallo con almeno un amico. Lo dico per esperienza personale. Se non ci fossero Margot e Ed io non sarei qui da un pezzo. Forse mi avrebbero presa, forse mi sarei costituita... gli amici ci servono a dare il massimo in ogni cosa." Elsa gli si sedette accanto e lo abbracciò. "Parti. Ma qualsiasi cosa ti serva ricordati che hai degli amici."

Si alzò un attimo e andò nella stanza accanto. Tornò un minuto dopo con un telefono in mano.

"Chiamami. Questo telefono è pulito." Glielo mise nel borsone che aveva preso a casa sua.

"Grazie di tutto Elsa." Disse poi Neal. "Se ti serve aiuto chiamami anche te."

"Lo farò." Promise Elsa. Poi uscirono di casa e senza dire un'altra parola Elsa guidò fino all'aeroporto.

Non restò a guardarlo mentre saliva sull'aereo, odiava gli addii. Ripartì in macchina, fiduciosa che un giorno si sarebbero rivisti.

Notò di sfuggita Mozzie che si avviava verso l'aereo dietro a Neal e sorrise.

Quei due insieme erano capaci di qualsiasi cosa.





Angolo dell'autrice:
Ciao a tutti!!
Ecco qui anche il sesto capitolo.
Non so quando potrò aggiornare di nuovo, le mie vacanze sono sempre più improvvisate, quindi... Scusatemi!
Spero che la storia vi stia piacendo e spero di sentirvi in tanti.
Buone vacanze a tutti!
A presto
Ledy

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Capitolo 7
*** Tu Vedi Un Blocco, Pensa All'Immagine ***


Capitolo 7

Tu Vedi Un Blocco, Pensa All'Immagine



 



 

In quel periodo di fuga continua Neal aveva chiamato più volte Elsa.

Avevano parlato un po' delle rispettive situazioni e avevano preso l'abitudine di raccontarsi tutto.

E ora, dopo tutti quei mesi, Neal era di nuovo a New York. In realtà si erano visti all'aeroporto per qualche minuto, quando Neal era arrivato, ma poi fra gli impegni dell'uno e dell'altra (Elsa era dovuta partire per un po' di tempo dopo che Peter si era concentrato su di lei alla partenza di Neal) non erano riusciti a incontrarsi per bene.

E adesso Neal doveva darle la grande notizia.

Si erano dati appuntamento per le cinque da Neal e quest'ultimo aveva sistemato la casa per l'occasione.

Era anche riuscito a buttare fuori sia Peter che Mozzie, che ormai sembravano anche loro coinquilini, quando Elsa suonò.

"Ciao!" Appena entrò si abbracciarono con slancio.

"È bello rivederti." Sorrise Elsa. "Magari adesso Peter sarà troppo impegnato a badare a te per cercare me." Disse entrando e sedendosi in terrazza a godere i primi raggi di un sole primaverile.

Scambiarono un po' di racconti sugli ultimi mesi, poi Neal decise che era arrivato il momento di lanciare la bomba.

"Ho trovato mio padre." Buttò lì.

Elsa lo guardò senza capire.

"Cosa?" Chiese mettendo giù il suo bicchiere.

"Ho trovato mio padre, quasi per caso, mentre indagavo sulla morte di Ellen, te ne avevo parlato no?" Spiegò Neal.

"Sì, ti aveva detto di fidarti di Sam, giusto?" Disse Elsa cercando di schiarirsi le idee.

"Già. Alla fine però ho trovato mio padre, non Sam." Sospirò Neal.

"Non mi hai mai parlato molto di lui." Osservò Elsa riempiendo i loro bicchieri di vino. "Ti va di farlo ora?"

"Posso raccontarti tutto, ma non chiedermi, alla fine, se sto bene. Lo fanno tutti ed è insopportabile. Io sto bene." Disse Neal con tono quasi arrabbiato.

"Non lo chiederò." Promise Elsa con un mezzo sorriso. "So come funziona, conosco le regole." Riempì un po' di più i bicchieri e Neal iniziò a raccontare.

 

Due ore dopo Neal ed Elsa avevano bevuto più del previsto, e sedevano di sghembo sul divano del salotto.

"Non credo di volerlo conoscere." Affermò Elsa incerta.

"Forse neanche io volevo." Disse Neal togliendosi la cravatta.

"No, sai, avere due genitori è già tanto. Mi sento iper controllata. Un nonno sarebbe di troppo." Disse Elsa ridendo e riempiendosi il bicchiere. "Fa strano anche solo a dirlo... non ho mai pensato che avrei avuto un nonno." Disse osservando il livello del vino nella bottiglia.

"Forse dovremmo smettere di bere." Disse Neal interpretando i suoi pensieri.

"Già." Gli dette ragione Elsa. "Al prossimo giro eh?" Aggiunse poi riempiendo anche il bicchiere di Neal, che sorrise accondiscendente.

"Niente nonno quindi." Disse quest'ultimo.

"Almeno finché non scopri se è un assassino." Disse Elsa incerta.

"D'accordo."

Restarono qualche minuto immersi nei loro pensieri, finché qualcuno bussò alla porta.

"Vado io." Disse Elsa vedendo lo sbuffo di Neal.

Si alzò in piedi con calma, ignorando la fretta con cui il visitatore aveva bussato un'altra volta, e aprì la porta.

"Buongiorno." Disse all'uomo che si ritrovò davanti. "O forse buonasera." Sorrise, mentre rimpiangeva di aver bevuto così tanto vino.

"Ho un blocco di marmo per... Neal Caffrey." Disse l'uomo controllando il nome su dei documenti.

"Lo porti dentro." Disse la voce di Neal da dietro la schiena di Elsa.

"Che ci fai con un blocco di marmo?" Chiese Elsa curiosa mentre l'uomo portava il blocco in casa.

"Devo falsificare una scultura di Dubois." Disse Neal mettendo una firma su documento dell'uomo.

"Mi piace Dubois." Disse Elsa, mentre osservava il blocco di marmo da più angolazioni.

"Hai presente il nuovo pezzo che è stato venduto alla galleria qualche giorno fa?" Chiese Neal radunando gli attrezzi da lavoro.

"Ah sì. Edward l'ha definito un falso ben fatto." Disse Elsa scaldando l'acqua per un tè per riprendersi dalla lunga bevuta.

"Ha ragione. Perciò facendo un'altra scultura voglio far uscire allo scoperto il falsario." Spiegò Neal.

"Bene." Elsa bevette un sorso del tè che si era preparata e scrollò leggermente la testa. "Tu lavori e io guardo." Dichiarò soddisfatta. "Sembra rilassante."

"Non vuoi aiutare?" Chiese Neal stupito.

"Non ho lo stesso tocco di Dubois, mi dispiace. Sono un po' troppo rozza in scultura. Al massimo posso darti una mano all'inizio, ma poi devi perfezionare te." Spiegò mentre spingeva il tavolo da una parte per fare spazio intorno al blocco.

"Basta che non si veda che ci abbiamo lavorato in due." Disse Neal.

"Non credo che sia un problema." Sorrise Elsa.

"Vuoi una maglietta che tu possa sporcare senza problemi?" Chiese Neal dopo un attimo di riflessione guardando la maglietta elegante che indossava Elsa.

Lei la guardò a sua volta e annuì brevemente.

Neal frugò in un cassetto e tirò fuori una maglietta bianca e nera a maniche corte per Elsa e una canottiera bianca per sé.

Dopo che entrambi si furono cambiati, tornarono intorno al blocco di marmo.

Elsa prese uno scalpello e guardò il blocco con aria di sfida. Poi osservò gli schizzi che Neal aveva poggiato lì accanto.

"Tu vedi un blocco, pensa all'immagine: l'immagine è dentro basta soltanto spogliarla." Enunciò Elsa. "Michelangelo." Disse poi rivolta a Neal, che la guardava sorridendo.

"Oh lo so." Rispose lui. Prese anche lui uno scalpello in mano e si misero all'opera.

Alle sei e mezza Elsa aveva abbandonato l'impresa, lasciando Neal a rifinire il lavoro mentre lei, dopo una breve spazzata in giro a causa della polvere, si era seduta sul tavolo a guardare.

Non avevano parlato molto nelle ultime ore, si erano limitati a lavorare senza interruzioni, con la porta finestra aperta su New York a dissolvere la polvere che si stava diffondendo ovunque.

"Mi sa che qualcuno sta bussando." Disse Elsa, sentendo dei rumori sopra allo scalpellio di Neal.

Neal si fermò un istante e poi andò ad aprire la porta.

"Neal. Volevo sapere se ti è arrivato il blocco di marmo." Disse una voce familiare.

Non ricordando a chi appartenesse Elsa si sporse oltre la scultura per osservare la scena.

"Oops." Sussurrò notando Peter.

"Disturbo?" Chiese quest'ultimo a Neal entrando nella stanza, mentre il proprietario cercava di mandarlo fuori senza fargli sospettare nulla.

"Oh." Fu l'unica cosa che disse Peter vedendo Elsa.

Elsa rimase seduta sul tavolo sorridendo.

"Salve." Disse senza mostrare il disagio. "Devo proprio andare adesso."

Saltò giù dal tavolo e prese la sua borsa, avviandosi verso la porta.

"Lo sapevo che vi eravate tenuti in contatto." Esultò Peter senza fermarla. "Dove sei stata gli ultimi tre mesi?" Chiese poi curioso.

"Potrei aver fatto dei documenti falsi ed essere andata in Polonia e in Italia." Sorrise Elsa. "O forse no." Aggiunse poi.

"Tale padre tale figlia." Sospirò Peter.

"Poi fammi sapere come va con la scultura." Disse Elsa uscendo e chiudendosi la porta alle spalle.

Peter restò a fissare la porta sconcertato.

"Fammi indovinare." Disse poi. "Ti ha aiutato con la scultura."

"Abbiamo fatto un ottimo lavoro." Sorrise Neal soddisfatto mostrandogli l'opera. "È uno dei miei capolavori migliori."

"Domani lo porteremo al museo è sentiremo gli esperti." Decise Peter. "Perché Elsa era qui?" Chiese poi.

"Abbiamo parlato un po'. E bevuto." Rispose Neal iniziando a pulire la stanza.

"Di tuo padre?" Chiese Peter accigliato.

"Anche." Rispose Neal.

"E come l'ha presa?" Chiese allora Peter curioso.

"Bene. Non era molto scossa." Disse solo Neal.

Peter annuì lentamente.

"Te come stai?" Chiese poi un po' incerto.

"Sai cosa mi piace di Elsa?" Sbuffò a quel punto Neal. "Non mi chiede mai come sto. Non per ascoltare la risposta almeno. Chiede come va solo per abitudine, ma se vuole sapere qualcosa fa una domanda diretta."

"D'accordo, non ti chiederò più come stai." Decise Peter. "Ma dobbiamo trovare quella scatola di prove."

"Mozzie ed io ci stiamo lavorando." Disse Neal semplicemente.

Peter annuì e iniziò ad aiutarlo a pulire la stanza.

 

 

 

 

Angolo dell'autrice:

Pian piano la storia si sta mescolando al telefilm. Ancora non ci sono parti di trascrizione vera e propria, ma più tardi ci saranno e devo ammettere che mi sono risultate molto utili per entrare nei personaggi.

Un grande grazie a tutti quelli che hanno recensito, seguito e messo nelle preferite. E ovviamente anche a chi a solo letto.

Spero di riuscire ad aggiornare presto, ma i prossimi mesi sarà dura accedere al computer, perciò gli aggiornamenti saranno molto irregolari. Ma state tranquilli ché il prossimo capitolo è già scritto e prima o poi arriverà.

Un abbraccio

Ledy Leggy

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Capitolo 8
*** Brutti Giorni ***


Capitolo 8

Brutti Giorni
 

 


 

 

"Qui Elsa. In questo momento non posso rispondere, o più probabilmente ho cambiato telefono, causa: il Grande Fratello. Lasciate un messaggio dopo il beep e forse vi richiamerò."

La segreteria di Elsa si fece sentire per la settima volta in quella giornata.

"Elsa, sono Neal. Devo assolutamente parlarti. È urgente." Disse Neal al telefono per l'ennesima volta. "Rispondi ti prego." Sussurrò poi riattacando.

Era da un po' oramai che Peter era stato arrestato per un omicidio che non aveva commesso. E suo padre era il colpevole di tutto ciò.

Si torse le mani pensando alla proposta che gli era stata fatta da Curtis Hagen.

Valeva la pena di rubare per lui per tirare fuori Peter di prigione?

Ciò che più spaventava Neal era che non avrebbe esitato un istante a rispondere di sì, e sapeva che le decisioni avventate erano quelle che si prendevano con più decisione. Inoltre si rendeva conto che la sua facilità nel decidere di tornare a rubare significava che non teneva particolarmente ad essere un bravo cittadino.

Entrò in casa e posò il cappello sul tavolo.

"Mozzie, che ci fai qui?" Chiese Neal vedendolo seduto sul divano con un calice di vino in mano. Di sicuro un altro dei suoi attentati alla sua riserva.

"Mi preparo a organizzare un piano per rubare quelle monete." Rispose lui.

Neal guardò il telefono un'ultima volta. Elsa ancora non rispondeva.

Imprecò mentalmente. Voleva un parere esterno e distaccato, su cosa avrebbe dovuto fare.

E quella volta non c'era Peter a fermarlo al momento giusto o a fargli uno dei suoi discorsi sulla fiducia nel sistema.

E il problema era che Neal non si fidava del sistema. Come si fa a credere nel sistema quando i colpevoli escono di prigione, mentre gli innocenti rischiano di finire dentro?

Con un ultimo sospiro Neal spense il telefono e si mise al lavoro con Mozzie.

Nel frattempo Elsa era in piedi sul cornicione esterno del terzo piano di casa sua.

Aveva sentito il telefono vibrare più volte da quando l'aveva acceso, ma non aveva potuto rispondere. Diede una rapida sbirciata in casa e notò che l'agente che fino a quel momento era rimasto alla scrivania davanti al suo computer si stava alzando e stava uscendo dalla porta.

Alzò gli occhi al cielo notando che era riuscito a recuperare tutta la cronologia del computer. Alla faccia di Margot che vantava in continuazione la sicurezza della loro tecnologia.

Entrò nella stanza dalla finestra e diede una rapida occhiata al computer.

