Per istinto e pensiero di ellephedre (/viewuser.php?uid=53532)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 gennaio 1997 - Alexander si ammala ***
Capitolo 2: *** 2/3 gennaio 1997 - Vacanza in Italia/1 ***
Capitolo 3: *** 3 gennaio 1997 - Vacanza in Italia/2 ***
Capitolo 4: *** 5 gennaio 1997 - Letture ***
Capitolo 5: *** 14 febbraio 1997 - San Valentino scordato ***
Capitolo 6: *** Inizio marzo 1997 - Videogiochi ***
Capitolo 7: *** Marzo 1997 - Lasciarsi andare ***
Capitolo 8: *** Fine marzo 1997 - Troppo vino? ***
Capitolo 9: *** Inizio maggio 1997 - Mercurio ***
Capitolo 10: *** Giugno 1997 - Nuove idee a Izu ***
Capitolo 11: *** Luglio 1997 - Dubbi ***
Capitolo 12: *** Fine luglio 1997 - Fato? ***
Capitolo 13: *** Agosto 1997 - Addio? ***
Capitolo 14: *** Settembre/ottobre 1997 - Separazione e... ***
Capitolo 15: *** 3/4 novembre 1997 - A Boston, in America ***
Capitolo 16: *** Novembre/dicembre 1997 - Lontani ma vicini ***
Capitolo 17: *** 21/30 dicembre - Per istinto e pensiero ***
Capitolo 1 *** 1 gennaio 1997 - Alexander si ammala ***
alexander_malattia
Note: questa è la raccolta post Verso l'alba che
dedico alla coppia Ami-Alexander. Ogni capitolo avrà un
titolo semplice, che per chiarezza indicherà la data o il
periodo dell'evento che sto per raccontare, e un brevissimo riassunto
dell'accadimento principale
Per
istinto e pensiero
di ellephedre
1 gennaio 1997 - Alexander
si ammala
Cominciò alle nove del mattino, nel primo giorno
del nuovo
anno.
Alexander si svegliò nel proprio letto con Ami abbracciata
alla
sua spalla e una sensazione di malessere che avrebbe definito mal di
testa se non fosse stata tanto vaga. Provò a
scacciarla
aspettando che passasse, poi dovette portare una mano alla tempia.
Massaggiò una linea dolorante - forse un nervo, un vaso
sanguigno... O un punto di
incontro tra aree cerebrali?
Ami rabbrividì, un pulcino che arruffava le penne nel
rivedere
il giorno. Si accucciò contro di lui e
sollevò
pigra le
palpebre. «... buongiorno.»
Inspirando Alexander si sentì meglio.
«Buongiorno.»
Il sorriso di lei fu radioso e tranquillo, poi sparì nel
nulla. Allarmata, Ami si sollevò sulle braccia.
«Che ore
sono?»
«Le nove e venti.» Forse i loro corpi si
attendevano ancora un nemico da
combattere, perché quando lui era stanco era capace di
dormire anche fino alle undici del mattino.
Ami era preoccupata. «Mia madre voleva vederci alle
dieci.»
Per quale motivo?
«Me n'ero dimenticata. Ha detto che potevo passare
la notte qui se stamattina andavamo presto da lei. Per il discorso
che...»
«Ah.» Per la lezione sul sesso che Saeko-san
intendeva dare a
lui e
ad Ami.
Avrebbe quasi preferito farsi castrare. Quasi.
Lo colpì una fitta alla nuca.
«Che cos'hai?» Ami cercò di aiutarlo nel
massaggio alla testa.
«Non lo so.» Ma di solito si sentiva in quel modo
quando... «Forse sto prendendo un
raffreddore.» Dopo
l'influenza del
mese precedente. Che fortuna.
Ami cominciò ad accarezzargli la fronte, scostando i capelli
all'indietro. Il tocco dei suoi polpastrelli era studiato e
rilassante.
«Senti
male
alla gola? Al petto?»
Non gli sembrava.
«In America ti sei scoperto molto?»
Non si era curato della mancanza di una sciarpa in quei frangenti, con
la preoccupazione di lei che combatteva una guerra contro gli alieni e
un
amico con una sorella morta.
Ami comprese che il suo silenzio era frutto della stanchezza,
nonché delle
meravigliose dita con cui stava lenendo i suoi fastidi.
