Il Pianista e lo Scrittore

di Reiko88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Nota 1- ***
Capitolo 2: *** Nota 2 ***
Capitolo 3: *** Nota 3 ***
Capitolo 4: *** Nota 4 ***
Capitolo 5: *** Nota 5 ***
Capitolo 6: *** Nota 6 ***



Capitolo 1
*** Prologo - Nota 1- ***


Il Pianista e lo Scrittore

Il Pianista e lo Scrittore

 

 

Prologo


Sono uno scrittore.
Uno di quelli falliti.
Tipo quelli che pubblicano un solo libro che fa un sacco di vendite e poi non si sente più nominare,
si uno di quelli.
Sono uno scrittore, e come tale abbastanza trasandato, ho un bel viso ma non lo curo, ho un bel corpo ma non lo tengo allenato,

e la mia tapparella è sempre mezza abbassata, il mio salone è grande,

ma ho una scrivania piccola e un pc che si impalla ogni due minuti e un hard disk che mi sta chiaramente dicendo “ addio”.
Vivo di notte e dormo di giorno, o meglio la mia giornata incomincia con il caffè,

la mia colazione è quindi alle quattro del pomeriggio e la mia cena e il mio pranzo sono composti da cibi precotti.
Essere single ed essere uno scrittore non c’è molta differenza.
La mia “carriera” in discesa inizia a undici anni, quando feci la prima dedica  su un diario di un mio amico a cui scrissi storpiando una poesia , quella originale faceva così

smetterò di essere tuo amico quando un poeta cieco e sordo riuscirà a dipingere il rumore di un petalo caduto sul pavimento di cristallo di un castello che non esisterà mai
e io scrissi il mio primo verso che narrava

smetterò di essere tuo amico quando un pittore cieco e sordo riuscirà a sentire il tonfo del suo sterco e vedere se ha centrato il wc
Leggendola il mio amico mi disse “ dovresti fare il poeta” e io seguii il suo consiglio.
La verità è che volevo dormire fino a tardi, naturalmente nelle interviste dichiarai sempre il falso, dicendo qualche semplice pensiero mutandolo in uno profondo.
Scrissi e scrissi, partecipai a molti concorsi, ma nessuno mai mi notò, o meglio , tutti volevano pubblicarmi, ma tutti volevano soldi, e io quest’ultimi potevo solo sognarli,

pensai quindi, che sarei andato a vendere un rene per pubblicare qualcosa di mio, ma poi mentre cercavo su internet qualche buono acquirente, il mio telefono squillò.

Pensavo avessero sbagliato.
Conobbi il mio editore, mi fece molte domande a cui risposi a monosillabi, e mi fissò un appuntamento,

rimasi senza parole, e quando riattaccò pensai tra me “ quest’uomo deve essere sicuramente cieco.”  perché fu quella l’unica spiegazione logica.
A mia sorpresa non fu così, ci vedeva, ci vedeva benissimo, e prese il rischio di pubblicare uno dei miei tanti lavori,

oltre al manoscritto che avevo spedito, me ne chiese altri per valutare, e alla fine scelse il racconto che a me piaceva di meno.
Da quel giorno la mia vita cambiò e potei finalmente dormire fino a tardi e scrivere di notte,

e anche i soldi, arrivarono anche quelli, ma si sa non sono mai abbastanza, la maggior parte gli ho dovuti ridare a tutti quelli a cui avevo chiesto dei prestiti.
Ora ho una bella casa lo ammetto, ma le mie camere sono impolverate, non pulisco la mia scrivania figuriamoci le stanze,

tra l’altro ho molte cose che le persone definirebbero completamente inutili, dai sopramobili più strani, agli oggetti senza senso,

ah si e naturalmente ho una libreria, una libreria gigantesca, ma purtroppo ho imparato bene a tenermi lontano dai libri,

perché ne verrei influenzato e non voglio che mi denunciano per aver plagiato dei “diritti di autore “, quindi leggo e rileggo solo quelli che mi sono piaciuti di più.
Quando fallirò completamente avrò sicuramente una pigna di libri da leggere, per ora, tra circa sei mesi, il mio editore ha detto che devo sfornare un altro libro degno del primo,

e che deve essere sicuramente un qualcosa che va di “voga” in questo periodo.

Potrei tentare quindi con storie di vampiri, racconti banali d’amore, e altre stronzate del genere,  

e io che speravo di non scrivere storie commerciali, provo molta più soddisfazione pubblicare altri miei manoscritti e a farli leggere in rete o a chi conosco

( ma le amicizie sono scomparse facendo questo lavoro ).
Per il mio secondo romanzo, anche se sono sicuro che il mio editore si arrabbierà ho deciso di scrivere una storia omosessuale,

ma sono convinto al cento per cento, che uno dei “lui” diventerà una lei.
Che altro raccontare di me ?
Ho i capelli scuri, raccolti in una cipolla, li tengo lunghi  perchè non ho voglia di tagliarli, ma li lego così, perché mi danno fastidio,

i miei occhi sonno affilati, il tempo e le esperienze mi hanno donato un espressione sicura, sono di un colore scuro, vanno sul blu,

ma porto sempre degli occhiali, scrivere non giova di certo alla vista, ma ho una montatura davvero molto bella, pagata un occhio dalla testa,

è squadrata e molto piccola, ma non troppo, altrimenti non servirebbe a nulla.
Sono molto alto, forse è per questo che riesco a stare in forma, nei limiti naturalmente,

se fossi stato basso sarei sicuramente in sovvrapeso, e ho ventisette anni, in fondo sono ancora un ragazzo.
O almeno credo.
Ho un gatto che mi comanda, l’avevo preso per non sentirmi solo, ma non c’è praticamente mai, solo alla mattina mi salta addosso per avere la sua razione di cibo,

naturalmente si struscia sulle mie gambe quando vuole che lo coccoli, e quando stampo le pagine dei mie libri, puntualmente ci si accovaccia sopra,

sentire un suo miagolio è più unico che raro, difatti quando lo fa incomincio a parlare da solo ( lo faccio spesso) e lo ringrazio di avermi degnato della sua “voce”,

si chiama “ neve” , ed è tutto nero con degli occhi color del ghiaccio.

E poi…poi ho un enorme pianoforte in mezzo al salone.

Non lo suono io, non ne sarei mai capace, so a malapena suonare con il flauto “ Jingle bells “ figuriamoci un pianoforte.
Lo suona lui,

lo suona un ragazzo bellissimo, all’apparenza parla pochissimo, e fa fatica ancora a pronunciare intere frasi,

quando si è presentato al mio annuncio strambo, con il seguente testo

 Cercasi ispirazione, mi serve qualcuno che sa suonare il pianoforte 

si è presentato davanti alla mia porta con una lettera che spiegava che non pronunciava più una parola da anni.
Ma quando lo feci accomodare al grande pianoforte, fece un discorso pieno di melodie e sapeva raccontare come mai nessuno era riuscito a fare,

non proferì la parola dolore disperazione, ma ugualmente in quella musica ne potei udire il significato.
Mi ricordo che gli sorrisi compiaciuto mentre abbassava il capo, mi avvicinai a lui e gli tesi una mano.
”Hai pronunciato uno dei discorsi più belli che le mie orecchie abbiano mai sentito.
Piacere mi chiamo Zefir. “
La sua lettera si presentò per lui: firmato, Laris.


Fine prologo.


 

Capitolo 1:

 

 

*******

 

” Ci dica come fa ad avere idee tanto originali per i suoi romanzi signor Zefir ?

 

È semplice scrivere.
Basta fare di una sciocchezza un dramma, raccontare qualcosa di normale e farne diventare una tragedia e naturalmente bisogna soffrire enormemente

….in fondo avete mai conosciuto un artista felice ?

Ma invece con un altezzoso sorriso e guardando tutti dall’alto verso il basso dalla sala conferenze dicevo:
” Ho letto molto, senza alcuni scrittori non sarei quello che sono adesso, e la mia famiglia mi è sempre stata vicino, e soprattutto….

ho studiato molto tutto quello che c’era da studiare sulla forma , gli aggettivi, i tempi e la grammatica, d’altronde…sono uno scrittore no ? “

E come degli allochi risero delle mie bugie.
Sorrisi anche io di loro in modo freddo e spietato.

****


Come vi dicevo, assunsi quel pianista senza voce, ormai nella mia mente lo chiamavo così e la sua musica  echeggiava per tutte le stanze, erano per lo più melodie delicate,

nulla di troppo complicato, era bravo, ma sapevo anche che esistevano pianisti migliori di lui, alcune volte sbagliava qualche nota,

ma la cosa non mi importava, cosa me ne facevo di un buon pianista che sapeva perfettamente uno spartito se poi non mi trasmetteva nulla?
Guardandolo creai uno dei miei tanti versi

i migliori pianisti sono quelli che non sanno leggere le note sugli spartiti, 
i migliori scrittori sono quelli che sanno scrivere con il cuore non con la penna,
il miglior “ ti amo” è di quello che non sa pronunciarlo


La mia espressione seria cambiava quando rileggevo le mie stesse frasi  scritte in modo indecifrabile e mi chiedevo che tipo di droga mettevano nel caffè per scrivere stronzate del genere.
Ridevo di me stesso, dei miei racconti, delle mie stupide frasi

….ma per un motivo a me ignoto, al pubblico piacevano e questo per me era importante più di ogni altra cosa…

dopo del mio telefilm preferito e della sveglia fino a tardi naturalmente.
Riposai gli occhi su di lui, sul suo calmo profilo, le labbra perfettamente serrate,

il capo leggermente abbassato e lo sguardo su quei tasti bianchi e neri come se fossero suoi soltanto,

non capivo se era  lui ad essere attratto da quel pianoforte o viceversa.

Distorsi un sopracciglio mentre pensavo, si certo, non mi bastavano gli amori omosessuali da descrivere, ora mi sbizzarrivo pure con gli oggetti.
Si fermò ad un tratto e  la sua espressione calma cambiò lievemente con naturalezza,

si voltò appena verso di me guardandomi, aveva occhi color del ghiaccio e con i capelli scuri,

non erano neri, era più un castano molto scuro, risaltavano ancora di più, nonostante questo, nonostante avesse un colore gelido, la sua espressione non lo era affatto, era un espressione di chi è sempre molto calmo, tipo una di quelle persone che anche se scoppiasse il mondo non farebbe nulla rimerebbe li e ti direbbe

se dobbiamo morire, perché scomporsi più di tanto ?
Ho sempre pensato che queste tipo di persone sono davvero molto tristi.
Alzai le sopracciglia e “dissi “ – mh ? – come per chiederli che cosa voleva e fissai il suo viso,

quasi ovale rispetto al mio allungato, e i ciuffi che gli arrivavano al mento separati da una riga in mezzo gli ricadevano perfettamente ai lati degli occhi,

come per incorniciare quel viso come se fosse stato un quadro,

uno di quelli belli che però nessuna notava solo perché non era “dipinto” da qualcuno famoso o perché reputato “imperfetto”.
Che strano accostamento che ho fatto, domani prendo un caffè diverso.
Solo allora mi accorsi che ero io che guardavo lui per tutta la durata di quel tempo in cui suonava la sua melodia,

e allora gli sorrisi, ero troppo abituato io ad essere guardato per primo , non viceversa.
-Ah scusami, ti sarai sentito fissato.- gli dissi in tono scherzoso, quello che avevo sempre, ma forse più che scherzoso era beffardo,

senza volerlo era diventato troppo sicuro di me, per questo molte volte sembravo arrogante.
Poi piegai il capo all’indietro e feci scricchiolare il collo e maledii il mio medico che non vedevo da cinque anni che mi aveva detto

lei è sano come un pesce

eppure da un po’ di tempo a  questa parte quando rimanevo bloccato con la schiena ed ad ogni movimento le mie ossa scricchiolavano, e pensavo

sono sano come un pesce del naviglio

( era un fiume che ero andato a visitare a Milano in  Italia, l’acqua era sul verde scuro e galleggiavano cose ignote, la leggenda narrava,

che se entravi a farti un bagno, uscivi geneticamente modificato, con quattro braccia, tre occhi e due piselli. )
- Ho la scoliosi me lo sento.-

dissi abbattuto e il primo che mi avrebbe detto “ ma su dai, hai ancora 27 anni , sei giovane “ lo avrei pestato a sangue, a parte questo, guardai Laris e gli dissi

        Mangiamo un boccone ti va ? Avrai fame immagino

Guardò l’orologio con i numeri romani, segnava le cinque del pomeriggio e poi ritornò al mio sguardo interdetto.

        Emh…è il mio pranzo…o cena? Non saprei….vieni con me comunque,

mi annoio in questa casa da solo e poi non ho intenzione di sfruttarti, anche tu hai la tua ora di pausa.-

gli dissi mentre mi alzai, naturalmente non mi aspettai una sua risposta, ma non perché non parlava, anche se lo avesse fatto,

non mi aspettavo di certo un rifiuto...quando si è soli, capita troppo spesso di fare affermazioni , non più domande.
Qualche secondo dopo sentii il rumore di anche lui che si alzò e silenzioso mi seguì, e tra me e me lo paragonai ad un passo felino.
Fummo nella cucina, era abbastanza semplice, nulla di particolare, avevo un frigor in acciaio inox  e un paio di fornelli,

 tanto alla fine, avevo il mio vassoio e mangiavo o davanti al grande plasma oppure alla scrivania, nella cucina facevo di tutto, tranne che mangiarci.
Aprii il frigor e guardai cosa c’era…..poi mi voltai verso il pianista, e gli domandai cosa desiderava, ma lui mi fece cenno di no con la testa.
- Ehi guarda che sono bravissimo a cucinare cibi precotti! -
Fu qualche istante forse di più, abbassò il capo sorrise e le sue spalle tremavano lievemente e si mise una mano davanti a quelle labbra che parevano cucite da un ricordo doloroso

-Ehi non ridere ! guarda che non è mica da tutti cucinare bene cibi già pronti, la mia specialità sono latte e cereali eh !-
Abbassò ancora di più il capo, come se si vergognasse di quella reazione e coprì ancor di più il suo sorriso che probabilmente sarebbe diventata una risata.
Sospirai, bhe non ero di certo felice che rideva di quello, ma ero stranamente sereno, poi mi attraversò un pensiero.
” Vorrei che non coprissi quel sorriso.”
e poi subito un altro
O cazzo
mi immediatamente perlustrando il frigor.  Ma mi ero rincoglionito del tutto ?
Era sicuramente l’influenza del libro che stavo scrivendo,

vengo spesso influenzato dai miei scritti, quindi rallentai il mio cuore prima di rischiare un infarto e decisi di non pensarci.

Scelsi degli spaghetti con il pesce ( se si poteva definire così quest’ultimo) e lo riscaldai nella padella, nell’unica padella che avevo per essere pignoli.
Assumevo un pianista e non assumevo una domestica.

C’era qualcosa che chiaramente in me non andava, ma di quello non mi stupii più di tanto, mi ero già reputato pazzo all’eta di sedici anni.
Prima che il tutto andasse a fuoco lo misi in un piatto  e lo poggiai per riflesso incondizionato sul vassoio,

stetti in piedi e guardai Laris dall’altra parte della cucina, poggiato contro al muro con l’aria calma che caratterizzava quel bel viso.

Chissà quanto aveva gridato .
Mandai giù il primo boccone e la mia aria si fece ancor di più curiosa con la persona che se ne stava di fronte a me.
I nostri sguardi si incrociavano, chissà perché non c’era il bisogno di pronunciare il suo nome quando volevo la sua attenzione.
-Pensavo- “ strano” feci tra me e me.
Inghiotti un'altra cosa di quel cibo che molti avrebbero reputato nocivo.
Lui con un cenno di capo mi acconsentì andare avanti,

non che volessi dire qualcosa di particolarmente dettagliato, semplicemente con aria non curante, anche se il sorriso beffardo troneggiava sulle mie labbra, lo resi partecipe dei miei pensieri.

-Mi chiedevo a quanto avevi gridato per stare così in silenzio come lo sei ora.-

Forse ero stato sgarbato, dato che lui distolse lo sguardo.
Non ne voleva chiaramente parlare, e non era un infida battuta, ritornai al mio pasto, mentre lui uscì dalla cucina e riandò nella grande sala dove c’era il pianoforte e la sua risposta arrivò , composta da delle note basse per poi tessere un intruglio di note veloci.
Lievemente increspai le mie labbra.
Era come per dirmi

“ Se stai pensando che sono una persona triste o ti faccio pena, ti sbagli di grosso.

 le note erano chiare e ben sicure come se fossero state parole a cui non si poteva replicare.

