Give me a reason to believe.

di Not_Lollipops
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Autobus ***
Capitolo 2: *** 8th Grade ***
Capitolo 3: *** Give 'em hell, kid. ***
Capitolo 4: *** And the collision of your kiss, that made it so hard. ***
Capitolo 5: *** East Jesus Nowhere ***
Capitolo 6: *** You may wake up and notice you’re someone you’re not ***
Capitolo 7: *** I'm trying to let you know how much you mean. ***
Capitolo 8: *** In Too Deep ***
Capitolo 9: *** Tear in my heart ***



Capitolo 1
*** Autobus ***


Autobus 


Mi aggiro smarrita nella scuola, mentre l’eco della campanella si diffonde ancora tra i corridoi; non riesco a trovare l'aula d'inglese. Guardo per quella che dovrebbe essere la centesima volta la cartina stropicciata che ho tra le mani, con la fronte corrugata; nella mia testa, sto maledicendo con foga chiunque abbia stilato questa pseudo-mappa. Questa giornata è iniziata proprio nel peggiore dei modi; ha chiamato mio padre, che era “scomparso” da un pezzo, tornerà nel pomeriggio. Grandioso. Stiro con le mani le pieghe della camicia bianca che indosso, chiedendomi se sia trasparente.

È il mio primo ultimo giorno di scuola, penso accennando un sorrisetto sarcastico: posso farcela. Lancio un’occhiata al lato destro del corridoio, controllando il numero inciso sulla porta di legno dell’aula chiusa. Gioisco tra me e me, camminando a grandi passi per finirla di stare in questo corridoio semi deserto. C’è un ragazzo appoggiato con le spalle agli armadietti blu, seduto per terra, con un braccio poggiato sul ginocchio piegato e l’altra lasciato sulla gamba distesa a tenere un libro. Sta leggendo attentamente, e riconosco la provenienza del romanzo dalla biblioteca. Mi fermo, struscio la converse blu sul polpaccio, rifletto su come comportarmi. Decido di non farci caso. Focalizzo tutta la mia attenzione sul camminare nel modo più naturale possibile, facendo finta che non esista.

Con i libri in mano, lo supero e mi guardo indietro, sì, mi sta proprio fissando. Sento il suo sguardo sulla camicetta che indosso, come se volesse attraversarla con gli occhi, semichiusi e incuriositi, dei brividi mi percorrono la schiena. Lo osservo meglio: i capelli un po' lunghi gli incorniciano il viso, spettinati e puliti. Noto un piccolo tatuaggio sul polso, sembra una scritta ma non riesco a distinguere le parole. Lui restituisce lo sguardo senza sorridere, sembra annoiato. Assottiglia gli occhi ancora, mi studia a sua volta, imbarazzandomi al punto da farmi abbassare lo sguardo. Mi accorgo improvvisamente di dover varcare la soglia, e un po’ a malincuore entro in aula.

Siedo all'ombra del mio albero da quasi un'ora, la pausa pranzo sta quasi per finire. Il mio sedere inizia ad appiattirsi, costringendomi a muoverlo di tanto in tanto, ma la trama del romanzo comincia ad infittirsi e non ho proprio voglia di scoprire cosa succederà ad Oliver sul bus. Quasi non avverto quello che succede intorno a me, se mi concentro riesco ad estraniarmi quasi del tutto.

Adocchio il ragazzo di stamattina sulle gradinate che è intento a finire il suo pranzo. Devo ammettere che è molto carino, tutto sommato, ed il piercing all'angolo della bocca è piuttosto attraente. Addio concentrazione.

Mentre lo sto studiando indisturbatamente da lontano, uno dei gorilla, quello biondo, gesticolando e ridendo ad alta voce, in modo arrogante gli lancia qualcosa che si va a posare ai suoi piedi. Lui non reagisce e scansa l'avanzo del sandwich con un calcio noncurante, una smorfia appare sul suo viso. Lo stesso ragazzo di prima gli urla qualcosa da lontano, che fa sbellicare dalle risate l’altro seduto accanto a lui. Lui semplicemente alza il dito medio e risponde a tono, per poi prendere un sorso della sua bottiglia d’acqua.

Stendo le gambe davanti a me ed incrocio le caviglie. Lo sto fissando ancora, forse solo un pochino. Il ragazzo mi guarda, sposto velocemente lo sguardo e ritorno al mio libro, diventando di un colore simile al bordeaux. Con la coda dell’occhio lo vedo sorridere; probabilmente sa che stavo fissando proprio lui.

Il bus è in ritardo. E di quasi mezz'ora. Mi alzo di nuovo dalla panchina e cammino nervosamente avanti e indietro. Di questo passo non riuscirò a vedere mio padre. Il ragazzo del cortile è seduto sul muretto, sta fumando una sigaretta tranquillamente mentre legge, per niente toccato dal fatto che il mezzo sia in ritardo, a differenza mia. Mi alzo dalla panchina di ferro con uno sbuffo, cammino per poco, lanciando con i piedi qualche sassolino che mi capita sotto tiro. Alla quinta volta che struscio la scarpa sull'asfalto per il nervosismo, lui mi lancia un'occhiata, controllo l’orologio sbuffando sonoramente; corrugo di nuovo la fronte provando di leggere il titolo del libro che ha in mano. Schiocco la lingua non riuscendoci.

E va bene, stai calmo Cime Tempestose. Mi siedo di nuovo e fisso le mie unghie, il pollice l'ho devastato durante l'ora di matematica, che alla fine non è andata tanto male.

“Cosa hai fatto al labbro?"- chiedo al ragazzo- "C'è un taglio." porto automaticamente il pollice sul mio labbro, mimando il tragitto che percorre il taglio, un po’ sbilenco, dall’alto al basso.
"Un pugno."- dice calmo con la sua voce vellutata, ritorna al suo libro leccandosi le labbra e incrocia la caviglie.
"Ha sanguinato?"-chiedo incuriosita
"Poco."- loquace.

Mi siedo e poggio il mento sul mio pugno chiuso e lo guardo per un po'. Si stiracchia, facendo alzare un bordo della camicia che scopre una piccola parte di pelle leggermente bruna, posa il libro nella sacca blu messa ai suoi piedi. Gioca un po’ con il labret lucente, restituendo lo sguardo. Ha delle belle labbra.

"Chi t'ha dato quel pugno?"
"Non è niente di che." - dice alzando le spalle- "Proprio niente di cui preoccuparsi." Capisco che non ne vuole parlare e non insisto, non mi piacerebbe se qualcuno facesse il ficcanaso con me.
 
"Ti piace il libro?" - domanda alzandosi dal suo posto sul muretto.
"Ah-a. Se vuoi te lo presto."
"Ho già letto Oliver Twist." - prende il libro dalla panchina e lo esamina.

"Quanti anni hai?" - chiedo fingendo noncuranza
"Quanti me ne dai?"- Bel colpo.
"Abbastanza da fare un tatuaggio."
"Sveglia." - sorride posando il libro- " E carina. Perché parli con gli sconosciuti?" - finge un tono di rimprovero e il suo sorriso si allarga.

Le mie guance diventano scarlatte. “Perché gli sconosciuti parlano con me” – ribatto con un filo di voce.
Vorrei replicare, ma prima di poter formulare una qualsiasi altra risposta lontanamente accettabile, sono già salita sul bus e seduta su uno degli sporchi sedili. Lui si trova qualche posto più indietro e sento il suo sguardo sulle spalle. Si alza e si siede proprio di fianco a me, non facendo sfiorare le nostre braccia, ma comunque abbastanza vicino da potermi toccare con libertà.

Si sfila una cuffietta bianca, che ha all’orecchio, che fa un rumore indistinguibile ma pur sempre riconoscibile, una melodia un po’ triste forse con qualche accenno di chitarra. Con un gesto deciso riusce a infilarla nell’orecchio, sfiorandomi per un attimo la massa di capelli castani. Adesso la melodia è molto più chiara, e prende una piega malinconica come quella delle vecchie canzoni, mentre una voce un po’ nasale cantava qualcosa di triste e un po’ melenso. Nessuno dei due parla, non c’è molto da dire, le case e i viali scorrono indistinti mentre guardo fuori dal finestrino immortalando mentalmente l’effetto dell’ombra pomeridiana sulle cose.

Una canzone adatta ad una giornata così, il suo profumo invade le mie narici e lui gioca con le dita mentre la voce conclude un verso e parte un assolo.

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Capitolo 2
*** 8th Grade ***


8th Grade

Cammino lentamente per il costole nel tardo pomeriggio, con il cappuccio tirato sulla testa, le mano destra infilata nella tasca se ne libera per tirare la maniglia gelida, aprendo la porta. Dopo aver girato l’angolo, mi avvicino all’armadietto, prendendo i libri di letteratura e ficcandoli controvoglia nello zaino.  Guardo il libro che è caduto, storcendo un po’ le labbra sulla copertina di Oliver Twist raccogliendolo. Non faccio che pensare a quel ragazzo, è un po’ difficile da spiegare quando ti chiedi come stia una persona che non conosci.  Penso sia empatia quella che lo ha spinto ad avvicinarsi e a farmi ascoltare quella bella canzone, mi ha fatto stranamente piacere ,per una volta, che il mio spazio personale sia stato violato così spudoratamente. Non lo vedo in giro da un po' di giorni e mi preoccupa questa specie di ansia che provo quando non è nei dintorni. No, non posso davvero preoccuparmi per qualcuno che davvero-non-definitivamente-conosco. Abbiamo scambiato solo qualche occhiata fugace nei corridoi, in questi giorni, è nella mia classe di letteratura e l’ho ascoltato leggere qualche giorno fa.


Sospiro amaramente, svuotando la mente dall’immagine del ragazzo per concentrarmi sulla bruciante disperazione che mi infligge spietatamente la prospettiva di studiare per il compito di algebra. Metto lo zaino in spalla, salendo le scale, avviandomi nell’aula di inglese per cercare gli appunti lasciati sotto il banco. Strascico le scarpe quando li trovo sulla cattedra del professore, sistemandoli e ritornando indietro.

