Il cuore e il pallone di releuse (/viewuser.php?uid=23576)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I capitolo ***
Capitolo 2: *** II capitolo ***
Capitolo 3: *** III capitolo ***
Capitolo 4: *** IV capitolo ***
Capitolo 5: *** V capitolo ***
Capitolo 6: *** VI Capitolo ***
Capitolo 7: *** VII Capitolo ***
Capitolo 8: *** VIII Capitolo ***
Capitolo 1 *** I capitolo ***
Erano mesi che
lavoravo su questa ff, tentando di modificarla, da quando
l’ho scritta 3 anni fa non ne sono mai stata troppo contenta.
Troppo scarna, a tratti sterile...insomma, non ne ero proprio
soddisfatta! Modifica qui, modifica lì, alla fine
l’ho quasi praticamente
riscritta^^””” Devo ringraziare
le ff di Melanto, Maki-chan e Eos che mi hanno riavvicinato a Capitan
Tsubasa di questi tempi e mi hanno spinta a riprendere in mano questa
ff. Poi CT comunque è stempre il mio primo amore yaoi
*_* ci sono affezionata^^ . Ringrazio anche Erika la
webmistress, che mi ha permesso di ripubblicare la storia ...grazie di
cuore!!
E grazie a
ichigo per averla letta in anteprima!!Grazie oneechan!!
Questa
è quindi una versione più matura,
l’idea originale che avevo della ff...spero che questa
soluzione vi piaccia, a poco a poco riproporrò anche gli
altri capitoli riveduti e riscritti!
A voi...buona
lettura^_____^
Releuse
Il cuore e il pallone
Di
Releuse
Era l’imbrunire.
L’orizzonte si tingeva dei colori del fuoco. Il sole, ormai
con i contorni definiti e ben visibili, stava per tuffarsi
nel mare e sparire lentamente, lasciando spazio alle dense nubi della
notte. Avevo gli occhi stanchi e leggermente arrossati. Certo,
osservare il sole che tramonta non è una cosa ottima per la
vista, ma ero incantato da quella visione, talmente rapito che non
percepivo altro. Mi rendevo conto che quelle immagini di nuvole
incandescenti rispecchiavano alla perfezione il mio stato
d’animo, l’inquietudine, l’ essere
divorato da quei dubbi che da tempo perseguitavano la mia mente.
Dalla fine dell’ultimo campionato.
Quei
tiri...perchè non li ho parati? Tre
tiri...dannazione!
Ero ancora sconvolto dall’accaduto e non riuscivo a
farmene una ragione. Mi sembrava di essere ancora lì, sul
campo, sotto lo sguardo attonito e sgomento dei miei compagni di
squadra e del capitano. Inerme, immobile al centro della porta, mi
sentivo come se fossi stato legato a solide e ben ancorate catene che
mi impedivano qualsiasi movimento; come se la forza di
gravità si concentrasse tutta sulle caviglie, schiacciando
il corpo verso il terreno. Incatenato nelle braccia e nelle gambe,
avevo l’impressione di essere uno schiavo privo di qualsiasi
facoltà di decisione, ormai rassegnato alla sconfitta e
annichilito nell’animo, dominato da un potere troppo sacro
per essere abbattuto.
Atterrito dai suoi occhi
decisi.
Quell'anno la finale del campionato la disputammo contro la
Musashi, la squadra del campione di vetro Jun Misugi. Nel ripensare a
quell’ultima partita sentivo il sangue turbinare nelle mie
vene con rabbia per la mia incapacità. Per essere stato
dilaniato da quello sguardo placido eppure bramoso di vittoria.
Lo sguardo di Jun Misugi, lo sguardo del principe che mi aveva
inchiodato a terra, sancendo la sua vittoria, come se disponesse della
mia vita e della mia morte, perchè sicuro di se stesso.
Quegli occhi non tradivano, non mostravano alcuna situazione.
Io, invece, avevo
esitato, lasciandomi così travolgere dalla sua potenza che
era riuscita ad abbattere la mia resistenza. Alla fine sono capitolato
sotto la sua determinazione.
Rabbia.
Risentimento.
Vergogna di me stesso. Questo era ciò che provavo.
Non ero riuscito a parare due dei suoi tiri e aveva giocato solo gli
ultimi venti minuti a causa della malattia cardiaca, ma li seppe
dominare tutti, senza lasciarsi sfuggire neppure un singolo secondo.
Misugi era capace di fondere insieme la perfezione e la potenza,
facendole coesistere così armoniosamente. Accecato dal
nervoso e dal senso di frustrazione, non fui in grado di parare neanche
il tiro di un altro semplice giocatore e così subii un
ulteriore goal. Ken Wakashimazu con alle spalle tre goal...ero al
limite e non riconoscevo più me stesso in campo. Leggevo lo
stupore dei miei compagni, il loro sconcerto. Se non fosse stato per la
rabbia e la determinazione di Kojiro, che riuscì a ribaltare
il risultato, a quest'ora avremmo perso il campionato.
Possibile che fossi
davvero al limite?
Alla fine della partita, al fischio dell’arbitro, mi
mancò il fiato, perchè lui mi stava ancora
guardando. Il Principe mi osservava. Era affaticato dal gioco che aveva
messo a dura prova il suo cuore malato, ma lui sembrava non darci alcun
peso.
Perchè si
ostina a giocare a calcio se rischia di morire?
E nonostante si allontanasse, svanendo oltre il campo, verso gli
spogliatoi, io avevo ancora l’impressione che mi guardasse,
sfidasse con i suoi occhi decisi. Occhi colmi di qualcosa che io
riconoscevo di non avere, occhi che mi fecero sentire completamente
vuoto.
Quando, durante la partita, si stava preparando a tirare quel maledetto
pallone, ho avuto come l’impressione che il suo sguardo fosse
lo stesso di Hyuga... la stessa bramosia di vincere? No, non era quella
la scintilla che illuminava il suo sguardo.
Era... qualcos’altro.
Mi stai sfidando, Jun
Misugi?
Dalla fine di quella partita non dissi più una parola. E mi
estraniai da tutto il resto. Non udivo né i rimproveri di
Kojiro, né sentivo la sua stretta sul mio braccio che mi
costringeva a guardarlo negli occhi. Lo avevo retto il suo sguardo,
senza parlare. Non sentivo neanche Takeshi, le sue parole di conforto
sempre gentili, che però in quel momento mi scivolavano
addosso come l’acqua su una lastra di vetro. E da quel giorno
non mi presentai più agli allenamenti. Era da un mese
ormai... nulla più mi stimolava né mi faceva
avere alcuna reazione.
Solo un dubbio riusciva a scuotermi: cosa aveva il suo sguardo da farmi
sentire così carente e debole? Continuavo a domandarmelo da
quel giorno, in maniera ossessiva, senza trovare una risposta che
soddisfacesse il mio orgoglio, il mio ruolo di portiere e
così lasciavo che i pensieri mi assorbissero in un turbine
sconquassante.
Tornai alla realtà non appena udii i cigolii dei freni del
pulmino sul quale stavo viaggiando.
Mi guardai intorno pronto ad osservare quel posto a me sconosciuto ma
dalla rinomata fama: si trattava di una piccola pensione a conduzione
familiare, famosa per la tranquillità in cui è
immersa e per la sorgente termale che la completa. Avevo trovato
biglietti e prenotazioni sul tavolo della cucina, di fianco alla
colazione... “Sono da parte di tuo padre... vuole che ti
rilassi per qualche giorno” Queste erano state le parole di
mia madre, mentre mi rivolgeva un sorriso.
“Forse avrei dovuto ascoltarti...” Dissi a mio
padre una sera, mentre l’aiutavo a pulire la palestra di
casa. Sapevo che lui aveva seguito l’ultima partita, ma non
mi aveva ancora detto nulla a riguardo. Non so, era come se quel
silenzio simboleggiasse la sua vittoria su di me. “Avrei
dovuto continuare con le arti marziali, invece del calcio...”
Continuai, non sicuro delle mie parole, eppure desideroso di trovare
conferma anche dalle sue. Credevo fossero quelli i suoi reali pensieri.
Invece, mio padre tacque ancora per qualche minuto.
“La tua scelta l’hai già fatta,
Ken...” Disse infine, guardandomi deciso negli occhi, per poi
voltarsi e continuare il suo lavoro senza esitazione.
****
Intorno alla pensione c’era un immenso bosco verde, alberi
maestosi che davano l’impressione di essere molto antichi,
probabilmente millenari. Ero un po’ perplesso, decisamente
non era il mio tipo d’ambiente ideale nella vita di tutti i
giorni. Però, forse, era realmente quello che mi ci voleva.
Dovevo riflettere sul perchè.
Perchè non
volevo più giocare a calcio?
Un istante dopo notai la costruzione alla mia destra: era una pensione
in legno, in perfetto stile giapponese, con grandi finestre e una
vegetazione estremamente curata intorno. Dal primo sguardo mi trasmise
una sensazione di calore, forse dovuta alla luce rossastra e arancione
che l’abbracciava, riflettendosi sul legno lucido. Era il
sole che ormai svaniva all’orizzonte.
Improvvisamente mi sentii più leggero e forse per un attimo
un poco più sereno.
Quando il pulmino si fermò, tirai un sospiro di sollievo.
Ero abbastanza nauseato dal viaggio: tutte quelle curve per salire mi
avevano dato il voltastomaco e la mia testa aveva cominciato a pulsare.
Ringraziai l’autista e, preso il mio zaino, mi diressi
all’entrata ancora un po’ stordito.
Non appena varcai la soglia, mi venne incontro un signore anziano,
minuto e in abiti tradizionali.
“Il signor Ken Wakashimazu?” Mi domandò
con sincera gentilezza, rivolgendomi un sorriso accogliente e disteso.
“Si, sono io” Risposi un poco imbarazzato, non ero
abituato a quel genere di cose. Di solito le vacanze le passavo al mare
o in montagna, in mezzo al caos turistico, per cui la
tranquillità di quel luogo mi metteva un poco a disagio.
“Sono il signor Matsumoto, la stavo aspettando. Prego, le
mostro la sua stanza, così potrà rilassarsi e
cominciare a familiarizzare con la nostra struttura." Sorrise ancora
l’uomo, forse comprendendo il mio stato d’animo.
Mentre salivo le scale continuavo a guardarmi intorno. C’era
un profumo di cera d’api, di quella usata per lucidare il
legno, che ad un certo punto mi sembrò eccessivamente
pungente, mentre il corridoio era ornato da piccoli bonsai ben
curati. Ogni cosa era posta in perfetto ordine, come se fosse
stata lì da decenni, senza mai mutare. I brusii leggeri,
provenienti da un paio di donne in kimono che scendevano le scale,
venivano inglobati nel silenzio che sembrava essersi fissato
nell’aria
Poco dopo arrivammo davanti alla porta della camera.
“Questa è la sua stanza, prego si rilassi pure. La
cena sarà servita dalle 20 fino alle 22” Mi
informò il signor Matsumoto, sempre con grande gentilezza.
“E se desidera può scendere alla sorgente termale
dietro la struttura per farsi un bel bagno e alleviare la stanchezza
del viaggio, vedrà le farà bene... per qualsiasi
cosa io sono al piano di sotto” Con un inchino
l’uomo si allontanò verso le scale.
Diversamente dal primo impatto avuto nell’ingresso, quando
entrai nella stanza una sensazione di benessere mi pervase
improvvisamente, trasmettendomi subito un senso di calore e
accoglienza. Non troppo grande e anch’essa tipicamente in
legno, alle pareti della camera erano appesi dei disegni tradizionali
giapponesi che raffiguravano donne in kimono fra alberi di ciliegio e
pavoni di mille colori. Sorrisi fra me, pensando che sembrava una
camera viva, profumata di vissuto.
Notai che il futon era già stato preparato e quindi mi ci
sdraiai sopra immediatamente desideroso di rilassarmi, il viaggio mi
aveva davvero stancato. Inoltre ribadii fra me che avevo
fatto bene ad andare in un posto come quello. Avevo bisogno di evadere,
di riflettere con calma su quello che mi stava succedendo.
Pensai a Hyuga, che la sera prima di partire era passato a casa mia per
convincermi ancora una volta a riprendere gli allenamenti e che, quando
gli avevo detto del viaggio, aveva fatto una sfuriata accusandomi di
perdere tempo e di trascurare l’allenamento. Ma sapevo che
non era esattamente quello ciò che pensava realmente, ero
conscio di quel personale modo di dimostrare la sua preoccupazione e la
sua presenza. Ma quella volta non avrei mai potuto appoggiarmi a lui,
non potevo più promettergli niente. Non avrei più
potuto sopportare gli sguardi delusi dei miei compagni, né
soprattutto il suo.
Avevo bisogno di
capire... se valeva ancora la pena giocare a calcio....
Mi addormentai così, assorto in quei mille pensieri, con lo
zaino ancora su una spalla e la maglietta appiccicosa di sudore.
....vedo solo il pallone
e la rete, intorno è tutto buio. Io proteggo la mia porta e
sono in attesa di qualcosa. Continuo a guardarmi intorno, ma
è sempre l’oscurità a regnare. Poi,
all’improvviso, un sibilo cattura la mia attenzione... un
pallone calciato con potenza si materializza a poca distanza da me.
