Un dono speciale

di Colli58
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Portami qualcosa ***
Capitolo 2: *** Uno sguardo diverso ***
Capitolo 3: *** Istinto, incoscienza, amore? ***
Capitolo 4: *** Bisogno di luce ***



Capitolo 1
*** Portami qualcosa ***


I fascicoli da leggere erano sparsi sulla scrivania dello studio. Se li era portati da casa per poterci tornare prima dal lavoro. Era martedì sera e l’indomani Rick doveva partire. Non aveva voluto tardare in ufficio in quella occasione quindi portare il lavoro a casa era sembrata l’opzione più ovvia ma non così comoda.
Avevano cenato presto dopodiché Castle si era dedicato a preparare la valigia mentre lei tornava alle sue scartoffie.
Così dalla porta aperta che dava sulla stanza da letto lo stava guadando di sottecchi mentre, con il trolley poggiato sul letto, andava e veniva dalla cabina armadio con gli indumenti.
Kate lo stava osservando con attenzione, affascinata. Castle era un uomo meticoloso, ordinato.
Aveva una sua metodicità nel fare la valigia. Piegava perfettamente le camicie per evitare che si sgualcissero, sul fondo metteva tutto il necessario per la cura del corpo in una trousse da viaggio che faceva invidia ad una donna. Era un uomo curato, aveva più creme di lei per la pelle, il volto, le mani. Amava la manicure, oli idratanti per il corpo. C’era una quota sostanziosa di metro sessualità in tutto quell’amore per la cura di sé che a lei piaceva molto anche se mascherava il suo esserne compiaciuta tendendo a schernirlo. La sua antica arma di difesa: sarcasmo e saccenteria.
Lui continuava placido a eseguire le proprie attività, forse ignorando volutamente le sue attenzioni. Kate si sentiva un po’ in ansia mentre lui faceva tutto quello senza fiatare.
Castle tornò per l’ennesima volta dalla cabina armadio con in mano una giacca. La stese sul letto e prese a piegarla con cura, inserendola poi in una custodia per abiti insieme ai pantaloni del medesimo completo. Un abito che gli donava, metteva in mostra le sue grandi spalle.
Kate abbassò gli occhi sui documenti masticandosi il labbro. Trattenne un sorriso, lei buttava un po’ di cose nella valigia e poi… scopriva di non avere il necessario. Era istintiva, lui organizzato tanto che nei loro viaggi era lui a fare il check-out al suo bagaglio. Stava divagando concentrandosi sulla fisicità di Rick espressa dal suo andirivieni indaffarato e silente. Non intendeva distrarsi dal suo lavoro. Si doveva concentrare!  
Ma che cosa c’era di male nel gustarsi senza ritegno il naturale charme di suo marito? Anche perché a breve se lo sarebbe gustato qualcun altro. O altre.
Castle era fin troppo silenzioso in verità, non doveva essere tranquillo. Lo aveva trovato a casa un po’ nervoso a causa un incontro con Gina che lo aveva messo di cattivo umore.
Si era occupato della casa come tutte sere. Lo aveva visto rilassarsi dedicandosi a piccoli gesti di cura nei confronti del loro rifugio. Aveva messo a posto l’ufficio, i suoi documenti, lasciando spazio ai fascicoli che lei aveva portato con sé dal distretto. L’aveva aiutata a smistarli prima di preparare per la cena.
Occuparsi della loro casa era una valvola di sfogo, probabilmente si sentiva al sicuro. Quei semplici e quotidiani rituali curavano entrambi dall’ansia quando le loro vite erano gettate nella fossa dei leoni con guai, preoccupazioni e rischi a non finire. La loro routine era un balsamo dall’aroma di biscotti fatti in casa.
Sentì il suono inconfondibile della zip della valigia che si chiudeva. Aveva finito.
Kate, espirando, abbassò lo sguardo sul fascicolo che aveva in mano. Era solo una brutta storia, di un sapore amaro e fastidioso e lei non voleva davvero immergersi in quella bruttura. Aveva la mente così ottenebrata.
Rick stava per partire e lei aveva troppo da lavorare. Già. Lo doveva sapere, si era anche detta che in fondo avevano avuto i loro momenti di relax nel week-end, che non era andata male in fondo.
Sentì la mano di lui posarsi sulla sua spalla.
“Tutto ok?” La destò dai suoi pensieri. Aveva sperato in una serata tranquilla, ma da quel che vedeva sulla scrivania Kate ne aveva per un bel pezzo.
“Insomma…” replicò Kate sbuffando.
“Ci sono novità… in ufficio?” Chiese a bassa voce. Kate si era aspettata quella domanda per tutta la sera ma a cena lui aveva parlato poco e di facezie. Gli passò il fascicolo. Castle era vestito con jeans scuri e la camicia bordeaux con le maniche arrotolate, non si era nemmeno cambiato come se fosse in procinto di uscire di nuovo. La sua attenzione venne richiamata prepotentemente dallo sguardo intenso: sembrava giù di corda più di quel che le era parso durante la cena.
Si era anche sbarbato, come le aveva promesso. Era stato di parola.
“Tutto sembra portare ad un collega del ventiseiesimo…” Si alzò e mostrò al marito i documenti. “Certo, siamo solo all’inizio, le indagini andranno per le lunghe con la disciplinare.”
“L’hai interrogato?” Castle non voleva che avvicinasse Denver. Notava la sua curiosità velata dalla preoccupazione, unita a quello stato di contrizione che percepiva in ogni suo movimento.
Kate sorrise arricciando il naso. “E’ stata la Gates. Ho assistito da dietro il vetro.”
Castle annuì compiaciuto.
“Non ha voluto.” Sottolineò Kate divertita dalla sua reazione.
“Credo che la Gates abbia veramente a cuore il tuo stato, in fondo.” Replicò. Lo aveva sperato, ma il capitano lo stava decisamente accontentando. La Gates era una romantica.
“E poi ero occupata a smuovere vermi da sotto i sassi della politica di questa città!” Non era da Kate pavoneggiarsi e sembrare anche un po’ piena di sé, ma era un tentativo di stimolare il suo sense of humor.
E poi era stato Castle a ricordarle quanto New York fosse una fonte inesauribile di scandali.
“Coi vermi ci fai le esche per la pesca?”
“Se avrò abbastanza opportunità butterò qualche amo.”
Castle le fece l’occhiolino. “Pensavo usassi la fiocina.”
Le lo colpì su un braccio scoccandogli un’occhiataccia. Era l’effetto che aveva sperato. “La uso solo per i pezzi da novanta.”
Castle sedette al posto di lei e lesse velocemente il rapporto sull’interrogatorio, poi si sporse verso la scrivania dando uno sguardo agli altri documenti con estrema curiosità.
“Sembrerebbe che dietro a questa porcheria ci sia… il capitano Lucas?” Sbottò stupito.
Kate annuì. “E’ una delle persone in corsa con la Gates per ambire al posto di viceprocuratore.”
Castle la guardò con serietà. “Non ci credi vero?” Kate mosse il capo negando con lentezza.
“Per me c’entra qualcuno che in lista ha meno quote.” Decretò quindi posando il tutto. “Lo conosci?” indicò il profilo di Lucas tra i fogli sparsi.
“Sì, non riesco a credere che sia lui perché è uomo in gamba con uno stato di servizio eccellente.”
“E’ troppo banale, sareste arrivati a lui senza sforzi comunque. Queste non sono briciole, sono pagnotte toscane intere!” Kate rise annuendo.
“Chi c’è dopo Lucas? Chi è in corsa dopo di lui?”
“Ci sono un paio di nomi… Vedremo cosa troveranno.” Sapeva che stava dicendo un’ovvietà ma l’indagine era solo all’inizio ed era tutta un depistaggio.
“Parteciperai?”
“Non credo, affari interni...”
Castle allungò una mano verso il collo di lei.  Massaggiò con i polpastrelli la sua zona cervicale dolorante.
Kate avrebbe voluto cedere al volo, mollare tutto e semplicemente abbarbicarsi sul suo torace e addormentarsi lì.
Lui sospirò notando che a quella collina di scartoffie non poteva scappare.
“Vuoi una mano?” Disse a bassa voce. Lei negò.
“Rilassati e guarda un po’ di Tv, io ti raggiungo appena posso.”
Castle emise un gemito sommesso. “Ci sono le puntate inedite di Walking dead e una vasca di popcorn…” elencò cercando di convincerla.
“Dopo ti raggiungo…” Kate si sforzò di essere convincente, dubitando comunque di potersi liberare.
Lui annuì e uscì dirigendosi in cucina. Tornò ai propri documenti, leggendo e correggendone alcuni. Completò alcuni moduli, inviò una mail alla Gates contenente alcune osservazioni.
Sentì la tv accendersi e l’aroma inconfondibile del mail scoppiettante invadere la stanza. Cercò di fare attenzione al testo scritto a mano dai colleghi. Note brevi piuttosto che fotocopie di incartamenti datati.  Prese un nuovo fascicolo quando il telefono emise un cicalio. Era il capitano che le aveva risposto.
Lesse il messaggio contenuto nella mail e sorrise.
“Beckett, ottimo lavoro, ci vediamo domani. Per stasera è tutto. Ps: saluti per bene suo marito...”
Divertita abbandonò la penna che aveva in mano e mise in ordine ciò che aveva sparpagliato sulla scrivania. Poi uscì dallo studio e raggiunse Rick che, sorpreso, l’accolse con gioia lasciandole lo spazio che lui stesso aveva già scaldato sulla pelle del divano. Kate spostò la grande ciotola di popcorn dalle mani di Rick per fare quello che aveva sperato: abbarbicarsi sul torace di suo marito e dimenticarsi del mondo.
“Sei stata veloce!” Esclamò Castle felice di quella inattesa liberta per la serata.
Ne aveva bisogno in realtà, era stata una pessima giornata e Gina aveva fatto del suo meglio per farlo sentire un idiota. Critiche, critiche, solo sprezzanti appunti su quello che non le piaceva. Praticamente tutto.
Gli ultimi capitoli non erano affatto male, erano intensi e decisi, la storia filava ma a Gina non piaceva nemmeno una parola. Era sempre stato critico con il proprio scritto, non si adagiava sugli allori facilmente e quando non era soddisfatto riscriveva o gettava proprio il materiale. Non era quello il caso, ne era convinto. Comunque avrebbe affrontato al suo ritorno le innumerevoli revisioni che Gina aveva preteso.
L’architetto aveva dato conferma per l’incontro lunedì e la settimana sembrava già faticosa. Era grato a Kate di aver trovato tempo per lui, averla tutta per sé rendeva la serata impagabile.
Kate sorrise prendendo una manciata di popcorn ed annuì. “Sono in libera uscita. Disposizioni dall’alto.”
Se le mise in bocca in modo giocoso.
“Senza burro fuso?” Biascicò sorpresa a bocca piena.
“Ieri hai mangiato quei ravioli… poi sai come è finita.” Fece una smorfia.
Kate arricciò il naso. “Ho cercato di dimenticarmene.” Risero divertiti.
“Al naturale non ti daranno problemi. Forse…” Castle allungò una mano e si riprese la ciotola, non tanto per riagguantare il maltolto, ma per permettere a Kate di appoggiarsi più comodamente a lui.
“Evitare il burro aiuta anche la tua forma.” Lo stuzzicò e Castle minacciò di farle il solletico, mettendo a rischio la ciotola del mais. Kate ridacchiò e trattenne il loro spuntino prima di perderlo. “Non ti piacevo morbido?”
L’episodio era iniziato da un po’, Castle fece un breve riassunto per lei ed insieme si dettero a commentare divertiti le scene più cruente: ovviamente zombie lamentosi e famelici, spari, sangue.
Strano modo di divertirsi e rilassarsi insieme per due che vedevano morti ammazzati quotidianamente.
Poi la tv divenne solo un suono di fondo, giocarono lanciandosi il popcorn a vicenda. Fecero un bel caos sul tappeto rovesciandone metà della ciotola. Nacque una sfida all’ultimo centro. Rick riacquistò il suo buonumore e propose una serata senza alcol appositamente per lei, secondo ormai la sua abitudine di voler condividere con la moglie una parte delle piccole privazioni che la gravidanza richiedeva. Quindi tonica e limonata.
Le immagini scorrevano sul grande schermo e loro le ignorarono presi da una vivace discussione sulle doti necessarie alla sopravvivenza in caso di apocalisse Zombie. Usare le armi era previsto, ovvio. Poi c’era la necessità di aggiustare, saldare, inventarsi meccanismi e fare un po’ come McGyver, bombe nucleari comprese.
Ma anche cucire, suturare ferite, imparare a coltivare qualcosa. Insomma non erano preparatissimi ma appurato che Kate sapeva mettersi i punti, sulle armi ci andavano forte. Avevano qualche punto di vantaggio.
Castle fece un elenco sulle opportunità di costruire un bunker. Dove, come, con che materiali.
Kate ascoltò aggiungendo spunti a molte delle sue tesi. Divagare almanaccando assurde congetture insieme aveva sempre l’effetto di un potente analgesico. Era grandioso
Castle allargò un braccio sullo schienale del divano, scosse il capo ancora, cercando di spingere via un pensiero che, nonostante le sciocchezze dell’ultima mezz’ora, non lo voleva abbandonare. Piegò infine la testa all’indietro. Sospirò e massaggiò la schiena di Kate, sdraiata contro di lui. Si era allungata sul suo corpo percependone la tensione e allo stesso tempo godendosi il calore che emanava.
“Va meglio?” Era il momento giusto per chiederlo, Rick si era rilassato e le sue spalle stanche della tensione si stavano sciogliendo.
Lui annuì.
“Che cosa è successo alla Black Pawn?”
Castle sbuffò. “Niente, sono solo stanco.” Mentì evitando il suo sguardo.
“Rick…” Lei lo freddò richiamando la sua attenzione. “Andiamo…” Fece un sorriso tirato, stringendo i denti.
Lo sguardo dell’uomo si fece serio. “Mi sta facendo ammattire.” Aveva davvero cercato di nasconderle il suo stato? Lui a lei? Davvero?
“Gina… eh?” Kate arrivò al punto.
“Chi sennò…”
“Sono un po’ gelosa, vorrei essere la sola.” Commentò Kate con ironia. Quella donna aveva ancora troppo potere sulla vita di suo marito, una constatazione che le procurava un certo di fastidio ogni qualvolta si rendeva tangibile come in quella serata.
Lui sorrise e accarezzò Kate con dolcezza per ammorbidire la sua reazione.
“Tu sei la sola che lo fa nel modo giusto.”
“Cosa è accaduto?” Lo esortò a parlare. Dopo tutta la serata con quell’ombra negli occhi, era il minimo.
 Castle abbassò lo sguardo sulle proprie mani cercando il giusto incipit.
“Non è andata bene e Gina non ha lesinato le critiche. Mi ha bocciato la maggior parte del materiale.”
“Davvero?” Kate era sinceramente stupita. Aveva letto quasi tutto il romanzo e lo aveva adorato.
“Non gli è piaciuto quanto ho scritto fino ad ora. Ha criticato ogni parola, ogni idea. Mi sto stancando…” Scosse il capo mettendo il broncio. Sembrava così affranto.
Kate si inquietò. “Di scrivere?” Un exploit preoccupante.
“No, no… No! Di sentirla. Quando mi parla è acida più del solito. E’ come se mi volesse sputare addosso veleno.”
Castle fece una smorfia di dolore. Era già accaduto ma non aveva preso troppo sul serio la situazione pensando fosse solo uno screzio temporaneo. Però sembrava che Gina stesse perdendo il controllo giocando sporco contro di Castle con il peso della sua posizione.
- Proprio una stronza - Pensò Kate. La sua opinione di quella donna era in netto declino. Facendola beneficiaria di un briciolo di dubbio, una frazione minimale, si stava comportando come una donnicciola vendicativa.
Non capiva Gina ed il suo comportamento capriccioso e infantile. Non aveva sei anni dopotutto e magari lei si prendeva la libertà di additare Rick come un bambinone.
“Non hai provato a parlarle?” Aggiunse quindi cercando di non mostrare la sua preoccupazione.
“Si, ci ho discusso, lei insiste che non è nulla di personale, ma lo è. So che lo è. E’ frutto di quella serata.”
Pessima notizia. Kate provò un insolito disgusto a pensarla libera di tiranneggiare Rick, in fondo quello era il suo appannaggio di moglie. Poteva farlo solo lei.
“Alcune volte sembra non volermi proprio vedere, è infastidita e irritabile. Se deve dirmi qualcosa lo fa per mail o mediante Paula ma quando deve incontrarmi non risparmia il veleno. Durante il divorzio era meno carogna.” Aggiunse Castle sbuffando. “Odiosa megera. In momenti come questi sento di star pagando per i miei errori del passato.”
Kate si mosse per avere un contatto visivo migliore. “Non mi hai mai raccontato nel dettaglio…”
“Ah, Kate, voleva che io l’accompagnassi a casa ma era tardi e noi…” Esclamò disgustato.
“Avevamo litigato, me lo ricordo.”
“Se l’è legato al dito quello scherzetto.” Espirò scuotendo il capo.
“Ok ma… i capitoli che mi hai fatto leggere sono stupendi.”
“Kate…”
“Non sono di parte. Sono davvero belli e mi piace molto questa tua ultima fatica, dico sul serio.” Lo riprese rincuorandolo.
“Sei sempre stata un critico onesto.” Ammise.
“E’ così frustrante! Se il materiale fosse davvero discutibile io accetterei le critiche, è già accaduto, non sono tutti capolavori! Oggi mi ha volutamente fatto nero…”
Kate sbuffò. “Mortificare la tua autostima prima di un evento pubblico aiuta a presentarti al meglio…” disse con tanto di quel sarcasmo che portò Castle a fare un sorriso divertito.
“Ti amo.” Mosse le labbra senza emettere suono.
Kate si alzò e gli diede un bacio sospingendosi con le braccia verso di lui.
“Non devi necessariamente ascoltarla, non farti abbattere.” Disse sulle sue labbra.
“Vorrei essere stato capace di replicare a tono, ma non ci sono riuscito.” Lei annuì senza proferire parola.
Castle sbuffò. “La guardavo e mi sono chiesto cosa avessi mai trovato in lei. Mi sono sentito un cretino. Ho represso un vero, primordiale istinto omicida.” Mimò con un gesto stizzito di volerla strangolare.
Kate gli diede un colpo sul braccio. “Ehi…”
“Giuro Beckett, è stato difficile.” Ammise cupo.
“E’ una figura insostituibile?” Suggerì Kate cercando una via d’uscita. “Voglio dire…”
“Stravolgere le posizioni contrattuali ora sarebbe un azzardo, con il nostro fagiolino in arrivo e pianificare di fare delle opere qui non è il momento adatto per mettere in discussione il mio lavoro.”
Lei lo guardò con aria interrogativa. “Non abbiamo problemi finanziari…”
Castle rise. “Hai visto il conto in banca di recente? No?” Sorrise e strizzò l’occhio. Lei fece una smorfia, in fondo era quella che non si occupava delle questioni di soldi.
“Quelli sono solo spiccioli.” Sottolineò Castle, mostrandole orgoglio.
Una leggera risata di Kate fece sussultare il suo torace. “Non ho certo paura di restare al verde!” Lo rincuorò.
“E se senti la necessità di fare cambiamenti alla tua carriera sei libero di farlo senza preoccuparti per noi. Stai già facendo tanto per permettere a me di andare avanti, non vedo perché tu non possa fare altrettanto.”
Castle si fece pensieroso. “Potrebbe essere rischioso. Se incasinassi le cose? Dovrei avere altre opzioni per fare trattative. Ora non mi sembra d’averne.” Si guardarono.
“Ok, so che sono bravo a incasinare le cose!” L’anticipò e Kate gli scoccò uno sguardo comprensivo.
“Beckett non ti sforzare troppo nel cercare di confutare la mia tesi…” Stava sdrammatizzando ed era un bene.
“Non c’è motivo Castle.” Altra battuta per tornare ad essere seri.
“La tua carriera di scrittore vale ogni tentativo…” Per lei era una cosa ovvia.
“Magari parlando con la direzione potresti anche chiedere un nuovo editor. Presentagli le tue perplessità.” Kate cercò di essergli d’aiuto a trovare una soluzione.
“Sarebbe il minimo a questo punto.” Si passò una mano tra i capelli e strinse le labbra.
“Detesto dirlo, ma dovresti chiarirti con Gina prima di ogni cosa.” Aggiunse Kate. Si era resa conto che qualsiasi cosa avesse voluto Rick per la propria carriera, non doveva negarselo per timore di alterare uno status che rendeva la situazione comoda. Era un bravo scrittore, avrebbe avuto opzioni migliori con una seria trattativa.
“Se non risolvete, sarai libero di sentire il tuo avvocato e andare a discutere con la direzione.”
Castle le sorrise. “Stai tranquilla, vedremo.”
“Comunque.” Passò le mani sulle spalle di Rick cercando di allentarne la tensione. “Non ti lascerò in balia della signora botox. Ti salverò, userò ogni mezzo che riterrò necessario, che sia ben chiaro.” Si allungò nuovamente di lui, lo abbracciò con una stretta forte affondando il viso nel suo collo.
“Sono molto lusingato.”
Kate gli posò un bacio morbido sul collo. “Tu faresti lo stesso per me.”
“Ci puoi contare piccola. Ti diverte definirla così!” Replicò Castle, ricambiando la sua tenerezza con una maggior stretta al loro abbraccio.
“L’ha coniato Lanie, ricorda.”
Castle fece una smorfia. “La mia ex moglie gode di così tanta popolarità? E com’è che parli di lei con Lanie?”
Kate sciolse l’abbraccio e lo guardò. “Chiacchiere tra donne. Nulla di importante, ho comunque un’alleata fedele e belligerante.” 
Si alzò dal divano, con calma raccolse un po’ del popcorn che avevano sparso sul tappeto.
Castle la imitò e l’aiutò a rassettare. “Così… Gina ti preoccupa tanto da parlarne con Lanie?”
Kate negò con il capo. “Non mi preoccupa.” Alzò gli occhi su di lui, fiera e decisa come la conosceva da sempre. “Piuttosto mi infastidisce.”
“Saprò sistemare le cose, è solo una stupida ripicca.” Le rivolse un sorriso forzato.
“Castle, io non ho dubbi.” Si fermò in piedi dinanzi a lui mettendo le mani sui fianchi. “Non mi va di vederti così teso. Il tuo lavoro non è sempre rose e fiori è ovvio ma…”
“Nemmeno il tuo.”
“Non ne parli spesso.” Replicò allontanando i capelli da viso.
Castle inclinò il capo. “Oggi l’ho fatto.”
“E’ stata una giornata odiosa e poi stai per partire.” Kate lo sospinse con una mano, lui però rimase fermo, assorbendo la leggera spinta al torace. Kate era sempre molto fisica: tocchi, pressioni. Era il suo modo di interagire con lui che amava la sensualità e allo stesso tempo lo spirito sbarazzino espresso dai suoi gesti.
“Tu però ti sei liberata per me.”
“Allora liberiamoci del tutto.”
Kate prese il telecomando e spense il televisore. Rick la stava guardando con aria interrogativa.
Allungò una mano verso di lui che l’afferrò. “Andiamo a riposare.”
Spensero le luci dietro a loro mentre mano nella mano si dirigevano verso la loro camera da letto.