"Non mettere le mani sul fuoco, ti brucerai Pansy"- una voce maschile riecheggia nei corridoi, strano. Mi dirigo verso la voce, salendo a due a due i gradini, al secondo piano. Incrocio i gorilla* sulle scale, che scendono velocemente parlando, hanno dei segni lividi in viso, ferite fresche di una specie di rissa. Quello biondo è messo peggio dell’altro, si ritrova con un sopracciglio sanguinante e uno zigomo livido, la sua divisa è stropicciata e alla camicia manca qualche bottone.

Ciondola vicino gli armadietti malconcio, si tiene l'addome a testa bassa, scivolando fino a terra. Vedo del sangue colargli dal naso, che asciuga con il dorso della mano, sporcando il polsino della divisa. Non va bene, non va affatto bene. Alza gli occhi e li incatena ai miei; sembrano quasi degli infiniti e magnetici pozzi verdi, cerca di sorridere distendendo le labbra, ma quello che dovrebbe essere un sorriso si tramuta in una smorfia di sofferenza . Siamo forse gli unici a scuola a quest’ora e non posso credere a quello che ho visto.

"Hey." -abbozza con tono sommesso, alzandosi in piedi. Gli guardo le nocche livide, tremanti e ricoperte di sangue non suo. Collego mentalmente i due che ho visto prima, rimanendo non poco sconvolta.
"Che cazzo hai fatto." gli prendo le mani e lo guido verso i bagni maschili. C'è un odore di piscio tremendo, che ci invade appieno quando entriamo, dandomi il voltastomaco. Raccatto un po’ di carta igienica, che uso per fermare il sangue dal naso.
"Sai cosa?" - non gli presto attenzione mentre si lava le mani, rendendo il lavabo di un colore cruento all’inizio e alla fine scialbo, perché il sangue che cade di un colore rosso intenso ma poi si mescola con l’acqua, sviando in un colore quasi arancione. - "Non so nemmeno qual è il tuo nome." Chiude il getto d’acqua scuotendo le dita, le mani adesso sono solo un po’ scure rendendomi certa che il sangue non era suo.

Gli tocco ancora il tampone che ha infilato nella narice destra, zuppo, lo tolgo e cerco di metterne uno nuovo; anche se il sangue non fuoriesce più come prima.
 
"Non muoverti." -gli ordino mentre lo tengo fermo una mano dietro la nuca.
"Uhm... non muoverti." -sembra riflettere- "È un bel nome. Io sono Frank."
Alzo gli occhi al cielo. "Bene, Frank, dovresti smetterla di fare a botte."

Sento il suo fiato caldo sul collo mentre gli pulisco la guancia, tolgo ancora una volta il tampone dal naso, assicurandomi che non ci sia più sangue. Il mio cuore aumenta impercettibilmente i battiti mentre si avvicina ancora di più a me, bloccandomi tra il muro lercio del bagno e il suo corpo.  Mi sento in trappola, sudando freddo, capendo che potrebbe riuscire a…

"Com'è che ti chiami, allora?" ripete visibilmente più scocciato.
"Carter, va bene? Che cazzo di casino che hai fatto."- mi scosta da lui ritornando al lavabo per bagnarmi la faccia.
"Sopravvivrò, dottore? Ho una moglie e dei figli a casa. Chi provvederà a loro?"- finge in tono disperato.
"Chi è stato?"- chiedo di spalle mentre mi lavo le mani.
"Nessuno. Okay? Nessuno, Cristo."- sbuffa allontanandosi da me. Frank prende posizione con le spalle al muro e incrocia le braccia, infastidendo il cardine di una porta del cesso, per poi staccarlo con un calcio.


"Bene." - sputo arrabbiata. "Bene." - ripeto.
"Non sei tenuta a preoccuparti per me Carter, so cavarmela anche da solo"- borbotta Frank masticando il mio nome.
" Togliti la maglietta."- chiedo più gentile
"Se vuoi farlo, almeno chiudiamo a chiave."- ammicca 
"Voglio vedere… quello che ti hanno fatto." -spiego. Frank si irrigidisce.

Fa come dico e si toglie la maglietta riluttante, quando riesco ad avere la piena visuale del suo addome stringo le labbra, mordendomi il labbro inferiore; è anche peggio di quello che m'aspettavo. Un livido scuro e informe gli maschera l'addome piatto come una macchia di sporco rossastro sulla sua pelle diafana. Stringo le labbra e contraggo la mascella nervosa, per quello che è successo, per quello che sto guardando.  Mi avvicino cautamente. 

"Contenta?" - Frank sorride ma appena incrocia il mio sguardo preoccupato abbassa gli occhi- "Non è un grande spettacolo." borbotta

Non dico niente e gli sfioro la parte malconcia, abbassandomi. Trattiene il respiro e non so se per il dolore o le mie dita fredde. Alzo gli occhi su di lui inespressiva, cercando un segnale da parte sua; qualunque cosa che mi dia una risposta. Mi guarda in attesa di una sentenza, come un condannato senza speranza alcuna. Continuo senza una parola con il mio tocco leggero, sfiorando con l’indice i contorni e le zone più scure vicino i fianchi. Arrivo alle costole e mi fermo, sollevando le dita meccanicamente, ancora invasa dai pensieri più brutali. Sospiro.

"Ad alcune ragazze piace giocare alle crocerossine, Frank. Ma questo è terribile."- detto questo con le dita gli giro il viso e presto attenzione al suo naso, togliendo il tampone che ormai non serve più. Mi guarda intensamente, mentre controllo ancora i tratti del suo viso stringendo di tanto in tanto le labbra. Non abbassa lo sguarda al mio contatto visivo,  spudoratamente serio in una situazione impacciata, come se dovesse rispondere ad una domanda implicita cala lentamente le palpebre, infilandosi le mani in tasca.

"Chi è stato, Frank?"- chiedo sulle sue labbra, non riesco a fare a meno di pensare a quegli idioti che ho incrociato sulle scale.
"Nessuno." - mormora- "Ce le siamo suonate, capita.”

Noto che sulla sua pelle si forma la pelle d'oca. Gli passo la maglia e cautamente la indossa, aggiustandosi con la mano destra i capelli in un gesto veloce. Usciamo dal bagno distanti, lasciandoci alle spalle quello sfarzo di intimità avuto poco prima. Ora è ripulito e distante come lo sconosciuto che è nei miei confronti, senza troppi giri di parole mi da le spalle e inizia ad allontanarsi. 

"A domani." – bofonchia senza guardarmi, asettico mentre strascica le scarpe contro il pavimento e già spero sia una promessa. Resto per poco sul mio posto, ancora ragionando su quello che è appena successo senza riuscire a spiegarmi il perché delle mie azioni, vorrei dare la colpa ai gesti compassionevoli e generosi che non ho mai avuto e forse mai avrò. Mi avvio verso l’uscita nella direzione opposta, con lo zaino che sembra sempre meno pesante mentre mi perdo nel mio stesso flusso di pensieri. Varco l’uscita distratta, mentre una macchina malconcia imbocca l’uscita dal parcheggio lasciandomi intravedere Frank al volante.


*8th Grade= è una canzone dei Pencey Prep scritta da Frank sugli abusi che subiva, ve la consiglio

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Capitolo 3
*** Give 'em hell, kid. ***


Give ‘em hell, kid.


Il tiepido sole di ottobre scalda i miei piedi, inclinando leggermente la testa osservo un flebile raggio di sole. Siedo sotto Ivy il mio albero preferito in tutto il cortile,  che ho rinominato così perché staziona proprio di fronte al muro ricoperto d’edera (da qui il nome ivy) della scuola. I jeans sono un po' sporchi di terra, che fortunatamente non è umida, ma non me ne preoccupo affatto. Ho terminato il romanzo e ne ho preso un altro alla biblioteca che mi sta appassionando velocemente, è il momento cruciale del mio libro, i detenuti sono in procinto di evadere dalla prigione. Mentre giro la pagina, un'ombra sinuosa mi oscura la vista, alzo la testa chiudendo un occhio, per mettere meglio a fuoco. Con mia grande sorpresa, è Frank. Mi sorride e ricambio. 

"Ciao, Carter." - sussurra in modo delicato. Dei brividi mi percorrono la spina dorsale. Rispondo con un cenno della testa, osservandolo mentre si appoggia con la spalla contro la quercia. 
"Puoi sederti." – gli dico: trova un po' di posto sotto l'ombra della quercia, stendendo le gambe vicino le mie. Incrocio le caviglie, mi sento a mio agio con lui accanto, non c’è alcun tipo di imbarazzo, mi piace.

"Che libro è?"- si sfila gli occhiali da sole e indica il volume, glielo passo e lui legge il titolo ad alta voce, sorridendo poi.
"È una splendida giornata." - affermo incrociando le dita in grembo.
"Puoi dirlo." - posa il libro sul manto d'erba e sistema il braccio sotto la nuca.

Gli fisso il labbro, il taglio si è quasi rimarginato. Nota il movimento veloce che i miei occhi compiono dal labbro al taglio sulla guancia. Il ricordo del pomeriggio di qualche giorno prima riaffiora nella mia mente, arrossisco leggermente, quasi colpevole per averlo incoraggiato a spogliarsi. Si accorge anche di questo e con un movimento delle sopracciglia mi rassicura, come se mi stesse leggendo la mente. 

"Io volevo ringraziarti, per... uhm, be', lo sai."- tentenna in modo delizioso
" È okay, Frankie." – dico con lo sguardo rivolto all’edera rossastra, che mi ricorda la mia vecchia casa a Philadelphia. 
" Frankie?” - dice piano un po’ stranito o forse piacevolmente sorpreso, facendomi ridere. Un altro punto per te.



Sono quasi le sei quando ritorno a casa, tutto è tranquillo, probabilmente la mamma è con Scott, il suo compagno da quasi due anni. Dopo il divorzio la mamma ha fatto poca fatica nel rimettersi in piedi; i primi tempi erano duri, non avevamo più sostegno economico e senza la presenza di mio padre la casa era più silenziosa e strana che mai. Trasferirci da Philadelphia a Belleville era una sfida per entrambe, ma sapevo e so tutt’ora che è stata la decisione giusta. Troppi ricordi in quella casa ci angosciavano e una coltre invisibile di rimpianti copriva tutto quello che toccavamo. Non so se mi piace Scott, non è cattivo, figuriamoci, ma penso che provochi un senso di repellenza per tutti quelli come me; vedere la propria madre dopo tanto tempo con un altro uomo fa sempre strano. Forse non è colpa sua, o di mia madre, non è colpa di nessuno, suppongo. 