La cronologia segnava una pagina su come cucinare le quiches, qualche sito per i telefilm streaming, e una pagina sullo scassinamento delle ultime cassaforti sul mercato.

Sorrise soddisfatta e si avvicinò alla seconda finestra della stanza, mentre prendeva i guanti dal terzo cassetto del comodino e se li infilava rapidamente.

Se non ricordava male la seconda finestra, posizionata su un'altra facciata dell'edificio, era perfettamente allineata con una finestra al secondo piano che aveva una terrazza.

Mentre sentiva i passi dell'agente avvicinarsi lungo il corridoio aprì silenziosamente la finestra e, dopo aver guardato verso il basso un po' scettica, saltò giù.

Sentì i legamenti dolerle all'atterraggio, nonostante avesse cercato di attutire la caduta nel poco spazio della terrazza.

Si rialzò velocemente in piedi e si nascose in modo da non farsi vedere da chiunque fosse nella stanza.

A quel punto notò che la gronda passava particolarmente vicina alla finestra e che forse poteva riuscire a usarla come appiglio per scendere fino a terra.

Prese un profondo respiro e, senza guardare in basso, scavalcò la ringhiera della terrazza e iniziò a calarsi.

Non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma l'altezza la spaventava. O meglio, non aveva problemi finché doveva andare verso l'alto, tipo salendo una scala, per quanto instabile potesse essere, ma quando si trattava di scendere era terrorizzata. Soprattutto perché era costretta a guardare verso il basso per sapere dove metteva i piedi.

Cercando di guardare il meno possibile verso la strada, Elsa si calò per i due piani restanti fino a terra.

Quando i suoi piedi toccarono finalmente il suolo, Elsa si appoggiò per qualche secondo alla parete, cercando di regolarizzare il battito del cuore. Poi si allontanò velocemente dalla casa raggiungendo il marciapiede.

Quando una macchina si fermò accanto a lei, pensò di essere stata beccata, ma la voce rassicurante di Edward la bloccò dal correre via. L'amico le fece cenno di salire in macchina, cosa che lei fece subito.

"È la quinta volta che faccio il giro dell'isolato." Sorrise Ed, sollevato. "Dammi buone notizie." La pregò poi.

"Non troveranno le nostre impronte." Disse Elsa contenta. "Ora mi puoi spiegare come mai due ore fa mi è arrivata una chiamata che diceva che l'FBI sarebbe entrata in casa nostra?" Chiese Elsa rilassandosi contro il sedile dell'auto.

"Oh già. Sembra che qualcuno vicino al grande fratello si sia svegliato e abbia controllato il percorso della cavigliera di Neal, hanno trovato che mesi fa era stato qui molto a lungo, hanno fatto due più due e hanno deciso di venire a controllare." Spiegò Ed. "Margot era in contatto con i server dell'FBI e è riuscita a scoprirlo prima. Te perché eri ancora lì?" Chiese poi lui curioso.

"Dovevo finire di ripulire la stanza e quando sono arrivati mi sono nascosta sul cornicione... il resto credo che tu l'abbia visto." Sospirò Elsa.

"Ci serve un nuovo appartamento." Disse Ed.

"Siamo in vena di affermazioni scontate?" Chiese Elsa seccata.

"Siamo un po' nervosi?" La imitò Ed.

"Hai ragione scusa." Disse subito Elsa massaggiandosi le tempie. "Dannazione questa non ci voleva però. Come se non avessimo abbastanza problemi al momento." Sbuffò.

"Troveremo una soluzione." La rassicurò Edward. "E per ora siamo in questo schifo di hotel di periferia." Annunciò parcheggiando davanti ad un edificio sporco e vecchio. "Non fare la schizzinosa proprio ora. Era l'unico dove non chiedevano la carta di identità." Aggiunse vedendo la sua faccia.

"Dici che è il momento di far morire Elsa, Edward e Margot?" Chiese Elsa retorica.

"Non saprei, mi stanno molto simpatici e se la cavano sempre. Però potremmo far finta di farli partire... ho sentito che la Spagna è molto bella in questo periodo." Disse Ed con un sorriso scaltro.

"Dimmi il tuo piano." Disse solo Elsa.

 

"Elsa! Che fine avevi fatto?" Esclamò Neal la mattina seguente rispondendo al telefono.

"Problemi col Grande Fratello." Riassunse lei. "Ho sentito i tuoi messaggi, che è successo?"

"Peter è in prigione accusato di un omicidio commesso da mio padre e per tirarlo fuori ho fatto un accordo con un criminale, che adesso ha un mio video mentre..." Disse Neal spiegando velocemente.

"Aspetta, aspetta. Non ho ancora preso la mia dose di caffè e ho passato la notte a falsificare documenti. Peter è in prigione?" Ripartì Elsa dal principio.

"Sì."

"Peter il tuo capo? Quello dell'FBI? Quel Peter?" Chiese ancora Elsa.

"Sì, perché James ha ucciso un uomo e la colpa è ricaduta su di lui, anche se è innocente." Spiegò Neal, stavolta più lentamente.

"Adesso sono contenta di non aver conosciuto il mio caro nonnino. Ahi questo caffè scotta! Scusa vai avanti."

"Ho fatto un accordo con Hagen, che adesso mi ricatta." Concluse Neal.

"Santo cielo. Che schifo di giornata." Sospirò Elsa.

"A te invece che è successo?" Chiese Neal curioso.

"L'FBI ha invaso casa nostra, ho fatto a malapena in tempo a cancellare le nostre impronte e a togliere il dna. E adesso siamo in uno schifoso motel." Spiegò brevemente Elsa.

"È gratificante sapere che sono dei brutti giorni anche per qualcun altro." Scherzò Neal.

"Già."

"Ora che fate?" Chiese Neal curioso.

"Facciamo partire dei nostri vecchi alias per la Spagna, sperando che li seguano fino a là. Poi aspettiamo che si calmino le acque." Disse Elsa con un sospiro.

"Buona idea." Approvò Neal.

"Sì è di Edward."

"Fammi sapere come va a finire." Disse Neal.

"Anche tu." Rispose Elsa riattaccando.

 

 

"Posso avere delle arance?" Chiese Elsa in inglese al banco del mercato.

L'omino sorrise e gliene porse un sacchetto, dicendo il prezzo rigorosamente in tedesco.

Elsa lo guardò senza capire, poi gli mollò in mano una banconota da dieci euro e si fece dare il resto.

"Non capisco una mazza di tedesco. Eppure è quasi un anno che siamo qui." Sì lamentò Elsa, mentre Margot le tirava una piccola pacca sulla schiena.

"Tranquilla ci penso io. Vai pure a fare un giro, chiama Neal... non lo so." Disse prendendo le buste col cibo e iniziando a parlare in perfetto tedesco con un contadino che vendeva insalata e cavoli.

Elsa si allontanò in direzione del parco in cui si rifugiava quasi tutti i giorni per pensare. Non poteva chiamare Neal perché in America era ancora notte, perciò si limitò a mandargli un messaggio.

Oramai si sentivano molto di rado. Non volevano destare troppi sospetti con lunghe chiamate intercontinentali, né avevano molto tempo a disposizione per parlare.

Elsa aveva sempre sentito il padre di fretta e con poco tempo. Se aveva capito bene era da qualche mese che aveva una nuova fidanzata, una certa Rebecca, che sembrava una tipa a posto, non una criminale.

Dopo poco tempo dal rilascio di Peter, mentre Neal era ancora immischiato nella sua pericolosa situazione di ricatti e furti, i tre soci avevano deciso di tornare per un po' di tempo in Europa, a causa delle piste seguite dall'FBI, che gli aveva creato non pochi problemi.

Giocando a freccette contro un planisfero appeso in camera di Elsa i tre avevano deciso di andare in Germania, con grande gioia di Margot, che poteva sfoggiare la sua ottima pronuncia e con tristezza da parte di Elsa che non capiva un'acca.

Edward aveva provato a insegnarle qualche parola, ma si era rassegnato al fatto che per lei parlare alla perfezione francese, inglese, italiano, spagnolo e giapponese fosse abbastanza.

Il suo cervello non era adatto a imparare il tedesco. O meglio, Elsa era in grado di scriverlo se si concentrava, ma non riusciva a capire gli altri quando parlavano.

Perciò aveva rinunciato. E si era rassegnata a sapere cinque lingue.

Dopo circa otto mesi in Germania non vedeva l'ora di tornare in America, per trovare suo padre e per tornare a parlare inglese.

Con un sospiro prese il cellulare in mano e guardò il calendario, notando che era la settimana sfigata dell'anno.

Ormai da un po' di tempo aveva notato che tutti gli anni intorno a maggio c'era una settimana in cui ne succedevano di tutti i colori.

Un anno per poco non moriva qualcuno, l'anno dopo scopriva che Neal era suo padre, un altro anno Neal scappava a Capo Verde, poi Peter finiva in prigione... la lista sembrava non finire mai.

Quella settimana l'aveva segnata in rosso sul suo calendario e aveva deciso che non sarebbe uscita di casa.

Non che fosse superstiziosa, ma magari c'era una qualche ragione scientifica a tutto ciò, ed era sempre meglio non rischiare.

Così, decisa a non uscire di casa, Elsa andò a sdraiarsi sul suo letto e vi restò molto a lungo, ignara del fatto che quella settimana Rebecca, grande criminale, sarebbe evasa di prigione e avrebbe quasi ucciso Mozzie per far obbedire Neal ai suoi ordini e per rubare il diamante più grande del mondo.

Così Elsa restò a casa, nel suo letto in Germania, mentre Neal, troppo occupato per chiamarla, si indaffarava per catturare la ricercata più pericolosa.







Angolo dell'autrice:

Ciao a tutti!!!
Scusate per il ritardo nell'aggiornare, ma ero in vacanza :)
Vi avverto subito che il prossimo capitolo arriverà più o meno tra un mese. Mi dispiace fare così tardi, ma non potrò toccare il computer fino a fine settembre.
Nel frattempo la situazione si complica sia per Elsa che per Neal.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Buone vacanze (finché durano).
A presto
Ledy Leggy

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Capitolo 9
*** Furto di caffé ***


Capitolo 9

Furto Di Caffè

 

 

 

 

Elsa arrivò all'aeroporto una mattina di settembre. Come al solito per viaggiare si erano separati, stavolta Elsa era stata la prima ad arrivare, Ed e Margot sarebbero arrivati solo nel pomeriggio tardi.

Dopo aver recuperato i bagagli si diresse verso l'uscita dell'aeroporto, guardandosi attentamente intorno.

Non c'era traccia di Neal.

Le aveva promesso che sarebbe andata a prenderla all'aeroporto da due settimane, era strano che non ci fosse.

Lo chiamò sul cellulare per sapere se era in ritardo o se aveva un impegno.

Non rispose.

Eppure il volo era già in ritardo di mezz'ora...

Sbuffò, mentre chiamava il numero che si era ripromessa di non chiamare mai.

"Ufficio dell'FBI, come posso aiutarla?" Chiese una voce sconosciuta.

"Scusi, non è la scrivania di Neal Caffrey?" Chiese Elsa sconcertata, mentre usciva dall'aeroporto e saliva su un taxi.

"Sì esatto." Rispose la voce.

"E dov'è?" Chiese Elsa, domandandosi se stava parlando con un idiota.

"Lei chi è?" Chiese la voce incerta. "Non so se posso divulgare l'informazione..." Aggiunse poi un po' incerto.

Elsa sbuffò impaziente.

"Veda di capirlo, perché gli devo parlare."

"Resti in linea." Disse l'uomo allontanandosi dal telefono.

"Pronto." Disse poi una voce più familiare.

"Peter?" Chiese incerta.

"Aspetta. Tu sei Elsa?" Chiese Peter.

"Non tracciarmi il segnale, sarebbe inutile. Sono su un taxi." Rispose solo Elsa. "Si può sapere che fine ha fatto Neal?" Sbuffò ancora una volta.

"È stato rapito." Disse Peter un po' incerto.

"Cosa?! E da chi?"

"Non lo sappiamo. Senti se vuoi puoi venire in ufficio a darci una mano. C'è anche Mozzie." Sospirò Peter.

"Moz è là?" Chiese Elsa sconvolta.

"Già, incredibile, vero?"

"Arrivo tra dieci minuti. E giuro che se è una trappola troverò il modo di scappare." Aggiunse minacciosa.

"Magari lo fosse." Disse Peter riattaccando.

Dieci minuti dopo, Elsa era fuori dall'edificio dell'FBI. Inforcò gli occhiali da sole e tirò su il cappuccio della felpa, guardandosi intorno con circospezione.

A casa si era procurata il kit da scassinatore e aveva messo le solite forcine in tasca, in caso fosse stata una trappola.

Prendendo un respiro profondo entrò nell'edificio e salì in fretta sull'ascensore.

Salì al ventunesimo piano e camminò in fretta verso la figura di Peter, in una stanza in cima alle scale.

Notò che gli agenti si giravano a guardarla mentre passava, perciò accelerò con disinvoltura, prendendo una tazza di caffè posata accanto alla macchinetta e bevendo con gusto il caffè che conteneva.

Entrò nella sala conferenze, dove c'erano Mozzie, Peter, un uomo e una donna.

"Salve." Disse entrando.

Peter sorrise vedendola.

"Elsa, loro sono Jones e Diana. Elsa è la figlia di Neal." Presentò Peter.

"Che non vorrebbe essere qui." Aggiunse Mozzie.

Elsa fece un mezzo sorriso e si appoggiò al muro accanto a Mozzie, segnando la barriera fra criminali e poliziotti.

"Non so se l'agente Cooper sarà contento che tu gli abbia rubato il caffè." Disse Peter osservando la tazza che aveva in mano.

"Sono reduce da dieci ore di viaggio in aereo, non ho fatto nemmeno in tempo a farmi una doccia che sono stata convocata nell'edificio dell'FBI. L'agente Cooper può attaccarsi anche senza caffè." Sentenziò Elsa.

Nessuno ebbe il coraggio di contraddirla.

"Beh abbiamo fatto progressi sul rapimento di Neal." Intervenne Diana. "Il Kessman Building. Gli edifici sono tutti di proprietà di persone ricche e potenti."

"Perché Neal ci ha portati lì?" Chiese retoricamente Peter. "Jones, che hai scoperto sul sospettato?" Aggiunse poi.

