Quello che siamo.

di Ila_JL
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. A lungo in un Abisso ***
Capitolo 2: *** capitolo 2. Il viaggiatore Spaziale ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. Ricordati di me. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. La selezione della razza. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. Cambio al vertice. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. Il Rubicone. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. A lungo in un Abisso ***


CAPITOLO 1:
A lungo in un abisso
 

Ho creduto a me, ferma a una stazione,
vuota di allegria e piena di persone.
Vince chi rimane, io resto.
Clarke
Sto bluffando.
E quello che mi guida in questo bluff non è solo la speranza, ma è anche la disperazione.
“Se sbagli moriremo tutti” le parole di mia madre mi rimbombano nelle orecchie.
Ma non ho altra scelta. Buffo, non ho molte scelte da quando ho messo piede sulla terra, anzi, ripensandoci, non ne ho avute tante nemmeno sull'Arca. Ma sull'arca avevo anche poche ragioni per cui chiedere di scegliere, ora, invece, la motivazione è salvare la mia gente.
Quindi bluffo.
Cammino a testa alta per l'accampamento dei terrestri, cercando di guardarmi intorno il meno possibile, perché so per certo che quello che vedrò non mi infonderebbe coraggio. Avanzo il più velocemente possibile tra le tende, puntando a quella più grande e maestosa che suppongo essere quella del comandante. Nonostante i miei sforzi parecchi guerrieri entrano nel mio campo visivo. Alcuni fanno cenno ai vicini indicandomi, altri sollevano solo lo sguardo continuando ad affilare le loro armi. Nessuno mostra paura.
Io, invece, cerco di trattenere un brivido.
Sono quasi arrivata quando un guerriero terrestre mi si para davanti fermando il mio cammino. È enorme e quando inizia a parlare non posso che deglutire.
"Se solo la guardi nel modo sbagliato ti taglio la gola"
Non rispondo, ma nella testa cominciano ad affollarsi molte domande.
Chi sei, comandante? Come hai fatto a conquistarti questa fiducia spropositata dei tuoi uomini?
Non posso fare altro che scostare l'entrata della tenda e scoprirlo.
 
°°°
 
Lexa.
Sono pronta. Ho appena finito di prepararmi per la battaglia e di discutere delle strategie dell'attacco con i miei generali. Sono certa della nostra vittoria. Il popolo del cielo non è una minaccia troppo grande per noi. Anche se le loro armi da fuoco non sono da sottovalutare. Ma sono così pochi..
Un messaggero entra nella tenda, mi comunica che una ragazza del popolo del cielo ha chiesto udienza con me. Non posso dire di essere particolarmente sorpresa. Ho capito dagli altri due stranieri, soprattutto da Marcus, che cercano la pace a tutti i costi: non hanno sfruttato neanche la possibilità che ho lasciato loro di partire, in nome di una pace che sperano ancora di ottenere. Rimpiangeranno questa scelta. Tuttavia acconsento all'udienza e attendo la ragazza sedendomi sul trono, giocando con il mio pugnale.
Indra al mio fianco vigila attenta. Poco dopo sento la tenda scostarsi, facendo entrare dei raggi del sole che delineano una figura esile. So bene di chi si tratta, poteva essere solo lei. Così parlo per prima.
"Quindi tu sei quella che ha bruciato vivi trecento dei miei guerrieri migliori".
Secco, diretto. Non un esordio molto amichevole.
È così che mi hanno insegnato, è così che voglio essere.
Perché comunque non c'è bisogno di convenevoli qui, e lei lo sa bene.
"E tu sei quella che li ha mandati ad ucciderci".
Appunto.
Una parte di me è positivamente sorpresa da questa risposta. Sincera quanto efficace. Non ha cercato di negare o giustificarsi. Appoggio la punta del mio pugnale sul legno del trono.
"Hai una risposta per me, Clarke del popolo del cielo?"
La studio mentre prende un bel respiro, cercando di capire che tipo di persona è.
Sostiene lo sguardo.
"Vengo per farti un'offerta."
"Questo non è un negoziato." Rispondo secca senza lasciarle il tempo di continuare. No, non lo è. Abbiamo già dato un'opportunità al popolo del cielo, ma non è stata sfruttata.
"Lasciate che la uccida e che andiamo in fondo a questa storia" interviene Indra nella nostra lingua. Ma la zittisco alzando una mano. Neanche io credo che cambierò idea e presto attaccheremo il suo accampamento, quindi la sua morte non mi sconvolgerebbe, anzi. Ma sono curiosa di sapere cosa l’ha spinta ad attraversare il mio campo da sola, quale ultima speranza le è rimasta.
“So come farti vincere gli uomini della montagna” dice tutto d’un fiato, come se avesse paura di non avere un’altra occasione per dirlo, come se in qualche modo avesse compreso la frase di Indra, nonostante non conosca la nostra lingua.
Ma sortisce l’effetto desiderato.
“Continua” la sprono, mostrando meno interesse di quanto in realtà ne sto provando.
È così che mi hanno insegnato, è così che voglio essere.
“Molti dei tuoi uomini sono prigionieri dentro Mount Weater. Tenuti in gabbia. Il loro sangue viene usato come cura.”
Maledetti, penso.
“E tu come lo sai?”, dico.
“Anche molti dei miei sono prigionieri là, ero una di loro.” Mi risponde.
“Mente – la interrompe Indra -  nessuno scappa dalla montagna”
“Io l’ho fatto – le risponde Clarke, poi si gira verso di me e aggiunge – con Ania, abbiamo lottato insieme per fuggire.”
Quasi non sento neanche Indra che le risponde accusandola di nuovo. La mia mente per un attimo è interamente concentrata sul mio mentore, colei che mi ha addestrata e insegnato ad essere come sono.
Ania, che è morta senza che io sappia come, e senza che io abbia potuto evitarlo. Senza che abbia potuto dirle addio.
Clarke si mette una mano nella tasca con aria stizzita, come per rispondere alla nuova insinuazione del mio generale. Sembra non rendersi neanche conto di ciò che comporta questo suo gesto in un momento delicato come questo. Anche i miei guerrieri infatti stanno tirando fuori le armi. Si blocca immediatamente, capendo di essersi mossa in modo troppo brusco. Ma io non sono in allarme.
So poche cose di te, Clarke del popolo del cielo. Ma ora che sei davanti a me ho la certezza che non sei una ragazza stolta. Sei venuta qui contro ogni speranza, e hai saputo attirare la mia attenzione. Meglio di quanto mi aspettassi. Quindi so bene che non stai tirando fuori un’arma dalla giacca, perché morire tentando vanamente di uccidere me o qualcun altro in questa stanza non è una decisione saggia. Non  è una decisione che prenderesti tu.
Mi guarda negli occhi, non riesco a capire se per chiedermi il permesso o per farmi capire che non è una minaccia. Forse entrambe le cose. E io non posso fare altre che spostare lo sguardo sulla sua mano, che ricomincia a muovere, questa volta con un movimento più misurato. Quando la tira fuori dalla tasca e vedo cosa contiene, la mia solidità vacilla per un istante. I miei occhi, leggermente sgranati, rimangono incatenati alla ciocca di capelli che ora mi sta porgendo.
“Mi ha detto che eri il suo braccio destro, so che vorrai avere questa.” Dice avanzando.
Touchè. Avevo ragione a ritenerla intelligente, ora so anche che non la devo sottovalutare.
Perché io non posso fare altro che allungare la mano, afferrare i capelli del mio mentore e passarmeli tra le mani. Spero che lei interpreterà il mio atto come una verifica dell’autenticità di quello che mi ha portato. In realtà non ce n’è neanche il bisogno, li ho riconosciuti all’istante.
Infatti zittisco anche Indra, che prova a mettere in dubbio questa verità.
“Ania era il mio mentore, prima che fossi chiamata a guidare il mio popolo” a quanto pare sa già queste cose, ma sento l’esigenza di spiegarle anche io quale fosse il nostro legame, forse in qualche modo voglio farle capire l’importanza di questo suo gesto. Ma sospetto lo sappia già.
Per l’ennesima volta dalla maledetta battaglia con il popolo del cielo mi chiedo come sia morta la persona che mi è stata più vicina negli ultimi anni. E per la prima volta esprimo esattamente quello che sto pensando.
“È morta bene?” chiedo distogliendo lo sguardo dalla treccia, ma continuo a evitare quello dalla ragazza davanti a me, che invece mi sta ancora fissando.
“Si. Al mio fianco.” Afferma sicura. Io torno a rivolgerle il mio sguardo, cercando di capire fino a che punto può spingersi per ottenere questa tregua.
Non devi mentire Clarke, non su queste cose, non a me.
Lei sostiene il mio sguardo improvvisamente, e finalmente, tornato irremovibile. E aggiunge:
“Cercando di farti avere un messaggio”.
“Che messaggio.” Dico subito, ed è un ordine, non una domanda.
Devo chiudere fuori tutto ciò che sento in questo momento. Devo tornare al comando.
È così che mi hanno insegnato, è così che voglio essere.
È così che Ania mi ha insegnato ad essere.
“L’unico modo per salvare entrambi i nostri popoli è unirsi” dice tutto d’un fiato, cercando di imprimere la maggior decisione possibile in queste poche parole.
Ascolto Indra rinfacciarle di poter dire qualsiasi cosa, visto la situazione disperata in cui si trova.
Ma io ho deciso di non farmi coinvolgere da questi gesti. Se devo decidere qualcosa di importante voglio sapere esattamente come stanno le cose. E la ragazza del cielo non mi ha ancora detto nulla di decisivo.
“Sto ancora aspettando l’offerta Clarke” dico piatta.
“A Mount Weather trasformano i tuoi uomini in mietitori.” Sa che non mi sta dicendo niente di nuovo.
Gli uomini della montagna sono  una piaga per il nostro popolo. L’unica cosa che ancora non sono stata in grado di fermare.
“Io posso curarli” afferma decisa, troppo decisa.
“Impossibile” afferma Indra, prima di implorarmi nella nostra lingua di permetterle di ucciderla.
Io taccio. Tu continui.
“L’ho già fatto. Con Lincoln.”
Indra scatta si avvicina con la mano sul coltello: “Quel traditore. E’ il motivo per cui il mio villaggio è stato massacrato dal tuo popolo.”
Conosco Indra. Sta agendo così perché è ferita nel profondo da quanto successo al suo villaggio e ai suoi guerrieri. Ciò nonostante il comandante qui sono io.
Per la prima volta dall’inizio della conversazione mi alzo e le impongo di smetterla. Secca, brutale.
Lei continua a fissare con rabbia la ragazza, ma non può disobbedire a un ordine così diretto.
Clarke, nonostante sia visibilmente spaventata, non si muove di una virgola.
A che gioco stai giocando, ragazza del cielo? Ti presenti qui e fai una mossa giusta dopo l’altra. Hai la stoffa del leader, si vede, eppure non nascondi le tue emozioni, le tue paure. Chi sei, Clarke?
Mi avvicino studiando ogni sua minima reazione. Non può nascondersi a me. So giocare anche io.
“Puoi far tornare i mietitori degli uomini?”
“Si.” Dice annuendo, sempre con troppa decisione. Ti stai convincendo anche tu, Clarke?
“Provalo – dico semplicemente – fammi vedere Lincoln.”
Continuo a fissarla, e la sua sicurezza comincia a vacillare.
 
°°°

Clarke.
Ho desiderato questo momento da quando ho deciso di venire a parlare con il comandante dei terrestri. 
È quello che volevo ottenere, quello che dovevo ottenere.
Ciononostante non riesco ad esserne contenta. Troppe cose possono andare storte, ho cercato di essere il più convincente e sicura possibile, ma la realtà è che non ho la minima idea di come stiano andando le cose alla navicella.
Posso solo sperare, disperatamente, che mia madre sia riuscita a salvare Lincoln, altrimenti tutto ciò che sono riuscita ad ottenere sarà stato vano. Anzi, potrebbe peggiorare ancora di più la nostra situazione.
Cammino nel bosco seguita dai terrestri. Non mi giro a controllare che mi stiano seguendo, né che non mi attacchino mentre volto loro le spalle. Se il comandante mi avesse voluta morta non avrebbe dovuto fare altro che permettere al suo soldato di uccidermi. Le sue intenzioni erano ben chiare.
Il comandante.. Non avevo idea su come aspettarmela. Avevo sentito varie voci su di lei, mi era stato riferito il suo immenso desiderio di proteggere il suo popolo. Così potente da riuscire ad unire tutte i clan di terrestri e portare la pace. E per quello che ho potuto vedere io da quando ho messo piede sulla terra, i terrestri non sono le persone più disponibili e pacifiche del mondo.
Tuttavia, nonostante l’aurea di potere che emana, non riesco a fare a meno di pensare che sia solo una ragazza. Come me.
Il suo desiderio di proteggere i suoi uomini l’ha spinta a considerare la possibilità di un compromesso, che sembra assurdo. Proprio come ho fatto io.
Non so chi tu sia, comandante. Ti ostini a voler sembrare un grande leader, a nascondere tutto ciò che provi. Eppure ho visto il tuo sguardo mentre posavi gli occhi sulla treccia del tuo mentore.
Sei più di quello che dici di essere, più di quello che vuoi essere.
Ci avviciniamo alla navicella, che comincia ad intravedersi fra gli alberi. Forse avrò l’occasione di capire meglio il comandante. Se non mi ucciderà tra pochi istanti.
Entro nell’accampamento, il luogo che per un discreto tempo ho considerato casa. Il luogo che ho cercato di difendere a tutti i costi. E il prezzo della mia battaglia è ancora ben visibile tutt’intorno.
Scheletri carbonizzati sono sparsi in pezzi nella terra nera. Cerco di non guardare, ma quando arrivo davanti allo scivolo della navicella mi fermo, perché non sento più passi dietro di me. Vorrei portare tutta questa gente via da questa scena, prima che vedere in prima persona cosa ho fatto a trecento guerrieri terrestri faccia cambiare idea al comandante. Potrebbe uccidermi sul posto e non scoprirei mai se mia madre è riuscita a guarire Lincoln.
Mi giro a guardare i terrestri che mi hanno accompagnata e vedo subito gli occhi del comandante trovare i miei. Ma non prima che io possa scorgere lo sguardo che stava rivolgendo a quelli che erano i corpi dei suoi soldati.
Ancora quello sguardo, quello stesso sguardo rivolto alla treccia di Ania. Rammarico? Dolore? Senso di colpa?
Non ho molto tempo per farmi queste domande, infatti lo sguardo che rivolge a me è ancora più determinato a scoprire se sto mentendo. Vorrei tanto saperlo anche io.
“Di qua” dico semplicemente.
Ti porto via da questa scena dolorosa per entrambe. Ci porto a scoprire cosa ne sarà di noi.
 
°°°

Lexa
Distolgo lo sguardo dall’immagine di centinaia dei miei soldati morti così crudelmente. Trovo subito quello della ragazza del cielo, che mi sta già osservando.
Sei stata tu.
È l’unico pensiero che riesco a formulare.
Non so proprio cosa pensare di te. Vuoi la pace, ma hai ucciso trecento persone. Così indifesa all’apparenza, ma così forte. Sei soltanto spavalda, o davvero coraggiosa? Che peso ti porti dietro?
A conferma dei miei dubbi, la ragazza del cielo mi rivolge uno sguardo che fatico a comprendere. Comprensione e paura. Forse.
“Di qua” dice, e la seguo senza dire una parola.
Entriamo nella navicella e saliamo una scala a pioli.
Appena la botola si apre sento provenire dei singhiozzi. La prima immagine che vedo è il corpo di Lincoln, steso a terra e legato.  E palesemente morto.
Non riesco a trattenere un pensiero triste e rabbioso: un altro dei miei uomini è stato ucciso.
Cerco di concentrarmi sulla situazione, però. Qui si mette male per il popolo del cielo.
Ti guardo, Clarke, e la tua espressione conferma che la tua decisione era una maschera per convincere anche te stessa che il tuo piano poteva funzionare. Ma ti sbagliavi.
Anche Indra sbuca dalla botola. Non la fermerò questa volta, e lei lo sa. Ora comprendo perfettamente l’espressione di disperazione che si dipinge sul suo volto.
Vedo che come ultima speranza indica con lo sguardo a uno dei suoi amici una delle loro armi appoggiata sul pavimento, e lui allunga la sua mano per prenderla. Così come gli altri si avvicinano alle proprie.
Anche lei non vede una via d’uscita, allora. E per me è come un segnale.
Mi giro verso il mio generale e annuisco soltanto.
È lei ad urlare la vostra condanna a morte.
Tutti afferriamo le armi, tranne Clarke, ma situazione è temporaneamente in stallo.
Non avrò pietà, però. Il trucco della ragazza del cielo non ha funzionato, anche se il suo volto mi dimostra che ci ha creduto veramente.
Ora dovrò farli uccidere tutti, e poi tornare all’accampamento per la battaglia definitiva.
Mi concedo un ultimo sguardo verso Clarke, che mi guarda con occhi spalancati.
“Vi prego. Non è necessario farlo.”
Non si prega, Clarke. I veri comandanti non lo fanno. Bisogna accettare la morte, soprattutto se è una conseguenza delle proprie scelte.
Sono arrivati sui nostri territori, hanno ucciso trecento dei miei soldati. Addirittura un villaggio di donne, bambini e anziani è stato devastato. A me sembra proprio necessario. O per lo meno, così sembra al mio popolo, che vuole giustizia. E non sarò io a negargliela, specialmente dopo aver visto tutti i cadaveri là fuori.
“Hai mentito. Ed è scaduto il tempo” chiudo il discorso.
È sua madre la prima a muoversi, ma compie un gesto che mi lascia immobilizzata dallo stupore, e così i miei uomini. Rivolge l’arma di metallo che ha in mano contro Lincoln, e gliela conficca nel petto.
No, l’appoggia soltanto, e lui è colto da un improvviso sussulto, mentre dal bastone fuoriesce uno strano rumore elettrico e una luce.
“Fallo di nuovo” ordina Clarke, esterrefatta.
La donna esegue.
E Lincoln respira.
Non posso fare altro che guardarlo, mentre una ragazza del cielo si avvicina a lui sussurrando il suo nome.
Lui la guarda, e le risponde senza la minima traccia del mietitore che so per certo essere diventato.
Guardo Indra, ma è senza parole anche lei.
Ti guardo, Clarke, e ti giri verso di me.
Ripongo la mia spada, e tu annuisci.
Non serve altro. Con un cenno della testa precedo i miei uomini verso il nostro accampamento.
Ci sono tante cose di cui discutere. Non può essere tutto così semplice, sebbene so già che questa scena rimarrà impressa nella mia testa per molto tempo.
Mentre cammino per la foresta non trattengo il pensiero che prima non ho voluto far emergere per non essere disillusa nuovamente: c’è una speranza per tutti i miei uomini che credevo perduti.
Si deve scendere a compromessi, se la posta in gioco è la salvezza di molti.
So per certo che alcuni non saranno contenti, che dovrò convincerli. Ma dovrò andare fino in fondo a questa nuova speranza a cui ho appena iniziato a credere.
E’ così che sono.


Siamo nella mia tenda all’accampamento. La ragazza del cielo mi ha raggiunta poco dopo, una volta accertatasi delle condizioni di Lincoln.
Siamo intorno al tavolo su cui avevo programmato di uccidere a uno a uno tutto il suo popolo.
Invece mi ritrovo a dirle:
“La guarigione di Lincoln è stata…impressionante” affermo sincera, cercando le parole giuste.
“Nessuno era mai sopravvissuto a un simile destino” continuo, e non posso trattenere un sorriso pensando a quanti uomini potremo far tornare alle loro famiglie.
“In realtà non è complicato – precisa  – dobbiamo solo tenerli in vita finché la droga non sarà eliminata dal corpo, so di poter fare lo stesso per gli altri” afferma, ormai con totale sincerità.
Ed io non ho più motivo di non crederle, non dopo quello che ho visto con i miei occhi poco fa.
“Avrai la tua tregua” concedo.
Mi guardi e mi rispondi con gratitudine e ancora una volta non provi neanche a mascherare i tuoi sentimenti.
C’è ancora un problema però, ne ho discusso con i miei uomini mentre tornavamo all’accampamento. Tutto il sangue innocente sparso nel villaggio di Indra non può rimanere impunito. I miei guerrieri non lo permetterebbero.
Il massacro deve avere una conseguenza. Il sangue chiama altro sangue.
Ma sono riuscita ad ottenere un compromesso con loro, per permettere al suo popolo di sopravvivere e curare i nostri uomini.
“Voglio solo una cosa in cambio” ti comunico mantenendo lo sguardo.
Capisco che credi davvero di poter esaudire la mia richiesta.
“Dimmi”
“Portami quello che chiamate Finn. La tregua comincia con la sua morte.”
Dico senza smettere di guardare i suoi occhi.
E ancora una volta quello che ci vedo dentro è un sentimento che non prova neanche a celare, o ad attenuare.
È la disperazione.
 

 
 
 

NOTE.
Buonasera.
Non vorrei proprio annoiarvi con quello che sto per dire, ma sento il bisogno di spiegare alcune cose, anche per darvi un’idea dell’assurdità che sto facendo, e più o meno di chi sono. So già che mi impappinerò.
Mi capita spesso di scrivere, di solito sui libri. Ma su libri che leggo e rileggo più volte, quelli che quasi conosco a memoria e penso di potermi permettere di aggiungere qualcosa di mio, e lo faccio proprio per me di solito. Non penso di essere particolarmente brava, soprattutto perché parto da un’esigenza di un momento. Infatti devo confessare che è la prima volta che pubblico qualcosa su un telefilm.  Mi ha sorpreso non poco quando ho avuto bisogno di buttare giù qualcosa dopo aver visto il finale della seconda stagione.
Ho conosciuto “the 100” per puro caso, poco prima di Natale, e all’inizio pensavo anche che non mi piacesse molto, ma volevo sapere come sarebbe andata a finire. Ora della fine mi sono appassionata (anche perché essendo in pausa dagli esami ma ancora da sola fuori città guardavo circa 5 episodi al giorno, ma questi sono dettagli).
Così quando ho visto i titoli di coda dell’ultimo episodio ho sentito che mi mancava qualcosa.
Poi mentre guidavo una sera ho sentito una canzone alla radio, che mi ha colpito per le sue parole (ho cominciato anche a dubitare della mia integrità mentale). È quella che ho riportato all’inizio del capitolo, ma anche tutto il resto del testo è, a mio parere, inerente, quindi la utilizzerò all’inizio dei capitoli. (Sempre che non mi chiediate di non scrivere più, non si sa mai.)
Altra cosa che mi ha spinto a scrivere è stata la differenza con i libri, in cui, nella maggior parte dei casi, i pensieri almeno del protagonisti sono espressi. E penso che questo telefilm, invece, di pensieri inespressi e significati nascosti di sguardi e affermazioni sia pieno. Ed era questo che mi mancava.
Così canzone e esigenza mi hanno spinto a provare questa cosa.
Siccome però sono una novellina qui, se sbaglio qualcosa sui contenuti, critiche e suggerimenti sono molto benvenuti. Anche per lo stile e per insulti vari.
Precisazione: non voglio inventare una storia diversa da quella che ho visto. Questo è essenziale, perché ho cercato di sviscerare le scene descritte in modo da rimanere il più aderente possibile. Ho scritto scene dei prossimi capitoli che in realtà non ho visto, ma è stato per dare continuità ai pensieri e alle vicende. Non credo di essere molto brava, ma accetto suggerimenti o proposte! 
Ultima cosa sullo stile.
Sono stata a lungo indecisa se scrivere tutto come se le due protagoniste si parlassero, ma poi ho optato per  tenere per la maggior parte del tempo un distacco, e per usare la seconda persona nelle scene più cariche emotivamente. Non so se è chiaro, ma le mie capacità si stanno riducendo a vista d’occhio.
Ho finito con questo papiro. Ho scritto così tanto solo perché è il primo capitolo, prometto. (o ci provo, sono abbastanza logorroica, se non si fosse notato.)
Alla prossima, spero.
I.

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Capitolo 2
*** capitolo 2. Il viaggiatore Spaziale ***


Il viaggiatore spaziale.

