Beyond the sky

di Shine
(/viewuser.php?uid=45984)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ricordi ***
Capitolo 2: *** Lui ***
Capitolo 3: *** Svolta ***
Capitolo 4: *** Decisione ***
Capitolo 5: *** Sogno ***
Capitolo 6: *** La rosa blu ***
Capitolo 7: *** Beyond the sky ***
Capitolo 8: *** Impossibile ***
Capitolo 9: *** Un sogno eterno ***
Capitolo 10: *** La strada dei sogni ***
Capitolo 11: *** Beyond the sky (cap II) ***
Capitolo 12: *** Il regalo più grande ***
Capitolo 13: *** Primo bacio ***



Capitolo 1
*** Ricordi ***


1 Ricordi

1

Ricordi

 

“... e mentre fissava l’orizzonte, si rese conto che quei momenti, quei meravigliosi istanti di beatitudine, sarebbero stati splendidi comunque, anche se soltanto nei suoi ricordi. Si può essere felici anche solo nel rammentare la magica poesia del passato? Si a quanto pareva! Lui, infatti, non era affatto triste. Ma come poteva esserlo, se nei suoi pensieri c’era la creatura più bella che avesse mai conosciuto? Ma la rimpiangeva. Mentre l’ammirava avidamente nei suoi ricordi, lui la desiderava. Bramava il suo profumo, il suo tocco, il suo sorriso. Era stata ben più di ciò che pensava di meritare. Era tornato da eroe, ma senza di lei, pensò amaramente. E non se lo sarebbe mai perdonato.”

 

Ormai conoscevo a memoria quelle parole. L’avevo concluso. Era giunto alla fine. Il lavoro di tanto tempo, che avevo letto e riletto, corretto mille volte, scritto con passione, con il desiderio incontrollato di entrare dentro la storia, di farne parte. E mentre la mia penna tracciava quei segni sul foglio, che sarebbero diventate parole, magari anche belle, originali, io guardavo con ansia il giorno in cui avrei scritto la fine. L’ultima parola.  Ma ora, che il mio lungo lavoro era giunto al termine, non godevo della soddisfazione che avevo tanto atteso. Superate le prime tumultuose manifestazioni di gioia, ero passata ad una fase di strana tristezza. Mi sentivo vuota, questa era la verità. Avevo impiegato così tanto tempo a scrivere il mio racconto, che adesso, poiché era finito, sentivo di aver perso una parte di me. Invano cercavo di convincermi che essa sarebbe sempre stata rinchiusa tra quelle pagine. Avevo una strana sensazione, che mi toglieva il respiro. Desideravo che la storia continuasse. Avevo pensato di produrne il seguito, ma non mi sembrava giusto. Era un racconto che era giunto da un ispirazione improvvisa e non volevo che fosse intaccato in alcun modo. Non riuscivo, però, a smettere di sentirmi così, né mi capacitavo di provare un tale senso di vuoto.

Rimasi a fissare l’orizzonte, per ironia come il protagonista della mia storia, piena d’insolvibili interrogativi.

***

2 anni dopo

 

L’eco delle mie risate mi ronzava ancora in testa. Ricordavo quel giorno come se fosse stato solo il precedente. Lui mi abbracciava dolcemente,  mi passava la mano attorno alla vita, mi sorrideva e diceva che non si sarebbe mai stancato di me. Mi sussurrava all’orecchio che mi avrebbe amata per sempre, che non mi avrebbe lasciato mai. Il problema era che quello non era il mio ieri. Era un ricordo, un insulso, falso ricordo, che mi tormentava. Fin da allora sapevo che  non avrei dovuto credere alle sue promesse, perché, in fondo, era solo un ragazzo di 19 anni che diceva di voler donarmi il suo cuore. Ma gli avevo dato fiducia. Grosso errore. Enorme. Due settimane dopo, l’avevo trovato insieme ad un’altra. Era stata una situazione così sconvolgente per me, così penosa, che per alcuni istanti avevo creduto che non potesse essere vero. Avevo creduto che fosse solo un incubo. Ma la verità era che la nostra storia era stata solo un sogno. Solo quello. E la cosa ancor più ironica che potesse succedere, era il fatto che mi era venuto a supplicare in ginocchio di perdonarlo. Ed ancor più ridicolo era  che io mi sentivo anche indecisa se accettare le sue scuse! Sciocca, sciocca, sciocca, mi ripeteva incessantemente quella parte del mio cervello chiamata ragione. Ma sapevo che avrei ceduto. Mi conoscevo troppo bene, per non rendermi conto che l’amavo. Perdutamente, incondizionatamente, ardentemente. Ecco. Quella era le verità. Ero probabilmente vittima del più subdolo dei tranelli, della più terribile delle sofferenze. Di quel che viene definito ‘amore unilaterale’. E, quasi ridevo all’idea: sebbene una parte di me sapesse benissimo che stavo sbagliando, che era un errore, che mi sarei nuovamente illusa, io speravo. Non c’era altra spiegazione. Io l’amavo.

La luce mi abbagliò improvvisamente. Era una calda mattina di luglio, in cui il sole ardeva rovente nel cielo azzurro, senza l’ombra di una nuvola a minacciarlo. I raggi della bionda stella colpivano i rami scuri e i fiori rosa e bianchi, degli alberi al limitare della strada, l’asfalto, grigio e cupo ed il mio corpo, che si trascinava, passo dopo passo, su di esso. Non mi piaceva molto il caldo. Amavo l’aria fresca, il grigiore delle nuvole d’inverno ed il colore arancio delle foglie degli alberi, che si abbandonavano sul terreno, creando un disegno che aveva un suo incantesimo. Gioivo alla sensazione delle gocce d’acqua, della pioggia che mi cadeva sul volto e sui capelli, mi piaceva la nebbia, che rendeva tutto opaco e offuscato. Quasi nessuno, però, condivideva le mie considerazioni. I miei amici si godevano l’estate, che consideravano il periodo più bello dell’anno, anche se per me era la stagione meno gradevole. Sospirai. Sopportavo di malavoglia la calura soffocante, che riusciva a distrarmi persino da quei pensieri che mi ossessionavano. Decisi di tornare a casa, stanca. Affrettai il passo.

Arrivai in pochissimo tempo. Non mi ero allontanata troppo, dopotutto. Sospirai. Non mi allettava l’idea che i miei mi bombardassero di domande, anche se sapevo che erano solo preoccupati per me. Ero stata molto giù, dopo aver scoperto che… Be’, insomma capivo la loro ansia. Ma erano estremamente fastidiosi, a volte, soprattutto quando usavano espedienti degni di un terzo grado. Mi accinsi, di malavoglia, ad entrare, se non altro per sfuggire al caldo soffocante.  Salii piano le scale, riflettendo tra me e me, sui possibili modi di evitare la catasta di domande che mi attendeva. Giunta davanti alla mia porta, però, non ero ancora riuscita a trovare una soluzione ragionevole. Infilai la chiave nella serratura, respirai a fondo, e la girai.

A casa c’erano ospiti. Sarebbe stato un avvenimento che sicuramente non avrebbe mai destato un mia particolare attenzione, se non per il fatto che grazie a loro i miei avrebbero rimandato l’interrogatorio, ma c’era un piccolo dettaglio, non facilmente trascurabile. Le persone in questione erano così sorprendentemente simili a divinità, che mi lasciarono a bocca aperta, non in grado di proferire neanche una parola per attimi interminabili. Entrambi, erano un uomo ed una donna, superavano il mio misero metro e sessantacinque d’altezza, di almeno una quindicina di centimetri, avevano capelli scurissimi, un corpo perfetto ed un viso che senz’ombra di dubbio superava di gran lunga le soglie della normalità, in quanto splendore. Lei aveva gli occhi azzurri, molto chiari, lui li aveva scuri, di un colore che non riuscivo a definire. Insomma, le star di Hollywood, al confronto, sfiguravano.

“Questi sono i signori Elliot, Emily.”, li presentò mia madre, interrompendo le riflessioni che mi turbinavano in testa.

Se non con un certo imbarazzo, risposi al loro saluto, sperando di suonare serena.

I miei genitori mi avevano accennato che sarebbero venuti dei loro amici, ma insomma, mi aspettavo comuni mortali!

“Sei cresciuta moltissimo, dall’ultima volta che ci siamo visti.”, esclamò, sorridendo, l’uomo, squadrandomi con i suoi occhi scuri.

Per un attimo rimasi perplessa. Ci eravamo già conosciuti? Mi ripresi subito, per fortuna e risposi: “ Il tempo passa in fretta.”

Sua moglie sorrise, impercettibilmente divertita.

“Quant’è vero.”, dichiarò, ridente. “Frequenti il Liceo, immagino.” Sembrava come se non fosse una vera domanda, ma un’affermazione.

Annui, imbarazzata dallo sguardo di entrambi, che era fisso su di me.

“Il classico.”, precisai, respirando a fondo, “Quest’anno sarà l’ultimo.”

Lei sorrise, impeccabile. “Progetti per il futuro?”, chiese, sembrando genuinamente curiosa.

Ancora una volta ebbi l’impressione che non me lo stesse domandando davvero, che conoscesse già la risposta, ma m’illuminai ugualmente.

“Farò l’università di medicina”, annunciai decisa.

Suo marito, sorridendo, mi informò che anche lui faceva la stessa professione.

“In che ramo?”, gli domandai, miracolosamente con un tono di voce che pareva adeguatamente tranquillo.

“Pediatria.”, rispose, divertito per qualcosa che non riuscivo a comprendere. “E tu?”

Attendendo una risposta, mi fissò intensamente. Quando i miei occhi incontrarono i suoi, così decisi e belli, meravigliosamente ardenti di sincerità, arrossi, sentendomi smarrita.

“Credo... che farò ginecologia.”, risposi, cercando di rilassarmi, peraltro invano.

“Ottima scelta.”, approvò la signora Elliot, guardandomi allegra.

Io sorrisi, poi, quando i miei genitori si decisero finalmente a riprendere parte alla conversazione, li salutai educatamente e mi diressi in camera, sollevata.

Chiusi piano la porta e mi abbandonai sul letto, riflettendo. Era stato un incontro a dir poco sorprendente. Ma, aldilà dell’aspetto fisico, a colpirmi in modo particolare, era stato il loro affiatamento. Sembrava, infatti, che ogni sguardo che i due si scambiavano, fosse come una parola o una frase detta. Si comprendevano così, almeno mi era parso, solo per un’occhiata. Era un caratteristica singolare e molto bella. Una volta anch’io avevo sognato un tipo di rapporto simile,ma mi rendevo conto di aver lavorato molto di fantasia. Quando avevo conosciuto Robert, mi ero innamorata di lui quasi subito. La mia migliore amica, nonché grande cospiratrice, aveva fatto in modo che ci conoscessimo. Lui mi aveva chiesto di stare con lui poco tempo dopo. Era l’unica storia che avevo avuto, almeno fin a quel momento. Ma tra noi le cose non erano state rosee come nei miei sogni, neanche vagamente. Naturalmente ero stata molto felice con lui, ma forse mi aspettavo qualcosa di più. Lo avevo comunque messo in conto, come uno dei sicuri svantaggi del passare l’adolescenza immersa in sogni e fantasie. Anzi, fino a quel giorno avevo creduto impossibile che ci fosse una sinergia del genere tra due persone. Be’, a quanto pare sbagliavo. Sospirai. Robert mi mancava moltissimo. Mi mancava la sua allegria, il suo modo spensierato di vedere le cose, i suoi scherzi, le sue risate. Mi mancava il suo profumo, i suoi abbracci, le sue mani sul mio corpo, possenti, calde, rassicuranti, mi mancavano terribilmente i suoi baci,le sue carezze. Desideravo il suo viso vicino al mio, i suoi occhi nei miei. Ecco. Era quella speranza insostenibile che mi avrebbe fatto, ne ero sicura, ignorare la mia ragione e perdonarlo. Mi chiesi se, quando un giorno l’avrei trovato con qualcun’altra, perché ne ero sicura, avrei saputo accettare il sentimento come giustificazione sufficiente per la mia scelta. Forse, poiché ormai la mia fiducia nei suoi confronti era in viaggio, a godersi la neve in montagna, magari, avrei dovuto rifiutare di continuare la nostra storia. Ma l’idea di perderlo mi uccideva. Ero terribilmente confusa.

Il trillo del telefono mi feci sobbalzare.

Presi il portatile dal comodino e, dopo aver guardato il numero, sorrisi e risposi.

“Ciao, Emily!”, esclamò una voce allegra, dall’altra parte della cornetta.

“Ciao, Lizzy.”, salutai, sorridendo.

“Che stavi facendo?”, mi chiese la mia amica, con un tono curioso e vivace.

Mi distesi sul letto, tenendo il telefono accostato all’orecchio, e le dissi: “Niente. Solita roba. E tu?”

“Mi preparo ad uscire.”, annunciò, tutta contenta, “Ti chiamavo appunto per invitarti stasera, con il gruppo. Andiamo in discoteca!”

Io sospirai. La mia vita sociale era molto precaria da quando io e Robert c’eravamo lasciati. Era da tantissimo che non uscivo, ma d’altronde non ne avevo voglia.

“Senti, non vorrai mica stare a casa tutta la sera e deprimerti?”, domandò, contrariata, interpretando bene il mio silenzio.

“Be’, diciamo che avevo dei mezzi progetti…”

“Non ci pensare nemmeno!”, proruppe, facendomi sobbalzare, Elizabeth. “Stasera esci con noi. Fine della storia.”

“Ho possibilità di scelta?”, chiesi, alzando gli occhi al cielo. Era una domanda retorica, ovviamente.

“Assolutamente no.”

Sospirai, ma poi sorrisi.

“D’accordo.”, dichiarai, arrendendomi.

“Bene!”, esclamò, soddisfatta. “Senti, non è che potresti darmi una mano?”

“A fare cosa?”, le domandai, sorpresa.

“Stasera mi metto il completo nero o la mini viola e la maglia bianca?”,  mi domandò, con tono incerto.

Io scoppiai a ridere.

“Direi il completo nero.”, le consigliai, dopo essermi ripresa.

“Perfetto!”, disse esultante. “Ci vediamo al solito posto alle 20:30?”

“Ok”, assentii.

“A più tardi, Emily.”

“Ciao”, risposi, allegra.

Chiusa la conversazione, rimasi ancora un istante a fissare il soffitto, poi mi diressi in salotto, per avvisare i miei. Ero, o almeno così credevo, sufficientemente pronta per l’interrogatorio.

Ma salve, miei numerosi (eheh... naturalmente era una fantasticheria) lettori! Mi sono decisa a pubblicare il primo capitolo di questa storia, che ho iniziato a scrivere da un po' e che avevo voglia di sottoporre ai pareri di altre persone. Con questa storia mi piacerebbe esprimere la mia perenne convinzione che i sogni non siano solo mere illusioni, ma che abbiano il potere di cambiare la vita! In ogni caso, questo capitolo è solo d'introduzione alla protagonista, con qualche accenno alla trama dell'intera storia. Fatemi sapere cosa ne pensate, anche pareri negativi... mi aiuteranno a migliorare! Grazie in anticipo,

Shine

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Lui ***


Lui

2

Lui

Le persone, fin da quando ero piccola, mi consideravano una ragazza molto intuitiva. In realtà anch’io pensavo di essere abbastanza brava a comprendere i caratteri delle persone, anche solo da uno sguardo, un’espressione o un loro discorso. In genere mi succedeva di disegnare il profilo di qualcuno velocemente e il più delle volte avevo ragione. Ma, con mio grandissimo disappunto, con lui ero in alto mare, anzi nel pieno dell’oceano! Non che fosse particolarmente necessario delinearne il carattere, ma ero infastidita dal fatto di non riuscirci. E poi, cosa strana, avevo la sensazione di averlo già conosciuto. Che fosse il figlio degli Elliot era più che evidente. Doveva essere una bellezza ereditaria, la sua. Assomigliava molto a suo padre. Aveva la sua stessa corporatura, il suo stesso viso, lo stesso colore dei suoi occhi. Dapprima avevo dato spiegazione alla mia misteriosa impressione con questa straordinaria somiglianza, ma non ne ero convinta. Lui mi incuriosiva molto più di quanto fosse lecito, considerando che era solo un conoscente. Forse per il fatto che era stato taciturno per tutto il tempo, che ero stata così avida nel cercare di decifrare il suo carattere. Ma dalla mia attenta osservazione, non avevo tratto nessun risultato soddisfacente. Di una cosa ero sicura, a dispetto di ciò che avevano commentato nel mio gruppo: Lui non lo faceva per orgoglio. Non era scostante e riservato, perché, come aveva sottolineato Robert, non ci considerava alla sua altezza. E non era neanche timido. Ero stranamente certa che lui fosse estremamente, eccessivamente triste. Da che cosa lo avevo intuito, non me lo sapevo spiegare. Forse dai suoi occhi, seppur non lasciassero quasi mai trapelare emozioni di nessun genere. In ogni caso, non era altezzoso. Ci avrei messo la mano sul fuoco! Non mi sarei associata alle critiche su di lui, non mi interessava cosa ne pensavano gli altri. Sospirai. Inevitabilmente i miei pensieri andarono a Robert. Ma come poteva non essere così? Ieri, uscendo con gli altri, l’avevo rivisto. Sembrava sinceramente pentito, quando mi aveva chiesto di riprovare a stare insieme ed io gli avevo detto che ci avrei pensato. In realtà sapevo che gli avrei detto di sì. La mia vita senza di lui mi sembrava vuota, sentivo nel cuore una voragine incolmabile. Non che con lui la sensazione sparisse. Mi tormentava da tantissimo tempo, ormai era parte di me, anche se io non ne conoscevo il motivo. Però era meno dolorosa, a volte riuscivo persino a dimenticarla. Con lui. Sospirai nuovamente.

Ero seduta sulla mia panchina, una delle tante del lungomare. Era diventata mia un fatidico giorno grigio d’autunno. Ero arrabbiata e triste, non ricordo neanche per quale motivo, e quella era l’unica panchina asciutta. D’allora ero sempre lì. Una sorta di tradizione. Sorrisi.

Era una giornata molto bella. Il sole stava tramontando  alle mie spalle, ed il cielo s’andava oscurando, dirigendosi piano verso il blu della notte.

Il blu del cielo, in estate, mi piaceva tantissimo. Era il blu vero. Mi piaceva la luna, quando emanava ardente luce bianca e creava sfumature nel cielo, e le stelle. Quand’ero piccola credevo che ogni stella fosse abitata da creature meravigliose: da fate, principi e principesse, esseri fantastici, insomma, quelli dei miei sogni. Ed immaginavo di essere la regina di una stella, la mia stella, e di ricevere l’affetto e le attenzioni di tutti. L’ingenuità e la fragilità di quei sogni era disarmante. Non l’avrei mai dimenticata, lo sapevo. Guardando il cielo mi sarei sempre ricordata della mia stella... ‘The star of my heart’. L’avevo soprannominata così. Sorrisi.

Una folata di vento mi colpì, facendo volare la fascia che avevo nei capelli. Mi alzai di scatto e la rincorsi. Era finita in spiaggia. Mi diressi velocemente verso le scale, le scesi rapida e arrivai sulla sabbia. Mi guardai intorno, per vedere dov’era finita. Rimasi senza parole.

Lui era lì. Si stagliava, come in un bellissimo quadro, in primo piano, circondato dal mare cristallino, in cui si rispecchiava il sole rosso del tramonto e le sfumature create da questo sulle nuvole. Era perfetto, splendente nello splendore della natura.

Mi guardò negli occhi.

Aveva un’espressione seria, ma non indecifrabile come al solito. Avevo ragione. Era molto triste.

C’era qualcosa, nel suo sguardo, che mi lasciava senza fiato. Non riuscivo a capire cosa fosse, ma era così. Ero però certa, come non mai, di aver già visto prima i suoi occhi. Si, li conoscevo. Ed anche piuttosto intimamente. Non sapevo né il luogo, nel il giorno in cui li avevo già incontrati, ma era così. Ora ne ero assolutamente sicura.

Aveva in mano la mia fascia. Mi si avvicinò senza sorridere, recuperando quello che sembrava il suo abituale contegno, impenetrabile come sempre. Mi resi conto di essere rimasta a fissarlo, con aria sconvolta e arrossii d’imbarazzo. Mi ripresi.

Lui me la porse, in silenzio.

“Grazie”, mormorai, impacciata.

“Di nulla.”, rispose lui, in un sussurro.

La sua voce, il tono della sua voce era così familiare. Così bello, così melodioso.

Mi oltrepassò, senza aggiungere altro ed io rimasi a fissare il vuoto davanti a me, confusa.

Non riuscivo a decifrare la mie sensazioni, non venivo a capo delle emozioni che mi affollavano il cuore.

Ma questa ben misera spiegazione non le sarebbe bastata, lo sapevo bene.

 

 “Be’, allora?”, indagò, avida di particolari, Elizabeth.

“Che ti devo dire, Lizzy... Non è successo proprio nulla.”, dichiarai. Ed era la pura verità.

L’avevo guardato negli occhi per qualche istante e ne ero rimasta affascinata: cosa assolutamente comprensibile, considerando la sua ineguagliabile bellezza. A distanza di qualche ora il mio turbamento mi pareva ingiustificabile altrimenti. Ma la sensazione che mi tormentava era ancora lì al suo posto. Possibile che, avendolo già visto, non mi fosse rimasto in mente un particolare illuminante? Dove, come, perché...

“Come, non è successo nulla!! Ma se avevi l’aria di chi ha appena vissuto l’esperienza più eccitante della sua vita!”, obbiettò insoddisfatta la mia migliore amica.

“Hai ragione. Lui mi si è avvicinato lentamente, mi ha guardato negli occhi e mi ha baciato, stringendomi a sé.”, dissi, in tono tanto convincente da farla sobbalzare.

“Davvero?”, esclamò lei, con gli occhi lampeggianti d’eccitazione.

“Certo che no...!”, ribattei, ridendo.

Lizzy mi lanciò un’occhiataccia.

“Incontri il più bel ragazzo dell’intero universo da solo e che fai? Lo guardi negli occhi?”, chiese, arrabbiata.

“Elizabeth, cara...”, esordii, sottolineando quest’ultima parola, “Sto già con un’altra persona.”

Aggrottò le sopracciglia.

“Che ti ha tradita, Emily! È un viscido verme, insignificante e pure brutto.”, esclamò la mia amica, decisa.

Sospirai.

“Io lo amo, Lizzy.”

Lei mi guardò attentamente, poi l’espressione dei suoi occhi s’intenerì.

“Se ti fa soffrire ancora chiamo Anakin e gli chiedo di farlo fuori.”, dichiarò, sorridendo.

Io risi.

Anakin, il nostro mito. Protagonista di una parte della saga di Star Wars, di cui io e Lizzy eravamo fan sfegatate. Avrei dovuto immaginare che lui mi avrebbe difeso e vendicato.

Sorrisi, allegra.

Elizabeth, con il suo solare ottimismo e la sua decisione e anche con la sua impulsività, era la migliore amica che potessi avere. Sapeva come prendermi, mi conosceva benissimo. Eravamo amiche dall’asilo, quando le avevo offerto un po’ del mio cioccolato e lei aveva detto di voler essere la mia migliore amica. Anche allora i suoi occhi erano azzurri come adesso, ma la sua chioma ribelle di capelli sscuri era domata, il suo viso era più magro e il suo corpo più snello.

“Vogliamo tornare al motivo iniziale della mia visita?”, domandai, sorridendo.

Lei annuì.

“Allora…”, cominciò, con un tono che non mi faceva ben sperare.“Che ne pensi di mettere il top dorato e la mini nera?”

“Cheee!”, obbiettai, sconcertata.

“Non ricomincerai con la storia del ‘troppo scollato, troppo corto’, spero...”, rimbeccò Lizzy, guardandomi sbieca.

“Ma...”, tentai di protestare, ma lei stava già enumerando gli accessori abbinati e i tipi di trucco, senza ascoltarmi.

Mi arresi e indossai ciò che mi aveva consigliato.

Due ore dopo, quando finalmente entrambe eravamo pronte per uscire, mi diedi un ultima occhiata allo specchio.

Il top e la gonna risaltavano le mie forme, accentuando la magrezza del mio corpo. I miei capelli ramati erano perfettamente lisci e ricadevano dolcemente sulle mie spalle, intonati in modo perfetto con il completo che indossavo. Il fermaglio che Lizzy mi aveva prestato richiamava il colore dei miei occhi verdi rendendo l’effetto completo niente male.

“Sei bellissima!”, esclamò la mia amica, con gli occhi brillanti d’ammirazione per il suo lavoro così ben riuscito.

Lei indossava un vestito azzurro, aderente, che le stava molto bene.

“Anche tu.”, risposi, sincera.

“Andiamo?”, mi domandò.

Io annuì.

 

 

Fissavo il panorama che s’estendeva oltre il mio balcone, sul quale godevo della piacevole frescura mattutina. Il cielo era limpido, terso da ogni nuvola, ed il sole era pronto a spuntare, per illuminare il giorno che veniva. Tutto lasciava presagire che sarebbe stata una giornata calda come poche, ma la cosa, stranamente, mi era indifferente.

Le cime degli alberi, che formavano un’estesa macchia verde dalla mia posizione, si muovevano dolcemente sotto la spinta del venticello, che spirava leggero, colorando le mie guance  gelide di un tenue rossore.

Sorseggiavo, pensosa, del the, cercando disperatamente di dare un senso agli eventi della sera prima. Erano ore che, non riuscendo a dormire, cercavo di ricostruire minuziosamente ogni cosa, sperando di cavarne un significato. Non c’era. O forse era troppo difficile ammetterlo. Due erano le possibilità: o lui era stato preso da un istante di follia o, molto improbabile, di gelosia acuta, o aveva intuito molto più di quanto non fossi riuscita a fare io. Ci ripensai ancora.

Ricordavo l’eccitazione della serata, l’allegria dei miei compagna, la frenesia del ballo, le mani possenti di Robert che mi stringevano a lui. L’avevo lasciato per un po’ solo, per andare a bere qualcosa, assetata. E poi... Lui, che era stato lì, in disparte, si era avvicinato a me e mi aveva sussurrato all’orecchio: “Non fidarti di Robert, Emily.” Ma quando avevo sollevato lo sguardo, per chiedergli spiegazioni, non c’era. Era sparito tra la folla.

Non avevo dubbi, sebbene non lo avessi guardato in faccia, su chi fosse. Avevo riconosciuto la sua voce. Era inconfondibile. Ma mi chiedevo cosa lo avesse spinto a dirmi una cosa del genere. Conosceva forse qualcosa che io ignoravo? Cosa aveva voluto dire? Non riuscivo a capirci nulla. Ero stata anche sul punto di parlarne con Robert, ma qualcosa mi aveva fermato. Non l’avevo fatto. Ero rimasta con i miei dubbi, cercando in un primo momento di accantonarli, senza buoni risultati. Ed ora mi ero arresa a quel’incertezza. E tentavo invano di trovare una spiegazione soddisfacente. Che non c’era.

Sapevo cosa avrei dovuto fare per interrompere i miei tormenti. Ma ero restia a tramutare le parole, o in questo caso i pensieri, in fatti.

Non ero mai stata particolarmente timida e riuscivo ad essere estroversa anche con chi non conoscevo bene, ma lui mi metteva in soggezione. Non sapevo perché, ma ammutolivo ogni volta, sebbene non succedesse quasi mai, che mi rivolgeva la parola. Non sapevo se ce l’avrei fatta.

Rimasi a fissare il vuoto, indecisa.

Cercai di pensare cosa mi avrebbe consigliato Lizzy. ‘Che aspetti? Hai un motivo per parlare con lui e non lo fai?’ Sì, sarebbe stato quello il suo suggerimento, anche se non potevo verificarlo, avendo deciso di non parlagliene.

Sospirai.

Lo avrei fatto. Sarei andata da lui.

Sorrisi.

Decisione presa.

Al pensiero di aver un motivo per rivederlo, m’illuminai. Chissà perché ne avevo una gran voglia. Probabilmente per il fatto che lui fosse un mistero per me. Volevo sapere qualcos’altro, qualcosa d’illuminante sul quel ragazzo così enigmatico. Avevo l’inesplicabile desiderio di sapere come fosse la sua pelle al tatto, per esempio. Era una speranza strana, ma pressante. E poi  mi aspettavo di trovare qualche altro particolare che mi potesse aiutare a capire dove e quando l’avevo già incontrato.

 Sospirai e, allettata da lieti pronostici, mi abbandonai alla contemplazione del paesaggio, sorridente.

Salve! Eccomi qui, che ritorno, con un nuovo capitolo e nuove speranze!!! Innanzitutto un grazie speciale a Padme Undomiel, per la sua recensione, che, a quanto pare, attendeva da molto di essere scritta! XD E poi, un enorme ringraziamento a Mistery Anakin!!! Sono veramente felice che tu abbia apprezzato l'inizio della storia e spero che questo capitolo non ti deluda!!  Aspetto commenti sul protagonista maschile, che, come dice chiaramente il titolo, è presentato in questo cap! Grazie ancora, 

Shine

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Svolta ***


Svolta

3

Svolta

Passeggiavo all’ombra degli alberi, attraversando la pineta che conduceva in spiaggia. Come avevo immaginato, la giornata era afosa ed il caldo insopportabile. L’ombra dei pini era l’unica via di scampo, sebbene fosse una strada impervia da percorrere. Le foglie aghiformi erano sparse dappertutto ed intralciavano il cammino, soprattutto a chi, come me, portava sandali aperti. Ma, mai come allora, la cosa mi era del tutto indifferente. Di solito, le strane figure che formava il sole strisciando tra i tronchi ed i rami, la polvere, che, illuminata dagli accesi raggi di luce, si muoveva, danzando dinanzi ai miei occhi, e tutto ciò che poteva essere osservato in un luogo come quello, catturavano la mia attenzione e più volte avevo contemplato i molteplici aspetti del paesaggio, giocherellando magari con gli aghi di pino. Quel giorno non era così. La mia mente era impegnata a riflettere: non c’era posto per nient’altro.

Quando, quella mattina, avevo preso la decisione di chiedergli spiegazioni, non mi ero posta il problema di come trovarlo. Sperare d’incontrarlo per caso era allettante, ma sapevo che sarebbe stato difficile. D’altronde, se avessimo organizzato qualcosa con gli altri - includendolo nell’invito ovviamente -, non avrei avuto occasione di parlare sola con lui. L’unica opzione rimasta era presentarmi a casa sua, ma innanzitutto sarebbe stato imbarazzante, nonché inopportuno, e poi…ma insomma, bussare alla porta di casa sua, anche se non ci conoscevamo quasi per niente? Era fuori discussione.

Per fortuna mia nonna, che a quanto pare conosceva la sua, aveva insistito perché io li andassi a trovare, per portargli... Cosa stavo portando?

Consuetudini di paese che non condividevo affatto, ma, perlomeno, in quell’occasione mi sarebbero state utili.

Sospirai.

Mi chiedevo se la mia determinazione non nascesse dalla distanza dai suoi occhi. Quando li guardavo, perdevo inevitabilmente la mia lucidità. Sarei riuscita a parlargli?

Respirai. Non era il caso di tormentarsi così, in fondo ci mancava ancora molto per arrivare a casa sua.

Sollevai lo sguardo, fissando la spiaggia dinanzi a me.

Sgranai gli occhi.

Qualcuno, chissà dove, doveva avercela con me. Cos’era, spirito di contraddizione?

Era lì, appoggiato al tronco di una quercia e mi dava le spalle.

Il suo profilo, statuario, mi dava l’idea di un angelo disceso sulla terra, che ha il compito di risaltare ogni bellezza con la sua luce.

Respirai a fondo, come se mi preparassi ad affrontare un’ardua prova. E, in effetti, rivolgergli la parola con un minimo di lucidità mi sembrava esattamente questo.

Mi avvicinai lentamente.

Lui si voltò, di scatto.

Posò i suoi occhi scuri sui miei, lasciandomi senza parole, e rimase immobile a guardarmi.

“Ciao”, esordii, cercando una traccia di decisione, che però sembrava essersi volatilizzata.

Mi parve di scorgere l’ombra di un sorriso sul suo volto, quando ricambiò il saluto.

“Stavo venendo da te.”, spiegai, più determinata di prima. Non lo guardavo negli occhi.

“Ah, sì?”, mi domandò, ma sembrava che lo sapesse già.

Possibile che le voci corressero così veloci?

Ma no, figuriamoci : era solo una mia impressione.

“Venivi a portarci quello?”, soggiunse, indicando, divertito, l’involucro che portavo in mano.

Alzai le spalle. “Mia nonna.”

“Capisco.”, rispose, di nuovo serio. Si voltò, dandomi ancora  le spalle.

Rimasi impalata a fissarlo, troppo incantata per fare qualsiasi movimento.

“Volevi chiedermi spiegazioni, immagino.”, annunciò, pacato, senza guardarmi.

“Qualcosa del genere.”, risposi, aspettandomi che lui continuasse.

Non lo fece.

Mi feci coraggio. “Sai, sono molto curiosa. Perché hai deciso di mettere in guardia una quasi perfetta sconosciuta?”, chiesi, con la voce più tranquilla di quanto non mi aspettassi.

Era molto più facile se non incontravo il suo sguardo.

Le ultime parole famose.

Si voltò e mi fissò con gli occhi colmi di sorpresa.

“Non vuoi sapere a cosa si riferisse quell’affermazione?”, domandò, stupito.

“Ovviamente anche quello.”, confermai, sorridendo.

Continuava a studiare il mio viso, con una curiosità che mi stupì. Cercava di comprendermi attraverso i miei occhi, immaginavo. Non li distolsi. Non volevo farlo, e comunque non ci sarei riuscita. Era magnetico.

“Diciamo che mi sei simpatica.”, annunciò, rispondendo alla mia prima domanda.

“Ma se non ci conosciamo per niente!”, obbiettai. Stavo lentamente tornando me stessa, grazie al cielo.

“A prima vista…”, spiegò brevemente.

Io sospirai.

“Con quale ragazza hai visto Robert?”, domandai, rassegnata.

Lui levò lo sguardo, di nuovo sorpreso.

“Te lo aspettavi?”, mi chiese, incredulo.

“Matt…”, iniziai, provando una strana sensazione, “l’amore fa fare strane cose. A volte ci porta ad compiere scelte che per altri risultano incomprensibili.”

Lui sorrise.

Mi capiva. Gli era chiaro ciò che provavo, e lo comprendeva.

Toccò a me rimanere stupita.

“Non l’ho visto con nessun altra. Ma…”, cercò con difficoltà di spiegarsi, “… ho la sensazione che non ti dovresti fidare.”

“Immagino mi prenderai per uno sciocco.”, soggiunse, serio.

Io scossi il capo.

“Lo sento anch’io.”, ammisi, guardando a terra.

Non sapevo perché stessi dicendo una verità che fino ad allora non avevo ammesso neanche a me stessa, ma ne avevo un bisogno impellente.

“La fiducia in lui non è facile da riattizzare.”

Inaspettatamente lui annuì.

Capiva perfettamente perché avessi nuovamente intrapreso la storia con Robert, sebbene sapessi che non mi sarei dovuta fidare delle sue promesse.

“Dovevi venire a casa mia?”, domandò, dopo alcuni istanti di silenzio. “Ti va di venire con me?”

Mi accorsi di essere stata zitta, immersa nei miei pensieri, ed arrossii.

“Ok”, riuscii a dire, nuovamente timida.

Ci avviammo insieme, senza parlare.

Cercavo disperatamente di conversare, ma non sapevo su cosa. Non riuscivo ad esser naturale e continuavo a lanciargli occhiate, nervosa.

Dopo alcuni minuti, poiché la situazione era diventata imbarazzante, almeno per me, visto che lui sembrava a suo agio, m’imposi un contegno.

“Quanto tempo resterete qui?”, chiesi, sperando di suonare perfettamente serena e di non infastidirlo, immerso com’era nelle sue riflessioni.

Mi sorrise. “Suppongo rimarremo un mesetto. Non lo so con esattezza, però.”, completò, pensoso.

“Ti piace vivere qui?”, aggiunse poi, lasciandomi interdetta, sia per la natura della domanda, sia perché sembrava sinceramente interessato a quello che avrei risposto.

“Moltissimo.”, dichiarai, illuminandomi, dopo essermi ripresa. “Non lo cambierei con nessun altro luogo al mondo.”

Rimase colpito da questa mia ultima affermazione e riprese ad immergersi nella marea dei suoi pensieri.

Notai che era di nuovo triste. I suoi occhi si erano riempiti di una malinconia che mi strinse il cuore. Non sapevo come comportarmi, non sapevo cosa dire. Ma desideravo ardentemente che stesse meglio, che tornasse a sorridermi come prima. E, sebbene dietro all’espressione apparentemente serena non ci fosse mai allegria autentica, almeno era un piccolo passo avanti.

Non mi spiegavo come mai sentivo un vivo interesse nei suoi confronti, ma era così. Dalla prima volta che l’avevo incontrato. Ecco, gli dovevo anche questo. Matt Elliot aveva risvegliato la mia innata curiosità.

Sorrisi.

“Matt.”, dissi, cauta.

Lui si voltò, sorpreso di sentire la mia voce. Sembrava si fosse dimenticato che camminava assieme a me.

“Ti piace la musica?”, chiesi e lo vidi sorridere.

Aveva capito che era un goffo tentativo per distrarlo.

“Molto.”, rispose e cominciò a parlarmi dei suoi gusti, chiedendo, interessato, i miei.

 

L’aria fresca della sera era piacevole, ma ancor più appagante era dondolare sull’altalena, con la brezza leggera che mi scompigliava i capelli e m’invadeva completamente, ed osservare il cielo.

Dinanzi a me si stagliava uno spettacolo esaltante.

Il cielo era denso di sfumature, di una tonalità che oscillava dapprima da un pallido giallino, ad un verdino appena accennato, e poi si abbandonava alle varie sfumature di blu. La luna, uno spicchio sottile ma visibilissimo, era beige e risaltava sui colori dello sfondo, dando l’idea di un oggetto dipinto a chi, come me, contemplava il tutto da una fessura di due alberi, che protendevano i rami uno verso l’altro. Tutto era magico, tutto era perfetto.

Ero felice.

Il mio cuore pulsava allegro, e i ricordi che mi riaffioravano continuamente in testa erano meravigliosi. Il perché non lo sapevo, ma  ero certa di non provare una sensazione del genere da tantissimo tempo. Era un’emozione intensa, impareggiabile. Era la gioia pura, quella che ti porta a guardare tutto con nuovi occhi, da una nuova prospettiva. Mi pareva tutto perfetto, un equilibrio indissolubile, un incantesimo che non si poteva spezzare.

Dondolai più forte, ridendo.

Ma cosa mi stava succedendo? No, non ne avevo idea. Però era stupendo, ineguagliabile.

Lo squillo del cellulare mi riportò alla realtà.

Sospirai, ma la cosa non m’infastidiva più di tanto. Sprizzavo allegria da tutti i pori.

Lessi il numero sul display.

Un po’ della felicità che mi avvolgeva, svanì.

“Pronto.”

Attesi.

Un saluto.

“Ciao, Robert!”, esclamai in risposta, fingendomi piacevolmente sorpresa della sua telefonata.

“Dove sei?”, mi domandò, “Ho voglia di vederti.”

Sospirai.

“Anch’io. Ti va davanti casa mia?”, chiesi, rassegnata. Sarei rimasta volentieri sulla mia altalena.

“Tra dieci minuti?”

“Va bene.”, confermai, di malavoglia.

Dopo che l’ebbi salutato, chiusi la comunicazione.

Mi chiesi dove fosse andata a finire la gioia di poco prima.

Sospirai, balzai giù dall’altalena e iniziai a correre. Ero molto lontana da casa.

Il vento ora balzava tagliente sul mio volto, molto meno gradevole. Continuai imperterrita, senza curarmene. Pensieri cupi mi tormentavano. Mi chiesi per quale motivo, correndo per andare incontro al mio ragazzo, io pensassi a tutt’altra persona. Perché i suoi occhi scuri rispuntavano continuamente nei miei ricordi? Il suo sorriso, il suo volto. Mi ero sentita leggera quando mi aveva inavvertitamente sfiorato la mano e avevo provato l’irrazionale desiderio che la stringesse. E anche adesso non riuscivo a soffocare quella parte di me che sperava ci fosse lui al posto di Robert.

Mi riscossi, rimproverandomi aspramente. Ma cosa stavo facendo? Mi ero ammattita? Io amavo Robert. Ed i giorni passati a soffrire, a piangere per il desiderio di averlo accanto a me, ne erano una prova. Evidente. Non poteva essere ignorata.

Io amavo Robert.

Con tutta la forza che c’era dentro di me, con tutto l’ardore che potessi provare.

Mi fermai, giunta senza accorgermene dinanzi alla porta di casa.

Mi abbandonai sugli scalini, in attesa, con un rinnovato ed acceso desiderio di vedere il mio ragazzo.

Guardai davanti a me.

Dopo pochi minuti lui era lì: si avvicinava  esultante, ed io balzai in piedi, pronta ad accoglierlo.

“Ciao, amor mio.”, mi sussurrò dolce all’orecchio.

“Sei in ritardo.”, soffiai in risposta, ma non abbastanza decisa.

Lui mise una mano attorno alla mia vita e mi strinse a sé.

“Mi farò perdonare.”, annunciò, accarezzandomi il viso.

“Non credo ci riuscirai…”, lo minacciai, ma già mi ero arresa.

“Dici?”, chiese lui, divertito.

Mi prese il viso e lo avvicinò prepotentemente al suo.

Sentii il suo respiro, il suo profumo, e non potei frenarmi nel pensare a quello di Matt, ineguagliabile.

Le sue labbra incontrarono le mie, mi baciò con forza.

Fu allora che capii. O meglio, qualcosa scattò dentro di me.

Non c’erano i fuochi d’artificio. Non c’era l’arcobaleno di sensazioni. Era solo un bacio.

 

 

“La finisci di strattonarmi, Lizzy?”, chiesi, esasperata. “Un po’ di ritardo non ha mai ucciso nessuno.”

“Uffa.”, commentò la mia amica, muovendo i suoi capelli scuri con impazienza.

Sospirai e ripresi a camminare, con il passo un po’ più svelto.

Una parte di me, una parte molto più ampia del previsto, era pienamente soddisfatta dal fatto che Robert non potesse venire con noi. Un po’ perché non riuscivo a spiegarmi come mai quel bacio fosse stato così, come definirlo, vuoto, ed un po’ perché ci sarebbe stato anche Matt. Chissà perché non volevo che s’incontrassero. Ero diventata irrazionale, non c’era alcun dubbio. Senza contare che avevo impiegato mezz’ora in più di Elizabeth, per prepararmi. Non era affatto normale per i miei standard! Mezz’ora più della persona che trascorreva più ore davanti allo specchio di qualsiasi altra ragazza della città. Emily? Dove sei finita?, mi chiesi.

“Ah, eccoli.”, sbuffò contrariata Lizzy,  mentre salutava gli altri con la mano.

Lo feci anch’io, mentre cercavo d’individuarlo con lo sguardo.

Sospirai di delusione.

Non c’era.

Mi avvicinai, affiancata da Elizabeth, un po’ meno ansiosa.

Salutai tutti, imponendomi di sorridere.

C’era un ragazzo che non avevo mai visto. Mi colpì. Era molto bello, slanciato, con il viso magro e i lineamenti che parevano scolpiti da un artista provetto. Un altro componente della famiglia Elliot? Qualcosa mi spinse a dubitarne. Aveva degli occhi molto diversi da quelli di Matt e dei suoi genitori. Erano scurissimi, quasi neri, freddi e taglienti. Lo fissai, curiosa.

“Mi chiamo Charlie.”, si presentò, allegramente.

Il suo sguardo non si addiceva ai suoi modi. Sembra aperto ed allegro, ma il gelo delle sue occhiate mi faceva venire i brividi.

“Sono Emily.”, dichiarai, sforzandomi di sorridere.

Ci avviammo assieme al resto del gruppo. Mi lasciai distanziare dagli altri. Avevo il desiderio di riflettere, e non volevo simulare attenzione alla conversazione degli altri. Constatai che il fatto che Matt non ci fosse mi deludeva profondamente, anche se non riuscivo a capire perché. Cosa mi aveva colpito tanto di quel ragazzo? Era stupendo, non si poteva negare, ed anche molto simpatico, ma insomma: quella speranza quasi morbosa di vederlo era inspiegabile.

Sospirai.

“Pensavi al tuo ragazzo?”, domandò una voce alle mie spalle, facendomi sobbalzare.

Alzai lo sguardo. Di nuovo gli occhi di Charlie mi fulminarono.

“Non per essere scortese, ma sinceramente non sono fatti tuoi.”, ribattei, con malizia.

Rise.

“Sono perfettamente d’accordo.”, annuì, deciso.

“Posso sapere, almeno, se erano pensieri felici?”, soggiunse poi, il volto illuminato da un grande sorriso.

Ci pensai.

“Non saprei se definirli allegri, ma neanche, be’, depressivi.”, commentai, pensosa.

Lui non mi fece altre domande a riguardo.

“Posso essere disturbati da una conversazione?”, chiese lui, fissandomi intensamente.

Rabbrividii impercettibilmente, tuttavia riuscii a suonare tranquilla quando risposi: “Assolutamente sì.”

Lui ne parve contento.

“Visto che io ho proposto di parlare, tu potresti decidere l’argomento.”, asserì, sogghignando.

“Credevo che, avendomelo chiesto, sapessi già su cosa conversare.”, argomentai, un po’ sorpresa.

“Io sono un gentiluomo. Prima le donne.”, sentenziò, divertito.