Controllo il cellulare; niente di nuovo. Stupidamente mi aspettavo qualche messaggio da parte di Frank, l'ho incrociato a scuola molto poco da quando abbiamo parlato all'ombra dell’albero in cortile. Sono piuttosto preoccupata per i pestaggi, non sono certa che quella sia la prima volta che fa a pugni; non riesco a capire se è una specie di capo espiatorio quello che fa, che abbia bisogno di sfogarsi così? O magari, subisce una serie di pestaggi? Quel soprannome poi, Pansy , mi perseguita di continuo nei sogni. Sogno sempre più spesso di sentire la voce di qualcuno, una voce familiare ma che non riconosco, che lo ripete più e più volte. Mi piace Frank, non voglio che si faccia male, non voglio che sia costretto a incassare colpi o a darli. 

Preparo qualcosa da mettere sotto i denti e accendo la televisione. Riempio la scodella con dell'acqua  per Elmo, il mio gatto, e inizio a ripetere fisica per l'interrogazione. Sto leggendo la terza pagina del paragrafo quando il telefono squilla, leggo il nome sul display col fronte corrugata; è Frank.

'C'è un concerto, stasera.' - dice dopo qualche scambio di convenevoli - 'Suono con la mia band... ti andrebbe di, insomma, venire?'
'Mi piacerebbe, Frank. Come vi chiamate?' -chiedo interessata
'My Chemical Romance.' -dice con fierezza e un pizzico di orgoglio- 'Ti piacerà’
'Carino.'
'Ci vediamo tra un paio d'ore, volpe. Meglio che ti prepari.'
Frank mi avverte che passerà a prendermi, poi stacca la chiamata. Che nome strano e molto particolare per un gruppo, sono sicura che non si tratta di pop scadente, non è la cosa che piacerebbe a Frank… o a me.

Un'ora dopo siamo all'entrata di uno stabile abbandonato, preparato appositamente per il concerto, dopo esser scesi dalla macchina di seconda mano di Frank che lui guida con serena esperienza . Ci sono già alcune persone in giro, molte delle quali radunate vicino a quello che funge da bancone da bar con tanto di barista. Frank rivolge alcuni cenni di saluto a delle ragazze e qualcuna gli si avvicina anche per l'autografo. Inutile specificare che non mi piacciono e non piace il modo in cui lo guardano o come fanno mostra di loro stesse, mentre cinguettano quando gli parlano. 

'Porca Puttana, quella cazzo di cameriera è una puritana con la lingua lunga. Lo ha detto a tutta Belleville, te lo assicuro, ci credo che Ray è andato in bianco.'- una voce nasale urla per il backstage, qualcuno impreca di non trovare un calzino.
'Fottiti Gerard!' - urla un'altra voce
'A quello ci pensa Frank, Ray caro!' - il proprietario della voce si avvicina a noi e bacia con irruenza Frank sulle labbra, con accenni di lingua, costringendo il moro a lasciare la mia mano per respingerlo. Dopo che si sono staccati entrambi ridono.
'Non è vero, Frank?'
‘Sei arrivato al massimo alla seconda base con quella'- commenta l’altro.

Mi sento improvvisamente fuori posto notando quanto sia differente rispetto a loro, non avverto nessuna sorta di familiarità, mi sento come un’intrusa tra quei ragazzi che ridono e si scambiano battute. Mi metto dietro Frank, quasi nascondendomi, lui sembra accorgersi della mia insicurezza e mi prende la mano spontaneamente.

'Frank, chi è questa?' - dice il ragazzo del bacio, indicandomi in modo infantile. Ha i capelli del colore della pece lunghi fino a toccare le spalle, la pelle invece è pallida solo un po’ rosea sulle guance. I tratti del viso sono femminili, anche troppo delicati trattandosi di un ragazzo. Storce il naso all’insù squadrandomi sfacciatamente con gli occhi di una pallida sfumatura verde, per poi mostrare un sorrisetto quasi ironico scoprendo piccoli e bianchi denti a schiera.

“Carter, ti presento il mio amico poco educato Gerard Way, voce del nostro gruppo.”
“Piacere di conoscerti.”- dico subito. Gerard mi porge una mano candida, mentre con l’altra regge una lattina. 
“Il piacere è mio, Carter.” – replica gentile, subito dopo prende Frank per una manica per condurlo fino all’altro lato della stanza. I due si parlano accesamente, discutendo e gesticolando con foga. Alla fine Frank replica con qualcosa che non riesco a sentire, facendo voltare Gerard che risponde al ragazzo fissandomi negli occhi. E’ palese che stanno discutendo su di me.

"Devi scusarlo. Non è molto avvezzo alle relazioni sociali."- dice sarcastico un ragazzo ricciuto con un sorriso gentile.
"No, è okay.'- replico con una scrollata di spalle –“Carter."
“Ray. Lui è Mikey, il nostro bassista e fratello di Gerard, e il batterista si chiama Bob.”

Dopo avermi presentato tutti i componenti della band, parliamo del più e del meno, scopro che ha un fratello e che andava a scuola con Gerard, è più grande di Frank di qualche anno e abita poco lontano dalla piazza. Gli altri due ragazzi ritornano verso il gruppo, sciogliendo la loro “riunione” come se non si fossero mai parlati; Frank mi mostra la sua chitarra con eccitazione febbrile, dandomi informazioni su diversi particolari che la distinguono da quella di Ray.

“Frank, dammi una mano con il trucco.”- ci interrompe Gerard, mentre va verso gli specchi con un rotolo di nastro adesivo.
“Posso aiutarvi io.” - dico guardando gli altri ragazzi.

Ray, Bob e Mikey non sono soliti truccarsi e quindi passo subito a Gerard, che mi spiega con precisione come devo mettere il nero e fare attenzione al cerone che macchi i vestiti. Quando si guarda allo specchio è entusiasta, quindi toglie il nastro adesivo, che serviva per tracciare una fascia sugli occhi ben definita. Fa una specie di inchino, ringraziandomi e poi si allontana cercando la cintura dei pantaloni. Quando arriva il turno di Frank lui ghigna mentre si allaccia con gesti veloci la cravatta al collo, in procinto di fare il nodo.

“Fermo.”- mormoro a pochi centimetri dalle labbra di Frank – “Fermo.” - ripeto.
“Frank!”- lo rimprovero ad alta voce, con il pennello per l’ombretto a mezz’aria trattenuto fra l’indice e il medio a mo’ di sigaretta –“Smettila di sorridere, Cristo.”- Gerard mi schiocca un'occhiata divertita e Mikey ride, mentre accorda lo strumento.
“Fa' il bravo.” - sussurro piano facendolo sentire solo a noi due, gli dico che ho quasi finito mentre segno le due X sulle palpebre.

Gli prendo il mento tra le dita e lo giro, cercando qualche eventuale sbavatura. Lui si stringe la cravatta e abbassa il colletto della camicia, allacciando un braccio ai miei fianchi. "Perfetto"- sorrido a Frank che ricambia dopo essersi squadrato allo specchio. 

Gerard raduna i ragazzi e li incoraggia “Diamogli l’inferno, ragazzi.”

I My Chemical Romance sono pronti
.

Writer's corner:
Okay, terzo capitolo. Che ve ne pare? Sono entrati in scena anche gli altri, e soprattutto Gerard avrà un ruolo preciso nei prossimi capitoli, fantastico! Haha. Non esitate a lasciare recensioni, perché insomma, ve se ama raga. Ora evaporo vvb xx  

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Capitolo 4
*** And the collision of your kiss, that made it so hard. ***


Writer’s corner: Eccomi qui, ho scritto sforzandomi al massimo (l’ho modificato un po’) e spero vi piaccia- non so quando potrò aggiornare di nuovo perché a scuola è un casino. Lasciatemi una recensione, spero davvero che non sia troppo ripugnante questo capitolo haha!


And the collision of your kiss, that made it so hard

Si muove sul palco con una sicurezza innaturale, è semplicemente fantastico. Socchiude la bocca mentre le dita scorrono velocemente sulla chitarra; è ancora meglio di quello che avevo immaginato. Mentre lo osservo incuriosita, Frank alza lo sguardo e mi sorride con l’atteggiamento di chi la sa lunga, alza le sopracciglia e mima con le labbra un “Ti piace?”. Mentre la voce melodica di Gerard fa muovere energicamente sia le persone sul palco che quelle di sotto, Ray termina il suo assolo con la fine della canzone, scatenando il delirio generale; il cantante del gruppo saluta la folla schioccando un bacio e lanciandolo teatralmente al pubblico. Vengo schiacciata tra un ragazzo e un pilastro brutalmente, scosto i capelli che si appiccicano al collo sudato, alzando gli occhi verso i ragazzi. Quando la folla inizia ad ammassarsi contro il palco, Frank mi fa un cenno con la mano in direzione degli spogliatoi, indicandomi di aspettarlo lì.

“SEI STATO ASSOLUTAMENTE FENOMENALE, IERO” – Gerard entra nei camerini spalancando la porta- “FAREMO IL BOTTO A NEW YORK, FIDATEVI.”

“E’ stato fantastico, sì”- concorda l’interessato mentre si guarda intorno, cercando con lo sguardo qualcosa. I suoi occhi sorridono appena arriva a me, allora capisco cosa cercava o meglio chi. Si avvicina schioccando la lingua contro il palato “Allora?”

“Niente male per uno come te.” – fingo altezzosa socchiudendo appena gli occhi
“Uno come me?”- aggrotta le sopracciglia confuso

Mi avvicino sussurrando “Assolutamente fenomenale” gli prendo una mano nelle mia “Voglio farlo ogni santa sera” – Mi cinge la vita con una braccio “Allora lo faremo ogni santa sera”. Sbianco appena capisco quello che intende. Un altro maledetto punto per te. Gli bacio una guancia cercando di tenere a freno il sangue che affluisce alle guance e i crampi allo stomaco. Scioglie la sua mano sinistra della mia per allacciarla con l’altra al mio bacino.Oh Dio. Un colpo di tosse ci fa staccare di scatto, mi allontano come se il contatto con la sua pelle m’avesse scottata, Frank guarda seccato Gerard che sparisce dietro le porte del bagno, dopo aver tossito sonoramente.