Clarke
 
Cammino tra la nebbia, e cerco di farmi avvolgere da lei, di farmi confondere i pensieri in modo che siano indistinti, in modo che non possa soffermarmi su quello che ho appena sentito, su quello che mi è stato appena chiesto.
Anche preoccuparmi dei miei due accompagnatori va bene.
Sono in tenuta da guerra, e le loro fiaccole rendono l’atmosfera ancora più macabra.
Rabbrividisco.
Quando vedo i contorni del mio accampamento diventare sempre più distinti, però, capisco di non poter più scappare dai miei pensieri.
Tutto sommato la questione è semplice: vogliono Finn, e noi non glielo daremo.
Dovremo combattere e moriremo tutti.
A meno che io non trovi una soluzione. Ma cosa posso fare? Non ne ho la minima idea.
In un attimo siamo davanti ai cancelli e sento Bellamy avvisare tutti che sono tornata, vorrei solo poter portare notizie migliori.
I cancelli si aprono e appena entro la prima persona che mi si avvicina è Finn.
Appena lo vedo il panico mi assale.
“Chiudete il cancello!” ordino, per tenere fuori i guerrieri che vogliono ucciderlo.
“Tutto bene?” mi chiede subito con aria preoccupata. C’è la nota della disperazione folle nella sua voce, quella che ho abbinato alla nuova versione di lui. Quella che un po’ mi spaventa.
Lo afferro e con urgenza lo spingo verso l’interno dell’accampamento.
“Non puoi stare qui” e sento quasi gli occhi dei terrestri seguirci con lo sguardo.
Sono fuori, cerco di ricordarmi, non possono entrare qui.
Il loro comandante aspetta una mia risposta in poco tempo. Ma non attaccherà prima.
Ciononostante non riesco a fare a meno di voltarmi mentre corro verso mia madre.
Si sono fermati proprio davanti al cancello e aspettano. Lo aspettano.
Mia madre mi corre incontro e mi abbraccia, mentre tutti ci si stringono intorno in attesa di notizie.
È il momento di affrontare la realtà.
“Che cosa ti ha detto? -  chiede infatti lei – C’è la possibilità di una tregua?”
So che ha bisogno che io le dica sì, perché altrimenti avremmo condannato a morte tutta la nostra gente.
“Sì.” Dico solo io, ma non sono soddisfatta, so che non sarà un vero sì.
E tutti se ne accorgono.
“Che c’è?” mi chiede proprio Finn.
Ed è a lui che mi rivolgo quando ammetto con tutti la verità.
“Vogliono te.” Dico semplicemente guardandolo negli occhi. E vedo la confusione farsi strada nel suo sguardo, forse unita a un pizzico di paura.
Mi rivolgo a tutti, distogliendomi da lui perché guardarlo è troppo doloroso. E non posso stare male adesso.
“Se vogliamo una tregua dobbiamo consegnare Finn.”
Sento i mormorii che cominciano a dilagare tra tutti i presenti, e non tutti sono simili ai miei pensieri.
“Di che diavolo stai parlando?” mi accusa Raven.
“È la loro offerta.” Dico semplicemente, cercando di rimanere lucida e razionale.
“Non è un’offerta.” Mi risponde lei secca.
“È una punizione – si inserisce Finn -  per quanto è successo al villaggio. Occhio per occhio.”
“È una follia.” Commenta anche Bellamy.
Ma so e sento che tutti non la pensano come lui. I mormorii si diffondono.
“Se rifiutiamo?” chiede infine mia madre, dando voce alla domanda che li sta assillando.
Sta a me stroncare ogni loro speranza.
“Attaccheranno.” E sento che questa parola scatena il caos.
 La prima a scattare è Raven, che reagisce a uno degli uomini che si avvicina minacciosamente a Finn.
Questo dà il via agli scontri.
Riesco a bloccare la ragazza, chiamandola più volte per nome finchè non mi guarda.
“Farò in modo che non gli succeda niente. Te lo prometto.”
Ma mi sento tremendamente bugiarda, perché non ho la minima idea di come io possa mantenere questa promessa.
Sembra quasi convinta e rassicurata dalle mie parole, ma un altro abitante dell’arca comincia ad accusare Finn a gran voce, esortandoci a consegnarlo. Questa volta è una guardia a cercare di fermarla, ma lei non se ne cura e la colpisce, e in un attimo tutte le altre le sono addosso.
Osservo mentre la portano via, impotente.
Il resto delle guardie placa la situazione e vedo Finn allontanarsi da solo.
Bellamy mi si avvicina:
“Non ci sono altre possibilità, giusto?” chiede poco convinto.
Probabilmente il mio sguardo esprime bene la risposta, perché non insiste quando non gli rispondo.
“Iniziamo a prepararci.” Dice, e raggiunge altre guardie per organizzare la difesa.
Ripenso all’ultima parte del colloquio con il comandante, al suo sguardo penetrante che cercava di capire la mia reazione alla sua richiesta. Al lampo di comprensione che lo ha attraversato quando ho lasciato che la disperazione prendesse il sopravvento sul mio autocontrollo.
Ci vediamo presto, Clarke. Fa la scelta giusta.
La scelta giusta. Non posso consegnare Finn, non sarebbe giusto.
Ma non posso neanche lasciare che tutta questa gente venga massacrata dai terrestri.
Sento che potrei impazzire, ma ora, guardandomi intorno, guardando tutti questi uomini minacciosi che vogliono che Finn muoia, il mio primo istinto è di proteggerlo. E so che questa è la cosa più giusta che possa fare adesso.
Raggiungo Bellamy.
“Andiamo da Finn – gli dico  – avrà bisogno di aver vicino qualche amico.”
Lui annuisce e ci incamminiamo.
Lo troviamo con Murphy, appoggiato alla struttura dell’arca mentre guarda nel vuoto, davanti a sé.
“Ehi – inizia Bellamy – stiamo rafforzando le difese. Raddoppiamo sul perimetro, nessuno deve superare il recinto.” Gli dice cercando di rassicurarlo.
Finn si alza, improvvisamente ansioso.
“Vado a dare una mano.” Dice convinto.
“No. – risponde l’altro, mentre io mi limito ad osservare – dovresti andare dentro. Il corridoio B sarà più facile da difendere se arrivassero là.”
Io annuisco, cercando di mostrare che abbiamo la situazione sotto controllo.
Non posso permettere che gli succeda qualcosa, ma so che non sarà facile tenerlo al sicuro.
“Non mi nasconderò.” Dice infatti lui, e mi sembra quasi di riconoscerlo.
“Per ora dobbiamo pensare a tenerti al sicuro – gli dico cercando di convincerlo – parlerò con Lincoln.”
Perché non posso arrendermi, devo trovare un’alternativa.
“Andiamo.” Conclude Bellamy, precedendo Finn all’interno.
Lui mi guarda un attimo, prima di seguirlo. So che ci sono tante cose che vuole dirmi e so ho paura di sentirne alcune.
Sto per andare anche io quando mi sento chiamare. Mi ero quasi dimenticata della presenza di Murphy.
“Qualche ordine per me, principessa?” mi chiede alzandomi.
E sento la rabbia montarmi dentro. È così facile prendersela con qualcuno in questo momento.
“Sì, stammi alla larga.” Dico voltandomi, e non devo forzare il mio tono, finalmente. Posso mostrare tutto il mio odio.
“Cerco solo di rendermi utile.” Risponde lui e non sa che sta solo peggiorando la situazione.
Così torno a guardarlo, e parlo con voce fredda.
“Eri con lui a quel villaggio.”
“Ho cercato di fermarlo” si difende.
“Con poco impegno.” Metto fine alla discussione. Prendermela con lui, dare la colpa a lui, nonostante non sia giusto, è quanto di più liberatorio possa fare in questo momento.
Posso quasi dire di stare un po’ meglio quando lui lancia la bomba.
“Se proprio vuoi dare la colpa a qualcuno, Clarke. Era andato là a cercare te.”
Non mi volto.
Le sue parole, però, mi risuonano nella testa per tutto il tragitto verso l’infermeria.
Quel ragazzo riesce a risultare odioso anche in un momento delicato come questo. Odioso quanto sincero. Ed efficace.
Perché ora lo sento chiaro nel petto, quel peso che ho cercato di nascondere da quando ho saputo del cambiamento che ha subito Finn durante la mia assenza.
È cambiato davvero. Lui che aveva sempre difeso la pace, che per primo aveva cercato di prendere accordi con i terrestri, non solo ha ucciso in modo barbaro, ma ha ucciso persone innocenti e indifese.
Non riesco a capacitarmi di come possa essere io la causa di questo cambiamento così radicale.
Eppure lui è andato in quel villaggio per cercare me. Il suo amore per me lo ha spinto ad agire in quel modo.
Come può l’amore causare atti così sbagliati? Come può l’amore creare tanto odio?
Il peso nel petto si definisce. Comincio a riconoscerci anche i sensi di colpa, a cui cercavo di non pensare per non perdere di vista i miei obiettivi. Ma ora eccoli emergere prepotenti.
Cosa ti ho fatto fare, Finn? E cosa devo fare io ora?
Fai la scelta giusta.
Blocco questi pensieri, o per lo meno ci provo, quando varco la porta dell’infermeria. Guardo Lincoln e mi sorprendo di trovarlo ancora legato. È lui stesso a dirmi che è giusto che sia così.
Lascio che sia mia madre a spiegargli la situazione, io ascolto continuando a sperare che trovino una soluzione, ma Lincoln conferma ciò che temevo. Sto per sprofondare nuovamente nei miei ritrovati sensi di colpa, ma una frase di Octavia attira la mia attenzione.
“Non può aspettarsi che consegniamo volontariamente uno dei nostri. Lei lo farebbe?”
“Salverebbe il suo popolo, non coprirebbe un assassino.” Le risponde deciso.
Assassino. Lincoln ha centrato il punto. Tutti noi abbiamo ucciso molte persone, io più di tutti gli altri, probabilmente, ma tra noi non usiamo mai questa parola. Eppure è così. Allora perché non ci condanna tutti a morte attaccando l’accampamento? Siamo tutti assassini qui dentro.
“Se non lo consegnate ucciderà tutti quelli che sono al campo” continua lui, abbastanza in linea con i miei pensieri.
“Ci deve essere qualcos’altro che possiamo offrirle.” Dice sicura mia madre.
Ma io conosco già la risposta.
“Finn ha ucciso diciotto persone. Il comandante si offre di prenderne solo una in cambio. Accettate.” Ci esorta.
A questo punto sono io a intervenire con rabbia.
“Come puoi dire questo? Finn è stato il primo a venire da te con un’offerta di pace, è tuo amico!”
Non posso fare a meno di pensare che il ragazzo che ha fatto quello che sto dicendo ora non c’è più. Ha lasciato spazio al ragazzo disperato che uccide innocenti. Al ragazzo che ho contribuito a creare.
“Ha massacrato il mio villaggio – continua implacabile Lincoln – anche loro erano miei amici.”
“Ma non era in sé – replico io, lasciando che la mia voce si veni della disperazione che sto provando – lo sai che lui non è così.” Perché non posso fare a meno di pensarlo, ancora. Nonostante l’evidenza. Continuo a sperare che il ragazzo che era, il ragazzo che mi ha fatto provare tutte quelle emozioni, sia ancora lì da qualche parte. Che riuscirà a sconfiggere la parte oscura che ha preso il sopravvento su di lui.
“Adesso lo è -  Mi risponde. Mi dice ciò che io non voglio accettare. – tutti abbiamo un mostro dentro di noi, Clarke, e ne siamo responsabili quando lo lasciamo uscire.” Ed è soprattutto il suo sguardo a farmi tacere.
“Che cosa gli faranno” chiede mia madre rassegnata.
“Il fuoco. Ha ucciso degli innocenti. Inizierà con il fuoco.”
“Inizierà?” chiedo io esterrefatta. Sono divisa a metà tra l’orrore per il fatto che questo sia solo l’inizio e per il fatto che ha usato il singolare. Sarà il comandante, Lexa, ad aprire le danze degli orrori. Ma rappresenterà il suo popolo. Eppure da come ne parla Lincoln, sembra che ci stia facendo un favore. Ma come può volere che qualcun altro muoia ancora? E come può pensare che saremo noi stessi a consegnarlo? Ma Lincoln è stato sincero prima. Dice che lei lo farebbe, e sebbene la conosca poco, non faccio fatica a credergli.
Non so se voglio sentire come prosegue la tortura, ma lui è implacabile.
“Poi gli taglieranno mani, lingua, occhi. E tutti quelli che sono in lutto potranno colpirlo. All’alba il comandante lo finirà con la spada, ma.. nessuno è mai sopravvissuto fino alla spada.”
Io non riesco neanche a pensare.
“Ne ha uccisi diciotto. Pagherà il dolore di diciotto morti. Poi ci sarà la pace.”
Conclude fissando davanti a sé.
Sono agghiacciata.
È così che hai conquistato il tuo potere e la pace tra tutti i terrestri, Lexa?
Anche se ancora non vedo una via di scampo, sono ancor più decisa a tenere Finn lontano dall’accampamento dei terrestri.
Capisco che Lincoln non ha più niente da aggiungere, così mi volto ed esco da questa stanza.
Dopo aver saputo queste cose, sento di dover vedere Finn, di assicurarmi che sia al sicuro.
 
Lo trovo indaffarato che prepara uno zaino.
La paura che possa pensare di consegnarsi mi assale.
“Che stai facendo?” chiedo con urgenza.
“Devo andarmene” mi risponde alzando gli occhi su di me.
“Dove? Non puoi andare in nessun posto.” Mi avvicino, cercando di convincerlo.
“Metto in pericolo tutti restando qui all’accampamento.” Dice, ed è come se avesse già deciso. Non posso permetterglielo.
“Ci sono terrestri dappertutto. Ti uccideranno.”
E ti faranno molto di più, ma questo non riesco a dirtelo.
“Forse è quello che merito, per ciò che ho fatto.”
Non posso sentirlo anche da lui. Inoltre questa è una frase che direbbe il vecchio Finn, che combatteva per la giustizia. Se lui è davvero da qualche parte, posso a stento immaginare cosa sta passando.  Come fa a non impazzire?
Ma se non si difenderà lui, dovrò farlo io al suo posto, adesso.
“Stavi solo cercando di aiutare i tuoi amici. Cercavi di salvarci” Non ce la faccio ad ammettere che stava cercando me.
Ma non ce n’è bisogno. Perché lo fa lui.
“Io stavo cercando di salvare te.” Afferma guardandomi negli occhi, senza lasciarmi scampo. “Clarke.”
“Finn.” Dico soltanto, perché davvero, non saprei cosa dire.
“Sono innamorato di te. Tutto quello che è successo, tutto quello che ho fatto.. conta soltanto che tu sia salva.” Si ferma e il mio cuore con lui. Nonostante quello che abbiamo condiviso, non era mai stato così diretto con me. Ha sempre sdrammatizzato, anche dopo aver ammesso che era contento che fossi stata proprio io a condividere quelle cose con lui. Ora è spaventosamente serio, anche quando aggiunge:
“E che mi perdoni.”
Ti guardo. Come posso non perdonarti dopo quello che hai appena detto?  Eri in quel villaggio perché non trovavi me. Eri disperato perché pensavi che avessero fatto del male a me. L’hai fatto per me.
Anche se io non avrei mai voluto tutto questo. Ma io non ero lì a fermarti, non sono arrivata in tempo. Hai ucciso per me. Onestamente non penso neanche di meritarmi tutto questo. Tutto questo amore.
Ed è questo amore che non lo fa crollare, perché ho capito che se significasse salvarmi, potrebbe rifarlo, e anche questo mi spaventa. Così continuo a fissarlo, finchè non è lui a parlare di nuovo.
“Dì qualcosa.” Mi implora.
E ha ragione, mi ha aperto il cuore e io sono rimasta zitta. Ma cosa posso rispondere? Sono terrorizzata dalla paura di cosa può succedergli, di tutto quello che vogliono fargli. In questo momento la mia priorità è tenerlo e saperlo al sicuro. Non riesco a pensare ad altro. Ho il terrore di perderlo.
“Non andartene. Ti prego.” Dico semplicemente, e spero che capisca quante altre cose vorrei dirgli in questo momento, ma me le tengo dentro.
 
°°°
 
Lexa

Ho appena fatto portare via Marcus, l’uomo del cielo.
Devo ammettere di essere stata colpita sin da subito dal suo comportamento.
Ma il mio rispetto se l’è guadagnato giorni fa, quando ha afferrato il coltello e si è colpito, quasi lacerandosi le vene del braccio. E tutto per la pace. L’ha detto lui: la pace richiede sacrificio.
Ed è quello che mi ha sempre detto Ania. Così ho voluto conoscerlo meglio e ha soddisfatto le mie aspettative.
Si è rivelato pragmatico, mi ha perfino raccontato di alcune cose che sono successe quando erano ancora nello spazio, sull’Arca, come l’ha chiamata lui. Si occupava della sicurezza, e ho capito che condivide con me l’idea che il bene dei nostri popoli viene prima del nostro.
Anche lui ha voluto sapere dei nostri metodi per mantenere la giustizia.
Non ho mentito, ho espresso la cruda verità sui nostri rituali di esecuzione.
Tuttavia non ho trovato tracce di paura e disgusto per noi sul tuo viso. Ha punito anche lui molte persone lassù, facendole precipitare dallo spazio.
Per questo quando mi ha chiesto di poter processare lui stesso, con la sua gente, il ragazzo colpevole, l’ho quasi preso in considerazione.
Forse avrei anche acconsentito, se fosse dipeso solo da me, ma ho anche io un popolo e delle richieste di cui tenere conto.
I parenti delle vittime scalpitano per poter trovare pace e giustizia. Sono sicura che non accetteranno se  lasciassi loro il ragazzo, neanche se sapessero che l’ha ucciso la sua stessa gente.
Ma l’ho lasciato andare con la speranza che vada dal suo popolo e lo aiuti in questo momento.
L’espressione di Clarke, quando le ho espresso la mia richiesta, mi ha fatto chiaramente capire che la loro risposta non è così scontata come credevo.
Eppure è stato il meglio che io potessi fare. Una vita per diciotto. Sono a malapena riuscita a strappare questo accordo con i miei uomini, che volevano ucciderli tutti.
Si fanno governare dalle emozioni. Non sono poi così diversi da Clarke.
Ma io non posso permettermi di essere debole ai loro occhi, non capirebbero la pietà e mi si rivolterebbero contro. E questo non posso accettarlo, non ora che posso trovare una soluzione per salvare tutti i miei soldati persi per colpa degli uomini della montagna. I prigionieri e i mietitori.
Quindi non prenderò nessun altro accordo con il popolo del cielo.
In quel momento entrano nella tenda i cavalieri che avevo lasciato davanti al loro accampamento.
“Hanno dato una risposta?” chiedo senza aspettare.
“Si, heda. Hanno detto che non consegneranno il ragazzo.”
Prevedibile, ma penso ancora che Marcus possa evitare questa guerra inutile. Infatti chiedo:
“Marcus del popolo del cielo è rientrato nell’accampamento?”
“È entrato mentre noi andavamo via, comandante.”
“Ottimo, speriamo che li faccia ragionare. Ho un altro compito per voi. Prendete altri uomini e presidiate la foresta intorno al vecchio accampamento dei ragazzi, dove siamo stati ieri.”
Non aggiungo altro e loro esco, lasciandomi di nuovo sola.
Mi aspettavo questa risposta dal momento in cui ho visto lo sguardo di Clarke cambiare sotto il mio.
Così come ora sospetto fortemente che lo porteranno via dall’accampamento, non fidandosi del ritorno del loro consigliere.
Non mi resta che aspettare.  
 
La mia solitudine dura meno del previsto. Indra entra accompagnata da un paio di soldati.
“Scusateci Heda, il capo del popolo del cielo ha chiesto un incontro.”
La guardo annuendo, esattamente come mi aspettavo.
“Clarke?” chiedo aspettandomi una risposta affermativa.
“No – mi risponde invece lei – sua madre.” Giusto, ufficialmente non è la ragazza a capo del suo popolo.
Indra continua: “la ragazza è stata avvistata da un soldato – e accenna a uno dei miei uomini entrato con lei – è nella foresta, insieme al ragazzo colpevole. Ma li hanno localizzati nel loro vecchio campo. Attendono ordini.”
Sorrido tra me e me. Il problema delle persone che non chiudono fuori i sentimenti è la loro estrema prevedibilità. Andiamo alla fine di questa questione.
“Perfetto, ottimo lavoro. Userò questa informazione mentre parlerò con il loro capo. Dove devo andare?”
Lei mi guarda titubante.
“In realtà, comandante, hanno chiesto di parlare con me. Sono venuta a chiedere il permesso”.
La guardo. Mi fido di lei perché la conosco bene ormai. È il mio secondo in comando e so che non mi disobbedirebbe. Non posso fare a meno di pensare che questa mossa del popolo del cielo sia sensata. Marcus ha capito che io rispetto la volontà del mio popolo e agisco di conseguenza, quindi non sono io da convincere per trovare un accordo.
Indra, comunque, sa quanto sarebbe vitale per noi l’alleanza con il popolo del cielo, e so che non rovinerebbe mai tutto per la sua vendetta personale.
“Vai pure Indra. Sii convincente, ma.. non uccidere nessuno” dico con un sorrisetto nella sua direzione.
Lei mi guarda e so che capisce.
“A più tardi, comandante.”
Esce seguita dai suoi uomini, ma io fermo l’uomo che ha visto Clarke e Finn nel bosco.
“Aggiornami sulla situazione.” Gli ordino.
“Ho individuato i due ragazzi nella foresta, nei pressi nel loro accampamento. Ho cercato di prendere il ragazzo, ma mi ha puntato contro una pistola. Mi ha permesso di scappare, ma ovviamente io li ho seguiti e ho visto che portava la ragazza nel campo. Gli altri soldati mi hanno avvisato che erano arrivati anche altri tre ragazzi del cielo poco prima.”
Tutto chiaro, tranne due cose.
“Come sarebbe: portava la ragazza?”
Lui mi guarda in modo colpevole.
“Nello scontro ho colpito la ragazza.” Sa che gli ordini erano di non uccidere nessuno e di portare il ragazzo vivo qui. Così aggiunge rapido: “ma dovrebbe essere viva, comandante. È solo stordita.”
“Bene, raduna altri uomini, circondateli e agite appena cala il sole. Attenti alle loro armi, non voglio altro spargimento di sangue.” Lo congedo e lui lascia la tenda.
L’altra cosa che mi dà da pensare è il fatto che il ragazzo non ha ucciso il soldato quando avrebbe potuto. Sapeva che lo stavano cercando, e che sarebbe andato a chiamare rinforzi. Devo capire cosa ha spinto questo  ragazzo ad uccidere diciotto innocenti e invece a non uccidere chi lo stava attaccando.
Forse catturarlo non sarà così difficile..
Credo che possa spiegarmelo proprio Clarke.
La stessa Clarke che potrebbe essere morta.
Spero di no, ragazza del cielo, siamo solo all’inizio della nostra missione.
Mi siedo sul trono aspettando i miei uomini.
 
Il sole è ormai calato.
I preparativi stanno finendo, i miei uomini stanno piantando l’albero e per tutto il campo sono sparse torce che contribuiscono a rendere l’atmosfera ancora più cruenta.
Devo concedere queste cose ai miei uomini, come sono obbligata a far svolgere l’esecuzione qui, in modo che tutti possano vedere. Anche il popolo del cielo, che vedo schierato dietro le loro mura di ferro.
Il ragazzo si è consegnato alla fine. Da un lato lo ammiro, va incontro alla morte per evitare che tutto il suo popolo muoia per quello che ha fatto.
È quasi l’ora.
Non mi aspetto una rivolta da parte del popolo del cielo, anche se i miei uomini mi hanno messa in guardia.
Ma non sono così sciocchi. Sanno perfettamente che morirebbero tutti nel giro di poco.
Vedo solo una persona staccarsi dal gruppo, uscire dai cancelli e venire verso il nostro accampamento.
È ancora troppo lontana perché possa riconoscerla. Ma può essere solo lei.
Almeno ora so che non è morta nel bosco.
Sospiro, preparandomi all’incontro.
La osservo mentre tutti si scansano per farla passare. Tutti tranne Indra, che invece le punta contro una lancia, che quasi le sfiora l’addome. Ma lei continua a guardarla, anzi sembra avanzare ancora millimetricamente. Vedo il mio generale stringere la lancia con più forza, e la ragazza del cielo cercare di smorzare una smorfia di dolore. Ma i suoi occhi non cambiano, non ne hanno bisogno. Stanno esprimendo sofferenza da quando sono riuscita ad osservarli.
“Lasciami passare.” Sento dirle senza allontanarsi dalla lancia che ormai le ha aperto una lieve ferita.
Cosa ti spinge, Clarke? Estremo coraggio o estrema disperazione?
Quando si parla di te non ho mai certezze. È chiaro che stai provando entrambi questi sentimenti. Ma per quanto tempo riuscirai a sostenerlo? Quale lascerai che prenda il sopravvento?
“Falla passare.” Dico avanzando anche io.
Voglio sentire cosa ha da dirmi.
Indra solleva la lancia e lei passa oltre senza più guardarla.
È evidentemente distrutta. E il mio compito è quello di stroncare quella minima speranza che l’ha spinta fino a qui.
“Perdi sangue per niente. – dico accennando alla ferita –non lo puoi impedire.” La guardo ancora.
“No” concorda lei sembrando anche convinta. “Soltanto tu puoi.”
E capisco cosa è venuta a chiedermi. Ma questa volta si sbaglia. Io ho le mani legate quanto lei.
Me lo confermano i miei uomini che in quel momento si avvicinano con grida di esultanza trascinando il ragazzo per condurlo verso l’albero. Anche lei lo ha notato, e gli rivolge uno sguardo carico di sentimento.
Ecco l’ultimo tassello del quadro: sei innamorata di lui.
Lei torna a guardare me e continua.
“Mostra al tuo popolo quanto è grande la tua potenza. Dimostragli che sai avere pietà. Dimostragli che non sei una selvaggia.” E il suo tono si riempie di disperazione ad ogni frase.
Ma non posso, Clarke.
La mia potenza è nulla se non coincide con il volere del mio popolo. La mia pietà sarebbe interpretata come debolezza, perché non ho nessun motivo per non uccidere il ragazzo, e loro lo sanno. Il nostro essere selvaggi, come dici tu, è ciò che ci ha permesso di sopravvivere.
“Noi siamo ciò che siamo.” Dico dura.
Vedo dal suo sguardo che ha capito di non potermi convincere. Rivolge un’altra occhiata disperata al ragazzo e comprendo che sta per giocarsi la sua ultima, disperata, carta.
“Allora io sono un’assassina. Ho bruciato trecento dei tuoi uomini. Ho tagliato la gola di un uomo e l’ho guardato morire. Sono intrisa di sangue terrestre. Prendi me.” Mi supplica.
È l’amore. È il cuore che ti spinge a chiedermi questa cosa. Moriresti per questo amore.
Non è così facile, ragazza del cielo. Siamo in guerra, e uccidere i soldati che combattono è necessario per sopravvivere. Per lui è diverso.
Infatti le rispondo.
“Ma Finn è colpevole.” Non posso fare niente per lui.
“No! – esclama sull’orlo delle lacrime – l’ha fatto per me! L’ha fatto per me.” Ripete rassegnata, come se lo stesse ammettendo per la prima volta adesso.
Se è vero che è arrivato a tal punto per te, ragazza del Cielo, deve convivere con le sue scelte.
“Allora morirà per te.” Sentenzio cercando di farle capire che le cose devono andare così.
Vedo il suo sguardo abbassarsi sulla sua mano destra, che solleva leggermente.
Hai un’arma Clarke? L’hai portata per uccidermi? Sembra che non lo sappia neanche tu.
Poi vedo lo sguardo che alzi su di lui. E capisco.
Quando torni a guardarmi scorgo una nuova forma di disperazione nei tuoi occhi. Mantengo un’espressione impenetrabile, ma sono sorpresa da questa tua decisione. Non so se sai la grandezza di ciò che stai per fare.
Non so se sai che la vera fatica arriverà dopo questo tuo atto. Non lo so Clarke. Ma so che ora come ora vedere cosa i miei uomini sono pronti a fargli ti ucciderebbe.
Così quando mi chiedi di poter dirgli addio un’ultima volta, abbasso il mio sguardo sul tuo braccio, da cui spunta una lama, in segno di consenso. E ti guardo avvicinarti rapidamente a lui.
Lui le rivolge uno sguardo sofferente, ma lei non gli lascia il tempo di dire nulla perché gli avvolge le braccia al collo e lo bacia, accarezzandolo dolcemente. Vedo le lacrime scorrere sulle guance di entrambi.
Cerco di non farmi toccare da questa scena, che potrebbe ricordarmi un’opportunità che io non ho mai avuto. Ma ormai questa è una cosa che non mi riguarda più.
Continuo ad osservare i due, lei si è scostata e li vedo sussurrarsi alcune cose. Non sento, ma non voglio neanche sentire. La vedo piegarsi su di lui, abbracciandolo ma allo stesso tempo nascondendoci il suo corpo dalla vista.
Lo stai facendo davvero?
Solo quando lo vedrò ne avrò la certezza, non posso crederci.
“Andrà tutto bene – dice un po’ più forte, tanto che il suono arriva fino a qui – tu sei forte.” Guardare il suo viso fa quasi male. Quasi, un tempo forse non avrei retto a questa scena, ma ora sono cambiata.
E lo farai anche tu, Clarke, dovrai farlo.
Lo vedo adagiare la sua testa sulla sua spalla. Mentre lei si allontana prendo un bel respiro, perché se ha fatto quello che credo anche a me aspetta un compito difficile.
Vedo il sangue gocciolare dalla sua mano, e la chiazza allargarsi sulla maglietta di lui.
Mio malgrado sgrano gli occhi.
L’hai fatto davvero.
Mi volto rapida verso i miei uomini, che come ho previsto appena hanno capito cosa ha fatto hanno sollevato le armi. Allargo un braccio è dico ad alta voce: “ è fatto.”
Loro si fermano, ma so che non sarà così facile.
Un urlo straziante invade l’aria. So che non sei tu, Clarke. Tu piangi composta, guardando verso il tuo popolo, verso l’urlo che ti restituisce il tuo dolore.
L’hai fatto Clarke. Ora dovrai superarlo.
 