Scossi il capo, ma poi annuii.

“Se non ti dispiace vorrei soddisfare una mia piccola curiosità.”, affermai, studiando la sua espressione.

“Dimmi.”

“Sei un Elliot?”, chiesi in un soffio, imbarazzata.

Lui rise.

“Che cosa te lo fa credere?”, mi domandò lui.

“Be’, insomma, supponevo che la vostra fosse una bellezza ereditaria.”, dichiarai, arrossendo.

Lui scoppiò in una risata fragorosa, molto più divertito da un’affermazione che non mi sembrava tale da suscitare ilarità.

“Sono qui con loro, ma sono un amico di Matt. Non faccio parte della famiglia.”, spiegò Charlie, dopo che si riebbe.

Mi guardò e rise ancora.

“Ora capisco perché gli sei così simpatica…”, commentò, d’un tratto pensoso.

“A chi?”, chiesi, stupita e trepidante.

“A Matt”, annunciò lui, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

Sentii un tuffo al cuore, mentre rimanevo impalata a fissarlo.

Lui mi superò, sempre sorridendo.

“Aspetta.”, gli urlai dietro, appena mi fui ripresa.

“Pretendo spiegazioni.”


Un ciao speciale a tutti i miei lettori!
Innanzitutto, vorrei ringraziare di cuore Padme Undomiel e Mistery Anakin,  fedeli recensori! Vi ringrazio per i vostri pareri così favorevoli alla mia storia e spero che, andando avanti, non vi deluda!
Questo cap vuole delineare ancor di più il personaggio di Matt, con il suo misterioso modo di fare, con  la segreta tristezza che lo anima, con la magnetica attrazione che provoca sulla protagonista ..., ma anche presentare un nuovo personaggio, che avrà un ruolo veramente importante nel corso della storia.
Ringrazio in anticipo quanti vorranno leggere e spero di non deluderli!!!
Shine

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Decisione ***


Decisione

4

Decisione

Il sole splendeva con tutto l’ardore possibile, infuocando il cielo limpido con la sua luce inarrestabile, e scintillava, quasi scoppiettando, sui granelli di sabbia e sull’acqua, calma e limpida. L’angolino di spiaggia che osservavo, l’unico libero dalla sorprendente miriade di persone che la popolavano quel giorno, era molto suggestivo. Respirai profondamente. L’aria salmastra, unita al panorama squisitamente perfetto, mi lasciava piacevolmente stupita. Mi appoggiai al muretto, sfiorando inavvertitamente la mano del mio compagno. Alzai lo sguardo.

Mi ero sbagliata. Alla luce del giorno i suoi occhi non erano così spaventosi come credevo. Avevano, anzi, un qualcosa di particolare, che li rendeva molto affascinanti. Un castano scurissimo, con sfumature più chiare. 

Sorrisi.

Era stato molto facile fare amicizia con Charlie. Tutto era venuto spontaneo, non c’era stato bisogno di sorrisi forzati, di falsa attenzione. I nostri gusti, perlomeno da quel poco che avevamo appurato trascorrendo una serata insieme, collimavano perfettamente. Ne ero felice.

“Posso sapere perché mi fissi?”, chiese, nel tono di voce una nota di impazienza.

Arrossii.

“Pensavo… che hai dei begli occhi.”, asserii, cercando di apparire serena.

Inaspettatamente s’incupì.

Lo guardai, sorpresa. Che cosa avevo detto di male?

Lui si rese conto della mia preoccupazione e si riprese immediatamente. Sorrise, cercando di essere il più naturale possibile.

Ci riusciva benissimo, molto meglio di me.

Volevo chiedergli cosa gli fosse successo, ma non ne ebbi il coraggio. Calò un silenzio funereo, che non riuscivo a rompere.

Poi ricordai una cosa.

“Devi ancora spiegarmi perché sono simpatica a Matt.”, gli feci notare, contrariata.

La sera prima non aveva voluto dirmelo. Si era limitato a rispondermi che avrei dovuto indovinarlo da sola. Non ero riuscita a persuaderlo.

“Ti interessa molto, a quanto vedo.”, argomentò, con sguardo indagatore.

Dissimulai il mio fin troppo evidente imbarazzo in modo goffo.

“Mi hai incuriosito.”, chiarii, con un’alzata di spalle.

Lui rise, ma non sembrava intenzionato a sputare il rospo.

Sospirai.

“Te lo ha detto lui?”, domandai, d’un tratto pensierosa.

“Diciamo che l’ho dedotto.”, dichiarò Charlie, sorridendo.

“Da cosa?”, chiesi, curiosa.

Anche lui sospirò.

“Di solito Matt non parla molto con gli altri, e in ogni caso, a casa, non racconta mai dei suoi incontri.”

Mi parve di avvertire un certo disappunto, unito a qualcosa che assomigliava molto al senso di colpa, nella sua voce.  Se una parte di me era curiosa di scoprire cosa provocasse reazioni del genere al mio nuovo amico, ad interessarmi maggiormente era Matt. Non sapevo se mi sarei trovata nuovamente in una situazione così favorevole a soddisfare la mia curiosità, che aveva raggiunto livelli estremi. Dovevo chiederglielo.

“Perché è così triste?”, sussurrai, sentendomi immediatamente malinconica al ricordo dei suoi occhi spenti.

Charlie rimase un po’ in silenzio, preso dai suoi pensieri.

Mi pentii della domanda che avevo fatto. Ero stata indiscreta ed invadente.

“Scusa.”, dissi, mordicchiandomi le labbra. “Non volevo impicciarmi.”

Lui scosse il capo.

“Sono io a dover scusarmi. Il fatto che è una storia molto triste. È brutto pensarci anche per me che non sono stato coinvolto.”, affermò, e sembrava veramente cupo.

Possibile che tutti avessero dei segreti in quella casa? Feci un respiro profondo. Sebbene la mia curiosità fosse salita alle stelle, non feci altre domande. Non erano fatti miei, pensai, mettendo a tacere il desiderio di sapere qualcosa in più.

Inaspettatamente fu lui a continuare.

“Due anni fa Matt stava con una ragazza.”, raccontò, mentre gli leggevo negli occhi una profonda sofferenza. “Si chiamava Anne.”

“Si chiamava?”, bisbigliai, sorpresa.

Lui annuì, lanciandomi un’occhiata addolorata che m’impedì di fare ulteriori domande, e riprese: “Erano molto felici insieme. Ricordo che Matt aveva un’ energia, un buon umore costante, una gioia negli occhi impareggiabile. Rimasero insieme per due anni, più o meno.”

Lo ascoltavo attenta, temendo che arrivasse ad una fine che, in parte, mi aspettavo.

“Lei morì, in un incidente.”, concluse, sottolineando quest’ultima parola, con una rabbia che, benché evidente, io non colsi, lasciandomi di sasso.

Terribile. Era terribile. Non ci potevo credere. Non volevo farlo. Il solo pensiero che Matt, così simpatico, così dolce, dovesse aver sofferto a quel modo mi trafisse dolorosamente.

“Matt non sopportò la perdita. Non l’ha ancora superata. Ha sofferto così tanto…”, soggiunse, fremendo.

Si sentiva in colpa, anche se non capivo perché. Non riuscivo a comprendere nemmeno lui. Aveva detto di non essere stato coinvolto in tutta questa storia. Ma allora perchè reagiva così?

“Cos’hai?”, gli chiesi, stupita.

Lui scosse il capo.

Rimasi in silenzio, guardando dinanzi a me. Era comprensibile che non mi volesse dire altro. Probabilmente aveva già parlato troppo. In fondo, c’eravamo appena conosciuti. Ripensai a Matt e a quello che avevo scoperto su di lui. Non mi sarei mai aspettata una cosa del genere. Ero distrutta, sconvolta. 

Mi ero riproposta di sollevargli il morale? Non ci sarei mai riuscita. Come potevo esserne in grado? Non avevo mai provato un dolore di proporzioni simili.  Perdere la persona amata. Non riuscivo a capacitarmene. Come si poteva andare avanti?

Sentivo lo sguardo di Charlie su di me e m’imposi un contegno.

“Non volevo sconvolgerti.”, dichiarò, fissando i miei occhi lucidi, preoccupato.

La mia solita reazione da ipersensibile e da bambina.

Scossi il capo.

“Sto bene.”, asserii, cercando di controllare il tono di voce.

Respirai a fondo.

“Eravate amici allora, tu e Matt?”, gli chiesi, sperando di non essere ancora  inopportuna con le mie continue domande e di non manifestare la mia crescente curiosità di capire per quale motivo Charlie si sentisse così.

Lui sospirò e fece un cenno di diniego.

“Non ero proprio… be’, come sono ora. Mettiamola così: attraversavo la fase duro e idiota.”, mi spiegò, evidenziando una nota di rancore nella voce. “Fu questo avvenimento a farmi cambiare.”

Notai che gli era difficile parlarne e mi trattenni dal chiedere altro, anche perché non sembrava del tutto sicuro che fosse un bene avermi raccontato tutto. Lo avevo intuito dall’espressione del suo viso.

Sospirai.

Sentivo un forte peso dentro di me. Ero dispiaciuta per Matt, per quello che aveva passato, per Charlie, che si sentiva in colpa per chissà quale motivo, ma -cosa più importante - ce l’avevo con me stessa.

Non ero riuscita, né ce l’avrei fatta mai, ne ero sicura, ad alleviare la tristezza e il dolore di nessuno dei miei due nuovi amici.

 

 

Respirai a fondo. L’odore dei libri, delle biblioteche e delle librerie mi piaceva tantissimo. Era in qualche modo familiare, caldo. Di solito era in una biblioteca, o meglio, nell’unica biblioteca della città, che mi rifugiavo per rilassarmi o tirarmi un po’ su di morale. Ed era lì che adesso mi ritrovavo. A riflettere.

Le mie amiche erano rimaste interdette quando le avevo informate che non sarei andata con loro in spiaggia, ma in biblioteca, a leggere. Non riuscivano a capire come potesse venirmi in mente di rinchiudermi tra polverosi scaffali e una miriade di libri, in una giornata calda e piacevole come quella. Per fortuna Lizzy mi aveva risparmiato le spiegazioni. Aveva capito, mi conosceva meglio di chiunque altro- dovevo ammetterlo - che sentivo il bisogno di restare sola. Sospirai. Elizabeth era veramente una grande amica. La migliore che potessi desiderare.

Ero seduta su una poltroncina molto comoda, la mia preferita, ed avevo accanto a me il libro che preferivo di Dostoevskij ,‘Le notti bianche’. Osservai la copertina, sorridendo. Diceva cose bellissime, troppo giuste per essere ignorate. L’amore può essere appagante anche se solo per i pochi attimi che l’hai provato, e può renderti felice anche solo sapere che la persona a cui hai donato il tuo cuore ora è serena e ha visto avverarsi i suoi sogni. Ora capivo come aveva fatto Matt a superare tutto quello che aveva passato. Lui sapeva che Anne era felice, da qualche parte, anche se lontana. Ma il pensiero del dolore che doveva aver provato mi trafiggeva, distruggendomi. Non riuscivo a sopportare l’idea che dovesse aver sofferto a quel modo. Era terribile, insensato, ingiusto.

Mi guardai intorno. Gli scaffali stracolmi di volumi mi rilassavano. Che strano! Erano una sorta di appiglio per la mia mente, nella quale turbinavano tantissimi pensieri. Ogni libro conteneva un suo piccolo universo, in cui potevo immergermi leggendo. Era qualcosa d’alternativo alla tristezza causatami da ciò che avevo saputo. Sfiorai con la mano la copertina del libro. Avevo scelto proprio il giusto libro per tirarmi su di morale! Risi.

Lo presi e ricominciai a leggere da dove ero rimasta.

D’un tratto non ero più seduta comodamente in poltrona, ma ero in una delle strade di San Pietroburgo, a guardare il protagonista raccontare la sua vita a Nasten’ka e innamorarsi di lei. Sentivo su di me il fresco della notte, vedevo il buio, rischiarato nel punto in cui i due giovani conversavano. Era stupendo essere lì. Mi sentivo veramente appagata e felice. Guardavo i due sorridere, guardarsi negli occhi. Avrei voluto poter provare anch’io la stessa emozione. Chiusi il libro.

Era chiaro che con Robert le cose non andavano più come prima. Non c’erano le stesse emozioni, la stessa intensità. Il mio ragazzo era annoverato tra i pensieri angoscianti. Non avevo dimenticato il mio desiderio di stare insieme a lui, la sofferenza provata per la distanza tra noi quando lo avevo lasciato, ma sentivo di non provare per lui lo stesso ardore di un tempo. Il bacio del giorno prima me lo aveva confermato.

Se prima avevo desiderato tanto stare ancora con lui, adesso non lo sapevo più. Non ero sicura che i miei sentimenti nei suoi confronti si fossero del tutto spenti, ma non ero certa di amarlo. E non volevo essere ipocrita. Stare con lui senza questa indispensabile sicurezza mi sembrava sbagliato. Sospirai.

 Avevo già preso la mia decisione, per quanto difficile fosse. E l’avrei rispettata, com’era nel mio carattere.

“Scusi”, sentii una voce che si rivolgeva a me.

Sollevai lo sguardo, sorpresa. Non mi ero accorta di essere rimasta con lo sguardo fisso nel vuoto, come in trance.

A parlarmi era stata una ragazza che doveva avere la mi stessa età. Era, ne ero assolutamente certa, un’altra Elliot. Assomigliava molto a Matt. Sorrisi tra me e me. Quella settimana avevo conosciuto l’intera famiglia!

“Saprebbe dirmi dove si trovano i romanzi gialli?”, domandò, educatamente.

“Secondo scaffale, a destra.”, dichiarai, sorridendo.

“Grazie.”, sorrise e si diresse nella direzione che le avevo indicato.

Era perfetta, come tutti i membri di quella famiglia. Una bellezza immediatamente visibile. Doveva essere Sophie, la sorella di Matt. Me ne aveva parlato molto diffusamente, nella breve conversazione che avevamo fatto. Avevo visto i suoi occhi accendersi d’affetto. Dovevano avere un bel rapporto, pensai, invidiandoli un po’. A me sarebbe piaciuto moltissimo avere un fratello o una sorella maggiore, una figura che potesse guidarmi, confortarmi nel bisogno. Purtroppo ero figlia unica. Un nuovo sospiro. Troppi, decisamente.

Ripresi la lettura e m’immersi completamente nelle pagine del libro. I contorni della libreria divennero sempre più confusi, mentre vedevo Nasten’ka attaccata mediante uno spillo a sua nonna cieca, che pensava all’uomo amato. E la sua tenera immagine nella notte, il suo viso dai dolci lineamenti, che si riempiva di profonda nostalgia. Ecco, ora la realtà era cambiata. E la nuova, nella quale mi trovavo, era senz’alcun dubbio meravigliosa.

Il tempo passò in un soffio, come se lancette dell’orologio avessero accelerato improvvisamente il loro giro. Quando terminai la lettura, erano ormai quasi le 20:00. Mi alzai, sentendo le gambe intorpidite per essere rimaste così a lungo nella stessa posizione.

Dopo aver restituito il libro, mi diressi verso l’uscita. Dovevo sbrigarmi, perché la mia casa era molto distante. Mi avviai a passo svelto.

Il cielo era ancora azzurro, benché fosse tardi. Il sole si avviava lentamente al tramonto, tingendolo con curiose sfumature violacee. Era molto affascinante, quasi incantato. C’era sempre stato qualcosa che mi aveva colpito profondamente del cielo. Era qualcosa di misterioso e impareggiabile. Non c’era mai una volta che, alzando gli occhi, scorgessi particolari già visti. Mutava sempre, si scuriva e si schiariva, era sfumato, limpido, grigio, blu. Sorrisi.

Era proprio il caso di dirlo, ero letteralmente fra le nuvole.

Mi riscossi ed affrettai il passo.

Poco più avanti a me scorsi Sophie, che guardava con aria decisamente omicida il suo cellulare. Mi chiesi cosa fosse successo.

Inaspettatamente lei mi fermò, mentre la passavo davanti.

“Tu sei Emily, vero?”, mi chiese, guardandomi negli occhi. “Oh, scusa. Sono stata molto maleducata. Posso darti del tu?”.

“Certo che sì!”, esclamai, sorpresa che conoscesse il mio nome. L’aveva saputo da Matt o da Charlie?

“Io sono Sophie, la sorella di Matt, piacere.”, si presentò, porgendomi la mano.

La strinsi.

“Il mio nome lo conosci già”

“Mio fratello mi ha parlato di te.”, spiegò, rispondendo alla mia implicita domanda.

Io sorrisi, segretamente lusingata.

“Senti, Emily… Scusa se te lo chiedo, ma non è che potresti prestarmi il tuo cellulare? Il mio è scarico e dovrei fare una telefonata.”, mi domandò, con aria supplichevole.

“Non preoccuparti, puoi usarlo tranquillamente.”, dichiarai,porgendoglielo.

“Grazie.”, rispose e sembrava sprizzare gratitudine da tutti i pori.

Le sorrisi. Così Matt le aveva parlato di me. Non potevo esserne più felice.

 

 

“Mi hai fatto venire un infarto!”, esclamai, fingendomi arrabbiata. In realtà ero molto felice di rivederlo. Il mio cuore aveva cominciato a battere ad una velocità impressionante, quando i suoi occhi avevano incontrato i miei. Erano di una bellezza mozzafiato, così affascinanti, così misteriosi. Erano sovrannaturali, meravigliosamente fuori dal comune.

“Scusa.”, disse, ma non sembrava affatto pentito.

Continuai a fissarlo, ma lui non parlò. Si avvicinò a me e si mise ad osservare il panorama al mio fianco. Guardai anch’io davanti a me.

Campi biondi e colline verdi, fitte di rigogliosa vegetazione, si stagliavano magicamente coesi, dinanzi ai nostri occhi. Si sentiva il profumo dell’erba, la fragranza dei girasoli e dei piccoli fiori di campo sparsi qua e là. Era molto bello stare lì, ma non riuscivo a concentrarmi sul paesaggio. Come potevo farlo? L’incarnazione di una divinità era accanto a me.

“Hai conosciuto mia sorella.”, annunciò, facendomi sussultare.

Adesso mi guardava attentamente, negli occhi.

Arrossii violentemente.

“Già.”, risposi, cercando di recuperare la mia tranquillità. “È molto simpatica.”

Lui sorrise, i suoi occhi si riempirono d’affetto.

“Sophie è semplicemente fantastica.”

Tornò a fissare l’orizzonte, ma io non distolsi lo sguardo. Ero incantata, senza parole. Per un istante avevo visto i suoi occhi animarsi, venir fuori dal solito vuoto che li avvolgeva. Erano splendidi. Due bagliori luminosi, d’amore, di speranza. Indescrivibili.

“Lo sai…”, soggiunse lui, risvegliandomi dalle mie riflessioni. “Non ho ancora capito perché non ti sono antipatico.”

Io lo fissai, sorpresa.

“Perché dovresti essermi antipatico?”, domandai, incredula.

Lui sospirò.

“Il mio carattere non è proprio… accomodante, mettiamola così.”, spiegò, pensoso. “Di solito non suscito le simpatie generali.”

Io lo guardai, gli occhi sgranati.

“Non è così terribile.”, asserì, ridendo alla mia espressione.

“I caratteri misteriosi sono molto affascinanti.”, commentai. “E, in ogni caso, non sono affatto d’accordo con te. Sono stata molto bene in tua compagnia, l’altra volta.”

Arrossii, ma lui scosse il capo, stupito.

“Siamo stati per la maggior parte del tempo in silenzio.”

“Però, quello di cui abbiamo parlato è stato molto interessante.”, ribadii, decisa.

Lui sorrise, alzando gli occhi al cielo. Poi si fece nuovamente serio.

“Charlie ti ha parlato di Anne.”

Di nuovo le mie guance si colorirono di un rosso acceso. Doveva per forza sapere ogni cosa?

“Già.”, sospirai, triste. “Mi spiace.”

Lui scosse il capo.

“Sai, Emily, per certi versi tu le assomigli molto.”

Rimasi interdetta.

Lui mi sorrise, lanciandomi uno sguardo pieno di… era ammirazione?

Non riuscivo ad articolare una sola parola.

“Visto che hai scoperto il motivo per il quale sono triste, posso chiederti perché lo sei tu?”

Cercando disperatamente di riprendermi, risposi: “Cosa ti fa pensare che io non sia felice?”

“I tuoi occhi, prima.”, spiegò, fissandomi. Era sinceramente curioso di saperlo.

“Non riesco a spiegarmelo neanche io.”, affermai, ritornando con la mente a tutte le mie ultime riflessioni. Avevo indagato inutilmente, alla ricerca di una spiegazione, per la strana sensazione che mi attanagliava lo stomaco. Non ero riuscita a trovarla.

Lui seguitò a studiarmi, poi scorse qualcosa a terra e sorrise.

Colse una piccola margherita bianca, dai petali molto delicati e me la infilò tra i capelli, lentamente.

“Ti sta molto bene.”, disse, sospirando, mentre io lo fissavo, senza parole.

“Sai…”, spiegò, “la margherita è il fiore della pazienza. Un po’ di pazienza, e troverai le spiegazioni che cerchi.”

Mi sorrise, poi salutandomi con la mano, si allontanò.

Lo guardai allontanarsi, desiderando rivivere ad uno ad uno quei momenti. La sua carezza, la sua mano calda, i suoi occhi, il suo sorriso. Perché era tutto finito? Perché era andato via?

 

 

Quando fai una scelta, vieni colta dall’immediato sollievo di esserti liberata da quest’incombenza. Sei più tranquilla, serena. Poi però, bisogna passare dalla fase ipotetica, nella quale hai deciso di fare qualcosa, a quella effettiva, in cui devi mettere in pratica ciò che hai pensato. E non è facile!

Era proprio in quella mattina assolata e calda, il giorno dopo che il ragazzo più bello della terra mi aveva messo un fiore trai capelli, che avevo deciso di lasciare Robert. La temperatura arrivata a livelli estremi, quella calura appiccicosa ed insopportabile mi davano alla testa, mentre sedevo sul muretto della villa, in attesa. Robert mi aveva chiesto se potevamo vederci ed avevamo concordato di incontrarci lì.

Di solito mi piaceva molto quel posto. Era allegro, pieno di piante, cespugli di enormi e bellissime rose variopinte, tra cui anche un piccolo rovo dai rari fiori blu, cangianti e profumati, panchine dall’aspetto trasandato ma familiare ed un enorme viale, circondato da alberi imponenti, l’ideale per passeggiare e godersi un po’ d’ombra. Ma ero troppo agitata per lasciarmi incantare. Temevo di farlo soffrire, di non sapere cosa dirgli, di non esserne in grado. Un’ansia profonda s’agitava imperterrita dentro di me, senza che io riuscissi a frenarla.

Respirai a fondo.

Dovevo distrarmi. Non potevo certo aspettarlo in quello stato pietoso. Cercai di cambiare il corso dei miei pensieri e di dirigerli da un’altra parte.

Ma, non appena riuscii ad abbandonare l'immagine di Robert e di una sua possibile reazione, un'altra figura, come ormai accadeva troppo frequentemente, spuntò nei miei pensieri, in tutto il suo magico fascino. Era ammirazione quella che gli avevo letto negli occhi, o mi stavo solo illudendo? Davvero assomigliavo ad Anne? Ma cosa più importante, quanto contava tutto questo per me?

“Emily?”, domandò una voce consueta, risvegliandomi dai miei pensieri.

Alzai lo sguardo.

Stavo per salutarlo, quando notai che aveva un’espressione sconvolta. 

“Robert, cosa è successo?”, chiesi, in ansia.

Lui mi guardò, triste.

Si sedette accanto a me e sussurrò: “Amore mio…”

Era disperato, si leggeva nei suoi occhi.

“Cosa…?”, cercai di domandare ancora, ma lui fu più veloce di me.

“I miei genitori mi hanno appena detto che hanno intenzione di separarsi.”, spiegò, la voce rotta dal dolore.

Rimasi di sasso e lo fissai sbalordita.

Non era possibile. Conoscevo i suoi da tantissimo tempo. Erano una coppia stupenda. Non era vero. Non poteva esserlo.

“Robert, mi… mi spiace tantissimo.”

Era tutto quello che riuscivo a dire. Non sapevo, non ero in grado di consolarlo.

“Hanno detto che era da un po’ che ci avevano pensato.”, si sfogò, con un nodo alla gola. “Li avevo visti litigare più spesso ultimamente, ma non credevo…”

Non riusciva a parlare: io lo accarezzai dolcemente.

Mia madre mi aveva accennato che il rapporto tra di loro si era un po’ raffreddato -le dicerie si diffondevano ad una velocità impressionante- ,ma non avrei mai creduto che fossero vere fino a quel punto.

"Oh, Robert ..."

Non avevo altro da dire. Cosa avrei potuto fare? Era una situazione di cui non sapevo nulla e poi… non avevo lo avevo mai visto così. Il dolore avvolse anche me.

Lo abbracciai, cercando di fare con i gesti, quello che non riuscivo a dire con le parole.

Gli accarezzai dolcemente il viso e gli sussurrai che gli volevo molto bene. Ma dentro di me sentivo una voce che gridava che il mio non era amore. La repressi. Non potevo dirglielo adesso. Non potevo.

Un ciao speciale a tutti quelli che vorranno leggere questo capitolo e un "zalve" affettuoso a Mistery Anakin e Padme Undomiel, che seguono, imperterrite, questa storia!

Vi ringrazio moltissimo per le recensioni che mi lasciate e per i bei pareri che esprimete! Non so cosa farei senza di voi!! Sono davvero contenta che il mio stile vi piaccia e che i personaggi vi incuriosiscano!!XD Spero che i cap che seguiranno non vi deludano ...

Allora, in questo cap, inizia a farsi strada in Emily la consapevolezza che Robert non può più suscitare in lei quell'amore, che aveva sempre creduto di provare. Ma la sua decisione viene messa a dura prova dagli avvenimenti , che, tuttavia, non riescono a scalfire i nuovi dubbi che le si presentano. 

Spero di essere riuscita a catturarvi e ad incuriosirvi e spero tanto, per la felicità della cara Padme, di non aver fatto troppi errori di virgole.

Grazie ancora!!!!

Shine

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Sogno ***


Sogno

5

Sogno

“…Immobile. Catturata in un attimo di follia. Un istante che non scorre mai. Sul ciglio della strada. Lo sguardo vitreo, i capelli svolazzanti. La gonna mossa dal vento, da quella brezza che la invadeva insistentemente. Vuota, senza nessuno scopo. Il suo sguardo non rifletteva ammirazione, non rifletteva stupore. Eppure quel cielo che tanto le piaceva era lì. Ed il sole che calava lentamente, scomparendo pian piano, era lì. Tramonto. Il roseo colore di cui si tingeva il cielo, l’arancio acceso di vera energia. File di alberi verdi, una collina lontana e, dietro di lei, tanti intrecci di pini e di abeti, di querce e castagni. Ma era impassibile. Il suo cuore era impassibile. Non c’era più ragione di ammirare, non c’era più passione che potesse ardere nel suo cuore. Immobile…immobile.

Il tempo era fermo. Gli attimi scorrevano lenti ed un cupo grigiore sembrava ricoprire tutto. Il succedersi dei suoi ricordi sembrava un vuoto video di immagini, catturate in momenti troppo lontani per essere realmente esistiti. Ecco cos’era la sua vita. Si era ridotta ad un cumulo di ricordi sovrapposti, ricolmi di sorrisi che non sarebbero più ricomparsi. Non le appartenevano più. Non erano più suoi. Una persona, tanto simile a lei quanto sconosciuta, si muoveva in quelle immagini che riecheggiavano nella sua mente. E le foto sbiadite costituivano ormai solo flebili inganni. Illusioni di vivere di nuovo. Di respirare il profumo della gioia, di sentire il gusto di un sorriso, di ascoltare il suono delle risate.

È lì. Come se fosse una roccia di freddo marmo. Come se fosse in un ombra perpetua in cui il destino l’ha condotta suo malgrado. In un buio opprimente e soffocante, ma che le appartiene. È suo. Come le appartiene la sua vita. Ed ha diritto di farne ciò che vuole. Ciò che desidera. Ciò che veramente l’ha condotta lì. Con il suo sorriso è sparito anche  il suo coraggio. Quello che le permetterebbe di svanire in un attimo. Ma quel momento, che lascerebbe tutti con il fiato sospeso, è troppo lungo per essere chiamato così.

 Forse le era ancora concesso sfogliare i suoi ricordi? Lo aveva fatto così tante volte, una in più quanto contava? Ma le parole nella sua memoria non le sembravano altro che uno spreco d’inchiostro. Solo lettere su lettere, pagine su pagine, scritte per il gusto di aggiungere un nuovo libro alla biblioteca delle storie di un mondo. Ma che differenza poteva fare uno nuovo libro, fra centinaia di testi e testi già esistenti? Avevano veramente importanza gli avvenimenti di una storia fra mille? Forse era giunta l’ora di incidere definitivamente le quattro lettere più importanti… fine…”

Chiusi il libro, con un grande sospiro. Era il tramonto, uno come tanti, come quello descritto in quei periodi che avevo appena letto.

Avevo deciso di fare una lunga passeggiata, per schiarirmi un po’ le idee. L’aria cristallina del pomeriggio, la calma e la serenità che infondeva l’azzurro sempre più scuro del cielo e le nuvole arancio, che si stagliavano in tutta la loro bellezza sul lontano orizzonte, mi fornivano la quiete di cui avevo bisogno. L’odore tenue del mare, della sabbia, e l’eco delle risate, che risuonava sulla spiaggia ormai deserta, mi tranquillizzava, permettendomi di analizzare con cognizione di fatto tutto ciò che mi frullava insistentemente nella mente.

Ero sinceramente ferita dalla situazione in cui si trovava Robert e speravo che le cose si aggiustassero. Non l’avevo mai visto così triste, così duramente provato dalla sorte, da sfogarsi senza ritegno. Ma mi rimproveravo aspramente per quello che stavo facendo. Non potevo continuare a stare con lui, sebbene fossi certa di non amarlo più. Io, che aborrivo come la peggiore delle colpe l’ipocrisia, che detestavo terribilmente le menzogne! E non mi pareva neanche giusto fingere, poiché era questo che principalmente Robert aveva rimproverato ai suoi. Di aver mentito. Ma, d’altra parte, potevo dirgli la verità, adesso che stava così male?

Sospirai.

Sentivo dentro un profondo vuoto, anche per Matt. Il fatto che lui avesse dovuto sopportare la morte di una persona così importante era terribile ed insopportabile anche per me. D’altra parte, ciò che aveva detto, il fiore che mi aveva messo tra i capelli. Perché? E per quale motivo tutti, in quella famiglia, nascondevano qualcosa? Dove avevo già incontrato Matt?

Ed anche Charlie mi preoccupava. Si sentiva in colpa, più che evidente, ma non riuscivo a comprenderne la ragione.

Respirai a fondo, mentre l’aria fresca m’invadeva i polmoni.

Era da queste riflessioni che quel giorno, mentre passeggiavo sul lungomare, ero giunta alla conclusione che le storie del mondo erano infinite, che ogni persona che mi passava davanti aveva una sua vita, le sue gioie ed i suoi dolori. Ed io non potevo farne parte. E non potevo risolvere ogni cosa che non andava per il verso giusto.

Mi era venuta voglia di rileggerle una storia che avevo scritto tempo prima.  Raccontava di Katherine, una donna molto giovane a cui era morto il marito appena dopo un anno di matrimonio. Era un breve scorcio del suo io, nel difficile periodo in cui doveva scegliere tra porre fine alla sua vita o continuare ad andare avanti.  Ma proprio quando sembrava determinata a spegnere la fiamma della sua vita, qualcosa le aveva fatto cambiare idea. Un piccolo sbuffo nel suo ventre, che le aveva annunciato che non era più sola. Che c’era qualcosa per cui valeva la pena continuare a lottare.

Mi piaceva rileggere quelle parole. Perché, almeno per lei,  avevo potuto decidere un lieto fine.

Sospirai.

Era tardi e dovevo, seppur di malavoglia, tornare a casa.

Mi avviai pian piano, ancora pienamente immersa nella turbate riflessioni che mi avevano agitato tutto il giorno, mentre un venticello leggero mi scuoteva i capelli. Respiravo piano, cercando di trovare un po’ di pace.

Arrivai ad un precario stato di momentanea tranquillità solamente quando giunsi a casa. Salii le scale frettolosamente, con il solo desiderio di gettarmi sul letto. Infilai la chiave nella toppa, ma prima che potessi girarla mia madre aveva già aperto.

“Oh, Emily, finalmente!”, esclamò la donna che mi si stagliava davanti.

Mia madre aveva un corpo robusto, ma anche aggraziato, capelli biondo scuro e occhi castani. Io e lei non ci assomigliavamo per niente. Non nell’aspetto fisico almeno. Nel carattere eravamo, invece, molto simili. A volte la cosa mi preoccupava un po’, ma nel complesso ne ero ben contenta.  Eleanor Stevens era una madre fantastica, sotto tutti gli aspetti. Premurosa, affidabile, forse un po’ pignola, ma molto dolce.

“Finalmente?”, chiesi, con espressione confusa.

Entrai in casa, guardandomi intorno e compresi prima che lei avesse il tempo di spiegare. La tavole era apparecchiata per sette persone.

“Abbiamo ospiti?”, domandai, senza nascondere un certo fastidio.

“Sì, tesoro.”, rispose, dandomi i piatti, affinché li disponessi sulla tavola. “Verranno Kate ed Edward. Quei signori dell’altra volta…”

Sgranai gli occhi, sorpresa.

“Gli Elliot?”, domandai, in ansia.

“Già, brava.”, mi sorrise in risposta la mamma.

Mi accasciai sulla sedia.

Possibile che dopo essere eroicamente giunta ad uno stato, se non di perfetta serenità, quantomeno di rilassamento, dovessi incontrare una delle maggiori cause del mio turbamento? Cos’era, destino crudele?

“Emily?”, mi chiamò mia madre, riportandomi bruscamente alla realtà. “Che hai?”

Respirai a fondo.

“Niente. Adesso ti do una mano.”, annunciai, cercando di ricompormi.

Mi affrettai a disporre i piatti, le bottiglie e quant’altro, cercando di ignorare la stretta allo stomaco che mi attanagliava. Tutto inutile. Quando il citofono trillò, in perfetto orario purtroppo, l’ansia schizzò alle stelle, senza che potessi fare nulla per controllarla. E, poiché toccò a me aprire la porta, non riuscivo più a respirare, mentre posavo la mano sulla maniglia.

Mi sforzai di restare calma e la spalancai.

“Buonasera, Emily.”, mi salutò il signor Elliot.

Ricambiai il saluto e mi feci da parte per lasciarli passare.

Il mio sguardo si posò sulla persona che aveva inconsapevolmente causato la mia terribile ansia. Matt era serio e freddo come sempre, la sue espressione impenetrabile. Mi salutò velocemente, poi distolse lo sguardo. Quel ciao stentato mi ferì, ma mi ripresi, o almeno cercai di farlo. Sophie e sua madre mi salutarono allegramente. Sorrisi in risposta.

Quando osai rivolgere ancora lo sguardo su di lui, vidi che stava osservando con attenzione il tavolino di vetro che stava davanti al divano. Lo fissai, curiosa. Quando incrociò il mio sguardo, ritornò alla sua perfetta aria impassibile, tuttavia mi disse: “L’hai conservato.”

Lo osservai interrogativa, ma poi capii.

“Era un pensiero molto carino.”, risposi, sorridendo al pensiero.

Avevo messo il fiore che mi aveva intrecciato nei capelli, in un piccolo vaso, con dell’acqua. Stava già appassendo, ma volevo tenerlo lì. Mi piaceva vederlo.

Abbozzò un sorriso, ma non sembrava ne fosse veramente contento. Chissà perché. Si avvicinò al fiore e ne sfiorò, con delicatezza, i morbidi petali bianchi. Quando si voltò, il fiorellino pareva aver ripreso vita. Rimasi immobile, a fissarlo sorpresa.

“Be’, ragazzi non vi sedete?”, domandò mia madre.

Non mi ero accorta che, intanto, tutti si erano già sistemati.

Mi accomodai accanto alla mamma, mentre Matt si mise vicino a Sophie.

La conversazione con i miei ospiti procedette benissimo. Dovevo solo sorridere e annuire ogni tanto, senza prestare una particolare attenzione, che era volta invece nell’invano tentativo di decifrare il suo umore ed  a capire come avesse potuto una margherita senza radici riprendersi in quel modo.

Sospirai.

Forse mi stavo facendo i film. In fondo, lui l’aveva solo sfiorata. Probabilmente era solo una mia impressione, ed il fiore era sempre stato così. Rivolsi nuovamente lo sguardo verso il più bel ragazzo della Terra, distogliendolo dalla margherita, e notai, con gran stupore, che mi stava osservando anche lui, con una certa curiosità nello sguardo. I miei occhi erano incatenati ad i suoi e lui non li distolse. Dopo vani tentativi di calmarmi, mi lasciai inondare dalle mille sensazioni che si susseguivano ad una velocità impressionante.

La luce dei suoi occhi scuri era impressionante e mi lasciava ogni volta interdetta. Ero sicura che, dietro la facciata fredda, si nascondesse una miriade di emozioni, che facevano brillare il castano, con meravigliose sfumature scintillanti, dei suoi occhi. Non m’interessava nulla, adesso che mi sentivo riversa nell’oceano che scaturiva dal suo sguardo. Avrei voluto contemplarlo tutta la sera.

Ritornai alla realtà solamente quando ci sedemmo a tavola.

Il mio posto era vicino a Sophie e, presa dalle sue parole, evitai di lasciarmi trasportare dagli occhi di suo fratello.

“Be’, come va?”, mi domandò allegramente, sorridendo.

“Tutto bene, grazie.”, risposi, sorridendole a mia volta. “E a te?”

“Non c’è male, non c’è male…”, replicò, poi assumendo un’aria seria, “D’altronde, in questi tempi bui…”

Scoppiò a ridere ed io la imitai.

“Grazie mille per l’altra volta.”, mi sorrise.

“E di che!”, esclamai, poi soggiunsi: “Tanto lucrerò sugli interessi.”

Lei rise.

“Cosa stavi leggendo in biblioteca?”, chiese, guardandomi. I suoi occhi dardeggiavano di sincera curiosità.

“Le notti bianche, di Dostoevskij.”, annunciai, ripensando a quel giorno.

“Ti piace Dostoevskij?”, mi domandò, cogliendomi di sorpresa, Matt.

Mi voltai a guardarlo, imbarazzata. Non mi ero accorta che era attento a quello che dicevamo.

“Non ho letto molto di lui, ma questa storia mi piace molto.”, spiegai, arrossendo.

Sembrava sorpreso.

Cominciò a farmi altre domande: la nostra conversazione sui libri sembrava piacergli, e la cosa non poteva rendermi più felice. Ricaddi nel mare delle emozioni dei suoi occhi. Sentivo che pur di parlare con lui, avrei conversato su qualsiasi argomento. Pur di vederlo sorridere, avrei fatto qualunque cosa.  Provavo un’emozione troppo grande e troppo bella. Impossibile poterla descrivere.

“Non credevo che leggessi questo tipo di libri.”, affermò, sorridendo.

Io lo fissai. Non riuscivo a distogliere gli occhi dai suoi. Erano così brillanti, quando era contento. Due luminosissime stelle.

“Come mai così sorpreso?”, chiesi, cercando di rilassarmi.

Non ci riuscivo molto bene, ma almeno era un tentativo.

“Be’, diciamo che non è proprio il genere che m’aspettavo ti piacesse.”, replicò.

Il suono delle sue parole era celestiale.

“Sai, Emily, lui è un tipo all’antica.”, dichiarò Sophie, sorridendo.

Trasalii. Mi ero dimenticata che ci fosse anche lei. Ero talmente incantata da lui, che non mi ero curata affatto degli altri. Ero tornata alla realtà, sebbene fosse molto migliore il mondo parallelo nel quale mi ero immersa. Avrei dovuto prestare più attenzione.

“Ho notato.”, ribattei, leggermente maliziosa.

Matt mi sorrise.

“Non sono l’unico, a quanto pare.”, dichiarò, divertito.

Mi sembrava di riuscire a condividere finalmente qualcosa con lui. Ero senza speranza, lo sapevo, ma anche quella piccola passione in comune mi faceva sentire più vicina lui.

La serata trascorse piacevolmente ed io mi crogiolai beata nella mia subitanea gioia. Abbandonai quello stato di appagamento completo, solamente quando Matt e Sophie andarono via. Lui doveva accompagnarla ad un appuntamento.

Lontana dai suoi occhi mi sentivo un po’ meno estasiata, sebbene le tracce della mia allegria non fossero affatto svanite. Dopo un po’, mentre gli adulti conversavano, uscii fuori sul balcone.

Mi appoggiai dolcemente sulla ringhiera grigia e fredda del mio balcone e iniziai a guardare il cielo, affascinata. Il blu della notte, di una celestiale sfumatura violacea, era illuminato da una bellissima luna piena, che si stagliava, meravigliosa, in tutta la sua luce. Brillava d’un candido bagliore, senza oscurare tuttavia la luminosità delle stelle, che, altrettanto magicamente, luccicavano nel cielo. Piccoli puntini sfavillanti, incantesimi di brillantezza.

Immediatamente mi venne in mente lui e i bagliori che emanavano i suoi occhi.

La compagnia di Matt mi piaceva moltissimo, e la conversazione tra noi era stata particolarmente interessante, ma temevo di spingermi troppo oltre con i miei desideri, che pure non riuscivo a controllare. Le mie strane bramosie, quell’inesplicabile voglia di perdermi nei suoi occhi…

Anche Sophie era molto simpatica, allegra e disponibile. Conversare con lei era piacevole e divertente, sebbene, a dir la verità, la mia attenzione non era stata proprio concentrata su di lei.

Nel complesso avevo trascorso una bella serata, ma era finita troppo in fretta. Cercai di consolarmi guardando il cielo, ed in parte ci riuscii. La serata era piuttosto fresca, ma non ci feci caso. L’ammirazione che provavo era a livelli estremi.

Ero appagata dalla mia contemplazione, che sicuramente mi allontanava da cupi pensieri. Ero particolarmente preoccupata per Robert, ed era quello che m’impediva di lasciarmi andare interamente allo studio delle mie sensazioni verso Matt. Mi dispiaceva per i suoi e volevo trovare un modo per confortarlo, ma non sapevo se chiamarlo o se avesse bisogno di restare un po’ solo. Non sapevo se avrebbe considerato un mio eventuale intervento come un’interferenza, e questo mi tratteneva dal telefonarlo o da andare a trovarlo. Ci tenevo moltissimo a lui, ma,mi era chiaro, non lo amavo  più. Non sentivo la sua mancanza quando stavamo lontani, non lo pensavo ogni istante della mia giornata, e, sebbene fossi profondamente colpita dalla sua situazione, non ero avvolta dall’ondata di dolore che s’imponeva dovesse sommergermi. Non riuscivo a far parte della sua sofferenza. Anzi, a dirla tutta, mi ero sentita peggio per la faccenda di Matt.

Sospirai, cercando di rivolgere nuovamente lo sguardo al cielo.

L’appagamento subitaneo, che mi provocava di consuetudine la mia ammirazione, mi colse completamente. Mi lasciai andare, con un sorriso.

“Molto bello, vero?”, sussurrò, alle mie spalle, una voce melodiosa e dolce.

Sobbalzai.

Mi voltai, illuminandomi al suo sguardo.

Lei ricambiò.

 “Non intendevo spaventarti, Emily.”, si scusò, sorridendo sincera.

“Non preoccuparti, Kate.”, la rassicurai, sorridendo a mia volta. Era strano chiamare i genitori di Matt per nome, ma loro avevano insistito particolarmente.

Lei si appoggiò, come me, sulla ringhiera, e rivolse il suo sguardo in alto.

“L’infinito, l’immenso…”, sussurrai, dopo un po’. “Meraviglioso.”

Lei sorrise.

“L’infinito non è solo il cielo, Emily.”, commentò, piano. “ Io credo che ognuno di noi abbia dentro di sé l’infinito. È come un insieme: l’infinito dentro l’infinito.”

La fissai, stupita.

“È una concezione molto bella.”, dichiarai, guardandola.

Lei rise.

I suoi occhi azzurri brillavano di una singolare luce. Era la stessa che, a volte, scorgevo negli occhi di suo figlio. Un’innata, meravigliosa, predisposizione ad ammirare ed amare. Ne rimasi profondamente colpita.

“Ti piace la natura?”, mi domandò, osservandomi con un sorriso.

“Moltissimo.”, risposi, ricambiando. “Una sorpresa, una scoperta dopo l’altra ed emozioni incomparabili.”

La donna mi guardò, con un’espressione tra il dolce ed il triste.

“Mi ricordi tantissimo una mia amica. Era come te.”, spiegò, ritornando a fissare il cielo, malinconica. “Lo stesso amore, la stessa passione.”

Sospirò, cupa, ed io la fissai, preoccupata.

Si riprese immediatamente e sorrise ancora.

“Sono d’accordo con te.”, commentò, di nuovo impeccabile. “La natura è una sorpresa dopo l’altra.”

Le sorrisi, colta da un inspiegabile senso di vuoto e tristezza.

Rimanemmo in silenzio per un po’, finché Kate e suo marito andarono via.

Guardandoli sulla soglia, sorrisi. La madre di Matt era veramente una donna d’oro e sicuramente un’ottima madre. Mi erano bastate solo poche parole per capirlo.

