New York, sei da vivere.

di beornotobe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


 
Quella sera ero felicissima. Il giorno dopo sarei partita per New York, la città dei miei sogni. Abitavo pur sempre a Los Angeles, ma la Grande Mela non era stata per me una meta possibile nei miei 18 anni di vita, per varie questioni. Prima fra le quali, i miei genitori sono troppo protettivi e dicevano che non avrei potuto farcela da sola in una metropoli il quintuplo di Los Angeles. Seconda questione: New York costa un occhio, per intenderci. Seppi che ci sarei stata quel 17 Maggio. La professoressa di Lettere ci annunció che prima della Maturità avremmo fatto un viaggio studio a New York, "Vi aprirà la mente", ci aveva detto. Insomma, non stavo nella pelle. Sarei andata nella città più moderna del mondo insieme ai miei amici, capite? Insieme ai miei compagni di avventura. "Quale modo migliore per concludere questi 5 anni?", mi dicevo. Sembravo una bambina, saltellavo dalla gioia. 
Dunque, la sera prima della partenza me ne stavo sul letto, scorrendo la home di Facebook sul mio Mac, regalatomi dai miei per il compleanno. "A Sarah piace la tua foto". La notifica mi portó al pensiero della mia migliore amica, e alle sue parole: "Chiamami stasera". Era quasi mezzanotte e io me ne ero scordata. "Ottimo", constatai. "Suvvia, qual è il problema? Se voleva veramente che la chiamassi non avrà problemi a svegliarsi dal dormire" pensai, ma sapevo che non sarebbe stato così. Sarah andava presto a letto o il giorno dopo non si sentiva carica abbastanza, e odiava chiunque interrompesse il suo sonno. Comunque, siccome volevo fare la stronza, la chiamai ugualmente. 
Tu tu... Il telefono squilló innumerevoli volte, finché una ragazza dalla voce assonnata rispose: "Oh dai, ma come diavolo ti viene in mente di chiamarmi a quest'ora?" "Non volevi che ti chiamassi?", risi io. "Posso dirti una cosa?", fece lei. "Dimmi pure" sorrisi io, aspettandomi ciò che stava per uscire dalla sua bocca. "Vaffanculo" disse lei, calcando sulle F. "Okay, me ne vado, hai ragione" risposi io, ridendo. "No, aspetta, dai. Volevo seriamente parlare con te" mi fermó. "Okay, Julia a tua disposizione" dissi, stendendomi completamente sul letto, col cordless all'orecchio. "Hai paura?", mi chiese lei. Scoppiai a ridere: "E di cosa?!" "Non so, tu ce l'hai?", chiese, con voce ansiosa. "Per niente! Insomma dai, cosa mai potrebbe accaderci?", continuai a ridere. Come poteva avere paura? "È una città grande, potremmo perderci, sai? Chi ti dice che non ci succeda?", spiegó lei, agitata. "Succede solo alle persone troppo sbadate!", dissi io. "Pensi quello che penso io?", chiese Sarah. "Si. Tu sei sbadata!", esclamai io. "Ma che dici! Io pensavo alla Norton, la prof, lei lo è! Insomma, ricordi quando non riusciva più a trovare gli occhiali e li aveva in testa?!", fece lei, irritata. "Ma anche tu lo sei...", dissi io. "Ti avevo chiamato per scacciare questa maledetta ansia, ma tu non stai contribuendo!", fece, con un tono di voce più alto. "Zitta, zitta, non vorrai svegliare tua madre!", feci io, trattenendo l'ennesima risata. Amavo far arrabbiare Sarah. Come avevo pensato, in lontananza si sentì la voce della madre della mia amica: "Saaaaraa, mamma, silenzio. Qui qualcuno sta cercando di dormire!" Scoppiai a ridere. "Sei proprio stronza", fece lei, chiudendomi il telefono in faccia. Dopo che ebbi finito di ridere le mandai un messaggio: "Ti sei offesa davvero?". La sua risposta non si fece attendere: "Ma no, ti pare? Ormai ci sono abituata!" "Vedrai, andrà tutto bene" scrissi io e lei mi mandó un cuore. Spensi il telefono, il Mac e la TV e mi coprì col lenzuolo.
 Meno 8 ore.

Il mattino dopo, sveglia alle 05:30. L'aereo partiva alle 08:00, ma era necessario stare in aereoporto per le 06:15. 
Mi preparai velocemente, una canotta col numero rossa, degli shorts di jeans, e le Vans nere. Sistemai i capelli come meglio potevo e infilai in valigia degli occhiali da sole. Tutto pronto, già. Salutai i miei genitori e mi avviai verso la stazione, dalla quale avrei preso il treno che mi avrebbe portato all'aereoporto. Sul treno incontrai altri amici, che avevano preso il mio stesso turno. Anche loro erano entusiasti per la vacanza. Si, noi la chiamavamo così, nonostante si trattasse comunque di un viaggio studio. 
Arrivammo in orario, c'eravamo quasi tutti. Mancava solo Sarah, che arrivava sempre in ritardo e Jack, che aveva lo stesso problema. 
La Norton ci fece un po' di raccomandazioni sul comportamento da tenere in aereo, ma insomma, dai, eravamo ragazzi di 18 anni. Per certa gente resti sempre piccino... 
Passammo i vari controlli, quando arrivarono gli altri due compagni, e ci ritrovammo nel Gate. La mia amica si mangiava le unghie sulla sedia accanto a me, faceva sempre così quand'era nervosa. "Sarah, finiscila. Non hai di che preoccuparti!", la rimproverai io. "Si, invece!", urló lei. Le misi una mano sulla bocca scoppiando a ridere. Poi feci il verso di sua madre: "Saaaara mamma, silenzio!" Lei rise a sua volta: "Vabbè, davvero, tu non sei la persona più adatta per parlare della mia crescente preoccupazione". Io annuii: "Hai proprio ragione, cara". Le porte che conducevano all'esterno, cioè all'aereo si aprirono, e ci salimmo tutti sopra. Ci sistemammo e poi ascoltammo le solite norme di decollo. "Si va bene, va bene", dissi io, scocciata, le avevo sentite così tante volte che le avevo imparate a memoria. Sarah invece ascoltava con attenzione. "Saaaaara, mamma, non dirmi che è la prima volta in aereo!", risi io. "Si, è la prima volta", rispose lei, facendomi segno di fare silenzio. Per lei era molto importante ascoltare le norme. L'aereo accese i motori ed accelleró, stava per decollare. Si alzó da terra e sentii il classico vuoto nello stomaco, che durava pochi secondi. "Siamo in volo?", domandó Sarah, non aveva il coraggio di guardare dal finestrino. "Si, guarda!", la costrinsi ad osservare le nuvole che si stagliavano accanto a noi. "Eddai!", gridó lei, girandosi dall'altra parte. "Non fare la bambina!", feci io, dandole un buffetto sulla guancia. "Guarderò quando mi andrà di guardare", rispose lei, prendendo un libro e mettendosi a leggere. Inutile dire che non guardó mai fuori per tutto il viaggio. 
Arrivammo all'aereoporto di New York, trascinando la nostra roba come se fosse leggerissima, tanta era la felicità. "Siamo a New York", urlai io, appena fuori dall'aereo. La professoressa mi guardó male. Che figura. Vabbè. Ci incamminammo verso l'uscita, dopo aver ritirato i bagagli e prendemmo l'autobus che ci avrebbe portati in albergo, il Tipton Hotel, uno dei più famosi. 
La struttura era immensa, c'erano 3 piscine, tanti campi da gioco, basket, tennis, calcio. Davvero tante tante cose. Io dividevo la stanza con Sarah e Irish, un'altra amica. "Al mio 3 buttiamoci sui letti, ragazze", feci io, aperta la porta. 1,2,3...ci buttammo sui letti che, constai al momento, erano davvero morbidi. "La prima cosa che visiteremo?", chiese Irish. "Metropolitain Museum Of Art", risposi io, ricordavo bene il programma, che, in quel momento, si trovava piegato nel mio zainetto. "Perfetto", rispose lei. "Mi piacciono i quadri", fece Sarah. "Eh si si lo so, bambina mia", dissi io. "Non mi piace questo atteggiamento, Julia!", gridó lei, come sempre. "Ma io non...oh , va bene", mi sedetti sul letto facendo la triste. "Sto scherzando", fece lei, ridendo. "Io non riderei se fossi in te", dissi io, ma in realtà anche io stavo per scoppiare a farlo. "Ragazze, abbiamo mezz'ora, poi dobbiamo uscire, approfittiamone per riposarci", ci richiamó Irish, che stava ordinando sapone e roba varia nel bagnetto. "Hai ragione, love", dissi io, stendendomi sul letto. Dopo circa tre quarti d'ora, infatti, la professoressa Norton venne a bussare alla nostra porta. "Forza ragazze, siete pronte?"
Rispondemmo di si, afferrammo velocemente gli zaini e ci precipitammo fuori.
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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Ci incontrammo tutti nella Hall dell'Hotel e, con la prof all'inizio del gruppo, uscimmo dal portone. Per raggiungere il museo avremmo benissimo potuto prendere la metropolitana, ma la professoressa fu categorica. Quel giorno avremmo camminato. "Bisogna ammirare la bellezza del paesaggio", disse la Norton. Che paesaggio ci fosse oltre a una lunga strada piena di smog e grattacieli non l'ho mai capito. Ci incamminammo per la Adinson Avenue, io con Sarah e Irish al fianco. Per arrivare ci vollero ben 36 minuti di cammino. Si, so l'ora esatta perché Sarah li cronometró, dicendo: "1", "2", "3", ad ogni minuto che passava. Arrivammo lì alle 2 del pomeriggio, entrammo dalla porta principale e cominciammo la visita seguiti da un accompagnatore. Era piuttosto interessante, ma i miei compagni parlavano in continuazione e non riuscivo a sentire nulla... Dettagli poco importanti. Se non fosse che si trattava di New York, e non sapevo dopo quanto tempo ci sarei tornata... Così acquistai un'audioguida e ascoltai autonomamente le spiegazione inerenti ai vari quadri. Lo stesso fece Sarah. "Te la pago io, dai, ho il resto", dissi io, accompagnandola alla cassa. "No, ma che dici! Pago io.", rispose lei, irritata come sempre. "Ma se mi offro perché rifiuti!", feci io, con un tono un tantino sopraelevato. "Perché è roba tua e non voglio che tu la spenda.", mi intimó lei. Cedetti. Contraddire Sarah era ed è sempre stato impossibile... Comprata l'audioguida ritornammo al punto dove si era fermata la comitiva, ovvero davanti al primo quadro della famosa collezione. Presi ad ascoltare la spiegazione tutta interessata, ma si rivelò ben presto una vera noia. Più che una spiegazione del quadro, la guida si rivelava solo un ammasso di inutili date. "Che noia" fece Sarah, alzando gli occhi. "Hai proprio ragione", feci io, togliendomi le cuffie e mettendole intorno al collo. "Smiths, Anderson, perché vi siete allontanate?".. Sentimmo la voce della Norton e ci girammo all'unisono. "Abbiamo preso l'audioguida e la stavamo consultando, prof. I quadri sono in ordine diversa", risposi io, indicandole l'apparecchio rivelatosi inutile appeso al mio collo. "Ottima pensata, ragazze", ci strizzó l'occhio la prof. "Se lo dice lei", risposi io. Avrei voluto dirle che la guida elettronica era ugualmente una fregatura, ma non volevo rovinare il suo pensiero. Dopo un po' ci rimettemmo al fianco dei nostri compagni, che, al posto di ascoltare, parlavano, scattavano foto e si facevano selfie senza alcun rispetto per quella visita che tutto si stava rivelando tranne che istruttiva. A noi un po' dispiaceva, volevamo seriamente interessarci a quella roba, ma lasciammo correre, e ci unimmo anche noi, facendo baldoria e ignorando i ripetuti tentativi da parte della guida di zittirci. Arrivammo al quadro più famoso del museo, il pezzo grosso della collezione, quello per cui i turisti di tutto il mondo giungevano in quel museo, la "Ragazza con Velo" di Jan Veermer. Lo avevo visto sui libri di storia dell'arte, ricordavo ancora la spiegazione che ci aveva fatto la professoressa della medie, la Lands una tipa tutta stravagante che teneva molto alla sua materia. Peccato solo non la studiasse quasi nessuno. "Il quadro che ci spiegó quella", disse Sarah. "La Lands?", chiesi io. "Si, mi è rimasta impressa la spiegazione" fece lei. "Ah, già, tu studiavi storia dell'arte!", risi io. Io in tre anni di medie non avevo mai aperto libro, tuttavia quel quadro con la relativa spiegazione erano rimasti impressi anche a me. "Bugia, non sempre!", replicó lei, scuotendo la testa. "La ragazza dipinta da Veermer risale al periodo medioevale ed è simbolo di sensibilità, ma allo stesso tempo di fermezza, di volontà, come del resto deve essere una ragazza proveniente da una famiglia nobile", spiegava la guida. Proprio mentre pronunciava la fine della parola nobile, la porta principale si aprì. Entrarono 5 ragazzi vestiti di nero, con il cappuccio in testa, si mossero velocemente, vennero nella nostra direzione. Uno di questi stordì la guida con un calcio al fegato, mentre un altro ci disse: "Se state fermi nessuno si farà male!" . Ci guardammo intorno con occhi impauriti, tanti altri turisti come noi uscirono dalla porta sul lato, altri si rannicchiarono in diversi angoli dello stanzone. Non potevo credere che stesse avvenendo quello che fino ad allora avevo visto solo nei film, la rapina di quadri. Il ragazzo che aveva stordito la guida la teneva ferma, ormai accasciata sul pavimento, gli altri 4 si diressero verso il quadro, né afferrarono le estremità, staccarono la tela dalla cornice e la infilarono in un cilindro dopo averla arrotolata. "Voi, non avete visto niente, intesi?" disse il più alto, con una pistola in mano. Non rispondemmo, tremavamo tutti. "Intesi?", ripetè il ragazzo. Annuimmo, la pistola nelle sue mani puntata verso di noi ci terrorizzava... Furono attimi di panico, la Norton non capiva più niente e si guardava intorno cercando di trovare un altro degli agenti di sicurezza. L'allarme di sicurezza suonava da qualche secondo, ma non era arrivato ancora nessun agente. I 5 ragazzi uscirono dalla stessa porta, noi turisti li seguimmo, correndo per le scale che conducevano all'uscita del palazzo che ospitava il museo. "Non possiamo permettere che il museo venga derubato del suo quadro più famoso", gridai io, per farmi sentire dalla classe. "Io combatterei per andare a riprenderlo, ma non voglio mettermi nei guai", disse Sarah, mentre scendeva di corsa le scale al mio fianco. "Chi è con me mi segua!", feci, arrivata ormai alla fine della rampa a chiocciola. Non sapevo e non ho mai saputo cosa mi passasse per la testa, mi catapultai nella sala principale inseguendo i 5 ragazzi che correvano velocemente, compatti, seguita dalla mia amica Sarah, che aveva messo da parte la sua paura e timidezza e mi aveva seguita. La Norton ci intimó di fermarci, ma noi corremmo ancor più veloce, dovevamo arrivarci. I ladri uscirono dal museo, buttandosi a capofitto nella caotica New York delle 11:00 del mattino. Non avevo intenzione di perderli, perciò, al fianco della mia amica, mi buttai anch'io in quel traffico di gente.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Continuammo a seguirli per un bel po', a un certo punto inaspettatamente rallentarono e noi gli fummo addosso. Il tubo che avvolgeva il quadro sporgeva dallo zaino di uno dei 5, che ai piedi aveva delle Dr. Martens. "Ma come si fa a correre con certe scarpe!", pensai. Accellerai un altro po', anche se la mia amica continuava a implorarmi di rallentare, ma io volevo arrivare sufficientemente vicino da afferrare il quadro e scappar via. Ne afferrai la punta e lo stavo quasi tirando via completamente, quando sentii uno dei ragazzi afferrarmi dalla vita e un forte dolore alla nuca. Le ultime cose che vidi furono il cielo e Sarah che giaceva sul pavimento accanto a me nelle mie medesime condizioni. Poi più niente, il buio. Dopo un tempo che mi parve interminabile ripresi a vederci qualcosa, ma tutto appannato. La prima cosa che misi a fuoco furono due occhi scuri sopra di me, che mi fissavano attentamente. "Questa è la ragazza che ha tentato di sabotare la missione?", sentii una voce in lontananza. Il ragazzo chinato sopra di me rispose di si, annuendo col capo. Si accorse che avevo aperto gli occhi e sorrise, ma in quel sorriso non c'era niente di buono. Girai la testa da entrambi i lati, ma della mia amica non c'era traccia. "La portiamo dove abbiamo portato anche l'altra?", fece una voce da ragazzino. "No, lei la terremo nei sotterranei. Ha l'aria di essere un tipo irrequieto.", disse sempre il ragazzo sopra di me. Capivo tutto, ma non avevo il coraggio di parlare. Dove mi avrebbero portato? Poco dopo un ragazzo biondo con i capelli spettinati mi mise uno straccio in bocca e una benda sugli occhi. Poi mi legó le mani, l'una all'altra, con un filo che sembrava spinoso, e prese a trascinarmi dai piedi. Cercavo di urlare, di chiedere dove mi stesse portando, ma tutto quello che usciva dalla mia bocca erano solo dei suoni confusi nei quali non si distingueva una sola parola, inoltre lo straccio messomi in bocca scivolava sempre di più all'interno e non potevo muovere le mani per togliermelo, mi sarei graffiata i polsi e avrei perso sangue. Non volendo aggiungere un altro problema alla mia condizione attuale, stetti in silenzio e mi abbandonai alla mia sorte. Dopo chissà quanto tempo il ragazzo si fermó e di conseguenza smise di trascinarmi. Non vedevo nessuna luce attraverso la benda verde che avevo sugli occhi, solo buio. "Sono i sotterranei", pensai allarmata, ricordando le parole del ragazzo dagli occhi scuri. Sentii che mi lasciava le caviglie e che chiudeva una porta a chiave. "Mio Dio dove sono finita?", fece la mia mente. Gridai, sperando di raggiungere l'orecchio di qualcuno. Avevo le mani imprigionate da quel filo, mi risultava impossibile liberarmi così da sciogliere la benda sugli occhi. Mi erano stati tolti gli occhiali, non avrei comunque visto niente, ma l'idea di passare tutta la notte nell'oscurità con qualche rumore sinistro proveniente di tanto in tanto da chissà dove, non mi entusiasmava affatto. Lo straccio affondava sempre di più verso la gola, cercavo di trattenerlo coi denti per impedirgli di scendere, ma qualsiasi movimento della mandibola lo faceva scivolare ancora di più mettendomi in uno stato di totale agitazione. Dopo qualche minuto mi arresi, sarei dovuta stare lì per sempre. Le lacrime cominciarono a sgorgare e bagnarono tutta la benda verde, che adesso era ancora più fastidiosa, si attaccava alla pelle e non potevo scostarmela. Nella disperazione alla fine mi addormentai, almeno così non avrei sentito dolori o rumori per le ore seguenti. Mi sveglió uno schiaffo sulla guancia, nè troppo forte nè troppo debole, ugualmente doloroso. Lo straccio in bocca mi venne sfilato, respirai di nuovo a pieni polmoni. "Po...potresti togliermi anche la benda?", domandai esitante. Erano le prime parole che dicevo dopo ore. "No", non esitó a rispondere una voce sottile, ma allo stesso tempo profonda. "Perché?", chiesi. "Perché no.", fece il ragazzo. "Chi sei?", domandai ancora. "Non ti è dato saperlo", rispose lui, poggiando qualcosa per terra e liberandomi le mani. "Grazie", mormorai. "Perché sei qui?", aggiunsi. "Ti ho portato da mangiare", affermó lui. Sentivo il suo respiro a pochi centimetri da me. Avevo la sensazione fosse molto vicino. Allungai una mano e trovai una ciotola con del pane. Tastai il pavimento accanto: c'era anche un bicchiere d'acqua. Addentai il panino, avevo fame. Dopo un po' mi rilegó le mani e io lo maledissi mentalmente. "Quando potrò andarmene da qua?", chiesi poi. "Quando avremo eseguito tutti gli accertamenti. Non è detto che andrai via, ci potrà essere qualcosa che ci trattenga dal lasciarti andare, sono quasi sicuro che la troveremo" sogghignó lui. Dette queste parole lo sentì alzarsi dal pavimento. "Dove vai?", feci. Tacque e sentii i suoi passi allontanarsi e chiudere nuovamente la porta. Aveva lasciato nell'aria un profumo a me noto, lo avevo sentito qualche giorno prima nella profumeria più famosa di Los Angeles. Si trattava della nuova fragranza di Dior, era davvero buona. "Non hai tempo per pensare a queste cose, Julia", mi riportó al giusto la mia mente e tornai a mangiare il mio panino chiedendomi quando mai sarei uscita da lì e dove effettivamente fossi finita. Volevo solo riprendere un quadro...

