Lone's Heart

di Deline
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il cuore di Lone ***
Capitolo 2: *** Anno VI Giorno 21, Hancock - Ricordi di scuola ***
Capitolo 3: *** Anno VI Giorno 25, Eruditi HQ - Giochi di Ruolo ***
Capitolo 4: *** Anno VI Giorno 28, Eruditi HQ - Lonewolf ***
Capitolo 5: *** Anno VI Giorno 28, Hancock - Ricordi: L’inizio di tutto ***
Capitolo 6: *** Anno VI Giorno 28, La Tana - Magdalene ***



Capitolo 1
*** Il cuore di Lone ***


Il mio vero nome è Guendeline, anche se ormai per tutti sono Lonewolf, o più semplicemente, Lone.

Sono nata e cresciuta tra i Pacifici e i primi sedici anni della mia vita sono stati ordinari, ero una ragazzina come tante altre all’interno della recinzione: seguivo le attività della mia fazione, andavo a scuola e avevo un ragazzo, ma un giorno accadde qualcosa che cambiò per sempre la mia vita.

Fui costretta a fuggire oltre la recinzione e venni accolta in una struttura chiamata Dipartimento di Sanità Genetica. Scoprii di aver davvero vissuto in un gigantesco esperimento e che la donna che avevo visto nel video sul computer di Jeanine Matthews diceva la verità.

Sin da bambina mi era stato detto che la recinzione serviva per farci stare al sicuro, a tenere lontani i pericoli ma la realtà è ben diversa: non serve a non far entrare, bensì a non far uscire.

Il generale Walter Crowe, capo della sicurezza del Dipartimento, mi accolse nella sua casa e mi trattò come una figlia. 

Passai due lunghi anni al Dipartimento ma il mio cuore era rimasto all’interno della recinzione. Fu per questo motivo che chiesi al generale Crowe di farvi ritorno come infiltrata. 
 

Mi venne data una nuova identità e, con l’appoggio degli Abneganti, tornai all’interno della recinzione.

Ormai sono passati otto anni dal giorno che cambiò la mia esistenza e ora, una mite Pacifica, che ha sempre odiato la violenza, è diventata non una semplice Intrepida, ma vera guerriera. 
Tutto questo solo per amore di un uomo e del dono che mi lasciò prima che ci separassero.

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Capitolo 2
*** Anno VI Giorno 21, Hancock - Ricordi di scuola ***


Sono sulla cima dell’Hancock, il sole si sta lentamente avvicinando alla linea dell’orizzonte, per oggi il suo viaggio nel cielo è terminato.
Adoro osservare il tramonto dalla cima dei grattacieli, mi fa sentire in pace, soprattutto ora, dopo l’attacco agli Abneganti, la città sta lentamente piombando nel caos e tutto peggiorerà quando Eric e gli altri faranno irruzione nello Spietato Generale. 
L’ordine è di prelevare i Divergenti segnalati dagli informatori di Jeanine e innestare nelle altre persone un nuovo tipo di ricevitore per il controllo mentale.
Purtroppo per i Divergenti non posso fare nulla, ma per quanto riguarda i trasmettitori, Vera e Matt hanno lavorato a un software che li metterà fuori uso completamente, mi basterà solo inserire il virus per garantire a Vera l’accesso e poi mettermi comoda e farmi due risate nel vedere quei cervelloni dare di matto mentre il loro programma si autodistruggerà davanti ai loro occhi.
Vorrei riuscire a godermi questo tramonto ma non riesco a non essere preoccupata per l’irruzione. So che dovrei pensare a quante persone resteranno ferite e magari moriranno, ma l’unica cosa che riesco a pensare è che Eric potrebbe essere uno di loro. 
Un carnefice che la fa fine delle sue vittime… mio Dio, sto diventando un mostro anche io? Sto pregando perché ad Eric non accada nulla mentre fa irruzione in un edificio dove la maggior parte della gente è disarmata! 
Quando si tratta di lui, il bene e il male si mischiano insieme e da essi esce qualcosa che non è né uno né l’altro, ma qualcosa che può essere accettato senza critiche o sensi di colpa. Perché lo amo ancora?
Basta. Non voglio più pensare a queste cose. Devo smetterla di guardare verso il luogo dall’irruzione, devo trovare bei pensieri… i campi dei Pacifici, i miei amati campi, la mia fazione. 
Era tutto così bello e semplice quando ero bambina, sembrava quasi che il male non esistesse, era tutto gioia e colori. Quello che mi manca di più della mia vecchia fazione sono le primavere e le estati, quando potevo restare fuori a giocare e intorno a me la natura si stava risvegliando dal suo sonno invernale. I raccolti dell’estate, anche quelli sono un ricordo che mi riempie il cuore di calore… arrampicarsi sugli alberi insieme agli amici, rubare qualche mela e poi correre via a nascondersi nel piccolo boschetto. I giochi, le marachelle, le risate…quanto vorrei si potesse tornare indietro.
Erano giorni spensierati ma come tutto, hanno avuto una fine per lasciare spazio a un nuovo inizio: l’adolescenza. Il mio periodo dolce e amaro, gli ultimi anni sereni prima che la mia vita venisse cambiata per sempre. In un solo anno ho conosciuto la più grande gioia, l’amore, e il più terribile dei dolori, la separazione.