«Potremmo dire alla mamma che non ti senti
bene.»
L'idea era allettante, ma posticipare avrebbe solo rimandato
l'inevitabile. «No.» Per non ripensarci si
tirò su, sedendosi. «Mi preparo e andiamo. Tanto
vale
farla finita.» Si spogliò del pigiama e
cominciò a
cercare dei vestiti. Ami lo guardava.
«Che cosa possiamo dirle?»
«Lasciamo parlare lei.»
«Sì, ma ad un certo punto vorrà una
spiegazione
precisa su come è potuto... succedere. Non si
accontenterà di una scena muta. Non ammetterà
imbarazzi.»
Lui lo aveva immaginato. Ami aveva ereditato la sua determinazione
dalla
madre, ma Saeko Mizuno era meno docile di sua figlia. Per questo, nel
trattare con lei, Alexander non si era mai trattenuto nell'esprimerle
qualunque
briciolo di ammirazione sincera provasse nei suoi confronti,
mostrandosi in qualunque momento come il bravo ragazzo che - per natura
-
era.
Si era conquistato la benevolenza di Saeko-san, ma poteva
averla persa tutta per un'incomprensione che non aveva speranza di
chiarire.
Non sarebbe stato più sufficiente
sorridere e
scusarsi. «Vorrà che ci prendiamo le
nostre
responsabilità.
Le dirò che... non mi sono ritratto in tempo.»
Ami arrossì. «No. Per lei non usare protezioni
è il massimo dell'idiozia.»
«Non è quello che le hai detto?»
«Sono stata vaga.»
Meglio. «Allora diremo che... ci eravamo
preoccupati per
non aver capito come usare il preservativo. Dopo aver finito bisogna
ritrarsi
tenendolo alla base con le dita, altrimenti si rischia la fuoriuscita
di-»
«Okay» lo fermò lei, a disagio.
Alexander si divertì. A quanto pareva, durante
quella
conversazione Ami sarebbe stata la prima a vergognarsi.
«È
una
spiegazione
valida» le fece notare. «Non le sembreremo nemmeno
degli incoscienti.
Penserà
che tu ti
sia preoccupata troppo, ma non si stupirà. Sei
meticolosa.»
Parlarne di nuovo lo aiutò a mettere in prospettiva il loro
comportamento dell'ultimo mese. Erano stati davvero
folli. Lo spavento che ne era conseguito e l'essersi preparati
a
tutti gli effetti a diventare genitori forse li redimeva. Lui ed Ami si
erano
dimostrati adulti, nessuno dei due si era tirato indietro.
Ami sospirò, tormentata. «Allora
è questa
la nostra
versione?»
«Se ti sembra che tua madre sia sospettosa, aggiungi che
è successo
più volte. E che almeno una volta hai proprio
sentito che era
uscito-»
Lei fece una smorfia. «Non voglio dare tutta la
colpa a
te.»
«Dille che mi hai trattenuto tu. Trovavi così
bello stare abbracciati stretti stretti, dopo.»
Ami lo fulminò con gli occhi. «Ti stai
divertendo.»
Cercava solo di vedere il lato comico della tragedia. «Non
possiamo sfuggirle, tanto vale riderci sopra. E poi non è
forse
vero, Ami love?» Si chinò su di lei e
strofinò il
naso contro il suo. «Tu adori stare stretta stretta a me,
dopo.»
Lei cercò di abbassare la testa, ma lui la
inseguì fino a trovare un bacio sulla guancia. La fece
ridere.
Ami lo guardò, più serena. «Ti
senti meglio?»
In piedi, lui valutò il proprio stato. La sensazione vaga di
fastidio non era ancora sparita. «Magari basta non
pensarci.» Almeno, lo sperava.
Lei non insistette, un segno che - per muta promessa - lo
avrebbe
tenuto d'occhio finché non fosse stata convinta al cento per
cento della sua buona salute.
Lui non l'aveva ancora sperimentata in
versione infermiera. Da una malattia poteva aspettarsi quel vantaggio.
L'ultima volta aveva tenuto Ami lontano perché gli
esami di
ammissione alla Todai erano stati alle porte e lei non si era potuta
permettere di stare male.