Jones si schiarì la voce e iniziò a parlare.

"Jim Boothe." Sullo schermo davanti agli agenti apparve la scheda con i dati dell'uomo. "Ladro di professione. Un paio di grosse rapine in Europa, furto di un rubino al Burj Khalifa a Dubai, di solito lavora da solo." Elencò Jones.

"Ma parlano sempre con frasi senza verbo?" Chiese Elsa a Mozzie sottovoce.

Lui annuì.

"E' una delle cinque maggiori differenze tra agenti e criminali. Insieme all'onestà, la scaltrezza, la serietà..."

"Ok ho capito." Lo interruppe Elsa con un sorriso.

"Quindi abbiamo un ladro non esperto in rapimenti e un edificio che è più un bersaglio che un rifugio. Non mi torna qualcosa." Disse Peter dopo aver spiegato la situazione. Neal era stato rapito e gli aveva lasciato l'indirizzo di un posto che avrebbe derubato.

Peter, Diana e Jones si girarono verso Mozzie ed Elsa, guardandoli con aspettativa.

I due ricambiarono lo sguardo, sconcertati.

"Adesso Neal avrebbe dato la sua opinione." Spiegò Jones.

"E guardate che fine ha fatto!" Ribatté Mozzie.

Elsa si girò a guardare fuori dalla finestra, mentre Mozzie si alzava in piedi.

"Neal sa dove sta andando." Disse Mozzie avvicinandosi al gruppo di agenti vicini allo schermo a guardare il sospettato. "Alquanto anormale per un prigioniero." Spiegò il truffatore gesticolando per spiegarsi meglio.

"Credi che siano d'accordo?." Chiese Jones, le braccia incrociate sul petto.

"No. Certo che no." Disse Elsa girandosi verso i federali.

"Voglio dire che Neal potrebbe... essersi adattato alla situazione in corso." Spiegò Mozzie.

"Quindi, Boothe vuole un tesoro a cui non può arrivare e Neal lo dirotta verso una cosa più accessibile. Lì dentro chi potrebbe essere un obiettivo?" Chiese Peter.

"Ce ne sono molti, potrei farti almeno sessanta nomi, può essere chiunque di loro." Rispose Diana.

"Già. Allora se non riusciamo a capire chi è...cerchiamo di capire come faranno a entrare!" Decise Peter.

"Voi come entrereste?" Chiese Jones girandosi verso di Elsa e Mozzie.

"Sì, certo! Riconosco una trappola quando ne vedo una!" Esclamò Mozzie sulla difensiva.

"Mozzie non è una trappola!" Intervenne Peter mentre Elsa sghignazzava alle sue spalle.

"Io ve lo dico e voi mi ammanettate per aver avuto l'intenzione di commettere un crimine!" Disse Mozzie.

"Ma non eri un avvocato? Dovresti saperlo che non funziona così!" Diana intervenne, ragionevole come sempre.

"...che sistemi di sicurezza ha?" Chiese a quel punto Elsa, sedendosi al tavolo e prendendo i fogli sparsi e le cartelle e iniziando a disegnare la pianta della zona intorno all'edificio, mentre Mozzie si sedeva di fronte a lei e iniziava a studiare la situazione all'interno.

"I più moderni, guardie agli ingressi, identificazione termica e scansione della cornea per usare gli ascensori." Rispose Jones aprendo un fascicolo e mostrandolo ai due criminali.

"Di sicuro non possono usare gli ascensori, sono troppo sicuri, sarebbero visti." Disse subito Mozzie osservando la proiezione dell'edificio.

"Quindi si introdurranno dal tetto." Completò Elsa frugando tra i fogli fino a trovare la mappa della città e le altezze degli edifici intorno.

"Devi comunque farti riconoscere dagli ascensori." Osservò Jones.

"Certo! La sicurezza vuole impedire alle persone di andare su, ma gli ascensori devono anche scendere. Il codice anti incendio è un amico fedele." Spiegò Mozzie soddisfatto.

"Quando avverrà? Di notte?" Chiese Diana.

"No! Di giorno. La notte la sicurezza è in massima allerta. Durante il giorno non pattugliano gli uffici, e i sensori di movimento sono spenti." Spiegò Elsa scrivendo e disegnando su un foglio.

"Quindi come raggiungeranno il tetto?" Chiese Jones sconcertato.

"Come in Man on Wire." Rispose Mozzie esaltato. Elsa soffocò una risata allo sguardo sconcertato degli agenti. "Nel '74 Philippe Petit usò un arco e una freccia per lanciare un cavo tra le torri del World Trade Center, e vi ci camminò in equilibrio sopra, ma ormai c'è una guardia su ogni tetto, purtroppo. Non ce la farebbero mai." Spiegò Mozzie.

"Hai un altro piano?" Chiese allora Diana.

"Dobbiamo studiare tutte le opzioni." Disse Elsa mostrando a Mozzie un paio di schizzi degli edifici intorno al Kessman che aveva fatto in quel momento e le piante dei vari piani che appartenevano all'FBI.

"Rimetti le immagini del Kessman." Disse Mozzie a Jones. "Per favore." Aggiunse vedendo la sua faccia seccata. "Ingrandisci l'immagine a destra." Chiese poi.

"Ah sì, lo vedo." Disse Elsa con un sorriso.

"Bingo!" Concordò Mozzie.

I federali li guardarono senza capire.

"L'opzione migliore è lanciare una freccia da quell'edificio a quello subito dopo il Kessman." Spiegò Elsa, indicando gli edifici nella foto. "Passando sopra il Kessman."

"E poi useranno una carrucola per raggiungere il tetto e entrare." Concluse Peter capendo improvvisamente.

"Sì, esatto. Uno di loro sarà sul secondo edificio a tenere d'occhio la guardia sul tetto." Aggiunse Elsa.

"Gli servirà l'attrezzatura." Osservò Peter.

"So chi gliela può procurare." Intervenne Mozzie.

"Come si chiama?" Chiese Jones.

"Non posso dirvelo!" Rispose Mozzie subito sulla difensiva.

"Perché no?" Chiese Peter esasperato.

"Neal ci ha chiesto di andare al Kessman Building, non di spifferare il nome di un caro amico!" Rispose Mozzie.

"Elsa?" Chiese Diana richiedendo il suo intervento.

"Ah io non lo conosco questo tizio. E' Ed che si occupa dei contatti." Rispose Elsa alzando le mani in segno di resa.

"Mozzie, stiamo seguendo le molliche di pane. Dobbiamo guadagnare terreno per capire chi abbiamo davanti." Intervenne Peter.

"Neal ci ha portati lì! E' chiaro che ha un piano." Ribatté Mozzie convinto.

"Io non mi attengo ai suoi piani!" Replicò Peter deciso.

"Sei il solito..." Iniziò Mozzie.

"No, Mozzie!" Adesso Peter sembrava iniziare ad arrabbiarsi sul serio. "Niente più scuse. Se vuoi che Neal sopravviva, dovrai dirmi quel nome." Peter sembrava aver toccato il tasto giusto.

"Fat Charlie." Rispose Mozzie a denti stretti, dopo un po' di esitazioni. "Si chiama Fat Charlie." Aggiunse poi davanti alla faccia poco convinta di Peter.

"Devi portarmi da lui." Dichiarò l'agente, convinto.

Mozzie annuì una volta.

"Vengo anche io." Dichiarò Elsa.

Nessuno ebbe il coraggio di contraddirla.

Mozzie ed Elsa si sedettero e riorganizzarono i fogli sul tavolo, iniziando a prendere le misure, mentre Diana, Jones e Peter restarono a guardarli, come incantati.

"Allora è così che organizzano un crimine?" Chiese Jones guardando Mozzie che prendeva le distanze tra due edifici e Elsa che iniziava a calcolare.

Ad un certo punto il cellulare di Elsa iniziò a suonare.

"Pronto?" Rispose quella senza guardare il numero e continuando a calcolare.

"Ah no, non sono all'aeroporto. Andate in taxi." Disse dopo qualche secondo.

"Si lo so. Scusa." Aggiunse dopo aver ascoltato che cosa diceva Ed all'altro capo.

"Un'ultima cosa... da chi andresti per delle attrezzature sul mercato nero?" Chiese smettendo di scrivere.

"Ah ok. Sì l'ha detto anche Mozzie. Ci sentiamo stasera." Disse riattaccando.

"Anche lui ha detto Fat Charlie, vero?" Chiese Mozzie.

Elsa annuì.

"Così impari a non fidarti di me." Disse Moz leggermente offeso.

"Ma io mi fido! Era solo per sicurezza." Protestò Elsa.

I due sbuffarono e tornarono ai loro piani.

 

 

 

 



 

Ciao a tutti!!

Scusate il ritardo nella pubblicazione, ma ho avuto davvero tante cose da fare.

Spero che la storia vi piaccia e aspetto le vostre recensioni. Cercherò di aggiornare a breve.

A presto e buon fine settimana a tutti!

Ledy Leggy

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Capitolo 10
*** Bird Watching ***


Capitolo 10

Bird Watching

 



 

 

"Finalmente l'ho capito!" Esclamò Mozzie per la strada, mentre camminavano.

"Che cosa?" Chiese Peter, l'espressione stanca.

"Perché a Neal piace lavorare con voi! Nel corso di un indagine può pensare a come commettere un crimine, prova il brivido dell'inventiva senza rischiare di finire in carcere!" Mozzie sembrava esaltato dalla scoperta.

"Forse metterò una cavigliera anche a te." Osservò Peter sorridendo.

"E io mi staccherò la gamba a morsi!" Ribatté Mozzie piccato.

Elsa guardò Peter sorridendo. In quei momenti era sicuro che ringraziasse il cielo di aver catturato Neal e non Mozzie.

 

"Ah Ascolta." Disse Mozzie fermandosi di fronte a una porta. "Fat Charlie non è un personaggio facile da trattare. Quindi ti consiglio di lasciar parlare me, d'accordo?"

Peter alzò le mani come a dare piena fiducia.

"Non aprirò bocca." Disse infine.

Mozzie bussò alla porta.

"Mozzie, che cosa vuoi?" Disse il tipo dopo aver aperto una lunga serie di serrature.

"Sei Fat Charlie?" Chiese Peter intromettendosi subito.

"Sì." Rispose quello con un grugnito.

"Sul serio?" Chiese squadrando la sua corporatura per niente grassa.

"Certo, tu chi diavolo sei?"

"Senti Fat." Disse Peter alzando il distintivo, mentre Mozzie chiudeva gli occhi sospirando e Elsa si passava una mano sulla faccia. "Sparisci per ventiquattro ore, non dirlo a nessuno e io dimentico di aver visto questo posto."

Fat Charlie guardò male Mozzie e se ne andò di corsa.

"Si può sapere perché l'hai fatto?" Chiese Mozzie allargando le braccia.

"Non ho tempo di curare le tue pubbliche relazioni." Rispose Peter.

"Ah, non è solo questo. Lui era Fat Charlie! Che succederà quando Boothe e Neal verranno a parlarci?" Chiese Mozzie.

Peter sorrise.

"Ho un piano." Disse poi entrando nella casa.

"Devi ammettere che sa trattare con i criminali." Disse Elsa a Moz, mentre lo seguiva.

"Cosa gli servirà?" Chiese Peter guardando le centinaia di attrezzi nella baracca.

"Questo posto è il mio paradiso." Sorrise Elsa girando tra gli scaffali.

Peter sembrava vagamente disorientato.

"Ma serve tutta questa roba per dei furti?" Chiese ai due ladri.

Mozzie ed Elsa lo fissarono per qualche secondo, poi sembrarono tornare alla realtà.

"Mozzie, passami quella carrucola. Poi gli servirà una fune, una balestra laser di precisione..."

Peter restò a guardare i due che si procuravano oggetti di tutti i tipi.

Elsa si mise a calcolare la lunghezza della corda, la distanza tra gli edifici.

"Guarda che i calcoli li fanno loro." Osservò Mozzie passandole accanto con delle micce.

"Pensa se li hanno fatti male e cascano di sotto!" Disse Elsa continuando a misurare. "Non voglio mio padre sulla coscienza."

"No, questo lo voglio assolutamente." Disse Mozzie intascandosi un filo colorato.

"Mi cerchi un cavo sottile e resistente?" Chiese Elsa senza alzare gli occhi. "Già che siamo a scroccare..."

"Ehi, non potete rubarli!" Protestò Peter.

"Tanto Fat Charlie non vorrà vedermi mai più, tanto vale..." Spiegò Mozzie porgendo il cavo a Elsa.

 

Il giorno del grande furto la squadra di Peter era posizionata tutto intorno al grattacielo, pronti ad ogni evenienza.

"Che ci fai qui?" Chiese Peter vedendo Elsa avvicinarsi.

"Secondo te?" Chiese quella prendendo dei binocoli e puntandoli verso l'alto.

"Dovresti andartene." Le disse lui preoccupato. "Sei troppo coinvolta, non voglio che tu faccia qualche stupidaggine."

"Guarda che sei più coinvolto te di me. Lo conosci da più tempo e passate più tempo insieme." Fece notare Elsa. "Ah ecco la fune. Ora parte." Aggiunse poi, sempre guardando in alto.

"Da qua." Disse Peter prendendo i binocoli e puntandoli verso il cielo. Neal si lanciò, Elsa poté solo vedere un puntino nero che scivolava veloce lungo la fune.

"Ho i brividi per lui." Disse Elsa con empatia improvvisa.

"Cosa state guardando?" Chiese una nonnina che passava di lì e che li aveva visti col binocolo in mano.

"Facciamo bird watching. Dice che su quel grattacielo ci sia il nido di un uccello molto raro, ma ancora non abbiamo visto nulla." Recitò Elsa con una faccia innocente.

La nonnina annuì soddisfatta e continuò per la sua strada, mentre Elsa ridacchiava e Peter la guardava male.

"È dentro." Si limitò a dire Peter, senza commentare l'avvenimento.

"Hai il controllo delle telecamere?" Chiese Elsa riprendendo i binocoli e puntandoli contro le finestre.

"Nel furgone." Rispose Peter indicando con un cenno della mano un furgone bianco all'angolo.

"Quindi che sapete voi federali delle Pink Panthers?" Chiese Elsa dopo poco.

"Te come sai che sono loro? Non ti ho fatto vedere il biglietto di Neal." Chiese Peter guardandola storto.

