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di FreienFall
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Save me with Your Love Tonight ***
Capitolo 2: *** Komm und Rette mich ***
Capitolo 3: *** No turning Back ***
Capitolo 4: *** Komm, wir lassen alles hinter uns und fliegen durch die Zeit. ***
Capitolo 5: *** Never Forget ***
Capitolo 6: *** Doch irgendwie Schlagen uns die Herzen durch die Nacht. ***
Capitolo 7: *** It hurts so. I'm screamin' on the top of the world, but I don't think I can be heard by you. ***
Capitolo 8: *** Die Welt hält für dich an, hier in meinem Arm ***



Capitolo 1
*** Save me with Your Love Tonight ***


 Era una notte come tante nei sobborghi della Berlino di inizio dicembre, dalla finestra della mia stanza vedevo la neve riflettere la poca luce lunare donando alla strada orizzontale sotto casa mia un aspetto fiabesco, di tanto in tanto un lampione e qualche graffito che con i colori accesi faceva ricordare di non essere in una fiaba. L’orologio sulla scrivania segnava le due passate, la bambina si era addormentata da poco; mi era incomprensibile quanto il frutto di quell’unione così sbagliata fosse la miglior cosa della mia vita, fosse la salvezza dal mio supplizio. Per quanto quella bambina fosse l’esatta copia del padre e per quanto mi distruggesse ricordarelui, quella bambina era la motivazione per cui ancora non ero finita distrutta dal mio inferno.

Una piccola lampada sul comò emanava una fioca luce giallastra che disegnava strane ombre sulle pareti, nella stanza nient’altro che un letto matrimoniale e una cassettiera. Ero stanca morta quella sera, la bambina mi aveva fatto impazzire e quando finalmente era crollata io non avevo trovato la forza di ordinare casa, ero rimasta lì, sdraiata sul letto accanto a lei, con gli occhi chiusi, le membra abbandonate sopraffatte dalla stanchezza.

l suo ricordo prese, come ogni sera, possesso della mia mente, la sua bellezza sovrumana, i suoi occhi color nocciola, di quel disegno che ha trasmesso a mia figlia, quello sguardo intenso, quel sorriso dolce un po’ furbetto che quella neonata riproduceva così perfettamente e quella voce calda. Subito dopo giunse il ricordo della fine del paradiso, che era rappresentato da null’altro che lui, e l’inizio di una crescita celere con l’immediato abbandono della vita di una diciottenne ancora liceale a quella di una donna adulta.

Aprii gli occhi, la bambina dormiva a pancia in giù, esattamente come l’avevo lasciata, i pugnetti chiusi all’altezza del viso, il pigiamino bianco con delle decorazioni azzurro cielo coperto da una trapunta color arancio. Il suo viso beato, il respiro leggero e silenzioso ricordavano proprio lui. Mi alzai dal letto facendo attenzione a non fare rumore e andai a prepararmi un thè caldo. Mi sedetti al tavolo della cucina e mi strinsi nella felpa, sorseggiando cautamente il thè bollente, tendendo l’orecchio nel caso la bambina si svegliasse.

Sul frigo una foto, un ragazzo e una ragazza che si baciano, non avevo neanche bisogno di mettere gli occhiali, anche il più piccolo particolare era inciso nella mia mente, quella ragazza ero io nel momento paradisiaco della mia vita, l’espressione del mio viso esprimeva a pieno quanto la mia vita fosse perfetta, e il ragazzo, vent’anni chitarrista di una famosa band tedesca, era l’uomo che amavo, che amo ancora. Ricostruii la foto nella mia mente: lui, i capelli neri intrecciati in innumerevoli treccine che ricadevano appena sulle spalle, una maglia oversize stile hip-hop, gli occhi chiusi, il viso era visibile solo a metà, un punto luminoso sul labbro inferiore spiccava su tutta la foto poiché rifletteva la luce rossastra dell’alba, una mano immersa tra i capelli mossi e castani, l’altra poggiata sulla schiena, un braccio, il mio, gli cingeva una spalla con la mano appoggiata sul collo sotto le treccine.

Amavo quella foto, la portavo sempre con me finché…

Tutto è cominciato circa un anno fa quando dopo un concerto dei Tokio Hotel fui invitata dal chitarrista all’hotel dove alloggiava per quella notte. A me sembrava un sogno realizzato, la cosa più bella che potessi desiderare, quell’uomo era il mio sogno da anni e finalmente avrei potuto averlo per me e solo per me. Quella notte, in quella camera d’albergo conobbi l’uomo che ancora a malincuore amo. Facemmo l’amore tutta la notte, la sensazione del suo corpo sul mio e del mio sul suo, le sue mani sul mio viso, sui miei fianchi, il suo sguardo su di me e solo su di me, le sue labbra spinte sulle mie, poi sul collo, e fino al ventre, e ancora la sua lingua, il suo piercing e il suo respiro affannato erano le cose migliori del mondo, non avrei potuto desiderare nient’altro, volevo soltanto che non finisse mai. Mi svegliai all’alba, prima di lui, per evitare di trovare il solito biglietto che lasciava a tutte, qualcosa simile a “Mi sono divertito. Tom”, odiavo l’idea di poter subire un’umiliazione simile e per quanto mi devastasse il fatto che il sogno, a dispetto delle mie speranze, fosse già finito, sapevo che mi avrebbe maggiormente annientata non trovarlo di fianco a me. Non gli lasciai il numero di telefono, né la mail, sapevo che non mi avrebbe cercata, lasciai solo un biglietto con scritto: “Chiara, non provare a dimenticarlo”. Ero convinta che quella fosse stata la mia possibilità e che non ne avrei avute altre. La mia vita continuava tra amici, scuola e qualche problema adolescenziale, non avrei mai pensato che sarebbe potuto succedere quello che alla fine successe.

Dalla finestra della mia camera a casa dei miei, lo immaginavo di continuo scendere dalla sua Audi R8, scavalcare la siepe e attraversare il giardino correndo per venire da me. Nonostante sapessi che non potesse accadere, la mia mente continuava a proiettarlo nella realtà di tutti i giorni: lo vedevo nei bar del centro, aspettarmi tra la folla fuori scuola e via così, le notti mi veniva a trovare nei sogni e sentivo la sensazione delle sue labbra e il loro sapore. Lo vedevo guardarmi e con un sorriso pieno e dolce sussurrarmi di non essersi dimenticato di me. Sentivo la sua assenza pesare come un macigno, la sua lontananza creare un vuoto incolmabile, ma non lo amavo, mi rifiutavo di crederlo in ogni caso. Accettare il fatto che io lo amassi era come arrendersi e di conseguenza affrontare una lunga sofferenza, causata dalle varie problematiche che ci dividevano, a cominciare dal fatto che già si fosse dimenticato di me, di quella sera e di quel biglietto, fino ad arrivare alla lontananza per i suoi motivi di lavoro, al fatto che fossi ancora minorenne; perciò avevo preferito autoconvincermi di non provare nulla e che fosse solo un po’ di nostalgia di quella sera meravigliosa; ma ormai il mio stesso corpo si rifiutava di stare senza di lui e andando contro ogni tipo di buon senso decisi di partecipare a un altro concerto, a Roma in Italia. L’Italia mi piaceva molto e Roma era forse la più bella città che avessi mai visto, amavo viaggiare e di città ne avevo viste molte. Fortunatamente i miei genitori non erano quel genere di genitori morbosamente attaccati ai figli, anzi l’idea che trascorressi meno tempo a casa li rallegrava. Non avevo mai avuto un buon rapporto con loro, non era qualcosa di particolare, solo un problema di incompatibilità caratteriale, io sono sempre stata una ragazza con le sue idee salde e irremovibili, che ama confrontarsi con le altre persone per far valere la sua idea, facilmente irascibile, molto lunatica e particolarmente disordinata, tutte cose che andavano facilmente scontrandosi con le idee dei miei, che erano esattamente l’opposto e in aggiunta avevano un particolare e fondato amore per l’autorità genitoriale e il suo rispetto, cosa di cui io non mi interessavo minimamente. Il fatto che viaggiassi, prendessi aerei non li turbava affatto, il patto era che mi pagassi tutto da sola e che non perdessi troppi giorni di scuola. Guadagnarmi i soldi non era facile, giustamente erano pochi quelli che assumevano una ragazza minorenne, perciò lavoravo sodo, dando ripetizioni di tutte le materie del liceo classico, quello che frequentavo, facendo la baby sitter, la dog sitter, qualsiasi cosa pur di racimolare una somma degna di tale nome.

Durante il concerto Tom rivolse lo sguardo tra le file del parterre, scorrendo a uno a uno i visi delle ragazze in delirio. Continuava esaminarle instancabile e io seguivo in trans ogni spostamento del suo sguardo. Mi distrassi un attimo a seguire la canzone che Bill cantava con foga e quando tornai a lui, il suo sguardo era posato su di me, rimase immobile per un attimo, credetti che avesse dimenticato le note della canzone, l’attimo dopo aveva già ripreso a suonare, lo sguardo ancora su di me, sul viso dipinta un’espressione che non compresi, continuammo a guardarci dritto negli occhi per altri interminabili, meravigliosi secondi fin quando, senza preavviso, non abbassò lo sguardo ornando il suo viso di quel sorriso dolce e imbarazzato che faceva perdere un colpo al mio cuore e tornò con la mente alla sua canzone.

Finito il concerto uscii di fretta dal palazzetto e andai a sedermi su una scalinata che dava su una strada a tre corsie a fumarmi una sigaretta. Opposto alla strada vedevo uno spicchio di Palalottomatica e un cancello che dava al parcheggio interno. A terra una scritta con colori sgargianti “Willkommen im Rome” circondata da cuori e con in basso il simbolo dei Tokio Hotel, sorrisi già di nostalgia, quei concerti erano come l’ossigeno per me e vivere senza era come non respirare. Il dolce sapore del tabacco mi rapì completamente, fissavo la luce del lampione poco distante da me che stava lungo la stradina che collegava il cancello all’uscita, persa nei miei pensieri, d’un tratto mi giunse all’orecchio qualcosa di simile a un fruscio, forse qualcuno che parlava sottovoce, mi guardai intorno senza trovare nulla, così tornai alla mia sigaretta. Ormai girava poca gente a piedi, erano tutti già in auto, pronti per tornare a casa, i lampioni attorno al Palalottomatica erano spenti rimanevano solo quelli al di fuori della recinzione, quelli che davano sulle strade. –Chiara, Chiara!- Ancora una volta un sussurro, mi girai di scatto, possibile che sia così fuori di testa daimmaginare la sua voce? Lo vidi, immerso nell’ombra, cercava di essere meno riconoscibile possibile, non ebbi incertezze né dubbi, era di certo lui, anche se non indossando gli occhiali da vista vedessi veramente poco; mi fece cenno di raggiungerlo –Hey- mi disse –Allora come va?- Con tutte le volte che lo avevo immaginato non riuscivo a capire se fosse sogno o realtà, la mia istintività fece tutto da sola –Bene- feci, -Che fai sta sera?- Che domanda stupida come sarebbe cosa avrei fatto quella sera!? Alla fine pensai che fosse una domanda come tante altre, giusto per fare due chiacchiere. Rimaneva ancora l’interrogativo sul senso di quella conversazione, ma decisi che non importava tanto era tutto frutto della mia mente ormai del tutto fusa -Niente, andrò a dormire in un hotel non tanto lontano da qui e poi domani torno a casa- risposi con tranquillità, d’un tratto esordì -Vieni con me?- rimasi un attimo interdetta sul significato che potesse avere quella proposta, a dire il vero un po’ strana. Lui andava spesso a letto con le fans ma mai due volte con la stessa! Forse ero io che mi stavo facendo troppi film mentali, ma esclusa la possibilità di una proposta di carattere sessuale, esclusa la possibilità che stesse scherzando, data la sua espressione seria e in attesa di una risposta pertinente, che cosa rimaneva?

Di nuovo il mio essere impulsiva interruppe il ciclo di pensieri –Dove andiamo?- scoppiò in una risata allegra e il suo sorriso mi portò in paradiso, si interruppe –Dove vuoi!- Lo guardai interrogativa e poi scoppiammo a ridere insieme. –Allora vieni?- -Solo se mi porti in cima al mondo- mi porse la mano e lo seguii nella sua Audi. Dopo parecchia strada fermò la macchina e scese. Era molto buio e non avevo idea di dove mi trovavo. –Tom ma dove..?-mi trascinava con passo veloce, poi si fermò e si girò vero di me-In cima al mondo?– lo guardai perplessa, in lontananza delle luci. Riprese a camminare ancora più velocemente, più avanzavamo più le luci si facevano vicine e forti, non c’ero mai stata in quel posto ne ero quasi certa. Arrivammo ad una ringhiera, sotto di me si dispiegò una distesa interminabile di luci, palazzi, strade. I miei occhi si perdevano davanti all’infinità di ciò che vedevano, ero sul serio in cima al mondo. Tom era dietro di me in silenzio, rimasi a contemplare quel paesaggio unico, volgendo lo sguardo fin dove la terra si univa al cielo nero. –Allora? Che ne pensi?- domandò affiancandomi, non staccai lo sguardo dalla miriade di luci –è semplicemente meraviglioso, non ho mai visto niente di più bello- -Sono forte eh?!- sghignazzò –Cretino- dissi ridendo e gli tirai un pugno sulla spalla. Rimanemmo lì, parlammo di tutto, come due amici di vecchia data che si rincontrano dopo tantissimo tempo, non c’era niente di più naturale che parlare con lui della mia vita, delle mie passioni, di quello che sono e sembrava lo stesso per lui, c’era una complicità particolare. Trascorsi una serata bellissima con lui, era fantastico, possibile che fosse tutto un sogno?

-Si infatti! Sono perfettamente d’accordo con te, l’amore è un sentimento complicato che non fa altro che complicare tutto il resto. Trovare l’amore vero credo che sia- mi interruppe prendendomi il viso tra le mani e baciandomi. Ricordo esattamente come era un suo bacio. Un bacio lento, che ti permette di assaporarne ogni attimo, un bacio che più assapori e più ne vuoi, un bacio che ti permette di andare oltre tutti i confini dell’universo e allo stesso tempo di rimanere sulla terra attaccata a lui, un bacio che sa di lui, che fa mancare il fiato, che trasmette quel qualcosa che nessun altro potrebbe mai trasmettere, un bacio che è emozione. –piuttosto impossibile- sussurrai appena allontanò le labbra dalle mie. Lo guardai dritto negli occhi, ne volevo ancora. Possibile che già iniziassi ad avere la dipendenza dai suoi baci? Non ci fu bisogno di parlare sapevamo entrambi che saremmo andati in hotel.