 

 

Per quale strana e segreta ragione mi ero lasciata convincere così facilmente? Non trovavo una risposta soddisfacente. Sophie e Lizzy, che avevo - mea culpa- , fatto conoscere, si erano coalizzate contro di me, e avevano deciso che avevo assoluto bisogno di rifarmi il guardaroba. A nulla erano valse le mie proteste sempre più deboli. Erano state entrambe risolute e determinate. E così, in quella caldissima giornata di luglio, mi trovavo, contro la mia volontà, in un enorme centro commerciale, a fare acquisti. Il fatto che Elizabeth provasse un perverso piacere a farmi indossare centocinquanta capi d’abbigliamento, non era nulla paragonato a quello di Sophie.

“Ragazze.”, proposi, cercando di risparmiare alle mie povere gambe un altro giro per i negozi, “Che ne dite se andiamo a mangiare?”

Con mia grandissima soddisfazione, entrambe parevano aver fame.

“Perfetto.”, sorrisi.

Sophie mi guardò, con cipiglio severo. “Tanto abbiamo tutto il pomeriggio. Possiamo anche andare al centro commerciale qui affianco e …”, dichiarò, ma guardando la mia espressione sconvolta, scoppiò a ridere.

“Andiamo a pranzare, che è meglio.”, affermai, alzando gli occhi al cielo.

“Non ci far caso.”, suggerì Lizzy alla sua nuova amica, “Se non avesse me, sai come andrebbe in giro?”

Le lanciai un’occhiataccia.

Sophie scambiò con me uno sguardo d’intesa. Lei e Lizzy si era trovate molto bene insieme, ma la mia nuova amica mi era parsa più sensibile alle mie sofferenze.

Ci fermammo ad un tavolino, nel fast-food del centro, e ci sedemmo, o meglio, mi accasciai distrutta sulla sedia, mentre loro sembravano piene d’energie.

Ordinammo velocemente, mentre Elizabeth mi prendeva in giro per la mia scarsa attitudine allo shopping.

Decisi di cambiare argomento.

“Come va con Richie, Sophie?”, domandai, guardandola negli occhi, che, sentendo quel nome, s’illuminarono.

“Va molto bene, grazie.”, rispose, sorridendo.

Dall’espressione del suo viso, impeccabile come sempre, era chiaro che fosse innamorata. Quando mi aveva parlato per la prima volta del suo ragazzo, lo aveva fatto in termini d’elogio così ampi, da non lasciar adito a dubbi.

“Richie?”, domandò confusa, Lizzy.

“Il mio ragazzo.”, spiegò la ragazza, sorridendole.

“Tra poco è il nostro anniversario.”, soggiunse poi, illuminandosi. “Vorrei prendergli un bel regalo.”

Io sorrisi. Mi era venuta un’idea geniale.

“Perché non lo cerchiamo adesso?”, proposi. “Tanto abbiamo l’intero pomeriggio.”

Proposta accolta. Sospirai di sollievo. Il mio guardaroba era salvo.

“E a te come va con il tuo ragazzo?”, domandò Sophie a Lizzy.

Lei scosse il capo.

“Così e così.”

Io alzai gli occhi al cielo.

“Credo che dovresti lasciarlo, Elizabeth, se le cose non vanno come dovrebbero.”, commentò la bruna, fissandola.

Sophie sembrava saperne molto sulla quella storia. Me ne stupii, ma non potei fare congetture. Proprio in quel preciso istante, il mio cellulare squillò.

Guardai il numero, corrugando la fronte.

“Scusate.”, dissi, alzandomi.

Quando mi fui allontanata a sufficienza, risposi.

“Ciao, amore.”, sussurrai, una stretta al cuore.

“Ciao.”, rispose. Sembrava abbastanza tranquillo.

“Come va?”, chiesi, cauta.

“Sto meglio.”, dichiarò, cercando di suonare sufficientemente allegro. “Dove sei?”

Sospirai.

“Al centro commerciale con Lizzy e Sophie.”, spiegai, in tono esasperato.

Lui rise.

“Ti chiamavo per chiederti se domani vieni in spiaggia con noi.”, annunciò, speranzoso. “Ho racimolato un po’ di persone, mi piacerebbe che fossi del numero.”

Non mi piaceva l’idea di trascorrere una giornata con lui, perché non sapevo se sarei riuscita a fingere, e in ogni caso mi sembrava terribilmente cattivo da parte mia, tuttavia non volevo deluderlo.

“Ok.”, assentii, con una nota di rimpianto.

“Perfetto. Ti passo a prendere domani mattina, va bene?”, mi chiese, contento.

“Certo che sì.”, risposi, sforzandomi di suonare allegra.

“A domani. Ti amo.”, mi salutò.

“Anch’io”, replicai, rimproverandomi.

Chiusi la comunicazione. Cosa stavo facendo? Perché fingevo a quel modo? L’espressione del suo viso, la tristezza e il suo dolore profondo erano una risposta più che sufficiente.

 

 

Un passo dopo l’altro, cauta, tranquilla, un’incantevole donna scendeva le scale. Aveva bellissimi capelli ramati, che le ricadevano lunghi e fluenti sulla spalle, acconciati impeccabilmente, in modo che il viso fosse ben visibile. Aveva bellissimi occhi verdi, luminosi e allegri, gli zigomi alti e il profilo statuario. Indossava un abito bianco, dallo strascico lungo, stretto in vita, che scendeva, morbido, fino a terra. Nella mani stringeva un mazzo di fiori, bellissimi fiori blu. Mi assomigliava molto. L’avrei scambiata per la mia immagine riflessa, se non fossi stata certa che in giro non ci fossero specchi. La osservavo incantata, mentre, arrivata finalmente alla fine della scalinata, percorreva la navata centrale, con un sorriso brillante ad illuminarla. La seguii, con la consapevolezza -sebbene non sapessi da dove provenisse-, di non poter essere vista. Lei si muoveva a passo lento, sinuosa, elegante, ed andava diritta davanti a sé, senza mai guardarsi indietro.

All’improvviso la sala s’illuminò. S’accesero luci abbaglianti, e, accanto alla navata centrale, ora coperta da un ampio tappeto candido, file di panche lignee con tantissime persone a popolarle, s’estendevano fino ad un altare. Capii a cosa andava incontro.

Dinanzi a lei c’era un uomo, i lineamenti sottili e risoluti, i tratti giovani ed un sorriso ampio e commovente. Anch’egli osservava la ragazza, che avanzava in tutto il suo splendore, con ardore incontenibile.

Ero incantata dallo spettacolo, dai giochi di luce sul vestito della giovane, ma ancor più dal suo fascino, dall’espressione di dolce felicità, di commozione, che le donava lo splendore d’un angelo.

Raggiunse l’altare e, unita la mano a quella di lui, rivolse lo sguardo dinanzi a lei.

Il prete, guardando la coppia con pari ammirazione dei presenti, pronunciò le parole che avrebbero decretato la loro unione.

“Sì, lo voglio.”

Lui le aveva fatto la sua promessa eterna.

“Sì, lo voglio.”

Lei gli aveva donato il suo cuore.

All’improvviso l’immagine s’interruppe, con un rumore sordo. La tv che aveva mostrato quelle immagini si spense improvvisamente.

Mi guardai attorno, confusa. Non riuscivo a capire cosa fosse successo. Mi trovavo in una stanza circolare, buia e umida. Rabbrividii, cercando di trovare una possibile via d’uscita.

Una porta che non avevo scorto, s’aprì

Sentii una voce, untuosa e melliflua davanti a me. Dapprima non capii da dove venisse, poi m’accorsi di un ragazzo, dagli occhi neri scurissimi, brillanti di malvagità era inchinato dinanzi a me.

Lo fissai, sorpresa.

“Buone nuove?”, chiese una voce roca e fredda, alle mie spalle.

Sobbalzai, terrorizzata da come quelle due parole apparissero taglienti e macabre. Mi voltai, scorgendo un’ombra indistinta alle mie spalle.

“Sì.”, rispose, con odiosa soddisfazione il ragazzo.

“Si trova sulla Terra.”, soggiunse, sogghignando.

L’ombra non rispose.

Passarono svariati minuti, poi la voce, in tono che mi gelò fino alla punta dei capelli, replicò: “Non fate nulla. Sarò io personalmente a sistemare questa faccenda.”

“Come vuoi.”, assentì la figura dinanzi a me, obbediente, gli occhi neri freddi.

Poi, dopo aver osservato quella che a me pareva un’ombra indistinta, andò via.

Concentrai la mia attenzione sulla fonte della voce roca.

Mi avvicinai, timorosa.

Non riuscivo a scorgere nulla, tutto era troppo buio.

Quando ero ormai ad un passo da quell’ombra indefinita, sentii una risata profonda e roca. Due occhi tra il nero e il rosso acceso emersero dall’oscurità.

Urlai terrorizzata.

 

“Emily?”

Matt era davanti a me e mi fissava, preoccupato.

“Gli occhi.”, sussurrai, sconvolta. “Quegli occhi.”

“Emily, hai avuto un incubo.”, dichiarò, cercando di rassicurarmi.

Alzai lo sguardo ed immediatamente un sole acceso m’abbagliò.

“Dove sono?”, domandai, sconvolta.

“Sei in spiaggia. Ti sei addormentata.”, spiegò, guardandomi agitato.

Respirai a fondo.

Tutto era sembrato così reale.

“È stato terribile.”, bisbigliai, cercando di riprendermi.

Lui mi avvicinò a sé.

“Era solo un sogno.”, mi disse, accarezzandomi, nel tentativo di calmarmi.

Io lo guardai.

I suoi occhi erano così belli, così dolci.

Ma quelli che avevo visto erano così crudeli, reali.

Mi accasciai sul suo petto, stremata.

Zalve a tutti, miei cari lettori! Ringrazio tantissimo tutti coloro che hanno letto i miei capitoli, ancor più le mie due lettrici più accanite, che mi hanno reso davvero felice con le loro recensioni incoraggianti e positive! Sono super, super felice che abbiate apprezzato i miei sforzi e spero di non deludervi nel corso dei prossimi cap!  Vedo che entrambe, mia cara Padme Undomiel e mia cara Mistery Anakin, condividete un'antipatia verso Robert! Confesso che mi unisco a voi... In questo cap, in cui Matt ed Emily sembrano conoscersi un po' meglio, lui è un ostacolo al rapporto che comincia a nascere fra di loro!!  Ma, come si dice, dalla vita non si può avere tutto... e subito!!XD

Spero tanto che questo cap vi piaccia, ma se avete commenti negativi da fare, continuo a ribadirlo, saranno utili a migliorarmi! Ancora un grazie speciale a Padme Undomiel e a Mistery Anakin!

Shine

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** La rosa blu ***


La rosa blu
6
La rosa blu

Non mi ero mai sentita così. Era una di quelle nuove e splendide sensazioni, che mi facevano capire quanto la vita riservi molteplici sorprese, sia incantevoli come quella, sia meno piacevoli, ma comunque costruttive ed utili per forgiare il carattere. Non c’era spiegazione al fatto che sentissi ogni cosa attorno a me perfetta, che il caldo, il sole e l’assenza di brezza mi risultassero sopportabili.  Ma ancor più strano era il fatto che, a differenza di come facevo di solito, non osservavo. Difficile spiegarsi. Attorno a me sentivo un clima d’appagamento completo, che, però, non nasceva da qualcosa che vedevo. Scaturiva da qualcuno. O meglio dalla vicinanza di qualcuno. Di lui. E chi altri sarebbe riuscito a provocare in me quell’ondata di sorprendenti sensazioni?

Adesso che ripensavo lucidamente al mio sogno e, soprattutto al risveglio, mi rendevo conto di quanto stare con lui mi facesse enormemente piacere. Di quanto l’essermi abbandonata sul suo petto mi avesse fatta rilassare istantaneamente. Era stato così dolce, così perfetto. Non avevo mai incontrato una persona come lui, una persona che fosse al tempo stesso familiare ed enigmatica, limpida e misteriosa. Mi sentivo veramente esaltata.

Ripensai al giorno prima. Sembrava che fossi un libro aperto per lui. Mi aveva galantemente salvato dalla compagnia di Robert, che ultimamente mi risultava insopportabile. Gliene ero grata, ma allo stesso tempo morivo di curiosità. Possibile che sapesse l’intera faccenda? O forse aveva solo intuito che non avevo voglia di stare in compagnia del mio ragazzo?

Sospirai.

“Sono troppo silenzioso?”, mi chiese Matt, fraintendo.

Io risi.

“Ma no!”, esclamai, decisa. “Ero immersa nei miei pensieri, anzi. Scusa.”

Lui scosse il capo.

“Sono indiscreto se ti chiedo su cosa riflettevi?”, domandò poi, evidentemente interessato.

Io gli sorrisi. Pensavo a te, risposi mentalmente, fissandolo negli occhi. Feci fatica a non perdermi di nuovo nell’emozioni che nascevano dal suo sguardo.

“Mi chiedevo come avessi intuito, ieri, che non mi andava di stare con Robert.”, annunciai, curiosa.

“Era abbastanza chiaro.”, replicò, evasivo.

Rimasi a guardarlo, ma lui non aggiunse altro. Sembrava che tra noi dovesse calare di nuovo il solito silenzio ed io non riuscivo ad impedirlo. Contemplavo con un’attenzione smisurata il suo viso, il suo profilo, il suo corpo, così meravigliosamente statuari, così belli, così magici.

“Perché stai con lui, se non vuoi?”, mi chiese all’improvviso, cogliendomi alla sprovvista.

Io arrossii.

Era la domanda che avevo più temuto mi facesse, quella a cui neanche io riuscivo a dare una risposta soddisfacente. Cercai di spiegarmi, pregando che non mi giudicasse male. L’idea, anche solo il pensiero che avrei potuto indurlo a farlo, mi distruggeva.

“Robert sta attraversando un brutto periodo. Credo che, lasciandolo, lo farei soffrire troppo, in un momento che è già critico di per sé.”

Lui aggrottò le sopracciglia.

“Scusa se te lo dico, ma tu, al suo posto, vorresti che lui fingesse come stai facendo tu?”, domandò, serio.

Quelle parole mi colpirono profondamente. Era così lampante la verità che cercavo di nascondere a me stessa, che mi lasciò senza parole.

Realizzai la realtà delle cose, in un instante. Per mezzo delle sue parole. Il mio comportamento mi disgustava. Ero codarda. Ecco tutto. Non avevo il coraggio di dirgli la verità, temevo di farlo soffrire ancora, ma così sarebbe stato peggio, senz’ombra di dubbio. Ero abominevole.

Respirai a fondo e quando ebbi raggiunto un giusto contegno, sussurrai, debole: “Hai ragione.”

Con mia grande sorpresa, s’incupì terribilmente.

“Mi sono immischiato in faccende troppo personali. Mi spiace.”, si scusò, serio. Sembrava che avesse intuito la mia confusione, letto i miei pensieri.

Io scossi il capo, decisa.

“La tua era una constatazione di fatto, peraltro giusta.”, risposi, guardandolo con gli occhi ardenti.

Lui abbozzò un mezzo sorriso.

Io alzai gli occhi al cielo.

“Sai, sei un ragazzo veramente strano. Conosci una ragazza assurda, che si addormenta e fa incubi in una spiaggia affollata, ed invece di evitarla, le dai lezioni di vita.”, dichiarai, con un’espressione scettica ben costruita.

Questa volta, lui sorrise più apertamente. Aveva capito il mio impacciato tentativo di risollevargli il morale.

“Ti assicuro, Emily, che sei tutt’altro che assurda.”, replicò, convinto. “Anzi, direi che forse un po’ lo sei. Insomma, te ne vai in giro con un ragazzo che sta sempre zitto e grave, che è saccente e cerca di importi la sua visione delle cose.”

“Forse hai ragione. Io però sostituirei gli ultimi difetti elencati, con uno solo: la paranoia.”, ribattei, alzando gli occhi al cielo.

Lui sorrise.

La conversazione su quell’argomento parve definitivamente conclusa ed io mi abbandonai nel silenzio dell’ammirazione per l’effetto del sole sul suo viso e sui suoi splendidi occhi. Il mio sguardo si mosse rapidamente sulla carnagione scura, il torace appena scoperto dalla camicia, espressione di una perfezione indescrivibile. Notai un ciondolo che portava al collo, che prima mi era sfuggito.

Gli chiesi cosa rappresentasse.

Il suo viso s’illuminò, quando mi rispose.

“Me lo ha regalato Sophie. È il simbolo di una promessa che ci siamo fatti due anni fa. Di aiutarci a vicenda, sempre e comunque.”

I miei occhi si animarono all’istante di piacevole sorpresa.

“Mi piacerebbe tanto avere un fratello più grande. Qualcuno che possa guidarmi, aiutarmi e volermi bene.”, dichiarai, con una punta d’invidia nei confronti della mia nuova amica.

Matt rise alla mia espressione, divertito.

“Eppure, deduco che ti piace la realtà in cui vivi.”, affermò, d’un tratto pensieroso.

La domanda mi colse di sorpresa, ma risposi ugualmente.

“Molto.”, risposi, sorridendo. Poi soggiunsi, curiosa: “Da cosa lo deduci?”

Lui rivolse lo sguardo verso il mio, sorridendo in modo indecifrabile, quasi amaro.

“L’hai detto tu. Hai detto che non ti piacerebbe vivere in nessun altro posto.”, mi ricordò, pensoso, quasi triste.

Io abbozzai un’espressione serena, domandandomi cosa provocasse in lui una reazione del genere.

“Già, è vero.”, assentii, domandandomi come facesse a ricordare quello che avevo detto. Quell’affermazione doveva averlo particolarmente colpito, a quanto pareva.

“Non vorresti stare neanche in un luogo magico, un mondo diverso, magari più bello, più sincero, più intenso?”, mi domandò, fissandomi, inesplicabilmente avido di conoscere la mia risposta.

Quelle parole mi colpirono profondamente, risvegliando il mio più recondito desiderio, o almeno quello che lo era stato. C’era stato un periodo della mia vita in cui mi ero chiesta se ci fosse una realtà migliore, una fatta per me, a mia misura, secondo le mie esigenze ed i miei ideali. Ma era passato tanto tempo. Adesso avevo capito che non era quello che desideravo.

“Sono le persone che fanno parte del mio mondo, ma anche gli oggetti, i profumi, le immagini, che lo rendono perfetto, seppur non lo è.”, spiegai, pacata. “Questa è la mia piccola, ma bella realtà. Se dovessi cambiarla, dovrei trovare qualcosa di pari valore dall’altra parte.”

Lui mi guardò, abbozzando un sorriso.

I suoi occhi erano bellissimi. Mi fissava con un’espressione che non avevo mai visto, e le emozioni che riuscivo a scorgere nell’universo scuro in cui ero immersa erano nuove e fantastiche. Ero incatenata a lui e lui sembrava, strano a dirsi, esserlo a me.

“Cosa intendi per pari valore?”, sussurrò, avvicinandosi a me.

“Qualcosa che non mi faccia mai avere rimpianti.”, replicai in un bisbiglio.

Inconsciamente mi avvicinai a lui.

Non sentivo il mio respiro, il battito del mio cuore. Scorgevo nei suoi occhi una tempesta di desideri e il riflesso della mia unica, vera speranza in quel momento.

E poi, all’improvviso, tutto finì.

I suoi occhi si riempirono di un’espressione inorridita e li abbassò.

Poi, d’un tratto, alzò lo sguardo.

“Devo andare.”, disse solo.

“Cosa…?”, provai a domandargli.

Lui scosse il capo.

“Mi spiace, scusa.”, asserì guardandomi, tormentato.

Prima che avessi il tempo di fargli altre domande, lui era già sparito dalla mia vista. Osservai sbalordita il punto in cui era corso via.

Ma cosa era successo?

Non riuscivo a spiegarmi perché… Non poteva essere scappato così, solo per… E poi quell’espressione… No, era tutto assurdo.

Respirai a fondo, cercando di riprendermi.

Ero passata da una dimensione di sogni e magia, alla realtà. Cercai di analizzare lucidamente tutto, ma non mi era possibile.

Il mio sguardo era inchiodato sul punto in cui era sparito. Perché era corso via così? Senza un apparente motivo, una spiegazione logica. Non riuscivo a venire a capo di nulla, mentre domande su domande mi sommergevano, sempre più confuse.

M’imposi autocontrollo. Decisi di dirigermi verso casa e mi avviai a passo lento.

Ordinai a me stessa di analizzare ogni cosa con cognizione, quindi mi addentrai nelle mie riflessioni. Non mi sembrava di aver fatto qualcosa di sbagliato, quindi non era a causa mia che era se ne era andato. Ma allora perché? Sembrava veramente sconvolto, spaventato per qualcosa. Ma cosa? Per quale motivo?

Sospirai.

Non sarei arrivata ad una spiegazione soddisfacente, seppur mi fossi tormentata per tanto tempo. Era inutile continuare a fare congetture.

Mi accasciai triste sulla mia panchina, a cui ero arrivata proprio in quel momento.

C’era una parte di me, un luogo recondito della mia ragione, che mi urlava un possibile chiarimento della faccenda. Cercavo d’ignorarlo, di reprimerlo dentro di me, ma era impossibile. Mi chiedevo se non fosse sparito a causa del fatto che noi- era difficile persino solo il pensiero- be’, eravamo sul punto di… Ma forse mi sbagliavo io. Forse tra di noi non sarebbe successo nulla comunque. Probabilmente mi ero immaginata tutto, così presa dai miei desideri. Ma anche quello era difficile da accettare. Perché implicava qualcosa che non poteva, non doveva essere vero. Qualcosa che avrebbe reso ancor più terribile quello che stavo facendo a Robert.

Sospirai, cercando, invano, di calmarmi.

Sollevai lo sguardo e la luce del sole m’abbagliò. L’enorme stella ardeva rovente e solo allora m’accorsi di quanto facesse caldo. Era insopportabile stare lì, sotto la calura insostenibile. Terribile.

Guardai dinanzi a me, cercando d’evitare la luce diretta del sole.

Notai che dall’altra parte della strada c’era Sophie. Quando mi scorse, s’illuminò e mi corse incontro.

“Ciao, Emily.”, mi salutò. Sembrava preoccupata. “Hai per caso visto mio fratello?”

Quella domanda mi trafisse e la confusione che avevo cercato di reprimere ritornò nuovamente a opprimermi.

“Stavamo insieme fino a poco fa, ma poi è corso via.”, annunciai, cercando di dare un contegno alla mia voce.

Il suo viso si fece serio, la sua espressione pensosa. Pareva concentrata su qualcosa. Dopo alcuni istanti, però, si rilassò e sorrise. Si sedette accanto a me.

“Come va?”, mi domandò, allegra.

Io sorrisi.

“Bene.”, mentii, “E a te?”

Lei mi guardò, alzando le sopracciglia .

“Potrebbe andare meglio.”, rispose. Sembrava cercasse di apparire serena. “ Lizzy non ha nessuna tortura in programma oggi, per te?”

Risi, ripensando al nostro incontro.

“Spero di no!”, commentai, con un’espressione di timore dipinta sul volto.

La bruna sorrise, divertita. “Sai, la invidio.”, annunciò, cogliendomi di sorpresa.

Io la guardai, stupita. “Invidi Elizabeth?”

“Già.”, replicò, seria. “Sembra che nulla possa scalfire il suo costante buonumore. Ha un carattere splendido.”

La fissai, presa alla sprovvista. “Anche tu sei molto solare, Sophie.”

Lei sorrise, ma questa volta c’era qualcosa d’amaro nella sua espressione.

“Tento di esserlo.”, ribatté, cupa.

 Ricambiai il suo sorriso.

“Non si può essere sempre felici, sempre spensierati.”, commentai, ripensando al modo in cui io vedevo le cose fino a poco tempo prima. “A volte si rischia di essere anche un po’ superficiali. E non è bello.”

La mia nuova amica mi guardò, sorridendo.

“Sei molto più saggia di quanto mi aspettassi.”, dichiarò, nuovamente allegra.

Io alzai le sopracciglia.

“Non ho detto niente di saggio.”

Lei non volle sentire ragioni, anzi continuò a ribadirlo per tutto il cammino che facemmo insieme, verso casa. Ma io sentivo di non esserlo affatto. Se fossi stata veramente saggia, avrei saputo dare una spiegazione per quello che stavo provando per Matt. Se fossi stata saggia non avrei mai fatto una cosa del genere a Robert. Ma non lo ero. Decisamente, non lo ero.

 

 

Respirai a fondo, lasciando che quell’inconfondibile profumo m’invadesse completamente. Quell’odore tenue e dolce mi tranquillizzò, anche se per brevissimi istanti. Accarezzai, con lo sguardo vacuo, i petali blu della pianta che, tra tutte in quella serra, era in assoluto la mia preferita. Sfiorai lentamente il gambo ricoperto di spine, le foglie acuminate e di nuovo i morbidi petali di quella splendida rosa, quasi meccanicamente. Era una sensazione rasserenante, se non quasi appagante. Una di quelle poche sensazioni di pace che ancora mi rimanevano da provare. La mia vita era totalmente cambiata, dovevo ammetterlo, da quando la famiglia Elliot era arrivata lì. Ma cosa stavo dicendo? Non ne avevo abbastanza di mentire a me stessa? Ero completamente mutata da quando avevo conosciuto Matt Elliot. Lui ed i suoi occhi scuri, ricolmi d’emozioni, sempre più grandi, sempre più inondanti, lui ed il suo viso perfetto, che m’appariva familiare, lui. Aveva rivoluzionato le poche certezze che avevo, non sapevo neanche bene come. C’era solo una cosa di cui ero certa. Non ero più la stessa Emily. Quella ragazza che amava la sua realtà, che amava il suo ragazzo, che accettava che non esistesse un mondo d’eterna felicità. Adesso volevo di più. Desideravo andare oltre, oltre ogni cosa, perché avevo provato cosa volesse dire immergersi in un universo di luce profonda, di allegria subitanea, di sorpresa continua. Non mi sentivo così da tanto, troppo tempo.

Sospirai.

E così, ispirata da velleità fantasiose, avevo preso finalmente una sana, giusta decisione finale. Ero determinata e non mi sarei tirata indietro. Ma non era quello, stranamente, che temevo. La mia principale paura era -dovevo ammetterlo- il dopo. C’era qualcosa che mi era difficile razionalizzare. Qualcosa che, se dichiarato, anche solo a me stessa, sarebbe stato troppo doloroso sopportare. E, poiché stavo per allontanare da me l’unica persona che avrebbe potuto frenare anche solo gli accenni di una consapevolezza del genere, temevo di non riuscire a sopportarla.

Sentendo la porta aprirsi, mi riscossi e mi voltai.

Incrociai il suo sguardo.

Chissà perché avevo scelto proprio la serra. Forse perché era un luogo speciale per me. Forse perché mi sembrava l’unico luogo in cui non avevamo condiviso qualcosa. Né il nostro amore, né i nostri dissapori. Forse perché quella rosa blu mi dava sicurezza. Qualunque fosse il motivo, in ogni caso, adesso lui era lì. Ed io dovevo adempiere alla mia scelta.

“Ciao, Robert.”, lo salutai, cauta.

Lui mi sorrise, con un espressione vagamente sorpresa.

“Ciao, amore.”, ricambiò, avvicinandosi. “Perché hai voluto che ci vedessimo poco prima d’uscire? E perché proprio qui?”

Allontanai il mio sguardo dai suoi occhi, la cui cieca fiducia mi trafiggeva.

“Non saprei esattamente perché proprio qui.”, risposi calma, ripensando alle mie precedenti riflessioni.

Robert mi fissò, in attesa.

“In quanto al motivo…”, ripresi, sentendomi stranamente tranquilla, “Be’, forse è meglio che ci sediamo.”

Lui incrociò i miei occhi, evidentemente stupito e con un lievissimo velo di preoccupazione sugli occhi.

Ignorai la sua espressione interrogativa e mi sedetti su una panca, vicino alla seconda delle due rose blu presenti nella serra. Aspettai che lui s’accomodasse accanto a me, poi, con un enorme sforzo di volontà, mi costrinsi a guardarlo negli occhi.

“C’è una cosa che ti devo dire.”, annunciai, seria.

Lui abbozzò un sorriso. “Così terribile, eh?”, domandò, cercando di affievolire la tensione creatasi fra di noi.

Annuii, senza ricambiare il sorriso.

“Robert, ascolta… io…”, esordii, ma era dura continuare.

Respirai a fondo.

“Non credo di poter stare ancora con te.”

Un lampo di dolore attraversò i suoi occhi. Distolsi lo sguardo, dispiaciuta, ma allo stesso tempo sollevata, di aver detto quello che sentivo. Non volevo che soffrisse, non volevo che nessuno stesse male a causa mia, ma Matt aveva perfettamente ragione, non era giusto mentire a quel modo.

Il silenzio tra me e Robert durò alcuni istanti, che a me parvero ore interminabili. Finalmente lui lo interruppe.

“Ce l’hai ancora con me per quella storia?”, mi chiese ansioso, ma, chissà perché, pareva desiderare una risposta affermativa.

Ancora una volta lo delusi. Non m’interessava più che fosse andato con un’altra. Era già stato perdonato. Scossi il capo.

“Io… non credo di provare la stessa cosa che provi tu nei miei confronti.”, spiegai, cercando di avere più tatto possibile. Non mi sembrava che un secco ‘non ti amo più’ potesse andare bene.

Lui, sorprendendomi, sollevò le sopracciglia, irato.

Rise sguaiatamente, ma sentivo il suo rancore e lo osservavo sprizzare dai suoi occhi.

Lo fissai, sgranando gli occhi.

“Ti sei innamorata di quello lì.”, sentenziò, quasi disgustato.

Ero stupita, non riuscivo a capire cosa volesse dire.

Alla mia espressione, lui sorrise, ma era un sorriso gelido, cattivo.

“Ti sei innamorata di Matt Elliot.”

Rimasi a bocca aperta, non in grado di proferir parola. Era forse quella la realtà che faticosamente cercavo di nascondere a me stessa? Era così evidente? Ma, cosa più importante, era la verità?

Cercai disperatamente di riprendermi. Mi alzai e mi avvicinai piano alla mia rosa. Ne toccai nuovamente i petali, tentando di rilassarmi.

Quando fui sufficientemente certa d’aver raggiunto un contegno, mi voltai.

Lui era lì, in attesa che io confermassi la tua teoria.

“Non ho idea di cosa ti porti a pensare una cosa del genere.”, iniziai, fredda. “Sinceramente, se la tua era una domanda, non saprei risponderti.”

Sospirai, ma per fortuna lui non m’interruppe. “C’è una cosa che però ti posso assicurare. Al di là di quello che potrei provare per Matt o per chiunque altro, sta di fatto che per te io non nutro che un profondo affetto, dettato da tutto il tempo che abbiamo passato insieme. Nient’altro. Non mi sembra giusto continuare la nostra storia.”

Robert mi fissò, come se fossi una crudele e spietata aguzzina. Sentii la tristezza invadermi, ma non potevo rimproverarmi nulla.

“Quando ti ho detto dei miei, mi hai consolato. Hai detto che l’amore esiste davvero. Tutte quelle volte che mi hai detto di non poter stare senza di me…Erano tutte bugie!”, esclamò, con rabbia.

Io scossi il capo.

“Io non ho mentito. Credevo di amarti e forse…”, era difficile spiegare, ma avrei tentato comunque, sebbene riuscissi a malapena a controllare il tono della mia voce. “Forse ero davvero innamorata di te. Ma il tempo cambia molte cose…”

Respirai a fondo, ma lui non riprese la parola.

“Il fatto che io non ti ricambi più, non vuol dire che l’amore non esista. Non sono la persona giusta per te, ma sono sicura che…”, provai a fargli notare, ma lui m’interruppe.

“Non ho bisogno di te, Emily. Sei diversa da come credevo che fossi. Non voglio più stare con te.”, dichiarò, rancoroso, lanciandomi uno sguardo fulminante, che mi fece crollare. Poi mi voltò le spalle ed uscì, senza aggiungere altro.

Mi accasciai sulla panca, sentendo piccole, calde lacrime che mi scendevano lungo le guance. Il disgusto ed il rancore con cui mi aveva guardata, le sue parole, la sua rabbia. Erano state terribili, ma non potevo biasimarlo. Lo capivo perfettamente. Anch’io, quando lui mi aveva tradita, avrei voluto urlargli in faccia che non era che un essere indescrivibile, che avrei fatto benissimo a meno di lui. Era dura da sopportare, con i sensi di colpa che già mi sferzavano brutalmente, ma ce l’avrei fatta. Forse, se gli avessi dato un po’ di tempo, lui avrebbe capito. Avrebbe accettato ogni cosa. Cercai di rassicurare me stessa, ma mi resi conto che era difficile calmarmi. Mi asciugai le lacrime con un gesto veloce, e con un ultimo saluto alle mie rose, uscii dalla serra.

Respirai a fondo l’aria circostante, lasciai che i miei capelli venissero mossi dal vento e che la sensazione carezzevole della brezza m’attraversasse completamente. Permisi ai miei occhi di vagare, catturando le sfumature del terriccio, la molteplicità di riflessi sulle foglie e sull’acqua marina e l’incantevole moto ondeggiante della sua spuma. Mi avviai pian piano, calma, verso la casa dell’unica persona che avrebbe potuto consolarmi.

Cercavo di rubare ogni cosa, ogni più piccolo oggetto del panorama sconfinato, con lo sguardo,nel tentativo di distrarmi. Sapevo che non ci sarei riuscita, ma avevo bisogno di essere lucida e di riflettere. Con il cuore offuscato dalla tristezza non sarei riuscita a fare nulla.

Dopo molti ed inutili tentativi di abbandonare quello stato di totale confusione, mi arresi. Forse, sfogandomi, sarei riuscita nel mio intento.

Affrettai il passo.

Giunsi dinanzi al portone in pochi minuti, sebbene a me parvero ore interminabili. Mi fermai, ripresi fiato e suonai decisa il campanello.

La voce familiare della mia amica mi rassicurò e il mio cuore, che si dibatteva in strane ed insopportabili, dolorose sensazioni, cominciò a rallentare il suo battito. Salii velocemente le scale e mi fermai dinanzi alla porta socchiusa. M’imposi un contegno, augurandomi che non si notasse che avevo pianto. Entrai cauta e Lizzy m’accolse allegra, con i capelli avvolti in un asciugamano, annodata sopra la testa. Non appena mi vide, trasalì.

“Cosa ti è successo?”, mi domandò, sorpresa.

Mi rimproverai il mio patetico tentativo di apparire serena.

“C’è qualcun altro in casa?”, chiesi, impaziente.

Lei scosse il capo.

Io chiusi la porta e mi sedetti sul divano. Respirai a fondo, mentre lei si sedeva accanto a me, guardandomi sbalordita.

“Devo raccontarti una cosa.”, esordii, cercando di apparire quantomeno tranquilla. Fu un penosissimo tentativo. Non appena la misi a parte dei sospetti di Robert e dei suoi sguardi, ricolmi di rancore, che mi avevano dolorosamente sferzato, come il vento freddo in una notte d’inverno, non potei trattenere le lacrime, che sgorgarono incontrollate sulle mia guance.

Lei stette ad ascoltare, senza interrompermi, finché non terminai.

Poi, lanciandomi uno sguardo calmo, disse: “Non hai niente da rimproverarti. Hai fatto la cosa giusta.”

Io la fissai. Mi sentivo agitata e confusa ed era insopportabile.

“Forse avrei dovuto aspettare, non avrei dovuto dirglielo a quel modo, forse…”, proruppi, profondamente scossa.

Lei m’interruppe, severa. “Sarebbe stato peggio se avessi aspettato e sei stata quanto più gentile possibile. Non ci puoi fare nulla, se lui è un… Non mi fa parlare!”

Scossi il capo. “È normale che si sia comportato così, lo…”

Lei mi frenò di nuovo, arrabbiata. “Normale? Oh, Emily, ma la finisci di difenderlo?”

Notando il mio sguardo, alzò gli occhi al cielo, esasperata.

“Quando io ho lasciato Alex, lui non l’ha presa così!”, esclamò, guardandomi.

Per un attimo la mia espressione rimase confusa, poi spalancai gli occhi.

“Lo hai lasciato?”, domandai, stupita.

Non me lo aspettavo. Era chiaro che Lizzy non lo amava davvero, ma sinceramente non credevo che si sarebbe finalmente decisa a mettere fine alla sua relazione con lui.

Lei annuì, impaziente. “Non divagare!”, ordinò, aspramente.

Sospirai, ritornando al mio stato d’inquietudine.

“Quello che ha detto di Matt…”, iniziai, con voce malferma.

Lei mi guardò, d’un tratto seria.

Io studiai la sua espressione. “Credi che abbia ragione?”, domandai, stupita.

Lizzy distolse lo sguardo.

“Non sono io a poterlo stabilire, Emily.”, affermò, pacata. Poi si voltò verso di me. “Tu cosa provi per lui?”

Abbassai lo sguardo, pensierosa. Che cosa provavo per lui? Avrei voluto ammettere a me stessa di non saperlo, ma mi era chiaro. E sebbene non volessi accettarlo, era evidente in me stessa.

“Io… penso d’amarlo.”, dichiari, in un sussurro flebile, che si perse nell’ondata di angoscia che m’avvolse.

 

 

I suoi occhi, del colore d’una foglia, fissarono pieni di tristezza quelli, d’un castano scurissimo, quasi nero, che si posavano su di lei, pieni di rancore.

Ero in un luogo pieno di piante d’ogni tipo, ricolmo di profumi, di dolcezza, ma la cui atmosfera sembrava gelida, come il marmo. Guardavo cauta i due, nascosta in un angolo, ma, chissà per quale motivo, sapevo che non mi avrebbero visto.

Studiai con interesse i capelli ramati della ragazza, che ricadevano morbidi sulle spalle, la sua carnagione cerea, il suo corpo magro, i suoi occhi, dall’espressione smarrita. Ogni cosa mi era familiare di lei e sentivo, inspiegabilmente, una sensazione di vuoto profondo nel cuore. Volevo avvicinarmi alla ragazza, consolarla in qualche modo, ma temevo che lui mi vedesse.

Studiai i suoi interminabili occhi cupi, la sua freddezza, il suo corpo già ben strutturato, sebbene ancora per certi tratti infantile, la sua espressione di profondo odio. Rabbrividii, terrorizzata. Non osai avvicinarmi.

La ragazza non sembrava temerlo, ma continua a fissarlo, preoccupata.

“Mi spiace.”, sussurrò, una voce dolce e quieta.

Sentii qualcosa risvegliarsi in me. Un suono confuso, indistinto, una voce melodiosa che cantava. Sussurrava, parola su parola, una sinfonia meravigliosa, il dolce suono dei tasti di un piano, nostalgico, ricolmo d’amore. Mi accorsi delle lacrime che scorrevano sul mio viso, copiose e calde. Non capivo perché, non avevo idea di cosa mi stesse succedendo, sentivo solo il bisogno di piangere.

Lui la guardò, pieno d’odio.

Realizzai che, qualunque cosa portasse lei a scusarsi, non sarebbe mai stata perdonata.

Lui bisbigliò qualcosa, non riuscii a cogliere le parole. Lei scosse il capo, distrutta.

I suoi occhi si posarono sulla sua figura.

Un odio, un odio profondo, incredibilmente inondante, pressante, terribile, scaturì dalle profondità di quel colore così scuro. Uno sguardo terribile, micidiale, crudele. La bellissima ragazza, dai capelli ramati e fluenti, cercò di avvicinarsi a lui. Il suo sguardo era di ghiaccio. Sembrava volesse fulminarla. Non doveva avvicinarsi. Dovevo impedirlo, dovevo proteggerla. Mi sentivo in dovere di farlo. Ma non sapevo come. Lei gli era pericolosamente vicina.

Urlai, spaventata, con tutto il fiato che avevo in corpo.

Spalancai gli occhi, terrorizzata, guardandomi intorno. Dinanzi a me si ridefinivano lentamente i contorni di una stanza scura, di una finestra coperta da una lunga ed allegra tenda, di una ringhiera ferrea di un letto. Per un istante faticai a capire dove mi trovavo. Poi, sollevata, mi accasciai sul cuscino.

Era stato solo un sogno. Un angosciante, cupo incubo, ma nient’altro che quello. Respirai a fondo, cercando di cancellare l’immagine vivida di quegli occhi crudeli, che mi balzava ancora dinanzi agli occhi. Avevo già visto un colore come quello. Non ricordavo esattamente dove, ma ne ero assolutamente certa. Un castano scurissimo, un nero sbiadito. M’imposi di non pensarci. Ero già abbastanza spaventata così. Lentamente mi costrinsi a scendere dal letto. Infilai le pantofole e mi diressi in cucina.

Le 9:30. Avevo fatto veramente una lunga dormita. Per fortuna i miei erano usciti. Sicuramente le mie urla li avrebbero preoccupati.

Preparai velocemente il caffè ed il latte, che bevvi in fretta. Avevo voglia d’uscire. Speravo che l’aria fresca lavasse via ogni residuo di quel sogno. Mi vestii in un lampo, rifeci il letto e, dopo aver preso le chiavi, mi diressi verso l’uscita. In men che non si dica, mi ritrovai in strada.

Mi avviai cauta, contenta che il clima della giornata si rivelasse meno afoso, dirigendomi verso il lungo mare. Prestai un’attenzione smisurata ad ogni aspetto del paesaggio, spiegandomi questo comportamento con la volontà di non ricordare il mio sogno. Ma c’era una consapevolezza nascosta, sepolta da una miriade di pensieri, che m’imponevo d’avere, che se avessi accettato, sarebbe stata causa di non poca sofferenza. Il fatto che fosse stata il mio primo pensiero, mentre lentamente mi riprendevo dal sogno e facevo colazione, doveva assolutamente essere dimenticato. Ero, tra l’altro, anche molto in ansia. Non riuscivo ancora a spiegarmi per quale motivo fosse sparito a quel modo, senza spiegare nulla. Adesso che mi ero resa conto di ciò che provavo, be’… Temevo che l’avesse notato anche lui. Forse era per quello che…? Ammettere una possibilità del genere era insopportabile. Mi sforzai di pensare ad altro. Poiché, tra le mie molteplici riflessioni, se decidevo di scartare l’argomento Matt, si faceva strada lo sguardo ricolmo d’odio che mi aveva tanto terrorizzata, mi arresi a quest’ultima opzione. Cercai di riuscire a scoprire, rispolverando insistentemente i miei ricordi-fui accurata nel tenere lontana quelli che lo coinvolgevano- dove li avessi già visti. Non ebbi buoni risultai, ma almeno riuscii a distrarmi.

Arrivata sul lungo mare fui sorpresa di scorgere una sagoma conosciuta, che, appoggiata al muretto, osserva le acque cristalline, che scintillavano al sole quasi fossero composte di diamanti, e la sabbia, il cui inondante odore mi invadeva completamente i polmoni.

Mi avvicinai, piano e mi sistemai accanto a lui.

Sobbalzò. Mi guardò e s’illuminò con un grande sorriso.

“Da quanto tempo…”, esordì, allegro.

Io ricambiai, con pari gioia.

“Eh, già. Come stai, Charlie?”, domandai, cercando di scacciare le domande che mi sorgevano spontanee in mente. Anche se lui abitava nella stessa casa degli Elliot, non voleva dire che sapesse… Dovevo smetterla di pensare a Matt.

“Bene, e tu? Mi sembri un po’… uhm, non saprei definire la tua espressione… preoccupata?”, domandò, senza, però, perdere il suo buon umore.

“Ehm, forse, un po’…”, dichiarai, evasiva. Poi, controllata da chissà quale istinto: “Ehm, sai come sta Matt?”, balbettai velocemente, rimproverandomi immediatamente la mia debolezza.

Lui, inaspettatamente, sorrise.

“Mi aspettavo questa domanda. Ti stai chiedendo perché ieri è sparito così, non è vero?”, chiese, con una punta, impercettibile -pensai quasi di averla solo immaginata-, di malinconia.

Annuii, sorpresa che lui ne fosse a conoscenza.

“Te lo spiegherà lui non appena v’incontrerete, ma se vuoi posso anticipartelo io.”, affermò, guardandomi.

“Credo che qualche spoiler non farà male.”, replicai, la curiosità alle stelle.

“L’ho chiamato io. Avevo un bisogno impellente della sua presenza.”, chiarì, sereno.

Io lo guardai attentamente. Mentiva. Era più che evidente. Era una bugia bella e buona. Matt non aveva ricevuto la chiamata di nessuno. Ma non feci altre domande. Non volevo risposte da lui. Era qualcun altro che doveva fornirmi spiegazioni, pensai arrabbiata. E poi, avevo una scusa per rivederlo, pensai, un po’ più sincera con me stessa. Sospirai, cercando di allontanare quella strana sensazione d’ansia che m’avvolgeva.

Lui mi osservava, curioso. Sembrava sorpreso che avessi accettato le sue dichiarazioni senza batter ciglio. Forse si aspettava che controbattessi. Era chiaro che come scusa era abbastanza penosa. Alzai gli occhi al cielo.

“Be’, che mi racconti?”, chiesi, cercando di mostrarmi tranquilla.

Seguitò a fissarmi, ancora stupito, poi si riprese. Sorridendo, disse: “Nulla di particolare. Solite cose. E tu?”

Io scossi il capo.

“Credo che qualche spirito maligno mi perseguiti.”, annunciai, falsamente seria.

Sollevò le sopracciglia. “Spirito maligno?”, ripeté, confuso.

“Non faccio che fare strani incubi.”, risposi, in tono leggero.

Lui si fece serio. Sembrava averla presa molto peggio di quanto non mi aspettassi. In fondo la faccenda dello spirito era solo uno scherzo.