Era strano quel tipo di comunicazione che c’era tra noi due, eppure mi sembrava una delle più belle e più produttive che avevo mai avuto nella mia vita,

e di certo non mi sarei mai aspettato che fosse stato con una persona  che faceva fatica a spiccicare una sola parola.
Ma in fondo ricordai, che mai nessuno da me si era aspettato scritti che parlavano d’amore,

o frasi che credevano che non sapessi nemmeno pronunciare, dato che ero una persona realista e cinica,

 leggere di due disperati amanti per chi mi aveva conosciuto era una sorpresa, scrivevo d’amore, ma spesso e volentieri parlavo di odio.

Ero stato superficiale, forse ero uno dei pochi scrittori ad essere tale.


Fini il mio pranzo o la mia cena, e mi rimisi seduto sulla mia sedia, fissai lo schermo, e con i miei occhi blu, al di sotto delle lenti,

lo guardai vagamente, e improvvisamente, ricominciai a scrivere, guidato solo dalla sua melodia.


 

Continua

 

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Capitolo 2
*** Nota 2 ***


Sono uno scrittore



 

Nota 2 :

***


Avete mai provato a litigare con qualcuno che considerate un artista?

Che sia uno scrittore, un musicista, uno sculture o un pittore, fidatevi, con lui sarete sempre dalla parte del torto, saprà usarvi parole,

portarvi esempi a cui sarà impossibile ribattere e infine dopo avervi dato il colpo di grazia,

se è uno scrittore si farà passare per una vittima melodrammatica del suo  stesso racconto,

se è uno sculture assumerà una posa in cui vi sarà impossibile non volerlo abbracciare,

se un pittore dipingerà espressioni così tristi su quadri di tela con un volto immutabile e se invece è un pianista non ascolterete altro che una nenia triste per tutto il giorno,

quindi dovrete essere voi a piegare il capo e chiedere scusa,

e mentre sfiorerete le loro labbra pensando che forse era colpa vostra, non vi accorgerete del sorriso beffardo e vincitore che vi troneggia sulle loro maledette labbra.

Non innamoratevi mai di questi elementi,

perché non riuscirete a tirarli su da un baratro in cui loro stessi hanno voluto cadere,

l’unica cosa che potete sperare è che vi tedino la mano,non per risalire, ma per portarvi giù con loro

***

 

I giorni passavano e vedere Laris, anzi, sentire Laris era ormai diventata quasi abitudine.
Ogni giorno le melodie cambiavano, oppure gli dicevo qualcosa io,

dicendogli che dovevo scrivere magari un pezzo con un dialogo triste, oppure che mi serviva qualche melodia spensierata in modo di alleggerire i toni del libro.
E lui rispondeva con un energico si della testa. Mi faceva quasi tenerezza da quanto si impegnava.
E ogni giorno….ogni giorno migliorava sempre più.
Il ticchettio dei tasti e quelli del piano si sovrapponevano, più le sue melodie mi ispiravano per un capitolo e più scrivevo veloce per paura che le mie idee andavano via in un momento,

molte volte erano così tante, che dovevo tenere aperto sia word che un blok notes per appuntarmi ciò che volevo scrivere dopo

o semplicemente trascrivere una frase del momento che mi era venuta in mente.
Non vi era dubbio, il pianoforte mi ispirava….o forse era Laris a fare quella sorta di magia.
Sospirai almeno la undicesima volta in quella giornata mentre ero distratto da quei pensieri  così ambigui e mi misi una mano tra i capelli scomposti per riposarmi mentalmente almeno un minuto.
Dovevo smetterla.
Poi con ancora la mano sulla fronte guardai per l’ennesima volta il suo profilo, perché ogni giorno mi sembrava sempre più bello ?
Lasciai la mia mano e la posai direttamente sulla scrivania, ci mancava poco che la battessi ripetutamente che passavo per un idiota.
Non ero omofobico, anche perché sarebbe stato ridicolo sennò scrivere di una relazione gay ,

semplicemente non mi era mai “piaciuto” un maschio, ripensai alle mie relazioni….e mi accorsi che ci pensai nemmeno  per un minuto. Era abbastanza preoccupante.
La mia vita “amorosa” era piatta come quella di un encefalogramma di un morto.
Il fatto era che le “signore” che avevo frequentato alla fatidica loro domanda “ Mi ami ? “ ( che arrivava dopo nemmeno due settimane ) rispondevo ,
” Amo molte cose. Amo la neve, amo la notte, amo i libri, amo i soldi, amo i gatti….ma mi viene difficile amare un essere umano.”
E puntualmente ribattevano con un “ Sei senza cuore “ o “ Ah, non troverai mai nessuna “,

il mio era un solo piacere carnale, non avevo mai davvero provato dei veri sentimenti verso loro,

alzai di poco la fronte e lessi quello che avevo scritto e mi chiedevo come mai scrivevo storie romantiche o comunque di questo tipo,

narro d’amore ma non  so provarlo, narro di opposti ma cerco qualcuno simile a me, nel complesso questa era la mia maledizione.

Chissà cosa ne avrebbe pensato Laris. In qualche modo ero sicuro che lui avrebbe capito quel ragionamento, anche se non ne sono poi così sicuro,

ho incontrato davvero poche persone che hanno poggiato le mie strambe idee.
In ogni caso se una persona era bella, uomo o donna che era, era bella e basta.
E Laris…era bellissimo.
-Inutile non ci riesco.- dissi fissando la nuova pagina di word completamente bianca, com’è che le miei idee erano sparite del tutto e in un solo attimo ?
Dodicesimo sospiro in quella fioca giornata.
-Usciamo.- dissi davanti allo schermo, poi mi voltai verso di lui che aveva smesso di suonare e ripetei la mia richiesta davanti alla sua espressione sorpresa – Tranquillo, adoro il mio pc ma non ho chiesto a lui di uscire ma a te.-
Assunse l’espressione calma, ma era diversa, le sue labbra erano incurvate leggermente in un sorriso.
Misi il mio cappotto nero, arrivava alle ginocchia , per questo mi limitai a mettermi un banale maglione e dei semplici jeans abbastanza larghi,

tanto il mio capotto copriva abbastanza, in quel modo potevo anche trascurare il vestiario, per questo adoravo il freddo e ovviamente odiavo il caldo,

ma eravamo a novembre quindi non avevo da preoccuparmi, Laris mi raggiunse nell’atrio ,

e fu singolare la scena che mi si parò davanti, era infagottato in un giubbotto che era chiaramente troppo grande per lui, era di colore bianco come quello della neve,

e aveva una sciarpa nera che gli copriva metà del viso e notai anche dei guanti, quando ritornai alla metà del viso scoperta, distolse lo sguardo scocciato e imbarazzato allo stesso tempo.
Mi sembrò che urlasse “ Non ridere. Zitto ti prego
Qualche istante e scoppiai naturalmente a ridere, odiava chiaramente il freddo.
- ahah sembri un orso polare combinato così, no anzi un pupazzo di neve !-

rendere partecipe dei miei pensieri chiunque era sempre stata una mia caratteristica, gli aprii la porta trattenendomi, poi però lui si fermò all’uscio,e guardò dietro di se , e poi me.
Non capii immediatamente però gli risposi intuendo.
- Non ti preoccupare per il libro, ho ancora qualche mese per finirlo le idee arriveranno, è solo che…mi sono bloccato in una parte.

E poi comunque ci sei te, l’ispirazione mi verrà sicuramente, inoltre quando succede spesso e volentieri scrivo altro quindi non c’è nessun problema.-
…in verità lo dicevo per tranquillizzare me stesso.
-….aaah…sicuramente stai pensando “ Ma a a me cosa me ne frega ! “- dissi tirandomi indietro dei capelli , sperando che restassero all’indietro, dato che mi davano fastidio davanti agli occhi.
Lui scosse la testa, sapevo che ero riuscito a farlo ridere di nuovo, chissà come era la sua risata.
….Chissà come era la sua voce ?
Se era dolce come le sue melodie, allora sarebbe stata musica per le mie orecchie.
-Dai andiamo….?sai guardanti mi viene un mente un pinguino…né facevano la pubblicità tempo fa, però credo abbiano fallito…in tv non si vedono più, hai notato ? –

fu lui a spingermi dalle spalle per farmi uscire da casa mentre chinò il capo a quella stupida battuta.

Doveva sicuramente avere sui venti anni, ma sicuramente non superava i venticinque, anzi ne aveva molti meno,

eppure quello più entusiasta di uscire ero forse io che mi fermavo in ogni negozio, che indicavo ogni persona che era accampata per strada a vendere le caldarroste,

tra l’altro era un giorno in cui facevano quelle bancarelle dove si passano le giornate senza mai comprare niente.
Non so perché, ma adoravo quel clima.
- Pensa che mi hanno sempre invitato in prestigiose cene, con caviale e tutte queste cose,

ma se mi avessero invitato per promuovere o parlare del mio libro in una di queste bancarelle sarei stato mille volte più felice. Erano tutti così noiosi! -
gli dissi guardandomi attorno, mentre probabilmente avevo gli occhi illuminati da quella stupida festa. Laris invece era sempre composto e non aveva di certo un portamento come il sottoscritto, 

credevo che era elegante solo nella sua postura al pianoforte, ma invece lo era in tutto, dal movimento più semplice alla andatura più veloce.

Teneva le mani in tasca e il viso leggermente alzato scrutando tutto con i suoi occhi color del ghiaccio, rispetto a me era basso, c’era anche da dire che però io ero alto un metro e ottanta, quindi era facile essere più bassi di me, ma nonostante ciò sembrava ugualmente al mio livello.

Io al contrario ero abbastanza trasandato, insomma conducevo una vita da eremita, ne mi importava di mettere abiti firmati o qualcosa del genere,

e quando tutti mi facevano notare il mio cattivo gusto nel vestire portavo l’esempio di Jhonny Deep, perché lui vestiva scomposto ed era uno degli uomini più belli del mondo, e io invece no ?
- Non ti piace nulla ? vuoi qualcosa in particolare ? – gli chiesi, molto probabilmente si stava annoiando.
Lui stava per “dire “ di no , poi si soffermò su un negozio e lo indicò.

Sorrisi di tenerezza perché mi ricordò un bambino, uno di quelli che quando desidera qualcosa la indica.
Guardai dove indicava e distorsi un sopracciglio.
-…ma
sarebbe un controsenso ! – ribattei  mentre vidi cosa aveva indicato.
Era una semplice gelateria.
Lui scosse la testa e si avviò io lo segui poi si fermò li davanti guardando l’insegna come se fosse qualcosa di irraggiungibile.
-Mh vediamo…in effetti non fanno solo gelati…quindi cioccolata calda ?-
Ancora un no .
-….Crepè ? -
Altro no .
Avrei dovuto assolutamente imparare un alfabeto per i muti, o portarmi un blocco per gli appunti.
-…Frappè ?-
Quella volta fu un si e sprofondò nella sua stessa sciarpa in quel momento.
-Bene, entriamo allora.- quella volta non mi seguì.
Restò immobile davanti alla vetrina, e quindi gli lo ripetei ancora.
Improvvisamente il suo sguardo si fece perso, chi mai aveva detto che gli occhi di un azzurro come il suo, fossero glaciali ?
Erano i più dolci e più belli che io avevo mai visto.
Prese una manica del mio giubbotto e ancora una volta abbassando il capo scosse la testa e mi sembrò terribilmente triste….o forse no…la sua era paura.
Non poteva parlare.
Anche entrare in un semplice negozio o che fosse una gelateria non sarebbe riuscito a dire nessuna parola, e quindi ne dire cosa voleva o desiderava..
Mi liberai dalla dolce stretta e carezzai la sua nuca abbassata, fu l’unico gesto che mi venne in mente per tranquillizzarlo.
- Chiedo io per te. Aspettami qui.- e mi voltai verso il negozio.
Nella fila e appiccicato alla gente, valorizzai ancora di più la mia vita da recluso, e naturalmente fui l’unico quel giorno ad ordinare una coppetta e un frappé, e fu anche un impresa uscire, nella loro vita passata quella gente doveva sicuramente appartenere alla razza dei vichinghi.
Uscii affannando.
- è stata dura…ma c’è lo fatta ! – dissi dietro di lui, guardando la sua schiena esile.

Si girò appena a tre quarti, era vagamente preoccupato e non mi ci volle molto per capire che si sentiva in colpa.
- Ho dovuto combattere, spintonare una vecchia e scavallare un bambino rompiballe e  mi hanno pure sbagliato a dare il resto…ma nonostante questo….ecco a lei.- dissi energetico.
Allungai il bicchiere di frappè che lui prese.
-Hai freddo e bevi il frappè…è un controsenso lo sai ? – gli feci notare mentre mi incamminai verso le ultime bancarelle rimaste, fece chiaramente finta di ignorarmi.

..- Laris…sbaglio o sei permaloso ? – gli chiesi con un sorriso beffardo sul volto.
Si stupì e poi velocizzò il passo.
Si lo era. E anche molto.

Forse si poteva capire di più una persona nel silenzio che nel sentirla parlare, pensai guardando la sua figura da dietro, e le prime e ovvie domande si fecero largo nella mia mente.
” Chissà cosa era successo. “
La sua lettera diceva che non era muto, ero quindi sicuro che la voce l’aveva….fui io a guardare lui  in modo gelido alle sue spalle con i miei occhi profondi e il mio sorriso si fece accattivante

pensando che quella voce un giorno sarebbe stata mia.
Lo raggiunsi, e constatai che il gusto che avevo scelto – stracciatela e caffé – per il frappé gli piaceva. “ menomale “ pensai tra me stesso.
Poi ad un tratto quella bella giornata finì, un fulmine a ciel sereno, due, tre gocce, e infine un acquazzone.
Mormorai un – Grazie Dio… -  (  all’inizio lo maledivo, poi era ormai diventato una sorta di amico/ nemico invisibile con cui parlavo )
Ma d’altronde era un classico…insomma ero uscito, non potevo pretendere che ci fosse il sole tutto il giorno, sarei stato troppo fortunato e mi sarei sorpreso.
D’istinto presi la sua mano nella mia e lo trascinai con me per ritornare a casa al più presto,

comprare un ombrello dagli iettatori della pioggia non sen parlava nemmeno, spuntavano fuori come funghi,

ma il loro maledetto ombrello che si rompeva in nemmeno cinque minuti non l’avrei comprato.
Fortuna che non eravamo lontani, quindi a casa, correndo ci arrivammo in dieci minuti, fradici si intende.
Chiusi la porta di casa dietro le mie spalle e mi poggiai contro di esse mentre sentivo l’acqua che scendeva dalle mie tempie.
- è completamente normale….quando sono senza ombrello piove, e quando l’ ho, splende il sole.-

- Etcìù! -
Riaprendo gli occhi e recuperando fiato  guardandolo capii perché si era messo tutti quelli strati di vestiti, era anche uno che prendeva il raffreddore facilmente.

- Etcìù- …realizzai la situazione, lo presi dalle spalle e lo scossi.
-Non ammalarti, non farlo, altrimenti dovrai stare a riposo e non potrai suonare!-

ero un egoista, ma sapevo che lo ero in un modo impossibile da odiarmi…o almeno credo

-…vado a prenderti qualcosa! – restò sbigottito di fronte a quella preoccupazione che più che per lui era per me stesso.
In realtà non mi preoccupavo per nessuno tranne che per me stesso…anzi no, nemmeno di me stesso a volte.
Andai nella grande camera cercando velocemente tra gli armadi, dire che era disordinato era poco….era…il caos più totale.
Ma trovai quello che cercavo, l’essenziale insomma, e intanto potevo sentire i tuoni che si facevano largo nel cielo, e mi ricordai delle cose stese che avevo messo nel terrazzo.
Ecco, in quel caso maledii Dio.
Presi uno asciugamano e dei vestiti e una coperta e ritornai all’atrio,gli li posai sul divano che c’era li, lui mi guardò accigliato.
-Tu dormi qua.- gli dissi e poi aggiunsi – tornerai domani, non ti preoccupare io starò di la a scrivere, quindi non mi dai fastidio.-

 il solito tono, quello che non chiedeva, ma impartiva senza nemmeno volerlo davvero.
….Darli un ombrello e farlo andare via dicendogli “  me lo riporterai domani  era un concetto che ignorai, e forse lo ignorammo in due.