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Capitolo 3
*** Anno VI Giorno 25, Eruditi HQ - Giochi di Ruolo ***


Il laboratorio è deserto, tutti i cervelloni sono in pausa pranzo. 
Non hanno lasciato neanche un Intrepido di guardia alla porta, si fidano ciecamente della loro tecnologia. Stolti. É bastato far inserire a Vera il solito loop di immagini per nascondere la mia presenza in questa camera delle torture.
Davanti a me c’è una fila di poltrone, sei in tutto, e sono occupate da tre uomini, due donne e un bambino: tutti Divergenti. 
Sembrano dormire pacifici ma la realtà è ben diversa. 
Nei loro corpi sta scorrendo il siero usato dagli Intrepidi nella seconda fase del loro modulo di addestramento. Il siero oltre a contenere un trasmettitore, stimola l’amigdala, una parte del cervello responsabile della gestione delle emozioni negative, come la paura, inducendo una allucinazione. L’attività elettrica del cervello viene trasmessa al computer, che traduce l’allucinazione in un’immagine simulata che gli Eruditi possono vedere e registrare. 
L’allucinazione scompare solo se ci si calma, ma questo non è il siero usato dagli Intrepidi, questa è una sua variante. Non si limita solo a inviare dati, riceve anche ordini.
Quando il computer registra un rallentamento del ritmo cardiaco e del respiro, invece di fermare la simulazione, invia un nuovo stimolo che la fa ricominciare daccapo.
Mi domando se si limitano solamente a raccogliere dati e ad analizzarli oppure, qualcuno di questi mostri, ne fa una copia e se la porta nella sua asettica casetta e ci si masturba sopra. Per quanto possa essere inquietante potrebbe davvero esserci qualcuno che lo fa davvero, molti di questi cervelloni sono dei deviati.
La versione del siero usato dagli Intrepidi ha una durata limitata, mentre quella che stanno usando è stata migliorata fino a farla durare circa ventiquattro ore. 
Le persone sedute su queste sedie sono qui da quattro giorni, questo vuol dire quattro iniezioni, non è più ricerca scientifica, questa è tortura. Vengono spinti al limite per studiare quanto un Divergente riesce a resistere in queste condizioni.
In quattro giorni di test sono già morte otto delle quindici persone catturate durante l’irruzione allo Spietato Generale. Speravo fossero le ultime, ma pare che Jeanine abbia informatori in tutte le fazioni e presto altri Divergenti prenderanno il posto i quelli che sono morti.
Appoggio la piccola valigetta su uno dei carrelli e la apro facendo attenzione a non far cadere tutte le provette, etichettate e disposte con un ordine e una precisione maniacali tipiche degli Eruditi. 
Vorrei buttarle tutte a terra, sentirle andare in pezzi, prendere uno degli sgabelli e distruggere quel maledetto computer, ponendo fine alla sofferenza di questa povera gente. Lo farò, un giorno lo farò, questo non è il momento, non devo lasciare alcuna traccia del mio passaggio altrimenti qualcuno pagherà con la vita.
Prendo una delle siringhe e inizio il mio quotidiano e segreto lavoro di infermiera. 
Inserisco l’ago nella prima filetta e mi avvicino a una delle poltrone. 
Su di essa c’è un bambino, è un Candido e ha solo nove anni. 
Non ho idea del perché Jeanine abbia scelto un soggetto così giovane, le “cavie” migliori dovrebbero avere almeno ventisei anni. 
Non mi interessa, non mi importa per quale assurdo motivo Jeanine stia facendo torturare questa povera creatura, io sono qui per salvarlo. 
Inietto nel suo collo la sostanza che mi hanno dato i medici del Dipartimento, non ho idea di cosa sia ma mi fido di chi l’ha preparata. 
Estraggo l’ago e il piccolo sussulta, scosso da un tremito. 
«L’ultima paura, la peggiore» mormoro.
Mi siedo sul bordo della poltrona e prendo la sua mano nella mia mentre con l’altra gli accarezzo dolcemente i capelli. Il torace del piccolo si alza e sento il debole suono dell’aria che entra nelle sue labbra semiaperte. 
Si calma e lo sento mormorare un nome femminile. Sono certa che è il nome della madre.
Mi chino su di lui e gli bacio la fronte sussurrandogli che andrà tutto bene e che presto la mamma lo sveglierà da quel brutto sogno.
«Mamma» mormora e sento il mio cuore andare in pezzi. 
Mi mordo l’interno della guancia nel vano tentativo di fermare le lacrime che hanno già invaso i miei occhi e che cominciando a scendere lungo il mio viso.
L’orrore in cui è costretto a vivere quel bambino e il dolore della madre che probabilmente lo crede morto, sono paure che mi toccano nel profondo.
Guardo il bambino e per un attimo, il viso del piccolo, reso tremolante dalle mie lacrime, prende la forma di quello della mia Deline.