 
 
 

NOTE
Buonasera..
Ehm… onestamente il capitolo non mi piace un granchè.. Inizialmente doveva essere molto diverso, ma poi ho cambiato idea cento volte..
Partiamo dall’inizio:
ho voluto descrivere Clarke in uno stato un po’ di confusione. Lei, secondo me, è innamorata del Finn che vuole la pace, di quello che la supporta, di quello onesto. Per questo l’arrivo di Raven aveva già cambiato tutto, nonostante poi lui l’abbia lasciata. Si è sentita tradita, e più sola, credo.
Ora è spaventata da quello che ha fatto, perché il vecchio Finn non avrebbe mai potuto farlo.
Lo sa che era fuori di sé perché non la trovava, ma ammetterlo significa prendersi la responsabilità, e lei ne ha fin troppe. Non gli dice subito che lo ama subito per questo, ma quando capisce che deve dirgli addio non ce la fa a tenersi tutto dentro.
Per quanto riguarda Lexa.. ho azzardato. Ho guardato e riguardato i minuti del loro scambio di battute prima della morte di Finn. Ho scritto e cancellato più volte la scena, ma alla fine mi sono decisa a lasciarla così. Lexa sa che Clarke ha un’arma e ha capito che i due sono innamorati.
Da un lato vuole lasciarle la possibilità di ucciderlo velocemente, perché sa cosa significa quando qualcuno che si ama viene torturato barbaramente. Dall’altro non pensa che lo farà davvero, perché già ritiene che l’amore che prova Clarke sia una debolezza e non le permetterebbe di fare una cosa così difficile.
Ma viene stupita, e in qualche modo comincia a rispettarla ancora di più.
E inconsciamente comincia già a preoccuparsi per lei. Molto inconsciamente. Credo infatti che sia ancora ben lontana dall’affezionarsi.
In realtà rileggendo mi è sembrata spaventosamente simile a Voldemort. Il concetto è che si sta sforzando terribilmente di chiudere fuori tutto per guidare il suo popolo.
È giovane e ha tante responsabilità. Di fatto secondo me non sa gestire le sue emozioni e per non sbagliare si autoconvince di non provarle. Ma è molto “affascinata” da Clarke che invece non prova neanche a nasconderle.
Finito. Comincio a pensare che dire i miei pensieri rispetto a quello che secondo me pensano i personaggi sia abbastanza da disturbo bipolare.
Rimango disponibile per dubbi e obiezioni nelle recensioni, e colgo l’occasione per ringraziare le ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo, spero di non avervi deluse.
(il prossimo capitolo sarà più centrato, promesso)
Alla prossima,
I.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. Ricordati di me. ***


Capitolo 3.
RICORDATI DI ME
 


Clarke
Ho detto a Finn che lo amo.
Ho regalato al suo cuore degli ultimi battiti carichi di amore e di sentimento finalmente espresso, prima di essere io stessa a fermarlo, sancendo la sua fine.
Prima di ascoltare il suo ultimo battito con la mia mano appoggiata sul suo petto.
Ero già la causa di tutti i suoi problemi. Delle sue azioni, e della sua condanna.
E ora sono la causa della sua morte. Le mie mani sono sporche del suo sangue.
Sangue.
Sollevo la mia mano destra e lascio che la prova di ciò che ho fatto sia tutto ciò che posso vedere.
È ancora caldo, appiccicoso.
Ho già avuto il sangue di Finn sulle mani, quando è stato ferito da Lincoln, migliaia di anni fa.
Ma allora aveva significato cura, speranza. Vita.
Ora è morte.
Cosa ho fatto?
E in quel momento so per certo che l’unica cosa che voglio è non vedere più il suo sangue.
Il respiro aumenta.
Cosa ho fatto?
Afferro uno straccio che non so neanche da dove salti fuori. Ma non mi interessa.
Non so neanche dove sono. L’ultima cosa che ricordo è l’urlo straziante di Raven che mi entrava nel petto, e io che facevo finta che fosse mio. Me lo sono fatta entrare in ogni fibra del mio corpo, ingannandomi che potesse rappresentare il mio dolore. Illusa. Solo poche lacrime cadevano sulle mie guance, minimo segno della distruzione che era iniziata all’interno.
Comincio a sfregarmi spasmodicamente il pezzo di stoffa sulla mano, fra le dita.
Mi sfuggono dei gemiti.
Cosa ho fatto?
Devo togliere questo sangue.
È importante solo sfregare.
Il respiro aumenta ancora, non cerco di trattenere niente al mio interno, neanche l’ossigeno.
Solo disperazione.
Cosa ho fatto?
Ho detto a Finn che lo amo.
E poi l’ho ucciso.
 
Non so quanto tempo passi prima che qualcuno mi fermi le mani, stringendole delicatamente con le proprie cercando di fermare il mio gesto.
Solo quando sento la sua voce riconosco mia madre.
Non mi importa come sia arrivata qui. Qui dove, poi?
L’unica cosa che voglio è dare una giustificazione al mio folle gesto.  Cercare minimamente di spiegare perché.
“L’avrebbero torturato. Ho dovuto farlo.”
L’ho fatto davvero.
Mia madre mi abbraccia per fermare i miei discorsi deliranti, o forse per tenere insieme i pezzi di me che si stanno sgretolando. È tutto inutile. L’unica cosa che so è che deve capire, devo capire.
“Ho dovuto farlo. Ho dovuto farlo.”
Ripeto con una voce che non è la mia.
Non volevo farlo.
“Che cosa ho fatto?”
È quando finalmente lo dico che torno alla realtà.
Il terrestre che due giorni fa ha minacciato di tagliarmi la gola scosta l’entrata della tenda, e dopo aver osservato brevemente la scena che ha davanti parla con voce profonda:
“Il comandante è pronto a parlare.”
Scosto mia madre, mi passo una mano sulle guance bagnate e cerco di capire dove sono, chi sono.
Annuisco e mi alzo. Devo tornare in me.
Sto ancora cercando di darmi un contegno quando la tenda si scosta una seconda volta.
Entra il comandante ed ha una strana espressione, ma questa volta non ho né le energie né la voglia di capire cosa significa.
Lei avanza, seguita da Indra, fino al suo trono e si siede.
Sono nella sua tenda allora, ma non capisco il perché. O forse non me lo ricordo.
L’unico pensiero che riesco a formulare è che voglio andare a casa.
È del tutto incoerente, dov’è casa mia?
“Sangue chiama altro sangue” sento dire dal comandante.
Quel poco di mondo che era rimasto al suo posto, mi crolla addosso insieme a tutto il resto.
Se avessi spazio per provare altre emozioni mi arrabbierei:
ho già le mani piene del sangue che avete richiesto.
Tanto vale che prendano il mio e la facciano finita. Sono quasi tentata di proporlo, perché onestamente sono svuotate di forze, sono stanca.
Provo quasi a immaginare come sarebbe: non provare più tutta questa disperazione, non dover più lottare costantemente contro nemici sempre nuovi e sempre più pericolosi. Solo il nulla.
Ma è in questo momento che mi sblocco, se morissi adesso, morirei da assassina.
Non avrei più nessuna giustificazione, se di questo si può parlare, per aver ucciso Finn.
So perché sono qui, so qual è la mia missione.
Quindi rialzo lo sguardo e so che contiene una nuova luce.
Nulla mi impedirà più di andare a fondo a questa storia.
Devo salvare i miei amici e la mia gente.
Ricomincio ad ascoltare il comandante, ma non mi farò toccare troppo dalle sue parole.
 
°°°
 
Lexa
 
“Sangue chiama altro sangue”
Comincio così il discorso che mi sono preparata poco fa, dopo aver placato l’ira dei miei uomini.
Fisso Clarke, che malgrado la sua disperazione è in piedi davanti a me che sostiene il mio sguardo. Ciononostante non può trattenere un’espressione di sconforto.
“Per alcuni dei miei questo non basta. Vogliono che l’assassino soffra come tradizione impone.”
Cerco di trattenere una nota rassegnata nelle mie affermazioni. Lei non lo saprà mai, ma se dipendesse da me sarebbe abbastanza così. Quindi mantengo un distacco e mi limito a esprimere la loro volontà, separandola dalla mia semplicemente senza usare il “noi”. È inutile, ma è l’unica cosa che posso fare ora.
Però continuo, cercando di sembrare più distaccata. Queste sono le parole del discorso su cui ho meditato di più:
”Ma non sanno che la tua sofferenza sarà più grande. Quello che hai fatto stanotte ti perseguiterà per sempre.”
La vedo abbassare lo sguardo. Non riesco a reprimere il pensiero che avrei voluto dirle queste cose in privato, e che suonassero come un avviso, quasi un suggerimento, non come una minaccia.
Loro non lo sanno, Clarke. Non possono capire il tuo gesto. Ma io sì.
E so anche che non potrai permetterti di farti trascinare dalla disperazione, altrimenti non ne uscirai più.
Puoi ancora fare tanto, devi superare queste debolezze.
Quindi continuo dura, anche a costo di farmi odiare.
Nonostante io sappia già che non puoi che provare rabbia e odio nei miei confronti.
Va bene così, Clarke. Odiami pure, ma rialzati.
“Comunque – e mi distolgo dai miei pensieri – ci sarà un risarcimento. Il corpo verrà consegnato agli abitanti di TonDC, e il fuoco unirà l’assassino e le sue vittime. Soltanto allora arriveremo alla pace.”
Concludo ed è Marcus a rispondere subito:
“No, abbiamo fatto abbastanza. Il ragazzo avrà la nostra sepoltura.”
Non capisce che non ha alternative, se non la guerra.
È Indra infatti a rispondere rabbiosa:
“Abbastanza? Ci spettava il dolore di diciotto morti. Ci spettava una giusta esecuzione. Il mio villaggio merita giustizia.”
Clarke rimane in silenzio, è lei che ha fatto in modo che tutto questo non fosse possibile.
Ora però non prova a difendersi, si limita ad osservare la scena.
Ma non posso fare a meno di notare che ora nei suoi occhi c’è una luce diversa da quando sono entrata. Qualcosa ha rubato un po’ di posto alla disperazione che prima vi regnava sovrana.
“Non cercate giustizia, volete solo vendetta.”
Subentra sua madre, che non fa altro che alimentare la rabbia di Indra.
“Non sapete cos’è la mia vendetta.” Minaccia infatti con tono tagliente.
“Lo faremo.” È la sua voce a fermare tutto, e tutti rivolgiamo lo sguardo verso di lei.
Sono le prime parole che pronuncia da quando sono entrata.
Sono piacevolmente sorpresa dal tono risoluto che ha usato.
Sei ancora lì, Clarke. Sei ancora tu.
“Ma poi parleremo di come liberare la nostra gente da Mount Weather. Tutta la nostra gente.”
Lo dice guardando me, come a farmi capire che nonostante tutto lei ha ben chiari i suoi obiettivi.
Proprio per questi ha fatto quello che ha fatto. E soprattutto enfatizza che d’ora in poi dovremo lavorare insieme, per la nostra gente. La nostra.
Ho capito, Clarke, ma voglio confermartelo.
“Vogliamo le stesse cose, Clarke.” Non dobbiamo più temerci, ormai.
“Perfetto – dice subito, sbrigativa – quando partiamo?”
Percepisco perfettamente l’urgenza nella tua voce, la comprendo. Devi fare in modo che il tuo gesto non sia invano. Capisco, e ne sono anche soddisfatta. Così ti vengo incontro.
“Subito. – dico, e so che è quello che ti serve in questo momento, mi alzo prima di continuare – scegli i tuoi uomini.”
Sceglili bene, Clarke, dovranno starti accanto e sostenerti. Preparatevi in fretta, se ti fermi adesso, ripartire sarà quasi impossibile.
E tu devi andare avanti.
Esco, lasciandoti con i tuoi.
 
°°°
 
Clarke

Stiamo camminando da ore.
Raven è sul carro con il corpo di Finn. Proprio davanti a me.
Affrontare la sua rabbia e il suo disprezzo ieri sera è stato come affrontare una parte di me.
Risponderle mi è servito per esprimere ad alta voce i miei pensieri.
È l’unico modo, me lo devo ripetere in ogni momento.
Cerco di reprimere un brivido pensando agli occhi spalancati di Finn che mi hanno fissato mentre i terrestri portavano via il suo corpo.
È proprio mentre ripenso a quel momento che lo rivedo e mi si chiude lo stomaco.
È in piedi, fermo tra la vegetazione. Non fa altro che osservarmi con quello sguardo vuoto che ho visto anche ieri sera.
Una parte remota di me sa che è solo la mia mente che mi perseguita, ma il primo istinto è quello di urlargli di scappare e di nascondersi.
Già, ma nascondersi da chi? Da me o dai terrestri?
Le parole che Lexa mi ha rivolto poche ore fa mi rimbombano nelle orecchie:
Quello che hai fatto stanotte ti perseguiterà per sempre.
Finn mi perseguiterà per sempre?
“Ehi” mi sento chiamare e quasi mi spavento.
Distolgo lo sguardo da Finn, ancora immobile e mi giro verso Bellamy, che mi ha raggiunta.
“Va tutto bene?” chiede preoccupato.
So di avere un aspetto tremendo. Ma non me ne è mai importato meno.
Torno a guardare verso Finn, ma è sparito. Eppure era così reale.
“Sì” rispondo secca. Non ce l’ho con Bellamy, ma non voglio affrontare questa conversazione.
“Hai fatto la cosa giusta.” Continua però lui.
Giusta. Ho ucciso il ragazzo che mi amava. Il ragazzo che amavo.
Ma ho fatto la mia scelta nel momento in cui ho deciso di partire per TonDC per il suo rituale funebre.
“Ora devo conviverci.” Dico asciutta.
“Sei ancora convinto che questa tregua sia una cattiva idea?” continuo.
“Perdiamo tempo con la politica mentre i nostri amici sono nei guai.” Risponde, pragmatico come sempre.
“Ci serve il loro esercito per arrivare a Mount Weather e lo sai.”
Deve ammetterlo. È questo la chiave di tutto.
“Il loro esercito è preso a calci da Mount Weather da sempre. Quello che ci serve è un uomo all’interno -
risponde convinto – qualcuno che controlli.”
“Scordatelo” dico immediatamente. Non ci deve neanche pensare. “È pericoloso.”
“Se tu sei riuscita a scappare, io riuscirò ad entrare” insiste.
“Ho detto di no.” Non mi interessa quello che dice. Non permetterò che vada.
“Non prendo ordini da te. Mi servirà una ragione migliore.” Ribatte lui, testardo come sempre.
Non posso farlo. Non posso lasciarlo andare.  Non voglio che muoia e non solo perché so che sarebbe colpa mia. So che devo dargli una motivazione forte per fargli cambiare idea, così dico la verità.
“Non posso perdere anche te. Ok?” sputo fuori.
Jasper, Monti e tanti altri sono rinchiusi nella montagna. Raven mi odia. Mi è rimasto solo lui.
Lui lo sa, e infatti tace. So di aver vinto, per ora.
 
Non so per quante ore camminiamo, ma il sole è calato quando i terrestri decidono di fermarsi per riposare.
Subito i soldati del comandante si dispongono da un lato della radura. Mia madre, Kane e tutti gli altri dal lato opposto.
Non va bene, questa non sembra un’alleanza, mentre è fondamentale che lo sia.
Quindi ignoro volontariamente la tenda che stanno montando gli uomini dell’arca e scelgo un posto a metà tra loro e i terrestri.
Sto stendendo la mia coperta sul terreno quando Bellamy mi chiama:
“Clarke, è più sicuro da questa parte.”
Non capisce, Bellamy, è troppo abituato a dover combattere per avere un posto sicuro per dormire. Anche per me era lo stesso, ma le cose cambiano.
“Dobbiamo fidarci di loro Bellamy. Non ci sono più parti.” Mi sdraio chiudendo il discorso.
Se devo essere del tutto sincera, poi, ho più paura dei miei fantasmi che dei terrestri di fronte a me.
Nonostante il suo scetticismo sento Bellamy sistemarsi poco più avanti di me, ancor più vicino a quelli che considera ancora i suoi nemici.
Vuole proteggermi, ma sono sicura che nella sua testa mi sta maledicendo.
Rimango con gli occhi spalancati, fissando la radura di fronte a me.
Sono stravolta, ma ho paura di fermarmi e pensare. Ho paura di rivedere ancora Finn, anche se una piccola parte di me brama vedere il suo viso, sentire il calore del suo corpo vicino al mio. Sapere che ho il suo appoggio..
Non ricordo esattamente quando mi sono addormentata, ma quando apro gli occhi di soprassalto sento ancora il nodo allo stomaco che ho provato quando ho visto Finn aprire gli occhi e nella foresta.
È solo perché ci stavo pensando, dico.
Tuttavia non riesco a trattenermi dal sollevare la testa e guardare con la coda dell’occhio dietro di me.
È ancora lui, steso accanto a me. Il suo sguardo è ancora vuoto come le altre volte.
Ma mi è così vicino che potrei giurare di sentire il suo corpo premere contro il mio.
Provo a non farmi prendere dall’ansia e mi ristendo rimanendo immobile.
Cerco di pensare che Finn approva questa mia decisione di allearmi con i terrestri. Dopotutto lui è stato il primo a crederci davvero.
Chiudo gli occhi.
 
°°°
 
Lexa
 
Ogni vita ha puntualmente
il suo destino da incrociare
da sfiorare anche un attimo soltanto
e forse è vero quello che ti porti dentro
è sempre tutto cio’ che
non hai mai potuto avere accanto
e quindi cerco di respingere le tracce
di un ricordo lontanissimo.
 
Siamo finalmente arrivati al villaggio del massacro, dopo un intero giorno e una notte di viaggio.
Non ho più parlato con Clarke da quando ha preso la decisione di partire, ma per quanto ho potuto l’ho tenuta d’occhio.
Sembra che la sua tristezza abbia lasciato posto a una cupa determinazione, come quella che ha mostrato ieri sera volendosi sistemare per la notte da sola a metà tra le nostre tende e le sistemazioni dei suoi uomini. Tuttavia so che sta solo arrancando, e mi chiedo quando arriverà il momento in cui esploderà.
Deve lasciar andare il ragazzo.
Devi pensare a quanti puoi ancora trovare,  non a chi hai perso.
È l’unico modo per sopravvivere.
Spero che lo capisca presto.
Smonto da cavallo e lascio che sia Gustus a controllare che tutti lascino le loro armi, come da tradizione.
Quando il mio guerriero mi assicura che sono tutti puliti mi metto alla testa del corteo e supero i cancelli del villaggio.
Conosco già il clima che troverò all’interno, ma probabilmente superato questo passo la nostra alleanza con il popolo del cielo sarà più facile.
Qui hanno perso diciotto innocenti, sono le persone che meno possono comprendere questa alleanza.
Infatti oltre alle grida di benvenuto per me e i miei uomini sento frasi rabbiose nei confronti del popolo del cielo. Incredulità, odio, tristezza. Non capiscono che questa alleanza salverà tanti altri di loro, tanti altri di noi.
Io continuo a camminare a testa alta tra la gente.
Sono obbligata a fermarmi, però, quando un abitante di TonDC mi si para davanti bloccandomi il cammino.
Cerco di non reagire, anche se sa che ha superato il limite.
“Il popolo del cielo si è preso tutto di me: mia moglie, mio figlio.”
Il passato è passato, e tutta la mia gente deve capirlo. Soffro anche io per tutte le perdite che abbiamo subito, ma non posso farmi fermare da questo.
“Spostati” gli risponde Gustus.
Aveva ragione ieri, lo sapevo, ma questa ne è la prova lampante. Il mio popolo odia questa alleanza e anche io sono a rischio perché mi ostino a portarla avanti. Tuttavia devo andare avanti con quello che ritengo essere la miglior cosa per tutti noi. Non mi spaventa la morte.
E probabilmente è quello che pensa anche l’uomo di fronte a me,  perché al posto di ubbidire risponde:
“gli assassini non sono benvenuti”.
Devono capire tutti che dal momento che si è instaurata questa alleanza non sono ammesse repliche.
Non posso permettere che mi considerino debole, o non sarà servito niente.
Così mi giro verso il mio guerriero, facendo appena un cenno della testa e lui si muove.
Tutta la gente del villaggio assiste alla scena: Gustus sta punendo quest’uomo, ma deve essere un monito per tutti gli altri. Vorrei che non fosse necessario, ma non c’è altro modo.
Sento del movimento di fianco a me e sento molto vicina la voce di Clarke.
“Comandante – mi chiama – devi fermarlo, ti prego. Ci incolperanno anche di questo.”
So che ha ragione, la mia gente ha troppo rispetto per me da considerarmi responsabile della morte di quest’uomo, anche se di fatto sarebbe così. Il popolo del cielo, invece, sarebbe il colpevole perfetto.
Lancio solo un’occhiata alla ragazza di fianco a me. Avremo tempo di parlare più tardi.
“Lascialo vivo” dico a Gustus nella nostra lingua e lui si ferma.
Tuttavia devo avvisare questa gente. Sono sempre io il comandante.
Avanzo e mi giro a confrontare tutti.
“Il popolo del cielo adesso marcia con noi, e chiunque dovesse provare a impedirlo – mi fermo lasciando vagare lo sguardo su tutti questi guerrieri – pagherà con la sua stessa vita.”
Li osservo tutti, quasi sfidando a contraddirmi. Quando vedo che nessuno si muove mi volto e riprendo a camminare.
Non possono disobbedirmi. Io sono il loro comandante.
 
È tutto pronto per il rituale funebre. Una catasta di legna secca sostiene tutti i diciotto corpi delle vittime del villaggio e il corpo del ragazzo del cielo. Io sono davanti a tutti. Il Popolo del cielo è alla mia destra, mentre tutti gli abitanti del villaggio hanno circondato la pira.
So che è un momento delicato per tutti. Prendo un bel respiro e pronuncio la frase di rito:
“Gente di TonDC, nel fuoco purifichiamo il dolore del passato.”
Sento Lincoln che traduce le mie parole in inglese, mentre mi giro verso Indra che mi porge la fiaccola accesa. La prendo e sto per avvicinarla alla legna quando mi viene un’idea.
Dobbiamo andare oltre il passato, e costruire il nostro futuro.
Non ci sarebbe nulla di più significativo per l’alleanza che veder rendere omaggio proprio il popolo del cielo alle nostre vittime. Un segno ancora più chiaro del fatto che non siamo più nemici ora.
Così senza averlo premeditato mi giro verso la gente del Cielo. Vedo Clarke che osserva il corpo del ragazzo che ha ucciso. Spero che quello che sto per chiederle possa aiutare anche lei a superare il suo, di passato.
“Clarke” la chiamo distogliendola dai suoi pensieri.
Lei mi guarda con fare dubbioso, mentre sento la mia gente mormorare in segno di protesta, ma a me non interessa. È un gesto importante per noi, e proprio per questo voglio che sia lei a farlo.
Inarco un sopracciglio per incitarla. La  vedo avanzare, con una smorfia di dolore sul viso.
Arriva al mio fianco e impugna la torcia che le sto offrendo.
Non posso fare a meno di osservarla, qui di fianco a me, con la mano che regge la torcia che sembra tremare appena. La luce delle fiamme rende ancora più antico il suo dolore.
So cosa stai provando, Clarke. So che non devi provarlo.
Vedo che distoglie quasi con un sussulto lo sguardo dal legno davanti a lei e guarda un punto preciso alla sua destra, vicino alla sua mano. Ha un’espressione che sembra quasi spaventata.
Cosa vedi? Devi lasciar andare i tuoi fantasmi.
Come spinta da una forza che non riesce a contrastare avvicina la fiaccola alla pira, che prende subito fuoco.
E poi pronuncia una frase che mi lascia per un istante senza fiato.
“Yu gonplei ste odon” dice con voce ferma, e la sua mano non trema più mentre fa prendere fuoco punti diversi della catasta di legna.
Hai stupito tutti, ragazza del cielo. Nessuno mormora più. Tutti ti fissano ma a te non importa.
Ti sei appena comportata da leader.
Non so se sai di aver appena conquistato un minimo di rispetto da parte loro.
La osservo mentre fissa il corpo di Finn al centro della pira, finchè le fiamme non lo avvolgono completamente.
Capisco il suo sguardo meglio di quanto creda.
Potrei raccontarti qualcosa di me, Clarke.
Forse mi odieresti di meno, se sapessi…
Forse potrei aiutarti ad andare avanti.
 
La gente ha iniziato ad allontanarsi, per terminare il proprio lutto in privato, nelle loro abitazioni.
Non Clarke, però, che ha visto andar via tutta la sua gente senza muoversi di un centimetro.
E io con lei.
Non so cosa mi spinge a voler stare qui.
Forse perché lui è morto per lei, proprio come lei lo ha fatto per me ormai anni fa.
Sono morti per noi. A causa nostra.
Una parte di me la invidia per l’opportunità che ha avuto di dirgli addio e di aver potuto alleviare le sue pene ed evitare le torture.
Una parte di me si chiede se io sarei stata capace di compiere un atto di questa importanza.
Ma un’altra parte di me, quella che la ammira per questo gesto, credo, vuole anche metterla in guardia.
Voglio che si rialzi.
Così parlo, senza staccare gli occhi dalla cenere che si sta accumulando sotto il fumo grigio.
“Anche io ho perso una persona speciale.” Persona speciale, è l’espressione migliore con cui io possa descriverla, seppur banale.
Ma non ho mai mostrato questa debolezza, e non ho intenzione di farlo adesso che l’ho superata.
È essenziale che lei capisca.
“Si chiamava Costia “ reprimo un brivido mentre pronuncio il suo nome dopo così tanto tempo. Continuo a guardare davanti a me, forse anche per non mostrarle i miei occhi mentre le parlo di lei.
Sento che mi sta ascoltando con attenzione. Chissà come interpreterà questo segno di apertura.
“La catturò la nazione die Ghiacci perché la regina voleva conoscere i miei segreti”
Mi guarda, adesso. Non voglio che provi pena per me, così indurisco la voce. Questo aiuta anche me a proseguire.
“Poiché era mia..”
Mi fermo un istante. Era mia. È stata colpa mia. Non penso di essere stata così fragile da molto tempo.
Ma devo spiegarle. Stringo i denti.
“La torturarono, la uccisero. E le tagliarono la testa.”
“Mi dispiace” dice guardandomi, mentre io non ho ancora sollevato lo sguardo.
“Credevo di non superare quel dolore. Ma ci riuscii.”
Non permetto alla mia mente di soffermarsi sui ricordi di quei giorni.
Il passato è passato. Ho bruciato quello che rimaneva del suo corpo, e con esso il mio dolore. Il mio amore.
Sono andata avanti. E devi farlo anche tu.
“Come?” mi chiede con la voce che trema mentre torna a guardare la cenere.
So che anche tu stai pensando che non sia possibile, come me in quel momento. Ma non è così.
“Riconoscendolo per quello che è”. Finalmente mi volto a guardarla e vedo che lei fa lo stesso.
La guardo negli occhi prima di svelarle qual è la chiave per sopravvivere.
“Una debolezza.”
“Che cosa?- mi risponde lei, e so che si mostrerebbe più scettica se non fosse così distrutta – l’amore?”
Io annuisco soltanto, tornando a guardare davanti a me.
“Quindi a te non importa più niente di nessuno?” e ora l’incredulità si fa largo nella sua voce.
Anche questa volta annuisco senza dire niente.
Spero che interpreti il mio sguardo come distaccato e risoluto. In realtà non la guardo perché è così carica di sentimenti ed emozioni che potrebbe scorgerli anche nei miei occhi, per quanto li tenga lontano.
“Io non potrei mai farlo.” Sentenzia.
So che lo pensi davvero Clarke. Una parte di me non vuole dirti queste cose, perché i tuoi sentimenti sono così puri e profondi da essere quasi preziosi.
Ci sono persone che possono permettersi di innamorarsi, di creare una famiglia e di vivere condividendo tutto ciò che hanno.
Sono le persone dalle cui decisioni non dipende il futuro di tutti, però.
Sono le persone che non hanno nemici pronti ad ogni angolo a tendere agguati.
Sono le persone che non devono temere in ogni momento che un minimo passo falso possa condannare a morte loro e tutti coloro a cui tengono.
Non siamo noi, Clarke.
Io ho provato a pensarlo, e sono stata punita.
Noi non possiamo. Altrimenti ne pagheremo le conseguenze, e non saremo i soli.
“Allora metterai in pericolo le persone a te care. E il dolore non se ne andrà mai.”
Sono irremovibile su questo punto. So cosa vogliono dire queste parole. 
“I morti non ci sono più, Clarke.”
Devi capirlo prima che quello che provi ti distrugga.
“I vivi vogliono vincere.”
Non perdere i tuoi obiettivi. Devi lottare per ciò in cui credi. Tu puoi ancora farlo. Tu sei viva.
Osservo l’espressione confusa sul suo viso.
Spero di essere stata convincente, o di averle anche solo insinuato il dubbio che ciò che le ho detto potrebbe salvarla.
Non posso fare altro per ora, se non aspettarla.
Così mi volto, e mi incammino verso la mia tenda.
 
