La Guerra Della Trinità di Jakrat (/viewuser.php?uid=517214)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** In Missione ***
Capitolo 3: *** Benvenuti ***
Capitolo 4: *** Riunione ***
Capitolo 5: *** Passato ***
Capitolo 6: *** Imboscata ***
Capitolo 7: *** La Verità ***
Capitolo 8: *** Collisione ***
Capitolo 9: *** Bilico ***
Capitolo 10: *** Vendetta ***
Capitolo 11: *** Potere ***
Capitolo 12: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo
Principi
Vista
dall'alto, la grande città sembra un caleidoscopico paradiso
di asfalto, case e giardini. E, camminandoci dentro, è davvero
così.
Le
larghe strade di asfalto di allungano in tutte le direzioni, in una
fitta rete dove le automobili sfrecciano in tutte le direzioni,
brillanti come diamanti grazie alle carrozzerie lucide.
Il
sole e i lampioni ai lati delle case garantiscono tanta luce che pare
non debba mai calare la notte. Grazie a questo, i grandi palazzi del
centro, trionfi di cemento armato e vetro che nella loro altezza
sembrano voler sfidare il cielo, splendono come cavalieri in
armatura: epici eroi che, con la forza del lavoro, della politica e
della burocrazia, garantiscono l'ordine nella vita dei cittadini.
Ma
sotto i grandi palazzi, dietro le strade illuminate e le famiglie
felici, un altro tipo di ambiente si sviluppava: in una eterna
penombra dovuta alle decine di piani dei palazzi intorno a loro, la
parte più disagiata della popolazione dava libero sfogo ai
loro istinti.
Nonostante
le strade sporche dalle cartacce e sacchetti buttati a terra alla
rinfusa, vagabondi e senzatetto restavano seduti su pannelli di
cartone, imbacuccati in coperte di flanella mentre battevano i denti
e guardavano con occhi supplichi i passanti; nelle piccole case tra
un palazzo e l'altro, una lanterna rossa appesa alla parete lasciava
ben intendere che genere di attività si stesse svolgendo al
suo interno; oscenità scritte sulle pareti e un notevole
viavai e passamani di buste, siringhe e denaro lasciavano ben
intendere quale clima si respirasse dietro alla facciata di ordine
che il centro città dava.
In
mezzo a questo degrado, una figura massiccia e imponente avanzava,
con le mani intrecciate dietro la schiena, respirando a pieni polmoni
quell’ambiente che, per lui, sapeva di casa.
Lui,
un armadio di due metri per più di un quintale di peso che
rispondeva al nome di Alastor Sullivan, era il classico soggetto che
la gente evita come la peste. Grosso come un bue e poco più
sveglio, si guadagnava da vivere usando la sua forza erculea per
sistemare alcuni affari «ostici» per conto di una delle
famiglia malavitose del posto.
La
famiglia Sullivan esercitava un rigido controllo su una parte della
città e si era perso il conto di ossa che avevano fatto
spezzare e denti fatti ingoiaRe per estorcere denaro o minacciare. E
una buona parte di queste spedizioni punitive erano affidate ad un
solo uomo: Alastor. Il nipote del padrino.
Era
ironico vederli assieme, poiché il capofamiglia, Lucius
Sullivan, in piedi non arrivava nemmeno al petto del suo scagnozzo,
eppure il rispetto tra i due era tangibile nell’aria, ogni
volta che i due si incontravano.
Rispetto,
non affetto. Non bisogna mai mischiare gli affetti con gli
affari e Alastor, almeno in apparenza, sembrava avesse accettato
questo fatto.
Il
suo ambiente era quello, una strada, tanta criminalità intorno
e un’alta probabilità di farsi passare quel prurito
fastidioso alle mani che sentiva spesso.
Sì,
perché se c’era qualcosa che Alastor soffriva era quel
dannato prurito che affliggeva quelle mani grandi come badili, più
simili a zampe come pelle, piuttosto che veri e propri arti umani. Se
c’era qualche spedizione da compiere per conto dello zio,
poteva farselo bastare per una giornata, ma quando gli affari sono
stabili… insomma, c’è bisogno di qualcos’altro.
Aveva
provato a farsi passare questo sfogo andando in palestra, ma il solo
fatto di dover seguire delle regole per mettere fuori gioco qualcuno
gli levava tutto il divertimento. Al quarto incontro perso perché,
a quanto sembrava, non potevi prendere un uomo per la cintura e
lanciarlo come un pacco postale fuori dal ring, Alastor aveva capito
che quello non era il suo posto.
Certo,
era un atteggiamento rischioso e tutti i tagli e cicatrici che si
potevano vedere sul suo volto e sul petto lasciavano intendere come
la sua cortesia nel limitarsi a lasciare occhi neri e fratture
multiple dietro di se veniva spesso ricambiata con una quantità
di piombo pari al suo peso.
Non
che gli dispiacesse, ovvio. Era giusto lasciare qualcosa con cui
compensare il divario di forze tra loro due.
Nonostante
tutto, c’erano una regola o due che affollavano la testa,
principi che seguiva diligentemente: era più bestia che uomo,
questo lo ammetteva anche lui, ma anche le bestie hanno i loro
principi!
Forse.
Nel
dubbio, lui gli aveva.
Quella
sera in particolare, mentre avanzava tra i rifiuti di un vicolo
perpendicolare alla via principale, avrebbe dovuto rispettare uno di
quei due principi.
Prima
di svoltare, udì un rumore inconfondibile: passi rapidi, gente
che si butta a lato per non farsi travolgere e un pesante ansimare
sommerso dalle risate di alcuni aguzzini. Qualcuno che scappava, Dio
sapeva da cosa e perché. Dal suono che facevano i suoi passi,
il fuggiasco doveva avere indosso delle scarpe con i tacchi alti:
forse era una prostituta che scappava da clienti troppo violenti.
Almeno,
in quel neurone che rimbalzava nel cranio di Alastor, se qualcuno
indossava i tacchi doveva essere una donna. Niente mezze misure.
Sfortunatamente
per gli aguzzini, uno di questi principi che regolavano la vita di
Alastor era che le donne non si potevano toccare neppure con un
fiore: per quanto poteva saperne, potevano essere la madre di
qualcuno… ed era meglio non dire cosa lui aveva fatto al cane
che aveva avuto l’ardire di alzare una mano su sua madre.
Si
può solo dire che alzò una mano, perché
l’altra stanno ancora cercando di levargliela dalla bocca.
Alastor
rimase in attesa, nascosto dietro l’angolo in attesa che la
donna in pericolo gli passasse davanti, così da poterlo
lasciare divertire con gli assalitori.
Passò
avanti a lui una ragazzina dai lunghi capelli scuri e vestita di
stracci. Nonostante le scarpe, le sue gambe innaturalmente lunghe le
davano una grande velocità.
Ma
questo non gli importava molto, così come le ragioni dietro la
sua fuga: forse doveva dei soldi a quei tizi, forse si era spinta
troppo in là con gli insulti…
Non
appena la donna superò Alastor, lui sbucò dal vicolo
con il braccio teso, prendendo in pieno collo il primo degli
inseguitori. Questo, una volta colpito, fece una capriola a mezz’aria
prima di atterrare sgraziatamente di schiena sull’asfalto del
vicolo, emettendo in tutto questo tempo solo un gridolino soffocato.
Il
secondo, senza ancora accorgersi di cosa stesse succedendo, ricevette
un diretto sul volto che percepì come se avesse corso contro
un muro e finì con il fare compagnia all'altro già per
terra.
Il
terzo, infine, fece appena in tempo ad accorgersi che due suoi
compagni si erano scontrati contro un muro che aveva girato l’angolo,
prima di trovarsi afferrato per la faccia e sbattuto contro la
parete. Se la faccia non va alla parete, la parete va alla faccia.
Terminata
l’opera, Alastor rimase in piedi, osservando i tre tizi che
tentennavano ad alzarsi mentre si massaggiavano il grosso livido sul
muso. Si trattava di teppisti estremamente stereotipati: fisico esile
e slanciato, occhialoni da sole, naso aquilino, piercing sulle labbra
e le narici, una fantasiosa cresta sul capo altrimenti rasato e un
linguaggio da strada così abusato da aver perso ogni
credibilità e tono di minaccia.
Quando
questi riuscirono finalmente a rialzarsi, trovarono Alastor a
guardargli in cagnesco massaggiandosi le nocche.
Ricordandosi
improvvisamente di non avere a disposizione un fucile anticarro, o
almeno una falange romana per difendersi dall'energumeno, il trio si
diede alla fuga correndo di gran carriera nella direzione opposta a
dov'erano venuti.
Rimasto
solo, Alastor udì qualcuno cadere. Voltandosi, riconobbe la
donna che stava scappando: uno dei tacchi le si era rotto ed era
rovinosamente inciampata su di una pila di sacchi dell’immondizia.
Senza
aggiungere una parola, lui la raggiunse con passo pesante.
La
ragazza lo guardò, indecisa se essere spaventata o no: ai suoi
occhi apparve un omone semplicemente enorme, il volto squadrato pieno
di tagli e cicatrici, i capelli scuri che cadevano lisci lungo il
volto e il fisico possente, sembrava un blocco di granito animato da
qualche incantesimo.
Lentamente,
le labbra di Alastor si piegarono in un timido sorriso. Si stava
sforzando di apparire affabile, questo era evidente, eppure sul suo
volto quel gesto appariva più come uno spasmo che un gesto di
galanteria.
Finalmente
poteva guardarla meglio: quello che gli era parso un vestito di
stracci era una giacca di jeans dalle maniche strappate come andava
di moda, una canottiera e un paio di lunghi jeans bordeaux tenuti
legati in vita da una coppia di cinture. I capelli, lunghissimi e
scuri con fantasiose mesches azzurre, erano raccolti in due
interminabili code poste ai lati della testa che scendevano dietro le
sue spalle. Era una ragazza dal fisico estremamente slanciato ma
atletico, eppure di fianco ad Alastor appariva come un fringuello.
I
suoi occhi erano viola ed enormi, Alastor ci si poté
specchiare non appena i loro sguardi si incrociarono.
Senza
aggiungere una parola, lui allungò una mano per aiutarla ad
alzarsi. Aiuto che questa ragazza accettò, non senza qualche
titubanza.
Alla
fine, quando ritornò in piedi, Alastor parlò con voce
grave e tonante «Di solito, in queste occasioni, si
ringrazia.»
La
donna, ritrovato apparentemente il proprio spirito ribelle, sbuffò
guardandolo dritto negli occhi. Quel commento così diretto
l’aveva piuttosto infastidita «Cosa ti aspetti, che
mi prostri ai tuoi piedi?»
«Mi
accontenterò di un grazie.»
rispose Alastor, indifferente all'insulto e facendo spallucce.
La
ragazza, ritrovato l'equilibrio poco dopo, lasciò la presa
sulla mano di Alastor e agitò le mani sui pantaloni per levare
lo sporco depositato dopo la caduta, aggiungendo «Devi
scusarmi. Sono un po’ scossa… il fatto è che sono
in una brutta situazione. Molto brutta…»
Alastor
affondò le mani nelle tasche della giacca con il cappuccio,
osservando «Non ho molto da fare, questa sera.»
La
ragazza rise, ritornando in piedi «Oh, credimi, è una di
quelle situazioni che non si risolvono in una serata…»
«Perché
allora non cominci con il dirmi il tuo problema?»
Infastidita
dall'avere a che fare con uno sconosciuto così insistente, la
ragazza incrociò le braccia al petto e si piegò verso
la sua faccia, domandando «Posso chiederti
per quale motivo vuoi tanto aiutarmi?»
«Perché
l’ho appena fatto. Ma, se sei così nei guai come dici,
presto ritorneranno. E non mi piace lasciare qualcosa a metà:
se si inizia qualcosa è giusto finirlo.»
La
ragazza rimase per qualche istante perplessa. La semplicità
con cui l'omone avanti a se parlava era tale che istintivamente
avrebbe voluto chiedergli da quale fattoria venisse, ma alla fine
annuì, sospirando mentre andava a massaggiarsi la testa «E
va bene… odio dirlo, ma un aiuto è proprio
quello di cui ho bisogno, in questo momento.»
«Ora
ragioniamo.» commentò Alastor, annuendo soddisfatto,
prima di presentarsi «E comunque, il mio nome è Alastor
Sullivan. E tu sei…»
«Aria.»
Rispose la ragazza «Mi chiamo Aria Blaze.»
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Capitolo 2 *** In Missione ***
Capitolo
1
In
Missione
Il lato buio della città
era decisamente una bettola infame, e il luogo dove Alastor portò
Aria per ristorare non era decisamente migliore degli altri: in mezzo
ad una via, gradevole alla vista e all’olfatto come una
montagna di rifiuti organici, il piccolo bar aveva tutto l’aspetto
di un luogo dove non ci si sarebbe portato un proprio parente, se gli
si voleva bene. E, forse, anche se lo si odiava.
Ma con Alastor al proprio fianco
era come se Aria fosse entrata in quel luogo armata fino ai denti, al
pari un Rambo di un metro e settanta con il fisico di un'atleta e i
capelli lunghi. A prova di questo, quando mise malvolentieri piede
nel locale precedendo il suo accompagnatore, uno dei clienti seduti
vicino all'ingresso fece un commento molto poco lusinghiero non
appena la vide: nel giro di pochi secondi Alastor entrò e,
senza dire una sola parola, lo afferrò per i vestiti e lo
defenestrò senza troppi complimenti. Il tutto nell'omertà
generale, come se quel genere di situazioni fosse la norma e regola.
L'interno
del locale, il Black
Canary,
era un antro buio che rispecchiava l'esterno: la puzza di fumo e una
leggera nebbia che nascondeva il tetto, debolmente filtrata dalle
scarse e lampeggianti luci al neon, davano a quel luogo e a tutti i
suoi clienti un'aria ancora più losca e malfidata di quanto
non sarebbero potuti apparire normalmente.
I tavoli, sparsi in ordine
apparentemente casuale per la stanza, erano occupati da individui
intenti a parlare di affari spiacevoli e a lanciare commenti ben poco
lusinghieri su chi viveva nella parte “pulita” della
città. Che fossero davvero impegnati a spettegolare in quel
modo o stessero solo cercando di distrarsi per non badare alla loro
presenza, questo Aria non poteva saperlo.
Qualunque
fosse la verità, sia lei che Alastor ricambiarono questo
silenzio ignorando a loro volta la clientela del locale e si mossero
in silenzio verso uno dei pochi posti rimasti liberi nonostante la
discreta folla ancora in piedi.
Si
trattava di un tavolo piuttosto in disparte, circondato da una coppia
di divani che un tempo dovevano essere di un bel rosso fiammante ma
che il tempo, l'umidità e una certa incuria dovevano aver
fatto diventare più simile al bordeaux.
Si
sedettero e, come un fulmine, arrivarono sul loro tavolo una coppia
di tazze di caffè fumante. Il servizio fu tanto veloce che
Aria fece appena in tempo a vedere una figura nera e bionda che, non
appena lasciò le tazze sul loro tavolo, si allontanò
rapidamente.
Così,
restando seduti uno di fronte all'altra con le tazze fumanti che
nessuno aveva il coraggio di bere subito, Aria e Alastor si
guardarono negli occhi per un tempo che parve infinito, prima che lui
rompesse il silenzio invitandola a parlare.
«Non
sei sicuro di quello che vuoi. E poi, non mi crederesti.»
rispose in maniera secca Aria, portando gli occhi sulla calda
brodaglia nella tazza, come se ci si potesse vedere qualcosa nel
riflesso.
Alastor,
serafico, prese in mano la sua tazza e la usò per indicare
alcuni soggetti nel locale.
«Lo
vedi quel tipo, laggiù? Quello che si muove come se tutti
avessero gli occhi puntati su di lui?»
Incuriosita, Aria seguì
l’indicazione e trovò il soggetto indicato. Si trattava
di un uomo con una felpa bordeaux con il cappuccio visibilmente
troppo lunga per lui, un paio di jeans stracciati, l’espressione
arcigna e la bocca perennemente digrignata che si agitava da un capo
all’altro, come se sentisse delle voci.
«Lo
chiamano Bulldog.
Quel rozzo bastardo è convinto che Hitler fosse di sinistra.»
subito dopo aver presentato un simile individuo con una naturalezza
tale da farlo sembrare una persona ordinaria, Alastor spostò
la tazza verso un secondo soggetto, il quale al contrario di Bulldog
restava seduto ad un tavolo in stato catatonico a guardare il vuoto
con la bocca aperta. Un filo di bava gocciolava dalle labbra sulla
sua canottiera, ma apparentemente non ci dava peso.
«Lui,
invece, è Bobo.
Qualsiasi droga abbia preso, gli ha fuso quel poco che aveva sempre
avuto di cervello, rendendo qualunque aiuto psichiatrico inutile.
Adesso capisce solo il linguaggio della violenza.» non ancora
soddisfatto dello “splendore” sociale che lo circondava,
puntò la tazza contro un tale che stava allegramente
masticando dei datteri, compresi i noccioli, seduto davanti al
balcone del bar. Vestiva in maniera stranamente elegante e curata, ma
il suo volto aveva una scintilla di sadismo capace di far venire i
brividi.
«Lui
è El
Bastardo.
Meglio che non ti dica altro su cosa fa e perché lo chiamano
così, avresti gli incubi. Mentre la nostra cara Susy, qui…»
Ritornò, come sentendosi
chiamata, la cameriera e Aria ne approfittò per studiarla
meglio: era una donnina piccola e dall’aria innocente, i
boccoli biondi riempivano la sua testa, gli occhi azzurri, gli zigomi
sporgenti, il naso piccolissimo e l’abito pieno di pizzini e
merletti la facevano sembrare una bambolina, insolitamente pulita per
quella bettola dove lavorava. Giunta nelle vicinanze, versò
del liquore nel caffè di Alastor.
«La nostra cara Susy, qui
presente, ha nascoste addosso più pistole di quante ne possa
contare.»
Aria, sentendo quelle parole,
rispose involontariamente sbuffando: per lei quella era una
grossolana menzogna, troppo esagerata perché potesse darci
credito, così come i disagiati presentati poco fa.
E invece, troppo velocemente
perché potesse accorgersene, si trovò un piccolo
revolver puntato in mezzo agli occhi. Mentre la prendeva di mira,
Susy non la smetteva di tenere le labbra piegate in quel sorriso da
bambolina.
«Ma da dove…»
«Ne
ho sei,
nascoste nell'abito. È un po’ difficile camminare, ma
una signorina deve sapersi difendere, dico bene?» risposto
questo, Susy ritirò la pistola e si allontanò lasciando
la bottiglia sul tavolo.
Insensibile
allo spettacolo appena offerto, ultima prova che lui era talmente
abituato a quel clima da esserne ormai parte integrante, Alastor
sorseggiò il caffè corretto prima di insistere
«Allora, qual è la tua storia?»
Aria rifletté per un
istante. La sua storia era difficile da credere, ma lo erano anche
quei soggetti che le erano appena stati presentati.
Lasciando
stare il caffè, Aria afferrò la bottiglia di liquore
lasciata sul tavolo e bevve una lunga sorsata. Presa la dose di
coraggio liquido necessaria a parlare, iniziò «E va
bene, grand'uomo,
vuoi la mia storia? Eccoti servito. Io, in realtà,
non sono nemmeno del tuo mondo. Vengo da un mondo parallelo
a
questo!»
«Interessante.
Continua.» commentò semplicemente Alastor, bevendo un
altro sorso senza staccare gli occhi da lei. Stranamente,
non mostrava alcun segno di scetticismo: o era un eccellente attore
oppure era davvero
interessato.
Aria Blaze svuotò il sacco.
Raccontò
di lei e delle sue amiche, Adagio Dazzle e Sonata Dusk:
tutte e tre erano creature magiche che, una volta portate a forza in
quel mondo, non solo avevano perso la loro forma originale ma anche
la maggior parte dei loro poteri.
Pochi mesi prima avevano attuato
un piano per recuperarli, ma quando erano arrivate ad un passo dal
realizzarlo furono private anche di quella poca magia che
possedevano. Prese dal panico, il trio era scappato e aveva tentato
di studiare un nuovo modo ancora per recuperare le loro arcane
capacità, ma poche settimane dopo il loro fallimento furono
aggredite da una banda di tizi simili a quelli da cui lei stava
scappando nel vicolo.
Sonata fu la prima ad essere
catturata e, dopo pochi giorni in cui cercarono di nascondersi, anche
Adagio cadde nelle mani del loro aguzzini. Aria, quando aveva
incontrato Alastor, stava giusto scappando dall’ennesimo dei
loro tentativi di catturarla.
Non
aveva idea di chi loro potessero essere, né per chi
lavorassero, sapeva solo che cercavano rigorosamente le Sirene per
ordine di qualcuno a cui si riferivano come La
Regina
e che apparentemente non c'era un solo angolo in tutta la città
dove loro non potessero arrivare.
Alastor ascoltò fino alla
fine senza parlare o mostrare segnali di scetticismo.
«Sai per lo meno da dove
vengono, i tuoi aguzzini?» domandò allora agitando la
tazza, ormai vuota, come se dal fondo rimasto dovesse uscire
qualcosa.
«È proprio questa la
parte più strana: vengono da Equestria!» esclamò
Aria, con gli occhi fuori dalle orbite.
«Equ-che?»
«Equestria.
Uno dei regni di quel mondo da dove vengo anche io. Quando Sonata
venne catturata, io e Adagio tentammo ovviamente di salvarla, ma
abbiamo fatto solo in tempo a vederla portare attraverso un portale,
prima che ci scoprissero e ci costringessero alla fuga.»
«Un portale, eh?»
ripeté Alastor, con tono riflessivo. Curiosamente, non c’era
sarcasmo nelle sue parole, quasi fosse propenso a credere a quella
strana ragazza «E, per curiosità, come fai a sapere che
quel portale dovrebbe portare ad Equestria?»
Aria
si lanciò in una spiegazione piuttosto complicata, e che
Alastor comprese solo in parte, sulla magia e sui viaggi attraverso
altre dimensioni. A quanto sembrava, il loro mondo era completamente
sprovvisto di magia, ma alcuni artefatti provenienti proprio da
Equestria avevano portato nella zona intorno al portale, per la
precisione il liceo della città, una scheggia del loro potere
magico, impregnando il luogo e rendendolo, di fatto, l’unico
sito magico sulla faccia della Terra. Pertanto, se Sonata era stata
fatta sparire attraverso un portale aperto in quel luogo, doveva per
forza portarla
ad Equestria!
Ascoltato, Alastor sospirò
rumorosamente, prima di alzarsi infilando le mani nelle tasche della
giacca. Una volta in piedi, tirò fuori un mazzo di chiavi che
poggiò sul tavolo spiegando «C’è una
camera, sopra questo locale. È mia, vai e restaci fino al mio
ritorno. Dì a Susy che è per farmi un favore. Non
aprire prima che io torni.»
Confusa, Aria inarcò un
sopracciglio «Prego?»
«Qualsiasi cosa sia contro
di te, deve essere piuttosto grossa. Devo pur prepararmi!»
«Quindi mi vuoi aiutare? E
perché?»
Alastor rise, senza mai
rispondere.
«Mi credi? Così, su
due piedi?» insistette Aria
Alastor fece spallucce, indicando
la bottiglia quasi vuota che ancora stava sul tavolo «Ne hai
bevuto più di metà e non sei nemmeno arrossita. Questo
vuol dire che o hai una straordinaria resistenza all'alcol, oppure
che non ne risenti affatto. E, sapendo cosa Susy spaccia per
“liquore” sono molto scettico sulla tua resistenza.»
Aria si alzò in piedi,
imitando Alastor e guardando a sua volta la bottiglia. Era vero, il
contenuto di quella bottiglia dava l'impressione di bere della
benzina, ma nonostante le sue apparenze restava una sirena e per
quanto forte potesse essere una bevanda, il suo organismo non poteva
in alcun modo risentire dell'alcol al suo interno: avrebbe potuto
berne anche una cisterna senza avere nemmeno un mal di testa. Solo un
brutto sapore in bocca.
«E ti basta questo per
credermi?» domandò ancora, troppo incredula sulla
condiscendenza di Alastor per credere che fosse bastata semplicemente
la sua immunità per convincerlo.
Lui, evidentemente non volendo più
aspettare,cominciò ad allontanarsi mentre rispondeva con
assoluta sufficienza «Se quello che mi hai detto risulterà
essere falso, vorrà solo dire che sei una brava narratrice.»
Aria, sempre più confusa
dall’atteggiamento superficiale di quell’uomo, avrebbe
voluto fare altre domande, ma lui invece uscì. Venne così
affiancata dalla cameriera, la quale le chiese con voce squillante e
cristallina «Ti ha lasciato detto qualcosa?»
Dopo
un sospiro, Aria si massaggiò le tempie sforzandosi di capire
cosa potesse passare nella mente di quell'energumeno, mentre
rispondeva alla cameriera «Devo aspettarlo in camera… mi
ha detto che è per fargli un favore.»
«Ah,
okay.» annuì Susy, come se fosse la cosa più
ovvia del mondo, prima di prendere le chiavi lasciate sul tavolo ed
invitarla ad andare con lei.
Aria seguì Susy, seppur
goffamente per via del tacco allo stivale ancora mancante, e ne
approfittò per fare due domande su Alastor «Mi vuole
aiutare, anche se ci siamo visti per la prima volta poco fa!»
La cameriera rise sommessamente,
portandosi una mano avanti alla piccola bocca come se avesse appena
udito un succulento pettegolezzo «Oh, davvero?»
«Sembri conoscerlo da tanto.
Perché fa così?»
«Sono sua cugina.»
rispose Susy, facendo spallucce
Aria inarcò un sopracciglio
«Non si direbbe!»
Susy
ridacchiò ancora «Oh, non credo che Alastor capisca bene
cosa voglia dire essere cugini. È grande e grosso, ma credimi
se ti dico che dentro resta sempre un ragazzo.
Qual è il tuo problema?»
Aria alzò gli occhi al
cielo. Una parte di lei cominciava a credere di essersi salvata da
degli ignoti rapitori per venire trascinata in un covo di pazzi.
Tuttavia, accettando la situazione, spiegò anche a Susy,
seppur senza entrare troppo nel dettaglio in questo caso, quale fosse
il suo problema.
La cameriera ridacchiò
ancora in quel suo modo simile a monete che cadono in un piatto «Non
mi sorprende che voglia aiutarti.»
Aria sobbalzò a quella
rilevazione così spontanea, come se avesse preso uno spavento
«Lo conosco da mezz'ora!» esclamò, allargando le
braccia.
Susy rise per l'ennesima volta,
fermandosi finalmente davanti ad una porta dove infilò una
chiave «Te l'ho già detto. Per quanto grande e grosso
sia, per quanto in basso possa dirti di essersi spinto, Alastor resta
sempre un ragazzo. E, come tale, è pieno di quei principi,
emozioni e convinzioni che accompagnano la crescita, prima che arrivi
l'insensibilità di un adulto vero.»
«Che fa nella vita?»
domandò Aria, mentre il secco clangore della chiave che girava
nella serratura le accarezzava le orecchie.
«Oh,
un po' di tutto. Rigorosamente fuori dalla legalità, questo è
vero, ma questo per stare vicino alla sua famiglia. È
clinicamente incapace di mentire, te lo posso giurare: lo sforzo di
immaginare una scusa credibile è troppo
per lui.»
La porta si aprì, ma Aria
puntò gli occhi su Susy, squadrandola. Era di una testa più
alta della cameriera e il fisico molto più sviluppato, di
fatto, la metteva in ombra. Eppure, forse per le pistole che teneva
nascoste con se, lei non sembrava provare paura nei riguardi della
sirena.
«Stai
cercando di presentarmelo?» domandò Aria, seccata «Vuole
aiutarmi a ritrovare le mie amiche, non dobbiamo uscire insieme!»
La cameriera ricambiò lo
sguardo con un largo sorriso «Oh, se volessi combinare qualcosa
tra voi due, te ne saresti accorta già da un pezzo. Alastor
dice che sono “invadente” e forse ha ragione.»
confessò Susy, prima di farsi da parte per lasciare ad Aria lo
spazio per entrare dalla porta dell'appartamento sopra il bar.
Invece
di entrare subito, la sirena guardò la sua accompagnatrice
ancora per qualche secondo, con le braccia abbandonate lungo i
fianchi e le mani strette a pugno, indecisa se la stava prendendo per
il naso o era davvero
così
rimbambita.
«Ha ucciso un uomo. Con le
mani. Le sue mani grandi come badili.» confessò
improvvisamente Susy, in un soffio come se quel fatto le avesse
riportato alla luce dolorosi ricordi «Ma solo una volta!»
si affrettò ad aggiungere, spostando lo sguardo.
«Perché?»
domandò Aria, entrando finalmente nella stanza e senza più
guardare la piccola cameriera, chiedendosi da dove uscisse quella
rivelazione.
«Per lo stesso motivo per
cui vuole aiutarti.» rispose lei, in maniera enigmatica, prima
di allontanarsi lungo i corridoi con la stessa velocità con
cui serviva ai tavoli.
Sola e senza molto da fare, Aria
chiuse la porta e si guardò intorno nella piccola stanza dove
Alastor l'aveva lasciata.
Si trattava di un locale molto
spartano, un letto, un comodino, un tavolo con dei pezzi di carta su
cui erano scarabocchiati nomi e indirizzi, un armadio con pochi cambi
sbrindellati, un piccolo bagno e un cassetto di medicinali.
Lasciando gli stivali di cui uno
con il tacco rotto vicino al letto, Aria cercò di scoprire
qualcosa di più sul suo nuovo aiutante vagando a piedi nudi,
modo decisamente più comodo invece che cercare di restare in
equilibrio come aveva fatto fino ad allora. Le parole di Susy sul
perché Alastor voleva tanto aiutarla continuavano a
rimbalzarle in testa: se il motivo era così chiaro, non
sarebbe dovuto essere difficile scoprirlo!
Quando dopo qualche minuto guardò
una delle cornici sul comodino vicino al letto, finalmente capì.
Nella
cornice c'era una foto in cui era ritratto un Alastor più
giovane e con alcune cicatrici in meno sul volto, con un braccio
attorno alle spalle... di Aria. O almeno, di una ragazza
maledettamente
simile a lei, se non fosse stato per il fisico più asciutto e
i capelli lasciati sciolti dietro la testa.
Aria imprecò, sedendosi sul
letto e chiudendo gli occhi mentre finalmente capiva. Si era trovata
tra le mani un energumeno che ancora piangeva il passato.
Istintivamente ricordò
quando, alcuni anni prima, lei e le sue compagne avevano incontrato
una persona molto simile a Sonata, tranne per il fatto che era da
sola e vestita in maniera sorprendentemente elegante. Le tre sirene
compresero allora che in quel mondo parallelo esistevano persone
molto simili a quelle che c'erano già su Equestria, ma benché
i caratteri fossero molto simili, a volte le storie divergevano.
Scoprirono
che la controparte di Sonata gestiva un paio di ristoranti e che
quella di Adagio era una cantante affermata,
ma non ebbero mai alcuna traccia della controparte di Aria.
O almeno, non la ebbero fino a quel giorno. Chissà
chi era: forse una parente? Una lontana fidanzata?
Decidendo di ammazzare il tempo cercando di trovare una
soluzione a quel mistero, Aria sfilò la foto dalla cornice,
cercando di studiare meglio i suoi dettagli.
In rilievo era stampata una data: se era la stessa della
foto, doveva risalire a più di due anni prima. E sul retro, in
una calligrafia elegante, c'era una firma con il suo nome e una data,
di alcuni mesi postuma a quella incisa in rilievo. La foto mostrava
lei e Alastor in un parco, alle loro spalle una ruota panoramica,
sorridenti mentre guardavano l'obiettivo.
Un improvviso boato la fece sobbalzare: qualcuno stava
bussando alla porta.
Guardando la porta come si guardano gli autori di uno
scherzo poco gradito, domandò «Chi è?»
«Sono io.» rispose, seraficamente, la voce
di Alastor.
Aria andò ad aprirgli, trovandolo con una sacca a
tracolla da cui sporgevano un paio di mazze da baseball.
«Ma che cosa...»
Alastor entrò senza tanti complimenti, lasciando
Aria chiudere la porta e spiegando «Armi, un kit per accamparsi
fuori, qualche provvista... te l'ho detto che mi sarei preparato!»
Aria rimase spiazzata, ma la sorpresa fu ancora più
grande quando Alastor tirò fuori dalla sacca una borsa che le
passò «Tieni. Sono per te.»
«Cos'è?» domandò lei,
prendendo la borsa e guardando dentro. C'erano un paio di stivali, in
tutto e per tutto simili ai suoi.
Esterrefatta
per il regalo, tornò a guardare Alastor domandando
«Ma
come... perché?»
Per
tutta risposta, Alastor rise divertito
«Sarà
dura, vuoi affrontare quello che ci aspetta ad Equestria a piedi
nudi?»
Ci
fu un momento di pausa, nel quale Aria indossò gli stivali
nuovi e Alastor terminò di sistemare altra roba nella sacca.
Quando finirono, la ragazza si parò davanti ad Alastor,
tenendo in alto la fotografia «La
mia gemella, qui, chi è?»
Alastor
si ammutolì per un istante, come chi viene scoperto con le
mani nel sacco. Poi sospirò profondamente, oscurandosi in
volto, prima di rispondere in un soffio «Hai
detto bene. La tua gemella. Si chiamava anche come te, Aria Blaze. Si
chiamano tutti in modo strano, in questa città.»
«E dove si trova adesso?» incalzò
Aria, insensibile al cambiamento di umore del ragazzo.
A
quella domanda, Alastor strappò dalle mani di Aria la
fotografia e la ripose nel comodino, spiegando in maniera lapidaria
«È
morta. L'hanno impallinata un paio di mesi dopo questa foto. Aveva
visto cose che non doveva vedere.»
Alastor si stava ora rivolgendo ad Aria con un tono mai
usato prima: le parole gli uscivano a fatica, come se ognuna di loro
fosse un pezzo di vetro che, uscendo, gli feriva la gola. Quando lui
diede le spalle a lei, calò il silenzio.
Aria
agitò lentamente le mani, sforzandosi di cercare qualche
parola di circostanza da pronunciare in quelle occasioni, ma presto
dovette affrontare il fatto che, semplicemente, non le aveva.
«Ti
sarai chiesta perché voglio aiutarti. Perché non mi
faccio problemi, anche con la strana storia che mi hai raccontato.»
continuò allora lui, voltandosi a guardarla
«Vedi,
non ho mai fatto qualcosa di cui essere orgoglioso, in vita mia. Ma
immagina di potere, forse per la prima volta in tanti anni, avere
finalmente la possibilità di rimediare ad uno sbaglio. E non
parlo di vendetta, parlo di rimediare davvero
a quella volta che hai toppato alla grande. Sapere di aver salvato
anche solo una vita. Sarebbe già... qualcosa,
no?»
Aria
non rispose, ma si ricordò di tutti quelli che Alastor le
aveva presentato e collegò rapidamente tutto quello che aveva
capito su di lui. Non ci voleva un genio, giudicando le sue parole, a
immaginare che la dipartita della gemella di Aria fosse collegata con
quell'unico omicidio commesso.
Con le mani. Solo il cielo poteva sapere cosa gli avesse
fatto, con la forza che aveva.
Chissà, magari alla fine il suo aiuto sarebbe
potuto venirle utile.
Aria
e Alastor si stavano incamminando verso il portale che collegava i
due mondi in religioso silenzio. Per sicurezza, Alastor teneva
stretta in una mano una delle mazze nella sacca: se gli sgherri di
questa Regina
tenevano
il controllo del portale, non era ingenuo prepararsi a suonarle fin
dai primi momenti.
Tuttavia l'ora era tarda, dall'Isitituto Superiore di
Canterlot non veniva alcuna luce e tutt'intorno alla grande statua
del cavallo rampante non si poteva vedere anima viva. Anche così,
Alastor preferì rimanere vigile mentre Aria cercava quale
delle quattro facciate della base fosse l'ingresso.
Cominciò con il tastare la prima facciata, la
toccò prima con titubanza sfiorandola con la punta delle dita,
ma vedendo come stesse succedendo niente aumentò la pressione.
Ancora niente.
Passò alla facciata a fianco. Ancora vano. E così
la terza.
Frustrata,
sapendo
che
le sue compagne erano state portate attraverso quel portale, la
pressione che Aria applicava ai pannelli della statua era sempre
maggiore: non solo non voleva assolutamente perdere le speranze di
riunirsi con Adagio e Sonata, ma il fatto che Alastor fosse proprio
dietro di lei rischiava di farle fare davvero una brutta figura,
situazione che il suo orgoglio le imponeva di evitare.
Al limite della disperazione dopo il terzo buco
nell'acqua, Aria letteralmente caricò il quarto pannello: se
avesse fallito anche lì, per lo meno la botta che avrebbe
preso le avrebbe fatto dimenticare la situazione.
E invece, come se si fosse tuffata in uno specchio
d'acqua, Aria venne completamente inglobata dalla parete e sparì
al suo interno in un fascio di luce.
Scoprendo la sparizione della sua compagna, Alastor
imprecò prima di chiamarla «Aria!» e gettarsi con
lei attraverso la statua.
Così, Alastor Sullivan e Aria Blaze
attraversarono il portale tra i due mondi.
Per loro fu come fare delle montagne russe dentro un
tunnel tempestato di luci e colori alle pareti. L’aria
abbandonò i loro polmoni già nei primi istanti,
rendendo impossibile anche solo urlare.
Alla fine del tunnel, entrambi finirono con il tuffarsi
in una immensa luce bianca che li accecò per qualche istante.
Mentre il mondo
intorno a loro riprendeva lentamente i colori, Alastor si alzò
da terra barcollando e guardandosi intorno. Si sentiva provato, le
gambe gli tremavano e anche solo il parlare gli veniva difficile.
Fortunatamente era
solo, tranne per Aria che mostrava di sentirsi esattamente come lui
dopo il viaggio, altrimenti avrebbe avuto delle grandi difficoltà.
Si trovavano in
un'ampia sala circolare, dove le pareti erano piene di scaffali colmi
di libri, tutti dalle copertine cartonate e vivacemente colorate. Le
pareti che non erano nascoste dalle librerie erano di un materiale
simile al cristallo, con ampie finestre finemente decorate e gingilli
e vasi e stendardi appesi un po' ovunque nelle pareti.
Con lo sguardo
incrociò quello che doveva essere un pupazzo simile ad una
lucertola viola con le scaglie verdi che guardava entrambi con le
zampe artigliate poggiate sulla bocca.
«Tsk...
peluche di rettili?» mormorò Alastor, seppur emettendo
in questo modo solo un gorgoglio confuso.
Aria
si girò verso il mostriciattolo notato dal protettore e subito
lo riconobbe «Quello
è un drago!»
«Ma
se mi arriva al ginocchio, contando la cresta!»
Incurante del loro
battibecco, il draghetto sembrò uscire improvvisamente dallo
stato catatonico in cui si trovava e corse a perdifiato fuori dalla
stanza, gridando un nome che Alastor non capì, al contrario di
Aria.
Imprecando, la
ragazza ordinò di allontanarsi il prima possibile da dove si
trovavano.
«Perché?»
domandò Alastor, quasi involontariamente, mentre la seguiva
fuori dalla stanza
«Se il drago
è chi penso che sia ed è andato a chiamare la stessa
Twiliek che conosco io, allora dobbiamo andarcene. E in fretta!»
«Twiliek?»
ripeté lui.
Si
trovarono entrambi in un largo corridoio e proseguirono con passo
spedito in una direzione scelta casualmente dalla ragazza, la quale
rispose «Twiglit, Lituith o comunque
si chiami.
Fatto sta che meno io e lei ci incontriamo, meglio è!»
A quelle parole
svoltarono, trovando a tagliare loro la strada un cavallo, con il
draghetto che puntava un artiglio contro di loro.
Era un cavallo
fatto e finito, con una lunghissima criniera bionda raccolta,
ironicamente, in una coda di cavallo. Sorte simile per la sua coda.
Innaturalmente grandi occhi verdi lo guardavano con stupore e un
cappello da cowboy sul capo la risaltava, oltre al manto arancione e
uno strano tris di mele rosse tatuato sul fianco.
«Ma dove diavolo siamo finiti?» biascicò
Alastor, incredulo a quello che vedeva.
«Ti trovi a Ponyville, zuccherino!» rispose
il cavallo con il cappello.
Aria aprì la bocca per imprecare, quando qualcosa
li colpì alle spalle. Nessuno, né Aria né
Alastor lo aveva sentito arrivare o avrebbe saputo dire di cosa si
trattava, ma per loro fu come se qualcuno li fosse saltato sulla
schiena all'improvviso.
Provati dal viaggio, l'orario e dal colpo subito a
tradimento, i due ragazzi caddero, privi di sensi, sul pavimento.
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Capitolo 3 *** Benvenuti ***
Capitolo
2
Benvenuti
In mezzo all'oscurità in cui era piombato,
Alastor riacquistò i sensi all'improvviso, come se si fosse
appena svegliato da un incubo.
Sussultando, aprì gli occhi e cominciò a
guardarsi intorno, ansimante.
Si trovava lungo disteso su di un letto decisamente
troppo piccolo per lui: le braccia erano a penzoloni fuori dal
materasso e le gambe uscivano dai bordi in legno per poggiare i piedi
a terra. Era sdraiato prono in una stanza vuota, se non fosse stato
per il letto su cui era sdraiato al centro della sala e le poche
finestre sparse ai lati.
Diversamente a dove era arrivato non appena superato il
portale, questa volta le pareti erano di legno, non di luccicante
cristallo, così come tutto il resto dell'arredamento.
Rotolò, cadendo sgraziatamente dal letto, nel
tentativo di alzarsi. Quando picchiò a terra, una fantasiosa
imprecazione uscì prepotentemente dalle sue labbra, prima che
stringesse i denti e cercasse di arrampicarsi al letto per ritornare
in piedi.
Entrò nella sua stanza un nuovo cavallo, questa
volta giallo dalla criniera rosa elegantemente pettinata da un lato,
che lo guardò con un paio di occhi verdi brillanti.
«Oh, perdonami... ti ho sentito urlare, ma non
avevo capito se stessi chiedendo aiuto o mi stessi chiamando e
perciò...» balbettò lei, poco dopo aver messo le
zampe nella stanza.
Alastor aveva fatto appena in tempo a mettersi in
ginocchio avanti al letto aggrappandosi disperatamente alle sbarre e
al materasso, quando il pony paglierino aveva fatto il suo ingresso.
Anche se si stava lentamente riprendendo, ancora sentiva un brutto
sapore in bocca, come se stesse ancora digerendo il pranzo di una
settimana prima, e poteva giurare di sentire qualche passero cantare
intorno alla sua testa.
«E tu chi...»
riuscì a mormorare, con un filo di voce
«Oh,
perdonami!» esclamò di nuovo, quasi quelle due parole
fossero per lei un intercalare «Io mi chiamo Fluttershy, ti
trovi a casa mia adesso. Non stavi molto bene e così...»
Mentre il pegaso si rivolgeva a lui, parlando con un
filo di voce quasi temesse che lui avrebbe potuto mangiarla in
qualsiasi momento, Alastor chiese uno sforzo aggiuntivo alle
ginocchia per alzarsi sulle gambe. Una volta in piedi, pur senza
mollare la presa sul letto, domandò «Dov'è Aria?»
«Aria?» ripeté Fluttershy, non
sapendo evidentemente a chi appartenesse quel nome.
Seccato, Alastor le riservò il suo sguardo più
minaccioso possibile, mentre stringeva i denti cercando invano di
mantenere l'equilibrio senza appoggiarsi a qualcosa. «La
ragazza che è arrivata qui con me. Dove si trova?»
Il pony parve destarsi e, sussultando, si voltò
come se potesse trovare cosa poteva dire scritto sulle pareti e
rispose «Oh, non so dire cosa sia successo alle tue cose o ai
tuoi compagni. Di quello se ne occupava Twilight.»
Per Alastor, udire quel nome fu come uno shock.
Twilight.
Ecco qual era il nome che il drago aveva chiamato.
Perciò poteva essere la creatura che Aria non voleva
assolutamente incontrare. E adesso, Aria era scomparsa.
Era solo la terza volta che udiva quel nome, eppure già
gli donava brutte sensazioni.
L'umano gettò sul pegaso uno sguardo che avrebbe
potuto fermare il ticchettio di un orologio e domandò,
scandendo accuratamente ogni parola in maniera estremamente
minacciosa «Dove si trova questa Twilight?»
«Oh, no! Non puoi andarla a trovare adesso!»
esclamò Fluttershy, apparentemente incurante delle minacce,
ritornando a guardare l'umano e cominciando a volare verso di lui.
Alastor aveva finalmente lasciato la presa sul letto, ma gli sembrava
di camminare sospeso a diversi metri dal suolo.
Alla fine, aiutato dal pony con lui, venne messo a
sedere sul materasso e il mondo smise improvvisamente di girargli
intorno alla testa. Neppure la spazzatura travestita da liquore che
comprava Susy lo aveva mai messo così fuori gioco.
«Sei ancora troppo debole, devi riprenderti bene
prima di spostarti!» esclamò il pony, mentre lo
sistemava. Aveva abbandonato il tono basso e timoroso di poco prima,
quasi la preoccupazione per le sue condizioni fisiche superasse la
naturale paura che lei provava nei suoi confronti.
Tuttavia,
Alastor non cambiò espressione o atteggiamento nei confronti
dell'inusuale crocerossina. Gli era stato detto che in quel mondo
così strano avrebbe incontrato delle minacce e quel pony si
stava comportando in maniera anche
troppo
gentile, nei confronti di un perfetto estraneo, perché potesse
darle fiducia.
Non appena finì, il pegaso tornò ad
allontanarsi da lui, rivolgendosi all'umano con un sorriso materno
sulle labbra.
«Adesso risposati, quando avrai bisogno di me
chiamami e sarò da te in men che non si dica!»