Perché rimango immobile senza tentare di pararlo? Sembro
pietrificato, non riesco a muovere un muscolo. Intanto il pallone entra
in porta e svanisce alle mie spalle... è goal? Sono smarrito
e non capisco cosa sia successo, intanto avverto dei passi avanzare...
non è nessuno, non è nulla... sono ancora una
volta i suoi occhi...
Aprii gli occhi di colpo, sollevandomi di scatto. Ebbi il capogiro per
quel movimento brusco e per un attimo provai un senso di smarrimento
non riconoscendo la stanza. Lentamente mi guardai intorno e a poco a
poco misi a fuoco, realizzando dove mi trovassi. Inspirando
profondamente, mi gettai ancora una volta sul futon, fissando
il soffitto; ero particolarmente turbato da quel sogno, un incubo ormai
diventato routine nelle notti dell’ultimo mese. Sospirai un
po’ rassegnato, rivolgendo lo sguardo all’orologio
da polso: erano quasi le nove e avevo dormito per soli dieci minuti...
eppure mi erano sembrate ore interminabili.
Raccolsi le forze e alla fine riuscii ad alzarmi. Accidenti, avevo le
gambe davvero pesanti! Con movimenti quasi meccanici frugai nel mio
borsone con l’intenzione di andare a fare un bagno rilassante
alla sorgente termale; forse così avrei riacquistato un
po’ di forze e tempra. Presi un asciugamano e uscii dalla
stanza per dirigermi nel retro della pensione.
In mezzo al più completo silenzio e ad una rigogliosa
vegetazione c’era una bella struttura in legno con
il tetto sferico coperto da vetrate smerigliate, un vero spettacolo per
la vista. L’aria fresca cominciava a farsi sentire, quindi mi
decisi ad entrare. Appena varcai la soglia, notai subito la
differenza di temperatura data dal calore e
dall’umidità della fonte e i brividi di freddo che
poco prima mi avevano colto sparirono dopo pochi istanti. Mi spogliai e
raggiunsi l’acqua termale. Il tepore che emanava
abbracciò graduale il mio corpo, mentre lentamente entravo
in acqua, quasi a voler assaporare quella sensazione su ogni centimetro
della mia pelle. Mi guardai intorno incuriosito: la sorgente era molto
accogliente, le piante e le rocce che emergevano in diversi punti la
rendevano particolarmente naturale e il silenzio che albergava
contribuiva alla sensazione di pace che mi stava rasserenando. Ero
contento di avere la sorgente termale tutta per me... almeno per quella
sera volevo stare da solo e non mi solleticava l’idea di
dover scambiare parole formali con altri visitatori.
M’immersi così fino al collo, abbandonandomi
totalmente fra quelle acque, scacciando qualsiasi pensiero, cercando di
svuotare la mia mente. Le acque mi cullavano, dolci e materne,
aiutandomi a rilassare i muscoli ed il respiro. Eppure ancora una volta
le immagini riuscirono a dominare la mia testa.
Questa volta un vecchio ricordo, il tiro di Hyuga e la sua sfida. A
quei tempi volevo dimostrare di poterlo parare, volevo superare Genzo
Wakabayashi...
Io ero un portiere,
avevo tanto desiderato esserlo, avevo combattuto contro mio padre
per inseguire questo sogno. Eppure.. .era quello che volevo
ancora?
Mi resi conto che erano troppi i pensieri che mi perseguitavano e per
colpa loro stavo perdendo di vista molte cose. Per un po’
dovevo cercare di non pensare al calcio, a Kojiro, a Takeshi... solo
così forse sarei riuscito a metter ordine nella mia testa.
Cercai nuovamente di rilassarmi, nuotando all’indietro,
lasciandomi accarezzare dall'acqua tiepida.
Sussultai, quando qualcosa sfiorò la mia spalla, facendomi
rabbrividire. Pensai di essere finito sopra una pietra, quindi mi
voltai tranquillo.
“Ah!” Un doppio grido di spavento
sibilò nell’aria, avevo urtato le spalle di
un’altra persona che ora mi guardava sorpresa. Non lo
riconobbi subito.
Ricordo solo il torso nudo, le spalle rilassate, i capelli bagnati che
morbidi cadevano sul viso e il collo dai quali le gocce
d’acqua scivolavano, andando a disperdersi su tutto il suo
corpo vigoroso...
“Wa…Wakashimazu?”
Ci misi qualche istante per capire che qualcuno aveva pronunciato il
mio nome con stupore e sgranai gli occhi non appena riconobbi la figura
davanti a me.
“Misugi? Jun Misugi?” Sicuramente nel trovarmi di
fronte il capitano della Musashi non nascosi la sorpresa nelle parole e
nell’espressione, , la stessa sorpresa che aleggiava allora
nelle sue iridi scure.
Quegli stessi occhi che
sul campo mi avevano messo in difficoltà e che erano
diventati il tormento delle mie giornate. E delle mie notti.
Che cosa ci faceva Jun Misugi in quel posto? Non riuscivo a
crederci… mi sembrava qualcosa di veramente assurdo. Ero
andato lì con l’intenzione di distrarmi e non
pensare al calcio ed invece avevo sotto i miei occhi la causa
scatenante di quella situazione. Il principe di vetro era davvero
davanti a me.
Il destino mi aveva
proprio preso di mira.
Dovevo avere un’espressione eccessivamente sconvolta dato che
il capitano della Musashi aggrottò la fronte, come per
interrogarsi della mia reazione.
“Hey, Wakashimazu! Non sono un fantasma, non fare quella
faccia…” Scherzò, sfoggiando un sorriso
gentile. “Incredibile trovarti in un posto simile, non
è da te!”
La sua battuta non mi piacque per niente, anche perchè,
probabilmente sbagliando, ci lessi dell’ironia.
“Ah, certo, invece questi posti sono degni di te!”
Risposi seccato. Misugi mi guardò un attimo come perplesso,
finché scoppiò a ridere di gusto.
“Hai ragione, è vero! Ah, ah, ah! Questo
è un po’ un posto ‘da
nonni’!”
Non riuscivo a comprendere il mio stato d’animo. Qualcosa
comprimeva il mio stomaco, era come se un chiodo continuasse ad
avvitarsi dentro di esso. Ero irritato, sì, ero irritato
dalla sua presenza. Dal sorriso dietro al quale si trincerava il
baronetto del calcio. La tranquillità e fermezza con cui
affrontava ogni situazione, senza mai scomporsi. Odiavo quella sua
calma interiore che associava sempre ad una buona dose di
razionalità.
Misugi si stropicciò un poco gli occhi e sorrise di nuovo.
“Io vengo qua dall’infanzia. Prima ci venivo con i
miei genitori, ora ci torno da solo, quando ho bisogno di rilassarmi.
Per riposarmi dopo il campionato… e lei, signor Wakashimazu,
perché si trova in questo posto da nonni?”
Cominciava a seccarmi la sua ironia. Ma cosa voleva da me? Lui e la sua
faccia di bronzo! Lo odiai in quel momento, perchè mi
sembrava tutto così falso, la sua gentilezza, i suoi
sorrisi, la sua stessa presenza. Come poteva una persona con tale
sguardo di sfida sul campo, con quel sorriso da principe trionfante,
mostrarsi così tranquillo? Credevo che Misugi mi stesse in
verità deridendo, nascondendosi dietro il suo sorriso
gentile. Avevo il sangue che ribolliva nelle vene, strinsi i pugni e
sbuffai, scocciato.
“Anche a me hanno consigliato questo posto per
rilassarmi…” Sibilai fra i denti, tentando di
mantenere la calma. Mi rendevo conto di stare esagerando, ma la sua
presenza mi aveva mandato in confusione.
Misugi sbattè le ciglia, sorpreso.
“Dai, anche tu hai il permesso di rilassarti di tanto in
tanto? Pensavo che Hyuga vi mettesse più in riga”
Continuava a scherzare, forse avvertendo la tensione che
nell’aria albergava. Per questo credo che
pronunciò quelle parole, pochi secondi dopo, probabilmente
nel tentativo di alleggerire la situazione.
“Bè, dai... allora vedi di non rilassarti troppo,
portiere! Fra un paio di mesi abbiamo l’amichevole con la
Francia e dovrai essere
in forma... ”
...perchè non
lo sei... da ciò che hai dimostrato nell’ultima
partita...
Non l’ascoltavo più. Avevo come
l’impressione di riuscire a sentire i suoi veri pensieri,
udivo i suoi giudizi, le sue sentenze, sapevo che mi stava giudicando,
sapevo che stava cercando di umiliarmi.
In quel momento ne ero davvero convinto.
La vista si annebbiò rendendo tutto buio, la mia pelle
s’irrigidiva, le parole cercavano di uscire, mentre i nervi
si sgretolavano dentro le cellule del mio corpo.
“Senti, adesso mi hai scocciato, principino...”
Sputai con astio, alzando la voce “ ...l’avermi
fatto due goal non ti da l’autorizzazione a dirmi cosa devo o
non devo fare, decido da solo se e quando allenarmi. Forse qui quello
che deve tenersi in forma, invece di stare qui a cazzeggiare,
è qualcun'altro che può solo giocare venti minuti
a partita, dato che non se ne può permettere
altri!”
Volevo aggiungere altro, vomitare tutta la mia rabbia, ma
bastò lo sguardo di Misugi a tagliare le ulteriori parole
dalla mia gola. Non c’erano né risentimento
né rabbia nei suoi occhi, eppure quello sguardo duro e
severo bastò a farmi tacere, atterrendomi. Non avevo mai
visto quell’espressione sul volto di Jun Misugi.
Mi sentii mortificato, stavo davvero cadendo in basso. Strinsi i pugni
nell’acqua, sentendola scivolare fra le mie dita. Me ne resi
conto solo in quel momento. Ero geloso, invidioso della determinazione
che Misugi dimostrava in ogni partita, eppure allo stesso tempo ne ero
attratto e incuriosito. Odiavo e ammiravo la sua dedizione, la
motivazione con cui ogni volta si metteva in gioco, lottando contro la
sua malattia. Eppure non mi era chiaro il perchè, ancora una
volta.
“Maledizione, scusami Misugi…non so cosa
mi sia preso, mi dispiace” Non ebbi neppure il coraggio di
guardarlo negli occhi, stavo diventando così vigliacco?
Misugi fece un respiro profondo e un attimo dopo la sua mano si
poggiava sulla mia spalla, facendomi rabbrividire per la scossa che si
era propagata in tutto il mio corpo, spingendomi a credere che le sue
dita mi stessero accarezzando.
“Hey, Wakashimazu… io non mi riferivo alla
partita.”
“Lo so. Scusa”
“Senti” Misugi assunse un tono serio ma comprensivo
“lo so che non ho alcun diritto di intromettermi negli affari
tuoi, però... non eri tu durante quella partita...”
Mi venne da sorridere nel sentire simili parole e in quel momento mi
resi conto di quanto fossero sincere.
“Lo so, Misugi...” Sospirai, rilassando le braccia
ed alzando finalmente lo sguardo verso di lui. “Infatti non
so ancora se giocherò la partita con la
Francia...” Ammisi mesto, liberandomi, con quella
confessione, del peso che riempiva il mio stomaco.
“Che? Che cosa stai dicendo?” Misugi aveva uno
sguardo sconvolto, incredulo.
Non seppi davvero cosa rispondere.
D’improvviso mi afferrò violentemente per le
spalle e, mentre mi costringeva a guardarlo negli occhi,
l’acqua che aveva agitato col suo movimento brusco
schizzò sopra il mio corpo, come per scuotermi insieme a
lui.
“Hey, Wakashimazu! Che diavolo succede, me lo vuoi
dire?”
Calò il silenzio, non ci fu risposta per lunghi attimi. Nel
mio campo visivo vi erano solo la vena pulsante sul collo di Misugi e i
tendini delle sue braccia in tensione. La mia mente, invece, vagava
altrove.
“E tu, invece...” Cominciai sussurrando
“Mi vuoi dire perchè ti ostini a giocare a calcio,
nonostante rischi di morire?”
“Co... come?” Il capitano della Musashi si
sorprese, sicuramente non si aspettava una domanda del genere. La sua
espressione divenne indecifrabile.
Improvvisamente Misugi allentò la presa sulle mie spalle,
facendo scivolare le mani sulle mie braccia bagnate.
“Senti...” Cominciò con sorriso
“A te diverte giocare a calcio?” Il tono era quello
di qualcuno che stava facendo la domanda più banale
possibile, eppure riuscì ugualmente a spiazzarmi.
Improvvisamente la mia testa cominciò a vagare nel passato,
riesumando i ricordi delle mie prime esperienze con un pallone da
calcio, i giochi con i bambini del vicinato, le partite a scuola,
l’entusiasmo dei compagni che mi sapeva coinvolgere.
“Io...una volta, credo, mi divertiva...” Ammisi,
amareggiato. Ci riflettevo solo allora, negli ultimi tempi giocare a
calcio era diventato quasi un obbligo, mentre prima era vero... mi
divertiva. Stavo per dire qualcos’altro, non so bene cosa,
forse volevo solo trovare una giustificazione, ma Jun Misugi mi
precedette con un tono di voce squillante che mi stupii non poco.