“Andiamo a mangiare?”- domanda retorico il ragazzone biondo sdraiato sul divano
“Pensi solo al cibo tu”- risponde il moro alla mia destra infastidito, avviandosi verso il bagno “Vado a pisciare e andiamo. E che cazzo, fammi fare almeno una cristo di doccia” – quest’ultima frase mi fa sorridere
Mentre sta per aprire la porta si gira, come se si fosse appena ricordato qualcosa d’importante, mi sorride ingenuamente; un agnellino. “Esco subito, fa’ come se fossi a casa tua”


“ Il grasso della carne fa male, lo dico e ripeto. Pensate a quei cazzo di animaletti indifesi !”
“Se volessi pensare a un cazzo di animaletto indifeso, penserei al mio cazzo di stomaco, che sta MORENDO DI FAME!” – replicò quel bestione di Bob facendo ridere noi e ammutolire Frank
“La prossima volta ordiniamo pietre, sei contento così?” – Gerard ghigna sarcastico.

Puliti e profumati, per quanto possibile, i ragazzi ed io stringiamo le chiappe distribuendoci alla meglio sulle due panche del pub appartato all’angolo di una strada secondaria. Gerard fa segno alla cameriera di riempire i bicchieri, io mando giù un altro sorso della mia cocacola ghiacciata sorridendo per una battuta di Frank, che mi cinge le spalle con un braccio. La ragazza che ci serve fa gli occhi dolci a Gee, che la ammalia con le sue notevoli doti di seduzione; è innegabile il fatto che sia molto carino.

“Non ne vuoi tu?” – domanda il frontman indicando la bottiglia di birra- “Non è che ti ha messa già incinta, eh?”
“Faresti meglio a chiudere quel cesso, tu” – replica Frank prendendo le mie difese, sorrido scuotendo la testa
“Al massimo, sei tu che mi metti incinto lui... Farei meglio ad essere gelosa, Ray? ”

L’ilarità generale dopo la ma ultima uscita fa girare un paio di clienti. Grazie Dio per avermi dato il senso dell’umorismo di mio padre. Gerard sorride “Touchè” mormora con un cenno. Decidiamo di andarcene passata la mezzanotte, mentre più gente inizia a riempire il locale.
 
Mi stringo nella giacca, ficcando le mani nelle tasche dei  pantaloni, sento il calore del corpo di Frank, che mi circonda entrambe le spalle con un braccio. Osservo le ombre delle nostre sei figure che camminano al centro di una stradina mezza deserta. E’ tardi. I ragazzi parlottano tra di loro, a tratti lamentandosi del freddo, ma a me piace questo tipo di clima, mi ricorda la mia infanzia a Philadelphia.

“E Gerard com’è che tu non hai una ragazza?”- domando sperando di non essere troppo maleducata
“Non te l’hanno detto?!” – Mikey si porta una mano al petto teatralmente drammatico – “E frocio fino all’osso”
“Ti piacerebbe!” – replica il ragazzo con il tono più snob e altezzoso che riesce a fare, ubriaco perso – “La verità è che non mi serve nessuno. Non mi serve una cazzo di puttana come serve a Frank, anzi! “

Il braccio di Frank  che un momento prima era appoggiato fermamente sulla mia schiena, adesso spinge il ragazzo con un’irruenza inaspettata, che indietreggia barcollando, sbronzo.

“Dillo un’altra volta se hai il coraggio, FIGLIO DI PUTTANA!” – urla Frank, facendomi impallidire – “E’ TUTTA LA SERA CHE MI ROMPI LE PALLE! COSA CAZZO VUOI? EH? STAI ANCORA MALE PER QUELLA E TE LA PRENDI CON ME?! SEI UN EGOISTA”

“TU! E’ SOLO COLPA TUA!” sbraita Gerard indicando Frank- “SEMPRE IL SOLITO! NON RIESCI A STARE DA SOLO! HAI BISOGNO DI SCOPARE EH? NON VOGLIO PUTTAN-“

Prima che riesca a finire la frase, il ragazzo si ritrova a terra, si tiene la guancia appena colpita dal pugno dell’amico. Riesce ad alzarsi e a restituire appena il colpo, facendo aprire e sanguinare il labbro di Frank, prima che gli altri dividano i due. Gerard vomita, tenendosi sulle ginocchia, l’altro sputa a terra un po’ di sangue. “SIETE DUE CAZZONI, BASTA ADESSO”- urla Bob, prendendo il controllo della situazione

“Carter, puoi arrivare a casa da sola? E tieniti questo con te, altrimenti li meno io!” – Ray spinge il moro dalla mia parte, gli prendo la mano e mi volto, dimentico di salutare gli altri mentre trascino Frank che urla ancora insulti rivoltanti alle mie spalle.

“Smettila, adesso!” – strattono il braccio del ragazzo- “Mi hai sentita? B A S T A!”
“Non…capisci, non puoi capire” – adesso camminiamo a distanza entrambi infreddoliti. Superiamo velocemente alcune case, tutte a luci spente, arrivando alla mia mentre il silenzio della strada ci intima a parlare a bassa voce.


“Non dovevi colpirlo, sei stato brusco” – ci fermiamo davanti alla porta, cerco le chiavi nella borsa in fretta
“Senti, io … mi dispiace, per tutto. Non volevo t’insultasse e poi l’hai sentito no?”
“Lo so, non volevo crearti problemi con la band e tutto” – apro la porta.
“Ora devo andare… sei arrabbiata con me?” – mi guarda tutto latte e miele, le mie ginocchia potrebbero cedere a momenti. Con il cuore in gola scuoto la testa- “A parole.”- mi intima lui
“No, figlio di puttana, non sono arrabbiata. E sanguini di nuovo”
“Starò bene, ho solo bisogno si smaltire la cosa..” – dice sorridente con un gesto noncurante della mano

Sto per chiudere la porta, quando Frank mi attira a sé determinato a baciarmi, scosto la faccia facendogli sfiorare con le labbra la mia guancia, sento il suo ghigno mentre mi morde il collo. “Nemmeno un bacio per questo povero ferito?” – sussurra strofinando il naso contro l’incavo del mio collo

Gli tiro i capelli alla nuca, mentre mi sostiene con le mani immobili sui miei fianchi, borbotta qualche imprecazione con voce rauca facendo scontrare le nostre bocche in un bacio passionale. Il sapore umido e caldo della sua bocca mi investe come un camion, mentre chiudo gli occhi. Sto decisamente sul punto di morire, cazzo. Porto le mani al suo petto e con decisione lo spingo via “A nanna, delinquente!” – ridacchio

Mi ruba un altro bacio sull’uscio della porta, contro lo stipite, e ridacchia bloccandomi con le braccia.
“Allora ti piaccio.” – afferma più a se stesso che a me
“Nah.” – ghigno, scivolando via dalla sua presa e chiudendo di scatto la porta alle mie spalle. Avverto la sua risata dall’altra parte della porta, e tiro un sospiro lunghissimo. Spio dalla finestra della mia stanza Frank, che cammina allontanandosi e sorrido tra me e me prima di andare a letto.

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Capitolo 5
*** East Jesus Nowhere ***


 

East Jesus Nowhere


Starnutisco rumorosamente, portando le mani alla bocca. Una giornata autunnale ,come tante altre di una lunga serie; a Belleville sono già le sette di sera e il mio turno sta quasi per finire .  E’ tutto così polveroso e si gela in questa dannata stanza. Qualche spiffero passa attraverso le maglie del mio pullover verde acqua, facendomi rabbrividire. Sollevo lo scatolone che mi serve con un po’ di sforzo, contenente i libri da mettere al loro posto ed esco dal magazzino. Attraverso la sala principale della biblioteca, cercando di non inciampare nelle borse delle persone che sono sedute. Mi godo il calore della sala enorme, quasi vuota, e del resto, chi va in biblioteca il venerdì sera? Qualche occhio annoiato solleva lo sguardo dal tomo che ha davanti e mi guarda, magari cercando di capire se ho bisogno di una mano o meno. Non scomodatevi prego, tutta questa galanteria mi strugge il cuore. 

Mi rifugio dietro il vecchio bancone di legno, dove di solito passo le ore di lavoro, mentre leggo o studio. Le mie normali occupazione sono registrare i libri dati o ricevuti e rimettere a posto tutto dopo l’orario di chiusura; ma adesso devo cercare un po’ di spazio per dei vecchi libri ammuffiti dell’altro secolo ,che mi fanno starnutire, tra gli scaffali. Entusiasmante. Lascio cadere la scatola sul pavimento che fa un rumore del diavolo, qualcuno dei presenti si gira di nuovo, alzo le spalle a mo’ di scuse. “Tutto bene John!” –rassicuro il mio “capo” che si affaccia dalla sezione romanzi. Mi siedo sul pavimento, cercando di mettere al loro posto i libri con l’etichetta mentre sposto gli altri.

Starnutisco di nuovo e impreco tra i denti, passa qualche minuto, poi sento il campanello della porta suonare che avvisa dell’arrivo di un altro caso disperato per l’imminente compito di letteratura o vattelappesca. Un colpo di tosse richiama la mia attenzione, alzo la testa verso l’alto , rivolta all’altro lato del banco. “Posso aiutarla?”- mi alzo in piedi  e stringo la coda di cavallo, scostando con le dita gelide qualche ciuffo di capelli che mi finisce in bocca.

Il ragazzo che ho di fronte si abbassa il cappuccio del giubbotto, mostrando i capelli corvini e le gote arrossate per il freddo, Gerard mi guarda appena mentre si mordicchia il labbro inferiore, visibilmente nervoso e per niente a suo agio. L’ho visto due settimane fa, il giorno dopo l’uscita con il gruppo e la “rissa con Frank”, che camminava verso la fermata dell’autobus. Le mie sopracciglia si avvicinano mentre corrugo la fronte, sto per chiedergli perché diavolo si trova lì ma, appena un secondo prima che dalla mia bocca aperta esca un suono, il ragazzo mi anticipa. “Possiamo parlare?” – annuisco perplessa e lo raggiungo dall’altro lato del tavolo. Mi segue con la mani in tasca e si guarda intorno senza fare alcun rumore, mi domando come abbia fatto a sapere quando e dove lavoro.