Detto questo, senza aggiungere altro, il pegaso lasciò
la stanza chiudendo la porta dietro di se. Alastor ebbe l'impressione
che avesse anche chiuso la porta a chiave, ma era ancora troppo
intontito per esserne certo.
Passò il
tempo e presto ne perse la cognizione. In tutto quel periodo nessuno
si fece vedere né sentire e oltre l'eco lontano di qualche
animale non si udiva altro suono.
Se non altro nel
frattempo la testa aveva finalmente smesso di ronzare e l'umano aveva
lentamente ritrovato il suo senso dell'equilibrio.
In piedi, percorse
più volte la stanza a grandi cerchi fino a quando,
spazientito, non cominciò a bussare alla porta. Non provò
nemmeno a vedere se era davvero chiusa come pensava o no.
Arrivò in
gran carriera la padrona di casa, la quale una volta che vide Alastor
in piedi esclamò «Oh, vedo che stai meglio!»
«Quando
arriva questa Twilight? Sono passate ore!»
rispose in maniera seccata lui, ignorando lo stato d'animo del pegaso
e appoggiando i pugni sui fianchi senza spostarsi dalla porta.
«In questo
momento Twilight è molto occupata. Ma posso assicurarti io,
sei in grande forma!» esclamò lei, felice nonostante
l'atteggiamento scontroso di Alastor
«E la mia
borsa? Dove accidenti è finita?»
«La sto
cercando come te. Forse Twilight ha anche quella, o forse è
andata persa... confesso che non so come funziona il viaggio
attraverso i mondi.»
Quest'ultimo
dettaglio attirò l'attenzione di Alastor «Come sai del
viaggio nei mondi?»
«Be',
Twilight ha viaggiato nel tuo mondo... un paio di volte, almeno. E
poi credo ci sia ancora un altro pony che vive tra voi, ma non
ricordo come si chiama.»
Alastor non fu entusiasta di questo nuovo particolare
che gli avevano appena confidato. Anzi, il fatto che quei pony
fossero già pratici del viaggio attraverso le dimensioni lo
preoccupava: quali prove aveva, lui, per pensare che gli sgherri da
cui Aria tentava di scappare non fossero proprio quelle creaturine
colorate?
E dov'era Aria?
Perché non erano stati lasciati insieme?
La sensazione di
averla persa, dopo aver promesso di aiutarla, gli pesava nel petto
come un macigno.
Fece per uscire, dicendo «Non posso restare qui.»
Fluttershy spiccò il volo e gli si parò
davanti «Non credo di potertelo lasciar fare.»
Alastor
non reagì. Semplicemente si fermò e la guardò
inarcando un sopracciglio «Fluttershy...
sai
che
non è una buona idea.»
Fluttershy, per tutta risposta, spostò lo sguardo
dietro di sé per chiamare un certo Angel. Subito dopo entrò
nella stanza con l'umano un coniglio bianco, così piccolo che
tutto insieme poteva essere grande quanto un piede, il quale una
volta arrivato allungò un biglietto verso di lui.
Alastor lo afferrò, leggendo il suo contenuto
mentre Fluttershy spiegava cosa volesse dire. Aiuto che non si sentì
di rifiutare, poiché poche volte nella vita aveva visto una
scrittura peggiore di quella davanti ai suoi occhi. Sembrava scritta
tenendo la penna tra i denti!
«Twilight sta dando una grande festa al suo
castello, oggi. Per questo, come ti dicevo, è molto impegnata
e non ti abbiamo lasciato laggiù. Mi ha chiesto, però,
di accompagnarti da lei non appena ti saresti rimesso.»
Alastor
abbassò il biglietto rispondendo semplicemente «Andiamo
ora.»
L'umano e il pegaso cominciarono a vagare lungo le vie
di Ponyville, diretti al castello di Twilight. Mentre Fluttershy
avanzava con un intramontabile sorriso sul volto, Alastor non
smetteva di guardarsi intorno, cercando nel frattempo di ignorare le
occhiate incuriosite dei pony che incrociavano. Evidentemente quelle
creature erano tanto colorate quanto curiose.
Ma ancor più che le azioni dei passanti, era
l'intera vita intorno a lui ad impressionarlo, talmente aliena
rispetto a quello a cui era abituato che era impossibile che non la
notasse.
Ponyville sembrava ordinata e colorata così come
i suoi abitanti: le case in legno e i tetti di paglia si alzavano dal
terreno collinare riempiendo il paesaggio, lasciando tuttavia un
aspetto che aveva ben poco di artificiale, anzi si mimetizzava
perfettamente tra gli alberi e la vegetazione.
La popolazione, oltre a quelle impegnata a studiare
Alastor, camminava, o qualunque fosse la parola esatta per un
cavallo, con lo sguardo avanti a se e le labbra piegate in un
intramontabile sorriso, come se questo loro comportamento fosse stato
imposto in qualche modo. Tuttavia, se così era, non davano a
vedere lo sforzo.
La strana coppia arrivò a destinazione dopo pochi
minuti. Si trovavano davanti ad un enorme castello simile al tronco
di un albero con l'eccezione delle torrette sulla cima e di una
grande stella a sei punte scolpita nel tronco. Dai cornicioni dei
terrazzi numerose stelle filanti danzavano sospinte dal vento, come
se avessero voluto fare compagnia a quei pony sotto e sopra di loro
che ballavano seguendo un ritmo proveniente da qualche punto
imprecisato dell'edificio.
La
musica e il vociare degli invitati alla festa creava una cacofonia di
rumori che rendeva difficile, se non impossibile,
concentrarsi a fondo. Infatti, passò poco tempo prima che
Alastor perdesse Fluttershy tra la folla e si trovasse coinvolto in
discussioni con altri pony che lo guardavano e gli parlavano come se
fosse stata lui
la bestia proveniente da lontano.
La
parte brutta di quella situazione era che
era proprio così!
Senza però dimenticarsi il motivo per cui si
trovava lì, ovvero scoprire la posizione di Aria, Alastor
cominciò a chiedere informazioni sulla padrona di casa ogni
volta che ne aveva occasione, ottenendo in risposta solo tanti
aneddoti.
«Ah,
Princess
Twilight
Sparkle! Pony così ne nascono una volta ogni mille anni!»
«Ho sentito dire che può rivoltare
un'intera città come un tappeto, con la sua magia!»
«Cosa
ti aspettavi, da una che è stata in grado di affrontare draghi
e manticore a muso duro!»
«Per
non parlare di tutti gli appoggi che gode, non solo a Ponyville ma
per tutto il mondo!»
«Non
mi aspetterei diversamente, da qualcuno che ha affrontato e sconfitto
colossi come Nightmare Moon, Tirek o Queen Chrysalis!»
Ben presto, Alastor capì che l'aura di meraviglia
che si era creata intorno alla figura di Twilight Sparkle era tale
che su di lei bisbigliavano meravigliati anche soggetti che avevano
ben poco di cui parlare, al mondo. Alla fine, preferì cercarla
da solo.
Tra una giravolta per evitare camerieri con calici, uno
slalom tra i gruppi fermi a parlare e un aneddoto su cosa Princess
Twilight Sparkle avesse fatto o meno nella sua vita, Alastor riuscì
finalmente ad arrivare in uno dei terrazzi del castello che davano
sulla piazza davanti all'ingresso.
I tavoli disposti in ordine quasi maniacale sembravano
nascondersi nella mischia di pony, grandi come puntini a
quell'altezza; bevande e lustrini colorati sfilavano sotto di lui,
mentre la musica non cessava di farsi sentire, sempre e rigorosamente
con lo stesso tono, come se fosse stata appesa da qualche parte
vicino alle orecchie.
«Allora? Festa divertente, non è vero?»
domandò, ad un certo punto, una voce dietro di lui.
Alastor
si voltò verso la fonte, ammettendo seccamente «Sì,
è impressionante. Dai cibo gratis e di
sicuro
verranno a decine. Ma non sono qui per festeggiare.»
Sulla terrazza c'era un grande viavai di pony e la
musica continuava a farsi sentire, costringendo l'umano e il pony ad
alzare la voce per parlare tra di loro. Alastor mostrò il
biglietto tirandolo fuori dal gilet e cominciò ad allontanarsi
dal pony, spiegando «Ho avuto un invito, mi chiedo quanti qua
sotto ce l'abbiano. Non ho mai visto questa Twilight Sparkle, ma
tutti ne parlano come se fosse la cugina del diavolo! Riuscirò
a trovarla, presto o tardi!»
Fu quando si trovò a pochi passi dalla porta che
la musica cessò improvvisamente, assieme al vociare degli
invitati: tutto scorreva esattamente come prima, ma nemmeno un
sussurro arrivava alle loro orecchie.
La meraviglia dell'improvviso silenzio sorprese Alastor,
il quale si fermò e si voltò verso il pony lilla con
cui stava parlando.
«Forse
non sono stata una buona padrona di casa. Perché vedi, Alastor
Sullivan...» disse la giumenta, voltandosi sorridente verso
l'umano «Sono io
Twilight Sparkle.»
Alastor e la principessa si ritirarono da parte nel
castello per parlare lontani da occhi e orecchie indiscrete. Durante
il tragitto, l'umano scoprì che l'improvviso silenzio, così
come la musica che si poteva udire dovunque, era merito della padrona
di casa e delle sue incredibili doti magiche. Apparentemente la magia
era una forza molto comune in quel mondo e chiunque possedesse un
corno sulla fronte, gli unicorni, era in grado di usarla.
Quando
la coppia trovò una stanza isolata dove parlare
tranquillamente, Alastor cominciò senza fare troppi giri di
parole «Ho bisogno di alcune risposte e le voglio ora.»
«E allora fai le domande.» ribatté
Twilight guardando l'umano negli occhi senza battere ciglio.
«Dov'è Aria Blaze?»
Per una frazione di secondo, l'espressione sul volto di
Twilight si incupì. Fu una sensazione molto passeggera, ma
grazie alla preoccupazione che Alastor provava per la sua compagna
scomparsa, divenne evidente come un fulmine a ciel sereno
«Aria
Blaze?»
ripeté la principessa, senza aggiungere altro.
«Sì.
Aria Blaze. È alta, capelli scuri lunghi, raccolti in due
code. Occhi viola... bella. Indiscutibilmente
bella e...»
«So
perfettamente chi sono Aria Blaze, Sonata Dusk e Adagio Dazzle.»
ribatté Twilight, interrompendo Alastor con un tono molto più
duro di quanto lei volesse pronunciare. Pareva quasi che provasse un
certo astio per quel trio che non riusciva nascondere «Quello
che mi preoccupa è come tu le stia cercando.»
«E tu come...»
«Se
credi di sapere chi sono loro tre... sei solo un illuso.»
concluse la principessa, prima di alzarsi in volo e guardare Alastor
direttamente negli occhi «Le tre sirene, o le Dazzling,
come a loro piace farsi chiamare, sono infinitamente più
pericolose di quanto possano sembrare. Io ho visto di cosa sono
capaci. E non posso non preoccuparmi per te, vedendo come chiami una
di loro per
nome!»
«È per questo che, come siamo arrivati, ci
avete colpito alle spalle?»
Twilight inarcò un sopracciglio «Colpiti?»
«Sì,
colpiti!» esclamò Alastor, alzando le braccia al cielo
«Eravamo arrivati in questo castello, riconosco le pareti, da
nemmeno cinque minuti, abbiamo incontrato due dei tuoi e qualcosa ci
ha colpito entrambi alle spalle. Non siete voi il motivo per cui
siamo qui, perché ci dovreste attaccare?»
«Quando vi ho
visto, avevate intorno a voi Spike, Applejack e Rainbow Dash. Io vi
ho visto già svenuti... ma se non fosse stata una di loro a
rendervi inoffensivi, lo avrei fatto io.»
Quella risposta così
sincera sconvolse Alastor «Cosa? Perché?»
«Te l'ho
detto. Perché so cosa sono capaci di fare le Dazzling. Io le
ho viste all'opera, per giunta in un mondo quasi completamente privo
di magia... e ora mi dici che sono tutte e tre qui, ad Equestria. Hai
una singola idea di quanto possa essere pericoloso, tutto questo?»
Alastor
ascoltò le parole di Twilight, non senza un certo fastidio.
Alla fine, cercando di non gridarle contro, spiegò «Ascoltami,
io non ho mai visto le altre sirene e non so di che cosa tu stia
parlando. Ma ho promesso di proteggere Aria fino a che non avrà
trovato le altre e...»
«Aspetta!»
lo fermò la principessa «Vuoi dirmi che tu non
sai dove
siano le altre sirene?»
«È
quello che voglio scoprire.» rispose Alastor, squadrando
Twilight «Perciò te lo chiedo solo un'ultima volta:
dove-
sta-
Aria-
Blaze?»
La principessa, per tutta risposta, indicò fuori
con lo zoccolo «Sai cosa stiamo festeggiando, oggi?»
«Cosa?»
«Oggi
è esattamente un anno da quando sono diventata principessa. È
un anno che proteggo questa gente da tutti i pericoli del mondo. E,
avrai capito, sono tanti.
Non smetterò perché ci sei tu!»
Alastor puntò un dito contro l'alicorno,
spazientito di non trovare risposte «Se scopro che le hai fatto
qualcosa...»
«Sei arrivato qui, di punto in bianco, e credi di
avere già le idee chiare su cosa ti circonda?» lo
interruppe Twilight, facendo abbassare la mano ad Alastor con un
incantesimo.
I due si scambiarono uno sguardo gelido per alcuni
istanti. Ad Alastor non piaceva affatto quell'unicorno alato e lei
non si fidava di Alastor; non si sforzava nemmeno di nasconderlo.
«Adesso
ti trovi a Ponyville. Questa è casa mia.
Perciò, hai solo due scelte: o obbedisci alle regole e ti fidi
di me, oppure fai di testa tua. Ma se torcerai anche un solo crine
alle mie amiche... te lo giuro su Princess Celestia, verrò per
fartela pagare.»
«Mi stai minacciando?» chiese Alastor,
sorridendo divertito. Un divertimento che sapeva anche di scherno
«Mettiti in fila!»
Passò qualche altro secondo e Alastor chiuse la
loro conversazione abbandonando la sala e sbattendo la porta dietro
di se.
Sola, Twilight agitò lentamente il capo, poi
pensò a voce alta che per lo meno aveva un piano di riserva e
infine si teletrasportò in un'altra ala del castello.
La
città di Ponyville, anche lontano dal castello di Twilight,
era sicuramente colorata. Anche troppo,
per i gusti del ragazzo. Mentre avanzava tra le vie pulite e lucenti
del posto Alastor ebbe l'impressione che tutti lo stessero ancora
osservando, ma non poteva certo biasimarli per questo: anche lui, se
avesse visto girare per i suoi vicoli un cavallino colorato come loro
avrebbe per lo meno rovesciato nella fogna più vicina
qualsiasi cosa stesse bevendo.
Tuttavia, presto lo stupore che poteva giustificare la
curiosità degli altri pony finì con il mutare in un
vero e proprio clima di sospetto: ad ogni gruppo dove lui passava, le
vive chiacchierate tra di loro si interrompevano come macchine a cui
viene staccata la spina, per riprendere in un brusio sommesso ogni
volta che lui li superava.
Di cosa parlavano? Parlavano del suo aspetto o di lui?
Ma
ancora più di questo, ad Alastor premeva di sapere le sorti di
Aria. Dov'era finita? Perché nessuno voleva, o poteva,
rispondergli?
I suoi pensieri vennero interrotti da un pony dal manto
celeste e la criniera bianca in disordine avvolto in un camice che,
senza troppi complimenti, gli saltò al petto.
Alastor era grande e grosso, ma quei pony così
tondi pesavano almeno quanto lui; questo fattore, misto alla
sorpresa, lo fece finire gambe all'aria con il pony tra le braccia.
Ricambiando lo sguardo del suo aggressore, Alastor notò
come il suo volto fosse contratto dalla follia: i denti stretti, il
sorriso tirato al punto da mostrare le gengive, gli occhi sgranati
quasi fuori dalle orbite e una tempesta di tic che rendevano
impossibile per l'equino restare immobile lasciavano ben poco da
sperare sulla sua salute mentale.
Fortunatamente per l'umano, con tutti quei degenerati
che aveva incontrato nei bar malfamati della città, sapeva
come comportarsi con individui del genere.
Con un colpo di reni riuscì a girarsi scacciando
il pony e immobilizzandolo a terra con le mani non appena ne ebbe
l'occasione.
«Non muovere un muscolo!» lo minacciò,
mentre faceva per cercare a chi lasciare la custodia di quel soggetto
a rischio. Ma prima che potesse chiamare anche un solo individuo, la
voce del pony lo fece distrarre.
«Ti stanno osservando!» esclamò,
tremando
«Cosa?» domandò lui, lasciando la
presa per lo stupore di quelle parole. Piccola libertà che il
pony usò subito per liberarsi e gettare nuovamente a terra
Alastor. Nonostante il loro aspetto innocuo, possedevano tutta la
forza di un cavallo adulto.
«Ti
stanno osservando!» ripeté «Ti controllano. Ti
ascoltano. Studiano i tuoi movimenti. Sono concentrati su di te! E tu
non puoi fare niente per impedirlo! Niente! Niente!»
Il pony cominciò a ridere, una risata isterica
che gli faceva tremare il corpo, prima di galoppare in maniera
scomposta e disordinata in una direzione a caso, sbraitando che non
l'avrebbero mai presa.
Di chi stava parlando? Chi poteva osservare lui da
lontano?
Alastor rimase a guardare quel pony pazzo con la bocca
socchiusa e i denti stretti, non sapendo proprio come reagire a
qualcosa di simile.
«Ti stanno osservando! Ti stanno osservando!»
ripeté ancora il pazzo tra le risate, prima di sparire tra i
vicoli di Ponyville.
Rimettendosi lentamente in piedi, Alastor si guardò
intorno. Tutti i presenti lo guardavano come se non sapessero cosa
fare, alcuni vestiti da infermieri avevano cominciato a galoppare
dietro il fuggiasco.
Lui, invece, affondò le mani nelle tasche e
cominciò ad allontanarsi con passo sempre più spedito
lontano dalla folla.
Uscì dal paese e si ritrovò nelle
vicinanze della stessa foresta fitta e buia che aveva visto vicino a
dove si era svegliato, a casa di Fluttershy.
Si tuffò all'interno della vegetazione, cercando
un posto dove avrebbe potuto riflettere. La situazione in cui si
trovava era molto più difficile di quanto fosse abituato ad
affrontare e doveva spremersi per bene le meningi. Inoltre, se
davvero qualcuno lo stava spiando a Ponyville, era meglio sparire per
un po'.
Non aveva prove per rendere ufficiali i suoi sospetti,
ma l'impressione che Twilight e tutti gli altri pony gli
nascondessero qualcosa era troppo forte per essere ignorata e le
parole di quel pony fuori di melone gli avevano fatto gelare il
sangue nelle vene.
Era palesemente pazzo, ma chi poteva garantirgli, in una
situazione come quella, che non fosse casuale? Che le sue parole
corrispondessero al vero?
E se anche i suoi fossero stati solo vaneggiamenti,
allora che fine aveva fatto Aria? Twilight aveva praticamente
confermato che la teneva con se! Ma perché nasconderla? Perché
non tenere lui e lei assieme? Che motivo poteva avere di tenere la
presenza della sirena un mistero? E a che cosa si riferiva, quando
diceva di sapere di cosa Aria sia capace, quando è assieme
alle sue amiche?
In preda a queste domande, troppe perché potesse
trovare una risposta, Alastor vagò fino a perdersi
completamente nella vegetazione.
Convinto che in quel luogo, tra l'erba alta, i cespugli
selvatici, i rovi e la vite che avvolgeva i grandi alberi che
oscuravano la luce della luna, fosse al sicuro, Alastor si fermò
per riprendere fiato.
Riflettendo, giunse alla conclusione che giravano ancora
troppi misteri intorno a Ponyville perché potesse davvero
fidarsi, perciò scelse che poteva approfittare della
situazione per spostarsi in un'altra città, lontano da
Twilight e quei pazzi intorno a lei, riorganizzarsi e finalmente
trovare dove tenevano Aria.
Avanzò ancora per qualche metro, con passo più
calmo rispetto a prima. Non aveva idea di dove si trovasse un'altra
città, tanto meno come arrivarci, doveva perciò
mantenere le energie per affrontare una lunghissima camminata.
Fu un rumore improvviso, un ramo spezzato, a distrarlo.
Non si accorse di cosa accadde dopo, se non quando fu
troppo tardi.
Un fulmine verde apparve dal nulla, investendolo in
pieno petto.
Il colpo fu tale che venne sbalzato indietro di un paio
di metri, finendo dentro un cespuglio che lo sporcò dalla
testa alla punta dei piedi con foglie secche, fango e muffa.
Non fece in tempo nemmeno ad alzarsi che un altro
fulmine fece per piombare su di lui. Questa volta, però, fu
lesto a rispondere e tirò un gancio che si scontrò con
la meteora che altrimenti lo avrebbe investito, buttandola a lato.
Questa si rivelò essere una strana creatura nera
deforme, ma dall'altezza e dai lineamenti ad Alastor parve essere uno
di quei pony che aveva trovato a Ponyville.
Fece appena in tempo ad alzarsi in ginocchio e a
riconoscere la creatura che lo guardava in cagnesco massaggiandosi la
mascella con lo zoccolo, prima che qualcosa lo colpisse in mezzo alle
scapole, gettandolo di nuovo in mezzo alla vegetazione con un altro
volo.
Quello doveva essere un colpo non programmato, perché
in quest'occasione Alastor rotolò fino ad arrivare dentro ad
un fiume, abbastanza profondo da affondarci se restava almeno
inginocchiato.
I colpi subiti gli dovevano aver procurato dei bei
lividi, ma quel che era peggio era che lui non sapeva quanti di quei
mostri lo stavano seguendo.
Conscio di questo, approfittò della profondità
dell'acqua per spiare quanti abomini sarebbero usciti dalla
vegetazione. Sbucarono solo due: uno si diresse proprio verso la sua
direzione, come a verificare che non avesse attraversato il fiume,
mentre il suo compagno seguì la riva.
Due nemici poteva ancora affrontargli. Gli avevano anche
mollato delle signore sberle... il minimo che poteva fare era
restituire il favore!
Aspettò che il primo dei suoi inseguitori
arrivasse sopra di lui per saltare fuori dall'acqua come un mostro
marino, lo afferrò per la testa e lo trascinò
sott'acqua con lui, prendendolo di sorpresa.
La creatura lo fissò senza capire, come se ancora
non avesse realizzato cosa stesse succedendo. Senza perdere tempo,
tuttavia, Alastor approfittò dello slancio della sua cattura
per fargli picchiare violentemente la testa sul terreno sassoso del
fiume per fargli perdere i sensi.
Quello
che udì fu un sonoro “tock!”
e intorno al capo della creatura apparve una costellazione di stelle
e bolle.
«Ma
dove sono finito, in
un cartone animato?»
si chiese, osservando questo particolare, mentre trascinava la sua
vittima a riva. Avrebbe voluto sapere perché lo avevano
attaccato, ma prima doveva pensare all'altro mostro che lo seguiva.
E fu proprio qui
la falla nelle sue azioni: era piuttosto ingenuo credere di poter
sbucare dall'acqua, far perdere i sensi a uno dei suoi aggressori e
portarlo a riva... senza che il suo compagno se ne accorgesse!
Alastor fece
appena in tempo a lasciare il suo aggressore sdraiato nel fango della
riva, che una nuova meteora verde arrivò diretta ancora una
volta a lui.
Tuttavia, se Alastor peccava in acume, disponeva di una
resistenza sufficiente per fargli attutire l'attacco al petto
afferrando la testa del suo avversario una volta colpito, rimanendo
agganciato.
Purtroppo però non era abbastanza saldo sul posto
da fermare il suo avversario ed entrambi si trovarono a volare,
abbracciati uno all'altro, sopra il fiume.
In volo, i due avversari si scambiarono alcuni colpi
poco convinti, qualche zoccolata e pugno: troppa era la
concentrazione della creatura della foresta nel mantenere la velocità
per colpire con forza e Alastor doveva mantenere a tutti i costi la
presa sulle orecchie della creatura, se non voleva essere sbalzato
chissà dove a quella velocità.
Alla fine, tuttavia, l'insieme di fattori dovuto alla
velocità, la situazione precaria e il disordinato duello in
volo portarono i due sfidanti a sfondare nella vegetazione al capo
opposto della foresta, cadere rovinosamente a terra e rimbalzare in
due direzioni opposte per diversi metri.
Alastor terminò la sua corsa picchiando contro un
albero. Imprecò rumorosamente all'impatto per via del dolore,
forse qualche costola doveva esserglisi incrinata.
Tuttavia dovette portarsi rapidamente una mano sulla
bocca, avvertendo un rumore di passi avvicinarsi a lui. Sforzandosi
di ignorare la lunga fila di botte ricevute in pochi minuti, si alzò
e corse tra la vegetazione in direzione opposta, cercando di
mascherare il suo passaggio correndo tra i cespugli, gli alberi e
facendo attenzione a passare il più possibile sulle rocce per
non lasciare tracce.
Non seppe mai per quanto tempo corse, ma alla fine uscì
dalla vegetazione per trovarsi davanti a una piccola città di
periferia che riconobbe a prima vista.
Ponyville.
Di nuovo.
Avanti a lui, Twilight, Fluttershy e altre quattro pony
lo guardavano con un misto di preoccupazione, dovuto allo stato in
cui si trovava, e divertimento.
«Non sei andato molto lontano!» ironizzò
Twilight, vedendolo piegato, bagnato, sporco, con il fiatone e una
mano sul petto, dove sentiva il maggiore dolore.
Imprecando, Alastor ignorò l'insulto domandando
«Come si fa ad uscire da qui?»
La risposta di Twilight arrivò dopo un momento di
silenzio.
«Non puoi.»
|
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Capitolo 4 *** Riunione ***
Capitolo
3
Riunione
Alastor venne medicato da un misto di medicina
tradizione che sapeva riconoscere e magia, quest'ultima dovuta alle
abilità della stessa Twilight.
Un brutto pensiero lo assalì in quei momenti:
sapeva come comportarsi con dei farabutti armati di pistole e
coltelli, ma cosa fare con qualcuno che può sollevarti come
una piuma con un pensiero?
Se non altro dovevano volerlo vivo, per farlo rimettere
in sesto così in fretta.
Gli chiesero anche cosa avesse incontrato nella foresta,
ma a parte il fatto che somigliassero a dei pony-insetto lui non
seppe, né volle, dire altro. Con così pochi elementi a
disposizione, nessuno seppe spiegargli cosa potessero essere e così
l'intera aggressione venne liquidata come quella di una delle tante
bestie feroci che vivevano in quel luogo, la Everfree Forest.
«Volete
dire che esistono più
bestie
feroci intorno a voi?» domandò Alastor, quasi
involontariamente, non appena venne a saperlo
«Oh, sì. Lupi del legno, Cockatrici,
Manticore... a iosa!» gli spiegò con molta cura
Fluttershy
«E voi riuscite a tirare a campare in mezzo a
tutto questo?»
«Tsk!» sbuffò un secondo pegaso,
azzurro dalla criniera arcobaleno «Per noi è solo
ordinaria amministrazione. Sarai tu, semmai, quello deboluccio!
Guarda come ti hanno ridotto!»
Alastor incassò l'offesa con un sorriso nervoso.
La tentazione di ricambiare la cortesia del pegaso facendogli
mangiare la sua stessa coda era tanta, ma fino a quando la sua
situazione non sarebbe stata più chiara era meglio andare con
i piedi di piombo.
«Perché
te ne vuoi andare, in ogni caso?» domandò un pony rosa
-sì, rosa-
saltellando davanti a lui «Non ti piace qui?»
Mentalmente, Alastor credette che quel pony fosse un
parente vicino di quello che lo aveva avvisato di essere spiato, ma
preferì non pronunciare questo pensiero a voce alta.
«Come ho già detto, sto cercando Aria
Blaze. Sono venuto con lei e, ovunque sia, la troverò.»
A queste parole una nuova veloce, impercettibile, ombra
passò sul volto di Twilight, ma la principessa fu abbastanza
lesta da cambiare espressione prima di quel minuto che Alastor
avrebbe richiesto per accorgersene.
«E da cosa dovresti proteggerla, se posso
domandare?» chiese un unicorno bianco dalla criniera blu,
presentatasi come Rarity
«Come sai che la devo proteggere?» ribatté
Alastor, sorpreso del suo acume
«Hai detto che siete venuti assieme e adesso che
non è con te la stai cercando ad ogni costo. Non ci vuole
certo Twilight per capire che sei legato a lei!» rispose,
ammiccando, il pony con il cappello da cowboy, Applejack
«E visto che non porti anelli o altri segni di
fidanzamento o addirittura matrimonio, devi averla in cura.»
concluse Rarity, osservando le dita tozze dell'umano. Doveva essere
una giumenta molto attenta ai dettagli.
Il
pegaso azzurro, Rainbow Dash rise sotto ai baffi «Eh, chissà,
magari non sono ancora
fidanzati!»
A quello sfottò seguì un proiettile
bianco, sotto forma di cuscino, che sfrecciò a tutta velocità
verso di lei, prendendola in pieno. Oltre ad arretrare di un paio di
centimetri, tuttavia, Rainbow Dash avvertì nessun danno.
Tutte fissarono Alastor che lentamente si alzava,
sibilando «Non dire mai più una cosa simile!»
Una volta in piedi in mezzo a quei pony colorati, fece
per uscire dicendo «E ora, devo tornare a cercarla.»
Tuttavia venne fermato da Twilight, la quale lo avvolse
in una bolla viola e lo ributtò a letto «Sei ferito e
delirante. Tu resta qui: Rarity penserà a portarti un cambio.
Ad Aria Blaze penseremo noi.»
Era vero, per le condizioni dei suoi vestiti era bastato
un incantesimo da parte dell'unicorno, ma i lividi sembravano più
difficili da far passare. Tuttavia, Alastor era decisamente troppo
testardo per dare retta a qualcuno.
«Non se ne parla!» si difese, facendo per
rialzarsi ancora «Io voglio trovarla.»
Con
un tono sibilante, carico di minaccia, Twilight fissò Alastor
negli occhi dicendo «Sono io
che
non voglio.»
«Da quando sei così dura?» domandò
Rainbow Dash a Twilight, non appena uscirono dalla stanza dove si
trovava Alastor
«La
situazione è molto
più
complicata di quanto si possa pensare. Non possiamo fidarci di lui
fino a quando non ho delle certezze.» si giustificò la
principessa, guardando tutte insieme le sue migliori amiche e
compagne di tante avventure.
Nessuna
commentò le sue parole, benché dai loro sguardi fosse
ovvio
cosa
stessero pensando.
Così, l'alicorno rincarò la dose
«Ascoltatemi: voi non c'eravate, non sapete cosa siano in grado
di fare le Dazzling. Semplicemente, non voglio che si ripeta qui a
Ponyville quello che ho visto succedere nel liceo di Canterlot!»
Twilight non aveva mai spiegato chiaramente cosa avesse
visto quando affrontò le Dazzling l'ultima volta, ma la sua
preoccupazione era evidente. Anche Rainbow Dash, generalmente
diffidente dalle preoccupazioni che invece la sua amica dimostrava
ogni volta, in quelle occasioni non osava spronarla ad approfondire.
«E come se non bastasse, quello che ha affrontato
Alastor Sullivan nella Everfree Forest può essere soltanto una
cosa!» aggiunse la principessa, agitando gli zoccoli al cielo
«E cosa, di grazia?» chiese Applejack,
confusa
Twilight gelò «Oh, andiamo, volete
scherzare? Quante creature esistono delle dimensioni di noi pony, ma
con il carapace al posto del manto?»
Tra
le cinque amiche avvenne uno scambio di sguardi confusi che non
piacque alla principessa «Argh! Non abbiamo tempo! Passiamo
alla fase due!»
Se non altro,
quell'ordine arrivò più chiaramente alle orecchie dei
pony con lei e presto cominciarono tutte a muoversi verso una certa
ala del castello.
Prima
che Twilight muovesse un passo, tuttavia, venne raggiunta da un
agitato Spike che sventolava sopra la testa una fotografia
chiamandola a gran voce «Twilight,
lo abbiamo trovato! Twilight, lo abbiamo trovato!»
Capendo
di cosa il suo assistente stesse parlando, la principessa lo guardò
con un sorriso a trentadue denti stampato sulle labbra «Presto,
aggiornami!»
Spike
allungò la foto verso l'alicorno. Nel ritratto era
rappresentato un mostro marino, simile a quello ben noto a Ponyville,
Stephen Magnet. Benché condividessero la razza, tuttavia,
erano presenti numerose differenze: nel mostro in foto mancavano i
baffi e inoltre i capelli cadevano a cascata dietro la testa, come
quelli di Alastor, ed erano anche di colore nero invece che biondi.
Inoltre, si trattava di un mostro marino dalla muscolatura molto più
sviluppata rispetto a Stephen e sul corpo erano presenti segni di
numerose abrasioni che lo avevano privato di qualche scaglia.
«Alastor
Sullivan. Si aggira in terre inesplorate, piene di pericoli e sembra
che passi la maggior parte del tempo litigando, e spesso
picchiandosi, con altre creature mostruose. Solo grazie a questo suo
vizio sono riusciti a censirlo: pare che sia anche molto scontroso.»
Twilight
ascoltò quella spiegazione interessata «Una sirena e un
mostro marino... sarà perfetto!»
esclamò infine, sfregandosi gli zoccoli mentre già
preparava mentalmente quello che le varie fasi per il suo piano.
Alastor sbuffò seccato, comprendendo che era
tornato punto e a capo: solo, chiuso in una stanza, con il dubbio di
che fine potesse aver fatto Aria.
Tuttavia
il vantaggio, se si vuole essere abbastanza generosi da chiamarlo
così, di essere “più bestia che uomo” è
che difficilmente si realizzano i momenti in cui sarebbe meglio
starsene buoni e così Alastor, volendo a tutti i costi
scoprire la sorte di Aria, si rialzò dal letto decidendo che
sarebbe scappato. Di
nuovo.
Non potevano riprenderlo tutte le volte, no?
Si rivestì e, avvicinando l'orecchio alla porta,
cercò di sentire qualsiasi rumore che potesse indicargli la
presenza di qualcuno.
Si trovava nuovamente nel castello di Twilight, il che
gli dava il non indifferente svantaggio di non avere idea di come
muoversi per uscire, ma questo non lo avrebbe fermato di certo.
In ogni caso, origliando, sentì che proprio
davanti alla porta due pony stavano confabulando tra di loro.
Scartando così la possibilità di fuggire attraverso la
porta principale, Alastor si spostò dalla finestra.
Era, ad occhio e croce, al secondo piano del castello.
Una caduta del genere non poteva certamente ucciderlo, ma non era
nemmeno il caso di rompersi una gamba per poi scappare!
Usare la coperta del letto su cui era medicato per
scendere alcuni metri era un'idea da scartare, anche legandola non
avrebbe superato neppure un piano. E poi gli mancavano appigli a cui
legarla.
Appigli...
Alastor si affacciò ancora. Sotto di lui c'era
un'altra fila di finestre, prima di una caduta libera di alcuni metri
verso la vegetazione.
Forse, se avesse diminuito l'altezza della caduta
aggrappandosi ai bordi delle finestre, prima di lasciarsi andare,
sarebbe potuto correre con al massimo una storta!
O almeno, questo è quello che gli suggeriva quel
neurone nel cervello. Difficile fare calcoli fisici, quando non si
conoscono!
Decidendo che valeva comunque la pena provare, aprì
la finestra e, facendo attenzione, si calò per lasciarsi
cadere verso la finestra sotto di lui.
Il contraccolpo, quando afferrò con le mani il
cornicione della finestra ad arco, non fu indifferente e solo grazie
alla sua forza erculea non scivolò e cadde.
Stringendo i denti per sopportare il dolore alle spalle
si fece forza e, aiutandosi poggiando saldamente i piedi alla parete,
si alzò a guardare attraverso la finestra per assicurarsi che
nessuno lo avesse visto.
Quel che vide, invece, fu ben diverso da quello che si
aspettava, ma non meno terribile.
Avvolta in una bolla lilla, vide Aria priva di sensi
venire spostata fuori dalla stanza.
Lei stava rannicchiata in posizione fetale dentro la
bolla, con gli occhi chiusi: impossibile dire se era stata stordita
oppure era rimasta in quello stato da quando erano arrivati a
Ponyville.
Tuttavia, Alastor avvertì il cuore saltargli un
battito quando la vide. Fu solo per pochi secondi, prima che
superasse la porta e questa venisse chiusa alle sue spalle, ma fu più
che sufficiente per lui perché lo rinvigorisse come una scossa
elettrica.
Allora era lì che tenevano Aria. E perché
Alastor non era mai stato lasciato al castello troppo a lungo!
Improvvisamente, i brividi mutarono in un furore che dalla bocca
dello stomaco si espanse nel resto del corpo: la sola idea di venire
buggerato in quel modo da dei pony colorati non gli piaceva affatto.
«Ci
vediamo dopo,
Twilight Sparkle...» ringhiò, come se stesse
pronunciando la più potente delle minacce.
Sforzandosi ancora, Alastor si arrampicò sulla
sporgenza della finestra e ruppe il vetro tuffandosi attraverso. Non
mancarono certo i graffi e le schegge di vetro conficcate sulla pelle
scoperta, ma in quel momento non lo avrebbe potuto fermare nemmeno
una cannonata.
Ritornato dentro al castello, incurante dei tagli sulla
faccia e sulle braccia, uscì dalla stanza per affacciarsi nel
corridoio. Di Aria, tuttavia, non c'era già più alcuna
traccia, quasi fosse sparita nel nulla come per magia.
Già, magia... in quel mondo avevano già
reso palese che la usavano spesso, non era da escludere che dopo la
bolla magica avessero usato qualcosa di simile anche per farla
sparire chissà dove.
Nonostante questo, Alastor cominciò a correre
lungo i corridoi del castello tenendo le orecchie aperte e lo sguardo
attento, alla ricerca di un'ombra o il più impercettibile dei
rumori che potessero indicargli che aveva trovato dove tenevano
quella benedetta ragazza.
Corse a perdifiato per un periodo di tempo che non seppe
contare e il fiatone cominciava a rendergli difficile ascoltare tutto
quello che succedeva intorno a lui. Inoltre, era abbastanza certo di
aver già controllato almeno due volte lo stesso corridoio.
Interruppe la sua ricerca Applejack, il pony con il
cappello, il quale si avvicinò alle sue spalle senza fare
rumore in un momento in cui si fermò a riprendere fiato.
Semplicemente, domandò «E tu cosa ci fai fuori dalla
stanza?»
Alastor si voltò a guardarla. Nel volto di lei
non c'era preoccupazione o aggressività, ma pura e semplice
curiosità
«Dov'è?» riuscì a chiedere con
fatica
«Chi?» ribatté la giumenta,
grattandosi una tempia con lo zoccolo
«Aria. Aria Blaze. L'ho vista mentre la portavano
via. In questo castello!» rispose Alastor, duro nel tono,
mentre ricominciava a guardarsi intorno
Applejack
si prese una piccola pausa, prima di rispondere con tono calmo e
gentile «Ascoltami, zuccherino... io non
so
dove possiamo trovare questa Aria. E sei agitato, lo capisco: la
lotta nella Evefree Forest, il trovarsi in un mondo completamente
diverso dal tuo... e a giudicare dai tagli che hai sulla faccia devi
aver cercato di scappare gettandoti dalla finestra. Non potresti
essertela semplicemente immaginata?»
«L'ho
vista con
i miei occhi!»
gridò Alastor, digrignando i denti e tornando a guardare
Applejack con aria di sfida. Non era pazzo e non aveva le
allucinazioni: avrebbe messo volentieri non la mano, ma tutto il
corpo sul fuoco pur di garantire quello che aveva visto.
«Ti manca molto, vero?» chiese Applejack, a
sorpresa.
Quella domanda spiazzò Alastor, il quale rimase
intontito a guardarla, fermo, in piedi e con le mani a penzoloni
lungo i fianchi.
«Sì.
Deve
essere così, se sei così preoccupato per lei...»
analizzò a voce alta la giumenta, guardando l'umano dall'alto
in basso
Alastor rimase imbambolato ancora qualche istante, prima
di riaversi e uscire, senza nemmeno salutare. Applejack lo seguì
con lo sguardo, ma non commentò né cercò di
fermarlo.
Semplicemente lo seguì con i suoi enormi occhi
verdi mentre scendeva le scale fino a sparire dal suo piano visivo.
Per tutto quel tempo mantenne un'espressione indecifrabile, ma non
appena rimase sola un ghigno predatorio si dipinse sul suo muso.
Alastor tornò
all'aperto, fuori Ponyville, con sorprendente facilità.
Nessuno, oltre Applejack, capitò sul suo cammino e quando uscì
dal castello ebbe come l'impressione che anche le vie del centro
fossero stranamente deserte.
Ignorando questa
percezione, cominciò a vagare intontito lungo la strada
sterrata.
“Intontito”
era la parola ideale per descrivere il suo stato d'animo: lo scarico
di andrenalina dovuto alla facilità della fuga lo aveva
lasciato solo con il suo fiatone e la mancanza di energie mista ai
tagli e le ferite guadagnate in una sola giornata lo faceva
zoppicare. Poco ci mancava che gli si annebbiasse la vista.
Quei pochi pony che incontrava lo guardavano
preoccupati, non doveva affatto avere un bell'aspetto e lui stesso
non sapeva come immaginare diversamente: in un paio di giorni che si
trovava lì aveva litigato con una principessa, era stato
picchiato come un chiodo da alcune creature della Everfree Forest e
ormai persino la sua percezione del reale era messa in forte
discussione.
Fu fermato lungo la strada da un pony avvolto in un
mantello con il cappuccio, il quale si rivolse a lui con uno strano
accento «Per la tua bella troppo non ti crucciare | Perché
qui è il sorriso l'unica emozione che puoi mostrare.»
Alastor fissò la creatura, la quale si levò
il cappuccio rivelando una cresta a strisce così come il suo
manto. Al collo e intorno ad una zampa una lunga fila di anelli la
decorava, dandole assieme ad un orecchino un'aria molto esotica.
«Cosa?» domandò lui, fissandola nei
suoi occhi azzurri
«Non affannarti a cercare la tua ragazza |
Scoprirai che siamo molto pacifica come razza.»
La zebra parlava davvero solo in rima?
Colto da questo pensiero, Alastor piegò
involontariamente le labbra in un sorriso molto tirato, che la zebra
mal interpretò «È il riflesso a qualche tua
ferita | O questa Aria Blaze è da te così ambita?»
Il sorriso si spezzò subito. Quei pony lo
conoscevano da poco tempo, eppure sembrava che potessero già
leggerlo come un libro aperto, dalla sua incapacità a
sorridere come si deve ad Aria.
Imprecando, Alastor poggiò i pugni sui fianchi e
squadrò la zebra «E tu come fai a sapere di Aria? Io non
ti conosco neppure!»
«Il mio nome è Zecora. | Vuoi seguirmi
Alastor, ora?» rispose la zebra, indifferente alle minacce
dell'umano prima di indossare ancora il cappuccio e cominciare a
spostarsi tra la folla.
«Come accidenti sai il mio nome?» domandò
ancora lui, seguendo Zecora, pur senza mai ottenere una risposta.
Tuttavia
lo colpì molto di cosa avevano parlato: quella era una terra
pacifica, dove si potevano mostrare solo
sorrisi.
Voleva dire che erano tutti costretti, in qualche modo,
a comportarsi in quel determinato modo?
Forse Twilight, o chi per lei, forzava tutti a seguire
un rigido schema di comportamento? E lui era tenuto sotto
osservazione proprio perché diventasse come tutti gli altri?
Questo avrebbe sicuramente spiegato perché non poteva
andarsene da Ponyville!
I suoi pensieri vennero interrotti solo quando la voce
di Zecora tornò a farsi sentire «Siamo arrivati.»
Era la prima volta che evitava di fare una rima, ma quel
che colpì di più Alastor fu il fatto che si trovassero
entrambi davanti ad una casa!
«Arrivati...
dove?»
domandò ancora, osservando la zebra mentre apriva la porta con
lo zoccolo, prima di farsi da parte per lasciarlo entrare.
«A Ponyville non sarete di certo abbandonati |
Perciò entra e non sarete più separati.»
«Hai fatto la rima con quello che stavi dicendo un
attimo fa?» chiese Alastor, quasi involontariamente, entrando
nella casa pur senza togliere lo sguardo dalla zebra «E perché
adesso parli al plurale?»
«Quando
hai promesso di proteggermi... intendevi sistemarmi in un'altra
dimensione? Perché io l'anello al dito non te lo metto, questo
è certo!»
Quella voce, bassa e scura con la tendenza ad allungare
le parole, interruppe le domande di Alastor facendolo trasalire.
Con gli occhi fuori dalle orbite si voltò
rapidamente verso la fonte, riconoscendo Aria Blaze, in piedi in
mezzo al corridoio con le mani appoggiate sui fianchi, mentre lo
guardava con accondiscendenza.
«Aria...» la chiamò, quasi
involontariamente
«Bravo, ricordi il mio nome!» lo canzonò
lei, prima di indicare dietro di se con il pollice «Hai fatto
la spesa, per caso? Come facevi a sapere cosa...»
Aria non proseguì, perché Alastor la
abbracciò, gelando entrambi.
Dopo qualche secondo di imbarazzato silenzio, la ragazza
domandò «E questo è per...»
Stringendo i denti, lui confessò mentre sudava
freddo «Non... non lo so.»
Avrebbe giurato di sentire Zecora ridere sotto ai baffi.
Aria
gli diede una leggera pacca sulla spalla, colpendo involontariamente
proprio uno dei lividi che si era fatto nella Everfree Forest,
dicendogli con tono di sufficienza «Be', bimbo,
adesso facciamo che mi lasci, okay?»
I due ragazzi si separarono e Alastor tornò a
guardare la porta.
Nessuna traccia di Zecora. In compenso, alcuni dei
passanti guardarono dentro casa divertiti.