“Vabbè, senti, non pensarci ora!”
Esclamò risoluto. “Sei venuto qui per distrarti ed
è quello che faremo!”
Lo guardai un po’ confuso.
“Fa...faremo?” Cominciavo a preoccuparmi.
“Esatto, Wakashimazu! Stasera andremo alla festa del paese
che c’è qui vicino, una di quelle feste
tradizionali con tanto di bancarelle e giochi!” Misugi
sembrava davvero entusiasta e poi da come stringeva i pugni e mi
guardava... ne era veramente convinto!
Io continuavo a non capirlo, decisamente. Un attimo prima eravamo seri,
parlando di cose serie e ora non capivo come avesse fatto a
cambiare argomento e atteggiamento in una frazione di secondo,
né che diavolo gli passasse per la testa.
“Ma, io... non mi piacciono le feste
tradizionali...” Provai a dire, ma il ragazzo non volle
sentire ragioni!
“Non fare il difficile, ci sarà da
divertirsi!” Misugi mi diede le spalle e cominciò
ad avviarsi verso la riva, seguito meccanicamente dal sottoscritto che
se era completamente ammutolito.
Eravamo vicini al bordo della sorgente termale, quando Jun si
voltò all’indietro, verso di me, domandandomi:
“Non volevi distrarti?”
“Uh? Sì... certo...” Risposi, ancora una
volta non comprendendo le sue intenzioni.
Lui intanto abbandonò l’acqua. Il suo corpo
piegato sulle ginocchia si alzò in piedi, di fronte a me,
dandomi ancora le spalle. In un attimo persi le parole. Fui ammaliato
dal suo corpo nudo su cui il mio sguardo, inconsciamente, si
posò avido, pronto ad afferrare la visione di quelle spalle
muscolose, della schiena longilinea, dei fianchi sodi ed
incredibilmente seducenti. Mentre Jun si portava le mani ai capelli,
afferrandoli per strizzarli, io mi persi a contemplare la tensione dei
muscoli, finché nella mia testa si materializzò
un pensiero fugace.
Jun era l’icona di una bellezza assoluta. Era perfetto. E bellissimo.
.
Misugi si legò l’asciugamano alla vita, voltandosi
ancora verso di me. Mi guardò intensamente negli occhi,
prima di tendermi la mano. Nell’istante in cui pregavo che
non si fosse accorto del mio turbamento, la sua voce
echeggiò nell’aria.
“Forza, campione! Ci aspetta una serata piena!”
Non so se fu la stretta decisa e sicura, o il suo sorriso accattivante,
o le sensazioni provate nell’esaminare il suo corpo... so
solo che alla fine, in quella manciata di istanti, tendendogli a mia
volta la mano, decisi di affidarmi a lui.
Fine I capitolo
|
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Capitolo 2 *** II capitolo ***
Scusate se
è risultato aggiornato il capitolo poco fa, mi stavo
incasinando con la linea....
Eccomi qui con il nuovo capitolo di questa ff rivista e corretta,
questo cap mi ha impegnata molto >__< Grazie a voi che
l’avete letta e per i consigli che per me sono sempre
più
che accetti *__* non si smette mai di imparare _0_
--->
inchino ^^
Ichigo85: cara
Oneechan, graziee^__^ Per il commento, per i consigli e per il betaggio
ç__ç come farei senza te! Sono contentissima che
la nuova
versione ti piaccia! La preferisco anche io ;)
Melanto:
cara!
Sono ancora reduce dalle tue belle ff su Yuzo e Mamoru
*ç*...ok,
torno alla mia ff...dicevo...(XDD) ho imparato a usare NVU finalmente e
ora ho capito come sistemare i caratteri che dovrebbero andare meglio
^__^ Spero che la mia insolita accoppiata continui a piacerti *_*...ma
povero Jun, io lo adooooooro >__< insieme a Kojiro
è il
mio pg preferito!
Eos75:
Sono
così contenta che stai leggendo anche questa versione!
Sì, Ken è un pg molto tormentato e io gli voglio
male che
lo faccio penare ancora di pù , hihihi! Però mi
piace cmq
molto come pg *_* nonostante la sindrome premestrualeXDD
Berlinene:
Grazie
mille per le dritte! Le ho tutte modificate...una tiratina di orecchie?
Ci voleva una tiratona!! Povero Jun, in effetti sembrava fatto apposta
per prenderlo in giroXDD Ken si è lamentato del
fatto che
l’ho gettato sul futon....povero si è fatto male
ç__ç Quindi ho apportato modifica!
4haley4:
Hai proprio ragione a dire che era una bozza >___<
più la
riprendo in mano e più rimango scioccata da quanto era
scarna la
prima versione...soprattutto per la tecnica del (come lo chiamo io)
‘singhiozzo’, di scrivere troppe parole staccate
dal punto
invece di farne una bella frase....mi auguro questa risulti
più
fluida! Ahhh quel capitolo su Yayoi (che mi sta parecchio
antipatica...è di un noioso!) ho in mente qualche modifica
per
quello ;)
Grazie ancora a tutte!
A voi, buona lettura con il II capitolo!
Il cuore e il pallone
II Parte
Di
Releuse
Il piccolo paese di cui mi aveva parlato Misugi si trovava proprio ai
piedi della collina dove sorgeva la pensione. Per raggiungerlo salimmo
su un autobus di linea, probabilmente messo a disposizione in occasione
della festa. Nel buio di quella strada di campagna, mentre venivamo
inghiottiti dall’oscurità priva di luci
artificiali e circondati dalle ombre degli alberi che correvano sui
lati, come se fossero anime silenziose che ci osservavano, Jun Misugi
mi raccontava della sua infanzia in quel luogo. Durante tutto il
tragitto mi parlò delle prime volte in cui vi si recava con
i genitori, i quali erano convinti degli effetti benefici
dell’aria di montagna per il suo debole cuore. Mi rese
inoltre partecipe degli scherzi che lui e altri bambini facevano al
povero signor Matsumoto, di come proprio in quel luogo aveva cominciato
a giocare a calcio. Mi rivelò, quasi con imbarazzo, che fu
proprio la moglie del signor Matsumoto a regalargli il primo pallone da
calcio, quando aveva quattro o cinque anni.
“Sono molto affezionato a questo posto...” Disse ad
un certo punto, senza guardarmi, come se quelle parole fossero una
velata confessione.
Il tono di Misugi era molto coinvolgente e, soprattutto quando parlava
degli scherzi coi bambini, i suoi occhi brillavano colmi di
soddisfazione. I gesti, la voce squillante e le sue battute riuscivano
a rendermi partecipe delle esperienze che mi raccontava. Che dire, ero
stupito. Stupito di vedere il “ principe del
calcio” esprimersi così apertamente, fino ad
allora mi era sempre apparsa come una persona poco loquace, il tipo che
dice le cose giuste al momento giusto.
Non sapevo se lo stesse facendo per distrarmi, però il suo
comportamento riusciva davvero a strapparmi numerosi sorrisi ed inoltre
avevo l’impressione che fosse davvero spontaneo.
Era quella la vera natura di Jun Misugi? Cominciavo a domandarmelo,
quando qualcosa improvvisamente catturò la mia attenzione:
poco lontano, intravidi delle piccole luci sferiche e sfavillanti che
si dilatavano sempre di più come avanzavamo con
l’autobus. Sembrava di osservare un campo pullulante di
lucciole.
“Siamo arrivati! Sono le luci della festa!”
Esclamò entusiasta Misugi.
L’autobus si fermò davanti ad un maestoso tempio
scintoista pieno di luci vivaci che lo animavano tutto intorno e dal
quale andavano e venivano molte persone, alcune delle quali in kimono.
Non appena scendemmo dall’autobus ci inghiottì
l’ondata di voci e musiche che provenivano
dall’esterno, dalle numerose bancarelle che costellavano il
viale e dalla folla che lo riempiva.
“È un bello spettacolo, non è vero
Wakashimazu?” Lo sguardo di Misugi mi chiedeva conferma.
“Sì, in effetti lo è...”
Risposi, ancora colmo di stupore per lo spettacolo che si stava
presentando ai nostriocchi.
“Mh, allora avviamoci...” Misugi sorrise
soddisfatto.
In pochi minuti ci eravamo mescolati fra la folla, confusi fra quelle
voci allegre di adulti e bambini e le luci brillanti delle lampade
appese in ogni bancarella; a tratti, poi, la musica tradizionale era
talmente alta che io e il capitano della Musashi dovevamo urlare per
parlarci. Eppure, nonostante il caos, era tutto così...
divertente. Misugi conosceva ogni angolo della festa, ad ogni passo mi
indicava qualcosa di conosciuto e sapeva individuare le cose
più interessanti e divertenti da vedere. La sua risata
cristallina era diventata improvvisamente piacevole ed incredibilmente
contagiosa. Inoltre, l’aria dolcemente tiepida, sintomo che
l’estate era alle porte, rendeva l’atmosfera ancora
più gradevole.
Era qualcosa di assurdo... ed incredibile. Fino a poche ore prima il
rancore verso Jun Misugi mi stava divorando, i suoi occhi non avevano
fatto altro che perseguitarmi, invece... improvvisamente mi trovavo con
lui ad una festa tradizionale, senza pensare a nulla se non a
divertirmi e scherzare. Era come se, di colpo, tutti i miei pensieri, i
dubbi, il calcio stesso, fossero scomparsi. E tutto grazie a lui, Jun
Misugi.
La causa del mio
tormento eppure al tempo stesso la causa del mio buonumore.
Uno strano scherzo del destino.
La cosa più insolita fu vedere Misugi gareggiare al
kingyosukui* con grande spirito battagliero. Rimboccatosi le maniche,
il capitano della Musashi cominciò con aria di sfida la
cattura dei pesci.
“Argh, non è possibile!”
Gridò, non appena si ruppe il primo retino. “Devo
riprovarci!” Continuava con estrema convinzione, come se io
non ci fossi. Era davvero buffo vederlo così adirato!
Divertito dalle sue espressioni demoralizzate, decisi di andare in suo
soccorso, ormai era una situazione disperata!
Inginocchiandomi al suo fianco, gli afferrai il polso, cercando di
dargli la giusta angolazione. “Dovresti essere più
delicato, Misugi...” Gli dissi, mentre mi concentravo sul
movimento di quei piccoli pesci rossi e questo mi impedì di
interpretare il lieve brivido che scosse il suo corpo a quel contatto.
“Via!” Gridai all’improvviso, guidando
velocemente la sua mano nell’acqua. “..è
fatta!”
Misugi alternò stupito lo sguardo fra me e il pesce rosso
pescato insieme. “Ma come hai fatto?”
Sbuffai fintamente annoiato. “Bè... devi sapere
che mio padre è un tipo un po’ tradizionalista...
quindi le uniche feste che io e mio fratello abbiamo visto con lui sono
queste... e poi diceva che era utile per imparare il
karatè... sai, i riflessi... che ossessione! Per questo ho
un po’ l’allergia per questi posti”
Scherzai.
“Haha!” Annuì Misugi ancora sorpreso.
“Karatè”? Domandò poi.
Già, dimenticavo, lui non sapeva nulla di me.
“... quindi hai dovuto lottare con tuo padre per poter
giocare a calcio...” Constatò Misugi, mentre
camminavamo nuovamente fra la folla.
Non so perché mi esposi così in quel lasso di
tempo, non sono uno che ama molto parlare di sé, eppure con
lui lo feci con molta franchezza e sincerità.
“Sì, è stata dura... ma lui sembra aver
capito...” Sospirai. “... non è semplice
fare qualcosa per costrizione, se non la senti parte di
te...” Conclusi, esprimendo le ultime parole più a
me stesso che a Misugi. Ed il capitano della Musashi parve
accorgersene, poiché tacque e non aggiunse più
una parola sull’argomento.
“Ah, guarda, Wakashimazu!” Il silenzio fu spezzato
dalla voce di Misugi che mi indicava qualcosa. Poco distante notai un
grosso pannello di legno colorato come se fosse una porta da calcio,
sopra il quale c’erano dei buchi di diverse dimensioni.
Conoscevo quel gioco! Bisogna calciare un pallone e a seconda del buco
centrato si vince un premio.
“Mh... non è molto tradizionale...”
Affermai perplesso.
“Che ci vuoi fare... è la
globalizzazione!” Scherzò Misugi. “Dai,
ci voglio provare!”
“Eh?” Non feci in tempo a rispondere che Jun Misugi
si stava già mettendo d’accordo col proprietario
dandogli la quota per giocare.
Lo vidi posizionarsi alla giusta distanza, concentrarsi
sull’obbiettivo.
Riconobbi ancora una volta il suo sguardo determinato.
Lo sguardo di colui che
sa di essere prossimo alla vittoria.
Ed ancora una volta mi ritrovai immobile e inerme, catturato dalla sua
elegante figura e stregato da quello sguardo che continuavo a fissare,
come ipnotizzato.
Poi, improvvisamente, un impercettibile respiro, uno scatto, il pallone
che falciava l’aria.
Il respiro che moriva in
gola.