Guardò prima i vestiti e poi me

-Lo so , lo so, non sono il massimo, ma almeno così i tuoi si asciugheranno.-

poi dopo avermi lanciato uno sguardo di comprensione si voltò nuovamente dall’altra parte, fece qualche passo e guardò al di fuori della finestra.

Pioveva a dirotto…mi misi di fianco a Laris.
-….Ti piace la pioggia ? – ne sembrava affascinato, toccò la superficie del vetro, e bastò il suo lieve accenno, e il suo sguardo lontano per capire la sua risposta

  Molto. “
A me non mi intratteneva molto come spettacolo, mi piaceva solo il suo rumore mentre dormivo sotto alle coperte, lo trovavo rilassante.
Guardammo la pioggia dalla grande finestra in vetro e pensai a chi faceva lo stesso in quel momento.

 


C’era chi sperava che quella pioggia durasse in eterno per potere stare accanto alla persona che aveva dimenticato l’ombrello e quindi costretta a rimanere,
c’era chi si era perso nella grande metropoli mentre era al volante e il passeggero a lui vicino fingendosi preoccupato sperava che sbagliasse nuovamente strada in modo di potersi smarrire all’infinito,

e chi tipo come me ,

sperava di non finire mai il suo libro in modo da avere la sua musa accanto a se per sempre.

 

 

Continua



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Capitolo 3
*** Nota 3 ***


Nota 3 :

Perdonatemi.  Vi prego leggete fino in fondo e capirete.
Mi chiamo Laris e vi chiedo anticipatamente scusa se mi presento in questo assurdo modo.
Non ho voce, non sono muto, ma faccio fatica a parlare, il mio silenzio dura ormai da cinque anni, ma non vi voglio annoiare con la mia storia.
Ho letto il vostro annuncio, so che siete uno scrittore, non ho mai letto niente di vostro,

ma so che siete famoso e che venite stimato dai migliori critici letterali, mi dispiaccio che so così poco di voi,

ma dovete credermi mi piace suonare, immensamente, adoro suonare il pianoforte, dovete sapere solo questo signor Zefir.

Ho vinto alcuni premi, forse non i più prestigiosi, ma sono abbastanza bravo, il fatto di non riuscire più a parlare mi vieta di fare molto cose e una di queste è il “successo”.
Aspiravo a diventare un pianista famoso, ma mi è impossibile, per questo quando ho letto il vostro annuncio ho provato ha fare questo tentativo ma non per farmi conoscere,

la mia presenza sarà poco più di un ombra, di questo non dovrete darvi pensiero, la fama non mi interessa più.
Leggendo il vostro annuncio ho pensato “ è meraviglioso “ , lei ha dato la possibilità di realizzare l’ambizione che ogni musicista che si rispetti ha.
Questo mondo mi ha fatto dimenticare molte cose, ma leggendo le vostre righe mi sono ricordato del perché suonavo.
C’è una ragione che supera il denaro, la fama o le lodi degli altri.
Suono per far trasmettere qualcosa, suono in modo che la gente possa creare ispirata dalle mie banali melodie,

suono per sentirmi ancora vivo e per tenere in vita anche gli altri.
Anche il solo fatto di pensare che qualcuno in questo mondo, ascolti una melodia da me creata, di notte, mentre sta pensando alla propria vita, mi renderebbe davvero felice.
Toccare l’animo di qualcuno è la maggiore delle mie ambizioni,
far sapere cosa provo o cosa ho provato è invece il lato più egoistico di me.
Desidero questo, ed è per questo motivo che suono, lei me l’ha fatto ricordare e io, anche se sono ai suoi occhi uno sconosciuto non saprò mai come ringraziarla per avermi fatto ricordare il mio sogno che era stato contaminato dalla realtà.
Sicuramente non so scrivere bene come voi, non ho parole sufficienti per spiegare e non ho voce per far sapere, ma fatemi suonare e tutto vi sarà chiaro.
Basterà che mi dite che tipo di melodie  volete e vi improvviserò,
se volete che vi racconti una storia, ditemi il titolo, e ve la suonerò,
se desiderate qualcosa di più complesso, datemi un buon spartito e lo eseguirò.
Mi impegnerò anche a recuperare la mia voce in modo che tutto vi sarà più facile e per non mettervi a disagio.
Nel vostro annuncio dicevate che cercavate un pianista, non sono uno di quelli perfetti, tutt’altro, ma mi piace suonare,

è l’unica cosa che mi viene bene e che so fare, se non suono, non posso fare altro, sostanzialmente sono una persona inutile.
Anche se non suonerò per voi ricordatevi che vi ringrazierò sempre.
E scusate ancora una volta se non riesco a proferirvi parola ma a presentarvi solo questa ridicola lettera.

Grazie.

                                                                                                                                                  Laris.

 


Era uscito da un romanzo ottocentesco.
Era questo quello che pensai quando lessi per la prima volta la sua stramba lettera.
C’era ancora chi dava del “ voi “ ?
Non sapeva scrivere ? quel moccioso sapeva scrivere meglio di me.

Ora che invece la sto leggendo circa per la trentesima volta di fila, dopo un mese dalla sua permanenza qua, la trovo adorabile.
Naturalmente non ha ancora proferito parola ne ha cercato di farlo, però diventa ogni giorno più bravo.
Ero sdraiato sul mio letto e guardavo il soffitto che avevo fatto dipingere color della notte con un sacco di stelle, almeno così mi illudevo, e rileggevo e rileggevo quella lettera.
Quello che invece non aveva fatto progressi ero io.
Allora quel mese mi ero prefissato i  seguenti obbiettivi:
Fare cinquanta addominali al giorno.
Pulire casa o assumere una domestica.
Chiamare una persona che non sentivo più da anni.
Scrivere almeno cento pagine del nuovo libro.
Fare riuscire a dire almeno una parola a Laris.

…..obbiettivi tutti falliti. Anzi.

Avevo mangiato di più,
non aveva mosso muscolo per pulire,
avrei aspettato un altro anno per chiamare quella persona,
le pagine del libro non aumentavano,
e da Laris non ancora una parola.

Guardai il cellulare dove c’era segnata l’ora, erano le tre del pomeriggio, feci uno sbadiglio, dovevo svegliarmi e dovevo continuare quel libro,

era così facile dirlo, ma scriverlo era un impresa.
Mi alzai dal grande letto foderato di seta rossa e mi avvia nel bagno per darmi una sciacquata, più o meno la mia mattina incominciava così,

ma del tempo a questa parte, puntualmente alle quattro il mio campanello che nessuno conosceva, suonava.
Assonnato mi avviavo verso la porta, no lo salutavo con un “ciao” ma con uno sbadiglio, facevo davvero tanta fatica a svegliarmi mi volevano dalle due ore alle quattro.
E non sapevo come il suo volto era sempre ben pulito, ordinato e bello, da una parte però era meglio che aveva dimenticato il mio aspetto,

altrimenti sarei sicuramente stato un gran narcisista, sapevo anche io, che senza cure particolari avevo del fascino.
Mi sedetti davanti al pc che accessi con la mia immancabile tazza di caffé, ormai accompagnata dalla brioche vuota che Laris mi portava,

si vede che aveva capito che ero davvero una di quelle persone pigre.
Io facevo lavorare il cervello d’altronde.
Posò il giubbotto sull’appendi abiti li all’entrata, prese una bottiglietta d’acqua e poi anche lui si accomodò al suo posto, era un piacere guardarlo ,

mentre faceva quei gesti così naturale, al contrario dei primi giorni dove era assolutamente impacciato.
Inoltre anche il mio gatto, Neve, che non si vedeva quasi mai, gli si era affezionato,  e a volte si strusciava sulle sue gambe mentre era seduto e ti rimando riceveva una tenera carezza,

poi ottenuto quello che voleva se ne andava. Era un ruffiano proprio come tutti i gatti.
 Si sgranchì le dita, poi si voltò verso di me e risposi alla sua muta domanda.
- Suona ciò che vuoi, non devo scrivere nulla di particolare.- gli dissi per poi guardare la pagina di word vuota.
Fu una melodia diversa dalle altre, era molto “leggera “, non notai nessuna pesantezza nelle note come era in genere nel suo stile, non sapevo nulla di pianoforte,

quindi non so come descrivere con nomi adatti, era una melodia triste ma di speranza, era tipo come una di quelle classiche storie dove una fanciulla aspetta su un grigio scoglio,

guardando il mare, attendendo una nave di ritorno che riporti sano e salvo il suo compagno.
Sono uno scrittore, gli esempi che posso fare sono solo questi, non ho parole tecniche, ne un esperienza per poter capire.
Eppure quelle storie così dolci, che si sarebbero unite alle note che stava suonando Laris, i miei occhi le vedevano crudeli.
Non credevo in una sorta di amore eterno, anzi diciamo che non credevo nell’amore,  quelle storie erano state palesemente cambiate dai cantastorie,

nessun uomo sarebbe rimasto fedele alla propria donna per anni e anni, e anche una donna senza garanzia di ritorno non avrebbe aspettato e allontanandosi dall’alto scoglio sarebbe andata a  cercare un nuovo amore, anche nella fiaba più dolce c’era qualcosa di triste, ma era una sfumatura che pochi riuscivano a cogliere.
Queste storie non narrano d’amore ma di crudeli promesse mai mantenute.
Alzai lo sguardo blu su di lui che stava suonando …. riusciva davvero a farmi fare dei viaggi mentali assurdi, ma era questo che volevo, provare ancora qualcosa.
La melodia continuò e si instaurò nelle mie orecchie, probabilmente l’avrei canticchiata senza nemmeno accorgermene, era una di quei brani semplici che però ti rimaneva in un modo o nell’altro.
Chissà se quando se ne sarebbe andato avrei sentito in lontananza il suono di quel piano.
Ripresi a scrivere qualcosa, più di controvoglia che per passione, ma con qualcuno li mi sembrava il tempo trascorresse più veloce,

cercavo di mettere le mie idee per iscritto,  semplicemente le scene che avevo in mente, ma perdevano un sacco con lo scritto e quindi non ero mai soddisfatto rileggendo le pagine.

Mi chiedevo sempre se il personaggio principale sarebbe riuscito a trasmettere ciò che provava, per me era quello l’importante,

non avevo mai un vero e proprio “ tema “ da comunicare, non avevo nulla da insegnare al mondo o dire cose che erano già state dette milioni di volte.
Ma naturalmente i critici ci avrebbero trovato un tema profondo, di cui io stesso sono ignoto, lo avrebbero esaltato e mi avrebbero chiesto cose del tipo

“ Perché ha scritto questo libro ? Cosa voleva comunicare ? “
Le risposte erano abbastanza semplici.
Ho scritto perché devo finire di pagare ancora il mutuo e non volevo assolutamente comunicare nulla.
Ma naturalmente dovevo inventare qualcosa “degno” del libro scritto.

Naturalmente se sarebbe uscito non cambiando nulla ( cosa ben poco probabile ) le domande sull’orientamento sessuale sarebbero state le prime, ne ero certo.
Non avevo la pretesa di scrivere storie d’amore ma nemmeno di solo sesso.
E alla domanda se ero etero o gay, avrei risposto che ero zoofilo dato che amavo gli animali, in quel caso avrei aumentato i dubbi.
Le note di quel giorno erano delicate e il suo profilo quasi immobile, solo a volte seguiva quei tasti bianchi e neri,

e lo sguardo color del ghiaccio sempre puntato, attento ma allo stesso tempo rilassato.
Non c’era niente da fare, la figura del pianista mi affascinava.
Passarono due ore e mi sorpresi di ciò e di quanto avevo scritto, fu indubbiamente facile immaginare con la musica che echeggiava in quel salone,mi veniva quasi naturale,

il ticchettio dei tasti della tastiera si era adatto perfettamente a quelli del pianoforte, era così che incominciavo a scrivere, un passo più avanti c’era lui con le sue melodie,

e poi dietro come se mi avesse spianato la strada c’ero io che accatastavo parole e parole.
Avevo fatto un buon lavoro per quanto riguardava la quantità, ora dovevo solo rileggerlo e verificare la qualità, ma non sapevo mai darmi pareri obbiettivi,

insomma era logico che ciò che scrivevo in parte mi piaceva, altrimenti non l’avrei scritto no ?
Avrei controllato in un secondo momento, mi voltai e vidi l’esile schiena che si muoveva al ritmo dei tasti
– Ah chissà cosa si prova, in un certo senso ti invidio.-
si girò lievemente, lasciando cadere una mano sul suo ginocchio, e suonando appena con l’altra note a caso, ma che se suonate da lui assumevano una particolare grazia e bellezza.
-Non ho mai avuto senso del ritmo o cose del genere e non riesco ad andare ad orecchio, ma mi sarebbe davvero piaciuto.- gli dissi stirandomi la schiena.
Poi Laris si alzò e mi venne incontro, in genere ero sempre io a farlo, prese un mio polso che era teso verso l’alto ( naturalmente non mi stiracchiavo in modo composto ) e mi invitò con se.
Fummo davanti al grande pianoforte, mi ci trascinò e fece il gesto di sedermi, ma feci di no con la testa,
- Stai scherzando vero? Ti ho appena detto che non so suonare una sola nota, so suonare solo jingle beels con il flauto! –

 insistette, e prese una mia mano e la mise sul pianoforte.
Sbuffai e mi sedetti di controvoglia. Sembrava impossibile ma si poteva convincere una persona senza nemmeno una parola.
- Guarda se tutto va bene, so suonare solo il triangolo.! –

gli dissi distorcendo un sopracciglio, mi regalò un sorriso di comprensione ma allo stesso tempo sicuro come per dirmi che sapeva quello che stava facendo e con chi aveva a che fare.
Non fui sicuramente molto collaborativo nei suoi confronti e quando suonò una prima nota allungando il braccio guardai da tutt’altra parte e ne suonai apposta un'altra, e gli sorrisi altrettanto arrogantemente.

Era più che altro diventata una sfida.
Io che dicevo con un sorriso “ Non sono capace, fidati, non insistere “ e lui che ribatteva con una nota “ Smettila e prova, ti aiuto. “
Suonò ancora la stessa nota di prima, poi mi strattonò dalla manica larga del maglione nero e vi posò la mia mano li dove c’era la nota.
La suonai.
- Bene ora so suonare. Ciao.- feci per alzarmi, ma mise l’altra mano sulla mia larga spalla e mi rifece “accomodare.”
Era dietro di me, leggermente incurvato mentre io ero seduto, il suo respiro sfiorava il mio viso.
Suonò ancora una volta, ma furono tre note di seguito, provai a memorizzarle visivamente e riprovai a produrle.
Be era stato facile, in fondo dovevo solo pigiare dei tasti.
Suonò ancora lui quelle tre note, solo che lui al contrario di me poggiava delicatamente i polpastrelli ,

aveva un tocco leggero e potei notare le sue mani, erano ben articolate e le sue dita allungate, sembravano perfette e assolutamente adatte a suonare quello strumento d’ebano e d’avorio.
Suonate le tre note iniziali ne aggiunse quattro.
- Ma non me lo ricorderò mai così ! – protestai voltandomi appena, come risposta ripeté le sette notte totali. Rifeci ma sbaglia alla quarta nota e per una seconda volta tentai di alzarmi ma senza successo.
Allora, suonai tre note, e dopo le altre quattro lentamente l’una dall’altra dato che le stavo memorizzando ad occhio.
Risuonò le sette noti con più armonia di me e velocemente, se pigiate dalle sue mani ne potevano assumere il significato, sembrava quasi l’intro di una grande spartito da lui inventato.
Quindi provai a risuonarle più “ velocemente “ tra l’una e l’altra, ne rimasi lievemente stupito, non sarei mai stato capace di suonare uno strumento,

non avevo ne orecchio en conoscenza delle note, lo sapevo eppure Laris con quel gesto era come se diceva che tutti potevano farlo.
Aggiungemmo altre note per arrivare fino a dieci, naturalmente ci volle una buona mezz’ora per eseguirle dignitosamente o quantomeno orecchiabili,

e ormai un vago sorriso era sulle mie labbra, il viso di Laris invece era tranquillo e calmo come sempre e concentrava lo sguardo ghiaccio sui tasti bianchi e sulla mia mano.
Poi mi fece riprovare un'altra volta eseguendo le dieci note, solo che quella volta suonò con me, e mentre cercavo di ricordare i tasti che dovevo schiacciare, si aggiunse una seconda melodia,

più bassa di quella che stavo suonando io, e quel piccolo “ pezzo” sembrò cambiare, sembrò che avesse un senso.