Velocemente, Alastor andò a chiudere la porta.
«Ti comporti in maniera piuttosto strana,
lasciatelo dire.» confessò Aria, guardando Alastor
agitarsi ma senza intervenire per calmarlo o fermarlo «E sei
ridotto ad uno straccio! Cosa è successo mentre eri fuori?»
Alastor non rispose
subito, si limitò a chiudere porte e finestre muovendosi
freneticamente da un capo all'altro della casa. Solo quando si
assicurò di essere lontani da occhi ed orecchie indiscrete si
concentrò sulla sirena.
Si
avvicinò a lei e le mise entrambe le mani sulle spalle,
guardandola negli occhi e spiegandole «Ascoltami bene, ho
bisogno di sapere tutto, ogni
cosa che
ricordi da quando abbiamo attraversato il portale!»
Aria
prese i polsi di Alastor, come per liberarsi dalla sua presa, ma non
fece alcuna pressione. Piuttosto, ricambiò lo sguardo
dell'umano e rispose «Perché non me lo dici tu?»
«Che vuoi
dire?»
Assicurandosi di
usare meno parole possibile, Aria spiegò alla sua guardia che
lei era di fatto rimasta incosciente esattamente dal momento in cui
erano stati colpiti. Non sapeva dire nemmeno per quanto tempo doveva
essere rimasta priva di sensi; il suo primo ricordo è quando
si era svegliata, pochi minuti fa, in quella casa con Pinkie Pie al
suo fianco.
Il pony in
questione, in mezzo ad un fiume di frasi prive di significato, le
aveva spiegato che quella dove si trovavano era la casa di Alastor e,
pertanto, anche la sua; inoltre le aveva anticipato che lui stesso
sarebbe tornato a breve.
Alastor
liberò Aria dalla sua presa per andare a grattarsi la testa
«Quindi ricordi assolutamente nulla, dal momento in cui siamo
arrivati qui?»
Aria
aprì le mani «Non so nemmeno dove sia qui.
Deve essere stato costruito di recente. Perché non mi spieghi
tu qualcosa?»
Dopo
una breve pausa che aumentò la gravità della
situazione, Alastor propose «Forse è meglio farlo da
seduti...»
Così,
una volta accomodati nel salotto, Alastor raccontò la sua
giornata. Al contrario della sirena, tuttavia, cercò di essere
il più dettagliato possibile e questo costò ad entrambi
una lunga ora di parole.
Solo
quando Alastor terminò il suo racconto Aria ricominciò
a parlare.
«Ponyville,
eh? No, non ricordo città con questo nome prima dell'esilio.»
fu il suo primo commento, pronunciato mentre si rialzava dal divano
per cominciare a camminare intorno alla stanza.
Alastor
non rispose, e nemmeno imitò la sirena. Rimase seduto, con le
braccia appoggiate sulle ginocchia e gli occhi scuri fissi su di lei
mentre camminava in lunghi cerchi massaggiandosi nervosamente il
mento. Solo dopo qualche secondo lei si fermò avanti a lui,
incrociò le braccia al petto e domandò «E quindi,
quando non mi hai trovata, hai fatto tutta quella confusione? Hai
anche minacciato una principessa?»
L'umano
rimase sorpreso per qualche secondo, poi rispose mettendo ancora in
bella mostra la sua ingenuità «Perché, è
qualcosa che non si fa?»
Una
piccola risata scappò alla sirena, veloce e irrefrenabile come
uno starnuto, prima di ricominciare a camminare in cerchio
rispondendo «No. È preferibile evitare.»
Alastor
si grattò la testa con una mano, avvertendo una sempre
maggiore confusione nel suo piccolo cervello. Era finito in un altro
mondo con un sistema politico a lui completamente sconosciuto e dove
una forza che lui aveva solo letto in qualche fiaba o visto in
qualche film era invece diffusa ancora più dell'energia
elettrica.
Tuttavia,
Alastor notò l'espressione assorta, concentrata su altro, che
Aria aveva assunto. Non sapendo di cosa poteva trattarsi cercò
di alleggerire la situazione ironizzando «Certo che... per
aiutarci almeno a mimetizzarsi tra questi pony lo specchio avrebbe
potuto renderci almeno qualche altra creatura! Così è
un po' come se fossimo degli animali in gabbia!»
L'espressione
sul volto di Aria mutò in un lampo. Come un vetro che si
rompe, la concentrazione che dimostrava fino a pochi istanti prima
crollò, gelandola sul posto mentre dei brividi la scuotevano.
«Lo
specchio... è progettato e incantato perché creature da
Equestria
partano per altri mondi. Non il contrario. Non c'è mutamento
negli esseri umani... e tu, Alastor, ne sei la prova.» spiegò
Aria, con voce tremante, dando le spalle al compagno.
Alastor,
ingenuamente, ascoltò quelle parole e sollevò una mano
verso la ragazza pensando a voce alta «Questo significa che
tu...»
«Non
lo dire!» esclamò Aria, voltandosi verso di lui
puntandogli contro un dito. Era diventata paonazza, con gli occhi
fuori dalle orbite e la mascella serrata; Alastor avrebbe preferito
che al posto di quel dito ci fosse una pistola, si sarebbe sentito
meno minacciato.
«Io
non sono un essere umano, hai capito? Non
lo sono!»
cominciò a gridare lei, incapace di trattenersi di fronte al
pensiero che fino ad allora aveva cercato invece di ignorare.
Tornare
ad Equestria non solo poteva voler dire riunirsi con le sue compagne
di una vita, ma avere la concreta possibilità di recuperare i
loro poteri. Dopo il loro esilio ne avevano perso la maggior parte,
rimanendo solo con una frazione ridicola
di
quello che possedevano, ma il fatto di trovarsi ancora nel corpo di
una ragazza di nemmeno trent'anni una volta attraversato il portale
poteva voler dire solo una cosa.
E
cioè che i suoi poteri naturali erano andati perduti,
probabilmente per sempre.
Si
portò i capelli sulla testa, cominciando a vagare senza meta
per la sala ripetendo che lei era una sirena, non un'umana. Nessuna
di loro, riferendosi alle altre Dazzling, lo era.
Alastor,
spaventato da quel crollo, si alzò la fermò
stringendola al suo largo petto in un altro abbraccio. Non si sarebbe
potuta liberare nemmeno se lo avesse voluto.
Comunque,
Aria non ci provò nemmeno. Si limitò a restare lì,
in quella posizione, cercando di smettere di nascondere il rumore dei
suoi singhiozzi pestando i piedi per terra e i pugni sul corpo del
ragazzo.
«Dio,
quanto mi mancano!» sospirò lei, quando riuscì a
calmarsi leggermente.
«Lo
capisco.» commentò, semplicemente, lui.
Restarono
in quella posizione per alcuni minuti. Alastor attese, pazientemente,
senza forzare quel silenzio con inutili parole. E in quel silenzio un
pensiero balenò nella mente di Aria.
Comprese
che lui non si sarebbe mai fermato, non l'avrebbe mai abbandonata o
permesso a qualcuno di farle del male; le sarebbe sempre stato vicino
senza trovare scuse per allontanarsi. Gli sarebbe sempre rimasto
accanto e avrebbe anche potuto morire, pur di proteggerla. Di tutti
gli aiutanti che poteva trovare per quella situazione così
folle, Alastor Sullivan era decisamente quanto di meglio poteva
volere.
In
quella folle situazione in cui si era cacciata, quell'umano
rappresentava il compagno migliore che potesse mai desiderare.
E
questo suo impegno, questa sua fedeltà, erano soltanto perché
lui voleva assolutamente rimediare a quel fallimento che ancora lo
tormentava a distanza di tanti anni?
Prima
che ci potesse riflettere troppo a lungo, lei si separò
appoggiando le mani sulle spalle larghe dell'umano e spingendolo
lontano. Comprendendo il messaggio, Alastor lasciò la presa e
le permise di allontanarsi di un paio di passi.
«Alastor...»
lo chiamò lei, con un filo di voce come se fosse imbarazzata
«Sto per dirti una cosa che non sono abituata a dire.»
Il
ragazzo aprì le mani «Be'... provaci.»
«Io
e le altre... noi Dazzling... siamo legate da un rapporto molto
speciale
per via della nostra magia. Siamo oltre qualunque rapporto tu possa
conoscere ed è per
questo che
non sono molto abituata ad altre persone che mi vogliono aiutare,
perciò... grazie.»
Alastor
sorrise a quelle parole e propose «Be', se vuoi sdebitarti,
perché non canti qualcosa per me?»
«Prego?»
Si
scoprì che Alastor era un appassionato di musica, non
ricordava i nomi dei cantanti o dei gruppi, e a volte nemmeno i
titoli, ma ascoltava diversi generi. Sfortunatamente, tra i suoi
amici al Black Canary, nessuno sembrava poterlo aiutare: Susy, a suo
dire, era intonata come un gallo, Bulldog diceva che la musica è
roba da comunisti mentre El Bastardo faceva solo lo swing.
Non
nascondendo il suo divertimento per quella scoperta, Aria decise di
accontentarlo.
Improvvisando,
Aria cantò “Summertime
Sadness”
mentre Alastor l'accompagnava fischiettando e battendo le mani sulle
ginocchia per dare almeno l'impressione della musica.
I'm feelin'
eletric tonight
Cruising down
the coast gain' 'bout 99
Got my bad baby
by my heavenly side
I know if I go,
I'll die happy tonight
Oh, my God, I
feel it in the air
Telephone wires
abobe are sizzling like a snare
Honey I'm on
fire, I feel it everywhere
Nothing scares
me anymore
Kiss me hard
before you go
Summertime
Sadness
I just want you
to know
Thay baby,
you're the best.
Simile gioco
aiutò molto la coppia, poiché i toni calmi della
canzone e il ritmo avvolgente riuscirono a calmare gli animi,
permettendo ad entrambi di andare a riposare una volta che
entrambi finirono.
Fuori dalla casa della coppia, appoggiate ad uno dei
tetti, un trio di pony composto da Twilight, Applejack e Rarity
osservava la scena attraverso una finestra.
La principessa sembrava abbastanza delusa da quello che
vedeva: per quanto l'affetto tra i due umani fosse palpabile,
sembrava che nessuno stesse per andare oltre.
«Tsk! Grandi e grossi ed emotivi come
quattordicenni!» commentò aspramente, agitando il capo
scontenta
Rarity si rivolse all'amica in maniera scettica «Sono
sorpresa che siano subito così vicini. Hai dato loro una
spinta?»
«Se avessi voluto aiutarli con la magia, a
quest'ora starebbero discutendo le date del matrimonio!» si
difese Twilight, alzando il capo e scherzando «Ricordati chi è
mia cognata!»
Applejack, divertita dalla battuta, rise in maniera
sommessa prima di domandare anche lei «Comunque non ho ancora
ben chiaro dove tu voglia arrivare, con la sirena e l'umano.»
Twilight attese qualche secondo, prima di rispondere con
un sorriso sornione rivolto alle due amiche.
Le sue parole furono «Diciamo solo che... se
Cadance mi potesse vedermi adesso, sarebbe così orgogliosa!»
Dopo una breve
pausa, aggiunse «Ma l'Impero di Cristallo è troppo
lontano da qui!»
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Capitolo 5 *** Passato ***
Capitolo
4
Passato
Un nuovo giorno sorse su Ponyville e la vita nelle
strade, puntuale come un orologio, tornò a scorrere con un
largo sorriso scolpito nelle facce dei suoi abitanti. Senza
disordini, senza rumori, caratterizzati unicamente da una tempesta di
colori, tutti i pony della città si gettarono nelle strade
obbedienti alle loro mansioni.
Sebbene fossero molto diligenti e la loro fedeltà
al lavoro fosse indiscutibile, tutti quelli che passavano non
potevano fare a meno di gettare un'occhiata incuriosita alla casa
dove viveva la coppia di umani provenienti da un altro mondo. O
almeno, questo era quello che più si diceva sui nuovi, strani,
inquilini.
Princess Twilight Sparkle aveva dato precise istruzioni
e, guardando attentamente nei cieli, si potevano vedere alcune
guardie reali, prive di armatura ma sempre riconoscibili dal cipiglio
severo e distaccato, nascosti tra le nuvole che non perdevano
d'occhio ogni entrata, finestra o possibile via di fuga.
Se invece del cielo si studiavano le finestre, non era
rado vedere Aria Blaze o Alastor Sullivan -nomi e aspetto erano stati
dettagliatamente descritti ad ogni singolo abitante di Ponyville-
tirare le tende per curiosare all'esterno prima di ritirarle
frettolosamente e sparire nuovamente.
Dentro la casa, Aria Blaze imprecò mentre tirava
con rabbia malamente repressa le tende avanti a se, mascherando la
strada sterrata davanti alla loro casa prima di spostarsi in un'altra
sala.
«Stramaledetti
pony!» esclamò, cambiando sala ed entrando nella stanza
dove c'era una cucina. Al suo interno, Alastor rovistava la dispensa.
«Muffin,
biscotti e... cos'è questo, lecca
lecca di sale?
Fieno
fritto?»
«Pare
che dovrai abituarti presto ad una dieta molto
vegetariana.» ironizzò la sirena, prendendo con
decisione un frullato passando di fianco a lui prima di sedersi
altrove. Sebbene odiasse il fatto di essere bloccata in quattro mura,
non poteva negare che l'ingenuità di Alastor le offrisse un
divertente svago.
Il ragazzo,
ignorando lo sfottò, chiuse le ante della dispensa e sospirò
profondamente riflettendo a voce alta mentre si avvicinava alla
sirena «Non mi è mai mancato così tanto il Black
Canary!»
Aria bevve un lungo
sorso, prima di chiedere «Vuoi dirmi che hai intenzione di
accettare questa prigione dorata della principessina?»
Alastor sobbalzò,
guadando Aria dritta negli occhi viola «Diavolo, certo che no!»
La sirena si allungò
verso il ragazzo, appoggiando la confezione del frullato sul tavolo,
prima di aggiungere «Sai, mentre pensavo a cosa potremmo
fare... mi sono accorta di sapere proprio poco su di te.»
Il ragazzo incrociò
le braccia, inarcò un sopracciglio e si appoggiò con la
schiena ad un mobile, commentando quelle parole «Be', se per
questo anche io so molto poco su di te.»
«Ed è
proprio questo il punto!» esclamò Aria, scattando in
piedi e puntando una mano verso Alastor «Tu non mi conosci. Sai
quasi niente di me, eppure hai deciso di aiutarmi quasi senza battere
ciglio. Non solo, hai rischiato anche la tua pelle e hai minacciato
di mettere le mani addosso a chiunque ti capitasse a tiro, quando mi
credevi scomparsa!»
Alastor sembrò
anticipare dove voleva andare a parare e spostò lo sguardo,
difendendosi debolmente «Te l'ho detto, aiutarti è la
mia occasione per fare qualcosa di...»
«Che rapporti
avevi con la mia controparte del tuo mondo?» domandò,
quasi a tradimento, la sirena, prendendo il viso di Alastor con una
mano per portarlo a guardarla di nuovo negli occhi.
Alastor si liberò
dalla presa, diede le spalle ad Aria e allungò le mani verso i
fianchi «Non mi va di parlarne. Io non ti ho chiesto come sei
nata.»
Seguì un
silenzio piuttosto teso, che Aria interruppe dopo un paio di minuti
«Ho più di duemila anni.»
Alastor sembrò
sorprendersi di questa rivelazione e tornò a guardare Aria
sorpreso «Li porti piuttosto bene!»
Lei si sedette,
invitando il ragazzo a fare altrettanto. Una volta che furono uno di
fronte all'altra, Aria raccontò tutta la sua storia.
Non sapeva spiegarsi
il perché, forse voleva semplicemente conoscere meglio chi
voleva proteggerla e pensava di usare quella confidenza a suo
vantaggio, oppure aveva semplicemente bisogno di sfogarsi. O, ancora
più semplicemente, si fidava di Alastor.
Qualunque fosse la
verità, raccontò tutto senza alcun timore.
In
un tempo lontano, prima che i regni venissero segnati sulle mappe e
le varie culture del mondo si conoscessero, il mondo era preda di
quelle energie primordiali che in futuro sarebbero state raccolte
semplicemente con il nome di “Caos”.
Esseri onnipotenti trascorrevano le loro giornate
combattendo il tedio della routine quotidiana seminando il panico e
la confusione sulle altre specie inferiori alla loro. Uomini, donne e
bambini, di qualunque etnia e classe sociale, la loro vita quotidiana
era resa estrema e difficile dai capricci di queste divinità
che si raccoglievano sotto il nome di Draconequus.
In uno degli ultimi giorni di quel triste e oscuro
periodo, passato alla storia come l'Era del Caos, un gruppo composto
da soli due Draconequus avevano pensato che sarebbe stato divertente
organizzare un ballo in una delle città costruite poco lontane
dal loro rifugio; un monte che si alzava fino al cielo, nascondendo
la vetta tra le nuvole.
Nessuno di loro sapeva quali fossero le ragioni che
avessero portato i pony che si erano spostati in quelle terre a
costruire una casa proprio lì vicino e nemmeno li importava.
Ogni posto in tutto il pianeta, vicino o lontano che fosse, aveva
esattamente le stesse possibilità di trovarsi come bersaglio
per gli esseri divini che flagellavano quelle terre.
Così, assumendo le dimensioni di una montagna, i
due Draconequus si scatenarono sugli abitanti della città,
cantando, ridendo e danzando sulle rovine e la devastazione che
seminavano con i loro goffi passi, mentre le grida terrorizzate degli
abitanti sotto di loro venivano a volte schiacciate dalle enormi
zampe degli dei oppure finivano con il fare da sottofondo alla loro
danza, mentre tutto intorno a loro crollava.
Alla fine della giornata, più della metà
della popolazione originale della città era perduta e la
maggior parte dei superstiti non avrebbe superato la notte a causa
delle ferite e delle esalazioni. Chi invece era stato più
sfortunato ed era sopravvissuto si trovava costretto a ricominciare
da capo, senza una casa, cibo o mezzo per sopravvivere in quelle
terre così difficili.
Ma tra i superstiti più sani c'erano tre
giumente, tre pony di diverse etnie provenienti da una terra lontana,
che erano miracolosamente uscite quasi indenni dalla distruzione
della loro casa. Esse odiavano con tutta l'anima quegli dei che
godevano nella loro sofferenza.
«Creature maledette!» berciò una di
loro, Adagio Dazzle, osservando con una rabbia che non poteva più
a contenere lo scenario dell'ultima devastazione seminata dai
Draconequus.
Dietro di lei, Sonata usava i denti per levare alcune
schegge che si erano infilate nelle ali di Aria. Sul loro volto c'era
una grande preoccupazione, eppure non parlavano.
«Non dire blasfemie!» osservò un
altro pony, avvicinandosi al trio «È solo grazie alle
nostre preghiere che siamo vivi! Dobbiamo rendere gr...»
Incapace di resistere, Aria tirò una grossa
pietra alla testa del pony. Questi, colpito, barcollò mentre
una non troppo piccola ferita si apriva sulla sua fronte.
Prima che potesse dire qualunque cosa, Adagio giustificò
le azioni della compagna, allontanandosi assieme a loro dallo
stallone «Se i draconequss avessero udito le tue preghiere ti
avrebbero già schiacciato, solo per divertimento.»
«Tsk. E non li biasimerei!» aggiunse Aria,
dietro Adagio.
Sonata rimase in silenzio, attendendo il momento in cui
sarebbero state fuori dalla portata delle orecchie dello stallone che
avevano appena attaccato e offeso. Comprendeva i sentimenti delle sue
due compagne, alla fine vivevano insieme da molti anni.
Erano cresciute insieme e sempre insieme avevano
affrontato le difficoltà di un mondo privo di una guida
solida, dove città e popoli venivano bruciati da creature
onnipotenti per capriccio, ma una parte di lei si rifiutava di
accogliere quelle brutte sensazioni come invece Aria e Adagio avevano
fatto da tempo.
Anche con le difficoltà, loro erano rimaste
unite, assieme erano quello che più si avvicinava al concetto
di famiglia, perciò non era convinta che quei tempi fossero
oscuri come invece loro credevano.
«Non pensate di esagerare, almeno un poco?»
domandò lei, non appena furono abbastanza lontane da occhi e
orecchie indiscrete «Se continuate a sbraitare così
contro i Draconequus, attirerete su di noi qualche catastrofe!»
Seguì il silenzio. Se Sonata rifiutava la cupezza
di quegli anni, Aria e Adagio l'avevano invece accettata con modi
differenti: Aria si era incupita, diventando un pegaso taciturno ma
al tempo stesso acido, che sfogava il suo malumore offendendo e
attaccando indistintamente chi le stava intorno, un po' come uno Yak.
Adagio, invece, aveva trovato sfogo alle sue malinconie nella
conoscenza, sviluppando una mente sopraffina. E quelle parole di
Sonata, prese in malo modo da Aria, accesero in lei qualcosa.
Mentre Aria non si faceva problemi a far notare a Sonata
quanto la ritenesse stupida, Adagio rimase ad osservare la montagna
sopra il quale i Draconequus avevano stabilito la loro dimora.
Il sole calava e si stava avvicinando l'imbrunire,
poteva vedere le sagome serpentine di quei mostri avvicinarsi alla
cima del monte come sciami di calabroni che tornano al nido.
«Forse non è un'idea tanto malvagia.»
fu il suo commento, pronunciato con tono basso e assente, come se
stesse parlando senza alcun controllo, che riuscì comunque a
zittire Aria e Sonata.
E così, quella sera, le impavide e perfide
compagne si arrampicarono sulla montagna che nessun'altra creatura
mortale prima di loro aveva osato attraversare e una volta arrivate
in cima poterono ammirare i creatori e i distruttori di tutto quello
che conoscevano.
I Draconequus, folli miscugli di animali all'apparenza
ma dotati di poteri divini, capaci di alterare la realtà che
li circondava secondo i loro capricci. Nessuno sapeva quale fosse la
reale origine dei loro poteri, di quale peccato dovessero essersi
macchiati per ricevere un dono simile. E, in quel momento, nemmeno
importava.
Quando gli dei dormono, la natura a volte da vita ad
una... “anomalia”. Il serpente, la bestia,
l'ingannatore...
Sussurrando nelle enormi orecchie degli dei che avevano
giocato con il loro mondo fino a quel giorno, le tre giumente
instillarono nelle loro menti, rese deboli e vulnerabili dal sonno,
il dubbio e la paura dei loro stessi compagni.
Nessuno sa quali parole le tre sirene avessero usato
quella notte per raggiungere il loro scopo: forse le loro capacità
di seminare odio e zizzania risalivano da ancora prima della loro
magia, o forse i rapporti tra i Draconequus non sono mai stati rosei
come si poteva immaginare, fatto sta che presto cominciò una
guerra tra loro.
E quando gli dei combattono tra loro, l'unico risultato
che si può ottenere è la distruzione.
I Draconequus che un tempo dominavano incontrastati
cominciarono a scontrarsi tra loro ai quattro angoli del mondo, dando
vita a duelli sempre più cruenti, che squarciavano il tessuto
stesso della realtà e lasciavano dietro di se solo
distruzione.
E i mortali piansero, vedendo il loro mondo esplodere in
quella guerra e i loro cari perire per colpa degli attacchi privi di
controllo dei duellanti.
E mentre questi esseri, capaci di invertire la gravità,
modificare l'intera realtà e cancellare città con un
solo pensiero, giacevano a terra, indeboliti e a malapena in grado di
parlare, una nuova oscurità si avvicinò.
Con un sorriso sornione, le tre compagne che avevano
dato origine a tutto questo osservavano i corpi ancora fumanti dei
vinti, i quali in cambio di aiuto offrivano loro tutto quello che
avrebbero potuto desiderare.
«Chiedo
perdono, ma credo che lo prenderemo da
sole.»
fu sempre la loro lapidaria risposta, prima di affondare il loro
colpo fatale sulla nuova vittima, eliminando definitivamente la
creatura più vicina ad un dio che si potesse immaginare.
Ma
nessuno uccide un dio e la passa liscia. Cosa succede, però,
se uccidi due
dei?
O dieci? O tutti?
Le tre compagne affondarono in profondità le loro
zanne nelle carcasse dei loro antichi padroni, prosciugandoli di
tutti i loro poteri.
Addio,
tre piccoli pony, e benvenute... Sirene.
Grazie ai poteri rubati ai Draconequus le tre Dazzling,
appena evolute in qualcosa di unico e al tempo stesso terribile,
acquisirono nuovi e sorprendenti poteri.
Innanzitutto divennero eterne, incapaci di invecchiare e
in grado di passare le ere senza mai risentire gli anni. Poi, grazie
all'influenza dei Draconequus, acquisirono poteri virtualmente
infiniti. Per sfruttarli, tuttavia, avevano bisogno di alimentarsi
con le energie derivate dalle emozioni delle creature inferiori: i
precedenti proprietari di quei poteri erano manifestazioni incarnate
delle energie del caos, loro erano solo dei gusci in cui queste erano
convogliate, prive del contatto naturale alla loro sorgente.
Consce di questo decisero di usare le loro doti per
seminare zizzania e di nutrirsi con le energie negative che si
sarebbero create.
Come la loro voce aveva portato alla guerra i
Draconequus e dato loro quei poteri, così la loro voce avrebbe
generato nuovi scontri e garantito loro l'eternità.
Paradossalmente, la scomparsa dei Draconequus e l'arrivo
delle sirene fu una ottima occasione per i popoli della terra: tre
creature dotate di quei poteri, invece delle decine che prima
infestavano il globo, lasciavano zone d'ombra dove sviluppare le
civiltà molto più ampie e durature. Così, la
nascita di queste creature subdole coincise anche con una nuova era
per i mortali.
Un solo Draconequus era riuscito a salvarsi, Discord, ma
questo sembrava non provare rancore verso le sirene: vedendosi come
unico vincitore della guerra tra i suoi simili, passò molti
anni divertendosi combinando ogni sorta di scherzo infantile che
potesse passargli per la mente. E, dall'altra parte, le sirene si
sentivano già abbastanza soddisfatte con i loro attuali
poteri, per desiderarne altri.
Così, con l'ultimo dei Draconequus da una parte e
tre sirene in grado di seminare il caos con la musica dall'altra, la
vita sulla terra continuò, nuovi regni nacquero e nuove
società presero il posto che spettava loro di diritto nei
libri di storia.
Per gli esseri più potenti del mondo non poteva
esserci condizione migliore: sconvolgere intere civiltà con
infinite marachelle quando queste credono di aver trovato l'ordine, o
mettere gli uni contro gli altri quando l'unità è il
valore più lodato di una nazione, erano scenari ideali per
mettere alla prova i loro poteri.
Poi venne una nuova era ancora, che segnò un
nuovo cambio verso un mondo definitivamente migliore: l'Era degli
Alicorni.
Nessuno sapeva da dove fossero uscite, ma come le tre
tribù di pony si riunirono in un'unica nazione, la neonata
Equestria, e scelsero loro due come guida subito si scatenò
una rapidissima serie di eventi destinata a cambiare una volta per
tutte l'ordine del mondo.
Discord
venne sconfitto dalle principesse Celestia e Luna, le regnanti di
Equestria che nel frattempo avevano guadagnato una fama senza pari
risolvendo rapidamente molte altre minacce di stampo minore, e
Starswirl il Barbuto, fidato compagno delle governanti di Equestria,
bandì le sirene in un altro mondo, una volta compreso che non
avrebbe mai
potuto superare il loro potere.
Nel nuovo mondo dove si trovavano non esisteva la magia;
i loro medaglioni erano tutto quello che le legava al mondo mistico a
cui appartenevano, perciò anche i loro poteri erano
sensibilmente diminuiti: il massimo che potevano fare era accumulare
potere e sperare che, un giorno, questo sarebbe stato sufficiente per
farle tornare a casa.
Ovviamente questo potere non sarebbe mai arrivato, se
non fosse stato per una opportunità che si presentò
loro all'interno della Scuola Superiore di Canterlot: un artefatto di
Equestria era stato portato in quel luogo, lasciandogli un'impronta
magica che loro potevano sfruttare per riottenere i loro pieni
poteri.
Ma Twilight Sparkle e le sue alleate in quella scuola
riuscirono a stravolgere i loro piani, sconfiggendole e privandole
definitivamente della loro unica fonte di potere; i medaglioni.
Abbandonate e senza più poteri, le sirene
tentarono in ogni modo a loro disposizione per riavere anche quel
poco potere che possedevano inizialmente: tentarono di ricostruire i
medaglioni, di cantare... arrivarono persino a ingoiare le schegge,
ma ogni tentativo si rivelò vano.
Così, le
energie del caos, padroneggiate da queste quattro creature
semidivine, sembravano essere definitivamente scomparse, consegnando
tacitamente l'eco delle loro imprese ai libri di storia.
Alastor terminò
di ascoltare la storia come rapito. Trovava sorprendenti le origini
di quella graziosa ragazza che voleva aiutare.
«Avete davvero
ingoiato le schegge dei vostri medaglioni?» chiese subito «Non
era pericoloso?»
«Te l'ho
detto, Alastor: ho più di duemila anni.»
«E questo che
c'entra?»
Sebbene seccata che
il ragazzo non lo capisse da solo, Aria spiegò meglio «La
magia del caos, il fatto stesso di essere una sirena, mi ha sospeso
l'invecchiamento. Per quanto poca magia possedessimo, bastava a farci
restare per sempre giovani. Ora, senza magia, noi Dazzling siamo solo
esseri umani. Di più di duemila anni.»
Alastor, finalmente,
capì l'antifona «Vuoi dire che...»
«Anche
se in maniera irregolare, e in qualche modo la magia di Equestria ha
fermato il processo, oggi ho trenta
due
anni. Quando Trillyt
ci sconfisse, poco più di un mese fa, ne avevo quindici.»
Alastor immaginò
quanto dovesse essere stato terribile scoprire qualcosa di simile e
tra i due calò il silenzio per alcuni istanti: lui non sapeva
cosa dirle e lei aveva bisogno di qualche secondo per dimenticare lo
shock di quei momenti.
Quando ci riuscì,
Aria passò il testimone al suo coinquilino «Ora tocca a
te. Chi sei, veramente?»
Alastor sospirò,
passandosi le mani sui capelli per qualche secondo. Alla fine scelse
di svuotare il sacco, visto che Aria aveva fatto lo stesso con lui.
«Devi sapere
che sono nato in un posto molto lontano, rispetto a dove ci siamo
conosciuti. È per questo che ho un nome molto diverso dagli
altri abitanti.»
«E come ci sei
arrivato?»
«Non come
accadde di preciso, ero troppo giovane. Non ricordo nemmeno chi
fossero i miei genitori, a dirla tutta.»
Aria inarcò
un sopracciglio «So che sei molto affezionato a tua madre...
com'è possibile?»
«Lei è
uno dei motivi per cui non mi piace parlare di questa storia. Ma se
lo vuoi tu, farò uno sforzo.»
Così come
Aria aveva fatto prima di lui, anche Alastor svuotò il sacco e
le raccontò tutta la sua storia.
Veniva da un'altra
nazione, non volle specificarne il nome e fin dalla nascita la sua
vita era caratterizzata dalla solitudine. Non era molto intelligente
e aveva palesi difficoltà a capire cosa dicevano le persone
intorno a lui e inoltre la sua statura molto elevata e il fisico
massiccio lo rendevano un soggetto abbastanza temuto tra i coetanei.
Tutto quello che
Alastor ricorda della sua infanzia è che stava in un
orfanotrofio e c'è stato fino all'adolescenza, quando si fece
conoscere da Lucius Sullivan.
Lui stava nel
cortile della struttura, quando qualcuno cercò di fare il
bullo con un altra ragazzo più piccolo. Alastor, senza fare
troppi complimenti, lo aveva sollevato di peso e lanciato lontano
come un sacco di patate.
Casualmente, in quel
momento, passava proprio il potente capofamiglia. Vide nel ragazzo
del potenziale e, spacciandosi per un improbabile zio, lo prese con
se. Grazie ai suoi agganci l'affido durò non più di
dieci minuti.
Così,
Alastor venne adottato, ma Lucius Sullivan aveva un impero da
gestire, non poteva di certo perdere troppo tempo dietro “la
creatura”, come lo chiamava lui!
Così,
anche se sulla carta ne aveva una, in realtà Alastor non aveva
una vera famiglia su cui fare affidamento. E poi il suo carattere,
scostante e generalmente di poche parole, non gli lasciavano molto
tempo per le amicizie.
La
prima persona a cui legò fu una delle donne
dell'organizzazione dello zio, alla quale venne affidato poco dopo
essere stato adottato: Aria Blaze.
Alastor
non ricordava con esattezza quale fosse il ruolo della donna, ma
sapeva con estrema precisione che tutto quello che sapeva lo doveva a
lei: come muoversi nei loro ambienti, riconoscere le occhiate, tutti
i trucchi delle risse da bar... persino il Black Canary, quello
squallido locale, venne frequentato da Alastor solo grazie ad Aria.
Sebbene
non sapesse il suo ruolo principale, il ragazzo ricordava come la sua
mentore fosse la vecchia proprietaria del locale. Ma sembrava che con
il cambio di gestione, alcuni anni dopo, non ci furono grandi
cambiamenti.
Insomma,
Alastor e Aria legarono molto. Lei era stata incaricata di introdurre
Alastor nell'ambiente “di famiglia” e lei aveva obbedito
diligentemente.
Quello che forse non
si era accorta era che, per il giovane Alastor, lei era diventata
quello che lui aveva di più simile ad una figura genitoriale.
Lo zio semplicemente si limitava a dargli vitto e alloggio, cosa di
cui lui era molto grato, ma era la sua mentore quella che gli era
sempre accanto, che lo aiutava a crescere e che lo educava.
A volte i suoi modi
erano molto militareschi, ma a lui non importava. Per quanto potesse
saperne, stava solo cercando di educarlo. Lo cresceva per essere un
soldato, il classico scagnozzo da portare in mezzo a qualche inferno
per mollare sberle a destra e a manca fino a quando non veniva
ristabilito l'ordine.
E se lei, forse
l'unica persona che gli mostrava un minimo di affetto, voleva che
crescesse così il minimo che poteva fare era obbedirle.
Al Black Canary
venne presentato a quelli che poteva chiamare amici: Bulldog, Bobo,
El Bastardo e Susy, la figlia di suo zio che vedeva anche a casa.
Tutti obbedivano ciecamente agli ordini della padrona del locale, al
punto di fare squadra tutti e sei insieme.
Poi venne un giorno
in cui quel legame venne messo alla prova.
Una delle prime
lezioni che i ragazzi avevano imparato era che non erano mai gli
unici. Di tutte le attività possibili, quella illegale era
quella che non conosceva crisi e molti volevano una fetta della
torta; perciò era meglio restare sempre in campana.
Tra questi rivali
c'era una banda in particolare che voleva espandere la sua influenza
e per farlo si stava muovendo silenziosamente, facendosi notare da
nessuno.
Nessuno, eccetto
Aria.
Casualmente
lei era capitata in mezzo ai loro affari e questi, credendo fosse
giunto il momento per uscire dalla segretezza, l'avevano rapita
pensando che sarebbe stato un modo perfetto
per
iniziare la loro carriera criminale ufficiale.
Fu così che i
cinque ragazzi si unirono per la prima volta, per salvarla dai
rapitori. Loro e altri uomini dello zio: di fatto, quel recupero era
il primo vero incarico che Alastor ricevette.
Trovare i rapitori
fu meno complicato di quanto si potesse pensare e, una volta entrati,
scoppiò un vero e proprio massacro. Non che al ragazzo
importasse.
I proiettili
vagavano gettando fischi per tutta la stanza, ma lui andò
avanti deciso e liberò Aria dalle sue manette. L'aveva tirato
su lei, il minimo che potesse fare era rischiare la pellaccia per
salvarla.
E ci riuscì.
Lei era legata ad un palo con delle manette da quattro soldi che il
ragazzo spezzò come se fossero state fatte di alluminio.
Una volta in piedi,
Aria si voltò verso il ragazzone che aveva cresciuto per più
di dieci anni, gli appoggiò una mano sulla spalla e lo
ringraziò sorridente.
Poi, a tradimento,
un proiettile le entrò nel cranio passando dalla nuca e Aria
Blaze si accasciò a terra come un sacco vuoto. Mentre
raccontava questi eventi e di come riconobbe la pistola ancora
fumante che aveva sparato quel colpo, Alastor non smise di
massaggiarsi nervosamente le dita delle mani.
Nessuno
disse una parola, ma tutti capirono cosa era successo. Di questo
Alastor ne era sicuro, perché alla fine della sparatoria la
banda rivale era stata sgominata e l'unico ancora in piedi era il
verme
che aveva sparato.
Il racconto terminò
qui. Alla fine Alastor sentiva la bocca secca come se non bevesse da
settimane, ma lo stomaco si era ristretto fino ad assumere dimensioni
simili ad una pallina da golf, rendendo impossibile bere qualcosa.
Aria avvertiva una
strana sensazione a sentir parlare della propria morte, tuttavia si
impose di rompere il silenzio. Domandò «Cosa gli hai
fatto, di preciso?»
«Non voglio
che tu lo sappia.» rispose, lapidariamente, Alastor
«Perché?»
«Perché
neppure io lo voglio ricordare.»
Aria si prese
qualche secondo, prima di domandare «Perciò mi vuoi
aiutare per riconoscenza verso la mia controparte del tuo mondo?»
Alastor la guardò
con un sorriso triste, come se il fatto che lei non capisse lo
trovasse divertente «Tu non stai rischiando quanto me, per
trovare le tue amiche?»
La sirena tacque.
Forse le riusciva difficile comprendere quel legame che Alastor
mostrava anche nei suoi confronti e anche il paragone che aveva
appena usato non lo capiva a fondo: lei e le altre sirene erano
legate da un potere superiore, una forza mistica aldilà di
quanto un mortale possa comprendere... mentre come ci si dovesse
sentire ad affezionarsi con un'altra persona senza il legame magico
che già conosceva sembrava aldilà della sua
comprensione.
Dopo una breve
pausa, lei sorrise «Quando mi riunirò alle altre...
riprenderemo questa conversazione.»
Alastor prese quelle
parole come una promessa e ricambiò il sorriso. Era ancora
lontano dall'essere un'espressione rilassata, ma si vedeva lo sforzo
di apparire naturale e la sirena apprezzò comunque lo sforzo.
Più complici
che mai, insieme cominciarono ad elaborare un piano per liberarsi da
quella situazione.
Le
altre Dazzling erano ancora scomparse, nessuno dei due sapeva cosa
voleva fare Twilight Sparkle di loro e la famigerata Regina
era
ancora a piede libero. Se volevano ottenere delle risposte, potevano
contare solo su di loro. Come sempre.
E a loro andava
benissimo così.
Che lei fosse brava lo aveva sempre saputo. Anche senza preoccuparsi
di cadere nella vanità, Twilight sapeva di essere una mente
molto brillante e con una dote innata verso il campo magico, uno dei
campi più difficili in cui avventurarsi e con probabilmente la
maggiore quantità di informazioni da immagazzinare. Eppure a
lei non pesavano le ore di studio, poteva anche consultare più
libri alla volta in poche ore senza sentire nemmeno gli occhi farsi
pesanti.
Ma, in quella situazione, tutta la certezza accumulata nel tempo era
crollata come un castello di carte.
Nel buio dietro il sipario, mentre la musica dei vari gruppi in
competizione nella gara musicale del liceo di Canterlot riempiva la
sala, Twilight appuntava freneticamente sul suo quaderno qualcosa,
qualsiasi cosa che potesse
aiutarla.
Dal momento esatto in cui aveva compreso che le Sirene stavano
seminando il caos nella scuola aveva spolverato tutte le sue
conoscenze per venire a capo di un piano per sconfiggere questa nuova
minaccia.
E riuscì ad elaborarlo. Assieme a sei riserve in caso qualcosa
andasse storto.
Sei strategie differenti, più un attacco diretto con il
riflesso del potere degli Elementi dell'Armonia che impregnava i
doppioni delle sue amiche in quel luogo.
Tutti falliti miseramente.
Da quando era iniziata la competizione, poi, aveva ideato
innumerevoli decine di altri controincantesimi, combinazioni e
alchimie di ogni sorta per contrastare l'effetto del canto delle
Dazzling, ma ogni suo tentativo si era rivelato soltanto un buco
nell'acqua dopo l'altro.
Lei era Twilight Sparkle, Principessa dell'Amicizia, nota in tutta
Equestria e oltre per le sue capacità magiche, i suoi poteri e
le sue risorse virtualmente infinite. Eppure, di fronte a quel
maledetto trio, sembrava che stesse lanciando pietre contro il mare
in tempesta.
Nessuno, nemmeno Nightmare Moon, l'aveva mai lasciata con le spalle
al muro come in quella situazione.
Oh-whoa-oh,
oh-whoa-oh
You didn't know
that you fell
Oh-whoa-oh,
oh-whoa-oh
Now that you're
under our spell
Le note maledette delle sirene le trapanarono le orecchie come dardi
scoccati con precisione. Nessuna delle sirene poteva sentirla, eppure
per la principessa fu come sentirsi rinfacciare quanto
improvvisamente tutte le sue conoscenze, tutti i suoi poteri e tutte
le sue doti avevano, giunti a quel punto, meno valore dell'inchiostro
che stava sprecando alla ricerca di una soluzione.
E così, mentre lei sudava freddo cercando di mantenere la
concentrazione vicina e lontane le grida degli studenti,
improvvisamente furiosi gli uni con gli altri grazie al canto delle
Dazzling, un pensiero le balenò in testa, rapido ed evidente
come un lampo.
Un pensiero che la gettò nello sconforto.
Loro hanno perso quasi tutti i loro poteri.
«Twilight!» la voce
di Spike tuonò nella sala, destando la principessa dal suo
stato di trance.
Trasalì e, voltandosi
verso il draghetto suo fido assistente, la principessa cercò
di sorridere «Oh, Spike... da quanto tempo sei qui?»
Solo mentre pronunciava queste
parole si accorse di stare sudando.
Spike allargò le braccia
«Sono qui da dieci minuti, ma non è questo il punto. Che
ti è successo? Eri seduta là che guardavi la parete con
uno sguardo che sembrava ti avesse insultata e ti tremava una gamba;
ma quando hai cominciato ad ansimare ho cominciato a preoccuparmi.
Tutto bene?»
Twilight aprì la bocca,
cercando un modo per tranquillizzare il giovane drago. Ma alla fine,
con un lungo sospiro, scelse invece di essere sincera.
«No, Spike. Non va bene
proprio niente.» rispose, alzandosi e affacciandosi ad una
delle finestre che dava su Ponyville.
Era ormai calata la notte e le
luci fioche dei lampioni mostravano il paesaggio, puntellandolo come
il dorso di una cocinella, mentre sempre più case spegnevano
le luci.
«Le Dazzling sono ad
Equestria e il Cielo sa cosa potrebbe accadere, se rimettessero le
mani sul potere che avevano prima che Starswirl le bandisse.»
«Qualunque siano le
conseguenze, ce la faremo!» rispose Spike alla preoccupazione
della padroncina, battendosi un artiglio chiuso a pugno sul petto «Ne
abbiamo passate tante, supereremo anche questa.»
Purtroppo,
il pessimismo di Twilight era troppo alto per il drago «Non lo
so, Spike... stiamo parlando di tre creature che nemmeno Starswirl
il Barbuto,
uno dei più grandi e potenti unicorni della nostra storia, è
riuscito a sconfiggere del tutto. Le stesse sirene che hanno rubato i
poteri agli altri Draconequus! E ora, loro sono tornate... tutte
e tre!
Chissà cosa penserebbe Starswirl di me, se sapesse la
situazione in cui ci troviamo!»
A quelle parole, Spike non
rispose subito. Lentamente, si avvicinò a Twilight e le
appoggiò deciso una zampa sulla gamba.
Quando
i loro occhi si incrociarono, ripeté con una decisione che
sorprese la principessa «Te l'ho detto, Twilight. Qualunque
cosa succeda... noi
ce la faremo.
Sopravvivremo anche a questa.»
|
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Capitolo 6 *** Imboscata ***
Capitolo
5
Imboscata
Un nuovo giorno sorse su Ponyville e la vita nelle
strade, puntuale come un orologio, tornò a scorrere con un
largo sorriso scolpito nelle facce dei suoi abitanti. Senza
disordini, senza rumori, caratterizzati unicamente da una tempesta di
colori, tutti i pony della città si misero al lavoro dietro le
mansioni che i loro Cutie Mark segnalavano come le loro uniche
aspirazioni possibili.
Nessuna scelta, nessuna possibilità di fare
qualcosa di diverso. I loro destini venivano decisi da quei simboli e
qualunque disordine veniva presto riformato.
Con passo pesante e deciso, Alastor pensava a questa
visione di Ponyville mentre avanzava subito dietro Aria Blaze, come
se si fosse sostituito alla sua ombra. Entrambi gli umani studiavano
il paesaggio intorno a loro, rassegnati al fatto di essere bene in
vista ma restando attenti a non mostrare le loro reali intenzioni.
I due ragazzi avevano cominciato presto la loro
mattinata: poco era il loro sonno e tanta la tensione accumulata, al
punto che ai primi raggi del sole durante l'alba erano scesi dal
letto e, dopo una veloce colazione, erano subito usciti insieme per
mettere in atto il loro piano.
«La chiave è sicuramente da qualche parte
nel castello di Twilight!» aveva deciso Aria; si era presa
subito l'incarico di pianificare e dirigere le loro azioni, scelta
che Alastor non provò nemmeno a contestare: anche se aveva
bisogno di qualche tentativo per imparare a pronunciare alcuni nomi,
era sicuramente più intelligente di quanto lui non fosse. E,
in una situazione come quella, serviva un cervello funzionante.
Il massimo che lui poteva offrirle in quel tangente era
la sua esperienza nelle azioni non strettamente legalizzate.
«Il problema è che noi non abbiamo idea di
quanto sia grande né quante guardie possono esserci dentro.
Per non parlare di come, trattandosi di noi due, non possiamo affatto
sperare nell'effetto sorpresa!»