La luce era calda, accogliente nella stanza che profumava di bucato fresco delle lenzuola appena cambiate. Rick aveva posato la valigia accanto alla porta ed insieme si erano svestiti con lentezza, guardandosi di sottecchi a vicenda. Non c’era fretta, nessuna urgenza, solo il piacere di fare cose normali.
Preparò il letto, rigirando le coperte e sprimacciando i cuscini. Kate si infilò nel suo caldo pigiama, prima di anticiparlo in bagno. Risero sputacchiando come due monelli lavandosi i denti e liberandosi dei rimasugli del popcorn.
Giocarono spalmandosi la crema sul viso a vicenda. Rick si prese il tempo per scaldare un po’ di crema idratante, tenendola tra le mani prima di prendere alla sprovvista Kate e spalmargliela accuratamente sul ventre. Accarezzò dolcemente la sua pelle, passando le mani calde sui fianchi. Le fece solletico all’ombelico mentre Kate, con gridolini divertiti, accompagnava i sui movimenti con le proprie mani. La testa di Rick si era abbassata sul suo collo, passando le labbra sulla sua scapola.
Kate mugolò. Il suo uomo sapeva sempre come coccolarla, ma non doveva essere lei a occuparsi di lui?
Castle tornò a coprire il corpo di Kate, prendendosi tempo per cullarla.
“Hai paura che io perda la mia linea?” Chiese Kate inclinando il capo e sospirando.
“Non potrei vivere senza queste splendide chiappe sode!” Esclamo buttando un’occhiata lasciva al suo lato b, allontanandosi da lei. “Comunque odierai le smagliature…”
“Ma quanto sei adorabile!” Cantilenò divertita.
“Lo so. Mi hai sposato per questo.”
“Sei senza speranza!”
Risero spostandosi lentamente verso la stanza e si misero a letto. Castle si tenne appoggiato alla tastiera del letto, mentre Kate si stendeva accanto a lui.
“Sei tornato silenzioso.” Mormorò mordendosi le labbra.
Lui abbassò lo sguardo su di lei. “Vorrei… che tu…”
“Sei crudele Castle. Lo sai che non posso!” Sbottò girandosi sul fianco. I suoi occhioni blu erano una maledetta tentazione, tutto di lui lo era in quel momento, con il suo modo silenzioso di chiedere le cose. Il suo corpo proteso vero di lei parlava chiaro. Lui la voleva accanto, desiderava la sua vicinanza in quel breve viaggio.
Qualche giorno prima sembrava aver accettato la sua partenza solo, ma forse non ne era poi così convinto.
Detestava non poterlo accontentare anche perché raramente gli era stata accanto in eventi pubblici fuori città, non potendo avere la libertà di muoversi.
“Non sono nemmeno abbastanza affascinante da convincerti a scappare con me?” Replicò con ironia. Strizzò gli occhi e lei sorrise.
“Fammici pensare.”
“Ora sei tu quella crudele!” Si scambiarono uno sguardo complice.
“Se potessi, lo farei…” Ammise infine Kate stuzzicandosi un unghia.
Rick si sporse in avanti e gli diede un veloce bacio sul naso. Non era seriamente amareggiando, si sentiva desideroso di coccole e perché no, conferme di quanto già conosceva.
“Portami qualcosa vuoi? Un souvenir dalla fiera.” Il sorriso furbo di sua moglie lo stupì.
Castle finse di essere dubbioso. “Beckett, regressione infantile?”
“Io e… Abel o Light vorremmo qualcosa di carino…”
“Ah! Siamo in due qui a volere qualcosa… Ok.” Disse con decisione. “Ti sorprenderò.”
“Hai tempo di accompagnarmi all’aeroporto?” Aggiunse muovendo una mano sul suo fianco.
Kate espirò. “Io…”
Castle sbuffò. “Immagino sia un no.”  Kate fece una smorfia dispiaciuta e si rannicchiò nel letto nascondendo il viso nel cuscino.
La mano di Rick raggiunse il suo mento e lo sollevò obbligandola ad aprire gli occhi e incrociare il suo sguardo.
“Non dovevo nemmeno chiedertelo, con tutto il lavoro che hai lasciato di là!”
“Mi fai sentire così in colpa… dio...” Scosse il capo.
“Ehi, ehi… no… non esserlo. E’ solo che… mi va di essere un po’ egoista ogni tanto.” Un bello sguardo con gli occhi da cucciolo smarrito, il suo broncio posticcio era comunque adorabile. Kate avrebbe mai capitolato? Quella sera non poteva certo accontentarlo, in realtà era spinto dal desiderio di giocare con lei.
“Ti odio…” Sibilò Kate sprofondando nuovamente il viso nel cuscino.
Castle sorrise sornione. “No, tu mi ami…” Si abbassò e lasciò un altro bacio sulla testa di lei che lo allontanò con una mano. Kate si sentì particolarmente vulnerabile.
“Sei troppo sicuro di te.” Sbottò.
Castle recuperò le coperte e le rimboccò ad entrambi, poi abbracciò Kate nonostante lei fosse recalcitrante.
Si agitò per alcuni secondi, poi diede forfait e si lasciò stringere. Inutile fingere che quel contatto non le piacesse o che non ne sentisse il bisogno.
Aveva una voglia matta di prenderlo a schiaffi e allo stesso tempo di baciarlo fino a sentirsi mancare. Percepì il suo respiro rotto, ansioso. Castle era teso. Lei si raddrizzò a sedere, volgendosi verso di lui.
“Quel giorno io non volevo…” Disse cercando di liberarsi di quel senso di colpa non del tutto sopito.
Castle la guardò con sorpresa.
“Quando sei partito per…”
“Elmira…?” Puntualizzò Castle.
“Davvero, io non volevo…” deglutì e cercò le parole giuste. Aveva già chiesto scusa in una notte di disperazione, ma tornarci su era comunque ancora difficile.
Castle si umettò le labbra. “Volevi, almeno per quel paio di giorni. Volevi lasciarmi.”
Kate sbuffò e strinse gli occhi.
“Tu sì che mi hai fatto sputare l’anima quella volta” Chiarì Castle. Era stata una delle giornate più brutte della sua vita. L’angoscia era stata così forte da consumare l’ossigeno intorno a lui. Aveva boccheggiato cercando di fare il suo lavoro ma la fitta di dolore nel petto era stata devastante.
“Hai cambiato idea nel momento giusto.” Finì col dire. “Stavo per ammattire.”
Kate fece una smorfia. “Quarantasette messaggi in segreteria. Non ho contato né i messaggi né le chiamate perse.”
“Non hai mai risposto. Eri così decisa?”
Kate espirò. “Al contrario, non lo ero affatto. In ogni caso non succederà nulla del genere. Come non accadrà nulla a nessuno dei due.”
Castle si trovò a sorriderle dolcemente. Sempre tosta, sempre quell’apparente sicurezza. “Lo so, piccola. Perché ne vuoi parlare ora?”
“Da allora non è la prima volta che ti allontani, ma c’è sempre qualcosa che ti fa tentennare.”
“Beh, ora sei incinta.” Era la realtà.
“Cosa cambia?” Kate prese la mano di Rick.
Castle scosse il capo. “Tutto! Ma non temo che tu voglia fuggire di nuovo” Puntualizzò. Aveva la netta sensazione di dover fare qualcosa, di dire cose.
Kate lo fissò. “Non sono a rischio e questa settimana sarà dedicata alla burocrazia.” Si giustificò.
Castle si mise a sedere davanti a lei. “Questa nuova storia è rischiosa per noi?”
La donna negò. “E’ ancora presto per dirlo, probabilmente siamo stati usati.”
“Se succede qualcosa chiamami, arrivo al volo.” Spiegò serio.
Kate annuì. “Ma c’è dell’altro, vero?”
Il volto di Castle si distese ed i suoi occhi la fissarono scrutando i suoi tratti. Kate sapeva di essere sotto analisi, la stava studiando e lei non aveva difese contro quello sguardo. Non le dispiacque, in fondo Rick la conosceva così bene.
“E’ stupido ma... ho bisogno di averti accanto. So che non puoi, che ne abbiamo già parlato, ma mi sento da schifo e…” Kate rimase a bocca aperta prima di afferrare con entrambe le mani il viso affranto di suo marito.
Puntò i suoi occhi verdi cercando di infondergli la forza necessaria per farlo tornare sereno.
“Non voglio nemmeno che succeda questa cosa, Rick.” Mormorò stringendo i denti.
“E se pensi di andare a Montreal con quest’umore, farai il gioco di Gina. Vuole farti apparire sottotono. Ti ha manipolato per farti sentire inadeguato, ti ha messo volutamente in difficoltà.” Aggiunse con un velo di rabbia nella voce che Castle percepì, sorpreso.
“Vorrei essere lì con te e aiutarti a sfoderare tutto il tuo fascino. Non posso solo perché lavoro, ma vorrei, ti assicuro.”
Castle scosse il capo. “Non lo so…” Sbuffò. “Forse hai ragione. Ma vorrei non perderti d’occhio.”
Nascosto con cura da frasi di circostanza reciproche a poche ore dalla loro breve separazione, il timore della lontananza aveva finito per presentare il conto.
“Mi sentirei più sicuro… se fossi accanto a me.” Aggiunse parlando con lentezza.
Avrebbero mai avuto un normale menage? Una coppia qualsiasi avrebbe affrontato quel viaggio di lavoro come routine, discusso sulle cravatte che lui doveva indossare o sull’acquisto del biglietto aereo.
Argomenti di poco conto.
Castle inclinò la testa verso di lei ed entrambi cercarono di stendersi di nuovo l’uno accanto all’altra.
“Beh… siamo qui e dobbiamo andare oltre.”
Il rapimento di Castle e, dopo il suo ritorno, il proprio insensato tentativo di lasciarlo per il suo bene: stupida decisione che aveva portato lui a temere delle sue intenzioni, dei suoi sentimenti.
Stupida lei ad averci provato per poi passare ore terribili a pentirsene. Come aveva anche solo pensato di poter vivere senza il suo calore? Era stata la solita vecchia Beckett ad agire, quella spaventata dal contatto umano e dalla paura di amare. L’egoismo le aveva permesso di trascinare Castle in prima fila e poi gli aveva spezzato il cuore perpetrando l’assurda convinzione che lui avrebbe vissuto meglio senza la sua presenza.
“Sono consapevole di averti ferito.”
Castle stava in pena perché la doveva lasciare sola per tre giorni, avrebbe fatto carte false pur di accontentarlo, ma aveva le mani legate e non aveva opzioni. La paura di Rick non era frutto di un capriccio ma una ferita aperta di cui lei si sentiva ancora responsabile. In aggiunta a tutto quello la cattiveria di Gina stava agendo in lui come un corrosivo.
Castle l’osservò sprofondare nei suoi pensieri silenziosi con attenzione.
“Ho capito le tue intenzioni, non c’è più nulla di cui tu debba scusarti.” Sussurrò dolcemente.
“Non so nemmeno io come ho potuto pensare di riuscirci.” Kate si strinse le braccia sui fianchi.
Castle le sorrise cercando di mettere su la sua aria più spavalda. “Non sai quanto mi ha fatto felice che tu abbia fallito nel tuo intento.”
“Castle …” Lo rimproverò, espirando. “Domani prometto che vengo all’aeroporto per salutarti.” Disse con slancio. “Prenderò un permesso per un paio d’ore.”
Castle negò con il capo. “Non devi, sta tranquilla in ufficio.”
Kate strinse nervosamente la mascella.
“Non lo hai mai più pensato vero?” Rick sussurrò quella domanda con voce appena percettibile.
Kate scosse vigorosamente il capo. “No.”
“Non sono mai troppo sicuro di me su certe cose che ti riguardano.” Scherzò.
Il suo timore era di natura diversa e Castle aveva bisogno rincuorare Kate, non aveva mai reso comoda o semplice la loro vita ma era un’avventura che lui aveva scelto di vivere consapevolmente.
Kate passò dolcemente la mano sulla sua guancia. “E’ stata una stupidaggine.”
Castle si mosse sul fianco, puntellandosi con il gomito e godendosi ad occhi chiusi il suo tocco. Quando li riaprì trovò lo sguardo di lei intento a scrutarlo.
“Sai qual è la ragione per cui detesto allontanarmi da te?” Mormorò serio. Kate attese le sue parole con trepidazione. Negò e lo invitò silenziosamente a proseguire.
“La tua vicinanza fa di me un uomo migliore. Allontanandomi temo di perdere quel benessere, quello stimolo che mi hai dato fin dal primo giorno.”
“Castle, sono solo pochi giorni…” Valutò. Ma c’era di più, ci voleva poco a capirlo.
“Non sempre. Anche se non per nostro volere.” Ironizzò.
Kate annuì. “Comunque al momento non dovremmo essere al centro di un mirino.” Ribadì.
“Ma non possiamo mai abbassare troppo la guardia, adesso non voglio fare questo errore.” Sorrise debolmente. Kate prese lunghe e profonde boccate d’aria. Il suo lato oscuro, così lo definiva, era pronto, i sensi all’erta. Non era spaventata dal suo essere protettivo, sapeva di cosa fosse capace. Riusciva però a percepire il suo tormento e allo stesso tempo la sua determinazione.
“Sta tranquillo.”
“Oggi, di fronte alla mia ex che mi aggrediva, ho pensato al mio passato e ho capito una cosa importante.”
“Cosa…” Kate deglutì e attese. Castle si prese qualche secondo.
“L’ho lasciata abbaiare per un po’ ignorandola...” Spiegò gesticolando. Kate trattenne un sorriso.
“Ho sempre amato la sfida quotidiana che è la nostra relazione. Abbiamo discusso spesso sul fatto di essere differenti, sappiamo litigare e poi trovare un punto di incontro. Kate, tu ed io non ci accontentiamo di una resa incondizionata, non accettiamo che nessuno dei due annichilisca sé stesso per amore dell'altro, e sto parlando di argomenti seri.  Questo modo di interagire tra noi fa la differenza.” Kate prese la sua mano tra le proprie.
“In passato cedevo spesso per quieto vivere.”
Kate strinse gli occhi. “Tipo quando non sei riuscito a rifiutare l’ospitalità a Meredith nei nostri primi mesi insieme?” 
Castle boccheggiò. Se lo ricordava ancora troppo bene quel suo piccolo errore.
“Beh…Sì. In alcuni casi edificavo barriere per non dover discutere su argomenti scomodi, cose che poi trascendevano e mandavano tutto in pezzi.” Fece una pausa raccogliendo i pensieri.
“Forse le volevi solo accontentare.”
“Forse.”
“Credo che tu sia stato generoso. In ogni caso.” Castle espirò.
“Tra noi è diverso. Mettermi in gioco con te ogni giorno mi stimola e credo che questo sforzo continuativo viene percepito come un cambiamento, come una mia nuova maturità. Ecco perché Gina ha avuto quella reazione.”
Kate sorrise dolcemente. “Prima e unica maturità…Forse.” Puntualizzò non riuscendo a trattenersi dal punzecchiarlo.
Castle emise un lamento divertito a denti stretti.
Kate si tormentò le labbra rimuginando su quello che lui stava dicendo.
“Sei stato un uomo capace di ammettere i propri errori da che ti conosco, magari non subito…”
La testa di Castle ondeggiò. “Ehm…”
Non poteva essere più serio di così.
“Lo hai insegnato anche a me in questi anni. Ho abbandonato il senso unico a favore del tuo modo di riportare la… palla al centro?” Kate sorrise debolmente. Capiva, oh, sì, capiva.
“Non volevo mai parlare di me, evitavo i conflitti. Ho imparato a non farlo con te perché non posso permettermi il lusso e la stupidità di perderti. Se fallissi…”
Fece inclinare la mano verso il basso, come a simulare una caduta senza ritorno.
“E tutto questo come diventa una difficoltà nei nostri momenti di lontananza?” Per Kate quella era una domanda non soltanto per lui ma anche per sé stessa. Avrebbero mai superato certi traumi?
“Ti chiedo scusa per gli errori del mio passato. Gina, Paula e chissà chi altro, pensano che tu sia solo una parentesi, una delle tante e il loro atteggiamento è sprezzante nei tuoi confronti. So che la loro perfidia non è in grado di toccarti, non hanno idea di chi tu sia. Non sei una delle -mie- mogli, sei la sola che doveva esserci. Non vogliono capire che non ti idealizzo, ma ti conosco e ti amo per quella meravigliosa donna che sei. Mi dispiace che tu sia involontaria vittima di questa cattiveria.”
Kate si umettò le labbra. “Mi stai dicendo che devo considerarle come un nemico?”
“Credo che abbiano sempre gongolato sulle nostre disavventure. Non dico che tenteranno di separarci ma non sono dell’idea di farle divertire.”
“Gli hai detto di noi?”
“No. Lo scopriranno quando si noterà. Gina poi detesta i bambini. Non ne ha mai voluti.”
Una volta di più Castle si trovò a pensare a quanto fosse stato sbagliato il legame con Gina, il cui unico elementi in comune era il lavoro. Kate aveva ben poco della casalinga, ma aveva maturato il desiderio di essere madre, di costruire una famiglia come elemento solido di un futuro. La stessa cosa che lui desiderava.
Erano affini anche in quello. Con tempi diversi, in modi non facili, costruire il loro futuro era una sfida gratificante che entrambi affrontavano seriamente.
“Parti tranquillo, Rick. Mi metto al collo un corno anti-malocchio.” Kate lo distrasse dai suoi pensieri.
Lui si illuminò. “Ce l’hai?”
“Credo che tu me ne abbia lasciato uno in oro nel portagioie, poco dopo il nostro matrimonio.”
Castle sorrise. Lei non era affatto superstiziosa, lui sì.
Kate annuì. “Credevi che non l’avessi mai notato?” Sorrise con l’aria di chi sottolineasse l’ovvio, ma da che lo aveva sposato, c’erano alcune sue manie che lei aveva deciso di ignorare. Dopo quanto accaduto tra loro nessun aiuto, anche improbabile, alla loro incolumità era da scartare.
Quante volte era stata inchiodata al computer nel controllare che il suo volo arrivasse a destinazione? Quante volte gli aveva chiesto cosa stesse facendo via sms solo per avere la conferma che lui stesse bene? Piccoli accorgimenti per sincerarsi che le cose fossero come dovevano essere. Non credeva nel potere di un corno scaramantico, ma se serviva a tranquillizzare suo marito in quella circostanza, lo avrebbe preso in considerazione.
“Non permetterò più a nessuno di interferire. Quindi che sia una ex particolarmente odiosa oppure un poliziotto corrotto, non avrò alcuna pietà.” La voce di Kate era feroce e sibilante.
“Tutte le volte che abbiamo discusso per questioni relative alla nostra sicurezza, hai sempre avuto il sopravvento, anche sbagliando. D’ora in poi scegli il confronto.” La preghiera di Castle venne accolta con un sorriso da Kate.
Castle sostenne il suo sguardo. Quella donna era parte del suo cuore, era il suo sangue e se gli fosse accaduto qualcosa lui avrebbe perso la sua sanità mentale, ne era certo.
Sdraiata tra le lenzuola, con lo sguardo di Rick su di lei, Kate si sentiva da dio. In sua assenza il vuoto sarebbe divenuto opprimente. “Sono d’accordo.” Disse annuendo. “Ce lo siamo promessi.”
Il viso di Rick si abbassò fino ad aderire a quello di lei. Si sfiorarono con calma, con estrema dolcezza.
“Nessuno mi ha mai dato questo…” Disse ispirando il profumo della sua pelle. Kate sorrise ad occhi chiusi.
“Non ci voglio rinunciare.” La chimica tra loro, la semplice costatazione di essere complementari.
“Il dottor Burke ci metterebbe subito in analisi se ci sentisse ora.”
 Castle rise. “Oh, beh! Lui pensa che siamo simbiotici.”
“E non ti fa sentire strano?”
“Assolutamente, sì. Mi fa sentire perfetto.”
La baciò con dolcezza, assaggiò le sue labbra facendo scorrere le proprie da un capo all’altro della sua bocca. Kate accarezzò la base del suo collo, affondando le dita nei suoi capelli.
“Non credo però abbia idea di che cosa si provi.” Sussurrò Castle, spalancò i suoi occhi ammaliati da lei.
“Un po’ mi dispiace per lui…”
“Castle…” Kate ridacchiò. “Non pensavo nemmeno io di sapere cosa significasse fino a… quella mattina.”
“Già. Se ci sei il cuore batte e l’ossigeno affluisce ai polmoni…”
“Se ti allontani, ti manca qualcosa.” Terminò lei.
“Manca l’aria.” Esclamarono contemporaneamente.