 
La tavola è pronta. Il cibo è servito.
Io e i miei uomini siamo già disposti ai nostri posti, mentre Lincoln e la sua ragazza del popolo del cielo stanno prendendo posto dall’altro lato del tavolo.
Clarke non è ancora arrivata, e con lei altri dei suoi uomini.
Mi chiedo come stia dopo il nostro confronto di oggi, mi chiedo cosa troverò nel suo sguardo quando entrerà.
Devo aspettare poco, comunque.
Alcuni passi rimbombano sulle scale e mi preparo all’arrivo dei miei futuri alleati.
Davanti a tutti c’è proprio lei. Sembra che abbia un’espressione più serena sul viso.
Forse sta cominciando a riprendersi o forse è solo soddisfatta, come lo sono io, del punto dove siamo riusciti ad arrivare, contro ogni aspettativa.
Sei stata tu a rendere questo possibile.
Ti siedi di fronte a me e aspetti in silenzio che i tuoi amici prendano posto.
È Marcus a parlare per primo:
“La prego, accetti questo dono, comandante. Noi lo beviamo nelle occasioni speciali e questa lo è senz’altro.” Dice sorridendo in modo tranquillizzante. È contento anche lui di questo successo, ci ha creduto sin da subito.
Così annuisco verso Gustus, mantenendo le tradizioni, e inizio a ringraziare con lo sguardo mentre il mio guerriero afferra la bottiglia e me la porge.
“Grazie, Marcus del popolo del cielo.” Dico.
“È un piacere Lexa, com trikru.” Mi risponde lui, un po’ indeciso sulla pronuncia.
Nessuno mi chiama con il mio nome ormai, ma a lui mi sono presentata così mentre fingevo di essere una serva. Quante cose sono cambiate da allora.
Gli sorrido leggermente. Anche lui, come Clarke poco fa, tenta di mostrarsi più aperto alla nostra cultura.
“Anche se è meglio non berne troppo” conclude con un sorrisetto.
È il momento di iniziare questo pasto, che segnerà il punto di svolta tra i nostri popoli.
“Clarke. – non posso che rivolgermi a lei – vorrei brindare insieme” dico guardandola.
“È un onore per me” risponde e sembra sincera. Forse qualcosa sta davvero cambiando in lei.
Mi volto verso il ragazzo dietro di me che mi offre due bicchieri, e sono io a versarci dentro il loro dono.
Porgo un calice a Clarke e prendo il mio.
“Comandante – mi ferma però Gustus – mi permetta.”
Così sollevo il mio bicchiere nella sua direzione, aspettando che lo prenda.
Vedo Marcus e Clarke che lo osservano, come se non si aspettassero questa diffidenza.
Ma Gustus ha ragione, sono il comandante che ha unito dodici clan, che ha portato la pace. La prudenza non è mai troppa.
Osservo anche io la mia guardia del corpo, e noto con soddisfazione che non gli succede nulla.
Riprendo il calice e faccio scivolare lo sguardo su tutta la tavolata.
“Stasera celebriamo la neonata pace. Domani pianificheremo la guerra.”
Poi mi concentro su Clarke, ed è come se stessi riprendendo il discorso interrotto dopo il rito funebre.
“A quelli che abbiamo perso – dico sollevando in alto il bicchiere – e a quelli che presto troveremo.”
Vedo che lei ha capito, perché alza a sua volta il calice.
Stiamo per portarlo entrambe alle labbra quando Gustus cade in avanti schiantandosi contro il tavolo.
In un attimo è il caos.
Mi guardo intorno e vedo sulle facce di tutti lo stesso stupore che so essere impresso sul mio viso.
Mi sposto verso Gustus per vedere se è già morto, quando sento qualcuno gridare quello che non vorrei mai accettare.
“È veleno!” e “ È stato il popolo del cielo.”
Onestamente sono stupita. Dopo tutto quello che abbiamo fatto, che abbiamo ottenuto.
Rapidamente, però,  la rabbia prende il posto della sorpresa.
Confidavo in questa alleanza, io sola tra tutta la mia gente, per salvare il mio popolo.
Invece sono stata tradita.     
Con tutto quello che ti è costato, Clarke? Perché l’hai fatto?
Il tuo odio per noi non è diminuito? Il tuo odio per me?
È proprio lei ad urlare verso di me:
“Non siamo stati noi, credimi! Non siamo stati noi!”
Non posso crederti Clarke, non mentre Gustus sta morendo per aver assaggiato il veleno che ci avete portato. Non dopo aver bevuto il veleno che era destinato a me.
“Non lasciatelo morire” urlo ai miei uomini, ordinando loro di portare la mia guardia lontano da qui.
Indra sta minacciando il popolo del cielo con la sua spada e ordina di perquisirli tutti.
“Non siamo stati noi!” urla ancora Clarke.
Non puoi mentire Clarke, non a me.
“Gustus mi aveva avvertito, ma non gli ho dato ascolto.” Le dico dura, mentre un mio uomo la strattona, ma lei sembra non rendersene conto.
“Lexa.. ti prego.” Implora lei.
Non chiamarmi per nome, ragazza del cielo. Non dopo aver appena gettato al vento la fiducia che iniziavo a riporre in te e nella tua gente.
“Dimmi una cosa Clarke – le dico inchiodando il suo sguardo al mio – quando hai affondato il coltello nel cuore del ragazzo che amavi, non hai desiderato che fosse il mio?”
So perfettamente quanto le fanno male le mie parole e qual è la risposta, e anche lei. Infatti non mi risponde, ma continua a farsi strattonare da una delle mie guardia, alla ricerca di qualche prova del loro tradimento.
Sono amareggiata.
Vedo che sgrana leggermente di più gli occhi, guardando un punto dietro di me.
Lo vedi ancora? Sei ancora tormentata? Sei ancora debole Clarke, quello che sta accadendo ne è la prova.
“Comandante.” Mi sento chiamare e distolgo gli occhi dalla ragazza distrutta davanti a me.
“Quello non è mio” dice una ragazza del cielo, quella che ho visto piangere disperatamente per la morte del ragazzo colpevole.
“Era nella sua giacca” continua la guarda passandomi una boccetta vuota.
La sento discolparsi, ma nella mia testa passa l’immagine di Gustus che le toglie numerosi coltelli prima di entrare nel villaggio. Ricordo il suo sguardo di sfida, lo sguardo di una che non ha niente da perdere.
Guardo Clarke e vedo che scuote la testa, come a dirmi che lei non c’entra.
Forse lei e gli altri non sono coinvolti.
Non riesco a reprimere questo pensiero, con una punta di speranza senza senso, ma non sono lucida.
“Che nessuno di loro osi lasciare questa stanza” ordino arrabbiata.
Ho bisogno di calma per pensare e ragionare su questa situazione.
Odio non capire. Specialmente se la posta in gioco è alta.
Me ne vado lasciando tutti dietro le mie spalle.
 
°°°
 
Clarke
 
Ed è cosi che va la vita e il suo percorso
in equilibrio tra il rimpianto ed il rimorso
e restiamo a curare i nostri pezzi di cuore
che siamo il sangue che scorre e che inventa l’amore
il passato è passato e non c’è niente da fare
lo puoi perdere o lo puoi cercare
in queste notti cosi vuote.
 
C’erano delle giornate, nella prigione dell’arca, in cui imploravo che accadesse qualcosa, qualsiasi cosa, che mi facesse uscire dall’inerzia della noia e della nullafacenza. Durante quei giorni il tempo non passava mai.
Cercavo di guardare il meno possibile l’orologio, concentrandomi su altro sperando che così i minuti scorressero più velocemente. Eppure ogni volta che riabbassavo lo sguardo, la lancetta era sempre inesorabilmente lenta.
Da quando sono sulla terra non ho fatto altro che essere spintonata da una parte all’altra, senza un minuto per prendere fiato, senza un minuto di pace. E le lancette dell’orologio scandivano il ritmo delle nostre angosce. A volte non le ho guardate per giorni interi, troppo presa dal sopravvivere, altre volte si avvicinavano troppo velocemente ai momenti peggiori.
Il tempo non è mai dalla mia parte.
Anche ora, vorrei che finisse quest’attesa, che i terrestri scendessero quaggiù per dirci cosa hanno deciso di fare con noi, ma allo stesso tempo ho paura che quando arriverà quel momento, verrà segnata la fine di tutte le mie speranze.
Il punto in cui Raven mi ha colpita mi fa male, ma non me ne accorgo neanche.
Non mi interessa nemmeno degli sguardi che mi lanciano tutti a intervalli regolari, sguardi di compassione, ma anche un po’ di paura.
Gli sguardi che si lanciano a chi ha ucciso il ragazzo che amava e ora parla con il suo fantasma davanti a tutti.
Quello che hai fatto ti perseguiterà per sempre.
I morti non ci sono più, Clarke. E i vivi vogliono vincere.
Buffo che in questo momento mi vengano in mente le parole di Lexa e non quelle con cui mia madre ha cercato di confortarmi poco fa.
Siamo uguali io e mia madre.
Io ho ucciso Finn come lei ha ucciso mio padre.
È a questo che serve l’amore? Cos’è questo amore?
Una debolezza. Forse non è così assurdo.
“Fare a pezzi gli altri e te stessa non  sarà d’aiuto” mi dice Kane avvicinandosi.
Sinceramente non voglio stare a sentire anche lui, così non gli rispondo.
“Lexa ha bisogno di questa alleanza tanto quanto noi. – Continua invece lui sedendosi al mio fianco. – ha mostrato di essere malleabile. Lei ti ascolta.”
Lei mi ascolta.
Ripenso a quando ha deciso di seguirmi per assistere alla guarigione di Lincoln, a quando ha evitato che Gustus uccidesse il terrestre all’ingresso del villaggio. A quando ha voluto condividere con me parte del suo passato.
Poi ripenso a quello che mi ha urlato poco fa, al fatto che sa perfettamente che avrei preferito uccidere lei al posto di Finn.
“È convinta che volevamo ucciderla.” Dico soltanto.
“Non è così – risponde veloce – quindi capiamo chi è stato, chi la vuole morta.”
“Troppi per contarli – interviene Lincoln poco distante – allearsi con voi è stato un rischio. Soprattutto dopo quello che ha fatto Finn.”
“È stato qualcuno che vuole rompere l’alleanza.” Commenta anche Octavia.
Qualcuno, ma chi? Un terrestre avrebbe sicuramente saputo che avrebbe bevuto prima Gustus dal bicchiere di Lexa. Quindi non miravano a lei.
In questo momento la porta si apre.
Non sono pronta, non voglio che tutto finisca così.
Entrano Niko e Indra, insieme ad altri soldati. Lincoln chiede di Gustus, il suo amico gli risponde che si rimetterà, ma sono qui per un altro scopo. Sento la donna parlare nella loro lingua e un guerriero si sposta verso Raven. Marcus e Bellamy provano a difenderla.
“Io mi sono battuta per uccidervi tutti. – interviene Indra – ma il comandante è clemente. Ne vuole soltanto uno.”
“Lei è innocente” prova Lincoln.
“A me non importa. Se si muovono colpiteli.” Conclude lei.
Osservo impotente mentre la portano via. Un’altra persona che non riuscirò a salvare.
“Voi altri siete liberi. Alla sua morte seguirà quella dell’alleanza. – si ferma per poi spezzare ogni nostra speranza – andatevene da qui.”
Vedo tutti i miei amici e mia madre uscire.
Io non ce la faccio. Non posso andare là fuori e vedere Raven morire. Vedere un’altra persona morire perché ho fallito. Mia madre mi chiama, ma lei non capisce.
Finn non mi perdonerà mai se lascerò morire anche Raven.
Ormai ho abbinato il suo pensiero alla strana stretta allo stomaco e alla sua presenza.
Così quando mi volto so già che lo troverò davanti a me.
“Non riesco a salvare nessuno.” Dico sentendo le urla di Raven che feriscono anche me.
“Dì qualcosa!” lo imploro, ma lui continua ad avere lo sguardo vuoto che ho associato a questa versione del ragazzo che amavo. Questa volta però, distoglie lo sguardo da me per puntarlo su qualcosa per terra vicino a lui.
Lo vedo. Vedo il calice che Lexa ha lasciato cadere quando Gustus è stato male.
Non sento neanche mia madre che insiste nel voler scappare.
Noi non volevamo uccidere Lexa, non volevamo rompere l’alleanza.
Il veleno non era nella bottiglia. E se non era lì c’è solo un unico posto dove poteva essere, e un’unica persona che avrebbe potuto mettercelo.
“Non era nella bottiglia.” Dico correndo fuori, una nuova speranza dentro di me.
Esco all’aria aperta senza preoccuparmi di niente e di nessuno.
“Mi serve quella bottiglia, subito.” Dico a Niko che sta parlando con Lincoln. Lui fa un cenno e si muove.
Io non ho tempo da perdere. Così mi rivolgo verso Raven, che sta continuando a urlare di dolore.
“Fermati” urlo, ed è un ordine.
Il guerriero terrestre che stava per colpire, ferma il braccio.
Noto Lexa, lì davanti. Deve aver capito che ho qualcosa di importante da dire, infatti ordina ai suoi uomini di lasciarmi passare.
Mi viene in mente un altro momento, un altro “lasciatela passare”, un altro dei miei amici legato al palo in attesa di morire. Ma questa volta sarà diverso.
Mi avvicino veloce e le dico rabbiosa:
“Uno dei tuoi ha cercato di ucciderti, Lexa. Non uno dei miei. “
Lei mi guarda senza dire niente.
Ci speri anche tu?
È Indra, come al solito, la più bellicosa.
“Non te ne sei andata” mi chiede, ed è una constatazione che sa di minaccia.
So che Lexa non se ne farà niente delle mie parole, se non le do una buona dimostrazione.
Così dico senza smettere di guardarla:
“Te lo posso provare”.
E afferro la bottiglia che in quel momento Niko mi ha portato.
Non penso, ma bevo a grandi sorsi il distillato di Monti, ignorando le espressioni stupite di tutti.
Ne ingoio quanto riesco e lascio che l’alcol bruci nel mio corpo portando calore a tutte le mie cellule.
Tutti mi fissano, ora, in attesa che stramazzi al suolo avvelenata.
Ma io so che non sarà così.
“Spiegati” ordina Lexa guardandomi.
È la mia occasione.
“Il veleno non era nella bottiglia. Era nella coppa.”
Vedo Gustus, la sua guardia del corpo, sporgersi e sussurrare qualcosa nella loro lingua.
So che è stato lui, e sa che l’ho scoperto. Sta cercando di salvarsi
“Sei stato tu” interviene Bellamy, capendo a sua volta la verità.
Faccio passare lo sguardo dall’enorme terrestre al mio amico, che continua:
“Ha bevuto dalla coppa e ha perquisito Raven.”
“Gustus non mi farebbe del male” interviene Lexa, e so che ci crede, che si fida della sua guardia.
“Non eri tu il bersagio – continua però Bellamy che ha capito tutto – era l’alleanza.”
E vedo la consapevolezza farsi largo tra i tuoi occhi.
L’alleanza che tu hai voluto quasi quanto me.
Quella stessa alleanza per cui sei andata contro il volere dei tuoi uomini, cosa che non avevi mai fatto prima.
Lui lo sapeva che era pericoloso per te. Che noi, che io sono pericolosa per te.
E ha cercato di salvarti, rischiando di perdere la sua vita.
Ma non possiamo andarci di mezzo noi.
“Non siamo stati noi e tu lo sai” dico infatti io, fissandola.
Una vena di rassegnazione invade il suo sguardo, mentre si gira verso il suo uomo più fedele e si rivolge a lui in modo che noi non possiamo capire.
Lui ci guarda prima di parlare con voce profonda.
“L’alleanza ti sarebbe costata la vita, comandante. – la guarda. È affetto quello che leggo nei suoi occhi – e non potevo permetterlo.” Continua.
Lei non abbassa lo sguardo, ha capito.
“Questo tradimento ti costerà la tua di vita.” Dice implacabile.
E anche se con questa frase ha sancito la nostra salvezza, non posso essere contenta.
Sento che ordina qualcosa agli altri uomini, che afferrano Gustus e lo trascinano al posto di Raven.
Per quanto determinata e imperiosa, Lexa, so che non stai facendo quello che vuoi, ma quello che devi.
E non posso che guardarti inorridita, ma anche ammirata, mentre predisponi la morte dell’uomo che stava cercando di salvarti.
Come fai? Come puoi stare a vedere mentre gli altri terrestri gli infliggono torture tremende?
Gustus è un uomo forte, sfortunatamente per lui.
“Sarebbe toccato a Finn” sento sussurrare Raven davanti a me che si gira a guardarmi.
C’è una luce di comprensione nei suoi occhi e so che per quanto impossibile sta iniziando a capire la mia scelta.
Un’altra accoltellata, e vedo il terrestre ferito che cerca di trattenere i gemiti.
Guardo Lexa, e sul suo viso vedo un’espressione umana e fragile.
L’ho vista solo una volta prima d’ora.
Mentre mi parlava di Costia, mentre mi confessava di aver provato anche lei amore, prima di scegliere di non farsi più toccare da questo sentimento.
Ma non è così, vero Lexa? Nonostante tutti i tuoi sforzi ti sei affezionata a Gustus.
E ora devi ucciderlo.
Penso che il destino non sia giusto con te.
Non è giusto con noi.
Ti guardo avvicinarti a lui, mentre estrai la spada e sospiri.
Lo guardi, e penso di capire cosa vuoi trasmettergli con quello sguardo.
Ti sussurra qualcosa, forse un incoraggiamento.
E un’altra scena mi si accavalla nella mente.
La mia mano che trema mentre impugna una lama.
“Andrà tutto bene, sei forte”.
Risento le mie parole rimbombarmi nelle orecchie, mentre Lexa pronuncia la loro frase di rito.
La sua battaglia è finita.
Gli perfori il petto con la tua spada, e non so se è la mia immaginazione che si prende gioco di me, ma mi sembra che tu abbia cercato di metterci tutta la delicatezza possibile in questo gesto solenne.
Osservo il tuo sguardo che rimane basso.
Osservo la tua sofferenza perché so che tra un attimo sarà sostituita dalla tua solita indifferenza.
Ancora una volta mi chiedo come tu faccia.
Ascolto mia madre affermare che non siamo così diversi.
No Lexa, non siamo diverse io e te, anzi. Forse siamo le persone che possono capirsi meglio.
L’ho realizzato solo ora.
Tu forse l’hai capito prima di me, per questo hai cercato di aiutarmi.
Avevi ragione.
L’amore è una debolezza. E tu non ti puoi permettere di essere debole.
E, a questo punte delle cose, nemmeno io.
Osservo il comandante voltare le spalle a tutti e dirigersi nella sua tenda, sola.
Vorrei dirle qualcosa, ma c’è solo una cosa che possiamo fare per stare meglio entrambe: salvare la nostra gente.
Devo parlare con Bellamy.
 
Il sole è calato dopo questa lunga giornata.
Sono in piedi con Lexa, mentre gli altri sono a pochi passi da noi seduti attorno al fuoco.
“Domani dovremo discutere di molte cose, Clarke” mi dice.
Sembra stanca, ma non c’è più traccia del dolore che ho scorto oggi pomeriggio sul suo volto.
Come mi aspettavo.
Annuisco e sto per parlare ancora quando vedo Raven correre verso di noi con la radio in mano.
Mi avvicino in fretta.
“Ascoltate” ci dice.
E io ubbidisco.
Sento la voce di Jasper: ci dice che sono in pericolo, intrappolati dentro Mount Weather, una di loro potrebbe essere già stata uccisa. Ci implora di andare a salvarli.
È Bellamy il primo a parlare.
“Dobbiamo agire adesso. Hai l’alleanza, è il momento di sfruttarla” dice rivolto a me.
Quando pronuncio le mie parole cerco di imprimere solo determinazione nel mio tono.
“Ci serve una persona all’interno, avevi ragione.” Dico rivolta a lui.
Il mento alto, sicura.
Non posso permettere che le mie emozioni blocchino l’unico modo che abbiamo per salvare la mia gente.
“Senza qualcuno che indebolisca le loro difese, che neutralizzi la nebbia, un esercito è inutile.”
Continuo guardandolo negli occhi.
Poi concludo con la massima indifferenza che mi è possibile.
“Dovresti andare.”
Lui mi guarda, probabilmente cercando di capire il mio cambio di opinioni.
“Pensavo odiassi questo piano, perché mi sarei fatto uccidere.” Risponde infatti lui.
“Sono stata debole.” Dico soltanto, sempre guardandolo negli occhi. “Vale la pena rischiare.”
Non dice niente, ma io ormai sono convinta.
“La mappa di Mount Weather – dico tirandola fuori dalla tasca e porgendogliela – arriva a quella radio e comunica con noi.” Sembra un ordine. È un ordine.
Lui la afferra, senza dire nulla.
“Buona fortuna.” Concludo io, e cerco di non farmi stupire dal tono freddo della mia voce.
Mi volto, e mi allontano da loro.
Solo io so che allontanandomi così, li sto allontanando anche dal mio cuore.
Devo allontanare tutti loro, e dal loro ricordo.
Faccio solo qualche passo, prima di bloccarmi con la stretta allo stomaco.
Questa volta, però, sono pronta.
Mi giro ad affrontare Finn.
Lo osservo e questa volta mi avvicino, senza paura.
Penso a mia madre, che ha fatto uccidere mio padre.
Penso a lui che ha ucciso tutta quella gente per me.
Penso a me, che ho ucciso lui.
E penso a Lexa, che è riuscita a superare tutto questo e mi ha spiegato come fare.
“L’amore è una debolezza.” Dico semplicemente.
Lo vedo abbassare lo sguardo solo una volta, prima di fissarmi di nuovo, per poi girarsi e sparire nella foresta.
E io so che non tornerà più.
 
°°°
 
Lexa
 
Osservo Clarke che corre dai suoi amici, lasciandomi sola.
La vedo osservare lo strano oggetto che usano per parlare tra loro.
Capisco che hanno ricevuto notizie dai loro amici rinchiusi nella montagna
Possiamo salvarli, Clarke, possiamo salvarli tutti, insieme.
Rimango qui mentre espone il suo piano a Bellamy, ma ha uno sguardo diverso dal solito.
Estrae una mappa, che il ragazzo afferra con aria scocciata.
“Buona fortuna” sento pronunciarle mentre volta loro le spalle e si allontana.
Rimango sorpresa dal tono che ha usato. Terribilmente familiare.
Percorre pochi metri senza voltarsi indietro. Poi ad un tratto si ferma e si volta verso il bosco.
Ha lo sguardo che ho imparato ad associare ai suoi fantasmi.
Questa volta è più duro e determinato però.
“L’amore è una debolezza” le sento sussurrare chiaramente, prima di voltarsi verso sua madre che l’ha raggiunta.
Rimango immobile.
Non capisco bene che cosa le dica, ma il suo sguardo non lascia dubbi quando le dice:
“Ho già detto addio.”
E se ne va.
Ce l’hai fatta, Clarke. Ci sei riuscita.
Ma non sono contenta, credimi. Mi dispiace davvero.
Ma è l’unica possibilità che abbiamo.
 

 
 
NOTE:
Questa volta non ho molto da dire. Penso che il capitolo sia abbastanza lungo ed esplicativo da sé.
Per dubbi, domande e perplessità sono sempre disponibile.
Sono contenta perché stiamo entrando nel vivo della storia.
Grazie a tutti voi che leggete. Mi scuso per eventuali errori ma non ho tantissimo tempo.
Al prossimo capitolo,
I.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. La selezione della razza. ***


Capitolo 4
La selezione della razza


Clarke
 
Sono sdraiata su una coperta nello spazio dell’accampamento che mi sono ritagliata ieri sera.
Sono sveglia da un bel po’, ma continuo a tenere gli occhi chiusi.
Sento tutto il bosco intorno a me che comincia a svegliarsi, mentre io prendo un bel respiro: sto aspettando che il sole sorga del tutto prima di iniziare questa giornata, che so in anticipo sarà molto impegnativa.
Pagherò il sonno arretrato, visto che stanotte non ho quasi chiuso occhio.
Tra le novità di Jasper e degli altri dentro a Mount Weather, l’addio a Finn, il colloquio con mia madre e la decisione di spedire Bellamy nella montagna con Lincoln, il mio cervello non è stato zitto un secondo.
Ma non mi pento di niente.
Oggi inizieranno tante cose.
Indra partirà con un gruppo di guerrieri, tra cui Octavia, per Camp Jaha per addestrarsi con i nostri uomini, sotto la guida di Marcus.
Bellamy e Lincoln inizieranno la loro missione e cercheranno di infiltrarsi nella roccaforte del nemico.
E io dovrò organizzare un piano d’attacco con Lexa e i suoi generali.
Oggi inizierà l’alleanza che ho voluto.
Sospiro e apro gli occhi.
Devo alzarmi, ormai.
Lexa mi aspetta perché le confermi il piano di Lincoln e Bellamy e per prepararmi all’incontro con i suoi generali.
Mi tiro in piedi stancamente e sistemo le mie cose con movimenti meccanici, per poi cominciare ad incamminarmi verso il cancello del villaggio, cercando di essere fiduciosa su tutte le cose che ci aspettano. So che la missione di Bellamy e Lincoln è tanto pericolosa tanto di vitale importanza per noi, confido in Bellamy, nella mappa che ho lasciato loro ieri sera e soprattutto nella guida di Lincoln.
Sono quasi arrivata quando vedo una figura avvicinarsi dalla parte opposta.
Si muove agilmente nel sottobosco e subito è di fronte a me.
Ci metto un attimo in più del solito a riconoscere Lexa, e non è solo perché stranamente non è circondata da terrestri giganti pronti a proteggerla.
È la prima volta che la vedo senza il trucco della battaglia.
È.. diversa, sembra più umana.
Sembra solo una ragazza che cammina per il bosco, pronta a svolgere le sue attività quotidiane.
Solo la veste da comandante mi ricorda che tra queste attività c’è la programmazione di una guerra e la guida dell’esercito più numeroso mai visto prima, con tanto di rischi di ribellioni, ritorsioni e vendette personali.
“Buongiorno Clarke.” Mi riscuote lei dai miei pensieri, e solo adesso mi accorgo che per tutto il tempo in cui io ho osservato lei, ho ricevuto lo stesso trattamento da parte sua.
So di non avere un aspetto tanto imperioso, anzi. Con tutte le notti che sto passando insonne è già un miracolo che io riesca a stare in piedi.
Cerco di tenere una postura più dignitosa e la saluto con un cenno della testa.
Vedo che mi squadra un attimo prima di infilare una mano in una sacca che ha sulla schiena e porgermi un frutto e lo strano pane di cereali che ho intravisto ieri a tavola prima che Gustus svenisse.
“Sarà una lunga mattinata, i miei generali sono persone difficili.. Valorose, ma estremamente testarde. Questi ti aiuteranno.”
Mi spiega lei, con tranquillità e con il suo solito sguardo indecifrabile.
Fisso un attimo sorpresa ciò che mi ha portato, prima di prendere in mano i suoi doni e adeguarmi al tono formale che ha usato lei. Ci sono dei momenti in cui penso di capire cosa c’è dietro la sua maschera da comandante, altri, come questo, che proprio non saprei come interpretare.
Sospiro.
“Grazie, Lexa.”  Lei, come al solito, si limita a un cenno del capo.
Io spezzetto il loro pane strano e lo assaggio: ha un sapore forte di cereali e qualcos’altro che non riesco a identificare. Ma è buono, e apprezzo il suo gesto.
Si crea uno strano silenzio, che, nonostante ciò che temevo, sa di tranquillità: io mangio e lei scruta il bosco, in questa prima luce dell’alba.
Decido io di parlare per prima:
“Bellamy è in gamba, e con l’aiuto di Lincoln riusciranno a infiltrarsi nella montagna e a disinserire la nebbia acida. Ci contatteranno con la radio e noi potremo avanzare con l’esercito.” Dico cercando di essere convinta, non so se per rassicurare lei o me stessa.
Lei annuisce di nuovo. Prima di parlare.
“Provare ad infiltrarsi nella montagna può essere un buon piano, ed è sicuro per il nostro esercito, che rimarrà a distanza di sicurezza finché non saranno eliminati gli ostacoli.
Gli unici che corrono dei rischi sono loro, ed è una loro scelta andare. Sono responsabili delle loro vite.”
Dice tutto senza  guardarmi.
Nonostante il tono distaccato sento che ha misurato attentamente le parole, come per mandarmi un messaggio o un avvertimento.
Non devo caricarmi sulle spalle il peso della loro missione, non devo pensare che li sto mandando a morire.
Ma sono io che li sto lasciando andare Lexa. È me che Octavia incolperà per la morte delle persone a lei più importanti.
Prendo fiato, guardando anche io davanti a me, ho scelto di non pensare a queste cose quando ho acconsentito a farli partire.
“Spero solo che vada tutto bene.” Rispondo io.
Lei torna a guardarmi e annuisce, ancora.
Rimaniamo ancora un attimo così, perse nei nostri pensieri che non faccio fatica a credere molto simili.
Vedo in fondo alla radura dove ero accampata che qualcuno inizia a muoversi, è Bellamy, che si avvicina a Lincoln, vestiti entrambi da terrestri.
Mi limito a osservarli da lontano, e mi stupisco quando l’impulso che ho di andare a salutarli e a raccomandare loro di fare attenzione è subito sostituito dalla certezza che lasciarli andare sia la cosa migliore per tutti noi.
Mi giro verso Lexa, che sta fissando i ragazzi a sua volta, con sguardo deciso.
Non dice niente, posso sentire i suoi pensieri, però, o quello che credo stia pensando.
Non vuoi che mi preoccupi per loro, Lexa. Devo rimanere concentrata su quello che possiamo fare qui.
Sono dei guerrieri, combatteranno da guerrieri. Moriranno da guerrieri.
Li osservo allontanarsi e percepisco Lexa voltarsi verso di me, come se studiasse i cambiamenti sul mio viso.
Non so cosa ci legga, non so se si accorge che qualcosa è cambiato in me, dopo aver sentito le sue parole ieri e dopo aver visto cosa ha fatto a Gustus, ma soprattutto come l’ha fatto.
L’amore è una debolezza. Devi salvare il tuo popolo.
“Andiamo, Clarke” dice infine voltandosi nella direzione opposta. “Sarà una lunga mattina.”
Ripete poi con uno strano sospiro, come fosse rivolto a se stessa.
Sarà lunga e difficile anche per lei, lo so.
Mi guarda un istante e annuisco, prima di affiancarla e camminare con lei fino al luogo scelto per la riunione.
 
