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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I: What Kind Of Man ***
Capitolo 2: *** Capitolo II: Runaway ***
Capitolo 3: *** Capitolo III: Colors ***
Capitolo 1 *** Capitolo I: What Kind Of Man ***
“I
overheard the man
whisper
“I
am a lover
not
a fighter,”
and
to myself
I
thought
I,
am
in fact,
both.
For
is it love
at
all
if
it's not worth
fighting
for?”
(Tyler
Knott Gregson)
All
You Never Say
Capitolo
I: What Kind Of Man
8
novembre 2014
“I
was alone, falling free,
trying
my best not to forget
what
happened to us, what happened to me,
what
happened as I let it slip.”
Harry
si allunga, prende il cellulare dal comodino e spegne la sveglia. Si
lascia cadere di nuovo tra le lenzuola, gli occhi chiusi, le labbra
secche, la mente offuscata. Lentamente, lascia che le sue dita
danzino nello spazio vuoto al suo fianco – sente che le
lenzuola
sono fredde.
È
quasi confuso, prima di ricordare.
Sospira.
Harry
si veste lentamente, il corpo ancora intorpidito dal sonno, quando
sente il suo cellulare vibrare sul letto – eccolo, il primo
messaggio del mattino. Non lo leggerà, questa volta. Non lo
leggerà,
perché oggi si sente forte.
Prende
un paio di pillole dal comodino. Le manda giù senza acqua.
Il
cellulare vibra di nuovo, ma Harry lo ignora, mentre va a fare
colazione.
“Buongiorno,
Haz.”
Harry
si siede di fronte al suo migliore amico, inizia a versare i cereali
nella sua tazza.
“Buongiorno,
Ni.”
Niall
sorride intorno al cucchiaio, fissandolo con quei suoi occhi gentili.
“Hai dormito bene, stanotte?”
“Sì,
grazie. Anche se avrei preferito rimanere a letto un altro
po'.”
Harry
mangia un cucchiaio di cereali, e storce le labbra.
Il
fatto è che ha sempre detestato i cereali. Quando era
piccolo, sua
madre si svegliava sempre prima di lui e di sua sorella Gemma per
preparare la colazione – a volte erano uova strapazzate,
altre
volte pancakes, altre ancora colazioni inglesi complete –
finché
questo compito non era toccato a Harry. E non gli era mai pesato,
davvero, lasciar riposare sua madre un po' e preparare la colazione
per le persone a cui teneva di più – amava
svegliarsi prima di
tutti gli altri, camminare nella casa silenziosa e svegliarsi con
l'odore del cibo mentre friggeva nella padella. Era uno dei suoi
momenti preferiti della giornata – un'abitudine che ha
mantenuto
fino ad ora. Fino a un anno prima, a dire la verità.
Per
qualche motivo, ora questo gesto gli costa troppa fatica –
così
mangia i suoi cereali in silenzio, senza farsi troppe domande.
“Oggi
è il grande giorno, eh?”
Harry
sorride. Si era quasi dimenticato – oggi il dottor Winston,
il suo
psicoanalista, presenterà un libro nella sua libreria.
È il primo
evento che organizza da solo, e si sente orgoglioso di sé
stesso.
Fino a pochi mesi fa non pensava che avrebbe mai più messo
un piede
fuori casa, e ora è lì, è vivo, e sta
realizzando delle cose -
delle belle cose - completamente da solo.
“Già.
Grazie per avermi fatto tornare l'ansia, comunque.” dice,
sorridendo per far capire a Niall che sta solo scherzando.
“Ansia
per l'evento o per il fatto che stai per diventare famoso?”
Harry
sospira. “Ni, è solo un trattato di psicologia. E
poi quante volte
ti ho detto che parla dei suoi pazienti in forma anonima? Non
comparirà il mio nome.”
“Comunque
c'è anche il tuo caso, lì dentro. Io sarei un po'
in ansia sapendo
che tutti possono leggere le mie turbe psicologiche in un
libro.”
Niall infila una mano tra i suoi capelli ossigenati e li spettina un
po', prima di borbottare un: senza offesa.
Harry
si mette a ridere, coprendosi la bocca con una mano. “Grazie,
mi
stai aiutando molto con il controllo dell'ansia.” dice,
alzandosi,
mettendo la sua tazza dentro al lavello.
Niall
spalanca gli occhi, rendendosi conto di quello che ha appena detto.
“Oh, cazzo – scusami, Harry, non volevo peggiorare
la situazione.
Sono proprio un amico di merda.”
Harry
ride di nuovo, scrolla le spalle, mentre si appoggia con un fianco
alla tavola. “Non ti preoccupare, Ni, stavo solo
scherzando.”
All'inizio
il fatto che la sua storia, i suoi pensieri e le sue emozioni
sarebbero stati pubblicati in un libro non l'aveva entusiasmato molto
– non è fiero di come si sentisse, di quello che
si è lasciato
fare, e solo poche persone, nella sua vita, sanno cosa sia successo
in realtà, figuriamoci cosa abbia provato nel frattempo. Poi
aveva
saputo dell'anonimato, e il dottor Winston – o Ben, come si
fa
chiamare dai suoi pazienti – gli aveva spiegato che la sua
storia
avrebbe potuto aiutare altri psicoterapeuti ad affrontare persone con
i suoi stessi problemi – a quel punto non era stato difficile
scegliere.
“No,
mi dispiace davvero. Ogni tanto dovrei collegare il cervello alla
bocca e -”
Il
cellulare di Harry vibra sul tavolo per la terza volta, quella
mattina.
“Harry,
è -”
“Sì.”
Harry non lo lascia neanche finire, il senso di colpa che stringe il
suo stomaco in una morsa terribile.
“Lo
sai che dovresti -”
Harry
lo interrompe di nuovo. “Sì, lo so. Non dire
niente, per favore.
Ci sto provando.”
Niall
lo guarda negli occhi e annuisce, senza dire nient'altro.
Harry
prende il cellulare e cancella i messaggi prima di leggerli.
Harry
si lega i capelli, mentre osserva il suo respiro condensarsi
nell'aria davanti a lui. Poi inizia a correre, sperando di
riscaldarsi un po' – è ormai novembre, e la felpa
non riesce a
fermare l'aria gelida che corre giù per la sua schiena e lo
fa
rabbrividire.
Harry
odia correre, per davvero. Ha iniziato sperando che potesse essere
utile per scaricare un po' di tensione – per aiutarlo a
dormire,
alla sera, e renderlo un po' più rilassato durante la
giornata –
ma, ovviamente, non è servito a nulla. Ha anche provato a
smettere,
ma si è accorto come quasi gli mancasse sentire quel dolore
alle
gambe, il fiato corto, il sangue che pulsa in ogni angolo del corpo
–
quindi, alla fine, ha ricominciato. E sono le mattine come queste in
cui non si pente della sua decisione – il Sole è
ancora basso e si
rispecchia sulle strade coperte dal ghiaccio, il rumore delle sue
scarpe da ginnastica che colpiscono il cemento spezzano il silenzio
soffice che avvolge tutto – è come vivere in un
altro mondo, in
un'altra vita, almeno per un po'. Un momento in cui può
dimenticare
tutto – un momento in cui si può distaccare da
sé stesso e
prendere il volo, guardare tutto dall'alto e godersi la vista, per
una volta – un momento in cui la sua mente non è
più sua e la sua
storia non è più sua e la sua vita, anche per un
secondo, non fa
più male.
Forse
Harry, dopotutto, non odia correre.
Harry
rimane sotto la doccia più del necessario.
Sa
che dovrebbe sbrigarsi, che probabilmente sarà in ritardo
per
l'apertura della libreria – ma ha bisogno di stare fermo un
minuto
in più – ha bisogno di raccogliere i suoi
pensieri, ha bisogno di
guadagnare un po' di autocontrollo, perché oggi non si
prospetta una
bella giornata; le vibrazioni del suo cellulare sono troppo
frequenti, sta diventando già difficile ignorarle e sono
solo le
otto e mezza di mattina – Harry non vuole cedere, non oggi,
non
più.
Il
suo sguardo cade sul suo polso, dove le lettere EP stanno iniziando a
sbiadire – non sono più nere e grosse com'erano
fino all'anno
prima, ma sono ancora lì, a ricordargli qualcosa –
qualcuno
– che vorrebbe solo dimenticare.
Harry
pensa che, se potesse, si strapperebbe quel pezzo di pelle a morsi
–
se questo servisse a cancellare il passato, a distruggere quel legame
che lo costringe a vivere così, lo farebbe in un attimo. Ma
la firma
dell'Anima Gemella non funziona in questo modo.