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Mi addormentai ancora una volta, ero molto stanca, non avevo idea del perché. Mi svegliai però dopo poco tempo, perché sentì dei rumori alla porta. "Entra, su, da brava", sentii la voce del ragazzino, un rumore al mio fianco, e avvertii qualcuno affianco a me. "Julia!", esclamó quel "qualcuno". "Sarah!", feci io, riconoscendo la mia amica. "Perché lei è qui?", domandai. "Ha fatto troppo la ribelle da noi.", rispose il ragazzino, l'unico che ero riuscita a vedere completamente prima di essere bendata. "Sara, sei bendata anche tu?", chiesi io. "No, io no". "Perché non avete bendato anche lei?!", esclamai io, arrabbiata. Il ragazzo doveva essersene già andato poiché non ottenni risposta. "Quindi tu li hai visti... Ma chi sono? Che ti hanno detto?", inondai la mia amica di domande. "Non penso di aver saputo più di quanto ne sai tu... So solo che sono un'associazione, la loro sigla è ASDAR, ma non ho capito cosa significa... Probabilmente mi hanno sbattuto qui perché ho fatto troppe domande. Ho pauraa.", spiegó lei. "Io non ho saputo niente di niente, invece. Quante persone sono?", chiesi. "Su è un labirinto di uffici, gallerie, stanze di ogni genere, le persone sono davvero tante... Quelle che sono venute a farmi visita però, quelle con cui ho parlato sono stati un ragazzo e una ragazza... Francis e Alice. Poi ho intravisto anche un altro ragazzo, parlava sempre con Francis, ma non ho idea di come si chiami, è bruno, ma non l'ho visto di faccia.", rispose lei. "Ho capito chi è", feci io, "È venuto a portarmi da mangiare l'altro giorno, ed è quello che ha ordinato a un ragazzo biondo di portarmi qui, nei sotterranei. Che fottuto stronzo", imprecai. "Il ragazzo biondo è Francis, ne sono sicura. È lo stesso che mi ha sbattuto qua prima", affermó Sarah. "Ma il ragazzo bruno chi è in tutto questo?", domandai. "Non ne ho idea, ma penso che sia molto importante qui. L'ho visto parlare con molta gente...", rispose Sarah. "Voglio saperne di più.", feci io. "Ho paura, paura che non ne usciremo di qui", disse Sara, stringendomi il braccio. "Suvvia, sii forte. Di sicuro ne usciremo vive.", cercai di confortarla io. "Che ore sono?", domandai poi, avevo perso completamente la cognizione del tempo. "Le 20:30", fece. "Sara, hai le mani libere?", sbottai all'improvviso io. "Si, perché?", rispose lei, con voce interrogativa. "Slegami la benda sugli occhi, in fretta! E anche quella delle mani, perché non me l'hai detto prima!", esclamai io. Fece ciò che le avevo detto. Strizzai gli occhi più volte fin quando non ebbi messo tutto completamente a fuoco. La stanza era illuminata da una lanterna sulla sinistra. "Dobbiamo uscire da qui.", affermai. "È impossibile" disse Sara. "Solo se pensi che lo sia", risposi io, alzandomi in piedi. Lei fece lo stesso. Allungai una mano verso i suoi capelli, aveva una forcina, mi diressi verso la porta e cercai di sbloccare la serratura. L'avevo fatto già altre volte, perciò questa volta non mi risultó difficile, anzi, ci riuscì subito. Sorrisi alla mia amica, e feci: "Visto?" Lei sorrise a sua volta: "Andiamo!" Ci avviammo verso il corridoio, poi trovammo delle scale. Una volta su sbucammo in una stanza che aveva tutta l'aria di essere quella dove eravamo arrivate la mattina stessa. Il ragazzo biondo era seduto ad una scrivania e stava scrivendo su dei post it, che poi attaccava su una bacheca al muro accanto. Alzó la testa e il suo sguardo si posó su di noi. "Cosa ci fate qui?", si alzó di scatto dalla scrivania. Lo osservai bene: era alto, gli occhi di un verde pacato. Ci osservava con quello sguardo severo, ma non gli riusciva bene perché il suo viso non era il viso adatto per quel tipo di espressione. Io lo fissai con sguardo di sfida. "Rispondete su", fece lui, grattandosi la nuca, probabilmente non sapeva se punirci o no. Si vedeva non avesse ben chiaro cosa dire. Poteva avere massimo 20 anni, era magro come un fuscello, forse troppo. Non che questo costituisse in lui un difetto, anzi, era abbastanza carino. "Perché siete uscite? Chi vi ha dato il permesso?", chiese ancora. "Se permette, vorrei sapere in quale posto sono capitata.", risposi io, fissandolo negli occhi. "Allora sei come la tua amichetta, anche lei era curiosa", disse una voce alle mie spalle. Girai lo sguardo e vidi sulla porta il ragazzo che aveva ordinato di rinchiudermi laggiù, quello che aveva il profumo Dior, insomma. Non ebbi neanche il tempo di dirgli qualcosa e di chiedergli ulteriori spiegazioni, che una tipa lo tiró via dalla camicia portandolo chissà dove.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Riportai lo sguardo sul ragazzo, che continuava a fissarci, non sapendo cosa fare. "Cosa facciamo?", chiese d'un tratto la mia amica, era mezz'ora che ci fissavamo con il biondino senza dire una parola. "Ragazze, aspettate sedute lì", ci indicó un divanetto. "Perché?", incalzai io. "Non posso dare ordini, non sono al grado necessario per decidere cosa fare dei prigionieri.", mi spiegó, ritornando seduto dietro la scrivania. "Prigionieri?", feci io, sgranando gli occhi. "Le persone che giungono qui per qualche motivo e che risultano pericolosi all'associazione, vengono tenuti in ostaggio.", continuò lui, con totale naturalezza. "Chi è che ci dirà se possiamo andarcene?", domandai io. "Non lo so, il nostro capo è fuori in questo periodo dell'anno", rispose lui, scuotendo la testa. "Non è quel ragazzo che, che si è affacciato prima?", mi meravigliai io, che avevo creduto lo fosse fino ad allora. "Beh, lui è, ricopre la carica di capo quando il vero capo manca. È il vice.", sorrise il ragazzo, non capii perché. "Comunque io mi chiamo Francis, mi sono già presentato alla tua amica, prima", aggiunse. "Io sono Julia", dissi io, alzandomi per stringergli la mano. Lui me la strinse e sorrise nuovamente. "Cos'è tutta questa simpatia improvvisa?", chiesi. "Siete ragazze come me, non vedo perché io non possa fare amicizia", fece lui, facendoci l'occhiolino. "Ma quindi tu cosa fai qui?", chiese Sara. "Amministro le carte ed eseguo gli ordini dei miei superiori, ovviamente. Si può dire che io sia di primo livello, sono arrivato qui solo 2 mesi fa.", ci spiegò, scandendo bene le parole. In quel momento entró dalla porta una ragazza magra, coi capelli neri e gli occhi verdi, e si mise a scartabellare in un archivio laterale. "Cosa cerchi ,Winny?", chiese Francis. La ragazza si voltó e sbottó: "Oh santo cielo Fran, quante volte ti ho detto che odio essere chiamata così!" Lui scoppió a ridere e si alzó dalla sedia andandole accanto. "Cosa stai cercando?" chiese nuovamente, poi. "I dati relativi al quadro della missione di una settimana fa...", disse lei. Francis esaminó alcuni cassetti, per poi tirare fuori un blocco con la copertina rossa, che poi porse alla ragazza. "Grazie mille", disse lei, voltandosi poi verso di noi. Guardó lui con uno sguardo interrogativo. "Sono le ragazze che hanno tentato di sabotare l'ultima missione...", spiegó, guardandola. Lei ci fissó disapprovante e disse: "Sappiate che non vi conviene". "Non mi sembrava giusto rubare un quadro da uno dei più famosi musei al mondo", osservai io, fissandola severamente come stava facendo lei con noi. "Se sei di quest'idea non andrai molto lontano, ragazza", fece lei, sedendosi sul divanetto accanto al nostro. "Preferisco parlarne con il titolare di questa setta, di questo luogo, di questa agenzia o come la chiamate voi", dissi io, continuando a guardarla con quello sguardo. "Non ha di sicuro tempo per pensare a cose di questo genere", affermó lei. Le squilló il telefono. "Jo", rispose, "Si, arrivo subito". "Scusate, vi devo lasciare", disse, alzandosi dal divano e uscendo da una porta laterale a passo spedito. "Ma chi è quella?", domandai a Francis. "Si chiama Winona, è una delle ragazze dell'agenzia.", spiegó lui, con la solita calma. "Non mi piace come si è rivolta.", affermai. "Nemmeno a me", aggiunse Sara. "È fatta così, ma se le stai simpatico sa scherzare ed esserlo a sua volta", continuó lui. "Si vede allora che io non le sto simpatica.", constatai io. "Si vede si", rise lui. "Non sei divertente", continuai io. "Lo so", rispose lui. "Quando arriverà il capo?", chiesi poi, stufa di aspettare. "Quando troverà il tempo", fu la risposta di Francis, da dietro la scrivania. E finalmente, dopo chissà quanti minuti passati su quel divanetto duro come la pietra, arrivó. "Buonasera gente" esclamó, chiudendosi la porta principale alle spalle. Non sapevo se ricambiare il saluto. "Cos'è questa maleducazione?", fece notare lui, dato che nessuno, men che meno Francis, aveva risposto al suo saluto. "Buonasera", risposi io. Era rimasto dietro i divanetti a leggere un documento, poi avanzó e lo appoggió sulla scrivania. "Dunque, Julia Smiths. Julia Smiths, Julia Smiths...mi dice qualcosa...", riflettè, la mano sotto al mento ad accarezzarselo. "Non ricordo di aver avuto a che fare con persone del genere prima d'ora", dissi io. "Sta attenta a ció che dici, Julia" fece lui, sedendosi sul divanetto dove prima si era seduta Winona. "Chi siete?", chiesi io, ormai stufa di fare troppe domande senza nessuna risposta. "Se vuoi davvero saperlo, te lo dirò. Siamo l'ASDAR, l'associazione segreta di arte rubata. Rubiamo quadri per il piacere di farlo e perché pensiamo che per molta gente di questo mondo siano sprecati. Tutto chiaro?", spiegó lui, fissandomi dritta negli occhi. Avevano un non so che di magnetico che mi spingeva a fissarli a mia volta, senza staccare lo sguardo. Profondi e affusolati, quando parlava gli diventavano quasi delle fessure, dalle quali traspariva solo quel color cioccolato. Mi riportó alla realtà battendo le mani lunghe e affusolate. "Si, si, comprendo", risposi io, quasi stonata. "Di botto non ti interessa più?", chiese, sorridendo appena. "Si che mi interessa", risposi io, pensando alla figura idiota che dovevo aver fatto perdendomi nel suo sguardo. "Allora ti ho spiegato quello che devi sapere. Adesso tu devi dirmi alcune cose che voglio sapere io, se permetti.", disse. "Perché ci hai rincorso?", chiese, subito dopo che ebbi ripreso a guardarlo incessantemente. "L'ho già detto a Win...Win...", feci io, non riuscivo a ricordare il nome. "Winona. L'hai incontrata?", domandó lui. "Si, prima", confermai io. "Va bene... Dicevamo... Perché?", si avvicinó a dove stavamo noi spostandosi sulla parte destra del divano. Avevo i suoi occhi completamente fissi su di me, il che non era positivo perché se avessi incrociato di nuovo il suo sguardo mi sarei bloccata nuovamente. Tenni perció lo sguardo basso, ma lui mi costrinse a guardar avanti, alzandomi il viso ponendo la mano sotto al mio mento. "Tortura psicologica", pensai. "Allora, perché?", incalzó. Ciao a tutti, spero che la mia fan fiction vi stia piacendo, magari fatemelo sapere con delle recensioni ;)

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Mi aveva chiesto il perché avessi tentato di afferrare quel quadro, e io gli avevo risposto che non sopportavo le ingiustizie e anche che quello era un vero e proprio crimine e io seguivo la legge. Dopo circa 20 minuti di botta e risposta illimitato, l'interrogatorio si fermò e lui si alzò dal divanetto. "Non dovevi agire in quel modo", fece poi. "Sono sicura delle mie azioni", dissi io. "Tu la pensi come me, vero, Francis?", chiese al biondino, che era riverso, come al solito, sulla scrivania. Alzó lo sguardo e annuì. Brutto traditore. "Oh, beh, che ti aspettavi, lui ci lavora qui! Se avesse risposto che la pensava come me lo avrebbero sbattuto fuori", pensai, scuotendo la testa. "E tu?", rivolse lo sguardo il "capo", verso Sarah. "Io cosa?", chiese lei. "Cosa hai fatto in tutto questo?", domandó lui. "Niente, ho seguito Julia, io la penso come lei.", rispose semplicemente la mia amica. "Se la vedete a questa maniera credo che starete per molto tempo laggiù, nei sotterranei. A proposito, come vi siete liberate?", fece. "Con una semplice forcina per i capelli. Per essere un'organizzazione famosa non siete molto attrezzati in quanto a sistemi di sicurezza.", gli strizzai l'occhio. Contrasse lo sguardo, e gli occhi gli diventarono ancora più sottili. "Vi terró nella camera al primo piano.", affermó poi, dopo qualche secondo che ci ebbe fissato. "Quindi qui?", chiesi. "No, al piano superiore, dov'è stata la tua amica oggi", si intromise Francis. Noi annuimmo, e ci alzammo dal divanetto. Proprio in quel momento entró Winona, la ragazza che mi aveva provocato ormai un'ora prima e che già non sopportavo. "Johnny", esclamó lei, correndo incontro a lui, "ti cercavo". Dunque era quello il suo nome. "Dimmi tutto", disse lui, lasciandole un bacio all'angolo delle labbra. Erano, dunque, fidanzati, o amanti o anche semplicemente scopamici. Niente di che. "Ho bisogno di te per alcune cose", disse lei, con un fil di voce, ma che tutti sentimmo. "Ho capito, arrivo subito", fece lui, uno sguardo quasi malizioso. "Francis, accompagnale nelle stanze", ebbe il tempo di dire, prima che Winona lo trascinasse nuovamente come aveva fatto precedentemente. "Dove vanno?", chiesi io a Francis, anche se non era esattamente la domanda da fare perché immaginavo dove sarebbero andati. "Non lo so", rispose lui, ma sorrise. Si vedeva che lo pensava anche lui. Mi avviai verso la porta, con Sarah al seguito, Francis venne con noi e ci precedette, iniziando a salire una rampa di scale sulla sinistra. Al primo piano c'era un lungo corridoio, pieno di stanze, dalle quali faceva capolino tanta gente, e appena sulla destra c'era una porta con su scritto J. Depp, mentre sull'altra vicino vi era scritto W. Ryder, doveva essere lei. Noi entrammo in una camera, la 49, grande, spaziosa, con un televisore gigante e due letti altrettanto grandi. Ringraziammo Francis per averci accompagnato e ci stendemmo sui letti. Fu allora che ci accorgemmo di avere ancora i vestiti della mattina, che ormai erano pieni di polvere, grazie ai sotterranei e a tutto ciò che avevamo passato. Aprimmo l'armadio, ma non c'era niente. "Andiamo a chiedere a Johnny", dissi io, curiosa di bussare alla sua porta, ma al tempo stesso spaventata, e se l'avessi trovato con Winona? "Se lo trovo con lei ovviamente non mi apre", pensavo. Male che vada rimarremo a bocca asciutta. Spiegai a Sarah ciò che avevo intenzione di fare e uscimmo in corridoio. Eravamo davanti alla sua porta, in legno. Bussai. Ciao ragazzi, spero che questa storia vi stia piacendo. Questi primi capitoli forse non sono interessantissimi, ma vi assicuro che la narrazione prenderà diversi andamenti che spero non deludano! Fatemi sapere cosa ne pensate per ora con delle recensioni :)

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Bussai alla porta. Nessuno rispose. Forse non c'era nessuno, effettivamente. O forse era troppo impegnato. Suvvia, mi servivano solo dei vestiti! Speravo che si scomodasse e venisse ad aprire dicendomi dove avrei potuto trovare qualcosa di decente. Continuai a bussare ininterrottamente, doveva aprire quella porta. Proprio quando stavo per andarmene sentii la sua voce, ovattata dalla porta chiusa, gridare: "Arrivo!" Dopo pochi secondi la porta si aprì dall'interno, rivelando metà stanza, dalla quale si intravedevano una televisione grande più della nostra, una parte del letto a due piazze, sfatto ovviamente, una scrivania e una pila di vestiti sul pavimento e un po' dappertutto. "È qui che tieni la roba di tutti?", scherzai io. "Che roba intendi?", rispose un Johnny alquanto spettinato, alludendo probabilmente all' "altra roba", la droga. "I vestiti", dissi io, indicando tutto il vestiario, ovunque. "Non proprio, ma si, diciamo che hanno scambiato la mia camera per un deposito!", fece, mantenendo la porta socchiusa e uscendo in corridoio. "Cosa volete?", ci squadró poi. "Indovina un po'", dissi io. "Non mi piacciono gli indovinelli", mi spiegó lui composto, la mano sulla maniglia della stanza. "Ci servirebbero dei vestiti", parló per me la mia amica. "Di che genere?", domandó lui, buttando un occhio nella camera. "Vorrei poter scegliere", dissi io, indicandogli la porta, ma lui scosse la testa. "Non potete entrare ovunque, soprattutto in camera mia. Vi procurerò io qualcosa, se proprio è necessario." Sollevai un lembo della mia maglia, sporco della polvere dei sotterranei e glielo misi sotto gli occhi, poi gli indicai anche lo strappo che si erano procurati i miei jeans, quando Francis mi aveva tirato lì sotto. "Ti sembra inutile o necessario?", gli chiesi. "Si vede che non hai ben chiaro il concetto di necessario" rispose lui, poi aggiunse: "Comunque sia, aspettate un attimo", si chiuse la porta alle spalle. Per quale motivo non potevamo entrare? Winona, doveva esserci quella ragazza. Probabilmente era nuda sotto le coperte e perciò impresentabile, ecco perché. Lui era venuto ad aprire con dei jeans neri con qualche strappo qua e là e la t shirt Bordeaux, ma aveva tutta l'aria di uno che si era appena rivestito. I suoi capelli non erano per nulla ordinati, ma dopotutto non lo erano mai stati, da quando lo avevo visto, erano sempre stati confusi. Appoggiai l'orecchio sulla porta di legno per cercare di captare qualche parola che mi potesse far capire che ci fosse qualcun altro nella stanza. "Jo", sentii una voce, probabilmente quella di Winona, ma non riuscivo a riconoscerla esattamente. "Dove vai?", diceva poi. "Vado a dare i vestiti a quelle due", rispose lui. Quelle due, che maleducato. Sicuramente non si ricordava neanche il mio nome. "Torno subito", disse ancora lui. In quel momento aprì la porta, e mi rimproverai di non avervi tolto subito l'orecchio, poiché lui mi scovó appoggiata lì, intenta ad origliare la sua vita privata. Mi squadró. Ma cosa, mi squadrava sempre. "Che cosa stavi facendo?", assunse un tono severo, che cercava di farsi riuscire, fallendo miseramente. Anche se la sua voce era profonda non era portato per quel tipo di tono autoritario e austero, la sua era solo una montatura. "Niente", risposi semplicemente io. "Se ho detto che non potete entrare non potete farlo, inutile che cerchi di sentir qualcosa.", fece, porgendomi una pila di vestiti, che, a prima vista, mi sembravano carini. "Grazie", risposi, fredda. Non mi andava giù che ci avesse chiamato "quelle là" con quella sottospecie della sua ragazza, sempre se davvero lo era, perché mi sembrava più un inciucio che una seria relazione. "Per la cronaca, io mi chiamo Julia e lei Sarah, quelle là non deve esistere.", esclamai perciò io, girandomi e andandomene. "Per la cronaca, conosco troppa gente per ricordarmi tutti i nomi, Julia", gridó lui, ma noi eravamo già lontane, mi aveva irritata, e non poco. E poi quella risposta strafottente, non ci voleva proprio. Giusto per girar meglio il tutto. Rientrammo in camera, andai dritta verso il letto stendendomici sopra. "Ti ha fatta arrabbiare, eh?", mi chiese Sarah. "Arrabbiata è un po' esagerato... Diciamo piuttosto irritata.", feci io. "Effettivamente si, non è molto educato", notó lei. "Non è questo il problema...anche però.", dissi io. "E quale allora?", domandó. "Tutta questa riservatezza, volevo solo scegliere quei vestiti", spiegai io. "Evidentemente c'era qualcosa che non potevamo vedere", disse lei. "Come la sua ragazza priva di vestiario nel suo letto.", osservai io, sorridendo. "Winona?", fece Sarah. "Esattamente, ricordi quando è entrata prima e ha detto di aver bisogno di lui per alcune cose?", commentai io. "Bisogno fisico, a quanto pare." disse lei. "Chissà com'è lui, su quell'aspetto" pensai ad alta voce io. "Provare per sapere", rise Sarah, ma io la guardai con disapprovazione: "Ma dai, non potrei affatto, mi sta davvero troppo antipatico e il suo atteggiamento non mi piace, non lo porterei a letto manco se me lo imponessero", le chiarì. Mi dispiaceva un po' essere stata così crudele con lui, ma il bello è che ero del tutto convinta di ciò che dicevo.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Ero sul letto, stesa, a leggere un libro che avevo trovato sul comodino, "Le notti bianche". Chi mai poteva essere stato prima di me in quella stanza? Sicuramente tanta altra gente, l'edificio in cui mi trovavo sembrava un grande albergo, con tutte quelle stanze e quelle scale. Invece, a quanto mi era stato spiegato, quella in cui mi trovavo era la sede di un'organizzazione di livello mondiale, l'ASDAR. Non avevo capito nello specifico di cosa si occupassero e avevo dimenticato le parole di Johnny... In ogni caso, avevano rubato uno dei quadri più famosi di New York e ci avevano sottratto da una delle gite più belle mai fatte. Non sapevo neanche dove fosse il cellulare, forse mi era caduto nell'inseguimento, forse me lo avevano sfilato loro dalla tasca per impedirmi di essere rintracciata... Fatto sta che decisi di chiedere informazioni quando qualcuno sarebbe venuto, perché quando hai un iPhone non è proprio facile comprarne un altro. "Che fai?", domandai a Sarah, che era girata dal fianco opposto al mio. "Cerco di dormire", disse lei. "Che ore sono?", chiesi io. "Quasi le 9", rispose lei. "Si sono già fatte le 9!", feci, mettendomi a sedere e chiudendo il libro. Mi guardai intorno, poi, alzandomi in piedi, esclamai: "Dobbiamo fare qualcosa!" "Tu e le tue idee di rivoluzione!", fece Sarah, "Non capisci che non possiamo fare niente?" "Prima mi hai detto che oltre a Francis ti ha fatto visita anche Alice...", dissi io, volevo saperne di più. "Si, ma non abbiamo detto granché, si è solo presentata e mi ha detto di lavorare qua...", mi spiegó Sarah. "Di sicuro è più simpatica di Winona", feci io. "Ah sì, questo è sicuro!", rise lei. "Quella ragazza è così montata che mi sembra strano non la chiamino Panna", continuai io, ridendo. "Che scema.", sentenzió Sarah, scuotendo la testa. Sentimmo la porta aprirsi. Speravo con tutto il cuore che non fosse Johnny, perché ero ancora arrabbiata con lui, ma quando vidi sulla porta Francis non potei fare a meno di sentirmi delusa. "Vi ho portato la cena", disse lui, venendo avanti con due hot dog e delle patatine. "E tu cosa mangi?", chiesi io. "Andró alla festa di Diana...", rispose lui, fissandomi. "Dov'è?", si informó Sarah. "Qui nell'edificio, ha invitato alcune persone che lavorano qui", spiegó Francis. Io annuii e lo congedai: "Puoi andare, Fra, grazie mille per la cena!" Aprii l'armadio dove avevo messo i vestiti ed esclamai: "Dobbiamo andare a quella festa!". "Tu sei ufficialmente pazza, non possiamo! Non siamo invitate! Nessuno ci conosce. Non ci faranno passare!", fece Sarah, scuotendo la testa con sguardo di disapprovazione. "Potremmo sempre dire che siamo amiche di Johnny", dissi io, come fosse la cosa più naturale del mondo. "Si, dopodichè incontriamo lui, si scopre che era bugia e ci sbatte fuori.", disse lei. "Fidati di me, ci coprirà se non vuole finir male.", sentenziai io. "Non ha certo paura di te!", rise lei. "Un po' di sicuro si!", le strizzai l'occhio io, anche se sapevo che era sicuramente falso. Tuttavia, era l'unico modo per convincere Sarah ad andare a quella festa. Dopo una mezz'oretta eravamo pronte, aprii la porta e misi fuori la testa, per controllare che non ci fosse traccia nè di Winona, nè di Johnny. C'erano altre persone, ma dopotutto non ci conoscevano, potevano pensare finanche che fossimo ospiti. La stanza di Depp era chiusa e dall'interno non provenivano rumori. Via libera. Chiami Sarah e ci avviammo lungo il corridoio, per poi scendere la rampa di scale che ci avrebbe portato a piano terra. Non sapevamo dove fosse la festa, perciò cominciammo a ispezionare tutti i corridoi, fino a che non vedemmo una porta con su scritto: For the Garden, e qualcuno, accanto, ci aveva messo un fiocco blu con una candelina attaccata sopra. Doveva essere lì. Aprimmo la porta e ci incamminammo per uno stretto corridoio. A un certo punto sbucammo in un enorme giardino, con un prato stupendo e grandissimo. Il soffitto non era il cielo, bensì una cupola di vetro dalla quale entrava soffusa la luce della luna. A 10 passi da noi c'era un omone più largo che lungo, che aveva in mano una lista... Al di là dell'uomo si vedeva la gente che già festeggiava, vestita casual ed elegante, o, guardando alcuni, addirittura sportiva. Non riuscivo a vedere Johnny e nemmeno Winona. Comunque, andammo verso l'uomo, che ci fissó con aria di superficialità. "Non vi ho mai viste qui", esordì. "Siamo arrivate oggi, siamo ospiti del signor Depp", recitai io. "Capisco...Poi mi direte i vostri nomi...." disse lui. Alzó quindi il nastro che ci divideva dal prato e ci fece passare. "Visto? È stato facilissimo!", esclamai io, battendo un cinque con Sarah. "Avevi ragione, ma...ora che ci vedrà Johnny?", domandó lei, con la sua solita ansia. "Ti sembra ci sia?", feci io, guardandomi per l'ennesima volta intorno. "No", rispose lei. "E allora? Ci divertiremo finché non arriva!", le spiegai io, sorridendo. "Se arriva!", fece lei. "Arriverà.", risposi io. Insomma, il vice capo dell'agenzia non doveva presentarsi alla festa di una delle sue impiegate? Doveva per forza. "Andiamo a conoscere la festeggiata", dissi io. Non fu difficile capire quale fosse, perché era assiepata da molta gente, alla quale ci aggiungemmo noi. Dopo un tempo che mi parve interminabile riuscimmo ad arrivare alla ragazza e farle gli auguri. Lei si mostró all'inizio freddina, ma dopo che le ebbi spiegato che eravamo ospiti di Johnny, ci accolse con calore anche lei e ci fece un mucchio di domande, alle quali noi, prontamente, rispondemmo con le più assurde bugie. Del tipo: "Siete amiche di vecchia data con lui?", e io: "Sisi, fin dai tempi delle elementari!", e lei: "Eppure sembrate più giovani!", e io:"Eh già, ma abbiamo la stessa età!", ridendo. Quando finimmo la chiacchierata con Diana, ci spostammo verso il tavolo del Buffet, avevo davvero molta fame... "Non oso immaginare cosa succederà quando l'intera festa scoprirà che non siamo suoi ospiti...", fece Sarah, mangiandosi le unghie frettolosamente. Le schiaffeggiai la mano: "Suvvia, non essere ansiosa! Andrà come andrà", e mi misi a ridere. Ma tuttavia tanto tranquilla non lo ero neppure io e quel punto sperai che non arrivasse mai. Ma giusto un po'. Spostai a un tratto lo sguardo verso l'omone e vidi delle ombre alla fine del corridoio che ci aveva condotte ormai un'ora prima al giardino...