La loro situazione era decisamente sfavorevole: essendo
gli unici esseri umani a Ponyville, per giunta molto più alti
di tutti loro, qualsiasi movimento sospetto sarebbe stato evidente
come un lampo a ciel sereno.
Aria sospirò, mettendosi le mani nei capelli
senza smettere di girare intorno. Dopo alcuni secondi si fermò,
battendo le mani e puntandole contro Alastor.
«Sono degli ingenui!»
Il
ragazzo non capì e lei spiegò «I pony, questo era
da ancora prima che venissi bandita con le altre, sono una specie dal
grande potenziale, indubbiamente, ma sono sopratutto tremendamente
ingenui: si fidano a prescindere del prossimo e, sopratutto, solo
tu
sei peggiore di loro nel dire bugie!»
Alastor
si risentì «Io so mentire benissimo!»
Aria lo liquidò rapidamente dandogli le spalle
«Cominci sempre a guardarti intorno e ti ci vogliono cinque
minuti per dire una sola parola, quando menti. Sei il peggior
bugiardo che io conosca!»
Il ragazzo aprì la bocca per dire qualcosa, ma
prima doveva pensare ad una scusa convincente, così rimase
cinque minuti con la bocca aperta e un dito puntato contro Aria.
Non si rese nemmeno conto che stava dando ragione ad
Aria.
Approfittando
del silenzio, lei spiegò il suo piano «Adagio e Sonata
sono entrate nello stesso portale dove siamo entrate noi, perciò
devono essere sicuramente
passate per il castello. Ma se provassimo a vedere dove possono
essere, verremo scoperti nel giro di un minuto: tutto quello che ci
resta da fare è indagare fuori
dal castello.»
Alastor si distrasse sentendo quell'ordine e domandò,
alzandosi in piedi «E a chi possiamo dirlo? Ho come
l'impressione che una parte della città mi guardi strano
mentre l'altra vorrebbe mettermi in vetrina per mostrarmi agli
amici!»
Aria
si voltò verso di lui con un sorriso vincente stampato in
faccia «No, non tutta Ponyville. Forse nemmeno loro sanno cosa
stia pianificando Twichit, ma ci sono cinque pony che sicuramente
lo
sapranno.»
La sirena fece una breve pausa, prima di appoggiare le
mani sulle spalle di Alastor e guardarlo negli occhi «Ma
rischieremmo grosso, avvicinandoci a loro. Un solo errore e loro
parleranno a Twilight. Avrò bisogno del tuo aiuto, Alastor.»
Lui ricambiò il sorriso poggiando le mani sui
fianchi della ragazza, rispondendole «Non ti lascerò
mai, Aria.»
I due ragazzi restarono a guardarsi in quel modo ancora
per qualche secondo, il tempo che entrambi si rendessero conto di
cosa e in che tono si fossero appena detti.
Alastor reagì aprendo la bocca, cercando qualche
scusa da dire per rendere la situazione meno equivoca. Ma la sua
incapacità nell'inventare storie si fece sentire nuovamente e
la pelle gli divenne di un rosso acceso.
Aria, invece, divenne paonazza, ritirò le labbra
e dopo pochi secondi si staccò dal ragazzo, dirigendosi in
un'altra stanza dicendo soltanto «Preparati. Tra poco andiamo.
E, come ti ho già detto, non sarò io quella che ti
metterà l'anello al dito!»
E così i
due umani uscirono per le strade di Ponyville, ignorando gli sguardi
sorpresi degli abitanti e cercando di mimetizzarsi, almeno nel
comportamento, nella popolazione locale. Per farlo, distribuivano
sorrisi ai quattro venti e non si risparmiavano nel parlare con chi,
azzardando un contatto, si fermava a parlare con loro. Nonostante
fossero complici, nessuno di loro aveva voluto approfondire quella
breve parentesi che li aveva paralizzati.
Il primo luogo dove andarono fu il Carousel Boutique.
Studiando una guida del posto, Aria aveva imparato come muoversi tra
quei pony e, ricordandosi del suo doppione nell'altro mondo, la
sirena aveva scelto che sarebbe stata Rarity la loro prima tappa:
fingendosi riconoscenti per i cambi di abiti confezionati
dall'unicorno, avrebbero approfittato del suo orgoglio per ottenere
delle informazioni.
E per un po' il piano parve funzionare, o almeno fino
alla parte delle lusinghe.
Ridendo in maniera quasi maniacale, l'unicorno si era
lanciato in un aneddoto degno di un poema epico su quanto fosse stato
per lei difficile fare delle copie di abiti come quelli che
indossavano i due umani: i tessuti, la forma inusuale, i vari pezzi,
ma sopratutto le dimensioni! Oh, com'era stato difficile creare dei
vestiti senza un modello!
«Per non parlare del fatto che puoi averci visto
solo al castello, vero?» domandò Aria, dandole corda
«Oh,
sì! È stata dura, ma ci sono riuscita lo stesso. Per
fortuna Applejack mi ha dato una mano, l'avete impressionata al punto
che ricordava benissimo
le vostre proporzioni!»
Il trio parlò, o meglio Aria e Rarity parlarono,
ancora per un bel pezzo e quando uscirono dal locale Alastor
avvertiva un forte mal di testa, scatenato dall'incessante
chiacchiericcio delle due donne. Aria, di contro, non pareva
risentirne e piuttosto rifletteva massaggiandosi il mento con
l'indice ripetendo «Questo è molto strano.»
«Che cosa è molto strano?» domandò
Alastor, levandosi il cerchietto sui capelli per massaggiarsi con la
mano libera una tempia
«Applejack
che aiuta a creare vestiti? A meno che la sua storia non sia
completamente
diversa
dal suo doppione nel tuo mondo, stiamo parlando di un pony senza
gusto alcuno nel vestirsi. Figurarsi nel memorizzare proporzioni e
cuciture! E poi, quante volte ci ha visto? Dieci in tutto? Come può
già conoscere bene il corpo umano, così diverso dal
suo?»
«Che dici, vuoi andare a chiederglielo?»
«Non ancora. Prima abbiamo un altro soggetto con
cui parlare.»
Davanti all'entrata del castello, Spike osservava i due
umani rivolgersi a lui con espressione interrogativa: abituato a
portare tutti gli ospiti da Twilight, tutto si aspettava meno che
volessero parlare con lui!
Aria restava accucciata verso il draghetto, mentre
Alastor poco dietro di lei lo squadrava tenendo le braccia incrociate
al petto.
«Come pensate che lo possa sapere?» esclamò
Spike, alla domanda che gli venne rivolta
«Sei o non sei l'assistente della padrona di
casa?» rispose Aria, inarcando un sopracciglio «Ne
parlavo con Alastor in questi giorni e ci chiedevamo, se il portale
per il suo mondo è aperto, come potreste gestire eventuali
intrusioni? Sarà capitata una palla rimbalzata attraverso il
portale, o qualcuno che cade...»
Spike aprì le braccia «Tutto quello che so
è che il portale, dal mondo umano, si apre una volta ogni
trenta lune. Twilight ha progettato un modo per attraversarlo ogni
volta che vuole. Ma è curioso che me lo chiediate.»
«Cosa ci sarebbe di curioso?» domandò
Aria
«Applejack ha sollevato la stessa domanda qualche
tempo fa. Da allora passa sempre un po' di tempo, specialmente alla
sera, davanti allo specchio a occuparsi di eventuali intrusioni. I
primi tempi montava la guardia in coppia con qualcun altro, ma non ha
mai chiesto cambi.»
«Tutto questo non ha senso!» esclamò
Aria, mentre con Alastor riprendeva a spostarsi «Non solo ci
conosce perfettamente ma, magicamente, si preoccupa di quello che
passa attraverso il portale e si offre di farci da guardia. Dopo
un'intera giornata passata a lavorare, chi può avere voglia di
controllare anche una possibilità remota come che qualcosa
picchi attraverso il portale e finisca casualmente qui ad Equestria?»
«Sei sicura che dicesse la verità?»
domandò Alastor, credendo che il drago avesse mentito
«L'hai visto anche tu negli occhi. Era troppo
ansioso di sbarazzarsi di noi per inventare una storia.»
«Da quando sai leggere le persone nello sguardo?»
«Non padroneggi poteri di controllo della mente
senza imparare a leggere i movimenti delle persone!» ribatté
lei, quasi offesa
Alastor
alzò le mani in segno di resa, interrompendola «Okay,
Sherlock!»
solo allora si accorse di dove la ragazza lo stava portando. Era
felice di seguire semplicemente le istruzioni di Aria, alla fine si
trattava di agire in maniera simile, se non addirittura uguale, a
quella nel suo mondo originale, tuttavia l'assoluta ignoranza
riguardo le intenzioni di lei lo lasciava piuttosto spaesato.
In quel preciso istante si trovavano vicino ad una
recinzione che fungeva da ingresso ad un vasto meleto, il quale come
una vasta muraglia marrone, rossa e verde che si estendeva fin dove
l'occhio poteva guardare, circondava una fattoria dalle mura rosse e
il tetto scuro.
«Dove siamo arrivati?»
«Questo
luogo lo chiamano Giardino Meleblabla,
o qualcosa del genere.»
«E
cosa dobbiamo fare, qui?» domandò ancora Alastor,
seguendo Aria la quale invece cominciò a camminare in punta di
piedi nella vegetazione, come cercando di non farsi scoprire. Era
così focalizzato sul loro obiettivo che nemmeno si domandò
se quel posto si chiamava davvero Meleblabla.
«È
qui che vive il nostro prossimo bersaglio. L'unico modo per venire a
capo delle stranezze che ci hanno appena detto è chiedere
direttamente a Jackline!»
«Applejack.
Credo che si chiami Applejack.»
«E tu come fai a esserne certo?» ribatté
Aria, offesa di essere corretta da Alastor
Non avendo il coraggio di ammettere a voce alta che Aria
aveva pronunciato correttamente quel nome fino a poco prima, Alastor
confessò un particolare che aveva notato «Applejack è
anche il nome di un cocktail. Un cocktail dannatamente buono, che
Susy non sa fare. Non c'è modo che possa dimenticarlo!»
Aria agitò la testa, accompagnando il gesto con
una leggera risata. Euforia che tuttavia terminò non appena
vide, poco lontano da loro, sul retro della fattoria, il draghetto
Spike e la giumenta appena menzionata parlare con volto contratto,
come se stessero comunicando qualcosa di estremamente importante.
Volendo scoprire il più possibile, e chiedendosi
come il drago potesse averli preceduti senza che se ne accorgessero,
entrambi i ragazzi si acquattarono nella vegetazione. Aria era
abbastanza slanciata da potersi nascondere in maniera efficace dietro
ad un albero, mentre Alastor dovesse sdraiarsi in mezzo a dei
cespugli.
Il pony e il drago stavano discutendo in maniera
piuttosto animata, come se non avessero la preoccupazione di essere
sentiti.
«La sirena è
qui, a Ponyville. E sta passeggiando liberamente con l'umano
appresso, perché è così difficile catturarli?»
domandò Spike, allargando gli artigli.
«Twilight ha
messo intorno a loro una sorveglianza degna di una principessa. Non
possiamo semplicemente prelevarli e portarli fuori da Ponyville senza
attirare l'attenzione!» esclamò Applejack, indicando
intorno a se con la zampa
«Be', questo
non ci ha fermato finora, o sbaglio?»
«Sappiamo
entrambi che Sua Maestà in persona si è infiltrata in
regni in cui tutti erano concentrati su di lei,
figurarsi se non riesce a inserire dozzine di noi in una cittadina
come questa, dove tutti sono distratti!»
Spike sbuffò,
portandosi una mano sulla fronte. Alla fine domandò «Quali
sono gli ordini, allora?»
«Dobbiamo
rinunciare alla copertura. I risultati al momento sono soddisfacenti,
ma per completare l'esperimento abbiamo bisogno di tutte e tre le
sirene. La Regina sta arrivando, dobbiamo tenerci pronti per quando
darà il segnale!»
I due ragazzi
avevano sentito decisamente abbastanza.
«Il
segnale per
cosa?»
domandò Aria, uscendo allo scoperto
I due la fissarono per qualche istante senza dire
niente. Non si erano preoccupati di assicurarsi che intorno a loro ci
fosse qualcuno o qualcosa, ma il fatto di essere stati scoperti non
li dava molta preoccupazione.
«E dov'è il tuo ragazzone?» chiese
Applejack, guardandosi intorno.
Aria, con fare volutamente strafottente, puntò
verso il duo una mano piegata per fare il gesto della pistola,
avvertendoli mentre fingeva di prendere la mira con un occhio «Ditemi
che cos'è questo segnale e... beh, farò in modo che lui
non vi faccia ingoiare i denti e non vi butti in un tombino. Che ne
dite?»
Per tutta risposta, il duo le rise in faccia. Allora
Aria, offesa, piegò le labbra in un sorriso feroce «Io
vi avevo avvertito.»
Accompagnato
dal suono dello sparo emesso da Aria «Bang!»
Alastor uscì allo scoperto.
Velocemente
e inarrestabile come una locomotiva, corse verso il duo, travolgendo
Spike e afferrando Applejack per la criniera, trascinandola contro le
pareti della fattoria.
Spike era abbastanza piccolo da poter essere sbalzato
via semplicemente dall'impatto con l'umano, trascinare Applejack fu
già più difficile. Difficile, ma non impossibile.
Quando la giumenta picchiò in pieno contro
l'albero, una fiammata verde la avvolse, rivelando l'essere simile ad
uno scarafaggio grande quanto un pony che Alastor aveva già
affrontato nella foresta.
«Mapporcapu...» fece appena in tempo a dire,
prima che il secondo avversario lo colpisse alle spalle rompendogli
una trave di legno sulla schiena.
Alastor indietreggiò qualche passo, portandosi
una mano alla nuca. Quando si voltò, minacciando di una
terribile sorte quel “codardo e checca” che lo aveva
preso alle spalle, si gelò vedendo Aria guardarlo con uno
sguardo feroce.
«Ora
sì
che non ci capisco un c...»
«Sono Mutanti! Possono prendere qualsiasi forma!»
gridò la vera Aria, mentre si metteva in guardia da un
bellicoso Alastor che si stava avvicinando lentamente, ma
inesorabilmente, a lei. Probabilmente era lo stesso che Alastor aveva
picchiato contro il muro... erano veloci, i bastardelli! E si
riprendevano in fretta!
«Non rendiamo le cose facili, insomma!» si
lamentò lui, schivando per un soffio un gancio della finta
Aria abbassandosi velocemente. Così facendo, tuttavia,
ricevette una ginocchiata all'occhio da parte dello stesso nemico.
Il colpo risuonò nella testa di Alastor come se
avessero colpito una campana posta dentro il suo cervello, ma in
compenso vide che anche la copia di Aria si stava massaggiando il
ginocchio. Lui aveva proprio la testa dura.
Felice di sapere che i suoi avversari, per quanto duri,
potevano almeno provare dolore, Alastor piegò le labbra in un
inquietante sorriso, acuito dal fatto che questa volta non sembrava
soltanto una smorfia, e chiamando il suo nemico come il figlio di una
donna dai facili costumi annunciò che era il momento di vedere
“cosa sapeva fare”.
All'interno del suo castello, Twilight ripose il libro
per comunicare con Sunset Shimmer sullo scaffale, rimuginando nel
mentre.
Aveva appena mandato un messaggio alla sua amica ormai
residente nel mondo parallelo chiedendole se aveva avuto modo di
notare movimenti strani intorno al portale e lei le aveva risposto
che aveva sentito delle voci di strani individui “punk”
che avevano preso l'abitudine di radunarsi intorno alla statua della
scuola, ma non aveva mai avuto modo di vederne uno dal vero.
Poteva sembrare un fatto innocente, un luogo come la
statua del Liceo di Canterlot poteva fungere perfettamente da
rifugio, eppure qualcosa nella principessa era scattato.
Forse era dovuto allo stress per gli eventi degli ultimi
giorni, o il conflitto con quella parte di lei che le suggeriva
insistentemente di alleggerire la presa che aveva su Alastor Sullivan
e Aria Blaze, fatto stava che avvertiva un fastidiosissimo formicolio
sulla fronte che le suggeriva che qualcosa le stava sfuggendo tra gli
zoccoli.
Ma cosa?
Spike
interruppe i suoi pensieri arrivando dietro di lei e annunciando «I
due umani sono appena usciti dalla loro abitazione. Sembra che stiano
facendo due passi per Ponyville, forse vogliono conoscere bene
l'ambiente.»
Twilight annuì
senza commentare, cercando di rimanere concentrata.
Il draghetto si
avvicinò preoccupato «Tutto bene, Twilight?»
«Spike...»
lo chiamò la principessa «Ricordi quando abbiamo aiutato
Rarity durante la settimana della moda a Fillydelphia?»
«Oh, sì.»
annuì il draghetto, carico di ricordi «Per aiutarla,
dopo che aveva dovuto inventarsi da zero tutta la nuova collezione,
avevate fatto le ore piccole! Come posso dimenticarlo? Ti confesso
che a volte rido ancora, ripensando a quella scena: la ricordo così
bene come se se l'avessi davanti agli occhi in questo momento!»
Twilight Sparkle si
gelò. Alzò lo sguardo avanti a se, tenendo gli occhi
fissi sulla parete mentre un intero schema si dipanava di fronte a
lei, come tessere di un domino che cadono una dopo l'altra. Inspirò
profondamente un paio di volte, prima di ripetere con un filo di voce
«Spike...»
«Sì,
Twilight?»
«Quella era
Manehattan.»
Aria si trovava in difficoltà: il Mutante che
aveva preso le sembianze di Alastor la sovrastava di una spanna e,
senza la magia, provare a colpirlo valeva a dire prendere a pugni uno
scoglio. O almeno, questa era la sensazione che le aveva dato dopo il
primo pugno che era riuscita a dargli.
Lui questo lo sapeva e le riservava il più odioso
dei ghigni, mentre allungava in maniera lasciva le mani verso di lei.
Poteva anche avere il fisico più sviluppato tra
le Dazzling, ma quel Mutante era diventato semplicemente troppo
potente, una volta assunte le sembianze di Alastor.
Simile consapevolezza le mandò una vampata alle
orecchie che le fece arrossire e la bloccò per un istante. Un
lasso di tempo più che sufficiente perché il suo
avversario la prendesse per le braccia, sollevandola in alto come un
sacco di patate.
«Sembra che alla fine l'invasione non sarà
necessaria!» osservò lui, sprezzante.
Aria si agitò nel tentativo di liberarsi. Nella
sua forma originale avrebbe potuto staccargli la testa con un morso,
mentre con i suoi poteri avrebbe potuto muoverlo come una marionetta,
ma nello stato in cui si trovava non aveva né la forza né
la magia necessaria per liberarsi.
Tuttavia doveva agitarsi per bene, poiché per
fermarla il Mutante si era sistemato a gambe larghe avanti a lei, per
poter avere una maggiore base di appoggio.
Fu lì che scelse come muoversi.
Scattando, troppo veloce per essere vista, Aria alzò
una gamba e con la tibia colpì violentemente l'inguine del
Mutante. Questi poteva anche essere grande, grosso e potenziato, ma
certe cose fanno sempre e comunque male.
Infatti lui mollò la presa, piegandosi a metà
e portando le mani sulla parte lesa. Posizione che diede un leggero
vantaggio ad Aria, la quale lo colpì alle ginocchia con un
altro calcio, facendolo cadere a terra. Da lì saltò,
atterrandogli con tutto il peso direttamente sul collo.
L'impatto fu sufficiente per rendere privo di sensi
l'avversario: cadde e, dopo venire avvolto da una fiammata verde,
assunse nuovamente le dimensioni originali. Almeno per il momento.
Alastor era certo di avere un certo vantaggio: Aria era
indubbiamente più intelligente di lui, ma restava il fatto che
lui avesse qualche chilo di muscoli in più. Tuttavia presto
dovette ricredersi, quando ricordò che dalla loro i Mutanti
avevano la magia.
Non capiva esattamente come funzionavano i loro poteri,
ma il suo avversario era dotato di una velocità incredibile:
semplicemente lui non riusciva a starci dietro e ogni volta che
provava a colpirla, questa schivava spostandosi di lato talmente
veloce da lasciare dietro di se solo l'immagine. Immagine che
puntualmente si dissolveva quando Alastor la colpiva.
I tentativi di colpirla furono numerosi, ma purtroppo
senza risultati. Se non altro, lei non ricambiava i colpi,
probabilmente voleva prenderlo per sfinimento.
Fu allora che Alastor azzardò e, cercando di
colpirla con un diretto, allungò a tradimento un braccio a
lato. Questi, infatti, prese in pieno il Mutante il quale, troppo
concentrato sui colpi dell'umano, si era spostato senza notare il
gomito posto all'altezza del suo collo.
Colpito, fece una capriola in aria che lo fece atterrare
sgraziatamente con la schiena. Prima ancora che potesse accorgersi di
cosa stava succedendo, tuttavia, Alastor lo sovrastò e,
pestandogli la testa con il piede, lo mise fuori gioco.
I due umani si avvicinarono, guardandosi intorno
chiedendosi se ce ne fossero altri.
«I mutanti si muovono in sciame.» ricordò
Aria «Non può essere che ce ne fossero solo du...»
Le parole della ragazza vennero interrotte dall'arrivo
di alcuni membri della stessa famiglia di Applejack, tra cui Granny
Smith, Apple Bloom e le sue amiche, che li fissarono con tono di
sfida.
«Che c'è?» chiese, seccato, Alastor.
«Sono Mutanti anche loro.» spiegò
Aria, benché stesse guardando intorno a se. I suoi occhi erano
circondati da un leggero alone rosso che Alastor non vide «Siamo
circondati. Ne arrivano altri, dalla foresta.»
Alastor si concentrò sulla situazione intorno a
lui. I pony che li stavano circondando avevano preso le loro
sembianze e l'eco di passi in avvicinamento dalla foresta si faceva
sempre più forte. Data l'intensità dovevano trattarsi
di svariate migliaia di Mutanti in marcia.
Un leggero sorriso si formò sulle sue labbra.
Aria fece un secondo di riflessione, prima di agitare il
capo sconsolata «Immagino che sia inutile farti notare quanto
sarebbe più saggio scappare...»
«Prima ti metto in salvo. Poi, non me lo perderei
per niente al mondo!»
«Sarà il tuo funerale.» osservò
la ragazza, sentite le parole di Alastor. Nella sua voce non c'era
alcuna traccia di minaccia o avvertimento, ma pura e semplice
constatazione.
Alastor sorrise ancora, sprezzante, mentre i Mutanti
intorno a lui cominciavano ad avvicinarsi lentamente, come predatori
che stanno per ghermire le loro prede, e l'eco dalla Everfree Forest
si faceva sempre più intenso «Meglio così, che in
altro modo!»
Fu allora che, annunciandosi con un semplice «Non
voglio che muoia qualcuno | Cerca di non essere importuno!» una
saetta cadde tra i ragazzi e gli assalitori.
Atterrando con addosso una borsa di vimini, Zecora
attaccò i Mutanti estraendo due boccette e lanciandole verso
di loro con una velocità tale che nessuno riuscì ad
accorgersi di qualcosa fino a quando queste non si ruppero a terra.
Una nube azzurra avvolse i Mutante con le sembianze di
Alastor e Aria, lasciandoli tossire. Mentre il fumo si diradava,
tutti si accorsero di aver subito particolari handicap che li
lasciavano esterrefatti: ad uno di loro era cresciuta a dismisura una
folta peluria riccioluta, un altro il corno aveva assunto una
consistenza simile a gomma, un altro ancora aveva la lingua sporgente
gonfia e a pois...
Ma non ci fu il tempo per parlare oltre, poiché
la zebra ordinò, con il tono di chi non accetta un rifiuto
«Seguitemi!»
Poteva essere anche un bel modo di morire, difendendo la
propria amata da chi voleva invece rapirla, ma se c'era il modo di
proteggerla e vedere assieme l'alba del domani, era sicuramente
meglio. Arrossendo non appena si accorse di aver pensato ad Aria come
“la propria amata”, Alastor seguì la ragazza e la
zebra.
Il trio tornò presto a Ponyville, correndo tra le
vie dove numerosi pony cominciarono a prendere il volo, avvolgendosi
in fiamme verdi fino a riprendere le sembianze di Mutanti. Il cielo
si stava lentamente, ma inesorabilmente, riempiendo di punti neri che
osservavano con ghigni predatori i tre fuggiaschi mentre si stavano
dirigendo verso il castello di Twilight.
Una volta entrati, videro un paio di pegasi chiuderli
velocemente la porta alle spalle.
Fermati per riprendere fiato, vennero raggiunti dalla
padrona di casa.
Alastor si fermò a guardarla, senza parlare
subito.
La principessa si atteggiava in maniera estremamente
diversa dal solito, anziché agire composta camminava in
maniera lenta e con il capo chino, come se stesse cercando di uscire
da una situazione che non solo la feriva nell'animo, ma che non
mostrava alcuna soluzione semplice.
L'alicorno si fermò avanti ai due umani,
continuando a non pronunciare una sola sillaba per ancora un minuto.
Alla fine, quando rialzò lo sguardo, Alastor raccolse quanto
fiato aveva per chiedere «Cosa accidenti sta succedendo?»
In
maniera lapidaria, Twilight Sparkle rispose «Abbiamo un enorme
problema.»
|
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Capitolo 7 *** La Verità ***
CAPITOLO
6
La
Verità
Poco dopo la loro improvvisata riunione nel castello,
Twilight Sparkle, Aria Blaze e Alastor Sullivan si spostarono in una
delle sale del castello, lontani da occhi e orecchie indiscrete.
Zecora aiutò nel loro isolamento chiudendo la porta dietro di
loro, prima di muoversi ad aiutare gli altri cittadini rifugiati
dall'assalto Mutante.
Il
trio si trovava nella stessa stanza dove stava lo specchio per il
viaggio attraverso i vari mondi paralleli e una serie di Mutanti,
tutti tenuti a terra legati, imbavagliati e privi di sensi.
Poco lontano dallo specchio, inoltre, Alastor notò la sua
borsa con le mazze da baseball con cui era partito per quell'insolita
avventura; era stato così impegnato da scordarsene.
Anticipando le
domande dei due umani, Twilight cominciò a spiegare indicando
i Mutanti intorno a loro, uno dopo l'altro «Questo era Spike.
Al suo fianco ci sono Aloe, Lotus, Derpy, Octavia... accidenti, c'è
persino il sindaco! E, da quello che ho capito, anche le mie amiche
sono state rapite.»
Aria incrociò
le braccia, commentando acidamente «Be', almeno adesso sai cosa
si prova!»
Twilight non prese
bene quelle parole; fulminando la sirena con gli occhi le gridò
«Io e le mie amiche siamo le legittime portatrici di un potere
che potrebbe risolvere questa situazione in un battito di ciglia!»
A
sua volta, alla sirena non piacque il tono accusatorio della
principessa. Puntandole contro un dito, rispose «Anche noi
Dazzling potremmo spazzare via i Mutanti con una sola strofa, neppure
ben intonata, ma indovina un po' grazie a chi
siamo
diventate tre esseri umani senza poteri?»
Alastor, mentre le
due donne bisticciavano, studiava con il massimo della sua attenzione
i prigionieri, cercando chi tra loro fosse quel figlio di un cane che
lo aveva picchiato come un chiodo nella Everfree Forest. Ricerca che
si rivelò fin da subito vana, visto che i Mutanti erano tutti
perfettamente uguali!
«La Regina che
ha rapito le tue amiche è la stessa che ha rapito anche le
mie!» esclamò Twilight, alzandosi in volo per guardare
Aria dall'alto «Litigando tra noi stiamo solo perdendo tempo!»
Se non altro, quelle
parole aiutarono a rompere quella flebile concentrazione di cui era
capace Alastor «Eh? La Regina, allora, è quella che sta
venendo qui?»
La sua ingenuità
zittì entrambe le donne. Accettando il fatto che quell'umano
non dovesse ancora aver capito cosa stava succedendo, Twilight iniziò
a spiegare «Forse è meglio che cominci dal principio. Ma
non abbiamo molto tempo, perciò sarò breve...»
* * *
Già da prima
dell'arrivo di Aria e di Alastor, Twilight stava affrontando un
periodo poco tranquillo: stava studiando l'ormai perduta magia del
Caos.
La magia di
Equestria si divide fondamentalmente in cinque discipline: la
Biomanzia, la capacità di mutare il proprio aspetto, la
Telecinesi, la capacità di muovere gli oggetti, la Telepatia,
il controllo e la lettura della mente altrui, la Divinazione, la
capacità di prevedere il futuro, e infine la magia chiamata
semplicemente Oscura, marchio di fabbrica dei nemici di Equestria.
Essendo la magia un
campo molto ostico da apprendere è comune che la maggior parte
degli unicorni si specializzi in una serie di incantesimi
appartenenti ad una sola di queste discipline, a seconda di cosa
rappresenta il loro Cutie Mark: ad esempio Rarity possiede ottime
capacità telecinetiche ma è assolutamente incapace di
prevedere il futuro.
Ovviamente,
tuttavia, esistono eccezioni che permettono di ampliare i proprio
orizzonti e apprendere più di una disciplina: la stessa
Twilight si era dimostrata più volte in grado di spostare
oggetti, leggere nel pensiero e conosceva molti incantesimi Oscuri.
Le principesse Celestia e Luna, addirittura, padroneggiavano
completamente quattro discipline su cinque.
L'unione di tutte
queste discipline da vita alla cosiddetta Magia del Caos: un potere
antico quanto l'universo e andato perduto durante l'Era degli
Alicorni.
Prima che qualsiasi
cosa nascesse, esisteva solo il nulla. Dentro a questo vuoto
innaturale si aggiravano, prive di controllo, le energie che
avrebbero dato vita a tutta la magia che avrebbe caratterizzato il
mondo di Equestria così come lo si conosce. Questo paradosso,
un vuoto innaturale pregno di energie magiche, è la
manifestazione stessa del caos: un potere selvaggio allo stato
grezzo, nato dal nulla e impossibile da controllare, capace di
piegare il tessuto della realtà stessa.
Queste forze,
inevitabilmente, finirono con lo scontrarsi e la reazione che ne
seguì scatenò l'evento noto come Creazione.
Da qui nacque il
mondo così come pony, grifoni, asini e qualsiasi altra specie
lo conosce.
Il fatto che loro
fossero soli nell'universo è stato confermato più volte
nel corso degli anni, per questo veniva dato così tanto valore
all'amicizia.
In ogni caso, le
energie del caos continuarono a modellare la loro creatura,
riempiendola di specie diverse, osservando la loro crescita e la loro
evoluzione fino ad evolversi loro stesse e prendere una forma fisica:
i Draconequus.
I Draconequus,
caotici miscugli di tutte le creature che popolavano quel mondo,
vagarono per il creato per un periodo incalcolabile, seminando il
panico e distruzione gratuita a seconda dei loro capricci. Questo
periodo infatti rende tuttoggi quasi impossibile avere delle certezze
su cosa sia successo nei primissimi anni in cui era nato il pianeta e
la stessa storia legata alla nascita del mondo conosciuto era per ora
soltanto un'ipotesi, una teoria vecchia di secoli che si basava su
congetture, prive tuttavia di fatti concreti a supportarla.
Proprio per questo
motivo Twilight aveva iniziato a studiare la magia del Caos: per
confermare o screditare la teoria del Caos come chiave per la
creazione di tutto, doveva sapere di più su quella magia
perduta.
Ma a complicare
subito le sue ricerche fu il fatto che Discord era l'unico
Draconequus rimasto in vita dopo la nascita delle Dazzling e sapeva a
malapena scrivere il proprio nome in una calligrafia comprensibile,
figurarsi ricordare eventi di migliaia di anni fa!
Inoltre il lungo
periodo trascorso dalla sua nascita, assieme al duplice incontro con
gli Elementi dell'Armonia, avevano enormemente indebolito la sua
connessione con quelle energie, riducendolo ad un lontano eco di
quelli che erano i suoi poteri nei primi anni di vita.
Perciò, se
Twilight aveva bisogno di prove, doveva assolutamente approfondire
quello che si poteva sapere sulle sirene.
Tuttavia dovette
presto accorgersi di un altro problema che quello studio le
provocava: i ricordi che salivano a galla del suo incontro con quelle
creature.
Certo, dopo tanti
tentativi erano finalmente riusciti a sconfiggerle, ma la battaglia
finale fra le Dazzling e le Rainboom fu tutto meno che facile e un
tarlo non smetteva di roderle in testa, chiedendole insistentemente
se sarebbero state comunque in grado di trionfare quel giorno, se non
fosse stato per l'aiuto di Sunset Shimmer, elemento che entrambe le
fazioni avevano ignorato fino a quel momento.
Studiare con questa
domanda tatuata nel cervello fu più difficile di quanto lei
fosse abituata.
Poi, da un giorno
all'altro, la situazione era precipitata: Aria Blaze, una delle
sirene, era stata trovata nel suo stesso castello, accompagnata da un
umano che la principessa non riconobbe.
Rivedere dopo tanto
tempo uno dei membri che l'avevano piegata la fece subito
rabbrividire, al punto di tentarla di usare il suo potere di alicorno
contro di lei finché era inerme: cosa sarebbe potuto succedere
se le sirene avessero fatto ad Equestria quello che avevano fatto al
liceo di Canterlot?
Ma presto
qualcos'altro attirò maggiormente la sua attenzione: Aria era
da sola e ancora nelle sue sembianze umane!
Affascinata da
questa curiosa anomalia, Twilight scordò per qualche minuto le
sue paure e organizzò rapidamente i nuovi passi da compiere:
Alastor venne affidato a Fluttershy, ritenuta la scelta migliore per
ammansire una creatura strana come l'umano, mentre Aria venne
rinchiusa in una bolla di stasi e lasciata agli studi della
principessa.
Presto Twilight fece
rapporto alle altre principesse e e ottenne la conferma di quanto
sospettava: lo specchio era stato incantato da Starswirl per le
creature di quel mondo, gli umani non risentivano gli effetti del
cambio dei mondi e perciò non potevano mutare aspetto,
adattandosi alle differenti dimensioni. Test successivi
concretizzarono il fatto: Aria Blaze era un umano a tutti gli
effetti, il che rendeva il suo potere magico paragonabile a quello di
una mimosa.
* * *
«Non
ho ben chiaro come sia possibile, ma quando abbiamo combattuto le
Dazzling i nostri poteri combinati devono averle mutate
definitivamente
in
esseri umani a tutti gli effetti.»
«Perché
attaccarle, poi?» intervenne Alastor «Volevo recuperare i
loro poteri, non vedo cosa...»
«Sì,
volevano recuperare i loro poteri e
conquistare
il mondo!» esclamò adirata Twilight, infastidita dalle
accuse che venivano lanciate verso di lei
Alastor
si voltò verso Aria «Sul
serio volevate
conquistare il mondo?»
Riconoscendo a se
stessa di aver tralasciato di confessare all'umano un dettaglio che
probabilmente gli avrebbe permesso di vivere la permanenza a
Ponyville in maniera completamente diversa, Aria aprì le mani
«Be', sì...»
Alastor
reagì sospirando, alzando gli occhi al cielo e commentando
«Che piano originale...
cantavate con la tuba e i baffi finti?»
Richiamando
bruscamente l'attenzione a se, Twilight Sparkle proseguì «Ma
con Aria Blaze, assieme alle altre sirene, mutate in comuni esseri
umani ho pensato che avremmo potuto attuare su di loro la nostra
legge.»
«Legge?»
ripeté Alastor, non poco preoccupato al sentir pronunciare
quella parola.
«Noi
pony siamo una specie molto
pacifica.
Noi non puniamo i criminali semplicemente ammassandoli in una cella,
o addirittura eliminandoli fisicamente come voi umani. A onor del
vero, i vostri “omicidi” qui sono una realtà quasi
sconosciuta, non si hanno notizie sull'ultimo caso di violenza così
alta dalla fondazione di Equestria!»
Alastor rimase
impressionato da quel fatto. Aria, di contro, rimase concentrata sul
filo del discorso e domandò «E perciò, cosa
prevederebbe questa vostra “legge” nei nostri riguardi?»
«Redenzione.»
fu la lapidaria risposta della principessa «E, per rendere
questo possibile, voi due dovevate restare insieme.»
«Ferma dove
sei!» interruppe a quel punto l'umano interpellato
«Farò
finta di non aver sentito... parli come se fossimo sposati!»
appoggiò Aria
Twilight reagì
con un sorriso sornione «E voi come descrivereste questa vostra
complicità?»
I due ragazzi si
ammutolirono, prima di scambiarsi un'occhiata imbarazzata.
«Conosco la
storia di voi sirene, Aria Blaze.» proseguì Twilight,
interrompendo quel silenzio imbarazzato e puntando la ragazza con lo
zoccolo «Per tutta la tua vita, non sei mai stata così
vicina per così tanto tempo a qualcuno che non fosse Adagio o
Sonata. E non ricordo qualcuno che tu abbia mai sbagliato a
pronunciare il suo nome!»
Aria
distolse lo sguardo, mentre Twilight passava ad Alastor «E
tu... tu!
Hai dato di matto, quando non riuscivi a trovarla! Ti sei addirittura
avventurato in un mondo parallelo, credendole fin dal primo momento e
anche adesso che la situazione è disperata la tua prima
preoccupazione è la sua
salute.
Perché continui a negarlo?»
«Be'...»
iniziò Alastor, senza tuttavia trovare un modo per finire la
frase. Era solo l'orgoglio a spingerlo a parlare, in maniera del
tutto involontaria.
Probabilmente la situazione sarebbe proseguita a lungo,
se una nuova voce non fosse sbucata dal nulla rovinando il momento.
Una voce profonda e rauca.
«Poco sveglio il nostro amico, eh?»
Twilight,
riconoscendo all'istante quella voce così caratteristica,
chiamò a gran voce «Discord?»
Come evocato, la
creatura in questione apparve dietro a Twilight sbucando dalle sue
spalle come se fosse stato nascosto lì per tutto il tempo,
cosa impossibile data la sua altezza di almeno tre volte superiore
all'alicorno lilla.
Fece così la sua comparsa una creatura dal corpo
serpentino ma coperto di pelo, una coda squamata, due corna
differenti sul capo così come le ali sulla schiena, una zampa
leonina e una da rapace, una zampa rettile e una caprina.
«Discord!» lo chiamò ancora Twilight,
sorridendo
«È la prima volta da quando ci conosciamo
che sei così felice di vedermi. Sono quasi commosso!»
esclamò il Draconequus, estraendo un fazzoletto dalla barba
caprina sotto il mento
«I rinforzi! Dove sono?» chiese Twilight,
ignorando le parole del compagno
Discord divenne improvvisamente serio, facendo sparire
il fazzoletto e vestendosi in un flash con una divisa militare
ottocentesca, con tanto di piuma sul cappello «Princess
Celestia e Princess Luna stanno arrivando. Ma non potevo portare loro
con me, non è così semplice attraversare lo
spaziotempo, sopratutto se si è in così tanti! Hanno
bisogno di tempo: tre ore, al massimo quattro, e saranno qui con le
truppe.»
Twilight sbiancò «E come credono che
possiamo resistere così tanto? I Mutanti hanno conquistato
Canterlot in molto meno tempo!»
«Ehi!»
reagì offeso il draconequus, indicandosi «Io
sono qui per farvi guadagnare quel tempo!»
Twilight
ricambiò con un'espressione poco convinta «Ricordi la
tua fama di creare
più
problemi di quanti tu cerchi
di risolvere? E bada al cerchi,
non risolvi!»
«Dimmi solo
tre occasioni!» si difese il Draconequus, puntando le zampe sui
fianchi. Tutte e quattro.
Senza
rifletterci sopra un solo istante, Twilight elencò rapidamente
«Hai infestato Ponyville con dei rovi magici che tu
hai
piantato mille anni fa e che ti sei “dimenticato” di
levare.
Hai fatto rischiare il manto a me e Cadance perché “volevi
vedere quanto ti sono amica”.
E non dimentichiamoci di cosa hai fatto durante l'uscita con le Cutie
Mark Crusaders e Fluttershy!»
Discord sbuffò, puntando un dito contro Aria
«Tsk! Che sfiduciata! Come se potessi davvero perdermi
l'occasione di salvare qualcuno che ha avuto la bella pensata di
lasciare solo me, in circolazione!»
Detto
questo, la creature sparì in un flash, apparendo dietro la
sirena e strizzandole una guancia «Non
avrei mai immaginato che le sirene potessero innamorarsi!»
Quasi senza
accorgersene, venne afferrato per il collo da Alastor e buttato per
terra. Quando riuscì ad accorgersi di cos'era successo,
eppure, si divertì ancor più di prima e iniziò a
ridere nonostante la posizione.
Aria, indifferente
alla leggerezza del Draconequus, lo sovrastò fulminandolo con
lo sguardo «Non farmi pentire di aver lasciato solo te, secoli
fa. Posso sempre rimediare a quello che non hanno fatto Adagio e
Sonata!»
Discord scomparve
in un flash per apparire ancora una volta dietro di lei, questa volta
facendo attenzione a non toccarla. Lì, aggiunse «Oh,
come se con li altri Draconequus ci fossimo mai apprezzati l'un
l'altro! Non ho rancore verso di voi perché avete anticipato
una guerra che ci sarebbe comunque stata tra di noi, un giorno. Ma
non capisco nemmeno perché ti offendi tanto: la tua è
stata la minaccia meno spontanea che abbia mai sentito. E io sono
pappa e ciccia con Princess Luna!»
Si cercò di
riportare l'ordine, ma una forte luce proveniente dallo specchio
distolse l'attenzione di tutti i presenti.
«I
Mutanti sono anche nel mio mondo...» ricordò, quasi
involontariamente, Alastor mentre si parava davanti ad Aria come per
farle da scudo umano, sfilando una delle mazze da baseball nella sua
borsa e stringendola con entrambe le mani.
«Di
tutti i momenti...» ringhiò Twilight, piegandosi verso
lo specchio e caricando il corno di magia. Presto, tutti quelli che
si trovavano nella stanza assunsero posizioni di guarda verso
l'artefatto.
Uno
stridio, prima lontano e via via sempre più forte, si udì
provenire dal vortice multicolore che piegava il vetro dello
specchio. In breve, con un urlo, un uomo massiccio almeno quanto
Alastor, con la barba tagliata in maniera irregolare, uscì
allo scoperto. Quando mise i piedi per terra, imprecando, si lamentò
di quanto odiasse spostarsi.
Subito
dopo di lui, altri esseri umani uscirono allo scoperto.
Nessuno,
meno Alastor ed Aria, li riconobbero: erano i soggetti del Black
Canary.
El
Bastardo era stato il primo ad uscire allo scoperto. Portava il suo
completo casual con la camicia gialla sbottonata, un paio di jeans e
attaccata alla cintura si poteva vedere la fondina di una pistola,
nonché una lunga fila di coltelli appesi nella parte interna
della giaccia viola a strisce che teneva aperta sopra la camicia.
Bulldog
era esattamente uguale: maglione bordeaux di un paio di misure più
grande di lui, occhi fuori dalle orbite come se non dormisse da molto
tempo, jeans strappati e anfibi. Teneva stretti nelle mani una coppia
di tirapugni luccicanti.
Bobo
inciampò non appena uscì dallo specchio, cadde a terra
facendo un gran baccano, ma presto si rialzò. Indossava una
divisa da giocatore di football, con tanto di casco, e Alastor non
poté fare a meno di chiedersi da dove fossero usciti quei
vestiti. Tra le mani, reggeva una luccicante mazza edile.
L'ultima
ad arrivare fu proprio Susy. Lei, contrariamente a come appariva di
solito, era vestita con abiti mimetici, due pistole erano appese
nelle loro fondine nella cintura e un fucile era in un'altra fondina
posta dietro la sua schiena. Due fila di munizioni si incrociavano
sul suo corpo, formando una X in pieno ventre e in testa portava una
lunga bandana rossa.
«E
che posto sarebbe, questo?» domandò subito Bulldog,
guardandosi intorno. Casualmente, tutti erano con le spalle rivolte
agli altri presenti.
«Cos'è
questo, cristallo?»
«Ragazzi!»
chiamò Alastor, avvicinandosi a loro con le braccia aperte.
Non sapeva assolutamente cosa provare, se gioia nel rivederli,
stupore perché erano arrivati fin lì o vergogna per
com'erano conciati.
Alla
fine, scelse l'ultima opzione «Ma come vi siete vestiti? Dove
credete che siamo, in un videogioco?»
Quando
invece i suoi parirazza lo videro, rimasero non poco esterrefatti e
fecero per festeggiare. Purtroppo, la vista di chi stava dietro di
lui e le pose difensive che Twilight e Discord non avevano ancora
smesso di mantenere li fecero comprendere subito di essere capitati
in un brutto momento.
«Sono
due giorni che non ti fai sentire.» sintetizzò Susy «Che
cosa è successo?»
Alastor
alzò le spalle «Oh, un po' di cose... lo zio sa che
siete qui?»
El
Bastardo non riuscì a soffocare una risata. Risposta più
che esauriente.
«Non
avevamo idea di dove fossi, abbiamo indagato e abbiamo scoperto che
l'ultima persona che ti ha visto è stata una ragazzina dai
capelli rossi e gialli del liceo di Canterlot. Pareva che ti fossi
tuffato nella loro statua... per quanto stupido, abbiamo voluto
controllare. E, visto che non sapevamo come fosse la situazione,
siamo venuti preparati.» spiegò brevemente Susy, sebbene
non riuscisse a staccare gli occhi da Discord: non riusciva a capire
cosa fosse, esattamente.
«Grazie
del pensiero.» ringraziò subito Alastor, prima di
domandare, con una leggerezza che sembrò paradossale «C'è
qualche
piantagrane,
però, che dovrei sistemare. Non è che, tanto che siete
qui, avete voglia di spaccare la faccia a qualcuno?»
Bulldog
si avvicinò ad Alastor, fino a poggiargli una mano sulla
spalla «Al, noi siamo sempre
pronti
per questo genere di cose!»