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Capitolo 4
*** Anno VI Giorno 28, Eruditi HQ - Lonewolf ***


L’operazione Sleeping Beauty si è appena conclusa con successo e tutto grazie al mio tocco creativo. La dama bianca, una creatura a metà tra un angelo e una fata, una perfetta rappresentazione di purezza e dolcezza. 
Sicuramente Walter non la penserà come me, ci sono rigidi protocolli da seguire e io li ho appena infranti tutti. Il fine giustifica i mezzi e poi sono stufa di passare ore sdraiata in quella intercapedine, ho le spalle e la schiena a pezzi.
«Cosa ci fai qui?» sento domandare da una voce alle mie spalle.
Conosco fin troppo bene quella voce, è quella di Eric. 
Questa non ci voleva, io non dovrei essere qui, ma di pattuglia nel mio settore che è molto lontano dal quartier generale degli Eruditi.
Mi volto, Eric è in piedi davanti a me e mi sta osservando con sguardo torvo. 
Essere preso in giro da Tris l’ha fatto arrabbiare più di quanto pensavo. Questa sera sarà insopportabile. 
«Ho sentito che la Rigida si è svegliata, ero curiosa di…»
«Hai scelto di essere assegnata alla sorveglianza degli Esclusi, non dovresti trovarti qui» mi interrompe.
Touché. Sono stata la prima del mio corso, avrei potuto scegliere un buon lavoro e invece ho scelto il peggiore: la sorveglianza degli Esclusi. 
Purtroppo è stata una scelta obbligata, dovevo garantirmi una buona libertà di movimento e soprattutto l’accesso alla giusta zona della città, quella vicino al passaggio creato nella recinzione. 
Non è stato facile convincere Eric, lui voleva tenermi al guinzaglio, mi ha proposto ottimi lavori all’interno della residenza, era riuscito addirittura a convincere a Max che aveva bisogno di una assistente. Non è stato felice quando ho rifiutato. 
Mi sarebbe piaciuto non fare niente dalla mattina alla sera, ma io sono stata infiltrata all’interno della recinzione per un incarico molto importante. 
Il mio lavoro è scovare i Divergenti prima di Eric e metterli in salvo nella nostra base operativa, nascosta in uno dei quartieri degli Esclusi, in attesa del loro trasferimento al Dipartimento. 
In tutti questi anni ho fatto un ottimo lavoro ma Eric mi ha dato parecchio filo da torcere, è maledettamente bravo a identificarli e, purtroppo, a farli  fuori. Per fortuna io sono molto più brava di lui, infondo sono sei anni che sta insieme a una Divergente ma non se n'è mai accorto. Recito molto bene la mia parte, almeno così mi piace pensare, ma molto probabilmente lui prova qualcosa di più di una semplice attrazione fisica, in un modo che ancora non so spiegare, è coinvolto emotivamente e questo mi aiuta a sperare che, tra noi due, tutto possa tornare come era un tempo.
«Chiedo scusa signore, non si ripeterà più» mormoro abbassando lo sguardo. Sottomettersi, è questo il trucco per tenere buono Eric. 
Gli lancio un’occhiata veloce e vedo il suo sguardo farsi meno truce.
«Hey dolcezza…» mi dice sollevandomi il mento con le dita.
«Non chiamarmi dolcezza, sai che lo odio. Non sono una scialba bambolina con un nome insulso come Harmony o Destiny o Melody!» esclamo furente.
Non lo tollero e lui lo sa benissimo. 
Eric scoppia a ridere. Se prova di nuovo a chiamarmi con uno di quei nomi, i suoi testicoli andranno a tener compagnia alle sue tonsille.