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Con orrore constatai fossero Johnny e Winona, che venivano avanti a passo svelto. Si imbatterono nell'uomo, che fece un veloce baciamano a lei e strinse la mano a lui, dandogli una pacca sulla spalla. "Sarah, sono arrivati", le dissi io velocemente, dopodichè mi misi a correre verso un albero dal tronco largo e lei mi seguì. Da lì nessuno ci avrebbe viste, era alla fine del giardino, inoltre potevamo osservare tutto. Ma prima o poi saremmo dovute venire allo scoperto... Osservai la gente andare verso la coppia,stringere abbracci e scambiare qualche parola. Perché non potevo essere anch'io una delle semplici invitate? Perché dovevo nascondermi, santo Dio. Lui guardò verso di noi, ma non poteva vederci, solo io potevo vederlo sporgendomi appena dalla parte destra. Aveva i pantaloni neri, camicia bianca e giacca nera, rigorosamente sbottonata. Le scarpe non riuscivo a distinguerle... Invece riuscivo a scorgere bene la collanina che portava sempre al collo posata sul petto che il colletto della camicia aperto lasciava intravedere. Insomma, faceva la sua magra figura, nulla più. Lei invece aveva un abito nero scollato e ritenetti che il suo abbigliamento fosse un po' troppo elegante rispetto a quello di lui, ma dettagli. Dopotutto non sopportavo Winona e ogni cosa mi sembrava un motivo valido per criticarla. Me ne stetti ancora un po' a fissarli, poi decisi che non potevo continuare così, tanto valeva farsi scoprire subito e dire la verità. Così uscii allo scoperto, con Sarah accanto, che seppur un po' ansiosa, mi seguì. Andai verso di lui, tanto valeva affrontarlo subito, sebbene avessi non poco terrore. Ci notó quasi subito e venne verso di noi: "Cosa ci fate qui?", ci interrogó incenerendoci con lo sguardo. Ma io non avevo più paura. "Volevamo fare qualcosa di più adeguato piuttosto che starcene in quella camera", risposi. "Bene, potevate venire a chiedermi il permesso, non siete giustificate" ribattè, incrociando le braccia. "Avresti detto di sì?", risi io. "Certo che no", disse lui, tirando fuori di tasca un pacchetto di Lucky Strike. Fa che non si metta a fumare, mi dissi nella mente, sarebbe stato troppo. Già il suo sguardo e i suoi capelli allietavano abbastanza la mia vista. Dovete sapere che quando una ragazza dice "abbastanza" significa sicuramente un po' di più. Estrasse quindi la sigaretta dal pacchetto, la portó con due dita alla punta delle labbra e la accese. "Beh?", incalzó lui, "Che pensate di fare?", un tiro di sigaretta. Distolsi lo sguardo. "Dovremmo andarcene?", domandó Sarah. "No, restiamo qua.", dissi io. "Come sarebbe a dire?", fece lui. "Restiamo qua.", calcai bene su ogni sillaba. "Non potete assolutamente.", disse lui, afferrandomi per un braccio e trascinandomi all'ingresso, "È nelle stanze che dovete stare". "Senti, mi sono letteralmente stancata di stare rinchiusa qui, ci avete sottratto dalla migliore gita di sempre!", ribattei io. Lui aspiró per l'ennesima volta il fumo dalla sigaretta. "Va bene, restate qua.", fece lui, quasi sconfitto. "Tanto non siamo gradite", dissi io, abbassando lo sguardo. "Sei intelligente", rise lui. "Non ci perdo davvero niente a dire qualcosa di poco carino nei tuoi confronti", lo guardai dritto nel cioccolato intenso dei suoi occhi. "Ma non lo farai perché risponderei qualcosa di molto più pesante, Julia.", disse lui, poi se ne andó, verso gli altri, che erano rimasti estranei alla nostra chiacchierata, tranne Winona che ci stava osservando, o meglio, mi stava osservando, come se fossi un mostro. "Non è molto gentile...", mi fece notare Sarah. "L'ho notato, ma non è assolutamente nessuno", feci io. "Si, tranne il vice di un'agenzia di importanza mondiale", rise lei. "Quanti anni ha, secondo te?", domandai io. "Secondo quello che abbiamo detto alla festeggiata, l'età nostra", rispose lei, continuando a ridere. "Io credo abbia massimo 26, 27 anni...", dissi. "È molto ...", inizió Sarah. "È decente" completai io la frase. "Ma resta comunque uno stronzo", aggiunsi, scuotendo la testa. "Comunque io credo non sia solo decente...", continuó Sarah. "Non esageriamo, adesso.", la bloccai io. Ma, come ho detto prima, sapevo giá che era riuscito ad attirare troppo la mia attenzione cosicchè da diventare per me qualcosa, qualcosa in più di...ehm, decente. Era da dirselo, il "signor Depp" era veramente una persona... chiamiamola interessante. Mentre pensavo queste cose Diana venne verso di noi ed esclamó: "Ehi ragazze, venite a ballare?" "Si", rispose subito Sarah. Ero una schiappa nel ballo, ma qualunque occasione era da sfruttare per osservare meglio lui e Winona. Ma non erano in pista, erano al buffet, dove lui continuava a fumare e beveva nel contempo e lei gli era vicino facendo più o meno le medesime cose... Volevo avvicinarmi. Mossi qualche passo e ...

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Mentre mi avvicinavo a Johnny e Winona, Francis mi sbarró la strada. "Che ci fai qui?", domandó, la faccia spaventata. "Niente, sono venuta anch'io alla festa", risposi con naturalezza. "Se Johnny ti vede sono guai", si affrettó a dirmi lui, non sapendo che mi aveva già visto e sapeva bene che ero alla festa. "Mi ha già vista", dissi quindi io, rassicurandolo. "E?", chiese lui. "Si è un po' arrabbiato, ma niente di che", feci io. "Te la farà pagare una volta finita la festa, fidati. O se non te la farà pagare lui, lo farà Winona.", mi spiegó Francis, con tono preoccupato. "Perché mai dovrebbe farlo lei?", mi informai. "Perché è come se lei fossa l'ombra di lui. Qualunque cosa di cui lui non riesce a occuparsi, la fa lei.", fece lui. "Quindi anche lei è vice, in un certo senso.", riflettei io. "Si", annuì lui. "Ma loro due ...", iniziai a dire io, poi mi bloccai non volevo essere indiscreta. "Se stanno insieme?", fece lui. "Si", feci io. "In teoria no", rispose Francis. "Come no?", esclamai io, sorpresa. "Non hanno mai annunciato di esserlo", mi spiegó lui, a bassa voce. "E perché sono sempre insieme e si danno baci in pubblico?", osservai io. "Allora, io e Alice abbiamo elaborato una teoria... Ma la storia è lunga...", disse lui. "Non importa, la voglio sapere", gli chiarii io. "Andiamo a sederci lì e te la racconto", mi indicó il tavolino. Ci sedemmo, e io feci cenno a Sarah di venirsi a sedere con noi. "Devi sapere che", cominció a raccontare lui, "che Johnny aveva una fidanzata, Vanessa, che amava davvero e tanto. Io non l'ho mai conosciuta, ma Alice si, poiché sono qui da poco. Fino a 5 anni fa lui e Vanessa erano felici e si vociferava stessero per sposarsi. Un giorno però Vanessa fu costretta a prendere parte ad una missione dell'ASDAR, molto pericolosa. I giorni passavano, ma la gente inviata dalla nostra organizzazione non tornava... Tra questi c'era lei. Mi hanno raccontato che Johnny si è recato sul posto, ma non ha trovato nessuno, probabilmente erano stati rapiti. Nessuno ha fatto sapere più niente, nonostante lui si sia recato lì anche negli anni seguenti. Agli inizi era davvero afflitto, non è cosa da niente...", si fermó Francis. "Poi?", feci io. "Due anni fa ha iniziato a frequentarsi con Winona e da allora non hanno mai smesso di vedersi, ma, come ti ho detto, non hanno mai dichiarato di essere fidanzati. Penso si tratti di una specie di amante per lui, ma, ti ripeto, mi hanno detto fosse molto innamorato di Vanessa, non penso che nel cuore Winona possa prendere il suo posto", concluse lui. Ero rimasta molto sorpresa dal racconto di Francis, non pensavo che Johnny, una persona apparentemente spavalda e arrogante, potesse aver passato una cosa del genere, non si intravedeva dal modo in cui si mostrava, sembrava quasi inscalfibile. Aveva probabilmente sofferto molto, invece. "Mi dispiace", dissi io. "Dispiace a tutti qui... Molti conoscevano Vanessa fin da piccola, perché arrivó qui a 6 anni, fu trovata orfana per strada...", mi spiegó lui. "Winona mi guarda perennemente male...", gli dissi io, indicandola con la coda dell'occhio. "Dev'essere timorosa della presenza di un nuova ragazza. È molto gelosa di lui, ti avverto." "Ne ha tutte le ragioni" pensai, guardando Depp. Francis mi riportó a noi: "Un mesetto fa Kate, una dell'ASDAR, mise in giro la voce di essere andata a letto con Johnny. Winona andó su tutte le furie, lo torturó per giorni, ma lui non confessó mai niente. Sosteneva si trattasse di una bugia inventata dalla ragazza, ma quando lei fu interrogata sembrava molto sicura di sè mentre raccontava l'episodio: Siamo andati in camera sua, mi ha detto che gli piacevo da morire, poi mi ha spinta sul letto, roba di questo genere, lui ha sempre negato, peró." "A quanto pare ora è tornato tutto alla normalità", commentai io. Lui annuii: "Era prevedibile. Non credo che comunque sia un problema per lui perdere lei, potrebbe averne centinaia! A cominciare da voi due!", rise lui. "Se lo sognasse!", esclamai io, ridendo a mia volta. Anche Sarah rise. "Vorresti forse dire che non lo trovi carino?", fece lui. "Assolutamente no, vorrei solamente dire che non si può fare.", chiarii io. Come si poteva dire che non era carino? In un'altra vita forse ci sarei anche andata a letto. Forse. Ma ovviamente in un'altra vita. Mentre facevo questi pensieri incominciai a ridere. "Perché ridi?", mi chiese Sarah. "Niente", continuai a farlo io. Mi alzai dal tavolino e andai verso il tavolo del buffet. Incominciai a riempire il piatto di cose, sembrava tutto squisito. A un certo punto vidi Johnny avvicinarsi a me, con la coda dell'occhio. "Ehi", mi chiamó, ma io feci finta di non sentire, ero girata dalla parte opposta. Probabilmente era solo ubriaco. Sentii una mano posarsi sulla mia spalla e farmi voltare. "Ehi", risposi io, alzando gli occhi quando ebbi constatato fosse sbronzo. "Cosa vuoi da me?", aggiunsi, poiché si era fermato davanti a me fissandomi negli occhi, e io non riuscivo a sopportare quello sguardo a lungo. Erano tremendamente arrossati, ma si vedeva giusto il dovuto, aveva la pupilla dilatata e davvero poca parte bianca. "Tutto e niente" si giró e fece per andarsene. "Aspetta, Johnny", lo afferrai per la manica della camicia. "Quando potremo andarcene di qui?", gli domandai. "Quando noi due avremo scopato", rise lui. Rimasi quasi pietrificata, l'aveva detto davvero? "È solo tremendamente ubriaco" pensai poi, muovendo qualche passo. "Dico sul serio, dovresti vederlo". Aspetta, vederlo, ma quella cosa?! "Ma che coglione", mi misi a ridere. Non la smettevo più. "È divertente", continuó lui. Questo contribuì ovviamente a un aumento progressivo della mia risata. Immaginatevi, lui che sparava quelle minchiate e io che ridevo come una cretina dandogli le spalle. Avevo l'irresistibile desiderio di guardarlo, ma non lo feci. Che scena romantica. Casta di sicuro no. "Ti giuro che lo è, possono assicurtartelo" fece lui. Continuai a ridere senza fermarmi. Mi venne davanti e mi allungó la bottiglia vodka. Scossi la testa, non riuscivo neanche da dirgli di no, le risate erano troppe. Non avrebbe dovuto dire quella roba. Ci ripensai e afferrai la bottiglia dal collo. Bevvi due dita e basta, era graffiante e bruciava lo stomaco. "Si dice grazie", fece lui, la testa bassa sulle scarpe. "Grazie", sorrisi io. In quel momento alzó la testa e i nostri sguardi si trovarono incrociati. Era quello che volevo evitare. Distolsi lo sguardo, bevendo un altro sorso. Senza dire niente, poi, prese la bottiglia, si giró e se ne andó. "Aspetta", lo chiamai io, quella "conversazione" mi stava piacendo da morire. Ma non si giró e continuó a camminare con la testa bassa e la bottiglia inclinata, che versava vodka sull'erba all'inglese. "Che sbadato", pensai io, ridendo. "È simpatico, dai.", disse il mio stupido cuore. "Solo quando è ubriaco", fece notare il cervello. "Non importa", disse ancora il cuore. "Invece si", replicó il cervello. "Zitti, per favore", li zittì lo stomaco, che soffriva per le sorsate di vodka che lo avevano bruciato. Ero felice, tutto sommato, avvisai Sarah e le dissi che volevo tornare in camera, così ci avviammo, dopo aver salutato Francis. Arrivammo in camera e raccontai tutto alla mia amica...