Senza
dire niente, Bobo si avvicinò a sua volta, porgendo ad Alastor
l'arma che portava con se. Fu Susy a spiegare «Abbiamo pensato
che, conoscendoti, se eri ancora qui allora dovevi per
forza essere
rimasto incastrato in qualche casino. Perciò avresti anche
avuto bisogno di un upgrade.
Nei videogiochi non succede spesso così?»
Alastor
sorrise e impugnò la mazza, ringraziando ancora. Poco dopo si
rivolse ad Aria porgendole l'altra arma «Non sono sicuro di
poterti stare sempre vicino e...»
Aria
strappò la mazza da baseball dalle mani di Alastor sbottando
«Ehi, io sono una Sirena! Non sono una principessa da salvare
dal mostro, mettitelo bene in testa!»
Twilight
osservò la scena senza commentare fino alla fine, nemmeno allo
sfottò di Aria. Certo, ricevere dei rinforzi era in quel
momento come manna dal cielo e vedere quei sei umani decidere di
stare dalla loro parte era sicuramente utile, eppure c'era un fatto
che non poté non ammettere a voce alta.
Mentre
si massaggiava le tempie con gli zoccoli, borbottò «I
rinforzi delle Sorelle Principesse arriveranno tra tre ore. Ora, la
sorte della mia gente è nelle mani di uno spirito del Caos,
una sirena senza poteri e... cinque fuorilegge?»
Per
quanto potesse apparire offensivo, per i cinque del Black Canary
quelle parole suonavano divertenti. Fu Aria a commentare per tutti
loro, esclamando «Già. Non potresti sperare in un aiuto
migliore, vero?»
Ci
fu una risata generale, ma Twilight volle mettere alla prova la loro
fedeltà: non era utile ricevere degli aiuti che avrebbero
potuto scappare alla prima occasione. Casualmente, era in circolo il
periodo di apertura dello specchio, non poteva correre rischi.
«Quello
che stiamo per sfidare è un esercito che ci supera di diverse
centinaia ad uno, se va bene. Siete sicuri di poter resistere, fino
all'arrivo dei rinforzi di Canterlot?»
Alastor
sbuffò, poggiando pesantemente il manico del grande martello
sulla spalla.
«Così
tanti?» intervenne Bulldog, grattandosi il capo attraverso il
cappuccio
«Alla
faccia del qualche
piantagrane!»
osservò, stranamente divertita, Susy.
«È
come festeggiare San Patrizio a Giugno!» esclamò,
allora, El Bastardo. Nessuno degli umani, nemmeno Bobo, dimostrava il
minimo segno di volersi tirare indietro. Apparentemente, per loro
affrontare un esercito così numeroso era cosa da poco.
«Se
c'è qualcuno che deve farsi largo con la forza... credici,
nessuno è meglio di noi!» concluse dunque Alastor,
rivolgendosi a Twilight con un malcelato disprezzo. Non l'aveva
assolutamente in simpatia, eppure apparve evidente che non sarebbe
mai scappato alla guerra.
Dopo
questo breve scambio di battute, i sei umani uscirono dalla stanza
ignorando gli sguardi sorpresi degli altri nel castello e cercando di
studiare quanto meglio potevano l'ambiente, per prepararsi a cosa
sarebbe potuto sbucare e da dove.
Mentre
si posizionavano lungo il corridoio, per coprire qualsiasi punto in
cui i Mutanti avrebbero potuto fare breccia, Susy si rivolse ad Aria
«Lo sai, in realtà odio
quando
è così determinato. Mi fa sempre pensare al peggio!»
Aria,
udendola, si voltò verso di lei. In realtà, Susy
nemmeno la guardava, stava a caricare il fucile. La sirena non se la
sentiva di chiederle come pensasse di muoversi, così armata,
né volle soffermarsi su come quella ragazza bionda apparisse
calma e posata come al Black
Canary e
che stesse parlando di simili argomenti simili mentre si avvicinava
l'esercito Mutante.
«Parli
sempre per... quella
ragione?»
domandò allora, riferendosi alla morte del suo doppio
Susy
finì di caricare e sospirò, mentre il metallico clack
della
canna del fucile segnava che era pronto a far fuoco in qualsiasi
momento «Lo
sai, ho cucito la sua carne, sistemato le sue ossa e rimosso più
pallottole dal suo corpo di quanto mi piaccia ricordare. Sono una
barista una confidente, e a volte sono stata anche un medico. Ma c'è
qualcosa che non posso sistemare.»
Incuriosita,
Aria chiese ancora «E cosa?»
«Un
cuore infranto.» rispose lapidariamente Susy «Spero che
tu capisca quanto sia straordinario quanto luisi stia dannando per
aiutare te e le tue amiche. Compreso il fatto che anche adesso, con
tutte le probabilità che ci sono di finire male, non voglia
saperne di scappare.»
Aria,
udite quelle parole, piegò la testa perché le frange
dei capelli coprissero l'arrossarsi delle sue orecchie. Era già
abbastanza difficile quando Twilight insinuava che ci fosse qualcosa
tra lei e Alastor, ci mancava solo la cugina pettegola!
«Ti
sorprendi che ti voglia ancora aiutare. Ma anche tu lo stai aiutando
e, Aria... ti prego... non smettere.»
Prima
che potesse sentirsi ribattere in qualsiasi modo, Susy ammiccò
verso la sirena e sparì, mimetizzandosi tra i gruppi di
superstiti che si stava organizzando.
Tutti,
in quei momenti, stavano facendo la loro parte: Discord, vestitosi
per l'occasione come un generale da Prima Guerra Mondiale, usava la
sua magia per creare transenne e rinforzare le pareti del castello,
mentre Twilight alzò una barriera incantata lungo l'intero
castello, emulando suo fratello durante la crisi di Canterlot.
Fin
da subito sapeva che quello non sarebbe stato sufficiente a fermare
l'esercito Mutante e la loro sovrana, ma sperava che avrebbe potuto
almeno farli guadagnare qualche minuto prezioso.
Il rullio dei tamburi segnò l'avvicinarsi del
nemico. Chi si trovava all'interno del castello percepì il
rombo come un suono di sventura e malaugurio, mentre gli invasori
traevano forza da quel suono, avvertendo già la vittoria.
Twilight,
immaginandosi il nemico avvicinarsi, ringhiò a denti stretti
«Che
il Tartaro ti prenda, Queen Chrysalis!»
Dalla foresta intorno a Ponyville legioni di creature
nere simili ad incroci tra pony e insetti uscirono dall'ombra,
marciando all'unisono come una macchina ben oliata mentre formazioni
a punta di lancia oscuravano il cielo.
Le forze dei Mutanti erano apparentemente infinite,
impossibile contare il loro numero preciso, e tutte marciavano senza
mostrare emozione alcuna, se non una rigida disciplina, verso il
castello di Twilight.
Per i pony all'interno della struttura il rumore delle
forze nemiche in avvicinamento fu come udire il rumore di tanti
tamburi che si facevano sempre più vicini, fino a fermarsi del
tutto a pochi metri dal confine segnato dalla barriera magica di
Twilight Sparkle.
Insensibili al potere usato dall'alicorno, i Mutanti
restarono a terra e in volo a guardare la barriera, mentre un'ala
delle truppe si divideva a metà per lasciare passare l'unico
mezzo su ruote che si poteva trovare in tutto quel mare nero. L'ombra
alzata dallo sciame in volo rendeva chi sedeva lì in cima
ancora più minaccioso.
Sul carro che avanzava senza alcun traino, mentre il
cigolio delle gradi ruote avvertiva il suo arrivo, un enorme bozzolo
posto sulla cima conteneva Adagio e Sonata. Avanti a loro, una figura
slanciata e nera si alzava su tutto e tutti con un ghigno predatorio
che segnava il muso.
«Princess Twilight Sparkle.» parlò
lei, con tono calmo, quasi seducente, con un leggero eco nella voce
«Il motivo se a quest'ora non ho ancora preso il controllo di
Equestria. Il motivo se ho perso un altro regno. Il motivo se sono
finita in esilio.»
La sovrana di quel popolo fece una breve pausa mentre
elencava i torti che la principessa dell'amicizia le aveva fatto,
fulminando con i suoi enormi occhi verdi l'intero castello. Una
strana collana, simile a quella di Princess Celestia, ma con un
grande rubino posto sul petto che brillava di una luce innaturale.
Queen Chrysalis accarezzò la gemma commentando
«Avrebbe dovuto saperlo fin dall'inizio che, se ti prendi gioco
di me, le conseguenze non saranno leggere.»
Il corno della sovrana venne avvolto da una luce verde
coperta da fulmini rossi, canalizzandosi presto sulla punta prima di
colpire, con un grosso raggio dello stesso colore, la barriera.
Questa, con un rumore simile a mille vetri infranti,
cadde a pezzi, dissolvendo le schegge nell'etere prima che toccassero
terra. Dall'interno del castello, poco mancò perché
Twilight avesse un mancamento. Comprendendo subito di quale magia
avesse a disposizione ora la regina dei Mutanti, l'alicorno lilla
imprecò a denti stretti.
Fuori dal castello, invece, Queen Chrysalis puntò
la zampa contro il castello, ordinando «Che non rimangano
nemmeno le fondamenta!»
E in un boato, seguito dal rombo degli zoccoli che
calpestavano il terreno mentre il fischio delle picchiate dei soldati
in volo riempì l'aria, le legioni dei Mutanti si abbatterono
sul castello.
L'invasione era cominciata.
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Capitolo 8 *** Collisione ***
CAPITOLO
7
Collisione
Era cominciato con un boato, seguito dal crollo delle mura di
cristallo.
Poi vennero le urla di giubilo e di carica degli invasori e infine le
grida di terrore dei pony investiti dalla marea nera.
Costretti a rinunciare alla formazione difensiva, Discord e Twilight
si erano gettati nella mischia per dare manforte ai civili che
cercavano di resistere all'invasione. Il coraggio non li mancava, ma
da solo non era sufficiente per fermare un esercito addestrato,
numeroso e fanaticamente fedele come quello dei Mutanti.
Nonostante fossero ben consapevoli di questo divario, le due creature
magiche diedero sfogo ad ogni loro potere per aiutare la loro fazione
a prevalere sul nemico: Twilight sfrecciava in volo da un capo
all'altro del castello come impazzita, facendo cadere sui nemici una
pioggia di magia viola e Discord, dopo aver creato qualche decina di
copie di se vestite da soldati dell'Unione a cavallo e aver assaltato
l'orda al grido di «Cavalleggeri, carica!» teneva
a bada il nemico menando fendenti con le sue sciabole di cartone,
armi innaturalmente dure e letali negli artigli del Draconequus e dei
suoi cloni.
Eppure, nonostante i loro sforzi, tutto questo non era ancora
sufficiente per definire “sicuro” il castello: anche
colpiti, gli sgorbi ibridi si rialzavano, colpiti ma abbastanza
determinati da ignorare il dolore.
Allora venne il turno degli umani.
Nessuno se ne accorse inizialmente, troppo concentrati su quanto
stava accadendo intorno a loro, ma presto i difensori poterono notare
come i Mutanti si fossero improvvisamente concentrati in un'area del
castello.
Ad uno sguardo poco attento, il loro intervento poteva sembrare
ininfluente: sei umani contro un'intera legione di Mutanti?
Eppure, per ogni umano c'erano decine e decine di Mutanti a terra,
feriti e incapaci di continuare a combattere, terrorizzati dalla loro
ferocia.
Perché quelli non erano pony, ma esseri umani! Una specie che,
al contrario della loro, viveva a braccetto con guerre, litigi,
baruffe e scazzottate, creature dotate di un naturale istinto
selvaggio che a volte riuscivano a domare e altre no, con gravi
conseguenze ogni volta che perdevano il controllo. E quei sei
soggetti in particolare erano individui che quell'istinto non lo
dominavano, anzi, faceva parte integrante della loro vita!
Un gruppo di pazzi, disagiati, malavitosi. Fuorilegge e fieri di
esserlo, un male contro un male ancora peggiore.
La loro carica fu come altrettante manticore che difendono la tana,
fianco a fianco anche quando tutte le possibilità sono contro;
non per la gloria, non per il denaro, ma per il rispetto e
l'incrollabile fedeltà che provavano uno dell'altro.
Bobo, in mezzo alla carica, sembrava essere diventato più
bestia che uomo: senza mai smettere di correre, travolgeva i mutanti
da un capo all'altro del corridoio con la sua mole. Quei pochi che
non venivano calpestati o sbattuti da quei cento- e- rotti chili di
acciaio dovevano fare attenzione alle sue mani: molti vennero
afferrati per colli e corna e usati come armi improprie, agitati da
una parte all'altra contro i loro fratelli, lasciando dietro di loro
una di ossa rotte e sangue vermiglio che gocciolava dai carapaci
spezzati come grissini, fino a che loro stessi non assumevano la
consistenza di un budino e venivano gettati lontano per fare spazio
ad un altro.
El Bastardo manteneva fede al suo nom de guerre e
usava ogni oggetti che gli capitava a portata di mano come se fosse
stato tutto posizionato secondo le sue necessità; un
attaccapanni, un'asta di legno o addirittura la gruccia di un
armadio... nelle sue mani, tutto appariva improvvisamente più
spaventoso e letale di quanto avrebbe potuto essere in un incubo.
Questa sua imprevedibilità, unita all'intramontabile ghigno
feroce e le incessanti risate sadiche ogni volta che rompeva
qualcosa, un oggetto o un osso, gli diedero un'aria semplicemente
terrificante e molti Mutanti vennero a meno alla loro fedeltà
alla causa e preferirono fuggire, piuttosto che aveva a che fare con
quel mostro psicopatico.
Susy tempestava i suoi nemici con una pioggia orizzontale di
proiettili, correndo e saltando i suoi nemici dimostrando un'ottima
mira. La struttura dei Mutanti rendeva i proiettili poco letali, la
loro natura magica permetteva loro di sopravvivere anche quando un
proiettile attraversava le loro teste, ma nessuno di loro si sentiva
di rialzarsi dopo essere stato ferito dalla ragazza. La frenesia
dello scontro impediva alla cameriera del Black Canary di ricorrere
al suo fucile, quello che secondo lei era il migliore amico di una
donna, ma anche con “solo” la sua coppia di pistole seppe
seminare il panico nella legione nemica.
Bulldog sbucava dal nulla, approfittando della sua bassa statura per
mimetizzarsi nel caos dell'orda nera e lanciare assalti feroci e
mirati contro gruppi di nemici, spesso già indeboliti dagli
altri membri di quell'improvvisata resistenza, dando loro il colpo di
grazia saltandogli al collo.
Aria e Alastor resistevano insieme: l'uno vicino all'altra, quasi
schiena contro schiena, la strana coppia resisteva con una sincronia
che sembrava si fossero allenati per anni, muovendosi come un unico
corpo con una mente in comune. Senza bisogno di parlare, Aria
compensava la lentezza dei colpi di Alastor stordendo i nemici con
rapidi fendenti della mazza da baseball, prima che lui spazzasse via
chiunque stava intorno a loro con un solo movimento della mazza
edile.
In quel caos, in quella confusione, in quell'assedio dove
l'andrenalina scorreva come un torrente in mezzo ai guerrieri, un
alone rosso cominciò a coprire le iridi della sirena mentre
combatteva come un'amazzone in mezzo alla mischia, sotto l'egida di
Alastor.
Ad un certo punto, muovendosi automaticamente come se qualcuno la
stesse manovrando, Aria Blaze alzò una mano e un'ondata
invisibile travolse i Mutanti avanti a loro, gettandoli a terra. La
frenesia dello scontro era tale che nessuno se ne accorse, meno la
stessa Aria che non ebbe il tempo per chiedersi cosa stesse
succedendo.
Poco dopo, presi dal panico per i nuovi improvvisati avversari, la
marea nera batté in ritirata, rientrando in quel varco che si
erano aperti nelle mura del castello.
I pony esultarono del trionfo, ma Twilight sapeva anche troppo bene
che era davvero troppo presto per festeggiare: avevano respinto a
malapena una legione di Mutanti, Queen Chrysalis ne aveva a
disposizione decine. E poi, con i suoi nuovi poteri, chissà
cosa non avrebbe potuto fare, da sola!
Un'ora era passata da quando la guerra era cominciata. Ne mancava
un'altra, come minimo, perché le principesse arrivassero con i
rinforzi.
Fu mentre guardava le forze che aveva portato Alastor che ebbe un
lampo di genio. Voltandosi verso Discord, lo chiamò «Discord!
Teletrasporta tutti in centro a Ponyville!»
Il Draconequus, non capendo, guardò la principessa con gli
occhi fuori dalle orbite «Sei impazzita? Ci circonderanno, qui
per lo meno non possono mandare più di una legione alla
volta!»
«Lì i pony potranno correre all'impazzata, allungando di
molto i loro tempi per catturarci tutti.» osservò invece
Aria, capendo le intenzioni della principessa
«E poi, avremo anche noi un margine di manovra
maggiore.» appoggiò Susy, mentre ricaricava
Discord alzò una zampa. Alla fine, si sarebbe trattato di dare
modo ai cittadini di Ponyville di organizzarsi all'interno delle loro
stesse abitazioni, luoghi che conoscevano molto bene.
«Non manca molto alla nuova ondata. Se vuoi avvisarli, ti
conviene farlo ora.» disse però, prima di schioccare gli
artigli.
Twilight si alzò in volo e si rivolse ai
cittadini che, doloranti e feriti, la guardavano con lo sguardo
perso, come se non sapessero cos'altro attendersi.
«Amici
miei! Vedo nei vostri occhi la paura che io stessa faccio fatica a
contenere.»
cominciò a spiegare lei.
«Siamo
testimoni del grottesco spettacolo sputato fuori dall'angolo piu
oscuro di Equestria, l'intero Regno di Mutanti sta per piombare su di
noi. Siamo pochi e inesperti contro tanti e addestrati. Eppure, in
quest'ora così buia, vi chiedo... vi prego...
di resistere! Resistete!
Lance saranno scosse e pony saranno feriti nella furia della
battaglia che ci aspetta, ma non abbiate paura, non temete
l'oscurità! Per tutto ciò che amate di questa città,
vi invito a resistere!
Non
ci sarà il giorno in cui dovremo abbandonare tutto e tutti per
salvarci. Non
verrà il giorno in cui i nostri legami saranno spezzati in
nome della sopravvivenza. Il nostro legame e la nostra amicizia sono
più forti di qualsiasi minaccia, perciò, oggi,
resistiamo. Oggi riscattiamo Ponyville dalla tirannia e dalla paura,
per portarla verso un futuro più radioso di quanto possiamo
immaginare; perché questo giorno non appartiene ad uno solo,
ma a tutti noi. Insieme, libereremo Ponyville e, domani,
condivideremo la nostra pace!»
Nella sala scoppiò un tripudio: Ponyville apparteneva ai pony,
perciò avrebbero scacciato i Mutanti a qualunque costo.
Venne rapidamente spiegato il piano: nessuno, nemmeno i Mutanti che
si erano infiltrati per le loro strade, conoscevano la città
meglio di loro. Avrebbero usato quel vantaggio per lanciare una serie
di attacchi di guerriglia urbana, allo scopo di mettere in difficoltà
le forze nemiche e ridurre il loro soverchiante vantaggio numerico.
Nel frattempo i rinforzi umani avrebbero attirato le attenzioni delle
forze nemiche continuando quella guerriglia che loro sembravano
conoscere tanto bene.
E, se lo sembravano, era solo perché erano davvero
abituati.
Queen Chrysalis, comodamente sdraiata sul suo divano in velluto color
amaranto sulla cima del carro, si sentiva abbattuta, ma c'era da
aspettarselo. Succedeva ogni volta che uno dei suoi labirintici piani
giungeva a compimento: la soave malinconia che si prova al termine di
un'opera sudata e amata l'abbracciava come un amante focoso e non la
lasciava fino al suo finale.
In tutta Equestria, e forse anche nel resto del mondo, non esisteva
creatura vivente dotata dell'acume e della finezza necessaria ad
apprezzare gli intricati dettagli dei piani che aveva intessuto. A
volte aveva provato a spiegarli, ai suoi subalterni o a qualche
prigioniero, ma il gioco perdeva così tante sottigliezze da
risultare tedioso.
Aveva pianificato la sua vendetta nei confronti di Twilight Sparkle
dalla sua disfatta durante la Cometa del Segretariato
e aveva messo in pratica le sue trame non appena venne liberata.
Nessuna creatura mortale poteva comprendere i suoi piani, meno che
Twilight Sparkle. Princess Celestia possedeva la forza e la
determinazione necessaria per affrontare ogni suo possibile inganno o
stratagemma, mentre Luna e Cadance erano esattamente allo stesso
livello di qualunque altro pony: soltanto Princess Twilight aveva
dimostrato, in due occasioni su tre, di poter leggere attraverso le
sue trame e far fronte non solo per affrontarla ma addirittura per
sconfiggerla. Tutte e due le occasioni. Solo per questo, meritava la
più infida delle vendette.
Il suo piano cominciò con un giro di turisti, pony che nessuno
conosceva e dall'aspetto stravagante, che potessero dare nell'occhio:
in questo modo potevano conoscere il più possibile sugli
abitanti di Ponyville grazie alla loro naturale curiosità
verso i propri simili provenienti da terre lontane e, una volta
appreso abbastanza sulle loro vite, una ad una li sostituivano.
Nessun Pony, dopo gli ultimi eventi a cui avevano assistito, sembrava
avere più paura della Everfree Forest e questa loro
spavalderia aiutò i Mutanti a rapirne un numero considerevole
e a sostituirli senza che se ne accorgessero. Una volta integrati
nella popolazione, usavano tutto quello che avevano imparato sulla
loro vittima per mimetizzarsi: non era concesso il minimo errore.
In questo modo, l'infiltrazione di Queen Chrysalis cresceva,
invisibile, dall'interno. Poco a poco, giorno dopo giorno, c'era
sempre meno Ponyville e più soldati di Queen Chrysalis.
Non era facile mantenere lo status, di natura i Mutanti sono un
popolo molto poco restio alle confidenze, ma la loro Regina aveva
ordinato che così fosse fatto e così venne fatto.
Grazie a questa infiltrazione a Ponyville, Queen Chrysalis riuscì
a raggiungere anche le portatrici del misterioso potere nato
dall'Albero dell'Armonia: avvicinandole, prendendole separatamente,
riuscì a isolare la principessa e ad avvicinarsi allo specchio
che le avrebbe dato il libero accesso al mondo parallelo dove si
trovavano le sirene, il suo obiettivo.
Conosceva la loro storia, così come era a conoscenza del
potere grezzo della magia del Caos: catturandole avrebbe potuto
conquistare il potere che le serviva e pareggiare i conti con
Twilight una volta per tutte.
Una volta al suo interno, agì in maniera simile a Ponyville:
confondendosi tra la popolazione, nonostante con il cambio di realtà
i suoi soldati perdessero la facoltà di cambiare aspetto,
raccolsero informazioni fino a scoprire di un trio di cantanti che,
durante un concerto, avevano seminato parecchia confusione.
Riconoscendo il marchio delle sirene, Queen Chrysalis ordinò
una caccia serrata, catturandone due su tre.
L'unica mancante, tuttavia, era protetta da un bipede che i suoi
sudditi lo descrivevano come “Un'Ursa con t-shirt, gilet, jeans
e anfibi” che si era sbarazzato di tre Mutanti con altrettanti
colpi. Inoltre, entrambi erano arrivati proprio a Ponyville.
Nonostante il fastidio di dover adattare il piano alle circostanze,
la Regina dei Mutanti ordinò l'invasione pur mantenendo il
potere di due delle tre sirene: una volta catturata anche la terza,
sarebbe entrata nel vivo della battaglia, scatenando i suoi nuovi
poteri.
Mentre si crogiolava pensando a quanto era stato fatto per arrivare a
quel punto, la perfida sovrana si sorprese vedendo le proprie truppe
che sciamavano in massa fuori dal castello di Twilight. Era
consapevole che i pony non sarebbero caduti facilmente, ma non
avrebbe mai pensato che da soli avrebbero potuto respingere un'intera
legione.
Solo quando i soldati, feriti e doloranti, tornarono avanti a lei, la
situazione le fu più chiara: Discord era giunto come rinforzi,
in attesa dell'arrivo di Princess Celestia, Princess Luna e della
Guardia Reale, inoltre alcune creature bipedi simili ad Alastor e
Aria erano apparse dal nulla, combattendo come furie.
La Regina dei Mutanti comprese subito di cosa si trattava «Tsk,
feccia bipede...»
L'esistenza di quel mondo parallelo non le aveva impedito di odiarlo
ferocemente, una volta scoperta la sua storia. Non solo era un mondo
assolutamente privo di magia, motivo per il quale lei lo avrebbe già
raso al suolo per la sua inutilità, ma l'accesa ossessione
degli umani per le loro libertà individuali, al punto di
difendere anche le idee più assurde e impedendo in questo modo
l'ovvio processo di unione come specie le suonava come un vero e
proprio insulto al suo lavoro di unificazione dei Mutanti sotto
un'unica bandiera.
Per questo, anche se aveva avuto modo di scoprire il nome scientifico
degli umani, ancora preferiva rivolgersi a loro con il nome di
bipedi.
Illuminò nuovamente il suo corno con quell'alone verde
circondato da fulmini rossastri e una lama di luce inondò i
soldati avanti a lei, guarendoli immediatamente da ogni ferita.
Subito dopo, un flash passò attraverso le finestre del
castello di Twilight.
Mentre i suoi soldati ammiravano stupiti l'ultimo prodigio della loro
sovrana, Queen Chrysalis accentuò un sorriso sardonico,
immaginando il significato di quell'improvvisa luce.
Stendendo una zampa, ordinò a tutte le sue forze in campo «Il
nostro nemico si è spostato a Ponyville. Circondateli e
catturateli. Portatemi la sirena e Discord.»
«Maestà...» obiettò una delle guardia più
corazzate e vicine alla sovrana «Cosa le fa pensare che non
siano scappati tutti da un'altra parte? Quella luce resta sempre un
sistema di teletrasporto...»
«Discord non ha il potere per trasportare così tanti
pony e bipedi molto lontano. Non quando deve farlo tenendoli tutti
assieme.» spiegò allora la sovrana, mentre con la corona
dello zoccolo accarezzava il rubino sul suo giogo dorato «Mentre
parliamo, si stanno disperdendo come formiche per ogni vicolo,
casa... non ci sarà un solo pertugio dove potrete controllare
senza il rischio di cadere in una trappola.»
La guardia esitò. Si prospettava una battaglia molto difficile
«Mia Signora... non è possibile un altro modo per
catturarli tutti?»
«Non prima che le Principesse arrivino.» rispose lei
lapidariamente, troncando ogni speranza del suo suddito «Ma non
preoccuparti. La vostra Regina è qui per proteggervi.»
A quelle parole, animati da un fervore anche maggiore di quello dei
pony, centinaia di migliaia di Mutanti presero il volo, riversandosi
su Ponyville alla ricerca dei suoi abitanti.
Mentre lo stridio dell'intero esercito Mutante riempiva l'aria e
l'ombra che prima oscurava Queen Chrysalis si spostava su Ponyville
un colpo, quello di chi picchia contro una parete, arrivò alle
lunghe orecchie appuntite della sovrana.
Sospirando, si voltò verso il bozzolo dietro di lei e vide,
esattamente come si aspettava, Adagio Dazzle prendere a pugni la
parete trasparente della sua prigione, tentando invano di romperla.
«Come ho già avuto modo di dire, queste prigioni le creo
magicamente, il che significa
che esistono solo due modi per uscire di lì: o lo decido io,
oppure vi procurate un potere che surclassi il mio. In poche parole,
otterreste maggiori risultati fischiando!»
Adagio reagì picchiando ancora sulla parete, ricambiando con
uno sguardo di puro odio quello di sufficienza che la Regina dei
Mutanti le riservava. Quando appoggiò la fronte alla parete,
senza staccare gli occhi viola da quelli della sua aguzzina, ringhiò
«Quando usciremo da qui... perché usciremo da
qui... ti pentirai di ogni singolo istante in cui ci hai tenuto
prigioniere!»
Queen Chrysalis reagì alla minaccia ridendo molto
sarcasticamente «Ma guardatevi! Siete soltanto delle ombre,
relitti di un'epoca lontana che arrancano nei secoli, nella vana
speranza di poter scimmiottare quel loro passato momento di gloria.
La vostra epoca è finita con l'Era degli Alicorni, che a sua
volta è terminata con il risveglio degli Elementi
dell'Armonia. E presto, anche questa breve Era dell'Armonia finirà...
accontentatevi di essere vissute abbastanza a lungo per assistere a
tutto questo!»
Detto ciò, la sovrana lasciò le due sirene, godendo
sadicamente del brutto epiteto con cui Adagio la chiamò mentre
si allontanava.
Quest'ultima, notando come il
suo insulto non otteneva alcun effetto, scivolò lungo la
parete fino a cadere in ginocchio. Una volta a terra, posò lo
sguardo in basso e chiuse gli occhi.
Di fianco a lei Sonata,
preoccupata per la reazione del suo “capo”, si avvicinò
a lei appoggiandole una mano sulla spalla «Lo sai, pensavo: il
mondo umano ed Equestria sono molto diversi, forse qui
quella parola è
un complimento!»
Adagio ignorò
volontariamente l'ingenuità di Sonata e si mise a sedere,
passandosi il dorso della mano sugli occhi inumiditi.
«Lo sai qual è la
cosa che più mi da fastidio di tutto questo, Sonata?»
domandò, sussurrando come se non volesse essere sentita.
Sonata si inginocchiò
per avvicinare l'orecchio ad Adagio e negò con il capo.
«Che non posso fare a
meno di pensare che, se siamo qui, è anche colpa mia.»
Sentite quelle parole, Sonata
aprì le mani «Il tuo piano prevedeva essere catturate
dalla Regina dei Mutanti e venire usate per creare una connessione
con la magia del Caos che noi non abbiamo più? Non me lo
ricordavo...»
Questa volta fu Adagio a negare
con il capo «No, certo che no... non so come lei faccia ad
usare quella scheggia del nostro potere, a dire il vero... ma se non
vi avessi coinvolte quando ho cercato di riprendere i nostri poteri
in quella scuola, se vi avessi risparmiato il mio piano... a
quest'ora non saremmo qui! Avremmo i nostri poteri, per quanto scarsi
fossero, e avremmo continuato a vivere come sempre...»
Sonata rispose rivolgendo ad
Adagio un sorriso che da solo avrebbe potuto sciogliere il burro «Oh,
non essere così dura con te stessa. Certo, la situazione in
cui siamo è pessima,
ma sei l'unica che ti incolpa di qualcosa.»
Adagio guardò la
compagna senza parlare. Questa volta era Sonata quella che doveva
spiegare.
«Non abbiamo più
poteri e adesso non possiamo scappare. E Aria sta rischiando grosso
anche lei... ma questo non vuol dire che la colpa è del tuo
piano, le cose brutte capitano! Che si sia sirene, umani, o
addirittura alicorni! Sono sicura che nemmeno Aria ti serba del
rancore per com'è andato a finire il tuo piano... anzi, se
potessimo tornare indietro nel tempo, ti seguiremmo comunque!»
«Davvero?»
fu l'unica domanda che Adagio riuscì a fare
«Ehi,
forse non capisco i dettagli dei tuoi piani... va bene, diciamo che
volte non li capisco proprio... ma sei tu
la mente del nostro gruppo! Diciamoci la verità, anche se Aria
non lo ammetterebbe mai a voce alta, né io né lei
seguiremmo mai un piano che non sia il tuo Adagio!»
Commossa
da quelle fedeltà, Adagio abbracciò Sonata,
ringraziandola. Sonata, capendo come si sentiva l'amica,
ricambiò il gesto commentando «Non
serve ringraziare: a che cosa serve, se no, essere amiche come noi?»
A volte un abbraccio è
quello che ci vuole per scacciare una brutta sensazione.
La battaglia lungo le strade di Ponyville proseguì in maniera
caotica: se i Mutanti avevano il vantaggio numerico, la popolazione
si dimostrò ben poco propensa ad arrendersi facilmente e, con
una serie di attacchi mordi- e- fuggi seminava la confusione
nell'esercito Mutante, apparendo da dentro un pozzo, o da un angolo
buio, travolgendo la squadra avanti a loro con oggetti come casse
piene di materiali pesanti, bombole del gas o tubi di piombo, prima
di sparire nuovamente prima che altri nemici arrivassero per
contrastare l'effetto sorpresa.
Non sempre questi attacchi andavano a buon fine: nonostante avessero
scambiato il poco spazio a disposizione nel castello di Twilight in
favore di una zona ben più ampia in cui dividere e contrastare
le forze nemiche, per i loro attacchi lampo serviva comunque una
precisione cronometrica e un solo secondo di ritardo voleva dire ad
altre decine di Mutanti che piombavano su di loro come pioggia,
pronti a catturarli, rinchiuderli in bozzoli verdi per poi
abbandonarli sul posto e muoversi alla ricerca di altre prede.
Discord e Twilight facevano come meglio potevano per aiutare i
cittadini: la principessa gridava ordini all'impazzata, mentre
scagliava potenti magie contro i bozzoli per aprirli e volava
all'impazzata per stare dietro alle squadre nemiche. Il Draconequus,
invece, affrontava svariate centinaia di Mutanti per volta: la sua
magia era indiscutibilmente più potente di tutti loro messi
assieme, ma i rinforzi al castello, la battaglia di prima, il
teletrasporto di tutta la cittadinanza e l'orda inesauribile
cominciavano a consumargli le energie e spesso qualche incantesimo
Mutante arrivava a bruciargli il manto. La Regina aveva richiesto
espressamente la sua cattura e i sudditi erano ansiosi di
accontentarla.
Il sudore cominciava ad imperlare lo spirito del Caos e il fiatone lo
teneva piegato in due, quando un attacco combinato lo fece distrarre
perché potesse essere colpito alle spalle, cadendo a terra.
Fece appena in tempo a voltarsi, che uno stormo di Mutanti lo fissava
con sguardo da predatore, pronti a catturare la preda.
In volo, fecero per cadere in picchiata contro di lui, quando uno
sparo echeggiò nell'aria e la prima squadra cadde lontano. I
Mutanti a terra, poi, vennero travolti da una macchia bordeaux che
sbraitava oscenità, un colosso con la bava alla bocca e un
pazzo che, armato di un lungo tubo di piombo, seminava il panico
ridendo divertito.
Susy, Bulldog, Bobo ed El Bastardo combattevano come furie in mezzo
alla piazza, dando man forte alla creatura magica.
«Come capiamo se sono buoni o cattivi?» domandò
Susy, mentre con il fucile scacciava altri nemici che tentavano di
catturarla, riferendosi alla loro possibilità di cambiare
aspetto
«Se stanno cercando di catturarti, sono i cattivi!»
rispose El Bastardo, mentre picchiava con la punta del tubo il ventre
di un Mutante, facendogli rigettare la colazione.
Poco lontano, Alastor mise fuori gioco con una testata un Mutante,
mentre Aria esclamava «Siamo destinati a soccombere, se le
forze delle principesse non arrivano presto! E se anche fosse, Queen
Chrystalis possiede la magia di noi sirene! Il Cielo sa cosa può
fare, adesso!»
Alastor alzò lo sguardo. Da dove si trovavano, poteva vedere
dove si trovasse Queen Chrysalis, riconoscendola grazie al carro su
cui restava seduta con dietro i bozzoli delle altre Dazzling. Dopo un
secondo di riflessione, si voltò verso Aria senza dire una
parola.
«Che c'è?» chiese la sirena
«Qualunque cosa succeda... tu resta qui.»
Detto questo, l'umano strinse ancora più forte la mazza edile
e cominciò a correre, lasciando Aria sola.
La ragazza aprì la bocca per chiamarlo, ma uno strano
formicolio alla mano la fermò. Spostando lo sguardo, vide come
delle sottili crepe si stessero aprendo sulla sua pelle, riflettendo
ognuna una tenue luce rossastra. Contemporaneamente, un alone dello
stesso colore coprì i suoi occhi.
Un sorriso feroce piegò le labbra della sirena, mentre
constatava cosa le stava succedendo.
«Si torna in scena...»
Alastor impiegò poco tempo per arrivare davanti a Queen
Chrysalis: priva di qualunque difesa, non fu nemmeno difficile
avvicinarsi e la stessa Regina stava avvicinando il carro al paese,
come per assistere meglio alla battaglia.
Quando i loro occhi si incrociarono, lei fermò la sua avanzata
e chiese semplicemente «Vuoi dirmi qualcosa?»
Alastor strinse la presa sulla mazza, puntandola contro la Regina ed
esclamò minaccioso «Lascia andare le altre sirene, o
io...»
«Tu?» ripeté Queen Chrysalis, ridendo
divertita «Tu e quale esercito?»
I due sfidanti erano soli, tranne che per le sirene che guardavano la
scena da dietro il bozzolo. La regina dei Mutanti scese dal carro con
un piccolo salto e si parò avanti all'umano. Le loro altezze
erano quasi uguali, ma se Alastor era sicuramente più
muscoloso, Queen Chrysalis aveva l'enorme vantaggio del suo potere.
Senza dire una parola, Alastor attaccò, sollevando la mazza
sopra la sua testa prima di farla picchiare contro la regina, mirando
alla testa. Ma lei, con un leggero sorriso, alzò semplicemente
una barriera che frantumò la mazza come se fosse stata un
grissino.
Osservando il moncherino della sua arma rimasto tra le mani, Alastor
imprecò a denti stretti prima di gettarlo altrove. Sarebbe
stato ancora più difficile di quanto avesse immaginato.
Vedendo però come il suo avversario non esitava e non mostrava
alcun segno di rinuncia, Queen Chrysalis osservò «Io
sono Queen Chrysalis. Sono la Regina dei Mutanti, solo questo
dovrebbe darti un'idea di quanto io sia pericolosa. E con la magia
delle sirene sotto il mio controllo, adesso sono anche tra le
creature più potenti che tu possa incontrare qui ad Equestria.
Mentre tu... tu sei solo un uomo a cui prudono le mani. Sei sicuro di
quello che vuoi?»
Alastor si limitò a gettare il gilet da parte, restando così
con la sua t shirt bianca, e portò i pugni all'altezza del
volto «Fai poco il gradasso! Posso ancora farti ingoiare i
denti e quella stupida collana. E lo farò, se non lascerai le
amiche di Aria!»
Queen Chrysalis sorrise alla spavalderia dell'umano. I suoi occhi
vennero illuminati di un minaccioso alone rossastro, mentre osservava
con scherno «Oh, devi amarla proprio.»
Lungo le strade e i palazzi di Ponyville si consumava una scena di
una violenza così totale che sembrava di essere tornati negli
anni precedenti il massacro del Draconequus. Poche decine di Pony
fronteggiavano le migliaia di schiere Mutanti, zigzagando tra i
gruppi di nemici seminando il panico e la confusione.
Improvvisamente, una serie di lampi attirò l'attenzione di chi
combatteva più in periferia, lontano dal centro. Lungo tutto
il perimetro di Ponyville, sulla cima delle colline, migliaia di
figure a quattro zampe, alate e a piedi, uscirono allo scoperto.
I rinforzi di Canterlot erano finalmente arrivati.
Sussurrando un ordine, le Guardie Reali caricarono il nemico. Pegasi
ed unicorni scattarono e piroettarono sul campo di battaglia,
gridando la loro determinazione e mantenendo le lance puntate in
avanti. Le loro urla e il clangore delle armature attutì il
sibilo dello sciame Mutante e i loro insulti, quando le due fazioni
si scontrarono.
I pegasi colpirono la linea Mutante come fulmini bianchi e dorati,
travolgendoli con la loro velocità e facendo perdere
facilmente loro l'equilibrio prima di mandarli a terra, alla mercé
degli unicorni.
I comandanti combattevano con tutte le loro forze, fedeli ad
Equestria così come i Mutanti erano fedeli alla loro Regina.
La loro lotta era uno spettacolo glorioso, benché i nemici li
superassero di dieci ad uno. Qua e là, infatti, alcune guardie
non ce la fecero e caddero sotto gli incantesimi e gli assalti dello
sciame Mutante.
Preziose unità vennero perse e per un attimo sembrava che la
Guardia Reale non sarebbe stata sufficiente.
Fu allora che scattò la trappola.
I pegastrelli, la guardia personale di Princess Luna, balzò
fuori dalle ombre dei palazzi di Ponyville e da dietro le schiere
nemiche, saettando tra i Mutanti e travolgendoli con una ferocia
quasi innaturale. Rumori di ossa rotte e di urla presto riempirono
l'aria e i plotoni che avevano accolto la prima ondata dei rinforzi
di Canterlot vennero spazzati via.
Le Guardie Reali e le Guardie Notturne si radunarono, unendosi a
Princess Twilight, Discord e gli ultimi difensori rimasti ancora per
combattere, mentre altre migliaia di Mutanti uscivano ancora allo
scoperto, pronti a continuare la battaglia.
Un sorriso freddo piegò le labbra dei comandanti, mentre una
nuova luce, come se il sole stesso fosse sceso per assistere più
da vicino a quella guerra apocalittica, avvolgeva il campo.
Da sopra i soldati riuniti scesero due figure uniche: due pony molto
più slanciati del normale, una più grande dell'altra,
dotate di lunghi corni, criniera e coda ondeggianti e un paio di
grandi ali.
Princess Celestia e Princess Luna.
Le principesse stesse erano scese sul campo per difendere Ponyville.
Ora, pensò Twilight Sparkle, i Mutanti avrebbero assaggiato la
vera potenza di Equestria.
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Capitolo 9 *** Bilico ***
CAPITOLO
8
Bilico
La guerra flagellò la città di Ponyville non appena
giunse al culmine. Privi di ogni ordine o schema tattico da
rispettare, la guerriglia da strada dei cittadini si era trasformata
in una schermaglia tra due fazioni nemiche da tempi immemorabili,
Pony e Mutanti. A farne le spese furono gli edifici, ridotti in
macerie per la ferocia degli incantesimi e i colpi che i due eserciti
si scambiavano senza tregua, le strade sconnesse dai continui duelli
e gli stessi cittadini di Ponyville, che vedevano in quel disastro la
rovina della città in cui vivevano.
Un trascinante senso di rabbia e frustrazione, impossibile da
ignorare, cominciò a battere nei loro cuori e, gridando tutta
la loro rabbia, i comuni Pony galopparono verso i Mutanti per far
loro pagare tutto il dolore che stavano causando con la loro
devastazione.
Ma anche gli stessi invasori non erano in grado di trattenere la loro
furia e il loro desiderio di veder realizzato il prima possibile il
piano della Regina.
In mezzo a tutto questo caos, gli umani giunti da un altro mondo si
misero al riparo dietro un muro che una volta doveva appartenere ad
un edificio. Susy ricaricò l'arma, mentre El Bastardo si
massaggiava una spalla. Bobo restava immobile, ma la divisa da
football era ridotta ad uno straccio pieno di buchi dai bordi
bruciati, il casco era andato perso molto prima e la sua pelle
puzzava di brace. Nonostante le ustioni, tuttavia, lui non dava a
vedere segni di dolore.
«Dove accidenti è finito Bulldog?» chiese El
Bastardo, mentre si guardava intorno. Una fitta nebbia color smeraldo
si era improvvisamente alzata, rendendo difficile trovare qualsiasi
cosa.
Susy caricò l'ultima cartuccia che le restava, dicendo
«L'ultima volta che l'ho visto, mi stava coprendo contro una
squadra di quei cosi neri.»
Come sentendosi chiamato, anche l'ultimo rinforzo umano arrivò
«Stavate parlando di me?»
L'accoglienza fu inizialmente felice, costellata da sorrisi, ma
presto quei sorrisi mutarono in smorfie cariche di rimorso e rabbia.
Contemporaneamente, un motivetto raggiunse le orecchie degli umani.
Aria si avvicinò al gruppo dei suoi alleati fischiettando e
camminando seraficamente in mezzo alla devastazione. Sembrava quasi
che intorno a lei ci fosse una specie di barriera che la tenesse
lontano dalla ferocia del cataclisma che si consumava tutto intorno.
Le cicatrici sul suo corpo si erano fatte sempre più numerose
e luminose.
Proseguendo la sua camminata la sirena raggiunse il gruppo e, senza
fermarsi né smettere di fischiettare, accarezzò
dolcemente il petto di Bobo passandogli a fianco. Nessuno, in quel
momento, si mosse o reagì.
Fu quando Aria superò tutti e quattro che la situazione
degenerò rapidamente.
Abbandonando ogni ragione o istinto di sopravvivenza, gli umani
lasciarono la copertura e le proprie armi caricando, gridando e
sbavando, per arrivare al primo gruppo Mutante che avevano a tiro.
Già di norma combattevano come bestie feroci, ma ora
sembravano animati da una furia sconosciuta anche al genere umano:
improvvisamente essi erano regrediti da umani più o meno
senzienti ad esseri animati unicamente dal desiderio di sangue e
violenza senza freni.
Mentre ossa e carapaci Mutanti venivano spezzati, ricambiati da
bruciature, morsi e incantesimi, Aria continuava ad avanzare pensando
unicamente al suo motivetto.
Una leggera foschia verde cominciò ad alzarsi dove lei
camminava e, se lei era immune a quello che le succedeva intorno, chi
capitava nel suo raggio d'azione avvertiva di contro la propria
rabbia decuplicare.
Sulla piazza dove Alastor e Queen Chrysalis si stavano affrontando,
la loro sfida proseguiva a senso unico.
Incapace di respingere le magie, già superiori rispetto alla
media di Ponyville, Alastor tentava di resistere come meglio poteva,
ma per quanto si sforzasse era evidente la sua inadeguatezza davanti
alla Regina dei Mutanti.
Un suo nuovo pugno, che avrebbe potuto mettere zampe all'aria un
bufalo in carica, venne intercettato da una bolla magica evocata
dalla stessa Queen Chrysalis.
«Se per lo meno avessi qualcosa... che so, un artefatto
alimentato dalla tua rabbia, forse avresti qualche speranza. Ma così?