Ci sediamo al tavolo nell’angolo, proprio dove si concentra il calore della sala, studiandoci a vicenda in silenzio. “Ti chiederai per quale motivo sia qui” – dice atono, incrociando le dita lunghe e sottili

“In effetti non credo tu sia qui per un libro.”- sorride appena alle mia parola, stuzzicandosi il piccolo naso con l’indice.
“Sono qui per scusarmi con te, Carter. “- sembra più adulto mentre dice questa frase, completamente un’altra persona rispetto al ragazzo ubriaco che sbraitava insulti di qualche sera prima.
“Non credo ce ne sia bisogno, Gerard. Non nutro alcun tipo di risentimento nei tuoi confronti.”
“Desidero chiederti scusa comunque, per quello che ho detto, mi dispiace davvero.”
“E’ tutto okay, so che non lo pensavi” – lo rassicuro sorridendogli, poggio le mani sui jeans, sentendomi più a mio agio.
“E così, è qui che lavori… Frank mi aveva detto che era un posto carino” – spiega guardandosi intorno - “la biblioteca e tutto per studiare  ma con le prove e la scuola…” – vorrei chiedergli se è stato proprio Frank a mandarlo da me, ma non ne ho il coraggio.
“Si sta caldi, almeno, è un po’ polveroso e vecchio ma si trovano tanti libri e guadagno qualcosa”
“Anch’io ho un lavoretto, o qualcosa del genere, con quei soldi posso togliermi qualche sfizio” – sorride ancora gentile.

Appoggio la mano sulla maniglia della portiera e tiro cercando di sbrigarmi, ritento con più forza ma sembra bloccata; il cappuccio della giacca si abbassa e la pioggia mi bagna i capelli, qualche ciuffo mi finisce negli occhi che già vedono poco la scarsa illuminazione dei fari. Impreco e provo ancora ad aprire quella maledetta portiera, mentre la borsa umida mi sbatte contro il fianco. Frank scende dall’auto e mi apre la portiera con uno movimento deciso del braccio, sguscio nel piccolo abitacolo dell’ auto. Fradicia e mortificata, mi maledico mentalmente per aver fatto la figura della scema. Abbasso lo sguardo sui miei anfibi azzurri mentre Frank mette in moto, anche lui bagnato. Non mi accorgo di battere i denti finché non me lo fa presente, mentre le mie guance si accendono di rosso. Mi aveva offerto un passaggio dopo il lavoro, qualche giorno prima, con fare dolce e dopo avermi rubato qualche bacio il figlio di puttana.

“Questo scassone si blocca, certe volte… adesso accendo il riscaldamento ti starai congelando” – dice sorridendomi. Lo ringrazio mentalmente avvertendo il calore che si diffonde ,e il suo profumo estasiante, anche immaginando quanto orribile sarebbe stato aspettare l’autobus sotto questo temporale. - “Colpa di questo freddo di merda… “
“E’ carina l’auto, da quanto tempo ce l’hai?”
“Un paio d’anni, da quando ho la patente” – sedici più due diciotto – “Hai diciotto anni quindi!” – esclamo in modo vergognosamente acuto, asserendo più a me stessa che a lui
“Ad Halloween, diciotto. E tu ne hai quanti?” – allora gli propongo di indovinare – “Sedici? Oh, sei una bambina” – ride guardando la strada
“No, ne ho diciassette!” gli faccio una boccaccia e lui scoppia a ridere
“Oh, che donna!” – ride ancora ironico.
“ Frank? Frankie?”
“Sì?” – domanda incerto
“Sei un coglione”- ride ancora alle mie parole facendomi l’occhiolino – “ Ma sono anche un bellissimo chitarrista, l’hai detto tu, e poi a letto…” – gongola spavaldo
“ Ah, però, non ti scambiano per un bambino quindi ?!” – rido ancora mentre lui arrossisce – “Lo scoprirai, questo” – mi ammonisce

“Sei stato tu a mandare Gerard a scusarsi oggi, Frank?” –raccolgo il coraggio a due mani e sputo fuori le parole: non ce l’avrei fatta a stare con questo dubbio assillante. Lui ferma la macchina e gira la chiave, davanti al vialetto di casa mia.
“Si è scusato, allora?”
“Rispondi alla domanda!” –replico più decisa. Lui mi guarda per poco, cercando di decifrare la mia espressione; quando capisce che è solo curiosità, inarca i fianchi noncurante (Oh, Dio.) tastandosi la tasta posteriore dei jeans scuri, cercando qualcosa. Ne tira fuori con un gesto elegante un pacchetto ammaccato di sigarette.
“Sì, sono stato io, Carte. Doveva scusarsi” –sfila una Marlboro dal quadrato di cartone e se la infila tra i denti – “ e l’importante è che l’abbia fatto, volente o nolente”
“E tu? C’hai fatto pace?”
“Sì, una specie…” – ammette lui, aggiustandosi i capelli solo un po’ umidi – “E tu?”

Annuisco, guardandolo ancora per un po’ con la testa appoggiata allo schienale del sedile, lui mi restituisce lo sguardo, ancora con la sigaretta in bocca, beffardo e sorridente. Mi perdo nei suoi occhi pensando a quando s’è esibito al magazzino, forse non è il momento di trovarsi un ragazzo eppure …
“Non posso fumare se non scendi” –interrompe il mio flusso di pensieri, usando un tono dolce quanto ironico dopo un po’, facendomi riscuotere dallo stato di venerazione in cui ero sprofondata – “Sì, sì… scusa.”

Raccolgo le mie cose e alzo il cappuccio, sto per aprire la portiera ma mi giro guardandolo ancora per una volta. Mormoro un ‘grazie’ e con le guance rosse esco dall’auto e dal suo calore per immergermi nel freddo autunnale del vento e della pioggia del New Jersey. Ho fatto appena qualche passo quando mi sento richiamare, Frank è bagnato dalla testa ai piedi con la testa coperta dalla sua felpa blu e mi sorride. Un attimo dopo le nostre lingue si cercano, beandosi l’una del sapore dolciastro e del calore dell’altra.  Le sue braccia mi tengono stretta contro di lui mentre gli mordo e inumidisco il labbro inferiore, tirandogli piano il piercing, lo percepisco sorridere sulla mia bocca mentre mormora qualcosa come “Grazie a te.” E ritorna strafottente verso l’auto. Mi asciugo le labbra con la manica della giacca, gli faccio un gestaccio che ricambia con un sorriso ancora più ampio, poi si accende una sigaretta e mette in moto.

Probabilmente alla dodicenne figlia dei vicini ,che mi spia dalla finestra, questa scena potrebbe sembrare degna delle << migliori >> commedie romantiche e dei squallidi romanzetti rosa dei favolosi ’80; un melodrammatico e appassionato bacio sotto la pioggia. Io invece avverto il suo odioso profumo addosso e i calzini zuppi d’acqua e a me questo fa solo incazzare di brutto. E stranamente, mi rimbombava in testa la parte di East Jesus Nowhere dei Green Day :

<< Oh bless me lord for I have sinned 
It's been a lifetime since I last confessed 
I threw my crutches in "the river of a shadow of doubt" 
And I'll be dressed in my Sunday best >>


Dopo poco la sua macchina è fuori dalla mia visuale, mentre io sono ancora sotto la pioggia, fradicia ad imprecare bestemmiando, con quella canzone in testa, sforzando me stessa di odiarlo e maledicendo il giorno in cui l’ho incontrato. Ma , sfortunatamente, già non penso più a nulla che non sia lui, quando la porta di casa si chiude alle mie spalle.

Writer's corner:
Sono un po' in ritardo, avendo già pronto il capitolo, perché a casa mi mancava la connessione. Sto facendo del mio meglio, rispetto a prima, con questa storia infatti cercherò di modificare i capitoli precedenti. Lasciate un commento e fatemi felice haha. Il prossimo capitolo sarà pubblicato entro il weekend- spero- un bacio xx

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Capitolo 6
*** You may wake up and notice you’re someone you’re not ***


You may wake up and notice you’re someone you’re not

 

Sta per caso sfidando la mia pazienza? Leggo ancora il messaggio sul display del cellulare, tenendo il cellulare sotto il banco, nel modo più naturale possibile e cercando di rilassare la fronte corrugata in una smorfia di disapprovazione. La ragazza seduta davanti a me sta leggendo qualcosa di noioso riguardo la tavola periodica o giù di lì.

 << In cortile sotto l’albero. >>

E va bene, Iero. In cortile sotto l’albero. Guardo con impazienza l’orologio appeso sul muro, i minuti sembrano non passare mai, più lo fisso e più sembra essersi fermato; eppure le lancette corrono sotto il mio sguardo e non me ne accorgo immersa nei pensieri più diversi come sono. Aspetto con ansia la pausa pranzo, febbricitante e nervosa, che voglia chiedermi di uscire? Cosa diavolo vorrà dirmi?

Mi aspetta seduto sotto l’ombra di Queen, con una sigaretta in mano e una lattina di Coca-Cola appoggiata sull’erba affianco a sé. Indossa la camicia bianca col logo della scuola con le maniche arrotolate ai gomiti, una cravatta slacciata a righe rosse e blu e un paio di jeans con le ginocchia strappate. Ha gli occhi chiusi appoggiato alla corteccia dell’albero, con un lato del viso rivolto al sole; sembra quasi angelico. Mi avvicino piano, cercando di non fare alcun rumore che potesse fargli cambiare posizione, mi siedo vicino a lui, appoggiando la testa sulla sua spalla. Mi passa un braccio intorno alla vita e solleva gli angoli della bocca.

“Che cosa volevi dirmi?”- chiedo giocando con il lembo della sua camicia candida
“Volevo solo stare un po’ con te…” – gira la testa e quando mi guarda mi irrigidisco. Ha l’occhio sinistro pesto e il lato superiore del labbro spaccato. Non so per quanto tempo lo sto a fissare, ma deve essere parecchio perché lui sbuffa e spegne la sigaretta.
“Che diavolo hai fatto?”- dico portando le mie mani al suo viso, mentre con il pollice gli accarezzo una guancia. “Niente.”- sussurra; mi passa una mano dietro alla nuca, accarezzandomi i capelli tra le sue dita, si avvicina a me sempre di più e poi si ferma a pochissimi centimetri dalla mia bocca. Mi lascia fare quel piccolo tragitto per unire le nostre bocche.
“Cos’è quello?”- separandoci ripeto la mia domanda un’altra volta con l’indice puntato al lato sinistro della sua faccia, e ottenendo la stessa risposta questa volta più scocciata. “Che cazzo significa niente? Come te lo sei fatto?”