“Ce l’ho fatta!” L’esplosione
di ilarità di Misugi spezzò il mio torpore,
riportandomi alla realtà.
Era riuscito a centrare il buco più piccolo e sia il
proprietario del gioco che gli spettatori occasionali erano rimasti
senza parole.
‘Non si smentisce...’ Pensai fra me. ‘Ha
voluto subito affrontare l’ostacolo maggiore...’
“Bravissimo Misugi!” Esultai, coinvolto dalla sua
risata. Mi ritrovai a pensare che sul campo, quando metteva a segno un
goal, l’unico gesto che dimostrava era un sorriso di
soddisfazione, invece, in quel momento, rideva come un ragazzino. Ero
proprio sorpreso di conoscere quei lati nascosti di Jun Misugi.
Quanti volti mi nascondi
ancora, principe di vetro?
“Tieni...”
Improvvisamente mi trovai fra le mani un pallone da calcio.
“Come...?” Domandai confuso.
“... è il premio che ho vinto...” Mi
spiegò con un sorriso. “Te lo regalo...”
Il suo gesto mi stupii non poco, ma non riuscii a ribattere. Era come
se dietro ci fosse un’intenzione, quasi un... volermi portare
fortuna...
“Grazie, Misugi...” Gli dissi, un po’
sovrappensiero. “Mi sa che dovrò ricambiare...
andiamo a mangiare qualcosa?” Proposi. Si stava facendo tardi
e, in effetti, non avevamo ancora cenato.
“Mh, volentieri!”
“Non credevo che tu fossi così,
Misugi…” Dissi, mentre eravamo seduti in un locale
dove servivano il ramen.
“Uh? Così come?” Leggendo il
menù, Misugi mi rivolse uno sguardo interrogativo.
“Beh... così! Come stasera!” Non sapevo
bene come spiegarmi. “... se ti vedessero gli altri! E le tue
ammiratrici! Credo che cadrebbe un mito!” Scherzai.
Misugi parve capire e soffocò una risata. “Beh,
devo mantenere la mia dignità… la mia immagine da
principe!” Esclamò, facendo ironia su di
sé. Poi, però, mi rivolse un sorriso
sincero.“… questo sono io. Sul campo ho troppi
pensieri e responsabilità per essere me stesso…
non che finga, però... ci sono delle priorità e
delle responsabilità...”
Fui felice della confessione e cominciai a capire il perché
dei suoi mille volti, delle sfaccettature che in anni di partite, sia
come rivali, sia come compagni nella nazionale giovanile, non ero mai
riuscito a cogliere. E che, invece, in una sera mi erano state mostrate
più che chiaramente**.
Jun Misugi era una persona molto forte, rivelai a me stesso,
perciò, d’un tratto, mentre aspettavamo le nostre
ordinazioni, mi costrinsi a fargli quella domanda.
“Senti, Misugi...” Lo chiamai, attirando la sua
attenzione. “... hai mai pensato di rinunciare al
calcio?”
Lui mi scrutò attentamente, come per cogliere il senso delle
mie parole. “Per via della mia malattia al cuore?”
“Sì...” Gli risposi, non distogliendo
gli occhi dai suoi.
Misugi fece un respiro profondo. “Certo... l’ho
pensato, più volte...” Le sue parole furono
scandite da una breve pausa. “...ma non l’ho mai voluto.
Mai!” Il suo sguardo non tradiva alcuna incertezza.
“Ma...” Non feci in tempo a parlare, che un crash fece
sussultare entrambi.
Il tintinnio di piccole schegge di vetro echeggiò per alcuni
istanti.
Poco distante un bambino aveva fatto cadere un bicchiere ormai andato
in frantumi, la madre si stava prontamente scusando con il proprietario
che le fece cenno di non preoccuparsi.
“Il mio cuore è come quel bicchiere...”
Le parole di Jun Misugi mi raggiunsero come un pugno nello stomaco,
mentre le pronunciava non distoglieva lo sguardo dai frammenti sparsi
sul pavimento. “... è fragile ed è
debole. Ma io non sono come lui. Io non posso lasciarmi vincere dalla
malattia. Io voglio
continuare a giocare a calcio, non ci rinuncerò
così facilmente, anche se ogni minuto che passo sul campo
è una bomba ad orologeria per il mio cuore... anche se non
posso più essere il migliore.”
Era fiera convinzione la sua. Ferrea e orgogliosa. Lo si leggeva dai
suoi occhi, dalle parole scandite alla perfezione, dai pugni serrati
improvvisamente, che manifestavano la sua lotta costante e la rabbia
contro la malattia.
Che cosa lo spingeva a
tanto?
“... è comunque un buon motivo...” Gli
risposi, mentre nella mia testa riemergevano violenti i dubbi che fino
a quel momento ero riuscito a dimenticare. “Hai la tua meta,
il tuo obiettivo: andare avanti nonostante la malattia. Io, invece,
qualsiasi cosa faccia, rimarrò sempre secondo a
Wakabayashi...”
Misugi tornò a rivolgere il suo sguardo su di me, prestando
silenziosa attenzione a ciò che stavo affermando.
“... tempo fa è stato Hyuga a convincermi a
giocare, sfidandomi con il suo tiro. Volevo dimostrare di poter essere
il migliore. Volevo superare Wakabayashi. Ma ormai me ne sto rendendo
conto… non sarò mai come Genzo. Con questa
convinzione, ora, non ho più lo stesso entusiasmo di una
volta. Nell’ultima partita mi sentivo come bloccato, privo di
forza e di motivazione. Mah...” Mi passai una mano fra i
capelli, gettando la testa all’indietro, come per non dare
troppa importanza alle mie stesse parole, per sminuirle volutamente.
“Forse… non ho più buon motivo per
giocare a calcio…”
“Il solo voler battere Wakabayashi non lo rende comunque un
buon motivo...”
Avevo spalancato gli occhi di colpo, ma, prima che potessi rispondere,
davanti ai nostri occhi si presentarono due scodelle di ramen fumanti,
accompagnati da un contorno di cavolo, nonché da una
bottiglia d’acqua e una di birra Asahi.
“Ecco a voi, spero siano di vostro gradimento!”
Esclamò fiero il proprietario, distraendoci dai nostri
discorsi.
“Mh, come fa a piacerti quella roba?” Misugi
lanciò un’occhiata disgustata alla birra che avevo
ordinato.
“Ah, ah, ah! Come fa a non piacere a te, semmai!”
Gli risposi divertito.
“Mi sa ci hanno presi per maggiorenni...”
“Se eviti di alzare la voce, dopo credo berrò un
bicchierino di sakè...” Continuai, stuzzicandolo.
“Wakashimazu!”
Iniziammo a ridere insieme, lasciandoci alle spalle il discorso di poco
prima, anche se, nella mia testa, le sue parole rimasero sospese a
lungo, riecheggiandomi ogni tanto nelle orecchie, mentre io e Misugi
continuavamo a chiacchierare animatamente...
“...sei assurdo! Ben tre bicchierini di sakè... e
sopra la birra!”
Avevo la sensazione che le parole di Misugi mi arrivassero in ritardo,
oltre a percepirle un po’ confuse. Non ero completamente
ubriaco, però, dovevo ammettere, che il sakè,
unito alla stanchezza del viaggio, a quella serata piena e ai pensieri
che cercavo di scacciare dalla mia testa, mi avevano abbassato le
difese.
“Sembri mia madre, Misugi!Ah, ah, ah!” Ridevo, ma
sentivo la testa davvero sempre più pesante e il corpo
anestetizzato.
Nel raggiungere la fermata dell’autobus mi appoggiai con un
braccio alla spalla di Misugi che continuava a borbottare lamentele
contro di me, ma alla fine i suoi rimproveri erano solo una presa in
giro, lo notavo dal tono della voce. Poi, improvvisamente, il principe
si zittì, come se stesse riflettendo su qualcosa.
“Comunque...” Cominciò ed io dovetti
sforzarmi molto per concentrarmi sulla sua voce. “Secondo me
non giochi così da schifo per sentire tutta questa
rivalità con Wakabayashi!”
Era... incredibile.
Stava ancora pensando al nostro discorso?
Jun Misugi era davvero incredibile. Questa fu l’unica cosa
che pensai in quel momento, prima di scoppiare a ridere di cuore,
nonostante le tempie martellassero sempre più nel mio
cervello.
***
Eravamo davanti alla mia stanza, l’orologio da polso che
indossavo segnava le tre meno dieci. Nella pensione regnava un profondo
silenzio.
Notai che Misugi si apprestava ad aprire la porta accanto.
“Oh, quindi la tua stanza è questa,
Misugi?” Domandai a voce bassa, sorpreso. In serata
c’eravamo dati appuntamento all’entrata principale,
quindi non avevamo badato al fatto di essere vicini di camera.
“Pare di sì” Rispose Misugi. Sembrava...
contento.
Ma il suo sorriso venne spezzato da una smorfia improvvisa delle sue
labbra e dalla sua mano che prontamente afferrava la maglia,
all’altezza del cuore.
“Ehi, Misugi!” Mi spaventai nel vederlo sbiancare
in pochi istanti “Che ti succede?”
“Non è niente... sto bene” Misugi
alzò il palmo della mano, facendomi cenno di stare fermo,
che era tutto a posto. “È solo un po’ di
stanchezza... non preoccuparti!”
Disse quelle parole rivolgendomi un sorriso gentile e io avevo come
l’impressione che si stesse sforzando, per non farmi
preoccupare. Cominciavo a sentirmi un po’ in colpa. Misugi si
era dato da fare per me quella sera, cercando di distrarmi e ascoltando
quello che dicevo senza mai essere invadente. Questo non potevo
negarlo. Non potevo negare che il suo gesto aveva avuto il risultato
sperato.
Ero stato bene ed anche in quel momento mi sentivo nel complesso sereno
e rilassato. Era come se la coscienza si fosse fatta un po’
meno pesante.
Quindi, quando vidi le sue guance colorirsi e il viso farsi
più rilassato, non potei esimermi.
“Grazie...” Gli dissi, guardandolo negli occhi,
perché non pensasse che lo stessi facendo solo per
circostanza. “... grazie davvero, Misugi...”
“Hei, non c’è bisogno di
ringraziarmi...” Sorrise, come se riuscisse a leggermi nel
pensiero “Sono contento anche io... è stata una
bella serata per entrambi, no?”
Annuii. “Sì... almeno non ho pensato
troppo al calcio e...”
“Shht...” Misugi mi fece cenno di tacere,
avvicinando la sua mano al mio viso. “Non pensarci neanche
ora, Wakashimazu...”
Quella voce roca e confidenziale mi fece vibrare i timpani e il mio
corpo si scosse, tremando per un istante sotto il suo sguardo. Il
sorriso dolce e allo stesso tempo preoccupato di Misugi parve colmare
il vuoto che avevo provato fino a quel momento.
Sentivo solo
l’alcool in circolo nel mio corpo. Vedevo solo le sue labbra
di fronte a me.
Ormai qualcosa era scattata nella mia testa, una miccia si era accesa,
mentre i freni inibitori si stavano dissolvendo. Fu un gesto spontaneo,
l'istinto di un attimo.
Gli presi la mano, allontanandola dal mio viso, la strinsi ed infine lo
tirai verso di me, chinandomi su di lui.
“Grazie Jun...”
Sussurrai il suo nome e le mie labbra si poggiarono sulle sue. Ed in
quel momento il tempo smise di scorrere.
Le labbra di Misugi erano morbide e calde e il mio cuore
iniziò ad impazzire, scosso da battiti continui e sempre
più intensi.
Non capii se a tremare,
a quel contatto, fu il mio corpo o solamente il suo. O
entrambi.
.
Furono pochi attimi che mi parvero eterni.
Durante quegli istanti accarezzai con la lingua la parte superiore
delle sue labbra ed azzardai un secondo bacio.
Ma fu l’immobilità di Misugi a scuotermi, la sua
fredda immobilità durante quel gesto. Improvvisamente
indietreggiai confuso, allontanandomi da lui.
Avevo... avevo baciato un ragazzo, Jun Misugi, e non capivo nemmeno il
motivo per cui l’avevo fatto. Sentivo la testa talmente
disordinata che ancora non riuscivo a prenderne totalmente coscienza.
“Em... Misugi, scusa... io...” Non sapevo che dire,
non riuscivo neppure a guardarlo in viso, ma lui riuscì a
sorprendermi.
“Mah, hai uno strano modo di ringraziare la gente,
tu.”
“Eh?” Lo guardai, finalmente.
Misugi mi osservava con uno sguardo un poco incerto, come se volesse
capire il significato del mio gesto. Non riuscivo ad interpretare la
sua espressione, ma non mi sembrava sconvolto... anzi, in quelle ultime
parole e nei suoi occhi colsi un velo d’ironia provocatoria.
Ma ad un certo punto, come se fosse tornato alla realtà, non
resse più il mio sguardo e si voltò sul lato ed
ebbi la sensazione che fosse in difficoltà.
“Ok, a domani, buonanotte!”
In pochi secondi scomparve dal mio campo visivo e si chiuse in camera
senza darmi il tempo di reagire. Io rimasi immobile, fermo per alcuni
istanti a pochi passi dalla camera. Potevo vedere la sua ombra,
perciò capii che si era appoggiato alla porta.