Quella notte fu anche più bella della prima, le emozioni che provai furono come un’esplosione. Fu indimenticabile, quella notte capii, o meglio accettai, di amarlo. Amavo i suoi baci lenti e lunghi, amavo come mi teneva, come mi toccava, il solo sfiorarmi la pelle, i suoi sguardi eloquenti e i piccoli sorrisi, amavo le parole che sussurrate all’orecchio mi diceva e amavo essere una sola persona con lui, l’essere uniti.

All’alba quando mi svegliai, indossai una sua maglia e andai in balcone a ripensare a quelle notti. Il cielo ancora scuro, all’orizzonte schiariva verso un rosa-rossatro, Piazza Barberini dormiva ancora, quel panorama mi diede un senso di quiete, persi lo sguardo oltre i palazzi in lontananza, tra le variazioni di colore di quell’alba romana. Dopo poco mi raggiunse anche lui, mi abbracciò da dietro e mi baciò, si allontanò e dopo un attimo di silenzio fissò i suoi occhi nei miei, esordì –Non ho mai provato nulla di simile per una ragazza, non so com’è, ma è come se non aspettassi nient’altro che te, come se il puzzle della mia vita ora si fosse completato- spostò lo sguardo verso l’alba –Credo di amarti - disse in un sussurro. Il suo viso assonnato era di una dolcezza e di una bellezza che non riuscivo a descrivere, quelle parole dette in un sussurro erano assurde, incredibili ma erano le parole più belle che avessi mai desiderato sentire. Era impossibile, decisamente, totalmente impossibile. Mi domandai se fosse questo il paradiso. –Ti amo anch’io- risposi, si girò in un attimo e farfugliò –Ma, io, insomma io credevo che…com’è possibile, ero certo che fosse per sesso, insomma io..- Shshshhh…- sussurrai posandogli una mano sulle labbra –Non serve parlare, non servono spiegazioni- Lo guardai dritto negli occhi e seppe cosa provavo, come mi sentivo, cosa pensavo e io immergendomi nel nocciola ambrato dei suoi occhi scoprii cose che non avrei mai pensato.

Proprio su quel balcone scattammo quella maledetta, meravigliosa foto.

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Capitolo 2
*** Komm und Rette mich ***


 Continuammo a vederci in questo modo, per tutto giugno seguii le date del tour, trascurando scuola e amici, cercavo di trascorrere più tempo possibile con lui, tornavo a casa soltanto per prendere vestiti puliti e oggetti di prima necessità femminile, i miei avevano capito che c’era qualcosa che non andava, d’altronde sparivo per giorni e giorni, era chiaro che ormai per me la scuola fosse un optional ma non mi domandavano nulla, anche perché ci parlavamo raramente anche quando ero a Berlino. Il problema erano i soldi che avevano cominciato a scarseggiare già dopo la prima settimana, poiché, nonostante Tom si ostinasse a volermi pagare tutto, io mi sentivo in soggezione e preferivo pagarmi le mie spese da sola, soprattutto perché già ero un elemento di distrazione, in più riguardo ai voli Tom era stato irremovibile sul fatto di pagare lui, mi sentivo follemente in debito; iniziai a chiedere soldi ai miei genitori, ormai lavorare a Berlino o in qualunque altra città era impossibile, dato che non ci fermavamo più di due giorni nella stessa città, era l’unica possibilità per sopravvivere senza essere totalmente mantenuta da Tom. I miei non subito capirono quanto quella relazione fosse importante per me, quanto lo fosse Tom, o quanto lo fosse stare con lui sempre, solo dopo lunghe liti furibonde riuscii a convincerli. Non avevamo problemi di soldi e perciò mantenermi non sarebbe stato assolutamente un disagio, il punto di scontro maggiore fu la scuola, dato che non volevano che perdessi l’anno mi misero alle calcagna un insegnante privato, Mark, un ragazzo giovane che mi faceva il programma del restante anno scolastico e mi metteva anche alla prova con delle verifiche. Inizialmente la cosa mi diede un fastidio in quantificabile, perché non solo mi toglieva tempo da poter dedicare solo a Tom, mi costringeva a studiare! A Tom l’idea che avessi un insegnante privato non era dispiaciuta affatto, mi aveva ammorbato con tutte le motivazioni per le quali non avrei dovuto lasciare la scuola sin dall’inizio, ma quando incontrò Mark per la prima volta, notai i pugni stretti alla fine delle braccia distese lungo il profilo del corpo e il modo eloquente con il quale strinse i denti e deglutì. Alla fine mi trovavo bene con Mark, era molto preparato ed era giovane e comprensivo; capiva quando non era giornata, quando avevo bisogno di un giorno libero o quando ero troppo distratta per seguirlo e mi lasciava i miei tempi e i miei spazi.

La mia vita era uno splendore: le mattine le passavo a studiare, i pomeriggi quando Tom doveva fare i sound-check e le prove andavo con lui e seduta per terra lo guardavo, lo guardavo e basta, ogni momento sentivo di amarlo più di quello precedente, amavo ogni singolo gesto, il modo in cui, seduto su uno sgabello, si tirava su i pantaloni prendendo la stoffa dalle ginocchia, il modo in cui si accendeva le sigarette, il modo in cui le sue mani scivolavano sulla chitarra creando una melodia perfetta, le espressioni del suo viso. Ogni cosa di lui sentivo di amarla come niente altro al mondo. Le sere erano imprevedibili, una sera si lavorava fino a tardi e si mangiava un panino, una sera si andava a cena fuori, una sera mi portava in posti meravigliosi. La mia vita era con lui, la mia vita era lui, tutto ciò che avevo girava attorno a lui, tutto ciò che ero girava intorno a lui, lui era il centro del mio universo. Ero riuscita a trovare la persona che facesse per me, la persona che riuscisse pienamente a capirmi, ad aiutarmi quando ne avevo bisogno, a farmi sentire bene con un solo sorriso, la persona che con una sola parola, o con uno sguardo era capace di fare un discorso intero. Sapevo che anche lui mi amava, lo sentivo, riuscivo a percepirlo, dal suo sguardo soprattutto, dai suoi occhi, quello che provavamo era palpabile nell’aria. Il tour finì a metà luglio e finalmente potemmo goderci il nostro tempo insieme. Finalmente anche i miei furono d’accordo sul fatto che non avessi più bisogno di Mark dato che la scuola era finita e fossi uscita con una buona media e furono d’accordo, anche se con riluttanza, che andassi a vivere da Tom e con lui passassi le vacanze. Fu un mese e mezzo meraviglioso, partimmo per l’America, io, Tom e tutti i componenti della band, visitammo posti meravigliosi e il nostro amore non fece che crescere. A Tom non importava se ci avessero fotografato insieme, ma Bill ed io giungemmo alla conclusione che per il bene di quella vacanza sarebbe stato meglio se avessimo tenuto le nostre passionali effusioni per quando fossimo soli. Poi tornammo a Berlino e vivemmo insieme. La convivenza vera e propria fu particolare ma lo stesso bellissima: entrambi scoprimmo lati dei rispettivi caratteri che non conoscevamo fino in fondo, ad esempio spesso mi scontrai con il suo egocentrismo, con il suo amore per la precisione, il suo non accettare mai critiche o suggerimenti, o il fatto di essere realista sempre, i suoi nervosismi a prima vista immotivati e una lista infinita, ma ogni cosa di lui per quanto mi facesse incazzare sapevo di amarla.

Mi portò anche a conoscere sua madre e Gordon, quel giorno rimarrà per sempre impresso nella mia mente: -Buongiorno amore!- disse stampandomi un bacio sulla bocca, ricordo il suo viso sorridente, quel mattino giocammo a farci il solletico e a chi riuscisse a mettere a terra l’altro, ricordo le risate, le carezze e i baci, tutti, da quello più breve a quello più lungo e passionale scambiato su quel letto. E non scorderò mai l’espressione d’imbarazzo che era dipinta sul suo viso e il modo frettoloso e imbarazzato con cui disse che mi avrebbe fatto conoscere Simonee Gordon. Loro sono bravissime persone, furono davvero molto gentili con me, rimasero solo un po’ perplessi riguardo all’età, visto che non ero maggiorenne e che andavo ancora a scuola. Tom su questo era stato parecchio vago! Ma per il resto mi accolsero ben volentieri in casa loro. Tom non aveva mai presentato una ragazza ai suoi, le uniche ragazze entrate in quella casa erano scomparse come erano apparse. Simone mi disse che non avevano mai visto due volte la stessa ragazza uscire da casa loro. Fu veramente divertente, soprattutto quando Tom si mise a esaltare le sue doti e la sua esperienza in fatto di ragazze. L’espressione di Gordon era a metà fra lo sconvolto e il traumatizzato, almeno quanto la mia. Ma poi divenne impossibile non ridere davanti a quelle celebrazione del dio Tom.

A settembre fummo di nuovo sommersi dagli impegni e ricominciammo a girare una città dopo l’altra. L’idea non mi dispiaceva, con lui stavo scoprendo il mondo, visitavo città che quando vivevo a Berlino non avevo potuto fare altro che sognare. A metà settembre i miei mi appiopparono nuovamente Mark e questo mi svegliò dal sogno estivo che avevo vissuto con Tom.

I mesi passarono tra viaggi, programmi tv e radio, tra folli discussioni e amore incontaminato.

Tutto iniziò a traballare quando ebbi un ritardo, inizialmente sotterrai la paura folle di aspettare un bambino e attesi qualche altro giorno; non cambiava niente, le mestruazioni non mi venivano e io iniziavo sul serio a pensare di essere incinta. Feci un test di gravidanza, poi due, poi tre, tutti positivi, non sapevo cosa dovessi fare, non avevo mai pensato che mi potesse accadere. Il terrore si era impossessato della mia mente e frenava ogni azione, ogni pensiero e Tom se ne accorse. Vacillavo al pensiero di poterlo perdere, non c’era nient’altro oltre che averlo mio che m’interessasse, nulla che amassi lontanamente quanto lui e sapevo che se fosse stato davvero come credevo, non avrei potuto chiedergli di starmi accanto, era normale che un uomo a vent’anni scappasse di fronte alla prospettiva di avere un figlio e io dal mio canto sarei stata capace di distruggere il sogno che portava avanti da quando aveva sette anni solo per me? No, non c’era assolutamente una soluzione, l’avrei perso.

Una sera dopo tutta la giornata di prove, Tom d’un tratto si fermò, con passo nervoso arrivò da me, mi prese per un braccio e mi portò di fuori. In tutto il tragitto non rispose a nessuna delle mie domande, tirava dritto sempre più nervoso. –Chiara, mi spieghi cos’hai per piacere? Io non ne posso più di vederti così, lo so c’è qualcosa che non va- iniziò. Rimasi in silenzio abbassando lo sguardo, era ovvio che avrebbe dovuto saperlo –Oh! Sto parlando con te! Dimmi perché sei così strana, avanti, perché?-Si hai ragione ma… non so…- cadde il silenzio, Tom si accese una sigaretta e iniziò a fumarla concitatamente. Sbottò- mi spieghi come cazzo faccio io…-si fermò- non puoi farmi questo, io sto impazzendo, non mi interessa come, non cercale le parole giuste dimmelo e basta! Non è concepibile! Mi hai preso per uno stupido? Pensi sul serio che non mi sia accorto di niente? Dimmi un po’ ti sembro stupido? Cazzo Chiara ti conosco, è quasi un anno che ti conosco! Non capisco, proprio non capisco! Dimmi cosa c’è che non va!– Ormai urlava e gesticolava furioso -Okok, calmati però- lo abbracciai e gli diedi un leggero bacio sulle labbra. Non avevo idea di come dirglielo, nonostante ci avessi pensato tanto. Cazzo ero incinta! Mi sentii svenire e nascosi il viso nel suo petto. Inspirai profondamente il suo odore nella felpa e dissi -Ho un ritardo…Quasi sicuramente sono incinta- dirlo ad alta voce, a qualcun altro che non fossi io, mi fece sentire ancora peggio.
Sentii il leggero impatto della sigaretta con il terreno, alzai gli occhi verso di lui, vidi il panico sul suo viso e mi sentii già sola.

Tentai di slacciare l’abbraccio, volevo correre via, non c’era bisogno che me lo dicesse avevo capito, ma Tom mi strinse ancora di più a sé e mi baciò sulla testa. Prese il mio viso tra le mani, avevo gli occhi lucidi e una lacrima stava per scendere lungo il mio viso. Tom l’asciugò non appena raggiunse il rossore della guancia, si avvicinò, sfiorò il suo naso con il mio e sussurrò –Hey, non piangere, non ti lascerò da sola, ci sono io con te, -si allontanò un poco e posò lo sguardo dentro i miei occhi colmi di lacrime -Guardami sono qui davanti a te, lo affronteremo insieme, sono con te hai capito?- continuavo a piangere nonostante cercassi di trattenere ancora tutta quella paura folle che avevo costretto dentro di me fino a quel momento, ma invano. Lo guardai negli occhi e trovai una tranquillità che non avrei mai pensato, mi trasmise sicurezza e nei suoi occhi trovai una forza che ero sicura di non avere.

Mi strinsi forte a lui e farfugliai un grazie –Ti amo- rispose, -Ti amo anch’io-riuscii a dire tra i singhiozzi.