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Ciao a tutti, rieccomi con una mini long di qualche capitolo.
Che dire i nostri sono sempre incasinati con i loro problemi, come tutti nel quotidiano, e con qualcosa in più per questi due che non riescono mai ad essere sereni e liberi al 100%.
Un abbraccio a tutti e anche se in ritardo vi auguro un felice Natale e uno splendido 2016.
Anna

 

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Capitolo 2
*** Uno sguardo diverso ***


Castle si aggirava pigramente tra gli stand leggendo con attenzione i vari titolo dei libri esposti.
Aveva finito da poco il suo terzo giorno di fiera, il venerdì era ormai in chiusura e non era riuscito a trovare l’idea giusta per rispettare l’impegno che aveva preso con Kate. Doveva trovare qualcosa di interessante, aveva detto che l’avrebbe sorpresa quindi si doveva muovere.
Si sentiva un po’ frustrato per non averci dedicato il tempo necessario. Era il ninja dei regali, il fallimento non era contemplato. A suo favore poteva dire che si erano succedute giornate di relazioni pubbliche intense, pranzi e cene con organizzatori, sponsor, fans che avevano pagato cifre esorbitanti per sedere al tavolo con lui. Si era anche divertito ovviamente, distratto da fotografie e battute, chiacchiere con persone interessanti, autografi sui suoi libri con dediche divertenti ma niente sul seno, anche se qualcuna aveva richiesto tale performance.
Alcune situazioni erano arrivate al limite dell’imbarazzo soprattutto dopo qualche bicchiere di un buon vino rosso. Non per sé, la sua regola ormai era quella di non deragliare e non c’era nessun binario su cui valesse la pena di farlo più della donna che lo attendeva a casa.
La Black Pown sfruttava ogni possibilità sulla sua immagine visto quante cosa organizzava Paula senza informarlo! Erano state giornate piene alla faccia di quella stronza di Gina che sosteneva che i suoi fans lo stavano dimenticando.
Fare public relations gli si confaceva, era un ottimo affabulatore e sapeva vendersi bene, come si sentiva a suo agio a stare in mezzo a persone che lo idolatravano. Chi non amava essere circondato dalla propria fama? Però c’era sempre qualcosa di spiacevole se pensava alle burattinaie dietro a tutto quello.
Infelice da pensare perché ovviamente per lui era stato comodo lasciare che Paula e Gina si occupassero di tutto. Il suo cervello era stato occupato a fare tutt’altro che curare i propri interessi, ma non era più così sicuro che fosse il caso di perseverare. Paula aveva sempre avuto molta pazienza con le sue follie, doveva dargli merito, adesso però era meno coinvolto in quei giochini.
Non era un problema lasciare che fossero le donne della sua vita a dettare regole: la sua cerchia ristretta era praticamente perfetta e le amava incondizionatamente.
Il ruolo delle donne della Black Pown era stato relegato alla semplice attività lavorativa ed era più che giusto.
Così per quella sera aveva deciso di stare solo a cena, facendo saltare le trame che Paula aveva tessuto nella giornata. Aveva annullato gli appuntamenti asserendo che voleva stare per conto proprio perché non stava bene, scusa efficace fin dai tempi dell’asilo. Non desiderava facezie per ingraziare qualcuno quella sera, solo sé stesso ed il suo smodato desiderio di tornare a casa.
Doveva anche portare a termine la missione di trovare un regalo speciale per Kate.
Non c’era molto tra cui scegliere. Aveva dato un bello sguardo alla gioielleria dell’albergo ed era stato un errore, idea troppo banale e pure sgradevole: gli uomini d’affari acquistavano in quegli shop pensierini per amanti occasionali e qualcosa da portare alle mogli pensando così di mettersi la coscienza in pace.
Non c’era nulla per lei.
Aveva deciso di regalarle un solitario il giorno in cui avrebbe messo al mondo il loro primo figlio. Lo aveva pensato fin dal principio, lo aveva cercato e persino già acquistato tanta era la promessa che aveva fatto a sé stesso, nascondendolo accuratamente. Si trattava comunque di un’occasione differente.
C’era bisogno di qualcosa di accattivante, divertente e non certo tirarsi addosso i sospetti della sua detective. Ovviamente il posto era sprovvisto di uno shop per neonati. Se solo fosse stata una convention di fumetti, allora poteva trovare tutine per i bimbi disegnate a mini divise di star trek, dei minions e una serie di cosine adorabili.
Guardò l’orologio e si accorse dell’ora. Gli stand del suo padiglione stavano chiudendo e lui si diresse pensieroso verso il transetto che collegava il centro congressi all’albergo in cui risiedeva. Voleva bere qualcosa e rilassarsi. Poi cenare, magari in camera al telefono con Kate.
Si erano sentiti molto. Lei aveva lavorato fino a tardi quasi tutte le sere riuscendo a ritagliarsi momenti per loro, guardandosi a vicenda nello smartphone, giocando con selfie e con inquadrature… piccanti.
Si erano comportati come due ragazzini, eccitabili e troppo distanti per poter concludere un unione che entrambi sembravano bramare in modo sconsiderato. Sognava di accarezzarla in ogni modo possibile, dal più casto a quello più proibito e poi… c’era tutto il resto. Lei era stata troppo brava a provocarlo. Gli sovvenne che quella sera doveva limitarsi, Kate aveva invitato Lanie a casa, un evento che ormai accadeva di rado se si escludeva la cena di sabato sera. Per qualche inspiegabile ragione Lanie e Kate avevano diradato le loro serate a due, non credeva fosse colpa sua, non era mai stato contrario. Lasciarle sole le avrebbe fatte chiarire, sempre che ci fosse qualcosa da chiarire, in fondo sembravano comunque in sintonia. Donne: creature complicate.
Si fermò e si girò verso uno degli specchi appesi alle pareti del passaggio. Si sistemò i capelli e si fece serio. Osservò la propria espressione allo specchio. Chiuse gli occhi e penso a Kate, se la immaginò davanti con i capelli sulle spalle e sorriso nervoso di chi si aspetta un discorso importante ma teme le parole che sta per sentire. La proposta di matrimonio e il suo stupore. Adorabile, dio quanto era stata assurda e sconnessa la sua reazione. Riaprì gli occhi e si guardò. Rimase a bocca aperta per la sua stessa espressione. Il ragazzo che aveva sempre visto nello specchio era scomparso e c’erano un paio di occhi che lo guardavano con intensità, quelli di un uomo affascinante senza dubbio, ma con qualcosa in più. Kate gli faceva quell’effetto ed era per lui una conferma di quanto già aveva detto a Kate il martedì prima.
Si passò la mano sul viso, spostandosi i capelli dalla fronte. Un inserviente gli chiese se stesse bene. Annuì e sorrise senza aggiungere altro. Stava bene, voleva solo tornare a casa.
Arrivò perso nei propri pensieri al bar della hall, si appoggiò con i gomiti al bancone salutando il barman.
“Un bourbon” ordinò. Diede il numero di camera in cambio del bicchiere e poi si diresse verso la saletta dove sprofondò in una comoda poltrona buttando l’occhio su alcune riviste.
Sorseggiò con calma il suo alcolico pensando al da farsi: salire in camera, doccia, sms a Kate, poi cena.
La rivista che aveva preso non conteneva articoli interessanti, molto gossip su starlette della musica e dei reality show. Lesse del nuovo romanzo di Connely, senza impressionarsi ma provando un po’ di gelosia, era sempre molto produttivo.
Le Jimmy Choo color oliva di Paula comparvero nel suo campo visivo.
“Paula, sono di un colore strano!” Esclamò additando le scarpe con un sorriso teso, alzò la testa verso di lei. Le fece cenno con il suo bicchiere di bourbon e le indicò di sedere.
“Ricky non è che cambieresti idea? Gina non ha gradito la tua defiance.” Sedette di fronte a lui e lo guardò con il solito atteggiamento superficiale.
“Ricky ha bisogno di staccare.” Esclamò con sarcasmo. “Può andare bene per il pranzo di chiusura, prima di prendere il volo per New York?” Posò il bicchiere e si sporse verso di lei.
Paula fece una smorfia. “Perché la fai tanto difficile? Rick… è il tuo lavoro.”
“Non so se l’hai notato ma lo sto facendo, voglio qualche ora per me.”
“Sei da troppo fuori dal giro, ti stanchi presto!” Valutò. Il sarcasmo stava prendendo il sopravvento.
Richiamò l’attenzione del cameriere e si fece portare un drink. Castle rise.
“Paula, perché non dici quello che, con molta probabilità, sei venuta a dirmi controvoglia ma su preciso ordine di Gina?” Gli fece l’occhiolino. “Ci conosciamo da troppo perché tu mi sorprenda con un discorso sulla professionalità.”
“L’ultima volta ci ho rinunciato perché eri troppo ubriaco. Las Vegas… 9 anni fa.”
“E’ passato così tanto?” Fece un ghigno. “In ogni modo non mi sono forse comportato bene in questi giorni? Non ho forse sorriso e sono stato disponibile con tutti?” Castle la fissò e Paula si sentì vagamente a disagio.
“Ho la mascella da portare in riabilitazione.” Castle mosse il mento facendo scrocchiare la mandibola.
“Hai fatto tutto da manuale, devo ammetterlo.” Rispose sorseggiando il suo drink. “Non so cosa hai fatto a Gina ma lei è un tantino alterata con te. Lo hai notato?”
“Oh!” Replicò Castle divertito. “Non te lo ha detto…” Gongolò sfacciatamente. “Forse era uno smacco per il suo ego?”
Paula scosse il capo. “Sei sempre stato il suo giocattolino preferito, cosa è cambiato?”
“Ho rubato il telecomando e ho imparato a dirle di no.” Sorrise sornione e poi tornò ad appoggiarsi alla sua poltrona.
“E non fingere con me Paula, lei ti ha mandato qui a controllarmi perché vuole sapere se io sono corruttibile una volta lontano da mia moglie.” Si passò una mano tra i capelli.
“Le due gemelle prosperose, Milla e Asia, erano al mio tavolo per essere un’esca?
“Rick, il tuo ego sta straripando.” Esclamò Paula con un sorriso schifato.
“Lo dice spesso anche mia moglie.” Paula lo fulminò con lo sguardo. “Ecco, reagisce così anche lei… Solo che poi le faccio il solletico e se la posso baciare passa tutta la sua irascibilità.”
Castle posò il bicchiere e scosse il capo. Alzò gli occhi su di lei e li strabuzzò. “Hai fatto di tutto per sbattermi addosso donnette in questi ultimi due giorni e non negare che più di metà di quelle telefonate che hai fatto erano con Gina. Non sono più un pivello, so quando stai facendo rapporto e riesco a capire se state cercando di manipolarmi.”
Paula lo squadrò. “Tu?”
“Ti faccio presente che ho un nuovo, meraviglioso insegnante di difesa contro le arti oscure che mi aiuta ad aprire gli occhi su certe faccende che mi riguardano.” Occhieggiò divertito e lei sbuffò.
“Senti Gina vuole che per le undici tu vada a cena con alcune persone. Non è niente di nuovo, che cosa ti costa?” Sbottò.
“Qual è l’obbiettivo di Gina?” La prese in contropiede. Paula non si pronunciò ma rimase fossilizzata ad osservare l’andirivieni nel bar con espressione dubbiosa.
“Allora te lo dico io. Non farò il cretino con nessuna donnicciola di facili costumi. Non mi farò fotografare in atteggiamenti discutibili per fare il gioco di Gina e mettere in discussione il mio matrimonio.” 
Paula espirò tesa.
“Un punto per me!” Esclamò Castle prima di adombrarsi.
“Questi mezzucci sono vecchi come il mondo e non ho alcuna intenzione di cascarci. Anzi, se Gina non la pianta, e qui entri in gioco tu, vado direttamente con il mio legale dal direttore. Dillo a Gina, deve cercare di lasciarmi in pace e tenere il naso fuori dalla mia vita privata perché il prossimo passo sarà una denuncia per molestie e tentata estorsione.” Lo sguardo dello scrittore aveva perso ogni sfumatura di ironia. Non avrebbe tollerato altro. Aveva avuto solo un sentore di quello che stava accadendo e tendendogli una banale trappola, Paula c’era caduta con tutte e due le sue Jimmy Choo dal colore andato a male.
La donna rimase in silenzio per alcuni minuti. “Si può sapere cosa vuole veramente da te?” Chiese infine eliminando qualche strato di fedeltà incondizionata alla sua datrice di lavoro.
Castle si prese un sorso di bourbon. “Lo chiedi a me?” Disse facendo una smorfia.
Paula sbuffò.
“Non tornerò mai da lei. Paula. So che Kate non vi piace e che non ha bisogno di voi e delle vostre promesse di fama, quindi non la potete gestire a vostro piacimento. Vi sconsiglio di farvela nemica, vi farebbe nere.” Paula deglutì.   
“Allo stesso modo vi sconsiglio di fare incazzare me. In questo momento sono solo vagamente alterato.” Strinse gli occhi e fischiò a tono basso. “Questo è il momento di fermarvi.”
“Ok Ricky. Ho capito.” Paula si alzò sistemandosi la gonna stretta con calma.
“Stanne fuori almeno tu.” Sottolineò Castle guardandola. La donna si volse verso di lui con un sorriso.
Annuì espirando. “Ho sempre pensato che Gina sbagliasse con te, già da quando vi siete sposati. Sicuramente tua moglie è una donna molto interessante, più di qualsiasi altra tu abbia mai frequentato. E ti sbagli, a me lei piace.” Castle sorrise, stupefatto. Paula era sempre stata la spalla di Gina quindi non immaginava che avesse un opinione così discordante di Kate.
“Ne hai viste molte…”
“Io avrei lavorato sulla coppia, sulla immagine di te e la detective. Credo possa funzionare molto bene.” Aggiunse Paula incrociando le braccia.
“Sono d’accordo. Kate non può mettersi in mostra, ma è la mia musa e non hai idea di quante persone mi hanno chiesto di lei in questi giorni! Per molte di loro è una storia interessante quanto quelle che scrivo, è romantica e ha il fascino di qualcosa di proibito.” Valutò Castle seriamente.
“Comunque è vero che sei cambiato.” La sorpresa animò nuovamente il viso dello scrittore.
“Credo in meglio, sì.” Aggiunse Paula. “Mi devi un favore.” Si voltò, raccolse la sua borsa ed estrasse il cellulare. Fece un cenno di saluto e se ne andò lungo il corridoio che portava alla sala ristorante. Probabilmente avrebbe chiamato Gina e forse avrebbe parlato in sua difesa.
Sbuffò. Guardò il telefono reprimendo il desiderio di chiamare Kate. Che cosa poteva raccontare quella sera? Non voleva darle preoccupazioni. Era meglio lasciarla in pace a godersi la sua cena con Lanie.
Lui avrebbe bevuto un altro drink, si sarebbe semplicemente rilassato. 
“Buonasera.” La voce a lui nota lo fece trasalire. Si voltò per incrociare il volto dell’uomo che lo aveva salutato. Sorrise ad un’espressione sincera che già in passato gli era stata amica.