Un groppo d’amarezza salì nella mia gola temendo
di averlo ferito.
Appena mi mossi sentii il pavimento oscillare e dovetti appoggiarmi al
muro, l’alcool ribolliva nel mio cervello. Meccanicamente
tornai in camera. Avevo la vista sfuocata e quasi inciampai, facendo
cadere a terra il pallone che Misugi mi aveva regalato, il quale
rimbalzò per un tempo indefinito. Con le ultime forze
rimaste riuscii a distendermi sul futon, prima di sprofondare in un
sonno profondo.
****
I raggi del sole attraversavano la finestra con invadenza,
infastidendomi gli occhi che a stento tentavano di rimanere chiusi. Mi
voltai su di un lato nel tentativo di ripararmi dalla luce e poter
continuare a riposare, ma ormai avevo il sonno infastidito e
così, lentamente, aprii gli occhi. Sollevandomi, fui
costretto a portare una mano alla testa per sorreggerla, tanto la
sentivo pesante: era come se qualcuno l’avesse crivellata di
colpi. Mi guardai intorno stordito e con fatica riconobbi la stanza.
‘Ah, la pensione... la mia vacanza...’ A rilento le
immagini nella testa si facevano più nitide, riportandomi
alla memoria gli avvenimenti del giorno prima.
“Ah, sì... Misugi...” Dissi con la voce
ancora impastata.
Con grande sforzo mi alzai completamente, decidendo che la prima cosa
che dovessi fare era una bella doccia, così da ristabilirmi
completamente. Entrai nel bagno e, spogliatomi dei vestiti che avevo
indosso dalla sera prima, mi gettai avido sotto uno scroscio di acqua
bollente che mi avvolse come una caldo massaggio. Finalmente cominciavo
a riprendermi, rilassandomi sotto l’acqua. Il mal di testa si
affievoliva e riacquistavo la padronanza del mio corpo anestetizzato
fino a poco prima. Ruotai poi la manopola del miscelatore per
intiepidire l’acqua, ma di colpo uscì un getto
ghiacciato.
Trasalii. Per il freddo e per ciò che avevo appena
ricordato: avevo baciato Jun Misugi la notte scorsa! Finalmente me ne
resi conto e, per la prima volta, me ne vergognai terribilmente. Cosa
avevo fatto?
Perché lo avevo fatto?
L’acqua continuava a scorrere gelida sul corpo, ma non ne
tenevo conto. Portandomi la mano alle labbra le sfiorai con le dita,
ripercorrendo la sensazione che avevo provato baciando Misugi. Non ero
riuscito a controllarmi ed, anzi, non ci avevo neppure provato. Mi
rendevo conto che l’alcool mi aveva un po’
disinibito la sera prima, ma sapevo bene di non essere il tipo da fare
certe cose... se non lo
voglio veramente.
Avevo agito d’istinto? A quel pensiero una sensazione ignota,
simile all’inquietudine, mi avvolse... io avevo quel tipo di istinti?
Non sapevo cosa pensare, in verità...
Di una cosa, però, ero certo: Jun Misugi mi aveva colpito,
sia sul campo, come rivale, quando mi dilaniava con i suoi occhi da
dominatore vittorioso, sia la sera prima, alla sorgente termale,
semplicemente come ragazzo. Questo non potevo negarlo.
Ma non era attrazione, no, cercai di convincermi. Era tutta quella
snervante situazione che stavo vivendo, la mia fragilità...
sicuramente erano state la sua gentilezza e disponibilità a
colpirmi, rendendomi vulnerabile. Sì, non poteva essere
altrimenti.
Chiusi veloce l’acqua, per poi asciugarmi ed indossare la
tuta del Toho. Decisi che mi sarei scusato con Misugi, spiegandogli le
ragioni di quel gesto. Era tutto ciò che potevo fare.
“Misugi! Hei, Misugi, ci sei?” Bussai alla porta
della sua camera più volte, senza ottenere risposta. Pensai
che stesse ancora dormendo, ma, guardando per la prima volta
l’orologio al polso, mi resi conto che era già
mezzogiorno.
“Ah, signor Wakashimazu, se cerca il signorino Jun
è uscito alle dieci. Credo andasse al campetto ad
allenarsi.” Vidi il signor Matsumoto che si avvicinava con
delle lenzuola pulite in braccio.
“Ah... sì... grazie!” Risposi,
ricordando che avevo visto il campetto quando ero
sull’autobus.
“E gli dica di non affaticarsi troppo... il signorino Jun
è troppo testardo!”
Mi venne da sorridere a quelle parole. “Certo, non si
preoccupi!” Con un inchino salutai l’uomo e lasciai
la pensione per raggiungere Misugi.
Il cielo intanto si stava ricoprendo di nubi grigie e un leggero vento
aveva cominciato a soffiare, rinfrescando l’aria.
Dopo neanche dieci minuti intravidi fra la rigogliosa vegetazione la
fisionomia di una porta da calcio ed improvvisamente arrestai il passo.
Di fronte a me una figura conosciuta, un’immagine che ancora
una volta ottenne la mia totale attenzione.
Misugi stava un poco fuori area, in posizione di tiro. Indossava la
divisa della Musashi. La sua figura statuaria sembrava un'opera d'arte:
il corpo slanciato, perfetto, il viso serio e deciso, gli occhi
concentrati sulla porta.
Tutto ciò che lo circondava sembrava artefatto, ad esistere
veramente erano solo Misugi e il pallone.
Jun Misugi. Il principe del calcio.
Seguii ogni suo movimento: la rincorsa, la gamba che si posizionava, il
tiro scagliato con potenza, quasi per liberarsi da un peso.
Di fronte a quella scena le mani iniziarono a prudermi, come se volessi
giocare. Incredibile...
“Complimenti, ottimo tiro! Non so se sarei riuscito a
pararlo!” Dissi a voce alta, catturando la sua attenzione.
Misugi si voltò di scatto e il suo sguardo
incrociò il mio... per un istante temetti i suoi occhi.
“Oh, Wakashimazu! Ti sei svegliato?”
Misugi sorrise solare, come se fosse contento di vedermi.
“Eh, sì! Giusto poco fa... vedo che tu, invece,
sei mattiniero!” Scherzai, temendo che facesse qualche
allusione a ciò che era successo.
“Ti va di darmi una mano negli allenamenti?”
Era incredibile come Misugi riuscisse sempre a stupirmi. In fondo,
pensai, anche lui aveva capito che il mio gesto era stato dettato da
quella particolare condizione. I problemi, il sakè, la
stanchezza. Sì, sicuramente l’aveva capito.
“Solo se ti va veramente, però!”
Aggiunse subito dopo, quasi temesse di aver sbagliato a parlare.
“Certo, perché no... potrei prendermi la
rivincita!” Esclamai, stuzzicandolo. E lui colse al volo la
sfida.
“Mh... vediamo cosa sai fare, portiere!” Rispose
con un sorriso ironico alla provocazione.
Cominciava a tuonare, ma ad entrambi sembrava non importare. Anche
quando la pioggia iniziò sottile a scendere
dall’ammasso di nubi nel cielo, noi, noncuranti, continuavamo
quella sorta di competizione.
Persi il conto di tutti i tiri scagliati da Misugi e delle mie parate.
Sentivo l'adrenalina salire all'apice, mi concentravo sui suoi
movimenti, buttandomi poi per parare. Vedere Jun Misugi impegnarsi per
segnare più goal possibili mi donava una sorta di estasi che
mi aveva risvegliato, senza che me ne rendessi conto, il gusto della
sfida.
Poi la pioggia si fece più aggressiva. Noi due,
l’uno di fronte all’altro; io pronto a parare
ancora una volta, lui fuori dall’area, sul punto di tirare.
Invece, d’improvviso, la sua voce. Profonda, decisa.
Provocatoria.
“Perché non cerchi di marcarmi?”
Le sue parole sembrarono delle lusinghe pronte ad ammaliarmi ed il suo
sguardo parve volermi risucchiare, suggestionandomi.
Era come se stessi per cadere nella trappola del lupo, consapevolmente.
“Allora?” Ancora il suo invito, ancora la pioggia,
sempre più martellante.
Improvvisamente sentii come se le briglie si fossero sciolte e scattai
verso di lui, accogliendo la sua sfida. E lui sembrò
compiacersene.
Iniziammo un vero e proprio scontro diretto, un corpo a corpo, una
battaglia all’ultimo sangue per la vittoria. Per lunghi
minuti il campo fu travolto dal nostro scontro, dalle marcature, le
scivolate, i respiri affannati; vinceva chi riusciva a tirare
più volte in porta.
Misugi era veloce, la fluidità dei movimenti e la
dinamicità del suo corpo riuscivano spesso a liberarlo dalla
mia marcatura che si faceva sempre più serrata.
Sempre più
vicina al suo corpo.
D'improvviso sentii il suo torace sfregare sul mio braccio ed una
scarica elettrica mi bloccò sul posto, lasciandomi senza
fiato. Misugi riuscì così a liberarsi della
marcatura, correndo verso la porta, mentre io mi chiedevo che cosa
stesse succedendo al mio corpo.
“Aah!” Un lamento si mescolò con lo
scrosciare intenso della pioggia. Voltandomi, vidi Misugi inginocchiato
a terra e subito il mio pensiero andò al suo cuore.
“Che diavolo... Misugi!” Gli corsi incontro e mi
chinai per sorreggerlo. “Che è successo? Come
stai? Diavolo, dovevamo fermarci...” Le mie mani sulle sue
spalle stringevano la maglia intrisa d’acqua e sudore e solo
in quel momento mi accorsi di quanto stava piovendo.
“Hei... tranquillo!” Misugi mi rivolse un sorriso
rassicurante. “Sono solo caduto...”
“Come?” Spalancai gli occhi per la sorpresa,
incredulo. “Ma... mi hai fatto prendere un colpo!”
“Esagerato! Sei troppo prevenuto” Misugi
ridacchiò, come compiaciuto della mia apprensione
“ Il terreno è scivoloso” Aggiunse, con
un sorrisetto a fior di labbra.
Sospirai e lasciai la presa sulle sue spalle, sedendomi accanto a lui.
“Sei terribile” Sbuffai un poco. “Ho
temuto il peggio...”
“Visto che sei prevenuto?”
Il suo sorriso si fece particolarmente dolce nel pronunciare quelle
parole ed avvertii il cuore cominciare ad agitarsi. Mi tremava la voce,
il corpo e non mi era chiaro il motivo. Possibile che il capitano della
Musashi potesse mettermi così a disagio?
Non era... non mi era mai successa una cosa del genere.
“Bè, cerca di capire... non sono un
medico”.
Parole sconnesse.
“... non saprei che fare...”
“Ssht!” Fece per rassicurarmi, mentre
appoggiava la mano dietro la mia testa, accarezzandomi i capelli.
Il viso di Misugi si faceva sempre più vicino al mio, la sua
voce diventò un sussurro.
“Quanto sei paranoico...”
Mi spinse la testa verso di lui, vidi poi i suoi occhi così
vicini e le labbra che, morbide, calde, si poggiavano sulle mie. Sentii
la sua lingua cercare di aprirsi un varco fra le mie labbra che
schiusi, accogliendo il suo bacio.
Non sapevo più che cosa stava succedendo, in quel momento
non volli neanche domandarmelo.
Jun poggiò la mano sinistra sulla mia spalla stingendola
forte. La sua lingua si muoveva sensuale con la mia ed un misto di
piacere e confusione mi invase, tanto che cinsi le braccia intorno alla
sua vita per stringerlo. Il suo corpo era caldissimo.
Continuammo quel bacio a lungo, mentre continuava a piovere, noncuranti
dei vestiti fradici che si fondevano con la nostra pelle e con la
pioggia, lasciandoci trasportare dalla passione che ci travolgeva.
.
Improvvisamente, continuando a baciarmi, Misugi mi spinse
all’indietro, costringendomi a sdraiarmi; lo sentii mettersi
a cavalcioni sopra di me, per poi staccarsi dalla mia bocca. Avvertendo
la sua immobilità aprii gli occhi per capire cosa
gli passasse per la testa e subito incrociai i suoi: mi stava fissando,
uno sguardo bramoso, come probabilmente il mio.
Li richiuse e si chinò nuovamente.
Questa volta sentii il respiro insinuarsi sul mio collo, la sua lingua
vagare su di esso... su e giù, facendomi impazzire. Liberai
un gemito di piacere e per un istante me ne vergognai... ma era troppo
tardi. Il profumo di Jun, il suo corpo, il suo calore mi stavano
pervadendo, non potevo, né volevo allontanarlo.
All’improvviso Misugi si sollevò sulle mani che
intrappolavano fra loro la mia testa. Il suo corpo era completamente
sopra di me, il viso in corrispondenza del mio. Lo vedevo bagnarsi
dalla pioggia che cadeva incessantemente inondando la sua schiena.
Eravamo entrambi affannati.
Lo vidi fissarmi per una manciata di secondi. Non ebbi il tempo di
capire che volesse fare, quando sentii il suo bacino sfregare contro il
mio.