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Capitolo 3
*** No turning Back ***


Di lì in poi fu il caos totale, gestivamo gli impegni in base alle visite ginecologiche, alla consultazione di vari medici e psicologi. Io passavo più tempo possibile tra le sue braccia, spaurita, persa, solo lui aveva il potere di tranquillizzarmi. Cercava di non lasciarmi mai sola, sapeva che senza di lui non sarei stata capace di affrontare tutto quello che stava accadendo. Avevo solo diciassette anni cavolo! Non ero pronta per avere un bambino, non ci avevo neanche mai pensato! Sapevo bene che neanche lui era tranquillo ma non mi mostrava mai se fosse ansioso, preoccupato o impaurito, rimaneva sempre accanto a me e si preoccupava solo per me. Mi sentivo tremendamente in colpa. Non sapevo cosa potessi fare per lui, per farlo sentire meglio, proprio perché io stessa non ero grado di mantenermi calma. Mi sentivo intrappolata, non c’era nessuna via d’uscita, ne ero consapevole, io non volevo abortire, volevo solo che nulla di tutto quello fosse davvero successo, era il senso di impotenza che mi distruggeva di più. Come ce l’avremmo fatta? Come saremmo riusciti a mandare avanti la carriera di Tom ora e dopo la nascita di nostro figlio? Come avremmo fatto a tenere nascosto tutto? Non lo sapevo. Iniziai a vivere come in una bolla, di lacrime non ne avevo più, per ridere era ancora presto, di quello che succedeva e che mi veniva detto sentivo solo il rimbombo. Solo Tom riusciva a far dissolvere quella bolla come fosse di sapone riportandomi per un po’ alla realtà, ma ancora non ero abbastanza lucida da guardare, capire e accettare la realtà. Lui era la mia salvezza. Acquistai una maggiore lucidezza solo quando vidi la pancia cominciare a crescere. Diventai isterica, sempre di più, non sopportavo quello che mi stava succedendo, io non volevo! La debolezza fisica e il malessere mi facevano incazzare! Non volevo diamine, non volevo! Non avevo chiesto tutto quello, era ingiusto quello che stava capitando, volevo solo che sparisse tutto come un brutto sogno.

Ricordo che un giorno sentii bussare alla porta dell’hotel dove alloggiavo. –Chi è?- urlai acida, non rispose nessuno , -Si può sapere chi cazzo è che mi rompe i coglioni?- Ah sei tu-. Tom chiuse delicatamente la porta e si diresse verso il divano in soggiorno. Mi fece cenno di sedermi. –Chiara?- mi girai a guardarlo dopo aver fissato fino a quel momento il televisore davanti a noi. Incontrai i suoi occhi e mi sentii nuda, inerme, aveva capito tutto. –Qual è il problema?- fece finta di niente, voleva farmi sfogare. Non volevo! Non potevo essere di nuovo debole davanti a lui, essere di nuovo un peso, come se non lo fossi già abbastanza. –Niente Tom, assolutamente niente, è solo la gravidanza, mi fa quest’effetto-, respirò pesantemente –Che fai, mi prendi ancora per il culo?- manteneva una calma esemplare, cosa che evidenziava ancor di più il mio essere sul punto di scoppiare. –Tom, niente, ti ho detto che non ho niente! Devi per forza creare problemi che non ci sono? Va tutto bene, fammi il piacere evita di starmi addosso, non ho bisogno di niente, tantomeno di qualcuno, torna al tuo lavoro!- gli urlai contro alzandomi. Feci per andarmene, Tom si alzò di colpo e mi prese per un braccio girandomi verso di lui. –Credi che non me ne sia accorto?- adesso urlava anche lui, -smettila di dire stronzate, sono qui perché del lavoro non me ne frega un cazzo, se tu stai male, sono qui perché tu hai bisogno di me e ti sto addosso quanto cazzo mi pare, hai capito?-
 
-Lasciami, ti dico che non ho bisogno di niente e nemmeno di te!-. –E invece ti dico che tu stai a pezzi e io non esco di qui finché non mi dici cosa diavolo è che ti fa essere sempre così arrabbiata con tutto quello che hai intorno!- . Scoppiai a piangere. –Cos’è Tom?- cadde silenziosa ogni mia difesa - È il bambino, quello che sta qui dentro e che fra pochi mesi nascerà. È che io non voglio essere madre! Sono troppo giovane!- caddi a terra, lo guardai ancora negli occhi -Tu non lo capisci? Ti sto rovinando la vita! Non è giusto! Io non voglio tutto questo! Tu non te lo meriti!- i singhiozzi interruppero quel ciclo sconnesso di pensieri che feci uscire dalla mia bocca. Tom si mise in ginocchio davanti a me –Cosa stai dicendo? Tu hai dato un senso alla mia vita, l’hai resa degna di essere chiamata vita, l’hai riempita di amore e di emozioni delle quali io non sapevo nemmeno l’esistenza. Quello che tu sei in grado di farmi provare è qualcosa di talmente inspiegabile e vitale che io non potrei mai farne a meno. Tu sei per me quello che non è mai stato nessun altro e quello che nessun altro mai sarà! Il bambino che porti in grembo è un altro dei regali che mi hai fatto e che continui a farmi ogni giorno, il più bel regalo che avessi mai sognato. Lo capisci? Questo bambino siamo io e te, insieme! È il nostro futuro, insieme!- lo guardavo con gli occhi gonfi di lacrime, non avevo più forza. Mi strinse al suo petto e io continuai a piangere come una bambina. Mi prese in braccio cingendomi con un braccio le spalle e con l’altro le gambe. Io mi rifugiai dentro al suo maglione mentre mi portava in camera da letto. Si levò le scarpe senza mettermi a terra, la stanza era semi buia, le tapparelle lasciavano traspirare solo piccoli fasci di luce che mi accecarono. Si sedette sul letto e mi posò sulle sue gambe tenendomi sempre stretta al suo petto. Piansi, ancora e ancora, non sapevo da dove uscissero tutte quelle lacrime, ero sicura di non averne più. Tom mi stringeva, mi accarezzava dolcemente la schiena, mi baciava sulla fronte e mi sussurrava parole dolci per tranquillizzarmi. Quando le lacrime finirono cercai il suo sguardo che si perdeva verso un punto della parete arancio opposta al letto. –Ho paura Tom-. Volse il suo sguardo su di me –Non avere paura, ricordati che non sei da sola, ci sono io-.  Continuò a coccolarmi e a tenermi fra le sue braccia. Mi addormentai rannicchiata su di lui.

Dopo quel momento di panico, le cose andarono meglio, la paura c’era sempre,- D'altronde affrontare una gravidanza a quest’età è difficile e molto rischioso per la salute del bambino e della madre, spero tu ne sia consapevole-, queste parole mi disse la ginecologa e così anche lo psicologo e tutti i medici che incontrai, ostetriche, infermieri e altre persone di cui non sapevo quale fosse il ruolo. Mi consigliarono tutti di abortire, ritenevano troppo pericolosi per la mia salute quella gravidanza e il futuro parto e mi misero davanti all’eventualità che il bambino nascesse malato o addirittura morto. Avevo paura. Io non volevo abortire per nessun motivo al mondo, ero contro l’aborto, come si potrebbe mai uccidere una creatura che è dentro di te, che fa parte di te, che ha il tuo stesso DNA, che è sangue del tuo sangue. E come si potrebbe mai uccidere qualcuno che non ha diritto di parola, qualcuno che non può dire “voglio vivere”, qualcuno che dipende solo dalla tua volontà! No, non avrei mai abortito per nessun motivo al mondo. Però bisognava anche ammettere che i rischi erano alti. Non volevo che mio figlio nascesse malato nonostante fossi certa che lo avrei amato lo stesso, non volevo che nascesse morto, perché sebbene questo bambino mi avesse sconvolto la vita era sempre mio figlio e non volevo morire neanche’io, non proprio ora che avevo trovato lui, non proprio nel momento in cui nasceva mio figlio; anche se sarei morta volentieri per salvare mio figlio. Si, probabilmente stavo diventando matta, oltre che madre, ero una contraddizione continua! Se cinque minuti prima volevo fare il parto naturale, cinque minuti dopo volevo il parto cesareo e avanti così per settimane! Stavo seriamente impazzendo e i miei istinti materni, crescendo a dismisura, non facevano che peggiorare la mia pazzia.

Ricordo che inizialmente non volli sapere se mio figlio fosse un maschietto o una femminuccia, non era una volontà particolarmente motivata, probabilmente volevo che fosse semplicemente una sorpresa. Tom invece voleva saperlo e ogni tanto mentre parlava con il nostro bambino, posando una mano sulla pancia gli domandava quale fosse il suo sesso. Le immagini di lui che parlava con la pancia mi rimarranno per sempre impresse nella mente. Ricordo quando gli parlava di me, con quel sorriso grande che tanto amavo, con quel sorriso da bambino. Mi rimarrà per sempre quando gli parlò di quando ci siamo incontrati per la prima volta, delle prime parole che mi rivolse, della prima volta che disse di amarmi. Sono ricordi che riempiono e svuotano al tempo stesso il mio cuore. Spesso gli faceva sentire la musica, quella che aveva composto con i Tokio Hotel e gli Aerosmith che a Tom piacevano moltissimo. E suonava la chitarra classica solo per lui, improvvisava e componeva nuove melodie solo per lui.
Io lo sentivo, mio figlio, sentivo che lui ascoltava quella musica, sentivo che a lui piaceva. Ricordo anche che sentiva il contatto con il padre, quando Tom posava le mani sulla pancia e quando la baciava.

Alla fine cedetti e scoprimmo che in grembo portavo una bambina. Tom era felicissimo; ricordo che disse che avrebbe voluto che fosse tutta sua madre, che avesse i miei occhi, i miei capelli mossi e castani, la mia pelle chiara e le gote rosee, le mie mani piccole, i miei sguardi. E soprattutto che avesse la mia risata, perché, mi disse, il suono del mio riso era la melodia più bella e lo rendeva felice. E ricordo che io la volevo esattamente come lui, con le sue labbra, con le sue orecchie leggermente a punta, con i suoi occhi soprattutto, con il suo sorriso, con il suo carattere e il suo amore per la musica.
-Come la chiamiamo?- mi chiese un giorno –Eh?- risposi, come al solito la mia mente stava viaggiando, esaminando ogni particolare del suo viso. –Dovrà anche avere un nome, che ne pensi?-rise, -Non so, ci ho pensato ma non mi viene in mente niente di giusto per lei- dissi, -Mmm.. non lo so, deve essere qualcosa che rappresenti me e te insieme- tacque pensieroso. Rimasi a guardarlo mentre si perdeva nei suoi pensieri. –Mmm.. una cosa simile a Tochiam, oppure Chiatoma..- trattenne una risata, mentre io scoppiai a ridere –Che nomi sono?!- ridemmo insieme. –No, sul serio Tom, non può non avere un nome!-, dissi cercando di non ridere, -Vediamo- rimanemmo entrambi in silenzio a pensare, -Ho trovato!- gridò in un momento, i suoi occhi erano colmi di felicità –Se la chiamassimo Will?- lo guardai intensamente, con interesse, -Si, Will che sta a simboleggiare il futuro, il nostro futuro, insieme..- tacque imbarazzato.
Sul mio viso si aprì un sorriso, era perfetto! Non avremmo potuto trovare un nome più adatto. Il futuro, sì, il futuro, quello che spaventava, quello che era imprevedibile, con nostra figlia il futuro non avrebbe più fatto paura, non sarebbe più stato imprevedibile, il nostro futuro era Will, il nostro futuro era insieme, tutti e tre e sarebbe stato magnifico, ne ero sicura.

–Allora che ne pensi?- rimasi un attimo in silenzio, -è perfetto Tom, è perfetto- sorrisi ancora e lo baciai.

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Capitolo 4
*** Komm, wir lassen alles hinter uns und fliegen durch die Zeit. ***


 Non so con quali parole riuscimmo a dire a Bill, Georg e Gustav che Tom ed io aspettavamo una bambina. Loro immaginavano già da un po’ che ci sarebbe stata una conversazione a riguardo, per la verità, ma non avevano fatto domande, lasciandoci il nostro tempo.
Ricordo che sorrisero, ricordo l’abbraccio dolce di Gustav e Georg, ricordo che Georg bussò sul pancione e disse –Hey tu, io sono lo zio Georg! Quello superfigo, altro che il tuo papà!- rise e ridemmo tutti. Anche Bill venne ad abbracciarmi, era il più euforico di tutti, era più logorroico del solito, saltellava e si torturava le mani. Iniziò a elencare tutte le cose che avrebbe voluto insegnare alla bambina, dal trucco, ai capelli, dai vestiti, al cantare. Fu davvero divertente. Tom era felice, rideva e scherzava con Georg, scherniva Bill, il sorriso sulle sue labbra mi illuminava. Ricordo quanto fu bello guardarlo mentre abbracciava i suoi amici di una vita e suo fratello.
Forse non era del tutto sbagliato quello che stava accadendo, forse avremmo potuto avere davvero un futuro insieme, forse sul serio avremmo trascorso il resto della nostra vita insieme, forse quella bambina sarebbe arrivata al momento giusto e ci avrebbe unito ancora di più, rendendoci una cosa sola.