“Che cos’è un interrogatorio, Cristo? Che cazzo vuoi?” – sputa arrabbiato, alzandosi da terra. Quando raccoglie la lattina, la risposta che avevo formulato nella mia testa viene confermata. Frank ha le nocche delle mani livide, alcune sbucciate, ferite molto recenti.
“Che cazzo fai, Frank? Risse, è così?” – mi alzo a mia volta, portandomi alla sua stessa altezza, arrabbiata almeno quanto lui –“ Anche se fosse? Non sono cazzi tuoi.”
“ Vai a fare a botte? Che cazzo di problemi hai, tu?”
“ Vaffanculo Carter.”- sbotta cercando un’altra sigaretta e infilandosi tra i denti. Gli prendo la Malboro e la butto a terra calpestandola ferocemente. Raccolgo la mia borsa e gli alzo il dito medio contro. “No, Frank, vaffanculo tu.”

Mi raggiunge e mi ferma per un braccio. Sento che gli occhi si stanno facendo lucidi e non voglio piangere, non in cortile, non a scuola, non di fronte a lui. Le poche persone rimaste fuori, per il tempo ,che ormai s’è fatto nuvoloso, rientrano e rimaniamo soli. Mi prende i fianchi e mi bacia con dolcezza, sfiorando con le dita la mia guancia un po’ umida, forse gli sto piangendo un pochino addosso. Mi allontano da lui, spingendolo con entrambi i palmi delle mani sul suo petto e mi asciugo gli occhi. “Sei uno stronzo.”

“Ho fatto a botte, va bene? Qualche giorno fa…”
“Perché?”
“Una stronzata, non li conosco nemmeno… Ero ubriaco.”
“Idiota.” – replico seria, Frank mi sorride e si avvicina, sussurrandomi parole dolci all’orecchio. Prende a baciarmi il collo, indugiando parecchio nel piccolo spazio della mia maglia che scopre le clavicole. Lo prendo per i capelli della nuca, costringendolo a guardarmi, Frank sfoggia uno sguardo languido da perfetto bastardo. “Non farlo più. E’ un ordine” – gli dico seria, ghigna e mi bacia di nuovo.
 
“Sai cosa vorrei fare?”- domanda mentre camminiamo diretti a casa mia, con l’ andatura lenta tipica del venerdì pomeriggio  – “ No, cosa? “– chiedo automaticamente, calciando un sassolino con la mia converse blu slacciata.
“Scappare.” – mi fermo, riflettendo sulla sua risposta e  guardo i lacci che vengono trascinati sull’asfalto del viale – “Mi fai i lacci, Frankie?”- lui mi guarda stranito
“Che?” – chiede divertito con la fronte corrugata, ripeto la frase più lentamente scandendo le parole – “Allora?” – muovo il piede sinistro sollevandolo, lui si inginocchia poggiando il piede sulla sua gamba e inizia a stringere i lacci. Gli sfilo la sigaretta dalle dita, portandola alla bocca e aspirando. Sento le labbra gelarsi appena me la toglie, riappropriandosene.

“Dove ti piacerebbe andare?”– metto le mani nella felpa – “Ovunque pur di lasciare questo buco. Non fraintendermi, mi piace il New Jersey ma... cerco qualcosa di più della solita merda.”
“Devi essere tu a renderlo migliore, tutto è una merda, ma ci sono cose che lo sembrano di meno” – penso ad alta voce
“Potresti svegliarti un giorno e accorgerti che sei qualcuno; ma quel qualcuno non sei tu, tu”- disse il ragazzo, finendo di allacciarmi la scarpa – “E allora vorrei andare via, in qualunque altro posto, ma vorrei svegliarmi e accorgermi che quel qualcuno sono io.”
“Io vorrei andare in Inghilterra, non importa quale città, vorrei solo stare abbastanza vicino a Londra da poter andare a vedere il Tamigi quando mi pare…”
“Ci sono stato.” – dice lui – “A Londra, ci abitano i nonni di Gerard… e quando doveva andare a trovarli, a Natale, certe volte ci portava con lui, per non stare solo… credo.”
“Com'è?” – chiedo, casa mia si fa sempre più vicina e vorrei stare con Frank ancora un altro po’ – “ Assolutamente sorprendente, incantevole, magnifica… è tutta un’altra cosa.”

Mi fermo davanti alla porta di casa e infilo la chiave nella toppa, prima di girarla però mi volto, aspettandomi di vedere le spalle di Frank che si allontanano ritornando sui loro passi, Frank è dietro di ma che guarda in alto verso il finestrone della mia camera.
“E’ tuo quel gatto?” – chiede indicando Elmo che è seduto sulla specie di piccolo letto sotto la finestra e ci guarda miagolando – “Già. Vuoi…?”- gli chiedo girando la chiave e aprendo la porta. Lui entra senza far rumore e si guarda intorno camminando nel soggiorno.
“Questa sei tu?”- tiene in mano una mia foto di tanti anni fa. Sono sulle ginocchia di mio padre addormentata mentre lui sorride alla fotocamera. Annuisco piano. Mi segue su per le scale, fino ad arrivare alla mia stanza, tolgo le scarpe e le lancio sotto il letto con un calcio.

Bienvenue” – dico con accento francese, aprendo la porta con un gesto teatrale – “Voila ou ménent les mauvais chemins!
“Stai citando Oscar Wilde!” –replica Frank sorridendo, me ne stupisco un po’. Insomma Frank è molto intelligente eppure non sembrerebbe il tipo da “De Profundis”
“L’hai letto davvero?” – chiedo sedendomi sulla nicchia che mi sono creata vicino il finestrone
“C’è un odore di more, lo sai?” – ignora la mia domanda mentre sfiora con le dita le fotografie appese alla parete, sorride quando trova una foto mia in costume con due mie amiche al mare. – “Perché profumi di more”

“Stasera abbiamo un buco” – passa in rassegna i miei CDs sulla mensola – “In un pub, è carino, potresti venirci”
“Ah, non lo so…” – gli rispondo. Prendo il cellulare e controllo i messaggi, ricordandomi di dover scrivere a mio padre – “Può darsi che mio padre venga qui a cena, non lo vedo da un po’ ”
“Capisco” - mormora lui. Frank si sdraia accanto a me, poggiando la testa sulla mia pancia e le mie gambe, mentre ancora scorro il display. Mi prende il telefono, attivando il blocco e portandoselo sotto la schiena con un gesto abile. Serra gli occhi sogghignando, sfidandomi apertamente.
“Non sapevo avessi buon gusto in fatto di musica”- Frank apre finalmente gli occhi, aggirando qualsiasi mio tentativo di riprendere il cellulare. – “Voglio dire, i misfits? Davvero?”
“Sì, scemo. Ora dammi il telefono.” – gli porgo il palmo della mano aperto, in attesa che me lo ridia – “ E anche Kafka, non credevo volessi angosciarti così, volpe” – ritenta Frank in un vano tentativo di distrarmi.
“Ho il cuore tenero per i casi disperati.”- dichiaro sarcasticamente, prendendo finalmente l’apparecchio dalle sue mani – “E io sarei un caso disperato?” – domanda in modo melodrammatico il ragazzo
“Oh, molto di più.” – rido sulle sue labbra, posizionandomi sopra di lui.

Accosta le mani sui miei fianchi, muovendosi per stare più comodo, infila le dita sotto la mia maglietta. Geme gutturalmente quando accidentalmente mi scontro contro la patta dei suoi jeans, le sue dita tracciano un percorso ampio dal collo al fondo schiena, mentre mi inumidisce il labbro dolcemente. Si stacca da me guardandomi felice negli occhi.

“Devo andare, Car.” – dice Frank un po’ riluttante – “Farò tardi…” – lo bacio ancora una volta e ride passandomi una mano tra i capelli. Si alza dalla sua posizione precedendomi, spostandomi fermamente dal suo bacino. Cerca le sue scarpe in ginocchio, gliele indico dopo che spende trenta secondi per individuarle. Si accosta a me dopo averle infilate, mi alzo in piedi e lo conduco alla porta d’ingresso restia a lasciarlo andare.

“Allora ci vediamo presto.” – dice sorridente – “Ti mando lo stesso le coordinate del locale, in caso cambiassi idea.”

Gli sorrido e lo bacio nuovamente, allacciando le braccia intorno al suo collo, mi accarezza il collo mentre si allontana da me per attraversare l’uscio della porta. Si passa una mano tra i capelli e mi fa l’occhiolino. Chiudo la porta e sorrido tra me e me, stranamente felice.


Writer's corner: Come promesso, ho aggiornato in tempo, per adesso la storia sta andando un po' a rilento; ma dai prossimi capitoli inizierà a prendere una nuova piega. Lasciatemi una recensione e ditemi cosa ne pensate. Love ya all xx
 

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Capitolo 7
*** I'm trying to let you know how much you mean. ***


I'm trying to let you know how much you mean.


“Bene” –penso, mentre ferma davanti all’insegna luminosa, prendo un lungo respiro “Ci siamo.”

Apro la porta di legno decorata con pezzi di vetro colorato, addentrandomi in una grande sala dalla luce soffusa. Le tonalità del blu e del rosso del lampadario in vetro rendevano il pub accogliente e caldo, ficco le mani in tasca. Mi mordo leggermente il labbro cercando tra le persone sedute ai tavoli i cinque ragazzi, alzo di scatto gli occhi quando sento la voce familiare di Frank che introduce un pezzo al microfono. Dopo che Gerard chiarisce a Bob un passaggio, inizia il brano che fa da sottofondo al cicaleccio generale.

Perdo il contatto con la realtà guardando incantata le abili dita di Frank inarrestabili mentre ballano sulle corde, Gerard canta piano per poi urlare mentre la musica si fa più forte, snocciola versi d’amore mentre la melodia tornata malinconica rimbalza sulle pareti del locale, mi avvicino al palco.