... uno...due... più volte...
Il suo corpo si trovava in mezzo alle mie gambe, potevo sentire le
nostre pelli aderire, la sua eccitazione incontrarsi con la mia.
Nonostante i pantaloncini che indossava e i miei pantaloni sportivi,
sentivamo entrambi quel tocco bruciante. Improvvisamente persi il
controllo, travolto da una scarica di sensazioni aggressive afferrai i
fianchi di Jun e lo sbattei violentemente fra le mie gambe... Jun emise
un forte gemito, mi afferrò il viso baciandomi con passione.
Ancora e ancora, cercavamo di divorarci l’un
l’altro.
Poi un movimento troppo brusco, la pioggia battente, le mani di Jun che
scivolano sul terreno...
In meno di un secondo mi trovai Misugi completamente addosso, era
scivolato e nella colluttazione ci eravamo dati una testata.
“Ahia! Che male!” Mi lamentai, portandomi una mano
alla testa, ma da parte di Misugi ottenni solo un lungo silenzio.
Sentivo il suo respiro sopra la mia spalla, mentre la pioggia cadeva
incessante contro i nostri corpi.
L'ardore dell'attimo prima era scivolato via, lasciando il posto ad un
forte imbarazzo che sentivo provenire anche da lui.
“Hei...” Accennai, continuando a guardare fisso di
fronte a me. Sentii solo dei lievi movimenti, oltre al freddo che mi
invase non appena Misugi si sollevò, allontanandosi dal mio
corpo.
Rimase in ginocchio, ma era come se non avesse il coraggio di guardarmi
ed anche io avevo comunque molta difficoltà nel farlo. Mi
resi conto che eravamo pieni di fango e sentivo di avere i capelli
assurdamente spettinati.
“Hai la testa dura Misugi” Dissi, nel tentativo di
allentare la tensione.
“Mh, ma senti chi parla...” Ironizzò
Misugi, reagendo, finalmente.
Mi guardò per un istante, poi distolse lo sguardo alzandosi
in piedi. Non riuscii ad interpretare ciò che volevano dirmi
i suoi occhi.
“... credo sia meglio tornare. Siamo bagnati
fradici...” Aggiunse con un filo di voce.
Io rimasi seduto per qualche istante, fissandolo. Non so
perché, ma il vederlo così vulnerabile dimezzava
il mio imbarazzo. Con il cuore che ancora batteva agitato ed affannato,
mi alzai.
“Hai ragione, è meglio tornare...”
Fine II capitolo
* Tipico gioco giapponese della pesca dei pesci rossi con quei
simpatici retini di carta *_*
** é una fissa la mia, quella della gente che mostra diverse
maschere a seconda delle situazioni... >___< La
mia oneechan lo sa bene XDD
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Capitolo 3 *** III capitolo ***
Eccomi qui con il
nuovo capitolo...è stato un lavoraccio questo, soprattutto
l’ultima parte...Diciamo che il discorso è diverso
dalla scorsa versione, ma il sunto rimane quelloXDD Solo che allora era
affrontato nel primo capitolo e mi sembrava troppo
presto...^_^ Vabbè, tanto per molte è
la prima volta, quindi no problemXDD! Allooooora...Grazie millissime a
tutte voi che mi seguite e consigliate!
Grazie a Berlinene
e Melanto,
sono stracontenta che
la ff vi piaccia!! i vostri consigli li ho applicati in questo
capitolo...spero vadano meglio! Aaah Jun che gran uomo*_* la sua
versione Yaoi lo rende molto più interessanteXDD
Cara oneechan,
grazie che mi segui sempre >////< Ormai ti ammorbo con
sta ff, poveraXD
4haley4:
tranquilla, non devi scusarti >__< la In fatto di impegni
ti capisco benissimo ç__ç Mi fa piacere che noti
le parti aggiunte, in effetti prima era troppo scarna e quindi mi sono
dedicata a riapprofondire bene i pg, Ken soprattutto! Era assurdo che
mancasse il karaté! Il prossimo è il capitolo che
attendi...vediamo che ne verrà fuori! Hii nella scorsa
risposta non mi sono spiegata bene..intendevo che Yayoi è di
un noioso, non il capitoloXDDD quello lo dovete giudicare voi ;)
Grazie ancora
a tutte, vi auguro una buonissima lettura con il 3 capitolo!!
Il cuore e il pallone
III parte
Di Releuse
La corsa che feci per raggiungere la pensione sembrò la
più lunga della mia vita. Era come se in quegli istanti il
tempo si fosse distorto, come se io e Misugi continuassimo a correre
all’infinito, non raggiungendo mai la meta, mentre l'acqua
scivolava sui nostri vestiti ormai impregnati, senza però
lavare via quell'odore intenso eppure dolce che sentivo ormai parte del
corpo. L'odore di Jun sulla mia pelle. La pioggia non riusciva a
spegnere neppure quel calore elettrizzante che continuava a pulsarmi
nel sangue, senza placarsi.
Raggiunta la pensione, all’improvviso, il tempo
sembrò tornare a scorrere normalmente. Io e Misugi eravamo
ognuno davanti alla propria porta ed entrambi esitavamo ad aprire,
rimanendo fermi come se una sorta di muro ci impedisse qualsiasi
movimento.
“Senti” Credo che in quel momento Misugi avesse
raccolto tutta la forza e la volontà di cui disponesse, per
poter continuare a parlare “Ci vediamo per pranzare,
ok?”
Ammirai ancora una volta il suo autocontrollo, quella
capacità di mantenere fermezza e lucido distacco in ogni
situazione. Eppure, mi era sembrato che la sua voce tremasse.
“Ok...” Riuscii solamente a ripetere, prima che
Misugi aprisse meccanicamente la porta per rinchiudersi dentro la sua
stanza. E, stavolta, non vidi alcuna ombra poggiarsi su di essa.
Improvvisamente fui invaso da un forte senso di vuoto, come se una
voragine si fosse aperta sotto i miei piedi, separandomi
irreparabilmente da quella camera. Sfinito da una sensazione simile
all’amarezza, entrai nella mia stanza, mentre,
nell’aria, il rumore di un tuono rimbombò per
tutta la pensione, facendo tremare i vetri delle finestre.
Con le ultime forze rimaste mi precipitai nella doccia sotto un getto
d’acqua fredda che irrigidì di colpo il mio corpo,
facendomi stringere i denti con forza. Era una tortura, ma ne avevo
bisogno. Poi, lentamente, miscelai l’acqua in modo che
diventasse più tiepida, liberando nello stesso istante i
respiri trattenuti nella gola. Potevo sentire i battiti del cuore
diminuire, finalmente, dato che fino a quel momento avevano rimbombato
violentemente nel mio petto. Anche la mente cominciava a schiarirsi...
mi rilassai quei pochi attimi non pensando a nulla. Silenziosamente
infilai l’accappatoio e uscii dal bagno, avanzando verso la
finestra, sui vetri della quale si imbattevano imperterrite le gocce di
pioggia. Incrociai così le mani sulle braccia per
asciugarmi, ma non appena le sfregai sul panno annaspai, quasi
spaventato.
Avevo sentito il tocco della mano di Misugi vagare per il corpo, come
poco prima al campo. Deglutii, tornando a respirare... era una
sensazione eccessivamente reale, troppo vibrante, che si insinuava nel
profondo della mia carne.
La sentivo ormai parte
di me.
Spalancai di colpo gli occhi, sconvolto dalla reazione che il mio corpo
aveva avuto nell’immaginarsi
quel contatto.
“Non... non è possibile.” Sussurai fra i
denti, travolto dalla violenza di quei sentimenti ignoti, qualcosa come
un misto di rabbia e vergogna, ma anche di confusione e di impotenza.
Per alcuni istanti mi coprii il viso, quasi con disperazione, poi,
portandomi le mani sulla fronte e tirando indietro i capelli, cominciai
a ridere, con amarezza.
Ormai conscio di essermi
mostrato per ciò che ero veramente e che avevo sempre temuto.
‘Io ho certe
tendenze?’ Avevo pensato fino alla notte prima,
negando a me stesso la verità, perché
ciò che dovevo veramente domandarmi era se avessi ancora quel tipo
di tendenze.
Già. Ero convinto che quello fosse un capitolo chiuso del
mio passato, un semplice turbamento dell’adolescenza che
avevo vissuto come qualcosa di passeggero e da dimenticare. A suo tempo
mi ero ripromesso di cancellare quelle sensazioni e per aiutarmi ero
uscito con diverse ragazze.
Evidentemente non era così.
Per quanto avessi tentato di negare, tutto era tornato prepotentemente
al punto di partenza. Tutto per colpa di lui, Jun Misugi. Nel giro di
un giorno, il principe di vetro era riuscito a mandare in fumo gli
sforzi di tutti quegli anni e ciò aveva iniziato a
sconvolgermi non poco, soprattutto perché c’era
qualcosa di diverso rispetto alle sensazioni provate anni addietro
osservando nell’ombra quella persona. A quei tempi era solo
il mio corpo di ragazzino a reagire, a desiderare, mentre, adesso, la
differenza stava in quella sensazione caustica che mi bruciava il
petto: sentivo come se il mio cuore pompasse lava incandescente al
posto del sangue. E cominciava a farmi tremendamente male.
Ancora un tuono,
all’improvviso, stavolta più lontano.
Inoltre, c’era qualcos’altro che mi aveva sorpreso.
Con lo sguardo cercai i guantoni poggiati su un mobiletto
all’entrata e, dopo averli osservati, poggiai lo sguardo
sulle mie mani. Non riuscivo a spiegarmi da dove fosse nato il
desiderio di giocare che poco prima mi aveva colto. Mentre osservavo
Misugi un impulso irrefrenabile si era propagato per tutto il corpo,
invogliandomi a giocare. Era... era qualcosa che non provavo da mesi e
della quale non riuscivo a capacitarmi.
Era strano, Jun Misugi prima mi batteva sul campo, sfidandomi con i
suoi occhi decisi, amplificando i miei dubbi, mandando in frantumi
l’orgoglio di cui ero sempre andato fiero, poi, invece,
alimentava in me il desiderio della sfida, sempre con lo stesso
sguardo. Sembrava giocasse con le mie debolezze, confondendomi.
Perché io di fronte a lui oscillavo fra sentimenti
contrastanti, fra l’invidia e l’ammirazione*.
Questa era l’ambivalenza che provavo verso Misugi.
Che cosa mi hai
trasmesso, principe di vetro?
Strinsi le mani in un pugno, abbassandole; non mi ero mai sentito
così confuso e turbato nella vita, mai. Jun Misugi stava
spazzando via le mie certezze ad una velocità pazzesca e non
sapevo se lui stesso se ne stesse rendendo conto. Era troppo...
enigmatico. Per quanto mi sforzassi di riuscire a capirlo, la cosa non
mi riusciva affatto. Ricordavo bene il suo controllato distacco al mio
bacio, quello era stato un evidente rifiuto. Eppure sul campo mi aveva
baciato in quel modo... passionale.
Che mi avesse preso in giro?
Mi sarebbe piaciuto poterne avere le prove, sarebbe stata
un’ottima scusa, dato che la verità avevo il
timore di ammetterla. Infatti, avevo come l’impressione che
Misugi avesse portato avanti la mia stessa battaglia in quegli anni.
Una lotta contro i
propri istinti.
Qualunque fosse la sua verità, non avevo comunque alcuna
intenzione di rivelargli la mia. Quello era un capitolo chiuso della
mia vita e mai avrei voluto riaprirlo, vivendo ancora le angosce che
allora mi avevano divorato. Rinforzato da un moto di coraggio e di
orgoglio, decretai che quella situazione non sarebbe andata oltre,
né si sarebbe più riproposta. Alzandomi e
cominciando a vestirmi, decisi che avrei parlato con Misugi,
spiegandogli che il mio era stato solo un attimo di debolezza, nulla di
più. Ed ero certo che dato il suo carattere non avrebbe
indagato oltre.
Forte di quella sicurezza, mi trovai in pochi secondi davanti alla
porta della sua stanza. “Misugi, sono io!” Chiamai,
mentre bussavo con decisione.
“Ah, Wakashimazu! Sono quasi pronto, entra!”
Altrettanta prontezza sembrava aspettarmi al di là della
porta.
Feci un profondo respiro prima di abbassare la maniglia, ormai deciso
ad affrontare subito il discorso e mettere la parola fine a quella
situazione una volta per tutte. In quel poco tempo passato con lui
avevo capito che Jun Misugi era una persona schietta ed acuta, con il
quale non si poteva girare intorno ai discorsi.
Non avevo avuto alcuna esitazione, nessun dubbio fino a quel momento...
fino a quando aprii la porta, varcandola ed entrando in quella
dimensione capace di mandare in frantumi tutte le mie convinzioni. In
un attimo, come polvere al vento.
La prima cosa che sentii fu il delicato profumo che avvolgeva
l’intera stanza, un misto di bagnoschiuma e balsamo che
inebriava le narici, ma fu ciò che mi si presentò
davanti agli occhi a togliermi il fiato. Immobilizzato da
chissà quali forze sovrannaturali, osservavo Misugi
infilarsi delicatamente la maglietta, scuotere poi la testa, dove i
suoi bellissimi capelli ancora bagnati gli sfioravano il viso,
infastidendolo, mentre delle gocce d'acqua colavano sensuali sul collo.