Anche Simone e Gordon furono felici di quella notizia, anche se erano molto preoccupati, perché infondo eravamo giovani, io minorenne, e poteva essere pericoloso. Inoltre erano preoccupati per i cambiamenti che quella bambina avrebbe portato. Un giorno vennero a trovarmi a casa a Berlino, Tom era uscito con Bill a portare i cani.
Seduti sul divano iniziarono a farmi un discorso che non capii, inizialmente parlammo di come andavano le cose in generale, poi di come procedeva la gravidanza, dopo mi chiesero se i miei genitori fossero a conoscenza di quella gravidanza. Rimasi impietrita a quella domanda, senza dubbio avrei dovuto informarli che la loro cara e pazza figlia aspettava un bambino proprio da Tom Kaulitz. Non ci avevo pensato molto, ogni volta che il pensiero dei miei genitori affiorava alla mia mente lo scacciavo, nemmeno avevo detto loro di essere tornata a Berlino, figurarsi di essere incinta! Non c’era niente da fare, non sapevo come dirglielo. Sapevo perfettamente quale reazione avrebbero avuto, ero preparata alle urla di mia madre e al “Tu, figlia disgraziata, ti devi vergognare!” di mio padre ripetuto a raffica con il tono sottile di chi è troppo arrabbiato per urlare.
Ero pronta a essere cacciata da quella casa. Ma forse non ancora per essere ripudiata dagli stessi che mi avevano messo al mondo.
A Simone e Gordon risposi che presto saremmo andati a trovare i miei e avremmo portato loro la notizia. Simone era visibilmente preoccupata, picchiettava con la punta del piede il pavimento a una velocità incredibile e si torturava le mani in continuazione, mi ricordò suo figlio. Gordon invece era più tranquillo, c’era qualcosa che lo agitava ma lo mascherava benissimo, dava l’impressione di essere sicuro di sé.
-Senti Chiara- Simone continuava a torturarsi le mani e la sua voce pur lasciava trapelare preoccupazione e un velo di tristezza. Non continuò, Gordon le posò una mano sulla spalla, si guardarono negli occhi. Simone emise un sospiro. –Chiara, ricordati che qualsiasi cosa succederà la nostra la porta è sempre aperta, se avrai bisogno di qualunque cosa non esitare a venire da noi- si interruppe di nuovo. Mi rallegrava sapere che potevo contare su di loro, era come avere un’altra famiglia; ma non capivo cosa li turbasse così tanto, cosa c’era di male nella loro disponibilità e nel loro affetto nei miei confronti?, –Non capisco Simone, questa è una cosa bellissima, vi ringrazio di cuore, non potevate farmi un regalo più bello, ma proprio non capisco cosa ci sia che non va in tutto questo-;
-Vedi Chiara- fece Gordon –a volte nella vita capitano cose ingiuste, dovresti saperlo, a volte le persone fanno cose sbagliate, prendono decisioni sbagliate, a volte non possono prendere la decisione più giusta o non vogliono- inspirò profondamente passandosi una mano sul viso. –No io non capisco, non volete che io e Tom stiamo insieme, non volete che nasca nostro figlio, o cosa?- mi stavo alterando, questo discorso stava prendendo una brutta piega, mi prese stretto un nodo alla gola e le mani a sudarmi. Era forse paura? Di cosa? No, dovevo stare calma, ancora non sapevo di cosa stessero parlando! Respirai profondamente. Puntai gli occhi sull’uno e poi sull’altra, ora dovevano parlare. Gordon guardò Simone –Chiara non fraintendere noi siamo contentissimi che tu e Tom stiate bene insieme e che aspettiate una bambina, non stiamo parlando di noi, cerca di capire. È difficile..- fece una pausa -Chiara non a tutti andrà bene tutto questo, è prevedibile, forse cercheranno di ostacolarti o comunque di impedire che succeda quello che deve succedere. Io non voglio nemmeno pensarci, voglio avere fiducia, ma devi capire che c’è la possibilità che succedano cose ingiuste. E quando succederanno, se succederanno, tu dovrai prendere la decisione giusta-. Li guardai con gli occhi spalancati, quel discorso era incomprensibile, di quali cose ingiuste stavano parlando? Quale decisione avrei dovuto prendere? Quale sarebbe stata quella giusta?
Provai a chiedergli di più, ma d’altronde nemmeno loro sapevano con certezza quello che poteva accadere e chi potesse volere quello di cui stavamo parlando. Era una confusione totale, non capivo.
Loro tornarono a casa loro e mi lasciarono piena di domande senza risposta.
Alla fine decisi che sarebbe stato meglio per tutti che dimenticassi quel discorso o che lo rinchiudessi in un cassettino chiuso a chiave nella mia testa e così feci.

Io e Tom andammo da tutti gli amici che avevamo a portargli la notizia e poi anche dai miei genitori.

La pancia era ormai facilmente visibile, perciò da subito avrebbero capito. Citofonammo alla porta, ad aprirci fu la donna delle pulizie, non seppi dire se fosse stata una fortuna o meno. Non avevo ancora deciso come dirglielo e in più non li avevo nemmeno avvisati che saremmo passati da loro. No, non ero pronta ad essere buttata fuori casa. Camminammo verso il soggiorno, ad ogni passo la mia pancia sembrava sempre più grande. –Ciao mamma, ciao papà!- esordii arrivata nell’immenso salotto, mia madre era impegnata con un aperitivo e mi rivolse un saluto fugace dandomi le spalle, mio padre era seduto su una poltrona esattamente di fronte a noi, sbiancò e si aggrappò con entrambe le mani sui braccioli della poltrona
–C-C-C-Co-Corinna?!?-, -Cosa c’è Greg? Per favore sai che non devi interrompermi mentre preparo gli aperitivi, cosa vuoi?- Lo guardò di sbieco, mio padre indicò verso di me con fare minatorio senza parlare. Mia madre si volse, sgranò gli occhi, gli cadde a terra il bicchiere che aveva in mano, l’aperitivo andò a sporcare il tappeto persiano, i cocci si sparsero per metà del salotto. –Levati!- disse bruscamente a papà, la sua voce era circa sette toni più acuta di quella si una persona normale, -Fammi sedere!- mio padre si alzò facendo posto a mamma e si mise accanto a lei in piedi. La donna delle pulizie venne a riordinare il disastro creato sul pavimento, più velocemente che poté, sapeva che presto si sarebbe creato il putiferio.
–Mamma, papà, lui è Tom, vi ricordate ve ne ho parlato un sacco. È più di un anno che stiamo insieme- Tom, che fino a quel momento era stato in silenzio accanto a me, cercando di tranquillizzarmi accarezzandomi la schiena, si avvicinò prima a mia madre porgendole la mano, lei gli rivolse uno sguardo furibondo, -Signora, sono molto onorato di conoscerla. Voglio molto bene a sua figlia, vorrei che di questo ne sia consapevole- mia madre non rispose e si voltò sdegnata dall’altra parte. Tom strinse la mano a mio padre che sembrava più ragionevole o più paralizzato. Mia madre come al solito si comportava da ragazzina; –Vado a preparare la cena- disse uscendo dalla stanza, mi diresse un’occhiataccia e sbatté la porta.
–Papà senti almeno tu, cerca di capire, Tom ed io ci vogliamo bene, tanto, è la persona giusta per me- dissi con tono supplichevole avvicinandomi. –Signore, io non ho mai amato una donna in vita mia prima di sua figlia. Lei non sa quanto io posso amarla in tutto ciò che è, Chiara è l’unica donna che mi abbia mai fatto sentire amato per come sono dentro, l’unica persona in grado di capirmi sempre, lei mi ha fatto capire quali sono le cose belle della vita, mi ha insegnato ad amare. Sua figlia è la donna della mia vita, la amo con tutto il cuore deve credermi-. Mio padre sospirò –Va bene ragazzi che vi vogliate bene, ma questa- indicò la pancia –è una cosa più grande di voi, come potete pensare di crescere un figlio, come è potuto succedere? Esistono le precauzioni! Chiara, non me l’aspettavo da te una cosa del genere, mi hai deluso molto- Tom s’intromise –Signore, noi vogliamo questa bambina, la terremo! Signore, voglio che capisca con quanto amore questa bambina è stata concepita e con quanto amore crescerà. Signore, io credo che lei abbia sempre voluto il meglio per sua figlia, credo che più di ogni altra cosa voglia vederla felice, beh signore Chiara è felice con me, è felice di aspettare questa bambina da me ed è felice di poterla crescere insieme a me. Non crede che l’amore vada oltre tutto il resto? Noi ci amiamo e siamo pronti ad avere un bambino-.
–L’amore finisce! Molto prima di quanto crediate e quando finirà cosa farete? Dove lascerete vostra figlia? Siete giovani non sapete cosa state facendo!-, era la fine, salutai ogni speranza. –Papà ti prego, noi vogliamo questa bambina, sappiamo esattamente quello che stiamo facendo e quello a cui stiamo andando incontro e lo vogliamo. Will è il simbolo del nostro amore, noi la amiamo e la ameremo per sempre perché frutto del nostro amore!-implorai, -Non lo so ragazzi, cosa devo dirvi? Ormai quel che è fatto è fatto, parlerò con Corinna e quando nascerà, verremo a conoscerla-. Tirai un sospiro di sollievo e Tom sorrise. –Grazie signore- disse Tom sorridendo, ci accompagnò alla porta, appena Tom andò a prendere la macchina, mio padre mi si avvicinò e sussurrò –Ricordati, non venire in questa casa quando ti lascerà sola e con una figlia a carico!- lo guardai sorridendo –Non mi lascerà papà, stanne pur certo!-, -Lo spero per te!-, -Ciao Pà!- gli stampai un bacio sulla guancia, Will si mosse nella pancia –Uuuuh!- esclamai -Ahahahahah, Papà, Will è sensibile a queste cose, si è accorta che sei il mio papà!- Risi ancora, mio padre mi guardò sconvolto ma subito dopo pose la mano sulla pancia –Ciao W-Will, io sono Greg il papà della tua mamma, mi raccomando fai la brava e non farla impazzire!- sorrise anche lui, la prima volta da quell’incontro. –Ciao papi..- salutai nuovamente e salii in macchina.
Fui contenta che anche con i miei fossimo riusciti a trovare un punto di incontro, finalmente ero più tranquilla.

Mi ricordo che venne a stare da noi Mikela, la mia migliore amica. Ricordo che entrò in casa facendosi spazio tra una folla invisibile, cercandomi. –Dov’è la donna della mia vita?- gridò, corsi, o meglio camminai velocemente visto che il medico mi aveva severamente vietato di correre, -Amoreee!- urlai anch’io, ci abbracciammo forte –Come stai? Ti vedo sciupatina, Hey tu qui dentro che stai facendo? Io sono zia Miki, come stai? Eh lo so, tu stai bene sì, qui c’è la mamma che ti fa ingrassare!- scoppiai a ridere –Dov’è quello che ti ha infornata?- la guardai ironica –Quello che mi ha infornata?- risi a crepapelle e lei rise con me.
Nel frattempo arrivò Tom che ci guardò interrogativo –Ehm..Chiara?- lo guardai, mi fece ridere ancora di più, aveva una faccia tremendamente comica –Piacere Mikela, sono la migliore amica! E tu sei quello che..-scoppiò di nuovo a ridere, Tom era sempre più perplesso –Piacere di conoscerti, Tom-.
–Chi è che se la ride così tanto?- Bill scese le scale, indossava la tuta arancione che aveva da quando era piccolo. Mikela ed io continuavamo a ridere di cose sempre più stupide, me ne uscii –Tom l’infornatore!- Mikela rise e continuò -Sarebbe un ottimo film, io l’andrei a vedere!- Bill scoppiò a ridere, peggio di noi, Mikela mi guardò –Ma che si ride il mandarino?- ridemmo ancora di più. Bill si avvicinò a Miki –Senti nanetta non credere di poter venire qui a prendere in giro tutti solo perché hai le tette grosse? – Mikela scoppiò a ridere –Battimi ‘sto cinque!-. Ridemmo tutti e quattro di gusto.

Tom mi prese per mano e mi portò al piano superiore, -Chiudi gli occhi- disse fermandosi dietro la porta di della nostra camera da letto, mi domandai cos’altro avesse preparato per me, quell’uomo era totalmente imprevedibile, era una delle cose che più amavo di lui. Sorrisi tra me, mentre le sue mani mi circondavano i fianchi. Mi accompagnò all’interno, con la voce in un sussurro al mio orecchio –Ora aprili- mi percorse un brivido, aprii cautamente gli occhi.
Un grande arco ornato da foglie d’edera dipinte conduceva in un’altra stanza, sul soffitto e sulle pareti era dipinto un cielo estivo con qualche nuvola candida qua e là, alla base delle pareti un fiorente prato dall’erba alta, margherite, papaveri, girasoli e viole spuntavano di tanto in tanto. Nella parete di fronte a me un arcobaleno dai colori accesi creava un arco perfetto attorno a una culla di legno, le lenzuola bianche e qualche giochino erano al suo interno e nel resto della stanza altri giochi, un grande divano angolare blu scuro nascondeva la base di un salice piangente. Tutto quello era incredibile, i miei occhi erano pieni di meraviglia, continuavo a guardarmi attorno con la bocca spalancata. –Come hai fatto?- dissi continuando a notare nuovi particolari in quella stanza, -Mentre stavamo via per portare la notizia di Will a tutti, ho fatto venire dei pittori e ho incaricato Bill di comprare un po’ di cose per la bambina, non è stato difficile tenertelo nascosto visto che abbiamo dormito da Andreas fino a ieri sera-, mi avvicinai alla culla, i miei occhi si riempirono d’amore a guardare quei giochini colorati e quelle lenzuola ricamate, la feci dondolare, -è meraviglioso, Tom!- dissi quasi commossa, mi girai verso di lui, era imbarazzato, guardava in basso passandosi una mano tra i capelli, -Quella l’ho scelta io..-aveva un tono imbarazzatissimo, mi avvicinai e gli misi le braccia intorno al collo, gli diedi un leggero bacio sulle labbra, con una mano accarezzai dolcemente la sua guancia.
Mi guardò sempre più imbarazzato –Passerai il resto della tua vita insieme a me?-
la voce mi si bloccò in gola, non poteva essere vero, il battito del mio cuore era accelerato come la prima volta che facemmo l’amore, come la prima volta che mi disse “ti amo”, come la prima volta che lo guardai, come la prima volta che sentii il suo profumo, strinsi le sue mani, assaporai le sue labbra, accarezzai il suo viso, sentii il suo respiro su di me, come la prima volta che mi sfiorò, la prima volta che mi sorrise. Gli presi una mano e la posai sulla parte sinistra del mio petto, tenendo la mia sulla sua, -Lo senti?- seppi che lo sentiva,
-Sì Tom, passerò il resto della mia vita con te..-. Spostò la mia mano sul suo petto tenendovi sopra la sua come fino a quel momento avevo fatto io su di me.
 
-Lo senti?- sussurrò a un centimetro dal mio viso.
 

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Capitolo 5
*** Never Forget ***


Poi ci fu amore, amore, ancora e solo amore. Tom ed io eravamo una cosa sola, sebbene diversi, molto diversi l’uno dall’altra, eravamo come due pezzi di un puzzle, diversi ma solo fra loro incastrabili, solo incastrati completi. Nostra figlia cresceva indisturbata dentro la pancia, diveniva sempre più grande, le ecografie erano sempre più dettagliate, riuscivamo a vederla quasi perfettamente; la gravidanza procedeva senza complicazioni e ormai era quasi giunto il momento della sua nascita.
Avevo un po’ di paura, insomma, era un parto! Quello con le urla delle madri nei film, quello in cui persone che non conosco e che non sono Tom si mettono davanti a me con la testa fra le mie gambe e guardando la mia intimità gridano di spingere! Oddio, non ero abbastanza pronta mentalmente per affrontare un parto, tantomeno fisicamente! Perché avevo scelto il parto naturale? Possibile che non avessi pensato alla distruzione fisica che mi avrebbe procurato? E tutto quel dolore che avrei provato? Però non se ne parlava proprio di farmi tagliare la pancia, per nessun motivo al mondo, ecco forse era stato per questo che avevo scelto il parto naturale! Che disastro!
Se non altro avrei avuto Tom al mio fianco, almeno una faccia familiare in quella stanzetta l’avrei avuta; si era proposto lui di assistere, era entusiasta, voleva essere presente quando sarebbe nata sua figlia, però non gli avrei permesso di guardare la scena dalla prospettiva delle mie gambe, avrebbe collassato, lo avrei solo pregato di stringermi la mano.