È
curioso, è davvero curioso, perché Harry si
ricorda quanto fosse
felice, il giorno del suo quattordicesimo compleanno, quando si era
svegliato e aveva trovato quelle lettere sul polso. Si ricorda di
quanto ci avesse fantasticato sopra – si ricorda quanti libri
avesse letto sull'argomento, a soli dieci anni. Si ricorda di quando
aveva ascoltato per la prima volta il mito degli ermafroditi
– di
come, all'origine, l'uomo non avesse genere sessuale, come ogni
essere umano avesse quattro gambe, quattro braccia e due teste
–
come gli dei avessero deciso di punire l'umanità dividendo
ogni
persona in due parti con un fulmine, condannandoli a vagare per
l'eternità alla ricerca della loro parte mancante. Ricorda
di essere
stato grato e felice di avere la possibilità di ritrovare
l'altra
metà della sua anima grazie alle iniziali che sarebbero
comparse
sulla sua pelle solo nella notte del suo quattordicesimo compleanno
–
ricorda di aver trovato l'idea che la sua anima fosse legata per
l'eternità a un'altra estremamente romantica –
ricorda che non
stava nella pelle al pensiero di potersi ricongiungere con il suo
pezzo mancante. Ricorda di essere corso giù dalle scale, le
lacrime
agli occhi e un sorriso enorme sul viso, ricorda di aver ripetuto le
sue iniziali come un mantra, quasi per tutto il giorno – EP
–, ricorda di essere stato così sollevato
dal fatto di non
essere un Senza Legame, un'anima in pena che non avrebbe mai trovato
la sua completezza – ricorda le lacrime agli occhi di sua
madre e
le sue raccomandazioni, ricorda gli sguardi di tutti sul suo polso
scoperto – Harry voleva trovare la sua Anima Gemella,
disperatamente e subito.
Ricorda
la prima volta che aveva sentito quelle iniziali bruciare sulla
pelle, a sedici anni – ricorda perfettamente come il suo
sguardo
avesse iniziato a vagare tra i visi dei ragazzi radunati davanti alla
scuola, sperando di trovare un segno, un segno che dicesse: eccoti,
finalmente ci siamo trovati. Era talmente perso a cercare un
viso, che non si accorse neanche che stava camminando senza guardare
dove stesse andando; era talmente perso che neanche si rese conto,
quasi, di aver sbattuto contro qualcuno. Contro un ragazzo,
precisamente. Elijah Penlock, era il suo nome.
Harry
esce dalla doccia in fretta.
Oggi
non è il giorno giusto per ricordare.
Harry
è appoggiato con la schiena contro uno scaffale, lo sguardo
puntato
su Ben – sta parlando di un disturbo di cui non ricorda
neanche il
nome. Non è importante, comunque, visto che sta capendo due
parole
su cinque del suo discorso.
La
presentazione sta andando meglio del previsto – le sedie che
Harry
ha disposto davanti al tavolo di Ben sono quasi tutte piene, non ci
sono stati imprevisti, per ora, e il suo psicologo ha davvero la
capacità di incantare tutti, grazie alla sua presenza
– solo lui
potrebbe rendere interessante un trattato di psicologia, davvero.
È
in quel momento, mentre inizia a sentirsi meglio per la riuscita del
suo lavoro, che la sente.
Una
spinta, un'attrazione che nasce da un punto talmente profondo dentro
di sé che non riesce a capire dove sia, precisamente
– un secondo
in cui sente che tutto torna al suo posto, in cui il passato viene
cancellato e tutto quello che importa è quel secondo, quel
momento,
e i secondi e i momenti che seguiranno, perché niente,
niente ha
avuto importanza prima di questo istante. Niente può essere
paragonato a quella frazione di secondo, quando ogni cellula della
sua pelle brucia di un fuoco rassicurante e gentile, quando ogni cosa
al mondo sembra smussarsi, diventare più dolce,
più colorata –
più viva.
Poi
sparisce, all'improvviso.
Harry
è senza fiato.
Gli
sembra di essere in una bolla di silenzio bianco e vuoto.
Non
sa cosa sia successo, non sa perché tutto quello sia sparito
in meno
di due secondi – non sa nemmeno perché si senta
così, non ha idea
di cosa significhi, ma – forse quelli sono stati i due
secondi in
cui si è sentito più vivo nella sua vita. Si
sente sconvolto,
scombussolato – non aveva mai sentito niente del genere.
Neanche
quando aveva incontrato Elijah per la prima volta – neanche
quando
l'aveva lasciato. Ha sentito talmente tante emozioni, tutte insieme,
talmente forti e brillanti da riempire ogni centimetro del suo corpo
– talmente intense da far impallidire ogni cosa che ha
provato
finora – talmente splendenti che anche ora sente una scia
elettrica
increspare la sua pelle, dalla nuca ai polsi ai fianchi alle
ginocchia alle dita dei piedi, la polvere di un'emozione esplosa
dentro agli atomi del suo corpo – è sicuro che se
guardasse il suo
corpo sotto i vestiti troverebbe pennellate di luce che lo illuminano
come un cielo pieno di stelle.
Harry
ha quasi paura di sentirlo di nuovo.
“Tu
ci stai capendo qualcosa?”
Harry
sobbalza leggermente, riaffiorando dai suoi pensieri bruscamente, e
si volta verso la voce.
C'è
un ragazzo di fianco a lui. Chissà da quanto tempo
è lì.
“No.
Ho smesso di ascoltare più o meno venti minuti fa.”
Il
ragazzo ride, e Harry vede un guizzo di azzurro, nei suoi occhi,
prima che rivolga lo sguardo di nuovo verso Ben – bene,
mi sento
meno stupido, ora, sussurra. Harry si ritrova a fissarlo, e
non
sa neanche il perché – non ha posato il suo
sguardo su nessun
altro dopo Elijah, non potrebbe mai farlo, ma questo ragazzo ha
qualcosa di diverso – il suo viso è aguzzo e pieno
di spigoli, ma
il suo sorriso è quanto di più dolce Harry abbia
mai visto nella
sua vita – il modo in cui la pelle intorno ai suoi occhi si
increspa, la curva sulle sue labbra, l'azzurro dei suoi occhi che
assomiglia più al cielo limpido che al ghiaccio –
Harry non sa
perché, ma trova queste contraddizioni estremamente belle,
su di
lui. Questo ragazzo non è attraente, no. È
semplicemente bello, di
una bellezza intrinseca e non immediata, di una bellezza rara
–
guardarlo sorridere verso di lui gli toglie il fiato.
Harry
non si sente così da molto tempo. Forse è per
questo che non riesce
a dire niente.
“Io
sono Louis.” dice il ragazzo, porgendogli una mano. Harry
l'afferra, la stringe nella sua e si rende conto di quanto sia
più
piccola, ma piena di calli – vorrebbe già fargli
mille domande e
chiedergli come se li è procurati, ma si trattiene,
perché non è
questo che fanno le persone normali.
Sta
per dirgli il suo nome, ma il ragazzo – Louis –
continua a
parlare. “Sono il caso numero otto. Disturbo da stress
post-traumatico. E tu?”
Harry
si sente sprofondare. Come fa a essere così aperto su una
cosa del
genere? Come può dirgli che -
“Oh,
no, io non sono un paziente.” Harry lascia la sua mano,
mentre
sente il viso andare in fiamme per la bugia. “Sono solo
l'organizzatore dell'evento. Lavoro qui.”
“Oh.”
Louis rimane in silenzio per un momento, gli occhi spalancati
–
sono di un blu elettrico di cui Harry non riesce a definire la
sfumatura, che strano -, prima di portarsi una mano sul viso.
“Dio,
scusami. Non so perché ho pensato che tu –
scusami.”
Harry
lo guarda mentre si tira indietro i capelli e li spettina –
sono
lisci e sottili e lucenti e Harry si ritrova a immaginare la loro
consistenza tra le sue dita -, e afferra il braccio appoggiato di
fianco a lui sullo scaffale.
“Non
ti preoccupare, davvero. Io sono Harry, comunque.”
Louis
sorride, come per scusarsi. “Giuro che di solito non vado in
giro a
dire alla gente che sono un malato di mente. E di solito non presumo
che lo siano anche gli altri. Scusami.”
Harry
ride un poco, e si rende conto che questa è una delle rare
risate
sincere che rimbombano nel suo cuore. “Ti ho detto di non
preoccuparti. E non sei malato di mente – è solo
un trauma
psicologico.”
“Una
volta ho sentito il rumore di un aereo e mi sono buttato a terra in
mezzo a Picadilly Circus. Se questa tu non la chiami malattia
mentale...” dice Louis, e ride. Non fa ridere, non fa ridere
per
davvero, ma lui sta lì e lo dice con una leggerezza
disarmante, e
Harry non può fare a meno di invidiarlo un po'.
“Una
volta mi è quasi venuto un attacco di panico
perché la guardia di
un supermercato mi ha guardato male. Non vuol dire niente.”
dice
Harry, cercando di sorridere. Louis si mette a ridere ancora di
più,
e ha una risata così bella, una risata di quelle che
prendono tutto
il corpo, una di quelle che sembra che nascano dall'anima e non dalla
gola. Una risata che fa tremare il mondo.
“A
me è capitato addormentarmi in treno, una volta, e quando ho
aperto
gli occhi stavo per strangolare il mio vicino. Lo so, lo so, non fa
ridere – ma dovevi vedere la sua faccia, Harry – la
sua faccia!