Suonato da me, era solo suonato da qualcuno che cercava di assemblare delle note assieme, ma con il suo piccolo sottofondo diede armonia al tutto,

pigiai l’ultimo tasto quasi stupefatto, mentre la sua mano suonava le ultime cinque basse notte, che ricordavano le mie ma fatte in un modo diverso.
Guardai il pianoforte e la sua mano che sfiorava il nero tasto…ci ero riuscito …?
Poi lo sguardo entusiasta si rasserenò sul mio volto, sospirai chiudendo gli occhi.
No…era Laris che ci era riuscito.
-Bene. Hai vinto te contento ? – dissi riaprendo gli occhi con un mezzo ghigno beffardo.
La sua mano sulla mai spalla si allontanò, e pensai che sarebbe bastato poco per sfiorare le sue labbra, bastava solo che mi voltassi appena e inclinassi il mio viso per lambire quel pacato sorriso
E invece mi limitai ad alzarmi dalla morbida seggiola coperta di pelle nera, passare una mia mano  suoi capelli quasi neri, e dirli soddisfatto

– Ma questa è l’ultima volta che tocco il pianoforte, ho solo capito che non ci sono portato –
Lui fece una smorfia di disappunto , incrociando le braccia e guardando da tutt’altra parte.
Alla fine avevo vinto io quella sfida.
- Ad ognuno il suo. Mi sarebbe piaciuto suonare, ma ci sei te che ci pensi già a farlo tramutando ciò che provo in musica,

e io invece mi limito a scrivere, per me stesso e per quelle persone che a parole non riescono ad esprimersi.-
Ritirai la mia mano mentre posò quegli occhi color dell’artico sui mie blu al di sotto della montatura.

Adoravo molto di più quell’espressione persa, che gridava ciò che voleva dire ma per un motivo o nell’altro non ci riusciva.
Forse perché era quella realmente vera, quella che solo rare volte mostrava, e tutte le volte per avere quella parte di lui dovevo arrivare alla sua anima.
- Suona per me, esprimi ciò che io non riesco a fare con le parole, e io scriverò per te ciò che non riesci a gridare.-
Non avevo mai pronunciato cose del genere a voce alta, in genere mi limitavo a fare di questo tipo di frasi delle battute che davo ai miei personaggi immaginari,
e invece mi trovavo li davanti a Laris a pronunciare parole che mai avrei creduto di dire.
Il suo sorriso tenue sparì lentamente e il suo capo si abbassò mentre la lunga frangia che teneva ai lati gli coprì quel viso così bello, e fu un attimo, che lo ritrovai stretto a me,

ne rimasi sorpreso, restai immobile in quella stretta, definirlo abbraccio sarebbe errato.
Non mi mossi ne contraccambiai, aspettai che si allontanò lentamente da me,
ma sicuramente avrei descritto con un esempio meraviglioso, quella stretta che stringeva al disotto del mio petto,

e quelle mani da pianista che tenevano stretti i lembi del mio maglione largo, ma soprattutto, avrei dovuto trovare delle parole adattate per descrivere ciò che provai.

Se avessi potuto conoscerlo, avrei descritto il suo dolore, ma non ero capace di questo e se avessi potuto amare,

per una volta nella mia vita avrei narrato una vera storia d’amore, ma anche questo, mi sembrava impossibile da scrivere.

In realtà, passandoli la mano tra i capelli avrei voluto avvicinarlo a me e baciarlo,
avrei voluto che la sua melodia e il mio racconto continuassero all’infinito, ma non lo specificai in quella frase,

non ricambiai il disperato  abbraccio, semplicemente perché non mi sarei limitato ad una semplice pacca sulla spalla,

per questo feci dei miei gesti solo la metà, in modo che potessero risultare quasi dolci e gentili, quando in verità erano egoistici e possessivi.


 

 

Ero uno scrittore e come tale raccontavo menzogne.


Continua

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Capitolo 4
*** Nota 4 ***


Nota 4 :

Nota 4 :

 

***

Se amate qualcuno che viene  definito un artista, sappiate che avrà un sacco di amanti.

Lo scrittore vi abbandonerò in quella che poteva essere una piacevole notte per leggere un  libro,

il pittore , guardando il chiaro di luna, gli sarà impossibile non ritrarre le tenebre,

il musicista, vagherà nel corridoio canticchiando una melodia, e se sentite un rumore di corde , o di tasti, non vi preoccupate, vi starà tradendo con il suo primo amore.

 

E se alla mattina, chi noterà i loro occhi stanchi e gli domanderà " Ma cosa hai fatto stanotte ?"

vi potrebbero rispondere con un vago sorriso malizioso e maledetto,

" Ho fatto l'amore. "

 

***

Fu uno spartito immaginario suonato con enfasi, più complesso degli altri, ci furono solo due o te note errate, ma considerando che  era una di quei pezzi veloci , gli errori non facevano stonare del tutto il brano, era suonato a due mani l’una distante dall’altra, non ci fu nessuna esitazione, era sicuramente un brano “ forte”, come se avesse voluto cancellare quell’ attimo di debolezza che aveva avuto.

Mente io, con volto impassibile scrivevo il mio racconto, ogni sua nota, una mia parola, fu così che arrivai alla cinquantesima pagina di word, ovvio me ne servivano altre, ma andava bene così, le idee primo o poi sarebbero arrivate.
Rilessi riga per riga quel pomeriggio, assorto nei miei pensieri e nei mie ricordi.
Nessuno avrebbe mai scommesso su di me, nessuno avrebbe mai potuto immaginare di cosa sarei diventato, e sicuramente nelle note del mio libro non avrei mai potuto scrivere cose del tipo

“ Dedicato alla mia famiglia che mi ha sempre sostenuto “
In verità mi chiedevo se quella specie di nota fosse solo per una serie di incovenevoli, perché quando per la prima volta dissi “ Mha…fare lo scrittore non mi dispiacerebbe “ , non ci furono risposte come

“ Ti sosteremmo “ o qualcosa del genere, il tono fu tutt’altro, del tipo “ Smettila di sognare e incomincia a trovarti un lavoro serio “ o “ Non farai mai soldi in questo modo e poi figurati se pubblicano te “.
Insomma…furono risposte normali. Non mi stupii, ne mi avevano di certo rovinato o infranto un sogno, semplicemente avevano espresso la loro opinione del tutto realista e razionale.
Quindi quando mi ritrovai alla prima pagina del mio libro, “ dedicato a …” fu la parte più difficile da scrivere. Non riuscivo a trovare un nome.
In realtà l’avrei dedicato a me stesso, ma il mio editore mi aveva detto che non si poteva, quindi quel lontano giorno, ricordo che presi il mio giubbotto in pelle e feci un giro nel grigio inverno di quella giornata che ricordo con nostalgia
E fu in quel modo che trovai una persona a cui dedicare il mio libro.
La mia prima nota di ringraziamento, quella che c’è prima di ogni racconto era andata ad un certo Richard.
Chi era? In verità non lo sapevo nemmeno io, l’avevo incontrato in quel freddo pomeriggio, era coperto di stracci e faceva l’elemosina al ciglio della strada, il suo cartello diceva quello che  tutti gli altri a clochard scrivevano .

 “ Mi chiamo Richard, ho fame e non ho una casa, vi prego datemi qualche moneta “
Mi piegai sulle mie ginocchia e lo guardai negli occhi stanchi
” Trovati un lavoro, piuttosto di stare qui a supplicare” gli dissi mentre frugai nella mia tasca, nel giubbotto corto di pelle.
” fosse facile “ rispose lui non scomponendosi. Aveva stranamente un aria fiera anche quando stava facendo l’elemosina e trovavo affascinante quel contrasto.
Risi appena.
” Una settimana fa avrei potuto essere te lo sai ? quindi ti capisco. “
” Ma non fatemi ridere signore, il vostro aspetto è trasandato, ma vedo un bel rolex sul vostro polso, vedo il vostro capotto in pelle, e sento odore di colonia, sono povero ma non cieco. “
Sospirai.
” Questo è uno strano modo di elemosinare, Richard lo sai ?
” Non lo faccio per hobby infatti, non mi riesce bene “ mi rispose con il mio stesso tono di voce, sarcastico.
Lo guardai nuovamente con l’aria superba, ma non perché era un senzatetto, ma perché quell’espressione era naturale sul mio volto.
” Dicevo davvero…ho avuto solo fortuna, puoi starne certo. “ dissi chinando il capo e sfilando dei soldi dal portafoglio.
” Non ti sto facendo la carità bada bene, ma è come se sto pagando me stesso, perché come ti ho detto, sarei potuto sedere accanto a te a quest’ora. “
” Come siete modesto “ disse con sprezzo e rifeci il mio mezzo sorriso.
” No, sono realista “ e gli misi vicino i miei soldi, dopodichè mi alzai e mi rimisi retto sulla schiena.
” Mi raccomando usali giustamente , sono impregnati della mia ispirazione “ sbarrò gli occhi grigi quando vide la somma, ero sicuro che era la più consistente che avesse mai visto,

“ usali per una buona vodka e per qualche droga tagliata bene “ dopodichè gli voltai le spalle.
” Lei…è strano ! è matto ! “ dopodichè rise scuotendo la testa.
Alzai una mano per salutarlo e proseguire sulla mia strada verso a casa per scrivere il suo nome.
Fu così che nacque la mia dedica.
Dopodichè, una settimana più tardi uscì il mio primo libro, e gli lo portai a quella persona che stava ogni mattina sul ciglio della strada, con i suoi abiti stracciati, con il suo cartello, ma con uno sguardo fiero.
” Guarda, questo è il mio libro , devo assolutamente festeggiare ! “ gli riapparii davanti con il fiato corto, non mi riconobbe immediatamente, solo qualche secondo dopo e mormorò
“ ah , sei la persona strana ! “
Il sole stava calando, quindi non mi stupii del fatto che aveva accesso un piccolo fuoco, li dove accampava, era un po’ più basso di me, non so dire quanti anni avesse, non superava la quarantina, ma trasandato com’era ne dimostrava sicuramente di più.
Non gli feci mai domande del tipo “ perché conduci questa vita ? “ non erano fatti miei ne mi importavano.
” Ah...sei uno scrittore ? “ disse buttando un occhio sul libro che avevo in mano.
“ sembra di si “ dissi assorto guardando il fuoco davanti a noi.
” e di cosa parla ? “ mi chiese con noncuranza mentre si sfregò le mani per scaldarsi.
” è solo una sciocchezza portata all’estremo, non è nulla di che. “
Gli altri potevano leggere le mie storie con occhi diversi, ma io sapevo da cosa erano nate, e non erano questo granché, bastava solo saperle raccontare, il tutto sta nelle parole.
Il fuoco sembrò accecarmi, e con le lenti  degli occhiali ne faceva il riflesso, intanto, il freddo era ormai palpabile, e il fiato era nuvola bianca, solo quando succedeva questo pensavo “ è inverno “,

e quando la gente si metteva in sandali allora per me era “estate “ , quando invece vendevano le caldarroste e le foglie erano rosse era “autunno “, e la “primavera “ era quando non avevi ne freddo ne caldo.
Era questo il modo in cui vivevo le mie stagioni, non c’era data.
Guardai il mio libro con freddezza, poi sorrisi amaramente e lo buttai nel fuoco
” servirà di più in questo modo “ dissi. e Richard rispose “ sicuramente”
e dopodichè rise, ma quella risata finì subito e anche lui con il suo profilo dignitoso guardò il fuoco davanti a sé.
Poi sulle sue labbra, fece un sorriso di comprensione e dolore.
”…Tu devi essere solo , persona strana, oggi è il 24 Dicembre.”
Ricambiai con un sorriso beffardo, ero sicuro che qualcuno primo o poi mi avrebbe preso a schiaffi a causa della mio volto strafottente.
” Come sei acuto Richard. “ gli risposi con tono saccente.
Si sfregò ancora una volta le mani, i guanti che aveva di certo non tenevano caldo confronto i miei in pelle nera.
” Non lo capito da questo. Non hai nessuno a cui far leggere quel libro, per questo ti ho detto che sei solo “
Fu un tono quasi paterno.
I miei occhi blu diventarono due fessure.
” ti è passata la voglia di sorridere arrogantemente eh ? “.
Feci una smorfia e guardai da tutt’altra parte.
Non pronunciammo più nessuna parola, in fondo non avevamo nulla di cui parlare, solo che quantomeno in quel modo avrei potuto dire che avevo passato del tempo con la persona a cui dedicai quel libro.
Non so che fine fece Richard, una settimana dopo , sparì dal quartiere e da allora non lo vidi più.

Sbadiglia rumorosamente ed esclamai un – che sonno!- Laris guardò l’orologio e ridacchiò.
Erano le 5 del pomeriggio.
Sapevo bene che avevo degli orari più che strani.
Ascoltai la sua melodia, che si fece calma quasi come una nenia.
-Ehi così mi stimoli il sonno ! – gli dissi dalla scrivania mentre controllavo le ultime parti che avevo scritto.
Non era vero, era una canzone lenta, ma sarebbe stato impossibile addormentarsi con quelle note anche se mi sarebbe piaciuto,

ma la voglia di ascoltare ogni sua nota fino alla fine mi avrebbe costretto a restare sveglio.
Mi ritrovai a fare un pensiero, e credo fosse naturale, che con il tempo chiunque lo avrebbe fatto.
Le sue note non mi bastavano più, volevo sentire la sua voce.
Era così che si incominciava ad invaghirsi di una persona ? Volendo sapere sempre di più ?
Tolsi i miei occhiali squadrati e mi massaggiai una tempia con un sospiro.
- Lo sai che con questo comportamento , incuriosisci ancora di più ? – gli dissi mentre mi alzai dalla sedia.
Continuò a suonare con il volto tranquillo quella “marcia “ solenne, solo lievemente incurvò le labbra.
” Lo sai che con le labbra dolci che ti ritrovi, viene voglia di azzannarle ?
a questo avrebbe sorriso un po’ meno ne ero sicuro.
Mi spostai sul divano rosso e presi in mano il telecomando per accendere la tele a schermo piatto e poi mi rivolsi all’unica persona che era in quella casa – Se vuoi puoi anche smettere, sarai stanco anche te.- non sapevo esattamente se suonando ci si stancava, io so solo che mi stancavo a fare tutto.
Non interrompeva mai ogni suo brano in modo burrascoso , ne lasciava le note a metà, quindi solo quando ebbe dato una conclusione appropriata avanzò verso il grande divano rosso., esitò prima di sedersi e mi guardò.
- Accomodati. Non c’è bisogno che ti fai questi scrupoli, stai praticamente mezza giornata a casa mia, che tu ti sieda, o prenda qualcosa dal frigor, non c’è di certo bisogno che chiedi il permesso. -
gli dissi intuendo le sue preoccupazioni, doveva sicuramente essere un tipo bene educato, non di certo come me.