-Tuuu tuuu tuuu, Pronto?- -Josh, sono io, abbiamo un problema di cui vorrei parlarti.- -Dimmi tutto, velocemente che ho molto da fare-, -Tom, il chitarrista, è fidanzato con una ragazza da un anno e mezzo circa- -Sì Karl, questo già lo sapevo, l’importante è che sia tenuto nascosto, ne abbiamo già parlato, ora lasciami andare che ho da fare- -Ma Josh, ascoltami, non è solo questo!- -Sbrigati Karl- -La ragazza è incinta fra poche settimane nascerà una figlia a Tom- -Cosa? Perché non me l’hai detto prima? Dobbiamo liberarci di quella ragazza Karl, altrimenti rovinerà l’immagine della band, non esiste che il chitarrista donnaiolo della band abbia un figlio!- -Cosa faccio?- -Liberati di lei, con tutti i mezzi di cui disponi- -Lo farò- -Fai presto Karl, sai quanto velocemente corrono le voci, rischiamo che tutto il mondo lo venga a sapere, ora vado che ho del lavoro da fare- -Notte Josh- -Tutututu-

Ricordo che quella notte non riuscivo a dormire, ero sdraiata sul letto abbracciata a Tom, il pancione ingombrava quel dolce abbraccio, ma era talmente bello che nostra figlia fosse esattamente fra noi due, la mano di Tom era come tutte le notti posata sulla pancia. Ricordo che delicatamente sfioravo il suo viso, disegnando il contorno delle labbra o semplicemente accarezzandogli una guancia. Era meraviglioso guardarlo dormire, mi ricordava quella prima volta in cui eravamo stati insieme e in cui credevo che di lui mi sarebbe rimasta solo quella notte. Nulla mi rendeva più tranquilla di sentire il leggero soffio del suo respiro e il battito calmo e regolare del suo cuore, lì accanto a me come tanto tempo prima, con la leggera differenza che ora potevo credere che il giorno dopo, lui sarebbe rimasto ancora accanto a me.
Il mio cellulare vibrò per qualche secondo, lentamente mi alzai a vedere, un messaggio. Non avevo idea di chi potesse essere a quell’ora di notte, lessi:
-Ho bisogno di parlarti, quando puoi? Karl.-
Di cosa voleva parlarmi uno dei coproduttori dei Tokio Hotel?
-Di cosa devi parlarmi?- risposi, attesi un minuto circa e mi giunse la risposta
-Ah sei sveglia, bene. Allora facciamo tra dieci minuti sotto casa di Bill e Tom, così parliamo direttamente-.
-Va bene.- fu la mia risposta. Perché doveva parlarmi? E perché con questa fretta?

Ricordo perfettamente cosa mi gettai addosso, una felpa bianca e nera di Tom, un paio di pantaloncini corti azzurri e un paio di pantofole che indosso ancora quando sono da sola a casa con Will. Legai i capelli in un morbido e spettinato chignon e silenziosamente uscii dal letto e poco dopo anche di casa, mi appoggiai ad un muretto appena fuori dal cancello che socchiusi.
Attesi poco; arrivò un uomo dalla corporatura imponente e la pelle chiara, dai lineamenti marcati, i capelli sul biondo rossiccio e degli occhi verdi particolarmente tondi, mi salutò velocemente, ci fu un momento di silenzio che interruppi –Di cosa volevi parlarmi?- rimase interdetto da quella domanda come se non fosse venuto fin lì per quel motivo.
–Arrivo subito al punto- si fermò un secondo per prendere un respiro, dopo il quale mi puntò uno sguardo duro che non lasciava intravedere emozioni –Devi sparire-disse aspramente –entro una settimana. Devi cambiare città, nome, amici, contatti telefonici e mail. Non puoi più stare qui. Tu e tua figlia dovete andarvene e non tornare mai più-.
Sul mio viso vi era un’espressione esterrefatta e allo stesso tempo ironica –Scusa, non ho capito molto bene- dissi ridendo –Tu mi stai dicendo che io devo sparire? Perché me lo dici tu? Non credo proprio. E poi perché dovrei?- il tono della mia voce era pungente, un po’ di sfida.
Karl riprese –Ti ripeto che tu te ne devi andare, il più presto possibile, non devi più farti vedere da queste parti, rivedere Tom, perciò organizzati e sparisci-. Non era assolutamente pensabile, non me ne sarei andata, per nessun motivo e poi perché? –Mi spiace per te Karl, ma non credo proprio che me ne andrò, io non sto facendo del male a nessuno, non sto andando contro nessuna legge e tu non hai alcun diritto di dirmi cosa devo fare!- mi stavo seriamente incazzando, la conversazione stava prendendo una bruttissima piega, come poteva pensare anche lontanamente che avrei lasciato Tom? Aveva decisamente capito male.
-Invece io ne ho il diritto eccome! Il tuo caro Tom forse non sa che i suoi genitori hanno firmato un contratto, quando era ancora minorenne, nel quale autorizzano la produzione a decidere della cosiddetta “vita sentimentale” di loro figlio e quindi io ho il diritto di decidere che tu qui non ci puoi più stare, anzi dovresti ritenerti fortunata che non ti abbiamo messo alla porta prima!-.
Non era possibile, c’era qualcosa che non andava, era assurdo! –Non è possibile, devi farmi vedere quel documento firmato e poi non dovrebbe avere più un valore dato che ora Tom è maggiorenne! È assurdo! Non esiste! E poi perché avreste deciso che qui io non ci posso più stare? Qual è la cosa che non vi va bene?- ormai parlavo a vanvera, senza pensare più di un millesimo di secondo a quello che stavo per dire e la mia voce si stava alzando sempre di più. Non potevano, non avevano alcun diritto, non potevano togliermelo, io volevo vivere con lui, per tutta la vita, non lasciarlo mai! Come potevano farmi questo!
-Chiara, non c’è nulla da fare, devi capire che è il momento che tu te ne vada e che lasci a Tom la vita che ha tanto desiderato. Forse non te ne rendi conto, ma lui rivolge sempre meno attenzioni al suo lavoro, trascura i suoi compiti, dimentica gli appuntamenti, gli orari, è perennemente distratto. Lui ha impiegato tutto se stesso per giungere dove è giunto, non puoi arrivare tu e buttare all’aria tutto il nostro lavoro. Noi non abbiamo nulla contro di te, Chiara, ma se Tom considera in questo modo il suo lavoro adesso come adesso, figurarsi quando nascerà vostra figlia! Noi non possiamo permetterci di perdere un elemento come Tom, perderemmo tutta la band! Vuoi essere tu la responsabile del fallimento dei Tokio Hotel? Vuoi davvero essere la persona che ha mandato all’aria la carriera di Tom e di tutta la band? Ti senti questa responsabilità?- la sua voce ora era accusatoria e allo stesso tempo supplichevole.
Non potevo crederci, avrei perso tutto, lo sapevo. Mi sentii vuota, privata di ogni cosa, dei sensi, della vita in sé, di mia figlia, privata del mio stesso corpo, del mio stesso cuore. No, non avrei potuto distruggere la vita di Tom, non avrei condannato la sua carriera, non gli avrei permesso di continuare in quel modo il suo lavoro, non lo avrei inchiodato a una vita insicura, incostante e difficile pur di averlo accanto. No, non sarei stata egoista, non più di quanto non lo fossi già stata, l’avrei lasciato andare e se non avesse voluto l’avrei cacciato fuori dalla mia vita. Chissà cosa fosse la mia vita? Non pensavo da tantissimo tempo a cosa fosse la mia vita? La mia vita non c’era. La mia vita era la nostra vita. Cosa avrei avuto io senza di lui? Cosa sarei stata?
Nulla, solo il nulla.
Parlai sotto voce, con una voce non mia, che non sentivo appartenermi –Non c’è altra soluzione?- i suoni erano un po’ striduli, le parole interrotte dal pianto. –No, mi dispiace, non puoi fare altro e nemmeno noi- Chissà se provò compassione, o tristezza, o amarezza, o se tentennò nel dire quelle parole. Non lo so, non seppi guardarlo in viso.
Non volevo andarmene via così, tra oggi e domani, non potevo farcela, forse sì, sarebbe stata la cosa migliore, ma sentivo forte dentro di me, il desiderio che Tom vedesse Will, che almeno non perdesse la vista di sua figlia, che non perdesse di poterla tenere tra le braccia, coccolarla e farla ridere, che non perdesse il vero essere padre. Di scatto alzai lo sguardo, mi misi dritta davanti a Josh –Ok, me ne andrò.- la mia voce sarebbe dovuta essere carica di cattiveria, ma mi uscì rauca e disanimata. –Entro una settimana devi sparire, di più non posso concederti. Riguardo a come lasciare Tom ti do carta bianca, purché sia una cosa definitiva. Personalmente ti consiglio di andartene durante la notte, eviteresti di dovergli dire bugie. Ma fai come vuoi-, fece per andarsene. –Non ho finito.- la mia voce era sempre rauca –Me ne andrò, ma non prima che sia nata nostra figlia, non dovrebbe nascere più in là di una settimana ma non si sa mai, perciò io sparirò, non sentirete mai più parlare di me, solo dopo che nostra figlia sarà nata e che io sarò stata dimessa dall’ospedale, sarà a mia discrezione quando andarmene, ma entro due settimane.- le ginocchia mi tremavano, potevano cedere da un momento all’altro, il cuore batteva veloce, quello che avevo appena detto era tecnicamente un ordine ma dentro di me l’attesa di una risposta mi metteva in crisi. Josh sospirò rumorosamente –Va bene, ma non più di due settimane.- salì in macchina e se ne andò.

Rimasi qualche secondo impalata a fissare il vuoto, poi lentamente aprii il cancello ed entrai in casa. Le lacrime ripresero a scorrere sul mio viso, o forse non avevano mai smesso, quando entrai in camera e lo vidi, esattamente come l‘avevo lasciato, in tutta la sua bellezza, in tutta la sua dolcezza. Mi sdraiai di nuovo accanto a lui, tra i singhiozzi sommessi baciai le sue labbra, lentamente.
Da quel momento ogni secondo sarebbe stato importante, da quel momento ogni istante della mia vita con lui sarebbe stato prezioso. Leggera una mia lacrima cadde sul suo viso scivolando lungo la gota, silenzioso e delicato l’impatto con la sua pelle, subito l’asciugai con delicatezza, continuai ad accarezzare il suo viso e sussurrai –Non importa cosa succederà, sappi che ti amo e che non smetterò mai- le lacrime scendevano implacabili in gran quantità e i singhiozzi alteravano il mio respiro.

-Ti prego, non dimenticarmi mai-.

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Capitolo 6
*** Doch irgendwie Schlagen uns die Herzen durch die Nacht. ***


Di quei giorni ricordo solo quanto fu difficile per me nascondere tutto quel dolore che provavo, era sempre maggiore, sempre più dilaniante. Guardarlo negli occhi mi costava uno sforzo indicibile, sorridere e amarlo come se potesse davvero durare per sempre, estenuante.

Primo giorno: -Non ci riesco, non ce la faccio. Non riesco a baciarlo!-

Secondo giorno: -Io ho bisogno di lui.-

Terzo giorno: -Non voglio! Voglio rimanere con lui.-

Quarto giorno: -Piango. Di nascosto. Sola.-

Quinto giorno: -Si prevede che Will nasca non prima di quattro giorni, il 3 settembre. Le contrazioni mi stanno uccidendo. Il medico dice che devo stare calma altrimenti potrebbero esserci ripercussioni sulla salute della bambina.-

Sesto giorno: -Non posso farcela.-

Settimo giorno:
-Tom!- gridai dal piano di sotto. Tom corse da me in ansia –Che succede?- aveva il fiatone per la corsa, -Ho le contrazioni- presi un respiro, il dolore mi toglieva il fiato -ogni sette minuti!- fece per qualche secondo mente locale, cercando di ricordare le parole del medico riguardo a frasi del genere; -Tom cazzo, il travaglio! Sta nascendo!- sgranò gli occhi, non so proprio chi fosse più nel panico fra i due. –Dobbiamo sbrigarci- disse serio, mentre prendeva qua e là tutte le cose che potevano esserci utili, tra cui qualche asciugamano e suo fratello.
Ci dirigemmo tutti verso la macchina, -Guido io- fece Bill, -Non hai capito un cazzo, guido io! Devo scaricare l’ansia!- ribatté Tom, -Ma che dici Tom! Dovresti stare dietro con Chiara!- gridava Bill.  –Basta! Non abbiamo tempo per discussioni inutili, Tom guida tu, altrimenti se stai dietro con me collassi; Bill sali in macchina e cerca di stare calmo almeno tu!-.
Incredibile, ero io quella incinta e dovevo anche zittire i gemelli che litigavano.
Da quel momento dimenticai tutto il resto, dimenticai Karl, dimenticai che dopo pochi giorni dal parto sarei dovuta sparire, dimenticai che la mia vita con Tom era quasi giunta al termine.