“Che tipo di incubi?”, mi domandò, ansioso.

Ripensai alla donna con i capelli ramati, evidentemente la stessa persona in entrambi i sogni, al suo compagno in quel luogo pieno di fiori, con gli occhi scuri e cattivi. Stavo per raccontarglielo, quando fui colta da un’illuminazione improvvisa. Sollevai lo sguardo, per incrociare il suo.

Lui mi fisso, interrogativo.

Aveva occhi scurissimi, profondi e freddi. Quegli occhi. Ne ero certa. Erano identici. C’era un’unica cosa che li differenziava da quelli del sogno… Al posto del terribile odio, che avevo visto animarsi contro la ragazza, c’era una dolce sfumatura di bontà.

Salve a tutti!

Che piacere rivedervi! (sì, certo, come se io potessi vedervi!) Eccomi qui, con un nuovo cap della storia. Innanzitutto vorrei ringraziare le mie due lettrici accanite, Padme Undomiel e Mistery Anakin: sappiate che ricevere le vostre recensioni mi rende molto felice, ma anche tutti i lettori e tutti quelli che seguono la mia storia! Vi ringrazio di averla notata e spero che vi sia piaciuta!

In questo nuovo capitolo, con somma felicità di qualcuno, Robert sparisce definitivamente, mentre Emily si accorge del ruolo importante che ha Matt nella sua vita. Spero di aver reso bene la situazione e spero di non aver deluso tutti coloro che vorranno leggere qst cap!

Grazie ancora, 

Shine

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Beyond the sky ***


Beyond the sky

7

Beyond the sky

Immaginavo mani perfette, lunghe e morbide, che si muovessero rapide e sinuose sui tasti di un enorme e bellissimo pianoforte. Ascoltavo, come se realmente qualcuno la suonasse, una melodia dolce e leggera, coinvolgente e rilassante allo stesso tempo, familiare e distante. Era splendida. Meravigliosa come la voce che intonava parole angeliche, cantava seguendo le note della canzone, con uno sguardo d’amore infinito, di dolcezza ineguagliabile. Era  strano come quella scena, di eterna serenità, mi balenasse più volte nella mente, come se chissà quale recondita parte della mia memoria l’avesse richiamata. Come se davvero l’avessi vista e ora mi stessi abbandonando ai piaceri del ricordo. Il fatto che, razionalizzando, era chiaro che non avessi mai potuto ammirare tale impareggiabile leggiadria, non scalfiva in alcun modo l’incanto in cui ero piacevolmente immersa. Mi sentivo lontana dal mio corpo, abbandonato sulla consueta panchina, in una realtà strana e serena.

Sospirai.

Da quando Matt era entrato nella mia vita, avevo iniziato a desiderare di più. Molto più di quanto fosse lecito, molto più di quanto non dovessi. Mi ero concessa di spingermi oltre limiti, faticosamente costruiti, che non riuscivo più a ricomporre. Ed ora avevo la certezza che non avrei mai più raggiunto una felicità completa, in quella realtà. O almeno, non senza i suoi occhi, che mi proiettavano in una dimensione parallela.

Sebbene non fossi affatto giunta ad una conclusione su alcune cose che lo riguardavano, sebbene non sapessi dove avessi potuto già vedere degli occhi così belli, così profondi, un viso così perfetto, così dolce e deciso, un corpo così statuario, senz’ombra d’una imprecisione, ero, però, arrivata a decifrare le emozioni che più risaltavano nei suoi occhi. E, seppur avessi scorto un accenno, con radici non poco profonde, di dolore, c’era una fortissima volontà a non lasciarsi andare all’angoscia, una determinazione ad amare di nuovo. Non potevo allontanare completamente da me la speranza, sebbene cercassi di farla desistere. Sapevo che questa volta l’illusione sarebbe stata troppo dura da sopportare. Non ero affatto sicura che il peso del dolore non mi avrebbe fatta crollare. Provavo qualcosa di nuovo, di diverso, di meraviglioso e terribile assieme. La speranza e la paura combattevano ora in me un’aspra battaglia, di cui più d’ogni cosa temevo il verdetto.

Cercai disperatamente di non pensarci e mi concentrai sulla linea d’orizzonte, sul profilo delle colline in lontananza, dei rami, ricoperti di foglie, che mi pareva di scorgere, ma più d’ogni altra cosa, studiai i raggi del sole, che serpeggiavano fra i tronchi e i cespugli, fra le distesa d’erba verde ed i campi biondi di grano, nel terriccio e sull’asfalto, creando mille, splendidi effetti. La varietà del panorama mi distrasse un po’, mentre, ispirando profondamente, cercavo di non associare ogni sfumatura al colore dei suoi occhi.

Ma, poco dopo, sospirai, sconfitta. Tutto mi ricordava lui, ogni cosa mi riportava in mente la sua immagine. Ed il mio unico desiderio era di rivederlo, di contemplare la sua figura, di seguire con gli occhi il suo profilo, di perdermi nel suo mare di sensazioni e di crogiolami, duro ammetterlo, nelle mie speranze.

Strano come, a volte, veniamo presi in parola.

Non ho mai creduto nel destino, in realtà. Mi è sempre piaciuto pensare che la vita si costruisse in base alle nostre scelte. Ma, come molte volte ci viene dimostrato, esiste qualche forza, una certa, strana forza soprannaturale che in qualche modo interviene per unire e disgiungere. O forse è solo il caso, una coincidenza. Ma non è importante. Ciò che in realtà fu di rilievo, è il fatto che, proprio quando ero immersa nel disperato anelito di rivederlo,  lui spuntò fra gli alberi, in un fruscio che quasi non udii e si avvicinò a me, sereno.

Allora capii che non mi sbagliavo. Quando lo rividi, per la prima volta dopo essermi resa conto di desiderare qualcos’altro da lui, compresi che ne ero davvero innamorata. Ma non fu né la strana capovolta che fece il mio stomaco, né l’eccitazione che immediatamente sentii dentro di me, a farmelo capire. Fu il totale appagamento che provai, fu una felicità che mi avvolse e che avrei trovato, allora come per sempre, solo in lui.

“Ciao.”, salutò calmo, anche se sembrava lievemente imbarazzato.

Ero preparata ad avere un’espressione contrariata, fissarlo severa e chiedergli perentoriamente spiegazioni. Fui solo in grado di fissarlo, sbalordita da quanto fosse molto più bello ora, che lo guardavo diversamente, che non c’era l’ostacolo Robert ad impedire il mio indugiare nella contemplazione della sua perfezione.

“Ciao.”, ricambiai, riuscendo a stento a parlare.

Lui mi fissò, tranquillo.

“Sei arrabbiata con me?”, domandò, studiandomi.

Aveva una voce fantastica, ogni sua parola sembrava seguire una sinfonia dolce e travolgente.

Lo osservai negli occhi e risposi, ignorando le mille emozioni che si affollavano in me: “No. Dovrei esserlo, ma … non lo sono.”

L’avevo colto di sorpresa. Lo squadrai attentamente, in attesa che riprendesse.

Sorrise.

“Credo che sia giusto che io mi scusi lo stesso. È stato molto maleducato sparire a quel modo.”, esordì, sincero.

Distolsi lo sguardo dal suo, cercando di riprendere i contatti con la realtà e soddisfare la mia curiosità, che seppur adesso non si faceva sentire, mi avrebbe tormentata poi.

“Perché?”, chiesi semplicemente, cercando di controllare il mio respiro.

Inesplicabilmente, lui sorrise, divertito.

“Credevo te lo avesse già spiegato Charlie.”

Io sollevai le sopracciglia, scrutandolo con un’espressione di severo scetticismo.

Lui non perse il suo sorriso, ma si fece più serio.

“Preferirei … scusa, ma preferirei non dirtelo. So che non è giusto, che mi sono comportato malissimo, ma, per favore, non mi chiedere altro.”, mi pregò, attento all’effetto delle sue parole su di me.

Non feci una piega. La mia volontà di sapere ogni cosa era crollata. Potevo mai farmi ulteriori domande, se il mio cuore mi spingeva a catturare, sfruttando ogni possibile occasione, la bellezza dei suoi lineamenti? Sapevo che dopo, lontano da lui, mi sarei tormentata, ma mi sembrava poco importante, ora.

“Capisco.”, dissi solo.

Lui sorrise, felice che avessi compreso. Non se lo aspettava, era evidente.

“In programma qualche altra misteriosa fuga, o hai voglia di passeggiare con me?”, domandai, chiedendomi da dove venisse fuori tutto quel coraggio.

Il suo volto si dipinse d’un’espressione di scusa, ma s’illuminò e replicò: “La seconda opzione è decisamente quella che preferisco.”

Io ricambiai e mi alzai dalla panchina.

Inaspettatamente, facendo balzare il mio cuore ad una velocità sovrannaturale, mi sfiorò la mano e la prese, stringendola nella sua.

Arrossii all’istante, la speranza che iniziava a germogliare, incontrollata. Sorrisi, sopprimendola dentro di me, con forza.

Ci avviammo insieme, accompagnati da uno scenario bellissimo. Camminavamo lenti sul lungomare, mentre le onde si abbattevano sulla spiaggia, con un moto continuo e rilassante, e la spiaggia luccicava sotto il sole pomeridiano. Ma sapevo era lui a rendere ogni cosa perfetta. Provai l’incontrollato desiderio di farmi stringere tra le sue braccia, di poter incontrare le sue labbra.

Immediatamente mi rimproverai. Stavo andando troppo oltre. Troppo.

“Ti va di raccontarmi qualcosa di te?”, mi chiese, curioso. “Vorrei conoscerti meglio.”

Presa alla sprovvista, arrossii, ma cercai di riprendermi subito.

“Ok.”, assentii, poi soggiunsi: “Però, poi … lo farai anche tu!”

Accettò la mia condizione, con un sorriso.

“Allora … che dire …”, iniziai, cercando di non pensare a quanto fossi banalmente normale. “Sono una quasi diciottenne con la testa fra le nuvole, caotica, amante della vita, della natura e dei libri. Mi piace correre a perdifiato, fino ad avere la sensazione di volare e il mio più grande desiderio, ma non ridere, per favore, è fare un giro in cielo su una nuvola.”

Matt, che era stato tutto il tempo concentrato ad ascoltarmi, s’illuminò con un grandissimo sorriso. “Ti credevo una ragazza con i piedi per terra.”, commentò, divertito.

Io risi.

“Invece, a quanto pare …”

Lui s’illuminò ancor di più. M’immersi di nuovo nei suoi occhi, sommersa dalla sua espressione felice.

“Be’, tocca a te.”, ordinai, guardandolo.

Lui mi fissò. “Non sono interessante come te.”, dichiarò.

Io alzai gli occhi al cielo. Un ragazzo come lui, meno interessante di me? Si, certo, in un altro mondo.

Parve capire ciò che pensavo dalla mia espressione d’incredulità, e sorrise.

“D’accordo, d’accordo. Però ti avevo avvertita.”, affermò, poi si fece un po’ più serio. “Sono un quasi ventunenne, a cui piace cogliere gli aspetti più strani ed innocenti della vita. Detesto valutare gli oggetti solo per come sono, insomma … non sopporto la razionalità.”

Fece una pausa, mi sorrise e poi riprese: “Adoro la musica e la poesia, mi piace associare ad ogni cosa una melodia. Il mio sogno più grande è...”

Si fermò, gli occhi pieni di tristezza.

Attesi che parlasse, la curiosità e il timore alle stelle. Il silenzio si protrasse per un po’, ma non lo interruppi.

“Il mio sogno più grande,”, spiegò, fissando il vuoto dinanzi a sé, il viso animato dal dolore, “è quello di rivedere la persona più bella che io abbia mai conosciuto.”

Io sorrisi, cercando di placare la mille sensazioni che mi si agitavano dentro. Sapevo, ovviamente, a chi si riferiva. E c’era una cosa che avevo bisogno di chiedergli. Qualcosa che avrebbe dato il via libera o, al contrario, avrebbe frenato le mie speranze.

Inspirai.

“Matt …”, iniziai.

Lui mi fissò,riscuotendosi e recuperando quell’espressione che gli avevo visto sul viso i primi giorni della nostra conoscenza. Una maschera indecifrabile, perfetta.

“Sei ancora innamorato di Anne?”, chiesi, trattenendo il respiro.

 

 

“La distanza fra di noi mi toglie il respiro. Ma solo io sento la mancanza dell’aria. Tu sei la mia aria, ma io non sono la tua. Sono un ornamento senza importanza, un gingillo di cui puoi fare a meno. Ma, nonostante tutto, sei sempre tu la fonte delle mie idee, dei miei sentimenti. Le mie emozioni ti appartengono, sebbene tu non desideri averle. Con la tua indifferenza, di cui però non posso accusarti, mi hai conquistato. Sono intrappolata in te e nei ricordi di una speranza mai terminata, nel desiderio non ancora spento, troppo morboso per cessare di tormentarmi, troppo vero, troppo illusorio. Sei la mia attesa senza fine, sei un ricordo che non riesco ad accantonare. Sei ignaro di quanta sofferenza provochi, non conosci il turbamento che ogni tuo sorriso, sguardo o parola arrecano al mio cuore. Non conosci me. Sei distante, troppo. Sei la persona che amo, ma da cui non sono amata”

Respirai. Rilessi attentamente ciò che avevo scritto. Non potevo credere di essere arrivata a quel punto. Non riuscivo a capacitarmi di provare qualcosa del genere. Ora capivo. Capivo ogni cosa. Ero stata cieca, sciocca, infantile. Avevo osato definire amore ciò che provavo per Robert. Ma adesso, quell’emozione che rivoltava il mio cuore come un uragano, la mia anima come una tempesta, con le onde che s’infrangevano violente dentro di me, colpendomi, facendomi vacillare, cupe, aggressiva, ma meravigliose, spettacolari, mi apriva finalmente gli occhi. No, non bastavano cinque lettere a definirla. Amore? Era solo una parola. Un insulso lemma del dizionario italiano, che riportava una definizione a dir poco inconcepibile. Chiamarla amore era riduttivo. Ma non riuscivo ad esprimermi. Sapevo solo che adesso non mi interessava più nulla. Né Robert, né la mia famiglia, i miei amici. Nulla. Solo lui.

Il fatto che ora fossi consapevole di ciò che insorgeva in me era sollevante, sebbene non mi confortasse. Gli attimi in cui non respiravo, in cui girovagavo per la casa senza una meta, con una strana sensazione ad attanagliarmi lo stomaco avevano dunque una spiegazione.

Sospirai.

Per calmarmi avevo scritto ciò che mi sembrava di provare. Ma non ero stata io a prendere la penna in mano e a tracciare quei segni, indelebili sul mio quaderno e nel mio cuore. Era stata una forza, di cui non conoscevo l’entità, di cui non sapevo accertare la provenienza. La mia mano si era mossa, ma non ero io a controllarla.

Adesso ero tornata a respirare e la sensazione di nausea si andava affievolendo. Ma al suo posto, insidioso, c’era il dolore. L’angoscia per essermi resa conto che ogni mio attimo di vita dipendeva da lui, la tristezza nel vederlo nella mia mente, il suo volto, il suo sguardo, il suo sorriso e la cupa certezza che lui non ricambiava. Aveva già donato la sua anima. Non mi aspettavo nulla da lui, ma la prospettiva di speranze su speranze, che non riuscivo a cancellare completamente e che sarebbero state certamente deluse, mi faceva sprofondare nello sconforto più totale.

Sentii gocce fredde cadermi sulle mani e mi toccai le guance. Credevo di aver sofferto per Robert? No, non era nulla a confronto.

Matt.

Matt era l’unico in grado di colmare il mio vuoto, completamente, meravigliosamente. Era tutto.

Ripresi la penna.

Le lacrime mi scorrevano copiose sulle guance, i miei occhi verdi vagavano attorno, tutto era sfocato.

La posai sul foglio che avevo davanti a me.

 

Scivoli di me …

come pioggia.

Sento i capelli bagnati,

il corpo invaso d’acqua fredda,

i vestiti fradici …

Vorrei avere un ombrello,

per proteggermi da te.

 

Il dolore che m’infliggeva l’idea che lui non mi avrebbe mai, mai, amato era indescrivibile. Il mio stato era di prostrazione totale. Il germe della speranza che era spuntato veniva soffocato con forza dalla mia ragione, e la realtà opprimeva ogni spiraglio d’immaginazione, ogni confuso fotogramma della mia fantasia.

Mi sentivo in trappola, il cuore riarso d’angoscia, le pareti che mi si stringevano attorno.

Di nuovo presi la penna. Non riuscivo a capire cosa mi succedesse, ma avevo il bisogno disperato di svelare le mie emozioni, anche se solo ad un foglio, umido delle mie lacrime, macchiato d’inchiostro.

La mano mi tremava, mentre premevo con forza sulla pagina e tracciavo quei segni che avrebbero formato le parole.

 

Dimenticai il respiro,

brame d’oscurità,

attorno,

m’avvolgevano.

E caddi.

L’anima mia,

e le emozioni,

tra di esse m’ero persa.

 

Ma cosa stavo facendo? Cosa volevano dire quei versi che avevo scritto? Mi ero data alla poesia? Che cosa avrebbero risolto?

Nulla.

Non ero lucida.

Mi distesi per terra, tutto mi roteava attorno.

Sentii il freddo del pavimento. Rabbrividii.

Per la prima volta comprendevo il significato della parola amore.

Per la prima volta ero convinta di aver trovato l’unica persona che potesse farmi amare davvero.

Per la prima volta sperimentavo cosa si prova ad avere nel cuore un sentimento simile, sapendo che non verrà mai condiviso.

Io amavo lui.

Era banale, era semplice, era terribile. Lui non amava me.

 

 

Sorrisi, sperando di sembrare convincente.

“Che piacere vederti, Sophie.”

Lei mi studiò attentamente e capì.

“Che cosa è successo?”, mi domandò, senza nascondere la sua preoccupazione.

Sospirai e mi sedetti sul letto.

“Nulla d’importante, te lo assicuro.”, risposi, sforzandomi di far sembrare sincera la mia affermazione.

Lei non mi diede ascolto. “Hai pianto?”, domandò, studiando i miei occhi.

Annuii.

“Preferirei che parlassimo d’altro.”, annunciai, pacata, ricacciando la disperazione dentro di me.

Moriva di curiosità, era evidente, ma non mi fece altre domande.

“Mi spiace di essere venuta a trovarti in un momento così poco opportuno.”, si scusò, scuotendo la testa e facendo volteggiare elegantemente i suoi capelli scuri.

“Non ti scusare, Sophie.”, ribattei decisa. “Ho bisogno di distrarmi, quindi sei assolutamente gradita.”

Lei sorrise. Era bella quanto il fratello, aveva lo stesso colore dei suoi occhi, ma assomigliava più a sua madre. I lineamenti del suo volto era impeccabili, i suoi capelli scendevano lisci sulle spalle, perfetti anch’essi.

“Ero venuta per invitarti alla mia festa di compleanno, tra due settimane. Lo so, è un po’ in anticipo, ma vorrei assicurarmi che tu non abbia altri impegni.”, dichiarò allegra, con gli occhi che dardeggiavano d’eccitazione.

“Che bello!”, esclamai, mentendo magistralmente. Sperai che non se accorgesse.

Rivedere Matt non mi avrebbe fatto bene, ma, pensai, in ogni caso ci saremmo incontrati comunque.

“Lo so.”, rispose Sophie. “Non vedo l’ora che arrivi quel giorno. Ti rendi conto? 16 anni!”

Io risi. “Lo so. Per me invece incombe la vecchiaia.”

Lei mi lanciò un’occhiataccia, rimproverandomi.

“Ma se ne devi compiere solo 18! Ma tu guarda, già vecchia!”,  protestò, infervorandosi.

Scoppiamo entrambe in una risata fragorosa.

“Richie dice che ha una sorpresa per me …”, annunciò, evidentemente soddisfatta.

“Sarà sicuramente qualcosa di meraviglioso.”, profetizzai, fingendomi allegra.

La fugace immagine di Matt al posto di Richard, di una sorpresa dedicata solo a me, mi aveva trafitto ed il dolore era tornato insopportabile.

“Quel romanticone …”, sospirò Sophie, pensando al suo ragazzo con affetto.

Cercai di sorridere.

Non riuscivo a riprendermi, ma non volevo che s’accorgesse si nulla.

Lei alzo lo sguardo e parve sorpresa. Poi prese a guardarmi negli occhi, senza batter ciglio. Quando distolse lo sguardo, sembrò sconvolta.

Mi chiesi che cosa fosse successo. Era strano. Possibile che gli Elliot fossero tutti così indecifrabili?

“Tutto bene?”, domandai, stupita, respirando a fondo per calmarmi.

Lei guardava verso la finestra, senza vederla veramente.

Fuori la luce s’era affievolita e appena uno spiraglio di biondo chiarore trapelava dalle tende, che coprivano i vetri.

Rimasi a fissarla, in attesa.

“Sei innamorata di mio fratello?”, chiese in un sussurro, triste.

Io rimasi sconcertata, senza parole.

Com’era possibile che avesse capito tutto quanto? Solo guardandomi! Cercai di riprendermi, ma quando parlai la mia voce suonò rauca.

“Cosa te lo fa credere?”, domandai.

Lei si voltò nuovamente verso la finestra, preoccupata.

Ignorò la mia domanda, ma soggiunse: “Emily, lui …”, cercò di spiegare cauta, attenta a non ferire i miei sentimenti.

“Lo so.”, sospirai, rinunciando a fingere che non fosse vero.

La mia amica si voltò verso di me, sorpresa.

“Lui non mi ama.”, affermai, cercando di suonare calma, sebbene la ferita nel mio cuore mi gridasse di piangere, di urlare, di sfogare il mio dolore.

Sophie sospirò.

“Mi spiace.”, dichiarò,sincera.

“Non preoccuparti.”, la incitai, sorridendo. “Passerà.”

Un silenzio glaciale invase la stanza. Sapevo che avrebbe voluto consolarmi, ma non sarebbe bastato. Capivo perché non sapesse come comportarsi e mi rimproverai per averla messa in quella situazione. Volevo riattizzare la conversazione, ma non sapevo come fare. Cercai d’ignorare la sensazione di nausea che mi avvolgeva, sospirai e decisi d’infliggermi volontariamente dolore.

“Parlami di lui.”

Lei si voltò, mi fissò di nuovo, attentamente, come per capire quanto fosse intenso il mio desiderio.

“Matt è sempre stato un fratello meraviglioso, presente quando ho avuto bisogno di lui, affettuoso, sensibile. Mi assecondava sempre quando facevo pazzie adolescenziali, mi copriva con i miei, che però poi scoprivano sempre tutto, mi rendeva allegra con il suo modo di fare.”

Si fermò, riprese fiato e valutò il mio umore. Fui abbastanza convincente, così riprese a raccontare.

“Tu l’hai conosciuto come un ragazzo taciturno e introverso, ma lui non è mai stato così. Quando due anni fa Anne morì, cambiò completamente. Costruì un muro attorno a se stesso e si rinchiuse nel suo guscio. Non sorrideva più. Gli ci volle molto tempo per ritornare a farlo. Non è mai più stato lo stesso, ma si è sforzato di essere un bravo fratello. Ci è riuscito, naturalmente. Ma con gli altri non è così. Non si rapporta più a nessuno con facilità, teme di affezionarsi a qualcuno, di soffrire ancora. Il colpo è stato troppo duro per lui.”

Sophie sospirò, pensosa.

Ripensai al Matt dei primi tempi, quello silenzioso, freddo, giudicato da tutti altezzoso. Ricordai il ragazzo che poi si era rivelato, la sua passione per ogni cosa, la sua dolcezza, la sua comprensione.

“Si è sentito per moltissimo tempo in colpa.”, proseguì la mia amica ed io la guardai, attenta. Pendevo letteralmente dalle sue labbra. “Non credo che sia ancora riuscito a superarlo.”

Ciò che aveva detto parve rattristarla grandemente.

“Però da quando ti conosce è cambiato, almeno in parte. Sorride di più ed è più allegro.”, rifletté, sorridendo.

Sentii un tuffo al cuore, ma lo misi prepotentemente a tacere.

“Solo che …”, soggiunse la ragazza, di nuovo seria. “Non per essere cattiva, ma non credo sia una buona idea che tu t’illuda. Non so se lui prova quel tipo d’affetto per te.”

Io, inaspettatamente, sorrisi. “Lo so.”

“L’amava tanto?”, domandai, dopo un istante di riflessione, con l’evidente intento di farmi del male da sola.

Sophie mi guardò, alzando gli occhi al cielo.

“Sei masochista o cosa?”, domandò, esasperata.

Incurvai le labbra, cercando di apparire sufficientemente tranquilla.

“Dai, parla.”, la incitai.

Lei sospirò.

“Moltissimo.”, esclamò, mentre gli occhi le si colmavano di dolcezza. “Pensa che, per il giorno del suo compleanno, scrisse nel cielo una frase bellissima, che luccicò per tutta la notte. Era bellissima!”, ricordò, con una dolce nostalgia nello sguardo.

Io rimasi senza parole.

“Scrisse nel cielo?”, domandai, sicura di aver sentito male.

“Non so come abbia fatto.”, rispose, evasiva, guardando altrove.

Decisi di non indagare.

“Cosa scrisse?”, chiesi, curiosa.

“… Le stelle decisero un giorno di scrivere il nome della più bella ragazza nel cielo, affinché potesse essere ammirato da tutti. Scelsero il tuo … E sotto c’era scritto Anne.”, citò, sorridendo.

Io rimasi in silenzio.

Quella frase. Io avevo già sentito quella frase.  Quelle parole, così belle, così dolci. Com’era possibile?

“Tutto bene?”, mi domandò Sophie, preoccupata.

La guardai, riprendendomi e sorrisi.

“Si, tutto ok.”, replicai, pensosa.

Sì, l’avevo già sentita. Ma dove? Non riuscivo proprio a ricordarlo. E poi, come facevo a rammentare una frase, di cui non potevo essere a conoscenza?  E gli occhi di Matt …

Fu coma una fulmine improvviso. Un’illuminazione istantanea. Ma certo! Io sapevo esattamente dove li avevo già visti. Dove avevo sentito quella frase. Solo che non era possibile. Era contro ogni legge di natura.

 

 

Rovistavo nel baule in soffitta, alla sua disperata ricerca. Doveva esserci, per forza! Non m’interessava mettere in disordine, non m’importava della polvere che mi ricopriva i vestiti. Desideravo solo una conferma, che avrebbe fatto cedere le impalcature che tenevano in piedi le mie convinzioni di sempre.

Finalmente la trovai. Era un quaderno, impolverato, con una copertina bellissima, che ospitava un panorama fantastico, quasi sovrannaturale, abbandonato lì da chissà quando.

Era la storia che avevo creato due anni prima, che avevo scritto con passione, che avevo dimenticato.

Sfogliai le pagine velocemente, cercando di trovare quel passo preciso, mentre mi tormentavo incessantemente. Non era possibile, non poteva essere, mi ripetevo incessantemente. Individuatolo, mi fermai ed iniziai a leggere.

 

Le stelle decisero un giorno di scrivere il nome della più bella ragazza nel cielo, affinché potesse essere ammirato da tutti. Scelsero il tuo … ANNE …

Sorrise.

Era sicuro che lei avrebbe gradito la sorpresa. Fissava il cielo, contemplando il suo bel lavoro. Quanto l’amava. E quant’era fortunato ad essere amato da lei. Una ragazza così meritava questo ed altro. Si appoggiò alla corteccia dell’albero, stremato. La scritta luccicava nel cielo, brillava del suo amore, esprimeva il suo cuore. Rimase a lungo fermò, pensando a lei. La sua immagine si rifletteva nel lago. Il suo profilo tremulo, i suoi occhi scuri, i lineamenti perfetti, illuminati da un grande sorriso. Se la sua bellezza era sempre evidente, quella sera lo era ancor di più. Risplendeva d’amore, un amore indissolubile, d’una felicità aldilà di ogni sua aspettativa.”

 

Alzai gli occhi da quelle pagine. Avevo scritto quella storia due anni prima. Come potevo conoscere la sua vita? Narravo di un mondo lontano, come diceva il titolo stesso ‘Beyond the sky’, aldilà del cielo. Raccontavo di battaglie, di magia, d’amore, d’amicizie. Decretavo la vita e la morte dei miei personaggi. Com’era possibile? Lui proveniva da un altro mondo? Io avevo deciso il suo destino?

Ridicolo. Era solo una coincidenza. Come potevo pensare una cosa del genere?

Confusa ed agitata, con le lacrime che minacciavano di straripare sulle mia guance da un momento all’altro, cercai un’altra parte del mio libro. Tornai alle prima pagine, fermandomi sulla seconda.

Osservai per un istante la mia scrittura, stretta e sinuosa, poi lessi con avidità.

 

“Osservò la figura della persona amata, riflessa sul vetro della finestra. Era bellissima. I capelli biondi le ricadevano morbidi sulle spalle, incorniciandole il viso angelico. Gli occhi, celesti, limpidi come l’acqua di fonte, erano allegri e sereni, affascinanti, come non sarebbero mai potuto essere gli altri. Il corpo, magro e perfetto, la pelle chiara, la dolcezza che emanava. Quanto l’amava. Era la sua Anne. La sua meravigliosa, stupenda, Anne.

Lei gli sorrise.

A sua volta studio il profilo di lui. Il viso calmo, ma gli occhi, color topazio, animati da una grande ammirazione, che sconfinava quasi in adorazione, per lei , la ragazza che amava. Come poteva meritare un ragazzo così? Leale, coraggioso, allegro e dolce? Non riusciva veramente a spiegarselo.”

 

Smisi di leggere. Le lacrime m’inondavano ormai il viso, senza ch’io potessi fermarle. Io conoscevo tutto di Matt. La sua storia d’amore, le sue amicizie, le sue imprese.  Ma era inconcepibile che fosse così. Inconcepibile.

 

 

Il cuore batteva forte ed io riuscivo a malapena a catturarne i singulti, tenendo la mano ferma sul petto. Non avevo mai provato una sensazione simile. Era qualcosa d’indescrivibilmente perfetto.

Seduta sulla sabbia morbida e fresca, che scorreva fra le mie dita inerti, osservavo l’enorme distesa blu, immensa, affascinante, senza poter esprimere in parole la mia ammirazione. Guardavo il cielo, con la sua luna, alta e candida, luminosa come non mai e le nuvole, sbuffi di vapore azzurro, nell’infinito blu, brillante, sereno, tranquillizzante.

Udivo il fruscio lento e continuo delle onde, il soffio del vento, che m’avvolgeva, con un suono sinuoso ed elegante, morbido e avvolgente. Ascoltavo il silenzio profondo, l’assenza di parole, l’assenza di risate, l’assenza di tristezza. Un profondo, ineguagliabile riposo d’ogni voce, piacevole, ininterrotto.

Respiravo l’aria salmastra, l’odore delicato e invadente del sale, della sabbia, il profumo degli alberi in lontananza. La scia d’intenso profumo di rose mi penetrava dolcemente nei polmoni, calda, dolce, meravigliosamente intensa e magica.

Sfioravo i granelli, lasciando che mi scivolassero sopra, che penetrassero del candido vestito che indossavo, quasi fosse polvere d’oro. Accarezzavo i petali del fiore che avevo accanto, il blu profondo della sua corona, i teneri rametti e le piccole spine, come se fossero un gran tesoro. Le mie mani affondavano nell’acqua, tiepida, lasciando che scorresse lungo le braccia, in minuscole goccioline serene.

Assaporavo il sapore dolce e allegro d’una mora, ne godevo il gusto morbido e delizioso, con un’attenzione mai provata.

I miei sensi erano completamente appagati, uniti in una strana e magnifica sintonia, nel blu della sera. Non serbavo più alcun ricordo di quello che era accaduto, ma la mia mente ed il mio cuore erano lontani dalla realtà che mi apparteneva. Per quei magici, perfetti, fantastici istanti, dimenticai tutto quello che mi aveva angosciato e mi abbandonai alla più completa felicità.

 Zalve a tutti i miei lettori!

Innanzitutto vorrei ringraziare ancora una volta tutti quelli che hanno deciso di leggere la mia storia e le mie due più assidue lettrici: Padme Undomiel e Mistery Anakin! Il vostro appoggio è veramente importante per me, quindi vi prego di continuare a darmelo con severe e critiche recensioni! XDXD 

Quest'ultimo cap. segna una svolta fondamentale per la storia, poichè finalmente si spiega la strana familiarità di Matt per Emily. Questa svolta rapppresenta uno dei punti cardine di tutto il racconto, quindi ci terrei molto a sentire i vostri pareri a riguardo.

Grazie in anticipo e alla prossima...

Shine

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Impossibile ***


Impossibile

8

Impossibile

Mi sentivo strana. Non c’era altro modo per indicare quello che mi si agitava dentro. Percepivo una sorta d’innaturale pacatezza e tranquillità, frammentata da lunghi istanti di confusione, di un susseguirsi di cupi e assurdi pensieri, che mi divoravano impunemente, senza che potessi allontanarli dal mio cuore. Abbandonata sul letto, chiusa nella mia camera, attendevo che i minuti si tramutassero in ore e che il tempo si decidesse a scorrere ed a far finire quella notte interminabile. Ma cosa avrei trovato la mattina dopo, se non altra disperazione, altra confusione, altri tormenti? Non potevo sopportarlo.

Non avevo dormito per niente. Avevo consumato la notte nel rileggere la mia storia, avevo studiato ogni piccolo particolare, ogni frase, ogni parola … Matt, la sua eccezionale bellezza, il suo carattere – almeno per quel poco che avevo conosciuto e che mi aveva fatto innamorare di lui- collimavano perfettamente. E la storia della morte di Anne lasciava perfettamente intendere perché lui si sentisse così in colpa, sebbene non avesse nessuna responsabilità. Solo che non aveva senso. Perché, secondo ciò che avevo scritto, i due abitavano in un altro mondo, un mondo fantastico, un mondo dei sogni, quello che ogni bimbo immagina, quello che ogni persona vorrebbe far suo. Secondo il mio libro c’era un uomo, indefinibile per crudeltà e brama di potere, che voleva l’immenso potere che la famiglia di Matt custodiva. Ed io, io avevo decretato che si spingesse fino ad uccidere una ragazza innocente, un angelo, d’una dolcezza sconfinata, per ottenere ciò che voleva. Possibile che i destini che avevo scelto per i miei personaggi, si fossero concretizzati? Per quella persona che amavo, per giunta,per lui, di cui non avrei più potuto fare a meno. Parlavo di magie, di battaglie, d’avventure. Era inconcepibile che la mia ragione accettasse una realtà del genere. Ma d’altronde non riusciva neanche a trovare un’altra spiegazione soddisfacente.

Mi rigirai nel letto, sconvolta. Quella frase, quella bellissima frase …  Oh, ma perché doveva essere tutto così complicato! Perché mi ero innamorata proprio di lui?  Lui, che non mi amava, che non avrebbe mai potuto, lui che- se era la verità- veniva da un altro mondo, lui che era stato un eroe, lui che era il ragazzo migliore che avessi potuto incontrare, lui che non si poteva descrivere a parole.

Era curioso. Quando avevo scritto la mia storia, avevo plasmato Matt ad immagine del mio “principe azzurro”, del ragazzo che prendevo come modello, l’unico con cui avrei sempre voluto stare insieme. In fondo io l’avevo sempre amato. Fin dalla prima volta che l’avevo conosciuto. Solo che me ne ero accorta solo ora.

Mi sentivo insignificante, impotente. Tutto quello era troppo per me. Stavo per crollare e non potevo impedirlo.

Gettai con rabbia la coperta da un lato e mi alzai di scatto. Basta!, mi dissi, con rabbia. Era tutta la notte che mi tormentavo inutilmente, che mi trastullavo tra le mille supposizioni, senza venire a capo di nulla. Non ne potevo più.

Mi vestii a tentoni, senza badare troppo a quello che indossavo. Aprii la porta e mi addentrai silenziosa nei corridoi. I miei, per fortuna, dormivano ancora. Presi la felpa, scrissi velocemente un bigliettino e, dopo averlo lasciato sul tavolo, uscii.

Respirai l’aria limpida e fresca della mattina, lasciando che m’inondasse e mi tranquillizzasse. Il sole non era ancora sorto ed il cielo era ancora d’una sfumatura bluastra, ultimo residuo d’una notte tra le più lunghe che avevo passato. Lasciai che il mio sguardo vagasse attorno, nella tranquillità delle prime luci di un giorno, mentre m’incamminavo verso una meta precisa. Un velo d’oscurità, sottile e delicato, ricopriva ogni palazzo, che svettava silenzioso tanto da sembrare addormentato, avvolgeva l’orizzonte, gli alberi in lontananza e rendeva un mistero anche ciò che non lo era. Osservai ogni cosa, chiedendomi come fosse quell’altro mondo, se esisteva. Si potevano ammirare bellezze del genere? Si potevano provare le stesse sensazioni?

Il tragitto per arrivare alla pineta mi parve brevissimo. Ero così immersa nei miei pensieri, che non mi accorsi dello scorrere dei minuti. Quando riconobbi la quercia dove io e Matt c’eravamo conosciuti, il sole aveva cominciato a sorgere. La osservai, in silenzio, per alcuni secondi, sentendo una gran nostalgia che riaffiorava incontrollata nel mio cuore, poi mi lasciai andare ai suoi piedi e, con lo sguardo fisso verso il cielo, permisi alla mia fantasia d’indugiare nelle uniche riflessioni che potessero, per quanto precariamente, donarmi sollievo e quiete.

Cercai di racimolare nella mia mente tutte le sensazioni che di solito erano associate, inconsapevolmente, alla contemplazione della natura, delle sue molteplici sfumature, delle sue svariate bellezze. Cercavo di relegare, in un angolo buio e lontano della mia sfera sensoriale, l’intensità della confusione che sentivo. Ci riuscii soltanto quando, vinta dal sonno che non avevo sentito arrivare durante tutta la notte, vidi le immagini dinanzi a me offuscarsi, i contorni divenire sempre meno definiti e la luce svanire pian piano, per lasciar posto ad un’oscurità grande e rassicurante.

 

Sentivo il mio nome sussurrato dolcemente, da una voce così armoniosa, così pura, che non potei fare a meno di credere di trovarmi ancora in un sogno. Avvertii due mani forti che mi scuotevano, cercando di farmi destare quanto più delicatamente possibile. Se quel tocco non fosse stato d’una tenerezza così inebriante, da non poter essere solo immaginaria, non avrei mai avuto la forza di credere di essere sveglia. Non avrei mai aperto gli occhi, se non fossi stata certa che la mia fantasia non mi stesse giocando qualche brutto scherzo. Mi sentivo elevata ad uno stato di serenità e gioia, che mi sembrava d’aver dimenticato, quando finalmente presi la mia risoluzione.

Lentamente li spalancai, pronta ad ammirare il suo viso, desiderosa di scorgere la luminosità dei suoi scuri bagliori. Non fui delusa.

Lui era lì, mi sorrideva con dolcezza, mi fissava tra il preoccupato ed il divertito. Il suo viso era lì, a pochi centimetri dal mio, in tutto il suo divino splendore, perché sicuramente quello non era umano, con il suo profumo avvolgente, con la sua espressione ammaliante.

All’improvviso, desiderai non essermi mai svegliata. Vedere la sua impareggiabile bellezza, ma ancor di più, quei tratti di allegria, che si scorgevano dai suoi lineamenti, e sapere che non avrei mai potuto far avverare quell’unico, vero sogno, quella sola, intensa speranza che avevo in quel momento, era la peggiore delle crudeltà.

Sbattei le palpebre, cercando di riprendere i contatti con la realtà.

Lui mi sorrise ancora, divertito.

“Non si usano più i letti per dormire?”, mi domandò, ironico.

Avrei voluto rispondere a tono, ma, al ricordo di quella notte, sentii una gran tristezza invadermi. La mia espressione, che doveva risultare confusa ed assonnata, si raggelò.

Matt se ne accorse immediatamente.

“Ho detto qualcosa che non va?”, chiese, sorpreso dalla mia reazione.

Scossi il capo. Avrei voluto parlare, ma temevo di scoppiare a piangere. Cercai di porre un freno alle mie emozioni, mentre lui attendeva, immobile, con il volto rannuvolato dall’ansia. Quando fui certa d’aver raggiunto un contegno, respirai a fondo e cercai di parlare.

“Che ore sono?”, dissi e notai con sollievo che ero abbastanza controllata.

“Le 8:30.”, dichiarò, poi, impaziente: “Come mai eri qui?”

Sospirai. Ero qui perché mi sono tormentata tutta la notte, chiedendomi se tu sei o no d’un altro mondo, avrei voluto esclamare, ma mi trattenni. Forse, mi avrebbe presa per pazza.

“Non riuscivo a dormire, così ho fatto un giro. Devo essere crollata, senza accorgermene.”, risposi, con tono che speravo apparisse sufficientemente convincente.

Mi osservò attentamente; poi, ridendo, mi tolse una foglia che si era incastrata tra i miei capelli. Cercai di abbozzare anch’io una risata, con scarsi risultati.

In quell’istante il mio sguardo incrociò il suo ed io mi persi nuovamente nei suoi occhi, il mare coinvolgente delle sue sensazioni m’avvolse, ma questa volta, colpita dalla prospettiva d’una autoimposta separazione che mi aspettava, sentii nuovamente il dolore riattraversare i miei lineamenti e l’abbattimento rinascere, soffocante, nella mia mente.

Non gli sfuggì. Mi fissò, nuovamente stupito,poi mi chiese, corrugando la fronte: “Cosa ti è successo?”

Scossi il capo, decisa.

“Niente.”, replicai, ma non fui efficace come volevo.

Matt sollevò le sopracciglia, lasciandomi intendere quanto poco credesse alle mie parole, poi, con dolcezza e galanteria, mi aiutò ad alzarmi.

Barcollai e mi appoggiai a lui. La posizione in cui ero stata non rendeva facili i miei movimenti. Mi sorresse senza sforzo, finché non recuperai un equilibrio stabile.

“Grazie.”, dissi, sorridendo.

Lui sospirò, ma poi ricambio con un espressione un po’ più allegra.

“Non ho idea di cosa ti sia successo, né mi va d’insistere, visto che, a quanto pare non vuoi dirmelo.”, osservò, serio. “Ma sono molto preoccupato per te e non mi piace vederti così. Quindi, agisci di conseguenza.”

M’illuminai, cercando di diffondere sul mio viso la stessa gratitudine che sentivo dentro. Stava cercando di sollevarmi il morale, senza sapere cosa m’affliggesse, e ci sarebbe riuscito, se non fosse stato lui la causa principale del mio stato d’animo, che dondolava fra dolore e confusione.

“Ho bisogno di camminare.”, annunciai cercando di muovermi, cauta.

Lui, le labbra incurvate in un sorriso, mi prese la mano e mi guidò per un sentiero sgombro da pigne e, per quanto possibile, dagli aghi di pino.

Lo seguii in silenzio, con l’intento di avere un gran dominio di me stessa, per tutto il tempo che fossimo stati insieme. Ma la volontà non basta da sola, imparai quel giorno. Non con un compagno del genere accanto.

Mi portò su una piccola roccia levigata, in spiaggia, dove ci sedemmo, ad ammirare il mare.

Per un attimo fui distratta dal bellissimo gioco di colori del sole, sull’acqua cristallina, dallo sciabordio delle onde e dallo scintillio della sabbia, che veniva periodicamente ricoperta da una densa spuma bianca. Il cielo era terso e poeticamente in linea con il resto del panorama, mentre il sole lo dipingeva di striature bionde e lucenti, senz’ombra di dubbio, fantasticamente magiche.

Sospirai, quando lui mi sfiorò la mano. Ovviamente non potevo ignorarlo sempre, ma mi chiedevo quale altro modo ci fosse per non scoppiare a piangere.

Decisi di dirottare la conversazione su qualche argomento che ci tenesse lontani da quello che affrontare sarebbe stato inconcepibile.

“Come vanno le vacanze, Matt?”, domandai, cercando di apparire vivacemente interessata.

Sorrise.

“Molto bene. Mia sorella è un po’ strana, ultimamente, ma tutto bene.”, rispose, sereno.

Aggrottai le sopracciglia, curiosa.

“In che senso, strana?”, chiesi, fissandolo interrogativa.

Lui mi scrutò, poi nuovamente s’animò con un sorriso.

“Dice che dovrei evitare di vederti, ma non vuole spiegarmene il motivo.”, affermò, continuando ad osservarmi.

Mi raggelai all’istante, quando realizzai ciò che aveva detto. Distolsi lo sguardo, tenendolo fisso sull’orizzonte, per evitare che mi vedesse piangere.

“Non credo che volesse che io lo sapessi.”, asserii, senza voltarmi.

Lui aveva assunto un’aria più seria.

“Immagino sia così. D’altro canto, però, forse tu puoi spiegarmi perché dovrei fare una cosa del genere.”, replicò, pensoso.

Non s’accorse del mio sorriso amaro, né del dolore che mi avvolgeva, finché non mi girai a guardarlo.

I suoi lineamenti mostrarono nuovamente il mutamento dei suoi sentimenti. Ora scorgevo in lui solo preoccupazione.

“Dovresti ascoltarla.”, lo incitai, pacata. “Lo fa per non farmi star male.”

Lui corrugò la fronte, evidentemente sorpreso.

“Non ti seguo.”, disse, fissandomi.

Non so perché, invece di raccontare una sciocchezza, dichiarai apertamente ciò che provavo. Non so perché, di solito riluttante ad esprimere i miei sentimenti, lo feci così sfacciatamente. Non so se fu un bene, o un male. Quello che so è che pronunciai quelle parole.