°°°
 
Lexa
 
Cammino per le strade del villaggio con Clarke al mio fianco.
Non so se sappia a cosa sta andando incontro, ho cercato di farle capire che non sarà facile avere a che fare con i miei uomini.
Sospiro, e mi sento in dovere di darle qualche informazione in più.
“Sarà complicato, Clarke.” Dico, osservando come si riscuote dai suoi pensieri e mi guarda.
È uno sguardo rassegnato il suo, ma con una buona dose di determinazione.
“Tutto è stato complicato, da quando siamo arrivati sulla terra.” Mi risponde semplicemente, e so che è vero.
Annuisco, tornando a guardare il villaggio che prende vita attorno a noi.
“Ti criticheranno, ti rinfacceranno tutto ciò che hai fatto, perché non si fidano di te.  Non si fidano di nessuno di  voi e non accetteranno facilmente di lasciar fare solo a un ragazzo del cielo e di tenere fermo un esercito così grande. Alcuni potrebbero addirittura attaccarti.” Esprimo con sincerità quello che penso, per fare in modo che almeno questa volta sia un minimo preparata a quello che deve affrontare.
Non potrò aiutarti più di tanto. Sei tu che dovrai riuscire ad avere il loro rispetto.
Lei annuisce.
“Porterò una guardia con me, non che servirà a qualcosa, se scoppia una rivolta.”
Annuisco a mia volta e le indico una costruzione davanti a noi.
“La riunione sarà lì, io comincio ad entrare ad accoglierli, vi aspettiamo.”
Mi congedo ed entro nella stanza.
 
Ad uno ad uno arrivano tutti i generali e si dispongono attorno al tavolo, sistemato al centro della stanza.
Cominciano a parlare tra loro, e riesco quasi a sentire quanto sono eccitati dell’imminente battaglia.
Vogliono marciare contro gli uomini della montagna, per ottenere finalmente vendetta.
Il particolare che non condividono però, sarà la compagnia del popolo del cielo.
Infatti, quando arriva anche Clarke, accompagnata da una donna armata, tutti si zittiscono e alcuni la osservano con uno sguardo rabbioso.
Noto Quint, uno degli uomini più inclini alla violenza, stringere con forza il pugnale alla cintura.
Sarà una lunga mattina, mi ripeto per l’ennesima volta.
Faccio un bel respiro e prendo la parola.
“Benvenuti. Siamo qui per programmare l’attacco al popolo della montagna, possibile soltanto grazie all’alleanza con il popolo del cielo.” Dico secca, guardandoli tutti in faccia, soffermandomi su Quint.
“Da decenni gli abitanti di Mount Weather ci tengono in scacco, minacciandoci con le loro armi, rapendo i nostri fratelli, trasformandoli in mietitori. – continuo con tono fermo – Oggi decideremo come sconfiggerli.”
Faccio un passo indietro, e guardo Clarke.
Lei prende un bel respiro, sapendo che tocca a lei parlare. Fa un passo avanti ed entra nel cono di luce che filtra dalla finestra sul muro.
Inizia a spiegare chi sono gli uomini della montagna, come sopravvivono, com’è organizzata la loro città, le vie d’accesso e le vie di fuga; parla di Bellamy, di come si sta già infiltrando tra di loro per aprirci la strada.
Tutti la guardano, talvolta borbottando tra loro.
Quando ha finito rimane ferma, in attesa che i generali si esprimano.
“Spiegata così, sembra che sia impossibile avvicinarsi ed attaccare. – inizia il primo – Cosa ce ne facciamo di un esercito pronto a combattere, se non possiamo avvicinarci?”
La guardo reprimere un sospiro.
“Dobbiamo aspettare di poterci avvicinare, altrimenti moriremo tutti” spiega paziente.
Io stessa ho dei dubbi sul suo piano. Non posso fidarmi di un ragazzo del cielo, da solo contro tutti i soldati all’interno della montagna.
“Questa discussione è una perdita di tempo – esclama alla fine Quint – è molto semplice: se non possono respirare la nostra aria apriamo la porta e la facciamo finita! Lasciamoli bruciare.”
E tutti approvano questa proposta, ma lei scuote ancora la testa.
“No perché hanno un sistema di isolamento – interviene guardando tutti, si volta anche verso di me, ma il suo sguardo è deciso – camere stagne multiple, come quelle dell’arca. Il nostro infiltrato lo può disattivare.”
Quint non si scompone ed esprime il dubbio di tutti.
“Se riesce ad entrare.” Parla con cattiveria.
Guardo Clarke e so quanto lei stessa temi questa possibilità, così intervengo anche io nella discussione.
“E se lo disattivassimo dall’esterno? – chiedo – è la diga a fornire energia. Togliamogliela.”
Capisco già dalla sua espressione mentre parla che non sarà possibile farlo.
Lei infatti mi risponde, e questa volta guarda solo me.
“Quella diga ha resistito a una guerra nucleare, comandante, dubito che-“
“No!” Quint sbatte un pugno sul tavolo facendoci voltare tutti. “Lei sa dire solo no.”
“Quint” lo richiamo io, non voglio che la situazione degeneri, anche se percepisco la frustrazione nell’aria.
Lo guardo negli occhi, indurendo lo sguardo, e non lo distolgo finchè lui non si raddrizza e sembra calmarsi.
“Chiedo scusa, comandante.  Ma l’esercito più grande che abbiamo mai avuto aspetta che gli affidiamo una missione. Più tempo ci vorrà, più gente morirà dentro quella montagna.”
Continuo a guardarlo, poi lancio un’occhiata alla guardia di Clarke, che vigila attenta monitorando la situazione.
È proprio la ragazza a rispondergli.
“È lo stesso anche per noi.” Dice sicura.
Ma Quint non si ferma, anzi, sembra che le sue parole l’abbiano solo caricato di rancore.
“Noi ne abbiamo persi migliaia. Tu quanti ne hai persi, ragazzina?” domanda retorico.
Lei non gli risponde, in fondo sa che anche Quint vuole salvare la sua gente, sa che è vero che è da tempo che i nostri vengono rapiti in gran numero.
“Dice che ha un piano – continua lui – Io dico che aspettare che un solo uomo sia dentro non è un buon piano.” Conclude lui guardandomi, e mi trovo con le mani legate.
“Sono d’accordo con Quint, abbiamo un esercito, usiamolo!” si aggiunge un altro soldato.
“Lo useremo – risponde lei, sforzandosi di essere convincente – dopo che Bellamy avrà minato le loro difese e disattivato la nebbia acida. Non ha importanza quanti uomini avete, se non arrivate al nemico non potete vincere.” Si scalda a sua volta, cercando di spiegare ciò che per lei è ovvio.
È ancora una volta Quint ad interromperla.
“Tu sei il nemico” sentenzia squadrandola.
E Clarke reagisce, mentre la osservo cercare di conquistarsi il loro rispetto senza intervenire, anche se so bene che la situazione potrebbe degenerare da una parte all’altra.
“Scusa, ho forse fatto qualcosa che ti ha offeso?” risponde arrabbiata, e so che scatenerà la rabbia dell’uomo.
Lui si avvicina, assottigliando lo sguardo.
Osservo la sua guardia farsi più vicina e stringere di più la sua arma, ma Clarke si volta ad affrontarlo senza timore nello sguardo.
“Si – risponde Quint con un tono glaciale – hai bruciato vivo mio fratello in un cerchio di fuoco.”
La guardo distogliere lo sguardo e credo di sapere cosa sta vedendo.
Le immagini dei corpi carbonizzati compaiono anche nella mia mente.
Ma poi si riscuote e si fa ancora più vicina al guerriero terrestre, per nulla intimorita dalla sua stazza e dalla sua aggressività.
“Attaccare la mia navicella è stato uno sbaglio.” Dici sicura guardandolo negli occhi.
Lui però non si ferma.
“Sei coraggiosa sotto la protezione del comandante, vero?”  dice con un ghigno.
Lei non risponde, sa che ho esplicitamente vietato qualsiasi aggressione a tutto il popolo del cielo.
Così tocca a me intervenire e mettere fine a questa discussione.
“È abbastanza.” Dico mantenendo un tono pacato.
I due continuano a guardarsi carichi di rabbia. Finchè è Quint ad allontanarsi, ma facendolo esprime proprio quello che temevo dicesse.
“Non posso stare in un’alleanza con questa gente.”
E sputa contro Clarke, che continua a fissarlo, ma questa volta senza reagire. Si avvicina al tavolo e sospira pesantemente.
Te lo avevo anticipato, Clarke. Questi uomini pensano alla vendetta, vogliono vendicarsi contro il popolo della montagna, ma anche contro di te, che hai ucciso tanti dei nostri soldati. Non importa se abbiamo un nemico in comune.
Io sono d’accordo con te, credo in questa alleanza.
Ma sono anche il loro comandante, devo ascoltarli, ed esprimere i loro dubbi in modo pacato.
Così mi avvicino anche io al tavolo e afferro una mappa, mentre penso al modo di mediare tra loro, tenendo sempre d’occhio Quint, per placare la sua ira senza che si senta in secondo piano.
“Quint ha ragione – comincio voltandomi verso Clarke, che spalanca gli occhi sorpresa – aspettare Bellamy non è un piano, è una preghiera.” E ne sono convinta anche io.
“E probabilmente non verrà ascoltata.” Continuo e la vedo distogliere lo sguardo, seccata ma rassegnata.
Sospira, come se io le avessi tolto qualsiasi speranza.
“Scusatemi. Ho bisogno di un po’ d’aria.”
La seguo con lo sguardo mentre esce. Do un’occhiata alla sua guardia che sembra indecisa se seguirla o meno. Non dovrebbe neanche pensarci.
Mi volto verso Quint, e riesco a scorgere il suo sguardo mentre la osserva uscire. Riesco a leggerci il suo desiderio di vendetta e capisco che è disposto a ucciderla anche se sa che comporterebbe la sua morte.
Lui distoglie lo sguardo dalla porta e incrocia il mio, carico di avvertimenti.
So che si sta mettendo male.
Torno a guardare la mappa che ho in mano.
“La situazione è difficile, dobbiamo impegnarci tutti ed escogitare un’alternativa.”
Li guardo ad uno ad uno, prima di concludere:
“Per la prima volta dopo tanto tempo abbiamo una possibilità per sconfiggerli. Non sprechiamola.”
E così sciolgo la riunione.
Tutti si dirigono all’esterno, primo tra tutti Quint, che ha l’aria determinata e sembra avere più fretta degli altri. Noto che anche la guardia del popolo del cielo lo osserva, e lo segue fuori.
Io guardo Eris, il giovane ragazzo che ha preso il posto di Gustus, dopo che l’ho ucciso.
“Segui Quint, non deve farle del male. Io arrivo.”
Lui annuisce ed esce.
Sospiro, chiudendo gli occhi.
È stata una riunione pessima, ma non potevo aspettarmi altro.
Chissà cosa penserebbe Gustus, se avesse assistito. Chissà se lascerebbe che Quint uccida Clarke per distruggere l’alleanza e tenermi così al sicuro.
Ma io non sono mai al sicuro, in quanto Heda, comandante dei dodici clan, sono costantemente in pericolo.
E questa volta lo sono per qualcosa che voglio davvero, e penso valga davvero la pena di rischiare.
Quindi racchiudo il ricordo di Gustus dove non può farmi male, riapro gli occhi ed esco alla luce del sole.
Chiedo alle guardie appostate sulla porta che direzione hanno preso Eris e Quint e loro mi indicano il cancello del villaggio. Mi affretto a seguirli.
Superato il cancello vedo Eris acquattato dietro un masso, mi avvicino silenziosa e mi fa segno verso  un sentiero più avanti nella radura. Quint cammina lentamente guardando verso l’alto.
“Ora non sei più così coraggiosa, vero?” gli sento dire con tono di scherno.
Dalla mia posizione non riesco a vedere Clarke, e questo non mi piace.
Mi sposto furtiva avvicinandomi a Quint, troppo concentrato nella sua caccia per notarmi, anche se continuo a tenermi a distanza.
Rimango nascosta anche mentre lo vedo prendere la mira e scoccare una freccia, tuttavia non riesco a evitare di trattenere il fiato fino a quando sento il tipico rumore della freccia nel legno.
Quint ricarica l’arco e fa partire un’altra freccia, poi si lancia all’inseguimento.
Guardo Eris e iniziamo a correre entrambi.
Una parte di me mi dice che un comandante non dovrebbe correre nei boschi per salvare una ragazza del cielo, ma la metto a tacere. Sto salvando l’alleanza.
Così continuo a correre, seguendo i rumori davanti a me.
Quando sbuchiamo finalmente in una radura penso di essere arrivata troppo tardi.
Clarke è a terra, sovrastata da Quint, e per quanto cerchi di scrollarselo di dosso, lui non si muove di un centimetro. È troppo forte.
Vedo che afferra il pugnale e alza il braccio per colpire.
In questo momento non penso al fatto che se tu morissi così, il mio prossimo futuro sarebbe meno pericoloso. Non penso al fatto che sarebbe la cosa più facile per me, lasciarti morire, mettere fine all’alleanza e tornare alla vita di comandante di tutti i giorni, senza le occhiatacce, i bisbigli e il malcontento dei miei uomini.
Penso alla mia mano, al mio braccio che si tende, al mio coltello che vola per la radura conficcandosi con precisione millimetrica nel braccio dell’uomo che sta per ucciderti.
Mi avvicino mentre lei se lo scrolla di dosso e si rialza subito impugnando la pistola.
Mi chino sull’uomo e senza pietà estraggo il pugnale dal suo avanbraccio, ben consapevole di procurargli più dolore di quanto ne ha provato ricevendolo.
Quint ha fatto la sua scelta attaccandola, ora dovrà pagarne le conseguenze.
“Attacca lei e attacchi me” gli dico dura, nella nostra lingua.
Lo guardo, finchè la sua voce mi fa distogliere l’attenzione da lui.
“Grazie” mi dice Clarke con il respiro ancora corto per lo scontro e per la paura.
Ti guardo. Io l’ho fermato, ora sei tu a doverlo uccidere.
Devi conquistarti la tua posizione, io non posso aiutarti in questo.
E poi non dovresti ringraziare me.
“Dov’è la tua guardia.” Le chiedo infatti dura.
“L’ha uccisa lui.” Dice guardando Quint.
Lo guardo anche io e sembra sincero quando dice:
“Sta mentendo. La mia battaglia è solo contro di lei.”
Non ha importanza ora. Voleva uccidere lei, andando contro un mio diretto ordine. La sua battaglia è finita.
“Yu gonplei ste odon.” Chiudo il discorso.
Lui mi guarda, ma io mi volto verso Clarke.
“Uccidilo tu, Clarke” dico semplicemente.
Mi guardi, ma è giusto così. Sangue chiama sangue, se non ci fossi stata io sarebbe stato il tuo a sporcare questo luogo. Devi farlo tu.
Continuo a guardarti e vedo il tuo sguardo ancora spaventato oscillare tra me e lui.
Coraggio. Hai ucciso tanti nemici, hai ucciso Finn.
Vedo la tua mano stringersi sulla pistola, ma stai esitando troppo.
All’improvviso un ruggito profondo e familiare ci riscuote.
Mi volto velocemente verso l’origine del suono, e sento Clarke chiedere di cosa si tratta.
Rispondo con una sola parola, che significa guai.
“Pauna”
In un attimo reagisco, perché so che dobbiamo metterci in salvo prima che sia troppo tardi. Estraggo la spada e colpisco Quint in un punto preciso della gamba, che so non gli permetterà più di camminare.
Spero che sia un’esca sufficiente.
“Corri!” urlo a Clarke, lasciando Quint tra le sue urla.
Seguo Eris e corriamo veloci nel bosco, con Clarke alle mie spalle, ma temo che non sarà abbastanza.
È Clarke a parlare per prima mentre voliamo nel sottobosco:
“Dobbiamo nasconderci. Da questa parte: qui c’è qualcosa!”
Ci avvisa avvicinandosi a un tunnel stretto e spostando la grata che ne copre l’entrata.
Mi sembra una buona idea, non so dove conduca ma senz’altro un gorilla gigante non ci passerà mai.
Così la seguo dentro, e lo attraversiamo correndo ancora.
È solo quando tira un calcio a una seconda grata di ferro e usciamo che mi rendo conto che ci siamo rovinate con le nostre mani.
Siamo davanti a un edificio di cemento a più piani, e scheletri e carcasse di animali in diverso stadio di decomposizione ci circondano.
Sono ovunque.
È con orrore che rispondo alla domanda di Clarke quando mi chiede dove siamo finiti.
“È qui che vengono a mangiare.”
Un altro ruggito ci fa voltare tutti, è maledettamente vicino.
Evidentemente Quint non lo ha saziato come speravo.
“Andiamo.” Ordino, perché so che non possiamo stare qui.
Clarke comincia a scalare, con noi alle sue spalle. La vedo bloccarsi inorridita davanti al corpo di un alce morto da molto poco. La supero facendole strada, non dobbiamo finire come questi animali.
Siamo arrivate al piano più alto dell’edificio, quando il ruggito che sentiamo proviene proprio vicino a noi. Eris, più indietro, sfodera la sua spada e si mette in posizione di difesa. Io lo imito, guardandomi intorno cercando di prevedere da che lato proverà ad attaccarci.
Un albero che cade davanti a noi mi avvisa chiaramente, ma il preavviso è solo di un istante, perché con un balzo impressionante il Pauna è davanti a noi.
Prima che possa solo capire a cosa sta mirando, prima che possa intervenire in qualche modo, l’animale sta sovrastando Erin, e lo colpisce a morte.
Lo sguardo di Clarke esprime tutto il mio orrore e la mia paura.
Il Pauna lancia il corpo ormai senza vita del mio guerriero e si batte forte sul petto, ruggendo ancora.
Clarke sembra riscuotersi e gli spara, colpendolo a una spalla, ma l’animale è troppo forte e reagisce lanciandoci contro un blocco di cemento, che fortunatamente ci sorpassa schiantandosi sul tetto.
Clarke spara ancora, più di una volta, e il Pauna finalmente sembra fermarsi e accusare i colpi.
Ci fermiamo tutte e due a guardare l’animale caduto, ma so che non è ancora finita.
Non posso fermarmi e pensare alla morte di Eris, un altro guerriero morto, un altro guerriero morto cercando di salvarmi.
Devo portare in salvo me e Clarke.
Lei si avvicina un po’ di più al bordo, forse per vedere se ha davvero ucciso il gorilla.
Ma questo si riprende prima del previsto e con un ruggito si slancia in alto, verso di noi.
Rincominciamo a correre, seguiti dall’animale che non ne vuole sapere di arrendersi.
Capisco che le nostre possibilità di salvarci si riducono ulteriormente quando arriviamo su un parapetto, a cinque metri dal terreno sottostante.
In quel momento il Pauna ci individua, e con l’ennesimo ruggito si avvicina.
È Clarke la prima a saltare senza dire niente. Ma non c’è bisogno di parlare.
Rinfodero la spada che ho ancora in mano e salto.
L’atterraggio non è dei migliori. Sento le ossa del mio braccio sinistro scricchiolare sotto il mio corpo, il dolore mi acceca e mi scappa un lamento.
In un istante Clarke e di fianco a me e mi afferra l’altro braccio per farmi alzare, esortandomi.
Sta perdendo del tempo prezioso per mettersi in salvo.
Mi sostiene e camminiamo il più velocemente possibile verso un’apertura nel muro.
Sento il Pauna atterrare dietro di noi, ma non mi volto a guardarlo.
Lascio che Clarke entri per prima e penso quasi di potercela fare anche io.
Poi sento una forza mostruosa tirarmi indietro per una gamba, e faccio solo in tempo ad aggrapparmi allo stipite dell’apertura, ma so che non servirà a nulla.
Clarke è di nuovo accanto a me, ma questa volta non può rischiare ancora di morire.
Non anche lei.
“Lasciami!” le urlo sperando che mi ascolti, che si metta in salvo.
“Neanche per idea” mi risponde invece lei, e di nuovo fa partire una scarica di proiettili contro l’animale.
Sento la presa sulla mia gamba rilasciarsi e Clarke mi trascina ancora verso l’interno.
Sono quasi in trans mentre tira un calcio alla sbarra che teneva l’apertura sollevata.
Sento il Pauna ruggire e sbattere contro il muro che ci separa, ma tutto il resto del mio cervello è occupato a cercare di non svenire dal dolore che sento nel braccio e nella gamba.
È ancora Clarke che prende in mano la situazione, aprendo con un altro calcio una porta davanti a noi e trascinandomi letteralmente di peso dentro, fino ad adagiarmi sul terreno.
Non riesco a riprendere il controllo del mio corpo, il dolore si diffonde ad ondate, sommandosi.
L’adrenalina non aiuta, anzi. Tutto il mio corpo è scosso da tremiti incontrollabili.
Così quando Clarke chiede la mia spada, sollevo leggermente il busto dal muro per permetterle di prenderla, senza chiedere niente.
La sento bloccare la porta, mentre io faccio dei respiri profondi per riprendere il controllo.
Mi guarda, ma non dice niente. Ci siamo chiuse in una gabbia e stiamo aspettando la nostra fine.
Si siede anche lei, poggiando la schiena al muro e cercando di regolarizzare il respiro.
Così, per una volta, mi concedo anche io del tempo per rielaborare quanto successo.
Chiudo gli occhi.
Siamo in trappola, sento il Pauna cercare ancora di arrivare fino a qui, ruggisce e si scontra con le pareti.
In un istante rivedo il corpo di Eris, con gli occhi spalancati e completamente vacui.
Era così giovane e intrepido, non ho potuto nemmeno rendere onore alla sua morte.
Ma così non va bene, non posso permettermi di pensare a lui, a Gustus e a tutti gli altri guerrieri morti per me. E non solo i guerrieri.
Così mi concentro sull’altra fonte del dolore che sto provando.
Mi focalizzo sulle parti del corpo che non hanno smesso di farmi male. Stendere la gamba mi provoca delle fitte di dolore, ma dopo qualche tentativo sembra migliorare. Nulla di rotto.
Lo stesso non posso dire per la mia spalla sinistra. Anche il minimo movimento delle dita della mano mi provoca un dolore intenso. Delicatamente avvicino la mano destra alla spalla, e mi spiego il perché.
Il braccio è esattamente dove non dovrebbe essere, fuori dall’articolazione.
Appoggiandomi sulla gamba sana mi alzo, e questa volta mi tengo in equilibrio.
Sempre sostenendomi il braccio con la mano destra mi avvicino al muro.
Clarke, che ha seguito ogni mio movimento, mi interrompe.
“Cosa stai facendo?” mi chiede lanciandomi uno sguardo di avvertimento.
Io non rispondo, e appoggio il braccio al muro, ignorando il dolore, e blocco la parte bassa con il bacino, in modo da tenerlo fermo.
Prendo un bel respiro, perché so che farà molto male.
Sto per rimettermi a posto la spalla da sola, quando sento la sua mano che mi ferma.
“Fermati, Lexa. Hai una spalla lussata, lascia che ti aiuti.” Dice con tono gentile, nonostante la preoccupazione per la situazione.
Sono indecisa, l’orgoglio da comandante mi spinge a voler cavarmela da sola, a non accettare il suo aiuto.
Lei sembra capirlo, infatti aggiunge con l’ombra di un sorriso:
“Sono pur sempre una guaritrice, lasciami fare il mio lavoro.”
Allora mi arrendo e mi volto verso di lei, lasciando che tasti la mia spalla ferita con dita esperte, sotto il copri spalle dell’armatura.
“Pensavo fosse tua madre la guaritrice del tuo popolo, Clarke.” Dico cercando di distrarmi.
Lei annuisce, e mi risponde continuando ad esaminarmi.
“Nel tempo libero sull’arca la assistevo e studiavo medicina. Poi da quando siamo atterrati sulla terra è toccato a me prendermi cura di tutti i feriti.”
Annuisco soltanto, distogliendo lo sguardo da lei per osservare un punto fisso davanti a me.
Lei sembra aver finito di tastare e mi osserva con preoccupazione.
“Sei pronta?” mi chiede, ed io annuisco di nuovo.
Stringo i denti, ma non mi concedo neanche un lamento quando lei con un gesto secco mi afferra il braccio e lo reinserisce nell’articolazione.
Respiro di nuovo e provo a muovere le dita. Va meglio.
Non le sfugge il mio sguardo orgoglioso e determinato, perché mi dice:
“Non devi per forza soffrire in silenzio, lo so che fa male, non devi nasconderlo, almeno non a me.”
Mi guarda e non so se si sta riferendo soltanto alla condizione della mia spalla.
 “Grazie” le dico soltanto.
Lei si sposta e mi volta le spalle.
“Grazie a te – mi risponde mentre armeggia con il pugnale – se non fossi arrivata in tempo ora sarei morta nel bosco per mano di Quint.”
Io non le rispondo. In realtà non ci troviamo in una situazione così tranquilla da permetterci di sentirci al sicuro.
Posso ancora sentire il Pauna poco lontano cercare di arrivare a noi.
Finalmente si volta, e vedo che tiene in mano una striscia di tessuto che deve essersi tagliata dalla maglietta che indossa.
“Ecco – dice – questo ti aiuterà” si avvicina di nuovo e fa passare la stoffa dietro la mia schiena.
Lascia che sia io ad appoggiarci sopra il braccio, misurando il gesto.
Poi unisce i due lembi vicino alla spalla sana, sposto i capelli con il braccio sano e lei comincia a fare un nodo, sempre con i movimenti esperti di chi ha ripetuto questo gesto centinaia di volte.
Penso a dove sarei se non mi avesse aiutata, per ben due volte.
Poi, però, penso anche che adesso siamo entrambe costrette qua dentro, come prede in trappola.
“Dovevi lasciarmi là.” Dico guardandola con la coda dell’occhio. “Ora due moriranno invece che una.”
E provo a pensare davvero a cosa succederebbe se non tornassimo, ma non credo che la risposta mi piacerebbe.
Io e Clarke siamo l’alleanza, forse Marcus potrebbe portarla avanti per il popolo del cielo, ma nessun altro terrestre ci crede come ci credo io, inoltre se moriremo qui, nessuno troverà più i nostri corpi e ci sarà ancor meno fiducia tra i nostri popoli.
Lei non mi risponde, finisce il nodo e mi volta le spalle, dirigendosi verso le sbarre di quella che è diventata davvero la nostra gabbia.
“Non conosco la vostra cultura ma quando qualcuno ti salva la vita da noi si dice grazie.”
Parla con tono secco, sarcastico.
“Parlo sul serio, Clarke.” Le rispondo però io, indifferente.
Se mai usciremo vive da qui, deve sapere che per comandare non può permettersi questi errori.
Anche se questi errori hanno mi hanno salvato la vita.
Lei continua a voltarmi le spalle e scuote le sbarre con violenza e frustrazione. Ma queste ovviamente restano al loro posto. Quando si ferma continuo.
“Per comandare bene devi fare scelte difficili.”
So di aver colto nel segno, perché si gira e il suo viso esprime rabbia e dolore.
“Scelte difficili? Lo dici a me?” e sembra quasi lasciarsi andare alla disperazione.
Cerco di essere il più sincera possibile, di non censurare i miei pensieri, almeno per questa volta.
“Ho visto la tua forza. – mi avvicino – ma ora vacilli. Non hai ucciso Quint, non mi hai lasciata morire. È stata una debolezza.”
Non puoi permetterti di essere debole, Clarke. Non puoi tentennare, non in questo mondo.
Lo dico per te, soprattutto nella posizione in cui sei ora.
Ma lei non si sposta dalla sua posizione.
“L’amore è una debolezza.” Dice lei, imitandomi sarcasticamente.
Non sono abituata a sentirmi rispondere così. Nessuno aveva mai avuto il coraggio di ribattere alle mie affermazioni. Ma non sono indispettita da questo, anzi. Da tempo cercavo qualcuno con cui parlare liberamente, qualcuno che mi parlasse liberamente. Così sto al suo gioco.
“Schernire non è segno di una mente forte.” Dico tranquillamente.
Ma lei si gira a guardarmi, con un’aria ancora più arrabbiata e bellicosa.
“Vuoi sapere perché ti ho salvata?” inizia lei, avvicinandosi nuovamente. Io sostengo il suo sguardo.
“Perché ho bisogno di te. - Quasi sussurra – non sia mai che uno dei tuoi generali diventi comandante. Sarai anche spietata, Lexa, ma sei intelligente.” È calma sul finale.
Io non riesco a trattenere un sorriso.
Sai giocare, Clarke. Forse non sei preda delle tue emozioni come credevo.
Ma non ti devi preoccupare di me.
“Non temere. – dico guardandola, addolcendo inconsciamente il tono -  il mio spirito sceglierà con molta saggezza.”
E ci credo davvero, perché non posso permettermi di pensare che tutto ciò che ho fatto, la coalizione, l’unione dei dodici clan, la pace, finisca con la mia morte. Tutto ciò che mi è costato, tutte le persone che ho perso non possono essere morte per niente. Il prossimo comandante continuerà ciò che io ho semplicemente iniziato.
Lei mi guarda sinceramente confusa.
“Il tuo spirito?”
“Quando morirò il mio spirito troverà il prossimo comandante.” Le spiego.
“Reincarnazione. – Precisa lei comprendendo – così sei diventata comandante.”
Le sembra così assurdo.
“I vostri leader come sono scelti?” chiedo io, sinceramente interessata.
È un colpo improvviso sopra le nostre teste che ci riscuote e ci ricorda, ancora una volta, che non siamo due ragazze che si scambiano informazioni sui loro mondi.
Il pauna ci ha trovato, è riuscito a superare il muro.
Calcinacci piovono dal soffitto, e in un istante la porta si sta scuotendo, la spada che la tiene chiusa comincia a piegarsi inesorabilmente.
Non riesco a reprimere il pensiero che sia un vero peccato morire in questo modo.
Ho sempre pensato che non sarei vissuta a lungo, ma mi aspettavo di morire sul campo di battaglia, in prima linea per salvare il mio popolo. Non in una gabbia per mano di un gorilla mutante.
Tuttavia se questo è il destino scritto per me, tanto vale accettarlo.
Forse, in fondo, sono dispiaciuta anche per il fatto che sia tu a condividere questo destino con me.
Avremmo potuto fare entrambe grandi cose.
Ma indietreggiamo insieme, verso il fondo della stanza.
Leggo paura nei tuoi occhi, e posso comprenderla, davvero.
Ho paura anche io, ma non posso combatterla, quindi la accetto.
“Ci ha trovate” dice con voce tremante.
“Non aver paura, Clarke – le rispondo, anche se non credo di essere molto credibile – la morte non è la fine”
“Noi non moriremo qui” mi risponde, e la guardo.
Penso che anche per lei valgano i miei stessi pensieri, non vuole morire adesso, dopo tutto ciò che ha sacrificato.
“Il tuo spirito deve restare dov’è” prosegue, e credo che se non fossimo in questa situazione mi scapperebbe uno sbuffo divertito.
Ma ha ragione, lei deve tornare e guidare il suo popolo.
Così faccio un passo in avanti ed estraggo il mio coltello, con gli occhi fissi alla porta.
“Allora preparati a combattere, sta arrivando.” Le dico sicura.
Vedo la spada piegarsi sempre di più e so che lo scontro si avvicina.
Ma lei improvvisamente scatta in avanti con uno strano sguardo negli occhi.
“Facciamolo entrare.” Dice, dirigendosi alla porta.
“Lexa vieni qui!” mi ordina, e non posso fare altro che seguirla.
Capisco che ho deciso di affidarmi a lei, quando urla “ora!” e si sposta verso la porta estraendo la spada, permettendo l’accesso al Pauna.
Dopo succede tutto velocemente.
L’animale entra perdendo l’equilibrio, abituato com’era alla resistenza della porta.
Negli istanti in cui lui impiega a riprendersi, Clarke mi solleva quasi di peso e insieme corriamo fuori, chiudendo la porta alle nostre spalle.
Ci fermiamo solo un istante a guardare la porta subire l’ira del Pauna.
Davvero, non credevo che ne saremmo uscite vive, ma ora dobbiamo sbrigarci.
“Andiamo” le dico, e iniziamo a correre.
 