Lanie sorseggiava il suo bicchiere di vino rosso camminando lentamente nel soggiorno del loft. Si stava godendo quel luogo come ogni volta che vi metteva piede. Era di indubbia classe e con la personalità dello scrittore impressa un po’ ovunque nelle cose. Kate aveva aggiunto parti di sé stessa con oggetti, quadri, tappeti e colori. Secondo il suo parere la quota di Kate sembrava minore, ma il suo tocco c’era e lei probabilmente amava così tanto la vita che il marito gli aveva donato tanto da non farne un problema.
L’ambiente l’aveva accolta come propria componente.
Avevano chiacchierato un po’ di tutto appena l’aveva raggiunta, l’aveva inondata di domande sul suo stato, la sua salute e le nausee. Si erano date appuntamento lì perché Kate aveva evidente bisogno di calma, al distretto era stata iperattiva, nel pieno della sua attenzione, ma il pallore tradiva il malessere del suo stato. Non se ne curava ovviamente, inutile organizzare qualcosa fuori perché era bene che dopo la loro cena la sig.ra Castle andasse a riposare tranquilla nel suo letto.
Kate posò sulla tavola alcune pietanze.
“Quante cose sane dolcezza.” Disse osservando le insalate a base di frutta e verdura di contorno a carne ben cotta. Aveva portato le salse a suo uso e consumo, evidentemente certi aromi infastidivano il suo olfatto. In gravidanza era un fatto risaputo e Lanie sentì ancora quel piccolo moto di gelosia.
Kate si asciugò le mani con un canovaccio. “Vedermi vomitare non è un bello spettacolo.”
Lanie rise. “Non sarebbe la prima volta.”  Allungò una mano e roteò il dito minacciosa. Kate rise guardando il soffitto. “Erano altre serate Lanie. Non provocare.”
“Sono qui per questo.” Si scambiarono un’occhiata d’intesa.
Sedettero a tavola una volta che tutto fu pronto.
“Allora come vanno le cose tesoro?” La incalzò Lanie. “Ti vedo così poco ultimamente.”
Kate annuì. “Vero, sto passando un periodo difficile al lavoro. Ho… scelto di provare a fare il concorso per ufficiali e la Gates mi ha appoggiato. Così sono stata un po’ sotto pressione nell’ultimo caso.”
Lanie sgranò i suoi occhi scuri. “E’ una grande notizia questa! Tu sei fatta per far strada.” Le disse sorpresa e felice per lei. “Quando aspettavi a dirmelo?”
Kate deglutì. “Ma come, la lingua più veloce del distretto non ti ha informato?”
“Javier lo sa?
“Dovrebbero ormai saperlo tutti al dodicesimo. Qualcuno sta perdendo colpi.”
Lanie si mosse sulla sedia. “Lo sai che non ci frequentiamo più.” Rispose mordicchiando un grissino. “Sono passata oltre da un bel pezzo ormai.”
“A modo tuo. Come si chiamava l’ultimo?” Fece finta di pensare e Lanie le gettò addosso il tovagliolo.
“Piantala, non sono tutte fortunate come te.” Rispose.
La guardò con aria stizzita per alcuni secondi e poi scoppiò a ridere. Kate le rese il tovagliolo allo stesso modo dell’andata e scosse il capo.
“Tu sì che sei comprensiva…”
Le risate delle due donne risuonarono nel loft. Spettegolarono di Lanie e delle sue conquiste ricordando i tempi passati.
Era stata sempre vivace, amava gli uomini focosi. A modo suo era delusa dal non aver trovato quello giusto, ma non stava drammatizzando. In alcune frasi Kate percepì la sua ansia, avrebbe voluto che le cose con Javier potessero funzionare ma entrambi avevano scelto vie diverse e meno impegnative. Spaventava pensare di dedicarsi in esclusiva ad una sola persona, ma come poteva essere gratificante se ci si imbatteva nella persona giusta.
Lanie era stata una sognatrice, aveva desiderato un futuro e un uomo che le potesse dare una famiglia. Il tempo aveva invertito le loro posizioni con un bel po’ di ironia.
“Lo sai che non ci sto veramente male vero tesoro?”  Lanie tranquillizzò Kate la guardava con tenerezza.
“So che non è così che volevi che andasse.” Replicò Kate. Fece un cenno con la testa e Lanie alzò una mano minimizzando.
“E’ vero, però tu ne avevi più bisogno di me. Eri un soggetto a rischio…”
Kate strinse gli occhi. “Ho vinto la medaglietta per essere fuori da guai da due anni?”
“Non sono io a vivere in un loft a Soho con uno scrittore milionario, quindi non ti lagnare ora.”
“Ti piace farmelo notare vero?” Sottolineò basita.
Lanie espirò guardandosi intorno. “Da morire. Quando sono qui non ne posso farne a meno perché sono innamorata di quel caminetto.”
Kate gli mostrò una linguaccia sbarazzina. “Rick non te lo farà portare via.”
“E poi sono sempre stata una tua sostenitrice.” Lanie la punzecchiò.
Kate le spinse davanti la pirofila con l’insalata. “Sapevi anche mettermi addosso dei gran dubbi.”
Lanie sbuffò. Scambiò con l’amica uno sguardo di comprensione. “Niente di personale.” Si scusò.
“Chissà cosa aveva immaginato la tua mente contorta per me… Bada che con Castle ho sentito di tutto devi essere brava, molto brava.” Le puntò addosso il dito.
“Taglio a pezzi cadaveri per vivere, forse l’immaginazione non è il mio forte.”
Kate le regalò un’occhiataccia. “Non stai rispondendo.”
“Perché lo vuoi sapere?”
Kate ci pensò. “Per sapere quanto mi consideri fortunata nella tua scala personale?”
“Cavolo, Kate, mi hai spiazzato.”
“Puttanate Lanie. Sputa il rospo.”
Le due donne risero di nuovo.
“Mi avrebbe sorpreso persino un flirt.”
“Lanie...” Cantilenò Kate impaziente.
Era un’amica onesta quindi era interessante conoscere il suo pensiero.
“Avevo scommesso contro di voi ai tempi di Montgomery. Pensavo che non avresti mai preso la palla al balzo, ti ho visto buttare occasioni a raffica.”
Kate annuì. “Pensavi avrei rovinato tutto.” Era stato un momento così difficile, lui c’era già nella sua vita e lei non lo voleva ammettere. Ricordare quei tempi la faceva sentire strana ma aveva detto sì alla vita alla fine. A Rick, alla vita, ad un’occasione di essere felice che finalmente aveva accettato.
“Pensavo che non saresti riuscita ad avere qualcosa da rovinare…” Rimarcò Lanie con decisione.
“Oddio, so di essere stata un vero disastro, ma così…” Risero di gusto e brindarono all’ironia del destino.
Lanie ondeggiò il capo come suo solito. “Poi all’improvviso siete diventati inseparabili.”
Kate posò la forchetta che aveva in mano. “Cosa?” La guardò con serietà.
“Eccoti qui, sposata da ormai quasi due anni e incinta di un principino.” Ammise con dolcezza.
“In un palazzo… pieno di romanzi gialli.” Aggiunse Kate con fare drammatico.
“Ehi, signora Castle dacci un taglio…” Sottolineò Lanie e Kate sorrise.
Seguirono molte risate divertite e gesti scaramantici.
Lanie si pulì la bocca e si prese un nuovo sorso di vino.
“E Castle? E’ ad una di quelle fiere dove tante donne cercano di…” Mosse la mano in modo vezzoso.
Kate espirò. “Sotto controllo. Il problema non è lui.”
Lanie sgranò gli occhi. “La signora Botox?” Kate annuì semplicemente socchiudendo gli occhi.
“Incastrala, mettila in galera e butta via la chiave.”
“Mi piacerebbe tanto.”
Le dava così fastidio Gina? Dopo la partenza di Rick si era sincerata che lei fosse al lavoro in ufficio. Non si sentiva a suo agio a controllarla, se Rick l’avesse sorpresa a farlo ne avrebbe riso o si sarebbe adirato?
Covava un sordo rancore per lei.
“Ho fatto una stupidaggine l’altra mattina…” Ammise vergognandosi, ma a qualcuno doveva dirlo.
“Avanti, racconta…” Lanie sembrò anche più curiosa.
Kate sospirò in imbarazzo. “Ho chiesto a Karposky di controllare che Gina fosse in ufficio mentre Castle partiva.”
Lanie la fissò divertita. “Cos’hai fatto? Spiona!” La prese in giro.
“Martedì è tornato così snervato dalla casa editrice per colpa di quell’arpia… Lo tormenta e non lo sopporto. Ha ancora qualche mira espansionistica su di lui.”
“Stai scherzando?” Kate negò.
“Non so perché si è fissata di rivolerlo…” Kate sbuffò “Non ti sembra assurdo insomma… lo ha tradito!”
Non era una cosa che poteva ignorare, ci poteva convivere se Castle tornava a casa sereno da un incontro di lavoro e non come era successo martedì sera.
Lanie scosse il capo. “Non può essere vero! La seconda volta però è stato lui…”
Kate si mosse sulla sedia, aggiustando la sua posizione per sentirsi meno infastidita. “Continua col ricordarmi gli errori che ho commesso! Mi aiuta.”
La gravidanza la rendeva più permalosa, almeno questo parve a Lanie che sbuffò. “L’errore è stato di Castle, non tuo. Poi si è ripreso bene.” Le fece l’occhiolino.
“Dice che è cambiato e che è diventato l’uomo che voleva. Castle non è cambiato…” Valutò Kate pensierosa.
Lanie mise una mano su quella di Kate. “Tu forse non lo vedi.”
Basita Kate scosse il capo. Allungò una mano. “Cosa intenti? Insomma è il solito Castle, ama giocare a videogames, continua a credere negli alieni, adora la fantascienza, è un vero geek e va matto per le spade laser…”
“Parliamo di sabato sera tesoro, vuoi?” Lanie la fermò con un sorriso.
Kate attese che lei continuasse annuendo con il capo.
“Castle è stato divertente, folle come suo solito e le vostre feste sono sempre grandiose, ma con te… Non aveva occhi che per te! Ti teneva per la vita, ti sfiorava le spalle, la testa. Ti abbracciava continuamente. E come ti guardava… Ogni donna avrebbe voluto quello sguardo su di sé dal proprio uomo. La cosa che ci ha un po’ sorpreso tutti è la naturalezza con cui glielo lasciavi fare.”
“Tutti?”
“Ah ha…”
Kate espirò sorpresa e cercò di ripercorrere i momenti di quella serata.
Lanie aveva ragione, lui era stato adorabile, avvolgente e premuroso come sempre. Una splendida serata che chiudeva una settimana sicuramente meno felice.
Poi Castle l’aveva portata al mare, amata e coccolata. Avevano discusso ed aveva trovato non solo un punto di incontro ma anche due nomi meravigliosi per il loro bambino. Avevano fatto sesso in modo straordinario ed erano tornati a casa più sereni e più innamorati che mai.
“Avendolo accanto ogni giorno non riesci a vederlo, ma si nota eccome il cambiamento.” Lanie strinse dolcemente la mano dell’amica, commossa da quelle parole.
“Fin dal primo momento in cui gli ho detto di volere un bambino lui… ah…” La voce gli si ruppe in gola. Lui l’aveva letteralmente venerata. Le sue cure, le sue premure gli erano sembrate una cosa normale ed invece quella notizia l’aveva cambiato. Lui stava prendendosi tutte le responsabilità di marito e padre. Non ne era sorpresa, lo conosceva, ma non aveva immaginato che il suo modo di essere fosse così diverso agli occhi dei più. Ne era anche più orgogliosa.
Aveva visto la sua fragilità davanti alle ombre del suo passato, la sua determinazione nel difenderla e proteggerla.
“State vivendo un momento magico. Deve essere splendido.”
Kate inspirò. “E’ sempre molto coinvolgente. Mi inonda di attenzioni…” Fece una smorfia ma non trattenne il sorriso.
Lanie attese e Kate afferrò il suo bicchiere di acqua tonica.
Quante avventure avevano vissuto insieme, lui era stato la sua ancora di salvezza e continuava ad esserlo.
“Lui ha sempre detto che la nostra è una grane storia d’amore, grazie al fatto che abbiamo passato ogni genere di sfida.”
“Ci credo.”
“Non è sereno al cento per cento e lo capisco. Premuroso e… fragile in alcuni casi.” Sospirò.
Guardò Lanie arrossendo di nuovo.
“Anche per lui è una bella sfida, sono passati anni dalla nascita di Alexis.” Mormorò l’amica.
“Già...” Si girò verso la cucina, si alzò e si diresse al bancone cercando qualcosa. Dissimulò il suo imbarazzo spostandosi i capelli dal volto senza guardare Lanie in faccia.
“Voglio essere in grado di renderlo orgoglioso. ”
“Tesoro non dire stronzate ok? Sarai stupenda. Un po’ dura ma stupenda.” Le intimò di mettere da parte i dubbi. “Piuttosto avete iniziato a scegliere i nomi? Comprato quelle adorabili tutine da neonato?”
Kate rise spiazzata. Lanie si stava facendo in quattro per farla sorridere e l’ultima cosa di cui voleva parlare era Gina ed i suoi atteggiamenti fuori luogo.
“Gli ho chiesto di portarmi qualcosa al suo ritorno, chi lo sa… Comunque niente acquisti per ora, aspettiamo di conoscere se sarà maschio o femmina. Castle punta su maschio, ne è convintissimo.” Pensare ai loro discorsi in camera da letto la fecero desiderare che il suo uomo potesse essere lì in quella notte per perpetuare la tradizione dei sussurri nel buio.
“Abbiamo trovato due nomi papabili. Ma è ancora tutto in forse…” Aggiunse Kate. Lanie fece una smorfia.
“Quindi non intendi farmi delle anticipazioni.”
Kate annuì decisa. Guardò l’amica con aria divertita.
“Ed io che volevo soffocare in tonnellate di zucchero e peperoncino.” Le sgranò gli occhi. “Proprio così, zucchero rosa shock e peperoncino rosso sangue.”
Kate rise di gusto.
“E’ un casino. Ci sono giorni che fluttuo tra le attenzioni di Rick e quelle di tutta la famiglia, altre in cui non so se sarò in grado di fare tutto e annaspo in ufficio buttandomi a capofitto in ogni cosa possibile. Lavoro a testa bassa per evitare di pensare a quello che mi aspetta…” Disse trovando il modo di sfogarsi.
Lanie la invitò a continuare.
“Amo Rick come non mai. So che lui sarà sempre accanto a me e mi sento così fortunata. E poi giochiamo, stiamo meravigliosamente… anche in quel senso.” Kate si morse le labbra. “Mi ha regalato due e-book. Il primo è una guida ai nomi. Il secondo…” Occhieggiò facendo capire all’amica che cosa intendesse dire.
“Wow, siete così caldi? Non sono diventati due gemelli vero?”
“Guarda tu stessa…”  Andò fino alla scrivania di Rick e prese dal cassetto le immagini dell’ecografia.
Le mostrò orgogliosa quelle piccola creaturina che cresceva dentro di lei.
Lanie le guardò attentamente. “No, hai ragione, è uno solo.” Valutò.
Kate aveva gli occhi lucidi, emozionata. “Contavo sulla professionalità del mio ginecologo.” Aggiunse con un velo di sarcasmo.
“E il nostro fagiolino…” Kate passò dolcemente le dita sopra quella piccola sagoma.
Lanie accarezzò la spalla dell’amica con gentilezza. “Sarà un bambino stupendo.”
“Siamo stati negli Hempton’s domenica. Una piccola fuga per noi soli. Abbiamo parlato di tante cose sdraiati su una montagna di cuscini e coperte in soggiorno, davanti al camino…” Mugolò al piacere che quel ricordo le procurava.
“Da film.” Suggerì Lanie. “Questo è zucchero!”
Ok, come la invidiava ora. La casa al mare era un altro optional che il suo lato venale non riusciva a ignorare, ma quel genere di romanticismo era impareggiabile.
“Lo so è patetico vero? Rientrando lunedì mattina all’alba abbiamo cantato canzoni di Mika per tutto il viaggio.” Strizzò gli occhi vergognandosi di averlo ammesso.
Lanie sorrise. “Non lo è affatto. Goditelo ogni giorno.” Si abbracciarono.
“E poi dovrai permettermi di giocare un po’ con il principino ed essere una brava zia!”

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Buona piovosa domenica!
Rieccomi con un nuovo capitolo. Sono sempre in ritardo, ma cerco di recuperare.
Grazie a tutti voi che mi seguite!
Anna

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Capitolo 3
*** Istinto, incoscienza, amore? ***


“E’ un piacere rivederla signor Castle.”
Castle allungò la mando in direzione della persona in piedi davanti a lui. “Signor Stevenson!” Esclamò sinceramente felice di aver fatto quell’incontro. “Anche lei da queste parti!”
“Dove ci sono libri…” l’uomo sorrise annuendo.
“Si accomodi… Mi faccia compagnia” indicò di sedere accanto a lui.
Scosse il capo. “Non vorrei disturbare il suo momento di calma.”
“Nessun disturbo. Inoltre sono ancora in debito con lei e la sua gentile moglie. Non c’è?”
Un sospiro tradì una lieve delusione nello stato d’animo di Stevenson. “Sono qui per affari e Veronica è rimasta a casa.”
Castle insistette per farlo restare e l’uomo infine cedette convinto dalla cordialità dello scrittore.
“Nuovi mercati nel mondo dell’editoria?” Chiese curioso. “Non vi ho più visti alla Black Pown, dobbiamo avervi fatto una pessima impressione.”
Stevenson inclinò il capo, glissando elegantemente.
“E’ stato così? Mi dispiace moltissimo, non è stata una delle mie serate migliori.” Concluse Castle imbarazzato. Aveva pensato a sé stesso ed ai suoi problemi con Kate tanto da non aver dedicato l’attenzione necessaria agli affari. I signori Stevenson erano stati molto disponibili e gli dispiacque sinceramente che, a seguito del loro incontro, le relazioni con la casa editrice fossero andate talmente male da farli desistere.
L’uomo rise divertito. “Lei non ha colpe, glielo assicuro.”
“Oppure lei è troppo gentile per dirmi la verità.” Per la seconda volta si sentiva inspiegabilmente a proprio agio con Stevenson, non che avesse mai avuto problemi ad interagire con il pubblico. Era una alternativa interessante al suo desiderio di star solo per quelle ore serali, quattro chiacchiere con qualcuno disinteressato.
Il cameriere li interruppe chiedendo se desiderassero altro. Stevenson chiese un drink e i due uomini si trovarono a guardarsi l’uno di fronte all’altro.
“L’ho seguita in questi giorni, per lei deve essere molto impegnativo.”
Era decisamente una sorpresa per Castle perché non lo aveva visto aggirarsi per gli stand.
“Non l’ho mai incrociata prima di stasera…” Considerò un po’ perplesso.
“E’ stato molto occupato con… tutte quelle persone.” Castle sentì l’imbarazzato farsi strada. Non lo aveva proprio notato!
Comunque lo sguardo divertito di Stevenson la diceva lunga sul fatto che non fosse affatto risentito da una sua eventuale mancanza di attenzione. Non dubitava del fatto che fosse un signore.
“Credo che non sarei in grado di tenere testa a tutti quegli ormoni femminili.” Aggiunse con una limpidezza tale da far escludere qualsiasi doppio senso.
Castle fece una smorfia. “Evitava me o il genere femminile che mi stava assediando?” Disse con baldanza. Stevenson gli segnalò con il gesto della mano che la seconda opzione era quella valida.
“E’ difficile, l’abilità di non farsi risucchiare dall’interesse di quelle signore può diventare un arte. Potrebbe sembrare divertente, a 25 anni è gratificante e proficuo…” Mormorò lasciando intendere quel genere di attività che lo aveva reso noto come donnaiolo. “Una vita fa.” Tenne a chiarire, gesticolando vivacemente. “Non che io sia vecchio, solo…”
Stevenson rise annuendo. “Le donne dei nostri giorni sono molto più aggressive di quanto io sia capace di gestire. Sono timido.”  Castle non riusciva a crederlo possibile, sembrava un uomo di mondo.
“Non si direbbe…” Assottigliò lo sguardo come a volerlo studiare.
Stevenson alzò una mano e lo fermò. “Assolutamente timido con il gentil sesso.” Risero entrambi divertiti.
“Posso chiederle, visto che la mia casa editrice non la interessa più, a cosa sta puntando?” Castle era desideroso di sapere quale suo rivale avrebbe beneficiato dei capitali di quel simpatico signore. Sapere perché non aveva investito nella Black Pown stava diventando una necessità impellente. Dire che era curioso era dire poco.
“Chi le dice che io sia disinteressato, signor Castle...”
“Rick, la prego.” Gli ispirava naturale simpatia. Gli era anche grato per la cortesia di quella frase detta a tu per tu, in cui lo invitava a tornare a casa da Kate in base al fatto che lo aveva sorpreso a coccolare la sua fede nuziale.
“Gina non ha più parlato di lei.” Disse ma si pentì di aver detto quella sciocchezza. Lui non aveva più dialogo con Gina, a meno che non si trattasse delle sue scadenze, forse era solo una sua speculazione. Però se avesse fatto il colpaccio di avere un nuovo socio di capitale Gina se ne sarebbe vantata senza ritegno e l’informazione avrebbe raggiunto le sue orecchie.
“Rick, non è stato lei a farmi desistere dall’investire con la Black Pown. Stia tranquillo.” Non perse il suo sorriso amabile. “Appena mia moglie saprà che l’ho incontrata qui, si pentirà di non avermi seguito.”
Sedette con più comodità.
Castle studiò Stevenson con attenzione. Quindi era vero che non erano entrati in affari.
Che cosa poteva essere accaduto negli incontri successivi con la casa editrice? Gina doveva aver fatto qualche passo falso. Poteva essere colpa sua e della sua reazione? Gina stava perdendo il controllo dei propri nervi? Doveva trovare il modo di incanalare il discorso senza essere troppo sfacciato.
“Allora faremo in modo di trovarci a New York per una bella cena tra noi, glielo avevo promesso. Un impegno che ho intenzione di mantenere.”
Stevenson annuì. “Il miglior regalo che possa fare a Veronica: è una sua accanita fan. Non ha idea di quanto questo incontro la renderà gelosa di me.”
Castle rise. “In questo caso le faremo anche un saluto via telefono, se le va.”
Stevenson tolse il suo smartphone dalla tasca interna della giacca.
“Perché no. Dimentico spesso quante cose possono fare questi aggeggi.” Esclamò toccandone il touch screen.
“Quindi anche lei ha promesso un regalo a sua moglie? Io pure! Ma non ho ancora deciso cosa regalarle.”
Stevenson sembrava essere d’accordo. Osservava Castle spaziare dalla sua naturale baldanza al sembrare infantile in molte esternazioni spontanee senza esserne infastidito. Era certamente questo atteggiamento a far sentire Castle a proprio agio con lui. Non lo stava giudicando, non si aspettava chissà che da lui e sembrava trovarsi nel medesimo stato di tranquillità.
“E’ una cosa puerile, però ho sempre amato tornare da mia moglie con un pensierino.” Spiegò. “Essere originali non è sempre possibile, ma se riesco…”
Castle sorrise. La trovava una cosa adorabile e dolce anche perché non riusciva a leggere in lui doppi fini, ma una sincera benevolenza nei confronti della consorte. Oddio, poteva anche sbagliarsi di grosso ma l’istinto gli diceva cose buon su quell’individuo.
“Probabilmente abbiamo entrambi delle mogli che amiamo coccolare.” Replicò quindi prendendo a giocare con la fede. Era la verità dopotutto.
“Sta bene il detective Beckett?” La domanda soprese Castle, non si ricordava di averla nominata per cognome ma se la moglie era una sua fan conosceva molti dettagli. Annuì. “E’ molto impegnata.”
“Ancora omicidi?”
“Sempre, anche se ora sta seguendo la burocrazia di un difficile caso politico.” Stevenson sembrava sorpreso, ammirato. “Qualcosa di importante.” Valutò con serietà. Poi indicò la mano di Castle.
“E lei è sempre molto preso.” Castle si sentì vagamente in imbarazzato, era così palese il suo gesto? Non se ne rendeva nemmeno conto. Sorrise di rimando senza rispondere.
“Poco fa ho visto la sua PR andarsene con un certa aria funerea.”
Castle annuì stringendo le labbra. Stevenson era un occhio di falco, micidiale.
“Sì?” Aggiunse senza sapere davvero dove avrebbe portato quel discorso.
“Le confesso che non…” Scelse con cura le parole.  “E’ sempre professionale ma… così poco amichevole.” Castle scoppiò a ridere e sprofondò nella poltrona.
“Lei ha fin troppo occhio. Sicuro che è nel campo dell’editoria?” Il dubbio stava diventando legittimo.
La saletta venne invasa da un gruppo rumoroso di persone che cercavano spazi per sedersi. I due uomini si guardarono intorno attendendo che il vociare dei presenti si scemasse, cosa che non accadde.
Stevenson si sporse verso Castle. “E’ occupato per cena? Detesto cenare da solo e mi farebbe piacere…”
Lo scrittore era vagamente sorpreso, era un’ottima idea. Già il fatto che non amasse Paula era un fattore positivo. E poi il tempo sarebbe trascorso in modo interessante oltre a cercare di scoprire perché la trattativa con la casa editrice era fallita. 
“Solo se è mio ospite.” Concluse Castle alzandosi.
Di fronte ad un buon pasto i due uomini chiacchierarono del più e del meno con tranquillità. Parlarono di libri spaziando nei vari generi letterari. Si confrontarono su molti titoli, trovandosi a discutere amabilmente.
La sala ristorante era meno affollata del bar e l’angolo in cui erano seduti era felicemente lontano dai gruppi più turbolenti. Alcune persone si avvicinarono a loro per fare una foto con lo scrittore, un autografo sul tovagliolo, qualche battuta.
Castle si prestò senza lamentarsi, fu soltanto l’intervento del maitre che, visto l’andirivieni di alcuni fans non particolarmente a modo, rese il tavolo di Castle off limit.
“Mi scusi, non mi succede spesso…” Castle cercò di minimizzare. “Non sono poi così famoso.”
L’uomo gli fece l’occhiolino. “Non ad una fiera del libro Rick. Qui è una popstar.”
“Stephen King è una popstar. Io sono più... modesto.”  Replicò Castle con una smorfia.
“Mi avevano detto che lei era un individuo pieno di sé, ma non sembra essere così.”
“Ma quante cose le hanno detto di me!” Sbottò divertito.
Stevenson si schiarì la voce. “Mia moglie.” Disse semplicemente. “Ovviamente già dal primo incontro si è molto ricreduta su queste dicerie.”
Castle strinse gli occhi, sornione. “Forse non lo erano del tutto…” Valutò con onestà.
Entrambi risero divertiti. Fu il momento per Castle di portarsi all’attacco e fare domande.
“Quindi se io sono quello simpatico, è Gina quella antipatica?” Disse fissando il suo interlocutore.
Stevenson si prese qualche minuto per pensare.
“Beh, alla visita successivo presso la Black Pown abbiamo avuto un incontro con la direzione e la sua editor. C’erano delle clausole da valutare e prima di parlarne con gli avvocati abbiamo deciso di fare un vertice esplorativo per chiarire i rispettivi intenti.” Spiegò con calma. Forse non era del tutto convinto di dare allo scrittore quella spiegazione perché si prese altri minuti per pensare. Quando raggiunse una decisione alzò lo sguardo su Castle e lo guardò diritto negli occhi.
Sorrise con dolcezza e con l’atteggiamento di un uomo d’affari che si sbilancia su una confidenza.
“Durante quell’incontro la signora Cowell ha fatto del suo meglio per spiegarci come lei fosse la loro spennabile gallina dalle uova d’oro. L’ha fatto in modo estremamente sgradevole, come una donna respinta. Poco professionale.”
Per poco la mascella di Castle non toccò terra. Sbalordito da quella affermazione riuscì a dire solo “Cosa?” Con un acuto incontrollato nella voce.
“Durante la nostra cena sia io che Veronica abbiamo notato un certo modo di dettar legge su di lei, nonostante tutto sembrava che i rapporti fossero più pacifici.” Aggiunse Stevenson scuotendo il capo.
Castle chiude gli occhi espirando. Quella sì che era una situazione imbarazzante.
“Per prima cosa Gina è un errore del passato. Sono in dovere di dirle, se non è già al corrente, che è la mia seconda ex moglie… E mi scuso per quanto accaduto. Sto ancora pagando le conseguenze di questa sciocchezza.” Era così prostrato che Stevenson allungò bonariamente una mano e dette una pacca amichevole sulla spalla di Castle.
“Cose che possono succedere. Di fatto la signora Cowell era così desiderosa di farci sapere quanto manipolasse lei e il denaro che portava alla casa editrice che mi sono sentito a disagio.” Castle, ripresosi dal momento di smarrimento, cercò di ascoltare il suo interlocutore con maggiore attenzione. Gina lo stava truffando? Era questo che stava insinuando? Era solo un sospetto oppure il suo legale doveva fare delle indagini? Forse era il caso di analizzare i dati delle vendite.
“Vede Rick, non amo queste dimostrazioni di potere. Sono gratuite e mancano di eleganza. Umanamente deplorevoli. Poi da che l’ho conosciuta ho provato simpatia per lei. Una volta tornato da mia moglie le ho parlato di quanto è accaduto e di comune accordo abbiamo deciso di non voler essere parte di questa spiacevole situazione.”
Castle scosse il capo, adombrato e deluso.
Stevenson si pentì di aver profferito parola vedendo lo scrittore rabbuiarsi.  Aveva voluto conoscere la verità ma non desiderava rovinargli la serata.
“Mi dispiace di averla messa di cattivo umore…” Aggiunse scusandosi. “Avrei dovuto evitare.”
Castle gli sorrise grato di quel suo gesto di cortesia.
“Non si preoccupi. So che Gina gioca sporco, lo ha fatto anche in questi giorni.” Si passò una mano sul viso. “E’ una questione privata ancor prima che lavorativa… Una questione tediosa su una donna che non mi ha mai capito.” Ribadì cercando di spiegare. Raccontargli come stavano le cose era complicato.
“Le sono grato di avermelo riferito. Gina sta dando… del suo peggio.” Espirò contrito.
Stevenson lo osservò per alcuni minuti, si prese un sorso di acqua e inspirò.
“Mi piacerebbe avere la possibilità di farle un’offerta. Se dovesse ricrearsi la situazione, sarei ben lieto di portarmi via la fetta di maggioranza della Black Pown. Ma non ci sono ancora le condizioni.” Disse con tranquillità.
Castle lo squadrò sorpreso. Quanti soldi doveva avere quel tizio?
“Ovviamente è una questione d’affari.” Rispose sulla strada dello sconforto.
Stevenson annuì. “Però lei mi sembra stia giocando pulito.”
“Non abbiamo mai parlato di affari.” Valutò infine Castle. Si passò una mano sul volto.
Perché glielo stava dicendo? Per onestà? Avrebbe potuto semplicemente considerare la situazione d’affari come proficua ed infischiarsene dell’aspetto umano. Invece aveva preferito non invischiarsi in qualcosa che era umanamente scorretto o c’era dell’altro?
“Perché? Perché me lo sta dicendo…” Chiese Castle fissandolo. “Insomma noi non ci conosciamo e lei ha perso un’occasione d’affari che poteva esserle redditizia…”
Non sorprese Stevenson che probabilmente si era aspettato quella domanda.
“Durante la nostra cena lei è stato sé stesso. L’ho apprezzato molto perché non ha deluso le aspettative di Veronica su di lei. Ha regalato a mia moglie la splendida serata di cui aveva bisogno dopo un periodo difficile. Non nego che ero un po’ preoccupato…”
Castle capì. “Se fossi stato lo sciocco pieno di sé del mio passato l’avrei delusa.”
Stevenson sorrise. “Veronica è stata rapita dalla sua franchezza, dall’umanità che ha percepito in lei mentre parlava del caso di omicidio che con sua moglie stavate affrontando. E’ tornata a casa entusiasta e per questo le sono profondamente grato.”
Castle sorrise senza aggiungere parola. Era un gran complimento, aprire bocca e dire qualcosa di banale non era la strada migliore per dimostrare apprezzamento a tutta quella generosità. E poi ammutolirlo era una cosa da pochi.
“Mi sembrava il minimo darle l’opportunità di indagare.”
“Grazie. Mi muoverò con cautela, ma a riguardo sono supposizioni oppure le hanno sbandierato cifre?” Aggiunse Castle.
“Non ho prove se è questo che intende. Non ho visto nulla di scritto.”
“Ok.” Si morse le labbra pensieroso. “Mi darò da fare.”
“Non sono solo i soldi che vuole da lei, vero?” Altra uscita spiazzante. Castle boccheggiò a secco di opzioni. Non stava certo brillando per personalità e intelletto ma la sua reputazione stava in caduta libera a causa degli effetti collaterali di aver sposato una stronza.
Espirò guardando Stevenson e con sincerità si propose di dirgli quanto necessario.
“Ha espresso l’idea di rivolermi indietro. Come coppia siamo stati un fallimento su tutta la linea, non abbiamo nulla in comune se non il lavoro ma lei si è fissata di rivolermi.” Castle deglutì sentendo l’amarezza farsi strada.
“Lei non è disponibile.” Decretò Stevenson con un sorriso gentile indicando la fede al dito di Castle.
“Kate è… l’unica che voglio. Gina è ancora convinta che sia un capriccio, ma quanto si sbaglia.” Bevve un sorso di vino per darsi carica.
“Posso solo immaginare come può sentirsi.”
Castle scosse il capo. “Quando parlo di lei… posso diventare noioso.”
Negli ultimi tempi lui era diventato particolarmente protettivo. La sua gravidanza li aveva legati di più e dopotutto stavano facendo anche piccoli passi avanti nel combattere le loro fobie. Parlare di lei gli faceva bene, era come averla accanto, o almeno avere qualcosa di lei.
“Abbiamo la stessa malattia, non si scusi.” Rispose Stevenson, annuendo divertito.
“Ho trovato una persona che vuole le stesse cose che voglio io dalla vita e dalla famiglia. E’ una donna forte e talmente concreta…” Guardò il proprio piatto ormai vuoto sulla tavola imbandita.
“Aspettiamo un figlio…” Sussurrò. Castle non si rese nemmeno conto di averlo detto. Stevenson parve piacevolmente sorpreso.
“E’ meraviglioso.” Rispose.
Castle strinse gli occhi. “E’ ancora un segreto. Può… beh ecco… mantenerlo?” Lo pregò.
“Solo se posso dirlo a mia moglie.” Ammiccò e Castle annuì. “Resterà tra noi. Congratulazioni.”
“Avete dei figli?” Chiese Castle cercando di spostare il fulcro del discorso.
L’uomo negò con il capo. “Purtroppo no. Non abbiamo avuto questo dono.” Castle vide altra tristezza negli occhi dell’uomo che fino a quel momento era sembrato vitale e forte.
“Per me è il secondo, ho una figlia di 22 anni, Alexis. Per Kate è il primo.” Spiegò. “E’ di due mesi soltanto.”
Stevenson sorseggiò il suo vino. “Ora più che mai capisco il bisogno di quella sera.”
“Già.”
“Fa bene a starle accanto. Se avessimo avuto figli penso che non avrei abbandonato Veronica nemmeno per un istante.” Rimase pensoso per alcuni istanti. “Mi sarebbe piaciuto avere figli.”
Castle non si sentì in grado di chiedere il perché non ne avevano. Dall’alto della sua fortuna sentiva di non voler essere invadente. Il volto di Stevenson era segnato da una traccia di dolore percettibile, sinonimo che quella mancanza era stato un peso, che il non avere figli probabilmente era spiegato dall’impossibilità di averne. Gli bastava.
“Come quella sera voglio tornare da lei, sincerarmi che stia bene. E poi è un poliziotto della omicidi, lavoro idoneo alla maternità…” Ironizzò. Stevenson rise.
“Come fa ad accettare tutti i rischi del suo lavoro? Saperla coinvolta in situazioni pericolose come inseguire assassini, sparatorie... Impazzirei dalla paura.”
“Ho passato…” Castle espirò correggendosi. “Abbiamo passato momenti difficili, anche prima di stare insieme, per quel senso di giustizia che la anima e la spinge a dare tutto. Questa parte di lei è probabilmente la prima che ho imparato ad amare.” Scosse il capo pensando alle loro vicissitudini.
“Da quanto voi...” Stevenson mimò con le mani una rotazione indicando il loro coinvolgimento.
“Sette anni… Siamo sposati da meno di due. Difficili, dolorosi e bellissimi anni.”
“Dolorosi?” Stevenson era davvero stupefatto.
Castle annuì. “Le hanno sparato al cuore.”
Stevenson deglutì.
“Un cecchino.” Precisò Castle. “E’ stato un incubo. E poi c’è stato molto altro. Rapimento, fughe e nemici piuttosto coriacei.”
Il suo interlocutore rimase in silenzio, gli aveva tirato un missile difficile da ignorare. Lui stesso si sentiva un po’ a disagio nel parlarne. Ruppe il silenzio tornando sull’argomento originario.
“Forse è solo incoscienza, ma seguirla al distretto mi aiuta a contenere la paura. Ci proteggiamo le spalle a vicenda e siamo partner anche nel lavoro, non solo nella vita.”
Stevenson annuì interessato. “Siete molto affiatati. Non credo che sia incoscienza la sua…”
“No?”
“Tutta un’altra parola.” Risero complici.
“E poi mi diverto, ci sono dei casi di ogni tipo e tante idee per i miei romanzi.”
In quel momento il cellulare di Castle squillò. Chiese scusa e si alzò guardando perplesso il contatto chiamante. Era il suo legale. Che Gina si fosse già infuriata a tal punto da scomodare i legali? Era passata solo un’ora da quando aveva imbastito quel discorso risoluto con Paula.
“George, a quest’ora mi fai paura. Gina ti ha mandato qualche postilla minatoria corredata di bombe atomiche?” L’ironia era il minimo per ciò che si aspettava da quella donna malefica.
Ascoltò con attenzione e il suo viso si illuminò. Non era nulla di quanto avesse speculato.
“Quando e soprattutto quanto?” Annuì con la testa nonostante il suo interlocutore non potesse vedere.
Sorrise e poi disse. “Assolutamente sì, mi interessa. Sarò da tè alle 14 e 30. Se ce la faccio prendo un aereo prima.”
Quando chiuse la chiamata il suo umore era decisamente migliorato.
Sedette con un sorriso becero davanti a Stevenson e scosse il capo. “Forse ho trovato il regalo per Kate.”