«Se finisco K.O.» le disse, «mi curerai
con tanto amore?»
«Con pastiglie e impacchi freddi» sorrise Ami.
Avvicinandosi, lo baciò su una spalla. «E con
tanto
amore.
Ora mi vesto e andiamo.»
«... perciò è così che sono
andate le cose.»
Al termine della spiegazione il silenzio a tavola si protrasse per
lunghi secondi. Saeko Mizuno continuava a studiare le loro
parole come
se tentasse di ricostruire la scena nella propria mente.
Era
come
trovarsi al centro del suo tavolo operatorio, le interiora
strette nelle sue mani ansiose di dissezionare la carne.
«Perché non avete letto bene le istruzioni sulla
scatola?»
Alexander non ebbe il tempo di rispondere.
«Mamma... puoi immaginare la ragione.»
Saeko-san non disse che era da lui che voleva una risposta, si
limitò a guardarlo.
«È stata colpa mia» la
accontentò Alexander. «Erano le prime volte e io
ero... impaziente. Confuso.» Non era una bugia.
«Le prime volte?»
La domanda era chiara. «Abbiamo cominciato solo di
recente.»
Ami si fece udire mentre prendeva aria, accumulando
pazienza. «No, mamma. Io non ti chiedo delle tue
abitudini
sessuali.»
Alexander boccheggiò come un pesce: non avrebbe mai
immaginato Ami che parlava in quel modo a sua madre.
Ma lei non era sorpresa. «Hai ragione. Cercavo
di capire se mi stavate mentendo.»
«Non abbiamo motivo di mentire. Siamo qui a parlarne con
te.»
«Eppure siete riusciti a omettere la verità per
settimane.»
Alexander si intromise. «Solo perché
prima dovevamo essere sicuri che ci fossero state
conseguenze.» Non si pentì di non aver lasciato
parlare Ami: la signora si era di
nuovo attesa di sentire lui, non sua figlia. «Per quanto lei
avesse diritto di sapere, Saeko-san... Era una faccenda che riguardava
innanzitutto me ed Ami. Dovevamo essere prima noi a
gestirla.»
«Sei solo un ragazzo, Alexander.»
Nella sua testa l'accusa ebbe la voce dura di suo
padre. «So
quanti
anni ho. So che cosa ho fatto.» Smise di stringere i denti,
perché la tensione peggiorava la pressione sulle tempie,
che avevano ricominciato a pulsare.
Lasciò che la rabbia si trasformasse in decisione.
«Non sono un bambino. Ho
la possibilità di dare un tetto a una mia
famiglia, se voglio.» Vendendo la
faccia, ma il mezzo non aveva importanza. «Non ci sarebbe
mancato
niente. A parte la questione del denaro, per me non era
sbagliato
che fosse
successo con Ami. Col passare dei giorni non ero più
pentito,
ero più sicuro.» Perché poi
doveva spiegazioni a una donna che aveva
commesso lo stesso errore per cui lo biasimava, senza nemmeno tentare
di costruire qualcosa col padre di sua figlia? Saeko Mizuno si
era arresa subito, per questo Ami non aveva mai avuto una vera
famiglia.
Si massaggiò la fronte.
Maledetto raffreddore, stava arrivando. Si sentiva sempre
più debole e, quando era debilitato, era collerico.
Ami gli tenne stretto il polso, un tocco pensato per dargli
conforto. «Alexander non sta molto bene.
Per oggi
basta, per
favore.
Ti avevo già detto che stavamo gestendo la situazione. Io
ero
spaventata, ma le cose stavano... funzionando. Avevamo trovato una
nostra strada.»
Non vi furono reazioni immediate e Alexander non ne cercò
con gli occhi. Passato qualche momento, udì il
suono di una
sedia che
strisciava sul pavimento. Dei passi si avvicinarono a lui.
«Va' a prendermi lo stetoscopio, Ami.»
Dopo una breve esitazione, Ami andò. Saeko-san
prese il
posto
che aveva occupato sua figlia, spostando la sedia per mettersi di
fronte a lui.
Alexander non sollevò lo sguardo, lo tenne fermo
sulla
ginocchia. I pensieri che aveva avuto sulla signora lo fecero
sentire
in
colpa.