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Capitolo 5
*** Anno VI Giorno 28, Hancock - Ricordi: L’inizio di tutto ***


Sono di nuovo sulla cima dell’Hancock.
Dovrei essere alla base operativa davanti a una webcam per finire di fare rapporto a Walter, ma non è neanche mezzogiorno, posso concedermi una piccola pausa.
Adoro questo edificio, è il più alto di Chicago e posso avere un’ottima visuale di tutta la città, peccato che il mio sguardo continua a indugiare sulla mia vecchia scuola.
É uno dei luoghi che mi è più caro all’interno della recinzione perché è lì che ho conosciuto Eric.
A quei tempi era diverso, è vero, era spocchioso, invidioso e aggressivo ma non brutale come adesso e non era neanche gentile o premuroso, almeno non all’inizio, ma frequentandoci sono emersi lati del suo carattere che non avrei mai immaginato.
Scoppio a ridere ricordando il nostro primo appuntamento, a com’era impacciato negli approcci e quanto è stato disastroso come appuntamento.
A causa del progetto “Poesia in musica”, il consiglio d’istituto ha permesso a noi alunni di fermarci a scuola fino alle nove di sera, per due giorni a settimana, in modo da portare avanti il progetto senza perdere ore di lezione.
Io ed Eric stavamo fingendo di lavorare a una poesia, quando in realtà lui mi stava aiutando a prepararmi per il test di algebra.
Era passato più di un mese dal giorno dell’assegnazione di quel bizzarro progetto e, sebbene ci fosse ancora chi ci stava lavorando, io e lui l’avevamo finito in meno di tre settimane.
Ancora adesso mi chiedo come sia possibile che due persone così diverse riescano ad innamorarsi l’una dell’altro in così poco tempo. Non ha importanza, è successo e questo mi basta.
Erano le sei del pomeriggio ma sembrava molto più tardi. Il cielo era coperto da nubi scure che rendevano il paesaggio surreale e tetro.
Come al solito io capivo metà delle cose che Eric cercava di spiegarmi, ma era stranamente gentile, non aveva sbuffato neanche una volta. Di solito era un alternarsi di sbuffi, lamentele e a volte rimproveri per il mio scarso interesse per quella materia.
Dopo la mia ennesima risposta sbagliata, lui sospirò e mi disse che era meglio fare una pausa perché mi vedeva meno concentrata del solito.
Non era affatto vero, era lui ad essere poco chiaro e a farmi fare esercizi del suo livello, molto più alto del mio, solo per avere una scusa per fare una pausa.
Purtroppo questo lo scoprii solo prima di tornare a casa e così mi sentii una ritardata per tutta la serata.
«Hey, la conosci la storia della vecchia ala della scuola?» mi domandò avvicinandosi di più a me.
«É stata chiusa perché era pericolante e non c’erano abbastanza risorse per sistemarla»
«Questa è la versione ufficiale, ma la verità è molto più inquietante»
Guardò l’insegnante incaricata di sorvegliarci, era assorta nella lettura suo libro.
Eric si portò l’indice davanti alla bocca e mi fece segno di seguirlo. Lo assecondai.
«Non stiamo andando nella vecchia ala, vero?» gli chiesi appena usciti dall’aula.
Lui non mi rispose. Si incamminò verso la parte dell’edificio che ci era stato categoricamente detto di evitare e io stupidamente lo seguii senza batter ciglio.
Lo ammetto, lui mi piaceva e restare sola con lui non mi dispiaceva affatto, anche se la cosa mi avrebbe fatto finire in punizione.
«É qui dentro, oltre questa porta, che tutto è successo» disse con un tono serio che mi fece venire i brividi.
«Cosa è successo?»
«Qualche anno fa, alcuni studenti Intrepidi, hanno portato qui le loro ragazze per divertirsi un po’. Decisero di giocare a “sfide” e di arrampicarsi su quelle travi» disse indicando colonne di ferro arrugginite che si perdevano nel buio della stanza.
I due piani sopra quello in cui ci trovavamo erano crollati a causa di un terremoto e fu quella la causa della decisione di chiudere questa parte della scuola.