Il suo corpo, di fronte alla finestra, veniva baciato dai primi raggi
di sole che segnavano la fine della pioggia, illuminando la pelle
candida.
Il mio campo visivo non registrava altro dentro quella stanza
insonorizzata, estranea alla realtà là fuori:
c’erano solo Jun Misugi e il suo bellissimo corpo.
Deglutii, riprendendo a respirare, anche se l’aria
sembrò essere diventata improvvisamente di piombo.
“Ehi” Fece lui, rivolgendomi lo sguardo per la
prima volta. E per me fu come essere di fronte all’attore di
un film muto che improvvisamente esce dallo schermo e si rivolge
proprio a te, sconvolgendoti.
“Non stare sulla porta, entra” Misugi sorrideva,
come se nulla fosse. Ancora una volta stava indossando quella maschera
di imperturbabilità e sicurezza, lo stava facendo con me e questo mi
provocò un groviglio doloroso nello stomaco.
O era il cuore?
“Sei più svelto di quanto pensassi... eh, eh, devo
ricredermi” Aggiunse, scherzando.
Ed io decisi allora di stare al suo gioco, tornando alla mia maschera
strafottente ed orgogliosa, era questo che volevamo entrambi, no?
“Pfiù, cosa pensi, che sia uno di quelli che perde
tempo a prepararsi?” Domandai, fra l’ironico e
l’eccessivamente cinico. C’era qualcosa che mi
stava violentemente dilaniando dentro, come se fossero le fauci di una
bestia delirante.
“Sì, in effetti lo credevo! Ma mi sono reso conto
che sono tante le cose di te che ‘credevo’ e che
non erano tali, sei sempre una sorpresa per me, Wakashimazu!”
Le sue parole furono una sorpresa e placarono la rabbia irrazionale che
pochi istanti prima mi aveva colto. Mi diedi mille volte dello stupido
per aver dubitato di Misugi, lui non avrebbe mai negato qualcosa,
perché era sempre pronto ad affrontarla. Il capitano della
Musashi rise, dopo aver pronunciato quelle parole e nella sua voce
lessi un desiderio di smorzare la tensione ed anche una punta di
imbarazzo.
Mi piaceva
così tanto vederlo sorridere... mi faceva stare bene...
Questa fu l’ultima cosa che pensai, prima che i ricordi ed i
pensieri elaborati nella mia stanza tornassero incalzanti nella testa.
Dovevo smettere di contemplare Misugi, me lo ripetei più e
più volte durante quei lunghi attimi, mentre cercavo di
riacquistare un minimo di lucidità e convinzione.
Con uno scatto mi avvicinai a lui, tirandolo bruscamente su per un
braccio, mentre si allacciava una scarpa.
“Ma che...Wakashimazu!” Uno sguardo impreciso, il
suo.
Seguirono alcuni attimi di silenzio durante i quali, schiacciati da
un’aria immobile e gelida, l’uno di fronte
all’altro, ci guardavamo decisi negli occhi e Misugi
attendeva che parlassi. Ed io ero ormai deciso a farlo, a mettere la
parola fine...
... e la fine
arrivò.
“Fallo ancora...”
Furono le uniche parole che riuscii a dire, contro la mia
volontà, l’ apparente
volontà, perché la verità prese
possesso del mio corpo condensandosi nella voce.
“... baciami come hai fatto prima...” Continuai con
languore, ormai privato della capacità di pensare.
Misugi, colto da un forte stupore, schiuse le labbra come per dire
qualcosa, ma non disse poi nulla, perché parve capire.
Guardandomi con occhi gentili, accennò un sorriso, mentre la
sua mano si poggiava dolce sulla mia guancia accarezzandola. Socchiusi
gli occhi e chinai la testa per sentire di più il suo tocco
caldo.
“Jun ...” Sussurrai.
Avvertii il brivido che scosse il corpo di Misugi, quando ne pronunciai
il nome. D’improvviso, Jun mi afferrò la testa,
sbilanciandomi verso di sé per unire le nostre labbra,
mentre io lo avvolgevo con le braccia, ricambiando il bacio con
passione. Aprii la bocca e subito sentii la lingua di Misugi cercare la
mia; non appena si trovarono, i due muscoli si invasero con
avidità, cominciando un duello senza sosta dove era impedito
prendere respiro.
Avrei dovuto scacciarlo, allontanare la pericolosa presenza del suo
corpo, era quello che avrei dovuto fare... ma non più ciò che volevo.
In quel momento non mi importava più di nulla, non volevo
pensare, perché ciò che desideravo era solo
Misugi, la sua bocca, il suo corpo.
Jun sembrava un’altra persona, il suo invidiato autocontrollo
era totalmente scomparso, annullato dalla passionalità e
dalla foga che lo dominavano in quegli istanti e che lo portarono a
spingermi sul futon, dove ci chinammo, l‘uno
sull’altro. Sentii d’improvviso la mano decisa di
Misugi che si faceva spazio sotto la mia maglietta ed io solo per quel
primo tocco mi contrassi, catturato dall’acuta
sensazione di piacere trasmessa da ogni sua carezza. Poi quei gesti non
gli bastarono più, cosicché il principe del
calcio strinse i bordi della mia maglia sollevandola con forza,
riuscendo a sfilarmela, lasciando scoperto il torace. La pelle del mio
petto arse nel sentire le sue labbra alternare baci e giochi con la
lingua su di essa, dove poi mi mordeva dolcemente. Sentii una vampata
di calore accendersi nel sangue, propagandosi per tutto il corpo,
concentrandosi poi nel ventre, creando un formicolio che iniziava a
crescere d’intensità.
Mi sentivo legato, impossibilitato a reagire, in balia di lui e
sull’orlo della pazzia. Jun aveva messo fine a tutta la mia
lucida volontà.
Ormai sedotto ed ammaliato da quel gioco erotico, cominciai a prenderne
attivamente parte, iniziando a spogliare a mia volta Misugi.
Nel momento in cui riprese a baciarmi, portai le mani sui suoi fianchi,
alzandogli la maglietta per sfilarla completamente; con un colpo di
reni alzai il bacino di scatto e baciai il suo petto, sempre
più intensamente.
“Ah, Ken!”
Era la prima volta che mi chiamava per nome e la sua voce, mescolata al
gemito che non trattenne, amplificarono improvvisamente il mio piacere
tanto che, facendo forza, ribaltai le posizioni costringendolo a
sdraiarsi. Già sopra di lui, cominciai a baciarlo sotto
l'ombelico e trassi godimento nel sentirlo tremare e poi gemere forte,
quando gli passai la lingua sulla pelle segnando il confine dei suoi
pantaloncini. In breve glieli sfilai, insieme ai boxer, lasciandolo
nudo di fronte a me. Era davvero splendido. Stavo per fare un ulteriore
movimento, quando Jun mi afferrò il braccio, bloccandomi:
guardandomi negli occhi con determinazione, si dimostrò
più che mai deciso ad andare fino in fondo.
“Spogliati anche tu” Fu l’ordine che
fuoriuscì dalle sue labbra, mentre stringeva il mio braccio,
sancendo il suo potere con quella presa. Mi trovai ad obbedire
ciecamente ai suoi ordini e in pochi istanti anche io ero completamente
nudo di fronte a lui. Jun sollevò la mano e, lentamente,
prese a vagare sul mio torace, accarezzando i fianchi, scendendo
giù sulle cosce, seguendo quel movimento con gli occhi;
sembrava mi stesse studiando minuziosamente e quel suo atteggiamento
finì per inibirmi, generando una sensazione molto simile
all’imbarazzo.
D’improvviso mi vergognai, non sapendo più come
comportarmi.
Misugi se ne accorse ed ebbi la sensazione che si compiacesse di quella
mia titubanza. Sapeva di essere ancora una volta lui il dominatore, in
quella situazione così come sul campo e quindi non
tentennò: dopo avermi dato un rapido bacio sulle labbra e
svanito dal mio campo visivo, lo sentii respirare all’altezza
dell’inguine. D’improvviso tutto divenne di fuoco:
l’aria, come se, ormai satura di gas, qualcuno avesse acceso
una fiamma; il futon, che mi ustionava la schiena; il sudore che
bruciante scivolava sul mio corpo; infine le labbra di Jun, che
avvolgevano il mio sesso.
“Aaah, Jun!” Ansimai, perdendomi nel piacere. La
sua lingua vagava ostinata su e giù, infiltrandosi
nell’interno coscia, facendomi impazzire.
Iniziai a muovermi convulsamente inarcando la schiena, inondato da
un'intensa estasi; ormai a guidare i miei movimenti erano solamente
quelle sensazioni e gli istinti che fino a quel giorno avevo cercato di
nascondere e placare. Con la mente offuscata dal piacere, non appena
Jun si sollevò sulle ginocchia, gli afferrai i fianchi,
spingendoli fra le mie gambe prontamente allargate. Un gemito
uscì dalla bocca di entrambi non appena i nostri inguini si
sfregarono l’uno contro l’altro e Jun comprese
subito il significato di quel gesto, visto che, lottando per
riacquistare un minimo di razionalità, si bloccò,
cercando il mio sguardo.
“Hey, Ken... sei... sicuro?” Sentivo il suo respiro
affannato sulle guance. “Non voglio che faccia le
cose contro la tua volontà...” Mentre pronunciava
quelle parole, Jun mi accarezzava il viso con tanta dolcezza, nei suoi
occhi potevo leggere una sincera comprensione e grande rispetto nei
miei confronti.
Socchiusi un attimo gli occhi, cercando di rilassarmi. Ascoltavo i
battiti del cuore, ancora veloci ed incalzanti, i respiri ansanti e le
sensazioni del corpo. Mi resi conto che non m’importava
più di niente, che non riuscivo ad avere altri pensieri se
non un unico, intenso, desiderio.
“Prendimi, Jun.” Sussurrai, aprendo nuovamente gli
occhi, perché leggesse nel mio sguardo la piena convinzione.
Misugi raccolse la mia totale resa baciandomi nuovamente con passione,
sdraiandosi su di me con il suo corpo bollente. Potevo leggere
l’emozione nei suoi movimenti, la percepivo anche dai battiti
del cuore che si erano improvvisamente amplificati. Dopo aver
lubrificato il proprio sesso con la saliva, si posizionò fra
le mie gambe poggiandole sulle sue spalle, mentre la sua mano sinistra
s’intrecciava alla mia.
Strinsi gli occhi e i denti, aspettando impaziente e quasi soffocando
per i battiti del cuore che, esplodendo nel petto, mi
tagliavano il respiro. Un attimo dopo gridai, come se fossi stato
invaso da mille aghi.
All’inizio fu un dolore devastante e credei davvero di non
poter resistere oltre, sentivo Jun sprofondare lentamente dentro il mio
corpo scatenandomi delle fitte dolorose. Ma, dopo brevi istanti, un
denso calore cominciò a farsi strada nel mio corpo che
smetteva di contrarsi, provocando inizialmente moti di
brividi ed infine di piacere. Jun aveva cominciato a muoversi, lo
sentivo dentro di me, ne udivo il respiro affannato, i gemiti, il mio
nome sussurrato fra quelle labbra. Teneva gli occhi chiusi ed il suo
viso era rivolto verso l’alto e nel guardarlo mi rendevo
conto di quanto fosse bello e di come lo desiderassi. Ogni sua spinta
dentro il mio corpo era una scarica di piacere totalizzante ed a poco a
poco cominciai a muovermi insieme a lui, mentre gli accarezzavo il
petto, i fianchi, fino a stringere forte il suo sedere fra le mani; mi
sentivo come ubriaco, ebbro del piacere che Jun sapeva donarmi.
Improvvisamente lo sentii contrarsi, quindi mi aggrappai alle sue
braccia, stringendole con forza. Urlò il mio nome quando
venne dentro di me ed io feci lo stesso, mentre mi svuotavo sul suo
corpo.
Jun mi crollò addosso, sentivo le gambe che ancora gli
tremavano; eravamo entrambi esausti e rimanemmo immobili per alcuni
istanti, durante i quali, l’uno avvinghiato
all’altro, ci inebriavamo dell’estasi che ancora ci
solleticava.
Per diversi minuti regnò solo un morbido e complice silenzio.
“Non... non ho più forze” Con un filo di
voce Misugi si rannicchiò al mio fianco. Spontaneamente lo
cinsi con un braccio riavvicinandolo e lui sorrise sorpreso.
“Se il mio cuore ha retto a questo, credo che non
avrò più problemi” Scherzò
poi, ancora ansimante.
“Scemo!” Risposi, trattenendo una risata.
“Ma cosa vai a pensare!”
“Bè, qualsiasi cosa per guarire il mio povero
cuore malato!” Si prese in giro Misugi ed io stavolta risi
sul serio. Poi avvicinai la mano al suo viso, scostandogli i capelli
sudati dagli occhi.
“Mi hai fatto impazzire” Gli confidai, stavolta
totalmente serio.
“Mi fa piacere.” Rispose Jun, sorridendo.