"Era ovvio, e ho i miei informatori anche io." Sorrise Elsa.

Dopo pochi minuti salirono sul furgone e trovarono Diana e Jones attaccati agli schermi dei loro computer. Mozzie invece era tra di loro, ammanettato a un palo che sporgeva dal tavolo.

"Metteva le mani su tutto." Disse Diana non appena entrarono nel furgone.

"Non volete che questa attrezzatura venga modificata per un maggiore..." Iniziò Mozzie agitando il braccio ammanettato.

"Non ci interessa." Lo interruppe Jones.

"Boothe deve aver fatto da palo dall'edificio che Neal ha colpito con la freccia." Intervenne Diana. "Abbiamo chiuso le uscite."

"Chiamate una squadra e fate controllare ogni piano con vista sul tetto del Kessman Building." Ordinò Peter. "Andiamo ad arrestare Boothe."

"Ci penso io." Disse Jones alzandosi. "Non gli togliete le manette." Aggiunse prima di uscire indicando Mozzie. "Farà di tutto per convincervi."

"Sicuri che Neal voglia che interveniate?" Chiese Mozzie a Diana, che cercava di concentrarsi sulle immagini delle telecamere.

"Il fatto che ci abbia indicato questo posto ne è la prova." Rispose Diana

"Potremmo avere un altro problema adesso." Intervenne Peter guardando lo schermo.

La telecamera che dava sulla strada mostrava il capo dei Pink Panthers, di cui Elsa non ricordava il nome.

"Woodford." Disse Diana, rispondendo inconsciamente al suo dubbio.

Mentre tutti parlavano Elsa sentì un silenzio improvviso dietro di lei, dove si trovava Mozzie.

Poi sentì la sua mano che le sfilava una forcina dalla tasca dei pantaloni, dove teneva la sua solita scorta.

Di sicuro era Mozzie che cercava di liberarsi e di rendersi utile.

"Se entra nel suo ufficio, Neal è in trappola." Osservò Peter.

In silenzio Elsa tirò un calcio all'indietro, facendo sbuffare Mozzie, poi quando sentì che dietro di lei non c'era più nessuno indietreggiò fino a uscire dal furgone e gli corse dietro.

"Cosa hai in mente?" Gli chiese vedendolo fermare un ciclista.

"Ti do venti dollari se mi dai il tuo casco." Disse Mozzie al ciclista, che dopo averlo guardato storto per un po', gli lasciò il suo casco.

"Mozzie, odio improvvisare. Che vuoi fare?" Chiese Elsa affiancandolo mentre osservava l'auto rossa che il boss delle Pink Panthers aveva lasciato parcheggiata davanti all'edificio.

"Quanto sei nervosa adesso?" Le chiese Moz di rimando.

"Molto." Sibilò Elsa guardandolo male.

"Spacca lo specchietto retrovisore di quest'auto, vedrai che ti sentirai meglio." Le disse in fretta Mozzie.

Elsa lo guardò sconcertata.

"Forza!" La incitò poi mettendole il caso della bici in mano.

Elsa lo prese con un sorriso e lo schiantò con violenza contro lo specchietto dell'auto, staccandolo di colpo.

Sorrise soddisfatta mentre Mozzie prendeva lo specchietto e il casco e correva dentro l'edificio per trattenere l'uomo.

Dopo pochi minuti Elsa vide Peter che correva fuori dal furgone.

"Trova Neal e Boothe!" Le gridò dietro.

Lei aggrottò le sopracciglia senza capire.

"Boothe ha ciò che vuole, ora Neal è sacrificabile!" Le spiegò Diana, anche lei correndo.

Elsa iniziò a corrergli dietro a sua volta, finché non trovarono Neal e Boothe, che gli puntava una pistola contro.

Mentre gli agenti si occupavano dell'arresto, Elsa rimase un po' in disparte.

"Ottimo lavoro." Disse Peter raggiungendola dopo aver ammanettato Boothe. "Dovrei arrestarti per vandalismo." Aggiunse sorridendo e mostrando le manette.

Elsa vide Neal che camminava tranquillamente. Vide che Mozzie lo raggiungeva e lo salutava con una pacca sulla spalla.

Incrociò lo sguardo del padre e gli sorrise da lontano, mentre lui la guardava un po' stupito.

Poi si girò verso Peter, anche lui che sorrideva verso Neal.

"Forse un giorno mi arresterai, spero per qualcosa di più interessante del vandalismo. Per ora... prova a prendermi!" Elsa sorrise e, mentre si girava dando le spalle all'agente si nascose dietro a un passante, sparendo così nel nulla.

Peter sorrise guardando nella direzione in cui era svanita, poi scosse la testa e raggiunse Neal.









Angolo dell'autrice:
Scusate l'immenso ritardo nel pubblicare questo capitolo!!
Un po' per i troppi impegni, un po' per colpa del computer e un po' per pigrizia mia, non ho trovato il tempo per pubblicare prima.
Vorrei invitare i lettori e le lettrici che arrivano fino a qui a riflettere sugli attentati terroristici, e non mi riferisco solo a quelli a Parigi, ma anche a quelli che alla fine non si sentono mai nominare perché più lontani dalla nostra realtà e dalle nostre case.
Detto questo, grazie per essere arrivati fino a qui e a presto.
Ledy Leggy

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Capitolo 11
*** Pink Panthers ***


Capitolo 11

Pink Panthers




 

 

 

"Ho fatto un accordo con l'FBI." Disse Neal al telefono qualche sera dopo.

"Quando le telefonate iniziano così, non finiscono bene." Osservò Elsa.

"Gli consegno i Pink Panthers in cambio della libertà." Disse Neal tutto di un fiato.

"Scherzi?" Chiese Elsa stupita.

"No, sono serio." Rispose Neal.

"Oddio, sono contentissima per te. Però..." Elsa lasciò sfumare la voce.

"Sputa il rospo." Disse Neal.

"No, vabbè, non è niente." Rispose Elsa esitando.

"Dai Elsa, spara." Ordinò Neal.

"I Pink Panthers non sono uno scherzo. Sono abili... Quelli ti riuscirebbero a stare dietro anche dalla prigione. Promettimi che farai attenzione."

"Te lo prometto." Disse Neal serio.

"Ok." Elsa restò un secondo in silenzio. "Allora stasera tu e Mozzie venite da noi a festeggiare!" Disse poi con tono allegro.

 

Mesi dopo...

“Il signor distintivo?! E' inaccettabile che tu abbia dato il mio posto nei Pink Panthers a lui!” Esclamò Mozzie entrando nell'appartamento di Neal senza nemmeno bussare.

“Ora calmati Moz.” Disse Neal riempiendo tre calici di vino.

“Io sono calmo, ciao Elsa.” Dichiarò Mozzie salutando la ragazza seduta tavola.

Elsa rispose con un cenno.

“No, non lo sei.” Ribatté Neal. “E' uno Zinfandel.” Aggiunse poi indicando il vino.

“Allora prenderò... un bicchiere di Cabernet Franc del '93. Non provare a fermarmi.” Disse Moz prendendo in mano la bottiglia più pregiata dell'enoteca di Neal.

Elsa sghignazzò.

“Ehi Caffrey...” Disse Keller entrando dalla terrazza. “Sicuro che vuoi coinvolgere il pelato?” Chiese guardando Mozzie con disprezzo.

“Puoi spiegarmi che succede, prima che mi venga un aneurisma?” Chiese Mozzie poggiando il vino sul ripiano della cucina.

“Ok, siediti, te lo spiego...”

“Disse Bruto a Cesare!” Completò Moz. “No! Resto in piedi.” Puntualizzò poi.

Keller si appoggiò al tavolo accanto a dove era seduta Elsa.

“Chi mi assicura che questa piccola serpe non ruberà i miei soldi e fuggirà?” Chiese acido.

“Quali soldi?” Sbottò Mozzie iniziando ad agitarsi sul serio.

“Ruberemo trenta milioni di dollari ai Pink Panthers senza che se ne accorgano.” Disse Neal lasciando Moz a bocca aperta.

“Se chiudessi quel buco che hai in faccia per un secondo impareresti qualcosa.” Osservò Keller. “Forza.”

“Ti ho tenuto fuori per una ragione, Moz.” Disse Neal mentre lui e Keller si mettevano a sedere intorno al tavolo, dove Elsa aspettava da un pezzo. “E' esattamente lì che mi servirai.”

“Lavorerò dall'esterno?” Chiese Mozzie eccitato.

“Ci è arrivato!” Dichiarò Keller.

“Ah, i Panthers non lo sospetteranno mai.” Disse Moz sedendosi a sua volta.

“L'FBI non verrà a cercarti, anche se volesse farlo, tu sarai da un'altra parte.” Disse Neal.

“A intercettare i tubi pneumatici da un luogo diverso.” Concluse Moz capendo.

“A risucchiare trenta milioni di dollari.” Annuì Neal, gli occhi che brillavano.

“Okay, dovrò trovare il miglior punto di raccolta, lo dovrò cercare fra il JFK e il vecchio ufficio postale.” La mente di Moz era già all'opera.

“E' adorabile.” Dichiarò Keller alzandosi.

“Ehi aspetta. Non avevi detto che se uno imbroglia i Panthers loro se la prendono con tutte le persone a cui vuole bene?” Chiese Mozzie dubbioso.

“Non scopriranno che siamo stati noi.” Rispose Neal, improvvisamente serio.

Keller invece sorrise.

“Mi sembri molto ottimista.” Affermò uscendo.

“Ma dove l'hai trovato quello?” Chiese Elsa curiosa,riferendosi a Keller.

“Lunga storia.” Risposero Neal e Mozzie in coro.

“Sei preoccupato?” Chiese poi Neal.

“E cosa farai quando alla fine Keller ci tradirà?” Chiese Moz di rimando.

“Mh, sarò pronto.” Affermò Neal bevendo un sorso di vino.

“Ora Moz, pensiamo ai dettagli. Adoro organizzare queste cose.” Disse Elsa.

“Sei una di quelle sempre pronte ad ogni evenienza?” Chiese Neal con un sorriso.

Elsa sbuffò.

“Quando rapino le banche tengo conto di eventuali terremoti. Contento? Sono solo un po' paranoica.” Scherzò la ragazza.

Qualche ora dopo avevano rinunciato al piano e chiacchieravano tranquillamente intorno al tavolo.

“Direi che a questo punto il piano è rimandato a domani.” Osservò Elsa guardando l'orologio.

“Te ne vai?” Chiese Neal vedendola alzarsi.

“Devo tornare a casa a piedi.” Rispose Elsa a mo' di scusa.

“Tanto sai un sacco di arti marziali, non corri nessun pericolo.” Sbuffò Mozzie.

“Ci vediamo.” Disse Elsa prendendo le sue cose e avviandosi verso la porta.

“Elsa.” La raggiunse il padre quando fu sulla porta.

“Sì?” Chiese lei girandosi.

“Ho bisogno di un favore.” Disse Neal parlando sottovoce per non farsi sentire da Mozzie.

“Qualsiasi cosa.” Sorrise Elsa.

“Dovresti procurarmi una pistola.”

“Per questa storia con Keller?” Chiese lei.

Neal esitò a rispondere.

“Se la vuoi devi essere onesto, almeno con me.” Lo incitò Elsa.

“Sì, ma non ho intenzione di usarla a meno che non sia necessario.” Rispose infine Neal.

“Che modello preferisci?” Chiese semplicemente Elsa.

Neal tirò un sospiro di sollievo vedendo la reazione tranquilla e rilassata della figlia.

“E' uguale.” Rispose alzando le spalle.

“Automatica, semiautomatica...” Iniziò ad elencare Elsa.

Neal scosse la testa, come a dire che non cambiava nulla.

“D'accordo, scelgo io.” Disse infine Elsa.

Salutò Neal con un abbraccio e poi uscì.

 

“Ah, c'è una festa.” Esclamò il giorno dopo Neal, entrando in casa.

June e Moz erano seduti su due poltrone, con dei drink in mano, ad aspettarlo.

“Oh, l'hai preso!” Esclamò Mozzie vedendo la busta che aveva in mano.

“Come da richiesta.” Sorrise Neal.

“O mio dio.” Esclamò June incantata.

“June, sei davvero splendida.” Dichiarò Neal, avvicinandosi a lei. “Come sempre.”

“Grazie. Ma guardati, sai che quello era l'abito preferito di Byron?” Osservò lei compiaciuta. “E' semplice, elegante...”

“Io vorrei brindare alla elegante semplicità!” Dichiarò Mozzie alzando il calice.

“Sì. Concordo.” Approvò June. Poi cambiò argomento. “ Ti ricordi del nostro primo incontro in quel negozietto di articoli usati? Ha segnato l'inizio di una fase piena di novità, e te ne sono grata.” Disse June sorridendo al ricordo.

“Tu sei stata la mia ancora di salvezza.” Disse Neal con gli occhi quasi lucidi. “Dico sul serio, grazie.” Si chinò per baciarla in fronte. “Per tutto quello che hai fatto.”

“Allora brindiamo alle cose speciali.” Mozzie alzò il calice un'altra volta, e un'altra volta June lo imitò. “E alle ancore di salvezza.”

“Esiste qualcosa a cui non brindi?” Chiese Neal sarcastico a Mozzie.

“No.” Rispose June per lui.

“Brindo... a quello che non ho capito.” Disse Mozzie bevendo ancora dal bicchiere.

“Allora, fra sette giorni alla stessa ora?” Chiese June rivolta a Moz.

“Sì! Io porterò il vermouth” Rispose quello.

“Puoi scommetterci le chiappe che porterai il vermouth!” Esclamò June alzandosi in piedi.

“Le mie chiappe sono già state avvertite!” Rise Mozzie, salutandola.

“Spero che stasera ti divertirai con tuo nipote.” Disse Neal accompagnandola alla porta.

“Sì, è un ragazzo eccezionale.” Affermò June sorridendo.

“Ci vediamo domani.” Neal strinse June in un lungo abbraccio, e le sussurrò nell'orecchio.

“Ti voglio bene.”

“Anch'io ti voglio bene.” Disse lei di rimando.

Poi uscì.

“A proposito di primi incontri...” Disse Neal chiudendo la porta. “Guarda cosa ho trovato l'altro giorno.” Prese un libro dal tavolino e lo aprì davanti a Mozzie.