Era un energumeno alto il doppio di me e largo il triplo –
avrebbe
potuto buttarmi a terra in un batter d'occhio – invece stava
lì
come se lo avesse assalito una specie di Hulk, capisci?”,
continua
a ridere, mentre si indica: “Insomma, mi hai visto? Non
arrivo
neanche allo scaffale più alto della mia cucina!”
Allora
Harry ride. Non sa perché – Louis ha ragione, non
dovrebbe far
ridere – ma il suo petto continua a tremare e inizia a fare
quei
suoni imbarazzanti – Elijah gli ha sempre detto di ridere in
silenzio, perché pensava quegli ha!
scalmanati fossero
patetici – e dagli occhi di Louis scappa una lacrima da
quanto sta
ridendo e la gente sta iniziando a girarsi e guardarli male
perché
stanno ridendo rumorosamente e Harry non sa da quanto questo non
succedesse, da quanto non ridesse così di pancia senza un
motivo,
una spiegazione logica. È stupido, ma bello.
Quando
riescono a fermarsi, Louis lo guarda con un sorriso dipinto sulle
labbra, le guance rosse e gli occhi lucidi – l'azzurro che
galleggia tra quelle lacrime è caldo e rassicurante
– come può
essere l'azzurro un colore caldo? Harry non lo sa, ma è
torpore
quello che sente fino alla punta delle dita, calore e
serenità, per
una volta.
“Non
so perché io ti abbia detto queste cose dopo aver scambiato
solo due
frasi. E non so perché io abbia riso. Ma è stato
liberatorio.”
dice, senza mai staccare lo guardo dal suo viso.
“E
io non so perché abbia riso con te. Non era
divertente.” Harry si
asciuga le lacrime, cercando di togliersi quel sorriso dalle labbra.
“Non posso neanche immaginare che cosa tu abbia passato per
tentare
di strangolare la gente sui treni.”
“Sono
– ero – un soldato.”
Louis si passa una mano tra i
capelli, di nuovo, spettinandoli ancora di più.
“Sono stato
congedato con onore un anno fa.”
“Oh.”
dice Harry, e vorrebbe tornare serio, davvero, ma Louis lo sta
guardando leggerezza negli occhi e non riesce a fermarsi.
“Immagino
sia stata un'esperienza particolarmente divertente, da quello che
racconti.”
Louis
è piacevolmente stupito, si lascia scappare una risata
incredula, ma
i suoi occhi sono gentili, mentre dice: “Molto divertente.
Non puoi
capire che risate mi sia fatto in Afghanistan, guarda.”
Harry
appoggia una mano sul suo giubbotto di jeans, mentre lo guarda negli
occhi. “Mi dispiace.” Poi, prima che l'argomento
diventi troppo
pesante, cerca di cambiare discorso. “Non è un po'
freddo per
portare solo una giacca di jeans? Hai anche istinti suicidi,
soldato?”
Louis
alza le spalle e sorride. “Istinti suicidi – non
esageriamo.
Magari sono solo un impavido soldato senza paura.”
“O
magari sei solo un po' stupido. La tua Anima Gemella dovrà
prendersi
cura di te.”
Il
sorriso nei suoi occhi si spegne. Harry sta per dire che stava solo
scherzando, ma Louis lo precede. “Sono un Senza
Legame.”
Harry
spalanca gli occhi – come è possibile che questo
ragazzo non sia
destinato ad amare ed essere amato per l'eternità? Come
è possibile
che chiunque, al mondo, si meriti di restare solo per sempre?
Questa
storia delle Anime Gemelle gli piace sempre meno.
“Mi
dispiace, Louis.”
Louis
alza le spalle, di nuovo, uno sguardo un po' triste negli occhi.
“Non
ti preoccupare. Significa che non dovrò perseguitare una
povera
anima per l'eternità, giusto?”
Harry
sta per rispondere, ma Louis lo ferma. “Credo che Ben abbia
finito.”
Harry
distoglie lo sguardo da quel ragazzo e vede che il pubblico si
è
disperso - Ben sta stringendo alcune mani, e Harry non se n'era
neanche accorto – che diavolo gli succede?
Quando
si volta per dire qualcosa a Louis, questo è già
alla porta – gli
regala un sorriso e un piccolo saluto, prima di sparire in mezzo alla
folla fuori dal negozio.
Harry
non sa cosa pensare.
Solo
più tardi controlla il cellulare – cinque nuovi
messaggi.
Si
rende conto che non ha pensato a Elijah per almeno una mattinata.
Sono
passi avanti.
9
novembre 2014
Ore
1:56
Mi
sono appena svegliato.
L'ho
sognato. Anche stanotte, l'ho sognato.
Il
suo volto non era proprio il suo, ma era offuscato, fuori fuoco, ma
chi altro poteva essere, se non lui?
L'ho
sognato, e c'ero anche io nel sogno. Eravamo stesi sotto il cielo
illuminato dalla Luna, le sue dita tra i miei capelli, e mi sentivo
come se ci fossimo solo noi al mondo – ma poi ho visto la
Luna
ridere e le stelle sorridere di rimando, i lupi ululare una canzone
d'amore solo per noi.
L'ho
sognato, ed ero tra le sue braccia, e nulla poteva farmi del male;
ero al sicuro e potevo sentire il suo battito cardiaco sotto le dita.
E
lui mi diceva ti
amo,
e io ho scelto quel momento per svegliarmi.
Ma
era solo un sogno, ecco cos'era. Un sogno.
Perché
ora so che stare con qualcuno non significa appartenergli, non
significa perdere sè stessi per lasciare lo spazio
necessario per
l'ego dell'altro. Ora so che non bisogna affidare la propria
felicità
solo nelle mani dell'altra persona, perché le persone sono
inaffidabili, e basta uno schiocco di dita per trasformare
felicità
in dolore. In sofferenza.
Ora
so che l'amavo troppo, e amare troppo vuol dire amare male. Vuol dire
non amarsi abbastanza per restare in piedi con i propri piedi.
Ora
so che la dipendenza può essere così forte da
spezzarti. Da
renderti cieco e sordo. La dipendenza è subdola –
si insinua nei
tuoi pensieri e senza neanche rendertene conto, ti convince di stare
meglio con qualcuno al tuo fianco, che senza quella persona ti
verrà
portata via anche una parte di te – che non sei mai stato
completo,
senza di lei.
La
verità è che sono qui, sono sempre stato qui, e
sono intero. Sono
piegato, ma non spezzato. Sopravviverò.
Ma
so anche che posso scrivere la storia più triste del mondo,
stasera.
Io
lo amavo, e a volte
mi
amava anche lui.
Ciao
a tutti!
Eccomi
con una nuova storia.
Scusatemi
per la prolungata assenza - è un periodo un po' difficile,
in generale, e non trovo mai la motivazione per continuare a scrivere.
Questa storia mi è uscita così - ho pensato di
aver bisogno di parlare anche di questa questione, vediamo cosa ne esce.
Come
sempre, è molto personale e sentita - spero che vi piaccia,
davvero.
Il
titolo del capitolo è preso da What Kind Of Man di Florence
+ The Machine.
Grazie
in anticipo a chi leggerà.
Un
bacio,
Giulia
|
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Capitolo 2 *** Capitolo II: Runaway ***
All
You Never Say
Capitolo
II: Runaway
“I
was listening to the ocean,
I saw a face in the sand
but when I
picked it up
then it vanished away from my hands.
I had a dream
I was seven,
climbing my way in a tree,
I
saw a piece of heaven
waiting, impatient, for me.
And I was
running far away,
would I run off the world someday?
Nobody
knows, nobody knows.
And I was dancing in the rain,
I felt
alive and I can't complain;
but now take me home.
Take me home
where I belong.
I
can't take it anymore.”
9
novembre 2014
Quella
mattina, Harry si sveglia e cerca qualcuno tra le pieghe delle
lenzuola, come fa sempre da un anno, ormai.
Era
più facile quando Niall aveva deciso di dormire con lui per
quasi un
mese – non è tanto la mancanza di Elijah il suo
problema, ormai,
ma la mancanza di qualcuno in generale. Per sette anni aveva avuto
una presenza confortante al suo fianco – qualcuno da cercare
in
quel momento in cui non dorme più, ma non è
neanche sveglio del
tutto – quel momento in cui sente il corpo pesante e la mente
intorpidita, leggera, meravigliosamente vuota, anche solo per pochi
attimi – uno di quei momenti in cui non si sente solo e ha
bisogno
di un calore che può solo trovare in qualcuno vicino a lui,
nell'intreccio di dita e nel rannicchiarsi tra le braccia di un altro
essere umano – la sensazione di non aver bisogno di aprire
gli
occhi, anche solo per alcuni minuti, perché si è
esattamente in un
posto che non si vuole lasciare.
Non
sarà mai facile stare da soli, anche se Harry sa benissimo
che
questo sarà il suo futuro – è stato lui
stesso a lasciare la sua
Anima Gemella, è consapevole delle conseguenze –
deve solo
abituarsi.
Ci
si abitua. Ci si abitua a tutto.
Quando
inizia a correre, quella mattina, sente una sensazione diversa nelle
membra.