-E poi non ti mangio mica !- aggiunsi, e nella mia mente pensai “ Forse “.
Basta, era colpa del maledetto libro che stavo scrivendo, quindi accettai la cosa, quando sicuramente il libro sarebbe finito e lui non sarebbe più restato in quella casa, la mia “fissa “ del momento sarebbe scemata, ne ero più che sicuro.
O almeno…speravo.
Feci un giro per i canali, ma non c’era nulla di mio gradimento, quindi decisi di fare qualcosa di più costruttivo, mi alzai e accessi la console che era sotto al plasma.
-Giochi ? – gli chiesi, lui distorse un sopraciglio, poi fece cenno di no con la testa, e guardò di fianco a se e prese ciò che era accanto al basso tavolino nero.
Alzò ciò che aveva preso nella mano e mi guardò, capii perfettamente cosa mi stava chiedendo.
Risposi alla sua muta domanda che chiedeva “ Posso ?
- Bhe se ti va di rovinarti la serata, leggilo pure, non è un granché, non lo ancora pubblicato,  era troppo poco commerciale, hanno detto così, e quindi insieme al mio editore stiamo spettando un periodo più fruttifero per pubblicarlo. – gli dissi mentre sfogliò il libro che aveva in mano.
L’avevo scritto, e giusto per sfizio avevo richiesto una copertina, la rilegatura e la stampa solo per me. Avere dei fogli in casa, che il mio gatto usava come cuccia non era il massimo, quindi era più comodo conservare i miei scritti come libri.
Ritornai a sedermi con un joistic in mano, aspettando che mi dasse la schermata di inizio, dove mi chiedeva se volevo iniziare nuovamente il gioco o caricare i dati.
Laris si poggiò con la schiena al divano e posizionò le ginocchia vicino a se, utilizzandole come se fosse un appoggio per il libro che si apprestava a leggere.
- Non è una storia molto bella, anzi è ridicola, parla della Vita e della Morte, li descrivo come personaggi, e ognuno è la metà dell’altro, ma naturalmente come in tutte le storie banali d’amore, faranno fatica a incontrarsi, è una di quelle storie dove sai che i due protagonisti non potranno mai stare insieme per sempre. -
Forse era proprio perché i miei finali erano sempre drammatici che facevo fatica a farmi pubblicare.
Lui alzò lo sguardo stupito, c’era un vago entusiasmo nei suoi occhi, e le sue guance presero colore, poi non feci in tempo a dire “ Non ridere !che lui si mise una mano davanti alle labbra e trattene la sua risata.
Io e i miei racconti contrastavamo sempre troppo, lo sapevo.
- Bhe in ogni caso, quando vuoi sei libero di andare, non credo che scriverò ancora, non ne ho voglia.-  caricai la partita e mi ritrovai li dove avevo lasciato il gioco.
Era imbarazzante. Doveva essere l’incontrario, ero io lo scrittore, e avrei dovuto leggere un buon libro seduto sul mio divano, e lui invece, che era ancora un ragazzo, avrebbe dovuto entusiasmarsi per i videogiochi., eppure quest’ultimi in un certo senso mi ispiravano sempre, però in un certo senso erano anche miei nemici, dato che mi distraevano spesso.
Passarono alcuni minuti, e poi furono ore.
Fu un clima tranquillo, Laris accanto a me, che sfogliava le pagine man mano che finiva di leggere, e io invece che  non facevo altro che cercare di avanzare al livello successivo e mi sentivo stranamente a mio agio.
Passammo così quel tempo, e anche se Laris avesse voluto parlare credo che non avrebbe pronunciato nessuna parola, perché quel silenzio non era “ reale “.
Non era quel silenzio in cui due persone non sanno cosa dire, ne era creato dal suo misterioso mutismo.
Era un silenzio diverso, dove le parole non servivano , ed era strano pensarlo, dato che io vivevo di parole.

Poi il sonno si fece sentire, quindi non ricordo bene cosa successe,  ma in fondo ero capace di addormentarmi sulla scrivania, che addormentarmi senza accorgermene sul divano rosso non mi riuscì difficile..
Solo quando sentii un peso nello stomaco, senza nessuna grazia, rimasi in dormiveglia, chiedendomi di che ore erano e dove era finito Laris, mentre chi era piombato addosso, cercava prepotentemente delle coccole strusciando il muso sul mio mento.
- Neve ..va via.- ma naturalmente non mi ascoltò e posizionai meglio la testa sul manico del divano.
Poi vidi la sagoma di Laris, aveva indosso il giubbotto, probabilmente stava andando via, avrei voluto accompagnarlo a casa, ma ero ancora tra sogno e realtà, quindi i miei sensi non erano del tutto connessi.
Mi misi un braccio sulla fronte per ripararmi dalla luce, riuscii solo a dire a voce bassa.
- Stai andando via ? -
La risposta naturalmente non arrivò come sempre, ma mi ero quasi abituato a parlare con lui in quel modo.
Poi sentii che si avvicinò a me, ma non fu per il rumore dei suoi passi, perfino in quello era silenzioso, me ne accorsi a causa del suo buon odore che aveva naturale.
Maledettissimo libro omosessuale.
Le fusa del gatto conciliavano il mio sonno, sempre pensante, tra l’altro me lo stavo portando appresso dalle 5 di quel pomeriggio.

- Buonanotte Zefir.-

 

un sussurro vicino al mio orecchio, i suoi capelli che sfiorarono il mio viso di lato, nulla di più di questo.

Quella voce, era ancora meglio delle sue melodie e di qualunque altro suono.
Di certo non avrei mai pensato di sentirla mentre ero in dormiveglia, e sicuramente quando avrei sentito la sua voce, ne sarei rimasto sorpreso e gli avrei fatto un sacco di domande, e invece, Morfeo mi rapì tra le sue braccia senza permettermi replica.
Le situazioni che immaginavo non capitavano mai.
Il suo respiro mi sfiorò appena, poi il suo buon odore si allontanò, la luce che si spegneva, e infine il rumore della porta d’entrata che si chiudeva dietro alle sue esili spalle.

Cosa sognai ?
Sognai un intervista che mi avevano fatto, ricordando la voce femminile che mi chiese quella domanda.

***

-Qual’è la parte più difficile che le viene da scrivere ? -
Dovetti pensarci qualche secondo per inventare l’ennesima fandonia
Chi mai avrebbe creduto che era proprio la nota di inizio libro, un semplice nome, era per me la parte più complicata di un racconto ?
- Il finale naturalmente.- risposi mentendo, in genere, le mie storie, le creavo proprio pensando alla fine.

 

***

Ma…credo che non sarebbe più stato un problema a chi dedicare il mio prossimo libro e a chi farlo leggere.

 

 

Continua

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Capitolo 5
*** Nota 5 ***


Nota 5 :

Nota 5 :

Il sole di prima mattina mi accecò, non ricordavo più quella sensazione da anni, dato che casa mia alla mattina era una specie di bunker, cercai di ripararmi dal sole con il braccio,

 ma prontamente il mio gatto nero reclamava la sua razione di cibo, con fuse più che rumorose.
-…Adesso mi sveglio…ancora un attimo…- gli dissi con voce impastata.
-Meow- mi rispose con il miagolio basso e secco. Con fatica mi alzai, pur rimanendo seduto sul divano mettendomi una mano tra i capelli scompigliati e sciolti.
Erano appena le nove, era uno schok per me che ero abituato a svegliarmi molto più tardi, il gatto balzò giù dal divano e si diresse in cucina tenendo la coda in alto ben in vista,

come per incitarmi a seguirlo.
Diedi un occhiata al tavolino davanti a me, e presi in mano gli occhiali squadrati….ebbi un breve flash, e li lasciai cadere dalle mie mani, e i miei occhi si spalancarono per un secondo.
Aveva parlato.
….oppure l’aveva sognata la sua voce ?
Aveva pronunciato il mio nome.
…oppure era solo un mio desiderio che l’avesse detto ?
Mi ritrovai più sveglio che mai, ma confuso. E io cosa avevo risposto ?
Probabilmente niente dato che sapevo che quando avevo sonno crollavo  seduta istante, mi alzai svogliatamente, e andai verso la cucina, bhe sicuramente,

avevo qualcosa a cui pensare per tutta la mattinata.
Mi alzai e andrai dritto in cucina anche io, a cibare il mio gatto e me stesso con una tazza abbondante di cereali, ma la mia aria intontita si mischiava a quella del dubbio,

e cercai di ricordare la notte che era appena passata.
E se aveva davvero parlato….sarebbe cambiato qualcosa ?
Restai in silenzio tra i miei pensieri sorridendo a malapena, e dire che in genere le persone si preoccupavano quando un'altra persona non proferiva parola, io invece mi feci preoccupato per il motivo contrario, era quasi ridicolo.
Feci il primo pensiero poetico di quella mattina finendo la mia colazione.
Laris aveva già parlato, lo fece quando suonò la prima nota del pianoforte fatto d’ebano e d’avorio
Questo era il mio pensiero, quello da scrittore, umanamente invece, non vedevo l’ora di sentire la sua voce uscire dalle sue labbra.
Restai sveglio quella mattina, non riuscii a riprendere a sonno e aspettavo con una certa ansia il suo arrivo, ma poi mi persi nella mia biblioteca personale e il tempo passò tranquillamente, inoltre avevo anche la mi fidata console a tenermi compagnia, quindi le mie giornate passavano, non era mai un problema cosa fare o come passare il tempo,

e solo quando mi dimenticai di che ore erano, il campanello della mia porta trillò

I miei occhi si spalancarono, lasciai immediatamente la tazza di caffè sul ripiano che stavo sorseggiando in quel momento, e corsi verso il corridoio per andare ad aprire, io che, prima di farmi alzare dal divano dovevano suonare almeno tre volte, mi misi a correre per aprire alla porta, credevo che quel momento non sarebbe mai arrivato.
E se era un venditore ambulante lo avrei ucciso, se era la vicina che mi chiedeva del sale per l’ennesima volta, anche lei l’avrei uccisa senza pietà.
Apri immediatamente, con il fiato corto, senza guardare chi era.
….Laris.
Menomale non avrei dovuto commettere nessun omicidio.
Era con il volto chino, ma appena aprii rialzò il volto stupito guardandomi, ovvio che dovevo sembrare ridicolo.
-Tu hai parlato vero ? Ieri sera hai parlato non  è così ? O stavo sognando ? – gli dissi quello immediatamente,

non sarei stato capace di stare ancora nel dubbio per altra mezza giornata, ne tanto meno avrei fatto finta di niente, non ero mai stato bravo a trattenermi ne stare in silenzio.
Quindi…al diavolo la suspence e i mille dubbi!
E lui si mise una mano davanti alla bocca e rise.
Ma fu diversa dalle altre risate, era trattenuta ovviamente, ma non era silenziosa, poi mi scostai dalla porta per farlo entrare e ripresi fiato.
Si tolse il giubbotto e lo attaccò li dove all’entrata c’era l’attaccapanni, poi sfilò qualcosa dalla tasca, e me lo diede.
Era il mio libro, quello che si era messo a leggere la sera prima.
-…L’hai già finito ? – gli chiesi guardando la copertina.
Con un cenno di capo mi rispose di si.
….quindi avevo solo immaginato la sua voce ?
Sfoglia il mio stesso libro, mi venne d’istinto e vi trovai un semplice biglietto scritto su un foglio bianco mentre Laris si apprestava ad andare al grande pianoforte, guardai la sua schiena e poi il biglietto che mi aveva lasciato.

” Leggetelo pure ad alta voce. “
incominciava così.
-….cos’è una specie di recensione ? – dissi mentre lessi ciò che c’era scritto, mentre sentii qualche nota schiacciata a caso da Laris, lo faceva sempre all’inzio prima di suonare seriamente.
- “Ho letto il vostro libro, ho letto la prima pagina e non riuscivo più a smettere, quindi scusatemi se non vi ho chiesto il permesso di portarlo con me, ma volevo assolutamente sapere come andava a finire.
Non sono un grande lettore, quindi non posso giudicare, e so che un banale “è molto bello e scritto bene “ detto da me non ha poi così importanza, ma mi è davvero piaciuto.” -
Mi fermai e risposi alla sua lettera non capendola pienamente.
- Scherzi vero ?
Guarda che spesso quelli che si mettono a criticare i libri dei miei non capiscono nulla, inoltre non puoi immaginare la soddisfazione di chi legge raramente e rimane affascinato da un libro che ho scritto io, quindi non è assolutamente vero che non ha importanza il tuo parere, ha più importanza il tuo che di quello di chi si mette li a pensare quante stelle darmi, che se tutto va bene leggerà solamente la sintesi che c’è nel retro della copertina! -
Si girò a tre quarti verso di me, ma non era del tutto convinto delle mie parole.
….Mi chiedevo perché si sottovalutasse così tanto ? Io che peccavo in arroganza, trovavo stupido denigrarsi in quel modo.
Continuai a leggere le poche righe.
- “ Sapete leggendo , non avrei mai pensato che avreste potuto scriverlo voi, ma poi ho ricordato il vostro sguardo concentrato davanti allo schermo, mi chiedo se vi siete mai accorto di come leggermente incurvate le labbra, mentre le vostre dita scorrono su quella tastiera che probabilmente conoscete a memoria, e rammentando questa immagine era ovvio che il libro non poteva essere altro che vostro.“ -
Restai pensieroso e mi interruppi, quella lettera era fin troppo seria quindi smorzai il tono con una mia battuta.
- Eh già, deve essere davvero impressionante vedere qualcuno che sorride davanti al proprio pc, lo sapevi che i migliori serial killer, incominciano così ? -
Le sue note l’una distante dall’altra mentre le suonava da in piedi, e ancora una volta, il suo profilo mi sembrò il più elegante di tutti.
- “Io non riuscirei mai immaginare storie del genere. Anche io un po’ vi invidio.
Però ho pensato, che se qualche mia nota suonata, possa anche solo ispirarvi a racconti del genere, la mia invidia sparisce e mi sento davvero onorato di essere qui a suonare per voi Zefir.
Inoltre….mi fate spesso ridere, ve ne siete accorto ? “-
Incrocia il suo sguardo troppo azzurro, gli rivolsi un sorriso beffardo, sulle sue labbra invece comparse quello pacato che aveva sempre, probabilmente solo con la sua espressione elegante e tranquilla poteva mettere a suo agio chiunque.

- Si me ne sono accorto, e ora ogni volta che riderai mi dovrai dare cinque euro-
A volte, c’era chi apprezzava le mie strane battutacce.
Ricordavo una volta in cui in quei giorni, tanto per cambiare, si era rotto un elettrodomestico a casa mia e dovevo chiamare qualcuno che me lo aggiustasse,

e il tipo al citofono mi aveva chiesto se andava l’ascensore che non aveva voglia di fare i piani a piedi.
Risposi con garbo, ma poi imprecai immediatamente qualcosa del tipo “ Ma brutto idiota, mica sei menomato ! Ti pagano per cosa? Per suonare i citofoni? ! “
e naturalmente, quando arrivò a vedere il danno del frigor disse “ è rotto. “
Grazie al cazzo. Quello lo sapevo pure io.
Se ne andò ricordo senza aver concluso nulla e dicendo “ ritornerò “  mentre chiusi la porta e borbottai qualcosa di simile a  “ sciogliti nell’acido ! “ mentre Laris tratteneva la sua risata.
E con quella immagine che avevo nella mente prosegui la sua lettera.
- “ E anche se non sembra, non rido più da molto tempo. Tutti mi trattano con riguardo e falsa gentilezza e sembra che hanno paura del mio silenzio, ma voi mi parlate come se potessi rispondervi da un momento o all’altro, e non vi fate problemi a nascondere la vostre curiosità, è come se mi dite  tutto quello che vi passa per la testa.”-

A questa mi venne da tossire, e pensare * quasi * tutto.

- Inoltre, anche se non dico mai nessuna parola, quando suono il pianoforte faccio interi discorsi, a volte sono tristi, a volte allegri e altre volte ancora di speranza, ma molti ancora si ostinano a dirmi “ cerca di parlare . “, eppure con un pianoforte, e schiacciando anche solo una nota per me è una lettera.
Non mi reputo affatto silenzioso. “-
….No che non lo era. Era sicuramente una di quelle persone che ogni giorno aveva una cosa nuova da dire, e la diceva sempre con un tono diverso, una di quelle persone che non smetteresti mai di ascoltare, Laris per me era una di quelle.
-“ Questo per dirvi, che se con la mia musica, riuscite anche solo a scrivere una parola di un vostro racconto, potrò dimostrare che sono tutt’altro che muto.
Usate la mia musica e io userò le vostre parole, non c’è nulla di più equivalente credo.”
le note distanti e basse facevano da sottofondo a quella lettera che mi sembrava la migliore delle recensioni che mai mi avevano scritto.
- “ Finisco scrivendovi che spero che il vostro libro quello che ho letto un giorno verrà pubblicato, mi sento quasi in colpa ad averlo letto solo io.
La morte e la Vita che si innamorarono, è un idea meravigliosa, ne sono rimasto incantato, e concludo dicendovi che scrivete frasi che sembrano pura poesia tipo come questa:”-

- Urla ti potrò sentire,
Trapassami, ti potrò toccare,
Uccidimi, ti potrò raggiungere
.