Cosa vorresti fare?» lo schernì la Regina, prima di far
scoppiare la sua protezione, spedendo Alastor a diversi metri di
distanza.
«So che nel tuo mondo siete abituati a sentire sciocchezze
paradossali del tipo L'Impossibile non esiste o Se un uomo
vuole, può ottenere tutto quello che desidera, ma cerca di
crescere e affrontare la realtà dei fatti.» proseguì
la Regina, vedendo l'umano che, nonostante le ferite, cercava ancora
di rialzarsi.
Una volta in piedi, Alastor ritornò vicino a Queen Chrysalis,
mormorando minacciosamente «La realtà dei fatti è
che, quando avrò finito con te, dovranno raccoglierti con il
cucchiaio!»
La regina dei Mutanti reagì alla sfrontatezza dell'umano
inarcando un angolo della bocca in un ghigno divertito, agitando la
testa come davanti ad un bambino capriccioso.
«Era da molto tempo che non vedevo qualcosa del genere.»
confessò «Da quando ho preso le sembianze di Princess Mi
Amore Cadenza.»
Alastor reagì con un altro diretto, che la Regina intercettò
nuovamente alzando una barriera tra lei e la mano chiusa a pugno.
Tuttavia, questa volta, l'umano insistette e, ringhiando come un
animale rabbioso, sfondò la barriera mandandola in pezzi e
colpendo violentemente il suo nemico proprio sul muso.
Queen Chrysalis indietreggiò di un paio di passi, portandosi
una zampa sulla parte lesa. Non sorrideva più.
Quando rialzò lo sguardo, tutto il suo divertimento era
sparito per lasciare spazio ad una furia che avrebbe fatto
indietreggiare da solo un intero branco di lupi del legno.
«Osi mettere le tue sudicie mani su di me? Osi tanto?»
gridò la sovrana, caricando il corno con la sua magia, pronta
ad attaccare e non più a divertirsi con il suo avversario.
Per tutta risposta, Alastor portò i pugni all'altezza del
volto, rispondendo con scherno «Te l'ho detto. Un
cucchiaio.»
Ponyville era diventata un campo di battaglia, le Guardie Reali
fronteggiavano la minaccia Mutante mentre cercavano di radunare i
cittadini e i feriti in una zona sicura.
Grazie al potere combinato delle tre Principesse Alicorno riunite era
stato possibile mettere al sicuro l'area intorno all'ospedale di
Ponyville.
Lì dentro, i medici prestavano il primo soccorso ai feriti e
tentavano, molte volte invano, di placare coloro affetti da
un'improvvisa smania di combattere: certe guardie attesero giusto il
tempo di essere fasciate, prima di tornare nel mezzo dello scontro
nonostante la resistenza dei medici e delle infermiere.
La presenza combinata delle reggenti di Equestria metteva in grave
disordine il cielo stesso: benché avrebbe dovuto essere tarda
sera, sia il sole che la luna brillavano in cielo, segnando con una
netta linea una zona illuminata dal giorno e l'altra ombrata dalla
notte. La situazione, tuttavia, era tale che non c'era il tempo o il
modo di rimediare senza aver prima sistemato la minaccia Mutante;
fortunatamente a nessuno dei presenti importava davvero.
«Qual è la situazione?» domandò Princess
Celestia, non appena venne affiancata dalla sorella Luna
«Continuiamo a respingerli, ma i Mutanti sembrano essersi
centuplicati dall'assalto di Canterlot e non rinunciano al
combattimento.»
«Come possono essere aumentati in questo modo?» si chiese
a voce alta la principessa, agitando lentamente il capo
«Il Lago- Specchio!» esclamò una voce alle loro
spalle
Le principesse si voltarono, riconoscendo Twilight andare verso di
loro. La principessa aveva numerosi cerotti e segni di morsi sulle
zampe, nonché un occhio nero, ma sembrava talmente agitata da
ignorare persino il dolore «Le forze di Queen Chrysalis
provenivano dalla Everfree Forest. Forse hanno trovato il lago e
hanno usato la sua magia per moltiplicarsi a dismisura!»
«Se così fosse, Zecora non avrebbe dovuto accorgersi dei
loro movimenti?» domandò Luna
«Possono aver preso le sembianze di altre creature per
mimetizzarsi e ingannare la sua vista.» rispose Princess
Celestia, portandosi una zampa sul mento per riflettere «Il
problema, adesso, sta nel fermarli. Conosco un incantesimo che può
aiutarci, ma se lo lanciassimo bandiremmo in questo modo anche i
Mutanti originali!»
«Non sarebbe una perdita così grande!» osservò
Discord, sbucando dal nulla alle spalle di Princess Luna. Per le sue
parole, ricevette uno sguardo fulminante da tutti
«I Mutanti saranno anche una minaccia, ma nessuno di noi li
sacrificherà per salvarci!» esclamò Twilight
«L'unico modo è raggiungere il Lago. Distruggendo la sua
magia, le copie generate spariranno con lui.» propose allora
Princess Celestia «E qualcosa mi dice che anche le tue amiche
devono essere rinchiuse in quella grotta, Twilight!»
Sentendosi ferita sul personale, al pensiero delle sue amiche rapite
e sostituite da copie Mutanti, Twilight scattò in volo
«Lasciate fare a me. Andrò nella Everfree Forest,
libererò le mie amiche e sigillerò quel lago una volta
per tutte!»
L'entusiasmo della giovane alicorno venne tuttavia fermato dal
pensiero più pratico di Luna «Se questo lago è il
segreto di Queen Chrysalis, non si può escludere che ci siano
altre decine, se non centinaia, di guardie a proteggerlo!»
«Andrò io con lei.» rispose Princess Celestia,
affiancando la sua studentessa.
Immediatamente si levò un vocio contrario alla scelta: si
trattava di un coinvolgimento troppo elevato per una figura
importante come Celestia, se mai le fosse capitato qualcosa sarebbe
potuta essere la rovina del regno!
Tuttavia la principessa del sole fu irremovibile «Non lascerò
che Twilight se ne occupi da sola. Insieme siamo più che
sufficienti per respingere qualunque difesa Queen Chrysalis abbia
alzato sul suo nascondiglio. Non preoccupatevi per noi, torneremo...
e sono certa che lasciamo il comando della difesa in zampe più
che capaci!» esclamò lei, ammiccando alla sorella e a
Discord, prima di sparire al fianco della sua ex-allieva volando
attraverso una delle finestre.
«Molto bene...» iniziò Discord, sarcastico «E
ora che facciamo?»
«Quello che avete fatto finora. Resistiamo.»
La resistenza di Alastor cominciava ad innervosire pesantemente la
Regina dei Mutanti: per quanto lei continuasse a colpirlo, lui
sembrava una macchina programmata per continuare a combattere fino al
raggiungimento dell'obiettivo, senza mai arrendersi. E inoltre, da
quando era riuscito a superare la sua barriera, l'umano
si era rianimato di una nuova fiducia, come se avesse improvvisamente
scoperto che la magia di Equestria non era infallibile come pensava
agli inizi.
E così, i due sfidanti
continuarono a combattere: anche se Queen Chrysalis rimaneva in netto
vantaggio sullo sfidante, non per questo la situazione era per lei
meno irritante.
Ma la Regina e l'umano si
gelarono nelle loro posizioni, quando si resero improvvisamente conto
di uno strano ed innaturale fenomeno che si stava consumando non solo
intorno a loro ma in tutta Ponyville.
Una strana magia si stava
diffondendo sul campo di battaglia, ingrandendosi con il passare del
tempo come un cancro. Alastor poteva sentire un sottofondo di
sussurri e urla distanti, mentre percepiva una strana nebbia verde,
colma di piccole scintille bianche, fluttuare intorno a lui: il suo
tocco etereo era gelido e sgradevole, ma i tentacoli di nebbia si
protraevano verso tutti coloro che stavano combattendo, agognandone
le energie e il calore.
Queen Chrysalis invece, grazie
alla sua sensibilità aumentata dalla magia, poteva sentire le
energie raccolte venire trascinate via, non troppo lontano da loro, e
si concentrò sul punto di origine di quella nebbia. Di fianco
a lei, a pochi metri di distanza, c'era Aria Blaze.
Alastor seguì lo sguardo
di Queen Chrysalis poco dopo.
La sirena era in piedi, sulla
cima del sentiero di terra battuta che portava a loro; attorno ai
suoi piedi la nebbia sembrava farsi più intensa, nascondendoli
alla vista mentre si muovevano seguendo il ritmo di passi lenti e
sospesi, come se fosse stata in trance. Scariche di energia color
amaranto attraversavano le sue dita, mentre le crepe dello stesso
colore che segnavano il suo corpo atletico si erano intensificate di
luce.
Contemporaneamente, le energie
negative dei combattenti di quel giorno si radunarono e turbinarono
intorno alla ragazza. Il cielo sembrò gonfiarsi per l'accumulo
di potere.
E Aria Blaze, guardando i due
sfidanti con occhi rossi così intensi da nascondere le
pupille, cominciò a cantare e una sinistra musica riempì
l'aria della sera.
La sorpresa di tutto questo fu
tale che Alastor fece appena in tempo a imprecare «Cosa
diavolo... cosa significa?»
«Che le cose stanno per
prendere una piega ben diversa.» rispose Queen Chrysalis,
infastidita
Ignorando la discussione tra i
due sfidanti, Aria aprì le braccia e si alzò in volo,
intonando Gods And
Monsters. Mentre
cantava, le scariche di potere magico divennero una turbinante
tempesta d'energia magica, avvolgendo anche il bozzolo in cui erano
tenute le altre Dazzling.
In the land of Gods and
Monsters
I was an angel
Living in the garden od evil
Screwed up, scared, doing
anything that I need
Shining like a fiery beacon
You got that medicine I need
Dope, shoot it up, straight
to the heart please,
I don't really wanna lnow
what's good for me
God's dead, I say “Baby,
that's all right with me!”
Esclamata l'ultima strofa, i
bozzoli esplosero dall'interno sparando cumuli di muco ogni dove,
lasciando uscire le altre due sirene. Queste si alzarono in volo come
la loro compagna, tutte loro avevano le simili cicatrici rosse che si
stavano aprendo sulla loro pelle.
Nessuna smise di cantare la
stessa canzone per un solo istante, in una sincronia innaturale.
No one's gonna
take my soul away
I'm living like
Jim Morrison
Headed towards
a fucked up holiday
Motel, sprees,
sprees and I'm singing
Fuck yeah! Give
it to me, this is heaven, what I truly want
It's innocence
lost.
Innocence lost!
Una volta riunite, le Dazzling si presero per mano e rapidamente
vennero avvolte da una luce rossa dal quale ne uscirono cambiate:
all'apparenza erano rimaste le stesse, ma i loro capelli si erano
allungati assumendo una forma simile a code che scendevano dalla nuca
fino a superare le caviglie, dalle scapole lunghe ali di resina
trasparente venivano agitate dolcemente mentre restavano in volo, le
unghie assunsero una lunghezza simile ad artigli e infine intorno
agli occhi danzava un'aura color amaranto, simile ad una lingua di
fuoco.
Era la prima volta che Alastor vedeva le tre sirene riunite: Sonata
era alta quanto Aria, ma al contrario di lei aveva un enorme paio di
occhi viola e i capelli azzurri raccolti in una coda; Adagio invece
era la più alta del gruppo, i boccoli biondi, il fisico
prorompente e la pelle liscia la facevano sembrare la venere di
qualche statua greca.
Fu proprio quest'ultima, sorridendo al termine della canzone, che
ruppe il silenzio creato dalla loro liberazione, intonando un “la”
che letteralmente squarciò il cielo, aprendo una fenditura
verso un luogo buio e spoglio, pieno di spuntoni rocciosi e
taglienti.
«Avete provato a fermarci, ma siamo tornate. Nessuna creatura
vivente può resisterci, adesso: il vostro futuro appartiene a
noi!» dichiarò Adagio, mentre si alzava in volo prima di
tuffarsi nello squarcio aperto dalle sue compagne.
Sonata la seguì subito dopo; Aria rivolse un'ultima occhiata
con il suo ormai ex-aiutante.
I due non si scambiarono una sola parola per alcuni secondi, ma dalle
loro espressioni sembravano in grado di leggersi come un libro aperto
fino nell'anima. Ma alla fine, senza parlare, anche Aria sparì
dietro lo squarcio con le altre due sirene.
Vedere la ragazza sparire, per la seconda volta, parve sbloccare
Alastor: «Cos'è successo?» riuscì a
chiedere, dopo qualche tentativo.
Queen Chrysalis rispose mentre lo superava, come se la loro sfida non
avesse più alcun valore, nemmeno per il suo ego «A
occhio e croce, Aria Blaze ha liberato le altre sirene, loro hanno
recuperato i loro poteri grazie alla nostra guerra e adesso stanno
radunando un esercito tutto loro. Fossi in te scapperei: non
riusciresti mai a resistere a quello che tireranno fuori,
quando sarà il momento.»
Alastor squadrò la Regina, mentre spariva dentro a fiamme
verdi sempre più intense, salutandolo con queste parole «Il
cuore deve aver cominciato a saltarti qualche battito. La salivazione
sparirà presto e ti sembrerà di avere dei sassi sul
petto. Non voglio esserci quando inizierai a piangere. Ma se mai
vorrai liberarti di tutto questo... be', sai dove trovarmi.»
Rimasto solo, Alastor avvertì gli occhi inumidirsi. Si passò
il polso sulla faccia e cominciò a correre verso Ponyville,
alla ricerca di un posto dove poter avvertire chi di dovere,
cacciando in profondità quel rospo che gli si era incastrato
in gola.
Il Tartaro poteva essere visto come la più grande cantina
dell'universo, dove non solo Equestria ma l'intero pianeta gettava “i
rifiuti” e faceva finta di dimenticarseli. O almeno, era questo
quello che ad Aria piaceva pensare, quando le si chiedeva un parere
sulla prigione mistica più grande e sicura che si conoscesse.
Se invece si fosse cercata una spiegazione più tecnica, il
Tartaro era una vera e propria dimensione vuota, un universo composto
da un'unica landa, che sarebbe stata desolata se non fosse stato per
i monti che puntellavano il paesaggio senza fine e le sue particolari
prigioni, dove non esisteva il tempo. Condannato ad una notte eterna,
i suoi prigionieri non avrebbero mai più rivisto la luce del
sole o della notte; tuttavia la natura magica di quel posto rendeva
possibile vedere perfettamente avanti a se, come se si possedesse una
torcia.
Sempre parlando molto tecnicamente, il Cerbero, la titanica creatura
a guardia di questa prigione, si trovava esattamente all'ingresso di
questa dimensione alternativa; posta nella più bassa
profondità di una caverna a cui soltanto i sovrani dei vari
regni del mondo e i loro membri più fidati potevano accedere.
Perché la natura estrema di quella prigione aveva dato modo ai
vari sovrani nelle numerose generazioni che si erano succedute di
rispettare un altrettanto rigido accordo: soltanto i casi più
estremi, le creature più pericolose e aldilà di
qualunque redenzione o perdono potevano subire un castigo come quello
di venire rinchiusi in una delle celle del Tartaro.
Perché venire rinchiusi voleva dire perdere ogni possibilità
che il mondo reale avrebbe potuto offrire loro e diventare, di fatto,
dei fantasmi; per sempre rinchiusi nelle loro celle, incapaci di
invecchiare o di finire, in qualunque modo, la loro condanna.
Consapevole di tutte queste informazioni, Aria seguiva in volo Adagio
aspettando che, prima o poi, avrebbe avuto qualche spiegazione: con i
loro poteri era tornato anche il legame empatico che le teneva unite
e quando Adagio aveva aperto una fenditura tra il mondo reale e la
dimensione del Tartaro usando i suoi nuovi poteri aveva capito che
lei agiva così perché aveva già un piano. Sapere
quale fosse, tuttavia, era ben diverso.
Così, le Dazzling sfrecciarono in volo per molte miglia, senza
interrompere il silenzio che si era creato tra di loro. Fu solo dopo
qualche minuto che Aria si stancò delle insistenti occhiate
che Sonata le rivolgeva e sbottò «Si
può sapere che hai da guardare?»
A sorpresa, Sonata saltò
in braccio alla compagna esclamando con gli occhi lucidi «Ma
allora mi vuoi bene!»
Colta del tutto alla sprovvista,
Aria non riuscì a schivare per tempo la mossa a sorpresa della
compagna e si trovò presto legata nel suo smielato abbraccio.
A nulla valse il lamentarsi, anche in maniera colorita, o agitarsi:
nonostante le differenze di fisico tra loro due, Sonata poteva
vantare una forza considerevole.
«Semplicemente, percepisce
che tu sei felice di essere qui quanto lo siamo noi.» spiegò
brevemente Adagio, la quale si era fermata a mezz'aria con le braccia
incrociate a guardarle con un sorriso divertito.
La sua espressione era sincera:
in quel breve istante si era formata in maniera del tutto naturale
una di quelle situazioni che a loro capitavano tutti i giorni, negli
innumerevoli secoli passati assieme: Sonata che con la sua allegria
esuberante subiva gli insulti e le minacce di Aria, mentre lei
spiegava cosa stava succedendo, facendo la parte della ragione tra le
tre.
Aria riuscì a liberare un
braccio dalla morsa di Sonata e, mentre usava la mano per spingere la
testa della compagna lontano da lei, ringhiò «Che ne
dici, allora, di spiegarci che ci facciamo qui?»
Adagio
indicò intorno a se con il braccio «Il Tartaro è
la prigione più grande che questo mondo conosca. Persino io
non so quanti prigionieri siano stati collezionati qua dentro, nel
corso degli anni. È semplicemente il luogo perfetto
per
organizzare il nostro grande ritorno.»
Sonata, sentita la parola
“ritorno”, liberò finalmente Aria dalla sua morsa
e si agitò tutta contenta «Uh-uh! Ho già in mente
tutto il repertorio! Avremo bisogno di...»
«Non
quel tipo
di ritorno, Sonata!» la interruppero entrambe
Dopo pochi secondi in cui si
schiarì la voce, Adagio spiegò portandosi una mano al
ventre «La guerra che Queen Chrysalis ha mosso verso Ponyville
ha riempito le schegge dei medaglioni che abbiamo ingerito con tanta
energia negativa da riottenere i nostri poteri. Anzi, essendo umane,
forse anche più di quanti non ne avessimo prima: un umano può
ribaltare un intero palazzo con un semplice incantesimo di
levitazione... immaginatevi cosa possiamo fare noi, attingendo
direttamente alla fonte del potere del Caos!»
Sonata ed Aria si scambiarono
un'occhiata non troppo entusiasta. Da un lato erano felici di essere
tornate quelle di un tempo, ma dall'altro nemmeno loro sapevano bene
cosa quei nuovi poteri avrebbero potuto fare.
Fortunatamente per loro, Adagio
sembrava avere invece le idee molto chiare.
«Questo è il
segnale. È giunta l'ora di fare il ritorno ad Equestria che
aspettiamo da secoli!»
«Che cos'hai in mente?»
domandò Aria, incrociando le braccia «Ho penato non poco
per venire qui con voi... spero che ne valga la pena!»
Adagio
allungò un braccio intorno a se «Osservate!»
subito, milioni di finestre, simili alle celle di un alveare, si
aprirono intorno al trio: in ognuna di loro si poteva vedere il
riflesso di una creatura, nessuna uguale all'altra «I
prigionieri del Tartaro. Migliaia, forse milioni, di spiriti malvagi
che presto libereremo per farli combattere. Pony, Mutanti e Tartaro,
uno contro l'altro, finché tutti
pagheranno.»
«Pagheranno...
cosa?»
domandò Sonata
«Per anni, siamo state
bersaglio di chi voleva impedirci di avere quello che ci siamo
guadagnate con tanta fatica durante l'Era Oscura. Adesso, ci
riscatteremo dai soprusi e dalle difficoltà che ci sono state
lanciate!»
Capendo
l'antifona, Sonata si allungò nervosamente il colletto della
maglia. Adagio, invece, spalancò le braccia esclamando
«Osservate, adesso, mentre parlo a tutti
i
prigionieri come una cosa sola!»
Aria e Sonata osservavano con un
misto di meraviglia e terrore: erano affascinate da quello che il
loro capo era in grado di fare, ma allo stesso tempo temevano che il
troppo potere che scorreva nelle loro vene avesse dato la testa ad
Adagio.
Lei, incurante dei pensieri delle
compagne, parlò contemporaneamente a tutti i prigionieri del
Tartaro, mentre il suono di incalcolabili sbarre che si spezzano
echeggiò per tutta l'area «Prigionieri del Tartaro! Da
quando siete stati rinchiusi qui, il mondo vi ha dimenticato; vi
hanno chiuso in una gabbia come le bestie feroci che siete e hanno
buttato la chiave. Ma ora, vi offriamo una opportunità. È
il momento, è arrivata l'ora della vostra rivincita!»
Tutti i volti specchiati nelle
fenditure aperte intorno alle sirene si voltarono verso di loro,
sorpresi di quell'improvvisa voce e di quei tre volti che erano
apparsi avanti a loro. Che potere dovevano disporre, per piegare i
legami magici del Tartaro e manovrarlo come preferivano?
«Il mio nome è
Adagio Dazzle. Assieme alle mie compagne, Aria Blaze e Sonata Dusk,
formiamo le Dazzling. Ora, le sbarre delle vostre celle sono cadute e
verrete presto portati nel mondo reale; la vostra ora è
giunta, i vostri nemici sono spacciati.» continuò a
parlare lei, guardandosi intorno come se si volesse specchiare negli
occhi di tutto quell'esercito improvvisato.
«Ma badate bene!»
puntualizzò subito dopo, con un tono che avrebbe fatto tremare
di paura anche la terra «Noi abbiamo il potere di liberarvi,
così come quello di condannarvi a pene ancora peggiori del
Tartaro. Le regole per seguirci sono semplici: liberati, combatterete
contro tutto quello che vi si porrà davanti. Rifiutatevi e
sarete distrutti. Disobbedite e vi sbricioleremo personalmente.
Provate ad aggirare i conflitti in qualsiasi modo e rimpiangerete il
momento in cui si sono aperte le vostre celle. Non c'è spazio
per alleanze, è lotta senza quartiere. Confido che sappiate
scegliere in maniera saggia.»
Terminato, le fenditure si
chiusero e il suono dei prigionieri del Tartaro liberati che ridevano
sadicamente e gridavano al vento la loro alleanza alle Dazzling
tuonò.
Sonata, udite quelle grida
mostruose, avvertì un sudore freddo rigarle la fronte e
allungò una mano verso Adagio «Dagi... non credi che
stiamo esagerando un po'?»
Aria tenne le braccia incrociate
e si guardò intorno riflettendo a voce alta «Pony,
Mutanti e Tartaro... di Ponyville non resteranno nemmeno le
fondamenta... e forse nemmeno chi adesso si trova lì...»
«Questa
non è la follia dei Draconequus!» esclamò Adagio,
difendendosi dalle accuse delle sue compagne «Ho già
pensato a tutto, non preoccupatevi: Ponyville brucerà, ma
tutti
sopravvivranno
a questo giorno. Non è una pazzia, è destino! È
vendetta! È il palcoscenico del nostro ritorno, un ritorno che
nessuno oserà mai dimenticare!»
Aria e Sonata fissarono l'amica.
Nei suoi occhi non c'era la minima traccia di follia o di
ripensamento: era lucida, esattamente come lo era sempre stata.
Allora, quanto rancore doveva aver provato, in questi secoli, per
escogitare una vendetta di questo spazio?
Con un ghigno feroce, Adagio
spalancò ancora le braccia. Contemporaneamente, il suono di
incalcolabili fenditure e il riflesso delle loro luci che davano su
Ponyville ancora in guerra illuminò il paesaggio
«Che Equestria
sia testimone. Le Dazzling sono tornate!»
Alastor, dopo aver attraversato la città in corsa, riuscì
a trovare rifugio nell'ospedale, dove venne medicato: nonostante
quello che aveva appena passato, aveva anche diverse ferite,
contusioni e ustioni sparse per il corpo. I medici impiegarono
diversi minuti per curarlo come meglio potevano e nel minor tempo
possibile, saltando direttamente l'anestesia. Nonostante questo,
l'umano non disse una sola parola, nemmeno quando misero i punti ai
tagli più grandi.
Presto, scoprì che anche i suoi amici erano nello stesso
posto, in qualche altra sala: avevano cominciato a scannarsi a
vicenda, riducendosi a degli stracci. Anche se non poteva
dimostrarlo, immaginava che si trattasse di Aria.
Aria.
Pensò a quel nome e, appoggiando la schiena alla parete in un
corridoio, si lasciò cadere a sedere, portando le ginocchia al
petto per non lasciare le gambe sotto gli zoccoli dei pony che
correvano avanti e indietro.
Svuotando i polmoni in un lungo sospiro, si portò una mano
sulla faccia, ignorando i muscoli che gli gridavano contro per il
dolore.
«E così, la mela non brilla più, eh?»
Una voce sconosciuta arrivò mentre teneva gli occhi chiusi.
Cercandone la fonte, Alastor trovò al suo fianco un pony
dotato di ali e corno dal manto scuro e la criniera ondeggiante:
Princess Luna.
«Cosa?» domandò semplicemente, non conoscendo
l'autorità dell'alicorno
«È un modo di dire molto comune, qui ad Equestria.»
spiegò lei, sedendosi comodamente di fianco a lui «Insomma,
la ragazza graziosa che volevi proteggere, alla fine, non era affatto
in pericolo.»
Alastor corrugò la fronte a quelle parole «Ascoltami, se
pensi che...»
«Lasciami finire.» lo interruppe lei, insensibile a
qualunque posa minacciosa l'umano potesse assumere. E lui,
curiosamente, si sentiva incline a darle retta.
«I rapporti, devi sapere, non funzionano come nei libri
o nei vostri film e telefilm! Insomma, “si amano,
si odiano, poi si baciano e tutti felici e contenti per sempre”?
Ma figurati! Nove coppie su dieci non stanno bene insieme già
dal principio e la metà di chi si sposa si lascia comunque. Ma
non mi fraintendere: l'amore, quello vero e giusto, quello che hanno
coppie come Cadance e Shining Armor, o Grumpy e Matilda, esiste
eccome!»
«Stai usando come esempi persone che non conosco.» fece
notare, freddamente, Alastor.
Luna tuttavia rimase indifferente alle parole dell'umano e proseguì
nel suo discorso «Le coppie veramente giuste sguazzano tra gli
stessi guai di tutti gli altri, l'unica differenza è che non
si lasciano sommergere: uno di loro, ogni volta che serve, si farà
forza, si alzerà dal fango e lotterà per quel rapporto.
Se questa coppia è davvero giusta, e se i fidanzati
sono fortunati... uno dei due farà qualcosa.»
Dopo alcuni secondi di silenzio, Alastor chiese in un soffio «Come
si fa a capire quando è giusto?»
«Questo lo puoi decidere solo tu.» fu l'enigmatica
risposta della principessa, prima di alzarsi e lasciare Alastor da
solo.
Circondata dai suoi seguaci più fedeli, Queen Chrysalis
sbraitava ordini a destra e a manca, quando il rumore secco di due
teste che si scontrano distrasse lei e chi le era incontro.
Voltandosi verso la fonte, riconobbero Alastor. La Regina sorrise.
L'umano ricambiò lo sguardo con un'espressione di volontà
adamantina.
«Hai accettato la mia offerta, alla fine?» domandò
la sovrana
«No.»
«E allora, perché sei qui?»
«Vado a riprendermi Aria.»
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Capitolo 10 *** Vendetta ***
CAPITOLO
9
Vendetta
Queen Chrysalis rimase in silenzio per un minuto intero, osservando
l'umano avanti a lei. Ma una volta compreso quanto lui fosse
convinto, sollevò gli angoli delle labbra e rise divertita
senza troppi complimenti «Insomma, sei venuto ad annunciarmi il
tuo suicidio?»
Quando l'umano non rispose alla sua provocazione, la sovrana ritornò
lentamente alle sue faccende staccando lo sguardo da lui e spiegando
«Le Dazzling hanno recuperato i loro poteri. E quel che è
peggio, la vostra natura umana dona a loro una capacità
combattiva molto più elevata di quanto potessero avere nella
loro forma naturale. Con me sei stato fastidioso, non posso
negarlo... ma nemmeno io, adesso, potrei affrontare tutte e tre le
sirene assieme; figuriamoci tu, un bipede senza un briciolo di
magia!»
«È da quando sono qui che mi dite tutti che sono un
idiota inutile...» rispose Alastor, senza staccare lo sguardo
da Queen Chrysalis «Ma non sono stupido come pensate. Per
esempio, se davvero sei quella testa d'uovo che tutti dicono che sei,
scommetto che hai già in mente un modo per risolvere questa
situazione!»
La sovrana si fermò, osservando l'umano con la coda
dell'occhio «Sì, in effetti un modo l'ho pensato. Ma
potrebbe ucciderti.»
Alastor si spostò avanti a lei, avvicinando lo sguardo a
quello della regina fino a che non ci fu meno di un palmo di distanza
tra loro «Credimi, ho già fatto decine di cose
che avrebbero dovuto uccidermi e al massimo ci ho guadagnato delle
stecche e fasciature. Mettimi alla prova!»
La regina del Mutanti sorrise «Molto bene.»
Senza perdere il suo sorriso sornione, la Regina dei Mutanti si levò
magicamente la collana e la mutò fino a farle assumere una
forma simile ad un anello, sempre con il rubino a brillare sulla
cima.
Alastor la osservò, sempre più stupito di vedere fin
dove quelle creature, apparentemente innocue, erano in grado di
spingersi grazie alla loro magia.
«Indossalo.» ordinò quindi Chrysalis, facendo
levitare l'anello davanti all'umano «Non ho più il
controllo sulle Dazzling, quindi non avrai un potere esattamente pari
a quello che avevo durante il nostro scorso incontro. Ma è
rimasta molta magia dentro la gemma: confido che il vostro istinto
naturale, mischiato con l'empatia di voi bipedi, sia sufficiente a
compensare questa mancanza e renderti in grado di far fronte alla
minaccia delle Sirene.»
Alastor afferrò al volo il gioiello, coprendolo interamente
con una mano. L'alone magico della sovrana sparì e l'umano
chiese «Prima hai parlato di rischi. Di quali si trattano?»
Queen Chrysalis fece spallucce, come se non le importasse. Ed era
proprio così.
«Come ti ho detto, la magia di quel gioiello si legherà
molto alla tua empatia: tuttavia non posso garantirti su quale
sentimento farà leva. Potrebbe alimentarsi con la tua rabbia e
sostituire il tuo sangue con qualche materia corrosiva, oppure può
appellarsi alla tua forza di volontà e permetterti di creare
costrutti verdi...»
Preferendo ignorare il continuo scherno della sovrana, Alastor prese
l'anello tra due dita e, senza troppe cerimonie, lo infilò
nell'anulare sinistro.
Nonostante i rischi, quello restava l'unico modo che aveva per
riprendere con se Aria.
Iniziò con un calore avvolgente, come se ogni fibra del suo
corpo fosse andata in fiamme, poi una luce rossa lo ricoprì
come un nuovo vestito. Una forza talmente intensa da sembrare dolore
spingeva nel petto come se volesse uscire.
Mentre la magia scorreva prepotentemente nel corpo massiccio di
Alastor, Queen Chrysalis osservava divertita la scena.
C'era sempre qualcosa da imparare.
La battaglia a Ponyville aveva raggiunto un'improvviso e
incredibilmente teso stallo: la notizia del risveglio delle Dazzling
si era sparso per tutti e due gli schieramenti e questo aveva portato
ad una brusca svolta degli eventi.
C'era un bisogno urgente di tutte le
truppe, recuperandone il più possibile tra i feriti, e di
riorganizzare le difese per prepararsi a qualunque cosa le sirene
avrebbero lanciato contro Ponyville.
Non che improvvisamente fosse scesa la quiete nel campo di battaglia,
ancora si combatteva per le strade o per i cieli, ma si trattava di
mere ed isolate scaramucce, a confronto del caos che era scoppiato
agli inizi del conflitto.
Non appena Princess Luna venne a sapere del ritorno delle Sirene, la
prima cosa che pensò fu come Twilight l'avrebbe presa, sapendo
che lo scenario che più temeva si era appena avverato.
Inoltre, quel minaccioso trio aveva più di un motivo ben per
desiderare una atroce vendetta nei confronti della principessa
dell'amicizia... chissà cosa avrebbero fatto!
Prima di cominciare ad organizzare le difese, sicura che anche Queen
Chrysalis avrebbe fatto lo stesso, avvisò telepaticamente sua
sorella: avevano bisogno del Rainbow Power come mai!
All'interno della Everfree Forest, Princess Celestia avvertì
l'avviso di sua sorella e non riuscì a trattenere
un'espressione corrucciata. Le Sirene erano un problema che risaliva
ai primissimi anni in cui lei e Luna erano diventate le reggenti di
Equestria; Starswirl il Barbuto se ne occupò al posto loro, ma
era ben consapevole della loro storia e di quali fossero i loro
poteri.
Sotto di lei, Twilight Sparkle finì
di scansionare una grotta nella foresta ed esclamò, cercando
di contenere l'emozione per non farsi scoprire «Gli
abbiamo trovati!»
Princess Celestia annuì
con il capo e chiese «Quanti sono?»
«Cento... poco più...
non ho una cifra precisa. Mi sorprende che non abbiano usato la magia
del lago- specchio per crearne una maggiore difesa!»
L'alicorno bianco, udita la
risposta, cominciò a planare verso la grotta senza commentare.
Solo quando Twilight le chiese cosa stava facendo, lei rispose
lapidariamente «Dobbiamo fare in fretta: io li terrò
distratti, tu libera i tuoi amici.»
«Princess Celestia, è
sicura di potercela fare da sola? Sono sempre cento ne...»
«Le Dazzling si sono
risvegliate. Dobbiamo muoverci.»
Quelle parole gelarono Twilight
sul posto per qualche secondo. Per lei fu come se il cuore le avesse
smesso improvvisamente di battere.
Solo quando dalla grotta scura
uscì una luce intensa e abbagliante, come se un piccolo sole
si fosse acceso dentro quelle profondità, lei parve destarsi
improvvisamente e volò con tutta la sua velocità verso
l'ingresso, maledicendo mentalmente l'irrefrenabile ambizione di
Queen Chrysalis e la sua incapacità di impedire ad una simile
catastrofe di avversarsi.
Improvvisamente
venne una musica. Un coro composto da tre voci giovani e belle si
allungò come un tentacolo per ogni vicolo, in ogni rifugio e
in ogni angolo di Ponyville, raggiungendo anche le orecchie dei più
distratti.
Per
chiunque si trovasse lì in quel momento, non poteva esserci
suono più terribile.
Un
suono dolce, rincuorante come una carezza che preannuncia una
sciagura.
Dopo
che la musica ebbe raggiunto ogni orecchio, si aprì uno
squarcio nel cielo e le Dazzling fecero la loro entrata in scena:
Aria e Sonata stavano indietro, facendo il coro e tenendo le mani
aperte mentre Adagio restava in testa al gruppo con un'espressione
soddisfatta.
Tutti
gli occhi si puntarono su di loro, chiedendosi cosa le tre sirene
avessero in mente.
Adagio
Dazzle rispose ai loro silenziosi dubbi alzando una mano e,
muovendosi in maniera quasi teatrale, schioccò le dita
augurando «Vi auguro una pessima
giornata.»
In
quel momento, il clangore di mille serrature che scattano tutte
insieme riempì la regione; per ogni scatto un prigioniero del
Tartaro strappava ogni traccia del confine tra la dimensione reale e
la sua prigione, evadendo dal suo castigo.
Come
un fiume di follia che aveva preso forma, l'esercito travolse
Ponyville con grida e ululati assordanti. I Pony e Mutanti che già
combattevano gli uni contro gli altri vennero travolti dalla marea
ululante del Tartaro e da ogni angolo della città teatro degli
scontri emerse chiunque poteva anche solo reggersi sulle zampe per
contrastare le nuove forze in campo.
La
guerra aveva appena raggiunto il suo apice.
Sopra
a questo spettacolo osceno, Aria Blaze commentò «Agli
inizi avevo dei dubbi, ma devo ricredermi: con una guerra di questo
livello, i nostri medaglioni saranno carichi per decenni.
Nemmeno al concerto per il Liceo di Canterlot avevamo raccolto così
tanta energia!»
Adagio
ringraziò del complimento e subito dopo ne approfittò
per ironizzare «Sono passati secoli
dal
tuo ultimo complimento. La tua esperienza con questo Alastor deve
averti davvero cambiata!»
Aria
si ammutolì alla frecciata della compagna, ma prima che
potesse ribattere in qualsiasi modo Adagio proseguì «Mentre
tutti combattono, fate quello che volete. Personalmente, ho una
promessa fatta ad una certa regina da mantenere!»
Mentre
parlava, un ghigno feroce le piegò le labbra carnose e subito
dopo il suo ultimo ordine sparì in un flash.
Rimaste
sole, né Aria né Sonata parlarono per qualche secondo.
Solo quando la prima paragonò il proprio leader ad uno sterco,
Sonata parve destarsi.
«Dice
solo quello che tutte pensiamo!»
Aria
fulminò la compagna con lo sguardo «Bada a come parli,
Sonata!»
Lei,
indifferente alle minacce dell'amica, si affrettò a spiegare
«Il fatto è che tu non sei capace di impegnarti perché
dentro di te hai il paralizzante terrore di accogliere qualcuno nella
tua vita, di essere davvero
vulnerabile
con qualcuno. Perché, per quanto ti ostini a fare la spaccona,
lo sappiamo tutte che in realtà hai capito troppo presto che
nessuno, né noi sirene, né i pony e nemmeno gli umani,
possono risolvere tutti i problemi e perciò non hai mai
imparato ad abbandonarti a qualcuno.»
Mentre
parlava, Sonata si era posta davanti ad Aria, fissandola dritta negli
occhi. Con un solo pugno, Aria avrebbe potuto romperle la mascella,
ma era un rischio che Sonata si sentiva di affrontare.
Fortunatamente
per lei, la sua compagna sembrava troppo impegnata ad avere
un'espressione imbronciata piuttosto che reagire male, così
continuò.
«Ma
per quanto tutto questo possa farti paura, la cosa più
spaventosa è che dentro di te tu sai
che
se scappi adesso, scappi dall'unica persona che tu abbia desiderato.
Quello che ti ha seguito senza avere un legame magico o qualche
debito nei tuoi confronti!»
Aria spostò
sgraziatamente la compagna con un braccio e volò altrove
commentando «Non
hai qualcun altro a cui dar fastidio, Freud
?»
Sonata
osservò anche l'altra compagna planare verso la città.
Rimasta sola, si passò una mano sulla faccia sbuffando
«Mammamiamamma, quant'è difficile, a volte!»
Discord, ripresosi dai ripetuti assalti dei Mutanti grazie al rifugio
costruito intorno all'ospedale di Ponyville, era ritornato a
combattere non appena avvertì la magia del Caos tornare a
scorrergli nelle vene.
Contrariamente a come si poteva pensare, nemmeno la sua magia era
infinita: certo, poteva modificare praticamente ogni cosa con un solo
pensiero ma questo non voleva dire che anche la sua resistenza fosse
virtualmente infinita! Le difese create dal nulla, armare ogni
difensore di Ponyville e il respingere intere legioni di Mutanti per
volta lo avevano costretto a un punto in cui non riusciva nemmeno a
restare in volo.
E adesso che le forse dannate del Tartaro erano state riportate allo
scoperto la situazione era, se possibile, anche peggiorata: se prima
c'erano solo innumerevoli Mutanti da respingere, allo scontro si
erano uniti anche esseri antichi di secoli, banditi in una prigione
senza tempo per via delle loro azioni che tornavano allo scoperto, e
le sirene che una volta avevano distrutto gli onnipotenti Draconequus
vagavano tra le rovine, traendo forza da tutto questo.
I prigionieri del Tartaro, benché in inferiorità
numerica rispetto alle altre forze in campo, erano sicuramente i
nemici più potenti: certi abomini partoriti dall'oscurità
in cui erano stati dimenticati erano creature oscene, difficili anche
solo da comprendere e descrivere, capaci di spezzare l'acciaio con i
denti.
Ignoravano le intere epoche passate dal momento della loro sconfitta
e avanzavano lungo le strade dissestate e le macerie fumanti della
città, riempiendo l'aria con le loro grida e il tonfo
provocato dai loro passi.
L'aria intorno si era fatta una cacofonia di rumori: urla, scoppi di
magia, sibili di incantesimi scagliati da entrambe le parti, i fischi
delle picchiate dei soldati in volo... eppure, nessuno osava
arrendersi, trascinati chi dal dovere e chi dalla mera volontà
di sopravvivere a quel giorno maledetto.
«Discord...» una voce rauca e sibilante, simile al
sussurro di una creatura morente, riuscì ad arrivare alle
orecchie del Draconequus.
Lui, cercando la fonte del richiamo, riconobbe una creatura che, per
conto suo, avrebbe preferito non incontrare mai più: un
centauro dalla pelle rossa e il manto scuro. Un paio di piccole corna
si alzavano dalle tempie, mentre le folte sopracciglia e il fisico
decrepito lo facevano sembrare un ramoscello secco pronto a rompersi
da un momento all'altro.
«Tirek!» lo chiamò Discord, socchiudendo gli occhi
non appena lo riconobbe «Cosa ci fai, qui?» domandò
poi, combattendo la tentazione di rinchiuderlo nel Tartaro
personalmente. Ancora non aveva dimenticato cosa il malvagio centauro
aveva scatenato, nemmeno troppo tempo fa.
«Il Tartaro si è aperto, tutti gli spiriti
malvagi sono liberi. Ti ho cercato, Discord, perché credo che
dovremmo collaborare ancora una volta!»
Discord scoppiò in una risata «Non so se offendermi
perché mi ritieni così stupido o passare quel che
rimane di questo secolo a ridere!» confessò
«La mia non era una battuta.» replicò il centauro
in maniera composta, mentre sfoggiava un sorriso maligno «Ma
noi, insieme, abbiamo piegato Equestria! E voi avete un
disperato bisogno di aiuto. Perché, considerando
questo, collaborare deve essere una brutta idea?»
Discord aprì la bocca per rispondere, quando una creatura
simile ad una scimmia ma dalla pelle rossa senza peli, un paio di
lunghe corna sul capo e i denti aguzzi, saltò allungando gli
artigli verso gli occhi del Draconequus.
Un raggio verde, proveniente dalle spalle del signore del Caos,
travolse il mostro sbattendolo violentemente contro una delle poche
pareti rimaste ancora in piedi. Il muro, a seguito del violento
impatto, crollò sopra l'abominio e mentre lingue di polvere si
alzavano verso il cielo egli parve sparire.
Discord fu sorpreso di trovare Queen Chrysalis, seguita da una
quarantina di guardie del corpo, planare verso di lui appoggiando il
ragionamento del centauro «Quello che dice è vero. Se tu
gli concedessi un briciolo del tuo potere, Tirek potrà
occuparsi degli altri prigionieri assieme a noi. Sicuramente ha in
mente qualcosa, ma non è il momento per esitare.»
«E da quando io prendo ordini da te?» chiese Discord,
incrociando le zampe. L'offesa subita era tale da dimenticarsi del
rischio appena corso e che intorno a loro la battaglia continuava ad
infuriare.
Fece tuttavia l'errore di continuare «Per quanto mi importi,
voi siete solo dei nemici. Anzi, se voglio dimostrarmi davvero
cambiato, dovrei gettarvi in una cella e buttare la chiave!»
Queen Chrysalis gettò sul Draconequus uno sguardo che riuscì
a gelargli il sangue, mentre gli gridava contro con una furia che non
sembrava sua «Hai una singola idea di chi io sia e di cosa
sarei capace di fare, se tu osi contraddirmi ancora una volta?»
Il Draconequus si congelò. Era una creatura praticamente
onnipotente e, per molti versi, anche piuttosto squilibrata. Ma
nessuno, nemmeno lui, era abbastanza pazzo da attirare su di se l'ira
della Regina dei Mutanti.
Deglutendo, annuì con il capo prima di puntare un artiglio
verso Tirek.
«Va bene.» furono le uniche parole che pronunciò,
prima che una caleidoscopica bolla di magia si staccasse dalla punta
dell'artiglio, colpendo il Centauro al petto.
Subito, questi avvertì una enorme quantità di energia
travolgerlo come una slavina. Immediatamente le sue dimensioni
aumentarono, perdendo l'aspetto decrepito dovuto alla sua ultima
sconfitta per opera di Twilight Sparkle e guadagnandone uno più
rinvigorito. Era ancora molto lontano dal potere che aveva ottenuto
durante la sua ultima evasione dal Tartaro, ma ora poteva difendersi
egregiamente.
Discord e Queen Chrysalis ripresero lo scontro contro i prigionieri
della prigione magica, mentre Tirek tentò invece un nuovo
esperimento.
Lentamente, si avvicinò alle macerie dove era caduto il mostro
colpito dalla Regina dei Mutanti. In tutto quel tempo, il massimo che
era riuscito a fare era liberarsi dalla vita in su dalle macerie.
Quando gli occhi dei due prigionieri si incrociarono, un sorriso
feroce si dipinse sul volto del centauro, prima che afferrasse
l'altro mostro per il collo, immobilizzandolo a terra. Una volta in
posizione, aprì la bocca raggiungendo una dimensione
innaturale e, in un vorticare di energie simile a fiamme, assorbì
l'energia del mostro.
Mentre un nuovo potere gli scorreva nelle vene, le scintille negli
occhi altrimenti vuoti di Tirek sembravano brillare ancora di più,
inebriato dalla sua stessa forza che non smetteva di crescere.
Terminato, Tirek lasciò il mostro a terra, ormai incapace
anche solo di tenere gli occhi aperti, e osservò il campo di
battaglia intorno a se, vedendolo come una grossa tavola dove
banchettare che aspettava solo lui.