«Quando arrivarono su quello che restava del secondo piano, il pavimento crollò di colpo e loro caddero sulle macerie finendo infilzati su alcune barre di acciaio»
Fuori un forte tuono chiuse la sua frase facendomi sobbalzare.
«Hai paura?» domandò con voce calma e sorriso spavaldo che mi fecero innervosire.
Non sono una di quelle ragazzine sceme che si lasciano fregare dal ragazzetto di turno che racconta loro una storia inquietante durante un temporale.
«No. Il tuono mi ha solo colta di sorpresa»
«Buon per te, perché non ti ho ancora raccontato la parte peggiore» disse con un sorriso reso grottesco dalla poca luce che filtrava dalle finestre per metà chiuse da assi di legno.
«Esattamente un anno dopo la tragedia, le loro ragazze vennero qui a portare dei fiori. Era una serata proprio come questa, con un bel temporale»
Fece una pausa dopo un lampo, in modo che il tuono rendesse più spaventosa la narrazione.
Un trucco che può funzionare con le ragazze delle altre fazioni, ma non con le Pacifiche, noi conosciamo bene la natura in tutte le sue manifestazioni.
«La mattina dopo le trovarono morte, tutte tranne una. Gli Eruditi non furono in grado di definire la causa della morte. La ragazza rimasta in vita non era in grado di aiutarli, vaneggiava, diceva che erano stati i fantasmi dei loro ragazzi ad ucciderle»
Un’altra pausa e un altro tuono.
«Lasciami indovinare, oggi è l’anniversario della morte dei ragazzi»
Vidi spegnersi il sorriso compiaciuto di Eric, non mi sentii in colpa, mi sentii un’idiota.
Il temporale, noi due soli in un luogo tetro, era tutto perfetto per fingermi spaventata e buttarmi tra le sue braccia.
Dietro di noi qualcosa scricchiolò. Pregai nel provvidenziale aiuto della natura che era sempre stata un’amica fedele, ma non ci fu né un lampo e né un tuono.
«No, è accaduto in estate. Oggi ricorre un altro anniversario»
«Quale?»
«Il suicidio della ragazza che impazzì. Si impiccò proprio lì» indicò un punto alle mie spalle.
Mi voltai. Un lampo, seguito da un tuono quasi assordante, illuminò un cappio che dondolava come se ancora ci fosse appeso un corpo.
Gridai e mi buttai tra le braccia di Eric. Lui mi strinse a sé e ridacchiò.
«Paura?»
«No. Lampo, tuono e folata di vento mi hanno colta di sorpresa»
«Porte e finestre sono state chiuse con assi e coperte con teli di plastica, come ha fatto a entrare il vento?»
«Non lo so, sei tu l’Erudito, trovare una motivazione logica per il cappio che dondola è la tua ragione di vita»
Non rispose, continuò a guardami negli occhi.
Sapevo cosa sarebbe accaduto. Avrebbe dovuto baciarmi, ma lui resta lì, immobile a fissarmi.
Iniziai a pensare che forse era solo uno dei suoi soliti giochi crudeli, ma non capivo perché lo stesse facendo con me. In quel mese eravamo diventati amici, non facevo più parte della cerchia di persone che lui si divertiva a tormentare.
Non avevo intenzione di restare in quel posto, con un cappio che penzolava alle mie spalle e così decisi di prendere l’iniziativa.
«A questo punto non dovresti baciarmi?»
«Dovrei?»
«Dovresti»
Si chinò su di me e sfiorò le mie labbra con le sue. Erano così morbide e calde che non le avrei abbandonate neanche se fossero apparsi tutti i fantasmi della sua storia.
Il mio primo bacio, il suo primo bacio. Il nostro primo bacio.
L’inizio di tutto.
Quello era il mio Eric. Quel ragazzo, forse un po’ spocchioso, ma che era anche in grado di provare sentimenti profondi.
L’uomo con cui divido il letto, quello che si è definito il mio uomo in questi ultimi sei anni, non è altro che il pallido ricordo di quel ragazzo, lo spettro dell’uomo che sarebbe diventato se io non avessi rovinato tutto.
Inutile piangere sul latte versato, devo continuare a impegnarmi per riportare indietro il mio Eric.
É questa la mia missione. É questo il vero motivo del mio ritorno all’interno della recinzione: riprendermi il mio uomo.
 