Ricordo che Tom guidava veloce ed era teso come le corde di una delle sue chitarre. Ricordo che ogni trenta secondi, scanditi dal suo indice che a scatti picchiettava sul volante, si girava indietro per chiedere se andasse tutto bene. Bill si comportava esattamente come il fratello, il suo piede tamburellava a terra ad una velocità sopra i limiti del possibile e, a tempi alternati a quelli di Tom, mi domandava se stessi bene. Io ero seduta sugli asciugamani, nel caso si rompessero le acque, che cercavo di stare calma, convincendomi che c’era tempo per farmi prendere dal panico, ma era visibile che fossi tesa. Non ne potevo più delle continue domande dei gemelli ma la strada da percorrere era lunga, mi domandai perché non avessimo scelto un ospedale più vicino a casa nostra, non riuscii a darmi una risposta.
Mi prese un dolore lancinante, merda, ancora le contrazioni! Non ne posso più!
Mi lasciai sfuggire un lamento, Bill e Tom si girarono all’istante verso di me, iniziarono a gridare l’uno sopra l’altro –Oddio, stai bene?-, -Che cazzo succede?-, -Tutto apposto?- e frasi del genere. –Calmi ragazzi!- Li zittii –fa un po’ male, sono le contrazioni, è normalissimo- dissi stringendo i denti, il dolore era fortissimo e durava un’eternità, ma non volevo che si preoccupassero. –Oh dio! Ora svengo, me lo sento!- disse Bill sventolandosi con la mano, alzai gli occhi al cielo –Per favore, state calmi! Tom per cortesia potresti evitare di fare le curve stile Formula 1 e di girarti verso di me ogni trenta secondi? Sto bene, se c’è qualche problema te lo dico. E tu Bill, respira profondamente, va tutto bene!- dissi ridendo, dovevo approfittare di questi minuti di pace dalle contrazioni per calmarli, poiché sapevo che la prossima sarebbe stata peggiore.

D’un tratto Tom suonò ripetutamente il clacson –Ma porca puttana! Proprio ora il traffico! Merda!- esclamò, proseguendo con un’altra serie di imprecazioni. Bill saltò dal sedile –Cooosa?! E ora che facciamo, non voglio assistere a un parto, vi prego sono troppo giovane!- piagnucolò. E ora? Non avevamo abbastanza tempo per percorrere tutta quella strada, compreso il traffico, prima che nascesse! Idea, idea, idea.. –Ce l'ho! Bill, prendi un fazzoletto e sventolalo fuori dal finestrino, ecco bravo! Tom? Tu suona il clacson, vedrete che ci faranno passare!- ridacchiai, -Dove hai imparato queste cose?- fece Tom sorridendo, -L’ho visto in qualche film, funziona eh?!- ridemmo tutti e tre.

-Noone knows how you feel, noone there you’d like to see..-
-Mi suona il telefono, Bill me lo passi che c’è Will che ingombra e non ce la faccio a prendere la borsa? Grazie!..-Pronto?-
-Amoreeeee!- gridò con tono esaltato la persona all’altro capo del telefono, -Mikiiiii!- risposi entusiasta, -Che stai facendo?-, -Sto andando in ospedale con Tom e Bill, perché ho le contrazioni ogni sette minuti! –Wow! Io sono appena uscita dal lavoro, posso venire anch’io? Tanto è di strada- allontanai un attimo il cellulare dall’orecchio e mi rivolsi a Tom –Amore passiamo a prendere Mikela a lavoro, sai dov’è?- -Sisi, ma sale in corsa, andiamo di fretta!- rispose tra un insulto e un altro rivolto a qualche automobilista capitato nel punto sbagliato al momento sbagliato, sorrisi –Mi..- mi prese una fitta tremenda, ecco la contrazione, cazzo è in anticipo! Respirai profondamente, come mi avevano insegnato al corso preparto, -Miki, arriviamo, un bacio- respirai ancora senza avere risvolti di alcun tipo –Oi tutto bene?- domandò preoccupata, -Sisi, a fra poco- ma quando finiva? Non ne potevo più.
Dopo poco, Tom accostò e Miki saltò letteralmente in macchina. –Ei amore come stai?- disse mentre sul suo viso si allargava un sorriso a trentadue denti –Mmm... Ho l’impressione di avere un rinoceronte che si fa strada all’interno del mio utero- mugugnai –Bleah! Un rinoceronte hai detto?- le lanciai un’occhiataccia, lei si volse verso Tom -Ciao Tom!- disse senza aver perso un minimo di entusiasmo, quello si girò, la guardò e suonò il clacson, Mikela si alzò di trenta centimetri dal sedile e urlò –Tom! Potresti evitare?- Kaulitz scoppiò in una fragorosa risata, seguita anche dalla mia –Miki, abituati! Ormai Tom ha intrapreso una relazione con il clacson, è una battaglia persa!- dissi ridendo. Bill emerse dal suo silenzio –Quanto manca? Ho la mano congelata!- Tom gli rispose che in dieci minuti, un quarto d’ora saremmo arrivati, mi sentii sollevata per un attimo, ma subito mi colse un’altra contrazione esattamente a sei minuti di distanza dalla precedente e dolorosa il doppio. Chiusi gli occhi e strinsi forte i pugni. Ormai le contrazioni mi duravano più di un minuto e riprendere fiato tra l’una e l’altra era veramente difficile.
Quando finalmente arrivammo in ospedale, ricordo che Tom parcheggiò l’auto esattamente in corrispondenza dell’entrata, scese per primo ordinando a Bill di trovare parcheggio e venne ad aiutarmi a scendere. Ricordo quanto fosse meravigliosamente irritante ricevere tutte quelle attenzioni che presto non avrei più avuto. Mi accompagnò tenendomi la mano fino alla porta della stanza del travaglio, dove avrei dovuto indossare quella specie di camicia da notte che avevo visto essere indossata da molte altre donne dall’espressione distrutta che stavano in giro per il reparto e dove avrei dovuto sopportare dolori non quantificabili. Prima di entrare Tom diede un bacio alla pancia e accarezzandola le sussurrò –Ei Will, fai la brava e cerca di non far soffrire troppo la mamma!-; ricordo che subito dopo mi sorrise alzando gli occhi. Sul suo viso c’era qualcosa di diverso, era forse il sorriso o qualcosa nello sguardo, non so, sembrava essere divenuto pienamente consapevole di essere un uomo adulto pur mantenendo ancora quei lineamenti e alcune espressioni da bambino. Lo trovai immensamente bello e mi stupii di quanto la sua bellezza ancora, dopo tutto quel tempo e dopo tutto quello che c’era fra noi, mi colpisse.
Gli sorrisi anch’io e lui mi diede un amorevole e premuroso bacio, uno degli ultimi.

Entrai in quella stanzetta orridamente piccola, dove delle infermiere mi interrogarono sull’andamento delle contrazioni mentre mi svestivano e subito dopo “vestivano”. Risposi loro sgarbatamente, purtroppo per loro non sopportavo la loro tranquillità, tanto meno il lavoro che svolgevano.
Di lì in poi furono solo contrazioni, che avevo smesso di misurare sia per durata di ognuna che per distanza l’una dall’altra.
Ricordo che non riuscivo a stare ferma, dapprima camminavo avanti e indietro per la stanzetta color prato, chiunque disse che il verde rilassi è un emerito coglione, successivamente mi sdraiavo sul lettino, poi mi sedevo e poi riprendevo a camminare.

Mentre percorrevo circa il quindicesimo kilometro all’interno di quella stanza di un metro cubo, entrò Mikela tutta rossa in viso, che si sfiorava le labbra con le dita, i suoi occhi erano al contempo estasiati e stupiti. –Miki cos’è questa faccia?- le domandai, in quello stato davvero non l’avevo mai vista eppure la conoscevo da quasi una vita. Quella boccheggiò come un pesce fuor d’acqua senza emettere alcun suono ed io la guardai interrogativa, -Si può sapere cosa ti prende?- mi veniva da ridere senza un motivo preciso. Rimase qualche altro secondo nella posizione nella quale era entrata e poi scattò verso di me –M..mi..mi ha b..ba..ciata- biascicò, -Ti ha baciata?- ripetei per assicurarmi di aver capito bene, lei annuì con lo sguardo perso, -Chi?- mi feci curiosa, mi domandai come fosse possibile che perdendomi solo dieci minuti potesse succedere di tutto. –Bill- mi rispose. Per un secondo rimasi con un’espressione allibita e il secondo dopo scoppiai a ridere, di gusto, stavo lacrimando. Mikela mi guardava sconcertata e perplessa, sovrastando la mia risata incontenibile con frasi del tipo –Non capisco cosa ci sia di tanto divertente- oppure –Mi spieghi perché stai ridendo?- con la voce scocciata.
Continuai a ridere, fregandomene dei dolori che volevano sopraffarmi, grazie a Mikela avevo trovato un’ottima distrazione! Ad un tratto però non sentii più dolore, come se si fosse tutto fermato, mi ripresi dalla risata mentre sentii un’ondata di calore bagnato.

Si erano rotte le acque!

 
 
  

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Capitolo 7
*** It hurts so. I'm screamin' on the top of the world, but I don't think I can be heard by you. ***


Ricordo solo pochi flash da quel momento alla nascita di Will, ricordo tanta confusione, gente che andava e veniva, innumerevoli controlli e dolori a dir poco inimmaginabili. Avevo solo diciotto anni, il mio corpo soffriva e cedeva di continuo perché troppo fragile per sostenere quei nove mesi ormai quasi al termine, innumerevoli volte ebbi capogiri o mi si annebbiò la vista. Ero piccola, gracile, inesperta il mio fisico aveva tenuto per tutta la gravidanza e ora non ce la faceva più. A dire il vero ricordo ben poco degli avvenimenti anche nella sala parto, ero confusa, molto stanca e vedevo tutto appannato. Figure in camice si muovevano, sembravano quasi fluttuare, e mi parlavano ma le loro voci alle mie orecchie giungevano ovattate, Tom era accanto a me, mi teneva la mano, mi guardava questo lo so per certo e mi rassicurava, diceva che tutto quel dolore presto sarebbe finito, che avremmo potuto vivere insieme per sempre con la nostra bambina, diceva che dovevo tenere duro e che tutto sarebbe andato bene. Io volevo rassicurarlo e dirgli che stavo bene ma dalla mia bocca uscivano solo mugolii strozzati tra il dolore e il pianto. Respiravo velocemente e cercavo di spingere ma le forze mi stavano lasciando, ormai vedevo la stanza attorno a me puntinata di nero e il battito del mio cuore non era regolare, i medici parlavano, urlavano forse ma non riuscivo a capire cosa dicessero, avevo paura per la bambina non volevo che le succedesse niente, volevo solo che nascesse, ma proprio non riuscivo a trovare energie, gli arti mi sembravano troppo pesanti; vidi l’oblio venirmi incontro invitante, il desiderio di abbandonarmi, di lasciarmi andare era fortissimo ma d’un tratto vidi un luccichio, un leggero scintillio alla mia destra, la mia mente collegò automaticamente, cominciai in un attimo a riprendere le forze, la mia mano si volse delicata e corse ad asciugare quelle lacrime sul volto del mio più grande amore.
Non lo avevo mai visto piangere, ogni sua lacrima mi lacerava dall’interno. Era troppo, -Non piangere- dissi con voce strozzata, Tom mi rivolse un sorriso forzato e io capii che non potevo permettermi di vederlo piangere, non era in alcun modo accettabile, era assolutamente troppo per la mia sopportazione. Iniziai a spingere forte, impiegando tutte le energie che avevo a disposizione, fregandomene della stanchezza, della vista offuscata, delle parole dei medici, di tutto quello che c’era intorno a me, tenevo ferma nella mia mente l’immagine del viso di Tom pieno di lacrime in modo da farmi forza fino alla fine. –Amore, ci siamo quasi, tieni duro- mi sussurrò Tom con una voce roca dal pianto e così feci. Quando Will nacque mi abbandonai sul lettino, con gli occhi chiusi, Tom mi aveva lasciato la mano e dopo un paio di minuti, affiancatosi a me disse –Amore, ecco nostra figlia, il nostro futuro, Will- era emozionato, schiusi gli occhi e li fissai dentro quelli di Tom e poi guardai Will, il frutto del nostro eterno amore, la presi tra le braccia, era un piccolo ragnetto, mi sembrò avere il corpicino tanto gracile che avvicinandola al mio petto la tenevo come se fosse il cristallo più prezioso del mondo. Era piccola piccola, il colore della pelle era strano, ma era bellissima, era cosa più giusta della mia vita, era mia figlia. La strinsi tra le braccia delicatamente, era il bene più prezioso, tutto ciò che di più bello potesse esserci al mondo, tutto ciò che di più bello si potesse volere dalla propria esistenza.
 Tom mi sorrise, mi diede un bacio che mi sembrò meraviglioso più di tutti gli altri; quel momento è incastonato nella mia mente, a volte mi acceca e mi chiedo per quale motivo adesso mi ritrovi senza di lui al mio fianco, quel momento di pieno e solo amore, di famiglia, forse era davvero chiedere troppo averlo per sempre, forse era chiedere davvero troppo avere una vita con lui e forse era chiedere davvero troppo, questa volta a me stessa, affrontarlo e poi andare via.

Il giorno seguente fui dimessa dall’ospedale, Tom aveva trascorso tutta la notte con me, mentre Bill e Mikela erano tornati casa e vennero a riprenderci nel pomeriggio. I medici fecero tutti gli accertamenti e le visite a Will che stava bene ed era sempre più bella. Tornammo a casa, in macchina vedevo Bill e Mikela sui sedili anteriori scambiarsi effusioni e mi sentii morire. Sperai per qualche secondo che tra loro non fosse amore, ma conoscendoli entrambi seppi che non vi era dubbio a riguardo. Allo stesso modo continuai a sperare che non fosse troppo tardi, non volevo che le accadesse quello che era successo e che stava ancora succedendo a me. 