Conteneva delle carte tutte stropicciate.

“La regina!” Sospirò Moz ammaliato.

“Quella del nostro primo incontro. Facevi il gioco delle tre carte al Madison Park, ha ancora la piega.” Disse Neal sorridendo al ricordo.

“Mi fregasti cinquecento dollari...è lì che capii che eri il migliore! Ti seguii fino a casa...”

“E io non ho più avuto un'enoteca fornita!” Concluse Neal.

“Facevamo tutto questo per il brivido.” Ricordò Mozzie. “A prescindere dai guadagni.”

“Adesso colpiremo al JFK per cinquecento milioni.” Osservò Neal.

“Stiamo volando troppo in alto.” Dichiarò Moz.

“Un ultimo volo.” Disse Neal prendendo in mano la regina di cuori.

“Disse Icaro.”

“Sai, dopo questo... torneremo alle origini.” Disse Neal.

“L'idea mi piace.” Dichiarò Mozzie.

“Controlla la regina per me.” Disse Neal prima di aprire la porta.

Mozzie se la sfilò di tasca con un sorriso.

“Torneremo alle origini.” Disse poi. “Ah Neal!” Lo richiamò mentre stava uscendo. “C'è Elsa in terrazza, ti voleva parlare.”

Neal uscì e camminò per la terrazza, senza vedere nessuno, poi, mentre stava per tornare dentro sentì un toc toc.

Alzò lo sguardo e la vide in piedi sulla ringhiera in pietra, che guardava la notte.

“Ciao papà.” Gli sorrise.

“Ciao.” Rispose lui guardandola dal basso. “Perché non scendi? Ti spaccherai l'osso del collo prima o poi.”

“Ehi, stai diventando un padre ansioso.” Osservò Elsa.

Nonostante tutto saltò giù con un balzo.

“Ti ho portato questa.” Elsa prese una scatola poggiata sul tavolino e gliela porse.

Neal la aprì e vide una pistola dentro.

“Non è niente di che, ma è pulita. Non avevo tempo per niente di più in così poco tempo.” Disse alzando le spalle.

“E' perfetta così.” Disse Neal ringraziandola.

“Ora devo andare, ma prima spiegami una cosa.” Disse Elsa avvicinandosi al salotto. “Cosa stai organizzando? Un attimo fa hai salutato June come se dovessi partire per dei mesi, poi hai portato la regina di cuori a Moz... Sei sicuro che vada tutto bene?” Chiese Elsa preoccupata, posandogli una mano sul braccio.

Neal sospirò.

“No, anzi non me lo dire. Non voglio costringerti a mentirmi, piuttosto stai zitto.” Cambiò idea Elsa scuotendo la testa. “Però se hai bisogno di qualsiasi cosa, io ci sono.” Disse baciandolo sulla guancia e uscendo.

 

 

 

 

 

 

Ciao a tutti!!!

Per una volta aggiorno in tempi almeno vagamente decenti.

Grazie a tutti coloro che leggono e che apprezzano.

Spero di leggere le vostre recensioni.

A presto :)

Ledy Leggy

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Capitolo 12
*** Buonanotte Papà ***


Capitolo 12

Buonanotte Papà



 

 

 

Elsa camminava lungo la strada, al buio.

Neal le era sembrato decisamente strano. Lui era un tipo più da cogli l'attimo che un tipo da pensa al passato con rimpianto, e quelle scene nel pomeriggio non erano per nulla da lui.

Di sicuro nascondeva qualcosa riguardo al piano per rubare i trenta milioni di dollari, ma è normale per un truffatore. Nessuno sa il piano completo, così si ha sempre bisogno l'uno dell'altro.

Elsa tirò un calcio a un ciottolo, facendolo rotolare qualche passo più avanti. Guardò il proprio riflesso in una vetrina e notò una sagoma dietro di lei.

Lì per lì non ci fece caso, ma dopo tre svolte l'uomo era ancora dietro di lei.

Accelerò un po', girando in direzione del parco e notò con sollievo che l'uomo girava in un'altra direzione.

Allora girò un altro angolo, tornando a dirigersi verso casa, ma vide una donna iniziare a seguirla, mentre notava sempre più dettagli allarmanti, come molte biciclette che continuavano a passarle accanto e auto parcheggiate con uomini al volante.

Iniziò a girare a caso per le strade della città, ritrovandosi a vagare in quartieri che non conosceva.

Si infilò nel bar più rumoroso che trovò, ordinò una tazza di cioccolata calda e, mentre aspettava, approfittò del rumore della musica per chiamare Edward senza farsi sentire dagli uomini che la pedinavano.

“Elsa! Dove diavolo sei finita?” Chiese subito Ed.

“Devi farmi un favore, controlla se nella lista dei nostri nemici c'è qualche banda ben organizzata che ci sta alle costole. E poi mandami un messaggio. Mi stanno seguendo ma non so perché.” Disse Elsa, inquietata dai due uomini che erano entrati in quel momento e che non avevano preso nulla da bere.

“Abbiamo pagato tutti i nostri debiti. E' inizio mese.” Fece notare Edward.

Oramai il trio aveva preso l'abitudine di fare una revisione dei loro casi ogni mese, per essere più prudenti. Tenevano d'occhio gli oggetti rubati e rivenduti, facendo attenzione che non fossero riconducibili a loro e pagavano ogni debito.

“C'è un sacco di gente che mi sta alle costole. Voglio sapere chi è, e comunque non torno a casa.” Disse Elsa preoccupata, riattaccando.

Bevette la sua cioccolata e uscì di nuovo dal bar, alla ricerca di un posto dove dormire.

Non le sembrava consigliabile andare in uno dei rifugi di Margot, perché oltre ad essere completamente vuoti e non riscaldati, avrebbero significato che lei era del tutto sola, non l'ideale in caso volessero attaccarla.

Mentre camminava alla cieca le arrivò un messaggio da Ed.

“Nessuno, possono essere i federali?”

Elsa guardò per un po' gli uomini che camminavano dietro di lei.

Non sembravano federali, ma lei non aveva mai avuto un occhio particolare per riconoscerli.

Oltre tutto adesso Elsa iniziava ad essere veramente stanca. Quella mattina si era alzata presto per procurare a Neal la pistola, l'aveva contrattata per un'ora prima di arrivare a un prezzo decente, poi aveva studiato il piano delle Pink Panthers per controllare che non ci fossero eventuali falle e poi aveva riguardato anche il doppio gioco di Peter, Mozzie e Keller per controllare che non corressero nessun rischio. Non troppo grosso almeno.

Tutto ciò dopo aver fatto l'ora quotidiana di allenamento e jogging, col risultato che voleva solo andare a letto.

Mandò un messaggio a Ed, chiedendogli se i federali erano riusciti in un qualche modo ad avere uno degli oggetti che avevano rubato loro.

Era la motivazione più probabile per cui potevano seguirla. Se avevano trovato qualcosa rubato da loro allora potevano averlo ricollegato a lei tramite Neal o Peter...

“La collana.”

Fu la risposta di Ed.

Per poco Elsa non imprecò ad alta voce.

Qualche giorno prima aveva portato al collo la collana rubata, forse Peter l'aveva vista e aveva messo una squadra a seguirla da casa di Neal. Dopotutto sapeva che era una visitatrice più o meno regolare.

Accelerando l'andatura notò che gli uomini dietro di lei si stavano parlando tramite l'auricolare.

Riconobbe una strada davanti a lei e capì che aveva quasi girato in tondo, era a pochi isolati da casa di Neal.

Notò gli uomini accelerare pian piano e iniziare a correre verso di lei, che senza esitare iniziò a correre.

Una macchina le si parò davanti, abbagliandola con i fari, e due uomini vestiti in giacca e cravatta scesero velocemente puntandole le armi contro.

“FBI! Mani sulla testa!” Urlò un uomo avvicinandosi a lei con la pistola in mano.

Elsa fece un paio di rapidi calcoli, e mentre l'uomo le prendeva con decisamente poca grazia il braccio e glielo torceva dietro la schiena, lei si rigirò sotto al suo braccio, sfruttando l'altezza dell'agente.

“Ferma!” Le urlò un altro agente, mentre cercava di prendere la mira per sparare.

Elsa si lanciò di lato, dove la strada girava e scivolò con una capriola sotto al secondo agente.

Purtroppo non aveva calcolato il terzo uomo che le si era parato davanti e non le lasciava via d'uscita.

Mentre gli agenti prendevano la mira, Elsa tirò un pugno nello stomaco all'uomo che aveva davanti, poi lo spinse con tutta la sua forza verso gli altri agenti, in modo da ripararsi dagli eventuali spari.

Elsa non aveva però calcolato la reazione dell'uomo, che le tirò un pugno in faccia, facendole sanguinare il naso.

Come ultima risorsa Elsa si appoggiò a un muro con la schiena e facendo leva con gli addominali tirò su le gambe e spinse via l'uomo con tutta la sua forza. A quel punto rimase però scoperta per gli altri agenti che avevano ancora le pistole in mano.

Iniziò a correre più veloce che poteva, con il sangue che le colava in bocca.

Mentre girava l'angolo della strada di Neal sentì uno sparo, e qualche secondo dopo sentì una fitta al braccio sinistro.

Si morse la lingua per non urlare, e mentre le lacrime iniziavano a inondarle gli occhi si nascose in un vicolo.

Restò nascosta per qualche minuto, studiando la ferita. Non sanguinava molto, il che voleva dire che probabilmente non aveva preso l'arteria del braccio.

Quando il rumore dei federali nella strada cessò quasi del tutto, Elsa uscì dal vicolo e camminò velocemente verso casa di Neal, dove bussò forte con il pugno destro.

June venne subito ad aprirle, e una volta aperta la porta per poco non svenne.

Elsa le fece segno di stare zitta e entrò velocemente nella casa. Poi corse verso l'appartamento di Neal e bussò anche lì.

Neal aprì la porta con un lieve sorriso in faccia, che poi svanì non appena vide Elsa.

“Che ti è successo?” Chiese sgranando gli occhi.

“Federali.” Sbottò Elsa mentre June entrava nell'appartamento dietro di lei.

“Devi andare all'ospedale.” Disse subito Neal, richiudendo la porta.

“Sì, come no, il primo posto in cui mi cercheranno.” Elsa si avvicinò al ripiano della cucina facendo attenzione a non sgocciolare in terra col sangue.

“Tra poco passeranno da qui. E' da qui che hanno iniziato a seguirmi, perciò sanno che sarei tornata qui. Dovete dirgli che non ci sono.” Spiegò Elsa prendendo una bottiglia del primo super alcolico che trovò nel ripiano.

“Ma perché ti hanno sparato?” Chiese Neal guardando il suo braccio con orrore.

“Meno sapete, meglio è, almeno finché non passano da qui. Giuro che poi vi racconto tutto.” Disse dirigendosi verso la terrazza, dove Neal e June la seguirono.

“Cosa fai?” Le chiese June stupita.

Elsa salì sulla ringhiera in pietra e poi si issò sul tetto col solo braccio destro.

“Mi nascondo.” Disse poi. Aprì la bottiglia di quella che risultò essere vodka e ne bevette un lungo sorso, che la fece tossire.

Poi, mentre si arrampicava ancora di più sul tetto per non essere vista, qualcuno bussò alla porta.

June andò ad aprire, seguita poco dopo da Neal.

Elsa si limitò a sdraiarsi sul tetto, fissando le stelle e a chiudere gli occhi, cercando di ignorare il dolore al braccio.

“Elsa.” Sentì qualcuno che la scuoteva qualche secondo dopo. “Svegliati.”

Evidentemente si era addormentata sul tetto, nonostante il dolore e il freddo.

Si rizzò a sedere e si aggrappò a Neal per riuscire ad alzarsi.

“Sono andati via.” Le disse lui mentre la aiutava lentamente a scendere e la portava verso la cucina.

La fece sedere delicatamente su una sedia davanti all'acquaio e le prese il braccio.

“Non ho la più pallida idea di cosa fare.” Disse poi. “June è andata a prendere il kit di pronto soccorso.” Aggiunse.

“Devi disinfettarlo.” Disse Elsa stringendo i denti.

“Io non ho il disinfettante ora.” Rispose Neal, per una volta non sembrava tranquillo, ma piuttosto agitato.

“La vodka.” Sussurrò Elsa. “Usa la vodka come disinfettante.”

Neal prese la bottiglia, le mani salde, e ne versò gran parte del contenuto sul braccio di Elsa, che si mise una mano sulla bocca cercando di non urlare mentre le lacrime le colavano lungo le guance.

Una volta ripulita per bene la ferita Elsa gli fece controllare che ci fossero sia il foro di entrata che il foro di uscita, altrimenti avrebbero dovuto anche togliere il proiettile.

Fortunatamente, la pallottola, oltre ad aver preso il braccio piuttosto esternamente, era riuscita senza problemi dall'altra parte.

A quel punto arrivò June con le garze e le bende e le utilizzò per fare una fasciatura perfetta.

“Mia nipote si fa continuamente male, giocando a calcio.” Spiegò davanti allo sguardo stupito di Neal.

Dopo circa un'ora Elsa stava decisamente meglio, Neal l'aveva aiutata a lavarsi la faccia dal sangue ormai secco e l'aveva fatta sedere sul divano, con una coperta sulle gambe e un profumatissimo piatto di minestra sulle ginocchia.

“Se non fosse per la ferita sarebbe il mio paradiso personale.” Disse Elsa sorridendo a Neal, cercando di calmarlo, dato che l'aveva visto troppo agitato mentre cucinava.

“Ora puoi raccontarci cosa è successo.” Disse Neal sedendosi sul divano accanto a lei.

“Dopo poco che sono uscita di qui mi sono accorta che mi seguivano, allora ho chiamato Ed da un bar... insomma ho scoperto che era per una collana rubata che indossavo l'altro giorno davanti a Peter. Valeva più o meno cinque milioni. Dopo un'ora che mi inseguivano hanno cercato di arrestarmi, quindi sono scappata facendo a botte con un tizio che di sicuro ora sta meglio di me, e sono venuta qui.”

“Scusa un attimo, ma te vai in giro con collane rubate di cinque milioni?” Chiese Neal perplesso.

“La nostra nuova casa non è delle più sicure al mondo.” Spiegò Elsa. “E dovevamo venderla quel giorno.”