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Eravamo sdraiate sui letti, senza però dormire. Stavamo parlando della festa e io le stavo raccontando cos'era successo con Johnny ridendo mentre ricordavo la scena. "Che ore sono?", chiesi a un certo punto io, che avevo perso il senso del tempo. "Le 2", rispose Sarah, guardando la sveglia sul suo comodino. "Caspita!", esclamai io, coprendomi il viso con la coperta, "Dormiamo!", dissi poi. "No, aspetta aspetta, non hai finito di raccontare!", mi scoprì di nuovo. "Che altro dovrei dirti!", feci io, scocciata per finta. "Come è andata a finire?", domandó lei, con aria pensierosa. "È andata a finire che ho bevuto cinque sorsi di vodka e adesso mi brucia tremendamente lo stomaco!", urlai io. "Julia, mamma, silenzio!", mi rimproveró lei, scuotendo la testa e ridendo. "Comunque com'è andata a finire con lui, intendevo.", aggiunse poi. "Se n'è andato versando tutta la vodka per terra.", le spiegai io. "Ma perché cerchi di evitare quello che ti ha detto nella conversazione?", fece lei, quasi spazientendosi. "Ma che dici!", cercai di liquidarla con un gesto della mano. "Non fare la stupida e ammettilo", disse lei, tentando di guardarmi male, senza risultato. "Okay, okay. Semplicemente perché era ubriaco da far pena, perciò credo che quelle parole non abbiamo un effettivo valore, no?", feci io, con aria superficiale e alzai gli occhi. "C'è sempre un fondo di verità in tutte le cose", cercó di dirmi lei, con un'aria da filosofa che non mi piaceva. "Anche se ci fosse... Sono già fidanzata", le sorrisi io. "Ma che dici! Con chi saresti fidanzata, sentiamo", rise lei. "Lo sono, credimi. Di certo non lo vengo a dire a te!", esclamai io. "Vergognati!", fece lei, e si voltó dall'altra parte, facendo l'offesa. "No, Sarah, stavo scherzando, non sono fidanzata...", dissi io. "E allora?", domandó lei, non ancora soddisfatta. "E allora penso che non siano vere le cose che mi ha detto, e se anche lo fossero, non me ne importerebbe quasi nulla. Sono stati e sono cattivi con noi. Ci hanno rinchiuso qui senza dirci quando potremo andarcene, senza assicurarci nulla!", le spiegai io, cercando di mantenere la calma, che però mi sfuggì. "Quasi nulla, un modo per andarcene l'hanno detto!", scoppió lei a ridere. "Smettila", feci, coprendomi definitivamente con la coperta e dandole la buonanotte. Il giorno dopo mi sveglió un batter di mani. Aprii gli occhi piano e vidi una ragazza bionda, gli occhi leggermente blu, in canotta, shorts e infradito. "Ehy, Alice", esclamó Sarah, che era già in piedi, vestita e pettinata, "Da dove vieni?", aggiunse poi. "Dalla piscina", rispose la presunta Alice, sorridendo. "Hai fatto il bagno?", chiese Sarah. "Si, è una bellissima giornata", rispose lei, venendo verso di me, che ero ancora completamente coperta dal lenzuolo. "Piacere, io sono Alice", e allungó una mano. Io gliela strinsi. "Tu dovresti essere Julia, no?", chiese, e io annuii: "Sono io". "Avete una piscina?" chiesi poi, curiosa. "Si, ma mi dispiace dirti che è solo per il personale...", fece lei, sempre sorridente. "Ti vedo molto felice", le dissi io, osservandola. "Lo so, due minuti fa Johnny mi ha promossa al grado successivo!", mi spiegó lei. "A proposito, lo hai già conosciuto?", aggiunse. Fin troppo bene, avrei voluto rispondere, ma mi trattenni: "Si, è stato lui a portarmi da mangiare quando ero nei sotterranei e poi ci ho parlato in seguito". "Ti ha già detto quanto resterete qui?", domandó lei. "No", rispose per me Sarah. "Di solito Johnny trattiene i prigionieri qui all'ASDAR e li convince a diventare matricole dell'agenzia. Ci serve gente per le nostre missioni, ma anche per amministrare i dati, per gestire scambi con sedi all'estero...", ci spiegó lei. "Come si fa a impedire che ci faccia restare?", domandai io. "Dovreste comportarvi male, non ha molta pazienza e se gli sarete d'impiccio vi caccerà presto, ma siete sicure di volere questo? Qui avreste l'opportunità di rifarvi una vita e impararci qualcosa", rispose lei. "Rifarci una vita in che senso?", chiese Sarah. "Conoscereste nuova gente, girereste il mondo, imparereste nuove cose e soprattutto vedreste tutto sotto un altro punto di vista, sareste alternative.", chiarì lei, fissandoci con i suoi occhioni blu, che sbatteva davvero spesso. "Ma non rivedremmo mai più i nostri amici, i genitori...", disse Sarah, abbassando lo sguardo. "Lo so, è dura. Lo è stato anche per me. Ma vi assicuro che è come entrare a far parte di una nuova famiglia, dove, in un certo senso, sei molto più libera. Sono arrivata qui 7 anni fa, avevo appena 16 anni. Johnny ne aveva comunque solo 19 anni ed era appena al terzo livello. Facemmo subito amicizia e si dimostró un vero amico, tant'è vero che oggi siamo ancora legati come tempo fa. Diventó vicecapo qualche anno dopo, per il coraggio, la personalità, e un mucchio di altri fattori che lo caratterizzavano e ovviamente, caratterizzano ancora oggi.", ci raccontó lei. "Prima però di pensare a cosa fare, dovremmo essere sicure che lui voglia tenerci" dissi io, non convinta. "Penso proprio di sì, se non vi ha mandate via vuol dire che ha qualche pensiero su di voi", fece Alice, lisciandosi una ciocca di capelli, che sembravano molto morbidi. "Ieri vi ho viste alla festa, che ci facevate?", rise lei poi. "Abbiamo voluto dare un'occhiata", risposi io. "Diana è molto simpatica, è da parecchio qui anche lei", disse Alice. "E Winona? L'hai conosciuta?", domandó poi lei. "È stata la prima ragazza che ho visto qui, a dire il vero", dissi io. "Ci hai parlato?", chiese lei. "Non tantissimo", risposi io, pensando all'impressione che mi aveva fatto. "Vedrai, all'inizio potrà sembrarti vanitosa, antipatica, superba, ma ti assicuro che il tutto andrà via col tempo, è una ragazza fantastica, e ha fatto ritornare il sorriso a Johnny, questo per me è quello che conta, siamo amici da troppo tempo e voglio solo che lui stia bene", disse lei, sorridendo. "Francis mi ha raccontato di Vanessa...", le dissi io. "Eh già, se si parla di Johnny non si può non raccontare quella pagina... Se devo dirti la verità preferivo Vanessa a Winona, ma è solo una questione di punti di vista. Ormai è successo quel che è successo.", osservó lei. "Cosa successe a Johnny?", domandó Sarah, e io ne fui felice, perché quella domanda avrei voluto farla io, ma mi vergognavo. "Fu brutto ciò che passó, davvero brutto. Lo mandammo addirittura in riabilitazione per troppo abuso di stupefacenti", spiegó lei, con tono abbattuto. "Mi è parso di capire che non abbia ancora smesso con quella roba", feci io. "Di sicuro no, ma molto meno. Per quanto ricorda l'alcool, è come se fossero migliori amici", rise lei. "Ho notato", feci io, e le raccontai l'episodio della sera prima. Lei se la rise e poi disse: "Quando è sbronzo è davvero senza controllo...". Eravamo sedute sul letto, quando lui in persona comparve sulla porta dicendo: "Non starete parlando di me, vero?" Alice disse: "Ma no, stiamo solo facendo un po' di presentazioni", gli sorrise lei. Lui entró nella stanza e si sedette sulla sedia vicino alla scrivania. "Le ragazze si stavano appunto chiedendo cosa ne sarà di loro", gli spiegó Alice. "Ah, non lo so, non ci ho ancora pensato", fece un Johnny completamente sobrio, molto diverso da quello della sera prima, molto, ma molto più serio e composto. "Pensaci in fretta, non abbiamo tutta la vita", lo esortai io. Mi lanció un'occhiataccia, ma poi sorrise. "Cos'hai da ridere?", gli feci notare io, fintamente seccata. "La tua stessa espressione suscita in me vibrazioni positive", fece lui, schioccando le dita. Era particolarmente idiota quel giorno, ma mi stava trattando molto meglio di quando ero arrivata all'agenzia, la mattina del giorno prima. Mi parlava quasi fossi un'amica. Ero sorpresa. Gli rivolsi uno sguardo di disapprovazione, ma poi sorrisi anch'io. "Cos'hai da ridere?", chiese lui. "Il tuo schiocco di dita suscita in me vibrazioni positive", risposi io, scoppiando a ridere nuovamente. Rise anche lui, poi ci ricomponemmo. "A quanto pare avete già fatto amicizia", constató Alice. "Sinceramente no", disse lui. "Giusto", convenni io. Mi fissó e non poterti fare a meno di fissarlo a mia volta perdendomi ancora nei suoi occhi profondi. Com'era possibile li avesse così espressivi? "Perché mi fissi?", la sua voce mi riportó alla realtà. Arrossii. "Veramente hai iniziato tu", risposi io, agitata. "Non è vero", disse lui, alzando le spalle. "Come vuoi", scossi la testa. Non lo avrei più guardato negli occhi, decisi. "Dunque, ora che ci penso, volevo farvi fare una visita alla struttura, visto che non avete girato granché da quando siete qui", disse poi, la mano sotto al mento, a pensare. Avrei voluto fargli una foto, già. Continuavo a preferire il Johnny ambiguo e malizioso della sera prima, ma anche questa sua versione per certi versi non mi dispiaceva. Sembrava avere un atteggiamento diverso dal nostro arrivo e questo era...Beh, forse era positivo. Si alzó dalla sedia e si avvió verso la porta. Noi ci alzammo e lo seguimmo, Alice compresa.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Girammo un po' dappertutto, per tutti i locali, le sale, i piani di quell'immenso edificio quasi fuori dal mondo. Avevo sentito dire si trovasse in periferia e che nessuno della polizia osava metterci piede, per il sistema di difese che lo circondava. Chissà da quanto tempo esisteva quell'agenzia, chissà chi ne era il vero capo e perché non era in sede. Avrei voluto sapere queste e molte altre cose, ma mi trattenni dal chiederle, non volevo sembrare troppo invadente. Ne avevo tutto il diritto, per carità, però decisi di aspettare. Arrivammo ai piani alti e sbucammo sulla terrazza, grandissima, vuota e larga. "Fate feste anche qui?", domandó Sarah. "Certo che sì", rispose Johnny, "Ogni mese". "Si, per i nuovi arrivati, di solito, o per il solo gusto di stare insieme", convenne Alice. "Dal momento che questo non è un lavoro serio, dovreste essere in festa tutti i giorni..." feci notare io. "Cos'hai detto?", fece lui, fissandomi in modo contorto. "Che non è un lavoro serio?", dissi io, con espressione interrogativa. "Si, proprio quello. Ti posso assicurare che se avessi il mio stesso compito affermeresti che questo è un lavoro serio, perché lo è. Insomma, nessuno si dá più da fare di me in questo posto", alzó le spalle lui, e strizzó l'occhiolino ad Alice che ribattè: "Veramente quella che va più avanti e dietro qui sono io! Gestisco i traffici con l'estero, l'archivio... Tu passi tutto il giorno senza far niente, Jo' ". "Ma se sono sempre in giro, dove hai gli occhi, sempre su Francis?", sghignazzó lui, scoppiando in una risata cattiva. "Quante altre volte dovrò ripetere che non mi piace quel bambino?", fece lei, con aria scocciata. "Senti, non raccontarmi stronzate, si vede da come lo guardi che vorresti far qualcosa con lui", affermó lui, strafottente. "Come tu vorresti far qualcosa con quella ragazza", fece lei, e per un istante temetti si stesse riferendo a me... Lui sbottó: "Lei chi?", "Andiamo, quella del mese scorso", disse Alice, ammiccando. "Non c'è stato niente tra me e Kate", scosse la testa lui. "Ma dai, mi ha raccontato tutto lei! Se sei riuscito a mentire a Winona, non ci riuscirai con me.", fece Alice. "Potremmo non parlarne?", disse lui, alzando le sopracciglia, incrociando le braccia e mettendo il broncio. "Suvvia, so che quando alzi il gomito fai questo tipo di cose, Jo', ci conosciamo da troppo tempo", rise lei. Ripensai alle parole dette alla festa, la sera prima. Ecco, "questo tipo di cose" le diceva, le faceva, ma solo quando non ci stava con la testa, niente di che, niente di più. Lui tacque, torturandosi il labbro coi denti. "Sei un bambino", disse Alice, poi, ridendo ancora. "Non sono un bambino!", gridó lui, facendo una smorfia che mi fece morire. "Un adolescente con gli ormoni a mille a caccia delle prime esperienze sessuali, questo sei!" esclamó lei. "La smetti di provocarmi? La mia reazione potrebbe non essere gradevole.", disse lui, serio, mentre guardava l'orizzonte azzurro con il suo cioccolato scuro. "Mi piace troppo provocarti, sarebbe come chiedermi di smettere di dormire, è un bisogno naturale e non si può negare!", spiegó lei, con aria sfacciata. "Vuoi che ti ritiri dal grado in cui ti ho promossa?", fece lui, alzando un sopracciglio. "Non vale così!", esclamó Alice, ridendo. "Certo che vale", sorrise lui, visibilmente soddisfatto. Quella conversazione mi stava divertendo parecchio, perciò mi lasciai sfuggire una risata. "Non c'è nulla da ridere", fece lei, la faccia imbronciata. "Andiamo a vedere la piscina?", chiese Sarah. Johnny assentì e scendemmo le scale che ci avevano portato alla terrazza. Poi ci avviammo verso un lungo corridoio. Tutta la gente che circolava ci guardava curiosa, probabilmente non sapeva niente di noi. Sbucammo in un grande spazio, sovrastato da un soffitto curvo, simile a quello del giardino della festa. C'erano parecchi ragazzi sui lettini, sotto gli ombrelloni e altrettanti in piscina. Tra i quali Diana, che appena ci vide ci venne incontro: "Chi si rivede!", fece, rivolgendosi a me e Sarah, "Capo", si inchinó ironicamente davanti a Johnny, poi salutó anche Alice con un bacio. "E così queste due ragazze sono tue ospiti?", domandó lei. "Cosa le avete detto per presentarvi alla festa?" ci guardó lui, ridendo. "Ehm...", iniziai io, ma lui ci bloccó: "Non mi interessa, le chiariró io chi siete". "Hanno provato a sabotare la missione al Metropolitain Museum... Le tengo qui da tre giorni circa, e non ho ancora deciso cosa farne", disse quindi, scrutandoci. "Non le terrai come matricole?", chiese lei, quasi sorpresa. "Non ho davvero ancora deciso, in tal caso se sarà così toccherà a loro decidere se restare o meno.", rispose lui, con voce calma. "Capisco, si" disse lei, annuendo. In quel momento arrivó una Winona sorridente al massimo, ma quando ci vide dietro al suo "fidanzato" sul suo volto si fece largo un'espressione di quasi disgusto. "Ehi", la salutó lui, lasciandole il solito bacio all'angolo della bocca. "Cosa ci fanno qui?", sussurró al suo orecchio, ma lo sentii chiaramente. "Ci stavano facendo visitare la struttura", risposi tranquillamente io, per farle chiaramente capire che le sue parole mi erano arrivate comunque. "Capisco, avete finito?", domandó lei, squadrandomi. Stavo davvero cominciando a odiarla. "Non lo so, non so cosa rimanga da vedere", rispose Sarah, alzando le spalle. "Secondo me avete visto tutto", ci fissó lei con espressione indefinita, a metà tra il volerci sfidare e il volerci sgridare. "Credo proprio di no", feci io. "In realtà ci sarebbero le stanze al secondo piano, il cinema, la palestra", disse Alice, guardando Johnny che annuì. "Se vuoi me ne occupo io Jo'", fece Winona. "Non preoccuparti, oggi non ho grandi impegni, posso farlo io. Grazie lo stesso Win, se per te va bene ci vediamo a pranzo", le strizzó l'occhio. Lei non sembrava del tutto soddisfatta, era evidente volesse allontanarlo da noi, e non ci era riuscita, comunque rispose: "Certo Jo', al solito posto", lo bació di nuovo e scappó via, tuffandosi in piscina. "Scusatela, è...", inizió lui, "Gelosa?", fece Alice, ridendo. "Si", ammise lui, scrollando le spalle. "Mi pare lo sia troppo", feci notare io, anche se quell'osservazione mi costó un'occhiataccia da parte sua. "Julia ha ragione", convenne Alice, "Sono tua amica da tanto tempo e non c'è mai stato niente tra di noi, dovrebbe ormai saperlo", continuó. "Che sia gelosa di Julia e Sarah?", fece poi, guardandolo. Johnny si limitó ad annuire distrattamente, ma non rispose e ci guidó ancora una volta per quel corridoio, fino a quando non incontrammo una rampa di scale e la salimmo, arrivando al secondo piano. "Questo è il cinema", disse, con voce chiara, facendoci entrare in una stanza scura nella quale c'era una proiezione e una ventina di persone sedute alle poltroncine. Ci guardammo intorno senza fiatare, non volevamo disturbare. Una volta in corridoio gli domandai: "Avete proprio di tutto qui, eh?". Lui fece cenno di si: "È una vera e propria casa". Ci guardammo senza dire nulla. "Volete restare qui?", ruppe il silenzio Alice. "Alice!", la rimproveró Johnny, "solo e solamente io deciderò se potranno restare, ammesso che lo vogliano". "Stavo chiedendo appunto quello, capitano", disse lei. Lui si rivolse a noi: "Vi piacerebbe?", ci chiese. "Non saprei", rispose Sarah, arrotolandosi una ciocca di capelli. Lo sguardo di Johnny si spostó su di me, perforandomi. Capii che era il mio turno. Guardai i suoi capelli, spettinati e confusi come sempre, poi le sue mani, le sue vene in tensione. Poi mi spostai ancora sui suoi occhi e senza pensarci risposi di sì. "Si?", mi riportó alla realtà la sua voce. "Penso proprio di sì. La mia vita è assolutamente troppo normale", feci io, abbassando lo sguardo. "In ogni caso non ho ancora deciso. Siete troppo ribelli per i miei gusti, soprattutto tu", mi indicó con un cenno del capo che io ricambiai con un sorriso divertito. "Ma Jo', anche tu lo sei", disse Alice, "Chiediamolo a Kate", fece poi, ridendo. "Ehi, vieni qui Alice", la chiamó Johnny vicino a sè. Si mise la mano nella tasca dei jeans. "Ho qualcosa per te!", esclamó, sorridendo come un bambino. "Che cosa?", chiese lei, sorpresa. Lui le mostró il dito medio. "Questo!", scoppió a ridere lui. Lei si finse triste: "Ma perchè?", domandó, la testa bassa, lo sguardo sulle scarpe. "Suvvia, non fai altro che ripetere quella scappatella!", sbottó lui. "Ma mi fa troppo ridere, soprattutto il racconto di Kate", fece lei. "Cosa ti ha raccontato?", incalzai io, che mi stavo divertendo. "Era ubriaco", si fermó, "poco o tanto?", chiese a lui. "Tanto, cazzo. Se mi ubriaco lo faccio per bene" disse lui, con espressione scocciata. "Ha visto questa ragazza alla festa quella sera, Winona lo avevo perso di vista, e lui l'ha portata in camera sua, e poi... Insomma, ti lascio immaginare", disse Alice, ridendo. "E lei non si è opposta?", chiesi io. Non l'avrei fatto neanch'io, ma dettagli. "Sono domande da farsi?", fece Alice. Io risi. "No, non si è opposta, se non ricordo male, ma non ricordo quasi niente della cosa in sè", disse lui, arrossendo leggermente, una mano ad accarezzare il mento, coperto da un sottile strato di barba. Non l'avevo mai visto arrossire, era stranamente tenero. In quel momento ricevette una chiamata: "Si sì, Win, è ora di pranzo, ora scendo, lo so". Chiuse la chiamata e si avvió verso le scale dicendo: "Ci vediamo in giro". Peccato se ne debba andare, pensai, da Winona, oltretutto. Io, Alice e Sarah ci ritirammo nella nostra camera e mangiammo Hotdogs e patatine, che Francis portó. Tutti e 4 insieme, anche il biondino, che era stato promosso anch'egli al grado superiore e sul volto gli si leggeva felicitá. Comunque detti ragione a Johnny, era evidente che ad Alice piacesse Francis.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Nel pomeriggio non avevamo idea di cosa fare. Alice e Francis se n'erano andati dopo pranzo e di Johnny non c'era traccia. Probabilmente era ancora con Winona o era impiegato in una delle sue mille faccende. Comunque... Mi stesi sul letto a pensare. Quando Johnny ci aveva chiesto se ci sarebbe piaciuto restare io avevo risposto di sì senza esitare, ma adesso non ne ero più così tanto sicura. Cosa avrebbero detto i miei genitori non vedendomi tornare? Non sapevo dove fosse finito il mio cellulare, chissà quante volte mi avevano già chiamata e io non avevo risposto... Di sicuro erano già più che preoccupati. Dovevo dire a Johnny che non sarei potuta restare. L'idea di farmi una vita diversa, nuova, avventurosa mi entusiasmava parecchio, ma i miei genitori avrebbero inviato la polizia a cercarmi e per l'agenzia sarebbe costato parecchio e io di certo non volevo che passasse dei guai. In fondo le persone al suo interno non erano cattive, non mi avevano trattata male. Forse si, ma solo all'inizio. Ero combattuta dalla voglia di restare e da quello che però era giusto, andarmene. "Tu cosa vuoi fare?",chiesi a Sarah, che leggeva una rivista. "Ti confesso, Giù, che mi piacerebbe molto restare", fece una pausa, "ma penso troppo alle conseguenze". "Anche io", convenni. "Ma sai... Io penso che dovremmo fare quello che vogliamo.", dissi poi. "Siamo sicure di fare una cosa buona restando qui?", consideró lei. "Non lo so, non lo so. Ma se ci hanno proposto di restare... Senti, io non credo che andrà male. Ci terranno come matricole, a quanto ho sentito, ma almeno sarà più bello della nostra vita normale, monotona e assolutamente noiosa.", risposi io. "Intanto Johnny ha detto che deve ancora decidere. Sono secoli che dice così.", fece Sarah. "Speriamo che dica di sì, perché ormai mi sono convinta a restare.", chiusi io il discorso, sorridendo. "Se lo dici tu", disse lei, e per la prima volta mi sembró quasi convinta. Dormimmo un po' e ci svegliammo con il solito battito di mani di Alice. "Ragazze, c'è la festa di Spancer stasera. Johnny mi ha chiesto di chiedervi se voleste partecipare", spiegó lei. "Caspita, ma qui c'è una festa al giorno", feci io, tirandomi su. "In tal caso, ci saremo", aggiunsi poi. "Per che ora?", chiese Sarah. "Alle 22:00 in terrazza", rispose lei, aggiustandosi una ciocca di capelli. "Va bene, va bene", rispose lei. "Ci vediamo dopo, allora", ci strizzó l'occhio e se ne andò. "Se si fa questo tutte le sere io qui ci resto eccome", risi io, cominciando a scegliere tra i vestiti che ci aveva dato Johnny il giorno prima. Ne scelsi uno nero, smanicato, che stringeva alla vita e ricadeva sulle cosce abbastanza comodo. Sarah ne prese uno di vari colori, che le stava benissimo, e poi scegliemmo entrambe delle ballerine. "Va bene così", dissi io, aggiustandomi i capelli a dovere. Anche lei fece lo stesso e ci avviammo per i corridoi. Il tempo era passato abbastanza in fretta, erano già le 21:45. Salimmo le varie scale fino alla terrazza e ci sbucammo. La solita guardia, buttafuori, o come lo volete chiamare, era all'ingresso. "Julia e Sarah, siamo state invitate dal signor Depp", dissi io. "Me lo ha già comunicato. Prego, buona serata", alzó il nappo e ci fece passare. C'erano decisamente più persone rispetto alla festa di Diana. Spancer doveva essere il ragazzo accanto ad Alice, che gli stava dando gli auguri in quel momento. Ci avvicinammo a loro lentamente. "Ciao ragazze", ci salutó Alice, allegra come sempre, "Lui è Spancer", aggiunse, indicandolo. Il ragazzo sorrise. Era alto, molto più di Johnny, aveva un sorriso davvero luminoso, folti capelli neri e due occhi azzurri. Gli demmo gli auguri e scambiammo qualche parola con lui. Era simpatico e anche carino. Poteva diventare un buon amico. Anche Francis arrivó e gli diede gli auguri, poi si rivolse a noi: "Siete splendide signorine", sorrise. "Mai quanto te", risposi io. "Ovviamente scherza", chiarì Sarah, ridendo. Lui fece finta di rabbuiarsi e Sarah continuó a ridere. Lui si riavvió i capelli con una mano, ma non assumevano una forma composta. "Cosa accidenti devo fare con questi capelli!", esclamó, arrabbiato. "Non sono normali", risi io, osservandoli. "Grazie per avermelo ricordato", fece lui, scocciato. "Suvvia, dai, un po' di gel e il gioco è fatto", disse Sarah. Lui annuì poco convinto e ci salutó, avviandosi verso la parte opposta della terrazza. Johnny come al solito non era ancora arrivato. Se cercava di farsi desiderare ci stava riuscendo... Quando lo vedemmo finalmente arrivare fumando una sigaretta era da solo e aveva una brutta cera, strinse la mano alla guardia battendogli una pacca sulla spalla e oltrepassó il nappo. "Perché non c'è Winona?", chiesa Sarah, perplessa quanto me. "Non lo so", risposi io. Lo seguì con lo sguardo mentre andava a dare gli auguri a Spancer, abbracciandolo. Mi avvicinai abbastanza da sentire le parole. "Auguri Span", disse lui, spostando la sigaretta nell'altra mano e dandogli un abbraccio. "Grazie mille Jo'", rispose lui, ricambiando l'abbraccio. "Non ti vedo molto in forma, amico mio", disse poi. "Tu invece sei sempre impeccabile", sorrise quasi tristemente il vicecapo. Non lo vedevo dall'ora di pranzo e non mi era sembrato così abbattuto. Doveva essere successo qualcosa dopo. Dopo aver fatto gli auguri a Spancer, si diresse verso di noi. Fu allora che mi accorsi delle sue occhiaie tremende. "Che cosa è successo?", mi venne spontaneo domandare. "Niente di estremamente grave", rispose lui, un tiro di sigaretta. Gli occhi erano due perle scure, ancora più grandi dal momento che era triste e sembrava quasi la pupilla si fosse dilatata. "Ma come, non sembri più tu", fece Sarah, scuotendo la testa. "Succede anche ai migliori", fece lui, alzando lo sguardo, e fissandoci spavaldamente. "Molto modesto", sorrisi io e inaspettatemente lui ricambiò. "Vuoi dirmi cosa è successo?", spuntó a un tratto Alice dietro di noi. "Niente Alis, solo una birra di troppo", rispose lui. "Non ci credo Jo, se fosse stato quello avresti cominciato a sparare cazzate una dopo l'altra e ti saresti messo a ridere di gusto", fece lei, guardandolo negli occhi. Non voleva lasciarsi scappare la verità. "Faró questo fra poco, no?" sentenzió lui. "Con permesso", aggiunse, facendo un ironico inchino e allontanandosi da noi. "Che cosa gli prende?", feci io, era quasi un pensiero ad alta voce. "Secondo me ha litigato con lei", disse Francis ad Alice in tono confidenziale. "Winona?", chiesi. "Può essere", riflettè Alice. "Adesso vado a parlargli", aggiunse poi. "Vengo con te", dissi spontaneamente, perché mi interessava sapere come si sarebbe evolta la faccenda. Johnny era seduto a un tavolino e stava bevendo un amaro, penso, da quello che vidi. "Cosa ci fai qua tutto solo?", gli mise le mani sulle spalle Alice. "Lasciami in pace", disse con voce calma il ragazzo che vendeva perle al cioccolato. "Johnny, Johnny, non me la racconti giusta!", continuó lei. "Perché devi venire a rompermi il cazzo? Me ne stavo qui, tranquillo, a bere, e arriva lei.", fece lui, girando la sua sedia dalla parte opposta. "Suvvia, perché ti comporti da bambino? Io e te ci siamo sempre detti tutto", fece Alice, sedendosi anch'ella al tavolo, di fronte a lui. "Non ci sei solo tu", abbassó la voce lui. Ma io sentii benissimo. "Temo di essere di troppo" dissi poi, toccando Alice su una spalla. Lo sguardo di lui si alzó su di me in un'espressione che non riuscii a decifrare. Ma si puó dire che non ci provai neanche, mi girai e me ne andai.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