Aria Blaze, in volo, osservava gli scontri senza commentare se non
con gli occhi. Dovunque posasse lo sguardo, poteva vedere scaramucce
tra Pony, Mutanti e l'improvvisato esercito che avevano generato dal
Tartaro.
Uno spettacolo semplicemente sublime, per recuperare ancora più
potere. Eppure, mentre le energie negative derivate dalla guerra
prolungata venivano condivise da lei e le altre sirene, sparse per la
città alla ricerca dei loro obiettivi, Aria guardava per le
strade cercando invano un soggetto in particolare. Una morsa le
strinse lo stomaco, con il proseguire della ricerca: alla fine era
solo un umano, carne ed ossa, coinvolto in uno scontro tra creature
incantate di proporzioni cataclismatiche, anche con la naturale
ferocia di quella specie era difficile che fosse riuscito a restare
sulle sue gambe così a lungo.
Dovette ricredersi, e interrompere il flusso dei suoi pensieri,
quando da lontano giunse una voce che pronunciava il suo nome a pieni
polmoni, seguita da un fischio.
Aria fece appena in tempo a voltarsi per trovare Alastor avanti a se,
atterrato sgraziatamente su uno dei pochi tetti ancora integri.
Tutto intorno all'umano una lucente aura rossa lo copriva seguendone
il fisico e le linee del corpo, come un abito su misura. Ad ogni
movimento di braccia e gambe, un sottile vapore dello stesso colore
si alzava.
«Alastor?» lo chiamò lei, inizialmente incredula
di vederlo lì.
«Da quando ci siamo visti per la prima volta avrei fatto
qualsiasi cosa, per te. Ti ho seguita in un mondo che non
conoscevo, ho rischiato la pelle e anche di più, tutto per
te, ma tu mi hai voluto solo usare per il piano tuo e delle tue
amiche!» le gridò contro lui, sfogando tutta la
frustrazione per il tradimento subito e concludendo puntando un dito
contro di lei.
Aria rimase in silenzio per qualche secondo, ancora troppo sorpresa
dell'arrivo di Alastor per reagire alle sue parole. Non appena riuscì
a sbloccarsi, tuttavia, corrugò la fronte in un'espressione
indispettita.
«Bé, se vuoi così tanto sentirtelo dire, mi
dispiace.» disse, in maniera impassibile. La sua reazione aveva
gelato Alastor sul posto, ma fu uno stallo che non durò a
lungo «Mi dispiace che tu sia un cretino!»
L'umano, sentendo la ragazza rispondergli con voce, se possibile,
ancora più alta si portò istintivamente in posizione di
difesa, alzando la mano con l'anello verso il volto. Solo allora Aria
si accorse dell'artefatto.
«Hai fatto un patto con il diavolo, solo per dirmi questo?»
chiese lei, incrociando le braccia al petto e avvicinandosi a lui
restando in volo «Alastor, te l'ho già detto. Più
di una volta! Io non sono un'umana, sono una sirena!
Canto, semino discordia e guadagno potere con le energie che raccolgo
in questo modo. Non ho più la mia vecchia forma, ma non
importa. Ho già cambiato aspetto, più di una volta,
questa è solo una volta in più. E, con i miei nuovi
poteri, posso tornare indietro quando voglio.»
Alastor la fissò: Aria era decisa, le sue parole non tradivano
alcun dubbio. Il suo ragionamento, poi, non poteva essere
contraddetto. Special modo la seconda parte, che la sirena pronunciò
poco dopo.
«Io non ti ho tradito. Sapevi benissimo che volevo recuperare i
miei poteri. Sapevi che volevo riunirmi con le mie amiche. Sapevi
chi fossi e di cosa ero capace. E non ti ho mai detto che non
avevo rancore verso chi aveva ridotto all'impotenza noi sirene. Se tu
non l'hai capito subito, non è colpa mia. Come non lo è
tutto questo.»
Alastor abbassò il braccio, sospirando profondamente. Era da
quando aveva messo piede a Ponyville che aveva preso tutto per il
verso sbagliato: la segretezza creata da Twilight Sparkle per non far
cadere nel panico Ponyville, i piani nascosti di Queen Chrysalis e
adesso anche le reali intenzioni di Aria.
«È questa la mia natura, Alastor.» concluse Aria,
con tono grave, quasi si sentisse improvvisamente in colpa «Non
possiamo farci niente. Né tu, né io.»
Adagio Dazzle trovò il suo obiettivo, Queen Chrysalis, mentre
respingeva uno dei prigionieri del Tartaro, un essere goffo e dai
movimenti innaturali, simile ad un telo su cui erano incise più
facce e con innumerevoli fiammelle che fuoriuscivano da ogni parte
del suo corpo a intervalli irregolari.
La sirena porse i suoi omaggi alla sovrana sollevando con le mani un
grosso macigno derivato da una delle macerie intorno a loro e lo
scagliò con forza contro il suo bersaglio.
La Regina dei Mutanti, colta di sorpresa, non fece neppure in tempo
ad alzare una barriera che si trovò improvvisamente travolta
da quell'attacco e scagliata contro una delle poche pareti rimaste in
piedi. La violenza del colpo fu tale che numerose crepe si aprirono
sul muro intorno alla zona d'impatto.
Sputando polvere e calcinacci che le erano finiti in bocca,
imponendosi di ignorare il dolore alle ossa, Queen Chrysalis alzò
lo sguardo, riconoscendo il leader delle sirene guardarla con
compiaciuta ferocia, mentre da una delle mani chiuse a pugno si
alzavano scariche di energia magica amaranto.
Alcuni Mutanti, vedendo la loro Regina in pericolo, lasciarono ogni
postazione e formazione per accorrere in massa in suo aiuto. Tutto
quello che ottennero fu scagliarsi contro una bolla magica rossa che
circondava le due sfidanti.
«Ci hai rapite e hai osato rubare la magia che spetta a noi di
diritto!» esclamò Adagio, accusando la sua rapitrice
con l'indice «Un'azione così avventata non può
passare impunita, la pagherai cara!»
Nonostante la minaccia e i dolori che l'assalivano, la Regina dei
Mutanti non perse la sua compostezza e, sorridendo in maniera
beffarda, rispose alle accuse «No, non sei decisamente un
relitto. Sei solo una bambina che strilla...»
«Non osare prenderti gioco di me!» berciò Adagio,
scagliando una tempesta di fulmini dalla mano aperta, che piombò
su Queen Chrysalis aprendo delle voragini ogni volta che picchiava a
terra e sollevando pesanti nuvole di detriti e polvere.
Quando la nuvola sollevata arrivò alle scarpe della sirena,
questa smise il suo attacco e aguzzò la vita, cercando il suo
bersaglio tra le macerie.
«Vuoi dimostrare che sei più potente di me?»
riprese la Regina, apparendo alle sue spalle. Era ricoperta di
polvere, alcuni detriti le erano rimasti nella criniera e alcune
ferite sul carapace nero lasciavano gocciolare un liquido dalla
consistenza simile al sangue ma di colore verde acceso; ma nonostante
tutto era ancora viva.
«Be', non serve. Sei ovviamente più potente di
me...» proseguì la Regina, beandosi dell'espressione
offesa che si dipingeva sullo sguardo di Adagio, mentre constatava
come lei non la temesse affatto «Il potere grezzo del caos
scorre in voi Sirene molto più di qualsiasi altra creatura io
conosca. Che il Cielo mi aiuti, al vostro pieno potenziale siete più
pericolose persino di un alicorno!»
Nonostante la mole dei complimenti, era ovvio che c'era qualcosa di
nascosto nella sua parole. Adagio lo comprese subito e, digrignando i
denti, domandò «Ma...?»
«Non avrò i vostri poteri, Adagio Dazzle... ma sono
intelligente. Sono la mente brillante più brillante di
quest'epoca e lo sarei stata anche nella vostra. Più forte di
me o no, ho sempre un piano
di scorta!»
Nello stesso momento, un corpo attraversò quello che rimaneva
dell'edificio dietro la barriera delle due sfidanti: un altro mostro
del Tartaro, questa volta grande quanto un palazzo, dalla pelle
squamata verde, un paio di grandi ali di membrana che partivano dalle
scapole e la testa simile a un polpo, con i tentacoli che scendevano
lungo il petto come una barba, era appena stato sconfitto e gettato
senza troppi complimenti contro quello che sarebbe stato il suo
prossimo bersaglio.
Attraverso la nebbia che si era alzata, Adagio e Queen Chrysalis
intravidero un colosso terrificante che veniva attraverso di loro:
era Tirek.
Approfittando della battaglia, aveva passato tutto il tempo ad
assorbire le forze magiche di qualunque creatura, alleata o nemica,
che gli fosse capitata a tiro: aveva cominciato con quelle più
deboli, ferite e incapaci di resistergli, ma come le energie
accumulate aumentavano così lui si era spinto verso i bersagli
più grandi, arrivando fino ai mostri del Tartaro più
grandi e potenti.
Ora aveva recuperato il suo antico aspetto: il fisico una volta
rachitico e prossimo a cedere era diventato un ammasso di muscoli in
tensione, il volto scavato era diventato squadrato, animato dai lampi
di folle ambizione che saettavano dai suoi occhi profondi, le corna
dalle tempie si erano alzate di un paio di metri e le sue dimensioni
erano pari a quelle di una chimera.
Il Centauro guardò la Sirena e il Mutante dentro la barriera e
sorrise, mentre evocava una sfera di fuoco dal palmo della mano. Non
appena questa raggiunse le dimensioni di un melone, la scagliò
contro l'incantesimo, frantumandolo in un boato che balzò
indietro i suoi bersagli.
«Non ho ancora finito... di accumulare potere.» rese noto
lui, umettandosi le labbra in vista del prezioso banchetto.
Nessuno dei due ricordava com'era successo. Forse uno dei due aveva
perso la pazienza, o aveva pronunciato una parola di troppo, fatto
sta che lo stallo creatosi tra Alastor Sullivan e Aria Blaze era
sfociato in una sfida lungo le strade di Ponyville, a base di raggi
incantati di pura magia che, a contatto tra loro, scoppiavano in una
pioggia di scintille di tutti i colori, come dei fuochi d'artificio.
Così come le origini di quel confronto, nessuno dei due
contendenti aveva misurato da quanto tempo erano in quella
situazione.
Lo stallo tuttavia finì quando, all'ennesimo raggio scagliato
da Aria, Alastor si limitò a colpirlo con un pugno, scatenando
una forte esplosione che alzò una grossa nube di polvere nera
che oscurò la vista per qualche minuto.
A quello spettacolo, Aria iniziò a ridere, sinceramente
divertita, portandosi una mano davanti alla bocca.
«È... divertente.» riuscì a dire, tra le
risate
«Cosa c'è di così divertente?» chiese
invece Alastor, avvicinandosi alla ragazza. Lui non poteva volare, ma
riusciva a saltare da un palazzo all'altro. Una volta fuori dalla
nube creata, Aria vide che lui non aveva nemmeno un graffio,
nonostante la sua brutale difesa.
«Quando ci siamo conosciuti, hai detto che mi avresti seguita
anche in capo al mondo, pur di rimediare a quel cocente fallimento
che non riesci a perdonarti. E adesso, hai persino rinunciato alla
tua umanità, pur di seguirmi?»
Alastor rimase interdetto a quelle parole. Alla fine, era solo
l'anello a dargli i poteri, o così gli era parso di capire.
Lui era ancora umano!
Giusto?
Quando lo fece presente alla ragazza, lei gli rispose «Gli
artefatti nati qui ad Equestria non si limitano a dare poteri.
Qualche modifica, per quanto impercettibile, avviene; fosse anche
solo per adattare l'ospite al potere che sta abbracciando!»
Seguì un momento di silenzio tra i due. Alastor non sapeva
come ribattere e Aria ne approfittò per allungare verso di lui
una mano.
«Vieni con noi!»
Quella proposta venne così spontanea e così improvvisa
che l'unica risposta che Alastor seppe dare fu un balbuziente
«Scusa?»
«Alastor, ho quasi cento volte i tuoi anni... ma con questo tuo
nuovo potere, potremmo restare insieme per il resto dei giorni! Mi
hai aiutata molto, sono convinta che Adagio e Sonata non avranno da
lamentarsi. Contando tutto questo... perché non ti unisci a
noi?»
Alastor comprese che, comunque fosse iniziato il loro duello di poco
prima, era solo perché Aria voleva mettere alla prova cosa
poteva fare con il suo anello. Ma non gli importò sapere che
era stato di nuovo usato, e che nulla poteva confermargli che quello
non fosse solo un altro piano.
Tutto quello che gli importò davvero fu la domanda che fece
«Perché mi offri questo?»
La risposta di Aria arrivò con un tono simile ad un sospiro
«Lo sai...»
Lentamente, assaporando ogni momento come se non si sarebbe mai più
ripetuto, Alastor allungò la mano, stringendola su quella di
Aria come in una delicata carezza.
«Avevo capito che non volevi mettermi l'anello al dito!»
ironizzò lui, senza staccare gli occhi dalla sirena
«E infatti è così. Io ho fatto la proposta,
l'anello è compito tuo!»
Fu un grido a rompere quell'idillo. Aria si voltò con
un'espressione che Alastor non le aveva mai visto.
«Adagio!» gridò, prima di scattare ad una velocità
impressionante verso un angolo del paese. L'umano fu fortunato che
stava stringendo poco, o gli avrebbero strappato il braccio!
Preoccupato, comunque, partì all'inseguimento per vedere cosa
stesse succedendo.
Troppo velocemente perché potesse reagire, Adagio era stata
afferrata per i lunghi capelli riccioli e sbattuta con violenza a
terra.
Nonostante la sua stazza, Tirek era più agile che mai: grazie
alla mortale combinazione di poteri rubati a pony, mutanti e abomini
del Tartaro aveva appena guadagnato un potere che andava ben oltre le
sue più rosee aspettative. Poteva nutrire un maggiore rancore
verso i pony, ma non poteva negare che anche le altre creature
inferiori si erano dimostrate utili al suo scopo.
Mentre la sirena si rialzava dalla fossa scavata al suo impatto, il
centauro si beò della vista di quello sguardo grazioso
contratto dalla rabbia e dal risentimento verso di lui. L'odio nei
suoi confronti era tutto quello che gli serviva per proseguire nei
suoi scopi.
Al centauro non era mai importato realmente dello status quo. Anzi,
provava una sincera quanto profonda aberrazione per la condizione in
cui gli alicorni avevano gettato il mondo intero: quello stato di
pace perenne, privo di pericoli o serie sfide che potessero mettere
alla prova non solo lui ma tutti gli esseri viventi, applicare quella
sana e sempre funzionante selezione naturale della specie. Non più
“i buoni vincono, i cattivi perdono”, ma un più
sano “chi è forte vive, chi è debole rimane
indietro”.
Perché poche erano le sue certezze, ma tra queste quella in
cui credeva maggiormente era che il bene non poteva vincere sempre.
E il giorno in cui il male, il male vero, avrebbe finalmente
avuto la sua vittoria, chi si sarebbe potuto opporre?
La risposta a questa domanda era semplice: nessuno. Alla prima
sconfitta, il mondo intero sarebbe stato arso dalle fiamme e quello
che stava succedendo a Ponyville era la piena e insindacabile
conferma a queste sue idee.
Per risolvere questa situazione aveva deciso, anni addietro, di fare
l'unica azione sensata: incarnare quella minaccia, quel pericolo
sempre presente che avrebbe spinto tutti a migliorarsi sempre di più,
a non abbassare mai la guardia. E per dimostrarlo poteva affrontare
un unico avversario: gli alicorni.
Loro erano la causa scatenante di quello stato che rendeva il mondo
arrogante e pigro e solo sottomettendole avrebbe potuto fare in modo
che nessuno si sentisse mai più al sicuro.
Era per pura ironia che era finito ad affrontare le Sirene, in quel
giorno meraviglioso. Lui, in realtà, amava quelle tre
creature: per molti versi, loro erano già quello che lui
avrebbe voluto diventare.
Ma, si sa, la guerra è la guerra. E se erano destinati a
scontrarsi, tanto valeva stringere i pugni e prepararsi al duello.
Il largo sorriso che piegò le labbra di Tirek si spezzò
non appena due note, precise e acute, lo travolsero gettandolo
lontano come una foglia spinta dal vento. Le piastrelle delle strade
e le fontane che travolse nel suo tragitto andarono in frantumi come
vetro.
Quando riuscì a fermarsi, affondando le lunghe dita a terra
fino alla seconda falange, scavando un solco lungo metri, riconobbe i
suoi assalitori: Aria Blaze e Sonata Dusk, le altre due sirene si
erano unite per proteggere Adagio.
Il centauro si alzò divertito: tre sirene contro di lui poteva
anche essere una sfida interessante. Si passò un dito sulle
orecchie, avvertendo una sottile striscia di sangue scendergli dai
timpani dopo l'attacco subito. Ma non gli importava.
Le Dazzling, invece, guardarono il centauro con sensazioni
differenti.
«Cos'è quello?» domandò preoccupata
Sonata
«Dannazione.» lo presentò Adagio «Si chiama
Tirek. Credo che si stia lasciando trascinare dalla sua avidità
e sete di potere. Può rubare i poteri magici altrui.»
«Che gran seccatura.» commentò, sibilante, Aria
Adagio si alzò in volo, mentre una sottile aura amaranto
cominciò ad avvolgerla «Queen Chrysalis è
scappata non appena è arrivato lui. State indietro...»
Tirek, anche se gli fischiavano le orecchie, udì perfettamente
quell'ordine e ghignò malignamente. Lentamente, si avvicinò
alle tre sirene sibilando «La vostra ingenuità è
quasi adorabile!»
Rispondendo all'insulto, Adagio puntò il palmo della mano
verso il Centauro, che si trovò subito avvolto in una strana
aura amaranto, prima di venire scaraventato in alto, seguendo i gesti
della mano della sirena.
Incapace di reagire, Tirek venne sollevato ad una velocità che
rapidamente gli svuotò tutto il fiato che teneva nei polmoni.
Solo quando superò il muro del suono, mentre tentava invano di
gridare il dolore che avvertiva alle orecchie, si accorse che la
sirena lo aspettava già, sospesa nel vuoto dello spazio con
naturalezza, le braccia incrociate e un fuoco che le ardeva intorno
alle iridi viola.
Quando i due sfidanti arrivarono a pochi metri di distanza, una
coppia di raggi scattò dagli occhi di Adagio, abbattendosi sul
centauro come saette scagliate da un dio furente, facendolo
precipitare verso il punto da cui era partito con una velocità
addirittura superiore a prima.
Mentre l'attrito con l'aria gli bruciava la pelle e anticipava
l'impatto con il suolo che lo avrebbe sepolto per oltre cento metri,
Tirek sorrise follemente: era consapevole che la sirena stava
soltanto giocando con lui,
quello era una misera frazione di cosa, adesso, era capace di fare.
Così tanto potere, tutte
quelle possibilità... dovevano essere sue!
La sua avidità e la sete di potere erano tali che quando
precipitò nelle strade di Ponyville quasi non si accorse dello
sfrigolio della sua pelle e del boato che fecero le sue ossa, una
volta che sprofondò a terra.
Fu solo quando cercò di rialzarsi, accorgendosi che le zampe
non lo reggevano più e di quanto facesse fatica a respirare,
che dovette tornare alla realtà. Ma non per questo smise di
ridere.
Esterrefatte, le Dazzling videro il folle centauro uscire dalla fossa
che aveva scavato durante la sua caduta e, lentamente, guarire da
tutte le sue ferite: strani vapori si alzarono sul suo corpo scolpito
nella roccia e mentre i fumi accarezzavano ogni sua piaga, le
bruciature, i tagli e le fratture sparivano.
Prima ancora che qualcuna di loro potesse capire cosa stava
succedendo, Tirek attaccò di nuovo con una sfera di fuoco che
sputò dalla bocca. Questa esplose davanti alle sirene,
scagliandole lungo i palazzi ancora in piedi nella piazza.
Tirek scoppiò in una risata beffarda «Io sono Lord
Tirek! Non sarà facile fermarmi, nemmeno per voi!»
Fu allora che una voce si fece sentire al suo fianco «Ehi,
stronzo!»
Tirek fece appena in tempo a
voltarsi, vedendo una enorme ombra coprirlo, prima che un umano dalle
spalle larghe gli scagliasse contro il treno a vapore della città,
gridando «Giù le mani dalla mia donna!»
Travolto dall'oggetto metallico, il centauro venne scagliato lontano,
attraversando intere vie e palazzi, spinto dalla forza del treno
scagliato contro di lui da Alastor.
Aria, massaggiandosi la testa, vide il suo compagno attaccare il
centauro, per poi saltare lontano una volta fatto sparire. Era
davvero così idiota da volerlo affrontare da solo? Chi
accidenti gli aveva detto, poi, che aveva bisogno di aiuto?
Si alzò e fece per chiamarlo «Al...» ma presto,
assieme alle altre sirene, si accorse di avere intorno molti più
Pony, Mutanti e bestie del Tartaro di quante ne avessero mai viste.
Tutti erano stati attirati dallo scontro e, vedendo Adagio in azione,
avevano deciso di fermare il pericoloso trio prima che si potessero
rivoltare contro qualcuno di loro.
Imprecando, Aria si affiancò alle altre sirene: non poteva
dire che non sarebbero riusciti a fermarle, ma sicuramente non le
avrebbero permesso di affiancare l'umano.
«Voi non avete idea... di
quanto sia incazzata, ora!»
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Capitolo 11 *** Potere ***
CAPITOLO
10
POTERE
Il treno trascinò
Tirek per mezza città, prima di terminare la sua spinta
impiantandosi contro la parete che segnava il dislivello tra il
torrente che scorreva davanti al palazzo municipale di Ponyville e la
strada, segnando il suo passaggio con un largo e profondo solco.
Il centauro aprì
le lamiere della locomotiva come se fossero fatte di carta. Libero,
si tuffò nell'acqua che gli arrivava alla radice delle zampe
e, con la magia, fluttuò fino a tornare con i piedi sulla
piazza principale, cercando con lo sguardo l'umano che lo aveva
attaccato in maniera così insolita.
Rimase sorpreso di
riconoscere un umano, mentre questo atterrava proprio davanti a lui.
I due non si
scambiarono una parola. Semplicemente, il centauro si massaggiò
le nocche delle mani mentre l'umano avanzava con passi pesanti
camminando sopra le lamiere spezzate di quel che restava del treno.
Quando
furono abbastanza vicino, Tirek ruppe il silenzio «Prima
di cominciare, devo chiederti una cosa. Pensi davvero che tutto
questo valga la pena, dannarsi tanto per una sirena?»
Dopo un breve istante di riflessione, Alastor confessò
«Dannarsi... ammazzare... morire... bruciare all'inferno...
cazzo, certo che ne vale la
pena!»
Lo stridio
innaturale delle forze del Tartaro colpì le difese di
Ponyville come un impatto psichico ed echeggiò lungo gli
edifici in rovina e i viali sconnessi di quel che restava
dell'allegra città.
Princess Luna balzò
sul corpo fumante e privo di sensi di un abominio e ordinò
alle guardie unicorno di fare fuoco. Come una pioggia orizzontale,
raggi di puro potere magico di ogni colore fecero a brandelli ogni
offensiva, riempiendo l'aria delle grida e dei lamenti degli orrori
provenienti dal Tartaro, eppure i maledetti continuavano ad avanzare
nonostante le ferite: troppa era l'invidia e il risentimento verso “i
liberi” perché potessero fermarli così
facilmente. Pareva si cercasse di abbattere le montagne.
La principessa della
notte avvertì le grida di quelle guardie che venivano travolte
come fredde lame nel manto. A pochi metri da lei, una squadra di
pegastrelli svanì sotto la marea zampettante dei mostri.
Altri soldati
accorsero per aiutare i loro compagni, ma la situazione sembrava
destinata a mutare mai.
Per la prima volta
nell'arco di secoli, Princess Luna provò la vera disperazione:
senza sua sorella o le sue studenti, non sapeva come avrebbero fatto
a sopravvivere quel giorno. Poteva gestire la minaccia Mutante con le
forze che aveva a disposizione, ma non anche un'evasione dal Tartaro,
tutto concentrato in una volta!
No,
pensò, scacciando quel pensiero dalla sua mente; se era
destinata al fallimento, l'avrebbe affrontato con il corno carico di
magia e l'oscura chiamata alla guerra che le tuonava nel petto. Con
un penetrante urlo di guerra abbassò la testa e caricò
l'orda.
Princess Luna non
mosse che un paio di passi, quando un vento gelido la bloccò.
Alzò lo sguardo e ammirò l'ombra dello sciame Mutante
abbattersi sui nemici comuni, travolgendoli come un'onda.
Anche i mostri del
Tartaro sembravano sorpresi e un'ondata di smarrimento si fece strada
strisciando su di loro.
L'alicorno si
sorprese dell'aiuto inaspettato di Queen Chrysalis, ma non era tempo
per questionare sulle intenzioni della regina dei Mutanti: radunando
i suoi seguaci si gettò nella mischia e la sua magia abbatté
più e più volte i nemici, dando il suo contributo a
quella che sarebbe passata nei libri di storia come “La
Guerra Della Trinità”: Pony, Mutanti e Sirene in
guerra per il controllo di Ponyville.
Twilight Sparkle si
muoveva freneticamente da un bozzolo all'altro: insieme alla sua
mentore Princess Celestia erano riuscite a stanare quella decina di
Mutanti posti a guardia del Lago Specchio in meno di un minuto. Forse
la magia degli alicorni non è superiore a quella degli altri
pony, ma sicuramente quella della sovrana di Equestria e della sua
studente supera di gran lunga la media!
Mentre la
principessa dell'amicizia si dannava per cercare le sue amiche e
usasse tutto il potere a sua disposizione per accelerare il processo,
colei che muoveva il sole restava in disparte, legando i Mutanti
nella melma dei loro stessi bozzoli per impedire che scappassero o
tentassero di contrattaccare quando, eventualmente, avrebbero ripreso
i sensi. Nel contempo, era evidentemente assorta in altri pensieri.
Comunque, non ci
volle molto perché Twilight trovasse e liberasse finalmente le
sue amiche. Ritrovarsi fu per le sei giumente una gioia impossibile
da descrivere, ma purtroppo non poterono festeggiare: come la stessa
Princess Celestia ricordò, c'era ancora una guerra in corso a
Ponyville e con il ritorno delle Dazzling c'era tutto il bisogno
possibile del misterioso potere nato dall'Albero dell'Armonia e non
solo.
Twilight provò
un sadico piacere nel sigillare assieme a Princess Celestia e agli
altri unicorni rapiti da Queen Chrysalis, per quanti pochi fossero,
la magia del Lago-Specchio. Fu un processo che richiese minuti
preziosi, ma ogni singola nuvola che incontrarono da quando usciti
dalla grotta che saettava verso il suo luogo di origine era una nuova
ondata di orgoglio nel cuore della principessa lilla.
Accelerò il
passo, ansiosa di liberare Ponyville assieme alle sue amiche e
sistemare una volta per tutte Queen Chrysalis, la colpevole di tutta
quella crisi.
Un'onda d'urto nata
dalla zona del colpo rimbombò nell'aria, seguito subito da un
altro e un altro ancora.
Nella piazza
occupata da Alastor e Tirek, privi delle distrazioni del conflitto
grazie alla sua concentrazione intorno alla zona dell'ospedale e
dalle Dazzling, i due avversari duellavano scambiandosi colpi di
inusuale ferocia per gli standard dei pony.
Quando Alastor,
afferrando i polsi del centauro, riuscì ad assestargli un
calcio dritto nel petto e a scagliarlo contro uno dei palazzi,
facendoglielo attraversare da parte a parte, lo scontro parve
prendere una leggera pausa.
Tirek ritornò
lentamente dall'umano passandosi il dorso della mano sul labbro: un
gancio ben assestato gli aveva rotto il labbro e il sapore dolciastro
del sangue gli impregnava le papille gustative, per non parlare dei
lividi e delle escoriazioni guadagnate con le sirene prima. Per lo
meno, i suoi nuovi poteri rigeneranti lo stavano curando da ogni
male.
Tuttavia, se il
centauro cominciava ad accusare gli effetti di quel duello estremo,
l'umano non era certo messo meglio.
Per quanto
continuasse a mostrarsi spavaldo e sicuro di qualunque magia avesse
ottenuto, non era difficile vedere attraverso i suoi vestiti bruciati
e strappati i segni di ferite e tagli più o meno grandi che
ancora sanguinavano. Eppure, lui restava in piedi, saldo sul terreno
e con i pugni all'altezza del viso, a fissarlo mentre le spalle si
alzavano e abbassavano seguendo il ritmo del suo ansimare.
Fu allora che Tirek
notò l'anello che pulsava di una luce amaranto sull'anulare
sinistro dell'umano «Tsk... non ti chiedi nemmeno perché
tu sia diventato così potente, con quella misera frazione di
potere? Sono pronto a scommettere che è stata proprio Queen
Chrysalis a dartelo... e tu non ti sei fermato un solo secondo a
domandare a te stesso perché!»
Alastor non rispose.
Impossibile distinguere se non gli importava oppure non sapeva
rispondere.
«La
tua specie... voi bipedi. È lì il segreto.»
continuò Tirek, avvicinandosi con passi lenti e studiati a lui
tenendo le braccia larghe e un imperturbabile sorriso sulla faccia
«Se Twilight Sparkle, o Queen Chrysalis, avessero avuto la
stessa possibilità... non sarebbero riuscite a fare quello che
stai facendo te: nessuna di loro possiede la forza o il coraggio di
fare quello che è necessario, per fermare quelli come me. Ma
tu, un umano,
il tuo genere uccide i suoi simili per vincere in guerra e li umilia
in tempi di pace per sentirsi migliore. Qualità ammirevoli, se
vuoi il mio parere.»
«Che cosa
vuoi?» domandò allora Alastor, abbassando lentamente la
guardia.
Tirek inarcò
un angolo della bocca. In cuor suo, sentiva di avere già
l'umano in pugno «Questo non è il tuo mondo. E nessuno
di loro ha fatto qualcosa per aiutare te, se non sbaglio. Se vorrai
lasciarmi...»
«Hai
intenzione di fare del male ad Aria Blaze.» lo interruppe
Alastor
Tirek si bloccò,
sorpreso da quelle parole «Come, prego?»
«Credi
che quello che ho fatto finora l'abbia fatto per Twilight? Per
Equestria? Allora sei così scemo che sapresti farti investire
persino da un'auto parcheggiata! È vero, per molte cose siamo
simili: a me
non importa
di questi pony, che Equestria bruci o no non me ne può fregare
di meno. Ma so che quelli che te non mollano e tu vuoi i poteri di
Aria Blaze. Semplicemente, non posso permettertelo.»
Tirek ignorava cosa
fosse un'auto parcheggiata, ma sapeva perfettamente cosa vole va dire
“la parola con la esse”. Sentitosi deridere in quel modo
dal primo umano che incontrava personalmente, una grande furia riempì
l'animo del centauro, che ringhiò «Perché?»
«Andiamo.
Ormai lo hanno capito anche i sassi!»
rispose
Alastor, prima di saltare colpendo con il pugno la faccia del suo
avversario.
Il colpo sollevò
il centauro da terra di un palmo e, prima che potesse reagire,
l'umano colpì con un calcio il petto dell'avversario
spedendolo lontano contro un altro edificio, su cui impresse la sua
sagoma.
Per la prima volta
da quando aveva dedicato la sua vita a quello scopo, Tirek ebbe
paura.
Paura di poter
davvero essere sconfitto, paura di morire.
Ma
allo stesso tempo avvertì salire una furia animalesca: aveva
trovato un avversario temibile in un umano, un bipede!
Non una principessa alicorno, non un Draconequus, nemmeno una
sirena... un misero essere proveniente da una dimensione senza magia!
L'unico ostacolo tra lui e il potere assoluto era un misero umano!
Come osava?
Mentre
si rialzava, ringhiò «Feccia
bipede...»
Senza scomporsi, Alastor lo derise alzando i pugni «Malvagio e
razzista? Che pessimo esempio
per i bambini!»
Ferito
nell'orgoglio, Tirek si avventò contro Alastor mentre riempiva
di potere magico i pugni, pronto ad abbatterli su di lui non appena
sarebbe giunto a portata, gridando a pieni polmoni tutta la sua
rabbia.
Dall'altra parte,
Alastor caricò a sua volta il nemico, gridando mentre la
distanza tra i due diminuiva e rispondendo al pugno del nemico con un
altro pugno, che impattò pesantemente sulle nocche del
centauro.
L'onda d'urto
scatenata dall'incontro ruppe parecchi vetri del palazzo sotto cui si
trovavano, il municipio di Ponyville, uno dei pochi luoghi ad essersi
salvato dalla guerra fino a quel momento grazie alla sua posizione,
lontana dal fulcro degli scontri.
I due avversari,
tuttavia, non si curavano di questo fatto curioso: la forza
inarrestabile di Tirek e l'inamovibilità di Alastor lasciavano
al loro scontro solamente due finali possibili: o la morte del
centauro, o quella dell'umano.
Tirek era furioso
per questo, avvertiva il suo orgoglio ferirsi al pensiero che una
creatura così estranea a lui come un essere umano potesse
impensierirlo fino a quel punto.
Di contro, Alastor
non poteva non sorridere all'ironia della situazione in cui si
trovava: per la seconda volta stava per uccidere qualcuno con la sue
stesse mani e anche questa volta, in un modo o nell'altro, Aria Blaze
ne era la causa.
Ma, esattamente come
aveva detto prima lui stesso, ne valeva la pena.
Sotto la pioggia di
pezzi di vetro, i due contendenti si attaccarono ancora con le mani
libere.
Questa volta, fu
Alastor a colpire il centauro, prendendolo in pieno ventre con una
violenza tale da sollevarlo da terra e scagliarlo come sparato da un
cannone verso l'alto, portando il possente Tirek a demolire parte
della facciata del municipio. Senza dargli tregua, Alastor saltò
e, grazie alla sua forza amplificata dalla magia, si avventò
sul centauro.
Quello che accadde
nei secondi immediatamente successivi fu impossibile da comprendere.
Chiunque avesse
potuto assistere alla scena, avrebbe potuto vedere soltanto la massa
informe dei due avversari risalire rapidamente il palazzo, muovendosi
in volo, spinti unicamente dalla violenza dei pugni che si
scambiavano, accompagnati dall'incessante boato che accompagnava i
loro attacchi ogni volta che andavano a segno, come una serie
incessante di fuochi artificiali, e dalla cascata di detriti che
lasciavano cadere al loro passaggio.
I colpi venivano
inferti senza sosta, la ferocia dello scontro era quasi animalesca.
In breve entrambi i nemici superarono l'intero edificio, rimanendo
sospesi nel vuoto, con le mani di uno strette intorno al collo
dell'altro.
Dopo pochi secondi,
troppo pochi per distinguere chi dei due si trovasse in vantaggio,
Tirek si liberò dalla presa di Alastor, lo afferrò e lo
lanciò violentemente contro il tetto del municipio.
Nell'istante
immediatamente seguente, il corpo del centauro venne avvolto da
un'accecante luce rossa e si abbatté come una meteora sul
corpo dell'umano.
Quello che accadde
dopo non si conosce per intero, ma Tirek travolse l'umano con la
furia del mare in tempesta, trascinandolo attraverso il tetto e poi
sempre più in giù, sparendo dalla vista.
Mentre proseguivano
la discesa, devastando quello che restava del palazzo, nuvole di
polvere e fumo saettarono dalle crepe e dalle finestre aperte del
palazzo, precedute dagli scoppi delle condutture e dal cedimento
degli infissi che accompagnavano il passaggio dei duellanti.
Un piano dopo
l'altro, giunsero finalmente al piano terra e, nell'esplosione che ne
segnò l'impatto, le fondamenta vennero meno e l'intera
struttura crollò su di loro.
La distruzione del
municipio alzò una densa nuvola di fumo che avvolse l'intera
piazza per diversi minuti.
Non si sentiva più
combattere.
Il silenzio tombale,
interrotto soltanto dal lontano eco della guerra che ancora
continuava a diversi metri di distanza, insensibili a quella sfida
tra mostri, accompagnò morbosamente il paesaggio del centro
cittadino, mentre la nebbia provocata dai detriti lentamente
scioglieva il suo gelido abbraccio.
Nei cumuli
disordinati delle macerie che un tempo erano il glorioso municipio di
Ponyville, qualcosa cominciò a muoversi.
Un leggero tremito
scosse le macerie mentre una voce, di intensità via via sempre
crescente, accompagnò la liberazione di Tirek.
Il centauro non era
di certo messo bene: lividi, tagli ed escoriazioni decoravano il suo
corpo come luci di un abete natalizio, il lungo corno destro era
addirittura rotto a metà, dandogli un leggero squilibrio alla
testa e numerosi porzioni del manto erano state strappate o bruciate.
Nonostante questo, egli godette nel vedere che intorno a lui non
c'era traccia di Alastor Sullivan.
Esprimendo la sua
gioia con un sorriso trionfante, Tirek si liberò dagli ultimi
massi che lo bloccavano. Con l'umano fuori dai giochi, non gli
restava altro da fare che prendere la magia delle sirene come aveva
pianificato dal momento stesso in cui aveva ricostruito i suoi
poteri.
Tuttavia, dovette
riconsiderare le sue priorità non appena mosse un paio di
passi: improvvisamente, avvertì le ginocchia cedergli e una
mano tremare fortemente.
Preoccupato, cadde
in ginocchio e guardò l'arto tremante, dal quale un fumo
rossastro cosparso di scintille si stava liberando nell'aria.
Capì in un
istante: stava perdendo la sua magia!
Rubare la magia ad
altre creature magiche è una questione molto delicata, si
tratta di mescolare forze caratteristiche di una specifica razza: un
esperimento dalle conseguenze imprevedibili, lui stesso aveva
impiegato molti anni per padroneggiare questa sua abilità,
prima di usarla per accrescere il proprio potere. E, anche una volta
riuscita a trattenerla, era naturale che le energie rubate cercassero
di ritornare al loro “contenitore” originale.
E quale modo
migliore per fuggire, se non attraverso le ferite che gli scontri gli
avevano provocato?
In parole povere, la
rigenerazione di Tirek non era un nuovo poter, ma il suo corpo che
stava regredendo man mano che lo scontro lo metteva sempre più
in difficoltà, privandolo di una quantità sempre
maggiore del suo potere. E l'ultima fase dello scontro con l'umano lo
aveva del tutto consumato; ormai avrebbe ripreso il suo stato anziano
e decrepito nel giro di pochi minuti.
Imprecando, il
centauro capì che avrebbe dovuto scappare, piuttosto che
restare anche solo un paio di secondi in più a Ponyville.
Fece per alzarsi, ma
qualcosa lo tirò per la coda.
Si voltò e,
terrorizzato, vide Alastor tenerlo in pugno.
L'umano non era
messo meglio del centauro, anzi: era coperto di ferite che non
smettevano di sanguinare, impedendogli di tenere aperto l'occhio
destro, lividi ed escoriazioni celavano il colore naturale della sua
pelle e il braccio sinistro era piegato in un angolo innaturale.
Non parlò,
semplicemente avanzò zoppicando verso il suo nemico, troppo
paralizzato dalla sorpresa per decidere come muoversi.
Quando fu a portata,
inaspettatamente, l'umano appoggiò il braccio rotto sulle
spalle del centauro, lasciando l'avambraccio a peso morto. Doveva
essere messo davvero male, per non sentire il dolore che un gesto
simile avrebbe dovuto fargli provare.
In ogni caso, dopo
aver “preso” il centauro, gli diede due pacche sul petto,
commentando «Questa... l'ho sentita. Bel Colpo.»
Con queste ultime
parole, quindi, Alastor cadde per terra, sollevando una leggera
nuvola di polvere quando impattò con il suolo.
All'inizio fu come
se il suo cuore avesse smesso di battere. Paralizzata, non appena
Aria Blaze avvertì la fine del duello tra l'umano e il
centauro rimase a guardare avanti a se, mentre la squadra di pony e
mutanti che la circondava decise di approfittare di quel momento per
assalirla.
Lentamente,
l'espressione sul volto della sirena mutò in una maschera di
puro dolore mentre cadeva in ginocchio. Una volta raggiunto il suolo,
Aria si piegò in avanti e spalancò la bocca, urlando
con una frequenza tale che nessuno riuscì ad udire altro che
un fastidioso fischio alle orecchie.
L'improvvisa ondata
di emozioni fu tale che le braccia le si ricoprirono di una forte
luce amaranto, prima di esplodere in un'onda d'urto magica che spazzò
via chiunque le fosse intorno nel raggio di diversi metri, alleati o
nemici che fossero.
Negli anni futuri,
molti avrebbero ricordato quel giorno per la furia di quella guerra,
per il coraggio di quei pochi che resistettero a molti o per la
devastazione che travolse la città, ma pochi eletti lo
avrebbero ricordato invece come il giorno in cui un umano, alfine,
cadde.
Per coloro che lo
amavano, per chi avrebbe voluto vivere per sempre al suo fianco, o
per chi voleva essergli amico, questo fu un giorno ancora più
tragico.
E per i difensori di
Ponyville, liberati dalle loro prigioni da Twilight Sparkle e
Princess Celestia e usciti tutti insieme dalla Everfree Forest al
galoppo, giunse lo shock del fallimento, il peso dell'essere arrivati
troppo tardi.
Ma così
sarebbe finita.
Per salvare la donna
amata un uomo aveva dato tutto, e anche di più.
Ma ormai era troppo
tardi.
Perché quello
fu il giorno in cui Alastor Sullivan morì.
Fiumi di energie
scorsero dal luogo della sfida tra il centauro e l'umano, avvolgendo
tutti coloro che ancora si trovavano a Ponyville e dando loro un
nuovo vigore. Poco prima di questo strano fenomeno, numerosi Mutanti
scomparvero dissolvendosi in una fiamma rosa che saettò verso
la Everfree Forest.
Queen Chrysalis
comprese sia che l'umano era morto e che il suo rifugio nel
Lago-Specchio era stato neutralizzato.
«Tsk!»
fu l'unico suo commento, più seccato per la neutralizzazione
definitiva del Lago piuttosto che per la morte del bipede, prima di
fare un fischio che ogni Mutante udì. Immediatamente, tutti si
fermarono e balzarono in cielo, sempre più in alto fino a
sparire alla vista.
Princess Luna, che
in quel momento si trovava nelle vicinanze della Regina dei Mutanti,
vide tutto questo insieme alle fiamme verdi che la stavano avvolgendo
ed esclamò «Cosa sta succedendo?»
Queen Chrysalis
rispose senza nemmeno guardare negli occhi la principessa della luna
«Torniamo a casa.»
Princess
Luna reagì incredula «Ci lasciate? Ora?»
«Esattamente.»
«Credevo che
tu fossi dalla nostra parte, almeno per questa guerra!»
Queen
Chrysalis reagì ridendo di gusto. Alla fine, mentre le fiamme
le arrivavano al volto, guardò finalmente negli occhi Princess
Luna spiegando «Principessa... io sono la Regina dei Mutanti.
Io sono dalla mia
parte!»
Detto questo, troppo
rapidamente perché Luna potesse impedirlo, lei sparì
assieme a tutto il suo esercito.
Al galoppo lontano
da Ponyville, Tirek imprecava a denti stretti mentre pensava a quanto
fosse stato stupido, come il suo essere avventato gli fosse costato
tutto.
Certo, aveva
sconfitto il tanto odiato umano... ma era tornato esattamente come
non molto tempo fa, quando era ridotto ad un rudere di quello che era
un tempo, vagabondando per tutta Equestria rubando magia agli
unicorni facendo attenzione a non farsi notare.
Doveva essere
paziente, purtroppo non aveva altra scelta. Avrebbe dovuto
ricominciare da capo, ma prima o poi sarebbe ritornato ancora una
volta, come un incubo senza tregua o fine e allora...
Un'improvvisa nota,
un “do”, lo colpì come una cannonata, sparandolo
lontano e travolgendo la vegetazione. Passò attraverso due
tronchi d'albero, spezzandoli come grissini, prima di picchiare a
terra.
La sorpresa, mista
alle ferite del duello appena trascorso, lo immobilizzarono a terra.
Sforzandosi di non
perdere i sensi, il centauro vide una figura bipede avvicinarsi a lui
con passi pesanti e rabbiosi. Era una donna alta e slanciata,
abbastanza paffuta con enormi occhi magenta, labbra carnose, zigomi
pronunciati, un seno prorompente e lunghi capelli azzurri con meches
nere legati con una coda di cavallo: Sonata Dusk.
Contrariamente a
come si era soliti aspettarla, tuttavia, la sirena aveva il volto
contratto in una furia che terrorizzò anche il centauro. La
sirena, con ancora addosso i segni della sua ennesima trasformazione,
respirava affannosamente, teneva le mani chiuse a pugno lungo i
fianchi facendole ciondolare al ritmo dei suoi passi e si mordeva
nervosamente le labbra.
Quando
arrivò a pochi centimetri dell'inerme centauro, finalmente
parlò «Lo sai? Vivere per più di duemila anni con
le stesse persone non
è facile.
O almeno, non è facile per Aria e Adagio... voglio dire, sono
due personalità così
simili,
tu non
hai idea di
quante volte hanno litigato!»
La
sirena parlava a fatica, come se un tappo le fosse rimasto incastrato
in gola e spesso balbettava, eppure era evidente come cercasse di
trattenersi «E così, per mantenere il gruppo unito, devo
ogni tanto buttarla sul ridere. Devo fare la
scema,
fare credere a loro di essere migliori di quello che sono, mantenere
quell'alchimia che serve a noi per tenerci unite. Perché,
forse questo tu non puoi capirlo, ma come Dazzling non siamo solo un
gruppo musicale, o un trio di creature magiche. Siamo una
famiglia!»
Tirek guardò
la sirena senza rispondere. Passandosi la lingua sulle gengive,
piuttosto, scoprì di aver perso qualche dente da qualche parte
e tra la tempesta di dolori tutti diversi che avvertiva e il sapore
metallico del sangue in bocca parlare per lui fu impossibile
ribattere alla sirena.