Rivedere casa fu tremendo, era così accogliente, era anche mia ormai e presto avrei dovuto lasciarla, per sempre. Appena dentro con una scusa presi Mikela e la portai con me in camera di Will, lei sorrideva come non l’avevo mai vista sorridere, non volevo che entrasse anche lei nella mia sofferenza ma era giusto che sapesse –Mikela- la guardai seria –devo parlarti-, -Chiara tutto ok?- era già preoccupata, evidentemente l’espressione del mio viso era peggiore di come credevo. –Mikela, domani andrò via, lascerò per sempre Tom, porterò con me la bambina e spariremo, ti prego non cercare di farmi cambiare idea, è quello che deve essere fatto, non posso tirarmi indietro, capiscilo te ne supplico-parlai piano scandendo ad una ad una le parole, lei mi guardò allibita, -Cosa? Tu stai scherzando oppure sei matta! Ora tu devi spiegarmi per quale assurdo motivo stai dicendo una cosa simile!- era visibilmente scioccata, -Mikela calmati e ascoltami- presi un respiro e mi feci forza –Credimi devo farlo, io non vorrei, amo Tom sopra ogni altra cosa, è tutto per me e proprio per questo è giusto che io sparisca. Cerca di capire non posso più distruggere la sua vita- trattenni le lacrime, Mikela era sempre più sconvolta dalle mie parole e la sicurezza con cui avevo cominciato a parlare andava sempre più scemando–Chiara, allora, punto primo: non dire cazzate, sai perfettamente che non hai distrutto proprio niente, Tom è l’uomo più felice del mondo con te e ora che è nata Will lo è ancora di più. Punto secondo: Come puoi pensare di privare Tom della bellezza di essere padre? Come puoi pensare di non distruggergli la vita andandotene invece che restando? Come pensi che starà senza di te? Come pensi che starà senza aver nemmeno avuto la possibilità di crescere sua figlia? Punto terzo: smettila di dire stronzate- sapevo che se avessi detto un’altra parola non sarebbe più stata responsabile delle sue azioni, ma parlai lo stesso, cercando di mostrare una determinazione che era pressoché nulla –Perché non vuoi capire? La sua carriera andrebbe in fumo se non me ne andassi, pensa che bella pubblicità “Tom Kaulitz, il donnaiolo dei Tokio Hotel ha una figlia”, sarebbe una catastrofe, non posso distruggere i Tokio Hotel, lo capisci questo vero? Non posso rimanere, come faremmo a crescere Will? Sballottandola da un paese all’altro? Non le farebbe bene, senza contare il fatto che Tom dedicherebbe meno attenzione al suo lavoro e io non posso permetterlo- abbassai gli occhi, -Ti prego smettila, le tue argomentazioni sono futili, il meglio per Tom è stare con te e sua figlia e il meglio per Will è stare con la sua famiglia, tutta! Finiscila di blaterare inutili idiozie-si girò dall’altra parte, cercando di fare ordine in quella camera, era vero le mie erano chiacchiere confuse, mi innervosiva non riuscire a spiegarle che non c’era via d’uscita, sbottai -Cazzo perché non lo capisci? Devo andare via! Non ho scelta! Il mio tempo qui è finito, concluso! Non posso più restare, i produttori mi hanno intimato di andarmene e tutto sommato le loro ragioni non erano affatto instabili!- avevo detto troppo, lo sapevo, avevo parlato frettolosamente, guidata dalla rabbia e dalla frustrazione senza rendermi conto che non avrebbe dovuto sapere il vero motivo.
Ero nei guai, Mikela si volto con lentezza verso di me, aveva gli occhi fuori dalle orbite –Cosa?- gridò, -Miki ti prego abbassa la voce- la interruppi prima che fosse troppo tardi, -Cosa diamine? No, non è vero! Chiara sono denunciabili, io non posso crederci!- si sforzava di tenere la voce bassa e perciò risultava stridula, -Ascolta, non posso spiegarti tutto, ma non ho altra scelta, non posso fare nient’altro, devi credermi- Mikela si accasciò sul divano angolare, tenendosi la testa fra le mani, -Come puoi non avere altra scelta? Dillo a Tom, ribellati Chiara, non possono avere il potere di cacciarti a calci senza che tu nemmeno opponga resistenza, non ha senso, lasciando per un attimo perdere cosa succederebbe a Tom senza di te perché sarebbe una catastrofe e lo sai, non pensi a te? Cosa farai? Come tirerai avanti la tua vita e quella di Will?- s’interruppe, mentre scorrevano sul suo volto lacrime pesanti, cercai una risposta a quelle domande, in effetti come avremmo fatto? Avrei dovuto trovare un lavoro e una casa in affitto, ma come avrei fatto a sostenere l’affitto, le cose da mangiare e da vestire per due? Mi guardi intorno spaesata, Mikela nemmeno mi guardava, -Facciamo così ok?- incominciò –Se è vero che non puoi fare niente per restare, almeno devi permettermi di vederti, perciò verrai a vivere a casa mia, è in periferia ma dovrebbe andare bene- era come se non stesse davvero parlando con me, -Miki in realtà io preferirei non approfittare della tua gentilezza, perché se scoprissero che sono in città e che sono a casa tua sarebbero cavoli per tutte e tre- Mikela mi guardò, i suoi occhi erano gonfi e rossi, -Che lo scoprano! Chiara io non sono come te, sai perfettamente che me ne frego, quindi tu verrai a casa mia, fine della discussione- Davvero non avrei voluto mettere anche lei nei casini, ma che altre possibilità avevo? Almeno avrei tenuto i rapporti con lei, mi sedetti al suo fianco e l’abbracciai –Grazie Miki, non so davvero come ringraziarti, vedrò di ripagarti in qualche modo- lei mi strinse e una lacrima percorse anche il mio viso; la mia vita sarebbe radicalmente cambiata, di quello che ero stata fino a quel momento non vi sarebbe rimasta traccia se non mia figlia.
Ci asciugammo entrambe le lacrime e uscimmo sul balcone di quella camera che dava sul giardino a fumare una sigaretta, erano nove mesi che non fumavo e quella Marlboro mi sembrò mai più buona. Dopo un poco si sentì la porta bussare ed entrò Tom che mi venne incontro con un sorriso grande e dolce, prima di dire qualunque cosa fece scorrere un braccio sulla mia schiena e mi tirò a se baciandomi.  Che cosa meravigliosa baciarlo, la morbidezza delle sue labbra e la dolcezza della sua lingua, un sapore di cui avrei potuto vivere; e accarezzare la sua guancia, il collo e il petto, sentire le forme del suo corpo millimetro per millimetro era pura e reale estasi. Lo pregai a lungo nella mia mente di non lasciarmi e di continuare quel bacio così vitale e lui accolse ogni volta le mie preghiere implicite finché non ci dividemmo insieme, io rimasi a occhi chiusi ancora su un universo parallelo con un sorriso stupidamente imbarazzato sul viso, Tom mi strinse a se ancora di più forte e mi diede un soffice bacio sulla fronte. Aprii gli occhi e trovai i suoi dentro i miei, era davvero incredibile quanto parlassero i suoi occhi, erano qualcosa di unico al mondo qualcosa di meravigliosamente unico.

Mikela stava per andarsene quando Tom si girò e disse che era ora di cenare e che dovevamo sbrigarci a scendere prima che Bill rincoglionisse Will con tutti i vestiti di Dior che le avrebbe comprato! Mikela rise e oltrepassò la porta gridando –Biiiiill? Cosa stai facendo alla povera Will? Tiè fa pure rima!- e corse di sotto, stavo anch’io per oltrepassare la porta della camera quando Tom mi si mise davanti, lo guardai perplessa e divertita –Tom cosa fai? La cena è pronta o meglio è arrivata, non dovremmo?- di tutta risposta Tom chiuse la porta con un piede e mi guardò malizioso, io trattenevo le risate guardandolo fisso negli occhi, lui aveva dipinto sul suo viso un sorrisino incantevolmente provocante che mi causò un capogiro
–Era tanto che non mi baciavi così- disse con voce suadente mentre mi veniva sempre più vicino, il mio cuore batteva a briglie sciolte un paio di volte aprii la bocca senza emettere suoni, mi mancava il fiato, non poteva avere quell’atteggiamento maledettamente seducente sarei morta, in effetti era tanto che non lo facevamo d’altronde in gravidanza tra un disastro e l’altro non era stato esattamente il caso, oh mio dio, il mio corpo necessitava del suo, era così evidente?! –Beh non dici niente?- domandò con voce sempre più provocante, ormai mi sovrastava con il suo corpo, il suo profumo mi inebriava arrecando scarsa lucidità a tutto ciò che mi fosse intorno tranne lui. Non opposi resistenza al fiume di eccitazione che mi pervadeva, non che potessi oppormi, lasciai che si impadronisse di me; lo baciai spingendolo contro la porta, egli rispose al bacio con fervore stringendomi al suo corpo, facendo aderire ogni centimetro del mio corpo al suo, sentii le sue mani scorrere lungo la mia schiena trattenendola ben salda a lui e poi stringere il mio bacino facendolo aderire al notevole rigonfiamento dei suoi pantaloni, mentre i nostri baci erano sempre più intensi. Feci passare la mano sotto la sua maglietta sentendo il contatto con la sua pelle d’orata, sentii dapprima il ventre e salii verso gli addominali fino ai pettorali e le spalle, la velocità con cui il cotone di quella maglietta non fu più aderente alla mia mano fu quasi fulminea. Non appena le nostre labbra si riunirono Tom mi prese imbraccio, le mie gambe gli cingevano i fianchi, sentivo la mia pelle bruciare, mi adagiò sul divano raggiungendomi un attimo dopo, mi sfilò la maglia e gli shorts, baciandomi ovunque, io feci scendere una mano dal petto fino al ventre e sbottonai il pantalone che lui fece scivolare via, la feci passare sul turgore del suo membro eccitato.
Tom si fermò –Amore hai partorito ieri non credi che forse non è il caso di..insomma di.. sì di fare l’amore ecco- quanto era dolce mentre diceva “fare l’amore”, era qualcosa di straordinariamente emozionante sentirgli dire quelle due parole più articolo, oh si avrei voluto proprio fare l’amore e magari non smettere mai. Collegai dopo un po’, -Certo che mi pare il caso, io voglio fare l’amore con te adesso!- lo guardai contrariata –Amore questo non lo metto in dubbio e sai quanto lo voglia fare anch’io, ma sarebbe meglio aspettare un paio di settimane prima di farlo, ho chiesto al medico in ospedale e mi ha detto che in generale conviene che si ripristino le condizioni fisiche normali prima di riprendere la vita sessuale, ora se tu hai chiesto al ginecologo è meglio il suo parere ovviamente- perché mi guardava così? Avevo solo partorito, non era una cosa così grave, non ero fragile e indifesa, volevo solo fare l’amore con l’uomo della mia vita. La mia espressione diveniva sempre più contrariata –Se speri che aspetterò un paio di settimane signor Kaulitz ti sbagli di grosso!- esordii, forzando un’ironia quasi ben riuscita, -dopo cena chiamo il ginecologo e vedrai che dirà che possiamo fare l’amore già da oggi- misi su un broncio in parte finto e in parte vero, Tom rise un attimo e poi riprese a baciarmi con la stessa foga di prima premendo il contenuto dei suoi boxer tra le mie gambe. In un attimo si allontanò di pochi centimetri dal mio viso –Cena?- il suo pene adagiava ancora in corrispondenza del mio organo e ciò non facilitava una risposta intelligente –Se allontanassi quell’arma dalla mia vagina, potrebbe essere possibile che riesca persino a dirti di si-.
Tom scoppiò a ridere e si alzò dal divano, porgendomi una mano io la strinsi e lo tirai di nuovo sul divano questa volta salii io sopra di lui e lo baciai sulla bocca e sul collo mentre con la mano iniziai a esplorare l’interno dei suoi boxer facendogli scappare gemiti di eccitazione e piacere, in un secondo mi sedetti a cavallo sul suo bacino e iniziai a simulare un rapporto aumentando sempre di più il ritmo, Tom ansimava e gemeva sempre più forte ed io non ero da meno, la sua eccitazione era al massimo, il suo membro caldo ed eretto non era mai stato così duro, smisi d’un tratto –Cena?- gli feci il verso, avevo avuto la mia vendetta ed era stata anche non poco piacevole. Sorrisi soddisfatta, Tom mi guardò ridendo –Mi spieghi come lo nascondo ora?- scoppiammo a ridere entrambi. Dopo raccolsi la sua maglia e la indossai, era talmente grande che mi faceva da vestito nel frattempo Tom aveva recuperato i suoi jeans e li stava infilando nella speranza che la sua protuberanza non fosse così evidente, con scarsissimi risultati.

Giunti alla soglia delle scale Tom mi fermò prendendomi una mano, mi girai –Che c’è?- domandai, lui mi guardava –Ti amo-, -Ti amo anch’io- risposi ricambiando lo sguardo, -Ok ora cena!-esclamò.

Sorrisi e lo fece anche lui.
  

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Capitolo 8
*** Die Welt hält für dich an, hier in meinem Arm ***


-8.Die Welt hält für dich an, hier in meinem Arm

A farmi tornare al presente fu la sensazione di soffocare, ritornai alla casa in periferia,  lontana dalla mia vita, lontana da lui e forse lontana anche da me stessa. In quel momento sentii di non avere più nulla, di aver perso tutto, di essere a terra senza difese completamente annullata, il cuore aveva ormai lasciato il suo posto ad una voragine che si faceva via via più profonda, qualsiasi concetto si rifiutava di essere concepito, qualsiasi pensiero di essere riflettuto, il fatto di avere un corpo, una vita, delle responsabilità, una figlia era totalmente evaso dalla mia mente per lasciare solo il vuoto, il nulla popolava la mia mente, le mie abilità fisiche erano scomparse, restavo immobile con lo sguardo perso, di chi non ha più motivi per andare avanti, torturata solamente da un dolore cieco che invadeva tutta me stessa. Le concezioni di spazio e tempo si erano dissolte, ero sola, circondata dal nulla, preda della mia sofferenza.
Dopo un tempo indeterminato mi accorsi di essere percossa con veemenza, ma cosa poteva importare a me che ero morta dentro? Continue e sempre maggiori percosse, con lentezza focalizzo lo sguardo su quella  persona che riconosco come Mikela –Chiara, Chiara cazzo, vuoi reagire? Chiara, santo cielo, urla, dimenati, prendimi a pugni ma ti prego fa’ qualcosa- il grido strozzato era finito in un chiacchiericcio piagnucolante –Chiara ti prego- già due lacrime le scorrevano lungo il viso. Senza dire una parola l’abbraccio, nemmeno lei dice nulla, di tanto in tanto un singhiozzo le alterava il respiro, sapevo che non ci sarebbe stato bisogno di dire nulla, almeno non quella sera, ci sdraiamo sul divano in salotto, la stringo tra le braccia e le accarezzo la schiena. Lei si calma presto, di tanto in tanto mi guarda, sa che chi ha bisogno sono io e non lei, ma sa anche che io ho bisogno di tempo, di pensare, di stare da sola nella mia testa. So che si sente in colpa, lo vedo, per aver pianto, per aver ceduto, si addormenta, doveva essere parecchio stanca. Io rimango sdraiata immobile, con gli occhi sbarrati tutta la notte. Lo avevo lasciato, ero scappata nella notte, prendendo tutto quanto potessi infilare nell’auto di Mikela, come avevo potuto? Il suo sonno era così pesante, il suo respiro delicato e il suo viso sereno forse per il sogni di un futuro avido di felicità che io spezzavo nell’istante in cui lo guardavo dormire, con gli occhi pieni di lacrime, incapace di muovere le gambe verso la porta. Come ho potuto? Non gli ho lasciato nulla, né un biglietto, né un recapito solo una cameretta dipinta e una culla vuota. Mi odierà avevo pensato, mi odierà per sempre, per avergli negato la possibilità di conoscere sua figlia, di crescerla, di viverla ogni giorno, per aver preso la decisione senza di lui, per averlo estromesso dalla sua stessa vita, quella che con coraggio aveva scelto dedicandole tutto se stesso.