Rimasi appoggiato a lui in silenzio, sentivo il suo respiro rilassarsi,
il corpo che si intiepidiva dissolvendo il calore assorbito in quel
momento di passione. Poi il principe cercò il mio sguardo
voltandosi leggermente.
“... è stato molto bello, Wakashimazu”
Ammise con sincerità e senza alcun pudore.
Io rimasi senza parole e per alcuni secondi non dissi nulla. Sapevo che
ormai non potevo più negare, che non mi sarei più
potuto nascondere dietro una maschera di menzogne. Feci quindi un bel
respiro ed ascoltai le sensazioni ancora vive nel mio corpo.
“Anche per me...” Sospirai, ammettendo i miei reali
pensieri. “... e poi, mi hai sorpreso. Non credevo
che...” Tossicchiai, guardandomi intorno.
“... che cosa?” Misugi divenne improvvisamente
curioso di sentire il resto della frase. Allora lo guardai con un velo
di malizia.
“... che ci sapessi fare così!”
Esclamai, ridendo.
La cosa più incredibile fu la fulminea reazione di Misugi,
il quale, a quella constatazione, arrossì di colpo. Mi venne
da sorridere pensando che, dopo quello che era successo fra di noi, si
potesse imbarazzare in quel modo. Dopo aver sbuffato, Misugi si mise
seduto, incrociando le braccia.
“Eh, sai, il principe del calcio è il
migliore in tutto!” Rispose, annuendo con la testa.
“Ah!” Esclamai scherzoso. “Non ti facevo
così sicuro di te!”
“Io sono sempre sicuro di me” Continuò
Misugi, con quel fare fintamente saccente.
Io lo guardai per alcuni istanti, soffermandomi sul fatto che lui
riuscisse sempre a gestire ogni situazione, qualsiasi essa fosse,
trovando le giuste parole e il corretto atteggiamento. Come se ogni
volta fosse in grado di guardarsi dal di fuori.
“Lo so” Sospirai, attirando l’attenzione
di Misugi su quel discorso che stava assumendo toni seri.
“Anche io... ma pecco d’impulsività e a
volte non so scendere a compromessi. Tu, invece, mantieni sempre la
giusta freddezza e distacco nell'affrontare le situazioni. A volte ho
pensato che fossi più temibile di
Hyuga!” Scherzai infine.
“Che intendi?” Domandò Misugi, non
perdendo il senso delle mie parole.
“È strano da spiegare... in questi due giorni ho
conosciuto un Jun Misugi diverso, più spontaneo, questo
è vero. Mi sono chiesto più volte come facessi ad
essere però sempre così sicuro ed imperturbabile.
Ho come l’impressione che tu usi molto la
razionalità e cerchi di tenere sotto controllo le situazioni
e le emozioni, evitando di lasciarti coinvolgere da esse. Sembra
paradossale... ma è come se fossi davvero di
vetro. Nel senso che guardi le cose come se fossi nascosto dietro un
vetro dal quale osservi la realtà, ma nella quale
non vuoi essere coinvolto. La tua lucidità
è sempre costante, mai un moto di rabbia o
un’espressione di turbamento, mai. Questo perché
studi sempre le situazioni ed ogni possibile reazione o controreazione
ad esse.”
Ancora una volta
riflettevo sul comportamento di Misugi. Quell’atteggiamento
che ammiravo e che odiavo allo stesso tempo.
Inizialmente, non mi ero accorto che Jun fosse rimasto senza parole,
mentre parlavo fissava il vuoto davanti a lui, seguendo tutto il
discorso, senza perdersi alcuna parola. Mi parve sorpreso da
ciò che stavo dicendo, anche se non potevo vedere
l’espressione del suo viso.
“... mi hai davvero studiato in questi due
giorni...” Disse, continuando a guardare davanti a
sé ed io credei stesse scherzando.
“Eh?” Mi sentii messo improvvisamente alle strette
e scoperto. “No, beh, dai, esagero... sto facendo troppa
filosofia!” Stavo per ridere, ma mi resi conto che Jun non
stava affatto scherzando, né voleva mettermi consapevolmente
in difficoltà, anzi, nel voltarsi, finalmente, vidi la sua
espressione turbata.
“Non... non giustificarti, hai centrato
perfettamente.” Disse con una sorta d'amarezza nella voce.
“... é che la malattia al cuore mi ha portato
anche a questo. Senza la lucidità, il controllo, non avrei
potuto andare avanti. Se mi fossi lasciato andare alla paura, alla
disperazione o, peggio, al timore di non farcela, sarei impazzito. Io
amo il calcio. E ho troppa paura di non poter giocare a lungo. Il mio
tempo in campo diminuisce sempre più. E io voglio godermi il
gioco, assaporarne ogni minimo secondo, non perdere tempo con la
disperazione... la malattia mi frena, ma non uccide la mia passione per
il calcio. Giocherò fino all'ultimo minuto che mi
è consentito, a costo di morire sul campo...”
Jun strinse i pugni guardandomi negli occhi deciso.
“Hei!” Mi sollevai di scatto, mettendomi seduto.
“Non devi mica morire!” Esclamai, guardando
severamente il capitano della Musashi.
“Eh, eh, dicevo per dire...” Sorrise Misugi,
accarezzandomi i capelli.
“Eh? Ah, ok...” Arrossii, per le sue parole e per
quel gesto di premura; con Jun ero davvero troppo impulsivo e, come
diceva lui stesso, prevenuto.
Possibile che mi stesse
così a cuore?
Poi, improvvisamente, mi rivolse quella domanda. Fredda, decisa, un
fulmine a ciel sereno.
“E tu? Perché non vuoi più
giocare?”
Non risposi subito. Non che non mi aspettassi quella domanda, ma non
ero davvero preparato dopo ciò che era successo. Sapevo che
Jun era stato sincero con me e stavolta non avrei potuto eclissare,
evitando di parlarne. Presi così tutto il coraggio che avevo
e mi confidai.
“Vedi, Misugi... ultimamente mi domando spesso se giocare a
calcio è quello che voglio veramente, se vale la pena
continuare. A volte penso che potrei fare tante altre cose, anche il
karaté sta diventando una possibile opzione.. .che
ironia...” Sorrisi con dispiacere.
“Credevo che il calcio ti piacesse...” Mi
interruppe Misugi, aggrottando la fronte.
“Ma... non è che non mi piace. È che
sono tormentato dai dubbi. E dal peso della differenza.”
“Ancora questa storia di Genzo?” Il suo tono si
fece improvvisamente serio e critico.
“Esatto, ne abbiamo già parlato...”
Continuai, non afferrando la severità della sua domanda.
“Ho sempre giocato per superarlo, il mio scopo è
sempre stato quello d’essere migliore di lui. Ma troppe volte
questa ossessione mi ha fatto commettere errori sul campo.
L'ultimo campionato ne è la prova...” Nervoso,
stringevo i pugni con forza “Non supererò mai
Genzo Wakabayashi! Sarà sempre lui il migliore”
“Balle!” Esordì Misugi, sbuffando.
“Smettila di nasconderti dietro un motivo così
stupido...”
Cercai di replicare, confuso dal suo atteggiamento quasi aggressivo, ma
Misugi non me ne diede il tempo. “Te l’ho
già detto ieri sera, il voler battere Wakabayashi non
è un buon motivo per giocare a calcio. Né il
sentirsi inferiore è quello per poterlo mollare.
Perché, se così fosse, faresti davvero meglio a
ritirarti, credimi.”
Le sue dure parole mi squarciarono e mi fecero male, non era certo
quello che mi aspettavo di sentirgli dire. Possibile che Misugi fosse
arrabbiato per quel mio atteggiamento?
“Io penso che sia un altro il tuo problema,
portiere...” Disse, rivolgendomi un’occhiata ancora
più dura.
“E... quale... sarebbe?” Balbettai, confuso ed
inquieto come un paziente che attende la diagnosi del medico.
“Vuoi sapere la risposta alla tua domanda: ‘Mi vuoi dire
perché ti ostini a giocare a calcio, nonostante rischi di
morire?”
Il cuore mi salì in gola, pulsando agitato.
Le labbra di Misugi si incresparono in un accennato sorriso quasi
rassegnato.
“... è la passione...”
Sospirò, abbassando le spalle in segno di resa, sfinito
dalla mia testardaggine.
“Il calcio è passione, Wakashimazu...”
Jun parlava come se stesse dicendo la cosa più ovvia e
semplice che esistesse. Infatti sembrò una cosa talmente
banale che pensai mi stesse trattando come un bambino ingenuo, al quale
bisogna insegnare le cose più elementari.
“Passione, certo...” Ripetei, quasi stizzito.
“La fai facile tu che schiatteresti in campo pur di giocare a
calcio. Anche Ozoora mi parlerebbe di passione. Hyuga no, lui gioca per
vincere e basta. Ma io non sono come te, come loro! Non riesco ad
esserlo, io...” Non sapevo più dove andare a
parare e me ne rendevo conto. In verità, le parole di Misugi
mi avevano colpito più di quanto potessi immaginare. Che
avesse davvero centrato la verità?
Forse cominciavo a capire...
Misugi lasciò scorrere la mia rabbia, assumendo
un’espressione di conforto. Mi poggiò poi una mano
sulla spalla.
“Non è questione del ‘calcio’
in sé, Ken. Per me magari è così e tu
l’hai capito bene. Per Tsubasa e per Hyuga è lo
stesso, anche loro preferirebbero morire piuttosto che lasciare il
campo.” Disse, sorridendo sulle ultime parole. “Ma
per te? Cosa c’è d’importante? Se non
è il calcio, ci sarà qualcos’altro? Per
passione intendo qualcosa che ti coinvolga a prescindere dai motivi. La
passione è passione e basta. Se hai questa allora
potrai affrontare la rivalità con Wakabayashi e tutto il
resto, ma senza quella non andrai da nessuna parte.”
Jun mi guardava e i suoi occhi chiedevano se stessi capendo, se avessi
afferrato il senso delle sue parole. E purtroppo sì, avevo
amaramente compreso e non potevo più negarlo.
Ciò che avevo perso era davvero la passione per il calcio.
“Quando avrai trovato qualcosa a cui dedicarti senza un
motivo specifico che non sia la passione, allora ti sentirai forte come
me. Magari sarà il calcio, o qualsiasi altra cosa.
L’importante è che tu ci metta
passione!” Jun sorrideva, perché sapeva che avevo
capito.
“Oppure dai, devi trovare un altro buon motivo per
dedicarti al calcio, no?” Scherzò, prendendomi un
po’ in giro ed io cominciai a sorridere per come, con quella
battuta, Jun avesse alleggerito la tensione.
Anche il suo tono, dopo quelle ultime parole, si rilassò.
“Pensa a Hyuga, anche lui l'ha capito, nonostante tutto. Non
è sbagliato voler essere i migliori, ma non dobbiamo
ossessionarci per questo. Altrimenti perdiamo di vista lo scopo del
calcio, perdendo l'entusiasmo se qualcosa va storto.”
Con un movimento inatteso Jun mi prese la mano, intrecciando le dita,
poi strinse con forza, trasmettendomi sicurezza.
“La gente vuole giocare contro di te e ti sfida in quanto Ken
Wakashimazu. Non si sofferma sul fatto che tu sia migliore o meno di
Genzo Wakabayashi, mettitelo in testa. Devi essere te stesso sul campo,
impegnandoti senza assurdi condizionamenti. Se ami il
calcio...”
Jun si appoggiò al mio petto ed io lo avvolsi con un
braccio, volevo sentirlo vicino. In silenzio, mentre sentivo il suo
respiro solleticare il collo, pensai che non avevo ancora delle
risposte, né sapevo come avrei gestito la cosa,
né se avrei continuato a giocare a calcio. Eppure le parole
di Jun mi colpirono, regalandomi un soffio di quella
tranquillità che da tempo avevo smarrito da qualche parte
nel mio cuore, perché finalmente sapevo su cosa avrei dovuto
riflettere.
In silenzio chinai il mio viso su quello di Jun, cercando le sue labbra
per baciarle.
“Ken...” Disse improvvisamente Jun, interrompendo
quel bacio che stava diventando sempre più passionale.
“Mh...” Mugolai con disappunto.
“Non che mi dispiaccia stare qui, però... sono le
quattro e non abbiamo ancora pranzato!”
Improvvisamente notai il mio stomaco brontolare da chissà
quanto tempo. “Uh, in effetti...” Constatai
imbarazzato.
“Bè, si vede che avevamo di meglio da
fare...” Scherzò Misugi con malizia, facendomi
arrossire di colpo.
“Sei assurdo!” Brontolai, mentre ci alzavamo dal
futon, ridendo e dandoci piccoli spintoni.
Oppure dai, devi trovare
un altro buon motivo per dedicarti al calcio, no?
Era una battuta, eppure mi ci sarebbe voluto ancora del tempo per
comprenderne il significato. Quel giorno erano successe davvero tante
cose, forse troppe. Dovevo ancora rendermene conto.
Fine III parte
* ahi ahi oneechan, le mie fisse tornano anche quiXD Chi conosce
Carnival sa di che parlo...ma tranquilli, qui non vi
ammorberò con discorsi sull’invidia
ammirazione...XDDDD
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