Firmato, Laris. -

Restai ancora immobile con il viso leggermente chinato sulla lettera, mentre pronunciò l’ultima frase che c’era nel fondo della lettera firmata da lui.
Come la prima volta in cui sentii la sua voce, fu bassa, un sussurro lieve ma che si sentiva comunque.
Alzai lentamente lo sguardo, incatenando i miei occhi blu sulle sue labbra in uno di quei sorrisi lievi ma tristi allo stesso tempo, fu un espressione di chi cerca di sorridere in modo convincente, ma inevitabilmente c’è una sfumatura di tristezza che contrasta il tutto.
-…Hai parlato vero ora ? non è la mia immaginazione ? –spesso peccavo troppo di quest’ultima.
Mi diede il suo profilo e si rattristò per qualche attimo, poi assunse la sua solita espressione tranquilla mentre guardava i tasti del pianoforte come se fossero la cosa più preziosa che aveva a questo mondo.
- Si l’ho fatto….perdonate la mia lentezza….ma faccio ancora fatica.-
erano parole dette lentamente l’una dall’altra, dove un solo secondo mi sembrava un minuto.
La sua era una voce bellissima, e anche il suo timbro era pura melodia per le mie orecchie, e ora che  sapevo che proferiva parola, le domande nella mia mente si ammassavano, ma non era di certo una buona mossa farli il terzo grado, e fu come se mi avesse letto nella mente, perché mi disse con una lentezza esasperante ciò che pensava.
-….Ora però…non aspettevi interi discorsi.- a quel punto incrociò il mio sguardo, ma questa volta era sicuro, e un sorriso amaro sulle sue labbra.
Sembrava dolce, ma allo stesso tempo sicuro, come così era sicuro di ogni nota che suonava lo era di quello che pronunciava. E per me che ero uno scrittore non c’era niente di meglio del contrasto.
Ripresi la mia solita aria spavalda.
-Ah non ti preoccupare, ma credi che ora un “ si “ e “no “ tu sappia dirlo ? Quanto meno non passo per pazzo e sembra che parlo con qualcuno così.-
E ancora una volta la sua risata, non più soffocata come le prime che faceva, poi si tirò indietro una ciocca di capelli e si mise sedere al pianoforte e guardò dritto davanti a sé, mentre sfiorava i tasti bianchi, e io rimanevo colpito da ogni gesto che faceva, era innatamente elegante.
Forse lo erano tutti i pianisti.
Gli scrittori invece erano sempre così trasandati.
Era un intro di una sua melodia, eppure era molto più sofisticata  di quelle che suonava di solito.
-…Ho inventato un brano per il vostro libro, non ho potuto fare a meno di farlo.- e la sua voce si adattava perfettamente a quelle note, sembrava un incastro perfetto in sé.
Forse fu una delle più belle che avesse mai suonato, ma facevo questo pensiero ogni volta che si metteva a suonare,  stava eseguendo un brano meraviglioso, e ogni nota si addatava perfettamente ad ogni frase del libro che avevo scritto, poteva animare ogni storia con il suono del pianoforte.
Fu un'unica immagina quella che mi venne in mente mentre suonò, erano due mani, una più esile, femminile e l’altra più grande che cercava di raggiungere l’altra disperatamente.
Una classica scena insomma.
Eppure al contrario di quelle classiche scene c’era qualcosa di nuovo, sapevano che non si sarebbero mai raggiunti, difatti la mano esile mentre cercò di prendere l’altra la trapassò, e  a quel punto fu una melodia dolorosa, come sofferta, mentre l’uno si allontanò dall’altro.
In effetti quella storia tra la Vita e la Morte, era a dir poco impossibile, nessuno avrebbe mai potuto sperare in un lieto fine, eppure, non si poteva sperare altro che si rincontrassero in un eternità non troppo lontana.
Era come scrivere un amore tra il sole e la luna, tra il cielo e la terra, tra il mare e la spiaggia,

questi erano gli amori davvero impossibili.
Il brano di Laris prese più enfasi, ed erano note veloci, ma non accatastate, solo che non c’era spazio tra di loro, scorrevano semplicemente, eppure in quella melodia, era triste questo era vero, ma c’era qualcosa di melodico di speranzoso, per questo non sembrò uno di quei tanti brani che si ascoltano quando si è solamente tristi, quello che stava suonando sembrava adatto ad ogni stato d’umore.
Diede un sottofondo musicale al mio libro, fece questo, in quei cinque semplici minuti, aveva riassunto la mia storia, i sentimenti dei miei personaggi in quel modo.
Sfiorava ancora quei tasti, mi ero promesso di non farli il terzo grado, ma la mia domanda salì alla bocca, mentre fui stupito.
-…Come hai fatto ? -
Ancora una volta quel sorriso di comprensione che troneggiava sulle ambite labbra.
-è il racconto che avete scritto voi, io non ho fatto niente.-
E quello lo chiamava niente ? Guardai il libro posato vicino al pianoforte.
-…Quasi quasi me lo fai apprezzare.- gli dissi mentre mi avvicinai al pianoforte e sfiorai il libro che avevo scritto.
-…a cosa pensavate ? – fu la prima volta che mi rivolse una domanda, e lo guardai dall’alto mentre lui era seduto, sembrava così strano parlare con lui, eppure le mie lettere e le sue note avevano già comunicato tra di loro fin dal primo giorno.
Ricordai l’ispirazione di quel momento, mentre avevo scritto quella strana storia.
-…oltre a pagare il mutuo intendi ? – gli dissi serio, ed ebbi l’esito sperato alla mia domanda, una lieve risata.
- Pensavo che…pensavo che le storie che escono in questo periodo riguardano alla banalità più totale, vampiro ed umano, lui si innamora di lei, e tutti vivono felici e contenti.
Era pura banalità ai miei occhi, mi dissi quindi di scrivere una storia che nessuno mai aveva scritto, volevo qualcosa di originale,quindi immaginai un mondo, tra ghiaccio e fuoco,

dove c’erano due esseri, che vagano prima ancora di noi, molto tempo fa, alla ricerca di uno scopo, e Dio chiese a uno dei due che significato volesse avere.
Lei, disperata, chiedeva solamente di essere utile a qualcuno che la si apprezzasse, che la si amasse, e quindi gli fu donato il dono di donare la Vita.-
mi interruppi bruscamente, e fu come ritornare alla realtà, mi stavo perdendo troppo….ma non ci fu bisogno che Laris parlasse, per farmi capire cosa voleva dire.
” e poi ? “ domandò silenzioso. Continuai con incertezza.
-…e quando scelse la sua ragione, dall’altra parte, dalla regione opposta in cui si trovava scelse anche un altro destino, quello della Morte.
Pensai che tutte e due soffrissero enormemente., lui non poteva fare altro che odiarla, eppure furono inevitabilmente attratti l’uno dall’altra.
Si amarono, ma era ovvio che nonostante la loro esistenza era eterna, perché sarebbero sempre esistiti, non potevano stare insieme. Il mondo sarebbe stato a soqquadro, i morti sarebbero ritornati in vita,

e chi aveva perso un familiare o un compagno a lui caro, poteva varcare la soglia della morte per rincontrarlo.
Dio quindi li divise, come così aveva diviso il giorno dalla notte. -
Mi ammutolii un istante, ero sicuro che se qualcun altro avrebbe sentito ciò che pronunciavo mi avrebbe portato in un manicomio.
- Era un idea originale e la scrissi, nulla più di questo, però era talmente originale…che il mio editore mi disse che non si fidava ancora a pubblicarla !

Anzi mi disse “ ma perché non fai storie come tutti gli altri ? “ -
Indirettamente per me quello fu uno dei migliori dei complimenti.
- è un pensiero meraviglioso.- disse solo, sapevo che voleva pronunciare altro lo si leggeva negli occhi, ma ancora non poteva, aveva già pronunciato abbastanza.
Sospirai.
- E dire che non ero nemmeno sotto effetto di droghe.- esclamai, non amavo poi così tanto parlare di ciò che scrivevo per questo smorzavo il tutto con una battuta.
Leggere era una cosa, sentire parlare me era un'altra, ero sicuro che con le parole a voce alta non sarei mai riuscito a comunicare quello che invece scrivevo su un foglio bianco.
Poi ci fu l’ultima frase di quel giorno da parte di Laris, per poi ammutolirsi di nuovo e del tutto.
- Deve aver vissuto grandi storie d’amore.- disse a voce appena udibile mentre io mi rimisi alla scrivania.
-Ebbene si.- mi scricchiolai le dita e aprii il file da dove dovevo continuare

-La mia storia più lunga dura ormai da dodici anni.- guardai le note che mi ero lasciato sul deskopt – ed è con la mia penna e il mio foglio. –rivolsi a lui l’attenzione con un sorriso beffardo mentre notai dello stupore nei suoi occhi freddi.
-Ovvio è una frase d’effetto, ma in fondo dire “ Ho una relazione con il mio pc che si blocca per ogni cosa, e con la mia tastiera a di cui si sono cancellate le lettere a furia di scriverci.”

Suona male no ? -
Mise una mano davanti alle sue labbra abbassando il capo annuendo, lo guardai con dolcezza, poi ritornai al mio libro.


….Non era vero, non avevo mai vissuto grandi storie d’amore, e se le avessi avute non avrei potuto scriverne tali vi sembra?

Mi limito ad immaginare cose che non esistono e storie d’amore che non ho mai vissuto.


Solo quando un uomo è solo sa parlare d'amore, lo enfatizzerà, lo decanterà, lo esalterà,

ma dal momento cui l'avrà, si ritroverà a corto di versi, di belle parole, cosciente della verità.

 

….O almeno era questo quello che pensavo.

 

 

Continua

 

Note: questo cap è troppo veloce, in genere avrei fatto parlare Laris solo all’ ottentesima pagina, ma come ho scritto in precedenza non voglio dilungarmi troppo altrimenti va finire che non la finisco più.
Quindi sto cercando di essere breve e concisa.

Comunque, sono cosi a corto di idee, che la storia che cito tra la Vita e la Morte lo scritta davvero anni fa ( ma non riesco a  continuarla )! Sta diventato una cross over tra tutte le baggianate che scrivo!>___

 

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Capitolo 6
*** Nota 6 ***


Nota 6 :

Nota 6 :

***

- Sono stanca, non c’è la faccio più stare a con te. -
Cos’era?
La settima o l’ottava volta che udivo quelle parole ?
Avevo perso il conto ormai. Anche lei se ne sarebbe andata, come tutte del resto, e non l’avrei biasimata, anzi l’avrei lasciata andare senza fare una piega, senza alzare un braccio per afferrare il suo polso e farla ritornare nelle mie braccia.
Queste cose succedevano solo nei film e nei libri.
- Spiegami solo una cosa, non l’ho mai compresa…cosa c’è più importante dell’amore ? -
La guardai stupito, e poi feci dei miei occhi due fessure.
- Detesto le persone come te, siete vuote e così banali.
Siete solo delle persone tristi, che credono di riempire quel vuoto di personalità con qualcosa come “ l’amore “ e cercate disperatamente qualcun’ altro da amare, per illudervi di non essere più soli. -
Presi il suo mento tra l’indice il pollice e mi piegai il mio viso verso il suo, per sibilagli la realtà vicino ad un suo orecchio
- Vuoi sapere cos’è l’amore?
è quella cosa che decanti tanto all’inizio ma che poi finisce in un insulto,
è un sentimento che vuoi provare perché non ne hai altri,
è quella parola che vuoi dire, perché l’hanno detta tutti.
è questo l’amore -

La risposta fu più che scontata, uno schiaffo in pieno in viso dalla donna che mi aveva detto “ sei tutta la mia vita “
Poi andando via, mi disse le sue ultime parole
- Tu non sei un artista, in realtà sei solamente un egoista ! -
sfiorai la mia guancia con un sorriso beffardo in volto, poi mentre la sua esile schiena scomparse alla mia vista, guardai a terra con frustrazione.
Solo lei, con quella breve frase, riuscì a capire cos’ero veramente.

***

 

Fu uno dei tanti pomeriggi, il ticchettio dei tasti e le note del pianoforte era l’unico “rumore” che si sentiva in quella casa, e spesso i minuti si facevano ore, e nessuno dei due si separava da quello che era per noi qualcosa di infinitamente importante.
Laris, a voce, parlava ancora molto poco, e c’erano giorni in cui non pronunciava una sola sillaba,
si può dire che quel giorno, in cui avevamo discusso su quello strano libro che gli era piaciuto tanto, potevo ritenermi fortunato, ma la cosa non mi importava più molto , facevo comunque domande e dicevo cose che non ottenevano risposta, perché più parlavo con lui in quel modo, e più sapevo di avere chance in una sua risposta.
Era solito pensare di una persona che rispondeva solo con brevi “ si “ e “ no “ veniva definita associale, ma forse, con un  po’ di perseveranza, senza abbandonare al primo monosillabo, si poteva invece scoprire una persona diversa da come lo era in superficie.
Perché in genere sono le persone  silenziose, sono  quelle che in realtà parlano di più, e poi con tutte quelle note che emetteva, era impossibile definirlo silenzioso.
Dopo che furono passate abbondanti ore, sentii la sua rara voce, uscì quasi impacciata dalla sua gola, ma fu bella comunque.
- Che costa state scrivendo ? -
La parola che stavo battendo al computer si fermò a metà, e la mia risposta non fu immediata.
-Non lo so.- risposi guardandolo, mentre si fece lievemente sorpreso.
Avevo dato una risposta stupida, lo sapevo benissimo e i suoi occhi color del ghiaccio ne volevano un'altra.
-…è uguale alle altre trame, sto scrivendo una storia d’amore, niente di che.-
dissi con noncuranza.
Ci fu un silenzio, ma fu diverso, fu un silenzio sospeso.
-…Se mi dite la trama, potrò suonare meglio…non vi pare ? – fu sempre il suo profilo che vidi, ma quella volta diverso, con un vago sorriso  e con espressione che si poteva definire a tratti “altezzosa” .
Riassumei con una semplice parola quella bella espressione sul suo volto che sembrava avere preso vita , gli diedi l’ attributo di“ curiosità “, feci capovolgere quel accennato discorso a mio favore.
- è segreta. E rimarrà tale fino alla pubblicazione di questo libro, quindi neanche te,  che suoni per darmi ispirazione, la saprai.-
detto questo crebbi che non ci fosse stata replica, e invece, arrivò, con tono placato e sicuro.
- Non credo sia giusto questo comportamento, datemi quanto meno un accenno. -
Il suo modo di parlare mi faceva sorridere, di dolcezza, perché credevo fosse stato di un'altra epoca, e che quando fosse finita, scelse di non proferire più parola, e poi un giorno, quando finalmente aveva deciso di far risentire la sua voce, ne uscivano parole che si erano fermate in un epoca lontana in quella che aveva vissuto, e il risultato era quello di un ragazzo, strano per la sua età e troppo elegante nelle sue movenze.
-Aaah continua a suonare, tanto lo leggerai quando verrà pubblicato … forse… dato che non ne posso stare certo… sai… racconta di una di quelle storie proibite ….-
gli disse mentre lo guardavo dalla mia postazione, naturalmente lo feci apposta a dire quello per aumentare la sua curiosità, non si scompose, solo che notai chiaramente una smorfia nel suo bel viso che in genere era impassibile, credo che se avessi mai avuto una discussione con Laris, mi sarei divertito, dato che era terribilmente permaloso.
Difatti continuò a suonare, con meno enfasi, come replica alla mia decisione, ma scrivevo comunque, tranquillo, davanti al mio monitor e all’immancabile tazza di caffé  posata sulla scrivania, passavano così le giornate, ma c’era un momento particolare che stavo incominciando ad amare.
Forse si poteva definire “ merenda “ non saprei, era quel momento dove cercavo di vivere un barlume di realtà, andando in cucina, e facendo accenno a Laris di seguirmi, per cercare qualcosa da mettere sotto i denti, non potevo di certo stare a fissare solo il monitor nella mia giornata.
Riempi di altro caffè la caffetteria, Laris sembrava non volere mai nulla, eppure la mia domanda
“ vuoi niente ? “ la ripetevo ogni giorno.
Eravamo sempre distanti l’uno dall’altra, lui doveva essere una di quelle persone che non amava particolarmente essere toccato, avevo come questa sensazione, dal canto mio invece, non mi avvicinavo troppo a lui perché avevo paura dell’influenza del mio libro, e con la mente che mi ritrovavo avrei sicuramente pensato qualcosa del tipo
“ per scrivere una scena reale , devo sapere cosa si prova “ e gli sarei saltato addosso.
Mi misi una mano per tirarmi indietro i ciuffi di capelli che erano sfuggiti alla mia piccola coda che puntualmente mi facevo ogni giorno.
Da una parte non vedevo l’ora di finire quel racconto.
Dopo essermi riempito la tazza, esitai prima di poggiarla alle labbra, e lo puntai, ora che pronunciava qualche frase, mi serviva sapere una cosa.
- Che cosa provi ? -
alzò il viso che teneva basso e mi guardò perplesso.
Certo che anche io non mi spiegavo molto bene.
Riformulai la domanda, quella volta più chiara.
- Che cosa provi suonando il piano, a parole non me l’hai ancora spiegato.-
Come risposta il silenzio, ma era quello che prendeva prima di rispondere, come ho detto, faceva ancora fatica.
- Quello che provate voi scrivendo.- mi disse.
… e avrei aspettato all’infinito e nel silenzio per sentire le risposte che mi dava.
- Così è troppo facile.-
replicai sorseggiando la tazza di caffé bollente, mentre mi balenò uno strano pensiero alla mente.
- Ti propongo una cena. - e quella volta non rimase  del tutto indifferente
 Ti prenderai tutto il tempo necessario per rispondermi, voglio sapere che cosa provi, mi serve saperlo, come ti ho già detto… -
feci un passo verso la sedia su cui era, composto naturalmente, e posai una mia mano sul tavolo, per piegare di poco la schiena e avvicinarmi a lui, che d’istinto, si ritirò indietro