Fuori il sole è calato da tempo, e correre per la foresta con il buio non è una cosa semplice.
Ma io sono cresciuta in questi boschi, è uno dei pochi posti dove mi sento in pace con il mondo, e il dolore non mi rallenta.
Faccio strada agilmente, e quando mi accorgo che Clarke rallenta la incito a continuare, ma modulo il mio passo in modo che non si stanchi troppo, pur continuando ad allontanarci dal Pauna.
Dopo un po’ di tempo i boschi diventano più familiari, superiamo ampie radure e capisco che ci siamo lasciate alle spalle il territorio di caccia di quegli animali. Loro preferiscono i terreni scoscesi, le alture da cui possono cogliere impreparate le loro prede. I terreni in piano non li attirano, e in più so bene che qui potrebbero cacciare solo conigli e animali di piccola taglia, che non lo sfamerebbero.
Continuo ad avanzare, rallentando il passo fino a fermarmi.
Clarke mi affianca, con il fiato grosso, piega le ginocchia e ci si appoggia sopra con le mani, facendo grandi respiri.
“Possiamo fermarci qui e riposare” le dico, e scelgo un punto della radura.
Lei mi guarda raccogliere dei rami secchi qui intorno, con la sola luce della luna e l’esperienza a guidarmi.
“Sei sicura? Posso continuare.” Dice, come sospettando che mi sia fermata per lei.
La osservo e ci credo, credo che la sua forza potrebbe spingerla a correre fino al villaggio, ma sono sicura di non correre rischi.
“Tranquilla Clarke, siamo fuori dal loro territorio, possiamo riposarci e ripartire quando sorgerà il sole, non dovrebbe mancare poi molto.” Le rispondo, accucciandomi al terreno per accendere il fuoco.
Capisco che è d’accordo con me quando si siede e si lascia andare ad un lungo sospiro.
Quando la prima scintilla cade sui rami, incendiandoli, alzo lo sguardo per osservarla.
Profonde occhiaie le scavano il volto, evidenziate dalla luce tremula delle fiamme.
Da quanto non dormi, Clarke?
“Faccio io la guardia, tu riposa.” Dico semplicemente, e lei non mi risponde, ma lascia cadere il busto sul terreno, sdraiandosi.
“Ce l’abbiamo fatta, Lexa.” Dice con voce stanca. E posso immaginarla chiudere gli occhi.
“Ce l’abbiamo fatta, Clarke” Confermo semplicemente, mentre appoggio la schiena al tronco qui vicino, vigilando sul nostro accampamento improvvisato.
Dopo qualche minuto di silenzio, quando inizio a pensare che si sia addormentata, sento la sua voce che sembra accompagnata da un sorriso.
“E il tuo spirito è al sicuro, adesso.”
Ringrazio che sia girata di spalle e non possa vedere il mio sorriso.
Sbuffo scuotendo la testa, però, facendole percepire la mia finta irritazione e non rispondo.
Anche tu sei al sicuro, adesso. Puoi dormire tranquilla.
 
Il respiro di Clarke si fa profondo e regolare, mentre io osservo le stelle che si intravedono tra le fronde degli alberi. Non mancano più di un paio d’ore all’alba, il mio corpo è provato dalla lunga giornata, ma sono sicura che non mi addormenterò.
E so che non sarà soltanto per tutto l’addestramento che ho ricevuto sin da bambina.
In qualche modo mi sento in dovere di proteggere Clarke mentre riposa, visto che lei mi ha salvata e si è presa cura di me quando ne avevo bisogno.
Orgoglio da comandante.
E i miei occhi sono immediatamente calamitati sulla ragazza che dorme davanti a me.
Sospiro e sento vacillare le mie sicurezze.
Tutto quello che ha fatto oggi è strato estremamente emotivo, ma anche estremamente funzionale.
Io ho estratto la spada per affrontare la morte.
Lei ha aperto la porta per trarci in salvo.
Non ci vuole molto a capire chi delle due ha agito al meglio.
Forse sono io che devo imparare qualcosa da te, Clarke.
Forse sei tu che dovresti darmi dei consigli, che dovresti aiutarmi.
E, con uno strano orrore che mi assale, mi tornano in mente tutte le frasi che le ho detto.
L’amore è una debolezza. Stai vacillando.
Eppure non ha vacillato mentre sparava al Pauna per trarmi in salvo. Non ha vacillato quando ha aperto la porta cogliendo l’animale di sorpresa e salvandoci da una morte certa. Non si è fermata nemmeno mentre uccideva con le sue mani il ragazzo che amava per mettere in salvo tutto il suo popolo.
Accade in un istante, ma io non riesco a reprimere il pensiero che mi si forma nella testa.
Sei migliore di me, Clarke.
Non hai rinunciato alle tue emozioni, ma le sfrutti per mettere ancora più convinzione in quello che fai.
Mostri la tua paura, ma la rielabori per trovare una soluzione.
Io non la mostro, ma oggi pur di non farlo ci avrei condotte verso la morte.
Ho bisogno di credere che un buon comandante non debba lasciare spazio alle emozioni.
Ci credo davvero.
Ma, forse, sono solo io che non posso permettermi di lasciarle trapelare, forse perché ho paura che non le saprei gestire.
Ma tu sai farlo, lo hai dimostrato anche troppe volte.
Sospiro, mentre sorge il sole, ma non sveglio Clarke.
Da un lato voglio che riposi.
Dall’altro, quando si sveglierà, dovrò dirle che mi sbagliavo su di lei, prima che fidandosi delle mie precedenti parole cambi il suo modo di essere più di quanto ha già fatto.
Odio sbagliarmi, e ancor di più doverlo ammettere.
Ma una cosa che proprio non posso perdonarmi e far sbagliare anche gli altri.
Così attendo pazientemente che il sole sorga del tutto, stupendomi del fatto che siano passate solo ventiquattro ore da quando ho raggiunto la ragazza del cielo alle porte del villaggio per iniziare questa alleanza.
Ripenso al suo guardo stupito quando le ho offerto pane e frutta, non si aspettava un gesto del genere da me.
Ma le tradizioni sono importanti. Rispetto quelle che meno mi soddisfano, le torture, le uccisioni, così non posso rinunciare ai banchetti che sanciscono le nuove alleanza.
Con tutto quello che è successo con l’avvelenamento di Gustus e la sua conseguente esecuzione, non potevo lasciare le cose a metà.
 
È il Pauna a distogliermi dai miei pensieri e a svegliare Clarke, che si solleva di scatto guardando il punto da cui proviene il suono, con il respiro affannato.
E di nuovo mi sento in dovere di rassicurarla.
“Stai tranquilla – le dico osservandola girarsi verso di me come se si ricordasse solo in questo momento della mia presenza – sei al sicuro.”
Lei sembra credermi.
“Come va il braccio?” mi chiede con lo sguardo che ho imparato ad associare alla sua versione da guaritrice.
 Non devi per forza soffrire in silenzio, lo so che fa male, non devi nasconderlo, almeno non a me.
Le parole che mi ha rivolto ieri mi risuonano nella testa, e non so per quale motivo, ma questa volta dico semplicemente la verità.
“Fa male.”
E lei sembra apprezzare la mia risposta.
Cosa mi stai facendo, Clarke del popolo del cielo?
Un altro ruggito del Pauna la spinge a guardare di nuovo dietro di sé.
“Dobbiamo andare – inizia – la gabbia non reggerà in eterno.”
Si alza, pronta per riprendere il cammino verso il villaggio.
È determinata, ma io esito.
So che se lascio passare questo momento non riuscirò più a dirle ciò che sento di doverle.
Chiudo gli occhi un istante mentre riempio i polmoni d’aria.
“Aspetta. – dico alzandomi a mia volta, per arrivare alla sua altezza e fronteggiarla – Mi sbagliavo su di te, Clarke.” Mi fermo, mentre la osservo sgranare leggermente gli occhi, sorpresa dalle mie parole.
Non dice niente, come aspettando che continui dandole maggiori spiegazioni.
E io lo faccio.
“Il tuo cuore non dà segni di debolezza.”
Continua a seguirlo, tu che puoi.
Ma quest’ultimo pensiero lo tengo per me.
Osservo i suoi occhi che mi guardano e questa volta non riesco davvero a capire cosa stia pensando.
Annuisce appena, ma non decifro il suo sguardo.
È stupita dalle mie parole? Rincuorata? Ma, ancora più importante, le interessa quello che ho da dire su di lei?
Capisco che almeno per il momento non mi sarà possibile dare una risposta alle mie domande, perché in un battito di ciglia sono sicura che non è più davanti a me, ma persa nei suoi pensieri.
Una scintilla di comprensione attraversa il suo sguardo, un sorriso le increspa le labbra.
Si volta indietro rapidamente.
“La gabbia non reggerà..” sussurra appena, rivolta più a se stessa che a me.
Torna a guardarmi, mentre io non posso fare altro che seguire i suoi movimenti, cercando di non pensare a quanto il destino si prenda gioco di me. Dopo tanto tempo esprimo davvero quello che penso, e quasi non viene ascoltato.
Ma quello che dice dopo mi riporta ad essere il comandante dei terrestri.
“Forse so come prendere Mount Weather.”
Parla quasi con il fiato corto, come se l’illuminazione l’avesse colpita quasi fisicamente.
La guardo, davvero stupita. La incito a continuare con il mio silenzio.
“Stavamo cercando di entrare, ma ci hanno già fatto entrare.”
Pur con tutte le lezioni di strategia che ho avuto, non riesco a stare dietro ai suoi pensieri.
“Di che cosa stai parlando?” chiedo con un tocco di frustrazione.
“Il tuo esercito è già li dentro – mi dice come se stesse spiegando la cosa più semplice del mondo. –rinchiuso nelle gabbie. Ci serve solo qualcuno all’interno per liberarli.”
E finalmente capisco cosa intende. Il suo è un buon piano, ma ha un prezzo altissimo.
“Bellamy.” Dico soltanto, e la vedo annuire con un sorriso.
Vuole che Bellamy entri, si metta in contatto con noi, disattivi la nebbia acida e nel frattempo liberi tutti i miei guerrieri dalle loro gabbie per attaccare gli uomini della montagna dall’interno.
Tutte le cose che dovrà fare dentro sono più che semplicemente pericolose e realizzabili, senza contare che già solo entrare senza farsi scoprire sembra impossibile.
Ti guardo e ti vedo in attesa del mio verdetto.
Ti guardo e penso che accettare questo piano sia una cosa da pazzi.
Ti guardo, e vedo che il tuo sguardo è identico a quello che avevi quando hai fatto entrare il Pauna nella nostra gabbia trasformandoci da prigioniere condannate a morte a carcerieri liberi di fuggire.
Ti guardo e penso che non credevo sarebbe arrivato così presto il momento di dovermi fidarmi di te fino a questo punto.
Ma mentre parlo cerco di usare il tono più deciso possibile, per trasmetterti un po’ di quella razionalità che in me abbonda, ma di cui tu non ti curi.
Dobbiamo unire le nostre qualità, Clarke.
“Ti fidi di lui?” dico semplicemente.
“Sì” mi risponde subito, annuendo come comprendendo tutto quello che mi sta passando nella mente.
“Spero che la tua fiducia si ben riposta.” Le rispondo ancora dura.
Lo spero, perché ci sto riponendo anche la mia, di fiducia, facendomi guidare dalla tua.
Ed è una cosa che mi tormenta.
Continuo.
“Perché se non riesce ad entrare, non possiamo vincere.” Concludo cercando di farle capire l’importanza vitale delle sue decisioni.
“Ce la farà.” Dice sicura, e so che ci crede, in quel modo solo suo.
Continua a guardarmi e non so cosa vede nel mio viso.
Rassegnazione, forse. Insieme a qualcosa che non vi appariva da tanto tempo.
Distoglie lo sguardo soddisfatta e comincia a spegnere il fuoco con un piede.
“Lexa – dice e ancora mi stupisco della facilità con cui mi chiama per nome, lei sola fra tutti – funzionerà.”
E più che un autoconvincimento, suona più come una rassicurazione diretta a me.
“Andiamo.” Conclude, e ricomincia a correre verso il villaggio con una nuova determinazione in corpo.
Io la seguo, cercando di adeguare il mio passo al suo e senza dire niente.
Ancora non so che farò così anche per molto altro.
 
°°°
 
Clarke
 
Corro nella foresta con una determinazione che non sentivo da tanto tempo, perché non nasce dalla tristezza e dalla disperazione. Questa è una determinazione che sa di speranza, di certezza che possiamo farcela. Possiamo vincere questa guerra, possiamo salvare la nostra gente.
È solo quando intravedo il villaggio di Ton DC che rallento, fino a fermarmi e riprendo fiato regolarizzando il respiro.
L’adrenalina e le ore di sonno che mi sono state concesse mi rendono più attenta e vigile rispetto ai giorni scorsi.
Devo mettermi in contatto con Bellamy e informarlo del nuovo piano.
Ha accettato anche Lexa, il più è fatto.
Lexa, che mi sta affiancando e mi guarda con fare interrogativo per questa mia ennesimo cambio improvviso di programma, il suo respiro regolare come se non avesse compiuto il minimo sforzo.
Mi stupisco per la velocità in cui ha acconsentito al nuovo piano, ora che stiamo per tornare in mezzo alla nostra gente mi chiedo cosa l’abbia spinta a farlo.
Mi rendo conto che probabilmente riguarda anche quello che mi ha detto poco fa.
Ha ammesso che si sbagliava su di me. So che le è costato un certo sforzo, e so che ha taciuto molto altro.
Mi chiedo quanto abbia pensato mentre io dormivo, e sento un po’ di imbarazzo crescere in me.
Imbarazzo che aumenta quando mi rendo conto che non ho minimamente risposto a quello che mi ha detto, ma ho cambiato velocemente discorso parlandole della mia idea.
Non è stato molto carino, ma in realtà mi ha davvero colto di sorpresa e sono abbastanza senza parole.
Sento, però,  di doverle dire qualcosa.
“Lexa..” comincio, fermandomi subito dopo in cerca di non so quali parole.
Lei si limita a fissarmi, senza dire niente, ma quando vede che non continuo prende un bel respiro.
“Andiamo ad organizzarci per salvare la nostra gente, Clarke. Torna al tuo accampamento, mettiti in contatto con Bellamy e guidalo, attenderò qui le novità. Darò ordine ai miei guerrieri di proteggerti. Faranno tutto ciò che dirai.”
E io non posso che annuire di nuovo, senza trattenere un minuscolo sorriso.
Entriamo nel villaggio, lei si dirige verso i suoi soldati, mentre io cerco con lo sguardo mia madre e i miei uomini.
Quando è ancora a portata di voce, però, la richiamo.
“Lexa! – si gira, guardandomi con il suo solito sguardo impenetrabile, io abbasso gli occhi – Solo..Grazie.”
Le dico, concentrando tutto i miei pensieri caotici in quest’unica parola.
Lei annuisce semplicemente.
“Ti aspetto qui con buone notizie, Clarke del popolo del cielo. Buona fortuna.”
Si volta e posso sentirla pronunciare alcune parole nella loro strana lingua.
Qualcosa che suona come un “grazie a te”.
Ma non ne sono sicura, anche perché non avrebbe senso.
Così mi volto per cercare la mia gente e iniziare la nostra missione.
Ci vedremo presto, Lexa.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. Cambio al vertice. ***