Saeko-san non approfittò del momento di solitudine
per
parlargli. Un attimo prima che Ami arrivasse, si limitò a un
unico segnale: mise una mano sulla sua, stringendola, poi lo
lasciò andare con una piccola pacca sulla dita.
Ami rientrò nella stanza. «Ecco lo
stetoscopio.»
«Grazie. Togliti la felpa, Alexander. Sentiamo se ti stai per
beccare l'ultima influenza.»
Contro il parere medico della sua futura suocera, quel
pomeriggio Alexander visitò il tempio Hikawa con Ami.
Saeko-san non
aveva
trovato niente di anomalo in lui, si era
limitata a fargli ingerire una pillola contro il mal di testa e un
intruglio
vitaminico.
«Ma se tu riconosci i segnali che il tuo corpo ti
dà quando sta per cedere... Riposa.»
Si erano trovati sulla strada di casa sua quando la medicina aveva
cominciato ad avere effetto sul mal di testa.
«È il
primo
dell'anno» aveva detto ad Ami.
«Andiamo a festeggiare.» Voleva anche andare a
trovare
Nanny Shoko quella sera; si rifiutava di stare male.
Ami alla fine aveva ceduto. Si era ritrovata con le sue amiche il
giorno precedente, ma aveva ancora voglia di vederle.
Era giusto che
festeggiassero e continuassero ad esser felici della loro
vittoria, insieme. Lui sospettava anche che Ami volesse
saperne di più su Usagi
Tsukino e il suo nuovo anello di fidanzamento. Tra discorsi di guerra,
alieni e misteriose entità sovrannaturali, il giorno
precedente non c'era stato tempo per le ragazze di
spettegolare sulla proposta. Lui immaginava che Mamoru
l'avesse buttata giù
in modo semplice.
'Usagi. Siamo quasi
morti, stiamo insieme da quattro anni. Ecco l'anello, sposiamoci.'
Chiba gli sembrava proprio un tipo così concreto.
D'altronde,
erano sempre le donne a ingigantire la portata di un evento che avrebbe
dovuto essere il più semplice e genuino possibile.
Quando
fosse
toccato a lui chiederlo ad Ami... No, non ci voleva pensare.
Era stato
costretto a considerare l'idea qualche settimana prima e si era
sentito
a disagio: gli piacevano l'ordine e la chiarezza, li aveva sempre
voluti nel suo rapporto con Ami. Farle una proposta di matrimonio dopo
aver scoperto che lei era incinta era una situazione che straripava di
possibili malintesi
per il
futuro.
Ami un giorno avrebbe potuto rinfacciarglielo, o semplicemente
convincersi che in altre circostanze lui avrebbe scelto di non
impegnarsi con lei in quel modo.
Nemmeno a lui sarebbe piaciuto:
associare l'idea di costrizione, di fretta, a una decisione che avrebbe
dovuto
essere presa nella più totale libertà...
Dove sarebbe finito il romanticismo? Come
avrebbe fatto capire ad Ami che nel momento in cui le avesse
chiesto
di stare con lui per tutti i giorni della loro esistenza, ci sarebbero
stati solo loro due nella sua mente, e nessun altro? Come avrebbe
potuto dimenticare davvero quel qualcun
altro,
se l'idea del suo arrivo fosse stata tanto presente tra di loro, a
renderli al contempo ansiosi e più uniti che in passato,
diversi?
Meglio che non fosse successo, già.
... Ma poteva capitare di nuovo.
Forse uno di quei giorni
Ami ci avrebbe ripensato e avrebbe deciso che voleva
un bambino subito. Era stato lui a dirle che poteva cambiare
idea in
qualunque momento, ma... era stato avventato?
Nei mesi a venire
aveva
già tante cose da fare, proprio in previsione del futuro che
progettavano insieme. Doveva trovarsi una casa nuova,
mettersi a lavorare per mantenersi, finire la tesi di laurea prima di
non avere più pomeriggi liberi, cominciare a risparmiare a
fondo perché comunque poi aveva... quanto
tempo? Poco
più di due anni, se i suoi calcoli erano esatti.
Se aspettavano oltre, lui ed Ami non avrebbero mai avuto un bambino
loro, una specie di pupazzo piccolo come Arimi Yamato, che profumava di
buono.