Oggi
Harry è arrabbiato. Oggi nelle sue vene scorre solo rabbia,
cieca
rabbia, verso tutto e verso tutti, scorre legata al suo sangue e si
espande in ogni angolo del suo corpo – Harry spera che,
lasciandola
libera, possa scaricarsi sul cemento sotto le sue scarpe da
ginnastica, come un fulmine, come una scossa elettrica.
Oggi
ce l'ha con sé stesso, più di tutti. Per quello
che si è lasciato
fare, per quello che ha lasciato correre. Vorrebbe prendersela con
qualcun altro – è sempre più facile
rivolgere la rabbia verso
qualcos'altro, piuttosto che contro la sua anima -, ma la
realtà è
che il suo più grande nemico è sé
stesso – come può pretendere
rispetto dagli altri quando lui non ne ha mai avuto per sé?
Come può
pretendere comprensione, quando non riesce a capire nemmeno lui cosa
gli fosse passato nella mente, per tutto quel tempo in cui è
stato
con una persona che lo amava così, nel modo più
sbagliato
possibile?
Lo
amava. Sì, certo.
Si
odia, si odia, perché anche dopo un anno non riesce ad
ammettere a
sé stesso che lui non lo amasse. Ben glielo dice sempre
– lui
non ti amava, Harry, non si ama così -, ma la
realtà è che la
parte più profonda di Harry non è ancora in grado
di ammetterlo.
Perché ha sempre pensato che il problema non fosse l'amore
in sé –
Elijah è la sua Anima Gemella, dopotutto – deve
averlo amato in un
qualche modo, no? Non può essere stata solo una costruzione,
un'illusione, un castello di carta che è esistito solo nella
sua
mente, giusto? Non è così che funziona. E anche
dopo ogni litigata
e ogni umiliazione e ogni insulto Harry non ha mai pensato che non lo
amasse – solo che Elijah magari lo facesse in modo sbagliato
–
tutto quel dolore doveva avere un senso. Non riusciva neanche a
pensare che tutto quel male che gli infliggeva, in realtà,
non
avesse nessuno scopo se non la pura distruzione, depersonalizzazione
di Harry. Tutto per renderlo dipendente, fragile, patetico –
l'ombra di sé stesso.
Forse
è vero che l'amore rende ciechi.
E
tutta questa cecità è solo colpa sua –
solo colpa di Harry.
Perché se solo non fosse stato così ingenuo,
così speranzoso –
magari cambierà, deve solo crescere -, se
solo non fosse
stato così maledettamente sicuro del suo futuro –
se solo non
avesse avuto tutte quelle illusioni e preconcetti – se solo
non
avesse iniziato a sognare, a soli sette anni, di arrampicarsi su un
albero e scoprire che un pezzo di Paradiso stava aspettando solo lui
– una persona che lo portasse a casa, che lo conducesse nel
suo
lieto fine – se solo non fosse stato sempre così stupido.
E
il fatto è che fa ancora male. Fa male sapere di aver
trovato la
persona che avrebbe potuto fermare la sua corsa – una persona
che
avrebbe potuto mostrargli un luogo soffice dove riposare – un
luogo
a cui appartenere – fa ancora male sapere che quella persona,
l'altra metà della sua anima, non è mai stata
interessata a farlo.
Fa male essere immerso in un oceano, da solo, continuare a nuotare
per rimanere a galla, cercando qualcosa di continuo, di continuo,
anche se le braccia fanno male e le gambe faticano a muoversi per il
troppo sforzo, anche se la pelle è secca per il sale
nell'acqua che
lo ricopre come catrame e gli occhi bruciano perché
chissà da
quanto non dorme – fa male vedere un viso sulla sabbia, sul
fondo
lontano, prendere un respiro profondo e immergersi, nuotare sempre
più a fondo, le orecchie che si chiudono e il respiro che
inizia a
mancare – fa male allungare una mano e vedere quel viso
sparire
sotto i suoi occhi.
Fa
male sapere di aver perso ogni possibilità.
È
in quel momento che inizia a piovere.
Piove,
e Harry corre, e pensa alle bugie che si è raccontato. Pensa
a
quando Elijah lo aveva chiamato per la prima volta inutile
spreco
di spazio. Ricorda ogni parola. Ricorda la forma esatta delle
sue
labbra mentre sputava la sua sentenza.
Inutile
spreco
di
spazio.
Ricorda
di non aver mai pensato che le parole potessero fare così
male.
Ricorda
le prime scuse costruite nella sua mente.
È
arrabbiato, non lo dice per ferirmi. Perché è
così arrabbiato,
comunque? Forse ho sbagliato qualcosa.
Harry
non aveva sbagliato nulla. Harry voleva solo uscire con i suoi amici,
invece che restare a casa da solo.
Quindi
pensa alle bugie che si è raccontato, perché se
n'è raccontate
tante per davvero – per sette anni, una collezione di
menzogne
completamente ridicole e prive di senso, di credibilità, che
non ha
mai avuto il coraggio di dire ad alta voce per paura che si
sbriciolassero non appena fossero uscite dalle sue labbra –
la cosa
peggiore è che conosceva la loro natura – sapeva
che non erano
verità, ma semplicemente scuse che ammorbidivano un po' le
parole
che Elijah pronunciava tutte le volte.
Harry
non è mai stato la vittima, ma il complice, e questa
è una cosa che
non riesce ad accettare.
Si
ferma, si china sulle ginocchia, sperando che il battito cardiaco
rallenti – il suo cuore palpita alla stessa
velocità dei suoi
pensieri, e ha bisogno di fermarsi.
Inizia
a essere difficile ignorare tutto e trovare momenti di pace.
Inizia
a essere stanco.
La
cosa che forse fa più male è vedere quanto le sue
parole siano
entrate in profondità.
Harry
aveva solo sedici anni quando lo aveva incontrato. Solo sedici anni,
quando Elijah aveva iniziato a cambiarlo, a stravolgerlo, senza
neanche darlo troppo a vedere.
Era
iniziato tutto dalle piccole cose, da un non metterti quella
camicia, mi piaci di più con le felpe – niente
che avrebbe
potuto far nascere il sospetto. Poi c'erano stati i tagliati
i
capelli, Haz, sembri un senzatetto, poi i devi
smetterla di
uscire con quella feccia dei tuoi amici, Harry, non vedi che ti usano
solamente?, fino ai smettila di ridere
così, Harry, sei
ridicolo.
Sei
ridicolo.
E
alla fine, Harry non era più la stessa persona –
talmente convinto
che ogni suo gesto fosse un enorme sbaglio, bisognoso di approvazione
per muovere anche solo un passo – era diventato un verme, un
bambino con le sembianze di un uomo, solo, spaventato, dipendente.
Una persona che non aveva mai voluto essere. Drenato, stremato.
Piccolo. Inutile.
Ridicolo.
È
in questi momenti che capisce la profondità a cui Elijah
è riuscito
ad arrivare con le sue parole – quando si insulta da solo,
senza
neanche accorgersene. Quando non parla con nessuno, perché
sente di
essere solo un peso. Quando soffre in silenzio, perché gli
è sempre
stato detto che è lagnoso, insopportabile, quando parla dei
suoi
sentimenti.
È
in questi momenti che soffre di più, perché
Elijah non gli ha tolto
solo la possibilità di amare ed essere amato dal suo unico
vero
amore, dalla sua Anima Gemella, no. Gli ha tolto anche la
possibilità
di amare sé stesso – forse per sempre.
Sarebbe
stato meglio se fosse stato un inaffidabile. Uno di quelli che
preferiscono scappare che strisciare. Uno di quelli che non
confondono la fantasia e la menzogna. Un silenzio al posto delle
parole. Una pausa invece di una rima. Uno che non si sa trovare mai.
Invece
Harry è solo Harry, e sempre lo sarà.
Non
cambierà più per nessuno.
Harry
sta cancellando i messaggi ancora non letti, quando sente qualcosa
–
come una carezza allo stomaco, l'eco di una sensazione che ha provato
solo il giorno prima – un'onda che accarezza la sua pelle da
capo a
piedi, un'onda che sussurra svegliati, Harry, svegliati.
È
di nuovo al lavoro, nella libreria – e anche se il cellulare
trema
ancora una volta tra le sue dita, non si preoccupa. È
tranquillo,
sereno.
Non
assomiglia a niente che abbia mai provato in vita sua.
Harry
sta mettendo a posto un paio di libri, quando nota una figura in
fondo alla scaffalatura. Strano, non ha sentito nessuno entrare.
“Ciao,
posso aiutarti?”
La
persona sussulta visibilmente, e in un secondo si nasconde dietro
alla fila dei libri. Harry si avvicina, riesce a sentire un respiro
affannato.
Quando
svolta l'angolo, un paio di occhi blu elettrici lo immobilizzano sul
posto.
“Dio,
Harry, non ti hanno mai detto che non è carino piombare
così alle
spalle delle persone?”
Harry
sbarra gli occhi, e stranamente riesce a vedere la vena sul suo collo
pulsare all'impazzata, gli occhi sgranati e spaventati, il respiro
affannoso – Harry conosce tutti questi segni,
perché sono gli
stessi che prova sulla propria pelle quando sta per avere un attacco
di panico – all'improvviso ricorda la conversazione del
giorno
prima. Disturbo post-traumatico da stress.