Capitolo 5
Cambio al vertice

Lexa
 
Osservo Clarke allontanarsi a cavallo con sua madre e un gruppo di guerrieri scelti per accompagnarle al loro accampamento e proteggerla per tutto il periodo che trascorrerà lì.
Non le ho più detto niente, in effetti non avevamo più niente da dirci, dobbiamo solo confidare nei nostri popoli e attendere le novità dall’interno della montagna.
Io dovrò tenere a bada i generali e pensare a un piano alternativo finché Clarke non sarà di ritorno.
Spero riesca a cavarsela.
Mi massaggio la spalla, me l’ha visitata anche Nyko poco fa, mi ha fatto tenere l’imbragatura improvvisata con il pezzo di maglia di Clarke, dicendomi che comunque ha fatto un buon lavoro. Ancora un po’ di riposo e sarà come nuova. Non mi lamento, ho sopportato di peggio.
Inizio a camminare per le stradine, stare ferma non servirà a nulla.
Osservo la vita del villaggio, sforzandomi di vederla con gli occhi di una persona qualsiasi.
Dalla morte di Eris ho deciso di concedermi più tempo da sola, ultimamente essere la mia scorta non sta portando molta fortuna ai miei guerrieri, così fino a quando mi sarà possibile eviterò di andare in giro accompagnata.
Mentre avanzo per la città, guardando tutti gli abitanti svolgere le proprie attività penso di aver fatto la scelta giusta. Senza guerrieri enormi e sempre pronti a scattare per difendermi, senza la sensazione costante di essere osservata, paradossalmente mi sento più tranquilla, più sicura.
E senz’altro do meno nell’occhio visto che le donne e i ragazzi sembrano quasi non accorgersi del mio passaggio. Da quando sono arrivata non ho fatto altro che svolgere i miei doveri da comandante, con il rito funebre, il disastroso banchetto, la pianificazione del consiglio di guerra, e poi la fuga dal Pauna che mi ha costretta fuori.. Con tutte queste cose mi sono dimenticata di essere fra la mia gente, fra la gente che voglio proteggere. Gente così diversa da quella di Polis, con la loro vita più moderna, ma anche così somigliante. Così passeggio tranquilla, facendo gesti di saluto a chi solleva lo sguardo per rivolgermi sguardi e cenni da sorpresi a timidi, alcuni impauriti.
Non sono abituati a vedermi qui, ma in questo momento mi sembra la cosa più giusta che possa fare.
Hanno sofferto molto per colpa di queste guerre, se con la mia presenza posso farli stare anche solo leggermente meglio, così sia.
La mia solitudine però dura troppo poco per i miei gusti.
Un guerriero di Indra si avvicina rapido.
“Heda” dice solo rimanendo in attesa.
Lo guardo annuendo, confermandogli di poter continuare.
“I generali sono riuniti, vi stanno aspettando per gli aggiornamenti.”
Trattengo un sospiro, il dovere chiama e io non posso che rispondere.
“Andiamo.” Dico semplicemente e ci avviamo verso l’edificio del consiglio.
Appena entro noto che l’atmosfera è diversa da quella dell’altro giorno. C’è ancora tensione, ma mista a uno strano sentore di paura e rispetto.
Non sanno cosa sia successo a Quint, non l’hanno più rivisto, mentre hanno potuto vedere tutti Clarke che partiva con i soldati stamattina.
Prendo un bel respiro prima di iniziare.
“Ben ritrovati generali.” Inizio.
“Heda.” Dicono in segno di saluto.
Devo loro qualche spiegazione, comunque.
“Come vedete Quint non è tra noi. Un Pauna l’ha ucciso ieri mentre era nel bosco a dare la caccia al leader del popolo del cielo.” Faccio una pausa, guardandoli uno per uno.
“Mi sembra palese che il destino sia stato ben chiaro nei nostri confronti.” Commento con tono indifferente.
E loro non possono che annuire, uno di loro, uno dei più giovani, prende la parola.
“Il pauna ha ferito anche voi?” chiede sembrando sinceramente preoccupato con un cenno al mio braccio ancora immobilizzato.
Lo guardo e lo tranquillizzo con un gesto dell’altra mano.
“Non è niente, il nostro curatore è solo un po’ apprensivo. – rispondo – per la battaglia imminente non ci saranno problemi.” Dico riportando l’attenzione sul tema principale dell’incontro.
“ A proposito di questo Heda – prende la parola Oder, uno dei miei generali più fedeli – abbiamo discusso tra noi mentre voi eravate via. Sappiamo che quello che dice la ragazza è vero. Conosciamo fin troppo bene l’effetto della nebbia acida sui nostri uomini.” Continua con una smorfia di rabbia e dolore sul viso segnato dall’età.
“Proponiamo un incontro con tutti i delegati dei dodici clan, qui tra qualche giorno, per fare in modo di essere pronti se il piano del popolo del cielo di infiltrarsi nella montagna funziona – continua un altro generale, guardandomi intensamente – diamogli un tempo massimo per farsi vivo, intanto prepariamo l’esercito.”
Li guardo tutti nuovamente. Sono leggermente stupita da questo cambio di vedute, forse la morte di Quint ha dato loro molto da pensare.
“Sono d’accordo – dico – incontriamo i delegati qui dopodomani, nel caso in cui non abbiamo ancora informazioni dall’interno vedremo di procurarcele in qualche altro modo. Qualcun altro tra noi potrebbe provare ad infiltrarsi. Sarebbe senz’altro meno discreto, ma forse più efficace.”
Faccio una pausa, aspettando obiezioni, ma tutti tacciono. Così continuo.
“Vi informo anche su una variazione dei piani dell’infiltrato. Non si limiterà a disattivare la nebbia, ma aprirà anche tutte le gabbie.”
Osservo le loro reazioni, inizialmente confuse, come ricordo essere stata io questa mattina quando Clarke me ne ha parlato per la prima volta.
Una ragazza del cielo, fuori dal mondo quasi in senso letterale, che fa lezioni di guerra ai terrestri.
Devo trattenere un sorriso, prima di spiegarmi meglio.
“Ci sono molti dei nostri prigionieri nelle gabbie, appena liberati saranno pronti a combattere da dentro, mentre noi attaccheremo da fuori.”
Un attacco su due fronti, come inizio di una pianificazione non è niente male, e infatti uno sguardo di comprensione attraversa gli sguardi di tutti i presenti.
Stai convincendo anche loro, Clarke.
“E’ un buon piano Heda, speriamo che possa realizzarsi – commenta Oder guardandomi soddisfatto -  non ci resta che mandare gli ambasciatori ai clan e aspettare il loro arrivo. Io mi occuperò di mandare uno dei miei guerrieri a cavallo nella Nazione del Ghiaccio, se parte subito riusciranno a tornare in tempo.”
Conclude continuando a guardarmi, quasi a voler osservare la mia reazione.
Io rimango impassibile, mentre dentro di me sento sobbollire la solita rabbia che provo al pensiero dei miei alleati meno apprezzati.
Tutti qui dentro sanno che tra me e la loro regina non scorre buon sangue, nonostante le apparenze di alleate. Pochi sanno che il vero motivo non è la sete di potere di quella donna. Non solo, per lo meno.
Acconsento con un cenno del capo, ma non ascolto gli altri spartirsi le destinazioni dei messaggeri.
Sciolgo la riunione semplicemente uscendo dall’edificio.
Appena fuori vengo colpita dal sole alto nel cielo, in quel seminterrato ne filtrava ben poco.
Mi concedo un sospiro mentre mi dirigo verso l’edificio che mi è stato assegnato al mio arrivo.
Entro e mi siedo sul trono, per cercare un minimo di stabilità.
Gli ambasciatori della nazione del ghiaccio saranno presto qui e io dovrò comportarmi da comandante rispettoso, come al solito, mentre il mio desiderio sarebbe semplicemente quello di conficcare la mia spada nel cuore della loro regina e vedere la vita abbandonare quegli occhi maledetti.
Mi fermo spaventata da questi pensieri. Non posso permettermeli.
Non posso lasciare che una parte di me provi davvero questi sentimenti, non in questo momento.
Chiudo gli occhi.
Sono spaventata anche dal fatto che era davvero tanto tempo che non li formulavo, tanto tempo che non mi permettevo di fermarmi a pensarci.
E del tutto incoerentemente, prima che possa fermare la mia mente, penso a Clarke.
E non posso che collegarla a tutto quello che mi è successo. In un modo intricato e inspiegabile so che è coinvolta.
È coinvolta perché è stata la prima persona dopo tanto tempo, forse l’unica, con cui ho condiviso parte del mio passato, volontariamente e consapevolmente.
È coinvolta perché lei e il suo modo unico di provare emozioni e comandare un popolo mi stanno in qualche modo influenzando. E questo mi spaventa.
È coinvolta, soprattutto, perché il pensiero che ci potrebbe essere anche lei alla riunione dei dodici clan, davanti agli sguardi crudeli e assassini dei rappresentanti della nazione del ghiaccio mi causa un brivido che mi percorre tutta la schiena senza che possa oppormi.
Spalanco gli occhi di scatto.
Cosa mi sta succedendo?
Non deve succedere.
Quasi ringrazio quando sento dei colpi sulla porta e la voce di un uomo che chiede il permesso di entrare.
Mi siedo meglio, riacquistando il controllo dei miei pensieri.
“Entrate.”
Osservo perplessa un guerriero che ho affidato alla scorta personale della ragazza poco fa.
“Mi dispiace disturbarvi, Heda.” Inizia lui, mentre entrano altre guardie.
“Parla” dico soltanto. Voglio sapere perché è qui.
“La delegazione che viaggiava verso l’accampamento è stata attaccata da due uomini della montagna.”
Quando sento un secondo brivido scorrere lungo la mia colonna vertebrale mi convinco che il destino è davvero contro di me.
Sei viva, Clarke?
“Chi è morto?” chiedo usando il tono più freddo e distaccato che riesco a trovare dentro di me.
Lui risponde immediatamente.
“Uno degli uomini della montagna è stato colpito da una freccia di Indra, uno dei nostri è stato ferito gravemente da un proiettile. Le donne del popolo del cielo hanno portato lui e l’altro prigioniero sopravvissuto al loro accampamento per curare le ferite.”
Sollievo. L’alleanza è salva, mi dico cercando di convincermi che si tratta solo di questo.
“D’accordo. C’è altro che devi dirmi?” chiedo come se non fossi stata minimamente toccata dalle sue parole.
“In effetti sì, Heda , gli uomini della montagna avevano con loro dei documenti. I bersagli della loro missione eravate voi e la ragazza del popolo del cielo. C’erano delle vostre immagini, i vostri volti cerchiati di rosso. – si interrompe un istante prima di continuare – Non sono riusciti a colpire la ragazza perché Indra ha ucciso un loro tiratore appena in tempo.”
“Bene, se è tutto puoi andare, torna velocemente al campo del popolo del cielo e porta avanti il tuo incarico. Inoltre avvisa la ragazza che dopodomani ci sarà un incontro con i delegati dei dodici clan per organizzare la guerra. Sarebbe opportuno che venisse.”
Mi fermo un istante, cercando di sigillare in una zona inaccessibile i pensieri di poco fa. Ma non riesco a fermarmi quando aggiungo.
“O lei, o un altro delegato del popolo del cielo.”
Mi maledico.
“Sarà fatto, comandante.” Assicura il guerriero con un  lieve inchino del capo.
“E..- mi fermo come se dentro di me stesse avvenendo la battaglia peggiore della storia – fai in modo che non le capiti nulla, seguila e proteggila in ogni istante. Adesso va.” Lo congedo con un gesto della mano, e lo osservo uscire, accompagnato dalle altre guardie.
Mi maledico. Di nuovo.
Sospiro.
Ogni giorno sulla terra la probabilità di morire è alta.
Sapere che mi danno la caccia non mi preoccupa, sapevo già che Mount Weather mi vuole morta.
Sono l’unica comandante che ancora non ha tentato di distruggere la montagna, di conseguenza l’unica che non ha ancora fallito, ma con questa alleanza posso riuscirci.
Possiamo riuscirci, Clarke.
E tu? Ti spaventa essere un bersaglio dichiarato, la persona da eliminare per mettere fine a questa guerra?
Ti ho messo io in questa situazione? Sarai anche tu una delle persone che moriranno a causa mia?
No, mi fermo.
Sto pensando con il cuore e questo non mi porterà a nulla, anzi.
Clarke è fuggita da Mount Weather, salvando anche Ania. Lei ha dichiarato guerra da sola a quegli uomini prima che lo facessimo insieme.
La vogliono morta da molto prima.
E come a conferma di questi pensieri finalmente razionali arriva il ricordo di poche ore fa.
“Tutto è stato complicato, da quando siamo arrivati sulla terra.”
Il tuo sguardo che oscilla tra la rassegnazione e la determinazione.
 Lei sa bene a cosa sta andando incontro, a cosa è già andata incontro.
Mi libero di questo peso, ciononostante il mio animo resta irrequieto, e so che non posso farci nulla.
Chiudo gli occhi di nuovo, rimanendo immobile sul mio trono.
Sembra passata un’eternità da quando ho inseguito Quint e Clarke nel bosco.
Ma è con uno strano orrore che mi rendo conto che buona parte di quello che è successo dopo e che mi ha sfiancata così tanto è avvenuto nella mia testa.
E sento nascere un pensiero che so già non mi piacerà.
Lo sento nascere e so bene che tentare di fermarlo non servirà a nulla.
Preferirei essere braccata da un Pauna, correre a perdifiato nei boschi e rischiare la vita con te, che stare qui ferma con la sola compagnia scomoda dei miei pensieri.
Apro gli occhi e mi alzo di scatto, non posso più stare qui.
Esco, cercando disperatamente qualcosa da fare fuori.
 
°°°
 
Clarke
 
Distolgo gli occhi dalle fotografie che abbiamo preso agli uomini della montagna questa mattina.
Non so quante volte le ho già sfogliate tutte, sperando inutilmente di vederci ogni volta qualcosa di diverso.
Pensare che sono arrivati così vicini a me e Lexa, tanto che avrebbero potuto ucciderci in un secondo mi causa un brivido di terrore.
So da molto tempo di essere in pericolo di vita, ma vederselo davanti agli occhi fa comunque un altro effetto.
Mi concentro sul volto di Lexa.
Ho coinvolto anche lei nella mia guerra contro Mount Weather. Da quando sono scappata con Ania, so che stanno cercando di fare il possibile per eliminarmi, perché so troppe cose.
La montagna non è mai stata così vulnerabile, ed è per merito mio.
Ed ora con questa alleanza sto trascinando nel mirino anche lei.
Ma improvvisamente mi torna in mente un ricordo.
“La catturò la regina dei ghiacci, perché la Regina voleva conoscere i miei segreti. Poiché era mia, la torturarono, la uccisero e le tagliarono la testa.”
Anche tu sei pericolosa per chi ti circonda, sei un bersaglio da molto prima che ti conoscessi.
Anche in questo non siamo così diverse. Anzi.
 
È l’altoparlante dell’arca a riscuotere la mia attenzione.
Mia madre mi vuole vedere. Mi reco velocemente davanti alla camera stagna e ascolto quello che mia madre ha da dirmi.
Il terrore e l’orrore mi invadono in un istante.
Stanno dissanguando i miei amici.
Il sangue di Emerson ci ha detto quello che lui non ci ha voluto dire.
Quello che temevo mi venisse detto.
Li stanno dissanguando.
Posso quasi vederli nella mia testa. Jasper, Monti, Harper, Miller e tutti gli altri stesi sui lettini con aghi nelle vene che portano il sangue lontano da loro. Che portano via la vita.
Cammino per i corridoi dell’arca sentendo i passi del guerriero terrestre che continua a seguirmi, limitandosi ad accompagnarmi nei miei spostamenti. È silenzioso, non interferisce, tuttavia è impossibile non percepirne la presenza.
So che dovrebbe essere un segno di potere, ma ad ogni passo il senso di impotenza non fa che aumentare.
Li stanno dissanguando e io non sto facendo nulla. Non posso fare nulla.
Forse il problema è che non sono in grado di fare nulla.
Entro nella stanza di Raven, mi accorgo appena che il terrestre si ferma fuori.
La vedo lavorare e vorrei dirle di smetterla perché tanto non serve più a niente.
“È troppo tardi. – attiro la sua attenzione – li stanno già dissanguando.”
Lei mi fissa, senza dire niente.
Sono io che distolgo lo sguardo da lei e fissando un punto imprecisato pronuncio due parole.
“È finita.”
Sono morti tutti. Non li ho salvati.
Inspiegabilmente il mio pensiero vola a Lexa.
È così che ti sei sentita quando ti hanno comunicato la morte di trecento dei tuoi guerrieri per mano mia?
A cosa ti è servito tutto il potere che hai, in quel momento?
Eppure io sono qui, un guerriero terrestre fuori dalla porta.
È Raven a distogliermi da questi pensieri senza un fine.
“No.” Dice alzandosi e catturando il mio sguardo.
“Non puoi arrenderti Clarke. Hai ucciso Finn e io non mi sono arresa. - La sua voce trema, sembra più per rabbia che per tristezza. – sto costruendo un segnalatore acustico. Tu fai il tuo lavoro.”
“E qual è il mio lavoro?” esplodo io.
Mi sono fidata di Bellamy, ho organizzato la sua missione, ho cercato di tenere a bada i terrestri.
Sono bersaglio dichiarato degli uomini della montagna, mi danno la caccia per uccidermi.
E ora non posso fare assolutamente nulla per impedire che uccidano anche i miei amici.
E quello che è ancor peggio è che ho convinto Lexa a fidarsi di me, colma di tracotanza, unica a credere che questo piano impossibile potesse realizzare.
“Non lo so! – risponde Raven con il mio stesso tono – escogitare qualcosa!”
“Ci ho provato!” ed è maledettamente vero.
Ma forse non ho fatto abbastanza, eppure mi sembra di aver dato tutto ciò che potevo.
Ho messo da parte tutti i miei sentimenti per poter ragionare lucidamente su cosa avrei potuto fare, ho messo in moto tutte queste persone.
Eppure non è stato abbastanza. Io non sono abbastanza.
In quel momento una terza voce irrompe nella stanza. E mi sembra di metterci un’infinità di tempo a capire che proviene dalla radio.
“Accampamento Jaha, qui Mount Weather, mi sentite?”
Io e Raven ci guardiamo con la confusione negli occhi.
“Santo cielo” dice lei, mentre la voce ritorna con un tono più urgente.
Afferro la ricetrasmittente e pronuncio un nome che in questo momento sa di salvezza.
“Bellamy.”
“Clarke?” mi sento rispondere e chiudo gli occhi lasciando che tutto il sollievo possibile invada il mio corpo e la mia mente. Non riesco a trattenere un sorriso.
“Va tutto bene?” chiedo.
 “Sì, ma le buone notizie finiscono qui. Dobbiamo parlare in fretta. Qualcosa è cambiato: Jasper, Monti, tutti loro sono rinchiusi nel dormitorio.”
Aspetto che le parole penetrino nel mio cervello lasciando spazio alla comprensione.
“Ma.. sono tutti vivi? Stanno bene?” chiedo per conferma, e quasi non riesco a crederci.
“Credo di sì, per ora. – sospiro di sollievo. Siamo ancora in tempo – Maya dice che stanno usando il loro sangue, ma la situazione sta precipitando in fretta.”
Non ha importanza, ora che lui è dentro possiamo muoverci da fuori.
Una nuova determinazione mi invade.
Gli spiego le novità del piano, dell’esercito già dentro la montagna che aspetta solo di essere liberato da lui per vendicarsi. Un cavallo di Troia, ha capito.
Ora so che possiamo farcela davvero.
Così quando Bellamy mi chiede di aiutarlo a guadagnare tempo so già cosa fare.
“Penserò a qualcosa” dico mentre i dettagli del mio piano si stanno già delineando nella mia testa.
Ma non posso fermarmi dall’aggiungere quello che sto pensando da quando ho sentito la sua voce alla radio.
“Bellamy.. Ci sei riuscito. Lo sapevo.”
“Per ora sono riuscito a non farmi ammazzare.” Risponde lui, ma sappiamo che ha fatto molto di più.
“Continua così.” Dico alzandomi, finalmente posso fare qualcosa.
Lascio la radio a Raven e mi dirigo verso la porta.
Lei mi guarda e mi richiama chiedendo spiegazioni sul mio cambio di atteggiamento.
“Da adesso ci dedicheremo all’esterno” dico semplicemente, un mezzo sorriso sulle labbra.
Esco.
Ce l’ha fatta, Lexa. Bellamy ce l’ha fatta. Ora tocca a noi.
Cammino per i corridoi dell’arca e non sono mai stata più contenta di avere alle mie spalle un manipolo di terrestri pronti ad eseguire i miei ordini.
Percorro il corridoio al contrario rispetto a poco fa, e anche l’impotenza ha lasciato spazio a un sentimento di potere che non ho mai provato.
Arriviamo fino alla camera stagna.
“Togliti” dico implacabile alla guardia dell’arca.
“Preparati. Tu vieni con me.” Ordino con lo stesso tono a Emerson.
Davvero, sembra potere puro quello che scorre nelle mie vene. È più di semplice determinazione.
Mantengo lo stesso passo deciso e lo stesso sguardo duro negli occhi fino a quando arriviamo al cancello.
Dietro di me i terrestri armati, comandati da Indra, ma guidati anche da me.
Mi fermo solo quando mia madre e Kane sono davanti a me con uno sguardo misto tra l’arrabbiato e il sorpreso.
“Clarke, fermati” mi impone lei.
“No – replico io sicura – libererò il prigioniero.”
“Assolutamente no.” Mi dice lei.
“Non ha ancora parlato.” Interviene Kane, guardandomi come per farmi ragionare.
“Non ce n’è bisogno, è ai suoi che deve parlare.” Rispondo comunque io sicura.
Ma mia madre non ci sta.
“Riportate subito il prigioniero nella camera stagna.” Ordina a una delle guardie dell’arca.
Il “sì signora” che riceve in risposta non vale nulla in confronto ai guerrieri terrestri che alle mie spalle si sono mossi come seguendo un ordine silenzioso.
Si schierano con aria minacciosa, per difendermi e fare in modo che tutti i miei ordini siano esauditi.
Allora è così che ti senti, comandante?
Il rumore delle spade estratte congela la situazione.
Lancio uno sguardo alle mie spalle e devo trattenere un sorriso compiaciuto.
“Tu sarai il cancelliere, ma qui comando io.” Dico tornando a fissarla.
Vedo la delusione farsi strada nel suo sguardo, so perfettamente che questo è un tradimento in quanto appartenente al popolo del cielo e soprattutto in quanto figlia.
Ma non posso curarmene in questo momento.
Ho la certezza assoluta che questa sia la cosa giusta da fare in questo momento.
Devo creare un diversivo per far avere più tempo a Bellamy e tenere l’attenzione di Dante e suo figlio su noi qua fuori.
Mantengo lo sguardo e capisco che non vuole arrendersi così facilmente.
“Indra dì ai tuoi uomini di farsi indietro, e di farlo subito. Prima che la situazione precipiti.” Dice mantenendo il suo sguardo nel mio.
Non mi volto neanche.
“No.” Risponde la terrestre.
Probabilmente il sorriso sul mio viso sta irritando mia madre più delle mie parole.
“Qualcuno potrebbe ferirsi.” Sussurra quasi.
“Allora smettila di ostacolarmi.” Replico secca.
Ora mi rivolgo a lei in tono conciliante.
“Devi fidarti, io so cosa è meglio per noi.”
Ed è vero, lo so io e lo sa lei. Sono qui da più tempo di loro, ho imparato a trattare con i terrestri.
Io ho ottenuto la tregua che ha evitato la morte di tutti in questo appartamento.
Vedo la rassegnazione farsi spazio nei suoi occhi.
Ma è Kane a darle il colpo di grazia.
“I terrestri si fidano di Clarke – le sussurra guardandomi – dovremmo farlo anche noi.”
Sembra che ci sia una battaglia nella testa di mia madre, so di averla messa alle strette.
Poi sospira.
“Va bene, riposo.” Ordina alle guardie, che finalmente abbassano i fucili.
Si scostano e io ricomincio ad avanzare con i miei al seguito.
“Aprite i cancelli, ora.” Ordino.
E i cancelli si aprono.
Grazie, Lexa.
 

 
 
 
NOTE:
Rieccomi.
Questo è un capitolo un po’ particolare, il primo in cui le due ragazze non interagiscono tra loro.
Ho qualcosina di dire, spero di non essere troppo contorta.
Per la prima parte: preferisco notevolmente scrivere di Lexa, lo trovo molto più stimolante.
La parte con i generali è frutto della mia mente contorta, volevo creare un collegamento tra l’esito disastroso della prima riunione (con Quint) e la situazione migliore degli episodi successivi.
Lexa.. La sua solidità inizia a vacillare. Credo che il pensiero di Clarke davanti ai guerrieri dell’Ice Nation le abbia smosso qualcosa. Ha perso Costia per colpa della loro regina, e del tutto involontariamente inizia a temere di perdere anche Clarke per lo stesso motivo. È terribilmente spaventata da quello che potrebbe provare, spero di aver passato questo.
Sia lei che Clarke hanno avuto molto di cui pensare  per le foto in cui sono bersagli, mi piace pensare che abbiano avuto entrambe reazioni molto simili: sono entrambe abituate a mettere in pericolo chi le circonda, Clarke ha appena perso Finn e anche la sua guardia del corpo (meno importante, certo, ma comunque c’è stata) e Lexa ha perso Costia, Gustus e il mio amico Eris.
Quando ci ragionano su per bene però capiscono che non mettono in pericolo l’altra più di quanto non sia già, ed è una cosa possibile solo tra loro due. Mi piace, è un legame forte in un mondo di insicurezze e paura.
Per quanto riguarda la parte di Clarke, ho tagliato e accorciato alcune scene perché mi sembrava un po’ noioso stare a seguire battuta per battuta. Le cose importanti di questo capitolo avvengono nella testa e nel cuore di entrambe. Spero che vi sia piaciuto.
Credo che Lexa stia iniziando a pensare a Clarke “in quel senso”, mentre Clarke inizia semplicemente a pensare a Lexa, spesso.
Mi sono dilungata troppo. Grazie per aver letto.
A presto,
Ilaria
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. Il Rubicone. ***


Il Rubicone
 

Clarke
 
Sento il mio nome risuonare un’ennesima volta nell’altoparlante dell’arca.
Questa volta mi vogliono ai cancelli.
Sospiro e distolgo gli occhi dalla lavagna su cui Raven ha ricostruito la planimetria della montagna.
“Torno subito.” Dico alla ragazza mentre mi alzo.
Lei annuisce appena, senza sollevare gli occhi dalla cartina della diga che fornisce acqua a Mount Weather.
Esco dalla stanza e mi dirigo rapidamente all’esterno. Subito sento i passi del guerriero terrestre seguirmi.
Arrivati al cancello trovo Kane che mi aspetta, con un altro guerriero che riconosco come quello inviato a Lexa per riferirle delle foto di Mount Weather.
“Clarke – inizia Marcus – Rider è qui per consegnarti un messaggio dal comandante.”
Il terrestre, Rider, annuisce e comincia a parlare con voce profonda.
“Il comandate ha ricevuto le informazioni sugli uomini della montagna, mi manda a chiederti di partecipare alla riunione che si terrà stasera a TonDC, con i rappresentanti dei dodici clan per organizzare l’attacco.”
Annuisco, ma dentro di me sento un brivido di paura.
Non sono pronta.
È vero: Bellamy è dentro, ci ha contattati e sta facendo un ottimo lavoro.
Ma la nebbia acida è ancora funzionante, e ben lontana dall’essere disattivata. Non so come Raven e Wick siano messi con i segnalatori acustici.
Nonostante questo cerco di mantenere un’aria risoluta, mentre rispondo al terrestre.
“Bene, riferisci al comandante che ci sarò, e che l’infiltrato nella montagna si è messo in comunicazione con noi.”
Lui annuisce, ma non si sposta. Guarda un punto impreciso dietro le mie spalle, verso l’altro terrestre.
I due si scambiano qualche frase nella loro lingua, mentre io e Marcus li guardiamo in modo interrogativo.
Finito lo scambio di battute Rider si sposta verso di me, mentre l’altro guerriero si dirige verso il cancello, si gira e dopo avermi fatto un gesto di saluto esce dall’accampamento, sale sul cavallo di Rider e se ne va.
“Non siete di molte parole voi terrestri, giusto?” chiedo osservando il guerriero allontanarsi.
Rider mi guarda, e come a conferma delle mie parole dice soltanto:
“Ordini dell’Heda.” A mo’ di spiegazioni.
“Ordini dell’Heda. - Rispondo io, sospirando. – torniamo dentro, ci sono delle cose da fare.”
Appena muovo i primi passi per tornare dentro, noto che qualcosa nell’atteggiamento di Rider è diverso : cammina esattamente un passo dietro di me, senza curarsi del mio spazio personale che l’altro guerriero mi aveva garantito. Mi fermo di scatto e quasi mi travolge, abituato al mio passo rapido.
Mi volto a guardarlo con quello che penso sia uno sguardo minaccioso, ma non fa una piega.
Noto che stringe il pugnale che ha alla cintura e si guarda intorno come per assicurarsi che nessuno stia sfruttando la mia immobilità per uccidermi.
Scuoto la testa, rassegnata, e ricomincio a camminare.
Ordini dell’Heda.. Non posso discutere, vero Lexa?
Poi mi concentro su tutto quello che devo fare e sul poco tempo a mia disposizione.
E l’ansia torna ad assalirmi.
 