 – …i pianisti mi affascinano.- ancor di più se erano belli e misteriosi quanto lui.
Mi allontanai e gli voltai la schiena per riprendere in mano la tazza di caffè che stavo bevendo
-….Ma io…non le ho detto ancora di si! – mi disse protestando, e io mi voltai verso di lui, ribattendo a come facevo ad ogni possibile rifiuto
– Quindi è un no ? -
-…Non ho detto questo….- rispose chiaramente confuso.
Avevo davvero un brutto carattere, ma mi serviva per ottenere tutto ciò che volevo.
Feci nuovamente per andarmene dicendogli
- Allora è un si. –
ma quella non era una domanda come la prima, ma nuovamente fui fermato dalla sua preziosa voce che a tratti vacillava e si faceva più bassa..
- A una condizione … - la sua espressione era seria, eppure c’era sempre qualcosa di insicuro nel suo tono quando si rivolgeva a qualcuno.
- Dimmi pure.- avrebbe potuto continuare la sua frase, ma mi sembrava che stesse aspettando un mio accenno.
-…mi direte il motivo per cui scrivete, e io vi dirò cosa provo suonando.-
Pochi nella mia vita avevano mosso la mia curiosità , nessun essere umano mi interessava particolarmente, hai miei occhi mi sembravano tutti uguali,  ma di quel pianista mi ritrovai a pensare che volevo sapere tutto.
Era semplice curiosità, e forse quando avrei soddisfatto questa, anche lui mi sarebbe parso simile a tutti quelli che avevo incontrato …. solo che quel momento a quanto pare non era ancora arrivato.
Volevo udire la sua voce, sapere del suo dolore,
sentire la sua musica, scrivere con le sue note,
e lambire le sue labbra che parevano sigillate.
-Accetto-
gli dissi con un sorriso spavaldo mentre allungai una mia mano verso di lui.
-Una cena tra artisti dunque? –
dissi con scherno, dato che erano gli altri a definirmi tale, io sicuramente non mi reputavo tale.
Come le sue parole, anche il suo gesto fu infinitamente lento ed esitante, ma poi strinse la mia mano, e mi accorsi in quel momento di quanto il suo polso fosse esile, e fu strano quel dettaglio, dato che le sue noti erano sempre così decise.
Poi in quel giorno non proferì più nessuna parola, e si limitò a tornare a suonare, e quando lasciò la grande casa, faceva sempre un piccolo inchino.
Chissà che razza di educazione aveva ricevuto per essere così gentile nei suoi comportamenti, o forse gli venivano del tutto naturali, pensai mentre lo guardai ala soglia della porta, sperando che il giorno successivo arrivasse più in fretta.

Non avevo di certo timore nello portarlo fuori, ne di stare in silenzio di fronte ad un tavolo, se fosse stato necessario avrei parlato solamente io.
Questo fu il pensiero mentre su internet guardavo i ristoranti che Parigi offriva, non ero francese, ma mi trasferii in quella città da quando decisi di andarmene di casa.
Ma il mio passato non era molto importante né interessante.
Il problema è che non sapevo dove portarlo, ero un cliente di cibi precotti non di certo da ristoranti, inoltre quando ci andavo era quasi sempre per lavoro, conferenze e cose di questo tipo.
Non amavo particolarmente quei posti, e non solo per il conto salato, ma perché farmi servire, avere qualcuno che mi riempiva il bicchiere appena finivo di bere, mi faceva sentire una specie di invalido.
Chiusi la pagina di internet con un sospiro e alla fine presi la mia decisione, passarono altri due giorni, il primo per darli la data e l’ora, il successivo per andare fuori insieme.

Non era di certo entusiasta del mio invito , e se lo era di certo non lo dimostrava, ma l’importante era che ero riuscito a strapparli quel “ si “ dalle labbra.
Manco fosse una promessa di matrimonio.

Riportai in vita dalle ceneri, dato che non la usavo mai, la mia macchina di cui andavo estremamente fiero, era un suv nero metallizzato, quando lo vidi capii che eravamo fatti l’una per l’altra, niente di troppo pacchiano si intende, ma neanche di troppo fine.
Da quel giorno, da quando era venuto a suonare non pronunciò nessuna parola, ma solo note.
Lo portai davanti al locale che avevo scelto, alla fine tra i tanti consultati in internet, non scelsi nessuno di quelli, presi una decisione di testa mia, senza stare a guardare nessun commento o recensione su come facevano il cibo quei ristorante di sfarzo.

Ci ritrovammo davanti a quel tavolo, che di pregiato non aveva nulla, un locale come tanti, che faceva sia primi che secondi che tavola fredda, che apriva fin dalla mattina e chiudeva dopo la mezzanotte. Qualche quadro sparso qua è là, qualche pianta, e la radio sempre accesa per tenere compagnia chi veniva a mangiare un boccone e andare via subito.
 Poi ci fu la sua voce che mi aveva negato da ben due giorni.
-Vi ringrazio.-
e ci volle qualche istante prima che continuò quella frase
-Vi ringrazio per non avermi portato in un ristornate di lusso.- disse abbassando lo sguardo .
Forse stavo incominciando a capire perché mi piacevano gli uomini, costavano di meno ed erano meno complicati delle donne.
-Non mi sarei sentito a mio agio nemmeno io. -
gli risposi, mentre lo guardavo, stava esaminando il menù, i suoi occhi scorrevano lentamente sulle portate da ordinare, poi notai un suo lieve sorriso che mi motivò
-Dovrebbe non trovarsi a mio agio con me, non di certo in un ristorante.-
quello che diceva era vero, ma scrivendo avevo imparato a vedere tutto in un modo diverso.
-Pensaci, in fondo si dice che le persone parlano sempre di sé stesse, che troppe volte mettono nelle loro frasi la parola “ io “, stare con te , lo reputerei perfetto.-
E dato che davo a me stesso un importanza enorme, non avrei mai potuto trovarmi in sintonia con una persona egocentrica.
-Perfino chi dice di essere gentile, alla fine non fa che parlare solo di sé stesso elencando le sue ipocrite qualità -
Alzò gli occhi dal menù.
-Potrei esserlo anche io.-
disse e come spesso faceva, motivava quelle sue mezze risposte tra una pausa di lunghi istanti  
– In fondo amo far ascoltare la mia musica.-
Feci un sorriso beffardo.
-Oh, ma quello è un egocentrismo diverso.- quello lo amavo mica lo odiavo.
- I pianisti radunano intere folle per farsi ascoltare in grandi posti, e non contenti, fanno anche in modo che li si possa ascoltare ovunque registrando un loro brano.
Si in fondo, credo, che tra tutti gli artisti quelli più egocentrici siete voi.-
Dissi con il mio tono sicuro , sfogliando il menù , anche se in realtà avevo già deciso cosa prendere, lo feci solamente perché almeno la cameriera non prenotasse subito le ordinazioni e mi lasciasse più tempo per guardare Laris a volto chino.
Poi la sua risposta ai miei pensieri che gli dicevo ad alta voce.
-E gli scrittori ? Loro invece non lo sono ?-
il suo volto si alzò , e nonostante quello sguardo impassibile, il suo colore di occhi così particolare, così azzurro da non poterlo non accostarlo al ghiaccio mi faceva sempre esitare qualche millesimo di secondo.
- Ah per loro è diverso.-
dissi con tono beffardo, come se stessi parlando di qualcun altro e non di certo riferendomi a me
– Loro vogliono solo parlare senza essere interrotti.-
forse era per quello che con quel pianista andavo stranamente d’accordo.
E non poteva di certo immaginare di che interi monologhi facevo nascere dalla mia testa, alla fine un libro, era solo un intero discorso, scritto unicamente da una persona che parlava da sola nella sua testa.
Poi arrivò la cameriera, non con un sorriso del proprio smagliante, e si poteva notare dai suoi occhi la stanchezza e le ore di sonno che aveva accumulato.
- Buonasera, cosa vi porto ? –
chiese prendendo il block notes e portando fuori la penna dalla tasca della camicia che era posizionata sul petto.
Chiusi il menù e non diedi peso alla mia dieta che ignoravo tutti i giorni, e ordinai della pasta, per secondo della verdura cotta e del pesce, e naturalmente del formaggio, quello in Francia non mancava mai.
Poi la cameriera guardò quel pianista dai capelli neri e dalle labbra sigillate … che appunto furono tali.
La cameriera chiese con voce stanca quello che probabilmente aveva ripetuto tutto il giorno
- Lei cosa desidera ? –
disse guardando da tutt’altra parte aspettando una risposta che non arrivò.
Ero stato uno sciocco.
Non avevo minimamente pensato il perché di quella esitazione nell’ accettare il mio invito e di quanta fatica gli costò uscire con me.
La sua mano che era sul tavolo si strinse in un pugno, e se ci fosse stata una melodia che avrebbe potuto suonare, sicuramente avrebbe espresso la rabbia.
- La stessa cosa che ho ordinato io. -
dissi,  alzò ad un tratto il suo  bel viso, con espressione colpevole
-Va bene Laris ? –
annuì lievemente con il capo, poi lo sguardo della cameriera su di lui mentre prendeva la stessa ordinazione, fu di compassione, credendo probabilmente che era muto, e in un certo senso agli occhi degli altri lo era.
Perché bastava solo che una persona non parlasse per definirla muta.
Perché bastava solo che una persona facesse qualche battuta cinica per essere definito arrogante.
Fu quando la stanca cameriera se ne andò e quando passarono dieci minuti abbondanti che sentii il sospiro di Laris , si posò una mano sulla fronte, e quel gesto mi ricordò me, quando alla notte avevo esaurito le mie idee da scrivere, oppure pensavo cose che io stesso definivo assurde.
-Sapevo che l’avrei messa in imbarazzo. Non avrei dovuto accettare.-
disse a voce molto bassa con una nota di frustrazione.
E sempre il sorriso malizioso troneggiava sulle mie labbra, solo pochi erano riusciti a togliermi quell’espressione beffarda .
-Ci vuole ben altro per mettermi in imbarazzo.-
e sicuramente non era il comportamento di Laris a farlo.
-Ho paura a chiedervi cosa. - 
rispose mentre posò lo sguardo fuori dalla finestra mentre le strade stavano incominciando a farse buie, ma non troppo, dato che nel cielo la luna era piena e splendente.
-...Forse tipo una pratica sadomasochista con oggetti strani, ecco questo mi metterebbe in imbarazzo.-  guardai fuori anche io – oppure ancora una frase del tipo “ grazie di esistere “.-
Portò una sua mano sulle sue labbra per coprire il suo sorriso, e nuovamente scoprii altre sfumature di quella voce, quella di quel giorno fu di “ rimprovero “.
-Ma non potete accostare le due cose insieme.-
ci pensai seriamente su ma non trovai risposta
– Dici ?-  non ero del tutto convinto.
Poi si ammutolì ancora una volta, ma non ci diedi peso, la sua presenza mi calmava e non mi annoiava di certo, avevo avuto cene dove le persone non facevano altro che parlarmi, e io , voltavo lo sguardo , a volte annuivo, con una mano coprivo qualche sbadiglio, mentre avevo nelle orecchie una voce non ascoltavo.
Era molto meglio un silenzio che udivo perfettamente, che qualcuno che mi parlava inutilmente.
Ovvio, mi piaceva la sua voce, ma adoravo anche il suo silenzio.
 Le portate arrivarono, e la cameriera dalla coda alta , mi sembrò improvvisamente più gentile verso Laris, gli rivolse anche un sorriso dolce, stanco, ma fu tale augurò un – Buon appetito -  e se andò verso un altro tavolo di clienti che aspettavano di ordinare.
-….è sempre così ? – dissi guardandolo, e lui aveva già capito a cosa mi riferivo.
Annuì con il capo, se poteva risparmiare a dire anche un “ si “ in genere lo faceva, ma c’è la stava mettendo tutta per formulare intere frasi, con ancora fatica e lentezza
-è compassione, non gentilezza.- ribatté, ma non ci fu astio nella voce, ma una specie di rassegnazione
-ovunque io vada vengo compatito.- neppure quello disse con rabbia – ma non posso lamentarmi di questo, è ciò che ho voluto.- assaggiò un primo boccone della sua portata.
Pensai invece al mio comportamento che avevo nei suoi confronti.
-… Io ti devo davvero sembrare un maleducato- dissi con mezzo sorriso, mentre anche io mi accingevo a mandare giù il primo boccone.
-Probabile.-
il boccone mi si fermò tra la gola. In genere ottenevo come risposta “ No, non dica così “.
-… ma almeno non cercate di essere qualcun’ altro.-
Rivolse lo sguardo alla signorina che ci aveva servito e mi sembrò che mi invitò a fare lo stesso.
Prese le ordinazioni  ritornò indietro, fu dietro al bancone, e quel mezzo sorriso che aveva in viso scomparse ad un tratto, la sua espressione divenne scocciata e si lasciò andare anche uno sbuffo,
in quel momento arrivò un signore, distinto, doveva essere sicuramente il suo superiore, gli stava parlando, non era un tono alto di voce, e noi dalla nostra posizione non sentimmo niente, ma potevamo vedere lei chinare la testa, come per scusarsi, lo fece più volte,  poi quel signore di mezza età, spazientito, la lasciò al suo lavoro e se ne andò.
Lei posò i gomiti sul bancone e si mise le due mani sulla fronte massaggiandosi le tempie, disse qualcosa a denti stretti in una smorfia, e non erano di certo parole gentili, poi qualcuno la chiamò, si sorprese, chiuse gli occhi per qualche attimo, e ancora una volta, il suo sorriso dolce, e la frase “ arrivo subito “ , mentre si incamminava verso il tavolo dei clienti.
-…è normale che faccia così, sta lavorando d’altronde, se si mostrasse misantropa , la licenzierebbero subito.- gli feci notare, e senza che lo volessi davvero, ci fu arroganza nella mia voce, come di chi crede di sapere tutto, ma anche il lieve sorriso, che mi diede come risposta avrei potuto definirlo tale.
- Ma non è stata pagata per trattare con falsa bontà me, non ne aveva motivo.
Voi invece mi trattate  in un modo dove se io parlo o non parlo, non fa differenza.- 
Due frasi insieme, non potei farlo a meno di non notarlo.