“Louis
– scusami. Non volevo spaventarti, scusa.”
Harry
si sente terribilmente in colpa – non voleva allarmarlo,
né
risvegliare brutti ricordi nella sua mente.
Louis
sorride, i suoi occhi si ammorbidiscono. “Non chiedermi
scusa,
Harry. Non è colpa tua. Ero talmente preso a leggere che non
ti ho
sentito avvicinarti.”
Harry
guarda il libro tra le sue mani – è il trattato di
Ben. Cerca di
cambiare discorso, perché sa quanto possa essere
imbarazzante farsi
vedere così davanti a uno sconosciuto.
“Non
sei riuscito a darci un'occhiata, ieri, giusto? Sei sparito in un
secondo.” dice, indicando il libro tra le sue dita. Louis
sposta lo
sguardo dal viso di Harry, guardando la sua mano come se non si fosse
accorto di avere qualcosa tra le dita, come se si fosse dimenticato
tutto, giusto per un secondo.
“Oh.
Il libro. Sì, scusa per ieri, per come me ne sono andato
– ma
anche per la conversazione in generale. C'è un motivo per
cui sono
entrato senza farmi vedere.” sussurra Louis, il sorriso
sparito
dalle sue labbra, una sincerità disarmante sulla sua lingua.
Harry
non può credere che si sia vergognato di quello che
è successo ieri
– sì, è stata una delle conversazioni
più strane che Harry abbia
mai avuto nella sua vita, ma non per questo brutta o imbarazzante.
Sincera, la definirebbe. Rara.
“Non
devi. Non devi vergognarti – mi è piaciuto quello
che mi hai
detto. Era vero. Senza artifici.”
Louis
sorride, sposta il peso sull'altra gamba, abbassa lo sguardo
–
tutto, nella sua persona, emana un grazie enorme, e in un secondo
l'atmosfera si solleva e si alleggerisce.
“Volevo
solo vedere se Ben mi fa sembrare ancora più pazzo di quello
che
sono. Direi anche che ci è quasi riuscito.” Louis
alza il libro,
sventolandolo in aria. Harry ride, più per quel gesto
esagerato e
drammatico di alzare il libro sulla sua testa – non sa
neanche
perché, a dire il vero. Forse la velocità con cui
è cambiata
l'atmosfera, le emozioni sul viso di Louis, lo hanno lasciato un po'
confuso.
“Come
se avessi capito anche solo una parola di quello che c'è
scritto.”
dice Harry, un sorriso sulle labbra.
“Facciamo
una media di una parola su tre. E quelle che capisco non sono proprio
piacevoli. Aspetta.” Louis apre il libro, cerca le pagine in
cui si
parla del suo caso, inizia a muovere gli occhi tra le righe e Harry
aspetta. E lo fissa. “Paranoia... Stato
confusionale...
Trauma... Inconsapevolmente violento...” Louis
stacca gli occhi
dal libro, alza le spalle e le sopracciglia, uno sguardo ironico
negli occhi. “Non il massimo, eh?”
Non
sa come, ma Harry vede qualcosa dietro alla compostezza di Louis
–
un piccolo mostro compare dietro lo specchio dei suoi occhi,
minacciando di oscurare quell'azzurro limpido, e Harry non è
disposto a lasciarglielo fare.
Nessuno
ha il diritto di spegnere il Sole.
Per
questo prende il libro dalle mani di Louis e lo chiude, senza dire
una parola. Louis deve leggere qualcosa nel suo viso, perché
lo
guarda negli occhi e resta in silenzio.
Harry
osserva come l'ombra si dissolva come inchiostro nell'acqua.
I
silenzi sono più forti di qualsiasi parola.
“Cosa
fa un ragazzo del Nord a Bristol?”
Harry
si blocca per un secondo, curvo sulla pila di libri che sta mettendo
sugli scaffali.
Ho
lasciato Holmes Chapel per seguire il mio ex all'università,
vorrebbe dire, e poi sono scappato da Londra per evitare che
mi
trovasse.
“Ho
pensato che un po' di aria nuova non potesse farmi male.”
dice,
invece, riponendo una nuova edizione di Cormac McCarthy.
Lo
guarda senza voltarsi, per testare la sua reazione. Ha un sorriso
enigmatico sul viso, e Harry capisce che Louis non si è
bevuto
neanche una parola.
Si
sente nudo.
“Anche
io sono del Nord. Doncaster, per la precisione.” dice,
cambiando
discorso.
“E
cosa ci fa un ragazzo del Nord a Bristol?” chiede Harry,
ripetendo
la domanda che gli è stata posta, grato della via di fuga
che Louis
gli ha appena offerto.
“C'era
bisogno di qualcuno nell'ufficio amministrativo dell'esercito. Non ho
ancora capito perché si trovi proprio a Bristol,
però.”
“Quindi
lavori ancora nel campo.” dice Harry, e non è una
domanda.
“Sì.
Non saprei che altro fare. Mi sono arruolato a diciotto anni, non
è
che io abbia mai imparato a fare altro.” risponde Louis,
incrociando le braccia, uno sguardo sereno sul viso.
“Deve
essere stata una decisione molto difficile. Arruolarsi,
intendo.”
dice Harry, mentre cerca di concentrarsi sul proprio lavoro.
È la
terza volta che sbaglia l'ordine alfabetico e ripone i libri
nell'ordine sbagliato – gli risulta impossibile non rivolgere
tutta
la proprio attenzione sull'uomo carismatico al suo fianco.
“In
realtà non lo è stata per niente. Anche mio padre
era un militare –
ha perso la vita nella Guerra del Golfo. Sono morti solo in una
cinquantina. Mi è sembrato più che giusto seguire
le sue orme.”
Harry
è senza parole, come sempre. L'onestà disarmante
di Louis quasi non
sembra reale. “Mi dispiace.”
Louis
si mette a ridere, e non per finta. “Non ti dispiacere,
Harry, non
l'ho neanche mai conosciuto. È morto prima che io nascessi
– non
ne sento la mancanza.”
Harry
non sa cosa dire. Non è facile parlare con le persone, non
lo è mai
stato per lui, soprattutto negli ultimi anni, e Louis non lo sta
aiutando per niente, con la sua voglia di aprirsi e mettersi a nudo.
Lo invidia, perché lui fa fatica anche solo a pensare alle
cose
brutte della sua vita, figuriamoci a parlarne. Lo invidia da morire.
Per
questo non dice nulla.
“Ok,
facciamo così, Harry: tu non ami parlare, io non amo
sentirmi
invadente. Cosa ne dici se giochiamo alle dieci domande?”
Harry
non ha bisogno di rispondere ad altre domande, grazie mille. Non
capisce perché Louis sia così curioso nei suoi
confronti, anche se
lui stesso prova la stessa curiosità.
“Non
sono bravo a fare domande.”
“E
non sei bravo neanche a rispondere, immagino.” risponde
subito
Louis. “Non ti metterò in difficoltà, e
se vuoi faccio io le
domande – per ogni tua risposta, te ne darò una
anche io. Che ne
dici?”
Harry
si volta verso di lui, lo guarda. Si copre le mani con il maglione
che indossa, perché è nervoso –
può essere un gioco pericoloso,
ma sente il fuoco della curiosità bruciargli nel petto
– è una
possibilità di conoscerlo meglio, raccogliere le
informazioni che
lui stesso è disposto a dare, senza essere inopportuno o
invadente.
È
pericoloso, ma qualcosa gli dice che ne varrà la pena.
“Va
bene.”
Louis
sorride e a Harry ricorda il Sole. Splende, inavvicinabile. Ha paura
di bruciare anche solo guardandolo.
“Prima
domanda: qual è il tuo colore preferito?”
Harry
scoppia a ridere. “La tua prima domanda è questa,
seriamente?”
Quanto
sei stupido, vorrebbe dire, ma lo tiene per sé.
“Sono
serissimo. È un'informazione fondamentale per
un'amicizia.”
Harry
scuote il capo, tutta la preoccupazione di prima che scivola sulle
sue spalle come acqua. “Giallo. O blu. Elettrico.”
Come
i tuoi occhi.
“Colori
complementari. Interessante.” Louis gli sorride, e Harry
è quasi
accecato. “Il mio è il rosso.”
Harry
vorrebbe dire che gli s'addice molto.
“Ok,
seconda domanda: quanti anni hai?”
Harry
gli sorride.
Harry
ha ventiquattro anni, viene da Holmes Chapel, Cheshire, ma ha vissuto
a Londra per quattro anni. Ha una sorella, Gemma, che abita in
America da sei anni, ormai, una madre e un padre ancora nel suo paese
natale, un migliore amico di nome Niall che conosce da quando era
bambino. Odia il tè e ama il caffè. Non
è andato all'università
perché non si è mai sentito bravo in nulla di
accademico; lavora in
una libreria perché ama leggere, trovare sé
stesso nelle parole di
qualcun altro. Abita in un appartamento in centro con Niall, di cui
va molto orgoglioso, perché non sembra una topaia
– ma,
soprattutto, è qualcosa che riesce ad avere grazie ai suoi
sforzi.