“Come va ora il braccio?” Chiese Neal quando June li lasciò soli.

“Te l'ho detto, guarirà del tutto.” Rispose Elsa con un mezzo sorriso. “Più che altro vorrei sapere se Peter ha detto all'FBI che avevo io la collana. Pensavo fosse uno a posto, non credevo che avrebbero sparato per una collana di soli cinque milioni che non portavo addosso.”

"Forse è qualcuno che ce l'ha con te in particolare. Non Peter, un altro agente.” Osservò Neal.

“Forse.” Annuì Elsa.

Neal si preparò per andare a letto, non poteva fare troppo tardi dato che domani era il giorno del gran furto all'aeroporto.

Elsa si sdraiò sul divano per dormire, mentre Neal cercava di convincerla ad andare su letto.

“Ti prometto che domattina, mentre tu svaligerai una banca, io starò sul tuo letto. Ora è meglio se sto sul divano, così mi muovo meno e il mio braccio starà meglio.” Ribatté Elsa.

“Elsa.” La chiamò Neal una volta che furono tutti e due sdraiati e con la luce spenta.

“Sì?” Chiese lei assonnata.

“Sono contento che tu sia mia figlia.”

Elsa sorrise nel buio.

“E io sono fiera di essere tua figlia. Sei il padre migliore che mi potesse capitare.”

“Su questo ho i miei dubbi.” Sorrise Neal.

“Io no. Forse qualcun altro avrebbe preferito un padre buono e bravo, che va a lavoro tutti i giorni e che assilla la figlia, ma per me tu sei il padre perfetto.”

“Buonanotte piccola.”

“Buonanotte papà.”

I due, entrambi più felici e rilassati tornarono a dormire serenamente.

 




 

 

 




 

Ciao a tutti!!

Questo aggiornamento arriva presto :)

Spero di sentire i vostri pareri e grazie a quelli che sono arrivati fino a qui.

Ledy Leggy

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Capitolo 13
*** Pancakes ***


Capitolo 13

Pancakes




 

 

“Che ci fai in terra?” Chiese Neal svegliandosi il giorno dopo e trovando Elsa sdraiata in terra ai piedi del letto.

“Avevo caldo sul divano.” Rispose la ragazza.

“E quindi ti sei messa in terra?” Chiese lui sconcertato.

“Il pavimento è fresco.” Spiegò Elsa sorridendo.

“Dai alzati, facciamo colazione.” Disse Neal alzandosi in piedi e tirando su Elsa prendendola per il braccio destro, quello sano.

“Per me latte e biscotti.” Disse lei sbadigliando mentre andava in cucina.

“Ma come? Non vuoi qualcosa di più nazionale, come uova e pancetta?” Chiese Neal aprendo il frigo.

“Io sono europea dentro.” Proclamò Elsa mettendo una mano sul petto.

“Un pancake?” Chiese allora Neal.

“Oh, beh, non posso dire no ai pancakes.”

“Puoi spostare l'uniforme da pilota? Non vorrei che si sporcasse.” Chiese Neal mentre prendeva la padella e tutto il necessario.

“Sposto anche gli scacchi?” Chiese Elsa indicando la scacchiera sulla tavola.

“Attenta a non muovere i pezzi. Ho una partita avviata con Moz.” Disse solo Neal, concentrato sui fornelli.

Elsa si limitò a spostarla un po' da parte, perché non poteva usare un braccio e non riusciva a tenerla in equilibrio.

“A che ti serve l'uniforme da pilota?” Chiese poi sbadigliando un'altra volta.

“Per portare l'attrezzatura all'aeroporto stamani.”

Neal le mise davanti un piatto con un pancake e dello sciroppo d'acero.

Elsa ce lo sparse sopra facendo dei disegnini mentre aspettava che anche il pancake di Neal fosse pronto. Poi si sedettero di fronte e mangiarono lentamente.

“Mi sta venendo l'ansia.” Disse a un certo punto Elsa.

“Per cosa?” Chiese Neal curioso.

“Per te e il vostro colpo da mezzo miliardo.” Disse Elsa agitando in aria la forchetta. “Odio restare a casa, mi sento inutile.”

“Con quel braccio saresti inutile comunque.” Le fece notare Neal.

Elsa fece una smorfia.

“A che ore devi uscire?” Chiese poi.

“Intorno alle dieci e mezza passa Peter.” Rispose Neal guardando l'ora. “Sono le nove, quindi tra un'ora inizio a prepararmi.” Decise poi.

“Che facciamo per un'ora?” Chiese Elsa con gli occhi che brillavano.

 

“Non capisco il senso di tornare a letto subito dopo alzati.” Bofonchiò Neal un quarto d'ora dopo, steso sul letto accanto a Elsa.

“Rilassati.” Rispose lei chiudendo gli occhi.

“Non ci riesco! Mi sembra di avere altre mille cose da fare.” Rispose Neal mettendosi a sedere sul letto.

Elsa si tirò su a sua volta.

“Cosa fai di solito la mattina?” Chiese curiosa.

“Se non sono a lavoro?” Chiese Neal poggiandosi con la schiena alla testiera del letto. “Pulisco tutto, metto in ordine, vado in giro con Mozzie o da Peter...” Iniziò ad elencare. “Te invece?”

“Mi alzo alle sette, sette e mezza, vado a correre, faccio un po' di esercizi, sto al computer, leggo, gioco alla wii, litigo con Margot per la doccia, metto in disordine la camera, faccio la lavatrice e vado in giro con Ed.” Elencò a sua volta Elsa.

“Strano pensare che sei mia figlia.” Scherzò Neal.

“Avrò preso dalla mamma.” Osservò Elsa ridendo. “Tra l'altro, quanto starà in prigione?” Chiese Elsa curiosa. Non si era per nulla informata sul destino della madre.

“Tre anni.” Sospirò Neal.

“A volte mi chiedo se è il destino di tutti i truffatori.” Disse Elsa poggiando la testa sulle ginocchia. “Finire in prigione.”

“Non lo so.” Concordò Neal. “Ma so che faremo sempre tutto il possibile per starne fuori, e mi basta.”

Elsa annuì leggermente.

“Com'è di fatto stare dentro? E' così terribile?” Chiese Elsa sedendosi accanto al padre e posando la testa sulla sua spalla.

“Il tempo scorre comunque, la cosa triste è che tutti i tuoi amici sono fuori.” Spiegò scrollando le spalle.

“Che argomento triste.” Notò Elsa tutto a un tratto. "Allegria!" Esclamò saltando in piedi sul letto. "Avrai una giornataccia. Godiamocela finché dura."

"Perché sei in piedi sul letto?" Chiese Neal guardandola dal basso.

"Non hai mai saltato sul letto?" Chiese lei inclinando la testa.

"Sarà da venti anni che non lo faccio." Rispose Neal.

"Che aspetti allora?" Elsa sorrise e lo tirò su, cercando di non sforzare il braccio sinistro.

Ridendo iniziò a saltare sul letto, in modo che dovette farlo anche Neal, anche se solo per tenersi in equilibrio.

Un quarto d'ora dopo, quando Peter entrò dalla porta, sia Neal che Elsa erano sdraiati sul letto, sfiniti e senza fiato.

Elsa portò una mano sui polmoni.

"Ora muoio." Disse ridendo.

"A chi lo dici." Rise Neal di rimando.

Peter li vide mentre chiudeva la porta e sorrise.

"Lo so sono in anticipo." Esclamò per farsi notare.

Neal si alzò subito in piedi e lo salutò, poi andò a vestirsi con l'uniforme da pilota.

"Che ci fai tu qui?" Chiese Peter a Elsa mentre si sedeva al tavolo della cucina.

"Non lo sai?" Chiese lei sospettosa. "Davvero?"

Peter la guardò senza capire.

Elsa allora sollevò il braccio sinistro di qualche centimetro. La fasciatura era evidente e in alcuni punti era ancora sporca di sangue.

"I tuoi colleghi mi hanno lasciato un bel ricordino ieri sera." Disse soltanto.

"Non sapevo che qualcuno ti stesse cercando." Disse lui sincero. "Ma forse mi sono lasciato sfuggire qualche dettaglio di troppo in questi giorni." Aggiunse poi.

"Motivo per cui ti sarei grata se non parlassi più di me in ufficio." Sorrise Elsa.

Neal rientrò in quel momento.

"Come sto?" Chiese allargando le braccia.

"Una favola." Rispose Elsa facendogli l'occhiolino.

"Che casino abbiamo fatto!" Esclamò poi Neal osservando in direzione del letto.

"Non ti preoccupare, pulisco io. Ho tutta la mattinata libera." Disse Elsa.

"Ah, dato che resti qui da sola, ogni tanto la serratura dell'armadio di là si blocca. In tal caso c'è il mio set da scassinatore nel secondo cassetto del comodino." Disse Neal prendendo dei borsoni con gli attrezzi e porgendoli a Peter.

"A dopo." Disse Elsa guardandoli uscire.

Neal la guardò con affetto e le sorrise.

"È stato divertente." Le disse poi indicando il letto totalmente sfatto.

Chiuse la porta e Elsa rimase da sola.

Dopo qualche minuto seduta sul divano aprì il secondo cassetto del comodino di Neal e rovistò un po'. Infondo c'era un astuccio di pelle con un foglietto sopra con su scritto: Elsa.

Elsa lo prese in mano, lo rigirò un paio di volte e notò l'elegante rifinitura.

Lo aprì e si trovò davanti un ricco set di attrezzi da scasso, tutti in ordine di lunghezza.

Sorrise posandolo sul tavolo e iniziò a mettere in ordine.

 

 





 

 

 

 

 

 

 

Ciao a tutti!!

Ci stiamo lentamente avvicinando alla fine di questa storia! Devo dire di essere molto soddisfatta di come sta venendo.

Grazie a tutti per essere arrivati fino a qui, per aver letto, recensito, inserito tra le seguite e tutto il resto.

Un abbraccione a tutti.

Ledy Leggy

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Capitolo 14
*** Una Persona Particolare ***


Capitolo 14

Una Persona Particolare


 

 

Peter avrebbe ricordato quel pomeriggio per sempre. Un'ultima truffa con Neal, la più importante della loro carriera.

La truffa per la libertà.

Mentre correva dietro al segnale della cavigliera di Neal, che si era attivata quando quest'ultimo era sparito con Keller, pensava a cosa diavolo potessero star facendo in Wall Street.

Poi vide Keller, con un borsone su una spalla che camminava velocemente. Si era anche cambiato d'abito in modo da passare inosservato.

"Keller!" urlò correndogli dietro e tirando fuori la pistola.

Lui si mise a correre a sua volta e prese in ostaggio una giovane donna.

Dov'è Neal? Pensò Peter mentre puntava la pistola alla testa di Keller.

Keller iniziò a parlare, mentre Peter cercava di non ascoltare. Non voleva farsi truffare proprio da Keller.

Ma poi l'uomo disse qualcosa su Neal, sul fatto che forse era ancora vivo ma per poco.

Mentre Peter cercava di convincersi che non era vero, che Neal non poteva morire, Keller puntò la pistola contro di lui.

Peter sparò, colpendo Keller in fronte, proprio al centro.

Poi corse. Corse come non aveva mai fatto in tutta la sua vita. Vide un gruppetto di persone raggruppato intorno all'ambulanza e le spinse da parte, fino a vedere Neal.

Le lacrime minacciavano di uscire mentre lo rassicurava con le solite parole.

Neal fece il suo caratteristico mezzo sorriso, guardando Peter che si preoccupava.

"Sei l'unico che ha visto del buono in me." Disse, anche lui rischiando di piangere. "Sei il mio migliore amico."

Mentre l'ambulanza veniva portata via, Peter rimase immobile a guardarla sfrecciare nel traffico.

Lui e Mozzie si ritrovarono all'obitorio a guardare il cadavere.

Come poteva essere morto? Neal, che prevedeva sempre tutto, e anche quando non prevedeva riusciva sempre a improvvisare una via d'uscita.

Mentre si faceva rendere gli oggetti personali di Neal, Peter restò impassibile.

Li prese senza nemmeno pensare a cosa fossero. Solo quando arrivò alla cavigliera capì che Neal non si era mai fidato dell'FBI. E che adesso non ne avrebbe nemmeno avuto bisogno.

Strinse la cavigliera tra le mani.

"Ora sei libero." Sussurrò. "Ora sei libero."

Poi finalmente pianse.

 

Peter e Mozzie entrarono rapidamente nell'appartamento di Neal.

Elsa mise loro un calice di vino in mano, sorridendo allegra.

Aveva passato tutta la mattinata a pulire, poi si era fatta una doccia e cambiata, aveva chiamato Ed e Margot e aveva velocemente mangiato un panino per pranzo. Poi, aspettando Neal, aveva tirato fuori un buon vino. Per festeggiare se fosse andata bene o per consolarsi se fosse andata male.

"Dov'è Neal?" Chiese Elsa mettendogli in mano i calici e sorridendo.

I due non risposero.

Moz bevette in un sorso tutto il suo vino.

"Dov'è?" Chiese un'altra volta, aggrottando le sopracciglia.

Peter aprì la bocca, fissando il bicchiere che aveva tra le mani, ma non uscì un suono.

Elsa improvvisamente notò i dettagli che prima non aveva visto.

Peter aveva il polsino macchiato di sangue. Mozzie aveva pianto.

"Non è possibile." Sussurrò mentre la mano che teneva il suo bicchiere iniziava a tremare. "Deve esserci un errore."

"È morto." Disse piano Peter.

Vide Elsa poggiare lentamente il bicchiere di vino sul tavolo.

Non pianse.

Elsa non versò nemmeno una lacrima.

Prese in mano un astuccio di pelle e uscì dall'appartamento.

Peter e Mozzie la osservarono mentre usciva. Nessuno dei due la fermò.

"Non ce la faccio a stare qui." Disse poi Mozzie uscendo a sua volta dall'edificio.

Peter restò da solo.

Bevette dal suo bicchiere e si guardò intorno con un sorriso amaro.

In quella stanza era così facile pensare che fosse ancora vivo, che sarebbe rientrato da un momento all'altro, con quel cappello insopportabile, i completi eleganti ad ogni ora del giorno e della notte, e dopo aver dipinto un po' sarebbe andato in ufficio a fare una proposta esasperante e incredibilmente pericolosa per catturare un criminale. E di nascosto avrebbe tramato alle sue spalle con Mozzie, ma alla fine tutto si sarebbe risolto.