Kate si sistemò meglio sul divano di pelle. Lei e Lanie stavano continuando la loro chiacchierata e a quest’ultima piaceva parlare di sé stessa oltre che a fare milioni di domande, così le aveva fornito vino a sufficienza per far scatenare la sua loquacità. Si stava sbottonando sulle sue avventure amorose. Per lei le vicissitudini erano esclusivamente di natura rosso piccante. Più l’ascoltava e più pensava al fatto che Lanie si stava buttando a capofitto in una serie di avventure senza futuro. Non voleva essere ipocrita e chiederle perché lo facesse, conosceva la risposta che si celava dietro quell’attitudine. Come lo era stata lei, Lanie si stava nascondendo dietro l’apparente disinteresse perché in qualche modo temeva di prendere una strada che l’avrebbe delusa. Era rimasta in quel limbo per un sacco di tempo, ma a differenza della sua amica lei aveva avuto una parte vivace ed una parte più casta, o magari solo meno selvaggia ma sicuramente piena di menzogne. Nei propri confronti e anche nei confronti di quegli uomini che illudeva celando quel piede sempre fuori dalla porta, pronta a darsi alla fuga alla prima avvisaglia di una seria intenzione.
Almeno Lanie era più onesta: non prometteva nulla a quei ragazzi, ne pianificava vivendo il momento e basta. Ma se non provava a guardare oltre non avrebbe mai visto la sua chance. Era un peccato, un peperino come Lanie poteva essere la donna giusta per qualcuno che la sapeva apprezzare davvero. Era molto dolce sotto quella scorza da cinico medico legale.
“Mi stai ascoltando?” La richiamò dal suo pensiero.
“Sì. Pensavo solo al fatto che hai una resistenza notevole.”
Lanie rise. “Troppo gentile. Che ti frulla per la testa, ti sto raccontando le mie avventure migliori e mi dai l’impressione che in qualche modo non siano poi così eccitanti…” Il suo sguardo divertito le fece capire che l’aveva scoperta a pensare ad altro. Ma era anche gentile e comprensiva con lei più del solito tanto da non farla indispettire per la sua assenza cerebrale.
“So che queste cose non ti interessano più tesoro.” Aggiunse con una smorfia.
Kate scosse il capo. “Non è vero. Sono sposata, non mi sono fatta suora!” Esclamò indispettita.
“Diavolo lo vorrei proprio vedere.”
“Spero non succeda mai!” Strabuzzò gli occhi. “Rick ed io…” Con furbizia si morse le labbra. “No, non accadrà…”
Lanie le fece un gesto di diniego. “Beh, questo dipende da come vivi il post parto.”
Kate sbuffò. “E’ presto per questi discorsi. Non sono ancora arrivata a pensare al dopo.” In effetti non lo voleva fare. Non si voleva fasciare la testa con dubbi che avrebbe sicuramente affrontato a tempo debito. Ne aveva già tanti in testa.
E poi il lavoro, voleva fare un balzo avanti dai tempi di Washington e dell’FBI. Era un traguardo che aveva cercato con interesse, ma che a causa della delusione aveva messo nel cassetto.
Erano usciti entrambi quei desideri. Li voleva assecondare visto che a suo marito stava benissimo così e la dava il suo pieno sostegno.
“Non ti ho mai chiesto quando ti è venuto in mente…” Disse Lanie con leggerezza. “Ero così sconvolta per la notizia che non ho pensato ad altro.”
“Ti aspettavo al varco!” Rispose Kate sospirando.
“Quindi? E non cercare di vendermi che è capitato, con tutte quelle precauzioni che vi fanno prendere a voi… donne poliziotto.” La punzecchiò con il suo cipiglio indagatore.
Era la realtà, nel suo lavoro i rischi erano troppi per lasciare certe cose al caso. Kate aveva deciso di smettere di prendere l’anticoncezionale perché lo voleva. Sbuffò muovendosi i capelli e sentendo un vago disagio farsi strada in lei. Era una cosa così personale che non sentiva di voler condividere del tutto.
Stranamente nemmeno Rick le aveva fatto quella domanda diretta.
“Non lo so di preciso, era il momento.” Si limitò a dire senza accontentare l’amica.
Lanie fece una smorfia. “Ti butti nell’avventura di una maternità e poi mi dici che stai per fare un balzo di carriera. Non può essere solo il momento… Cavolo Kate non mi prendere in giro, tu non vai nemmeno in bagno senza programmare una via di fuga. O almeno una volta era così.”
Kate rise scuotendo il capo. “Certo che sei davvero un’impicciona.”
“Lo sono sempre stata tesoro, com’è che ora ti sconvolge?” Usò volutamente la medesimo verbo.
“Non mi sconvolge, ma non hai mai pensato che ci siano cose che devono restare tra me e il mio uomo?”
Lanie le rispose con un’occhiataccia divertita e strafottente. “E le migliori amiche non sono proprio quelle che conoscono questi segreti?”
“Non ho nessun piano di fuga per andare in bagno.” Ribatté Kate con puntiglio.
“Sì che ce l’hai. Ti ricordi di quella sera di 10 anni fa, in quel club dove avevamo un appuntamento a quattro?”
Kate fece finta di non sapere. “Non me lo ricordo. Dieci anni fa? Davvero?”
“Bugiarda.” Le due donne risero allegramente.
“Lo fai per Rick? Insomma lui adora i bambini.” Insistette Lanie.
“Cosa te lo fa pensare? Non è che voglio accontentarlo e basta. Per chi mi hai preso!”
“Sei in deliquio ogni volta che ti dice una cosa carina, immagino quando fate sesso, è o non è forse la balena bianca come tu hai sostenuto?”
“Questo cosa c’entra?” Kate era stupefatta dalla sfacciataggine dell’amica.
“Beh, credo che per accontentare te ci sappia comunque fare. E poi lo ami così tanto che potresti accettare compromessi clamorosi, quindi non negare che un po’ lo fai per lui.”
“Forse hai bevuto troppo Lanie.”
Lanie si trattenne il bicchiere. “Non ho nemmeno iniziato veramente…”
“Mi dispiace solo non poterti sfidare.” Replicò Kate con fare belligerante.
“Ah, smettila, so che ti fa impazzire. Quindi rispondi o metto in atto qualche forma di tortura?”
Kate espirò poggiando la testa al divano. Lanie aveva bevuto comunque troppo, per fortuna che era venuta in taxi.
“La nostra vita mi piace molto ed è un peccato volere fare un passo in più? E’ l’uomo migliore che io possa desiderare come padre per mio figlio. Ho sentito il bisogno di andare avanti. Qualcosa di nostro, di unico.”
Lanie la stava ascoltando incredula.
“Un bambino non rende certo le cose facili. Ma con chi altro potrei arrischiarmi a fare un passo simile se non con lui? Ce lo meritiamo entrambi anche se può sembrarti solo incoscienza.”
Lanie si sporse verso di lei. “Quindi non l’hai pianificato?”
Kate sorrise. “No. Nessuna pianificazione. Mi sono sentita di farlo e basta.”
“L’hai detto a Castle e lui sarà andato in orbita.” Era un’affermazione.
Kate era consapevole che l’incoscienza aveva avuto un ruolo dominante in quella decisione, nel momento in cui aveva messo via il blister nuovo delle pillole. Poi ci aveva pensato eccome, quotidianamente. Prima di dirlo a Castle il suo cuore era stato un tumulto di dubbi nella ricerca del momento ideale per coinvolgerlo, stupidamente poi se pensava al suo desiderio di tornare ad essere padre. Poi c’erano state le ferie, dovevano riprendersi da un periodo di lavoro intenso e non aveva fatto calcoli. Si erano rilassati e divertiti e gli era sembrato naturale confidargli tutto. Non glielo aveva detto subito perché doveva darsi il tempo necessario per metabolizzare la propria scelta come concreta e non come un momento di particolare coinvolgimento emotivo.
Sembrava un dialogo da soap opera introspettiva.
Però dopo una notte di passione poteva sentirsi tanto presa da volerlo. Nei giorni successivi il suo desiderio non si era spento, non era stato divorato dal suo pragmatismo e dai timori, era un gran segno. Le parole con Rick erano state superflue perché aveva capito al volo. Non le aveva nemmeno chiesto spiegazioni.
“Sì.” Rispose. “E’ andato in orbita e in poco tempo eccomi qui.” Si passò una mano sul ventre con lentezza.
“Molto romantico… molto… poco da te…” La schernì Lanie facendola tornare a terra.
“Beh, dovrò trovare il modo di sconvolgerti ogni tanto.”
“Quindi istinto, incoscienza, amore?” Lanie tornò a pungolarla ignorando la sua battuta.
“Tutti e tre.” Kate rispose con decisione e Lanie si sporse per accarezzarle la mano abbandonata sul ventre.
“E cosa ti farai regalare dal tuo uomo in caso arrivasse il primogenito?” Lanie era tornata sul venale.
“Il medioevo è passato da un pezzo, non so se lo hai saputo.” Commentò sarcastica.
Lanie rise rumorosamente. “Ma se sarà un maschio…”
“Sono io che… vorrei un maschio, a lui non interessa!” Le ricordò Kate tra il divertito e il sorpreso. “Andiamo…”
“Ti aspetti un gioiello, una strepitosa vacanza, un assegno da spendere per SPA e trattamenti di bellezza?”
Kate chiuse gli occhi scuotendo il capo.
“Per te e la tua migliore amica…” aggiunse Lanie stuzzicandola. “Ho visto una rivista di là… Massaggi alle gambe per donne in gravidanza. Si porta avanti?” Occhieggiò.
“Sa come rendere felice una donna!”
“Quindi SPA?” Lanie tornò alla carica.
“Ci andrò con Alexis!” Rispose Kate divertita. Gli occhi di Lanie si fecero di fuoco. “Spiritosa, dico sul serio…”
“Anche io!” Sorrise beffarda pensando che in quel momento aveva un certo potere sull’amica, lei era la moglie di un milionario, se lo dimenticava spesso. “Non spillerò denaro a mio marito, né approfitterò della sua generosità.”
“Ah, beh, io ci ho provato.” Rispose Lanie sempre col cipiglio divertito. “Ma non vedo l’ora di accompagnarti per lo shopping. Lo sai che ho buongusto.”
Kate sorrise. Non voleva dire a Lanie quello che aveva scoperto nell’armadio.
Rick si era già adoperato per qualcosa del genere e involontariamente, riponendo la biancheria, lo aveva scoperto. Così come aveva letto quelle decine di frasi che lui aveva provato a scriverle e che, non contento del risultato, aveva gettato nel fuoco del camino. Il cartoncino appallottolato era finito nell’angolo senza bruciare del tutto e lei era stata rosa dalla curiosità. Aveva aspettato l’ora di andare a dormire. Il camino si era spento e lei aveva raccolto quella pallina bruciacchiata e ne aveva letto il contenuto. Desiderava ringraziarla con frasi piene di dolcezza e di humor, di follie verbali e idee veramente pazze. Si era emozionata ed era stata felice di non aver voluto aprire la scatola di velluto nell’armadio. Era stata una scoperta involontaria. Le lettere ormai le aveva lette ma doveva concedergli almeno quel segreto.
“C’è tempo. Prima faremo lavori a casa.”
“Uh, avere i lavori a casa è un incubo…” Mormorò Lanie. “Che cosa cambiate?”
“Non lo so ancora, lunedì viene l’architetto e vedremo il da farsi.” Chiarì.
“E’ tutto così meravigliosamente zuccheroso, un film che vale la pena di vedere. Non volevo sentire niente di meno.” Gongolò Lanie compiaciuta agitandole il dito davanti al viso. “Mi raccomando, fammi partecipare…”
Kate annuì. Lanie strinse i pugni eccitata e poi prese un bel sorso di vino rosso. Ok, aveva bevuto abbastanza.
Kate diede un piccolo colpo con l’unghia al suo bicchiere. “Salute!”
Il telefono vibrò. Lo guardò e lo spense. Non era Rick, ma solo un messaggio pubblicitario. Lo lasciò accanto a sé sul divano e si strinse nel cardigan che indossava, scacciando un pensiero.
“Problemi?” Lanie notò il suo repentino cambiò d’umore.
Kate negò. Respirò a fondo e cercò di non pensare alla lontananza di Rick. Non le aveva mandato alcun messaggio da ore. Era solo a cena e sicuramente molto impegnato. Inoltre lo aveva informato della visita di Lanie, probabilmente l’aveva solo lasciata tranquilla. Si scoprì a sentire la mancanza dei suoi messaggi.
“Detesto saperlo lontano…” Mormorò.
Lanie rimase in silenzio, ponderando la situazione. Cercò di buttarla di nuovo sull’umorismo.
“Non avrai paura che stia in balia di qualche donnaccia!”
L’occhiata di Kate fu più che eloquente.
“Ok, ok, non spararmi…” Alzò le mani in difesa. “La cosa ti turba così tanto?”
“Lanie…” Si stirò allungando le braccia sopra il capo.
“Non ti è ancora passata?”
“Non proprio.” La risposta di Kate fu talmente tesa che Lanie si allarmò.
“Tesoro, sono trascorsi due anni...” Cercò di rincuorarla. “Hai passato dei momenti terribili ma non è più successo niente di grave.”
Kate sospirò. “E’ solo un lieve fastidio.”
“Stavi per uccidermi...”
“Non è vero.”
Si ammutolirono entrambe. Lanie non sapeva come muoversi. Forse scusarsi era la mossa migliore.
“Mi dispiace.” Aggiunse quindi per stemperare la tensione. La sicurezza di entrambi era un tasto dolente per Kate nonostante il tempo trascorso. “Non volevo insinuare niente. Mi dispiace se voi…”
Kate scosse il capo. “Non è grave ma comunque ancora difficile.”
“Credo che ti lascerò andare a riposare.” Mormorò Lanie con dolcezza. Si prese un’altra occhiataccia da Kate.
“Sono solo le undici Lanie…”
“E tu hai due occhiaie al nero di seppia. Tesoro devi riposare.”
“Sono le nausee…” Cominciava a sentirsi come una malata grave a cui tutti facevano gentilezze perché era il suo ultimo mese di vita. Era incinta e non malata. Stava bene a parte le vertigini e il vomito in odine sparso lungo tutta la giornata. Aveva letto che più una donna aveva nausee meno era a rischio aborti. Per quel che ne sapeva lei e come le nausee costellavano la sua giornata, la sua gravidanza era tutt’altro che a rischio.
“Ti aiuto a riordinare.” Aggiunse Lanie. Si alzò e portò i bicchieri al lavello.
Kate la seguì. Mise in ordine le cose principali, caricando lavastoviglie e sistemando le cibarie avanzate nel frigorifero.
“Domani mattina viene la colf, farà il resto.”  Lanie aveva bevuto un po’ troppo, doveva chiederle di restare?
L’amica la squadrò da capo a piedi. “Sei veramente Kate Beckett? Quella Kate Beckett?” Non voleva credere alle sue orecchie.  “Dio come ti invidio…” Aggiunse sbottando. Posò il canovaccio che aveva in mano.
Kate le sorrise. “Quando è tardi e siamo stanchi… beh… è comodo. Fa la spesa se siamo fuori…” Una volta in maternità e con Rick a casa molte di quelle attività sarebbero tornate ad essere svolte da loro stessi. Non era poi così male potersi comunque appoggiare a qualcuno.
“Ti va di restare? Hai bevuto parecchio e se non te la senti di uscire il divano è molto comodo.”
Lanie sorrise e negò con il capo. “Alzo i tacchi e ti lascio andare a fare gli occhi dolci al tuo scrittore per telefono. Ma riposati ok? E se hai bisogno chiamami.”
Kate annuì. “Senti, scusa per prima. Sono solo un po’ tesa e mi è mancato.”
“Non c’è niente di cui scusarsi. Però cerca di rilassarti, ne hai bisogno, tuo figlio ne ha bisogno.”
Kate l’accompagnò alla porta. Si abbracciarono. “Lo farò.” Rispose quindi salutando Lanie.
Era stata una serata piacevole. Lanie era sempre diretta, pungolante, scavava nelle sue emozioni riuscendo a farle emergere. Era stata per anni la sua valvola di sfogo e le era stata sempre grata per la sua amicizia. Non era un legame facile visti i suoi trascorsi. Tornò sui propri passi e si diresse verso la camera da letto. Si lasciò cadere esausta. Aveva bleffato con Lanie, era a pezzi altroché!
Strinse il telefono e guardò la carica della batteria. Era quasi piena e poteva permettersi una lunga videochiamata.
Prima però doveva sembrare meno sfatta altrimenti Castle si sarebbe agitato.
Andò in bagno e si sciacquò il viso. Aveva mangiato qualcosa ma non si sentiva sazia. Non aveva voluto esagerare per evitare di stare male. Mentre usciva dal bagnò il telefono suonò.
Il faccione allegro di Rick comparve nello schermo. Era un po’ arruffato, ma su di giri.
“Ehi tu…” Gli disse con un sorriso.
“Ciao splendore.” Rispose Rick sospirando. “Come stai? Lanie è già andata via?”
“Ha deciso che avevo bisogno di riposare.”
“Ottima decisione. Sembri stanca…” Lo sguardo di Castle si addolcì ulteriormente.
Kate fece una smorfia e si stese comodamente nel loro letto.
“Ho davvero un così brutto aspetto?”
“Sembri solo stanca, non ho detto altro. Sono distrutto anche io, fortunatamente è stata una serata tranquilla.”
Kate rise. “Niente fans assillanti?” Valeva la pena di pungolarlo un po’ sul suo ego.
“Ho incontrato quel tizio con cui sono stato a cena con Gina…” Kate si ricordava la cena e la serata.
“Era qui per lavoro così abbiamo cenato insieme, Stevenson. E’ un tipo interessante. Anche piuttosto ricco.”
“Ti sei divertito.” Commentò Kate. Niente donne, niente Gina, ma solo un simpatico riccone. Per lei era il massimo.
Si sentì ancora un po’ patetica nel desiderarlo lontano da certe attrattive. Non voleva sembrare una donnetta insicura, non le piaceva quello stato di cose e la colpa era solo di Gina. Castle la richiamò. “Ehi, ci sei?”
“Sì, stavo solo pensando a Lanie. Non hai idea di quanta smania abbia nel voler fare la zia!”
Castle mugolò. “Beh, pensavo avesse passato la sera a raccontarti le sue avventure erotiche.”
“Lo ha fatto…”
“E sei così tranquilla? Non…”
“Non ci sei Castle.” Lo liquidò lei ridendo. “Non posso fare granché!”
Castle fece gli occhi furbi. “Non è proprio vero…” Occhieggiò sfacciato. Lei gli fece una linguaccia. “Devi solo sbrigarti a tornare. Non intendo accontentarmi di… palliativi.” Rispose mordendosi deliberatamente il labbro inferiore.
“Domani sarò tutto tuo, donna! Farai di me ciò che vorrai, lucida le manette.”
“Non ho intenzione di risparmiarti…” Lo disse allungandosi di più sul letto. Emise un gemito volontariamente e di rimando Castle mormorò. “Voglio tornare a casa ora…ora ora ora!” Baciò lo schermo e Kate rise divertita. Rispondere al telefono non era altrettanto eccitante che farlo con le sue labbra.
“Rick?” Chiese quindi pensierosa.
“Dimmi famme fatale…”
“Non mi hai… No niente, lascia stare.” Aggiunse scuotendo il capo. Castle la fissò attraverso lo smartphone.
“Così non fai che alimentare la mia curiosità… Dai non lasciarmi sulle spine.”
Kate strinse gli occhi indecisa. “Non sia mai…”
“Dai Kate?” La pregò Castle.
“Oggi Lanie… mi ha fatto alcune domande, cose che mi aspettavo mi chiedessi tu.”
Castle fece un sospiro. Lanie era una buona amica per Kate ma aveva il dono innato di scavare nei suoi dubbi e amplificarli. Per certi avvenimenti era stata d’aiuto ma stavolta si permise di dubitare. “Certo Lanie. Immagino.”
Fu Kate a mandargli un’occhiata raggelante.
“Tesoro a cosa ti riferisci?” Non voleva certo discutere con lei.
Trovare le parole poteva essere più facile. Rick si era incupito e non era stata sua intenzione.
“Non è nulla Castle.” Lui la guardò in silenzio. La sua espressione si addolcì mentre un pensiero si fece nitido nella sua mente.
“Non ti ho mai chiesto quando ti sei sentita pronta per avere un figlio?” Lei annuì.
“Me lo hai detto a modo tuo.” Sorrise con dolcezza. Kate lo guardò confusa.
“Sono stato preso dall’euforia e forse non ti ho investito di domande come al solito. Ero più concentrato sul fatto che non cambiassi idea. Ma me lo hai detto quella mattina stessa negli Hempton’s. Era il momento giusto. Istinto.”
La naturale positività di Rick era sempre contagiosa. “Ok!” si limitò a dire Kate con un sorriso. “Non me lo ricordavo.”
“Perché ti turba?”
“Non mi ha turbato…” Minimizzò.
“Sicura? Per me lo ha fatto. E parlo di Lanie.” Sorrise furbo.
“Lei crede che io l’abbia fatto per te, per accontentarti. E’ questo che pensano i nostri amici? Non mi va che lo credano possibile.” Non le piaceva come idea, sembrava sminuire il tutto ed era una concezione così arcaica.
Castle rise.
“Il mio fascino galeotto ti ha letteralmente sopraffatta, ne sono consapevole.” Stava facendo lo stupido, se fosse stato presente gli avrebbe lanciato addosso del cibo e la discussione sarebbe finita tra le lenzuola. Primitivo sì, grandioso.
“Divertente…” Gli rispose ammiccante.
“Sei padrona delle tue scelte, della tua vita. Chi ti conosce sa che non fai mai nulla per caso e non per assecondare le mie manie. Lanie dovrebbe saperlo che tu sei quella che comanda!”                
“Dico sul serio Castle…” Anche lei però non riuscì a trattenere una risata.
“Anche io. Anche se fosse, ne sarei comunque entusiasta. Ma so che c’è di più. Non ho bisogno di altre conferme. Non mi interessa cosa pensano gli altri.”
“Se non ti avessi già sposato, ci farei un pensierino serio su di te…” Gli mostrò la lingua. Sbarazzina e divertita.
“Ora mettiti a dormire perché domani ti voglio in forma. Mi spetta la mia dose di sexy poliziotta!” Aggiunse Castle.
“A che ora arrivi?”
“Prederò il primo volo utile. Ti passo a prendere al distretto verso le cinque e poi usciamo a cena, che dici? Se te la senti ovvio!”
“Vediamo. Ti aspetto allora. Ma raccontami un po’ della fiera, non voglio andare subito a dormire.”
Castle prese a raccontare dei suoi incontri della giornata.
Mancava così poco al suo rientro, poi ci sarebbe stato tempo per le coccole e i discorsi importanti e non doveva dimenticare la sua sorpresa: aveva ancora molti preparativi da fare. Per quella sera poteva solo fare una cosa che solitamente gli riusciva bene: farla ridere. 