“Io sono innamorata di te, Matt.”

Rimase immobile e mi fissò sconcertato, senza essere in grado di pronunciare alcunché. Lo guardai, aspettando che si riprendesse, divisa fra il dolore e l’imbarazzo.

Passarono minuti interminabili, poi lui si riebbe. Delicatamente raccolse le mie lacrime con la mano, mi asciugò il viso, con un dolore nel volto, che era, oserei dire, pari al mio.

“Emily, io …”, iniziò, guardandomi addolorato.

Scossi il capo.

“Lo so.”, spiegai, calma.

Lui scosse il capo, con veemenza.

“No!”, esclamò, adirato. “No, non sai niente.”

Si voltò di scatto verso il mare, con rabbia evidente.

“È tutta colpa mia.”, soggiunse, irato. “Se non avessi …”

Lo fermai. Ovviamente lui non centrava assolutamente niente. Nulla.

“Matt, mi sarei innamorata di te comunque. Sei perfetto e -oh, come faccio a spiegartelo- sei esattamente il mio prototipo di ragazzo ideale. Ma non è colpa tua. Sei come sei, e dovresti esserne felice.”, spiegai, decisa.

Lui mi guardò, indecifrabile, poi chinò il capo.

“Forse è meglio che io ti stia lontano.”, disse infine, cupo.

Io annuii, sebbene distrutta da quell’evenienza.

“Ti accompagno?”, domandò, poco convinto.

“Ce la faccio.”, replicai, abbozzando un falso sorriso.

Lui si alzò, mi guardò e per un attimo notai che era completamente avvolto da tristezza e sofferenza, poi se ne andò in un attimo, sparendo fra gli alberi.

In quel momento sentii il mio cuore frantumarsi e scoppiai a piangere, incontrollata.

 

 

Avevo rinunciato alla parte più importante della mia vita e ne ero consapevole. Ma cos’altro potevo fare? Vederlo, parlare con lui, m’avrebbe fatto ancora più male. Era meglio così, continuavo a ripetere a me stessa. Se solo fossi riuscita a convincermene. Ero tornata a casa in uno stato di prostrazione totale, trascinandomi a forza. Non ero riuscita a fingere, come avrei voluto, che tutto andasse bene, ma per fortuna la mia espressione aveva fatto desistere i miei da un terzo grado. Solo che- sapevo bene- era solo questione di tempo. Presto mi avrebbero fatto domande su domande ed io non avevo la più pallida idea di cosa rispondere. Comprendevo la loro preoccupazione e mi rendevo conto di essere in uno stato tale che sarebbe stato impossibile non destarla, ma non mi piaceva la loro abitudine di forzare la mie confidenze. Ero certa che, sebbene fossero dei genitori fantastici, non sarebbero riusciti a misurare correttamente la portata dell’emozione che mi aveva invaso. Ciò che provavo sarebbe stato irrimediabilmente considerato un sentimento passeggero, di un’intensità minima. Un ritratto ben misero e poco fedele, di qualcosa che non io stessa facevo fatica ad arginare in confini netti, che andava oltre ogni mia possibilità di comprensione, che mi aveva profondamente sconvolta. Non avrei sopportato una definizione tanto limitata, per ciò che non aveva limiti, che mi sembrava insormontabile.

Sospirai.

Era talmente difficile accettare la sua lontananza, che più volte mi chiesi se avessi sbagliato a dirgli la verità. Il desiderio di scorgere la luminosità dei suoi lineamenti, lo splendore dei suoi occhi, mi rendeva quasi avida, e l’impossibilità di stare con lui era inaccettabile.

Ero seduta sul muretto che sovrastava la spiaggia, ed osservavo, senza in realtà vederlo, il sole che calava sulle acque, i riflessi rosati che dondolavano, scintillando dinanzi ai miei occhi. Accanto a me avevo il quaderno -che più volte avevo sfogliato e studiato- ma avevo paura di rileggere ancora quelle pagine. I dubbi sulla reale esistenza di quel mondo persistevano insistentemente in me e pungevano, più acuti che mai, il mio cuore. Senza contare che Matt era così meravigliosamente perfetto e così intensamente innamorato di Anne, che sarebbe stato un evidente atto di masochismo abbandonarmi di nuovo a quelle parole. Ma non succede, quando si desidera ardentemente qualcuno, che ci si adoperai in ogni modo possibile per sentirlo vicino? Ecco, fu proprio quel insano desiderio a spingermi ad ignorare la mia ragione.

Sfogliai velocemente le pagine del mio quaderno e quando giunsi ad un punto promettetene, iniziai a rileggere.

 

“Sorrise, mentre correva, con il vento fra i capelli, stringendo la mano della parte più importante della sua anima. Ignaro di quanto fosse paradisiaca la sua figura, che sfrecciava rapida fra gli alberi, di quanto lo scintillio di gioia dei suoi occhi donasse fierezza e, allo stesso tempo, dolcezza sconfinata ai suoi lineamenti, lui ammirava il corpo aggraziato, la morbida chioma color del sole, il viso armonioso e allegro e gli occhi tersi di lei.

Ed Anne, ignara della sua leggiadria, della sua innata bellezza, proseguiva dietro di lui, ammirandone il fisico perfetto, i muscoli scultorei che spuntavano dalla sua camicia arrotolata sulle maniche, e contemplando lo stato di profonda felicità che sentiva, stringendo la sua mano calda e forte.

Entrambi erano, però, uniti da un’unica riflessione. Per entrambi l’altro era qualcuno di cui non avrebbero potuto mai fare a meno.

Matt sorrise alle preoccupazione della sua ragazza, mentre ne studiava i pensieri. Al suo rimprovero e alla minaccia di querelarlo, per mancato rispetto della privacy, rise fragorosamente, trascinando ben presto la sua adorata Anne nell’allegria che lo pervadeva.”

 

Sorrisi, mentre le parole che scorrevano dinanzi ai miei occhi divenivano immagini ed io raffiguravo davanti a me Matt, in tutto il suo divino splendore, ed Anne, o almeno l’immagine che avevo di lei, in tutta la sua ineguagliabile tenerezza.

Non sapevo se lui avesse vissuto veramente quelle esperienze, ma nell’intensità dell’amore che provava per lei, riconoscevo un lato del suo carattere che avrei voluto fosse per me. L’aveva amata, in questo o in qualsiasi altro mondo, in un modo talmente abbagliante, talmente forte, che non avrebbe potuto essere eguagliato da nessuno. Mai.

Se avessi avuto la certezza che le mie parole corrispondessero alla realtà, non avrei mai osato sperare, se ancora qualche residuo di speranza rimaneva, che lui potesse ricambiarmi.  Se amava Anne a quel modo, io non avrei mai potuto competere.

E poi, se veramente quel posto meraviglioso, di giardini estesi e profumati, di boschi, di cespugli, d’immense distese d’acqua limpida, era la sua casa, potevo io offrirgli qualcosa che potesse eguagliarlo?

Posai nuovamente il quaderno accanto a me e rimasi a fissare il vuoto, riflettendo.

Non so quanto tempo passai a pensare, non so quanto tempo rimasi lì, con lo sguardo vitreo. Quello che so è che, alla fine, presi la mia decisione. Ed una volta presa, mi conoscevo, non sarei più tornata indietro.

Raccolsi velocemente la penna, arrivai alla fine del quaderno e, dopo un attimo d’esitazione, cominciai a scrivere:

Ho creato il racconto in questo quaderno due anni fa. Questa è la tua storia? Per favore, non giudicarmi folle se non è così, ma ho bisogno di saperlo. Vieni davvero da un posto aldilà del cielo? Sei l’unico che può darmi delle risposte. Ti prego, esaudisci questa richiesta. Poi, uscirò dalla tua vita

Esitai.

È una promessa.

Emily.

Respirai a fondo, mentre scrivevo il mio nome, cercando di controllarmi. Saltai giù dal muretto, rapida. Dopo lunghe riflessioni avevo concluso che, se non avessi avuto più interrogativi pressanti su di lui, forse sarei riuscita a dimenticarlo più velocemente. O forse volevo solo vederlo, sentirlo accanto a me.

Comunque fosse, mi diressi verso casa sua, animata da chissà quale forza straordinaria, che guidava la mia volontà. Temevo di perdere la mia determinazione, quindi mi affrettai.

Giunsi dinanzi alla sua porta in pochissimo tempo. Una volta arrivata, però, mi fermai davanti ad essa, colta da un’improvvisa riluttanza. Osservavo il vetro della porta, solcato da strisce oblique di metallo candido, senza riuscire a suonare il campanello. Forse non era stata una buona idea. Forse non avrei dovuto presentarmi lì, con la pretesa di fargli leggere una storia, per sapere se era la sua. E poi, come poteva essere la verità? No, forse stavo solamente facendo collegamenti che non esistevano, forse …

Il pensiero della frase che aveva dedicato ad Anne dissipò gran parte dei miei dubbi. Presi coraggio e suonai.

Rimasi a guardare la porta, divisa fra il desiderio di rivederlo e la paura per le conseguenze che la mia scelta comportava. Attesi, il cuore che batteva a mille.

Quando lei mi aprì, rimasi per un istante abbagliata dalla sua bellezza e da una rassomiglianza, appena accennata, con l’essenza dei miei sogni.

Sorrisi, mentre mi salutava.

“E’ un piacere rivederti, Kate.”, annunciai, illuminandomi.

“Entra.”, m’invitò gentilmente, scostandosi per lasciarmi passare.

“Mi dispiace di essere venuta qui senza preavviso.”, mi scusai, ma lei scosse il capo.

“Cosa dici! Puoi venire qui quando vuoi.”, esclamò decisa, sorridendomi.

“Grazie.”, risposi, poi, respirando a fondo: “Cercavo Matt.”

Mi guardai intorno, mentre mi conduceva in salotto e mi faceva accomodare. La stanza era ampia ed ariosa, arredata con gusto e delicatezza. Notai che i colori chiari e luminosi prevalevano, creando un insieme armonioso e rilassante.

“Ehm, mi dispiace Emily, ma Matt non c’è.”, dichiarò, con un espressione di scusa.

Notai che, dietro il divano, appoggiata sulla sedia, c’era la sua felpa. Sebbene nulla potesse lasciarmi supporre che aveva mentito -poteva tranquillamente essere uscito senza di essa-, me ne convinsi. Ma non mi persi d’animo. Sentivo di aver bisogno di sapere. Non potevo rinunciare proprio ora.

“Capisco.”, affermai, calma.

Respirai a fondo.

“Ti dispiacerebbe farmi un favore, Kate?”, chiesi, sollevando lo sguardo.

Mi guardò, sorpresa, ma poi sorrise.

“Certo, non c’è problema.”, asserì, in attesa.

“Potresti dargli questo da parte mia?”, dissi, prendendo il quaderno dalla borsa.

Lei lo prese e replicò: “Volentieri.”

Sospirai. L’avevo fatto.

“Grazie mille.”, ringraziai, con un sorriso.

Lei scosse il capo e mi assicurò che non ce ne era bisogno.

“Sarà meglio che vada.”, annunciai, alzandomi in piedi.

Lei mi guardò per un istante, come se qualcosa di me l’avesse particolarmente colpita. Mi sorrise, mentre mi guardava enigmatica.

“Emily”, cominciò, mentre mi osservava con una dolcezza che mi era sconosciuta. “Mio figlio non esprime mai i suoi sentimenti, soprattutto quando non ne è assolutamente certo. Ma, se fossi in te, non mi arrenderei.”

Rimasi a guardarla, di sasso. Possibile che …?

Lei seguitò ad scrutarmi, sorridente, senza batter ciglio.

“Ehm, d’accordo.”, asserii, confusa.

“Ci vediamo, Emily.”, mi salutò, mentre mi accompagnava alla porta.

“Ciao, Kate.”, ricambiai, mentre nel mio cuore si dibattevano inferociti i dubbi e le speranze, la confusione e la curiosità.

Mi allontanai dalla sua casa quasi intontita, mentre cercavo di racimolare un po’ di certezze in tutta quella storia. Ma i miei tentativi sarebbero stati assolutamente vani.

 

 

È la verità.

Tre parole. La sua risposta erano state tre parole, scritte sotto il mio messaggio, con una grafia stretta e ordinata. Eppure, quelle uniche tre parole mi avevano impegnato in una contemplazione attenta per tutto il pomeriggio. Era incredibile, lo sapevo, forse non avrei neanche dovuto crederci, ma, chissà perché, non avevo più dubbi. Lui veniva da un mondo diverso dal mio. Non mi sembrava più tutto assurdo e le incertezze che mi avevano tormentato erano scomparse.

Piuttosto era l’affermazione di Kate a rendermi perplessa. Che cosa aveva voluto dire? Ero sicura che suo figlio non mi ricambiasse, né l’avrebbe mai fatto, ma non mi spiegavo altrimenti la sua affermazione.

Ma ero stanca. Stanca di pormi tante domande, stanca di tormentarmi inutilmente. La ferita che costituiva per me il pensiero di Matt era tutt’altro che rimarginata, ma non aveva senso rigirare il coltello nella piaga. Il dolore si agitava insopportabile dentro di me, ma avrei resistito. Non potevo soffrire apertamente, non potevo permettermi di coinvolgere altri nella mia tristezza … nei miei dubbi. L’amore che provavo per lui doveva essere represso, perché era impossibile. E, poiché sapevo che era impossibile, a sua volta, cancellarlo dal mio cuore, dovevo almeno imprigionarlo per non destare preoccupazione, né compatimento. Non mi sentivo forte, non sapevo se sarei stata in grado di farlo, ma ci avrei provato. Senza contare che, sebbene la forza irrazionale che era in me mi portasse a credere, senza più tentennamenti, ad una storia di per sé inconcepibile, non riuscivo a far desistere la mia curiosità di scoprire la mia parte nella verità. E non volevo avere altri contatti stretti con lui. Il desiderio non era ancora spento, non avrei resistito. E non volevo si sentisse in colpa, né volevo mi considerasse asfissiante. Dovevo farcela. Dovevo.

Respirai a fondo, inalando l’aria intrisa di sale della riva del mare. Non mi sentivo bene, ma il venticello sottile e rasserenante mi tranquillizzava. Una coltre d’oscurità era scesa su ogni cosa, l’acqua marina si era tinta d’una curiosa sfumatura bluastra e l’orizzonte sembrava un mistero inavvicinabile. L’osservai in silenzio, sentendo che un’emozione intensa di serenità che mi riscaldava l’anima e velava di quiete i margini della mia dolorosa ferita. Mi guardai intorno, in attesa. Ero sicura che lei mi avrebbe risollevato il morale. Era l’unica che potesse farlo.

“Si vede il tuo stato d’animo dai luoghi che scegli per i nostri incontri.”, annunciò, una voce allegra e familiare.

“Ah, si?”, chiesi, senza voltarmi. “E quale sarebbe, stasera?”

Lei rise.

“Sei depressa, ovviamente.”, esclamò, divertita.

“La tua arguzia mi sorprende, Lizzy.”, risposi, mentre lei mi si avvicinava sulla riva.

La sentii sghignazzare accanto a me, mentre sfiorava l’acqua con la mano e ne sentiva la temperatura tiepida. Senza preavviso, mentre era chinata sulla spuma che bagnava la sabbia, mi schizzò improvvisamente, bagnandomi il vestito.

Sobbalzai per la sorpresa.

“Ma, ma …”, protestai, fingendomi vittima d’un ingrato destino.

Scoppiammo a ridere fragorosamente, ma notai, nei gesti di Elizabeth, che non aveva il solito brio. Me ne stupii. Non era da lei. Non era facile abbatterla.

“Credo che, questa volta, stia a te sfogarti.”, dichiarai, guardandola.

La mia amica s’immobilizzò.

“Mi ero dimenticata che mi conosci così bene.”, protestò, sorridendomi.

Ricambiai, in attesa.

Respirò a fondo.

“Credo di essere innamorata.”, affermò, girandosi a guardarmi.

Sgranai gli occhi, profondamente stupita.

“Innamorata?”, domandai, aggrottando le sopracciglia.

Lei annuì, senza batter ciglio per la mia sorpresa.

“Di chi?”, chiesi, riprendendomi.

Lei sospirò, voltandosi verso la grandissima distesa blu.

“Di Charlie.”

Ancora una volta, mi congelai. Di Charlie? Ma non si conoscevano appena? Non mi ero accorta di una loro particolare amicizia.

“Tu eri troppo impegnata con Matt.”, rispose, come se mi leggesse nel pensiero.

Mi riscossi,sebbene fossi stata profondamente colpita dalla notizia.

“Scusa.”, dissi, sentendomi colpevole.

Mi ero comportata veramente in modo egoistico in quei giorni.

Lei scosse il capo.

“E solo che, be’, lui non mi ricambia, anzi da quello che ho capito non gli sono neanche simpatica e …, oh, Emily, mi sento così male.”, affermò, senza guardarmi.

Aveva detto ogni cosa così velocemente, che a stento ero riuscita a capire. Sbalordita- era da tantissimo che non la vedevo così- la fissai, triste.

“Allora siamo in due.”, sussurrai, cupa.

Mi avvicinai a lei, mentre la brezza mi accarezzava i capelli e le guance, colorandole di 
un lieve rossore. Fissai l’orizzonte, malinconica, ripetendomi che tutto quello non era vero. Io e la mia amica non ci eravamo innamorate di due ragazzi irraggiungibili. Di due ragazzi d’un altro mondo. Lizzy non poteva provare un serio attaccamento nei suoi confronti. Loro se ne sarebbero andati, prima o poi. Sarebbero tornati nella loro terra. Non doveva succedere anche a lei. Era impossibile che dovessimo soffrire entrambe. Impossibile.

Zalve a tutti!

Mi sono finalmente decisa a pubblicare questo cap, che - se devo essere sincera- è uno dei più sudati di tutta la storia! XD Nel cap. 8 Emily avrà finalmente le sue conferme, riguardo la sconcertante scoperta che ha fatto precedentemente e scoprirà che non è la sola a soffrire per amore! Spero davvero di essere riuscita a soddisfare le aspettative.

Ma ora, bando alle mie noiose chiacchiere! Passo a rispondere alle recensioni che mi avete lasciato! (Sniff... wow, sono tre!)

Mistery Anakin: Sono contenta che ti sia piaciuta quella parte del cap. precedente, in cui Emily descrive le sue sensazioni. Se vuoi la verità, era quella che mi preoccupava di più! Per quanto riguarda la nuova scoperta di Emily ... sì, lo so, è abbastanza sconcertante! Ma per il pieno chiarimento di questa faccenda dovrai attendere ancora un po'! Ti ringrazio di avermi recensito con tanta assiduità e spero che qst cap non ti abbia deluso.

Padme Undomiel: Grazie per le tue recensioni! Contano davvero tantissimo per me! Ti ringrazio per aver apprezzato il cap precedente, in particolar modo la prima parte e l'ultima! Si, lo so... era un po' estranea all'umore dell'intero cap. Spero che, però, non sia stata incoerente! Per quanto riguarda il manicomio, si probabilmente avrei dovuto incluederlo nelle possibilità! XPXP Grazie mille, mia cara Padme! Spero che qst cap ti piaccia come gli altri!XD

Emily Doyle: Ti ringrazio per il tuo commento sul mio stile! Sono davvero commossa (sniff)! Nessuno mi aveva mai detto una cosa del genere ... Spero che la mia storia continui a piacerti e a stuzzicare la tua curiosità, come sembra aver fatto! Grazie davvero!!!

Grazie ancora a tutti, anche a coloro che hanno solo letto lo scorso cap... alla prossima!!!!

Shine

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Un sogno eterno ***


Un sogno eterno

9

Un sogno eterno

Non riuscivo a capire.  La famiglia Elliot era una calamità per noi povere adolescenti. Se io ero stata profondamente sconvolta da loro, perché, chissà come, li conoscevo prima ancora di averli incontrati, oltre che per cause di natura sentimentale, la maggior parte delle ragazze comprese tra i 15 e i 21 anni erano ammaliate da Matt e dal suo carissimo amico Charlie, mentre le donne fra i 25 e i 40 -o, forse, anche di più,- fantasticavano su suo padre, che a quanto pare non destava minor ammirazione. Ma tutte le speranze sarebbero state inevitabilmente deluse. E, mettendo da parte la mia personale disillusione, quella di Elizabeth sarebbe stata veramente ardente. Non riuscivo a sopportarlo. Non che io le avrei concesso di disperare se si fosse trattato solamente dell’antipatia, che Lizzy era sicura di ispirare. Ma, sapendo le origini dell’oggetto del suo amore, era impensabile considerare che la mia amica potesse sperare in una loro unione. Come io in una mia con Matt.

Ero stata molto egoista di questi tempi, me ne rendevo conto. Non mi ero accorta dell’ardore dell’affetto di Lizzy nei confronti del mio nuovo amico, che ora potevo ben constatare, e l’avevo abbandonata proprio quando aveva più bisogno di me. Ero stata una pessima amica. Ma non potevo evitare che i miei pensieri si volgessero a lui e che egoisticamente mi concentrassi su quanto mi mancava. Non potevo adempiere alle imposizioni della mia volontà. Non riuscivo a dimenticarlo.

Lui era l’unica persona che desideravo, l’unico ragazzo che aveva il potere di rendermi felice. E la realtà parallela del mare in cui m’invitava ad immergermi sarebbe stata per sempre il mio unico angolo di vero appagamento.

Scossi il capo, cercando di scacciarne il ricordo.

Dovevo essere lucida. Dovevo essere pronta per quell’incontro. Anche se era abbastanza difficile.

Sophie mi aveva mandato un messaggio, nel quale mi pregava di venire alla spiaggia. Aveva una cosa importante da dirmi. Ne ero stupita e non avevo la più pallida idea di dell’argomento di cui volesse parlarmi. Rimasi in attesa, mentre la curiosità si faceva sempre più intensa.

Ero di nuovo seduta sulla sabbia, come la sera precedente. Io e Lizzy eravamo rimaste parecchio ad ammirare il mare ed i riflessi della luce candida, della luna piena su di esso, della sua profonda scia, del suo bagliore forte  e meraviglioso. Avevamo chiacchierato di loro, del loro incredibile fascino, della loro inumana bellezza. Le avevo raccontato gli avvenimenti degli ultimi giorni, tralasciando la parte sulla mia storia e sul mondo aldilà del cielo. Non potevo dirle la verità, perché non mi avrebbe mai creduto. Io avevo accettato quello stato delle cose soltanto perché quell’universo sembrava appartenermi in qualche modo.

Elizabeth era sempre stata una ragazza solare, allegra, che non si lasciava abbattere mai. Il lato leggero della vita era senza dubbio quello che preferiva e per ogni cosa trovava quel piccolo particolare divertente, che le permetteva di non lasciarsi mai andare nelle situazioni difficili. Io non ero mai stata come lei. Il mio carattere, profondamente riflessivo, non riusciva a passare sopra alle cose a quel modo, ma ci rimuginava per tanto tempo. Ero particolarmente sensibile e quando provavo un sentimento grande ed intenso, era difficile che questo mi abbandonasse. Quando mi ero trovata ad invidiarla, alcuni anni prima, ed avevo provato ad essere come lei, i risultati erano stati penosi. Mi ero accorta che il suo modo di fare tendeva troppo alla superficialità, per i miei gusti.

Ma neanche Elizabeth era in grado di sfuggire alle pene d’amore. Ed il suo attaccamento a Charlie era veramente sincero.

Sospirai, lasciando che i miei occhi studiassero il sole che risplendeva, con i suoi biondi raggi, sull’acqua calma e cristallina. L’aria sarebbe presto divenuta soffocante, il caldo insopportabile, tuttavia la temperatura era mitigata dalla brezza marina, lì in riva. Mi distesi sui granelli, osservando il cielo. Quel celeste così terso mi rilassava, mi donava una pace profonda ed una tranquillità che difficilmente provavo in quei giorni. Lo osservai intensamente, sebbene il sole mi accecasse, poi chiusi gli occhi ed immaginai di vederlo da vicino, volando su una nuvola. Sorrisi, al pensiero.

“Ciao.”, mi salutò una voce, che mi fece sobbalzare.

Era un tono familiare, melodioso e delicato, ma non quello che attendevo.

Mi alzai di scatto, sgranando gli occhi.

Matt rise alla mia reazione, ma quello sprazzo di gioia svanì quasi subito, sostituito da un’espressione più seria, sebbene sempre con una certa traccia di divertimento.

“Scusami, non volevo spaventarti.”, disse, facendomi per poco venire un infarto per com’era sinfonica la sua voce.

Era molto felice, si sentiva. Ed i suoi occhi erano più luminosi del solito.

“Non mi hai spaventato. Solo …, non mi aspettavo di vederti.”, risposi, cercando di mettere insieme le parole.

“Colpa di mia sorella.”, replicò, ma non sembrava arrabbiato con lei. “Ha architettato un piano perfetto per farci incontrare.”

“Sophie?”, chiesi, sorpresa. “Matt, perché tua sorella dovrebbe …?”

Lui s’illuminò, mentre mi guardava negli occhi, in un modo che non avrei più dimenticato.

“Ehm, credo che volesse rimediare ad un mio errore.”, annunciò.

Aggrottai le sopracciglia, perplessa.

“Non credo di riuscire a seguirti.”, affermai, curiosa.

Si fece più serio e mi si avvicinò.

“Quando l’altra volta mi hai chiesto se ero ancora innamorato di Anne, ti ho risposto di sì.”, iniziò, pensoso. “Credevo di essere sincero, ma non lo ero fino in fondo.”

Seguitai a squadrarlo, confusa.

“Vedi, lei è stata la parte più importante della mia vita per così tanto tempo, che mi sembrava inverosimile che l’affetto che provavo per te andasse aldilà dell’amicizia.”, continuò, piano.

“Quando mi hai fatto leggere la tua storia, ho ricordato tutti i bei momenti che avevamo passato insieme, io e lei”, asserì, questa volta triste. “Ci ho riflettuto molto, concludendo che non la dimenticherò mai.”

Lo fissai, chiedendomi dove volesse arrivare. Sapevo che era molto affezionato ad Anne.

“Ma ho anche pensato.”, riprese, sorridendomi. “Che non è detto che non possa amare ancora.”

Rimasi di sasso, raggelata da quest’ultima affermazione.

“Credo di amarti, Emily.”, dichiarò, lasciandomi senza fiato. “E se tu sei ancora innamorata di me, mi piacerebbe che stessimo insieme.”

Non so come feci a non accasciarmi per terra e svenire, mentre il più bel ragazzo della Terra mi diceva di amarmi, ma, in ogni caso, ci andai molto vicino.

Lo fissai per un po’, senza dire niente, poi, respirando, sussurrai: “Potresti ripetere?”

Lui s’aprì in un largo sorriso.

“Ti amo.”

Vacillai e lui si avvicinò prontamente. Mi sorresse senza sforzo, lasciando che mi appoggiassi a lui.

Lo guardai.

Eravamo così vicini, che il suo profumo m’inebriava i polmoni, rendendomi sempre meno lucida, mentre le sue braccia forti mi sostenevano. Avvertii il suo respiro su di me e ne restai incantata.

Parve leggermi nel pensiero.

Mi si avvicinò lentamente e mi diede un bacio, posando delicatamente le sue labbra sulle mie.

Fu letteralmente un’esplosione di sensazioni, che, con il fragore delle onde, mi avvolsero, ed io vi naufragai, senza ritegno, dimenticando ogni cosa. Dondolavo nella felicità più pura, più intensa che avessi mai potuto provare.

Quel giorno, su quell’angolo di spiaggia, vuoto e assolato, compresi il vero significato dell’amore. E tra le sue braccia non l’avrei più dimenticato.

Mi allontanò da lui, con tenerezza, e posò su di me uno sguardo unito ad un sorriso magico.

“Vuoi stare con me, Emily?”, mi domandò.

Lo fissai, con cipiglio severo.

“C’è bisogno di chiederlo?”

Rise e la sua risata m’invase il cuore, mentre sentivo che lui era la mia ragione. 

Ho sempre creduto che per ognuno esista un’anima gemella, un amore puro e vero, ma mi ero sempre chiesta se e come potessi trovarlo.

Ma ora lo sentivo e non ne dubitavo. Era lui.

Mi abbracciò e mi strinse a sé, mentre io volavo lontano, nella dimensione dei miei sogni.

Mi sedetti sulla sabbia, troppo sconvolta per sorreggermi sulle mie gambe. Lui si sistemò accanto a me. Posai la testa sul suo petto, mentre respiravo a stento.

“È tutto vero?”, sussurrai, piano.

Mi prese il viso, sollevandolo perché incrociassi i suoi occhi.

“No.”, rispose. “È un sogno. Ma è un sogno che durerà per sempre.”

Risi e mi abbandonai su di lui.

D’un tratto mi feci seria.

“Non capisco.”, dissi, levando lo sguardo.

“Tu sei d’un altro mondo. Non dovresti poter stare con me.”

Lui studiò i miei occhi e mi accarezzò dolcemente.

“Tu non sei un’umana comune, perché conosci il posto da dove vengo. Quindi possiamo tranquillamente stare insieme, senza che io ti debba mentire.”, mi spiegò, calmo.

“Ma le vostre leggi …”, iniziai, spaventata da una realtà che poteva farsi strada da un momento all’altro.

“Non ci proibiscono nulla, Emily.”, mi rassicurò, stringendomi.

Lo fissai, colta da un’improvvisa tristezza.

“E quando te ne andrai?”, domandai, sconfortata.

Lui divenne più serio.

“Troveremo una soluzione.”, rispose, pacato, poi aggiunse, deciso: “Non posso rinunciare a te, Emily.”

Chinai il capo, ma poi mi riscossi. Stavo rovinando il più bel momento della mia vita. Dovevo impedirlo. M’imposi di abbandonare quei pensieri e lo strinsi più forte, sorridendo.

Dopo un po’ ci alzammo, sempre stringendoci a vicenda.

“Ovviamente.”, disse ad un certo punto.

“Cosa?”, lo interrogai, sorpresa.

“Anch’io ho provato l’intensità delle tue emozioni.”, annunciò, scrutandomi, attento.

“Mi stavi leggendo nel pensiero?”, domandai, sconcertata.

“Ehm …, già.”, confermò.

Senza essercene accorti, avevamo iniziato a camminare. Ma, avvolta dal suo abbraccio, non avrei comunque prestato attenzione a nulla.

“Posso chiederti da quant’è che invadi la mia privacy?”, dissi, severa.

Scoppiò a ridere.

“Sono stato molto attento a non farlo, sebbene a volte la curiosità non me lo abbia permesso. Non mi piace leggere le menti degli umani, perché  non possono difendersi. Ma ero curioso di sentire cosa provavi.”, dichiarò, allegro.

Non ero sorpresa dal fatto che ci riuscisse, per quanto inorridita dalla prospettiva che potessi essere così limpida per lui. La magia non mi sembrava particolarmente assurda, ora. Ci credevo senza esitazione.

“Voi potete impedire che gli altri vedano i vostri pensieri?”, domandai, curiosa.

Lui annuì.

“Però”, aggiunse, “dipende da chi vuole penetrarli. Devi essere più forte dell‘altro, in quanto energia magica.”

Lo ascoltai, attenta.

“Wow.”, esclamai, sorridendo.

Lui ricambiò.

“Cos’altro potete fare?”, chiesi, fissandolo negli occhi.

“Be’, parecchie cose.”, replicò, pensoso. “Te le mostrerò un po’ per volta.”

“Ok.”, accettai, allegra.

Poi, colta da un’improvvisa curiosità, domandai: “Cosa c’entra Sophie in tutta questa storia?”

Lui rise. Era così gioioso e felice ed il suo volto era talmente esaltato dai suoi sentimenti, che ne rimasi ancor più ammaliata d’un tempo. Mi accorsi di non averlo mai visto veramente sereno. Non riuscivo a credere che tutta quella allegria potesse derivare dal suo amore per me. Era inverosimile che un angelo potesse amarmi. Lo guardavo, sempre più sbalordita, con il cuore colmo di un’inimitabile spensieratezza.

“Vedi”, iniziò a spiegare, ricambiando il mio sguardo. “quando mi hai detto che eri innamorata di me, ero molto incerto sui miei sentimenti. E poi mi sentivo in colpa, perché temevo di aver suscitato in te speranze, che non sarebbero mai divenute realtà.”

Lo osservavo in silenzio, divisa fra l’ammirazione per l’assurda bellezza dei suoi occhi e l’interesse per ogni parola che diceva.

“Quando ho accettato il fatto di poter essere innamorato di te, non ero molto sicuro che fosse la cosa giusta. Sophie ha deciso d’intervenire.”, completò, sorridendomi.

“Non me lo avresti mai detto, se lei non ci avesse fatti incontrare?”, domandai, sempre incantata da lui, mentre mi stringeva con un ardore che avevo visto solo nei miei sogni.

“Non adesso. Probabilmente avrei impiegato molto a prendere la mia risoluzione.”, affermò, pensoso.

“E così, quando mi hai visto, hai deciso di chiedermelo?”, lo interrogai ancora, curiosa.

Annuì.

“Eri molto bella distesa con i capelli sulla sabbia, sai.”, dichiarò, ammirato.

“Vorrei farti notare, mio caro”, dissi, “che non reggo il confronto con te e la tua famiglia.”

Mi guardò, assumendo un’aria contrariata.

“Ma ti sei mai vista allo specchio?”, mi chiese, alzando gli occhi al cielo.

Si era arrestato dinanzi a me e mi fissava negli occhi.

“Immagina una figura leggiadra, distesa sulla spiaggia, baciata dal sole, con la carnagione chiara risaltata dal colore vermiglio dei capelli. Eri e sei fantastica, Emily!”, esclamò, con forza.

Arrossii. Il fatto che lui, incarnazione d’una divinità, mi considerasse bella, mi stupiva grandemente, perché, sebbene non mi fossi mai ritenuta brutta, sapevo che il paragone fra me e lui era impossibile.

“Finiscila,”, mi schermii, mentre le mie guance si accendevano.

Lui le sfiorò, divertito.

“Ti va un bagno?”, domandò, con un sorriso.

Mi riscossi, cercando di riprendermi dalle emozioni che mi avevano invaso, quando la sua pelle liscia e calda aveva sfiorato il mio viso.

“Non ho il costume.”, replicai.

Lui s’illuminò.

“Ci penso io.”, affermò, poi si allontanò di due passi da me.

Mi guardò attentamente , senza batter ciglio. I suoi occhi erano spalancati e avvolti da una strana luce. Il suo sorriso mi rassicurò. Dopo qualche secondo, la fiamma che avvolgeva il castano delle sue iridi scomparve.

“Fatto.”, annunciò.

Io lo guardai, interrogativa.

“Adesso hai il tuo costume.”, spiegò, ridendo. “Be’, ora vieni a farti un bagno?”

Lo fissai, incredula.

“Mi hai fatto un incantesimo con gli occhi?”, mi informai, sbalordita.

Lui annuì, studiandomi. Stava valutando quanto intenso fosse l’impatto della notizia su di me.

Respirai a fondo e, finalmente, sorrisi.

“Ok.”, assentii, sperando di suonare tranquilla.

Si rilassò e iniziò a togliersi la camicia.

Lo osservai a bocca aperta, mentre scopriva i muscoli scultorei, il petto scolpito e perfetto.

Sembrava divertito dalla mia espressione, probabilmente inconsapevole che stesse per venirmi un attacco di cuore.

Quando mi tolsi i vestiti, mi accorsi d’indossare un costume nero, bellissimo, con alcuni ricami candidi.

“Wow.”, esclamai.

Lui sorrise ancor più largamente, mi prese per mano e mi guidò vero l’acqua. La temperatura di essa era perfetta ed io m’immersi subito, provando una piacevole sensazione di rilassamento.

“Hai reso l’acqua più calda?”, domandai, guardandolo.

Ancora una volta annuì.

La sua figura, lo scintillio del sole su di lui, era d’una sovrannaturale bellezza. Ne ero estasiata e non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso.

“Potete fare magie solo guardando le cose?”, domandai, curiosa.

Lui mi guardava e sembrava altrettanto ammaliato.

“Non tutti.”, rispose, senza smettere di osservarmi. “Di solito usiamo la bacchetta, ma chi riesce ad apprendere la forza dei quattro elementi può farne a meno.”

“La forza dei quattro elementi?”, lo interrogai, sorpresa.

Lui assentì, poi, stringendomi a sé, mi mostrò, muovendo appena la mano, come l’acqua si sollevava e formava una sorta di danzatrice liquida, che si librava leggera nell’aria.

Sgranai gli occhi, incredula.

“La terra, l’acqua, l’aria ed il fuoco.”, mi spiegò, mentre  la ragazza che danzava ritornava nel mare. “Puoi incanalare in te, se hai un forte contatto con la natura, il loro potere. In questo modo, puoi controllarli.”

Sorrise, mentre io apprendevo i primi rudimenti della sua magia.

“Hai usato la forza dei quattro elementi, negli incantesimi che hai fatto prima?”, domandai, assecondando la mia incontrollabile curiosità.

Scosse il capo.

“Ho usato la quintessenza.”, annunciò, sorridendo.

Aggrottai le sopracciglia, confusa.

“La quintessenza”, rispose al mio sguardo, “è il livello più alto di magia che si possa raggiungere. Permette di fare sortilegi in pochissimo tempo, solo attraverso gli occhi.”

“Hai raggiunto il livello massimo?”, chiesi, stupita.

Lui annuì, sempre sorridendo.

Lo contemplavo senza parole, valutando ciò che era successo. Era stato tutto così veloce, che non mi sembrava vero. Ero lì, in acqua, avvolta dalle sue possenti braccia, con un costume nero che aveva appena fatto apparire. Io e lui. Emily e Matt. Non era possibile. Come potevo meritare tutto quello?

Lui scosse il capo, incredulo.

“Accetti tranquillamente che io faccia incantesimi, ma ti sembra strano che io possa amarti.”, affermò, alzando gli occhi al cielo.

“Lo stai facendo di nuovo?”, protestai, presa alla sprovvista.

Sghignazzò, beffardo.

Gli tirai l’acqua addosso, fingendomi furiosa.

Lo sentii ridere fragorosamente, mentre mi bagnava completamente i capelli.

 

 

“E adesso come glielo spiego ai miei?”, protestai, completamente fradicia.

Lui era seduto tranquillamente su una roccia e mi scrutava, silenzioso. I suoi occhi scuri erano rilassati e mossi da una marea di sensazioni, che era difficile classificare.

Il suo costume era quasi asciutto, mentre il sole baciava i suoi capelli castani, il petto scoperto ed il viso ardente d’amore. Non potevo credere che quell’amore potesse essere per me. Non potevo crederci.

Lui seguitò a fissarmi, senza batter ciglio.

Ricambiai, in attesa.

Senza preavviso scatto in piedi e mi si avvicinò.

Mi avvolse in un abbraccio e mi strinse forte sé.

“Non credevo sarei riuscito a provare più una cosa del genere.”, affermò,guardandomi dritto degli occhi.

Mi accasciai su di lui, mentre dondolavo piacevolmente nel mio personale idillio.

“Io pensavo che non l’avrei provato mai.”, asserii, mentre la forza penetrante dei miei sentimenti confermava le mie parole.

Io e lui eravamo lì, avvolti dal piacevole calore del sole pomeridiano, su una spiaggia luminosa e vicino alle onde, che si muovevano sinuose fino a riva. Eravamo lì, su uno sfondo di pini e d’un cielo azzurro, solcato da striature bionde e lucenti. Eravamo lì, uniti, una persona sola, un’anima sola, un’unica realtà.

Fu in quel momento che capii, fu in quel momento che il mio cuore mi confermò che non sarei più potuta esistere senza di lui.

Mi sollevò il viso e mi diede un altro bacio.

Fu diverso dal precedente.

Mi sentii risucchiare da un vortice e, come avvolta da fiocchi di neve che mi danzavano attorno, mi lasciai cullare dalla sinfonia di sensazioni che provavo.

Lasciai la spiaggia, lasciai la mia città, mi librai leggiadra nel cielo, tra pianure sconfinati e monti imponenti.

Mi lasciò, sorridendo.

Guardai il posto attorno a me, confusa. Era difficile riprendere i contatti con la realtà.

“Credo che sia meglio avviarci.”, dichiarò, mentre un’espressione di diffusa allegria gli colorava il viso, “Casa mia è piuttosto lontana.”

Aggrottai le sopracciglia, perplessa.

“Casa tua?”, domandai, confusa.

“Non ricordi?”, mi domandò, sorpreso."Oggi pranzate da me.”

Spalancai gli occhi, sbalordita.

“Oh, no!”, esclamai, rimproverandomi. “L’avevo completamente dimenticato.”

Lui rise.

“Come mi presento, fradicia con i capelli bagnati?”, dissi, sconvolta.

Sembrava stesse morendo dal ridere.

Tentai di fulminarlo con un’occhiataccia, ma appena incontrai i suoi occhi, il mio proposito cadde nel vuoto.

Mi si avvicinò, senza dire una parola e mi sfiorò leggermente i capelli.

Ricaddero morbidi e asciutti sulle mie spalle, mentre su di me s’andava formando una maglietta ed un  jeans bellissimi.

“Va bene così?”, chiese, divertito.

Sorrisi ed annuì, cercando di riprendermi.

“Non mi sono ancora abituata ai tuoi incantesimi.”, affermai, incrociando il suo sguardo.

“Vuoi provare una cosa?”, chiese, evidentemente allettato dall’idea.

Lo guardai, sollevando le sopracciglia.

“Ne uscirò incolume?”

Mi osservò, simulando un’aria offesa.

Avvolse una mano attorno alla mia vita e avvicinò il mio viso al suo.

“Credi davvero che potrei metterti in pericolo?”

La mia volontà si sbriciolò in mille frammenti.

Sorrise e mi strinse più forte.

Fu un’esperienza, come definirla, sconcertante ed eccitante.

Percepii il mio corpo che svettava come una saetta in uno spazio indefinito ed in pochissimi istanti mi ritrovai vicino casa di Matt.

Vacillai, il mio equilibrio evidentemente scosso, ma lui mi sostenne prontamente.

“Come ti senti?”, domandò, apparentemente tranquillo, ma con una nota di preoccupazione nella voce. “Forse è stato un po’ troppo.”

Scossi il capo.

“Lo rifacciamo?”, esclamai, sorridendo.

Rise, più rilassato, mentre io mi crogiolavo nel suono cristallino della sua risata.

Mi prese per mano e mi guidò verso la sua porta.

Non potevo crederci. Era successo tutto troppo in fretta. Io, Emily Stevens, una 18 normalissima, non troppo carina, ero unita a Matt, arcangelo disceso sulla Terra, dolce, comprensivo, gentile …

Ripensai ai giorni in cui c’eravamo conosciuti, ripensai al suo modo di fare, così misterioso, ammaliante, alla margherita che mi aveva regalato – e che non era ancora appassita- alle conversazioni che avevamo avuto.

Ricordai la mia graduale attrazione, vidi i miei sentimenti trasformarsi da semplice ammirazione ad amore vero e proprio.

Ciò che sentivo dentro di me era diverso da ogni cosa che avessi mai provato prima. La mia storia con Robert era stata una leggera infatuazione, a confronto. Quando ero con lui, percepivo il fatto che non era necessariamente l’amore della mia vita. Gli volevo bene, ma non era un sentimento travolgente e idilliaco come l’immaginavo. Avevo creduto, per un po’, che l’amore che avevo sognato, che avevo letto e su cui avevo fantasticato, non esistesse, e che quella che stavo provando fosse la sua vera realtà.

Ma, ovviamente, mi sbagliavo.

Matt per me era tutto. Lui era il mio respiro, il mio soffio di vita, il battito del cuore che mi teneva in vita. Era qualcuno d’irrinunciabile, d’insostituibile, d’incommensurabile necessità. Matt era il mio sole, le mie stelle, la mia luna.

Io non volevo, non potevo farne a meno.

Non potevo credere, però, che lui potesse ricambiarmi.

Ero stata abituata che i sogni raramente diventano realtà.

Forse, però, aveva ragione Matt.

Quello era un sogno. Ma, come aveva detto lui –e come speravo ardentemente- sarebbe stato eterno.

“I tuoi sanno che stiamo insieme, Matt?”, domandai, stringendogli la mano, mentre ci avvicinavamo alla porta di casa sua.

Annuì, sorridendomi.

“Non è propriamente facile tenere nascosti i propri pensieri, nella mia famiglia.”, annunciò, con aria leggermente contrariata.

Sorrisi, ripensando a ciò che mi aveva detto Kate.

“Credo che dovremo dirlo lo stesso, però.”, soggiunse, pensoso. “I tuoi non ne sanno nulla.”

Sollevai lo sguardo, presa alla sprovvista.

Non ci avevo pensato.

“Preferirei che non gliene parlassimo.”, dichiarai, arrossendo.

Mi studiò, interrogativo.

“Perché?”, chiese, evidentemente curioso.

“Preferirei non dirtelo.”, affermai, con un’espressione di scusa, poi esclamai: “Non osare leggermi nel pensiero!”

Lui rise.

“Eviterò di farlo, se mi dirai il motivo della tua richiesta.”, asserì, suonando il campanello.

Lo guardai, sollevando le sopracciglia in modo piuttosto eloquente.

“Non era una richiesta, era un ordine.”, dissi, severa, ma la mia aria arrabbiata svanì quasi subito. Mi stava guardando in un modo tale da non consentirmi di assumerla.

“Ok, scusami.”, si corresse, divertito. “Quando mi spiegherai perché mi hai dato quest’ordine.”