Il suo film preferito è Love, Actually perché gli
ricorda dei
natali in casa, e anche perché sarà sempre
un'anima romantica. Ama
l'autunno e odia l'estate, perché non riesce a sopportare il
caldo
umido inglese.
Louis
ha ventisei anni, viene da Doncaster, South Yorkshire, ma ha passato
molti anni alla base di Andover per l'addestramento. Ha cinque
sorelle e un fratello, tutti più piccoli di lui – un
inferno,
Harry, te lo posso giurare -, una madre, due patrigni, un
migliore amico di nome Zayn che si è arruolato con lui ed
è stato
congedato con lui – ora vivono e lavorano insieme in centro a
Bristol, e condividono tutto, come hanno sempre fatto. Ama il
tè e
odia il caffè. Ha deciso di arruolarsi invece che laurearsi
perché
è sempre stato il suo sogno, probabilmente sentendosi in
dovere di
seguire la strada del padre defunto – non ha mai capito il
vero
motivo dietro alla sua decisione, a essere sinceri. Non è
mai stato
uno che pensa troppo. Non ha lasciato la British Army perché
non
saprebbe cosa fare, altrimenti; la sua esperienza si ferma a una
qualche stagione estiva come cameriere in un ristorante nella
periferia di Doncaster. Il suo film preferito è Grease,
perché una
volta ha recitato come Danny Zuko in una produzione scolastica e, da
allora, non riesce a smettere di guardarlo. Ama la primavera e odia
l'estate, per lo stesso motivo di Harry.
Come
ultima domanda, Louis chiede a Harry se crede nelle Anime Gemelle.
Harry
risponde di no.
Louis
resta in silenzio.
10
novembre 2014
Ore
3.23
Fidati
di me, Harry.
Mi
sono svegliato con queste parole nella mente.
Fidati
di me, Harry.
Elijah
me lo diceva sempre.
Fidati
di me.
Effettivamente
ha sempre mantenuto le sue promesse – io
non ti lascerò mai andare, non ti abbandonerò
mai, Harry, fidati di
me – e io mi sono sempre fidato.
Io
non ho mantenuto le mie promesse. Parole soffiate sulla pelle,
marchiate a fuoco in ogni mio tocco – mi
troverai sempre qui ad aspettarti.
Io
non lo aspetto più. Non abbiamo mai avuto una seconda chance.
La
vita continua e non fa più male, a volte.
Ogni
tanto mi viene il dubbio che io non lo abbia amato per davvero
–
che abbia amato più l'idea di lui, della mia Anima Gemella,
piuttosto che la persona in sé – e quando penso
questo, mi crolla
il mondo addosso, ci credi?, mi crolla il mondo addosso
perché se
anche quello era una bugia, allora cosa ho vissuto? Cosa ho perso?
Perché soffro?
Perché
il mio non era un amore di quelli che ti fanno venire di tuffarti in
una piscina in pieno inverno, di quelli che ti metti a ballare sotto
alla pioggia oppure urlare contro l'alba che lo ami, che lo ami
così
tanto da non riuscire a respirare. No, il mio era un amore
silenzioso. Un amore che stava nel svegliarmi tutte le mattine per
cucinargli la colazione. Un amore che si nascondeva dietro alla
scelta di trasferirmi a Londra da lui e non iscrivermi
all'Università. Un amore che metteva a tacere tutte le mie
voci
interiori.
Si
può chiamare amore questo?
A
volte riesco a rispondermi.
No,
non è amore.
Altre
volte non ci riesco. Perché se non era amore, che cos'era?
Che
cos'era?
Note
Ciao
a tutti!
Eccomi
con il secondo capitolo. Sì, lo so, inizia l'angst e siamo
solo all'inizio... Scusatemi.
Spero
tanto che questa storia vi piaccia - fatemi sapere che ne pensate, mi
raccomando!
Il
titolo per questo capitolo è tratto da "Runaway" di AURORA.
Un
bacio,
Giulia
|
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Capitolo 3 *** Capitolo III: Colors ***
All
You Never Say
Capitolo
III: Colors
“You
were red, and you liked me because I was blue.
You
touched me and suddenly I was a lilac sky -
and
you decided purple just wasn't for you.”
14
novembre 2014
Il
buio sotto alle coperte ha sempre confortato Harry.
Fin
da quando era piccolo, per ogni tipo di problema, andava in camera
sua, chiudeva le tende della sua cameretta, spegneva la luce e si
rannicchiava nel centro del letto, rifugiandosi
nell'oscurità tra le
sue lenzuola che profumavano di pulito e casa. Non dormiva, non
chiudeva nemmeno gli occhi – restava lì, immobile,
abbracciandosi
il petto per scaldarsi il cuore, per non pensare. Forse quei momenti
sono stati i più belli della sua esistenza – poche
ore in cui
poteva restare sveglio e rallentare il ritmo dei pensieri, lasciarli
riposare un attimo, darsi un attimo di tregua. Harry è
sempre stato
il tipo che pensava troppo, che rimaneva deluso e ferito per le
minime cose ed emozionato per gesti senza significato – ha
sempre
dato importanza alle piccole cose, e mai ai problemi più
grandi.
Forse aveva paura che questi gli facessero troppo male, forse non ha
mai visto il mondo intorno a sé dallo stesso punto di vista
degli
altri – Harry sentiva il petto riempirsi di gioia quando
vedeva due
persone anziane sorridersi e sfiorarsi le mani nel parco vicino a
casa sua, sentiva il cuore spezzarsi in due non appena vedeva lo
sguardo bagnato del cane dei suoi vicini quando veniva lasciato a
casa da solo. Ha sempre percepito le emozioni sulla pelle, ma non in
modo positivo, la maggior parte delle volte – spesso anche la
felicità si abbatteva su di lui come invisibili onde
elettromagnetiche, elettrizzando la sua pelle al punto che diventava
troppo, troppo, e doveva di nuovo chiudersi nella sua stanza e farsi
piccolo sotto alle coperte, il suo respiro umido a scaldargli la
pelle, gli occhi spalancati e le braccia intorno al petto.
È
sempre stato convinto che le sue emozioni lo avrebbero ucciso, prima
o poi.
E
dopo tanti anni è ancora lì, al centro del letto
nel suo
appartamento di Bristol, le gambe lunghe premute contro il petto e le
braccia intorno allo stomaco, occhi sbarrati e labbra serrate, nel
caldo bollente sotto alle coperte.
Il
fatto è che oggi è domenica, e questo significa
che la libreria è
chiusa, Niall è a lavorare, i negozi sono chiusi; Harry non
ha nulla
da fare per distrarsi, per trattenersi dal fissare il cellulare e
tentare di convincersi che non deve, non deve leggere
i
messaggi di Elijah.
Non
deve.
Eppure
lo fa.
Buongiorno
piccolo
E
poi ancora.
Lo
so che ti manco, so che stai leggendo i miei messaggi. Torna da me.
Sai di non poter vivere senza di me
E
ancora.
Rispondimi
Harry
E
ancora.
Non
sei niente senza di me, lo sai anche tu. Devi dirmi solo dove sei e
tornerà tutto come prima, te lo prometto
Poi:
Ti
starai divertendo tanto senza di me, eh? Fai la puttana in giro,
Harry? Non cambia un cazzo, perché tu sei mio. Sei mio. Hai
le mie
iniziali sul polso. Non dimenticarlo.
Basta.
Harry
appoggia il cellulare sul comodino e torna sotto alle coperte, il
respiro accelerato, le mani che tremano, gli occhi bagnati. Ascolta
il rumore dell'aria che entra ed esce dai suoi polmoni.
Dentro.
Fuori.
Dentro.
Fuori.
Occhi
spalancati e dentro.
Fuori.
Dentro.
Fuori.
La
sua mente si svuota.
Burro
d'arachidi.
È
questo il primo pensiero che compare nella sua mente dopo ore sotto
alle coperte.
Non
sa neanche perché, non è che gli sia mai piaciuto
così tanto –
Harry è più un tipo da frutta fresca, carne poco
condita e verdura
– ma ora ne sente quasi il sapore sulle labbra, una voglia
irrefrenabile lo pervade – deve trovare del burro d'arachidi.
Deve.
Si
alza dal letto e va in cucina – magari Niall, in mezzo alle
sue
scorte di cibo infinite, ne ha un barattolo -, inizia a aprire tutte
gli sportelli e a cercare in ogni angolo.
Niente.
Non
vorrebbe uscire per comprarlo, perché è quasi
l'una di notte e
l'unico Tesco aperto è a dieci minuti di camminata dal suo
appartamento – e poi oggi è domenica, e lui non
vuole uscire, non
se la sente – eppure quella voglia lo sta facendo diventare
irrequieto, sa che non dormirà finché non ne
mangerà almeno un
po'.
Così
corre in bagno per prepararsi.
Ed
esce.
La
realtà è che le luci a neon di quel Tesco gli
fanno male agli
occhi.
Non
sarebbe mai dovuto uscire.