-Probabilmente siete una di quelle persone che chiederebbero ad una persona senza una gamba, come ha fatto perderla per il gusto di soddisfare la sua curiosità-  
Seconda frase, quella volta più vicina dalla prima.
Fantastico davvero fantastico, mi si illuminarono gli occhi, ma non tipo come quelli di un bambino che a natale scarta il regalo più grande tenuto per ultimo , per poi vedere ciò che aspettava da tempo, il mio sguardo era più simile ad  un predatore che tra una folla, avesse notato la più elegante e la più bella delle prede.
Risi sommesso.
-Bhe mi sembra ovvio.- mandai giù un altro boccone e arrivai al dunque, come al solito, senza girarci intorno.
-Ma non mi va di parlare di me, continuo a farlo tramite i miei personaggi nei miei libri, piuttosto, parlami di te e del pianoforte.-
era impossibile parlare di Laris senza accostarlo a suddetto strumento, e improvvisamente è come se avesse perso tutta quella sicurezza che aveva ostentato fino a quel momento, se voleva apparire tale , doveva esserlo mille volte più di me, impresa davvero difficile, dato la mia sicurezza sfiorava ormai la superiorità, ed ero arrivato perfino a pensare “ mi si dovrebbe pagare solo per il semplice fatto che esisto “, e i miei discorsi finivano sempre in un punto, e non quello interrogativo, e le mie risposte erano divenute affermazioni.    
-Avevamo un patto.-
mi ricordò, e il suo tono tornò nuovamente lento, come se si dovesse ricordare ogni parola che doveva dire prima di pronunciarla.
-Oh, non preoccuparti, ti dirò il motivo per cui scrivo, alla fine di questa serata.-
gli dissi rassicurandolo e ingannandolo allo stesso tempo.
Prese un po’ di tempo, come per “ riposarsi “ da tutte le parole che aveva detto quella sera, ma non fui preoccupato, lui al contrario di me, sembrava una di quelle persone che alla parola
“ te lo prometto “ ci credeva davvero.
Fece in tempo ad arrivare la seconda portata, e già mi sentivo quasi sazio, dato che il primo fu abbondante, e feci altrettanto in tempo a finirne metà tra il silenzio che regnava nel tavolo poi si interruppe al suono della sua voce, che tanto accostavo alla sonorità di un pianoforte.

- Non provo niente.-

incominciò a dire, ma non rimasi stupito, conoscevo quel tono, era come l’intro delle sue melodie, era come un cielo bianco, che presto avrebbe pianto neve trasformando qualunque paesaggio in un luogo meraviglioso.
Gli diedi tutto il tempo necessario per continuare
- Siete voi, scrittori, pittori, scultori  che trasformate ciò che provo in ciò che è reale, che date una forma a quello che provo suonando quei tasti, non posso dirvi ciò che provo, non perché io non voglia, ma perché non saprei cosa dirvi.-

si ammutolì ancora una volta, ricordando le parole che aveva dimenticato per chissà quale ignoto e affascinante motivo
- Ovvio che provo “ rabbia “ o “dolore “ ma è troppo superficiale definire così i miei sentimenti mentre creo ciò che non si può spiegare, ho immagini nella mia mente quando cerco di creare un brano, ma non ho le parole, nel pianoforte esistono solo note. -
Forse incominciavo a capire, era qualcosa assolutamente di diverso dallo scrivere.
-Come vi ho detto, io non sono un grande lettore, ma mi riferivo ai libri, in realtà leggo molto spartiti, seppur io mi trova meglio ad andare orecchio.
Suono, ma non c’è nessuna frase e nessun discorso in cui io possa aiutarla a comprendere ciò che provo suonando quei tasti che per me sono come corde vocali . -
Non avrei mai potuto quindi scrivere di un personaggio che suonava il pianoforte, ma non aveva importanza, avevo sentito Laris parlare più del dovuto, e lo fece con grande sforzo, e quell’espressione immutabile come se tutto gli fosse stato scontato , prese vita come spesso faceva quando si metteva davanti a ciò che probabilmente amava di più al mondo.
E come ogni melodia, anche quella aveva una fine, ma dimenticavo, che in ogni suo brano, la prolungava sempre, facendola finire in un modo meraviglioso.
Quella sera fece lo stesso e probabilmente non se né accorse neppure, e ancora una volta mi ritrovai a fissare il suo bel profilo, coperto da alcuni ciuffi scuri che risaltavano la sua carnagione diafana e i suoi occhi troppi azzurri che guardavano al di là dell’ampia finestra e non solo.
Poi un suo sorriso, lieve e triste, e il suo sguardo lontano.
- Suono parole che non hanno ancora inventato,
e pronuncio monologhi che non hanno ancora scritto-
e la mia espressione altezzosa e il sorriso arrogante si fecero meno marcati sul mio viso, pensando che forse, oltre a fare il pianista, avrebbe potuto fare il poeta.
Lui quantomeno avrebbe scritto frasi in cui credeva al contrario del sottoscritto, che poteva scrivere qualcosa di estremamente bello, ma poi schernirlo con ciò che pensava realmente.
Mi chiesi se quello triste tra i due non fossi per caso io.
Quando ritornò con lo sguardo su di me, la maschera che avevo sul volto si posò su di me, e come al solito una mia battuta per “spezzare “ il tutto.
- Ah se continui a fare frasi simili potresti rubarmi il lavoro.
Se te la ricopio mi denunci per “diritti d’autore ? “ -
Mi guardò, eppure, notai che il suo sguardo era uguale per tutti perfino per me, hai suoi occhi non dovevo essere sicuramente non  più di uno sconosciuto.
Era freddo sotto ai suoi modi gentili, pensai, mentre lo stavo scrutando,  eppure bastava solo parlare o rivolgerli parole che non si aspettava per smuoverlo.
Come vi ho detto, Laris dava l’impressione di una persona che non si sarebbe mossa da dov’era neppure se stesse cadendo il mondo, o ci fosse stata qualunque altra catastrofe naturale, lui con impeccabile eleganza e senza nessun sorriso sulle labbra, non avrebbe mosso un muscolo, e se qualcuno gli avrebbe gridato di scappare avrebbe risposto che correre o restare fermi non ci sarebbe stata differenza, eppure , sarebbe bastato dirgli “ se morirai non potrai più suonare il piano che ami tanto “ la paura si sarebbe dipinta nei suoi occhi,le sue mani perfettamente ferme avrebbero incominciato a tremare e in qualunque modo, avrebbe fatto in modo di salvarsi.
Ai miei occhi questo era Laris.
….e mi chiedevo perché non potevo limitarmi anche io come a tutti i semplici esseri umani a pensare cose del tipo “ è simpatico “ oppure ancora “ è altruista “ e cose di questo genere, su ogni persona che incontravo ai miei occhi dovevo sempre tracciarne un profilo, come esattamente facevo con i personaggi dei miei libri.
Ritornai sulla terra alla sua risposta.
- Eccellete nel vostro campo, non avete bisogno delle mie stupide frasi.- disse per ritornare anche lui in quel locale dove l’avevo portato – e mi dispiaccio se non so spiegarmi meglio – ritornai con la mente alla lettera che mi aveva consegnato, e diedi il tono che usò in quel momento a quelle righe che aveva scritto.
-Non ha importanza, anzi, va bene così.- mi potevo ritenere soddisfatto.
Non mi chiese perché mi serviva saperlo, e mentalmente lo ringrazia, altrimenti avrei dovuto raccontare un'altra bugia.
Arrivò anche il dessert, che avevo ordinato, per me, dato che Laris mi fece cenno di no con il capo per farmi capire che non lo voleva,  e lo finii senza che più una sola sillaba venne pronunciata, e tutte quelle parole che aveva detto chissà quanti giorni di silenzio mi sarebbero costate.
Poco male, a tenermi compagnia, c’era comunque l’altra sua voce, quella che mi dava ispirazione, che mi faceva immaginare, e che ascoltavo pensando che non c’era sottofondo migliore per la trama che stavo scrivendo.
Poi feci per alzarmi dal tavolo e dissi – Vado a pagare –  ero abituato a dirlo dato che tutte le volte che uscivo dovevo sempre farlo.
Prese il mio polso senza nessuna parola e mi fermai perché lo volli, la sua presa, non fu abbastanza forte per definirla tale.
-Ti ho proposto io di uscire, è logico che paghi il sottoscritto. -
gli risposi alla sua muta affermazione.
Non mi ascoltò e tirò fuori la metà del conto, probabilmente dal menù aveva guardato i prezzi e con un rapido conto mentale aveva tirato fuori la somma che risultava il cinquanta per cento  del conto
-Non sono una donna.- disse e lasciò la sua debole presa.
Un leggero ghigno si  fece largo tra le mie labbra, avevo svariate risposte da dare, la prima che mi venne in mente fu
“ vogliamo verificare ? “

e la seconda
“ sarebbe meglio se tu lo fossi “…. quantomeno ci sarebbero stati meno problemi.
Ma forse era meglio così, il mio libro quella volta sarebbe stato un po’ più “reale “ nei limiti naturalmente.
-Ok ok- dissi con un tono fintamente arrendevole e presi la metà che posò sul tavolo, andai alla cassa e pagai, guardai l’orologio, sicuramente per chi faceva orari lavorativi doveva essere molto tardi, decisi quindi che era meglio accompagnare Laris, e sapevo che non era una donna, era molto più bello, per questo vagamente mi preoccupai di riaccompagnarlo, e quantomeno sarei stato sicuro che sarebbe ritornato.
Ma la verità era solo una. Ero curioso, magari scoprendo dove abitava, potevo sapere di più sulla sua vita, ovvio che non mi aspettava una cosa del tipo “ Vuoi salire su ? “, ma quantomeno da fuori avrei cercato di capire.
Fantastico, ora giocavo anche a fare il detective.
Ritornai al tavolo, e Laris era già pronto nel suo capotto, fuori faceva abbastanza freddo, il periodo era ancora quello invernale, quello che più amavo.
-Spero sarai soddisfatto.
Se andavamo a mangiare sushi, credo che non avresti tirato fuori la metà così volentieri .-
dissi mentre ci avviammo all’uscita per poi andare alla macchina, il mio secondo amore.
Salimmo e l’unica cosa che mi disse era dove abitava, sembrò non farsi problemi, il suo profilo era tranquillo, anche se io cercavo ogni movimento sospetto del suo volto per scoprire qualcosa.
Bene, l’unica cosa che scoprii era un altro lavoro che non potevo di certo fare, dato che nel tragitto in macchina non avevo ancora ricavato nessuna informazione.
Mi fermai al numero civico che mi aveva detto, non gli lo feci ripetere una seconda volta e cercai di ricordarmelo, frenai e dissi – Bene, allora ti aspetto domani. -.
Si voltò lentamente , di tre quarti, e quella volta, fu un sorriso diverso, quasi di sfida.
- Ditemelo Zefir.-
Lo guardai, seriamente quella volta …. non ero mai stato brillante nelle mie confessioni d’amore e avrei sicuramente pronunciato qualcosa del tipo
“ Si mi piaci, vorrei provare, ma non sono del tutto dell’altra sponda, è l’influenza del libro, devi credermi, per questo sto diventando vagamente gay….ma se magari mi tolgo lo sfizio ridivento etero. “
Fortunatamente pronunciò prima qualcosa lui prima di me.
- Non mi avete ancora detto perché scrivete.- disse quasi con aria malinconica.
Trassi un sospiro di sollievo.
Menomale, si trattava solo di quello, distrattamente mi portai una mano sul petto.
Sentii battere il mio cuore …..bhe quello era logico, altrimenti sarei morto … ma batteva stranamente  più veloce… all’inizio pensai che oltre la scoliosi non diagnosticata mi avrebbero anche detto che soffrivo di tachicardica.
- Zefir ? –
al mio nome , il cuore riprese a battere più forte e capii, tolsi immediatamente la mia mano come se il mio petto scottasse e il mio sguardo a terra divenne freddo pensando di me stesso che ero ridicolo.
Non eravamo in un mio ridicolo romanzo.
-… Perché scrivo ?-  la mia voce uscì distante, come se mi avesse chiesto una cosa che non si poteva assolutamente domandare.
Portai indietro dei ciuffi neri e guardai da tutt’altra parte tranne che nei suo occhi.
- L’ho detto, è per pagare le mie spese e per mantenermi, questo è tutto, non c’è nessuna nobile ragione, come la tua, è triste forse da dire e scoprire, ma sono i soldi che mi fanno fare quello che faccio, non c’è null’altro oltre a questo. – non potei fare a meno di usare una voce fredda.
Perché tutti si aspettavano qualche profonda ragione ?
Perché pretendevano frasi che scrivevo soltanto nei miei romanzi ?
- Non credo nell’amore, o almeno in quello per le persone, ma non lo dico perché sono stato ferito o sciocchezze simili, ma è un tema che a tutti piace leggere, è quello che porta più successo e più soldi, per questo motivo opto sempre per quest’ultimo. -
Non ero in grado di dare una motivazione come la sua, lui era un artista, io invece, ero un bugiardo .
Avevo sicuramente usato un tono duro, ma non ero irato con lui, non lo sarei mai stato, solo che per una volta volevo far capire, che non avevo serie motivazioni per scrivere.
Quando ritornai al suo sguardo di ghiaccio, pensavo ad un espressione delusa, di chi magari si era aspettato chissà quale poetica risposta, e invece …. era tranquilla come sempre, anzi sembrava quasi che se l’aspettasse, che non avessi detto nulla da diverso da quello che si era forse immaginato Aprì lo sportello della macchina.
Ero stato uno stupido, avrei sicuramente dovuto dire qualcosa del tipo “ è la mia ragione di vita “.
-Perdonatemi se vi dico che non vi credo.
Se non volete dirmelo non importa, cercherò di comprenderlo.
Se davvero lo fate per soldi, e non credeste in ciò che scrivete, siate certo, non mi sarei fermato un solo minuto nella vostra casa. -
Gli sorrisi di comprensione  e conclusi con un sospiro, poi gli dissi l’ultima cosa di quella serata.
- Laris…- si voltò appena, e aspettò sulla soglia della macchina prima di chiudere la portiera
– So che se ti dicessi di darmi del “ tu “ mi ignoreresti, ma quantomeno … se ti riesce puoi darmi del lei?  Mi fai sentire vecchio e mi sembra di ritornare nel settecento, andrà a finire che per calarmi nella parte incomincerò a mettere camicie con maniche a sbuffo e ornate di pizzi. -
Il suo accenno mi bastò.
Ci salutammo in quel modo, di altre parole non ne servivano.
Alla fine, vinse lui al mio gioco del “detective “ , rimisi in moto la macchina , curvai e andai nella direzione opposta, nella casa vuota, e a quel pensiero è come se sentii un miagolio, quello di Neve, per ricordarmi che solo non ero.
Laris abitava in una via di periferia, non era né troppo povero né ricco a giudicare dal quartiere, ma non avevo scoperto  nulla più di questo, tranne che sapeva pronunciare frasi meravigliose che sembravano scritte da un poeta, e che i suoi occhi alla sera, sembravano ancora più azzurri e più belli.
Venti minuti di macchina per arrivare a casa, trenta per trovare parcheggio, e poi finalmente davanti alla mia porta che però non aprii subito, i ricordi del passato, si fecero largo in quel presente che stavo vivendo.
“ Sei talmente egoista, che morirai triste e solo “
mi ricordò quella maledetta voce, di cui avevo dimenticato il viso
“ Non sai fare niente di speciale, sarai uguale come tutti “
ma la ignorai,era inutile ripensarci dopo tanto tempo, e aprii quella porta, dove ad accogliermi, ci fu il mio gatto nero, che mi rubò con un basso miagolio un vero sorriso e i miei personaggi immaginari, mi donarono un espressione che si avvicinava alla tristezza.
Chissà com’era entrare in una casa e sentirsi dire “ Bentornato “.

In genere i miei quesiti di fine giornata erano di questo tipo:
Chissà dove fanno i loro bisogni gli eschimesi ? “
oppure
Chissà se ritroveranno Atlantide. “
ma quella sera c’è ne fu uno diverso di cui conoscevo appieno le risposte.

Perché scrivevo ?

Scrivevo per sconfiggere la mia solitudine,
perché c’erano cose che a parole non riuscivo a pronunciare,
perché cercavo di ingannarmi di avere ancora dei sentimenti,
per rivalsa a chi mi aveva detto “ Non diventerai mai uno scrittore “
ma soprattutto c’era il motivo più importante di tutti, banale e scontato, che mi sembrava ridicolo perfino dirlo, scrivevo perché non sapevo fare null’altro che quello.
Senza, era spacciato.

 

 

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