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Miracolo! Sono ritornata con questo capitolo... Rick è in viaggio e Kate dialoga con Lanie. Queste due anime che si cercano sempre e comunque.
Confido di tornare presto e non far passare troppo tempo.
Un abbraccio a tutti.
Anna

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Capitolo 4
*** Bisogno di luce ***


Le parole - I folli si svegliano nel week-end - avrebbe dovuto essere inciso nel cemento lungo il corridoio del dodicesimo. Era sabato, era sommersa di scartoffie per consegnare tutto al procuratore distrettuale e un paio di stronzi avevano deciso di farsi rapinare e ammazzare in central park. Perché a certa gente piaceva finire la propria vita in una avventura alcoolica notturna nelle zone peggiori del parco? La giornata era decollata alla grande.
Non si sentiva al massimo tanto per cambiare, aveva dormito piuttosto bene ma le nausee si erano scatenate al mattino. Antiemetico e braccialetti ai polsi stavano facendo il loro lavoro, comunque non doveva pensarci.
Non era uscita per vedere la scena del crimine, ci erano andati Ryan ed Esposito raggiungendo Pelmutter. Lanie aveva la giornata libera e probabilmente anche un grandioso mal di testa. Gli aveva mandato un messaggio sul tardi per informarla che era arrivata a casa tranquilla ed era l’ultima volta che l’aveva sentita.
C’era molto lavoro di indagine da fare visto che non si erano trovate tracce rilevanti. L’omicidio sembrava a scopo di rapina: probabilmente i due erano stati sorpresi e invitati a rilasciare il denaro e ammennicoli vari quali smartphone e orologi, non dovevano aver gradito. C’era stata una colluttazione nella quale le vittime si erano guadagnate un proiettile in pieno stomaco a testa ed erano morte molto dolorosamente.
La mattinata era stata così piena di lavoro che ad un certo punto si era seduta esausta e affamata, dondolandosi sulla sedia. Avrebbe voluto un pranzo che non le rimettesse addosso nausea. Si era tenuta impegnata fino a che Ryan ed Esposito l’avevano raggiunta alla sua scrivania per fare il punto. Il primo si stava mangiando un hot dog dall’odore così pungente che si sentì asfissiare. Si sforzo di non mandarlo via, cosa che fece al suo posto il capitano Gates chiedendogli di ritirare dei documenti al piano di sotto.
Esposito la guardava come se fosse un’aliena.
“Che c’è?” Sbottò ad un certo punto.
“Pensavo…” Ribatté sorpreso.
“Qualche volta serve.” Ironizzò.
“No, sai… tu così…” Borbottò qualcosa. Kate rise e notò dell’imbarazzo nell’uomo che di stava di fronte.
“Intendi incinta?” Gli disse ridendo. “Perché è uno stato di fatto.” Annuì ed Esposito rise con lei.
“Castle torna oggi vero?” Girò il discorso focalizzandosi su altro.
Kate disse di sì muovendo il capo. Non riusciva a capire dove voleva andare a parare, forse era stato solo preoccupato per lei.  “Ho una faccia orrenda?” Gli chiese con schiettezza. “Perché so di essere pallida come un cencio.”
“Lo sei. Mi chiedevo se stessi bene, non è meglio che tu vada a casa?” Disse a mezza voce.
Kate inclinò la testa. Non intendeva darla vinta alle nausee e lei aveva sopportato problemi peggiori che qualche capogiro. “Non serve Javi, sono momenti che vanno e vengono.”
“Come vuoi. Ryan dice che quando Jenny aveva le nausee stava così male da avere difficoltà a fare le cose più semplici.”
I due amici parlavano di lei? Non ne era sorpresa, però dava da pensare.
“Ci sono giorni più facili…” strabuzzò gli occhi ed Esposito ricambiò con uno sguardo di comprensione.
“Castle era su di giri sabato scorso.”
Kate guardò Javier con aria interrogativa. “Ha sempre voluto un altro figlio.”
“Che fegato! Alla sua età…” La provocò.
“Ehi, non è così vecchio!” Rispose indispettita.
Esposito aveva qualche piccolo rimpianto? Eppure aveva sempre dichiarato di non voler diventare padre per non essere sbagliato e deludente come il proprio.
“Tu sembri piuttosto rilassata.” Esordì dopo alcuni minuti di silenzio.
Kate strinse le labbra. “No, non lo sono.”
Esposito reagì con sorpresa. “Vi ho visto così a vostro agio l’altra sera. Pensavo…” Scosse il capo.
Ammettere che quando c’era Castle con lei stava meglio le sembrò eccessivo. Esposito l’aveva sempre considerata un valido soldato, una donna forte e non le piaceva l’idea di sembrargli fragile.
Era strano che lui pensasse a certe cose. “Lo siamo. Ma...”
Esposito credeva che ci fossero anche troppi ma.
“Capisco, l’ultima volta te l’ha combinata grossa.” Disse con ironia.
“Dici?” Rispose Kate con tono piccato. Esposito perse il sorriso.
“Hai mai accettato il fatto che non è stata colpa sua?”
“Beckett…” Cercò di scusarsi ma non gli riuscì subito di capire se Beckett fosse arrabbiata o parlasse tra sé perché lo ignorò completamente.
“E’ stato a causa mia, per le indagini che lui ha seguito al mio fianco. Perché continui a pensarla così?”
“Perché è uno che si ficca nei guai e si diverte?” Realizzò di aver fatto un brutto passo. Molto brutto.
Beckett scosse il capo. “E’ stato picchiato, torturato e nonostante questo mi ha tenuto al sicuro. Quindi non chiedermi perché temo per lui.”
“Non pensavo ti facesse ancora così male. Mi dispiace.”
Beckett sospirò.  Lo guardò con intensità.
Esposito si appoggiò alla scrivania. “Lo sa anche lui?”
Kate annuì muovendo il capo con lentezza.
“Non sembra ce l’abbia con me.” Esposito si grattò il capo perplesso.
“Credo ti capisca in fondo…” Mormorò Kate.
“Comunque volevo solo fare una battuta.” Esposito sbuffò contrito.
“Lo so. Come capisco che ti possa suonare strano che io possa aspettare un figlio.” Disse quindi ammorbidendosi e cercando di fare dell’ironia.
Esposito capì il suo humor. “Non volevo insinuare nulla. Però è strano. Lo ammetto.”
“Facci l’abitudine, diventerai lo zio Javi, non dimenticarlo.” Lo stuzzicò e lui si allontanò ridendo. Lo era già per la piccola dei Ryan ed era anche uno zio amabile.
Tornò a guardare il telefono ancora muto.
Castle le aveva comunicato che avrebbe preso il primo aereo del pomeriggio, verso l’una. Doveva incontrare il suo avvocato per alcuni documenti da firmare, non aveva capito di che genere, però le era sembrato tranquillo e semplicemente felice di tornare. Avevano dei piani, o meglio c’erano stati approcci a piani. Si dispiacque di sentirsi un vero schifo già a mezzogiorno. Doveva tirarsi su e non stancarsi troppo per evitare di sembrare distrutta oppure tutte le sue velleità nei confronti di suo marito sarebbero svanite.
Sorrise tornando col pensiero alle parole di Esposito. Stava meglio con Castle nei paraggi perché lui la seguiva con attenzione, la nutriva con cibi salutari e sapeva scaricare le sue tensioni.
Non vedeva l’ora di riabbracciarlo. Gli era mancata la sua fisicità, le braccia accoglienti durante il sonno e la stuzzicante attrattiva del suo corpo. Gli era mancata la sua fantasia, la sua positività, il calore del suo sorriso. Erano passati pochi giorni ma le era sembrata una vita di tempo che lei aveva impiegato al lavoro ingannando l’attesa e la preoccupazione.
Lanie si era sorpresa della sua reazione, tutti immaginavano che ne erano usciti, ma come potevano fingere di non temere l’un l’altro le attenzioni che certe persone dedicavano loro? Avevano tanti nemici e come le aveva detto lui, meglio essere preparati che sorpresi.
La Gates la richiamò nel suo ufficio. L’assistente del procuratore distrettuale e avrebbe varcato la porta di lì a qualche minuto. Dovevano terminare la loro incarico, sperò che l’incontro non l’avrebbe portata a lavorare fino a tardi.
 
Castle aveva baldanzosamente abbandonato l’aeroporto con il suo trolley e in mano un grosso cartone di colore blu. Si sentiva su di giri perché la giornata si prospettava impegnativa ma molto intrigante. Si era lasciato alle spalle Montréal pieno di verve e con un desiderio di tornare a casa che gli aveva messo le ali ai piedi. Appena toccato terra aveva letteralmente scaricato il suo telefono facendo chiamate al suo avvocato per approfondire quanto gli era stato comunicato nell’attesa di avere l’incontro con lui, ma si era anche preso la briga di indagare le reazioni di Gina al suo exploit della sera prima con Paula. Aveva chiamato lei per saggiare il clima in casa Black Pown, venendo a sapere che Gina aveva incassato l’informazione senza reagire, ma non si aspettava che lei rimanesse inattiva, avrebbe fatto la sua mossa, si stava organizzando ne era certo. Avrebbe fatto una chiamata a Gina nel pomeriggio, ma solo se il primo incontro con il suo avvocato riusciva positivamente avrebbe avuto la carica necessaria a discutere con quella arpia.
Inoltre aveva ricevuto un messaggio da Alexis mentre era in volo, ovviamente lo aveva letto solo una volta sceso a terra, messaggio in cui gli comunicava l’organizzazione di una piccola festa al loft con i suoi amici di cui si era completamente scordata di informarlo. La notizia non gli piacque affatto. Insomma che fine faceva la sua serata romantica con Kate? Alexis aveva anche mandato un messaggio di scuse a cui non aveva risposto. Doveva trovare la soluzione e credeva di averla trovata in quello che stava per fare.
Così, si era ritagliato un po’ di tempo per tenere sulle spine Alexis e se le cose si fossero evolute secondo i suoi piani, Alexis avrebbe fatto la sua festa senza intoppi. In caso contrario avrebbe comunicato il doveroso trasloco del party ad altra location.
Era decisissimo ad avere la sua serata. La loro serata intima. Si erano cercati così tanto che non poteva deludere le aspettative di Beckett. Perseguì il suo piano con impegno e con una grande quantità di persone coinvolte. C’era una principale clausola per la riuscita di tutto e la stava per scoprire. Fiondatosi al loft in taxi, vuoto perché Martha era fuori e Alexis non era ancora rientrata dal college, si era preso la libertà di una doccia veloce. Veloce abbastanza per ritrovarsi in un taxi un’ora dopo, diretto all’ufficio del suo avvocato. Finalmente poté sedersi e prendere una boccata d’aria in attesa che si liberasse per lui.
 