“I’m trying” – ripeto in un tutt’uno con la voce del ragazzo – “I’m trying to let you know how much you mean ”
Frank alza gli occhi incontrando il mio sguardo, sorride ampiamente.
“All we are is bullets, I mean this.” – ripete Gerard, il volume si alza ancora più prepotentemente, Frank conduce un assolo stupendo veloce accompagna la voce “And as we’re falling down.”

Secca si conclude la canzone, Frank si passa la fascia che tiene la chitarra sulla spalla e si siede sul bordo del palco, aiutandomi a salire. “Sono contento che sei venuta” – dice, avvicinandomi a sé con un braccio.

“C’è stato un cambio di programma.” – rispondo semplicemente, nascondendomi nella sua felpa scura

“Non è venuto?” – mugugno in risposta, mi bacia i capelli – “Mi dispiace, volpe”

“Stronzate” – alzo le spalle, mi complimento con lui per la performance – “Ho fatto tardi..”- dico, guardando i ragazzi che smontano l’attrezzatura per gli strumenti.

Frank mi rassicura, dicendo che non importa, scendiamo dal palchetto e si toglie la maglia mentre camminiamo lungo un corridoio che porta agli pseudo-camerini. Si ferma e mi prende la mano, mi bacia contro il muro vicino alla stanza che dovrebbe essere lo spogliatoio, i ragazzi ci superano mentre siamo incollati e Bob sorride dando una pacca sulla schiena del mio ragazzo. Il mio ragazzo?
 


Lui non me l’ha mai detto, magari non siamo fidanzati….  ci conosciamo da così poco o forse sì? Dovrei chiederglielo? Oh, è così bello. Mi ha fatto conoscere i suoi amici, cose da fidanzati, giusto? Ma non ho mai visto i suoi, non può essere…

Frank parla sulla canzone che trasmette la radio della sua auto ammaccata, guida verso casa sua con un sorrisino innocente, sinceramente contento. Perché sei così felice? Sei carino quando sorridi, ma parli così in fretta… Frankie, sei nervoso?

“… E quindi ho pensato che ti facesse piacere” – spiega mentre rallenta verso il vialetto di una casa col giardino. Le ruote scricchiolano sul sentiero frantumando le decine di foglie secche che lo ricoprono.

Frank mi chiama un paio di volte, prima che possa rendermene conto ha spento il motore e mi guarda sorridendo ironicamente incrociando le braccia.

 “Non mi stavi ascoltando!”

“Non è colpa mia… E’ che parli troppo velocemente, perdo il filo!” – mi giustifico alzando le mani, sbuffa alzando gli occhi indispettito. Mi avvicino di più a Frank, mordendogli piano la guancia e baciandogli il lato destro della faccia. Alla fine cede e si gira verso di me, toccando la mia fronte con la sua. Gli lascio libero arbitrio sulla decisione di fare la prima mossa non smuovendomi dalla mia posizione, a cinque centimetri dalle sue labbra gli chiedo scusa. Compie quel breve tragitto per intrecciare la sua lingua alla mia. Ridacchio soddisfatta e scendo dall’auto, mi stringo nella mia giacca mentre Frank cammina verso la porta.

“Mia madre non c’è stasera…”- apre la porta e accende le luci, togliendosi le scarpe sulla soglia. Lo imito, mi guardo intorno, la casa è grande e accogliente, le scale per un secondo piano sbucano accanto alla porta mentre il soggiorno e la cucina sono di sotto.

Apprezzo profondamente il fatto che ci siano i riscaldamenti accessi, sfrego un po’ le mani cercando di riportale ad una temperatura accettabile, mi guardo intorno. La casa è arredata modestamente, tipica allo stile delle case in New Jersey. C’è qualche quadro orientale e alcune statuette africane su una mensola.

“Che dicevi in macchina?”- chiedo seguendolo verso la cucina, Frank fa un verso aprendo il frigorifero.

“Pensavo di portarti con me quando andrò a fare il prossimo tatuaggio.” – prende un lungo sorso da una lattina di cola e ne poggia un’altra sul tavolo, invitandomi a prenderla con un cenno della testa.

“Mi piacerebbe, Frankie”

Prende posto sul divano e subito mi fiondo accanto a lui, non così vicini da toccarci però. Improvvisamente i miei calzini a righe sembrano interessanti, li fisso intensamente valutando se essere presenti durante un tatuaggio sia effettivamente “una cosa da fidanzati”.

“Perché così lontana?”- mi tira a sé con decisione, giocando poi con le mie dita laccate di blu scuro.

“Frank?”

“Mh?”

“Noi siamo fidanzati?” – mi mordo la lingua subito dopo averlo detto. Stupida! Smette di torturare il bordo del mio pull e si morde le labbra.

“Non direi, Car.”- risponde atono, alzandosi di colpo, si avvicina alla porta finestra che da sul giardino nel retro della casa, la apre di poco.

Che cazzo di risposta è “non direi”. “Non direi”, oh bel colpo, mister. Gran bel colpo. Sono io che me la son cercata! Avrei dovuto saperlo.

“Perché vuoi etichettare questa cosa?”- fa un tiro alla sigaretta e butta fuori il fumo

“Perché non so cos’è, Frank, non siamo amici e non siamo fidanzati! Che cosa siamo?” – mi alzo a mia volta, avvicinandomi a lui. Spegne la sigaretta e chiude la finestra.

“Perché hai bisogno di saperlo se ti fa stare bene?” – mi tende una mano – “Tu mi piaci, lo sai, mi piaci anche parecchio, ma non lo so.”

Passano anni o forse solo secondi, il silenzio si fa assordante, sento i piedi attaccati al pavimento e ho una gran voglia di correre via prima che questo diventi più grande di me. Troppo tardi.

Non dovrei rovinare il nostro rapporto con queste stupide domande, però sento un costante dubbio aleggiare sulla mia testa. E’ assurdo, davvero, ma non credo mi basti; di che cosa ho bisogno, io?

“Mh. Anche tu.” – mormoro un po’ ferita nell’orgoglio. Forse ha ragione.

“Ci vuoi venire lo stesso con me, dal tatuatore?”- sorride Frank sarcastico, abbracciandomi

“Con te verrei dovunque.” 


Writer's corner :
There we go. Reduce da un crappy-shitty periodo e da un profondo blocco dello scrittore... sono qui! Perdonatemi per il capitolo di merda, migliorerà il prossimo, lasciatemi una recensione anche se non la merito. Grazie xx

 

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Capitolo 8
*** In Too Deep ***


In Too Deep.


Guida verso casa di Gerard in modo distaccato e lievemente infastidito, statuario e freddo come una lastra di ghiaccio mentre contrae i palmi sul manubrio dell’auto senza spiccicare parola. Frank non vuole che mi “intrometta” in questa storia, come se i pestaggi continui fossero qualcosa di sopportabile solo se nessuno ne sa qualcosa.

Spera che non me ne sia accorta, non abbia visto quando si è tolto senza pensarci troppo la maglietta e abbia involontariamente mostrato dei demoni mascherati da ematomi grossi e violacei sulla sua schiena.

“Non puoi solo nasconderlo e far finta che non esista!” – dico secca, non riuscendo a sostenere il peso di quel silenzio teso - “Come se non lasciando che qualcuno lo veda andasse tutto bene.”

 “E che cosa dovrei fare? Sbandierarlo davanti tutti?!”- replica Frank – “Oh, guardatemi sono appena stato pestato! Provate pena per me adesso, stronzi!

“Non dirai sul serio… Credi di migliorare la situazione mentendo? E’ patetico tutto questo, io non-”

Patetico? Se sono così “patetico”, Carter” – ribatte arrabbiato mimando la parola con le virgolette – “non vedo il perché tu debba stare qui con me, adesso. Cosa c’è? Mh? Che cosa vuoi?”

“Ah, non lo vedi? Io vorrei tanto che tu andassi a fare una visita dall’oculista e comprarti un paio di occhiali, hai qualche problema serio, brutto stronzo.”

“Chiudi il becco! Chi pensi di essere? Non sei un cazzo di nessuno per darmi ordini.”

“Hai ragione! Non sono un cazzo di nessuno ,io, non valgo un cazzo perché questo è un cazzo di rapporto di merda che non significa un cazzo e non andiamo da nessuna cazzo di parte!”

“Che cosa diavolo vuoi da me? Non ti ha costretto nessuno a starci con me, se ti fa così tanto schifo stare con me, perché sei qui? A rompermi le palle con queste stronzate da femminuccia?”

Femminuccia. Non è così che ti chiamano, Pansy?

Scendo dall’auto come un furia, sbattendo sonoramente la portiera della macchina, ferma da qualche secondo sulla strada che porta direttamente al garage dei Way. Frank scende a sua volta, replicando alla mia provocazione con un ulteriore colpo al suo sportello e un’imprecazione rivolta a Dio. Come ironico, staziona seduto sul cofano mentre si tasta le tasche, bestemmiando ancora a denti stretti.

Se tiri fuori una sigaretta ti uccido, Iero. 

“VUOI CHE ME NE VADA, FRANK?” – urlo adirata profondamente.

Gerard e Bob, compaiono dalla porta della villetta, destati dalle urla, mentre Mikey e Ray si avvicinano dal retro della casa, in un silenzio stupito, ignari di tutto quello che era successo prima.

“Lo preferirei, Carter. Sono le cinque del pomeriggio e non mi va di bere sin da ora.” 

“Puoi nasconderlo, Frank, puoi berci sopra. Ma niente, niente cambierà se non sarai tu a volerlo cambiare. Non sparirà, capito?”

“Nessuno ti obbliga a fare niente.” – risponde visibilmente più scosso – “SE TUTTO QUESTO NON TI STA BENE PER ME PUOI ANDARTENE SUBITO.”

“OH, TI ACCONTENTO IMMEDIATAMENTE, FIGLIO DI PUTTANA”

Giro i tacchi all’istante, camminando stizzita per una strada che non conosco, in una parte della città che non conosco e arrabbiata così tanto da tremare senza controllo. Strascico le scarpe sulla ghiaia, cercando di acciuffare disperatamente quel pizzico di autocontrollo rimasto. Scaccio via le lacrime che si formano agli angoli degli occhi, un senso di disgusto e malessere mi inonda lo stomaco, sento la bocca contrarsi e i denti torturarla. Mi fermo un attimo e poggio le mani sulle ginocchia contro i jeans, la mente si annebbia e credo di stare già vomitando da qualche minuto quando Gerard mi si avvicina. Non ho fatto molti metri.