Sospirai, arrendendomi, ma poi sentendo dei passi provenire dall’interno della casa, gli sussurrai all’orecchio: “Dopo.”

Lui annuì impercettibilmente ed assunse un’aria serena, ma più posata. Quanto avrei voluto essere brava quanto lui.

Edward aprì la porta e ci sorrise, lanciando un’occhiata eloquente al figlio. Rimasi interdetta dalla straordinaria somiglianza fra lui e suo padre, e Matt dovette spingermi, per farmi entrare nell’uscio.

Cercai di riprendermi, ma la fantastica bellezza di entrambi mi accecava. Senza contare che Edward aveva un’espressione così limpida e serena, da travolgermi completamente.

Mentre percorrevamo il corridoio, Matt mi lasciò la mano.

Lo guardai, sorpresa.

Lui sussurrò un ‘capirai’ appena udibile, sorridendo, poi rivolse lo sguardo dinanzi a lui.

Entrammo in salotto.

Sul divano, impegnati in una accesa discussione, c’erano i motivi del gesto di Matt.

“Ciao mamma.”, salutai, cercando di essere quanto più naturale possibile. “Papà.”

“Emily”, esclamò mia madre, allegra.

Tentai di ricambiare, ma fui letteralmente travolta da Sophie, che mi balzò addosso, con l’aria di chi ha appena visto un’amica perduta da anni.

“Voglio sapere tutto!”, dichiarò, gli occhi sfavillanti di curiosità

Rimasi a fissarla, interdetta. Non avevo idea di cosa inventarmi e gli occhi di tutti erano puntati su di me.

Per fortuna –in quel momento lo amai più che mai- Matt intervenne subito.

“Non ci far caso, Emily.”, affermò, un’aria impeccabile e limpida, tanto che per un attimo dubitai io stessa che volesse mentire. “Mia sorella impazzisce quando sa che qualcuno è andato a fare shopping.”

Sorrisi, sollevata.

Mia madre incurvò le labbra, divertita.

“Ecco perché! Mi sembrava di non aver mai visto la maglia che porti.”, annunciò, mentre io tornavo a respirare per lo scampato pericolo.

Mio padre ammiccò.

“Dovresti stare attenta mia cara. Se ti vesti così bene, potrebbero rapirti.”, scherzò.

Ovviamente la sua battuta non faceva ridere nessuno, ma visto che tutta la famiglia Elliot era piegata in due, a causa della mia reazione, mio padre parve abbastanza soddisfatto. Ed anche se il fatto che avessi suscitato inconsapevolmente l’ilarità generale, per l’uno e per l’altro motivo, mi infastidiva, almeno avevo raggiunto il mio scopo.

Sospirai di sollievo.

La conversazione in salone si svolse senza una mia partecipazione particolare, che fu resa inutile dalla parlantina inarrestabile di mio padre.

Mi sedetti sul divano, lasciandomi andare alla mie riflessioni.

Ricomporre i pezzi di tutto ciò che era accaduto era estremamente difficile, le sensazioni che si erano susseguite in me, ad una velocità impressionante, erano troppe e troppo difficili da classificare.

Sconvolta da una verità, che mi apparteneva in ogni caso, colpita dalla prospettiva che potesse coinvolgere anche la mia più cara amica, sorpresa nel venire ricambiata, sbalordita dalla portata dell’emozione che sentivo per Matt, non riuscivo a capacitarmi che il mio cuore potesse contenere tutto quello.

Ero felice, estremamente contenta, e mi ero lasciata andare completamente a quel sentimento, che emergeva nel mio animo, ma la consapevolezza, che avevo prepotentemente rinchiuso dentro di me, nell’esprimere la speranza d’un sogno eterno, rispuntava, nella mia mente, strisciando come un serpente, pronto a balzare e ad avvelenare la mia allegria.

M’imposi di non pensarci.

Mi guardai intorno e mi soffermai sulla figura del ragazzo che amavo.

Matt era stato quasi un’altra persona quel giorno. Certo, non era cambiato il suo modo di fare enigmatico e misterioso, ma non c’erano tracce di dolore, che trafiggevano la diffusa contentezza, che provava.

Aveva un’espressione beata, che donava ai suoi lineamenti fattezza splendide.

Ne contemplai i particolari, senza badare a null’altro.

Mi riscossi solamente quando fecero il loro ingresso Charlie ed un ragazzo biondo, che non avevo mai visto.

Il primo sorrideva, tranquillo, con la sua solita espressione serena, mentre il secondo, entrando, aveva assunto un’aria innamorata, posando il suo sguardo su Sophie.

La mia amica mi presentò il suo ragazzo, mentre Charlie mi salutò con un cenno.

“Sophie mi ha parlato molto di te, Emily.”, dichiarò il biondino, illuminandosi e tendendomi la mano.

Ricambiai la stretta.

“Sono fiduciosa. Suppongo che te ne abbia parlato bene.”, affermai, ridendo, poi soggiunsi: “Ho sentito anch’io molto parlare di te.”

“Di me, però, avrai sentito cose molto brutte.”, scherzò, lanciando uno sguardo eloquente a Sophie.

Il loro profondo affetto si percepiva ad una distanza enorme. Emanavano una sorte di luce abbagliante, attraverso il loro sguardo.

La mia nuova amica era davvero molto fortunata.

Quando ci sedemmo a tavola, temetti di ricadere nei pensieri cupi, che presto o tardi mi avrebbero colto, ma le mie paure erano infondate.

Mentre mi accomodavo, sentii, all’interno della mia testa, una voce fin troppo familiare.

‘Non urlare’, sussurrò, calmo.

Sollevai lo sguardo sui suoi occhi, sorpresa.

‘Visto che non possiamo parlare ad alta voce, lo faremo telepaticamente.”, annunciò e scorsi la sua espressione sorridente.

Quando lo fissai, però, sembrava serio.

‘Devi semplicemente pensare alle cose che vuoi dirmi o alle espressioni che vorresti assumere. Io le vedrò.’, seguitò, pacato.

Respirai a fondo, paralizzata dallo sbalordimento.

‘Non posso leggere tutti i tuoi pensieri, in questo modo, ma solo quelli che vuoi che io sappia.’, soggiunse, sorridendo di nuovo.

‘Così?’, pensai, titubante.

Annuì, contento.

‘È strano’, asserii.

‘Devi solo abituarti.’, spiegò, comprensivo.

‘Be’, di cosa vuoi parlarmi?’, chiesi, pensando solamente la domanda.

Mi accorsi di assumere un’espressione interrogativa e mi corressi. Quel modo di comunicare era difficile da gestire, ma Matt sembrava completamente a suo agio.

‘Potresti dirmi perché non vuoi che i tuoi lo sappiano?’, domandò, e lo vidi, con l’occhio della mente, corrugare la fronte.

Abbassai lo sguardo.

Dopotutto, quello che speravo non penetrasse tra i miei pensieri, era riuscito a trovare una sua strada.

 

 Salve a tutti!

Mi sono  decisa a pubblicare, anche perchè se non coglievo quest'occasione non avrei potuto farlo più per tutta l'estate. Questo cap. dovrebbe suscitare un po' di entusiasmo, visto che finalmente Emily e Matt si sono decisi a stare insieme. 

Non lo aspettavate da tanto?

Ok, la finisco con queste assurde chiacchiere e rispondo alla recensioni.

Padme Undomiel: Sono davvero contenta che tu abbia apprezzato quel cap, che a dirla tutta neanche mi piaceva tanto. Ho cercato - lo ammetto- di tener viva la curiosità fino alla fine e sono contenta di esserci riuscita! Ti chiedo umilmente scusa per quegli errori, ma la mia distrazione è irrecuperabile. Spero solo di non aver appesantito troppo la tua lettura e ti ringrazio ancora per i tuoi bei commenti.

Mistery Anakin: Sono super super felice che ti sia piaciuto il cap 8. Ti ho stupito con la nuova svolta tra Charlie e Lizzy? Ihih  Vedrai che anche loro avranno le loro possibilità.  Devi solo aspettare un po'... Grazie tantissimo per le tue assidue recensioni e spero di non averti deluso.

Un grazie speciale anche a tutti quelli che hanno letto senza recensire ...!

Ciao a tutti, 

Shine

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** La strada dei sogni ***


La strada dei sogni

10

La strada dei sogni

L’aria cristallina del mattino spirava fra i miei capelli ramati, mentre dondolavo dolcemente, gli occhi serrati nel mio sogno.

Sentivo il vento accarezzare delicatamente il mio viso, il sole -o meglio i suoi timidi raggi- baciarne i lineamenti e risaltarne il pallido colore, l’ombra degli alberi proteggermi dal suo intenso calore. Continuavo a librarmi sulle ali della mia immaginazione, e dondolavo, senza curarmi di nulla.

 L’alba di un nuovo giorno, pensavo, estasiata, apriva per me l’orizzonte di una nuova vita, e non era esagerato definirla così. Svegliarsi sapendo che non si è più soli è un gran risultato. Ma spalancare gli occhi, sapendo che si ha accanto la persona che si ama, che guarda caso sembra sia disceso dall’Olimpo, per una visitina alla Terra, è tutta un’altra cosa.

Sollevai piano le palpebre, per contemplare il magico spettacolo che si parava dinanzi a me.

Ero a mezz’aria, con le mani strette attorno alle corde d’un’altalena.

Mi lasciai andare all’indietro, sfiorando con le scarpe l’erba fresca e rugiadosa, che emanava un profumo inconfondibile e piacevole.

Osservare la prime luci del mattino e restare affascinati dalla nascita del sole era meraviglioso. La spontanea bellezza del sole che appena spuntato, del tenue chiarore del mattino, delle foglie mosse dal vento, quella leggera brezza insistente e la consapevolezza che non stai vivendo un sogno, possono fare di te la più felice e allegra ragazza del pianeta.

Certo, non ero la prima a fare un’affermazione del genere, e non mi sarei reputata di gran lunga più in estasi di qualsiasi diciottenne incontri l’amore ricambiato, se non fosse stato per la natura dell’oggetto del mio appassionato sentimento.

Mi avevano insegnato che a volte questa ineguagliabile emozione ci porta ad essere meno razionali del solito, a valutare le cose che abbiamo davanti con il cuore e non con la mente.

 Ci porta ad idealizzare, insomma, quello che è – o dovrebbe essere- l’oggetto dei nostri sogni.

Ma anche se il mio cuore avesse voluto spingermi ad un atto del genere, ed anche se la perdita del mio senno era più che evidente in  sua presenza, era estremamente difficile, forse quasi impossibile, che io potessi esaltare ancor di più i suoi pregi.

Lui era perfetto.

Con il suo carattere così enigmatico, con la sua riservatezza, con la sua graduale allegria, con il suo immancabile fascino.

Io lo amavo e lui amava me.

Lentamente lasciai andare le corde che tenevo serrate nelle mie mani, e mi volsi a guardare dietro di me.

Due alberi protendevano i rami verso di lui, lo incorniciavano con la loro folta chioma, mentre mi osservava, immobile, appoggiato su uno di essi.

Era splendido, nella sua camicia bianca, arrotolata sulle maniche, nei suoi jeans scuri, attorniato dalla magnificenza del bosco, come se anche la natura volesse rendere omaggio alla sua bellezza.

Scesi rapida, e camminai, sorridendo, verso di lui.

S’illuminò.

Era rimasto fermo ad aspettarmi, mentre mi libravo sull’altalena che aveva fatto apparire, splendido, raggiante d’amore per me.

Era da due giorni che stavamo insieme. I due giorni più meravigliosamente perfetti della mia esistenza. Lui era tutto ciò che avevo sempre desiderato, tutto ciò di cui avevo bisogno, qualcuno da cui sarebbe stato impossibile separarsi.

Mi accorgevo, ogni attimo che passava, di respirare solo in funzione di lui.

L’amore era qualcosa di travolgente.

Ero serrata nella sua magia e non avevo alcuna voglia di sfuggirvi.

“È strano.”, dichiarò lui, piano.

Sorrisi.

“Che cosa?”, chiesi, curiosa.

Ricambiò, con uno sguardo che definirei rapito.

“Credo di non essermi mai sentito così.”, affermò, soddisfatto.

Lo fissai, perplessa.

“Così bene?”, domandai.

Lui alzò le sopracciglia.

“Tu che dici?”, ribatté, contrariato.

Sorrisi e lui addolcì la sua espressione.

“Credo che tu sia la persona giusta per me.”, dichiarò, quasi con difficoltà, come se fosse qualcosa di duro da ammettere.

Aggrottai le sopracciglia. Dove voleva arrivare con questi discorsi?

Sospirò.

“Credo che tu sia diventata il mio scopo.”, concluse, sempre con quell’aria pensosa.

Quelle parole mi colpirono profondamente.

Non potei fare a meno di contemplarne lo sguardo assorto, annebbiata dalle lacrime.

Qualche tempo prima mi ero interrogata su quale ragione ci fosse nel vivere. Non riuscivo a capacitarmi di essere una presenza passiva di quella terra, non riuscivo ad accettare il fatto che le mie esperienze non avessero peso, in un universo così vasto ed incontrollato. Mi ero chiesta perché esistevo.

Era per queste riflessioni che adesso capivo il significato celato nella sua affermazione. Perché anch’io sentivo la stessa cosa. Perché finalmente tutto aveva senso. Perché adesso vivevo in funzione di qualcun altro e mi sembrava che ogni tessera fosse tornata al suo posto.

Sollevò lo sguardo e mi fissò, preoccupato.

“Ti faccio piangere?”, chiese, avvicinandosi a me, con la sua camminata perfetta ed i suoi movimenti fluidi ed eleganti.

“Non è da tutti i giorni essere lo scopo di qualcuno, non credi?”, obbiettai, riprendendomi.

“Giusto!”, esclamò, convinto. “Dovremmo festeggiare.”

Stavo per chiedergli in che modo, ma lui mi aveva già stretto a sé. Mi lasciai andare al suo abbraccio, mentre la mia mano stringeva la sua schiena al mio corpo.

Mi accarezzò il profilo delle spalle, mi sfiorò il collo con delicatezza, posandovi lievemente le labbra, e mosse piano un dito sulle mie guance, disegnandone i tratti.

Lo guardai, persa nella notte dei suoi occhi scuri, che era come una pianura enorme, rischiarata dalla luna, con la sua luce argentea e dalle stelle, con i loro bagliori dorati.

Mi strinse con più forza, mentre il mio corpo si arrendeva, inerte, a quella piacevole pressione.

Mi baciò, dapprima piano, con tenerezza, poi con più desiderio.

Accomunata dalla sua passione strinsi con la mano i suoi capelli, profumati di foglie, e risposi al suo gesto, cercando di rendere manifesto tutto l’amore che provavo.

Nel contempo, mentre quell’esperienza travolgeva e contentava i miei desideri fisici, il mio cuore scoppiava esuberante, la gioia traboccava e sentivo le onde delle mie emozioni rompere ogni argine.

I nostri corpi, stretti all’ombra di enormi querce e rovere, proiettavano un’unica ombra sul terreno umidiccio, disegnando il profilo della nostra unione.

I miei dubbi, le mie certezze persero il loro valore, i miei sentimenti si sbriciolarono, per lasciar posto a quell’unica, intensa sensazione.

Quando mi lasciò con delicatezza e mi strinse al suo petto, sentii che sarebbe stato per sempre il mio unico, vero desiderio.

E non mi sbagliavo.

“Ti amo.”, sussurrai, felice.

Mi rispose con un analogo bisbiglio.

Sorrisi, radiosa.

Ma i miei pensieri riandarono subito a toccare le incertezze che mi angosciavano.

La consapevolezza che lui mi amasse, che desiderasse farlo, che sperasse con tutte le sue forze di non abbandonarmi mai, non scalfiva la mia decisione. Da quando avevo pronunciato la parola sì alla nostra unione, quella certezza non mi aveva mai abbandonato.

Avevo scelto di stare con lui, di sfruttare al meglio il tempo che ci era stato concesso, di vivere l’amore che provavo per lui con tutte le mie forze. Ma non lo avrei mai, mai costretto ad abbandonare il suo mondo, che nulla aveva a che fare con il nostro. Il posto in cui era nato, la sua terra natia era quella, e non avrei potuto strapparlo da lì. Senza contare che la sua magia si fondava sull’energia dell’amore che alleggiava in quel luogo e avrebbe dovuto rinunciarvi.

Non volevo esserne la causa.

Non potevo esserla.

Ma ora, mentre trascorrevo con lui i momenti più belli della mia esistenza, m’imponevo di non pensare alla nostra separazione, che presto o tardi sarebbe avvenuta.

Volevo solo godermi quei momenti accanto a lui, incurante di quello che sarebbe accaduto dopo.

Lo strinsi più forte e lui ricambiò.

Ci sedemmo sull’erba.

“Sai, amor mio.”, iniziò, calmo. 

Sussultai a sentirmi chiamare così, ma non lo interruppi.

“Dovresti smetterla di pensare al fatto che ci dovremmo separare, perché non succederà.”, dichiarò.

Chinai il capo, scuotendolo con forza.

“Non cambierò idea.”, affermai, decisa.

Lui, inaspettatamente sorrise.

“Sai, l’altro ieri sono stato un po’ brusco nel reagire a questa tua affermazione. Mi spiace.”, si scusò, guardandomi.

Corrugai la fronte e cercai d’interromperlo, ma non me lo permise.

“Mi sono espresso male. Cercherò di spiegarti il motivo della mia determinazione a non lasciarti.”, seguitò, sempre pacato.

Attesi, impaziente.

“Sebbene tutti mi dicono che sono molto altruista,”, asserì, pensoso, “credo di essere piuttosto egoista quando scelgo di stare con te. Credo di pensare solo a me stesso.”

Lo osservai, poco convinta.

“Quando ho perso Anne, è stata la cosa più terribile che mi potesse accadere. Io non potrei mai, mai sopportare di lasciare di nuovo la persona che amo.”

Rimasi immobile, colpita da quell’affermazione.

“Tu cerchi di consentirmi di vivere felice, affermando che vuoi che io torni nel mio mondo, ma lontano da te, non saprei più esserlo.”, concluse, illuminandosi.

Incurvai le labbra, in un sorriso amaro.

“E se il nostro amore finisse? Potresti mai sopportare di aver lasciato il tuo posto, per restare con me?”, domandai, scuotendo il capo.

“Non succederà.”, esclamò, determinato.

Evitai il suo sguardo.

“E se, alla lunga, stando con me, rimpiangessi la vita che hai perso per sempre?”, chiesi ancora, sconvolta da una così dura prospettiva.

Lui tacque per alcuni istanti, poi, con delicatezza, ma deciso, sollevò il mio viso, affinché lo guardassi negli occhi.

“Emily, mi dai una definizione d’amore?”, chiese, contrariato.

Lo fissai perplessa.

“Te la do io.”, disse, severo. “L’amore è la strada dei sogni, senza nessun rimpianto, mai. Ed io, tesoro, in te ho trovato l’amore. Lo capisci?”

Lo guardai, incerta e colpita dalle sue parole.

Mi lasciai abbracciare da lui, confusa.     

 

 

S’intravedeva appena uno scorcio di quel cielo azzurro così bello, dall’ampia vetrata che mi sovrastava. Eppure mi sembrava che fosse il più suggestivo.

Le sfumature azzurre più scure si alternavano a quelle più chiare, in un magico incrocio di tonalità, solcate da sprazzi di candore puro, creato da rade nuvole. Riuscivo a scorgere solo le bionde fasce di luce, nate da un sole caldo e luminoso, che completavano il dipinto che si era costruito dinanzi a me.

Era splendido.

Non potei fare a meno di contemplarlo, incantata.

Forse, oltre quel fantastico paesaggio, aldilà di quei colori così armoniosi, c’era la sua realtà. Sospesa nella più vasta distesa di blu che potesse esistere, retta da una forza di magia ed incanto.

Potevo io meritare tanto?

“Allora?”, domandò, guardandomi con gli occhi luminosi e ansiosi.

Mi voltai, a fissarla.

Era semplicemente fantastica.

La maglia le aderiva perfettamente sul corpo, ne risaltava le forme perfette, il viso aggraziato, gli occhi scuri e profondi.

Annuì, con decisione.

“Credo che dovresti comprare quello.”, annunciai, sorridendole.

Si fissò allo specchio, indecisa, poi assentì.

“Penso proprio che ascolterò il tuo consiglio.”, affermò, convinta, poi si voltò verso di me. “E tu?”

La guardai, eloquente.

“Non hai trovato nulla che ti piace?”, mi domandò, divertita.

Scossi il capo.

Rise.

“L’hai presa piuttosto bene. Lizzy non l’avrebbe fatto.”, dissi, ripensando alla mia amica, con un moto di tristezza.

“Sto cominciando a conoscerti …”, replicò,allegra.

M’illuminai.

Sophie mi aveva letteralmente trascinato via, perché l’accompagnassi a fare un giro al centro commerciale. Aveva detto che suo fratello mi aveva presa tutta per sé e che non era giusto. Non aveva accettato opposizioni di nessun genere.

Avrei trascorso il pomeriggio in sua compagnia, punto e basta.

Mi piaceva stare con lei, la sua simpatia mi rallegrava. Anche se la lontananza da  Matt, anche per un solo pomeriggio, si faceva sentire.

Sospirai.

Avevo ripensato moltissimo a quello che mi aveva detto, ma non avevo praticamente concluso nulla. Alla fine, avevo rimandato a futura riflessione.

“Be’, ti va se facciamo ancora un giro?”, chiese, incerta.

Annuii.

“Certo che sì, Sophie.”, assentii, riscuotendomi.

“Bene!”, esclamò.

Camminare per i negozi con Sophie era a dir poco imbarazzante. Continui sguardi si posavano su di lei, sulla sue esuberante grazia e bellezza, sul suo corpo perfetto. Quasi tutti i ragazzi che passavano rimanevano incantati a fissarla, con sguardi ebeti.

Sorrisi, mentre un tipo rischiava di andare a sbattere contro un vetro.

Sophie lo ignorò, sebbene se ne fosse accorta.

“Come va tra te ed il mio fratellone?”, domandò, curiosa.

Le sorrisi.

Nonostante fosse di due anni  più piccola di me, mi raggiungeva in quanto altezza. Ne incontrai gli occhi scuri, non senza ammirazione e, forse, un pizzico d’invidia.

“Credo che vada bene.”, risposi,ripensando agli ultimi giorni, totalmente estasiata.

Lei annuì.

“Matt è proprio cotto, sai. Era tanto che non lo vedevo così allegro.”, mi informò, evidentemente felice per lui.

Mi faceva piacere. Non potevo fare a meno di ricordare la freddezza di Matt i primi giorni, il suo profondo dolore, che sembrava non potesse essere scalfito. Ora lui era diverso, lo avvertivo. Ne sentivo la diffusa contentezza quando mi guardava, quando mi parlava, quando mi abbracciava. Ero consapevole che non avrebbe mai dimenticato Anne, ma percepivo che il suo amore per me era pari a quello che io provavo per lui.

Avrei solo voluto che non ci fosse una distanza così abissale a separarci.

Un mondo intero.

“A cosa pensi?”, mi chiese Sophie, incuriosita.

Mi accorsi di averla ignorata e mi ripresi.

“Nulla d’importante.”, replicai, scuotendo il capo.

Lei non indagò oltre.

“E a te, come va con Richie?”, domandai, fissandola negli occhi.

S’illuminò subitaneamente.

“Tutto è perfetto, come al solito. Lo adoro e lui adora me, almeno lo spero.”, affermò e dal suo sguardo trapelava quanto fosse innamorata di lui.

“Mi fa sentire come se fossi la migliore ragazza del mondo. Come se in me si concentrasse l’essenza stessa della sua esistenza.”, seguitò, gli occhi che brillavano.

Riconobbi in quello che diceva ciò che provavo per Matt, avvertii il reale senso di quelle parole e mi sentii felice perché apparteneva anche a lei.

“Io lo amo, perché è l’unico che si riuscito a farmi sentire così appagata.”, concluse, sorridendomi.

Ricambiai, individuando nelle sue frasi l’intensa emozione che ne era racchiusa.

“Piuttosto.”, disse poi, abbandonando l’aria incantata che aveva assunto parlando del suo ragazzo.

“Perché non vuoi dire ai tuoi della tua storia con Matt?”, m’interrogò, curiosa.

M’incupii.

Aveva toccato un tasto dolente.

Rimasi un po’ in silenzio, cercando di ponderare la mia risposta.

“Non voglio che i miei lo sappiano, perché …, se dovessimo separarci … non vorrei che si preoccupassero per me, ecco.”, dichiarai, seria.

“Separarvi?”; domandò, stupita.

“Prima o poi tornerete a casa vostra, Sophie. Non posso certo trattenerlo qui.”, replicai, triste.

La vidi aggrottare le sopracciglia, ma capii che anche lei riconosceva quella eventualità.

 

 

Sentii il vento scompigliarmi i capelli, facendoli volare, luminosi, attorno al mio viso. I miei occhi, color smeraldo, erano riflessi sul celeste terso del mare, sul quale ondeggiavano le rocce del promontorio, il muretto del molo e gli alberi, che si stagliavano folti, in lontananza.

Era piacevole stare lì, con le gambe abbracciate al petto, ad osservare il moto continuo delle acque, il mutamento dei riflessi, a seconda della luce, che pian piano calava su di esso.

Mi sentivo felice, appagata da quello che ora era il ritmo che scandiva le mie ore, dal lui, che era onnipresente in me e che lo sarebbe sempre stato, dalle mie amicizie, dall’affetto che sentivo rivolto a me. Non avvertivo le tristezze e i dubbi che mi affliggevano, che, sebbene tutt’altro che abbandonati, erano lontani e fiochi.

Ero appagata. In pace.

Il nuovo sentimento, che mi aveva avvolto nelle sue spire, che mi stringeva e mi riscaldava il cuore, era pieno di sorprese.

I risvolti di quell’intensa emozione erano sempre in grado di stupirmi: Matt era una continua scoperta.

Era in grado di farmi sentire così bene, che quasi non riuscivo a credere a quello che mi stava accadendo.

Neanche la paura, che mi accomunava a Sophie, sembrava più avere importanza, adesso che ero con lui.

Matt aveva profondamente rivoluzionato la mia vita, in un modo straordinario, che mi rendeva fantasticamente gioiosa e serena.

Sembrava che avessi raggiunto l’apice della mia possibile allegria, sembrava che ogni sogno si fosse realizzato.

Avrei solo voluto che anche per Lizzy fosse stato così.

L’avevo sentita, quel pomeriggio. Era felice per me, per il mio sogno d’amore coronato, ma sentivo che stava male. E non sapevo cosa fare. Non si era mai abbattuta a quel modo, non era mai stata così giù. Quasi non riconoscevo. Era diversa, non rideva quasi più.

Era insopportabile vederla così.

Ma, sinceramente, non sapevo cosa fare.

Non potevo incoraggiarla, perché l’avrei illusa. Charlie non era di questo mondo: non poteva, anche se si fosse affezionato a lei, donarle la felicità che meritava.

D’altro canto, non potevo certo dirglielo.

Avrei voluto che si affezionasse a qualcun altro, qualcuno che potesse realizzare i suoi progetti assieme a lei, ma sentivo che era impossibile. Non era pronta. Era troppo innamorata di lui.

Sospirai, sconfitta.

Presi il libro che avevo accanto e ricominciai a leggere, cercando di rilassarmi.

Ultimamente mi ero data ai classici della letteratura ottocentesca.

Avevo riletto parecchie storie d’amore che conoscevo, presa dall’irresistibile impulso di scoprire in che modo questo grande sentimento si realizzasse nelle diverse persone, nelle diverse esperienze.

Il libro che accompagnava la mia presenza sul molo era Persuasione, di Jane Austen. Lei era l’autrice dei romanzi che prediligevo, il suo modo di scrivere era ironico e realistico, coinvolgente e, a volte, persino divertente.

In realtà, da una prima impressione, ne avevo ricavato un giudizio non troppo favorevole. I ritmi lenti che scandivano la lettura mi avevano dapprima annoiato e l’attesa di una qualche risoluzione mi risultava insopportabile.

Ma, ad una seconda lettura, mi ero accorta del senso profondo che scorreva tra quelle parole, avevo imparato ad apprezzare la protagonista, quale personaggio degno di stima e di rispetto, e ne avevo scorto la profondità dei sentimenti.

Mi piaceva rileggere ancora quella storia e riviverne l’intensa emozione che trapelava dalle sue frasi. M’immedesimavo in lei, comprendevo la sofferenza provata a causa delle imposizioni della sua famiglia.

Ma di quel romanzo, ciò che in assoluto adoravo erano i luoghi, che con l’occhio della mente immaginavo attorno a me, come le strade affollate di Bath, dove la protagonista avrebbe rivisto lui …

Fu proprio per il pressante desiderio di rivivere quelli ambienti, che m’immersi a tal punto nella lettura, da non sentire quei passi alle mie spalle.

“Hai occupato il mio posto.”, dichiarò una voce, facendomi immediatamente sobbalzare.

Il libro mi sfuggì dalle mani e rischiò di andare a finire in acqua, ma Charlie, con un movimento fulmineo, lo afferrò al volo.

“Ciao, Emily.”, salutò, trattenendo appena una risata.

Mi portai d’istinto una mano al petto.

“Ti sembra il modo di spuntare alle spalle della gente?”, obbiettai, terrorizzata.

Lui inarcò un sopracciglio, con aria divertita, porgendomi il libro.

“Non credevo venisse qualcuno qui. Sai, avevo cominciato a considerarlo un luogo di mia esclusiva proprietà.”, replicò, accomodandosi, agilmente, accanto a me.

Ricambiai il sorriso, che sembrava illuminare perennemente il suo volto.

“E che cosa faresti qui, tutto solo?”, chiesi, guardandolo.

Lui sogghignò.

“Tu cosa stavi facendo?”, ribatté, osservandomi a sua volta.

“Leggevo.”, risposi, con un’alzata di spalle.

Sorrise.

“Vengo qui a riflettere.”, dichiarò lui. Notai subito un cambio di tono e di espressione.

Charlie era una ragazzo con molti segreti, lo percepivo, ma, nonostante lo considerassi oramai un amico vero e proprio, non mi sembrava appropriato indagare.

Mi volsi verso il mare, sospirando.

Lui,invece posò il suo sguardo verso di me.

“I tuoi dubbi e quelli di Sophie sono del tutto infondati.”, affermò, serio, d’un tratto.

Mi riscossi.

“Non ti seguo.”, replicai, confusa.

Lui mi sorrise.

“Ti stai ponendo l’eventualità di separarti da Matt. … Non succederà.”, spiegò, lanciandomi uno sguardo penetrante, con i suoi occhi gelidi e scuri.

Non potei a fare a meno di rabbrividire.

“Non gli permetterò di restare con me, perché …”, iniziai, ma lui m’interruppe.

Mi sorrise.

“Tu non conosci bene Edward e Kate, ma sono veramente dei genitori fantastici.”, esordì, lasciandomi di sasso.

Cosa c’entrava?

Al mio sguardo perplesso, lui mi fece segno d’attendere.

“Tengono talmente tanto al loro figlio, che  gli avrebbero sconsigliato vivamente di andare così in fondo con te, se si fosse profilata la possibilità di vederlo soffrire ancora.”, concluse, pacato.

Ero ancora più confusa.

“Che vuoi dire?”, domandai, fissandolo con aria stupita.

Sbuffò, spazientito.

“E se invece di separarti da Matt, andassi con lui?”, chiese, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

Scossi il capo, più calma.

“Io non posso.”, dichiarai, tranquilla. “Non ho poteri magici.”

Scoppiò a ridere, una risata strana, amara, fredda, che mi gelò.

Non aggiunse altro ed io non ebbi il coraggio di chiedere ancora.

Charlie mi sembrava veramente strano, e quel discorso non aveva senso. Era diverso dal solito … o forse era semplicemente un risvolto della sua personalità che non conoscevo.

Non riuscivo a capire cosa stesse cercando di dirmi.

Il silenzio che calò fra di noi si protrasse per parecchio, senza che io riuscissi ad interromperlo.

Ad un certo punto, sospirando, riprese, in tono più sereno: “Ti sei divertita con Sophie? So che quando va in giro per vestiti è instancabile.”

Sorrisi.

“Sono abituata con Lizzy.”, replicai, ricambiando il sorriso.

Lui sogghignò.

“Si, ho notato. Mi sembra che la tua amica sia molto propensa a questo tipo di attività.”, asserì, ripesando a qualcosa che non potevo sapere.

Rimasi colpita da quella frase, intuendo che aveva mal compreso il carattere della mia amica. Mi sentii in dovere di difenderla.

“Elizabeth è molto meno superficiale di quanto credi.”, esclamai, fredda. “Dovresti conoscerla, prima di giudicarla.”

Lui parve colpito dalle mie parole.

Si voltò verso di me e prese ad osservarmi, divertito.

“Scusami.”, disse, senza perdere quella sua espressione. “Hai ragione.”

Poi, mi porse una mano e soggiunse: “Credo che il tuo ragazzo ti desideri.”

Zalve a tutti, cari lettori! Pubblico questo cap con un ritardo enorme,  ma non ho avuto la possibilità di aggiornare prima. In questo cap. emerge uno degli ostacoli fino ad ora più importanti dell'amore, appena coronato, di Matt ed Emily! Spero di non avervi deluso e di non aver fatto troppi errori di virgole.

Ma, invece di annoiarmi con le mie inutili chiacchiere, passo a rispondere alle  recensioni:

Padme Undomiel: Sono super contenta che il capitolo ti sia piaciuto. Si, l'intervento di Sophie è stato decisivo, lo ammetto... Ma io adoro quella ragazza! Per quanto riguarda Charlie sono assolutamente d'accordo con te! Scusami tantissimo per gli errori di virgole, ma lo sai... sono una distrattona! Aspetto i tuoi commenti su questo capitolo! Grazie!XDXD tvtb

Mistery Anakin: Sono felice di averti sorpresa con il cap precedente e che ti sia piaciuto! Perdona il colossare ritardo nel soddisfare la tua curiosità, ma non è colpa mia, te lo assicuro! Spero che anche questo capitolo ti piaccia ed aspetto tuoi commenti! XD Tvtb

Ringrazio di cuore anche tutti quelli che hanno letto i precedenti capitoli e che leggeranno anche questo! Alla prossima,

Shine

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Beyond the sky (cap II) ***


Beyond the sky (cap II)

11

Beyond the sky (capitolo II)

Aprii gli occhi, sbattendo lentamente le palpebre. La mia camera era buia e silenziosa, ma i miei occhi non erano restii all’oscurità. Mi guardai intorno, con la vaga sensazione che fosse successo qualcosa di strano.

Frammenti di quello che doveva essere stato un sogno mi balenavano, veloci, nella mente, senza che io potessi creare un nesso logico fra di essi. Tuttavia, provavo una sorta d’ansia inspiegabile ed anche un’assurda paura nel rivederli.

Mi riscossi, muovendo appena il capo, nel tentativo di cancellare quei residui di una notte agitata, e tentai di alzarmi dal letto.

La mia mano si posò, inavvertitamente, su qualcosa che era abbandonato, accanto a me, fra le lenzuola.

L’avvicinai a me, sorpresa.

Era un quaderno.

Cosa ci faceva sulla mia coperta?

C’era decisamente qualcosa di strano.

Scivolai piano fuori dalle coperte ed infilai le pantofole. Dopo aver aperto con delicatezza la porta, sbattendo le palpebre per l’improvvisa luce che proveniva dal corridoio, mi diressi nel salotto.

Il quaderno era aperto sulla terza pagina e le sue righe erano ricoperti di una grafia minuta e stretta, che mi era alquanto familiare. Non ricordavo, però, di aver ricominciato a scrivere, e non avevo idea di cosa fosse narrato in quelle parole.

Presi il latte e, dopo averlo riscaldato, me ne versai un bicchiere.

Seduta sul divano, sorseggiando con calma la mia colazione, mi accinsi a leggere dalla prima pagina, sperando di trovare una spiegazione alle stranezze di quella mattina.

 

La pianura si stendeva vasta e brulla, fino ad un confine, tracciato da imponenti montagne grigie e lontane, dalle cime perennemente ghiacciate. Il vento spirava lento e diffondeva nell’aria l’odore di terra smossa, sferzando con la sua intensità ogni cosa incontrasse sul suo cammino. Il panorama era immutato e si estendeva per miglia e miglia, senza un suono a rompere la sua pace, senza un respiro a dare un aspetto verosimile a quel luogo. Tutto era spento e gelido e nell’aria si avvertiva una certa, insensata tensione, che era percepibile ad ogni passo.

Non c’erano alberi, non c’erano boschi, non c’era un raggio di sole né l’invisibile pigolio di un uccello. Non c’era erba, né la rugiada che troppo spesso la ricopriva, non c’era il tramestio di passi, il quieto rumore naturale, il gioco perenne di ombre e di luci. Solo un’immensa valle, senza vita.

Un imponente castello si stagliava all’orizzonte, visibile dall’altro capo della landa, con i suoi torrioni alti e sinistri, con le sue ombre e con il suo cupo silenzio. Le pareti, ampie ed altissime, erano di basalto nero, come le finestre, le cui vetrate lasciavano intravedere appena l’interno, buio e tetro. Il palazzo era enorme, doveva avere più di un migliaio di stanze, eppure nulla lasciava presagire che ci fosse una qualche presenza al suo interno. Un silenzio quasi spettrale, una calma innaturale.

La scelta di quel luogo, per la collocazione della sua dimora, era dovuta ad un certo capriccio sentimentale, se così si poteva definire. Naturalmente aveva considerato anche le ragioni pratiche, l’utilità di una zona di confine, la favorevole barriera che la separava da Eraia, creata da quelle cime maestose ed invalicabili. Eppure, doveva ammettere a se stesso che non l’aveva designata come posto perfetto  per il suo regno, così detto almeno dagli altri, solamente per quei motivi. La verità era che, quello che ora era diventato Darkland, le ricordava lei.

Si chiedeva come facessero gli abitanti di Eraia a considerarlo un tiranno. In fondo lui non imponeva il suo dominio su nessuno. Quel luogo era spoglio e privo di ogni forma di vita. Ad abitarlo erano solo lui, i suoi figli e qualche servitore, che aveva scelto liberamente di seguirlo. Magari perché disperato, ma in ogni caso lui non aveva costretto nessuno.

Eppure persistevano a reputarlo uno dei più dispotici signori, un malvagio, un orribile individuo.

Rise fragorosamente.

La gente poteva essere davvero ottusa, talvolta. Ma a lui non interessava affatto. Aveva in ogni caso raggiunto il suo scopo. Ogni persona, ogni singolo individuo di quel mondo aldilà del cielo lo odiava. Con tutto l’ardore, con tutta l’intensità che quell’emozione poteva avere. Tutti.

O meglio, pensò, questa volta  con rabbia, tutti tranne uno.

 

Sollevai gli occhi, perplessa. Più leggevo, meno capivo. Non ricordavo affatto di aver scritto qualcosa del genere, né di aver mai preso in mano la penna, in realtà. Non riconoscevo i luoghi, che pur avevo descritto così minuziosamente, né la persona a cui appartenevano le considerazioni che avevo espresso.

Sentivo solo che tutta quella storia aveva a che fare con la mia strana dote di vedere il presente. Perché era quello che avevo fatto, due anni prima. Avevo scritto pagine e pagine di un racconto, che si era rivelato poi veritiero.

Seguitai a valutare ogni possibilità, nello sconcerto più totale, finché il mio sguardo cadde di nuovo sul foglio.

C’era il nome di Matt.

Corrugai la fronte e ripresi la mia lettura.

 

Matthew Elliot.

 Come poteva quel ragazzo non provare rancore nei suoi confronti? Proprio verso di lui. Che si era macchiato di una colpa che ai suoi occhi doveva parere imperdonabile. Eppure, lo avvertiva, non odiava.. Né lui, né nessun altro.

Era una cosa piuttosto frustante.

Era l’unica cosa che non era perfetta nel suo piano.

Rise, divertito.

Il figlio di Edward era stato molto perspicace.

Sebbene suo padre non glielo avesse detto, sembrava aver capito. Quasi ogni cosa.

Gli era chiaro che lui non lo faceva per potere, né per ricchezza. Non voleva Eraia e, se aveva cercato di strappare dalle mani della sua famiglia il potere che custodiva, l’avevo fatto per un motivo più che sensato.

Ecco, quella era l’unica cosa che gli sfuggiva.

Si chiedeva cosa desiderasse.

Non poteva sapere.

Un sorriso amaro affiorò sulle sue labbra, incurvandosi sulle guance pallide e gelide, mentre i suoi occhi, neri come solo una notte senza stelle poteva essere, si animavano di una sorta di nostalgia mal celata.

Ogni cosa di lei era limpida nella sua memoria. Ogni piccolo dettaglio era vivido in quell’angolo recondito della sua mente ed ognuno di essi sembrava non volerlo mai abbandonare. Il suo corpo perfetto, le sue forme fluenti, la sua camminata aggraziata, il suo viso splendente, i suoi capelli ramati, che le ricadevano, come morbide onde, sulle spalle, i suoi occhi color smeraldo.

Lei riviveva in quei luoghi, attraverso i suoi pensieri, correva su quelle rocce, una volte brillanti sotto il sole d’estate, si rotolava nei campi di ginestre e di gigli, che avevano riempito quella landa deserta e desolata, rideva, con la sua risata cristallina, bella e luminosa come il sole, magica e dolce come la luna.

Lei non se ne era mai andata da lì. Abitava quelle colline, quella piana così vasta, qual castello …

Respirò a fondo.

Sarah Hall riviveva nello sguardo del figlio, che tante volte si era posato su di lui, dapprima con un rispetto abituale, poi con un disprezzo sempre più intenso, con un crescente disgusto, con una manifesta incredulità.

La rabbia e il profondo dolore per quello che aveva scoperto, per quello che credeva di aver provocato, gli agitava ancora l’animo, lui lo sapeva. Aveva scelto di andare via di lì, eppure sapeva che non sarebbe riuscito a sfuggire alla sua angoscia. Al suo senso di colpa.

Ma la cosa che più lo tormentava, era che una parte di lui soffriva per ciò che suo figlio stava provando.

Ecco, quello era stato uno dei suoi più grossi errori.

Lui aveva amato Sarah. Ed aveva amato Charlie. Lo aveva amato così tanto da …

Rise ancora, mentre rivedeva gli occhi, che tanto erano simili ai suoi, di suo figlio, che si congelavano in un profondo ed insopprimibile dolore.

Charlie si era innamorato quasi di un angelo. Era la ragazza più pura che avesse mai visto, dopo Sarah. Quegli occhi azzurri innocenti, quei capelli biondi, come il grano maturo, che fioriva nei campi d’estate, quel viso limpido e sincero.

Ma lei non amava suo figlio.

E Sarah non amava lui.

I suoi occhi dardeggiarono attorno, crudeli.

L’aveva uccisa, senza provare un briciolo di rimorso.

Charlie non doveva vivere in una speranza non corrisposta, in un perenne desiderio, per sempre unilaterale.

Anne aveva scelto Matt. Ed aveva pagato.

Suo figlio se ne sarebbe fatto una ragione.

Ma l’amore di Charlie non era profondo come quello che lui aveva provato. Che tuttora provava. Che lo consumava da sempre.

Sarah era stata l’immagine di ogni sua più piccola brama. Ogni briciolo dei suoi sentimenti. Gli aveva dato tutto. Donato tutto ciò che possedeva. La sua anima, il suo cuore.

E lei aveva scelto un altro.

Aveva scelto suo fratello.

Aveva scelto James.

Scosse il capo, come per allontanare il grande desiderio che gli ardeva dentro.

Ecco quello che voleva.

Voleva lei.

E, visto che non poteva più averla, si sarebbe preso la cosa più preziosa che Sarah avesse mai posseduto.

Avrebbe avuto il suo amore, i suoi sentimenti, il suo corpo.

Anche se, pensò, divertito, almeno quello Sarah gliel’aveva concesso. Non certo di sua spontanea volontà, ma l’aveva fatto.

Rise sguaiatamente e l’eco riecheggiò tra le pareti del castello, terribile come nessun altro poteva esserlo.

 

Nuovamente alzai lo sguardo da quei fogli, ma questa volta un tipo ben diverso di stupore si celava dietro l’espressione del mio viso.

I miei occhi si posarono sulle pareti del mio salotto, così consuete e familiari, come spaesati. Possibile che tutto quello fosse vero?

Respirai a fondo, cercando d’impormi un certo autocontrollo. Quando mi parve di esserci riuscita, posai il quaderno sul tavolo e rivalutai attentamente e con più lucidità ogni cosa.

Matt mi aveva detto che non riusciva a spiegarsi come mai avessi avuto quel tipo di visioni, due anni prima. Mi aveva raccontato che non erano, in genere, frutto d’un incantesimo preciso, ma legate a qualche vincolo magico. In ogni caso, mi aveva assicurato che avrebbe cercato di capirci qualcosa in più. Sebbene molto curiosa di scoprire a cosa dovessi quella strana dote, che evidentemente possedevo, non mi ero soffermata ad indugiare in quel particolare. La mia prerogativa era stata sicuramente quella di godere ogni attimo passato in sua compagnia, che mi sembrava indispensabile, come lo era la luce della nostra stella, che ogni giorno tingeva di allegre tonalità il mondo, che colorava gli inizi di ogni giorno, che si accomiatava da noi, sfumando il cielo d’arancio.

Eppure, adesso era fondamentale che io arrivassi ad una qualche conclusione su quel punto.