Alexis entrò decisa al dodicesimo. Suo padre era irraggiungibile da ore e sperava di poterlo trovare li.
Si guardò in giro nel via vai di gente in quella che doveva essere una pessima giornata per il distretto.
Vide Esposito parlare al telefono e nessun altro del gruppo. Si fece avanti in direzione della scrivania di Beckett ed espirò. Se non poteva parlare con suo padre doveva almeno parlare con Kate. Non voleva rovinare la loro serata, davvero non avrebbe voluto, ma c’era anche una reputazione da salvare: il college era spietato su certe cose.
Esposito la notò e sembrò tagliare corto con la sua telefonata. Appena riattaccò la cornetta la raggiunse.
“Ehi, Alexis, cerchi tuo padre?”
Alexis annuì imbarazzata. “O quantomeno se non c’è lui, andrebbe bene anche Beckett.”
Esposito fece una smorfia. “Vada per Beckett, tuo padre non si è visto. Ma è impegnata, se mi dai un attimo...”
“Te ne sarei grata.” Disse espirando.
“Va tutto bene?” Aggiunse Esposito con serietà.
“Sì, tutto ok. Ho solo bisogno di un’informazione.” Disse determinata.
Esposito si allontanò per alcuni minuti indicandole di aspettare e a lei non restò che sedere su quella che normalmente era la sedia di suo padre. Si guardò intorno. Aveva una strana prospettiva da lì, il via vai dei criminali in manette, i telefoni che suonavano in continuazione, l’odore di sudore e di caffè. Era un posto molto caotico, come faceva Beckett a concentrarsi in quell’ufficio aperto, quasi un corridoio?
“Alexis…” Beckett era arrivata alle sue spalle preoccupata. La ragazza si alzò.
“Tutto a posto. Pensavo che papà fosse qui. E’ da un po’ che non lo sento, ma devo chiederti una cosa…”
Kate scosse il capo. “Cosa intendi che non lo senti da un po’? Mi ha chiamato appena sceso dall’aereo, è andato dall’avvocato…” Tolse il cellulare dalla tasca della sua giacca.
“Gli ho mandato messaggi ma non mi ha risposto. Comunque la ragione per cui sono qui è che stasera ho organizzato una festa al loft con i miei amici.”
Kate si morse il labbro guardando il cellulare. Mandò un messaggio a tempo di record a Castle realizzando che una possibile serata romantica con suo marito stava affondando.  
“E… non lo hai detto a tuo padre?”
“L’ho fatto ma non mi ha risposto. Me l’ero scordata Kate, papà rientra oggi e avevo capito che volevate stare tranquilli. Mi dispiace, se non volete disdico tutto, ma lo sai com’è…” Alexis era sulle spine.
Kate annuì, la capiva molto bene. Era una questione di immagine per una ragazza popolare al college. Rick rispose al suo messaggio: era ancora dall’avvocato. Si chiese cosa ci dovesse fare, restava il fatto che doveva inventarsi qualcosa perché Alexis aveva bisogno d’aiuto.
“Senti, troveremo un rifugio per la nostra serata. Tu fa la tua festa, ma la nostra camera è off limit!” Disse con un mezzo sorriso. “E mi devi un grosso favore…” Allungò il pugno e Alexis ricambiò il gesto di cameratismo.
“Contaci!” rispose Alexis. “Chiuderò a chiave la vostra stanza da letto. Promesso.”
“Anche lo studio di tuo padre…”
“Ok…” Aggiunse annuendo. “Espanderò i miei orizzonti in altra direzione.”
Kate mostrò il messaggio di Castle ad Alexis. “Sta bene, è solo occupato. Magari non è contento, ma capirà. Ci penso io.” Le fece l’occhiolino e Alexis l’abbracciò felice.
“Vedo che a te risponde! Mio padre è un vero…”
Beckett gli lanciò un’occhiata divertita.
“Grazie Kate, ti assicuro che mi sdebiterò.” Pronunciò ridacchiando. “Soprattutto quando nascerà il mio fratellino o la mia sorellina!” Kate allungò il dito verso di lei. “Ah –ha! Lo hai detto tu!”
Alexis si allontanò e Kate sospirò. La sua serata con Castle era naufragata ma aveva reso felice sua figlia. Non sarebbe rimasto arrabbiato a lungo con lei. Potevano comunque uscire insieme, cercarsi un posto romantico in cui stare soli. Era da un po’ che non andavano a giocare all’Old hunt. O forse sarebbe uscita così tardi da lì che non sarebbe importato più. Tornò verso la saletta in cui stava lavorando con l’assistente del procuratore distrettuale accompagnata da Esposito.
Quella era una piccola prova di genitorialità? Era lusingata che Alexis aveva chiesto a lei il permesso in assenza di suo padre. Era convinta di aver fatto la cosa giusta anche perché essere popolari al college non era una cosa da poco.
“Sei stata magnanima.” Aggiunse Esposito.
“Nessuna ragazza può annullare una festa, è una questione di stile.” Disse entrando decisa nella saletta. Esposito tornò sui propri passi ridacchiando.
 
Quando Castle varcò le porte del dodicesimo distretto era soddisfatto. Un largo sorriso stampato sul viso e il desiderio di rivederla anche più forte di prima. Era stato bravo, anche di più, era stato grandioso. Alexis poteva fare la sua festa tranquillamente. Le aveva scritto e lei aveva risposto che anche Kate era stata d’accordo.
Con sua sorpresa aveva deciso di accontentare Alexis a discapito della loro serata. Molto generosa in effetti, soprattutto per quello che si erano promessi in quei giorni e non era al corrente di quello che lui aveva in mente.  Aveva apprezzato molto il gesto, si sarebbe sdebitato a modo suo, pensò orgoglioso della perfezione di quanto aveva organizzato. Entrò gongolando con due caffè in mano. Uno rigorosamente decaffeinato per Beckett. Li posò sulla sua scrivania e si guardò intorno. Nessuno in circolazione: niente Beckett, niente Ryan e niente Esposito.
Dove diavolo erano tutti? Attese qualche secondo poi la sua attenzione venne catturata dalla lavagna e da un caso di doppio omicidio. Osservò con attenzione orari, date e nomi. Guardò meticolosamente le fotografie. Sorseggiò il caffè speculando sull’omicidio.
Si voltò verso l’ufficio della Gates e nemmeno lei era presente. Si avviò verso il corridoio per raggiungere le sale interrogatori. Esposito e Ryan stavano interrogando un tizio sulla trentina un po’ troppo unto di capelli.
Poi andò di ufficio in ufficio cercando Beckett.
La trovò nella sala riunioni. Discuteva animatamente con un uomo che aveva scritto in fronte la parola avvocato. Il tavolo sommerso da documenti e fascicoli. Alla faccia della tecnologia quel sistema funzionava ancora con la carta stampata.
Osservò Kate studiando la sua espressione.
Parlava con decisione come sempre sicura di sé nel lavoro. Aveva un bel paio di occhiaie però. Sembrava grintosa ma doveva essere piuttosto stanca. Aveva lasciato il caffè sulla sua scrivania, chissà quando l’avrebbe potuto bere perché da quello che riuscì a capire la discussione non stava certo al termine. Guardò l’orologio: erano già le diciotto passate.
Perché i poliziotti come lei non avevano un orario fisso? Insomma era o non era vero che dovevano staccare alle cinque come ogni buon impiegato? Le cinque erano l’orario per le giornate senza lavoro, quelle di pura burocrazia ed erano passate da un pezzo. Si sentì vagamente deluso perché il tipo incravattato aveva tutta l’aria di andare per le lunghe.
“Ehi Castle…” Si voltò di scatto incrociando lo sguardo di Ryan. “Sei tornato.” Aggiunse sorridendogli.
“Ne avrà per molto? Chi diavolo è?” Disse di getto.
“L’assistente del nuovo procuratore distrettuale. Pare sia un pivello.” Commentò Ryan guardando dalla finestra della sala. “Non so cosa vuole ancora. Beckett e la Gates gli hanno praticamente preparato ogni cosa.”
“Per me ci sta provando…” Esposito li raggiunse e si beccò un’occhiataccia da Castle.
“Scherzavo…” Disse alzando le mani in segno di resa.
“E’ geloso perché con lui non ci prova nessuno.” Ribatté Ryan e con Castle si scambiò un cinque.
“Non c’è più senso dell’umorismo in questo posto.” Commentò in risposta Esposito.
Castle fece una smorfia. “Non ne è mai stato pregno…” Rispose strabuzzando gli occhi.
Ryan li lasciò dicendo con esasperazione. “Spiritosi tutti oggi eh?”
Castle si voltò di nuovo verso Beckett e incontrò il suo sguardo: si era accorto di lui. La salutò con la mano. Lei sorrise di rimando e poi tornò alla propria discussione.
La guardò ancora per un po’, consapevole voler dare fuoco a quel tizio e a quel grosso quantitativo di carta che lo stavano tenendo lontano dalle attenzioni di sua moglie.
Tornò sui propri passi dirigendosi mestamene verso l’ufficio di Kate. Sedette sulla propria sedia e per ammazzare il tempo, inondò di domande Ryan sul caso aperto: se doveva aspettare un po’ tanto valeva darsi da fare.
 
Kate aveva visto Castle oltre il vetro. Si sforzo di prestare attenzione al suo interlocutore sebbene non riuscisse a capire quante cose doveva raccontargli. Aveva in mano la documentazione necessaria a far da sé per approfondire. Discusse ancora un po’ ma il desiderio di uscire a salutare Castle stava raggiungendo una situazione limite.
La Gates la salvò ancora dall’ennesimo approfondimento, discutendo lei stessa. Le fece cenno di voler staccare qualche minuto e il capitano le diede l’ok.
Uscì quindi nel corridoio e le sue narici furono deliziate dal sentore di caffè caldo e aroma di vaniglia.
Castle era tornato e quella era la sua firma. Lo desiderava proprio quel caffè, anche decaffeinato sarebbe stato meglio di niente. Trovò Castle in compagnia di Ryan, era di spalle e non la notò così lei si avvicinò con lentezza e poggiò una mano sulla schiena di suo marito.
Castle avvertì la leggera pressione e si voltò con un sorriso smagliante verso di lei. La mano di Kate scivolò sul suo fianco e in pochi secondi si trovarono l’una di fronte all’altro.
“Ciao.” Disse semplicemente Castle. Se la ritrovò tra le braccia, senza che avesse pronunciato una parola.
Ryan si schiarì la gola e si allontanò velocemente per dargli un momento di privacy.
“Sai di caffè.” Rispose Kate senza allontanare il viso dal petto di Castle. Respirò forte il suo odore prima di allontanarsi e guardalo in viso. Era così carino che se lo sarebbe mangiato. E come la guardava. Diavolo Lanie aveva ragione.
“Ti ho portato un decaffeinato. Immaginavo ne avessi bisogno.”
“Altro che bisogno! Bramo caffè da giorni.” Si scambiarono bacio e si attardarono qualche secondo in silenzio assaporando la presenza reciproca.
“Non immaginavo ti sarei mancato tanto.” Mormorò Castle.
Kate sbuffò trattenendo un sorriso. “Sapevo che l’avresti detto.”
“Sono così prevedibile?”
Lei finse di pensarci. “Mmm…”
“Vecchio gioco piccola.” Rispose divertito. “Lo adoro!”
Kate annuì. Prese il suo bricco di caffè dalla scrivania e se lo portò alla bocca. Bevve una lunga sorsata gustandosi quel nettare compiaciuta.
Castle la guardò felice di bearsi nella fragranza di caffè e vaniglia.
“Stai mentendo.” Sentenziò sicurò di sé. La sua presenza lo stava inebriando.
Sospirando Kate guardò verso il corridoio. Il lavoro la stava reclamando.
“Come stai?” Aggiunse con dolcezza.
Lei indicò i propri occhi. “Sto bene.”
“Stanca…” Era una semplice constatazione che Kate accettò senza discutere. Era vero, perché negarlo quando lo avrebbe notato persino parlandole al telefono. 
“Il solito.” Replicò pensierosa. Castle le strinse la mano accarezzandole il dorso con il pollice.
“Hai sentito Alexis?” Disse Kate pensando della visita della ragazza.
“Sì, so che le hai dato l’ok per la festa.” Kate annuì facendo scivolare la mano libera in quella di lui. “Ho pensato che una volta libera dagli impegni potevamo comunque trovarci un posto, magari all’old hount...” Si giustificò. “Una festa al college non si può cancellare…”
Castle annuì. “L’avrei fatto anche io. Ma…” Rispose gongolando, “ho trovato di meglio. Devi solo sbrigarti a finire qui e a mandare a casa il simpaticone di là…”
“Ci sto provando, te lo assicuro.” Rispose espirando. “Devo tornare.” Mormorò.
“A dopo. Fa’ presto.” Kate lo baciò velocemente prima di ecclissarsi ai propri compiti.
Castle rimase in piedi, in silenzio. Aveva già intuito come sarebbero andate le cose. Si dispiacque perché il tempo stava scorrendo via velocemente e a lui non restava che indugiare sul caso di omicidio.
Esposito entrò nell’ufficio e gli fece cenno con il capo ma Castle era rimasto in stato catatonico e non ricambiò il saluto. Respirò a lungo per destarsi dai propri pensieri. Quando tornò a dare retta al detective lui lo stava osservando incuriosito.
“Sei vivo.”
“Siamo stanchi entrambi e lei dovrebbe venire a casa. Ha mangiato almeno?” Disse serio.
Esposito annuì. “Sì, Ryan ed io abbiamo controllato che lo facesse.”
Castle gli fece cenno di assenso. “Grazie.”
Per Esposito essere lì solo con Castle era una grossa opportunità di avere un chiarimento. Dopo lo scambio di battute con Beckett qualcosa doveva chiedergli, non avrebbe resistito molto roso com’era dalla curiosità e anche da un certo senso di colpa.
“Senti…” Ruppe il silenzio. Una situazione anomala visto che di solito Castle non la smetteva mai di parlare.
Si voltò verso di lui con aria interrogativa.
“Tu ce l’hai con me?”
La domanda spiazzò lo scrittore. “Cosa?”
“Tu… Beckett mi ha detto che… Insomma…”
“Dillo con parole tue.” Lo incitò.
“Pensi che io sia uno stronzo?”
Castle sgranò gli occhi. “Ogni tanto. Perché lo chiedi?”
“Pensavo davvero te ne fossi andato per non sposarla…” Disse sedendo sul bordo della sua scrivania.
Castle deglutì. “Tu sei così, Javi. Sei come era lei quando ci siamo conosciuti. Sospettosa, distante dai legami, prevenuta.”
Alzò le spalle. “Non l’avrei mai lasciata. Lei lo sa, tanto mi basta.”
“E ce l’hai con me per questo?” Insistette il detective.
Se c’era qualcosa di divertente da fare con i ragazzi era prenderli in giro in casi come quello, Castle avrebbe voluto torturalo per un po’ ma non si sentiva nello spirito giusto per farlo. Gli fece un sorrisino pungente.
“No. Tu sei stato solo te stesso.” Ripose facendosi serio. Si avvicinò ad Esposito e si abbassò leggermente per avvicinarsi al viso dell’uomo. “Ma ricordati, nel caso mi succedesse qualcosa in futuro, che non la lascerei mai. La prossima volta dammi il beneficio del dubbio.”
Esposito annuì. “Ok, contaci. Non sono uno stronzo.”
“Nemmeno io Espo.”
Ryan arrivò e li guardò entrambi. “Vi voglio bene ragazzi, ma dovete darci un taglio. Beckett potrebbe essere gelosa.” Disse fingendo serietà. “E tu trovatene uno libero.” Lanciò a Esposito un fascicolo ridacchiando.
Esposito replicò con qualche epiteto poco elegante, Castle rise e sedette sulla sua sedia per l’inizio di quella che sembrava essere una lunga serata.
 