Perché Peter ormai ci aveva fatto l'abitudine. Con Neal si risolveva sempre tutto. Magari raggirando qualcuno che non doveva essere raggirato, ma in un modo o nell'altro le cose funzionavano.

Sospirò e uscì anche lui dall'appartamento. Non ce la faceva a restare lì. Era tutto in ordine come lo lasciava Neal. Sembrava che non fosse mai uscito.

Andò a casa. Da Elisabeth. E lì piansero, cercando di consolarsi a vicenda.

La foto di lui e Neal in giacca e cravatta scattata tempo prima era ancora sulla mensola tra il salotto e la cucina. E sarebbe rimasta lì molto a lungo prima che qualcuno avesse il coraggio di toccarla.

 

"Non ha senso!" Esclamò Elsa spostando una pila di fogli da terra e avvicinandone un'altra.

"Elsa, non puoi stare qui." Disse Peter esasperato.

"Mi hai chiesto tu di venire in ufficio." Rispose lei senza alzare lo sguardo.

"Sì, ma per aiutarci, non per occupare l'ascensore."

"Beh il tuo caso di frode è risolto. È lì sotto da qualche parte." Disse Elsa indicando un angolo dell'ascensore.

Peter si chinò e iniziò a rovistare tra i fogli.

"Che stai facendo allora? E perché qui?" Chiese poi.

"Sto studiando la morte di papà. C'è qualcosa che non torna. E qui perché l'ascensore mi rilassa e riesco a pensare meglio."

L'ascensore si fermò con un dlin dlon.

"Salite sull'altro." Disse Elsa alle persone che stavano aspettando fuori.

"Elsa davvero, non puoi stare qui." Disse Peter.

"Tranquillo, per pranzo me ne vado." Rispose Elsa.

Intanto l'ascensore scendeva ancora e si fermava a piano terra.

"Tesoro? Che sta succedendo?" Una donna che Elsa non conosceva salì in un angolo dell'ascensore, facendo attenzione a non pestare i fogli.

"El! Lei è Elsa, la figlia di Neal. Elsa, lei è Elisabeth, mia moglie."

Elsa usò la matita che aveva in mano per tirarsi su i capelli e si alzò in piedi.

"Neal mi ha parlato molti di te." Disse tendendo una mano.

"Anche io ho sentito molto su di te." Disse Elisabeth. "Avrei voluto tanto incontrarti con Neal." Disse poi cautamente, come se avesse avuto paura di colpire un tasto delicato.

"Anche io. Sono sicura che è stato un brutto colpo per tutti voi, lo conoscevate meglio di me e anche da più tempo." Disse Elsa impassibile.

"Un giorno o l'altro passa a trovarci." La invitò Elisabeth un po' stupita.

"Certamente. Anche se pensavo di partire per un po'..." Disse Elsa radunando i suoi fogli. "A presto." Salutò infine, mentre l'ascensore fermava al ventesimo piano.

Uscì e scese dalle scale.

"È di sicuro una persona particolare." Osservò Elisabeth.

 

 

 

 









 

Ciao a tutti!!!

Lascio velocemente un saluto a chi legge, recensisce e mette tra le seguite. Ci stiamo avvicinando sempre di più alla fine della storia e ora più che mai spero di sentire le vostre opinioni.

A presto

Ledy Leggy

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Capitolo 15
*** Tornerò ***


Capitolo 15

Tornerò




 

 

 

Un mese dopo...

Elsa era seduta sul muretto lungo il fiume, e guardava l'acqua scorrere sotto ai suoi piedi.

A un certo punto il telefono iniziò a suonare, Elsa lo lasciò squillare finché non smise.

Dopo qualche secondo riconinciò.

"Pronto." Sospirò rispondendo.

"Ciao Elsa, come va?" Chiese Edward.

"Ciao! Tutto bene. Voi?" Chiese Elsa di rimando.

"Qui a New York va tutto bene. Siamo riusciti a far perdere le tracce all'FBI, dovremmo essere al sicuro per un po'." Spiegò Ed.

"Sono contenta per voi." Sorrise Elsa.

"Peter è passato l'altro giorno per cercarti. Vuole sapere quando tornerai." Aggiunse poi Ed incerto. "E lo vorremmo sapere anche io e Margot."

"Non lo so. Mi piace la Francia, qui riesco a pensare più chiaramente." Sospirò Elsa.

"È passato un mese Elsa."

"Lo so, ma non riesco a capire! Doveva essere tutto previsto, ne avevamo parlato. E poi..." Elsa guardò ancora verso il fiume. "La pistola gliela avevo data io. Era di Neal, ma allora perché è stato Keller a sparare?"

"Senti non m'importa se ora, tra tre mesi o tra vent'anni, ma promettimi che prima o poi tornerai da noi a New York." Chiese infine Ed.

"Te lo prometto. Tornerò." Disse Elsa sincera.

"D'accordo. Allora prenditi cura di te."

"Anche tu." Rispose lei riattaccando.

Mise il telefono in tasca e sospirò.

Dopo la morte di Neal era tornata in Francia. Era il paese che preferiva in assoluto ed era anche l'ultimo che aveva visitato prima di andare a New York.

Le sembrava così assurdo che Neal fosse morto. Finora la gente che conosceva non era mai morta, erano avvenimenti rari anche nel mondo di criminali, e lei di certo non era quella con più contatti in assoluto.

Guardò l'orologio e iniziò a camminare lungo la Senna. Rischiava di fare tardi al suo appuntamento se non si sbrigava.

Accelerò leggermente e girò un po' di strade.

Si ritrovò infine a salire una scalinata e alle sei in punto raggiunse la piazza panoramica. Non si vedeva bene la città, ma c'era un tramonto stupendo.

Elsa si appoggiò al parapetto e guardò il tramonto.

"Sono quasi offeso." Disse una voce dietro di lei. "Non sei venuta al mio funerale." Aggiunse poi come spiegazione.

Elsa si girò, gli occhi sgranati.

In piedi dietro di lei c'era Neal, un cappello posato sulla testa e le mani in tasca.

Sorrideva guardandola.

"Puoi anche parlare sai?" Aggiunse lui dopo qualche minuto.

"Sono indecisa se abbracciarti o prenderti a botte." Sibilò Elsa torcendosi le mani.

"Abbracciami." Disse Neal convinto, allargando le braccia.

Elsa lo abbracciò forte, stringendolo più forte che poteva.

"Stai cercando di ammazzarmi, per caso?" Chiese Neal stringendola a sua volta.

"Solo un po'. Come hai osato non dirmi niente?" Chiese poi staccandosi e guardandolo male.

"Ehi! Tu non sei venuta al funerale e non hai versato una lacrima!" Ribatté Neal. "Direi che siamo pari."

Elsa sbuffò scettica, guardandolo.

"Sei stato cattivo, però. Morire è crudele, ma non morire e far finta di essere morto è..." Elsa socchiuse gli occhi cercando una parola adatta.

"Da stronzi?" Chiese Neal sorridendo.

"Sì." Confermò Elsa. "E il tuo biglietto, quello nascosto nella fodera dell'astuccio degli attrezzi da scassinatore, era un po' inquietante." Aggiunse Elsa.

"Perché?" Chiese Neal, poggiandosi al parapetto accanto a Elsa.

"Perché un morto che ti chiede di andare in Francia e comprargli delle meringhe è un po' inquietante." Rispose Elsa.

"Giusto! Le hai comprate?" Chiese Neal, gli occhi che brillavano.

Elsa sospirò mostrando un sacchetto.

Si sedettero su una panchina lì vicino e iniziarono a mangiarle.

"Non lo sa nessuno che sei ancora vivo?" Chiese Elsa dopo un po'.

"Tu sei la prima. Ma un giorno o l'altro ci arriveranno anche gli altri." Rispose Neal.

"Mozzie?" Chiese Elsa stupita.

"Neanche lui. Doveva essere la miglior truffa di sempre." Disse Neal.

"Peter era disperato." Disse Elsa.

"È incredibile quanto mi manca la vita all'FBI. Però è anche vero che sono un criminale, non posso farci niente." Disse Neal scrollando le spalle.

"Diciamo che potresti, ma appena fai qualche passo avanti salta fuori un problema che ti costringe a correre di nuovo indietro." Disse Elsa con un sorriso.

"Sì, si può dire anche così." Ammise Neal. "Mi sei mancata sai?" Aggiunse dopo un po'.

"Siamo stati lontani un anno intero tempo fa e io ti sono mancata ora per un mese?" Chiese Elsa divertita.

"Era più il pensiero che tu credessi che io fossi morto." Disse Neal.

"Ti rendi conto di quanto è intrecciata questa frase, vero?" Chiese Elsa.

"Sì hai ragione." Sorrise Neal.

"Comunque mi sei mancato anche te." Ammise Elsa poi.

"Perché hai lasciato i tuoi amici in America?" Chiese Neal dopo poco.

"Volevo stare un po' da sola." Rispose Elsa alzando le spalle. "Tornerai mai a New York?" Chiese poi.

"Forse. Non lo so. Una volta lì, non riuscirei a stare lontano da Mozzie e da Peter." Rispose Neal.

"Quindi vuoi aspettare che scoprano che sei ancora vivo." Concluse Elsa per lui.

"Già. E comunque volevo far passare qualche anno per dare il tempo a tutti di dimenticarsi di me." Aggiunse Neal.

"Allora un giorno torneremo insieme." Disse Elsa decisa.

"Cosa? Non torni dalla tua squadra?" Chiese Neal.

"Sopravvivono anche senza di me. Tornerò quando tornerai anche tu." Rispose Elsa.

Neal sorrise guardandola.

"Come va il braccio?" Chiese poi.

"A meraviglia." Elsa mostrò quanto riusciva a muoverlo, nonostante i suoi movimenti fossero ancora limitati.

"Se mi avessi detto che saresti andato via, avrei evitato di mettere in ordine tutto il tuo appartamento con un braccio solo." Aggiunse poi cercando di farlo sentire in colpa.

"Hai fatto un piacere a June." Osservò Neal.

"Perché Parigi?" Chiese Elsa sorridendo.

"Per il Louvre." Rispose Neal con un sorriso complice. "Sto organizzando il miglior furto di sempre." Disse facendole l'occhiolino.

"E chi sono io per non partecipare?" Sorrise Elsa.

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Capitolo 16
*** Riunione Ufficiale ***


Capitolo 16

Riunione Ufficiale



 

 

 

Due anni dopo...

"Sicuro di volerlo fare?" Chiese Elsa guardando verso l'aeroporto.

"No, e tu?" Chiese Neal nervoso.

"Per nulla." Elsa respirò profondamente.

"Ah ecco." Neal mise le mani in tasca.

"Facciamo un'altra volta magari." Disse Elsa girandosi e dando le spalle all'aeroporto.

"Ehi, dove vai!" La fermò Neal.

Elsa si girò ancora una volta verso l'aeroporto.

"Hai ragione. Dobbiamo andare." Disse decisa.

Camminò spedita verso l'aeroporto, poi si girò verso il padre.

"Beh? Non vieni?" Chiese.

Neal mise il cappello e la seguì.

"A che ora parte?" Chiese poi guardando l'orologio mentre entravano nell'aeroporto.

"Tra circa un'ora: abbiamo tutto il tempo per cambiare idea altre sette volte." Rispose Elsa.

"Forse anche otto." Ribadì Neal.

Elsa si sedette una poltroncina e cercò di non agitarsi troppo.

"Se continuo così mi verrà il mal di pancia." Disse dopo poco.

Neal rise sedendosi accanto a lei.

"Se vuoi puoi prendere un sonnifero." Le consigliò lui.

"No, odio le pasticche. E poi col mal di pancia ho una scusa per non mangiare l'orribile cibo dell'aereo." Disse Elsa soddisfatta. "Due anni fa, quando sono venuta in qua, ho fatto finta di dormire per tutto il tempo per non mangiare." Spiegò poi.

"Non ti bastava dire che stavi male?" Chiese Neal ridendo.

"Così poi insistevano a portarmi tè e camomilla? Molto meglio il mio metodo." Sorrise Elsa.

"Chi ci viene a prendere in aeroporto?" Chiese Neal, all'apparenza del tutto tranquillo.

"Ed e Margot. Poi domani... cioè l'indomani rispetto a quando saremo là, cioè oggi... no dopodomani... accidenti al fuso orario! Vabbè il giorno dopo andremo a casa di Peter, dove dovrebbe esserci anche Mozzie." Rispose Elsa.

"Mi agita solo l'idea." Sospirò Neal.

"Non si direbbe." Osservò Elsa squadrandolo. "Comunque sanno già che sei vivo. Non sanno che andrai lì, ma sarà piacevole comunque. Almeno tu avevi una ragione per sparire." Osservò Elsa.

"Anche te." Ribatté Neal indicando se stesso.

"Già, e forse avrebbero apprezzato se gliene avessi parlato..." Sospirò Elsa.

"Non gli hai detto nulla di questi due anni?" Chiese Neal curioso.

"Niente di importante. Anche se sono sicura che mi hanno tenuta d'occhio, ad esempio su tutti i giornali." Disse Elsa poggiando la testa sulle mani.

Neal alzò le sopracciglia.

"Allora in effetti potrebbero non essere felicissimi." Osservò.

Elsa gli tirò una gomitata.

"Tu dovresti supportarmi!" Bofonchiò, girandosi in modo da dargli le spalle.

Neal la abbracciò da dietro ridendo.

"Stavo scherzando!" Le disse poi.

Elsa si appoggiò a lui e lo guardò dal basso all'indietro.

"Sinceramente, ti arrabbieresti molto?" Chiese Elsa facendo gli occhioni dolci.

"Sono sicuro che ti capiranno." Disse lui tirandole un paio di pacche sulle spalle.

"Che vuol dire sì." Elsa si alzò sbuffando. "Alzati, andiamo a fare il check in."

 

"I signori passeggeri sono pregati di sedersi e allacciare le cinture di sicurezza. L'atterraggio avverrà in dieci minuti. La temperatura attuale a New York è di 23 gradi centigradi..."

"Elsa, svegliati!" Neal la scosse delicatamente.

"Il mare, zitto." Borbottò Elsa girandosi un po' dall'altra parte.

"Elsa, siamo arrivati." La scosse ancora Neal.