«No,
certo
che
non capisci. Cosa puoi saperne tu?» continuò Sonata,
passandosi una mano sui capelli sistemando una ciocca ribelle dietro
le orecchie piccole e tonde «Lascia che ti spieghi. Le Dazzling
sono una famiglia, ognuna di noi è legata all'altra e noi
siamo così legate che possiamo sentire benissimo cosa prova
l'altra. E quello che hai fatto ad Aria, be'... mi mancano le parole,
davvero.»
Sonata usò la
stessa mano per spalancarla verso Tirek. Un'aura amaranto le avvolse
minacciosamente il palmo, risalendo tutto l'avambraccio mentre il
colore dei suoi occhi mutava dal viola allo scarlatto.
«Ti dico
questo solo per chiederti di avere pazienza se non faccio qualche
battuta. Il fatto è che... be', non mi sembra il caso!»
Della morte
squallida e umiliante di Lord Tirek nessuno seppe mai i dettagli.
Tutto quello che fu conosciuto da lì in avanti fu che, quando
le squadre di ricerca delle Dazzling scomparse arrivarono nei pressi
della Everfree Forest, non ci furono tracce né della sirena né
del centauro. Solo qualche brandello di una sostanza impossibile da
riconoscere, sparsa per praticamente tutto il perimetro della
foresta.
Data la situazione
molto particolare, tutti quei pezzi vennero raccolti e dati alle
fiamme con noncuranza, classificandoli come semplici rifiuti, e
fortunatamente nessuno pensò a verificare la loro reale natura
o meno.
Se la loro origine
fosse stata svelata, le conseguenze e il disgusto sarebbero stati
sicuramente traumatizzanti per la popolazione.
L'arrivo delle
portatrici gettò nei difensori di Ponyville una nuova forza,
amplificata dal ritorno delle energie alle vittime di Tirek e dalla
ritirata dei Mutanti; situazione che per chi non conosceva i fatti
venne interpretata come un segno più o meno divino che quel
giorno avrebbero vinto i Pony.
La combinazione di
forze delle Guardie Reali, delle guardie di Luna, i cittadini di
Ponyville, le sei portatrici e le principesse segnò
definitivamente il fato delle forze del Tartaro: solo Princess Luna
aveva dimostrato di poterne tenere a bada più di una decina,
agendo da sola, e il suo potere magico era nettamente inferiore a
quello di sua sorella o di Twilight Sparkle.
Quando Ponyville
venne definitivamente liberata e i prigionieri del Tartaro rigettati
nelle loro prigioni grazie alla magia combinata delle principesse,
iniziò una caccia serrata alle sirene.
Vennero organizzate
tre squadre: ogni principessa avrebbe diretto una squadra, aiutata da
una parte di militari mentre gli altri restavano ad aiutare i feriti.
Princess Celestia e
Luna, rispettivamente alla ricerca di Adagio Dazzle e Sonata Dusk,
non riuscirono a trovare nemmeno le impronte del loro passaggio, solo
voci indistinte secondo cui erano state viste prima da una parte e
poi dall'altra di Ponyville.
Twilight, invece,
dovette risalire ad Aria Blaze indagando sui numerosi testimoni che
l'avevano vista.
Dopo che aveva
scavato un solco che arrivava alle tubature dell'acqua con un grido,
era stata vista volare ad una velocità incredibile verso il
centro città.
Giunta, Twilight non
trovò né la sirena, né il cadavere di Alastor
Sullivan, ma una scia di sangue lasciava intendere dove fosse stato
portato.
Benché la
sola vista di quell'indizio la disgustasse dal profondo e la ferisse
allo stesso tempo, facendole intendere a cosa avesse portato quello
che poteva essere definito il suo più grande fallimento,
Twilight seguì la pista fino ad arrivare al suo stesso
castello.
Spaventata, si
avventò nei corridoi, scoprendo che la pista terminava proprio
davanti allo specchio per il viaggio tra le dimensioni.
Vicino, trovò
Discord appoggiato ad una parete che ansimava. Su tutto il suo corpo
si potevano trovare costellazioni di bruciature, lividi e tagli. Solo
le sue pesanti occhiaie mascheravano l'occhio nero.
Normalmente,
Twilight avrebbe cercato di ignorare la presenza di Discord ma la
situazione e le sue condizioni la spinsero ad agire diversamente.
Non appena si
rivolse al draconequus, lui le spiegò cos'era successo.
«Mi
hanno ingannato per bene. Credevo sul serio, sai, che Tirek che Queen
Chrysalis volessero aiutarci contro le Dazzling... e invece hanno
solo cercato di raggiungere i loro scopi. Così, quando le ho
viste, ho voluto provare a fermarle.»
«Di
chi stai parlando?»
«Delle
sirene.»
Discord
aveva trovato Adagio Dazzle e Aria Blaze avanzare verso il portale.
Aria portava un grosso fagotto tra le braccia: il corpo di Alastor
Sullivan.
Benché
la presenza di un cadavere lo disgustasse, lui decise di fermarle.
Con
il senno di poi, avrebbe descritto quella decisione come “la
più stupida e avventata di tutta la mia vita!”.
Forse
era la Guerra ad averlo sfinito, il combattimento prolungato poteva
aver prosciugato le energie del Draconequus, fatto sta che lui non fu
neppure vagamente una preoccupazione per loro. Adagio non mosse
nemmeno un passo, eppure qualunque attacco Discord provasse veniva
intercettato e fermato dal leader delle Dazzling.
Dopo
alcuni tentativi, inoltre, Discord avvertì un grosso peso e
una nuova forza lo sbatté a terra: Sonata Dusk era arrivata.
Sul suo corpo, molte macchie di sangue le davano un aspetto
semplicemente spettrale.
Discord
vide le Dazzling avanzare verso il portale, impotente. Non aveva
alcuna speranza di fare alcunché.
Solo
le parole che Sonata pronunciò prima di attraversare lo
specchio lo consolarono in parte.
«La
Guerra è finita, Discord. E abbiamo perso tutti.»
Twilight
ascoltò quelle parole e
chiese «Cosa
ci trovi, esattamente, di divertente?»
Discord
rise in maniera triste «Fa ridere perché è vero!»
Quando Twilight
riferì il rapporto di Discord alle altre principesse, subito
si volle avvisare gli alleati del mondo umano della possibilità
che le Dazzling si nascondessero da qualche parte.
Venne presto
accordato un piano di ricerca e si organizzò una concreta
manovra per inviare rinforzi in massa nel caso le sirene si sarebbero
trovate, mentre le indagini venivano lasciate a Sunset Shimmer e alle
sue amiche: dato il precario equilibrio tra i mondi, non era
possibile inviare molte truppe per indagare e così si preferì
piuttosto un controllo incrociato; tutto quello che Sunset Shimmer
scopriva veniva mandato a Twilight, mentre lei forniva tutta la
conoscenza in merito che poteva fornire.
Ma il tempo passò
e mai si riuscì a trovare un solo capello delle sirene. Al
secondo anno di ricerche inconcludenti e assoluta mancanza di segnali
che facessero comprendere la loro precisa posizione, l'indagine venne
sospesa.
La priorità
venne comunque data alla ricostruzione di quello che la guerra a
Ponyville aveva causato.
I feriti, tra i
civili e i militari, erano innumerevoli e per evitare che la
struttura del paese, già provata dal conflitto, finisse con il
collassare, ci fu un grande trasferimento nella città più
vicine. Anche così, tuttavia la Guardia Reale passò un
periodo in cui era ridotta all'osso, con più della metà
del personale che ancora doveva guarire.
E inoltre, quasi
tutte le strutture del paese erano state rese inutilizzabili: case,
negozi e palazzi erano stati rivoltati dalla furia dello scontro,
numerose infrastrutture scardinate e i servizi pubblici
irrimediabilmente danneggiati. Ci sarebbero voluto diversi mesi prima
che tutto tornasse alla normalità.
Eppure, nonostante
il periodo difficile che si parava davanti a loro, l'esercito di
Equestria e i cittadini di Ponyville non poterono fare a meno di
festeggiare: Ponyville apparteneva ai pony e lo sarebbe stata per
sempre!
La festa durò
per tutto il resto della notte: i parenti rapiti da Queen Chrysalis
abbracciarono finalmente le loro famiglie, venne dato fuoco agli
stendardi dell'esercito mutante e qualunque altro oggetto che potesse
riportare alla memoria la tiranna e intorno a quel falò si
ballò e cantò a squarciagola.
Fu così che,
quella che sarebbe stata ricordata come la Guerra della Trinità,
per riassumere il conflitto tra Pony, Mutanti e Sirene, si concluse
con danni incalcolabili, migliaia di feriti, una intera città
interamente da ricostruire... e due morti.
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Capitolo 12 *** Epilogo ***
EPILOGO
A passi lunghi e lenti, Aria Blaze e Alastor Sullivan
camminavano l'uno di fianco all'altra lungo il marciapiede,
avvicinandosi sempre di più al liceo superiore di Canterlot.
La sera stava scendendo e ormai passavano più poche macchine,
inoltre essendo un giorno festivo non si vedeva una sola luce o
rumore uscire dalla scuola, ma anche se fossero stati durante il
giorno nessuno li avrebbe potuti distinguere da un allegro duo: ogni
traccia della mutazione delle sirene era scomparsa da Aria e, a parte
le vecchie ferite, non si vedeva una sola cicatrice sul corpo di
Alastor.
«Pensandoci,
non ti ho mai visto con abiti diversi da questi.» osservò
Aria, riferendosi al gilet, la t-shirt bianca, i jeans e gli anfibi
che Alastor indossava
Lui fece spallucce
«Sono comodo così... e poi, mi ci vedresti in giacca e
cravatta?»
Aria sorrise
divertita «Per carità! Nemmeno io.»
Cadde tra i due un
breve silenzio, prima che Alastor superasse la sirena, portandosi
avanti a lei e guadandola negli occhi «Ascolta, c'è una
cosa che devo dirti e non posso trattenermi a lungo...»
Aria
si fermò e affondò le mani nelle tasche dei pantaloni,
ricapitolando con un intramontabile sorriso sulla faccia «Dunque,
vediamo... siamo andati contro una principessa pony, abbiamo
resistito a un esercito che ci superava di mille a uno, abbiamo
risvegliato la magia del caos in noi sirene, abbiamo aperto il
Tartaro e abbiamo resistito alla sua furia... direi che, a questo
punto, possiamo dirci davvero
tutto!»
Alastor annuì
in silenzio, prendendo tutto il tempo che gli serviva per trovare le
parole giuste da dire. Aria era felice, felice come non succedeva da
moltissimi anni e lui non voleva privarla di quella gioia.
Alla
fine, riuscì a formulare una frase «Vedi, è
proprio questo il punto. Abbiamo
finito.
Abbiamo fatto quello che dovevamo fare e, se tu lo vuoi, io posso
andarmene. Basta che tu lo voglia e io sparirò per sempre
dalla tua vista.»
Aria aggrottò
le sopracciglia, senza perdere il suo sorriso. Puntò un
minacciosissimo dito contro Alastor e rispose «Non se ne parla!
È vero, mi secchi molto più di quanto abbia mai creduto
essere possibile, ma... voglio passare ogni irritante minuto con te.
Perciò, non azzardarti a lasciarmi, né ora né
mai!»
Alastor sorrise,
come se quelle parole lo avessero sollevato da ogni peso. Imitò
il sorriso della sirena e mettendosi le mani in tasca si limitò
ad annuire «Ogni tuo desiderio è un ordine!»
Aria Blaze si
rasserenerò a quelle parole e abbassò la mano. Nel
mentre, alle sue spalle, arrivarono Adagio Dazzle e Sonata Dusk.
Adagio si
massaggiava nervosamente un braccio, come se si vergognasse di
qualcosa, ma qualcosa nelle parole di Aria sembrava averla sorpresa
«Ogni minuto di cosa?»
Aria si voltò
verso Adagio, senza commentare il fatto che lei stesse mantenendo
ogni aspetto della mutazione maturata durante la Guerra della
Trinità, perciò stava passeggiando in centro città
con un paio di grandi ali di membrana dietro la schiena, la coda e
un'aura amaranto intorno.
«Be',
abbiamo di nuovo i poteri del Caos e l'eterna giovinezza... sarebbe
più veloce dire cosa non
possiamo
fare, giusto?»
Quella domanda, così
felice, di Aria arrivò alle orecchie di Adagio come una
coltellata di ghiaccio. Sonata distolte lo sguardo e Adagio abbassò
gli occhi rispondendo tristemente «Mi dispiace, Aria...»
Aria
Blaze sgranò gli occhi. Si voltò e, dove un secondo
prima c'era la figura massiccia di Alastor, adesso c'era il vuoto.
Alastor
Sullivan era morto ad Equestria e morto era rimasto una volta tornato
nella sua dimensione. L'esperimento che Adagio aveva suggerito per
salvarlo, quando la trovò in ginocchio davanti alla carcassa
dell'umano, era fallito.
Ricordandosi
di questo, la sirena chiuse gli occhi e si portò una mano
davanti alla bocca, come per fermare i singhiozzi che le salivano dal
petto.
Adagio
vide questo e, timorosamente, le appoggiò una mano sulla
spalla larga, ripetendo «Mi dispiace... se solo potessi...»
«Ma
non puoi.» la fermò Aria, liberandosi dal tocco della
compagna «Nessuna di noi può.»
Adagio
si portò una mano sulla nuca, senza sapere come reagire.
Avevano sì sterminato i Draconequus secoli fa, ma si trattava
di despoti senza alcun riguardo per la vita altrui. Adesso che
avevano tanto cercato la loro vendetta contro Twilight Sparkle o
Queen Chrysalis, però, avevano ottenuto solo la morte di un
umano che non c'entrava e la definitiva perdita dell'innocenza di
Sonata.
«So
che non c'entri con la sua morte, Adagio. Non sei tu quella che deve
scusarsi.» riuscì a continuare Aria, dopo qualche
minuto, passandosi le mani nei capelli «Siamo un gruppo unito,
lo saremo fino alla fine... dannazione, siete la cosa più
vicina ad una famiglia che io abbia!»
Adagio
non commentò. Per quante volte le avessero ripetuto quelle
parole, non poteva fare a meno di sentirsi in parte responsabile.
Dovette ingoiare un rospo bello grosso per giurare «Troverò
un modo. C'è sempre un modo. E quando lo troverò, tutto
andrà per il meglio! È una promessa!»
Tra
Aria e Adagio calò il silenzio.
Sonata
deglutì rumorosamente, prima di domandare «Perciò,
adesso, che cosa facciamo?»
Tutte
puntarono gli occhi su Adagio. La ricerca di vendetta aveva incrinato
pesantemente l'ordine di quel gruppo, probabilmente non sarebbero mai
più state le stesse. Ma certe cose, per il loro bene, non
dovevano cambiare e nonostante tutto lei rimaneva ancora il capo:
aveva delle responsabilità e non avrebbe mai e poi mai deluso
di nuovo le sue compagne.
Con
un gesto della mano, Adagio evocò intorno a loro il riflesso
di tanti piccoli pianeti, spiegando «Equestria, così
come il mondo in cui siamo state esiliate, sono adesso territori tabù
per noi. Non c'è un solo elemento in entrambi i mondi che non
ci conosca e che non sappia quanto siamo pericolose: se vedono anche
solo la nostra ombra, chiameranno interi reggimenti per fermarci. Ma
esistono ancora un'infinità di mondi diversi, di possibilità
diverse. Possiamo viaggiare dove nessun altro si è mai spinto,
esplorare posti dove nessun altro potrà mai stare e, chissà...
potremo anche creare
la
vita che cerchiamo!»
La
spiegazione convinse le altre due Dazzling.
Fu
Sonata a chiedere «Molto bene. Quando partiamo, capo?»
Lenti ma determinati, i pony ricostruirono Ponyville,
mattone su mattone. Il cataclisma che li aveva colpiti aveva lasciato
la maggior parte dei suoi abitanti senza casa o un passato. Nel
migliore dei casi, erano rimaste le pareti e qualche oggetto, vaghi e
timidi ricordi di un passato che andava ricostruito quasi
completamente.
Twilight Sparkle e le sue amiche lavorarono con grande
impegno, a volte per interi giorni consecutivi prima che il sonno
arretrato strappasse il suo pegno senza alcuna pietà, ma di
tutti era forse proprio la principessa dell'amicizia quella che aveva
bisogno di un aiuto, almeno morale.
La consapevolezza di essere arrivati tardi, il pensiero
che se fosse partita subito con le sue amiche e avesse lasciato
Princess Celestia da sola a sigillare la magia del Lago Specchio
allora avrebbe potuto fermare Tirek e le sirene. Ma sopratutto, la
consapevolezza di cosa Queen Chrysalis avesse fatto, solo per
vendicarsi di lei, le bruciava più di qualsiasi ferita. E la
cicatrice che questa piaga avrebbe lasciato, sicuramente non
l'avrebbe mai più abbandonata.
Il sole era alto, illuminando le strade delle decine di
cantieri in costruzione e le vite che tentavano di recuperare la
normalità nonostante la devastazione a cui erano
sopravvissuti.
Spike
avvertì Twilight appoggiare pesantemente la testa al muro e,
preoccupato, le si avvicinò domandando «Twilight!
Stai bene?»
«Non sempre la
verità è in fondo al pozzo.» rispose, enigmatica,
Twilight.
Spike spalancò
gli occhi, non capendo «Cosa?»
«Ho
sbagliato
tutto,
Spike. Ero così concentrata su scoprire più possibile
sulle Dazzling che ho tenuto lo sguardo così vicino da avere
solo una visione sfocata della situazione intera. Ho visto qualche
dettaglio con una chiarezza superiore, ma così facendo ho
perso inevitabilmente di vista l'insieme. E in tutto questo... è
Ponyville, assieme a quell'umano, che ha pagato le conseguenze.»
Princess
Celestia udì casualmente quelle parole dette dalla sua allieva
e, senza preavviso, si avvicinò a lei domandando «Quando
Queen Chrysalis ha attaccato la tua città, sei per caso
scappata?»
Troppo sorpresa per
capire cosa le fosse stato chiesto, Twilight rispose quasi
involontariamente «No, certo che no!»
«E quando hai
scoperto che i Mutanti si erano intrufolati tra i tuoi amici, ti sei
arresa?»
«Be', no...»
«Bene. E
quando le Dazzling si sono risvegliate, hai nascosto la testa
sottoterra?»
«Non sono
certo uno struzzo!» replicò Twilight, toccandosi
istintivamente il collo: lo aveva davvero così lungo?
Princess Celestia le
accarezzò una guancia con le piume delle ali, riservandole un
sorriso che da solo avrebbe potuto sciogliere i ghiacciai mentre le
spiegava «Sei stata ingannata, questo è vero. Ma quello
che davvero importa è che tu non sei scappata: anche quando la
situazione si stava facendo disperata hai continuato a resistere e a
difendere quelli che credevano in te. È questo quello che
davvero importa. Quindi credimi, Twilight, quando ti dico che oggi
hai deluso proprio nessuno. Anzi, sono orgogliosa di te e di come tu
abbia saputo reagire a questa crisi.»
«Orgogliosa?»
berciò Twilight. Stranamente, quella parola sembrava averla
più offesa che altro «La
Guerra della Trinità è soltanto colpa mia! Questa è
Equestria, la patria dell'amicizia e dell'armonia... e sono un
alicorno, la razza che più di ogni altra si adopera perché
questi principi vengano diffusi. Sono la principessa dell'Amicizia,
non della guerra! E per le mie paure, per le mie stupide fissazioni,
ora Ponyville è un ammasso di macerie da ricostruire
interamente!»
Princess Celestia accolse lo sfogo dell'allieva, che zittì con
una frase che pesò sulla novella principessa come un mattone
«So come ti senti, Twilight. Mi ricordi molto me stessa, mille
anni fa...»
Twilight capì subito che la sua maestra si riferiva alla Notte
Eterna, quando era stata costretta a bandire sua sorella, trasformata
in Nightmare Moon dalla sua invidia, sulla Luna.
L'alicorno lilla si ammutolì e Princess Celestia ne approfittò
per proseguire «Come tu hai detto, noi alicorni siamo coloro
che più di ogni altra specie vuole diffondere la serenità
e l'armonia così come un contadino fa con i semi delle sue
piante. Ma non si tratta di un percorso semplice, non basta volerlo
perché si realizzi.»
L'alicorno color avorio indicò fuori dalla finestra con lo
zoccolo e proseguì «Esistono molte minacce a
quest'ordine che noi vogliamo creare. Essere una principessa vuol
dire anche avere nemici molto potenti, esseri malvagi che useranno un
impegno a volte anche superiore al nostro per distruggerci e
vanificare tutti i nostri sforzi. Per questo, noi non ci nascondiamo
di fronte a loro e ricorriamo ad ogni mezzo per difendere il nostro
popolo e la nostra pace.»
«E come può fare, quando il sacrificio per questa pace è
così grande?»
Princess Celestia capì immediatamente che la sua studente si
riferiva all'esilio della sorella per quanto la riguardava e alla
morte dell'umano per lei. Dopo una breve pausa, rispose «Devi
perdonarti. Devi guardare negli occhi tutti quelli che credono in te
e capire che devi andare avanti, se non per te, per loro.»
Twilight ricambiò
il sorriso della principessa, toccata dalle sue parole e la abbracciò
stringendole le zampe al petto. Dopo qualche secondo, aggiunse «Credo
che avrò ancora bisogno dei vostri consigli.»
Princess Celestia
sorrise, ricambiando l'abbraccio «Se avessi voluto smettere di
aiutarti, Twilight, te lo avrei detto molto tempo fa!»
La giovane
principessa rise debolmente alla sottile battuta e Spike, senza dire
niente, si unì all'abbraccio compensando la differenza di
statura con un salto.
Se il cielo di Equestria era soleggiato per aiutare i
lavori di ricostruzione, nel mondo umano invece scendeva una pioggia
fitta, privando di luce naturale qualunque abitazione nonostante
fosse passato da poco mezzogiorno e costringendo tutti a tenere le
luci accese.
All'interno
del Black
Canary
Susy, Bulldog, Bobo ed El Bastardo restavano seduti al tavolo con i
divanetti bordeaux dove, pochi giorni prima, si erano seduti Alastor
ed Aria.
Il locale, “chiuso per lutto” come diceva
l'insegna, sembrava ancora più vuoto di quando invece c'era un
sacco di gente che faceva solo gli affari propri. L'unica luce
accesa, direttamente sopra il tavolo, gettava timide ombre sui volti
depressi dei presenti.
Tutti e quattro erano bagnati fradici, ma a nessuno
importava.
Appena tornati dai funerali del loro amico, soltanto
loro si erano presentati.
Avevano provato a cercare qualcuno che Alastor potesse
conoscere oltre a loro, ma non ci fu alcun numero sulla sua rubrica e
tra i clienti soliti del bar, date le numerose zuffe con il diretto
interessato, ci fu uno scarso coinvolgimento nella misteriosa
dipartita del giovane.
Nemmeno suo zio si era presentato: blaterando scuse come
il non voler coinvolgere il nipote in strane voci o attirare solo
curiosi, tentò di nascondere il fatto che aveva deciso di non
presentarsi già da molto tempo. Al loro appuntamento, liquidò
la comitiva di ragazzi cercando di apparire freddo e distaccato, ma
voci secondo cui il giorno dopo aveva rifatto interamente lo studio,
mobili compresi, in quanto erano andati a sbattere ripetutamente
contro il suo set di mazze da golf era giunta anche alle loro
orecchie.
Così, al funerale di Alastor Sullivan furono
soltanto in cinque: sua cugina Susy, i suoi migliori amici Bulldog,
Bobo ed El Bastardo e infine il prete.
Nessuno di loro, in realtà, nutriva qualche fede
religiosa. Se l'avessero davvero avuta, non avrebbero potuto fare più
della metà di quelle azioni che per loro rappresentavano
invece l'abitudine. E nemmeno potevano essere sicuri di quanto fosse
convinto di un piano superiore il loro amico, eppure sentirono che
c'era bisogno di lasciarlo da qualche parte, mettere sulla terra un
monito che dicesse “Alastor Sullivan è stato qui”.
Nessuno
di loro quattro aveva parlato durante la cerimonia e nemmeno aveva
dato ascolto al prete, mentre recitava il suo sermone. Impiegarono
alcuni minuti, quando terminò la cerimonia e si chiusero
dentro il Black
Canary,
per ritrovare improvvisamente la voce ricordando l'amico caduto,
cercando di tirarsi su il morale a vicenda.
Alastor non era un uomo baciato dalla fortuna, non era
una di quelle persone destinate a compiere grandi imprese: oltre alla
sua forza incredibile non aveva altro.
Non era stato dotato di una grande intelletto o di una
volontà adamantina e proprio per questo si accontentava di
quella vita così squallida. E forse era proprio per questo che
l'incontro con Aria Blaze lo aveva cambiato.
Forse, agli inizi, vedeva davvero in lei soltanto un
modo per rimediare a quando non poté salvare la sua
controparte che aveva conosciuto anni prima, ma con il tempo aveva
ritrovato nella sirena qualcosa di più. Magia, mondi lontani e
l'opportunità di combinare finalmente qualcosa di buono
dovevano aver risvegliato in lui quel calore, quelle emozioni che il
mondo che lo circondava stava facendo lentamente rattrappire.
Perdere Aria, ritrovarla e aiutarla doveva essere stato
per lui il lavoro più bello di tutta la sua vita e forse
proprio per questo era finito con l'innamorarsene. Perché lui,
nonostante tutto, credeva nel futuro orgiastico che, anno per anno,
indietreggiava davanti a lui; gli era sfuggito fino ad allora, ma non
importava: domani avrebbe corso più veloce, avrebbe allungato
di più le mani e, una bella mattina, sarebbe diventata una
persona migliore.
E adesso, con Alastor morto, i suoi amici potevano
soltanto farsi forza assieme.
In fondo gli amici servono a questo, sanno come aiutarti
ad andare avanti. A volte cambiando argomento, restando accanto o
facendo quello che serve per sollevarti il morale.
Ma, alla fine dei loro ricordi, restava soltanto una
cosa da dire.
Bobo abbassò gli occhi sul bicchiere, colmo fino
all'orlo, del liquore versato da Susy. Mentre parlavano era la
seconda bottiglia che andavano a raschiare il fondo.
Con movimenti irregolari e meccanici, afferrò il
boccale e lo strinse come se stesse cercando di romperlo. Poi lo alzò
al centro della tavola.
«Ad Alastor.»
disse, con voce gracchiante.
Incuranti dello
sforzo dell'amico, i rimanenti afferrarono a loro volta i bicchieri e
brindarono, salutando così il loro compagno.
Così, piegati
ma non spezzati, avrebbero continuato le loro vite, barche
controcorrente risospinte nell'oscurità.
Queen Chrysalis
sobbalzò sul divano in cui si era sdraiata per concedersi un
meritato riposo, mentre le sue truppe si organizzavano per curare i
feriti lievi a cui non c'era bisogno di ricorrere alla magia.
Per quanto la Regina
dei Mutanti volesse dare a vedere il suo autocontrollo, a volte la
visione di una furiosa Adagio che le scagliava contro poteri antichi
di millenni le faceva venire i brividi. Quelli furono momenti in cui
davvero si era chiesta se sarebbe riuscita a vedere l'alba del
domani.
I
suoi pensieri vennero interrotti da una voce familiare «Che
ti potessi spingere in basso, sono la prova vivente che puoi farlo.
Ma devo dire che questa volta hai superato addirittura le mie
aspettative!»
Queen Chrysalis si
voltò con un ghigno predatorio stampato sul muso, osservando
Princess Cadance guardarla con espressione furente mentre dietro di
lei alcune decine di Mutanti giacevano a terra: l'intera guardia
personale della Regina era stata messa fuori gioco prima ancora che
potesse accorgersene.
«Ah, quindi la
mia ultima impresa è già arrivata all'Impero di
Cristallo? Sono lusingata.» commentò, sarcastica, la
sovrana «Se sei arrivata qui per annoiarmi, ti interrompo
subito. Dovresti sapere meglio di chiunque altro che non ho, né
avrò, rimorsi per quello che ho fatto.»
«Lo
so.» annuì, con sorpresa, Cadance «Infatti non
sono qui per sprecare fiato con te. Perché forse potrai
nascondere le tue intenzioni da Twilight, ma io ti conosco troppo
bene.
So cos'hai fatto e cosa volevi da questa Guerra della Trinità!»
Queen Chrysalis alzò
le spalle «Guardati intorno. Il mio esercito è stremato
e io stessa sono stata sbattuta come un uovo dalle sirene. Quali
vantaggi credi che abbia, questa volta? So che mi odi, ma...»
«Del potere
del caos delle sirene non ti è mai importato.» la
interruppe Cadance. Quello tra lei e la Regina dei Mutanti era un
rapporto raro e che portava la Principessa dell'amore a dimenticarsi
delle buone maniere. Quello tra la Regina e la Principessa era un
raro caso di “Odio a Prima Vista”.
In ogni caso, Queen
Chrysalis non commentò e Princess Cadance continuò.
«I tuoi poteri
sono già ampiamente superiori alla media, senza contare
l'amore che potresti rubare dai tuoi sudditi o dalle tue vittime. Il
tuo unico proposito era vendicarti di Twilight e di come lei ti
avesse sconfitta; ma per farlo non ti servivano nuovi poteri, non
volevi affrontarla in un campo dove lei avrebbe potuto anche
superarti, per quanto questo non lo ammetterai mai a voce alta. Per
vendicarti hai voluto colpirla dritta al cuore, dritta a Ponyville:
raderla al suolo, distruggere tutto quello che Twilight ama e ha
giurato di difendere.»
Queen Chrysalis
sorrise a quelle parole. Non aggiunse una sola parola, ma era chiaro
che Princess Cadance avesse capito meglio di chiunque altro.
«Trovare
il Lago Specchio per te non doveva essere difficile. Hai a
disposizione praticamente la stessa quantità di conoscenza
racchiusa nelle biblioteche di Canterlot, ma anche un esercito
composto da milioni di soldati non era ancora sufficiente. Per
ottenere il tuo scopo avevi bisogno non di scatenare una guerra come
tante altre sono state affrontate, ma distruggere ogni
cosa che
Ponyville rappresentava. Avrai pensato di liberare il Tartaro, ma
sapevi che non solo era estremamente complicato, ma non saresti mai
riuscita ad avvicinarti senza scatenare le attenzioni delle
Principesse. E così hai ricorso ad un potere ancora più
antico: le Sirene.»
«Come credi
che possa essere venuta a conoscenza della loro esistenza?»
interruppe la Regina, scendendo dal divano senza staccare gli occhi
dalla rivale.
Cadance prese
qualche secondo per rispondere «Non puoi immaginare quanto mi
innervosisca il fatto che tu, dopo tutto quello che hai appena fatto,
tenti ancora di nasconderti!»
Queen
Chrysalis le rivolse un ghigno feroce «Oh, lo posso capire
benissimo,
invece. È proprio per questo che te lo dico.»
La
principessa ignorò lo scherno della sovrana e riprese «Ti
sei già intrufolata a Ponyville, durante gli eventi precedenti
la Cometa del Segretariato, perciò conoscevi già il
posto. Ma questa volta, il tuo piano non prevedeva di farsi scoprire:
i tuoi Mutanti dovevano mimetizzarsi
tra
la popolazione e loro lo hanno fatto diligentemente, rapendo e
rimpiazzando i suoi abitanti senza che qualcuno se ne accorgesse. E
così, mentre stringevi la tua morsa su Ponyville, arrivando
addirittura alle amiche di mia cognata, ti sei avvicinata allo
specchio, l'unico mezzo di collegamento tra Equestria e il mondo dove
si trovavano le sirene. Almeno dimmi, è stato difficile
trovarle?»
La Regina dei
Mutanti «Tre creature quasi onnipotenti che hanno cercato di
dominare una città nel giro di una notte? No, è stato
incredibilmente semplice risalire a loro e dove si trovassero.»
«E così
hai iniziato i rapimenti. Non ho ancora capito se il tuo piano
comprendeva nel catturare tutte e tre le sirene oppure fin
dall'inizio volevi lasciarne soltanto una; ma qualunque sia la
verità, non appena hai saputo che la Dazzling mancante era
arrivata a Ponyville con una guardia del corpo e Twilight li teneva
praticamente in ostaggio, hai fatto scattare la tua vendetta.»
«Parli di cose
che ormai sono chiare, Cadence.» commentò Queen
Chrysalis, sollevando con la magia un calice e una bottiglia da una
dispensa posta nell'altro lato della sala rispetto a loro e versando
da bere solo per lei.
«Sono pronta a
giurare che tu immaginassi che le tre sirene, nonostante quello che
li era successo, avevano ancora un collegamento con le energie del
Caos che le hanno generate. Tutto quello di cui avevi bisogno era di
scatenare un conflitto di proporzioni tali da risvegliare quelle
energie.»
«Le energie
del Caos non sono come le altre. Non puoi pretendere che, levato il
loro possessore, semplicemente vaghino per l'aria: hanno bisogno di
un vettore, di qualcosa che le raccolga e che le usi. E siccome non
mi risultava che il mondo degli umani si fosse spaccato in due per
quelle energie lasciate libere, era implicito che queste forze
dovevano aver semplicemente cambiato oggetto. Non più le
sirene, i cui medaglioni erano prima una semplice estensione di loro
stesse, ma li stessi ciondoli, ridotti dall'attacco di Twilight
Sparkle e delle sue amiche a semplice bigiotteria.» detto
questo, Queen Chrysalis bevve un lungo sorso prima di concludere
«Certo, non potevo essere certa che avessero fatto qualcosa, ho
dovuto scommettere sulla loro disperazione. Che dire, ho puntato
bene.»
«Oh,
sì...» annuì Cadance «E infatti tutto è
andato come avevi previsto. A Ponyville stanno ancora contando i
danni della Guerra e le Sirene si sono risvegliate. Ci è
addirittura scappato il morto, in mezzo al caos che hai scatenato.
Scommetto, però, che non ti aspettavi che la nuova condizione
di umane dotate di poteri magici delle Dazzling le avrebbe rese
decine di volte più potenti di quanto non fossero mai state.
Anzi, io so
che
non te lo aspettavi; così come il fatto che Adagio Dazzle
avrebbe voluto vendicarsi prima di te,
piuttosto che Twilight!»
Per la prima volta
da quando avevano iniziato a parlare, Queen Chrysalis aggrottò
la fronte.
Fu un gesto rapido,
fulmineo, indistinguibile da uno spasmo involontario.
Eppure, da quella
semplice azione, Cadance comprese subito che aveva appena colpito un
nervo scoperto.
«Ho scatenato
e affrontato la Guerra della Trinità, è vero. Ma è
anche vero che ne sono sopravvissuta, indipendentemente da quello che
volevo o no. Come vedi, sono ancora qui.» tentò di
difendersi Queen Chrysalis. Cadance ebbe l'impressione che la sua
voce avesse acquisito un improvviso tremito, che avesse perso quella
spavalderia che invece era solita mostrare, ma credette fosse solo
un'impressione e non vi diede peso.
Tuttavia, rincarò
la dose «Lo sai di chi sono nipote, giusto?»
Queen
Chrysalis inarcò un sopracciglio, non capendo «Tutto
il mondo sa
che voi alicorni siete tutti parte di un'unica famiglia, ormai!»
«Esatto. E
proprio per questo, Luna mi ha raccontato cosa sogni da quando sei
scappata nelle ultime fasi della Guerra della Trinità.»
Queen Chrysalis non
ribatté, ma strinse i denti mettendo in mostra i canini,
incupendosi in volto.
«Non
esisterà prigione da cui tu non possa scappare e forse nemmeno
una punizione che tu non possa aggirare. Ma io ti conosco, Queen
Chrysalis, ti conosco meglio di chiunque altro. Dici sempre che è
l'amore
che tiene voi Mutanti uniti, ma non specifichi mai se si tratta del
mio
amore
o dell'amore per
te.
Perché, ancor più del tuo dovere, tu sei orgogliosa.
Sei forse la creatura più egocentrica che cammini su questo
mondo.» detto questo, tra le due sovrane calò il
silenzio, interrotto solo dal rumore dei passi che Cadance compiva
per avvicinarsi alla rivale.
Cominciando con un
sussurro, la principessa di cristallo sibilò le sue parole di
commiato che sapevano tanto di condanna «Voglio che tu ricorda
bene quello che sto per dirti. Siamo noi, i Pony, che hanno vinto la
Guerra della Trinità. Non tu, né il tuo esercito, siete
riusciti a fermare le Sirene, i loro poteri e la furia del Tartaro. E
non puoi sapere cosa sarebbe potuto succedere se le Dazzling avessero
invece vinto.»
«Il mio regno
può resistere a qualunque nemico...» la interruppe la
sovrana dei Mutanti, seppur arretrando di un paio di passi come se la
principessa pony avesse improvvisamente cominciato a farle paura.
Forse aveva capito dove voleva arrivare.
«Chi
lo sa, forse è proprio così. Ma tu?»
Queste
parole zittirono del tutto Queen Chrysalis, che rimase a guardare la
principessa con uno sguardo impotente.
«Hai
nemici potenti, Regina dei Mutanti. E lo sai. Perciò,
ogni volta che il sole ti accarezzerà il carapace, ogni volta
che ti coricherai a dormire durante la notte e ogni volta che
sentirai delle lodi al tuo nome, rifletti bene su questo: se sei viva
e puoi continuare la tua vita lo devi solo a noi. I
Pony.
A noi e nessun altro.»
Nella sala piombò
nuovamente il silenzio. Cadance si era alzata in volo per avvicinarsi
con il muso a quello della Regina e si era fermata a pochissimi
centimetri dal muso di Chrysalis, quasi come se stesse per baciarla
in mezzo agli occhi verdi.
«Ci
devi la vita, Queen Chrysalis. A me, a Twilight... e ad ogni singolo
pony che vive in questo momento.»
La Regina dei
Mutanti accolse quella verità come un sasso lanciato dritto
dentro lo stomaco. Per quanto odiasse ammetterlo, lei non aveva il
potere per resistere ad una sola Sirena, figurarsi tutte e tre
riunite.
«Come ti fa
sentire, questo, Regina dei Mutanti?» domandò infine
Princess Cadance, prima di sparire in una luce azzurra.
Queen Chrysalis
rimase a fissare avanti a se, ansimando, come se per la prima volta
in tantissimi anni non sapesse cosa fare, come reagire ad una
situazione. Alla fine, stravolta, scagliò con tutta la sua
forza il calice di vetro contro la parete, mandandolo in frantumi.
Mentre la pioggia di
vetro cadeva dal muro, riempiendo la sala con il suo tintinnio
delicato, la sovrana alzò gli occhi e gridò al cielo la
propria furia usando tutto il fiato che aveva nei polmoni, cercando
sollievo in quella profonda ferita scavata nel suo orgoglio e che mai
si sarebbe rimarginata del tutto.
Lei era debitrice
dei Pony. Le avevano salvato la vita.
E non poteva fare
niente per cambiarlo.
La notte era ormai
giunta e nella radura sopraelevata dove le Dazzling avevano stabilito
il loro rifugio dove riposarsi soltanto la luna teneva illuminato
l'ambiente.
Mentre Adagio e
Sonata riposavano nell'alloggio che avevano costruito in pochi
secondi grazie ai loro poteri, Aria restava ferma come una statua di
sale sul ciglio di uno strapiombo che dava su di un paesino poco
lontano. La sua modesta superficie e l'aspetto rustico delle case le
ricordavano molto Ponyville e perciò anche molto pensieri poco
felici.
Tra le lunghe dita
da pianista, la sirena giocava con un anello su cui era incastonato
un piccolo rubino: lo stesso anello che indossava Alastor.
Restò
indecisa ancora per qualche secondo e poi, con un gioco di dita, lo
infilò all'anulare sinistro.
Immediatamente,
Alastor spuntò alle sue spalle uscendo da dietro un albero «Mi
hai chiamato?»
Aria
non rispose, ma per l'umano quel silenzio era più che
sufficiente. Affiancò la ragazza riflettendo a voce alta
«Grazie per avermi lasciato al Black
Canary.
Non avrei mai pensato che... be', nella mia condizione... avrei
davvero preferito venire lasciato da qualche parte piuttosto che da
un'altra. Comunque mi spiace che le tue amiche, nonostante tutto, si
sentano un po' in colpa per quello che è successo, forse
potresti...»
«Non è
colpa loro.» lo interruppe Aria, tenendo ancora lo sguardo
verso quella piccola città e parlando a denti stretti «La
colpa è tua. Non di Adagio, ma solo tua...»
Alastor si zittì,
abbassando lo sguardo come se si sentisse improvvisamente in colpa.
Finalmente
Aria si voltò verso di lui «Io sono una Sirena: dove
passo semino il caos e la mia parola crea la discordia... e mi andava
bene così! Ero felice anche quando eravamo solo io, Adagio e
Sonata, perché sapevo
che
non avevo altro, che con la mia natura non avrei mai potuto avere
altro! Loro sono la mia famiglia, Alastor... ma poi è arrivata
Twilight e quello stupido potere, che non ha niente di meglio da fare
che renderci tutte e tre umane. Ma non basta! Perché almeno
Adagio e Sonata si sono salvate dalla parte peggiore, la parte che
tu,
grosso idiota, mi hai mostrato!»
Alastor ricambiò
lo sguardo di Aria, rispondendo debolmente alla sua ramanzina «Io...»
«Sì,
tu. Tu!» esclamò Aria, puntandogli contro un dito.
Sebbene fosse di una testa più bassa di lui, e con un fisico
nemmeno lontanamente paragonabile, riusciva a tenergli testa come se
fosse stata un gigante «Tu mi hai mostrato che potevo essere
felice... anche senza tutto questo. Mi hai fatto vedere cosa
voleva dire poter conoscere altre persone senza vederle poi odiarsi,
cosa si... prova... ad avere accanto qualcuno che tiene a te senza
una ragione precisa. Cosa vuol dire...»
Aria non riuscì
a finire la frase. Abbassò nervosamente il braccio e si morse
il labbro.
Alastor
alzò le mani «Ehi, non siamo negli anni settanta dove se
non volevi conquistare il mondo non eri nessuno! Tu e le altre state
facendo quello che chiunque,
con i vostri poteri, farebbe! Potete fare ogni cosa, esplorare nuovi
mondi... cosa ti rende così nervosa?»
Offesa, Aria scattò
e tirò un pugno dritto in mezzo agli occhi dell'umano, ma
questo gli passò attraverso, trascinando con sé la
sirena che così oltrepassò il bordo del precipizio. Ma
non cadde, rimase sospesa nel vuoto.
Superata
l'immagine residua del ragazzo, il rancore della sirena mutò
presto in malinconia e con la voce spezzata rispose «Voi del
Black
Canary,
tutti assieme, non fate un cervello... credi che vi avessi tradito
perché sono stupida? Io stavo per tornare alla mia natura e vi
ho tradito, vi ho lasciato indietro... perché voi non avete
fatto lo stesso? Ma tu, sopratutto! Perché hai voluto
continuare, cosa ti aspettavi? Chi ti ha detto che avevamo bisogno di
aiuto con Tirek? Perché hai insistito?»
Alastor si voltò
verso Aria e lei, guardandolo negli occhi, sbraitò «Perché
sei dovuto morire?»
Alastor
non rispose ad alcuna domanda, ma la sua espressione lasciava
intendere quanto si dispiacesse per lei.
Dopo
un minuto buono di silenzio cominciò ad avvicinarsi a lei,
muovendosi nel vuoto a sua volta. Quando arrivò davanti a lei
le mise le mani sulle spalle. Contrariamente a quando Aria aveva
provato a colpirlo, questa volta lei avvertì la presa del
ragazzo, calda e delicata come una carezza, sulla sua pelle.
«Mi
dispiace.» disse, semplicemente «Se c'è qualcosa
che posso fare per...»
Aria
osservò Alastor negli occhi senza dire una parola, ma quegli
occhi viola furono sufficienti per troncare ogni parola a cui il
ragazzo poteva pensare.
Nella
pace e nel silenzio che riempivano quello spazio incontaminato, gli
sguardi dei due ragazzi sembravano voler dire più di mille
parole e nella magia del momento l'atmosfera si addolcì ancora
ed entrambi cominciarono, quasi involontariamente, a intonare
Something
Stupid.
I
can see in your eyes,
that
you despite the same old lines
You
heard the night before
And
though is just a line to you,
For
me it's true
It
never semmed so right before
The
time is right, your perfume fills my head, the stars get red and, oh,
the night's so blue And then I go and spoil it all by sayin'
something stupid like
“I
love you”
I
due si specchiarono l'uno negli occhi dell'altra e, lentamente, le
loro bocche si avvicinarono mentre, insieme, concludevano la canzone.
The time is
right, your perfume fills my head, the stars get red and, oh, the
night's so blue And then I go and spoil it all by sayin' something
stupid like “I love you”
I love you I love
you I love you
Aria Blaze scivolò
e si ritrovò di nuovo in piedi sul ciglio dello strapiombo.
Intorno a lei c'era di nuovo nessuno.
Sola, avvertì
un nodo alla gola troppo stretto perché potesse scioglierlo e
cadde a sedere, con i piedi sospesi nel vuoto e gli occhi che
cominciavano ad inumidirsi. I singhiozzi vennero poco dopo e si portò
le mani sul volto, coprendosi la faccia come se non volesse farsi
riconoscere.
Secoli addietro,
all'apice dei suoi poteri, Aria si sentiva superiore a chiunque
altro, come due creature in una: da una parte l'antico pegaso che si
era riscattato e dall'altra il senso di appartenenza ad una razza
priva di vincoli mortali, a cui era permesso ogni cosa.
E ora?
Anche ora, Aria si
sentiva come in due.
Da una parte la
sirena, che attraversa ossequiosamente la sua esistenza immortale e
dall'altra l'umana, incapace di dimenticare quello che ha avuto.
Perché quel momento, ormai, non sarebbe mai più
tornato.
Due miserie, in un
corpo solo.
My
Litte Pony - La Guerra Della Trinità
FINE
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