Non 
sono ancora abbastanza lontana da non sentirli, mentre parlano con Frank e gli chiedono cosa gli sia successo. Mi pulisco la bocca con la manica della felpa tirandomi su,  e inspiro profondamente. Bene, 2910, sul tuo vialetto c’è un’enorme pozza di vomito.

“Tutto bene?”- chiede Gerard poggiandomi una mano sulla schiena.
“Tutto a meraviglia, Gerard.” – riprendo a camminare spedita, sentendo i passi affrettati del moro che mi raggiunge.
“Io non credo che tu debba continuare a… andare dovunque tu sia diretta, sai.”
"Sto bene, ho solo... avuto un piccolo incidente di percorso."

Bivio. Mi fermo accigliata, strofino una scarpa sul polpaccio mentre penso. Gerard si ferma a sua volta poco dietro di me e sbuffa.
Destra o Sinistra? Sinistra.

“Continuerai a seguirmi?”
“Già. A meno che tu non mi dia ascolto per un momento.”

Mi fermo e mi volto verso di lui, che si stringe contro il cappotto avvolto dalla sua aria misteriosa e oscura e mi lancia uno sguardo difficile da interpretare.

“Cosa?”
“Non sai dove stai andando e non è sicuro vagare per il New Jersey da sola. E poi sto sottraendo tempo prezioso alle prove quindi-“
“Ti saluto.”- riprendo a camminare ficcando le mani nelle tasche dei jeans.
“Carter, ti prego, non essere sciocca.”- mi grida ancora fermo nella sua posizione.

Finalmente mi fermo, estenuata dal litigio e dal cuore che batte ancora velocemente. Ringrazio mentalmente Gerard per avermi fermata. Ritorno sui miei passi in silenzio, mentre lui mormora qualcosa come “Grazie, Dio.”

Entro in casa di Gerard, lui mi segue silenzioso, un po’ imbarazzato da tutta questa situazione. Almeno siamo in due. Prende per qualche minuto il cellulare digitando qualcosa e quando l’oggetto vibra in risposta, lo ripone in tasca.

“Ho detto a Mikes che sei qui… così potremmo starcene un po’, uhm.. da soli.”- per tutta risposta dalla stanza accanto attacca sonoramente la base di una canzone, mentre i  quadri al muro oscillano pericolosamente, Gerard mette un pentolino con dell’acqua sul fuoco.

Quando immergiamo la bustina di tè rispettivamente nelle nostre tazze, non ho ancora spiccicato parola e non ho intenzione di farlo. Lui da vero gentleman non mi chiede niente, aspettando che faccia io la prima mossa.

"Lo sai come si chiama questo processo, Gerard? “- gli chiedo riferendomi alla bustina di tè
“No, come?”
“Estrazione. Sfrutta l’affinità di un solvente.” – spiego, prendendo un sorso dalla tazza – “Vedi, in questo caso l’estrazione è selettiva, non tutti i componenti sono affini e quindi possono sciogliersi nell’acqua. Alcuni rimangono semplicemente dove sono.”

“Carter” – alzo gli occhi dal tavolo di legno, affrontando ,per la prima volta da quando ho iniziato a parlare, il suo sguardo – “Cos’è successo con Frank?”
“Tu sei a conoscenza del fatto che Frank viene pestato a scuola?”- Gerard stringe le labbra e chiude per un momento gli occhi. Quello che riesco a vedere è solo dolore.

“Cominciò tutto anni fa, i signori Iero divorziarono quando lui era ancora un bambino e dovette imparare a gestire i periodi in cui stava a Newark, dal padre. Cambiava spesso scuola e…”- si accende una sigaretta prendendo un profondo respiro – “Non si ambientava bene, veniva deriso dai ragazzini e Frank… non faceva niente per cambiarli, non gli interessava. Alle medie veniva pestato regolarmente in cortile, ci ha scritto una canzone, quel figlio di puttana.” – sorride Gerard passandosi una mano tra i capelli.

“Avevano smesso per un po’ quando si trasferì nuovamente a Belleville, insomma lui aveva me, aveva i ragazzi e stava bene. Un anno fa, in un viaggio organizzato dalla scuola, Frank incontra questa ragazza… se ne innamora. Insomma, questa muore in un incidente e loro si erano appena messi insieme e… da allora, lo so che può sembrare stupido ma, non è più lo stesso, lo sento.”

“Come…?” – chiedo incuriosita e anche un po’ terrorizzata

“Subito dopo la morte della tipa, Frank iniziò a stare poco bene, si ammalava sempre… non andava a scuola e non stava a casa, lui andava in giro a cercare qualche motivo per bere e poi fare a botte con qualche ubriacone scemo in piena mattina.”

 “A scuola le prende e le dà, suppongo, qualche volta è arrivato da me o da Bob pieno di lividi ma non importava più di tanto, lui… dopo quella storia, si è rimesso in piedi completamente da solo. Ha deciso di darci un taglio e non cerca più stronzate per litigare.”

“Io… credo di volerlo vedere, Gerard.”
“Forse non è una buona idea, insomma tu– “– spegne la sigaretta e si morde le labbra
“Non urlerò promesso.” – gli prometto con il palmo della mano aperto sul cuore.


Writer’s corner: 
Finalmente un capitolo più o meno decente. Era troppo lungo quindi ho deciso di dividerlo in due volte ma non disperate, pubblicherò il seguito a breve. Lasciate una piccola recensione even if I’m an horrible person xx

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Capitolo 9
*** Tear in my heart ***


Entriamo nel garage dalla porta che lo collega alla cucina, Gerard mi ha stupito piacevolmente, riuscendo inaspettatamente a tranquillizzarmi. I ragazzi sono troppo presi dalla musica per notarci e ce ne stiamo in disparte fino alla fine del pezzo. Frank attacca un assolo improvvisato, sforzandosi visibilmente, concentrato. Quando si accorge che gli altri non lo seguono più, sbuffa, smettendo di pizzicare le corde. Gli altri lo guardano muti, aspettando la sua reazione dopo avermi vista. Quando incrocia il mio sguardo abbassa gli occhi, colpevole, e dai movimenti del suo corpo si capisce che è nervoso. Si porta una mano alla nuca e fa segno agli altri, che ci lasciano soli. Cerco lo sguardo di Gerard, che è l'ultimo ad uscire, lui mi rassicura con un cenno.

Frank si siede sul divano di pelle nera, prendendo un sorso dalla lattina ai suoi piedi. Ho voglia di andare via, mentre la mette a posto e mi dice di sedermi, accompagnando le parole con un gesto della mano. Mi siedo sul bracciolo, il più distante possibile da lui e dal suo profumo. Cerco le parole in panico totale, ma sorprendentemente è lui il primo a parlare.

"Non avrei dovuto urlare con te... e dirti quelle cose, me ne rendo conto."- no, non sono delle scuse, sta solo ammettendo le sue colpe.

"Giá. Non avrei dovuto nemmeno io." - mi torturo le mani a disagio, lui se ne accorge e accenna a un timido sorriso.

"So che vuoi aiutarmi e lo apprezzo" - fa una pausa guardandosi attorno, riprende fiato - "Ci sto pensando io, sto mettendo le cose a posto"

"Mi preoccupo per te, Frank, lo sai.."- rispondo atona.

Ci stai provando davvero?

Mi intima di avvicinarmi a lui, lo faccio ma senza toccarlo, guardo le punte delle mie vans consumate. Prendo un lungo respiro.

"Non voglio che tu ti faccia male, Frankie"- mi sento a disagio per il tono infantile delle mie parole.
Che stupida.

Non dice niente, mi osserva un po', le mie iridi blu nelle sue stranamente verdi. Mi stringe a sè, baciandomi dolcemente la testa mentre sono ferma sulla sua spalla. Mi accarezza i capelli per un po’, entrambi in silnzio.

"Mi dispiace, piccola. Davvero."- sorrido alle sue parole e cerco la sua lingua in un bacio lento e dolce.



Siamo andati via dal garage dei fratelli Way, adibito a sala prove, da qualche minuto. Frank guida con un' impazienza inusuale, muovendosi di continuo sul suo sedile, e sbuffando verso qualsiasi cosa possa rallentarlo. È giá buio e fa freddo, mentre ritorniamo a casa sua, io e lui da soli.

Quando entriamo dalla porta, sembra finalmente rilassato, mi siedo in salone mentre prende due birre dal frigo. Sorrido quando ritorna da me, muovendo la testa a ritmo della canzone che ha appena messo allo stereo.

"Volevo farti vedere una cosa, per rispondere alla domanda dell'altra volta.."- mi dice , mentre prendo un sorso dalla mia bottiglia.

"Che domanda?" – mi ravvivo i lunghi capelli castani e gli sorrido spaesata

Si sfila dalla tasca un pacchetto, porgendomelo con un sorriso dolce, si morde il piercing al labbro impaziente.

"Aprilo."

Poso la birra sul tavolinetto al centro della stanza e gli sorrido di rimando, ancora confusa. Quando lo scarto resto a bocca aperta per un attimo, totalmente stupita.

"Oh, amore... È bellissimo"

Ci guardiamo negli occhi per un lungo attimo, mentre stringo fra le dita il ciondolo. Gli sorrido grata e lo bacio sulla guancia.

"Vieni, te la metto"- mi dice, con gli occhi che brillano.

Mi giro di spalle e lascio che armeggi con il gancetto, qualche secondo dopo il cuoricino d'argento ricade sul mio petto. Lo accarezzo con le dita, mentre Frank prende a baciarmi dolcemente il collo, stando ancora alle mie spalle. Mi rendo conto che la domanda a cui si riferiva era riguarda alla nostra "non-relazione", ormai sancita da quel regalo inaspettato, che è diventato simbolo del nostro legame.
Siamo fidanzati.

Poco dopo le mie labbra raggiungono le sue.





Writer's corner: faccio schifo e lo so, non aggiorno da un secolo. Non so nemmeno se qualcuno la segue ancora, questa storia. Lasciatemi un commento xx

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