L'unica
altra persona nel supermercato è una povera commessa alla
cassa che
sembra sul punto di addormentarsi sulla sua sedia –
è stata una
pessima idea. Non sarebbe mai dovuto uscire.
Harry
inizia a cercare il burro d'arachidi, cercando di fare più
in fretta
possibile perché doveva essere a casa dieci minuti fa
– lo trova,
si abbassa per prenderlo – la sua mano sfiora le dita di
un'altra
persona, ed è come se questo tocco infiammasse ogni
terminazione
nervosa del suo corpo, facendolo balzare in aria. Il cuore batte
veloce – ma il suo corpo è rilassato, tranquillo,
la pelle
formicola da capo a piedi, e all'improvviso non ha più
voglia di
tornare a casa e non sa neanche perché.
“Harry?”
Ed
è come se Harry riafforasse dall'acqua – prende un
respiro
profondo e finalmente la mente non è più
annebbiata, i suoni non
sono più ovattati – e c'è Louis.
C'è Louis.
Ciao,
vorrebbe dire, ciao,
Louis.
“Cosa
diavolo ci fai qui?” dice, invece.
Le
luci del neon sopra di loro accentuano le guance incavate di Louis,
illuminano perfettamente i suoi zigomi pronunciati e aguzzi –
i
suoi occhi brillano come sempre, divertiti, e Harry è senza
fiato.
“Potrei
chiederti la stessa cosa.” risponde, sorridendo.
“Volevo
del burro d'arachidi. E non so neanche il perché,
l'avrò mangiato
sì e no due volte nella mia vita e non è che mi
faccia impazzire, a
dire la verità.”
Harry
è nervoso. Vomita parole senza controllo.
“Oh,
io lo amo. Sono venuto anche io a comprarlo perché Zayn ha
fatto la
spesa ieri e ovviamente se l'è dimenticato. Stavo morendo
dalla voglia.”
Si
guardano negli occhi, e la mente di Harry sta urlando che è
strano,
che è troppo strano, veramente, una coincidenza stranissima
che non
sa come catalogare ma poi Louis sorride e tutti i pensieri
svaniscono, perché Louis porta una berretta blu sopra i
capelli
spettinati e Louis ha un paio di occhiaie che rispecchiano le sue,
probabilmente, e perché il suo sguardo è quanto
di più caldo Harry
abbia mai sperimentato – è come stringere una
tazza di cioccolata
calda tra le dita mentre fuori nevica, è la sensazione del
suo
maglione preferito sulla pelle dopo una lunga giornata in libreria,
è
il Sole che picchia negli occhi e la sabbia tra le dita dei piedi,
per la prima volta, durante quella vacanza in Francia quando aveva
otto anni.
Louis
è tutte queste cose, e molto di più, per questo
la risposta è
ovvia quando Louis chiede:
“Ti
va di mangiarlo in macchina?”
“Oddio.”
Louis
chiude gli occhi, mentre continua a leccarsi il dito, burro
d'arachidi su ogni angolo del suo viso. “Tu non hai idea di
quanto
ne avessi voglia.”
Oh,
lo so,
vorrebbe rispondere Harry, lo
so benissimo,
ma è troppo preso a infilare il suo stesso dito tra le
labbra per
rispondere.
Così
sono seduti in macchina, entrambi i barattoli aperti e le dita
impastate di burro d'arachidi, i suoni della città come
unico
sottofondo musicale.
Harry
non vorrebbe essere in nessun altro posto al mondo.
“Ti
va di giocare di nuovo?”
Questa
volta Harry non ha esitazioni a rispondere.
“Sì.”
Harry
ascolta musica indie, hipster, roba che non conosce nessuno –
me
lo aspettavo, con quelle camicie non potevi che ascoltare delle lagne
-, così Harry collega il suo cellulare al cavo aux della
radio – You
already know
dei Bombay Bycicle Club accompagna le loro parole come poesia.
È
difficile scegliere un libro preferito, ma alla fine opta per 1984 di
George Orwell perché è stato uno dei primi
classici che ha letto,
uno dei primi libri a fargli apprezzare ancora di più la
letteratura. Il suo sport preferito è il calcio, e la sua
squadra
del cuore è il Manchester United, perché
è un ragazzo del Nord
fino in fondo, ma apprezza anche il golf, anche se nessuno lo
accompagna mai – si
vede che sei del Chesire, Harry, a nessuno piace giocare a golf, a
meno che tu non sia un vecchio imprenditore di sessant'anni o uno
snob dello Cheshire.
Harry non sa giocare a calcio, nonostante gli piaccia così
tanto –
è sempre stato un disastro per la coordinazione, le sue
gambe troppo
lunghe per seguire dei movimenti agili, i suoi riflessi uno schifo,
per davvero – durante l'ora di ginnastica passava
più tempo con il
sedere a terra che nel campo. Quando era piccolo aveva un gatto,
Dusty, e ora gli piacerebbe prenderne un altro, anche se ha paura di
ucciderlo siccome fatica a prendersi cura di sé stesso,
figuriamoci
di un'altra creatura. Non crede in Dio, ma crede nell'Universo, nella
scienza, crede di far parte di qualcosa di molto più grande
di lui –
crede di essere una minuscola creatura in uno spazio così
grande, e
a volte questo pensiero gli fa anche un po' paura, ma soprattutto lo
conforta sapere che i casini nella sua vita non valgono niente, in
confrontò all'immensità di ciò che lo
circonda – alcune
persone nascono con le costellazioni negli occhi e tornado che
scombussolano la loro vita, altri nascono con le stelle tra le mani
ma le anime perse in mezzo all'oceano, sussurra
Louis, e Harry non sa come interpretare quelle parole.
Porta
quelle camicie perché gli piacciono, e si lascia scappare
che non ha
mai potuto farlo, prima, ma non spiega il motivo e abbassa gli occhi
davanti al punto di domanda sul viso di Louis. Ama i tatuaggi, un
giorno gli spiegherà cosa significano, anche se Harry sa
perfettamente che probabilmente non gli dirà mai tutta la
verità
dietro a quei disegni sotto la pelle. Poi Louis chiede se si
è mai
innamorato, e Harry annuisce, senza dire niente.
Louis
è più un tipo da pop-rock classico, come Queen,
R.E.M., Radiohead,
Pink Floyd, David Bowie, così Harry sceglie Lover,
you should've come over di
Jeff Buckley dalla sua playlist. Louis ammette di non essere uno che
legge molto, in realtà, soprattutto perché si
annoia in fretta e la
concentrazione manca, manca sempre, ma sceglie Il
piccolo principe
come libro preferito, perché è corto e pieno di
significato. Il suo
sport preferito è il calcio, ovviamente, e la sua squadra
preferita
il Manchester United, ovviamente,
perché sono
un soldato, Harry, sono patriottico di natura.
Louis dice di essere bravo a giocare, e che se non avesse scelto
l'esercito, probabilmente avrebbe provato a intraprendere la carriera
di calciatore – e Harry riesce quasi a immaginarlo mentre
corre su
un campo e insegue un pallone, pensa che gli si addica molto, la sua
corporatura minuta lo avrebbe sicuramente aiutato nelle partite,
rendendolo più veloce e agile. Louis non ha mai avuto un
animale
domestico –
bastava il circo che avevamo in casa, Harry, credimi -,
ma gli piacerebbe avere un cane. Louis non sa se credere in Dio,
sinceramente – ha visto troppe cose terribili
perché la sua fede
non vacilasse, ma questa storia delle Anime Gemelle, beh, non
può
provenire dal nulla, di questo è certo; per essere sicuro,
più di
una volta ha pregato per la sua vita, in Afghanistan – e
se mi sbagliassi, Harry? Sarei condannato a una vita eterna
all'Inferno, e no, grazie, ho già visto e vissuto cose
terribili per
altre quattro vite – non ho bisogno di vivere di nuovo cose
del
genere.
Louis dice che non porta mai camicie, probabilmente perché
è
rimasto traumatizzato dalla quantità di uniformi che ha
dovuto
stirare nell'esercito – questo
non giustifica la tua inclinazione a vestirti come un barbone
ventiquattro ore su ventiquattro,
replica Harry, e Louis lo colpisce su un braccio e borbotta un non
sembro un barbone petulante
e adorabile. Anche Louis ama i tatuaggi, anche se i suoi sono quasi
tutti senza significato – te
l'ho detto, Harry, non sono uno che pensa troppo alle cose che fa,
dice, e Harry indica lo smiley e forse
dovresti iniziare a farlo,
dice, e Louis ride e Harry arrossisce, la pelle elettrica e
formicolante, per essere riuscito a farlo ridere così, con
la testa
buttata indietro e le dita sporche di burro d'arachidi appoggiate
sulla pancia, perché Elijah non ha mai riso così
spontaneamente
alle sue battute, e si sente meglio. Si sente meglio.
Harry
lo ascolta parlare, e quello che sente è una cosa un po'
strana.
Familiarità.
Agio. Tranquillità.
Come
se lo conoscesse da molto tempo.