Tardi, troppo tardi.
Beckett era uscita di corsa dal distretto guardando l’orologio ogni cinque minuti: il taxi sembrava incredibilmente lento nella strada ormai vuota. Doveva proprio decidere di prendere un taxi quella mattina? Che le era saltato in mente?
Castle aveva lasciato il distretto verso le nove e mezza provato dalla stanchezza, aveva mandato un messaggio criptico: la foto di una porta che conosceva, ma così su due piedi non gli aveva prestato molta attenzione.
Una volta arrivata a casa era entrata guardinga in mezzo ad un vero girone dantesco. La festa di Alexis stava andando alla grande non c’era dubbio. Entrò in camera da letto pensando di trovarvi Castle: con sua grande sorpresa non c’era.
Lo aveva chiamato ed il telefono era spento. Imprecò pensando che Rick probabilmente se l’era presa per il suo ritardo. Tornò in soggiorno e incontrò Alexis che la raggiunse preoccupata vedendola tornare a casa sola.
“Papà non è con te?” Chiese la ragazza. Beckett negò. “Credevo fosse qui, non mi risponde.”
Alexis accompagnò Beckett verso lo studio.
“Pensavo avesse organizzato qualcosa fuori…” Avevano abbandonato il soggiorno e potevano parlare senza urlare per sentirsi.
“Mi ha mandato soltanto questa foto ma non riesco a ricordare dove si trovi.”
Quando Alexis vide l’immagine sul telefono di Beckett si mise a ridere, sollevata.
“Devi essere molto stanca Kate, è la porta del vicino del piano di sotto. Sai Kapoor, quello che ha traslocato da poco…”
Beckett sorrise alla ragazza. Si tolse i capelli dal viso con una mano e indicò la porta.
Si eclissò veloce dal loft e scese al piano di sotto con l’ascensore per poi fermarsi titubante alla porta il cui campanello non portava più alcuna dicitura. Aveva visto i camion dei traslochi nei giorni passati. Conosceva poco Kapoor, ma era un uomo gentile e con Castle aveva un buon rapporto.
Si decise ad entrate trovandosi avvolta in una luce fioca e un intenso odore di cera di candele.
L’appartamento doveva essere molto più piccolo rispetto al loft, nella zona giorno in cui era entrata una lampada stava proiettando sul soffitto un cielo stellato. Era ammaliante, doveva ammetterlo. Di Castle nessuna traccia fisica, se non si contava quella del suo operato. Vide una tavola frugale pronta per due ed un carrello portavivande.
Si addentrò notando a terra un tracciato di piccoli tappeti dalle forme strane, bianchi e luminosi. Lo seguì incuriosita per essere infine condotta ad una stanza in cui entrò percependo immediatamente la presenza di qualcuno. Era Castle, il suo profumo aveva invaso il locale. Sentiva un respiro regolare e nel buio attese qualche secondo che gli occhi si abituassero all’oscurità.
Dormiva. Scrutò le sue forme per qualche secondo appoggiata allo stipite della porta, decidendo il da farsi. Non aveva molta voglia di discutere e immaginò che Rick fosse arrabbiato con lei. Lo doveva svegliare comunque. Si avvicinò al letto: era steso sul piumino senza giacca e con ancora le scarpe ai piedi. Forse non aveva avuto l’intenzione di addormentarsi però era reduce da un viaggio stancante ed era crollato nell’attesa.
Il suo senso di colpa non stava attendendo altro. Sedette sul bordo del letto cercando un qualsiasi interruttore della luce. Non riuscì a trovarlo. Nel trasloco era rimasto ben poco in quei locali, che diavolo ci faceva lì Castle? Aveva voluto organizzare per loro una serata tranquilla, in una casa praticamente vuota? Ok da quel poco che aveva visto c’era abbastanza, soprattutto perché c’era lui: non riusciva a vederlo con nitidezza però aveva una gran voglia di toccarlo.
Allungò la mano per trovare quella di lui. Appena lo sfiorò Castle sussultò e sembrò destarsi di colpo.
“Kate?” Mormorò con voce ancora completamente impastata dal sonno. “Che ore sono?”
“Manca poco a mezzanotte.” Rispose contrita. “Mi dispiace Castle.” Aggiunse infine.
L’uomo emise un profondo respiro. Si alzò a sedere e si stropicciò il viso. Il suo silenziò portò Kate a voler aggiungere altre scuse. “Dovevo riuscire a liberarmi prima.” Mormorò. “Immagino sarai arrabbiato con me…”
Castle rispose a bassa voce. “No, lo ero due ore fa credo…”
Kate posò la borsa a terra e ci infilò la pistola. “Due ore fa?”
Castle mugolò cercando di ridestarsi. “Sì, poi sono passato alla delusione…”
Kate si sentì sprofondare. “Castle dai…”
“Non voglio musi lunghi.” Sancì con un profondo respiro. Indicò un punto. “C’è un interruttore per una lampada là…” Le spiegò quindi per non doversi alzare e rischiare di inciampare malamente. Era
Kate tastò per alcuni minuti la parete che lui aveva indicato e trovò quello che cercava: si accese una luce gialla e calda proveniente da una fessura a scomparsa nella parete stessa. Si voltò guardinga a voler carpire il reale stato d’animo di Castle. Lui, al contrario di quanto si era immaginata, era ottenebrato dal sonno ma la guardava con la solita espressione dolce e vacua allo stesso tempo.
Con decisione il suo senso di colpa fece un altro balzo verso l’alto. Non sembrava arrabbiato, forse amareggiato. Era stato lì solo, in attesa di lei.
Tornò a sedergli accanto.
“Perché non sei più arrabbiato?” Gli domandò guardandolo in viso. Spostò delicatamente il suo ciuffo e fece scorrere il dito sulla sua mascella apprezzando l’accenno di barba, un gesto che ripeteva spesso nel privato e le piaceva molto.
“Perché?” Ribatté sorpreso. “Pensavo ti bastasse sapere che non lo sono.”
Beckett gli scoccò un’occhiata pungente. Stava evitando il discorso ovviamente, ma non le rendeva la vita più semplice.  “C’è anche un nuovo caso di omicidio, come hai saputo…” Era una scusa? Il lavoro era stata la ragione di tutto e mettere avanti un altro tassello della sua colpa non era un’opzione così felice in quel momento.
“E’ stato un regolamento di conti.” Rispose Castle cercando di scrollarsi di dosso il torpore.
“Le contusioni sui corpi non sono state inferte in una colluttazione, ma sono post mortem per mascherare l’omicidio.”
Beckett si mise più comoda sul letto allungando una gamba. Lui riuscì a sfilarle la scarpa e la lasciò cadere rumorosamente a terra.
“Come l’hai capito?” Castle pretese anche l’altro piede e lo liberò come aveva fatto con il primo.
“Che razza ti tipo è uno che fa a botte contro due uomini e riesce ad avere la meglio ferendoli entrambi allo stomaco? L’assassino li ha seguiti e li ha giustiziati. Poi ha infierito sui corpi.”
Beckett si limitò ad annuire. Lo aveva capito così anche lei.
“Hai freddo?” Castle cambiò discorso.
“Dopo salgo e mi faccio una doccia però…” Espirò scuotendo il capo. “Mi dispiace davvero.”
Castle gongolò. “Non c’è bisogno di salire. Di là c’è tutto il necessario: doccia, sali, creme per il corpo e una coppia di accappatoi caldi.” Indicò una porta sull’altro lato della stanza. “Il mio problema è scaldare la cena, ma credo di poter trovare una soluzione.”
Kate non poteva dire di avere visto il contenuto della casa però i mezzi dei traslochi avevano portati via i mobili della cucina qualche giorno prima, li aveva notati.
“Come?”
“Un elemento primitivo: il fuoco!”
“Non dare fuoco alla casa…” Lo ammonì mentre si alzava stiracchiandosi. Lui la prese per i fianchi trattenendola e gli diede un bacio.
Era così bello averlo accanto. “Assonnato e sfacciato.” Mormorò.
Si trovò a baciarlo prima di venire sospinta verso il bagno. “Ti piace la lampada in soggiorno?”
“Cielo stupendo.”
“Cambia immagini, ne ha un repertorio incredibile.  Non sarebbe perfetta per una bambina di nome Light?” Spiegò pieno di entusiasmo.
Lei tornò sui propri passi perché il senso di colpa la stava divorando. “Mi dispiace molto…” Aggiunse. Lui disse di no.
“Non ti scusare più. E’ andata così.”
Di nuovo Kate cercò di replicare, Castle l’ammutolì posandole le dita sulle labbra.
“Se andrai avanti a chiedere scusa poi finiremo col discutere. Tu ti irriteresti, ti faresti scudo con il lavoro. Qualcuno di noi potrebbe fare qualche cazzata tipo uscire per starsene da solo.”
Kate espirò. Castle aveva ragione e si era anche già fatta scudo con il lavoro quindi uno degli step era stato maldestramente intrapreso. No, meglio evitare.
“Sono stato via, mi sei mancata molto e non voglio perdere il resto delle poche ore che ci separano dall’alba a litigare con te su ragioni che conosco bene. Accadrà di nuovo e non potrò farci nulla. Per ora sei qui.”
Scandì le parole con chiarezza, lo vide irrigidirsi e capì che era sulla difensiva e che si stava sforzando di essere comprensivo. Non ritenne il caso di dare altra tensione ad una corda già tesa.
Kate annuì con il capo, abbassando lo sguardo.
“Tu sei così, mi sembra di aver sprecato anche fin troppo tempo stasera.” Sorrise addolcendo i suoi tratti.
Lo abbracciò e lo strinse forte. Il calore del suo corpo era quello che aveva desiderato per giorni, non voleva rovinare tutto per ego.
“Prometto che saprò regolarmi meglio. Per tutti e tre.”
Castle fischiò. “Promesse promesse.” Mugugnò baciandola in fronte.
“Ora vado a scaldare la cena con le candele. E’ una zuppa di cereali e pane croccante con olio d’oliva. Prenditi il tempo necessario… credo che mi ci vorrà un po’!”
“Ti ho già fatto aspettare. Sarò rapida.”
Kate ci mise poco prima di rispuntare dal bagno fasciata in un morbido accappatoio bianco.
Castle era intento a rigirare una padella fumante trattenendola sollevata sopra decine di candele. Lo prese alla sprovvista cingendogli la vita. Lui si voltò godendo del suo abbraccio.
“Sto morendo di fame Castle.” Disse più energica di prima. Aveva occhiaie marcate però sembrava più rilassata.
“Quasi pronto.” Rispose Castle. “Cena al lume di candele e sotto un cielo di stelle!”
“E’ perfetto.” Rispose Kate tenendosi abbracciata a lui. “Ma come ci sei finito qui?”
“Diciamo che mi ha inseguito.”
“Castle un appartamento non insegue nessuno.”
“Ma il padrone sì. Kapoor vuole vedermelo.” Kate rimase ferma e Castle si girò per vedere la sua espressione.
“Volevo avere la tua opinione così ho approfittato per stare qui durante la festa di Alexis.” Le spiegò. Kate sembrava corrucciata e con occhi veloci scrutava intorno a sé.
“Vuoi fare un investimento?” Chiese infine lei.
“Si e… no. Dipende. E’ sotto la zona notte del loft. Potrebbe diventare la nostra nuova zona notte. Per entrambi e per i bambini.”
Kate sgranò gli occhi. Plurale.
“Il mio avvocato ha già visto le condizioni, abbiamo un diritto di prelazione ma entro una certa data. Ben Kapoor vuole acquistare la villa in florida che ha affittato e ha bisogno di liquidi. Abbiamo bisogno di una zona privata. Senti? Della festa di sopra non si avverte granché.” Castle divenne serio. “Kapoor deve aver insonorizzato le pareti.”
Kate si chiese quanto tempo aveva passato Castle a speculare su quel posto.
“Abbiamo già un appartamento enorme.” Obiettò. “Questo vorrebbe dire spendere milioni di dollari…”
Le sorrise. “Che abbiamo.” Lei fece una smorfia. “Sì, abbiamo.” Lei sbuffò. Un’altra cosa che li contraddistingueva: lui le offriva agi che lei non aveva mai chiesto.
“Potremmo unire i due appartamenti con una scala di comunicazione. Il nostro angolo di privacy.”
“Angolo?” Replicò Kate si mordendosi le labbra. Era troppo e doveva dirglielo.
“Castle… Questa non è una decisione da poco. Non credi sia eccessivo?”
Castle la prese per una mano e la fece sedere al tavolo. La poltroncina rosso fuoco era comoda e aveva morbidi cucini a farle da schienale. Portò la padella con la zuppa e dopo aver posato due fragranti fette di pane sul fondo dei loro piatti, ci versò sopra un paio di abbondanti mestoli di quello che Kate considerò una delle pietanze più invitanti che vedeva da giorni. Cibo vero made in Castle.
“Mi vuoi corrompere col cibo.”
“Come sempre, ma prima vi nutro. Fagiolino avrò fame quanto se non più di te.” Kate scoppiò a ridere.
“E’ un colpo basso. Lo sai.”
Castle gli fece un bel sorriso. “Un colpo di cucina, ma non mio. L’ho ordinato da – Il Corso –“
Aveva riacceso le candele sparse per tutto il locale. Rosse e bianche, come petali di fiore.
Castle sedette davanti a lei. La vide corrucciata.
“Troppo romantico? Ho della musica pop anni 80 - 90 se vuoi alleggerire l’atmosfera.”
“Un po’di sano huntz huntz arricchirebbe il momento di pathos.” La meraviglia del sarcasmo.
“Castle, questo appartamento ci serve davvero?” Disse esternando i suoi dubbi. “Abbiamo spazio e possiamo comunque ricavarci il necessario.”
Assaggiò un cucchiaio della zuppa e decise di averne subito altri, buttandosi sulla sua deliziosa cena che fino a quel momento aveva ignorato. Aveva molta fame e aveva ignorato anche quella. “E’… fantastica” gemette assaporando il mix di cereali e legumi.
“Fintanto che mamma e Alexis staranno con noi, questa parte di casa potrebbe diventare il nostro nido. La stanza accanto all’ufficio andava bene quando ero single…”
“Oppure sposato a Gina.”
“Appunto, niente fuoco…” Kate non provò nemmeno a trattenere un sorrisetto compiaciuto.
 “Non hai mai voluto fare trasformazioni ma la nostra privacy è sempre in bilico.” Sospirò Castle virgolettando la sua frase con le dita e guardandosi intorno.
Quante serate calde interrotte da imbarazzanti ingressi di Martha o Alexis. Succedeva spesso e doveva ammettere che Kate aveva avuto molta pazienza con la loro famiglia.
“Scendendo qui avremo qualcosa di nostro, comodo e tranquillo. Il bambino avrà la sua stanza, potremmo avere un angolo di paradiso.” Spiegò ancora vendendo perfettamente la sua visione.
“Porteremmo qui la nostra stanza da letto?” Chiese Kate guardandosi ancora in giro. C’erano sicuramente molti argomenti su cui Rick aveva già pensato ed erano pertinenti. Spazio per loro e tranquillità, nessuna attività della casa avrebbe infastidito il sonno del loro piccolo. L’idea la solleticava, ma doveva essere anche quella pragmatica, con i piedi per terra ed analizzare anche i contro.
Lo guardò ingurgitando altri cucchiai di zuppa. Doveva anche smettere di dipendere da lui per il cibo e pensare alle necessità di tutti e due, anche se lui se cavava molto, molto bene. Quando erano a casa era splendido cucinare in coppia, però sentiva di contribuire sempre così poco al loro menage.
Era una questione di orgoglio oltre che di pragmatismo.
“Quanto verrebbe a costare?” Domandò.
“Non ho ancora detto di sì, non gongolare…” Aggiunse contenendo la furba reazione di Castle che fece una smorfia.
“Uno e cinque.” Rispose. “In altre condizioni due o poco meno.”
Kate valutò con calma. “Kapoor rinuncerebbe a 500 mila dollari?”
“Gliene darei uno entro Marzo. Il saldo entro il secondo anno.” Castle chiarì. Kate stava affrontando il discorso seriamente e ne era piacevolmente sorpreso. Abituato com’era ai suoi no categorici...
“Poi ci saranno le spese dei lavori e non saranno spiccioli.” Guardò il marito: non era contraria ma pensava all’esborso finanziario considerevole.
“In futuro se non ne avessimo più necessità torneremo a dividere i due appartamenti e avremo o una casa per Alexis oppure un investimento finanziario su cui speculare.” Le prese la mano posata sul tavolo. Fece scorrere la punta del suo dito sulla fede di lei.  “Possiamo chiedere un quadro sui costi lunedì, con l’architetto.”
Kate sorrise. Se l’era già dimenticato, era stata troppo assente in quei giorni.
“Facciamo fare preventivi per entrambe le opzioni e… in caso decidessimo per il l’acquisto, vorrei usare i miei risparmi per la ristrutturazione. Almeno quanto riesco a coprire…”  Rispose decisa. Castle si accese come un lampione.
“Non stai dicendo no?”
“Non ho ancora detto sì, Castle.” Kate lo stuzzicò e Castle ridacchiò allegro. “Sai come funziona vero?”
“Come per la tua proposta di matrimonio!” Ribatté divertita.
Discussero per un po’ sulle opzioni scherzandoci su, minimizzare li faceva avvicinare a passi lievi alla soluzione.
Castle si ammutolì al primo sbadiglio di Kate. Avevano avuto una lunga giornata e finalmente potevano stare insieme. Il corpo chiamava sonno come anche quello di Kate. Si erano rilassati e rifocillati, mancava solo il proverbiale riposo dei giusti. Castle pensava che entrambi lo fossero, che meritassero ogni secondo del piacere di stare insieme e che non era mai troppo tardi per quello. Ovviamente aveva sperato di più, era riuscito a evitare di discutere del suo ritardo e vedendola così tranquilla pensò di aver fatto la scelta giusta. Dopo tutto ciò che aveva organizzato il minimo era riuscire a godersi la loro privacy in pace. Però lei era arrivata al limite quindi il suo egoismo doveva dare spazio al buonsenso e farla riposare. Kate sbadigliò di nuovo rendendosene conto. “E’ un solo un momento di stanchezza.” Si scusò.
“C’è un bel letto, la casa calda: è venuto il momento del riposo del guerriero.”
Kate rise. “Mi porti a letto, guerriero?”
Castle deglutì. “Mai stato tanto felice di esaudirti!”
“Non abbiamo una lavastoviglie…” Kate indicò la tavola. Castle fece spallucce.
 “Ci arrangeremo. Ma come tuo fiero partner ti accompagnerò prima a quel giaciglio, è molto comodo l’ho sperimentato di persona.”
“Ho notato.” Rispose lei alzandosi. Si mossero cercando di raccogliere quanto avevano sparso nella stanza, portando un po’ di ordine. Castle prese la lampada che proiettava stelle. “Che ne dici se la porto in camera? Dormiremo sotto un magico cielo stellato.” Kate annuì. Lo aiutò e mano nella mano si avviarono verso la camera da letto.
 
Quando Kate si stese nelle lenzuola fresche, le sembrò di stare in paradiso. Fece scivolare via l’accappatoio che Castle raccolse. Aveva accesso la lampada prima di andare in bagno: stelle di galassie lontane si stagliavano sul soffitto. Castle si svestì lentamente, guardandola bearsi della comodità. Osservò il suo corpo coperto solo dalla lingerie, curioso di scorgere anche pochissimi cambiamenti, ma così importanti per lui.
Kate lo accolse accanto a sé, facendosi avvolgere con un abbraccio. Si girò verso di lui e lentamente toccò le sue labbra.
“E’ stato tutto stupendo…” La voce bassa e calda. “Grazie.”
Castle sospirò. “Domani lavori?”
“C’è il caso.”
“Immaginavo. Dormi dai…” Si mosse cercando di mettersi comodo.
Kate respirò placida. Non voleva chiudere così la serata. Liquidare “loro” con il sonno era riduttivo e lo facevano spesso a causa sua. Era lei a scandire la loro serate, glielo doveva.
“Ho guardato quei dvd… Mi sono piaciuti.”
Castle strinse le labbra sgranando gli occhi. “Quindi Abel lo teniamo?”
“Sì. Se sarà maschio si chiamerà Abel.”
Castle sorrise accarezzandola. “Non me lo avevi detto.”
“Anche io volevo fati una piccola sorpresa, anche se non ci sono ovviamente paragoni…”
La indusse a guardarlo. “Ehi, che dici, sono felice che tu l’abbia fatto. Nostro figlio avrà un bel nome.”
Kate alzò la mano e trascinò sul suo ventre quella di Rick.
“Hai pensato a tutto questo ed io mi sono solo lamentata per una settimana pesante.”
Castle ridacchiò. “Ho avuto più tempo di te. Sono stati dei giorni snervanti, progettare tutto questo mi ha rallegrato.” Le avrebbe raccontato l’accaduto ma non quella sera. Lei annuì lasciandolo parlare.
Divenne più serio. “Questo è quello che siamo da sempre. Se fossi rimasta nell’FBI...”
Il loro matrimonio avrebbe resistito? Kate se l’era chiesto spesso e pensava di aver capito che lasciare a lui tutta la volontà di essere in due non era possibile. Non stava però mettendo in pratica la lezione a dovere. Giusto qualche sbavatura di troppo.
“Posso sempre e solo tenderti la mano e cercare di trascinarti via da quel limbo. Mi posso… accontentare.” Non era felice del termine, minimizzava il concetto. “Un bambino ha bisogno...” Castle si interruppe. No, non doveva dirlo.
Lei capì al volo. “Lo so.” Sua madre le mancava ancora così tanto. Inghiottì un po’ di saliva ricacciando indietro i pensieri bui. Si sistemò meglio sospirando. Appoggiò la fronte al petto di Castle e chiuse gli occhi sfinita.
Castle rimase in silenzio. Abbandonò la testa sul cuscino ascoltando il respiro di Kate. Un milione di cose si affacciavano alla sua mente ed era abbastanza stanco da sentirsi confuso e suscettibile per voler parlare d’altro. Aveva già detto due cose sbagliate, o meglio toccato tasti dolenti in modo sciocco.
Le palpebre erano così pesanti da impedire agli occhi di stare aperti, ma il suo corpo percepì lo stato di inquietudine di Kate tramite il suo respiro più irregolare e con un leggero affanno.  Non si mosse sebbene tutto il suo essere urlasse dal bisogno di risolvere quel qualcosa appeso tra loro. Non aveva voluto discutere. Lei aveva preso in considerazione la possibilità di acquistare quell’appartamento ed era più di quel che aveva immaginato qualche ora prima, in preda alla delusione. Si era imposto di usare il cervello e invece l’aveva fatto in modo grossolano.
D’un tratto la sentì muoversi. Kate si alzò e si mise a sedere appoggiando la schiena alla tastiera del letto.
“Non volevo svegliarti.”
“Non dormivo comunque. Sei inquieta.” Si alzò anche lui, stancamente assumendo la sua stessa posizione.
“Cosa c’è…” Mormorò con dolcezza.  Lei strinse le braccia intorno al corpo e lui le portò il lenzuolo fino all’altezza del seno, coprendola.
“C’è che ho rovinato la nostra serata.” Disse scuotendo il capo. Incrociò il suo sguardo sorpreso.
E lui che aveva evitato di discuterne. “Kate…” Cercò di tranquillizzarla. Non era così che doveva andare.
“Ho davvero apprezzato tutto questo. Tu, cibo squisito, poter dormire in un luogo tranquillo lontano dalla bagarre di un festa selvaggia che io stessa ho autorizzato.” Fece una pausa guardando il soffitto illuminato dalle stelle.
“Ti ho lasciato trovare una soluzione, sapevo che avresti fatto la tua magia mentre io ho preso decisioni che avrebbero annichilito la nostra tranquillità e permesso ad un idiota di rubarmi il resto della serata…” Castle percepì una profonda amarezza nelle sue parole e anche rabbia.
“Beh, se ne stiamo anche a parlare… Sentì, va bene così!”
Lo zittì nuovamente. “Castle tu non capisci. A cosa serve il nostro lavoro, la fatica di giorni di indagini e di caccia all’assassino, rinunciare al mio tempo con te, se poi va in mano a qualcuno che annullerà tutto?”
Castle si fece più desto. “A cosa ti riferisci?”
“L’assistente del procuratore distrettuale è un novellino, non ha capito le vere implicazioni del caso, lo tratterà con troppa superficialità o farà sciocchezze. Potrebbe buttare tutto all’aria.”
Eccolo il punto.
“Ma tu e la Gates avete passato giorni a istruire il caso come si deve proprio per non lasciare dubbi.” Castle cominciava a capire il suo malessere. Le loro fatiche potevano essere vanificate dall’imperizia. Con queste premesse l’umore crollava a picco vista la settimana orrenda che avevano vissuto durante quel caso. Già non c’era molta stima per l’attuale procuratore distrettuale e anche i suoi lacchè sembravano essere in linea con la scarsa qualità del loro datore di lavoro.
“Hai tutte le ragioni di avercela con me se ho sacrificato il mio, il nostro tempo per nulla.”
Castle le sorrise. “Prima di tutto ribadisco che non sono arrabbiato. E poi non stai lavorando invano. Stai facendo quello che credi sia giusto. Combatti per la verità come sempre. Non tutti sono alla tua altezza, piccola.”
Kate si morse un labbro guardandolo.
“Ma non è solo per quello. In tua assenza stavo tornando alle vecchie abitudini, ignorare orari e saltare i pasti.” Accettò lo sguardo di rimprovero di suo marito, se lo meritava in fondo.
“Credo che non farò altri viaggi per il prossimo anno. Tu hai bisogno di me.” Concluse Castle.
Kate sorrise dolcemente. Aveva bisogno di lui eccome. Ma decise di evitare la risposta diretta per il momento.
“Voglio cambiare le cose. Giovedì prossimo comincio i corsi da ufficiale poi si vedrà.”
Si era sentita così impotente, strumentalizzata. Ne aveva avuto abbastanza.
“Voglio cominciare a vivere davvero senza rinunciare a nulla. Ho lasciato che le cose funzionassero da sole, perché tu le hai fatte funzionare. Ma adesso basta. Non possiamo solo essere stanchi insieme.”
Lo sguardo di suo marito era pieno di orgoglio. Castle riusciva ancora a stupirla con il suo buon cuore.
Kate sospirò cercando di tranquillizzarsi mentre lui le lasciava piccoli baci sulla testa.
“Dovrebbero fare te procuratore distrettuale.” Castle lo suggerì con convinzione. Le sorrise consapevole che negli occhi di Kate fiammeggiasse una volontà di ferro tesa a qualcosa che avrebbe reso le loro vite migliori. O forse più incasinate ma non gli importava se stavano insieme. Vederla turbata gli faceva sempre un certo effetto. Tardi o noi lei era la donna che aveva bramato per giorni. Ed era anche bellissima.
“Non esageriamo Castle.” Sbottò lei in tutta risposta.
Lui scosse il capo. “Ne saresti capace, saresti pericolosa perché incorruttibile.”
“Ho voglia di luce, di normalità… Di abbandonare la morte e tutto quello che si porta dietro.”
“Ci proverai.” La rincuorò. La sua vita aveva avuto per troppo tempo una lunga ombra su di sé difficile da allontanare.
“E non devi sempre fare… tutto questo. Mi basta che ci sei.” Si allungò verso di lui e lo baciò con dolcezza.
“Lo sai che mi piace farlo.”
“E se ti deludo come stasera?”
“Pagherai pegno.” Risero complici.
“Ti voglio.” Mormorò Kate al suo orecchio. Lui sorrise sornione.
“Anche io, nei hai la forza?” Kate sorrise imbarazzata. Appunto, stanchi insieme: quanto era vero.
Rimasero abbracciati scambiandosi tenerezze. Non era forse perfetto anche solo così?
“Vuoi tornare di sopra?” Disse ad un certo punto Castle.
Kate strinse gli occhi e si scostò da lui. “Dopo tutta la fatica che hai fatto? Non ci penso proprio…” Lo baciò ancora e poi scivolò tra le coperte. “Il letto è caldo, la compagnia stupenda. Il mattino arriverà fin troppo presto e per allora… avrò riacquistato le forze.”
 
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Buonanotte a tutti.
Eccomi qui con l’ultimo capitolo.
Devo dire che sono delusa dai recenti sviluppi della serie, molto molto delusa.
Che dire… Castle mi mancherà, ma in fondo questa stagione mi ha fatto girare i cosiddetti fin dal principio.
Capitolo lungo, lo so. Confido nella vostra pazienza.
Grazie e tutti.
Anna

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