HORIZON Chronicles - Our World

di Oppa_Redz
(/viewuser.php?uid=807069)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Alexis ***
Capitolo 3: *** Noah ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


HORIZON- OUR WORLD

 
PROLOGO

Non so se abbiate mai provato la spiacevole sensazione di non contare niente per le persone che dovrebbero amarvi. Che le vostre passioni, le vostre opinioni e il vostro stesso carattere siano messi continuamente in discussione e schiacciati dai vostri stessi familiari. Che per voi la vera famiglia sia una banda di ragazzi più grandi, alla quale dovete tutto perché vi hanno trattati come un fratello, esattamente come desideravate. Che vi hanno insegnato tutto quello che volevate ma non potevate imparare normalmente. Perché è grazie a loro che voi siete quello che siete ora. E per quanto voi abbiate degli amici, loro rimarranno sempre le prime persone da cui correreste se aveste bisogno. I vostri fratelli, quelli simili e diversi che vi capiscono meglio dei vostri stessi genitori.

Io sì. Sono Alex, 14 anni e questa è la mia storia.






Angolino disagiato della Tarma

Ok allora...è la mia prima storia originale e la mia prima long che mi ispira abbastanza da non lasciarla lì senza farci niente come le altre...quindi lo so che sto coso non è convincente, non convince neanche me *che novità* quindi siete libere di lanciarmi oggettistica varia oppure dare una possibilità a questa idea che mi frulla in testa da troppo e che non so come si evolverà...
Le recensioni, anche per dire che farei meglio a mettere questa storia in una scatola e lanciarla nel fiume, sono sempre gradite!
(e ormai le note sono diventate lunghe come il testo quindi addio)

La Redz

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Alexis ***




«Lee!».
Chi cazzo mi chiama per cognome.

«Signorina Lee!».
Chi cazzo mi chiama signorina.

«SIGNORINA LEE!»
Ma allora vuole morire.

La ragazza alzò di scatto la testa rossiccia per puntare gli occhi bicromi incazzatissimi in quelli piccoli e di “color asparago” – l’illuminazione era venuta a Noah – della professoressa di filosofia. Tutti sapevano che Alexis odiava il suo cognome ed era per questo che la Blanchet lo utilizzava sempre.

«La ringrazio per averci degnati della sua attenzione signorina, saprebbe dirmi di che cosa stavo parlando?» domandò calcando bene il 'signorina', altra cosa che non sopportava.

«Non deve essere una cosa molto importante se deve chiedere a me di ricordargliela...oppure la memoria la sta abbandonando, prof?» rispose lei ghignando, un lampo di pura sfida negli occhi particolari.

La donna si girò e tornò a passo di carica alla cattedra mentre lei riappoggiava la testa sul banco ignorando la sua compagna di banco che borbottava infastidita.
Amy non era affatto una secchiona, anzi, ma non sopportava che qualcuno non seguisse le regole perché le portava via la scena. Capelli biondi e vestitini striminziti, Amy era una delle troie più brave, a sentir dire i ragazzi, e Alexis ci credeva. Di sicuro non era stata una buona idea metterle in banco insieme, ma d’altronde la prof aveva sviluppato una particolare predilezione per infastidirle anche se solo su cose facilmente giustificabili come motivazioni di insegnamento o di ordine in classe. Il motivo? Semplice, per paura dei loro padri, due importanti avvocati, nessuno le puniva, cosa che se ad Amy faceva comodo, Alexis non sopportava.

La prof aprì il registro e Jason si sporse dal primo banco per controllare se scriveva. Jason giocava nella sua stessa squadra di basket e siccome era finito davanti aveva sfruttato la sua altezza per informare i compagni di quello che scrivevano o non scrivevano i prof, o per copiare dai libri aperti sulla cattedra. Dopo aver constatato che come al solito il registro rimaneva bianco si girò verso di lei e le fece il pollice in su ricevendo un occhiata annoiata dalla ragazza che mal sopportava l’impunità.