•Alice's pov• (punto di vista momentaneo) Julia doveva esserci rimasta male, se n'era andata a passo svelto e senza voltarsi indietro. Non avevo idea del perché Johnny non volesse che lei sentisse... Quello che mi interessava sapere era perché stava così. Mi interessava solo conoscere cosa poteva farlo stare meglio. "Allora?", incalzai io, fissando un punto nel vuoto, proprio come stava facendo lui. "Allora niente", alzó le spalle. "Perché hai voluto che Julia se ne andasse?", chiesi io. "La cosa in parte riguarda lei.", chiarì lui. "E Winona? C'entra qualcosa?", feci io, sapendo già di sì. "Si.", bevve un sorso di amaro. "Ne vuoi un po'?", aggiunse, vedendo che fissavo il suo calice. "No, grazie", risposi io, disapprovante. Non saprei descrivere il rapporto di Johnny con l'alcool. Aveva cominciato da quando Vanessa era scomparsa e non aveva mai smesso. "Raccontami, Jo", lo incoraggiai, mettendogli una mano sulla spalla. "Dopo pranzo sono stato in camera con Winona, come sempre.", cominció lui. "Le ho parlato della mia idea di integrare le ragazze da noi, come semplici matricole", continuó, dopo una breve pausa. "Si?", feci io. "Ha cominciato a sbraitare, a dire che costituivano un pericolo per l'agenzia, soprattutto Julia, 'piccola canaglia', l'ha chiamata", spiegó lui, "Le ho ripetuto più volte che sono delle brave ragazze, che hanno capito di cosa si tratta, che non sono in nessun modo contro di noi, ma non ha sentito ragioni. Abbiamo litigato per ore, io insistevo perché credo che ci servano nuove reclute. E lei invece no, qualcuno con più esperienza, con più coraggio. Direi che questo non manca, ho risposto io, dato che hanno provato a sottrarci il quadro durante la missione sapendo che eravamo in maggioranza e che le avremmo comunque fatte prigioniere. Non ha sentito ragioni.", abbassó lui la testa, riavviandosi i capelli. "Capisco...", dissi io, riflettendo. "Sono esausto. Dopo la festa di Diana ero completamente sbronzo e quando sono tornato in camera erano le 5 del mattino. Ho dormito solo 2 ore e contavo di farmi una dormita oggi pomeriggio, ma quello che ti ho raccontato me l'ha impedito", scosse la testa, bevendo un altro sorso. Gli tolsi la bottiglia: "Se continui così non dormirai neanche stanotte e con quelle occhiaie spaventose direi che non si tratti di una buona idea", gli dissi. Annuì, ma sapevo avrebbe bevuto comunque. Santo cielo, avrei dovuto portarlo da un medico. Tutti dicevano che mi preoccupavo troppo per Johnny, ma la verità è che lui era semplicemente stato il mio primo vero amico e a lui tenevo molto più di tante altre cose. "E quindi", mi distolsi in fretta dai miei pensieri, "Avete litigato", dissi. Annuì nuovamente, deglutendo. "Sai, penso che Winona sia gelosa. Hai visto stamattina come si è comportata?", feci io. "Lo penso anch'io. E questo non mi va giù. Insomma, sono una persona abbastanza seria", mi sorrise lui. Io risi, scuotendo la testa. "Hai proprio ragione", gli strizzai l'occhio. "Dai, Alis, sul serio, se mi impegno con una persona...", fece lui. "Hai tradito Winona così tante volte che non ci entrano neanche su tutte le dita", continuai a ridere. "Questo è esagerato!", rise anche lui, cercando di agguantare la bottiglia dalle mie mani. "Stai buono", la alzai io in alto, ma lui si alzó in piedi e me la tolse di mano. "Ho vinto", gridó felice come un bambino, mostrandomi la lingua. "Peggio per te", lo rimproverai. "Suvvia, cosa potrà mai essere un goccettino?", rise, riempendo tutto il calice. "Menomale che si trattava di un goccettino, Jo", feci. Lui sbuffó. "Comunque non ce la faccio più. Winona è troppo asfissiante. Non posso vivere così.", sentenzió poco dopo. "Dovresti dirlo a lei", gli feci notare. "Ho cercato di farlo, ma diceva che non si trattava di gelosia.", scosse la testa lui. "Per me si", dissi io. "Comunque il capo sono io, e ho deciso che loro restaranno qui. Mi ispirano simpatia, già. Soprattutto Julia, ha qualcosa di diverso... Se non lo vogliono poi, Winona sarà felice", alzó le sopracciglia. "Julia, Julia... Cos'ha di diverso?", ammiccai io, sfottendolo. "Ha solo 18 anni, Alice", mi squadró lui, "Ha tutta la vita davanti", aggiunse. "Solo tu sei un povero vecchio", risi io. "Oh no, ti sbagli, io non crescerò mai", rise anche lui. "Quindi tutto è possibile. Sei ancora uno stupido adolescente, te l'ho detto", alzai le spalle. "Qualcosa di diverso e basta, comunque. Non saprei dirti. Ci penserò.", fece lui. "Sai cos'è successo la sera della festa di Diana?", domandai io, alludendo al fatto che mi aveva raccontato Julia. "Che cosa? Non mi ricordo quasi niente, perdonami", si mise una mano sulla fronte, fingendosi mortificato, ma ridendo sotto i baffi. "Non pretendo tu ricorda nulla, non riuscivi a reggerti in piedi.", freddai subito il suo entusiasmo. Gli raccontai brevemente ció che aveva detto Julia, che lei non se ne sarebbe andata finchè loro due non l'avessero fatto. Lui scoppió a ridere, ma diventó abbastanza rosso. "Davvero le ho detto una cosa del genere?", chiese lui. "Si", gli spiegai io. "Dio mio", rise. "Lei dice di non aver dato importanza a quelle parole", dissi io. "Ha fatto la cosa giusta... Non mi ricordo davvero nulla e avró detto troppe cose senza senso", dissi io. "C'è sempre un fondo di verità in tutto", dissi io. "Giustificami", mi pregó lui, ridendo. "No", risposi io, strafottente. "Va bene va bene, tanto solo io posso sapere se quel fondo effettivamente c'è o non c'è!", mi mostró di nuova la lingua lui. Poi fissó la bottiglia e aggiunse: "Di certo questa bottiglia un fondo ce l'ha e il liquore è finito, perciò direi ce ne serva dell'altro!" "Johnny!", sbottai, disapprovante, ma poi scoppiai a ridere.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


•Julia's pov• Me n'ero andata, la mia presenza non era gradita. Suvvia, non poteva essere tutto rose e fiori, io e Johnny non ci conoscevamo neanche da una settimana. Era ovvio che avrebbe detto cose solo ad Alice, non potevo pretendere di sapere tutto. Avrei voluto aiutarlo, ma lui non aveva voluto esserlo, dopotutto il danno lo faceva a lui stesso, pensai, seduta ad un tavolino distante da quello di loro due. Alzai lo sguardo dalla superficie marmorea del tavolino e vidi arrivare Alice verso di noi. "Allora?", chiese Sarah. "Nulla di grave", rispose lei. Immaginavo non volesse sbottonarsi di più, invece incominció a raccontarci. "Winona e Johnny hanno litigato perché lei non vuole assumervi come matricole", spiegó. "Assurdo", feci io. "Ma lui ha detto che qui comanda lui e perciò potete e dovete restare", continuó lei. "Non ha voluto che tu sentissi perché la questione riguardava voi", concluse lei. Io sorrisi. "Sta molto male?", domandai. "Quanto basta. Winona è una ragazza davvero gelosa e il motivo per cui non vuole che restiate potrebbe essere proprio quello, la gelosia", rispose Alice. "Lui glielo ha chiesto?", chiese Sarah. "Si, e lei ha risposto che non si trattava affatto di quello", scosse la testa Alice. "Non la conosco bene, perciò non potrei esprimere pareri concreti, ma secondo me abbiamo ragione a sospettare si tratti di quello. Da come si è comportata in questi giorni...", dissi io, pensandoci. "Già. Johnny non ce la fa più. Una cosa è essere fidanzati e quindi condividere, l'altra è essere completamente possessivi.", spiegó Alice. "Capisco...", annuii. "Lui dov'è?", chiesi poi, guardandomi intorno. "Dovrebbe essere rimasto al tavolino", fece Alice. "No, non c'è", osservai io. Lei si alzó in piedi e noi la seguimmo. "Dove si è cacciato?", fece lei, cominciando a cercarlo con lo sguardo ovunque. "Non lo so, cerchiamolo", feci io. Lo cercammo dappertutto, fino a quando ci trovammo davanti a una casetta di legno, in un angolo della terrazza, simile a quella dove sono soliti giocare i bambini, ma un po' più grande. "Cos'è?", chiese Sarah. "Il capo l'ha costruita per Johnny", spiegó Alice, "È il suo posto preferito", continuó. "Avrei dovuto pensarci prima, sicuramente sarà qui", fece poi, aprendo la porta. Entrammo. Lui era lì, seduto in un angolo, la spalla al muro, un'agenda in mano, la penna e una bottiglia di Rum accanto. "Ma cosa fai?", lo richiamó Alice. "Ma niente", rispose lui. "Stavo giusto scrivendo", aggiunse. "Ti dai anche alla scrittura adesso, non lo sapevo", fece lei. "Oh sì, mi aiuta molto", disse lui, lo sguardo sul foglio e la penna ferma nella mano destra. "È la festa di Spancer, Johnny. E tu, il vicecapo, nonchè uno dei suoi più grandi amici, te ne stai qui, a scrivere, per risollevarti da un'insulsa litigata? Ti facevo meno debole", lo sfottè Alice. Lui sollevó la testa. "Non è affatto segno di debolezza", rispose poi, allungando le gambe. "Perché non inviti qualcuna qui dentro?", fece lei, lo sguardo malizioso. "Piantala", disse solamente lui. "Julia", chiamó poco dopo. "Si?", dissi io, un po' sorpresa. "Devo parlarti", fece lui. "Va bene", annuii. Alice e Sarah lasciarono la casetta salutandoci. Me ne stavo lì in piedi e guardavo il soffitto. "Vieni qua a sederti", disse, con voce calma. "Dove?", chiesi io, ero stato vago. "Qui", indicó accanto a sè, continuando a scrivere. Mi sedetti lì, sul pavimento in legno. "Prima ci sei rimasta male?", mi domandó poi, afferrando la bottiglia dal collo e facendo un sorso. "Beh, non sono una persona che mente, quindi si. Ci sono rimasta un po' male...", confessai io, lo sguardo basso. "Alice ti ha poi spiegato perché ho preferito non sentissi subito?", fece. "Si", risposi io, "Ho capito, non preoccuparti", aggiunsi. "Non lo faccio, mi andava chiarire questo piccolo punto", spostó lo sguardo dall'agenda a me, e io feci altrettanto. Era la prima volta che lo osservavo così da vicino... Sentivo il profumo del dopobarba a pochi centimetri da me. Non credo fosse normale desiderare di fargli una carezza, infatti bloccai quell'istinto e abbassai ancora lo sguardo. Cosa mi prendeva? Seguì un silenzio quasi imbarazzato. "Desidera un po' di rum, signorina?", chiese a un tratto, la voce composta e suadente, quasi fosse un cameriere. "Si", risposi, divertita dal suo atteggiamento. Si alzó e aprì un mobiletto. Ne tiró fuori un calice e vi versó dentro il rum. "Avrei potuto bere benissimo dalla bottiglia", mi finsi scocciata. "Da ospitante sono in dovere di offrire il meglio", rispose lui, alzando le spalle. Mi alzai da lì e mi diressi verso la porta. "Non ti sembra il caso di tornare alla festa?", chiesi, girandomi. "Perché non restiamo qui?", fece lui, "Non ho la minima voglia di parlare con la gente", aggiunse. "Capisco... Neanche io, pensandoci. Non c'è una televisione, qualcosa che possa tenermi occupata?", chiesi io, risedendomi accanto a lui. "Non credo", rispose, scuotendo la testa. "Va bene, ne faró a meno", dissi io, incrociando le gambe. "Senti...", incominció lui. "Hai mai bevuto tanto?", mi chiese. "Intendi tanto da ubriacarmi?", risi. "Intendilo come vuoi", mi strizzó l'occhio. "Perché?", domandai io aggrottando le sopracciglia, insospettita. "Non lo so", rispose, "è la prima cosa che mi è venuta in mente". "Comunque no", dissi io, "non eccessivamente da non capirci più nulla". "Eppure quando ti ho vista per la prima volta ho pensato dovessi essere una ragazza piuttosto spericolata e senza regole" fece, socchiudendo gli occhi. "Davvero?", feci. "Si", fece. "E se lo fossi stata?", chiesi. "Penso mi sarebbe piaciuto", disse. Che cazzo stava dicendo, cos'erano quegli occhi? Perché il suo sguardo mi faceva puntualmente pensare al sesso? Dio. "Okay", risposi. "Credo che tu un po' lo sia", aggiunse. Io alzai le spalle: "Non saprei. Anche se non mi sono mai ubriacata?" Mi guardó negli occhi: "Anche se non ti sei mai ubriacata". I miei occhi si poggiarono sulle sue labbra, ma andarono subito oltre, sfuggenti. Sorrise appena. Fissai l'orologio, era più dell'una. "Io torno alla festa", mormorai. "Vengo con te", rispose, e ci alzammo. Francis, Sarah, Alice e Diana erano in pista. "Non mi va di ballare", dissi io. "Io non lo so proprio fare", rise. "Però avevo promesso a Spancer di suonare un po' con la band", disse sorridendomi e allontanandosi. Pochi minuti dopo lui e altri 3 ragazzi salirono sul palco. Suonavano del rock anni '90 che spaccava i timpani, ma era piuttosto gradevole. Quanto ci divertimmo io, Alice e Sarah. Tornammo nelle camere alle 3 di notte piuttosto sorde, ma contente.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Mi ero appena messa nel letto, ma non riuscivo a dormire. Alice si era fermata in camera nostra perchè non le andava di camminare fino alla sua e stava dormendo sul pavimento. Accesi la luce del comodino e mi misi a leggere un libro. Era così tardi, eppure non avevo per niente sonno. Ripensai a quando eravamo nella casetta, solo noi due. Aveva voluto chiarirmi il perché non voleva che io sentissi, e non me lo sarei mai aspettato. Non era così cattivo come pensavo quando ero arrivata all'agenzia. In realtà avevo smesso quasi subito di pensarlo, precisamente dal momento in cui mi aveva portato da mangiare nei sotterranei e mi aveva tolto quel fastidioso straccio dalla bocca. L'unica cosa su cui dovevo concentrarmi però in quel momento era addormentarmi o la mattina dopo sarei assomigliata a un cadavere, quindi spensi la luce e finalmente dormii. Il giorno dopo ci sveglió Francis che disse: "Primo giorno di addestramento, in piedi!", o meglio lo urló. "Ma che?", fece Sarah. "Si, da oggi comincia il vostro periodo in agenzia, di conseguenza dovremo addestrarvi a dovere", ci spiegó lui sorridendo. "Ma sono solo le 7 del mattino", mugulai, sotterrandomi il viso con la coperta. "Forza ragazze, Johnny vi aspetta", fece. Appena sentii ció mi misi a sedere, infilandomi le ciabatte. Andai in bagno a prepararmi, lo stesso fece Sarah, Francis ci aspettó fuori dalla porta. "Cosa faremo?", domandó Sarah, sbadigliando. "Non lo so sinceramente", rispose lui in tutta sincerità alzando le spalle. Ci guidó verso la palestra, una stanza molto grande che non avevo mai visto prima, con 2 pareti a specchio e alcuni attrezzi. C'erano Johnny e Alice seduti in un angolo su due sedie in plastica e stavano parlando. "Ehi Jo", salutó Francis. Lui ci guardó e lo salutò con un cenno del capo, lo stesso fece Alice, continuando il loro discorso. Finì in realtà poco dopo e Johnny si alzó da sedere, avanzando subito dopo e facendo un salto mortale. "Non sapevo fossi anche un atleta", commentai. "Qui bisogna saper fare un po' di tutto", rispose lui. "Se volete sopravvivere, dovrete imparare bene il mestiere", aggiunse, sorridendo. "Sei davvero molto incoraggiante", lo rimproveró Alice, scuotendo la testa. "Sto dicendo solo la verità", si giustificó lui. "Comunque, quella era solo un'esibizione, non pretendo impariate queste cose dal primo giorno", continuó, assumendo l'aria seria da insegnante. "Qual era allora il senso dell'esibizione?", domandai, sbadigliando ripetutamente. Notandolo guardó l'orologio: "Forse vi ho svegliate un po' troppo presto... Comunque, ritornando a noi: non c'era nessun senso, volevo solamente mostrarvi l'esperienza del vostro capo", spiegó, simulando un inchino. "Teoricamente il loro capo non sei tu", fece Alice. "Oh, suvvia, Tim non tornerà", sbottó lui, scocciato. "È sempre fuori in primavera", disse Alice. "Ma questa volta la missione in cui è coinvolto non è delle più semplici", fece Johnny, portandosi una mano al collo. "Intendi dire che neanche tu ci potresti riuscire?", chiese lei. "Si, di solito quando dico che è complicato significa che non sono sicuro di riuscirci personalmente", spiegó lui. "Indubbiamente hai portato a termine molte più missioni tu di Tim, quindi se dici così, beh, ti credo", disse lei. "Non capisco solo perché tu sia sempre e solo il vice", aggiunse. "Perché è arrivato prima di me, e inoltre suo padre è il fondatore di questo posto, Alis, te l'ho ripetuto troppe volte", fece lui. "Non è giusto", dissi io, pensando ad alta voce. "Cosa?", spostó lo sguardó su di me lui, non aveva sentito fortunatamente. "Niente, niente", risposi, diventando leggermente rossa. "Torniamo a noi", disse lui. "Vi ho chiamate per spiegare un po' i punti essenziali di questa vita". Si fermó per un attimo catturando la nostra attenzione e poi continuó, andando avanti e indietro con le mani dietro la schiena. Mi veniva da ridere. "Innanzitutto, voglio che vi sia chiara la funzione dell'ASDAR", annunció, fermandosi. "Siamo un' organizzazione segreta. Ormai non si può più dir così visto che siamo ricercati in ogni parte del continente, ma per ora chiamiamola in tal modo. Non siamo dei criminali, come forse avrete entrambe pensato, dopo il furto del quadro al quale avete assistito", deglutì, "Bensì dei giustizieri. Amo definirci così. La maggior parte della gente non è in grado di capire l'estrema importanza di certi pezzi da collezione. Il mondo si sta riducendo a una massa di ignoranza, pigrizia, disinteresse verso la cultura", fece una pausa d'enfasi, "Per questo motivo rubiamo ogni sorta di bellezza del passato e la portiamo qui, qui dove ogni ragazzo interessato all'arte, quella vera, viene ammesso e diventa uno di noi, senza bisogno di presentazioni. Chi è accomunato dalla stessa passione si capisce subito splendidamente", concluse, spalancando le braccia e lasciandole ricadere sui fianchi sorridendo. "Questo è tutto", disse, vedendoci ancora imbambolate ad ascoltare il suo discorso. Io lo ero per altri motivi, ma lasciamo perdere. Non è il caso di spiegare i ciuffi di capelli che gli ricadevano sulla fronte, nè tantomeno la mano che torturava il mento... Proprio no. Cercai di dire qualcosa di sensato: "Penso che il vostro progetto sia a fin di bene, sia interessante e persino giusto, ma non avete paura della polizia?". Lui rispose: "La polizia sa esattamente che questo è il nostro quartier generale, ma ho già detto che non osa avvicinarsi, abbiamo armi molto potenti e non conviene", scosse la testa. "Comunque, tutto chiaro?", chiese. Rispondemmo di sì, non c'era molto da capire. "E stamattina perché siamo qui?", chiese Sarah. Lui disse: "Il mio principale obiettivo era spiegarvi lo scopo dell'ASDAR, poi quello che farete qui. Fatemici arrivare", ci strizzó l'occhio. "Allora, vi ingaggio come matricole. Siete molto giovani, se permettete inesperte, totalmente indifese e forse anche un po' paurose", sentenzió tutto d'un fiato. "Paurose assolutamente no", risposi io. "Quando sei arrivata qui ti sei messa a piangere, Julaii", mi ricordó. "Ma avevo quello straccio in bocca santo Dio, cosa avrei dovuto fare?", alzai gli occhi al cielo. "Aspettare che ti venissi a liberare", mi strizzó nuovamente l'occhio. "Veramente non l'hai fatto. Mi hai solo portato da mangiare" "Non la consideri un buon gesto? E poi ti ho tolto lo straccio", sorrise lui. "Okay, okay, hai ragione", convenni, abbassando lo sguardo, mi stavo purtroppo perdendo di nuovo negli occhi. "Allora, cosa faranno qui?", chiese Alice. "Alis cara", cominció, "le ragazze ci aiuteranno con la gestione dei dipinti recuperati e con il loro allestimento, ti pare una buona idea?". Lei annuì. "Per voi va bene?", ci chiese. "Spero di sì", risposi, e Sarah concordó. Si accese una sigaretta sorridendo. "Bene, direi che dobbiate cominciare nel pomeriggio, ora quell'ala è chiusa", fece, aspirando il fumo. "Ma dove lavori tu?", chiesi io, quella domanda mi sorse spontanea. "Giro dappertutto in agenzia... A parte quando vado in missione, lì sono fuori, ma sempre meno di due ore", spiegó, la sigaretta tra due dita. Lo stavo squadrando a dovere quella mattina, già. Davvero davvero a dovere. La sua domanda mi portó alla realtà: "Perché me lo chiedi?". Sobbalzai quasi e risposi su due piedi: "Perché vorrei avere un consiglio quando non so come fare". Lui annuì: "Non preoccuparti, puoi chiamarmi quando vuoi". "E adesso che facciamo?", chiese Sarah. "Beh, se volete c'è sempre la piscina, o il cinema, o che ne so, la sala giochi", si grattó il collo, facendo l'ultimo tiro e spegnendo la sigaretta calpestandola col piede. "Raccoglila", gli ordinó Alice. "Ma Alis, questa è la mia agenzia!", fece lui, un po' arrabbiato. "Non per questo puoi farci ciò che vuoi, o diventerà davvero un porcile. Sono sicura che tutti i mozziconi qui in giro sono tuoi, Jo", disse lei, fingendosi severa. Lui si chinó a raccogliere e buttó la sigaretta in un cestino al lato destro della porta, con un gesto teatrale. "Andiamo in piscina?", chiesi a Sarah. "Si", rispose lei. "Veniamo anche noi", fece Alice, prendendo Johnny sotto il braccio.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Entrammo nello spazio piscina, non molto affollato a quell'ora. "La gente preferisce venire nel pomeriggio", spiegó Alice. "Dove possiamo cambiarci?", chiesi. "Ci sono delle cabine sulla destra", disse Johnny, indicandocele. "E i costumi?", fece Sarah. "Li troverete all'interno, ce ne sono di tutti i tipi", rispose Alice. "Ma sono usa e getta?", dissi io. "Teoricamente si, a meno che tu non voglia portartelo via e tenerlo con te", disse Johnny. "Vedrò se ce ne sono di carini", risposi. Ci avviammo verso le cabine. Ne trovai uno blu e bianco che mi piaceva molto, quindi lo indossai e scoprii che si trattava della mia taglia, sebbene dovetti stringere abbastanza il pezzo di sopra. Sarah aveva invece scelto uno viola che le stava a pennello. Andammo verso Johnny e Alice, che erano su due sedie a sdraio comodamente sdraiati e quasi dormienti. "Ehii", chiamai io. "Ehi", rispose Johnny, mettendosi a sedere. Lo osservai. Non era troppo muscoloso, le braccia avevano giusti bicipiti ed erano coperte da alcuni curiosi tatuaggi. "Siete molto bianche ragazze", disse sorridendo. "Cos'hai da ridere?", feci, "La primavera non è una stagione da mare, quantomeno a Los Angeles". "Non fare la scontrosa con me, ragazzina", rispose, rimettendosi sdraiato. "Fate ciò che volete", aggiunse, "Un bagno, un cornetto al bar, oppure mettetevi comode". Volevo restare lì, perciò decisi di non fare il bagno. Alice si alzó dal lettino e chiamó: "Chi viene in acqua?". Io feci cenno di no con la testa e credo che Johnny facesse finta di dormire. Sarah non mi sembrava dell'idea di andare, ma per non scontentare Alice si tuffó in acqua subito dopo. Mi sdraiai sulla sedia a sdraio accanto a lui, afferrando una rivista sul tavolino dell'ombrellone. "Beh, che te ne pare?", disse ad un tratto. "Cosa?", domandai. "La vostra prossima occupazione", fece, voltandosi verso di me, anche se avevo il viso coperto dalla rivista. "Non saprei", risposi. "Cos'hai oggi?", mi chiese. Non avevo assolutamente niente, ma giocavo a fare la fredda per osservare la sua reazione. "Niente", risposi ancora, continuando a leggere un articolo. "Sarà, ma mi sembra tu abbia qualcosa", disse, afferrando gli occhiali da sole dal suo tavolino. "No!", mi lasciai scappare. "No che?", chiese. "Niente", risposi velocemente. Non poteva sapere che non mi andava si mettesse gli occhiali da sole perche non avrei potuto più guardar bene i suoi occhi. Che cosa assurda, non sapevo neanch'io cosa mi prendesse da quando li avevo osservati per la prima volta. "Dimmelo", si alzó in piedi, strappandomi il giornale di mano. Io mi misi a ridere, coprendomi la bocca con la mano e tentai di prendere la rivista. "No", risposi poi. "Vaffanculo", disse. "Semmai a te" feci, mostrandogli la lingua. Rise. "Vuoi che te lo dica sul serio?", feci la sfrontata, convinta che dicesse che non voleva più saperlo, invece si tolse gli occhiali da sole tenendoli in mano e annuì, sfidandomi. "Perché mi piacciono i tuoi occhi", dissi allora, senza fermarmi. Non avevo quasi mai coraggio, e non lo avevo neanche in quel momento, ma non volevo perdere la sfida che in un certo senso mi aveva lanciato. Sorrise mi parve ambiguamente, ma devo dire fosse un sorriso quasi indecifrabile, uno di quelli con l'angolo della bocca. Stavo progressivamente arrossendo e abbassai istintivamente lo sguardo. "Molte grazie", rispose. Io sollevai di nuovo il viso, con un'espressione che non aveva intenzione di rivelare niente, forse mal riuscita. "Prego", dissi, e lui mi allungó la rivista nella mano dicendo: "Cos'è questa robaccia?". "L'ho trovata qui, non leggo cose simili di solito", risposi, alzando le spalle. "Odio il gossip", commentó lui, risedendosi sulla sedia. "Anche io", risposi. "E allora perché leggevi?", domandó. "Cercavo solo qualcosa da fare", spiegai. "Non potevi parlare con me o guardarmi semplicemente negli occhi?", chiese e mi squadró con quel suo mezzo sorriso. Lo stava facendo tremendamente apposta. "Non penso ci sia molto da dire", risposi, fredda come avevo iniziato e come mi promettevo di continuare. "Di solito sto in silenzio quando non è necessario parlare, ma perché non farci una chiacchierata?", continuó lui. "Non so cosa dire", ribattei, irritata. "Hai saputo solo dirmi che non volevi mettessi gli occhiali", alzó un sopracciglio. "Ma...", cominciai io, ma lui mi zittii allungandosi e mettendomi un dito sulla bocca: "Non parlare se non hai niente da dire", fece, "Quello che hai detto è più che sufficiente". Detto ció si giró sul fianco opposto e non disse più nulla. Non capivo, non capivo. Okay, avevo solo detto la verità. Questo non doveva in alcun modo fargli pensare che fossi attratta da lui o che volessi portarlo a letto o che volessi sbattermelo su due piedi o chissà quale altra cosa. Non doveva fargli pensare niente, perché lo conoscevo solo da 6 giorni e non sapevo praticamente quasi nulla su di lui, se non che aveva uno sguardo stupendo e beh, qualche altra cosa. Bando a questo, ripresi a leggere la rivista, anche se non capì davvero nulla dei gossip tanto odiati da Johnny, perché non riuscivo a pensare ad altro che alla mia confessione alquanto azzardata che poteva essere confusa... E che lo era stata sicuramente, dato che quel sorriso un po' ambiguo non me l'ero affatto sognato nè quelle provocazioni tantomeno. Speravo finisse lì, davvero. La sua cioccolata doveva star lontana da me, e io da lei. "Anche se la cioccolata mi piace", pensai, sorridendo. Ma poi mi ricomposi, rimproverandomi, chiusi gli occhi e cercai di rilassarmi prendendo il sole. Non avrei dovuto dirgli ciò che avevo detto, santo cielo. Il pensiero continuava a tormentarmi. Non mi attraevano, quegli occhi, assolutamente. Cercai di convincermene senza riuscirci, dopodichè, annoiata, andai verso la piscina e mi ci tuffai a bomba.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Mi ero tuffata in piscina per cercare di sfuggire alla miriade di pensieri che mi avvolgeva e ci stavo riuscendo, schizzando Alice e Sarah senza fermarmi. Ci stavamo divertendo un mondo, poi ci mettemmo a fare acqua gym con altre due ragazze che erano lì apposta. Guardai verso Johnny e constatai si fosse alzato, aveva rimesso gli occhiali da sole e guardava verso di noi sorridendo. Agitó la mano e non sapevo se rispondere, insomma, che aveva da salutare? Per fortuna lo fece Alice gridando: "Vieni qui Joo". Lui non si fece attendere e si tuffó dal bordo piscina, sollevando pochi schizzi. Quando riemerse aveva i capelli completamente bagnati e i tatuaggi sembravano più lucidi. Tralasciamo. "Porca puttana", venne verso di noi. "C'è Kate", aggiunse, nascondendosi dietro Alice. "Suvvia, non avrai paura di lei", lo derise Alice. "L'ho portata a letto da sbronzo, idiota", fece lui. "Che vergogna", rise lei, "Ha tutte le ragioni per guardarti e ridere". "Mi sta guardando?", sussultó lui, voltandosi verso di me. Io non sapevo neanche chi fosse Kate, quindi alzai le spalle. Alice rispose concitata: "È da quando siamo arrivati che ha gli occhi fissi su di te". "Che cazzo stai dicendo", scosse la testa lui. Poi si scostó i ciuffi dalla fronte con entrambe le mani aprendoli a tendina: "Stai dicendo sul serio, Alice?", domandó, in agitazione. "Santo cielo, calmati. Non sei certo brutto, ecco perchè ti guarda. Rilassati. Stai con Winona e ciò che è passato è passato", fece lei, cercando di rassicurarlo. "Stava per farmi rompere", mormoró lui tra sè e sè, "Sei stato tu a volerlo", disse Alice. "Sai benissimo che non era mia intenzione", disse lui, stringendo i denti, "Se avessi rotto saresti tornato single", commentó Alice, squadrandolo. Sentite quelle parole mi voltai instintivamente verso di loro prestando più attenzione al discorso, e Johnny se ne accorse perché incroció lo sguardo col mio di proposito e si morse il labbro. Quest'ultima azione non la capii e scossi la testa riflettendo tra me e me. "Sarei ancora single, si", rispose lui, staccando gli occhi da me e posandoli nuovamente sul corpo atletico di Alice. Un po' la invidiavo. "Vorresti esserlo?", chiese lei. "Non lo so", rispose lui, "Indubbiamente avrei molta più libertà quindi... perché no?", sorrise. "Non la ami?", mi venne spontaneo chiedergli. "Sono confuso", mi guardó lui perplesso, "Non so quanto profondi possano essere i miei sentimenti", continuó. "Ragioni come adolescente, Johnny, l'avevo detto", disse Alice. "Devi guardare dentro di te", recitó lei, chiudendo gli occhi e congiungendo pollice e indice di entrambe le mani stile meditazione. "Come sei poetica", la spinse in acqua lui dalla schiena, tirandole il costume dall'attaccatura. Lei si liberó dalla presa: "Vuoi provarci anche con me?", domandó ironicamente, ridendo. "Massi", la inseguì lui, immergendosi, afferrandola per le caviglie, e facendola cadere in avanti. "Voglio provarci anche con te", annuì spavaldamente, posandole una mano sul viso e accarezzandole la guancia. Lei per tutta risposta gli diede uno schiaffo in pieno viso e io, che osservavo con Sarah fin dall'inizio, scoppiai a ridere, senza riuscire più a trattenermi. "Cos'hai da ridere tu", mi rimbeccó lui, venendo verso di me. "Niente", risposi, alzando semplicemente le spalle. Vi posó le mani bagnate, afferrandole quasi e mi guardó nuovamente negli occhi. "E allora non ridere, o me la pagherai", sorrise ambiguamente, spingendomi poi in acqua. Cosa voleva dire tutto quello? Pensai che forse ero disposta a pagarla, se alludeva a quel che pensavo. Cacciai via quel desiderio immergendomi in acqua e stendendomi a stella. Vidi il suo viso sopra di me come una settimana prima, quand'ero arrivata all'agenzia e osservai la sua mano posarsi sul mio stomaco e spingermi verso il basso. "Non vorrai annegarmi", dissi, alzandomi in piedi, sulle punte, tentando miseramente di arrivargli. "Dove vedresti i miei occhi? In paradiso?", rise. Mi stava provocando e avrei dovuto immaginarlo. Ma perché gli avevo detto ciò che gli avevo detto, diamine... Lo spinsi dal petto, ma prontamente si rimise in piedi e fece altrettanto e di nuovo io lo stesso, e così all'infinito. "Finiscila", mi intimó, rimettendosi in piedi per l'ennesima volta di fronte a me. Gli sorrisi strafottente: "Meglio farti fuori", e lo spinsi nuovamente. Scoppió a ridere, in ginocchio in acqua. "Ragiona, ragazzina", fece, "Se mi facessi fuori non potresti più guardare i miei occhi, l'ho detto prima", continuó. "Non me ne frega niente", risi, stufa delle sue provocazioni, "Smettila, non sei divertente", mi voltai dall'altra parte. "Ah, davvero?", mi ritrovai il suo respiro sulla spalla. Dio, l'avrei portato in camera all'istante. "Si", risposi deglutendo per quell'improvvisa vicinanza. Sorrise notando il mio imbarazzo e si allontanó leggermente tossendo. "Oh caspita", fissó l'orologio. "Devo scappare", fece, avviandosi verso il bordo piscina. Era l'ora di pranzo, così, dopo esserci cambiate, uscimmo tutti dallo spazio piscina e andammo al bar del 2º piano, dove trovammo anche Johnny e Winona su due sgabelli. Lui ci salutò senza parlare, con un cenno del capo. Lei non ci degnó di uno sguardo, continuando a mangiare il suo panino pieni di salse di ogni tipo. Era così magra, la ragazza. Davvero davvero magra. Eppure sembrava viziarsi, aveva accanto uno yogurt, una mela e una barretta di cioccolato fondente. Johnny aveva solo un sandwich con l'hamburger, neanche troppo corposo. Ci sedemmo a qualche metro da loro, sempre sugli sgabelli vicini al bancone e ordinammo tre piadine e dei bitter rigorosamente rossi. Mangiammo in silenzio. Non riuscivo a smettere di osservare quei due, che non perdevano l'occasione di scambiarsi un bacio o una carezza. Terribilmente esibizionisti. Sapevamo tutti che avevano una relazione, ma a quanto pare non potevano fare a meno di sbandierarla. Mi chiedevo appunto quanto fossero autentici i sentimenti di Johnny, visto che poco prima aveva detto che era tranquillamente disposto a rimanere single. Avrei tanto voluto dirlo a Winona e guardare la sua reazione. Un attimo prima Johnny parlava male di lei, e poi la baciava, la guardava e le sussurrava cose all'orecchio... Il giorno prima avevano litigato e ora sembrava di nuovo tutto perfettamente apposto. Chiarivano alla velocità della luce, probabilmente. "Noi andiamo gente", annunció Johnny, alzandosi dallo sgabello, "Vi aspetto nell'ala ovest", ci strizzó l'occhio. Winona gli disse qualcosa rimbeccandolo con tono chiaramente seccato. Aveva sempre di che lamentarsi. Speravo che nessuno le dicesse che Johnny mi si era avvicinato e mi aveva sussurrato sulla spalla o sarei stata assalita all'istante. Quelle di lui erano solo provocazioni, gli avevo detto che mi piacevano i suoi occhi e ora si sentiva autorizzato a sfottermi in quel senso. Ora non si poteva neanche più dire a un ragazzo che trovavi belli i suoi occhi che te lo ritrovavi con le labbra sulla spalla quasi come se lo avessi sfidato a scombussolarti gli ormoni. In un certo senso sapevo che la intendeva così, e forse mi piaceva. Forse. Perché non avrebbe dovuto. Nei corridoi incontrammo Francis, che ci condusse presso l'ala ovest, poiché Alice dovette andarsene a sbrigare altre faccende. Ci trovammo di fronte a una grande porta a due battenti. La aprimmo, spingendola...