Da quello che avevo capito dalle mie parole, che evidentemente avevo scritto inconsapevolmente, colui che aveva fatto quei commenti così amari era l’individuo che avevo, con tutte le mie forze, condannato aspramente nella mia precedente storia. Non avevo mai analizzato la sua personalità e mi chiesi in quale modo riuscissi a leggerne i pensieri. Non mi sfiorò mai il pensiero che fossero solo frutto della mia immaginazione. Forse perché intuivo la verità, forse per la mia precedente esperienza. Sinceramente, non saprei dirlo.

Ma, abbandonato ben presto quell’interrogativo, iniziai a pormene un altro. Charlie era suo figlio?

Ricordando i suoi occhi, ogni dubbio fu dissipato.

Ora comprendevo le ragioni del suo senso di colpa. Ora capivo come doveva sentirsi, qual era il peso che doveva sopportare. Era terribile, e mi rimproverai per aver provato una sorta di rabbia nei suoi confronti, dopo le sue risposte enigmatiche dell’ultima volta. Ora avvertivo la complessità di quelle che dovevano essere le sue riflessioni, la confusione che doveva ravvivarle.

Sospirai piano, cercando di riprendere il filo che mi aveva condotto fin lì, nella speranza di trarne conclusioni quantomeno accettabili.

Io ero stata in grado di percepire e di mettere su carta quegli che erano i sentimenti di suo padre. Questo era, in buona sostanza, ciò che mi era accaduto.

Ero abbastanza certa che fossero veritieri, ma decisi che dovevo in qualche modo confermare la mia tesi.

Alzai lo sguardo, cercando un briciolo di tranquillità tra le mie mille sensazioni.

Rivolsi i miei occhi sul quaderno, fissandone la copertina, come catturata dai suoi banali motivi geometrici.

Poi, presa la penna che gli era accanto, con tratti veloci, scrissi, sulla prima pagina …

… Beyond the Sky, capitolo II.

 

 

Marciai avanti e indietro per la stanza, non so per quanto tempo, ma non riuscivo a decidermi. Quasi imponevo ad una parte di me di chiedersi se quello che avevo scritto fosse reale, nella speranza che quelle orribili rivelazioni fossero in realtà frutto solo di una mia inconscia fantasia. Ma sembrava che lo sguardo di Charlie tornasse a perseguitarmi, ogniqualvolta esprimessi quel desiderio. I suoi occhi, così scuri, così enigmatici, così simili ai suoi …

Avevo paura di parlargli. E se l’avesse preso come un intervento fuori luogo? E se non avesse più voluto rivolgermi la parola, considerandomi inopportuna?

Ma perché doveva essere tutto così complicato?

Mi appoggiai al davanzale della finestra, sospirando.

Si prospettava una mattina afosa. Nonostante fosse molto presto, nell’aria già si avvertiva il calore, ed il sole ardeva nel cielo, infiammandolo con la sua luce. Le striature bionde rilucevano brillanti, creando un piacevole contrasto con l’azzurro soffuso dell’immensa distesa di sfumature cerulee. Quando ero piccola, mi ero sempre chiesta quale fosse la consistenza del cielo. Mi chiedevo come potesse avere così tante e così belle tonalità, come potesse essere sempre così diverso e così magico. E la cosa più curiosa era che, nel corso della mia infanzia ma anche per buona parte della mia adolescenza, avevo sempre creduto che ci fosse qualcosa nell’universo, aldilà del limpido celeste, dell’intenso azzurro, dell’imperscrutabile blu, che io non conoscevo.

Ecco, o era stato intuito perfetto o fantasia abbastanza realista.

Sospirai, cercando di trovare un briciolo di calma. Con lo sguardo fisso verso l’alto, composi un numero sul telefono, sperando che fosse la scelta giusta.

Uno squillo.

Il cuore cominciò a battermi all’impazzata. E se non avesse voluto ascoltarmi? Se si fosse arrabbiato perché m’intromettevo nei fatti suoi?

Secondo squillo.

Ma cosa stavo dicendo? Di certo non mi avrebbe ucciso! Anche se era suo figlio, figlio di una persona che provava un odio così profondo e forte, non voleva dire che Charlie fosse come lui. L’avevo conosciuto come un ragazzo sempre allegro e sorridente, che era riuscito, in ogni occasione, a rendermi serena. Ed anche se l’altra volta era stato criptico, non potevo sicuramente …

Terzo squillo.

Forse non avrebbe mai risposto. Forse mi stavo facendo domande per nulla. Forse, mi stavo tormentando senza motivo. Forse …

Ma non feci in tempo ad elencarne altri.

“Pronto?”, chiese una voce, dall’altro capo del cellulare, facendomi sobbalzare.

Respirai a fondo.

“Ciao, Charlie!”, salutai, piano.

Parve sorpreso e per un istante non disse nulla.

“Ciao, Emily.”, rispose. Sembrava abbastanza tranquillo.

Spinsi me stessa ad assumere un tono sufficientemente pacato, ma la mia agitazione era al culmine. Avevo scoperto, mio malgrado, qualcosa che faceva parte dell’angolo più recondito della sua anima, della realtà più difficile del suo passato, che probabilmente non avrebbe mai voluto far sapere. Mi sentii egocentrica con le mille domande che volevo porgli, con la mia egoistica curiosità, con il mio desiderio di interrompere i tanti interrogativi che mi tempestavano. Ma non era da me fingere con lui. Non potevo essere così ipocrita, perché lo consideravo un amico. E, ad un amico, si deve tutta la propria sincerità.

“Come va?”, domandai, cercando di modulare la mia voce e cercare le parole più giuste per formulargli la mia richiesta.

“Bene.”, rispose, suonando un po’ stupito. “Vuoi parlare con Matt, Emily?”

Sospirai. Matt. Forse potevo prendere in considerazione la possibilità di domandarlo a lui. Sarebbe stato più semplice. Ma, pensai poi, non sarebbe stato corretto nei confronti di Charlie. Feci appello a tutta la possibile forza che mi apparteneva e replicai:

“No, in realtà no.”

Rimase in attesa.

“Vorrei parlare con te, a dir la verità.”, dichiarai, sperando che la mia voce suonasse serena quanto dovesse.

Non nascose il suo stupore. Immaginavo che non si aspettasse che io potessi avere l’intenzione di dirgli qualcosa. In seguito, dopo aver finalmente confessato tutto, mi sarei chiesta che tipo di congetture si era fatto. Ma ero così preoccupata, che quasi non me ne accorsi in quel momento.

“Con me?”, chiese, sorpreso.

“Già. Ti va se ci vediamo al molo?”, proruppi, sperando e allo stesso temendo che accettasse.

Impedii a tutti i forse che accorrevano nella mia mente di travolgermi e m’imposi di attendere lucida la sua risposta.

“Ok”, assentì, curioso. “ Ci incontriamo più tardi, stamattina?”

Risposi che andava bene.

“Perfetto, a più tardi.”, ribatté, sempre più perplesso.

“Ok.”, risposi, non saprei dire se prevalesse il sollievo che la nostra conversazione fosse giunta al termine, o l’ansia per il nostro incontro.

Dopo avermi salutato, chiuse la comunicazione.

Mi accasciai sul divano, confortata ed turbata allo stesso tempo.

Ammetto che forse non era una buona idea presentarmi da lui e chiedergli se suo padre avesse ucciso Anne, cercato di rubare qualcosa che apparteneva agli Elliot e chissà quante altre cose. Ma ormai la cosa era fatta.

Distolsi i miei pensieri da quell’incontro. Presi il quaderno e lo nascosi nel cassetto, dopodichè mi sedetti sul divano. La mia intenzione primaria era quella di distrarmi, ma era piuttosto difficile. Decisi che la cosa migliore da fare era leggere qualcosa.

Mi piaceva immergermi dei libri, andare aldilà delle righe, essere affascinata da qualcosa di diverso dalla mia realtà. Mi rilassava e mi faceva sentire più serena. I pensieri e le preoccupazioni che fino a poco prima mi avevano tenuta impegnata, si dissolvevano, come se sprofondassi in sogno inviolabile.

Era il metodo perfetto per distendere i miei nervi, che erano tesi al massimo. E poi, leggere era una delle poche cose che, fin da piccola, mi aveva donato sicurezza e appagamento. Nel corso della mia vita ci sarebbero state pochissime cose che mi avrebbero reso veramente serena. Una di queste, erano sicuramente i libri. Un’altra cosa sarebbe stata la Sorgente.

Anche se allora non potevo saperlo, non avendolo sperimentato, conoscevo, per quella strana capacità di leggere nel presente, una sorta di ruscello, che scorreva limpido e gioioso in una delle tante colline del mondo di Matt. Ne avevo parlato diffusamente nel corso della mia vecchia storia, elogiandone le caratteristiche e la bellezza. Be’, questo corso d’acqua avrebbe avuto, su di me, una strana influenza.

Naturalmente anche Matt costituiva la fuga dalla mia realtà, una fuga che definirei esaltante e paranormale. Ma non credo di poterlo annoverare tra i sogni inviolabili. Era, ormai, qualcosa di concreto e certo, di cui non potevo più fare a meno. I miei pensieri si volsero repentinamente verso di lui.

Molte persone, nel corso del tempo che passai in quella città, mi avevano detto che ero particolarmente abile nel leggere il carattere delle persone. Conoscevo nei minimi particolari quello di Matt.

Era e sarebbe sempre stato molto complicato. O meglio, non proprio complicato, ma così ricco di sfumature, che era difficile coglierle tutte. I suoi occhi, quindi suppongo con sufficiente cognizione anche il suo animo, avrebbe sempre visto l’avvicendarsi di mutevoli e differenti emozioni. Fu questo, mi disse, a catturarlo di me, la prima volta che c’incontrammo. Il fatto che fossi riuscita a captare qualcosa che agli altri sfuggiva. Una varietà di sfaccettature, come quelle di una pietra preziosa, che contraddistinguevano lui e la sua personalità. Non che io mi ritenessi così brava. Anzi, nonostante lo conoscessi, mi stupivo di quante cose ancora non mi fossero chiare su di lui. E poi, delle sue origini sapevo veramente pochissimo. O meglio, non mi aveva mai raccontato nulla di se stesso. Se possedevo qualche informazione, era solo per la mia storia. Ecco, quello sarebbe stato il nostro principale argomento di conversazione, prefissai, non appena avessimo avuto l’occasione di stare un po’ insieme.

Sopirai, sorridendo.

Non ero facile alle distrazioni, mentre mi dedicavo al mio passatempo preferito, eppure Matt riusciva a concentrare tutte le mie riflessioni nella sua singola persona.

Ripresi la mia storia, cercando di dedicarvi maggiore attenzione. Sprofondai nei meandri del libro, riscoprendo il piacere che di consuetudine provavo nel leggerlo.

Ero così concentrata a leggere, per tenere impegnata la mia mente  e scacciare momentaneamente le mie paure, che non mi accorsi dello scorrere del tempo. Erano passate circa due ore, quando il campanello squillò.

Sobbalzai, presa alla sprovvista, e corsi a rispondere.

Fu quel giorno che vidi, per la prima volta, un dolore profondo, che non sarebbe più stato lavato via, animare il  volto della mia migliore amica.

 Aperta la porta, fui salutata da Lizzy, ma non mi parve lei. Era come se il sole, che pareva brillare sempre nel suo volto, fosse sparito a causa di un eclissi. Non rimaneva che sperare nel suo ritorno, pensai, preoccupata.

“Elizabeth”, salutai, allegramente.

La invitai ad entrare e ad accomodarsi sul divano.

Si dichiarò felice di rivedermi e dispiaciuta che avessimo avuto così poco tempo per stare insieme, ultimamente.

Notai che era profondamente abbattuta ed ancora una volta mi rimproverai di aver sottovalutato l’emozione che, a quanto pareva, l’aveva completamente travolta e sommersa.

“Come va con Matt, Emily?”, mi chiese, guardandomi attentamente.

La osservai. Ma come potevo non essermi accorta di nulla? Era così palese, così chiaro dai suoi occhi, che la passione che provava era sincera e profonda! Che razza di amica ero?

“Tutto bene.”, risposi, cercando di mostrarmi contenta del suo interessamento. “E tu che mi racconti?”

Sollevò le spalle, con aria di noncuranza.

“Nulla di nuovo.”, replicò, calma.

Mi accigliai, ma poi respirai a fondo.

“C’è una cosa che vorrei dirti.”, dichiarai, cercando di selezionare le parole più adatte.

In realtà, quella decisione non era stata presa dopo un’attenta riflessione, come ero solita fare. Tuttavia, mi faceva troppo male vederla così. Era insopportabile. Dovevo, anzi, doveva tentare. Almeno, in seguito, avrebbe potuto, a titolo di conforto, dichiarare a se stessa che l’aveva fatto. Forse non sarebbe bastato. Ma era meglio che consumare la propria esistenza nel dubbio. In fondo, lui aveva bisogno di una ragazza come lei.

“Credo che dovresti dimostrare a Charlie quanto vali veramente.”, affermai, fissandola e sperando di non farla soffrire.

Lei rivolse il suoi occhi sui miei, perdendo definitivamente il suo sorriso.

“Ma cosa stai dicendo? Sai che non posso piacergli, Emily. È inutile tentare.”, ribatté, quasi arrabbiata.

Notai quanto quell’affermazione evidenziasse il dolore, che era già tanto forte in lei e mi si strinse il cuore.

Scossi il capo, con tutta la decisione della quale ero capace.

“Secondo me potresti farlo innamorare di te.”, dissi, ma poi, cercando di non farla illudere, “Non dico che di certo ci riuscirai, ma dovresti provarci.”

Strinse le sopracciglia, scettica.

“Credevo che fossi d’accordo con me e pensassi che tra noi non potesse funzionare.”, rispose severa, fissandomi come se fossi uscita di senno.

“Non avevo valutato alcune cose.”, replicai, tranquilla.

Ed era vero. Ero, infatti, giunta alla conclusione che lui cercasse una persona che fosse solare e spensierata, che lavasse via quella parte di vita con la quale non voleva avere nulla a che fare. E questo l’avevo intuito ancor prima di venire a conoscenza della sua storia. Tuttavia mi ero sempre astenuta dall’incoraggiarla, temendo la stessa cosa che temevo per me e Matt. Senza contare che Charlie non avrebbe mai potuto essere completamente sincero con lei. Ma, se era quella verità che faceva parte dei suoi ricordi, che era una parte di lui, la realtà che l’aveva ospitata non doveva parergli così bella da volerci tornare. Forse, se veramente avesse amato Elizabeth, che era l’unica, a parer mio, che potesse rasserenarlo veramente, avrebbe voluto rimanere accanto a lei. Forse era egoistico, ma era quello che speravo.

Inevitabilmente, ed anche in maniera egocentrica, a questo punto i miei pensieri si rivolsero a Matt. Forse, non dovevo essere così sicura che la nostra storia avrebbe retto alla grande distanza che ci divideva. Tuttavia, quei pensieri furono subito scacciati. Un po’, forse, perché mi abbandonai nelle speranze del presente, un po’ perché Lizzy aveva bisogno di me.

“Non credo che illudermi sia la cosa di cui ho bisogno, Emily.”, ribatté, seria, cercando di mantenere il controllo di sé.

Aggrottai le sopracciglia, con aria sorpresa ed arrabbiata.

“Elizabeth Young!”, esclamai, alzando la voce. “Non ti riconosco più. Dov’è la mia combattiva e determinata amica?”

Sobbalzò, stupita dalla mia reazione.

“Sono io quella che, tra noi due, ha il dovere di fare la melodrammatica. Io sono la depressa della vita, tra noi due. Tu sei quella allegra, quindi regolati di conseguenza.”, soggiunsi, lanciandole uno sguardo di fuoco.

Lei sospirò, ma poi mi concesse un sorriso stiracchiato.

Ricambiai, sebbene i residui della mia occhiata fulminante ancora non svanissero dai miei occhi.

“Cosa farei senza di te?”, chiese d’un tratto Lizzy, fissandomi.

Capii che aveva accettato la mia proposta. Sorrisi, radiosa.

“Staresti molto meglio! Come hai potuto sopportarmi per tanti anni, io proprio non lo capisco …”, dichiarai, con un aria fintamente incredula.

Una cuscinata mi prese in pieno viso, mentre la sua prima, vera risata della giornata, unita ben presto alla mia, riecheggiò, fragorosa, fra le pareti del mio salotto.

 

 

Respirai a fondo quell’aria, che mi era così familiare, eppure era sempre una grande scoperta. Di nuovo seduta sul muretto del molo, di nuovo presa dai miei pensieri, ma questa volta in attesa di qualcuno, osservavo i riflessi dorati, che luccicavano sulla distesa azzurrognola d’acque.

Stavo ripensando ai pensieri del padre di Charlie, con una sorta di tristezza inspiegabile. Avevo sempre creduto che mi dispiacesse solo per il mio amico e per il passato che inevitabilmente l’aveva segnato, ma la verità era che mi colpivano enormemente anche i sentimenti di suo padre. Ero sconvolta da quello che aveva provato e da quello che doveva aver subito e, sebbene non approvassi nessuna delle sue reazioni, me ne rammaricavo profondamente.

Una volta Elizabeth mi aveva detto che ero troppo buona. Mi preoccupavo per tutti, diceva, anche per chi non avrei dovuto. Ma la mia non era bontà. Anzi, ero piuttosto egoista come persona. I miei sentimenti molto spesso erano al primo posto e le mie esperienze erano le più importanti nella mia anima.

Una risata alle mie spalle mi riscosse dai miei pensieri.

Mi voltai, sorpresa.

Lui mi fissava e sembrava estremamente divertito.

“Ciao, Charlie.”, salutai, fissandolo perplessa. “Posso sapere che cosa hai da ridere?

Lui mi lanciò uno sguardo eloquente.

“Se tu sei egoista, Emily …”, affermò, mentre quasi si piegava in due.

Assunsi un’aria irata. Come aveva osato fare una cosa del genere?

“Stavi curiosando tra i miei pensieri?”, tuonai, incrociando i suoi occhi,  furiosa.

Lui distolse lo sguardo, senza perdere il suo buon umore.

“Scusa, ero piuttosto curioso.”, spiegò lui, più calmo.

Con un espressione di rimprovero, mi voltai, offesa.

Mi si avvicinò e si sedette accanto a me agilmente.

“Mi spiace”, si scusò, con aria così sincera, che immediatamente desistetti dal mio tentativo di sembrare offesa.

Sorrisi.

Anche lui s’illuminò, poi mi disse:

“Tutti facciamo pensieri su noi stessi, tuttavia questo non sminuisce la nostra bontà.”

Arrossii.

“Da quant’è che spiavi?”, domandai,piuttosto preoccupata.

Non poteva aver letto i pensieri che avevo formulato su suo padre, o no?

“Mi sono perso qualcosa di rilevante?”, replicò, incurvando le sopracciglia.

Mi rilassai, poi mi voltai verso il mare.

“In realtà, sì. Era il motivo per cui ho voluto vederti.”, spiegai, tornando nuovamente alla mia contemplazione sui suoi occhi.

Erano indubbiamente molto belli, anche se, dovevo ammetterlo, facilmente avrebbero destato timore in chi non lo conosceva. Il loro colore era così particolare, che ne rimasi quasi affascinata. Era una sfumatura che raramente mi era capitato di vedere. Un castano scurissimo, che andava lentamente scolorendo in tonalità lievemente più chiare, quasi dolci e limpide. Cercai di riprendermi, ricollegandomi al filo dei miei pensieri. Avevo una missione da compiere, ricordai perentoriamente a me stessa.

Lui mi fissava con un’aria tra il curioso ed il preoccupato, forse chiedendosi cosa mi passasse per la testa. Ma non penetrò, questa volta, le mie riflessioni. Mi diede la possibilità di schiarirmi le idee.

“Immagino che Matt ti abbia parlato della mia sorta di visioni.”, esordii, respirando a fondo.

Lui annuì, perplesso.

Iniziai a raccontare. Gli dissi, senza mai fissarlo negli occhi, di ciò che avevo scritto, dei pensieri di suo padre, di Sarah, la ragazza che evidentemente aveva destato il suo odio, di James, che doveva quindi essere suo zio.

Lui mi ascoltò, senza mai tentare d’interrompermi, ma non ebbi il coraggio di guardarlo, né di appurare come reagisse.

Quando gli chiesi se quella era la verità, dopo averlo rassicurato che non desideravo saperlo per forza e che era libero di non dirmi nulla, attesi.

Tra di noi calò un silenzio, che non riuscii in alcun modo ad interrompere. Per alcuni, interminabili minuti mille pensieri si susseguirono nella mia testa ed io ebbi paura che la nostra amicizia fosse irrimediabilmente compromessa.

Dopo alcuni istanti, sentii la sua mano sfiorare la mia. Sollevai lo sguardo.

Sorrideva.

“Sì, Emily, è tutto assolutamente vero.”, affermò, senza perdere il suo sorriso, ma anzi osservandomi con una strana espressione affettuosa.

“Ed è vero anche che io ho desiderato Anne per moltissimo tempo e che mio padre l’ha uccisa.”, soggiunse, accarezzandomi la guancia.

“Per questo motivo, sono andato via.”, concluse, tranquillo. “Ma sarà meglio che ti spieghi.”

Respirò a fondo, mi sorrise ed aspettò che mi rilassassi, poi iniziò a raccontare:

“Non ho mai approvato quello che mio padre fece a Sarah, ma quando lo seppi per la prima volta, ignorai ciò che ritenevo giusto.”

Mi chiesi per quale motivo volesse raccontarmi tutte quelle cose, proprio a me, una ragazza che aveva conosciuto da così poco tempo. Ma poi, la curiosità sopraffece ogni mia perplessità. Presi ad ascoltarlo, con la massima attenzione.

“Lui mi trattava molto bene e mi concedeva vantaggi di cui godevo apertamente. Non lo contraddissi. Ero veramente un ragazzo sciocco, mi pavoneggiavo come un idiota, mi credevo superiore agli altri.”

Cercai d’interromperlo, perché notai che i suoi occhi i erano animati di una rabbia verso se stesso insopportabile, ma lui scosse il capo.

“Va bene che io mi senta in colpa, Emily. È giusto.”, replicò, e mi sorrise.

Poi, senza perdere la sua espressione serena, riprese, impedendomi di parlare:

“Ciò che mi colpì di Anne fu la sua genuina bontà. Aveva un cuore puro ed un anima limpida e sincera. Me ne innamorai.”

Ascoltavo rapita ogni sua parola, divisa fra il crescente interesse e la paura per il dolore che quelle rivelazioni potevano provocare in lui.

“Quando mio padre se ne accorse, non fece commenti. Non avevo idea di cosa avesse l’intenzione di fare.”, continuò, piuttosto triste.

“Quando attaccammo il palazzo di Matt, lui …, be’, la uccise.”, concluse, sospirando. Sembrava quasi cercasse di sorvolare rapidamente su quella parola, che evidentemente gli faceva troppo male.

“Rimasi profondamente disgustato dalla sua azione e non potei più ignorare la sua crudeltà. Lasciai la mia casa e partii, senza sapere neanche dove andare.”, riprese, distogliendo lo sguardo dai miei occhi.

Quanto doveva essere difficile raccontarmi quelle cose! Anche solo ricordarle sarebbe stato deleterio, ma parlarne così, con una ragazza che aveva appena incontrato … Ma pendevo letteralmente dalle sue labbra e non riuscivo ad interrompere il flusso delle sue parole.

“Nello stesso periodo Matt si allontanò dal suo palazzo, perché credo che lì i ricordi fossero troppo difficili da sopportare. Dopo poco tempo c’incontrammo.”, affermò, guardandomi attentamente, quasi aspettandosi di vedermi inorridire per i suoi errori.

Ma in fondo lui non aveva nessuna colpa. In fondo, si era solo innamorato di una ragazza. Qualcun altro si era macchiato di quella colpa gravissima. No, lui non aveva fatto nulla.

Lui mi sorrise.

“Anche se sapeva che ero la causa della morte di lei, lui non se ne curò. Divenimmo amici. Non so come in realtà, considerando che avrebbe potuto benissimo odiarmi. Tornai a casa con lui e da allora siamo molto uniti. Non ho mai più conosciuto qualcuno così buono.”, concluse, illuminandosi.

Impiegai alcuni istanti per riprendermi dalle informazioni ricevute e non mi accorsi delle lacrime che mi colavano sul viso, ormai da un po’.

Quelle parole, quella confessione, gravida dei più penosi sentimenti, era così dura, da provare anche la mia anima, sebbene io fossi estranea alla faccenda.

Lui corrugò la fronte.

“Ehi, non fare così.”, m’incitò, asciugandomi il volto.

Abbozzai una smorfia, ma lui non parve soddisfatto.

“Scusami.”, balbettai, cercando di riprendere il controllo di me.

Lui scosse il capo, poi, cogliendomi decisamente di sorpresa, mi abbracciò.

Rimasi immobile, serrata tra le sue braccia.

Aveva un profumo intenso e dolce, una fragranza familiare e vicina, che mi travolse. Chiusi gli occhi e mi appoggiai alla sua spalla. Mi pareva fosse uno sponda familiare, un approdo sicuro. Qualcosa cominciò a martellarmi nel petto e, quando si staccò da me, poco dopo, una sorta di senso di perdita si diffuse nel mio cuore. Non volevo lasciarlo.

“Perdonami.”, si scusò. “Non voglio sembrarti inopportuno. Solo mi dispiaceva di vederti così.”

Cercai si sorridere e poi, non senza una certa difficoltà, dissi: “Grazie.”

I suoi occhi s’illuminarono. Assumevano una bellezza straordinaria, quando erano sereni. Avvertii nel mio cuore un moto di affetto, che sarebbe stato una delle prime avvisaglie del rapporto che sempre mi avrebbe legato a Charlie.

“Non è stata colpa tua.”, dichiarai, un po’ più decisa.

Si limitò ad annuire, ma sapevo che non mi credeva.

Stavo per riprendere la mia sequela di ragionamenti, per cercare di persuaderlo, ma lui me lo impedì.

“Ascolta, Emily. Sarebbe meglio che non dicessi a Matt delle tua visione.”, asserì, questa volta con un aria seria.

Corrugai la fronte.

“Perché?”, domandai, stupita.

Lui parve irrigidirsi leggermente.

“Si preoccuperebbe troppo. Ti prometto che cercherò io di scoprire qualcosa di più su questa storia. Magari riuscirò anche a capire perché hai questo tipo di apparizioni.”, annunciò, studiandomi.

Non mi convinse. Non era certo quello il vero motivo per cui voleva il mio silenzio. Ma , guardando il suo sguardo sincero, i suoi occhi quasi supplicanti, annuii. Sentivo che era giusto che lo facessi, anche se non capivo perché.

Sorrisi alla sua espressione più tranquilla e mi appoggiai a lui, chiedendomi quante cose ancora non sapessi.

Ma poi, il peso delle rivelazioni di quel pomeriggio si riaffacciò nella mia mente ed allora mi convinsi che forse, forse non volevo sapere null’altro.

 

Un ciao speciale a tutti quelli che seguono questa ff!

In questo cap., per la gioia della mia BT, si parla di Charlie. Un Charlie per la prima volta completamente se stesso, un Charlie che rivela la verità. O, almeno, parte di essa. Emily si sta lentamente accorgendo che le cose si possono complicare in modo imprevisto, che c’è un legame più forte fra lei e l’oscurità. Non le rimane che capire quale …

Spero davvero di non aver deluso i miei lettori, che ringrazio immensamente per la loro pazienza. E adesso, invece di chiacchierare troppo, vado a rispondere alla recensioni.

 

Padme Undomiel: Ti ringrazio tantissimo per i tuoi commenti positivi. Sono contenta che il mio stile risulti scorrevole e che i capitoli sappiano catturare l’attenzione. Mi sono impegnata molto per raggiungere questo traguardo. Spero che questo cap. ti piaccia quanto il precedente e che la mia distrazione in fatto di virgole non sia così evidente.

Grazie ancora per i tuoi continui incoraggiamenti! Tvtttb

 

Mistery Anakin: Sono felice di averti coinvolta con la prima parte del mio 10 cap e spero che questo non sia da meno. Ti ringrazio per i commenti positivi che hai fatto sul mio stile, perché sono davvero molto importanti per me e ti sono anche immensamente grata perché continui a seguire la mia storia!XD XD Alla prossima! Tvtttb

 

Un ciao speciale a tutti quelli che leggeranno questo cap!XD

Shine

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Il regalo più grande ***


Il regalo più grande

12

Il regalo più grande

A malincuore chiusi il libro, sospirando. Una strana sensazione mi stringeva lo stomaco, senza ch’io potessi fare alcunché per placarla. Era da tantissimo tempo che non rileggevo i Promessi Sposi, ed ora, alla luce della mia nuova storia d’amore, mi sembrava di non averli mai capiti veramente. In realtà il romanzo non mi aveva mai preso completamente, perché alcuni dei personaggi mi sembravano idealizzati fino all’eccesso. Tuttavia, questa volta ero stata travolta da un’emozione che non avevo mai provato attraverso quelle parole. Mi sentivo in qualche modo partecipe della sofferenza dei due promessi, che, lontani l’uno dall’altra, erano avvolti dal dolore per l’enorme distanza che li separava. E temevo –nessuna affermazione di Matt o di Charlie avrebbe potuto farmi cambiare idea- che quello fosse il destino che mi attendeva. Così, quasi nostalgica, rileggevo le avventurose peripezie di Renzo e Lucia, chiedendomi se io e Matt, un giorno, ci saremmo uniti in eterno, come i due fidanzati, o se fossimo condannati a stare per sempre disgiunti, separati dall’enorme distanza indefinita del cielo.

Sospirai.

I miei pensieri, come guidati da una forza invisibile ed incontrollata, si rivolsero poi a Charlie. Le rivelazioni che avevo ricevuto mi avevano profondamente sconvolta ed il mio cuore era riverso nella più terribile tristezza, per come doveva sentirsi. Io stessa, sebbene sostenessi convinta che lui non dovesse farlo, sarei stata divorata dai sensi di colpa più profondi.  Non potevo credere che avesse potuto reggere a tutto quello, per di più se la causa di ogni cosa era suo padre. Mi risultava sconcertante e troppo angosciante da sopportare. Eppure, invece di essere in grado di confortarlo, dopo le sue rivelazioni mi ero messa a piangere come una bambina e, alla fine, era stato lui a consolare me. Le mie riflessioni si rivolsero, a questo punto, al suo gesto così dolce. Percependo di nuovo le sensazioni che avevo provato, racchiusa tra le sue braccia, seppi che saremmo stati legati per sempre, da un rapporto di cui ancora non conoscevo la natura.

Respirai a fondo, cercando di dare un ordine al turbine di ricordi e di confusione, che, molteplici, galleggiavano nell’oceano della mia mente.

La mia vita era così tanto cambiata ed in così poco tempo, che a malapena riuscivo a muovermi tra tutte le cose nuove che l’avevano invasa. Da sciocca ragazzina, infatuata di un ragazzo che probabilmente non mi aveva e non mi avrebbe mai amato, ero passata a provare la più intensa emozione che potesse esistere, a vivere letteralmente per Matt, ad essere avvolta da un vortice di scintillanti stelle, a condurre un’esistenza con un solo scopo. Ecco, sostanzialmente, ad essere mutata era la certezza di avere un’ottima ragione per attraversare la Terra. Ero felice, come non mi ero mai sentita, contenta di poter stare con un ragazzo a dir poco fantastico, appagata dall’essere amata a quel modo.

M’imposi di concedere la mia attenzione solo al mio presente, che era degno di essere ammirato in ogni suo particolare, e sentii il mio spirito rasserenarsi profondamente.

Ma fui riscossa dalle mie, finalmente più gioiose, riflessioni, dall’arrivo di un messaggio sul cellulare. Dopo aver letto il mittente, m’illuminai. Premetti il tasto di lettura e mi concentrai sulle sue parole, immaginando di sentire la sua voce.

 

“Ciao, amore. Come stai? Ascolta, ce la fai a prepararti in dieci minuti?
Ho una sorpresa per te! Ti amo!

P.S. Indossa qualcosa di sportivo e comodo, per favore!”

 

Perplessa, rilessi il messaggio. Pigiai l’opzione di risposta, poi scrissi rapida:

 

“Quale sorpresa? Matt …? Perché devo vestirmi sportiva?”

 

Inviai il messaggio e rimasi in attesa, impaziente. Cosa poteva avere in mente il mio carissimo ragazzo? Dovevo preoccuparmi? La risposta arrivò immediata, ma i miei interrogativi rimasero tali.

 

“Fidati!”

 

Restai per un istante a contemplare quella parola, incuriosita da quello che poteva aver architettato, poi, però, mi alzai e corsi a vestirmi. Appena ebbi finito di prepararmi, sentii suonare la porta. Mi precipitai ad aprire.

Come al solito la sua visione risultò sconcertante, mentre le sue iridi scure avvolgevano di dolcezza il mio corpo e la mia anima. Rimasi impalata a fissarlo, senza riuscire a dire nulla. Era così seducente con quella maglietta a maniche corte, che ci mancò poco per farmi venire un infarto. Sbattei le palpebre, abbagliata da tanta bellezza.

Matt mi sorrise e mi salutò, dandomi un bacio.

Assaporai quel momento e lo annoverai fra quelli da non dimenticare per alcun motivo, mentre godevo di ogni prezioso secondo in cui restavo unita al suo corpo.

Si staccò da me ed io m’illuminai.

Mi scostai per lasciarlo passare, ammirando il suo passo morbido e sinuoso.

“Posso sapere cosa hai progettato?”, domandai, con una punta, forse troppo evidente, di curiosità.

Lui sogghignò, beffardo.

“Assolutamente no!”, esclamò, deciso, gli occhi scintillanti di una strana gioia maliziosa.

Sospirai, chiedendomi, ancor più fremente di venirne a conoscenza, cosa mai dovessimo fare quella mattina.

“I tuoi sono in casa?”, mi chiese, guardandosi intorno.

Scossi il capo, perplessa. Cosa c’entravano i miei?

Lui sorrise, evidentemente soddisfatto. Si volse verso di me e mi travolse con uno sguardo ricolmo di contentezza evidente. Sentii il mio cuore galoppare ad una velocità impressionante, mentre le onde dei suoi sentimenti mi sommergevano, con i loro piacevoli flutti, facendomi dondolare in un’altalena di colori e sfumature, che assaporavo piacevolmente.

“Puoi lasciargli un biglietto e dirgli che fai una sorta di pigiama party a casa mia, con mia sorella?”, disse, guardandomi con un’espressione indecifrabile.

Spalancai gli occhi, stupita.

“Un pigiama party?”, ripetei, confusa.

Lui sollevò le sopracciglia, evidentemente contrariato.

“Be’, visto che non vuoi dire a tuoi che stiamo insieme, dovrai pur spiegare come mai stasera dormirai fuori.”, spiegò, osservando la mia reazione.

Non potei che essere ancor più stupita e guardarlo, preoccupata.

“Trascorro la notte fuori?”, balbettai, aggrottando la fronte.

Annuì, senza fornirmi alcun chiarimento. Capii che non mi avrebbe detto che cosa aveva in mente, quindi, sollevando le spalle, scrissi un biglietto ai miei, sperando che non se la prendessero per il fatto che stavo via l’intera giornata. Mentre tracciavo le parole sul foglio, lui si muoveva ad una velocità sovrannaturale, prendendo una mia giacca ed la mia borsa.

Sempre più perplessa, completai il messaggio, poi presi a studiarlo, interrogativa.

Lui incurvò le labbra, divertito.

“Vieni.”, disse solo.

Lo seguii, senza fiatare, in attesa.

Mano nella mano –e quel piacevole contatto mi distrasse dalla mia crescente confusione- scendemmo le scale, arrivando al portone.

Le nuvole erano addensate nel cielo, coprendolo d’una spessa coltre grigia, che minacciava pioggia in abbondanza. L’intero paesaggio esprimeva una sorta di grande malinconia, velato d’un colore così cupo e triste, che pareva fosse stato dipinto, coperto da un mantello di nebbia fitta. Tuttavia, il piacevole fresco che si diffondeva nell’aria, l’assenza del sole cocente e del suo troppo intenso calore, mi ricordarono che io adoravo il cielo d’autunno. E adoravo la pioggia. E la nebbia.

Solamente, era ben strano che ci fosse una giornata così mogia, considerando che eravamo nel pieno della stagione estiva, in una località di mare, generalmente non molto fresca neanche d’inverno.

Corrugai la fronte, perplessa.

“Hai cambiato il clima?”, chiesi, come colta da un’improvvisa illuminazione.

Parve sorpreso dalla mia affermazione, ma la sua unica risposta fu un sorriso enigmatico, che accrebbe ancor di più l’ansia che mi si addensava attorno.

Non potevo considerare il nostro tempo passato insieme sufficientemente bastevole per conoscerlo in modo adeguato, tuttavia credevo di essermi assuefatta alle sue doti paranormali. Ma, a quanto pareva, non era così. Controllare fino a questo punto gli elementi naturali mi sembrava davvero inverosimile, persino per lui, che non aveva nulla di umano. La cosa non mi piaceva granché. Era piacevole sapere che ci fosse qualcosa di superiore a tutti quanti, persino al più perfetto delle persone.

Sul suo viso affiorò una smorfia divertita.

“Il tempo.”, affermò, senza incrociare il  mio sguardo.

Stavamo camminando verso il bosco, anche se io non avevo la più pallida idea di dove fossimo diretti.

Mi fermai a fissarlo, perplessa.

“Il tempo?”, domandai, confusa.

Si voltò, incrociando il mio sguardo e contemplandolo attentamente.

“I tuoi occhi brillano come due smeraldi, quando le nuvole coprono la luce del sole.”, commentò, ammirato, prima d’illuminarsi e rispondere: “Hai detto che ti piace sapere che c’è qualche forza superiore a me. Non posso cambiare lo scorrere dei minuti, delle ore, degli anni …”

Rimasi di sasso.

“Basta, mi sono ufficialmente offesa. E se non fosse per il bel complimento che mi hai fatto, mi girerei indietro e me ne andrei.”, replicai, severa.

Parve leggermente sorpreso dalla mia reazione e me ne chiese il motivo.

“La vuoi smettere di leggermi nel pensiero?!”, esclamai, arrabbiata.

Scoppiò a ridere fragorosamente, mentre io mi mostravo ancora più offesa. A dire la verità la cosa era stata abbastanza comica, lo riconoscevo anch’io, ma non volevo assolutamente ammetterlo.

“Se tu esprimessi quello che pensi ad alta voce, io non dovrei farlo.”, obbiettò, cercando di riprendersi dal suo accesso di risa.

Corrugai la fronte, contrariata.

“E se non volessi farlo?”, chiesi, seria.

“Allora io non smetterei di sbirciare nei tuoi pensieri.”, replicò,beffardo.

Lo osservai, furiosa, poi mi voltai, sorridendo.

“Ah, sì?”, domandai, divertita.

Lui annuì, con un’espressione perplessa.

Mi girai di nuovo verso di lui, sogghignando.

“Bene!”, dissi, poi, velocemente gli versai sulla testa una bottiglietta d’acqua che conservavo nello zaino.

Lui, con i capelli gocciolanti, mi guardò, per un istante stupito.

“A volte i pensieri fulminei possono essere celati, amore.”, dichiarai, ridendo.

Lui, dopo un attimo di esitazione, ricambiò, mentre l’acqua si andava rapidamente asciugando.

“Touché”, assentì, con un rapido sorriso, prendendomi di nuovo per mano.

Iniziai a camminare di nuovo con lui, sorpresa.

“Ti arrendi così facilmente?”, chiesi, aggrottando le sopracciglia.

Sollevò le spalle, con noncuranza.

“A quanto pare …”, ribatté, impeccabile.

Scettica, seguitai a camminare con lui, chiedendomi cosa avesse in mente. Chissà dove stavamo andando! Ormai la mia curiosità era alle stelle e non riuscivo più a contenerla, ma sapevo che non avrei saputo mai nulla da lui. Quanto mi sarebbe piaciuto poter leggere nel pensiero. Uffa! Non mi rimaneva che sperare che fossimo quasi arrivati.

Lo sentii sghignazzare. Non mi parve necessario chiedergliene il motivo. L’innaffiata, a quanto pare, non doveva essergli bastata. Avrei dovuto provare con la coca cola. Appena trovata una bottiglia …, progettai, vendicativa.

Lui non sembrò aver l’intenzione di dire nulla. Immaginavo che, qualunque fosse, la sua sorpresa mi sarebbe piaciuta tantissimo. Sarebbe stata splendida, come solo una persona che aveva scritto nel cielo un frase come quella che aveva dedicato ad Anne avrebbe potuto fare. Di nuovo, mi stupii di stringere la mano di un ragazzo come lui. Anche solo quel gesto mi provocava emozioni incommensurabili, tant’è che temevo di non reggerle. Ecco, per quello ero certa che lui fosse l’unica persona che avrei mai potuto amare davvero. Ogni singola sfumatura del dipinto che, uniti, formavamo, era irrinunciabile e splendida. Ed ogni singolo elemento della realtà che io vivevo con lui era indispensabile.

Possibile che potessi amare fino a quel punto?

“Ci siamo!”, esclamò, fermandosi all’improvviso.

Mi riscossi dai miei pensieri, presa alla sprovvista. Mi guardai intorno, senza scorgere nulla di particolare.

Lo fissai, interrogativa.

M’indicò il cielo.

Ancora più perplessa, feci come mi diceva: all’inizio non mi accorsi di nulla di strano, ma poi, sbalordita, osservai una nuvola, bianca e vaporosa, che si avvicinava sempre di più alla radura dove eravamo. Sbattei le palpebre, incredula. No, non poteva essere vero. Una nuvola non poteva …

Stavo sognando. Decisamente! Ecco, sognavo di essere lì, con gli occhi rivolti all’insù, a vedere uno spettacolo splendido e sovrannaturale.

“Non stai sognando, Emily.”, dichiarò Matt, stringendomi a sé. “Non avevi detto che il tuo sogno più grande era quello di fare un giro su una nuvola??”

Mi voltai verso di lui, sconvolta.

“Ma, ma …”, balbettai, poi sorrisi. “Sei il sogno più bello che io abbia mai fatto.”

Lui rise ed i suoi lineamenti si distesero.

Fu come se fossi uscita da una stanza buia e fossi stata abbagliata dal sole di mezzogiorno. I suoi occhi erano meravigliosi, rilucevano come le lucciole, fra la fitta trame di foglie e di rami di un bosco, come la polvere d’oro in un’enorme miniera. Il cuore mi balzò dal petto, mentre lui mi abbracciava.

La nuvola, nel frattempo, era scesa fino a pochi metri da terra.  Matt mi prese la vita e la strinse al suo corpo, dopo di che spiccò un balzo,facendoci atterrare, in piedi, sulla nube.

Mi sentivo strana. Difficile descrivere la sensazione di librarsi, poggiando i piedi su una superficie che avevo sempre creduto intangibile. Vi consiglio di provare …

“Ti piacerebbe vedere le cascate delle Marmore?”, mi domandò, con un sorriso smagliante.

Spalancai gli occhi, sconvolta.

“Andiamo in Umbria??”, chiesi, guardandolo incredula.

Sogghignò, poi annuì, divertito.

Non sapevo cosa dire. Rimasi a fissarlo, inebetita, senza parole.

“Distenditi.”, ordinò, prendendomi dolcemente la mano.

Obbedii, cercando di ritrovare il controllo di me stessa.

La superficie della nuvola assomigliava alla consistenza dello zucchero filato, senza essere appiccicosa. Mi lasciai andare su di essa, agitata da un’emozione che mi risulta particolarmente difficile descrivere. Mi sentii di nuovo la bimba che ero stata. Rividi me stessa, gli occhi verdi carichi di fiducia, rivolti verso il cielo, mentre esprimevo il mio desiderio, quando credevo che anche le cose impossibili potessero avverarsi. Lo dicevo io che i bambini erano più intelligenti degli adulti nella loro ingenuità.

Matt si sistemò accanto a me, passandomi un braccio attorno alle spalle.

“Non guardare in basso, amore. Tra poco sorvoleremo la coltre di nubi, quindi saremo ad un’altezza notevole.”, mi suggerì, stringendomi a sé.

In effetti il cielo, sopra di noi si avvicinava sempre di più. Sorrisi. Volare. Chi non aveva mai desiderato di farlo? Possibile che fosse reale? Possibile che io meritassi di vedere tutti i miei sogni realizzati?

“Matt”, sussurrai, cauta. “te l’ho mai detto che sono completamente, ineccepibilmente, indissolubilmente innamorata di te?”

Lui s’illuminò, incrociando i miei occhi.

“Ah, sì?”, mi domandò, studiandomi. “Ma non bastano le parole, Emily cara. Come faccio a crederti se non me lo dimostri?”

Le mie labbra s’incurvarono in una smorfia di finto disaccordo.

“Ora pretendi troppo, tesoro.”, obbiettai, ma il suo sguardo non mi permise di perdurare nella mia scenetta.

Mi strinse la vita, avvicinandomi al suo corpo ed io ricambiai, passando una mano attorno alla sua schiena. Eravamo così vicini, che le mie facoltà intellettive decaddero completamente. Il suo profumo m’inebriava totalmente, i suoi occhi mi carpivano completamente dalla realtà. Lo baciai, cercando d’incanalare tutte quelle sensazioni in un gesto come quello. E lui ricambiò, facendomi sentire che nella sua anima vivevano gli stessi sentimenti.

Era veramente assurdo. Ero lì, distesa su una nuvola, morbida e delicata, stretta nelle braccia di Matt, il ragazzo che amavo, che avrei sempre amato, a cui mai più sarei riuscita  a rinunciare.