Insomma, era anche utile ogni tanto ma lei non voleva passare completamente immacolata come tutto il resto della famiglia. Ok magari non andare in prigione ma delle note sarebbero bastate per mandare in cortocircuito la sua famiglia che aveva fama di essere perfetta. Vestiti sempre con abiti di marca, impeccabili, usciti con i migliori voti dalle scuole, per tradizione gli uomini erano tutti avvocati o dottori e le donne facevano beneficenza e si ritrovavano con le loro amiche ogni giorno, parlando senza mai stufarsi di quanto i loro figli fossero stati bravi a fare quello, di quanto si fossero distinti in quell’altra cosa. Alexis odiava la propria famiglia. Per questo si faceva chiamare Alex e poteva arrivare alle mani se qualcuno la chiamava per cognome senza avere una buona ragione.
L’unico che si salvava dall’odio di Alexis era suo fratello. Elia per quanto fosse stato fedele alle regole non scritte di quella famiglia non l’aveva mai etichettata come quella che rovinava il prestigio della famiglia, l’aveva addirittura incoraggiata a fare quello che voleva, senza fare cavolate, ma non era molto presente visto che si era trasferito in un’altra città.

Stava per riappoggiare la testa sul banco, ultima fila ovviamente, quando un bigliettino la colpì in piena faccia. Si girò con una faccia a metà tra l’insofferente e il divertito verso destra mimando a Noah un “Non ero nemmeno ad occhi aperti!” che il biondo cassò con un ghigno per poi farle segno di leggere e girarsi verso la prof che aveva ripreso a spiegare Dio solo sapeva cosa.
Spostò lo sguardo sul foglio appallottolato e lo aprì, tirando una gomitata ad Amy che si era sporta per sbirciare, per poi esibire un’espressione terrorizzata.

Non è che aiuteresti il portiere, attaccante?

Quando Noah chiedeva aiuto lei ci rimetteva sempre qualcosa, la maggior parte delle volte il tempo o il divertimento.




ANGOLINO DELLA TARMA DISAGIATA
ok allora, grazie a chi ha letto fino a qua, a chi ha recensito o messo tra le preferite/seguite lo scorso cap...coso (che poi sono solo tre persone ma noi facciamo finta di essere pro e di non far cag...pena) e boh io mi dileguo

La Redz

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Noah ***




Alexis ne aveva fatte di cazzate in vita sua, dal fare scattare gli allarmi della scuola per saltare vari compiti in classe allo scatenare una rissa o allo scappare di casa a notte fonda per allenarsi.
Ma questa era davvero troppo. Insomma, un conto era picchiare la gente per un buon motivo – buono per lei ovviamente -, un conto era terrorizzare un povero gioielliere per farsi dare una collana gratis. Che poi manco Noah fosse stato un povero senzatetto a cui servivano soldi per mangiare. No, lui voleva soltanto farsi notare da Page Peterson – che secondo il suo modesto parere non era chissà quale bellezza – e ovviamente, siccome non aveva mai fatto niente di simile aveva chiesto il suo aiuto. Che poi lei non ci vedeva niente di eroico nel rapinare qualcuno, specialmente aiutato da una ragazza.
Per questo era mezz’ora che il ragazzo cercava inutilmente di convincerla a fare un’opera di carità per un suo povero amico in difficoltà e che se proprio non voleva farlo per quello, che almeno lo facesse per non rovinare l’onore da criminale che si era costruita negli anni, onore che, ammesso si potesse chiamare così, non aveva mai avuto.
Ed era mezz’ora che la rossa era stravaccata sul divano a giocare col primo giochino idiota che aveva trovato sul telefono cercando di ignorare il ragazzo che, gesticolando, continuava a misurare a grandi passi il salotto. Quando per l’ennesima volta quel cosino idiota cadde nel vuoto si decise a guardarlo. Non si poteva affatto dire che Noah fosse brutto. Al massimo i capelli arcobaleno potevano farlo sembrare pazzo, ma gli occhi nocciola e il fisico asciutto ma muscoloso grazie al calcio lo rendevano davvero un bel ragazzo. Peccato che lui nello specchio vedesse uno sgorbio e che né lei né Joshua, il suo gemello, riuscissero a fargli capire che se pensava che Joshua fosse bello, allora per forza doveva pensare lo stesso di sé visto che a parte i capelli erano identici.