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Entrammo, una stanza grandissima, piena di tavoli, di gente. Le pareti erano piene di quadri, persino sul soffitto ve ne erano alcuni. Ci fermammo al centro e la gente ci osservava, curiosa. Johnny venne fuori da un angolo remoto della stanza: "Ehi gente", esordì, "Julia e Sarah daranno una mano qui fino a nuovo ordine", spiegó poi. Un tipo basso, mezza età e la barba lunga fece: "Cosa vuoi che facciano, capo?". Lui non ci riflettè affatto e rispose subito: "Nulla di che, Scott, potrebbero semplicemente applicare le cornici, ad esempio. Mi interessa che spieghiate loro come funziona qui, prima di tutto. Tutto il processo, l'esposizione.", si fermó, "Posso contare su di te?", domandó poi, porgendogli la mano. Scott gli strizzó l'occhio: "Ovviamente si", poi di rivolse a noi: "Allora, cominciamo?". Noi annuimmo e Johnny si congedó: "Beh, ci si vede in giro", sorrise. Ricambiai con un cenno del capo e un lieve sorriso, che penso lui riuscì a vedere prima di uscire dalla porta principale. "Allora, i quadri che vedete attaccati da ogni parte sono pezzi da collezione rubati nei più famosi musei di arte contemporanea, antica e futuristica", spiegó, aggiuntandosi lo strambo cappello che portava. Si accorse che lo fissavo divertita e si affrettó a precisare: "È di Johnny, me l'ha prestato un paio di giorni fa". Io risi: "Non pensavo gli piacessero i capelli". Lui disse: "Oh no, no, no, li adora. Soprattutto quelli strambi, colorati e con qualche piuma". I cappelli piacevano tanto anche a me, ma non ne avevo mai portato uno. Decisi che gli avrei chiesto di prestarmelo. "Quindi, a quanto ho capito, applicheremo le cornici?", chiese Sarah. "Hai capito bene, signorina. Andate da Diana, la ragazza là in fondo, vi spiegherà lei come fare", fece poi, indicandoci la ragazza che già conoscevamo. "Ciao ragazze", ci salutó lei, "Johnny mi ha spiegato tutto, lavorerete con me". Ci indicó delle cornici bianche, con degli acrilici accanto e disse: "Dobbiamo pittarle e applicarle a quei quadri là in fondo". Annuimmo, dopo di ció lei ci porse i pennelli e ci mostró come fare. "Dipingetele del colore che preferite, basta che lo spalmiate bene", fece, iniziando lei con delle pennellate sulla mia cornice. Cominciammo di buona lena, chiacchierando, lei faceva la nostra medesima cosa. "Mi sembrava strano foste andate a scuola con Johnny, quando me lo raccontaste, quel giorno", rise lei, riferendosi alle nostre bugie. Ridemmo anche noi. "Ci serviva qualcosa da dire", spiegai io, semplicemente. "Perché vi eravate intrufolate alla festa?", chiese poi. "Johnny voleva tenerci chiuse in camera", inizió Sarah, "E io l'ho convinta ad andare", continuai io, "Siamo uscite, siamo arrivate e niente", risi, "Ti abbiamo raccontato un sacco di cazzate". Diana annuì sbattendo le lunghe ciglia ornate dal mascara. Guardandola pensai che alla fine non mi avrebbe affatto sorpreso se Johnny ci avesse provato anche con lei in passato. Era una bella ragazza, alta, capelli castano chiaro, occhi verdi, sui 25 anni, sorrideva sempre. Indossava al momento un grembiule azzurro sporco di pittura con una camicia a righe bianche e blu, ed era ugualmente molto elegante e graziosa. Non era una ragazza che amava mettersi in mostra, semplicemente teneva al suo aspetto, che teneva sempre curato. Alice lo stesso, ma lei era più estroversa, più furba e persino civetta, oso dire. Nonostante tutto, la sua simpatia non l'aveva nessuno. Dopo una decina di cornici, Diana ci interruppe: "Può bastare per oggi, riprenderete domani mattina ragazze", ci sorrise. "Grazie mille per tutto, Di", la ringrazió Sarah, e io feci altrettanto. Camminavamo per i corridoi, tornando in camera, quando Sarah mi chiese: "Che ne pensi di Francis?". Sorrisi divertita: "Perché?". "Così", rispose, alzando le spalle. "Non mi convince la tua risposta", sorrisi maliziosamente, "Ma tuttavia ti dirò cosa ne penso", feci, "Penso semplicemente sia un tipo cool, abbastanza simpatico e cose simili", spiegai gesticolando, fingendo mi fosse totalmente indifferente. "Lo snobbi?", fece lei, con espressione indecifrabile. Era agitata. "Uhm... No", risposi, giocandoci un po', "E tu?", chiesi. "Perché dovrei? È nostro, beh, amico", spiegó velocemente. "Infatti non lo snobbo, come ho detto", risposi io. "Lo hai descritto con sufficienza, Ju", fece lei, sbuffando. "Scusami, ho la testa sovraffollata di pensieri", risposi ridendo, perché in realtà lo avevo fatto apposta. "Potrei sapere quali?", domandó. "Non si tratta di Francis, non preoccuparti", risi ancora, dandole una gomitata. Lei arrossì, ma ribattè: "Le si fa una domanda e si mette in testa cose assurde", incroció le braccia fermandosi in mezzo al corridoio. "Suvvia, non fare la stupida, ormai ti conosco", la spinsi "invitandola" a camminare: "Torniamo in camera". Ci sdraiammo sui letti, esauste. Erano le 19:30. La giornata era stata molto ma molto esaustiva, e ce ne stavamo completamente distese quasi sonnecchianti. Francis irruppe nella stanza dopo neanche 10 minuti: "Ehiiiii", urló, a torso nudo. "Sbornia?", domandai. "Era solo uno scherzo", disse, triste, osservando la nostra misera reazione. "Siamo stanche", spiegai, alzando le spalle. Sarah si era messa a sedere sul letto. "Che ci fai qui?", chiesi. "Niente di che", rispose lui, grattandosi goffamente la schiena. Io risi a quei movimenti, sembrava un orso, anche se la sua corporatura tutto diceva tranne che quello. "Nessuna festa stasera?", chiese Sarah, gli occhi bassi. "Temo di no", fece lui, "Johnny sta male". "Che cos'ha?", mi informai, un po' preoccupata, lo ammetto. "Ha litigato di nuovo con Winona", spiegó lui. "E ora dov'è?", chiesi. "Non lo so", rispose, "È uscito mezz'ora fa". "Dove potrebbe essere andato?", continuai. "A meno che la litigata non sia stata tanto forte da fargli venire in mente di buttarsi sotto a un ponte... Dovrebbe essere in un postaccio dei suoi soliti", aprì le braccia facendole poi ricadere sui fianchi. "Dove?", fece Sarah. "Birrerie? Discoteche? Pub?" elencó lui. "Mi dispiace, spero non sia nuovamente a causa nostra", dissi io, scossa. "Dispiace anche a me", disse Francis, "Speriamo torni presto". Detto ció si congedó uscendo poi dalla porta. "Ma quando ti importa?", fece lei, scrutandomi e ridendo. Cercai di non arrossire: "Non sono menefreghista, quante volte devo ripetertelo?", feci io, girandomi dall'altro lato e mettendo la testa sotto al cuscino. "Dove sarà il povero Johnny?", chiese lei, imitando il mio tono mentre chiedevo a Francis. Le rivolsi l'anulare, ridendo. Dopo un po' cenammo, con la roba nel frigo bar e bevemmo una birra. Mi fece pensare a lui. "Hai mai bevuto tanto?", ricordai la sua frase, nella casetta di legno, da soli. Volevo ubriacarmi. Ma non l'avrei fatto in quel momento, ora che lui era là, abbattuto, in quella discoteca o pub che si trattasse, l'avrei fatto un'altra volta, già. Chiacchieriammo ancora un po' e poi andammo a dormire, chiudendo gli occhi quasi subito.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Mi svegliai verso le 3:00 di notte, e avevo bisogno di un bicchier d'acqua, così misi fuori i piedi dal lenzuolo e scesi. Camminai sul tappeto in punta di piedi, ma ad un certo punto urtai qualcosa. Allarmata, trasalii. Ero completamente al buio. Mi abbassai, per tastare l'oggetto. Non si trattava di questo, bensì di una persona, ne distinsi il viso passandogli le mani sopra. Stavo iniziando a preoccuparmi, se fosse stato un intruso? "Julia", sentii mormorare. "Johnny?", esclamai, scordando di controllare la voce. "Sh", lo sentii mettersi a sedere. Accese una piccola lampadina che lo illuminó completamente. Mi accorsi di avere il viso sopra il suo e le mani a due millimetri dalle sue guance. Le ritirai, imbarazzata. "Puoi toccarmi", rise lui, afferrandomi le mani e portandosele sulle guance. Le ritirai, scossi la testa e mi morsi il labbro: "Non fare lo stronzo, piuttosto spiegami cosa ci fai qui". Rise ancora. "Posso andarmene se vuoi", si alzó in piedi, barcollando. "Non hai bevuto, vero?", chiesi. "Dovrebbe essermi passata", si grattó la nuca, sorridendo. "Quando sei arrivato?", domandai, le mani sui fianchi. "Per l'una, credo", rispose lui, alzando le spalle. "Okay", risposi, avviandomi verso il letto. Mi afferró per una spalla, mi voltai. "Non volevo andare in camera mia, Winona voleva chiarire e mi aveva detto che mi avrebbe aspettato lì..." Alzai un sopracciglio, fingendo di non saper nulla: "Avete discusso ancora?", chiesi. Annuì. "Bene", gli sorrisi. "Un cazzo", fece, le mani nei capelli e lo sguardo torvo a fissarmi. "E ora che vuoi da me?", chiesi, indietreggiando. "Niente, volevo solo spiegarti perché sono venuto qui", fece. "Oh no, tranquillo Jo', non avrei mai pensato ti fosse venuta voglia di vedermi", mi rimisi a letto, coprendomi col lenzuolo e chiusi gli occhi. "Va via, ho bisogno di dormire", dissi poi, sentendolo avvicinarsi. Mi scostò una ciocca di capelli e me la sistemó dietro l'orecchio delicatamente. Finsi di dormire e respirai piano. Poi lo sentii allontanarsi e sorrisi. La mattina dopo venne a chiamarci Francis: "Forza ragazze, secondo giorno di lavoro!". Balzammo giù dai letti e andammo a prepararci. "È venuto il tuo adorato a farci visita", dissi a Sarah, mentre mi infilavo la maglia, in bagno. "Smettila", scosse lei la testa arrossendo subito. "Sei davvero molto sensibile", commentai, osservandola. "Senti, stanotte ho sentito dei passi", mormoró lei. Risi. "A che ora?", domandai. "Non saprei dirlo, ma mi ero addormentata da poco, verso l'una, presuppongo. Eri tu, vero?", fece, allarmata. "Mi piacerebbe poter dirti di sì, ma non ero io", risi ancora portandomi una mano alla bocca. "E chi era?", chiese, sempre più preoccupata. "Era Johnny", risposi, aprendo le braccia. "Johnny?!", mi fissó interrogativa. Le tappai la bocca: "Zitta, insomma!". "Si, scusa", rise lei, "ma... perché?". "Non voleva tornare in camera sua", spiegai, lavandomi la faccia. "Ah, io l'ho sempre detto che c'era qualcosa...", non la lasciai continuare: "Winona lo aspettava in camera per chiarire la loro discussione del pomeriggio", la freddai con lo sguardo, "e lui non voleva chiarirla", conclusi. Lei annuì non del tutto convinta e continuó a guardarmi con sospetto: "Non l'hai portato a letto o...", "Niente di simile", sbuffai, "Non ti si può raccontare niente", commentai, seccata. Non volli dirle della ciocca di capelli che mi aveva messo dietro l'orecchio, almeno per allora, o mi avrebbe ossessionata per sempre. Io volevo invece andare con calma... Dopo che ci preparammo seguimmo Francis nell'ala ovest ed entrammo dalla grande porta. Diana ci aspettava, sorridente come al solito, ad uno dei tavoli al centro della stanza. "Oggi decoreremo le cornici già pittate". "Non sono mai stata una cima in disegno", commentai, imbarazzata. "Non è necessario, ci si limita a un paio di linee curve, spirali e pallini", spiegó. "Penso tu sappia farli", aggiunse, allungando una mano a prendere una delle cornici allineate una sopra l'altra. "Dovrei riuscirci", feci. "Vi mostro come fare", disse lei, impugnando un pennello dalla punta piuttosto sottile. La cornice era stata pittata di rosso, perciò come tinta decorativa scelse il nero, e cominció a distribuire pallini tutt'intorno ai vertici. Ci passó due pennelli e ci invitó a fare lo stesso. Presi una cornice di legno bianca e vi dipinsi spirali, triangoli, puntini di color arancio. Lo stesso fece Sara con il blu su una cornice grigia. Diana apprezzó il lavoro: "Bene ragazze, avete capito, continuate allo stesso modo. Io vado un attimo in Direzione". Detto ciò uscì dalla porta e noi continuammo impreterrite il nostro lavoro. Non era il massimo, ma meglio di star senza far nulla di sicuro. Ripensai alle mie giornate prima dell'agenzia... Scuola, telefono e dormite. Qualche volta qualche buon libro. Vita totalmente monotona. Il sabato era l'unico giorno decente, uscivamo e ci ficcavamo in uno di quei pub carini che ospitavano complessi musicali con un paio di altre amiche e qualche ragazzo. Lá di solito rimanevamo fino all' 1:00, poi i ragazzi ci accompagnavano a casa e filavamo a dormire. Era piuttosto presto l'ora in cui ci ritiravamo messa a confronto all'ora media degli altri ragazzi di Los Angeles. Quando noi rientravamo molti uscivano e passavano la nottate per strada o in una di quelle discoteche dove non avevo mai messo piede per volontà dei miei. "E se poi vi ubriacate?", Come torni a casa?", "Potreste fare un incidente", "Stai sempre attenta", le solite cose. Mi ritrovai ancora una volta a pensare a quando Johnny mi aveva chiesto se avessi mai bevuto tanto da ubriacarmi e sorrisi. "Eppure quando ti ho vista per la prima volta ho pensato dovessi essere una ragazza piuttosto spericolata e senza regole", le sue parole. Potevo sembrare, ma non lo ero proprio. Insomma, una che si ritira all' 1:00, vergine, non beve, non fuma, che studia, ha un'ottima media e che ha avuto solo 1 ragazzo in terza liceo... Non può di certo essere una ragazza spericolata e senza regole. Ma quando me lo aveva detto non ero riuscita a dirgli questa verità, e non avevo risposto pressapoco niente. Avevo invece fatto un'altra domanda, gli avevo appunto chiesto cosa avrebbe comportato se lo fossi stata. Lui mi aveva risposto che gli sarebbe piaciuto. E in quel momento m'era venuta una dannata voglia di toccarlo da non riuscir quasi a resistervi... Quasi. Diana ricomparve, osservó il nostro lavoro e ci congedó: "Potete andare a pranzo, ragazze, Johnny vi aspetta nella sua stanza". Non potetti fare a meno di sorridere, Sarah se ne accorse e mi diede una gomitata. "Ehi", le schiaffeggiai la mano io, "Mi hai fatto male". "Eh vabbè" fece lei, ammiccando. "Se vuoi lascio andare solo te", aggiunse, ridendo. "Davvero?", feci io, speranzosa. "Muori dalla voglia di starci insieme", scosse la testa ridendo, "Ovvio che te lo lascio". "Non muoio da nessuna voglia", la freddai. "Comunque ok", feci, arrossendo, "vado da sola se vuoi". Dentro di me ero pressochè entusiasta ma mi girai, cominciai a camminare piano e non dissi nulla. "Mangerò da Alice", disse Sarah. "Okay", la salutai e mi avviai verso l'ala est e quindi la camera di Depp. Mi fermai davanti alla sua porta, feci un respiro e bussai, mordendomi furiosamente il labbro per l'agitazione.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