Anche
la sua voce – Harry ha questa sensazione, come quando
è in
libreria e presta attenzione alla radio, quando inizia una canzone
che gli ricorda viaggi in macchina con sua madre e sua sorella
–
quei viaggi in cui apriva il finestrino e lasciava che il vento gli
scompigliasse i capelli, quei viaggi in cui cantavano a squaciagola
una canzone senza conoscere le parole – è simile a
quello che
prova quando la radio passa una canzone che fa parte della colonna
sonora della sua infanzia e tutto quello che riesce a fare è
sentire
ancora una volta il vento sul viso e la leggerezza della sua anima
–
è questo quello che brucia nel suo petto. È come
essere bombardato
da immagini e suoni di un altro tempo, di un altro luogo, ma di cui
non riesce a distinguere parole e contorni – sa solo che
c'è blu.
C'è blu, dappertutto, nella voce di Louis, dietro alle sue
ciglia,
esplosioni di colori tra le sue costole. È blu quello che
tinge la
sua mente, ora, è blu quello che vede negli occhi di Louis,
e anche
nella sua anima. Ed è anche un po' spaesato,
perché lui è grigio,
lui è fumo, lui è nuvole cariche di pioggia
– non sa cosa
significhi tutto questo colore. Se si concentra abbastanza, riesce
quasi a vederne le macchie sulla punta delle dita – fa un po'
paura, ricordarsi tutto questo colore come se una volta ne fosse
pervaso anche lui. In un altra vita, in un altro mondo, in un altro
sé stesso. Fa paura ricordare qualcosa che non si
è mai realmente
vissuto - almeno, non in questa vita.
Louis
è blu.
E
forse, in un'altra vita, lo era anche Harry.
Louis
finge di dimenticarsi la domanda sull'amore, e Harry lo lascia fare.
È
assordato dalle parole che non riesce a pronunciare.
“Harry?”
Harry
sussulta quando vede Niall in piedi nella loro cucina, i capelli
ossigenati scompigliati e gli occhi gonfi per la stanchezza.
“Ni.
Cosa ci fai in piedi?”
Niall
si passa una mano sul viso, come per svegliarsi. “Cosa ci
facevi
fuori a quest'ora?” chiede, sospettoso.
“Sono
andato da Tesco. Non so perché, mi era presa questa voglia
di burro
d'arachidi e -” inizia Harry, nervoso. Non sa neanche
perché si
senta così, come un bambino beccato con le mani ancora
sporche di
cioccolato.
“Burro
d'arachidi. Non sapevo neanche che ti piacesse.” dice Niall,
prendendo il barattolo e aprendolo.
“Infatti
non è una delle mie cose preferite. Non so neanche
perché -”
“Hai
un'aria strana.” lo interrompe di nuovo l'amico, iniziando a
spalmare il burro su una fetta di pane. “E tu non esci mai la
domenica.”
Harry
inizia ad andare nel panico e non sa neanche perché.
“Io -”
“Hai
ricominciato a parlare con Elijah?” Niall sposta gli occhi
azzurri
e acuti sui suoi, e Harry non può fare altro che pensare che
sono
così diversi da quelli di Louis, così diversi.
“Dio, dimmi che
non sei uscito nel cuore della notte per vederlo.”
“Elijah?
No, Ni, non -”
“Dimmi
che non ha scoperto dove abitiamo, perché giuro che se lo
hai visto
di nuovo ti lego e ti porto via di qui.” continua, come se
non
l'avesse neanche sentito.
“Niall,
non ho visto Elijah. E non ho risposto ai suoi messaggi. Non lo farei
mai.” dice Harry, confuso. Perché tirar fuori
questo discorso ora?
Niall
fa uno strano suono con il naso. “Come se non lo avessi mai
fatto.”
“Ti
giuro, non ho fatto nulla.”
Non
ho bisogno di essere salvato.
Niall
mangia un morso della fetta di pane, appoggiandosi al bancone della
cucina con un fianco. “Allora perché hai quella
faccia?”
“Quale
faccia?”
Harry
non sta capendo.
“Quella
faccia. Quella che ti ho visto poche volte nella vita, e di solito
quando Elijah ti faceva stare bene.”.
Niall pronuncia le
ultime parole con disprezzo, come se non credesse che Elijah lo abbia
mai fatto sentire bene per davvero. Non ha tutti i torti.
“Non
lo so.” dice Harry, mentendo, un po'.
“Allora
dimmi, ti sei perso nel Tesco visto che se uscito all'una e ora sono
quasi le quattro?”
Cazzo.
Harry non si era accorto che fosse così tardi, né
che Niall lo
avesse sentito uscire.
È
un disastro a mentire.
“Ho
incontrato un amico.” dice, alla fine.
“Un
amico. Al Tesco, di domenica notte.”
Harry
sospira. “È stranissimo, lo so. Ma è
successo. Anche lui aveva
voglia di burro d'arachidi.”
Anche
Niall sospira, prima di ingoiare quasi in un unico boccone il suo
panino. “Va bene, ti credo. Scusami, Haz, sai che tengo a te.
Non
voglio che torni tutto come prima.”
Harry
lo abbraccia, tenendolo stretto, perché sa che è
vero. Sa che Niall
tiene a lui, sa che è solo preoccupato. “Lo so,
Ni. Grazie.”
Harry
sta per mettersi sotto alle coperte, quando la testa bionda di Niall
compare alla porta della sua camera.
“A
proposito. Come si chiama questo amico?”
Harry
gli dà le spalle e sorride.
“Louis.
Louis Tomlinson.”
14
novembre 2014
Ore
4.23
Mi
sono appena reso conto di una cosa.
Se
potessi scegliere chi amare, se la mia anima fosse libera da ogni
tipo di legame, credo che potrei amarlo.
E
lui non è quel tipo di cui ti innamori solo per il suo
aspetto, per
il suo involucro, ma per la sua anima. Anche se lui è uno
dei
ragazzi più belli che io abbia mai visto –
probabilmente il più
bello di tutti i tempi, per come lo vedo io, per come mi fa sentire.
Il suo corpo è perfetto, come la sua anima. Il suo viso
– il suo
viso. I suoi tratti. Quelle labbra che vorresti baciare per sempre,
come se fossero aria e i tuoi polmoni non ti permettessero di
respirare altro, quegli occhi in cui vorresti perderti per sempre,
quelle orecchie in cui vorresti sussurrare tutto il tempo, quella
pelle dorata che vorresti sentire sulla tua pelle. Tutto.
Ma
questa non è la ragione per cui mi potrei innamorare di lui,
in un
mondo parallelo, perché la bellezza può essere
trovata ovunque. C'è
qualcosa in più.
Forse
è il fatto che lui è quel tipo di ragazzo su cui
scrivono libri –
che mentre leggi, sei senza respiro perché a un certo punto
sai che
ci sarà una fine e non sarà lo stesso quando li
rileggerai una
seconda volta. È quel tipo di ragazzo su cui scriveresti
interi
libri, che ti ispira con la sua perfezione fino a riempire pagine
intere, centinaia di pagine solo dedicate a lui, perché lui
ti porta
a un altro livello di immaginazione, rivelando la poesia nascosta
nella tua anima. Forse è il fatto che lui potrebbe aprire
nuove
porte nella mia stanza di sentimenti. Forse perché mi fa
avere
paura. Paura di perderlo, anche se l'ho appena conosciuto. Forse
perché si è già avvicinato troppo a me
e ho paura che scopra tutti
i miei difetti e che diventi l'unico che conosce il vero me, la
persona che nascondo dal resto del mondo – e che decida di
restare
al mio fianco lo stesso.
Forse
è per questo che lo vedo così.
Se
le persone fossero atomi, io sarei un quark e lui sarebbe il Big
Bang.
Il
rumore del suo respiro.
È
in posizione, fermo dietro al muro diroccato, un Sole soffocante
sopra alla sua testa, un elmetto che sta gli sta friggendo il
cervello, polvere nel naso, dita che stringono la sua arma e tutto
quello che sente è il rumore del suo respiro.
Sta
per succedere qualcosa. Sa che sta per succedere qualcosa.
Guarda
la strada deserta davanti a lui. Le case sembrano abbandonate, non
c'è nessuno in giro, neanche un'anima, a parte lui e un
altro
soldato al suo fianco. È tutto troppo, troppo silenzioso,
rispetto a
quello che deve accadere.
Poi
lo vede. Una testolina esce da una di quelle porte quasi inesistenti
– poi una manina. Un corpicino.
È
un bambino.
No,
rimbomba nella sua testa. No.
Si
è alzato. Qualcuno lo blocca.
No.
Si
dimena, ma le braccia che lo stanno trattenendo sono troppo forti.
No.
Un'esplosione.
È
solo un bambino.
Poi
più nulla.
Note
Ciao
a tutti!
Eccomi
con il nuovo capitolo. Oggi non è una gran bella giornata,
quindi non so davvero cosa dire in queste note. Spero solo che vi
piaccia, ecco tutto.
Vi
ringrazio immensamente per leggere e commentare questa storia. Grazie,
Davvero!
Il
titolo è preso da "Colors" di Halsey.
Un
bacio,
Giulia
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