Ma io non ero razionale. E non colsi l’illogicità di quegli  avvenimenti.  Ci fu una sola cosa che percepii, prima di abbandonarmi al nostro amore. Che, sebbene probabilmente non avrei mai visto il mondo di Matt , io ero già … al di là del cielo.

 

 

“Non vorrai fare una cosa del genere, mi auguro!”, esclami, mentre guardavo, dalla nostra nuvola, che avevamo, dopo un’arguta disputa, soprannominato Valentina, l’acqua della cascata scrosciare verso il basso, ad una velocità che mi parve davvero impressionante.

“Assolutamente sì. Perché credi che non mi sia vendicato del tuo scherzo con la bottiglia dell’acqua?”, mi chiese, divertito.

“Non ti permettere, Matt! Guarda che ti picchio, il che è tutto dire. Non sono mai stata una persona violenta!”, ribattei, assolutamente contrariata alle sue intenzioni.

Lui sorrise, beffardo.

“Ah, sì?”, chiese, ridendo.

Non ebbi il tempo di replicare. Praticamente le mie gambe si erano mosse da sole, saltando giù dalla mia affezionata Valentina. Non mi aveva fatto gettare con la tradizionale spinta, ma aveva manovrato le mie facoltà. La mia mente! Quel ragazzo senza speranza! Ma se giungevo alle fine della cascata in vita, glielo avrei fatto rimpiangere!

Sentii l’acqua sfiorarmi i piedi e mi preparai ad esserne travolta. Prima che i getti violenti mi sommergessero, avvertii il balzo di Matt.

Mi parve di non avere via di scampo. Mi sarei schiantata con le rocce che dominavano l’acqua, in basso. Ma che cosa era venuto in mente al mio ragazzo?

All’improvviso mi sentii afferrare per la vita e stringere. Erano passati solo pochi istanti.

Cominciai a respirare di nuovo, assaporando la piacevole sensazione dell’aria che m’invadeva i polmoni, dopo averla trattenuta per quello che mi era parso un tempo lunghissimo.

Lui, asciutto, sorridente, protetto da una sorta di bolla d’aria, fendeva lo scrosciare rapido della cascata, senza che una sola goccia si posasse sul suo corpo.

Sollevai le sopracciglia, arrabbiata.

“In che modo preferisci morire, amore?”, chiesi, severa.

Lui rise fragorosamente.

“Non credo che tu voglia togliermi la vita, Emily.”, obbiettò, con una falsa aria compunta.

“E per quale motivo, se è lecito saperlo?”, replicai, seria.

Lui, senza batter ciglio, mi lanciò uno sguardo ardente. Sentii la mia determinazione disgregarsi.

“Per due motivi.”, annunciò, divertito. “Uno perché non ci riusciresti mai, soprattutto se mi guardassi negli occhi”

Arrossii. Aveva colto nel segno. Ogni volta che mi guardava, perdevo la cognizione delle cose.

“E due … se mi assassini, cadrai nel vuoto.”, concluse, fissandomi con aria di sfida.

Ok, anche questo era assolutamente sensato. Possibile che avesse sempre la risposta pronta? Lo osservai. Il mio cuore schizzò a mille. Non l’avevo mai visto così. Il dolore, il rimpianto, le preoccupazioni, o qualsiasi altra sensazione, sembrava essere sparita dal suo cuore e dalle sue iridi, per lasciar posto solamente ad un’insopprimibile, intramontabile serenità.

Il sole, con i suoi ardenti raggi biondi, con le sue molteplici sfumature dorate, era penetrato nelle nostre vite, nei nostri volti, e tutti i sogni che mi erano sempre sembrati distanti, irraggiungibili ora erano realtà. Mi sentivo come un’estranea, che studia la felicità di un’altra persona dal vetro di una finestra. Era troppo per me. Avevo accettato l’esistenza di una realtà diversa dalla mia, di Eraia, avevo accolto la strana facoltà di vedere il presente, ma mi sembrava totalmente assurdo che potessi essere stata così fortunata da ricevere amore da lui.

Adesso comprendevo appieno quel sentimento d’infinita bellezza.

Ogni dubbio si era, per magia, dipanato, ed una fiducia incondizionata, un’immensa, dolce, aspettativa si era creata attorno a me.

Fu quel giorno che capii che lui era la persona giusta per me. E non lo compresi perché lui mi aveva fatto quella splendida sorpresa. Non divenne in me una solida consapevolezza, perché lui era il ragazzo migliore che avessi mai conosciuto. Lo capii, perché, da allora in poi, io non avrei mai più sognato. Non avrei più fantasticato sul mio ragazzo ideale, compensando con la mia immaginazione ciò che mi mancava. Lui era tutto ciò che desideravo, che avevo desiderato in passato e avrei sempre desiderato.

Posai la mia testa sul suo petto, senza che nemmeno la diffusa gioia sul mio volto, potesse esprimere in modo completo la mia nuova, splendida certezza.

Lui parve abbastanza sorpreso dal mio atteggiamento così prontamente arrendevole, tuttavia la cosa pareva non infastidirlo più di tanto.

Scendevamo, abbracciati, avvolti da una strana sfera vitrea, fino ai piedi della cascata, in una sorta di lento e dolce incantesimo. Era la sensazione più bella che avesse mai invaso il mio cuore.

Quando sfiorammo le acque vicino alla riva, la bolla si dissolse, lasciandoci immersi fino alle ginocchia nella spuma scrosciante della cascata.

Sorrisi.

“Splendido.”, commentai, fissando, rapita, l’orizzonte.

In effetti, non c’erano parole migliori per descrivere il panorama sconfinato e limpido che si stagliava davanti ai miei occhi. Per un’appassionata amante della natura come me, non poteva esserci qualcosa di migliore.

Il cielo sfumava in leggere tonalità d’azzurro, mentre la bionda stella lo velava di luce dorata, come una coltre sottile di nebbia luminosa, incorniciando d’un’incantata aureola di bagliori, il padrone incontrastato della nostra vita.

Gli alberi, tutt’attorno, sembravano innalzarsi e contemplare, ondeggiando le accese e grandi chiome alla brezza silenziosa e piacevole, mentre i loro rami protendevano, cercando di scorgere, tra la matassa di foglie multiformi, uno scorcio della splendida distesa di sfumature cerulee e sfavillii biondi e luminosi.

Il riflesso sulle acque increspate era raddolcito dal tenero ondeggiare e zampillare del fiume, mentre lo scrosciare dei gocce, rapide imponenti, risvegliava il paesaggio, ridonando una sorta di vita alla quieta naturale, altrimenti rotta solo dal pigolio di uccelli affaccendati.

Il profumo di stelle variopinte tingeva l’atmosfera d’una piacevole sensazione di allegria e varietà, aggiungendo ai molteplici toni luminosi nuove parole e nuove sensazioni, in una catena che non poteva avere fine.

Sbattei le palpebre ripetutamente, accecata dalla tanta maestria del pittore che l’aveva disegnato.

Sospirai.

“Peccato che sia solo una cascata artificiale.”, dichiarai, volgendomi verso qualcuno di altrettanto meraviglioso.

Lui incurvò le labbra.

“Appena ne avrò l’occasione, ti porterò alle cascate del Niagara.”, ribatté lui, con un’alzata di spalle.

“Niagara? Matt, vuoi farmi vagare per tutto il mondo?”, domandai, perplessa.

Lui rise, divertito.

“Be’, avendo poteri magici, posso realizzare quasi tutti i tuoi desideri, quindi, se lo desideri, gireremo anche tutto l’universo.”, rispose, guardandomi con attenzione.

“I miei sogni sono già tutti esauditi.”, replicai, sincera.

Di nuovo, sollevò le spalle con noncuranza.

“Be’, se ti accontenti di questa cascata …”, obbiettò, incrociando il mio sguardo.

Lo fulminai con lo sguardo.

“Parlavo di te!”, esclamai, severa.

Lui sgranò gli occhi, fingendosi stupito.

“Ti sembro un paesaggio naturale??”

Lo osservai, incredula.

Poi, senza preavviso, lo  schizzai, ridendo fragorosamente.

Lui ricambiò, inseguendomi, mentre io correvo in acqua.

Ci tuffammo, vestiti, rotolandoci felici in acqua. Mi sembrava tanto di essere tornata bambina, quando giocavo serena e spontanea, senza preoccupazioni, contenta di ogni istante che mi era concesso, ricolma di speranze e sogni, dolci ed infantili. Era bellissimo provare di nuovo quel sentimento di totale appagamento, senza dolori, dubbi, preoccupazioni. Solo io, lui, ed un’immensa, incontrastata, felicità.

Non so per quanto tempo rimanemmo lì, a divertirci e a ridere, ma a me sembrò che non fossero passati che pochi attimi. Tuttavia, quando ci sedemmo sulle rocce, in riva, il sole era già sulla via del tramonto, mentre il cielo si colorava di un arancio, sempre più acceso.

Scossi i miei capelli ramati, che mi ricadevano fradici sulle spalle, mentre, distesa su uno scoglio, osservavo rapita Matt, che sembrava una divinità, seduto su un masso, con i piedi nell’acqua ed il sole che creava attorno a lui una splendida aura di luce. Sorrisi.

Lui ricambiò, poi parve ricordare qualcosa.

“Ho qualcosa da farti sentire.”, dichiarò, volgendosi, affinché potessi ammirarlo completamente.

All’improvviso, cogliendomi decisamente di sorpresa, apparve una chitarra nelle sue mani. Sgranai gli occhi.

Stavo per chiedergli se sapesse anche suonare, ma lui mi zittì e prese a far vibrare le corde dello strumento, diffondendo una melodia dolce e coinvolgente nell’aria, ed io rimasi in silenzio, ad ascoltarlo …

 

Le sue mani si muovevano così velocemente, che mi lasciarono interdetta. I toni e le note si susseguivano lenti e sereni, mentre la canzone prendeva avvio, pian piano, nascendo dalla sua ineccepibile bravura.

Poi, quasi senza preavviso, iniziò a cantare …

 

Voglio farti un regalo
Qualcosa di dolce
Qualcosa di raro
Non un comune regalo
Di quelli che hai perso
O mai aperto
O lasciato in treno
O mai accettato

 

Ascoltavo, affascinata quella canzone. Un regalo. Ma nulla, nulla sarebbe stato come lui, nulla eguagliabile in qualche modo, nulla mi avrebbe colorato la vita, tingendola di sfumature degne del più grande dei pittori. Nulla.

Di quelli che apri e poi piangi
Che sei contenta e non fingi
In questo giorno di metà settembre
Ti dedicherò
Il regalo mio più grande

 

Commossa. Mi vuoi commossa, amore mio?, pensai. Il regalo più grande. Avrei tanto voluto sapere cosa pensava. E, poi, come all’improvviso, le porte della sua mente si spalancarono alle mie.

I suoi pensieri fluivano, come un dolce ruscello, nella mia testa.

Vorrei donare il tuo sorriso alla luna perché
Di notte chi la guarda possa pensare a te
Per ricordarti che il mio amore è importante
Che non importa ciò che dice la gente perchè

 

La luna. Perché il tuo sorriso, Emily, risplenda agli occhi di tutti, perché sei lo smeraldo del mio paradiso. Perché tutti possano ammirarti, perché tutti possano apprezzare la tua passione ed il tuo amore. Perché, Emily, la luna ci leghi in qualcosa di eterno ed indissolubile ed il nostro amore arda nel cielo, per sempre.



Tu mi hai protetto con la tua gelosia che anche
Che molto stanco il tuo sorriso non andava via
Devo partire però se ho nel cuore
La tua presenza è sempre arrivo
E mai partenza
Regalo mio più grande
Regalo mio più grande

 

Ci sei. Vivi in me. Ora più che mai. Ho scelto di amarti, ma non credevo che potesse essere così intenso ciò provo. Sei il mio regalo più grande. Onnipresente nei miei passi, viva nei miei ricordi, fiorisci nel mio cuore, donando al mio animo, un tempo spento, qualcosa per cui continuare a lottare. Non sento più la sofferenza, non sono più nel treno dei dolorosi frammenti del passato. Sono accanto a te, sono arrivato. Ho raggiunto il mio vero, unico scopo.



Vorrei mi facessi un regalo
Un sogno inespresso
Donarmelo adesso
Di quelli che non so aprire
Di fronte ad altra gente
Perché il regalo più grande
È solo nostro per sempre

 

Lo so, non dovrei farlo.  E forse tu meriti ancora qualcosa in più. Ma non posso più rinunciare a te. Ti sto chiedendo il tuo cuore. Vorrei che condividessimo lo stesso sogno, la stessa speranza, una vita insieme, in un amore che non ha confini, che è aldilà di ogni cosa. Vorrei che fosse nostro, né tuo né mio, ma solo nostro, perché io sento che ci apparteniamo, come un figlio alla propria madre, come la vita ad ogni persona, come l’anima ad ogni essere vivente.



Vorrei donare il tuo sorriso alla luna perché
Di notte chi la guarda possa pensare a te
Per ricordarti che il mio amore è importante
Che non importa ciò che dice la gente perchè

Vorrei che il tuo sorriso fosse nel cielo. Non mi importa cosa dicono gli altri. Il nostro amore, lo sento in me, arde, e sarà vivo per sempre, se lo attizziamo con la forza che abbiamo entrambi, con tutto il coraggio che possiamo dimostrare. Manteniamo i nostri sentimenti alti, levati come il falco, che vola, fiero, il piumaggio luminoso sotto il sole d’estate.

 

Tu mi hai protetto con la tua gelosia che anche
Che molto stanco il tuo sorriso non andava via
Devo partire però se ho nel cuore
La tua presenza è sempre arrivo
E mai...

 

La tua presenza. La sento, in me, sento il tuo respiro, a mille miglia di distanza, e sono rassicurato. Non sento dolore, non sento tristezza, mi rendi impermeabile ad ogni impervio pericolo, il mio passaggio è limpido e sereno. Perché ci sei tu. Sei in me. Il mio cielo, la mia terra, il mio sentiero, la mia unica percezione.



E se arrivasse ora la fine
Che sia in un burrone
Non per volermi odiare
Solo per voler volare

 

Volare insieme a te. Non sarebbe una fine. In un burrone. Ma il burrone si riempirebbe di te. E rigogliosa crescerebbe l’erba, i fiori sboccerebbero e atterreremmo su un tappeto di morbidi petali. Ed anche la fine, con te, avrebbe un nuovo significato.


E se ti nega tutto quest’estrema agonia
E se ti nega anche la vita respira la mia
E stavo attento a non amare prima di incontrarti
E confondevo la mia vita con quella degli altri
Non voglio farmi più del male adesso
Amore..
Amore..

Ti donerei la mia vita, perché solo se ci sei, la mia esistenza avrebbe un senso. Non ti cercavo. Non volevo trovarti. Non volevo più amare. Perché pensavo che ci fosse solo dolore. Perché avevo paura di perderti ancor prima di averti stretta tra le braccia. Ma tu mi hai afferrato. E nulla è più oscurità. Perché, sì, adesso lo so, sei il mio amore. Il mio amore. Ti amo, lo so che sembra banale, lo so che tanti, prima d’ora, lo hanno ripetuto, ma non posso farne a meno. Ti amo. Ti amo. Ti amo.


Vorrei donare il tuo sorriso alla luna perché
Di notte chi la guarda possa pensare a te
Per ricordarti che il mio amore è importante
Che non importa ciò che dice la gente
E poi..

Sei lì. Risplendi. Sei lì. Nel cielo, come nel mio cuore. Vorrei donare il tuo sorriso alla luna, per ricordarti che il mio amore è importante. Per ricordarti, che sono qui. Solo per te. In eterno.


Amore dato, amore preso, amore mai reso
Amore grande come il tempo che non si è arreso
Amore che mi parla coi tuoi occhi qui di fronte
Sei tu, sei tu, sei tu, sei tu, sei tu, sei tu, sei tu, sei tu
Il regalo mio più grande

 

Il nostro amore non si spegne,né si spegnerà mai. Ha la durata del tempo e non possiamo dare un definizione o un limite a questa entità.

Il nostro amore è condiviso, siamo legati da qualcosa che non può svanire, un nodo non solvibile, stretti in una corda, uniti per l’eternità.

Tu, nei tuoi occhi, nel tuo ineguagliabile sorriso, nella tua espressione, nei tuoi modi, nel tuo corpo, nel tuo cuore, io scorgo il mio amore.

Il mio incontro con te è stato il giorno più strano e perfetto della mia vita. Ed ho ricevuto un regalo, un regalo così grande, che mi sembra impossibile averlo meritato.

 

Sorrise. La chitarra svanì.

M’illuminai, gli occhi lucidi e commossi.

Mi si avvicinò, prendendomi per mano e mi diede un bacio, muovendo le sue labbra sulle mie, con dolcezza, con forza, con ardore e passione, mentre io rispondevo, unendo al mio amore la mia immensa gratitudine.

Avvolse un braccio attorno alla mia vita, mi strinse a lui ed io avvolsi il mio attorno al suo collo.

Il suo profumo era inebriante, il mio amore immenso.

Sentii che l’altra sua mano si muoveva sulla mia camicia ed i bottoni venivano pian piano aperti.

Il mio cuore cominciò a zampillare di eccitazione.

Mi mossi verso di lui, infilai le mani sul suo petto, muovendola lentamente, per assaporare il suo calore.

La sua camicia cadde sulla sabbia, accompagnata ben presto dalla mia.

Continuavamo a baciarci, muovendoci verso l’acqua.

I nostri corpi sembravano modellati l’uno sull’altra, una realtà perfetta ed indissolubile.

Sapevo cosa stava succedendo.

Mi sentivo leggiadra e felice.

Non sapevo come sarebbe stato dopo, cosa avrei provato in seguito, ma ero felice.

Felice di essere lì, felice di averlo fra le braccia, felice di poterlo amare.

Tutto il resto non contava.

Perché anche lui era stato ed era … il mio regalo più grande.

 

 

Le distese di sabbia s’imporporavano lentamente, seguendo il ritmo del sole, che calava dietro le acque. Le onde, sfumate di un rosato delicato, travolgevano gli scogli, scuri ed impenetrabili, e giungevano in riva, con il consueto suono continuo. Sembrava una melodia incessante, che si ripeteva simile, ma mai uguale, che avvolgeva il silenzio con la sua armonia. L’aria salmastra che si respirava era avvolgente, poeticamente coesa con ogni cosa, dolce ed intensa, volava tra le ali del vento, inondando i miei polmoni. Il sole calava alle mie spalle, con i suoi petali dorati, mentre le nuvole ed il cielo, che lo circondavano, sfumavano dal biondo più accecante, ad un pallido arancio, fino ad un porpora acceso ed un rosato soffuso. Ogni essere vivente cedeva ad un rispettoso silenzio, s’inchinava all’immensità della natura ed una perfetta quiete dominava la distesa d’acqua e di sabbia, di sabbia e di acqua …

E tra il cielo e la superficie rosata del mare, tra l’universo reale e quello parallelo, io ero lì, a saggiare la consistenza di una nuvole, ad ammirare, da indegna spettatrice quale ero, l’insormontabile leggiadria, che sicuramente sconfinava in una verità onirica, di quel luogo, avvolta dal suo abbraccio, di cui avvertivo la vera natura, di cui sentivo l’idillio, a cui il mio cuore si era totalmente piegato.

Immobili, nell’immenso panorama, immobili, in una grazia che non aveva limiti, immobili, nel nostro sogno eterno, immobili.

Ed ogni cosa scomparve dalla mia mente, in quel giorno indimenticabile, senza che io potessi mai più scordare quelle emozioni, senza ch’io potessi mai più provarne di così intense.

 Zalve  a tutti!

So che sono in grandissimo ritardo con questo capitolo, ma la scuola mi ha portato via tantissimo tempo e non sono riuscita a pubblicare prima! Vorrei innanzitutto ringraziare coloro che hanno letto questo cap. Come avrete capito, questa è una delle scene fondamentali della storia fra Matt ed Emily, che ora, trasportati dai loro sentimenti, hanno fatto un passo davvero importante! La canzone che Matt dedica ad Emily è 'Il regalo più grande', di Tiziano Ferro, una delle mia canzoni preferite in assoluto. Spero davvero di averla resa bene e di aver trasmesso i sentimenti che ho provato mentre scrivevo i pensieri di Matt. Vi consiglio di leggere il cap, ascoltandola! L'effetto è davvero molto dolce! Fatemi sapere cosa ne pensate, perchè è davvero importante per me!

Ma, bando alle mia ciance inutili!XDXD Passo a rispondere alle recensioni.

Padme Undomiel: Sono contenta che il cap precedente ti sia piaciuto e che tu abbia apprezzato il rapporto tra Charlie ed Emily, che come sai è davvero importante. La storia di Charlie è molto tormentata, ma nulla che non si possa risolvere con l'intervento di Lizzy, non credi? Sono contenta di aver fatto pochi errori di virgole e spero sia lo stesso  in questo cap. Aspetto impaziente un tuo commento e ti ringrazio  tantissimo, perchè continui a seguire questa storia! Tvttttb

Mistery Anakin: Ciao! Sono davvero felice che lo scorso cap ti sia piaciuto.  Inaspettato il risvolto della storia, eh? Ihih Spero che non ti sia dispiaciuto. Ti ringrazio tantissimo del tuo interessamento, perchè conta molto per me avere pareri diversi. Spero che questo cap ti piaccia quanto l'altro. Grazie! XD Tvttttb

Vorrei anche esprimere i miei ringraziamenti a tutti quelli che hanno letto,senza recensire. Spero che la storia vi stia appassionando e vi prego di darmi un vostro parere, anche negativo. Mi aiuterà a migliorare! 

Ciao a tutti, alla prossima!

Shine

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Primo bacio ***


Primo bacio

13

Primo bacio

Uno zampillo. Una goccia lenta, una discesa lenta e serena. Un dolce rumore familiare. Cerchi concentrici, che s’ingrandiscono piano.

 Lizzy avrebbe detto che ero sempre la solita. Una ragazza un po’ svampita, con la testa fra le nuvole, che si arresta, nel bel mezzo di una tranquilla passeggiata, ad ammirare una goccia d’acqua che scorre su uno sperone di roccia, riversandosi in una piccola pozzanghera. Avrebbe detto che ero l’unica al mondo che potesse soffermarsi su una cosa del genere.

Sorrisi.

Era una teoria molto probabile, in realtà, ma non mi ero mai sentita così indifferente ai commenti che gli altri potevano fare su questa mia sorta di caratteristica particolare. Ero, infatti, molto più impegnata nel constatare quando il mio amore per Matt fosse simile a quel sottile zampillio d’acqua, che volteggiava armonicamente nell’aria, per poi distendersi pacatamente su quel sottile velo d’acqua. Quel grande sentimento che sentivamo l’uno per l’altra scatenava, a reazione, una serie di cerchi concentrici, che si ingrandivano sempre più, in un moto ritmico e continuo, ma mai uguale, mentre ogni attimo, ogni istante che scorreva, donava nuovo vigore a quei cerchi …

Non avevo mai percepito dentro di me una tale, esultante, inebriante felicità. Ma era un sentimento strano. Non era la solita, improvvisa gioia di breve durata, quella che esplode, come una scintilla, lasciandoti come ubriaca, a causa di una avvenimento particolarmente favorevole, ma non era nemmeno un’emozione ragionevolmente spiegabile, nata da un’attenta e profonda riflessione. Era solo, unicamente, inimitabilmente, felicità.

Era stata un’esperienza talmente nuova, intensa, assurda e allo stesso tempo splendida, così lontana dal mio piccolo universo di sogni, di piccole realtà, che non riuscivo a trovare le parole giuste per descriverla a me stessa.

I nostri corpi erano perfettamente coesi, come la nostra anima, legati da una fiamma inestinguibile, che aveva cominciato ad ardere fra di noi, da una corda di emozioni dai mille colori, da un nodo indissolubile …

Di tutte le fantasie che avevo potuto avere sull’amore, sia a livello fisico che emozionale, nulla era paragonabile alla nuova, fantastica verità, che si presentava ora ai miei occhi.

Ma rinunciai a cercare di spiegarla. Non le avrei reso giustizia.

Ripresi a camminare.

Nell’aria c’era una piacevole fragranza di pesco, mentre qualche rado fiore profumato, di sfumature rosate e candide, lasciava spazio a rigogliosi fiori arancio, che troneggiavano sui rami degli alberi, i quali protendevano dolcemente verso la strada, componendo un dipinto composto da un lungo viale ombreggiato, un orizzonte lontano e in dissolvenza, una miriade di limpide e calde tonalità, una trama di odori silenziosi, di rumori sommessi, di idilliaco sogno.

Ogni cosa sembrava essere legata al mio nuovo stato d’animo, ogni singolo particolare riluceva della mia nuova luminosità, ogni sfavillio era prodotto dal vibrare della mia anima.

Un fulgore, che poteva essere definito quasi angelico, brillava nel mio spirito, mentre percorrevo quel viale.

Ripensandoci, mi chiedo se quello non sia stato l’apice del mio amore per Matt. Ma poi, mi basta guardare i suoi occhi, ed eccomi sommersa da mille, stupendi frammenti della nostra unione, tra i quali è davvero difficile stabilire una priorità. E così, forse, faccio la cosa più intelligente: Ognuno di essi viene racchiuso nella parte della mia memoria, che rimane intatta negli anni, che trascorrono dinanzi a me, che non potrà mai svanire. Sono le singole stelle, che compongono il mio cielo, che illuminano i miei attimi bui, la mia notte e paradossalmente anche il mio giorno, che non si spengono mai.

Di nuovo il mio passo si arrestò, mentre i miei occhi si soffermavano sul sottile scorcio di acqua cristallina che s’intravedeva, discosto dalla delicata barriera degli arbusti, profumati di resina.

Il sole scintillava, come un riverbero inestinguibile, sull’immensa distesa color del cielo, annunciando un nuovo, meraviglioso inizio: una nuova, stupenda alba.

I miei occhi di smeraldo, affascinati, dardeggiarono di sincera ammirazione, mentre nel mio cuore galleggiavano strane, intense, emozioni offuscanti.

Non sarebbe bastata di certo una passeggiata a razionalizzare ciò che mi era accaduto. Ma in fondo, volevo davvero farlo?

Ma fui riscossa dai miei pensieri e richiamata alla realtà, senza aver la possibilità di rispondere, da due voci, che ruppero, all’improvviso, la quiete naturale e dolce del viale alberato.

Due voci alquanto familiari.

Mi scostai piano dall’albero a cui ero appoggiata, passando dall’altra parte della strada. Non volevo essere vista.

 Poi, vinta da una curiosità irresistibile, mi avvicinai un po’ di più al punto da cui provenivano le voci.

Ascoltai una risata, che mi parve così lontana dalla sua solita punta di amarezza, da lasciarmi per un attimo perplessa riguardo alla mia convinzione di averla riconosciuta.

“Non credo di aver capito bene, Elizabeth.”, disse, con un tono fra il critico e il divertito.

Non c’era dubbio. Era Charlie.

“Uffi!”, esclamò la mia amica, con una voce annoiata. “Ho detto che il mio hobby è fare shopping.”

Lo sentii scoppiare in un’altra fragorosa risata.

Percepii sorgere in me i primi scrupoli, riguardo al mio atteggiamento poco corretto nei loro confronti, ma poi, ripensando alla capacità di Matt e di Charlie di leggere nel pensiero, nonché a tutte le volte che l’avevano utilizzata a mio svantaggio, mi convinsi che non fosse poi così riprovevole vedere come procedevano le cose tra loro due.

Lizzy sbuffò.

“Senti, il fatto che tu …”, esitò per un istante, poi riprese, “probabilmente sei più grande e più bravo di me in tante cose, che forse hai vissuto molte più esperienze, non ti da il diritto di giudicarmi.”

Lui tacque all’improvviso. Sbirciando, vidi che la fissava, attonito. Sapevo che Elizabeth sarebbe andata fino in fondo nel suo rimprovero e ne ero estremamente soddisfatta. Se tutto andava come previsto, lui avrebbe fatto la cosa giusta.

La sentii respirare a fondo, prima di seguitare:

“Che cosa credi?”, gli domando, arrabbiata. “ Che io sia una stupida ragazzina superficiale, che non ha altro da fare il giorno che mettersi a fare la papera?Be’, per tua informazione …”, sbottò, arrabbiata. “non è così! Se non prendessi la vita con l’atteggiamento che assumo, non riuscirei mai a sopportare tante cose che mi sono successe e tante che mi succederanno.”

Lui la fissava, immobile, studiandola con un’espressione imperscrutabile, senza traccia di alcuna emozione nei lineamenti del suo viso.

“E poi, anche lo shopping può essere considerato un qualcosa d’interessante, perché è attraverso i vestiti che esprimiamo noi stessi e …”

Ma s’interruppe all’improvviso. Di nuovo fui scossa dalla sconvenienza della mia presenza lì, ma la curiosità di conoscere il motivo del suo improvviso silenzio mi spinse ad osservare di nuovo i due.

Charlie le aveva posato un dito sulle labbra e la osservava con gli occhi così intensamente presi da lei, che mi lasciarono di stucco.

Con un espressione piuttosto seria, lui parlò:

“Non stavo ridendo perché considero i tuoi hobby sciocchi o te frivola.”, dichiarò, calmo. “Non nego di averlo pensato, a volte, ma … la mia opinione è cambiata.”

Respirò a fondo, poi soggiunse:

“Ridevo perché sei così diversa da me, che mi sembra quasi di essere ridicolo a tuo confronto. Ridevo … ridevo perché mi accorgo ogni minuto che passo con te, di non aver capito nulla della nostra esistenza. Ridevo perché sei la prima persona da tanto tempo che mi attrae in un modo così forte e travolgente, tanto che sinceramente non riesco quasi a spiegarmelo.”

Vidi Elizabeth sgranare gli occhi e fissarlo, attonita.

Rimasi di sasso a quelle affermazioni. Poi, presa da una improvvisa sensazione di serenità, da una contentezza subitanea e sincera, perché tutte le cose sembravano andare per il verso giusto, mi scostai appena e mi volsi dalla parte opposta di dove ero diretta.

La mia presenza, se era stata inopportuna prima, lo era ancor di più ora. Mentre mi voltavo, seppi che lui posava le sue labbra su quelle di lei e la baciava.

Mi allontanai velocemente, qualcosa di strano incastrato in gola, con il cuore che mi pulsava a mille.

Il quadro della mia allegria era finalmente completo, pensai, rimuginando con insistenza sulle loro parole.

Non c’era altro da aggiungere, né alcuna passeggiata chiarificatrice da fare. Tutto era perfetto, come nulla lo era mai stato nella mia vita, come è quasi impossibile che accada. Eppure, era così.

La fine del viale, che avevo già attraversato, si avvicinava, al bivio fra due strade opposte. Decisi, poiché il caldo era sopportabile, che sarei arrivata a casa prendendo la via acciottolata di sinistra. Mi avviai, lentamente, verso lo sciabordio delle onde, che risuonava in lontananza, concentrandomi sul suono ritmico del mare, avvertendone quasi la vitalità, celata nell’armoniosa melodia che produceva.

Non so, esattamente, cosa pensai, mentre, avvolta dall’odore salmastro che si avvicinava sempre più, m’incamminavo su quel viottolo polveroso, ma posso affermare, con sufficiente sicurezza che le mie riflessioni furono a tal punto serene, che mi parve fosse trascorso appena un istante e già mi ritrovavo in riva, accomodata su uno scoglio, immersa fino alle ginocchia nell’acqua.

Avevo portato con me il quaderno che conteneva la storia di Matt, che io avevo scritto. Lo trassi fuori dalla borsa e, dopo essere arrivata alla pagina che, ora più che mai, mi interessava leggere, m’immersi nelle sue parole.

 

“Ricordo. Era la giornata del ricordo. Era così ormai da due anni. I due splendidi anni che aveva passato con lei.

L’idea era stata sua. Aveva proposto, con quell’infantile dolcezza, con quei modi garbati e dolci, con quel sorriso limpido e sincero, di dedicare ogni momento trascorso insieme ad un tema particolare, per fare in modo che fosse speciale.

Era il 7 marzo. La giornata del ricordo.

Ovviamente, lui aveva l’obbligo di non allenarsi. Doveva trascorrere l’intera mattinata con lei. Non che la cosa gli dispiacesse, in realtà, me temeva che, in quel particolare frangente, non fosse la cosa più opportuna da fare.

Un suo sguardo bastò a disgregare  ogni scrupolo.

Si sistemò meglio sulla piccola sdraio, in riva.

I suoi occhi scuri percorrevano velocemente i dintorni, ammirando ogni scintillio naturale, ogni piccolo particolare, ogni sfavillio delle gocce incolori, ma ricche di fascinose sfumature.

Si fermarono sui biondi riflessi della sua chioma fluente.

“A quale ricordo vorresti far riferimento?”, domandò Matt pacato, studiandone l’espressione.

Sorrise, enigmatica, poi scosse il capo.

“Indovina.”, ribatté Anne, sempre più misteriosa. Lui aggrottò le sopracciglia, perplesso.

“Indizio?”, la interrogò il ragazzo, osservandola.

Lei sollevò le spalle, divertita.

“Eravamo solo noi. Il resto del mondo era sparito”, dichiarò, con voce melodiosa e affettuosa.

Matt rise.

“Facile.”, affermò, più rilassato.

Si alzò e si diresse, a passo armonioso, verso colei che aveva scelto di amare.

La prese per mano, avvicinandola a sé. Lei non si oppose.

Dischiuse le labbra su di lei, muovendole assieme alla sue, come se fossero un tutt’uno.

“Il nostro primo bacio.”

Anne si scostò, ridendo cristallina.

“Era una pallida giornata di luglio. Il sole andava sbiadendo, mentre il cielo si tingeva di un blu sempre più intenso, che si espandeva, serpeggiando silenzioso fra le nuvole. La luce d’oro del sole riluceva sempre meno e l’acqua di una sorgente s’incupiva, colorandosi del cielo.”

Matt si era appollaiato sull’erba e l’ascoltava quietamente, con uno sguardo incantato e dolce.

“Una ragazza bionda, piuttosto bruttina …”

Il ragazzo si schiarì la voce, molto rumorosamente.

Lei rise, divertita.

“Una ragazza bionda”, riprese, sempre ridendo. “sedeva in riva ad essa e la sua figura si specchiava sul ruscello. Non aveva passato una bella giornata. Come al solito lui era dolce, costante, l’avvolgeva dolcemente con le sue parole, le colmava l’animo con la sua amicizia. Ma perché doveva rimanere unicamente amicizia?”

Matt mosse appena le gambe, sempre fissandola ardentemente.

“Ma lei non aveva capito nulla. E, quando il suo riflesso, mosso appena dalla brezza, miracolosamente venne affiancato da un altro, lei rimase immobile, sconvolta. Quel ragazzo, però, aveva un intento preciso. Si accomodò accanto a lei, pian piano. Prese il suo viso fra le mani.”

La voce di Matt affiorò a questo punto nella storia, pacata e meravigliosa.

“Fu il suo primo bacio.”, narrò, melodioso. “Ogni essere vivente era silenzioso, ogni luce era spenta, ogni suono in lontananza muto. C’era solo lei, lui, e la meravigliosa consapevolezza di quel grande sentimento che iniziava a nascere nel cuore dei due.”

 

“Molto romantico!”, commentò una voce, quasi beffarda, alle sue spalle.

Sobbalzai, spaventata. Mi voltai di scatto, verso quel suono.

Una figura maschile, immobile, quasi statuaria, posava il suo sguardo gelido su di me, studiandomi con attenzione che, a giudicare dal suo sguardo, avrei potuto definire spasmodica, il viso acceso da un’espressione divertita, che però non era estesa alle sue iridi.

Rabbrividii, ma cercai di non darlo a vedere. Se le mie deduzioni erano corrette lui veniva, quasi certamente, da Eraia. Era una bellezza rilucente, sebbene vi fosse in lui qualcosa che denotava la mancanza, nel suo animo, di umani sentimenti.

Mentre lo osservavo, analizzandolo, lui non batté ciglio, ma continuò a fissarmi, imperterrito.

“Ci conosciamo?”, domandai, cercando di apparire fredda a quell’insolito sconosciuto.

“No.”, ribatté, sempre con lo stesso tono pungente. “Ma spero che diverremmo ottimi amici.”

Strinsi le sopracciglia, con aria di palese disappunto, ma lui non parve notarlo. Sembrava perplesso ed infastidito per qualcosa.

“Mi spiace, ma non credo di poter essere amica a qualcuno  che non conosco.”, replicai, in fretta. “Adesso, se vuoi scusarmi …”

Raccolsi la borsa e, stringendo sul petto il mio quaderno, passai oltre la sua figura, sperando vivamente che non leggesse, nei miei pensieri, la paura che provavo nei suoi confronti.

Mi prese per un braccio, stringendomi forte.

“Lasciami.”, sbottai, furiosa.

Lui sogghignò.

“Potresti farmi un favore, Emily Stevens?”, mi chiese, gelandomi con il suo sguardo.

Sgranai gli occhi. Come faceva a conoscere il mio nome? Mi leggeva nella mente? Cosa voleva da me?

“Riferisci a Charlie che il suo caro William …”, fece una piccola pausa, divertito. “… è tornato.”

Mi lasciò la mano, lentamente.

Troppo sconvolta per dire alcunché, mi voltai e mi avviai, a passo svelto, da dove ero venuta. Non riuscivo a comporre un pensiero sensato, ancora terrorizzata da quel ragazzo così inquietante.

Appena svoltai l’angolo, quando ormai c’era la minima possibilità che mi vedesse, cominciai a correre a perdifiato.

 

 

Rallentai il passo, sussultando inconsapevolmente. Dovevo essere impallidita in modo spaventoso,  o almeno così testimoniava il mio riflesso in quella pozzanghera, mentre il mio battito cardiaco rallentava in modo impercettibile.

Ero semplicemente terrorizzata.

Lui, i suoi occhi imperscrutabili, la sua espressione glaciale e la terribile, nuova certezza di sapere esattamente chi fosse.

Non sapevo ricondurre esattamente il filo logico che mi aveva guidato a quella deduzione, perché il turbinio di riflessioni e di tratti confusi di scene del nostro incontro rendeva impossibile ogni mio tentativo di comprendere qualcosa. Tuttavia, ero assolutamente certa di avere ragione.

Ma la cosa non mi confortava per niente.

Tenevo la mano premuta sul mio petto,ansante, appoggiata al muretto sul ciglio del viale. Le gambe cedevano sotto il peso di quell’improvvisa corsa, mentre sentivo un’immane debolezza impadronirsi del mio corpo.

Mi accasciai piano per terra, tenendo le ginocchia strette fra le mani, cercando di riprendere le forze, che sembrava essere svanite in una nuvola di fumo.

 

 

“Tutto a posto, Emily?”, mi chiese ancora, fissandomi preoccupato.

Ero distesa sul sedile dell’auto di Edward, il padre di Matt, stanca, ma rassicurata dalla sua presenza. Mi aveva scorta rannicchiata per terra, troppo debole per alzarmi o per fare qualunque altra cosa e mi aveva aiutata, offrendomi un passaggio a casa.

“Certo, ora va molto meglio.”, risposi, con un tono di voce che pareva abbastanza tranquillo.

Lo vidi osservarmi dallo specchietto e distolsi gli occhi, rivolgendoli verso la luce che filtrava attraverso i finestrini. Prismi danzanti di tonalità diverse vorticavano morbidi all’interno dell’auto, penetrando armoniosamente dal vetro opaco. Li fissai, assorta, mentre imbiondivano le scure superfici della macchina e parte dei miei vestiti. C’era qualcosa di strano in quei colori. Erano terribilmente rilassanti, quasi mi donavano un torpore sconosciuto e segreto.

“Ti ringrazio, Edward, ma, sul serio, non ho bisogno di essere ulteriormente tranquillizzata.”, asserii, pacata.

Lo vidi sorridere apertamente.

“Scusami.”, affermò, sereno. “Di solito sono abituato ad accettarmi io stesso dello stato d’animo delle persone, ma mio figlio ha fatto davvero un buon lavoro.”

Corrugai la fronte.

L’uomo s’illuminò ancora.

“Ti ha resa Imperscrutabile. Non posso né leggerti nel pensiero, né esercitare la mia influenza direttamente su di te.”, mi spiegò, osservando attentamente ogni mia reazione.

Spalancai la bocca, sorpresa. Quindi Matt mi aveva protetta, rendendomi inaccessibile.

Allora, pensai, colpita da quel lampo di genio, William era infastidito per quello. Perché non poteva leggermi nella mente.

Notai che Edward mi studiava, ma non parve accennare a qualche parola.

Sorrisi.

“Non lo sapevo.”, replicai, cercando si suonare perfettamente calma. Non  ne sembrava stupito. Conosceva Matt molto meglio di me, anche se la cosa non avrebbe dovuto minimamente stupirmi. Ma mi chiesi se fosse stato giusto compiere un passo così importante nella nostra storia, senza che io avessi avuto modo di approfondire più a lungo la nostra conoscenza. Eppure, mi bastava solo riscoprire le nostre emozioni, dalle più piccole a quelle più profonde, per confermarmi che avevo fatto la scelta giusta.

 Immersa nei miei pensieri, non mi accorsi che un silenzio imbarazzante era calato fra di noi, ma non riuscii ad interromperlo. La mia mente si era rivolta, ad una velocità sorprendente -persino per me, che vacillavo tra la perenne moltitudine di pensieri  molto spesso- alle parole di quel ragazzo, chiedendosi cosa mai avesse voluto dirmi con quelle affermazioni così enigmatiche. Certo, non mi era difficile comprendere e spiegare, almeno per sommi capi, per quale motivo mi avesse chiesto di dire quella cosa a Charlie. Il problema era che il fatto che lui fosse lì, che per qualche strana ragione conoscesse il mio nome, non mi confortava affatto, anzi la prospettiva mi rendeva più ansiosa che mai.

Fui lui ad interromperlo.

“Vi siete divertiti tu e Matt, ieri?”, mi domandò, interessato.

Arrossii.

Non era con “divertimento” che io avrei definito l’esperienza splendida che avevo intrapreso assieme a suo figlio, ma non volevo contraddirlo. Non ero sicura che fosse opportuno che lui lo sapesse.

“Ehm, si, molto.”, balbettai, rossa.

Lui sorrise.

Distolsi gli occhi, preoccupata. Anche se non poteva leggere dentro di me, ero certa che, solo guardandomi, avrebbe compreso ogni cosa.

“Sai, Emily, mi ricordi tanto una mia amica.”, annunciò, sorprendendomi. Si era incupito improvvisamente, mentre ne parlava, ma non riuscivo a capirne il motivo. Me lo aveva già detto Kate.

“Ti assomigliava molto. Aveva il tuo stesso atteggiamento, il tuo stesso sguardo.”, raccontò, nostalgico, per la prima volta volgendosi completamente dalla mia parte. I suoi occhi, talmente simili a quelli di suo figlio, tanto da confondermi profondamente, erano animati da un dolore che mi ricordava molto quello di Matt.

Attesi, stupita da questo comportamento.

Parve riprendersi, si voltò di nuovo verso la strada e riprese, con il suo consueto tono sereno.

“Perdonami.”, si scusò,pacato. “Sono piuttosto incline a ricordare il passato.”

Scossi il capo, contraria alle sue scuse.

“Come si chiama questa ragazza?”, chiesi, fissandolo. Le parole mi erano uscite prima che potessi trattenerle e subito me ne pentii. Era quanto mai inopportuno che gli facessi tutte quelle domande, soprattutto se lei gli ricordava cose spiacevoli.

Si oscurò di nuovo.

“Si chiamava, Emily. Non c’è più.”, mi corresse, calmo.

Di nuovo sgranai gli occhi allibita.

Mi guardò dolcemente, sorridendomi.

 “Si chiamava Sarah. Sarah Jean Hall.”

Zalve a tutti!

Eccomi di nuovo qui, non troppo in ritardo questa volta! Allora, come avrete potuto leggere, questo è un capitolo ricco di avvenimenti! Finalmente Elizabeth e Charlie riescono a dichiararsi il loro amore (Sei felice, Padme??) ed Emily comprende la vera portata del suo -che non è affatto poco!-.Si presenta anche, per la prima volta, William, che sarà un personaggio importante!  Spero che il cap vi sia piaciuto e che non vi abbia deluso rispetto agli altri! 

Ma, adesso, invece di annoiare con le mie continue chiacchiere, rispondo alle recensioni che mi avete lasciato!

Mistery Anakin: Wow... Sono riuscita a commuoverti? Non hai idea di quanto la cosa mi renda felice! Quella canzone è davvero fantastica e temevo di non renderla bene! Che bello sapere che non è così! Matt ti piace, eh? Confesso che anch'io lo adoro! Spero che questo cap ti piaccia altrettanto e che continui a seguire la mia storia con lo stesso entusiasmo! Grazie, truzza ! Tvttttb

Padme Undomiel: Mia cara Padme, non sai quanto sia felice che tu abbia avuto un'impressione così favorevole del cap precedente! Ti ringrazio per i bei commenti sulla descrizione del paesaggio, sui sentimenti di Emily e sulle parole di Matt! Ci tenevo molto a quel cap e sapare che l'hai apprezzato a tal punto mi riempe di gioia! (W quella canzone!!!!XDXD) Spero che questo cap non ti abbia deluso, truzza! Grazie, tvtttb

Un grazie speciale anche a tutti quelli che hanno letto senza recensire... Rischio di diventare noiosa, ma ci terrei davvero ad avere un vostro parere! Mi aiuterà ad andare avanti! Quindi, se avete un account, perfavore ditemi cosa ne pensate!

Ciao a tutti! Alla prossima...

Shine

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=335823