Elsa sbuffò e si risistemò sulla sedia, stiracchiandosi.

"Stavo sognando una bella spiaggia ai Caraibi..." Disse poi guardando male Neal.

"Non è colpa mia se siamo arrivati." Si giustificò lui.

"Allora, siamo a New York. Il JFK." Osservò Elsa.

"Non ho esattamente un bel ricordo di questo posto." Disse Neal mentre l'aereo atterrava.

"A parte per i trentamila dollari." Lo corresse Elsa.

"A parte quelli." Confermò Neal con un cenno del capo.

Scesero lentamente dall'aereo e andarono a recuperare i bagagli.

Elsa si mise ad aspettare davanti al nastro con un espressione concentrata in viso.

"Che fai?" Le chiese Neal guardandola stupito.

"Prego perché non abbiano perso le valige. Le mie le perdono sempre. Una volta una è finita in Nepal, quando stavo andando a Los Angeles." Spiegò Elsa.

"Non pensavo fossi credente." Disse Neal.

"Non lo sono. Ma prego comunque, male non fa." Rispose la ragazza, osservando le prime valige che scendevano lungo il nastro.

"Due anni e ancora mi stupisco." Disse Neal scuotendo la testa e sorridendo lievemente.

"Eccole!!" Esclamò Elsa contenta.

Presero le loro valige e si avviarono fuori dall'aeroporto.

"Credo che adesso mi stia tornando il mal di pancia." Disse Elsa nervosamente.

"Devo dire che non pensavo che tu fossi così ansiosa." Ammise Neal.

"Sono ansiosa solo quando è importante." Ribatté Elsa.

"Sono contento di essere importante per te." Disse una voce alle sue spalle.

Neal si girò sorridendo, mentre Elsa restò di spalle e iniziò a respirare profondamente.

"Puoi girarti, giuro che non ti ammazzo." Aggiunse la voce.

Elsa si girò lentamente e si ritrovò Edward davanti.

I due si abbracciarono di slancio.

"Sei stata una stronza egocentrica e insensibile." Disse Edward stringendola forte e ridendo. "E ci sei mancata un sacco." Aggiunse poi.

"Anche tu!" Rispose Elsa stringendolo a sua volta.

"Per sapere, da quanto vi conoscete voi due?" Chiese Neal curioso.

"Da quando ci siamo coalizzati contro un gruppo di bulli all'orfanotrofio." Rispose Elsa mentre Ed si soffermava a guardare Neal.

"Alla faccia del voglio stare un po' da sola in Francia." Disse guardando male Elsa. "Potevi dirlo che tuo padre era ancora vivo."

"Scusa?" Tentò Elsa incerta, mentre Neal se la rideva.

Ed scosse la testa esasperato.

"Andiamo, vi porto da Margot. Abbiamo una nuova casa." Disse Ed guidandoli verso la propria auto.

"Guido io!" Esclamò Elsa fiondandosi verso il posto di guida.

"Ecco le chiavi." Disse Ed lanciandogliele. Sembrava che non fosse passato nemmeno un giorno dalla loro partenza.

"Belle, dolci e adorabili macchine col cambio automatico." Sospirò Elsa sedendosi al posto di guida.

Edward fece da navigatore, dando le istruzioni a Elsa.

Dopo circa mezz'ora Ed li fece fermare davanti a una villetta elegante.

Neal fischiò ammirato.

"Che chicca!" Esclamò.

"Sì, Margot ha vinto a poker un po' di tempo fa." Spiegò Ed.

"Margot gioca a poker?" Chiese Elsa stupita.

"Sì, è cambiata molto da quando te ne sei andata. Una volta da ubriaca mi ha detto che le mancava la sua amica scema che la costringeva a fare jogging e che si metteva sempre nei guai." Ricordò Ed.

"L'ha detto davvero? Domani la porto a correre!" Disse Elsa correndo a suonare il campanello.

Due secondi dopo la porta si aprì e apparve Margot.

Non appena si videro le due ragazze si abbracciarono, sotto allo sguardo un po' sconcertato di Neal e Ed.

Poi, ignorando i due dietro di loro, entrarono in casa e iniziarono a parlare fitto fitto, a una velocità supersonica.

"Secondo te vogliamo sapere di che stanno parlando?" Chiese Neal avvicinandosi a Ed.

"No, fidati. Te lo dico per esperienza personale." Rispose quello entrando in casa.

"E sono sempre così?" Chiese Neal seguendolo.

"No, dopo qualche giorno iniziano a litigare. Allora arriva il divertimento." Spiegò Ed. "Litigano per delle cose molto sceme." Spiegò a Neal, che si era seduto sul divano.

"Signori, propongo un brindisi alla vecchia squadra riunita insieme." Proclamò Elsa entrando nella stanza con una bottiglia di vino in mano.

"Cavoli, una riunione ufficiale. Vado a prendere le candele." Disse Ed alzandosi in fretta e tornando dopo pochi secondi con tre candele colorate in mano.

"Ecco qua." Le posò sul tavolo.

Elsa prese subito la candela celeste, mentre Margot prese quella verde e a Ed rimase quella nera.

Le accesero tutte quante e si sedettero in terra a triangolo.

"Mi dispiace, ma non ho altre candele colorate." Disse Ed guardando Neal. "Però ce n'è una bianca in cucina."

"Grazie, ma credo che farò senza." Rispose l'uomo.

"Allora, dopo due anni eccoci ancora qui, tutti sani e salvi. Se non sbaglio l'ultima volta che abbiamo fatto una riunione avevamo l'Interpol alle costole." Disse Elsa riempiendo i bicchieri.

"Che tutto ciò possa proseguire all'infinito." Disse Margot alzando il calice a fare un brindisi.

"Due volte fa, stavamo per rapinare un furgone blindato di una banca." Ricordò Ed.

Bevvero dal bicchiere e sorrisero.

"Ricordate la prima volta?" Chiese Margot a quel punto.

Sorridere tutti e tre in sincronia.

Neal si sedette accanto a loro.

"Cosa è successo la prima volta?" Chiese poi curioso.

"Era la prima notte che Margot stava con noi. Elsa l'aveva appena trovata." Iniziò Ed.

"Giornata fortunata." Disse Margot sorridendo.

"Dipende dai punti di vista." Intervenne Elsa.

"Praticamente Elsa era stata quasi beccata al museo d'Orsay mentre rubava un quadro di non so dove..." Riprese Ed.

"Nord Europa. Era fiammingo." Intervenne ancora Elsa.

"Comunque ha trovato Margot per la strada, e lei l'ha aiutata a passare inosservata davanti a dei poliziotti che accorrevano al museo. E poi l'ha portata a casa."

"Dove Margot per prima cosa è corsa a farsi una doccia. E per seconda mi ha rubato la mia maglietta preferita." Lo interruppe di nuovo Elsa.

"Non lo sapevo, non avevi detto di evitare quella rossa." Si giustificò Margot.

"E poi." Riprese Ed a voce più alta. "Sì sono sedute sul pavimento e si sono ubriacate con delle candele davanti."

"E sei venuto anche tu poco dopo." Lo interruppe Margot, facendo intanto il secondo giro col vino.

"In effetti a volte viene la voglia di trasferirsi." Sospirò Ed scherzando rivolgendosi a Neal. "Non riesco a fare un discorso per intero."

"Se un giorno vuoi una serata tra uomini ne organizzo una con Moz." Propose Neal.

"Perché no?" Rispose Ed.

"Chiudete le bocche e bevete!" Li interruppe Margot.

"Quindi le vostre serate di riunione consistono in ubriacarsi sul pavimento?" Chiese Neal curioso bevendo in un sorso il suo bicchiere.

"O quelle, o nottate intere a organizzare colpi e furti da maestri." Rispose Elsa.

"Piani perfetti, e nessuno ti becca. Basta prevedere tutto." Disse Ed.

"Già, ricordi il terremoto durante la rapina in banca?" Sorrise Margot.

"Eri un po' strana in quel periodo." Aggiunse Ed rivolto a Elsa.

"Pensa se ci fosse stato davvero un terremoto!" Sbuffò Elsa.

 

La mattina dopo Elsa si svegliò con un lieve mal di testa. Segno che non si era ubtiacata molto.

Sia lei che i suoi compagni avevano dormito sul pavimento, molto probabilmente la causa del suo mal di schiena.

"Margot!" Chiamò ad alta voce rigirandola con un piede. "Sveglia!"

Lei si svegliò bofonchiando e tirando insulti in tutte le lingue che conosceva.

"Che c'è?" Chiese poi alzandosi una volta finita la lista di imprecazioni mattutine

"Si va a correre! Ho sentito che ti è mancato!" Esclamò lei andando in camera per mettersi la tuta da ginnastica.

Neal si svegliò in quel momento e vide che anche Ed aveva gli occhi socchiusi.

Si tirò un po' su, ma fu trattenuto dalla mano di Ed.

"Fai finta di dormire." Gli sussurrò, sdraiandosi a sua volta.

Elsa e Margot gli passarono accanto di nuovo per uscire.

"Peccato che stiano dormendo. Avrei fatto venire anche loro." Osservò Elsa, mentre sistemava gli auricolari e la musica.

"Anche io stavo dormendo." Borbottò Margot.

"Tu non conti. E ti fa bene correre." Rispose Elsa uscendo e spingendola fuori.

"Grazie." Sussurrò Neal dopo poco, alzandosi in piedi.

"E ora abbiamo la casa tutta per noi per circa quaranta minuti." Disse Ed soddisfatto.

Quando Elsa e Margot rientrarono, una raggiante e l'altra distrutta, la colazione era pronta sul tavolo e Ed e Neal le stavano aspettando.

"Muoio." Disse Margot senza fiato lasciandosi cadere su una sedia e bevendo un bicchiere d'acqua.

"Come sei tragica." La rimproverò Elsa. "Non abbiamo fatto nemmeno metà di quello che facevamo due anni fa."

"Che tu facevi due anni fa." Ribatté Marge. "Io venivo solo il sabato." Fece notare poi.

Sorridendo si misero a fare colazione e passarono la mattinata insieme.

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Capitolo 17
*** Fino Ai Guai Seri ***


Capitolo 17

Fino Ai Guai Seri

 

 

"Okay, adesso ti capisco." Disse Neal all'ora di pranzo, guardando la porta della casa di Peter.

"Cosa capisci?" Chiese Elsa totalmente rilassata.

"Il discorso dell'agitazione quando è importante." Specificò Neal.

Elsa ridacchiò accanto a lui.

"Andiamo." Disse camminando decisa verso la casa.

Neal prese un respiro e la seguì.

"Lo sanno che sei vivo." Gli ricordò Elsa fermandosi davanti alla porta.

"Giusto. Non è niente di che." Cercò di autoconvincersi Neal.

Poi suonò il campanello.

"Arrivo!" Rispose la voce di Elisabeth.

Elsa vide il padre iniziare a battere nervosamente il piede in terra e lo prese per mano, sorridendogli.

"Satchmo, stai giù!" Si sentì mentre la porta si apriva.

Elisabeth aprì sorridendo e si bloccò vedendo i due davanti alla porta.

"Non ci credo." Sussurrò sbiancando.

Sbatté un paio di volte le palpebre e poi si lanciò ad abbracciare Neal, ridendo e piangendo in contemporanea.

Peter li raggiunse poco dopo, preoccupato per Elisabeth e rimase anche lui a bocca aperta.

Neal restò un po' imbarazzato a guardare Peter, mentre Elisabeth passava ad abbracciare Elsa nonostante l'avesse vista solo una volta.

Neal e Peter si fissavano negli occhi e cercavano di capire ognuno cosa pensasse l'altro.

"Entrate." Disse poi piano Peter, aprendosi in un sorriso incerto ma sincero.

Neal sorrise a sua volta, togliendosi il cappello e entrando in casa.

Là fu il turno di Mozzie di restare stupito.

E Neal restò stupito a guardare il piccolo che teneva tra le braccia e con cui giocava.

"Vecchio mio!" Esclamò poi Moz alzandosi in piedi. "Bentornato compagno di truffe." Gli sussurrò poi nell'orecchio abbracciandolo.

"Neal, ti presento Neal." Disse poi Elisabeth prendendo in braccio il piccolo.

Neal sorrise contento guardando subito verso Peter.

"Stai nutrendo il suo ego in modo spropositato." Osservò Peter.

Tirò una pacca sulla spalla a Neal.

"Pensavamo che fossi morto. Non ti dare troppa importanza adesso." Lo ammonì Peter.

"Io? Per carità." Ribatté Neal. "Deve essere il bambino più fortunato del mondo." Osservò sorridendo.

"Certo. Ha me come zio adottivo." Disse Mozzie orgoglioso.

"Chiariamo subito Neal." Disse Peter dopo poco prendendo Neal da parte mentre Elsa parlava con Elisabeth e Mozzie. "Non sono arrabbiato con te per essertene andato, ma più che altro per non avermi detto il tuo piano."

"Non potevo dirlo a nessuno. E tu più degli altri. Tu mi avresti convinto a restare." Disse Neal.

"Ma a Elsa l'hai detto." Osservò Peter.

"Solo un mese dopo. E perché avevo bisogno di qualcuno. Ma qualcuno come me, un criminale che non avesse problemi a stare con me." Spiegò Neal.

Peter annuì lentamente.

"Non dico che lo capisco del tutto, ma lo posso accettare." Sorrise abbracciandolo. "Anche perché sei il mio migliore amico." Aggiunse poi.

"Quanto restate?" Chiese Elisabeth mentre serviva il pranzo.

"Oh, io ho un po' di affari da sbrigare con i miei soci qui... se mi capite." Disse Elsa lentamente.

"Pensavamo di restare per un po'." Continuò Neal.

"Diciamo... finché non finiamo in guai seri." Concluse Elsa. "Indefinitamente."

"Già. Finché non finiamo in guai seri." Ripeté Neal.

E nulla fu più gratificante del sorriso sulle facce dei suoi amici.

 

 

 

 







 

 

 

 

 

 

Ciao a tutti!!!

Vi ringrazio enormemente per essere arrivati fino alla fine con Elsa e Neal!
Ringrazio in particolare tutti coloro che hanno lasciato e che lasceranno una recensione, ma anche i semplici lettori silenziosi.
Spero che la storia vi sia piaciuta.

Ledy Leggy

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