Alla fine, all’ennesimo “eddai, che vuoi che sia”, si tirò su e lo fissò, improvvisamente seria facendolo bloccare sul posto.
«Che vuoi che sia?» sbottò alzandosi e piazzandoglisi a una certa distanza per non doverlo guardare dal basso verso l’alto. «Sentilo, e se ci beccano? E se quella si pavoneggia e va a spifferare tutto? Così magari ci facciamo una bella vacanza in prigione? Noah, rubare non è una cosa da niente. E poi perché? Per fare colpo su…su quella? Ma torna in te, cazzo!» e non aveva resistito al tirargli un ceffone.
Conosceva Noah da quando erano bambini e lui era quello onesto e gentile dei due. Per questo Alexis non tollerava quando cercava di imitare gli altri, soprattutto in male. E sapeva anche che l’unico modo per fargli cadere i castelli in aria era sbattergli in faccia la realtà. Anche se le dispiaceva ogni volta vedere quegli occhi castani intristirsi.
Il ragazzo la fissava scioccato con un’espressione da cane bastonato in volto e gli occhi lucidi, non ci era mica andata piano con la forza anche se aveva cercato di trattenersi. Per lo meno il ragazzo sembrava aver capito il messaggio perché mormorò uno “scusa sono un idiota” fissandosi le scarpe e guadagnandosi un - raro - abbraccio dall’amica.
«Sì, sei un fottuto gallo idiota che non capisce che non gli serve una collana rubata per far colpo sull’ennesima gallina che ha puntato» rispose lei, facendogli abbozzare un sorriso.
«Sempre gentilissima tu, eh?» domandò, gli occhi che riprendevano la solita vivacità.
«Sempre» ghignò lei. «E adesso tu ti togli quegli assurdi cosi con i teletubbies che ti ostini a chiamare pantofole e andiamo in gelateria, che ho voglia di gelato».

˥˦˧˨˩ ˥˦˧˨˩ ˥˦˧˨˩ ˥˦˧˨˩ ˥˦˧˨˩

Aveva corso per mezza città andando addosso ad almeno ventisette persone per arrivare al magazzino in tempo per non dover perdere mezz’ora a tranquillizzare Ian, che già dopo un minuto di ritardo la dava dispersa e sepolta nel deserto da sette mai sentite, per poi spalancare la porta nera, scendere di corsa le scale rischiando di rompersi l’osso del collo un paio di volte, aprire la porta a vetri e…non trovare nessuno? C'era sempre qualcuno nei paraggi se non chiudevano.
Cauta appoggiò lo zaino nero pieno di scritte in un angolo e proseguì lungo il corridoio in punta di piedi.
Era a mala pena arrivata all’altezza della prima sala prove che un urlo – o meglio, una sottospecie di riproduzione acuta del verso della cornacchia – risuonò nell’aria, seguito da un borbottio indefinito.
Abbozzò un sorriso, tranquillizzata: avrebbe riconosciuto tra mille gli urli da donna mestruata di Ian. Ora doveva solo capire che caspio di idea era venuta in mente ai pazzi con cui era cresciuta.



ANGOLINO DELLA TARMA DISAGIATA
Hem...*coff* duunque...grazie a chi è arrivato in fondo a...a questo e non si è spaventato prima. Dico solo che non ho idea di quello che ho scritto e che siccome il mal di testa mi sta uccidendo non ho nemmeno ricontrollato, quindi chiedo scusa per eventuali errori terificanti.
Grazie a chi legge, chi segue e/o recensisce questa cosina e non mi ha piantata in asso per l'assenza di aggiornamenti...giuro, non è colpa mia, sono l'ispirazione e il mio computer che si divertono a mollarmi per strada...(?)
Se vi va potete anche lasciarmi una recensione, anche per lanciarmi carciofini, pioppi o rane...o sennò potete anche non farlo.
Ciaooooo

La Redz
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3255496