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Capitolo 6
*** Anno VI Giorno 28, La Tana - Magdalene ***


Sono seduta all’interno del passaggio che il generale Crowe chiama La Tana del Bianconiglio è un nome assurdo ma appropriato. 

Nella favola, Alice insegue un coniglio bianco fino dentro a una tana che le permette di raggiungere il paese delle meraviglie. É la stessa cosa che facciamo noi, attraversiamo questo cunicolo scavato nella recinzione che ci porta fuori da Chicago. 

Non ho ancora ben capito quale sia il paese delle meraviglie: Chicago o il Dipartimento? Nessuno dei due mi sembra tanto meraviglioso, ma non lo è neanche quello di Alice, l’ho sempre trovato inquietante e caotico. In ogni caso, il capo è lui e gli ordini non si discutono. 

Quattro è seduto davanti a me, appoggiato alla parete di fronte alla mia e con le dita tamburella sul suo ginocchio. É impaziente di conoscere il mio segreto ma ho ancora qualche timore a rivelargli tutto. 

Siamo amici da quando sono entrata negli Intrepidi e si è sempre dimostrato comprensivo e leale, ma quello che gli rivelerò potrebbe spingerlo a vedermi sotto una nuova luce, potrebbe smettere di fidarsi di me e il nostro legame si spezzerebbe rischiando di mandare al diavolo anni di lavoro sotto copertura.

Ormai il dado è tratto, non posso tirarmi indietro e non c’è un modo per rendere meno scioccante quello che nascondo. 

Faccio un profondo respiro e prego che tutto vada bene.

«Tobias, io non sono quella che credi, però quello che provo per te è sincero e anche gran parte delle cose che ti ho detto sono vere, ti ho mentito solo riguardo alla mia identità e parte del mio passato»

Quattro si incupisce ed io penso che forse avrei potuto evitare la premessa e confessare tutto senza neanche fermarmi per riprendere fiato.

«Magdalene che…» 

«Quello non è il mio vero nome» lo interrompo «Io mi chiamo Guendeline e sono nata ventiquattro anni fa nella fazione dei Pacifici»

Resta con la bocca aperta. Le sue labbra carnose sono tremolanti, quasi sul punto di dire qualcosa, ma sembra che la sua mente fatichi a scegliere cosa dire, o forse è bloccata dall’incredulità. 

La piccola Lone, affidabile compagna di chiacchierate sotto le stelle, gli sta dicendo cose che sembrano non avere senso.

Rimane immobile e il silenzio che regna in questo cunicolo diventa più opprimente del caldo umido e dell’odore della terra bagnata.

«Perché allora ti spacci per un’Abnegante e ti fai chiamare Magdalene?» 

Finalmente rompe il silenzio ma il suo sguardo non è incredulo come pensavo, è serio, troppo serio per non spaventarmi.

«Otto anni fa, poco prima del giorno della Cerimonia della Scelta, sono venuta a conoscenza di informazioni segrete e sono stata scoperta» chiudo gli occhi e il ricordo di quello che è accaduto appare nitido nella mia mente, come se fosse successo solo qualche giorno fa. Riapro gli occhi immediatamente perché se mi abbandono al ricordo scoppierò in lacrime.

«L’unico modo che avevo di sopravvivere era fuggire fuori dalla recinzione» faccio un profondo respiro e, quando sono certa che nessuna lacrima scivolerà lungo le mie guance, riprendo a parlare: «Scappai attraverso i campi dei Pacifici per un tempo che mi sembrò infinito. Quasi allo stremo delle forze intravidi una struttura che sembrava abitata, mi trascinai fino al cancello e l’ultima cosa che vidi, prima di perdere i sensi, fu il generale Crowe»

«Il Dipartimento di Sanità Genetica» si passa più volte la mano sulla fronte poi si ferma di colpo e mi guarda.

«Un momento, tu hai detto otto anni fa, quindi vuol dire che abbiamo la stessa età, ma tu hai fatto l’iniziazione due anni dopo di me» mi fa notare.