Da quando sono uscita da quella casa non sono più riuscita a cercare notizie di lui, ma so che è a pezzi, so di averlo distrutto, di aver sgretolato ogni sua speranza di una vita normale e forse di una vita felice. Il solo pensiero mi uccide. L’ho fatto per lui, ho dovuto farlo per lui, per la sua carriera, non avevo scelta. Farnetico. Non potrò mai perdonarmi o perdonare Karl per averci fatto questo. A volte sento Mikela parlare al telefono con Bill, stanno ancora insieme, ma discretamente, lei senza una apparente ragione logica ha proposto a lui di allentare un po’ il rapporto. Bill ha pensato che lei fosse spaventata dai legami e dal legame con lui nello specifico, non sa, non sa nessuno qual è la verità. Mikela si nasconde quando parla con lui ma casa è piccola e in fondo è il mio stesso corpo ad ascoltare anche se non dovrei, non vorrei. Sento Mikela consolare Bill che è in pena per il fratello che è in pena per me, quella su cui ricade la colpa. So che Tom non è più lo stesso, non scherza, non ride e spesso si arrabbia con chi gli capita a tiro, spesso con lo stesso Bill. La situazione in quella casa è insostenibile, ho sconvolto il loro status quo, i loro equilibri, non so se posso convivere con questa consapevolezza, non so se posso convivere con me stessa.

Mi alzo scossa dal pianto di Will, la ragione per cui ancora respiro, il mio corpo è stanco e la mente esausta dal troppo pensare, corro in camera e prendendola tra le braccia la cullo camminando su e giù per la stanza cercando di calmarla ma dai suoi occhi non smettono di scendere lacrime dense. I suoi occhi meravigliosi un po’ a mandorla come quelli del padre, del colore del mare con ciuffi di pagliuzza color miele attorno alla pupilla sono come i miei con dentro il riflesso di quelli di Tom. –Non piangere amore la mamma è qui con te- le sussurro stringendola al petto, le porgo il seno sedendomi al centro del letto e sembra tranquillizzarsi poco alla volta. E in parte anche io, la sua dolcezza, la sua purezza rimettono insieme i cocci di quello che sono. Il suo riso può portare gioia anche nei posti più bui della Terra, può accendere le stelle quando il cielo è nuvoloso, può vincere ogni cosa. Giuro. Lei non è sbagliata, non è un errore, non è la causa, non è un problema, non lo sono io, non lo era la nostra famiglia. Avremmo potuto essere la soluzione, avremmo dovuto essere la soluzione.

 Finita la poppata fissa i suoi occhi grandi dentro i miei, sembrano nascondere un segreto, le accarezzo il viso con delicatezza e le do un leggero bacio sulla fronte, quella bambina mi salva e mi uccide contemporaneamente, guardarla è come accedere al mio dolore e alla mia colpa e alla parte migliore di me. Dal cellulare metto “In die Nacht” quasi come un sussurro, lei piano piano si addormenta e io stendendomi lentamente sul letto metto a riposo la mia mente colmandomi solo della gioia e dell’amore che provo nell’avere quella bambina tra le braccia.

Il mattino arriva presto, indesiderato, raggiungo con Will la cucina dove trovo Mikela che ha già preparato il caffè e sta cucinando i pancakes, -Buongiorno! Non posso credere di essermi addormentata sul divano stanotte, come state? Fammi vedere la bambina più dolce del mondo..- si avvicina e con versetti strambi inizia a giocherellare con lei, Will ride di gusto e posa entrambe le manine sul viso di Mikela –Ahahah sei la più bella del mondo? Sisi che lo sei amore di zia!-. Rido anche io, adoro questi momenti e anche se il segno della notte scorsa è rimasto insieme a quello di altre notti, riesco ad attenuarlo e a riporlo da una parte per godere dei giorni con Will –Si ok Miki, Miki?! Ehi?- cerco di attirare la sua attenzione –Mikela i pancakes si bruciano!- lei alza lo sguardo sdegnato su di me –Ok mammina!- mi fa una boccaccia –Hai visto amore di zia la mamma ha fame e vuole impedirmi di stare con te!- le stampa un bacio sulla guancia morbida e torna ai fornelli. Mi siedo a tavola e inizio la poppata del mattino sorseggiando il caffè e parlando di del capo di Mikela, della spesa da fare e poi le chiedo -Hey Mich a che ora devi stare a lavoro? Mi terresti Will un paio d’ore che devo andare a fare l’esame stamattina e insomma non va di portare anche lei..-. –Oh ma certo, ah ma è oggi! Non mi ricordavo, finalmente ti levi il pensiero tanto è solo una formalità lo sai meglio di me! Comunque si si la tengo io, ti serve un passaggio?- -No grazie Miki passa a prendermi Mark alle 9, e forse è meglio che vada a prepararmi è già tardissimo!- guardando l’ora, metto la bambina nel seggiolino auto che usavamo per tutto, le do un bacio e poi un altro e lei stringe la sua manina attorno al mio dito. Dopo dieci minuti netti ero di nuovo in cucina pronta per andare a scuola, indossavo una bella camicetta azzurro cielo, stavo inghiottendo un pancake quando suona il clacson fuori alla porta di casa. Ancora con la bocca piena saluto Mikela con un bacio e Will con il solletico sulla pancia, e letteralmente salto fuori di casa. Intravedo il viso sorridente di Mark mentre scendo gli scalini a velocità supersonica, inciampo per salire in macchina e mi ritrovo con la faccia sul sedile. Mi rialzo ridendo –Buongiorno signorina, in ritardo come sempre, ma non per questo devi schiantarti nella mia macchina!- ridacchia Mark, io mi ricompongo sul sedile –Scusa Mark so che non dovremmo fare tardi ma non posso farci niente, è più forte di me più cerco di essere in orario e più arrivo in ritardo- mi esibisco in un sorriso tirato che fece solo ridere di più Mark. Il viaggio in auto fortunatamente è stato breve e tutto sommato non avevamo totalizzato neanche un ritardo troppo imbarazzante –Buona fortuna Chiara!- -Ma come tu non vieni dentro? Dai per favore ho bisogno di una faccia amica!- lo supplico e alla fine lo convinco. Dopo una buona mezzora esco con il diploma in mano! Finalmente era finito, finalmente ero diplomata! –Ehi ti va di andare a prendere un caffè o qualcos’altro insomma dovremmo festeggiare- esordisce Mark abbracciandomi, -Volentieri hai qualche posto in mente?- -In realtà sì, perciò sali in macchina e vedrai- mi guarda con un sorriso fin troppo gentile, chissà cosa vede di me. Non gli ho mai raccontato il motivo per cui era finita con Tom, a dire la verità non avevamo mai affrontato il discorso, o forse io lo avevo sempre evitato abilmente. Mi ha sempre rispettata Mark, non so perché, ma non ha mai voluto chiedermi più di quanto non volessi dire e non ha mai cercato di superare la barriera professionale che ci divideva, rimanendo sempre una persona disponibile, interessata al mio benessere. Ha sempre gestito le mie giornate storte al meglio, standomi accanto quando ne avevo bisogno e lasciando perdere quando nulla avrebbe potuto contro le mie sfuriate. È proprio una brava persona in effetti, e forse non l’ho mai ringraziato abbastanza. Sorrido e salgo in auto, dopo poco parcheggia davanti a un bar molto carino dall’aspetto contemporaneo –Che bello qui, non ci sono mai stata, eppure non è così lontano da casa mia- esordisco aprendo lo sportello e ringraziandolo nella mia mente per non avermi portata in centro dove avrei potuto incontrare Tom.

Ci sediamo in un tavolo a fianco della vetrata che da sulla strada e ordiniamo per me un succo all’ananas e per lui un caffè, chiacchieriamo del più e del meno mentre il tempo passa e parlare con lui anche di cose futili è bello, è come tornare alla normalità, è come essere una qualunque ragazza in un bar.  –Insomma ora che ti sei diplomata non ci vedremo più- una strana espressione compare sul viso di Mark, scherzando gli rispondo –Beh dovresti essere contento di non avermi più tra i piedi!- -Veramente no, adoro gli studenti cocciuti e tu senza di dubbio ne sei l’emblema- replica con un occhiolino. –Ahahah scommetto che non sentirai la mia mancanza, come studente sono difficile e come persona anche di più! Vedrai che sollievo insegnare ad altri ragazzi, magari più spensierati e con meno problemi- continuo ridacchiando, -E se io volessi continuare a vedere te?- mi domanda con un mezzo sorriso. Un attimo di silenzio cala sul tavolo finché si sente vibrare un telefono, il mio. –Scusami- borbotto vedendo che era Mikela che mi stava chiamando; mi alzo ed esco dal bar mentre rispondo presa da una strana ansia –Pronto?- -Chiara devi tornare subito qui, ti ho chiamata duecento volte, dove hai la testa?!- risponde concitata, la sua voce rotta dalla tensione non fa che accrescere enormemente l’angoscia dentro di me –Santo cielo è successo qualcosa alla bambina? Oh mio dio che è successo? Sta bene? Dimmi che sta bene ti prego!- la supplico, -No Chiara non si tratta di Will, lei sta benissimo anzi è stata buonissima, abbiamo giocato, le ho dato il latte in polvere caldo ma non bollente come fai sempre tu e poi si è addormentata- risponde immediatamente notando che stavo per impazzire, -Allora che succede? Sento che sei strana!- mentre le porgo queste domande, dal cellulare sento dei botti –Mikela che diavolo erano quei botti?- riprendo attonita. –Chiara torna subito qui, non farmelo ripetere- usa un tono deciso, ma più che un ordine sembra che mi stia implorando –Cristo santo dimmi che succede! Mi sto preoccupando. Siete a casa vero? Oh mio Dio stanno sfondando la porta sono i ladri!- mi accorgo di aver cominciato ad urlare e sbraitare, tanto che Mark dapprima mi lancia uno sguardo interrogativo e poi va verso la cassa per pagare e si appresta ad uscire.

–Non sono i ladri Chiara, ma devi tornare qui…- fece una pausa -È  Tom, è fuori dalla porta da venti minuti, urla e vuole entrare. È successo un casino: stava facendo un’intervista insieme agli altri e si vedeva che non stava bene, non scherzava come fa sempre, era muto finché la giornalista non gli ha chiesto come andasse la sua vita amorosa, visto che era un periodo che si comportava in modo strano, pensa che ha addirittura fatto un concerto ubriaco marcio! Ecco a quel punto è successo tutto.. Ha iniziato a sbraitare dicendo che non potevano fargli quella domanda, che si erano accordati telefonicamente per escludere quell’unica domanda, che la giornalista non aveva rispetto e dopo un paio di imprecazioni verso di lei, è uscito dalla saletta correndo. Bill, Georg e Gustav hanno provato a salvare l’intervista ma ormai la situazione era insalvabile soprattutto perché tutte le telecamere stavano seguendo Tom.- fece un’altra pausa –Chiara stai bene?- nessuna risposta –Chiara rispondi stai bene?- di nuovo nessuna risposta –Chiara porca troia! Rispondimi ti prego!- la sua voce era strozzata dal pianto –E poi che è successo? Continua.- la voce quasi un bisbiglio, la mente incapace di comprendere, il cuore aveva capito fin troppo. –Tom era in lacrime anche se cercava di nasconderlo, si è precipitato nella Cadillac e ha guidato fino a qui seguito da un’orda di giornalisti che non vedono l’ora di avere un nuovo scoop.  Ora è fuori dalla porta ed è veramente disperato, devi parlare con lui, quindi ti prego ancora una volta vieni qui.- era sconvolta e lo ero anche io –Arrivo- rispondo secca e chiudo la telefonata.

Mark mi sommerge di domande ma non ho tempo per rispondere, non ho tempo per spiegargli. –Grazie Mark, davvero- lo saluto di fretta e inizio a correre verso casa, sento Mark che grida qualcosa mentre mi allontano ma non posso stare a sentirlo ora, devo correre, solo correre il più velocemente possibile, devo raggiungere Tom.

Non sono più io a governare il mio corpo, reagisce da solo, anche se volessi non potrei fermare le gambe. Il fiato mi manca e sento una stretta forte alla bocca dello stomaco, le gambe quasi non toccano il terreno per la velocità e potrebbero cedere da un momento all’altro. Corro, corro e basta, non penso, non so pensare, la mente è vuota ad eccezione di un unico pensiero :”devo arrivare lì”; è come se si fosse spenta e avesse lasciato carta bianca all’istinto, alle emozioni. Nel tiro alla fune tra mente e cuore, la mente ha lasciato la fune ed il cuore macina metri e metri, inesorabile, tirando la fune da solo. Vedo casa, in lontananza, o meglio vedo una folla di persone con telecamere e macchine fotografiche e capisco che è casa mia. Corro più forte anche se le energie ormai sono del tutto esaurite. –Permesso! Levatevi!- grido cercando di farmi largo tra la folla, ma nessuno sembra volersi muovere di un centimetro. Non posso mollare! Grido ancora più forte, cerco di spostare le persone a spintoni e passo sotto i loro gomiti alzati per riprendere Tom, facendomi più piccola che posso. Passo di traverso tra due giornalisti in prima fila e finalmente lo vedo. È accasciato a terra con gli occhi gonfi, la testa appoggiata alla porta, fuma una sigaretta con lo sguardo perso nel vuoto. Non mi vede nemmeno. –Tom!- lo chiamo e mi precipito verso le scale e lo abbraccio prima che lui faccia in tempo a realizzare che sono davvero io.
 

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