°°°
 
 
Lexa
 
Cammino agile nel sottobosco, il mio passo è così delicato che quasi io stessa non riesco a sentirlo nonostante la coltre di foglie secche che ricopre il terreno.
Al contrario percepisco bene il rumore di qualcuno che mi segue non troppo discretamente, nascosto dietro i cespugli alle mie spalle.
Sorrido e mi concedo un’occhiata anche se non ce n’è bisogno. So perfettamente di chi si tratta, riconoscerei il suo passo in mezzo a un esercito in marcia.
Percepisco il suo sospiro e il suo sbuffo divertito quando si accorge che l’ho già scoperta.
Tuttavia aumento la velocità del mio cammino, distanziandola,  fino a quando giungo alla mia meta: una piccola radura, inombrata dalle fronde degli alberi circostanti, dove solo pochi raggi di sole filtrano creando un gioco di luci continuo grazie alla brezza che smuove le foglie.
Ci sono centinaia di posti come questo, nella foresta, ma è qui che vengo dopo le giornate particolarmente pesanti, è qui che vengo per essere raggiunta dall’unica persona che può farmi dimenticare chi sono per alcuni brevi momenti di inestimabile valore.
Mi avvicino al mio solito albero e mi siedo, appoggiando la schiena contro il suo tronco.
Chiudo gli occhi e attendo di essere raggiunta.
Non devo aspettare molto, di nuovo sento la presenza di qualcuno vicino a me.
Continuo a tenere gli occhi chiusi, ma sento un sorriso nascere sul mio viso.
“Apri gli occhi, mio comandante.” Sento dire con una voce delicata dalla ragazza che ormai mi ha raggiunta.
So che è in piedi davanti a me, così vicina che se stendessi le gambe la potrei toccare.
So che mi sta guardando con gli occhi carichi di dolcezza e di affetto. Di amore.
Non voglio aprire i miei occhi e vederla come già mille volte ho fatto.
Vederla respirare, vederla sorridere, vederla guardarmi con il solito scintillio negli occhi. Vederla vivere.
Ma nello stesso tempo so che non riuscirò a resistere. È da così tanto tempo che non ho questa opportunità.
Sollevo lentamente le palpebre, lasciando che la luce penetri poco per volta e guardo finalmente la ragazza davanti a me. È come la ricordavo.
“Costia.” Dico soltanto e lei sorride come se avesse visto la cosa più bella del mondo.
Invece io smetto di sorridere e lascio che una smorfia di dolore solchi il mio viso.
Ripeto le mie battute, spinta da una forza superiore che non posso contrastare. So già come andrà a finire e per quanto io non lo voglia sono costretta a continuare.
“È stata una giornata tremenda, grazie al cielo è finita.” Dico con un sospiro, chiudendo gli occhi e scostandomi leggermente per permetterle di sedersi accanto a me.
Ma so già che questo posto rimarrà vuoto, che nessuna dolce e meravigliosa ragazza si stenderà di fianco a me appoggiandosi sul mio petto.
Se riuscissi a oppormi non aprirei gli occhi per nessuna ragione al mondo, ma non posso.
Sospiro un’ennesima volta, per farmi forza.
Apro gli occhi e osservo quella maledetta scatola di legno appoggiata sull’erba.
Sul coperchio, dipinto con una pittura nera, spicca il disegno di una mano con una spirale al posto del palmo. Il simbolo di Azgeda.
Mi alzo e mi avvicino solo perché so che questo sogno, questo incubo, finirà presto.
La mia coscienza mi tortura facendomi aprire quella scatola ogni maledetta volta prima che io possa svegliarmi e calmare il mio respiro, per poi fare finta che nulla di questo sia accaduto.
Afferro il coperchio senza sollevare la scatola dal suolo.
Voglio svegliarmi e tornare nel mondo dove posso controllare i miei pensieri e le mie azioni.
Così con un gesto deciso apro la scatola lasciandomi nauseare dal suo contenuto, ormai terribilmente familiare.
Ed è in questo momento che per la prima volta dopo anni, il mio incubo cambia, e diventa qualcosa di ancor più terribile.
Perché non sono capelli corvini e intrecciati, quelli che il mio sguardo osserva carico di orrore.
Non sono scuri e ardenti gli occhi spalancati che mi trovo davanti.
Mi allontano di scatto senza riuscire a distogliere lo sguardo da quegli occhi blu che ho potuto osservare negli ultimi giorni, da quei capelli biondi così insoliti sulla terra.
Un “No” strozzato esce dalla mia gola mentre osservo la testa di Clarke giacere in quella maledetta scatola.
 
Apro gli occhi di scatto, la bocca ancora semi aperta come se davvero avessi urlato l’ultima parola.
Il mio respiro è impazzito e so di doverlo contenere. So di dovermi calmare.
Osservo la stanza intorno a me, illuminata dalla tenue luce del mattino. Sono pareti quelle che mi circondano, non alberi.
È stato solo uno stupido incubo.
Ma sto mentendo a me stessa.
È cambiato e il mio inconscio mi ha mostrato quello che inutilmente ho cercato di sopprimere con la mia razionalità.
Ma una parte di me, abbastanza grande e fastidiosa, è terribilmente scocciata perché questo era l’incubo che mi ha accompagnata per tante notti, che non mi ha dato tregua per un lungo periodo e che, ora,  sporadicamente torna a farmi visita quando le mie difese calano.
È il mio incubo, mio e di Costia.
Nessuno doveva intromettersi, nessuno avrebbe dovuto mai prendere il suo posto.
Dovevano essere suoi gli occhi vacui e senza vita su quel viso martoriato.
Clarke non deve essere coinvolta, non in questa cosa.
Eppure se chiudo gli occhi l’immagine del suo viso è ancora impressa nella mia retina.
E del tutto incoerentemente sento un sentimento di vergogna e i sensi di colpa che mi assalgono.
Non posso permettere che Costa sia sostituita così, nemmeno nei miei incubi. Soprattutto in questi.
Prendo ancora dei  respiri profondi e sento il battito del mio cuore risuonare sempre meno nelle mie orecchie.
Cancello dalla mia testa tutte le immagini che ho visto, mi concentro e elimino ogni pensiero dalla mia mente finchè non sento di aver riottenuto il controllo su di essa e sul mio corpo.
Dopo di che, con gesti meccanici e routinari, scosto il lenzuolo, appoggio i piedi sul pavimento e mi preparo per affrontare questa giornata.
Come se nulla fosse successo.
Come sempre.
 
Il lato negativo di essere stata impegnata tutto il giorno, di aver cercato di concentrarsi disperatamente su qualcosa in modo da tenere sempre la mente occupata è che il tempo è scivolato via, come acqua tra le dita.
Ho girato come una trottola tutta la mattina, senza fermarmi mai. Ho addirittura contribuito a preparare la sala per il concilio dei dodici clan, posizionando attentamente, quasi maniacalmente, al centro del tavolo i disegni e le mappe della montagna lasciatemi da Clarke.
Solo per un momento sono stata riportata alla realtà, quando un guerriero che avevo mandato come scorta a Clarke è tornato da me comunicandomi che il ragazzo nella montagna era riuscito a mettersi in comunicazione con il popolo del cielo, iniziando la sua missione all’interno. Il guerriero mi ha anche assicurato che la delegazione dell’Arca sarebbe arrivata in serata, come tutti gli altri clan.
E per distrarmi da queste notizie ho pensato e ripensato al discorso da fare agli ambasciatori.
È solo quando il sole sta calando che i rappresentanti dei clan iniziano ad arrivare, alcuni tra i più socievoli si fermano e partecipano alle attività del villaggio, altri, invece, si recano subito nel luogo prescelto per la riunione, scortati dai miei generali.
Rimango in disparte, appoggiata al muro di un’abitazione, immersa nell’ombra, ancora una volta senza guardie con il fiato sul collo, e osservo tutto ciò che ci circonda.
Lo spirito del villaggio è stato influenzato dalla presenza della mia delegazione e dall’imminente concilio: tutto parla di guerra, ormai.
I fabbri sono al lavoro sulle porte delle abitazioni, creando giochi di luci con le scintille del metallo incandescente, mentre affilano o forgiano nuove armi.
Vedo Indra, alle porte del villaggio, che istruisce e spiega a Octavia cosa sta succedendo, cosa l’aspetta e, forse, cosa ha permesso di arrivare fino a questo punto. Tutto quello che è stato fatto per ottenere questa coalizione.
Così quando la vedo irrigidirsi, al suono di un corno, indicando un punto davanti a sé, so già cosa sto per vedere.
La delegazione di Azgeda fa il suo ingresso nel villaggio, l’ambasciatore, a cavallo di un maestoso animale dal manto bianco, è il primo ad entrare, seguito dagli uomini a piedi che sostengono lo stendardo con il loro simbolo. Simbolo terribilmente familiare per me.
Cerco di non pensare che l’ultima volta che ho visto dei guerrieri della regione dei Ghiacci eravamo ancora in guerra, cerco di non pensare agli occhi di ghiaccio della loro regina che mi guardavano con disprezzo e divertimento quando ho accettato di inserirli nella coalizione nonostante il desiderio di vendicare Costia bruciasse nelle mie vene come fuoco ardente.
Scaccio questi pensieri dalla testa mentre sento il corno suonare ancora, annunciando l’arrivo di un’altra delegazione.
“Skycru” sento risuonare tra la popolazione del villaggio, e mi preparo ad affrontare quello che temo da quando ho organizzato questo concilio.
Dobbiamo affrontare i nostri doveri, Clarke, per quanto questi possano spaventarci.
Spero che tu sia pronta, perché io lo sono. Sono pronta a rivederti e a organizzare questa battaglia.
 
Ma lei non c’è.
È Marcus che varca i cancelli, salutando Indra e Octavia. Scambia qualche parola con loro e vedo il mio generale girarsi e indicarmi. Lui annuisce e comincia a venire verso di me.
Sospiro, mentre mi allontano dal muro che mi ha sostenuto fino ad ora.
Mi allontano anche dai miei pensieri, perché non sapere se provo più sollievo o più dispiacere nel non vederti qui, mi lascia una strana confusione.
E io odio la confusione.
Mi posiziono al centro della piazza, il posto che avrei dovuto occupare sin dal principio.
Marcus mi sorride, giungendo al mio fianco.
In ogni caso sono contenta che sia venuto lui, c’è una strana comprensione reciproca e rispetto tra noi.
“Comandante – mi saluta lui – Clarke si scusa per la sua assenza, la situazione a Mount Weather è un po’ tesa e ha preferito rimanere vicino alla radio per mantenersi in comunicazione.”
Io annuisco soltanto, i suoi amici hanno bisogno di lei.
“Dovrete accontentarvi di me” conclude l’uomo con un sorrisetto.
Io lo osservo divertita, prima di rispondergli nello stesso tono leggero.
“Lo faremo.” E lo vedo annuire.
Stiamo un po’ in silenzio mentre attendiamo che giunga l’ora del concilio, ed è lui il primo a parlare.
“Sai, Comandante, credo Clarke abbia apprezzato la presenza dei tuoi guerrieri nel nostro accampamento.”
Lo osservo e vedo che guarda un punto davanti a sé con l’ombra di un sorriso sul volto, come se stesse richiamando alla mente qualcosa che lo ha divertito.
Io lo guardo in modo interrogativo finchè non si gira verso di me e dopo aver osservato il mio sguardo scettico si spiega meglio.
“Diciamo solo che ha sfruttato la loro presenza al campo. Ha sperimentato il potere. – dice mimando delle virgolette in aria – è andata contro tutti e tutto pur di fare quello che voleva. Vederla guidare un gruppo di terrestri armati fino ai denti anche contro le guardie dell’arca e la sua stessa madre è stato un bel colpo.
Specialmente se penso che è la stessa bambina che sull’arca vedevo disegnare concentrata con le guance sporche di carboncino.”
Le sue parole mi stupiscono.
Non solo per il significato, ma anche per il tono che ha usato.
Soprattutto l’ultima frase, sussurrata come se fosse rivolta a se stesso e non a me, con uno sguardo triste che ha sostituito il sorriso divertito di prima, come se fosse un ricordo doloroso, ma per quello che è seguito. E nasce in me un po’ di curiosità sulle loro vite prima di arrivare sulla terra.
Ma non è questo il momento e non so neanche se arriverà mai.
“Cos’è successo con i miei uomini?” chiedo invece con tono indifferente.
Marcus si riscuote dai suoi pensieri e torna a guardarmi.
“Clarke ha deciso di liberare Emerson, l’uomo della montagna che avevano catturato e curato. Voleva mandare un messaggio a Mount Weather, per creare un diversivo e cercare di tenere l’attenzione lontana da Bellamy.” Mi spiega, e si ferma un istante prima di ricominciare.
“Non avrebbe parlato, in ogni caso, è un militare, era più che addestrato a non rispondere.”
Io annuisco, non contesto le decisioni di Clarke, e le ho lasciato alcuni uomini proprio per questo motivo.
“La missione di Bellamy continua, dunque?” chiedo io.
“A quanto pare sì. Clarke mi ha solo accennato che è aiutato da una ragazza che ha conosciuto i nostri. Questa è un’ottima notizia, ma qualcosa è cambiato, i nostri ragazzi sono ancor più in pericolo. Clarke è rimasta a Camp Jaha per questo motivo.” Conclude lui.
Io annuisco appena.
“È quasi ora. – dico io, dopo un po’ – almeno possiamo dire ai generali che l’infiltrato è vivo e in comunicazione. È già un ottimo risultato.”
Sento un po’ di trambusto in fondo alla via davanti a noi.
I miei sensi si acuiscono, finchè con un’espressione di sorpresa vedo proprio Clarke che si avvicina velocemente, con Octavia al suo fianco che la guarda confusa e Rider proprio dietro di loro.
La vedo avvicinarsi con passi lunghi e decisi e capisco che è successo qualcosa.
E qualcosa succede anche dentro di me, perché di nuovo non riesco a capire quale emozione prevale dentro di me.
Sono contenta e insieme angosciata nel vederla qui. Vorrei urlarle di tornare indietro, di non entrare nella stanza del concilio, ma allo stesso tempo sento le mie spalle rilassarsi man mano che si avvicina.
So che dovrei essere solo soddisfatta del fatto che potrà informare i generali e gli ambasciatori dei progressi del suo piano, e provo a concentrarmi solo su questo aspetto, facendo finta di non sentire nient’altro.
Ma le parole che sfuggono dalla mia bocca stupiscono anche me.
“Clarke del popolo del cielo ci ha onorato della sua presenza.”
Schernire non è segno di una mente forte.
Le mie stesse parole mi risuonano nella mente, ma le metto a tacere subito.
Anche perché la ragazza davanti a me è evidentemente concentrata su qualcosa di molto più importante.
“Perdona il ritardo, comandante.” Mi dice solo, guardandomi con occhi che vedo essere tormentati.
È Marcus a rispondere al mio posto.
“Sei arrivata in tempo, presumo che a Mount Weather stiano bene.”
Lei lo guarda e vedo il suo sguardo incupirsi ancora di più.
“Per ora – risponde secca, poi si gira verso di me – possiamo parlare in privato?”
C’è urgenza nelle sue parole.
La studio un istante.
“Sì – le rispondo – da questa parte.” E faccio strada.
Rider è dietro di noi, ma quando le faccio segno di entrare nell’edificio che ho occupato in questi giorni lei si ferma e lo guarda.
“Puoi andare, Rider – gli dice – grazie”
Ma il guerriero non si sposta, ma si rivolge a me. Io annuisco appena e il guerriero si volta.
“Entriamo” dico.
Dopo aver chiuso la porta alle nostre spalle mi volto a guardarla.
È tormentata e si appoggia con le braccia al tavolo al centro della stanza prendendo dei respiri profondi.
“Dimmi.” Le dico semplicemente.
Lei mi guarda e annuisce appena.
“Loro lo sanno.” Esordisce, e io la guardo in attesa che si spieghi.
Dopo un altro respiro profondo, come se fosse in conflitto con se stessa riprende.
“Bellamy è dentro, comunica con noi con una radio e poco fa ha sentito Kane, il presidente, e Emerson che discutevano. Sanno dell’incontro con i rappresentanti dei clan. Non so come sia possibile, probabilmente hanno informatori ovunque, lo sanno e stanno per attaccare. Con un missile.”
Aspetto che le parole assumano significato nella mia mente.
Quando ciò avviene sgrano gli occhi. Mi avvicino, fronteggiandola. Non posso permettermi di agitarmi
Quando arrivo esattamente davanti a lei parlo.
“Un missile? Sei sicura?” Chiedo sperando vanamente che la risposta sia un no.
Ma ovviamente non è così.
“Sì – mi risponde subito, con il panico nello sguardo – dobbiamo iniziare l’evacuazione, ora.”
Contengo lo sconforto. Vorrei davvero poter annuire, uscire, cominciare a dare ordini a tutti per andare il più lontano e il più velocemente via da qui. Mettere in salvo tutte le famiglie che ho conosciuto in questi giorni, tutti i guerrieri che si preparano a combattere. Ma non posso.
“No.” Dico guardandola seriamente.
Lei è sconvolta, ma riesco a vedere nel profondo dei suoi occhi che se lo aspettava, ma continua come se non potesse permettersi di pensare a questa possibilità.
“Che vuol dire no, Lexa?”
Lo sai benissimo, ma hai bisogno di sentirlo dire ad alta voce. Così lo faccio.
“Se ce ne andiamo tutti capiranno che c’è una spia tra loro.” Sentenzio.
Ma tu non vuoi arrenderti all’evidenza, eppure io riesco a vedere la consapevolezza che si cela dietro ai tuoi occhi. E so che la maggior parte della disperazione che provi è proprio causata dal fatto che sai già qual è la cosa migliore da fare.
“Non necessariamente.”
E vorrei crederti, vorrei davvero.
“Non possiamo rischiare” dico, invece.
E mi volto. Devo rimanere lucida.
Ma lei mi viene dietro e continua imperterrita.
“A che serve avere un infiltrato se non possiamo agire in base a quello che ci dice?”
Devo riportarla alla realtà, e lo faccio usando il tono più duro che riesco a trovare.
“La nebbia acida è stata disattivata? Il nostro esercito liberato?” incalzo e non distolgo gli occhi dai suoi, fino a quando la vedo abbassare lo sguardo e scuotere millimetricamente il capo.
“Allora il compito di Bellamy non è finito.  Senza di lui non possiamo vincere questa guerra.”
Lei lo sa, lo sa benissimo, ho quasi ripetuto le stesse parole che ha usato lei per convincere me e i miei uomini.
Lei ha creduto e portato avanti questo piano per prima.
Lei sa che ho ragione.
Ma non vuole pensare alle conseguenze.
“E quindi che stai dicendo? Di non fare niente? Di lasciarci bombardare?”
Io distolgo lo sguardo e mi sposto verso il tavolo.
Cerco di pensare a come possono essere limitati i danni.
Morirà tanta gente, ma forse potremo ancora vincere la guerra.
L’esercito non è a TonDC, e mi si stringe il cuore al pensiero che quelli che pagheranno le conseguenze delle mie scelte saranno innocenti, per la maggior parte. Le famiglie che vivono nel villaggio, i bambini che ho visto in questi giorni.
“Ci sarà un’esplosione – dico scacciando queste immagini – l’esercito sarà al sicuro nella foresta, e questo li ispirerà.”
Ed è tremendamente vero. Posso già immaginare la rabbia che proveranno i miei uomini, la sto provando io stessa in questo momento.
Mi aspetto che ribatta qualcosa, che mi dia del mostro, della selvaggia.
Invece quando mi si avvicina mi stupisce di nuovo.
“E non pensi a noi?” quasi sussurra.
Ci penso, e c’è solo una cosa che possiamo fare.
Vorrei non doverlo dire, ma non posso.
“Noi andiamo via. Adesso.” E mi volto a guardarla.
Mi odio perché sto scappando. Mi odio perché sto condannando a morte la mia gente, consapevolmente.
Vorrei per lo meno poter condividere questo destino con loro, ma se morissi qui, adesso, tutto finirebbe e nulla di ciò che è stato fatto avrebbe un senso. Perderemmo l’occasione di liberarci definitivamente di coloro che sono stati una piaga per il mio popolo da decenni.
Se rimanessimo qui anche Clarke pagherebbe con la sua stessa vita.
Clarke, che ora è rimasta congelata al suo posto, senza più aprir bocca.
Io, invece, comincio a muovermi.
Abbiamo i minuti contati. Afferro dei copricapi posti sulla sedia della mia stanza.
Gliene porgo uno.
“Metti questo” le dico mentre mi sposto verso l’uscita secondaria.
E lei finalmente si sblocca, mi raggiunge.
“Aspetta Lexa, forse non hai capito. – ci riprova, perché non riesce a rassegnarsi all’idea che tante vite umane siano spezzate. Vorrei poterlo fare anche io. – Io ho provocato Mount Weather, ho mandato un messaggio per distrarli da Bellamy.” E lo sento il sentimento di colpa che sta provando.
Ma non è questo il momento. Siamo in guerra, il senso di colpa non porta da nessuna parte.
“A volte devi perdere una battaglia per vincere una guerra.” Dico ferma.
Capisci, Clarke, per favore. Non abbiamo scelta.
“No! – esclama invece lei, il tono venato di disperazione – Possiamo informare i leader di ogni clan, scegliere un punto di incontro nella foresta. Ciascuno può andare via separatamente.”
La guardo, la capisco. Ma non posso.
“E quante persone avvertiranno? Qual è il limite Clarke?”
La sto portando al punto di rottura.
“Allora annulla l’incontro! Accendi un fuoco. Fa qualcosa!”
Urla sul finale, e so di averla delusa perché è venuta da me chiedendomi di evitare l’inevitabile.
Di trovare una soluzione che non può essere trovata.
Di non condannare a morte un intero villaggio a causa della nostra presenza qui.
E io non posso fare niente di tutto questo.
Mi volto di nuovo.
“Non abbiamo tempo per questo.” Dico camminando verso l’uscita.
“No!” urla di nuovo lei, si avvicina e questa volta mi afferra il braccio.
Mi fa ruotare violentemente, incatena il suo sguardo al mio.
Non ricordo quand’è stata l’ultima volta che qualcuno mi ha tenuto testa in questo modo, che qualcuno abbia cercato di dissuadermi dalle mie decisioni con questa veemenza.
“È sbagliato.” Dice convinta.
E so che dirlo le serve per capire che non ha voluto lei questa situazione, che non vuole abbandonare queste persone. Che non vuole farsene una ragione.
Potrà anche essere sbagliato. Ma è la guerra.
Così mi avvicino anche io, perché ho bisogno che capisca.
Puoi continuare a sostenere la tua posizione testardamente, Clarke. So che ti fa stare meglio, credere di poterti opporre. Ripetere che stiamo facendo un errore. Ma in questo modo costringi me a prendere questa decisione.
Se tu continui a dire no, sta a me dire sì. Perché sappiamo entrambe che non abbiamo altra scelta.
Ma posso farlo. Posso farmi carico io di questa decisione, puoi continuare a mentire a te stessa, potrai dire che sono stata io, se questo ti aiuta.
Ma, nel profondo, tu sai anche meglio di me qual è la verità. 
“Ed è anche la nostra unica scelta, e tu lo sai bene – le dico dura, scandendo ogni singola parola – potevi avvisare tutti lì, ma non l’hai fatto. Non hai detto niente, nemmeno ai tuoi amici.”
La vedo abbassare lo sguardo, la consapevolezza farsi sempre più strada dentro lei.
Addolcisco il tono e torna a guardarmi.
“Questa è una guerra, la gente muore. Hai mostrato vera forza oggi. Non lasciarti fermare dalle emozioni.”
Chiude gli occhi, come se stesse lottando contro se stessa per accettare le mie parole.
Quando li riapre capisco che è pronta.
“È ora di andare.” Dico e la precedo fuori, salendo le scale.
Percepisco che non si è ancora mossa e trattengo il fiato mentre avanzo imperterrita.
Cerco di non pensare a cosa dovrei fare se decidesse di rimanere dentro e condividere il destino di morte delle persone del villaggio. Cerco di mantenere la calma, finchè non sento dei passi dietro di me e lascio fuoriuscire l’aria che ho trattenuto.
La aspetto e la guardo, cercando di trasmettere una forza e una convinzione che fingo di avere.
Annuisco appena, prima di aprire la porta e camminare a passo svelto verso il bosco dall’altra parte della strada.
Nessuno ci nota, mentre sistemiamo la stoffa in modo che copra i nostri volti.
Ci immergiamo nel bosco e camminiamo.
Mi chiedo se farle sapere che neanche io prendo questa decisione a cuor leggero possa farla stare meglio.
Vorrei dirle che se potessi avviserei tutti, urlerei a loro di scappare lontano da qui, lontano da me.
Eppure non posso farlo, e non posso nemmeno dirglielo perché temo che tornerebbe indietro.
E io credo che la seguirei.
Così cammino silenziosa e velocemente nel bosco, con lei pochi passi dietro di me.
So cosa sta pensando, ma non possiamo farci nulla. Dobbiamo farcene una ragione.
Il sole cala  e il bosco si fa sempre più buio.
Le luci del fuoco brillano nel villaggio, dove risuonano parole, voci, vita.
E io so che non rimarrà nulla di tutto questo.
Sembra che i suoi pensieri siano in linea con i miei perché sento che si ferma di nuovo lanciando uno sguardo disperato verso il villaggio.
Sospiro.
“Non possiamo fermarci, non siamo abbastanza lontano.”
Non so se quello che sto dicendo è vero, si sanno solo leggende riguardo ai missili di Mount Weather e io sono cresciuta con questi racconti, mi sono stati raccontati sin da quando ero una bambina e non posso fare a meno di esserne spaventata.
“L’ultima volta che hanno usato un missile è stato prima che nascessi. Secondo la leggenda ha lasciato un buco nella foresta di cui non si vedeva la fine. Dobbiamo andare.” Le dico con urgenza.
Ma lei rimane ferma.
“E se mancassero il bersaglio?” dice.
“Tu non stai ascoltando – la interrompo – con un’arma del genere non puoi mancarlo.”
“Sì che puoi – dice convinta – li ho sentiti parlare di uno spotter, qualcuno che stava puntando il missile. Se riuscissimo a trovarlo –“
Si ferma, sgrana gli occhi paralizzata dal terrore.
Un “no” strozzato esce dalla sua bocca. “Cosa ci fa qui?”
Seguo il suo sguardo e incontro la figura di sua madre che cammina per le vie di TonDC.
So che l’ho persa.
“Clarke, non puoi tornare indietro.” Dico, ma senza convinzione.
So che lo farà. Ormai lo conosco. Forse lo farei anche io.
Ma io sono il comandante, non posso pensare alle emozioni.
Si allontana da me, avvicinandosi al villaggio.
“Clarke.” Provo a richiamarla, ma ormai è lontana.
Rimango al limitare del bosco mentre la osservo avvicinarsi al villaggio e afferrare sua madre.
Sono completamente paralizzata.
Il mio dovere mi spinge a muovermi ancora più lontano, a voltare le spalle al villaggio e a tutti i suoi abitanti. Alla mia gente. E a Clarke. Di sacrificarli in vista di un obiettivo più grande.
Mentre ogni fibra del mio corpo mi urla di correre nella direzione opposta, di gridare a tutti di scappare, di implorare Clarke di tornare nel bosco e mettersi in salvo.
Così non muovo un muscolo, tirata in egual misura in due direzioni diverse.
Vedo Clarke convincere sua madre a seguirla mentre penso che ormai sia troppo tardi, siamo troppo vicini.
Sento il rumore, prima di vedere la scia luminosa nel cielo.
Chiudo gli occhi ma poi mi sento una vigliacca.
Li riapro. Non posso far finta di non vedere ciò a cui ho condannato il mio popolo.
Devo accettare la mia decisione e rendere onore a tutta questa gente, affrontando questa situazione ad occhi aperti.
Così mi volto verso il villaggio e mi sforzo di non chiuderli neanche quando l’esplosione arriva, terribile.
Sono ancora aperti quando il boato mi arriva alle orecchie, quando la luce del fuoco illumina la scena e quando l’onda d’urto mi solleva letteralmente scagliandomi indietro nel sottobosco.
Il fischio che sento nelle mie orecchie non copre le urla e i lamenti che si sono alzati immediatamente.
Lascio che le grida di dolore penetrino nel mio corpo, con la consapevolezza che ne sono io la causa.
Chiudo gli occhi e sento distintamente una parte di me che si sgretola sotto tutto questo dolore.

 
°°°
 
Clarke
 
Hai superato il limite, hai le mani sporche del loro sangue e anche se vinceremo ho paura che non potrai lavarlo via stavolta.
Le parole di mia madre mi rimbombano nella testa mentre lascio che tutto quello che vedo mi colpisca nel profondo creando in me la consapevolezza che sono stata io la causa di tutto questo.
La sento crescere, la lascio crescere e divorarmi all’interno.
Non importa il fatto che abbia cercato di dissuadere Lexa, che abbia cercato delle alternative.
Lei ha saputo guardare in faccia la realtà. Lei lo sapeva, e lo sapevo anche io.
Così ora guardo il villaggio in fiamme, con il vuoto nel cuore.

 
 
 
NOTES:
Sono un po’ in ritardo, scusate.
Anche questo capitolo non mi entusiasma, l’ho riletto più volte e modificato, e mi piaceva sempre meno, così ho deciso di pubblicarlo così e mettermi l’anima in pace.
Spero che non sia troppo banale e scontato, specialmente la parte del sogno di Lexa.
Sono disponibile per qualsiasi critica!
Ringrazio chi legge e le ragazze che hanno recensito gli scorsi capitoli.. Grazie davvero di cuore.
A presto, spero,
Ilaria

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