"Arrivo", la sua voce si sentì dall'interno. Dopo una manciata di secondi un Johnny spettinato mise la testa fuori tenendo la porta socchiusa, mi squadró e mi chiese: "E Sarah?". Colta di sorpresa mi grattai la nuca in un gesto piuttosto goffo e risposi: "È rimasta da Alice", alzai le spalle. Lui aprì la porta e col braccio mi invitó ad entrare. Misi i piedi nella sua stanza per la prima volta. Era a torso nudo e a piedi scalzi, indossava solo i pantaloni del pigiama dai quali si intravedeva buon parte dell'elastico dei boxer. Lo fissai per un paio di secondi continuando a mordermi il labbro, poi andai a sedermi sul letto. "Dammi due minuti, mi preparo" fece come per scusarsi lui, sorridendo. "Fa con comodo", risposi, agguantando il libro sul suo comodino. Johnny entró in bagno chiudendosi la porta alle spalle. Sarebbe potuto rimanere volentieri così, non avrebbe fatto nulla... Ero assorta nella lettura della prima pagina di "Arti di combattimento", quando la voce di Johnny oltrepassó la porta per chiamarmi: "Juliaa". Sobbalzai. "Si?", chiesi, con un tono di voce sufficiente da farmi sentire. "Potresti portarmi la maglia sulla sedia?". Il mio sguardo si posó sulla sedia di fronte a me, allungai il braccio, afferrai la maglia e mi alzai dal letto. "Posso?", chiesi, arrivata davanti alla porta in legno. "Si, spingi", fece lui, e come al solito non potetti fare a meno di pensar male. Comunque... Aprii la porta piano, lui era girato verso la doccia. Feci un passo avanti, allungandogli la maglia. Aveva solo i boxer. Per un attimo pensai mi avesse fatta venire apposta, e man mano che questa idea si insinuava nella mia mente ero sempre più convinta fosse così. Mentre pensavo questo lui si voltó e io ritornai in me, pronta tesi il braccio e assunsi un'espressione piuttosto distaccata. "Grazie", la prese lui, sfiorandomi appena le nocche della mano. Mentre lo diceva incroció lo sguardo col mio, lo incatenó stretto e poi, dopo essersi ravviato i capelli con l'altra mano, mi lasció libera dai suoi occhi, che quel giorno sembravano ancor più scuri ed espressivi. Mi sentii come al solito imbarazzata al suo sguardo e abbassai il mio, indietreggiando piano e richiudendomi la porta alle spalle. Poi mi sedetti ancora sul letto aspettando che finisse. Dopo un po' la porta si aprì rivelando Johnny in camicia azzurro chiaro, pantaloni neri e i suoi anfibi neri e vissuti. Fissai appena la collanina che come sempre portava al collo e che ricadeva sul petto scoperto dal colletto. "Mangiamo, allora?", chiese lui, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi, dopo aver tentato di domarsi i capelli di fronte a uno specchio affisso alla parete. Io annuii. "Apri il frigorifero", mi indicò lui un piccolo mobiletto, "ci sono dei sandwich". Presi il vassoio e glielo porsi, poi ci accomodammo per terra, sul tappeto, decorato da decine di disegni colorati. C'era una sorta di silenzio tra noi, e me ne stufai dopo poco, quindi lo ruppi: "E Winona?", chiesi. "L'ho mandata direttamente a quel paese", spiegó lui, bevendo un sorso di birra. "Quando sono tornato in camera, stanotte, pretendeva addirittura che facessimo l'amore". Deglutii e gli chiesi di passarmi la birra. Bevvi e poi dissi sarcastica: "Voleva farsi perdonare, perché non gliel'hai data vinta?" "Non sono un'idiota" fece, "non mi lascio ingannare", diede un morso al panino, "Il giorno prima facciamo l'amore e poi si inventa ogni pretesto per litigare, è successo tante volte", spiegó. "Quindi il giorno dopo aver litigato a causa nostra te la sei sbattuta ugualmente?", chiesi, ridendo, anche se la cosa mi urtava non poco. Lui sorrise di sbieco e alzó le sopracciglia: "Lo faccio quasi tutti i giorni". "Fantastico", commentai, bevendo ancora. "Ma non sarà più così da oggi in poi", disse lui, convinto, finendo il suo sandwich, "Prima deve capire cosa può e cosa non può dire". "Cosa dice?", mi informai io. "Insinua troppo su di voi, sulle reclute, sulle ragazze con cui parlo, su tutto", fece, "E io sono davvero stufo". "Ti circondi troppo di donne", commentai ancora, sorridendogli appena, "Se fossi Winona, sarei gelosa anch'io", aggiunsi. Perché in realtà lo ero già. "Non potresti semplicemente cercare di darmi un consiglio anziché commentare e fare dell'ironia?", disse lui, fissandomi perplesso. Risi di gusto e mandai giù l'ultimo sorso di birra. "Lei ti piace?", gli chiesi. Lui mi fissó ancora, ispezionandomi ogni angolo del corpo. Abbassai lo sguardo imbarazzata come ormai mi era solito e girai la testa di lato, accarezzandomi la nuca, per alleviare la tensione. "Cosa c'è?", mi chiese lui, mordendosi il labbro. "Niente", risposi. "Sicuro?", mi si avvicinó, sfiorandomi la nuca con il dorso della mano. "Si", ripetei, afferrandogliela e spostandogliela via. I suoi occhi incrociarono i miei per l'ennesima volta come a chiedermi: "Perché?". Ed io il perché lo sapevo bene, non potevamo, era fidanzato e non dovevo avere contatti con lui. "Volevo solo dare un'occhiata", spiegó Johnny, "ho visto che grattavi", si giustificó. "Prima cosa, mi stavo solo accarezzando", feci io, ridendo, "Seconda: non devi mettermi le mani addosso", continuai. "Manco fossi un maniaco", sorrise sbieco lui, con l'angolo della bocca. "Niente mi assicura che tu non lo sia", risposi. Lui si alzó in piedi: "Prima cosa: sono ancora fidanzato", disse, "Seconda: sei un tantino piccola per me", sorrise cattivo lui, "Terzo: Inutile che fai la spavalda, lo so che portarmi a letto ti allieterebbe troppo". Tacqui, osservandolo e sperando di non arrossire. Poi mi misi a ridere e gli dissi che per me lui non era davvero niente di che. "Troppa convinzione fa male", continuó a ripetermi lui, malizioso ai massimi livelli. "Vado a cercare Sarah", mi alzai io, irritata. "Di già?", fece lui, stendendosi sul letto. Lo faceva maledettamente apposta. "Di già", mi sforzai di non guardare. "Vuoi guardarmi negli occhi, lo so" mi fece poi, mentre aprivo la porta. "Vaffanculo Depp", la sbattei io, facendo l'arrabbiata, ma appena fuori sorrisi di uno di quei sorrisi che non facevo da troppo tempo e mi avviai nel corridoio quasi correndo. . Mi scuso con tutte per il ritardo, ma ho avuto pochissimo tempo :)

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Entrai in camera di Alice ancora scossa, ma divertita. Sembrava davvero che l'unico desiderio di Johnny fosse provocarmi e questo non poteva fare a meno che piacermi, ma mi irritava al contempo, non saprei descrivere. "Ciaoo", mi venne incontro Alice baciandomi la guancia. "Hai pranzato da Johnny?", mi domandó poi e non potei fare a mano di arrossire. E se Alice non avesse voluto? Annuii. "È ancora arrabbiato con lei?", domandó Sarah. "A quanto pare si", risposi io, ripensando alle sue parole: "D'ora in poi non faremo più l'amore", e mi scappó una risata. "Cosa?", fece Alice, invitandomi a sedere sul letto. "Nulla, nulla", risposi, ricomponendomi. "Caspita, l'odore di Johnny si sente fino a qui", aggiunse poi, sorridendo. Sarah spostó lo sguardó su di me accennando ad uno dei suoi sorrisi maliziosi. Ma di sorrisi maliziosi io ne avevo abbastanza così non me la filai neanche un po', lo sguardo su Alice. "Non so proprio che fare nel pomeriggio", le spiegai poi, cambiando argomento. "Potremmo vedere un film", propose Sarah. "Già", convenne Alice, addentando una mela. "Non uscite mai di qui?", domandai io, poi aggiunsi: "Escluse le vostre missioni, ovviamente". Alice scosse la testa: "Gli unici a uscire anche per altri motivi sono Spancer e Johnny", spiegó, "ma per altri motivi parlo di cose comuni, come fare la spesa o comprare qualcosa di utile all'agenzia", rise. "Ma non siete ricercati dalla polizia?", chiese Sarah, che ebbe il mio stesso pensiero. "Si, ma fortunatamente abbiamo rifornitori segreti in tutta New York che ci consegnano tutto ciò che serve e aspettano loro due in vari luoghi. A volte sono loro stessi a portare cose", disse lei, finendo la sua mela. "Johnny mi ha detto di essere andato in un pub ieri sera, come ha fatto a non farsi riconoscere?", feci io, riflettendo. "Beh, è buio, c'è tanta gente, le luci soffuse, la musica, è facile passare inosservati. Ti confesso d'essere in ansia anch'io per le sue uscite notturne, ma sono sicura che se lo riconoscessero saprebbe come cavarsela e non lasciare traccia. Tutto il mondo lo cerca, ma lui è capace di farsi beffe di tutti quanti", rise. Risi anch'io. "Che mi dici del vero capo dell'agenzia?", chiese Sarah. "Tim ha ereditato l'agenzia dal padre, ma fosse stato per me l'avrei data a Johnny", spiegó lei. "È in missione ora?", continuó Sarah. Lei annuii: "Johnny pensa che questa volta non riuscirà a cavarsela". Io convenni: "Si, vi ho sentito parlarne l'altro giorno". Stemmo sedute in silenzio per qualche minuto, poi io lo ruppi, volevi approfondire più su una questione: "Perché Winona si comporta così?". Alice rise: "Avremo discusso su questo punto almeno 10 volte da quando sei arrivata!", io arrossii, "Perché ti sta tanto a cuore?", incalzó Sarah. Cominciarono a guardarmi come due segugi e io scoppiai a ridere: "Ma insomma! Cosa insinuate!", le loro espressioni erano ridicole. "Dipende da che hai capito", fece Alice, ammiccando. "Potresti per favore rispondere alla mia domanda senza farne ulteriori?", le chiesi angelicamente. "Winona è gelosa. Tutto qua. È gelosa di voi. Di te. Soprattutto di te. Johnny me lo ha detto", disse lei, sorridendo sorniona. "Fai la seria, ti scongiuro", la pregai io, con le mani congiunte. "Era tutto quello che avevo da dire, comunque, lui non mi ha detto altro", concluse lei. "Ah, fantastico", Volete sapere che ha detto a me?" feci. "Spara", rispose Alice, le mani sotto il mento. "Mi ha detto che...", esitai. "Che?", mi incoraggiò Sarah. "Che non se la sarebbe più scopata", completai io. Giuro, non sentii mai più Alice ridere così forte come lo fece in quel momento, stava per cadere dal letto. Anche Sarah si mise a ridere e alla fine, contagiata, iniziai anch'io. Non smettemmo prima di dieci minuti, o meglio, io e Sarah, perché per Alice ci volle una buona mezz'ora. "E? E tu?", riuscì a dire tra le risate. "Mi pare di non aver risposto", riflettei. Lei si mise a sedere e fece: "Scommetto che in questo preciso momento sono in camera a divertirsi". Pregai tutti i santi del mondo perché non fosse così, poi dissi: "Perché ti fa tanto ridere?", lei rispose, nel bel mezzo di un'altra risata: "Maddai, non resisterebbe più di 2 giorni", poi continuó tutta convinta: "Gli ormoni degli uomini sono peggio di quelli di noi donne". Eppure, ero sicura che non potessero superare l'esplosione dei miei quando l'avevo visto in piscina, o quando mi aveva sfiorato il viso o quando mi aveva accarezzato la nuca con lo stupido pretesto di grattarmela. Ne ero certa. Ma non dissi nulla. "In ogni caso, potrebbe avere altre donne, oltre a Winona", commentai. "Ma questo è sicuro, non c'è ragazzo a questo mondo che non abbia almeno una simpatia di letto, diciamo così, ma non vi è legato". Mi sembrava che il discorso non stesse andando a parare da nessuna parte, anzi, aumentava tremendamente la mia gelosia e la voglia di averlo PIÙ che vicino in quel momento, e questa non era certamente una buona cosa, così decisi di concludere. "Che si fa stasera?", chiesi. "Francis voleva dare una festa in terrazza, lo divertono", fece Alice. Vidi gli occhi di Sarah illuminarsi e le sorrisi nello stesso modo in cui mi aveva tormentato lei. Mi evitó. "Ci saremo", feci io, strizzandole l'occhio. Detto ciò e Sarah ci ritirammo in camera e cominciammo a scegliere i vestiti tra gli innumerevoli che Johnny mi aveva dato giorni prima...

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Era sera ormai, avevamo finito di prepararci e aspettavamo Alice in camera per andare tutte insieme alla solita festa. Avevo scelto un vestitino nero con una cintura di cuoio marroncina, mentre Sarah aveva optato per qualcosa di più colorato sull'azzurro. Bussarono alla porta. Mi precipitai ad aprire, erano Francis e Alice, che ci salutarono, calorosi come sempre. "Allora, vogliamo andare?", ci fece passare Francis, sorridendo. "Ma sii", risposi io, felice di star per passare un'altra serata in loro compagnia, e non solo... Guardai Alice e rimasi estasiata dalla sua figura morbida e slanciata in quel vestito verde acqua che le stava davvero a pennello ed esclamai, dopo averle messo una mano sulla spalla: "Stai benissimo!", lei si voltó, mi fece gli occhi dolci e rispose: "Graziee, ma mai come te", poi il suo sguardo di spostó su Sarah: "Adoro le tinte del tuo vestito Sa! Un giorno me lo presterai" La mia amica annuì e sorrise. Francis sbottó: "Perché nessuno mi fa mai complimenti?". Alice lo guardó dall'alto in basso: "Sei un cesso, tutto qua". Lui le gridó un vaffanculo e si mise in disparte, ma poi lei corse ad abbracciarlo e si mise a ridere: "È uno scherzo, idiota!". Sarah, vedendoli abbracciati, ovviamente si rabbuiò. Non riuscivo a concentrarmi su di loro e osservavo le scene con sufficienza, perché l'unica cosa che desideravo in quel momento era vedere Johnny uscire dalla sua camera con la sua giacca nera e le Dr. Martens, riavviandosi i capelli con le mani. Preciso, nulla più nulla meno. Una scena perfetta. Volevo chiedere loro se sarebbe venuto, ma avevo paura suonasse troppo sospetto, per fortuna Alice lo fece per me: "Fra, e Johnny?" Francis scosse la testa. Panico. "Non sapeva se venire, ho passato tutto il pomeriggio a cercare di convincerlo", spiegó, "non ha ancora chiarito con Winona", concluse poi. "Capisco...", rispose lei, "Speriamo che venga", aggiunsi io, a ruota libera, non preoccupandomi di dire ció che mi passava per la testa e delle sue conseguenze. "Già", mi diede Sarah di gomito. Alice se ne accorse e mi sorrise, ancora una volta sorniona. "Smettetela", sibilai, presi a braccetto Francis e accellerammo. Eravamo nel corridoio al cui termine c'era la terrazza, quando Depp uscì velocemente dalla porta della sua camera. Vide me e Francis a braccetto e si fermó per un attimo, aggiustandosi il colletto della camicia rossa che gli stava abbastanza bene, poi ci salutó, quasi freddo: "Ciao gente". Ricambiai con un cenno del capo, poi Francis lo prese a braccetto dall'altro lato, ma lui si divincoló: "Per favore, niente pagliacciate nei corridoi". "Suvvia, John", fece Francis, "Giurerei di averti visto passeggiare a braccetto con Kate due settimane fa". Johnny sbuffó: "Eravamo fatti e poi ancora con questa storia, ma insomma... Rischi di retrocedere di grado, ti avviso". Francis chiese, dandogli del lei: "Ha la luna storta, capo?", Johnny sorrise sarcastico: "Ma no". Quant'è bello, mi dissi mentre lo fissavo e per pochissimo lui non mi colse con le mani nel sacco, poiché giró la testa verso di me velocemente. "La tua bella?", chiese poi Francis. "Non me ne parlare, per favore", rispose lui. "Cos'è successo?", domandai, per l'ennesima volta preoccupata. "Abbiamo litigato fino allo sfinimento", spiegó, liberandosi di nuovo dalla stretta al braccio di Francis. "Mi dispiace Jo", giunse la voce di Alice da dietro. "Non me ne importa niente", fece lui, "Ho solo voglia di sbronzarmi come si deve", concluse. "E ti pareva", lo rimbeccó Alice, "Non puoi andare avanti così", commentó Francis. Lui li ignoró e prese ad aggiustarsi i polsini della camicia. Arrivammo in terrazza, la guarda ci fece passare ed entrammo alla festa. Un gruppo di ragazze si voltò a squadrare Johnny da capo a piedi e una biondina dall'aria poco raccomandabile gli si avvicinò. "Kate", sorrise lui. "Capo", si inchinó lei. Sentii Alice ridere alle mie spalle. "Queste sono Julia", mi indicó, "e Sarah", la mia amica venne avanti. La ragazza lo guardó con aria diffidente: "Matricole?", Johnny annuì, restituendole uno sguardo rimproverevole. Fui fiera di lui. Kate rise senza un apparente motivo e ci strinse la mano. "Piacere", fece, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Mi fece ricordare il gesto che Johnny aveva fatto con me. Kate lo prese sottobraccio e lo condusse più lontano, dove gli sussurró qualcosa all'orecchio. Non mi piaceva la piega che stava assumendo la serata. Mi girai a guardare Alice con una faccia tipo: "Fa qualcosa". Lei mi sorrise col suo solito sorriso ambiguo, ma io non le prestai attenzione e la pregai più intensamente assumendo un'espressione compunta. Alice si mosse, afferró Johnny per le spalle dicendo: "Te lo rubo un attimo", e si diresse verso di noi. "Si può sapere che diavolo ti prende?", sbottó lui. "Smettila di fare il coglione", fece Alice. "Mi spieghi di cosa parli?", rispose lui, fissando anche me in cerca di spiegazioni. Alzai le spalle, godendomi la scena. "Suvvia, si vede un miglio che vuoi scopartela", disse Alice, "Non vorrai far arrabbiare ancora Winona", incalzó Francis. Lui sorrise stranamente e ci guardó uno ad uno con quei suoi occhi profondi: "Spero che riusciate a capirmi una buona volta. Lasciatemi vivere come mi pare". Dopo di che mise un braccio sulle spalle di Kate e cominciarono a camminare ridendo. Ero decisamente gelosa, sapevo Johnny non provasse assolutamente nulla per lei, ma non potevo fare a meno di sentirmi irrequieta. Guardai Alice sconsolata, ma lei alzó le spalle arresa. "Per me vanno nella casetta di legno", rise Francis. "Anche per me", convenne Alice. Non potevo sopportare passasse la serata con lei, cosa vi ero andata a fare allora? Bene, pensai quindi, avranno una visita... • Scusate ancora una volta per il piccolo capitolo ma non ho davvero tempo di scrivere, in compenso però ho già scritto il prossimo capitolo, che spero piacerà visto che ci ho messo molto... lo posterò a brevissimo. Ciao a tutti <3