Il motivo è semplice, solo che non so che effetto avrà questa rivelazione. Tutto cambierà e non solo tra noi due, anche se mi dirà che non è così, in realtà il suo modo di vedere le cose sarà diverso e con esso i comportamenti che porta con sé la scoperta di tale segreto. No. Non mi sento ancora pronta.

«Non era sicuro reinserirmi subito nel sistema delle fazioni, ero una ricercata. Dovevamo aspettare che si calmassero un po’ le acque» 

Lo guardo e sembra credere a quello che sto dicendo, perché ha una sua logica e mentire in modo convincente fa parte del mio addestramento. Purtroppo io sto parlando con Quattro, la persona che riesce a leggermi dentro in un modo che non ho mai compreso fino in fondo.

«Potevo tornare nella mia vecchia fazione ma sarebbe stato un rischio. I Pacifici sono affidabili per quanto riguarda la collaborazione con il Dipartimento, ma non quanto gli Abneganti, nostri fedeli alleati da quando sono state create le fazioni» gli spiego. 

Non dare modo al tuo interlocutore di ribattere e spostare la sua attenzione su qualcosa che cattura la sua curiosità, è uno dei modi migliori per evitare domande che potrebbero mettermi con le spalle al muro.

«Vuoi dire che gli Abneganti sono sempre stati alleati con il Dipartimento?»

Ci è cascato, sono salva, anche se mi sento sporca. 

Lui è Tobias, il mio amico, quello che mi ha confidato i suoi più intimi segreti, dalle violenze del padre all’amore per Tris e io ora sto continuando a nascondergli la parte più importante della mia vita.

«Sì, loro ci hanno sempre aiutato, non solo dandoci un luogo per creare una base operativa, ma anche nella ricerca e protezione dei Divergenti»

Tobias, sempre pronto a consolarmi quando Eric mi maltrattava. Tobias quello che mi faceva ridere quando mi sentivo appezzi. Tobias che mi ha aperto la sua anima.

«Quindi hai aspettato due anni al Dipartimento per avere la certezza di essere stata dimenticata, o data per morta, e sei tornata con un’identità falsa» mi dice con un sorriso dolce sulle labbra.

Tobias che mi vuole ancora bene dopo aver scoperto che gli ho mentito per anni. No, non posso fargli questo.

«Ho aspettato due anni in modo da ricevere un buon addestramento e partorire mia figlia»

Quattro rimane di sasso. Vedo i suoi grandi occhi scuri fissarmi colmi di stupore e io inizio a sentirmi più leggera.

«Eri incinta quando sei scappata dalla recinzione?» domanda stupito.

Annuisco e mi preparo alle domande che seguiranno, quello che temo di più perché potrebbero sconvolgere la sua visione di molte cose.

«La tua sorellina immagino. Se lei è ti ha seguito negli Abneganti vuol dire che lui non sa che tu sei viva e che avete una figlia… o forse lo sa?»

«Sì, proprio lei, e sì, quando sono fuggita, lui sapeva che ero incinta» gli confesso.

«Da come lo dici sembra che non sia finita molto bene»

«Cosa te lo fa pensare?» gli domando.

«Hai detto che lui lo sapeva quando sei scappata, se le cose fossero andate bene avresti parlato al presente e saresti stata con il padre di tua figlia e non con Eric. Cosa gli è accaduto?»

«Vuoi sapere se per caso è morto o ci siamo lasciati?» 

Annuisce.

«Nessuna delle due» è l’unica cosa che riesco a rispondergli.

Mi alzo e cammino fino all’uscita della Tana. Quattro mi segue.

«Nessun segreto, non è uno dei nostri motti?»

«Sì e guarda che è successo, Magdalene è diventata Guendeline e gli Abneganti sono diventati i Pacifici. Mi sento pessima» mi accendo una sigaretta e aggiungo: «Quattro, benvenuto fuori dalla recinzione» concludo indicando i campi che si estendono davanti a noi.

«Un nome e una fazione diversi non sono segreti così importanti. Da quando sei saltata dal tetto, tu sei Lone l’Intrepida» dice circondandomi le spalle con un braccio, sfiora la mia tempia con le labbra e mi sussurra: «Nascondere l’identità del padre di Deline è un pesate fardello»

Molto più pesante di quanto può immaginare e io ho dovuto portarlo per sei lunghi anni.

Ho bisogno di un amico a cui confidare questo segreto e lui merita di conoscere tutta la verità.

«Vuoi davvero saperlo? Allora siediti, perché quello che ti dirò stravolgerà il tuo mondo.»

 

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