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


•Johnny's pov• Kate era uscita da una decina di minuti, dicendo di dover andare in bagno. E quindi ero lì, tutto solo, ad aspettarla, bendato. Si, bendato. Quella stronza aveva trovato su un ripiano una bandana che usavo da ragazzino e mi aveva coperto gli occhi raccomandandomi di non slegarla, avrei dovuto baciarla così, al buio. Le avevo chiesto quale sarebbe stato il vantaggio e lei mi aveva risposto che ci sarebbe stato da divertirsi, che probabilmente invece del seno le avrei toccato le orecchie e altre cazzate simili che mi avevano fatto morire dal ridere, così avevo accettato, sfidandola: "Scommetto 100 dollari che non sbaglierò nulla", le avevo sorriso spavaldo. Quindi ero là ad aspettarla e Dio, non stavo più nella pelle. Tenevo in mano la mia vodka e la sorseggiavo pian piano, mentre battevo per terra la mia Dr Martens a ritmo di un pezzo dei Blink 182... •Julia's pov• La casetta era là, con quel suo tetto di legno rosso, alla fine dell'enorme terrazza. Accertatami che nessuno mi stesse guardando mi mossi passo dopo passo verso la casa, ma quando ci arrivai di fronte non ero troppo sicura di voler ancora entrare. Ero persino troppo paurosa da non voler neanche guardare da una delle finestre sul retro. Tuttavia, armandomi di coraggio, girai intorno alla casa e mi convinsi: in fondo avrei potuto trovare solo loro due nudi sul tavolo, solo questo. Al 3 prefissatomi sbirciai attentamente all'interno, facendo attenzione a non farmi vedere. Con mia grandissima sorpresa vidi solo Depp seduto su una sedia al centro della stanza, che muoveva la testa a ritmo e batteva i piedi sul pavimento, il tutto ovviamente cadenzato dal portarsi regolarmente il calice alla bocca. Aguzzai la vista per non perdermi i particolari di quella, oso definire, splendida scena e fu qui che notai la cosa più strana: Johnny era bendato. Pensai che probabilmente Kate volesse entrare di soppiatto, accarezzarlo e poi pugnalarlo alle spalle con non chalance. Non chiedetemi come la mia mente fu capace di soffermarsi a pensare determinate cose, ma ne ero fortemente convinta. Il sorriso che gli aveva fatto non mi piaceva ed ero ardentemente sicura ci fosse qualcosa sotto, insomma, lo aveva bendato e lasciato solo! Cosa diavolo architettava quella ragazza? Decisi di entrare e chiederlo a lui, dal momento che Kate era misteriosamente assente. Spinsi piano la porta di mogano ed entrai, cercando di non far rumore: anche se credevo si aspettasse che Kate sarebbe tornata non volevo che degli stupidi passi lo spaventassero. Mi avvicinai alla sedia, osservando i suoi stupendi lineamenti, il pomo d'Adamo che si muoveva quando deglutiva e le gambe rigorosamente aperte e gli sfiorai una spalla, piano. "Kate cazzo", fece lui, alzandosi, "Dov'eri finita?". Non risposi, in quel momento fui presa dal panico. Se avesse saputo che si trattava di me, che volevo spiarli e interrompere i loro momenti solo perché ero tremendamente gelosa e volevo passare la serata con lui probabilmente non mi avrebbe degnata più di uno sguardo e io non volevo rovinare tutto quello che avevamo, come dire, creato, da quando ero all'agenzia. Mentre pensavo a tutta questa roba Johnny era davanti a me grattandosi il collo, poi posó velocemente il bicchiere di vodka sulla sedia e... e mi baciò. Si, mi bació. Le sue labbra spinsero prepotentemente contro le mie prima che potessi rendermene conto, prima che potessi fermarlo. Ed era troppo tardi, perché ormai i miei sensi avevano rinunciato totalmente a staccarsi da lui. Fece scendere le braccia sino alla mia vita appoggiandovi le mani, mentre le nostre lingue continuavano a cercarsi non dandoci neanche il tempo di respirare. Mi rendevo conto di ciò che stavo facendo, ma diamine, era stato lui, probabilmente credendo fosse Kate. Gli misi le mani al collo e le feci scivolare nei capelli, tirandoglieli piano. Lo vidi sorridere sulla mia bocca e feci lo stesso. Ero praticamente la ragazza più felice della terra. Inizió poi a mordicchiarmi le labbra e dio,fui certa ci stesse mettendo tutta la passione possibile. Se avessi potuto lo avrei baciato per tutta la vita. Mi spinse contro il tavolo e mi ci fece sedere sopra. Ero sorpresa riuscisse a far tutto ciò ad occhi chiusi, ma finché durava non c'era tempo per pensare a tutto ció, così lo afferrai per il colletto della camicia e lo baciai ancora, non potevo, davvero, non potevo averne abbastanza. La sensazione delle nostre labbra che si schiudevano, si incontravano e permettevano alle nostre lingue di scontarsi era una cosa semplicemente indescrivibile. Le sue mani mi afferrarono la cerniera del vestito e la tirarono giù in men che non si dica, continuarono poi a a vagare su e giù per la mia schiena e cercavano il gancetto del reggiseno. Sorrisi mentre continuavamo a baciarci come due assatanati e lasciai che me lo sbottonasse e lo facesse calare lungo le braccia. Fu allora che mi resi conto che no, non potevo. Non potevo ingannarlo. Oltretutto, non potevo ingannare me stessa. Lui pensava fossi Kate. Non so che diamine gli avesse detto quella ragazza, ma solo, non potevamo farlo. Volevo quella bocca con tutta me stessa, ma mi rendevo conto fosse totalmente ingiusto, ovviamente se avesse saputo fossi stata Julia lui non mi avrebbe baciata, gli andava solo provocarmi: "Lo so che ti allieterebbe venire a letto con me", "Ti piacciono i miei occhi, eh", "Credevo non sapessi stare senza guardarmi negli occhi"... Al pensiero di tutto ciò, al martellar dell'idea che non mi avrebbe mai baciata se avesse saputo che ero io, mi venne solamente da mandarlo a quel paese. Il solo pensiero che avrebbe fatto a Kate tutto ciò che stava facendo a me mi rendeva davvero una bestia. Non potevamo più continuare. Era uno stronzo, aveva una storia con Winona, provocava me e avrebbe fatto tutto ciò con Kate se io non mi fossi intromessa, continuavo a ripetermi. Nel frattempo lui aveva iniziato a baciarmi il collo, lasciandovi piccoli succhiotti dappertutto. Non avevo idea di come mandarlo via, non potevo mandarlo a quel paese anche se ne avevo tutta la voglia, volevo semplicemente rivelargli che ero Julia e che me ne andavo. Così mi staccai da lui. "Suvvia, che diamine ti prende?", "Hai visto, non ho sbagliato nulla", rise, venendo verso di me. "Johnny...", pronunciai il suo nome, poggiandogli una mano sulla guancia appena mi fu vicino abbastanza. "Si?", fece, aggrottando le sopracciglia che si intravedevano sotto la bandana. "Io...", feci, incapace di continuare. "Dannazione, dove ho già sentito questo profumo?", esclamò lui a un tratto. Okay, ero finita. Ufficialmente finita. "Julia?", disse lui, mettendosi una mano sulla bocca praticamente sconvolto. Si tolse la bandana velocemente e mi ritrovai faccia a faccia con lui, il contatto visivo come al solito mi uccise e il quel momento sentivo il mondo crollarmi letteralmente addosso. "Scusami", riuscì a dire io. Lui non riusciva a proferire parola e continuava a passarsi la mano fra i capelli. "Scusami un cazzo", mi urló poi, e io desiderai morire. Davvero. "Non, non potevo sapere che mi avresti baciata", dissi, allontanandomi da lui, che aveva assunto la peggiore espressione che gli avessi mai visto. "Vi avevo chiesto di non immischiarvi! Chi ti ha mandato, Alice? Francis? Che ti hanno detto, diamine!", gridava, girando per la stanza. "Nessuno mi ha detto niente...", mormorai. Lui sgranó gli occhi: "Perché sei venuta qui, Julia?". Avrei dovuto dirglielo? Va bene, mi armai di coraggio e glielo dissi: "Avrei voluto passare la serata con te, tutto qua, okay? Smettila di urlare, dio. Non è accaduto niente, so che quello che è successo non significa un accidenti, non sono più una ragazzina come forse tu pensi. So che quello che abbiamo fatto, tutto ciò che abbiamo fatto era per Kate e non per me, lo so, ora, potresti gentilmente non parlarne più?" Non ebbe immediate reazioni, gli occhi vitrei e inespressivi. Venne verso di me. Mi appoggió la mano sulla guancia, il 3 tatuato a pochi centimetri dalle mie labbra ancora calde. "Lasciami in pace", feci, guardandolo negli occhi coi miei arrossati, colmi di pianto che avrei riversato di lì a poco. Mi girai e mi avviai verso la porta. "Aspetta", chiamó lui, ma io non volevo più saperne. Ero già fuori dalla casa, lasciai anche la terrazza e corsi verso la camera. Dopo che ci fui entrata mi buttai sul letto e mi sotterrai sotto le coperte, il cuscino già per metà inzuppato... •Spero davvero questo capitolo (un po' strano) non vi deluda! Grazie mille a tutti quelli che seguono la mia storia <3

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


L'indomani mi svegliai piuttosto tardi, nessuno ci aveva chiamate e anche Sarah continuava a dormire. Mi resi subito conto di aver mal di testa e mi dissi che a quanto pareva la giornata cominciava già male. Non avrei voluto pensare a ciò che era successo la sera prima, ma ogni cellula della mia mente mi riportava lì, mi resi incredibilmente triste ed ero là, seduta sul letto a rimuginare e a chiedermi se attualmente la mia vita avesse un senso. Guardai l'orologio, le 10 e mezzo. "Nessuno ci ha chiamato... sono morti tutti?", mi chiesi, e sperai lo fossero davvero. Scossi Sarah che aprì subito gli occhi: "Oddio, mi sembra di aver dormito per una vita. Che ore sono?". Le risposi e lei si mise a sedere: "Ti ho trovato già dormiente quando sono arrivata in camera ieri notte", disse poi, scostando le coperte e scendendo dal letto. "Credevo fossi rimasta con Johnny e..." fece poi. "Non nominare il suo nome", la interruppi io. "Wait wait, cosa è successo?". Le raccontai brevemente l'epilogo della serata precedente e lei fece: "Che diavolo ha in testa Kate? Insomma, bendarlo! Bendarlo!", scosse la testa con disapprovazione. "Quella ragazza è pazza", dissi io. "Eh già", convenne lei. "Lui non ti ha detto perché lei l'ha fatto?", chiese lei, io scossi la testa. "Resta il fatto che ti ha baciata, cazzo", commentó lei. Era la prima parolaccia che le sentivo dire. "Si, mi ha baciata", annuii, cercando di mostrarmi indifferente. "Non l'avrebbe fatto se avesse saputo chi ero", precisai poi, tentando di non far notare quella nota di tristezza nel tono di voce. "Non è detto", disse Sarah, addentando un biscotto. Le feci segno di passarmene uno e lei me lo lanció. "Cosa farai?," chiese poi. "Nulla", alzai le spalle. "Non si scuserà, alla fine la colpa è stata mia, avrei dovuto dirglielo subito". "Quante ragazze a questo mondo si sarebbero fermate in quella situazione?", fece notare lei e io annuii: "Hai ragione". "Allora, com'è stato?", chiese la mia amica. Non sapevo cosa risponderle. Alla fine la buttai sul ridere: "E c'è anche da chiederlo?", lei rise e volle sapere i particolari. "Dio, eravamo contro il muro, mi ha fatta sedere sul tavolo, poi la cerniera del vestito, il gancio del reggiseno", arrossii, "e poi ha cominciato a calarti le bretelle", continuó lei, con l'espressione di chi la sapeva lunga. Annuii: "A questo punto l'ho fermato". "Peccato", commentó lei. Dovetti convenire. "Come bacia?", fece. "Abbastanza bene", commentai, ripensando alle sue belle labbra, che ricordavano quasi la forma di un cuore. Che carino. Non dovevo pensarci. "Lo baceresti di nuovo?", mi fece lei. "Lo odio da morire, ma si, lo bacerei", detto questo mi alzai, entrai in bagno e mi chiusi la porta alle spalle. Che domande erano? Ovvio che lo avrei baciato ancora. Ma ero arrabbiata e non dovevo pensarci. Sarah si preparó dopo di me e decidemmo di fare un giro in agenzia. Forse saremmo dovute andare al lavoro, da Diana, ma chissà, di solito ci chiamavano, magari quella era una giornata di ferie. Come al solito i corridoi dell'agenzia erano pieni zeppi di gente che arrivava da ogni angolo immaginabile e correva verso direzioni sconosciute sbrigando faccende altrettanto ignote. Vidi Francis sbucare da una stanza e lo chiamai, lui si voltò e ci venne incontro sorridente. "Oggi niente lavoro, fortunate. Stiamo facendo ristrutturare la sala dove siete impiegate", ci spiegó. Annuii: "Ora capisco". "Cosa fate stasera?", ci chiese. Sarah scosse la testa, lo stesso feci io. "Avevo pensato di vederci nella stanza di qualcuno e fare un po' di casino, che ne so", rise lui. "Io, lei", indicai Sarah, "tu e Alice?", "E Johnny", aggiunse lui. Sussultai. Il suo nome pulsava ovunque nella mia mente. "Lui e Winona hanno rotto la scorsa notte", fece poi, riavviandosi i capelli con una mano. "Davvero?", dissi, fingendomi non interessata. "Si, a quanto pare definitavamente", spiegó Francis. Cercai di scacciare il desiderio di urlare nella mia mente, ma la risposta venne fuori comunque in un tono più alto del normale: "Bene", non volevo spiaccicare più parola per paura di non riuscire a controllare la mia attuale contentezza. "Quindi stasera alle?", chiese Sarah, venutami in soccorso. "In camera di Johnny alle dieci", ci strizzó l'occhio lui. Lo salutammo e continuammo a camminare per i vari corridoi. "Cioè, Johnny e Winona si sono lasciati", disse Sarah. Era sorpresa quanto me. "Se fossi stata al posto di Winona lo avrei lasciato anch'io", mi limitai a commentare. "Non ci credo", rise lei. "Perché mai?", domandai io, alzando gli occhi. "Ti piace da matti" alzó le spalle Sarah. "Non è vero", scossi la testa. "Si invece, e fareste meglio a chiarire prima di stasera", fece lei. "E dove lo trovo?", mi guardai intorno. "Lo troverai", disse lei. Il discorso finì lì e tornammo in camera, qualcuno ci avrebbe portato da mangiare. Arrivarono le 2 e temevo si fossero dimenticati di noi, insomma, dal primo giorno ci portavano cibo in camera, me lo sarei procurato da sola se solo ci avessero detto da dove si poteva comprare. Proprio quando stavo per perdere definitivamente le speranze sentimmo bussare. "Avanti", dissi io, stesa sul letto. La porta si aprì lentamente e un esemplare di Depp spettinato apparve sull'uscio. Lo squadrai da capo a piedi come faceva sempre lui con me ma non dissi niente. Fu Sarah a fargli segno di entrare con i due hot dog e patatine che portava sul vassoio. "Posso lasciarli sul tavolo?", chiese lui, entrando nella stanza. "Da quando in qua fai domande prima di agire?", feci io, fissandolo negli occhi. "Piantala", disse lui, restituendomi lo sguardo in cui puntualmente mi persi. "Credo che dobbiate parlare", Sarah interruppe la nostra gara di sguardi. "Credo di no", dissi io. "Se solo mi lasciasse spiegare sarebbe tutto più semplice, ma ieri se n'è andata come una codarda", fece lui, sedendosi sul letto accanto a Sarah e incrociando le mani. "Cosa dovevo fare? Urlavi come se non ci fosse un domani", gli spiegai io, iniziando già ad irritarmi. "Okay, ero arrabbiato e quando lo sono davvero non ce n'è per nessuno, ma volevo solo spiegarti", mi disse lui, che sembrava sinceramente coinvolto. Si alzó e mi fece cenno di andar fuori. Sarah mi lanciò un occhiata che dedussi incoraggiante e io lo seguì nel corridoio. "Non c'è niente da spiegare", continuai io sulla difensiva. "Ok, allora va dentro, fa come ti pare e non vediamoci più", disse Johnny, indicandomi la porta. "Intendo solo dire che pensavi fossi Kate, ecco perché mi hai baciata", feci, lo sguardo basso. Mi sollevó il viso posandomi due dita sotto al mento proprio come aveva fatto la prima volta che ci eravamo visti, e mi sussurró sulle labbra: "Hai ragione". Lo odiavo. Lo respinsi: "Allora va al diavolo", feci per andarmene, ma lui mi trattenne per un braccio: "Ma mentre ti baciavo", continuó lui, "sentivo che dio, era molto meglio di Kate, sentivo che non poteva essere lei, infatti che tu ci creda o no, stavo per fermarmi". Fece una pausa, poi continuó: "Quando mi hai fermato e ho sentito il tuo odore un mare di sensazioni mi ha praticamente inondato", mi incatenó gli occhi nei suoi. Era un fottuto incantatore. "Smettila di parlare così", riuscii a dire. Ma lui non vi badó: "Ti giuro, avevo una voglia matta di fare l'amore con te", disse. "Vattene", gli intimai. "Sapevo già chi fossi, eppure quel desiderio continuava a insistere", continuó lui, la fronte appoggiata alla mia. "Stai solo cercando di farti perdonare", gli dissi. "Assolutamente no, visto che qui l'unica che dovrebbe farsi perdonare sei tu", sorrise lui, "Hai continuato a baciarmi pur sapendo che mi stavi ingannando, non mi hai fermato, non hai detto una parola. Io sto dicendo quello che realmente sentivo, non cerco di farmi perdonare, non ho fatto nulla", alzó le spalle. "Potrò credere a tutto, ma non che volessi...", arrossii. "Che volessi fare l'amore con te?", chiese, io annuii. "E invece si, è più forte di me, ogni volta che sento il tuo profumo", disse lui, continuando a fissarmi dritta negli occhi. Era difficile ragionare. Ripensai a quando, ubriaco, mi aveva detto che non avremmo potuto lasciare l'agenzia se noi due non avessimo scopato. Sembrava un tempo lontano... "Lo farei anche adesso", mi sussurró ancora sulle labbra. Non potei fare a meno di sorridere, era una sorta di dichiarazione? Ma restai calma. "Hai rotto con Winona", commentai, allontanandolo leggermente da me. "Si, non ne potevo più della sua gelosia", si accarezzó il mento con le dita. Mi misi le mani nelle tasche dei pantaloncini e mi guardai le converse sorridendo. "Sembri un'adolescente in preda alla sua prima cotta", fece lui, appoggiandomi le mani sui fianchi e tirandomi leggermente a sè. Arrossii, eravamo in corridoio, anche se comunque a quell'ora era quasi completamente vuoto. Chinó leggermente la testa e mi intrappoló il labbro inferiore tra i suoi, per poi lasciarlo andare e iniziare a baciarmi lentamente. Avevo voglia di mettergli le braccia al collo e poi di far scivolare le mani per tutta la schiena, sulla sua camicia a quadroni bianca e blu, ma da non "Kate" mi sentivo molto più insicura, fare le cose della sera prima mi sembrava un'assurdità e oltretutto volevo andare da qualche parte sola con lui, senza gente che passava e che ci fissava meravigliata. Baciarlo era un antistress, mi rilassava, era lento e mi piaceva da morire. Almeno, al momento andavamo piano e non come la sera prima, in cui mi aveva subito spinta sul tavolo e i baci erano stati decisamente più dinamici. Eravamo appena fuori dalla porta, le sue mani a stringere i miei fianchi e le converse a sfiorare quelli scarponi malandati che avevano un'aria vissuta. "Johnnyy", lo chiamó una voce, e noi ci staccammo appena, girandoci. Era Alice, sembrava sorpresa. "Ehi", mi salutó, "credevo fossi Winona", fece poi, ridendo. Lui arrossii. Avrei voluto digli: chi è l'adolescente? "Tu e Spencer andate in missione nel pomeriggio?", chiese poi Alice, per spezzare quel silenzio imbarazzato creatosi. "Si", annuì Depp, una mano sempre sul mio fianco. "Stavo pensando che potrete portarvi Julia", sorrise Alice. Johnny mi squadró e annuii: "Come controllore?", chiese poi. "Si", fece Alice, strizzandomi l'occhio. "Controllore?", domandai guardando Johnny. E io che desideravo solo stare in camera abbracciata al suo petto. Sarà per un'altra volta. Ora andavo a fare il controllore in non so quale missione, ma alla fine, mi dissi, la cosa più importante è sia con lui.

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