Il problema era che lui aveva preso in braccio quella bambina
e si
era sentito incompetente, totalmente impreparato. Se avesse potuto
sarebbe scappato a gambe
levate,
ancora
di più quando l'aveva sentita strillare e si era scoperto
incapace di aiutarla. Le aveva dato un bacio sulla testa -
perché lei gli
aveva fatto tenerezza, una reazione umana - ma aveva scalpitato
nell'attesa che Shun
tornasse a prenderla.
Si sarebbe comportato
così anche con Ami? Le avrebbe scaricato il bambino appena
avesse potuto?
Oppure, sarebbe stato diverso se si fosse
trattato di un figlio suo?
Non voleva ancora scoprirlo.
Voleva solo riprendere ad andare all'università, uscire con
Ami la sera, pensare ai prossimi esami e... vivere la
loro vita di prima. Almeno per qualche altra settimana.
«Sei distratto.»
Nel retro della stanza adibita alla vendita dei talismani, assaltata da
clienti, passò a Yuichiro Kumada una nuova scatola
di talismani portafortuna. «È il tuo
lavoro, non il mio.»
«Non dicevo per questo. Comunque, Mamoru sta già
lavorando per tre.»
Mamoru Chiba si era offerto di
aiutare Kumada
al negozio, in sostituzione di Rei Hino che era andata a prendersi
una
pausa. Chiba aveva indossato una tunica templare e si era messo
tranquillo
dietro lo
stand, a chiedere ai clienti in fila cosa desiderassero quel giorno.
Augurava a tutti buon anno nuovo e sorrideva cortese, quasi
irriconoscibile.
Alexander lo osservò. «Non ho ancora
perso la testa fino a
quel
punto.»
Kumada si caricò in braccio altri due scatoloni chiusi.
«Non devi farlo.»
«Non posso ridere a comando.»
Ma lo stava facendo Kumada, comprensivo. «Infatti ti
ho messo
nelle retrovie.»
E anche lì, si rese conto Alexander, stava causando
dei problemi.
Dannazione,
aveva ricominciato a sentirsi poco bene. Gli
facevano male le spalle e la schiena. Tenere la testa dritta era uno
sforzo.
Prima di tornare dai clienti, Kumada si girò.
«Hai un'aria strana. Vai a fare un giro per il bosco,
c'è meno
caos.»
Alexander seguì il consiglio e uscì dal
gazebo
scansando la
folla, cercando pace nel profondo del boschetto che circondava il
santuario. Camminò senza meta e finì nell'angolo
più nascosto del luogo, dove trovò... Gen
Masashi. Lui era
seduto sul parapetto in pietra che delimitava l'area.
Alexander provò a deviare per evitare l'incontro,
ma Masashi lo notò. Allontanarsi non fu più
un'opzione.
Avvicinandosi, Alexander concretizzò la vista di quello che
Masashi
teneva tra le dita della mano destra.
«Fumi.» Espresse abbastanza
disgusto in due sole sillabe.
«Si muore di freddo.»
«Hanno inventato la lana. E le bibite calde.»
«Non ti ho offerto di farti un tiro, Golden Boy.
Tieni per te i tuoi giudizi.»
Alexander aprì la bocca per rispondere, ma la sua
testa non
formulò una sola battuta intelligente.
Si adeguò al silenzio e, scostandosi di lato, si
limitò a
rimanere
lontano dal fumo della sigaretta.
Guardando l'orizzonte provò a concentrarsi
sulla calma del cielo, ma il suo cervello martellava
incessante contro la calotta cranica.
... avrebbe preso un'altra pillola. Le medicine non gli
piacevano, ma il dolore alla testa era
l'unica cosa che non poteva sopportare.
Udì un fruscìo. Masashi aveva spento la sigaretta
schiacciandola contro il
muretto. Fu rispettoso: non abbandonò il mozzicone sul
posto,
tirò fuori un fazzoletto dalla tasca interna della giacca e
avvolse il rifiuto là dentro, stringendo forte.
Espirò con un ultimo lungo soffio. «Sai
se Makoto ha mai fumato?»
«Compra verdure biologiche.» Gli sembrò
sufficiente come spiegazione.
«Già.»
Alexander lo studiò. «Stai pensando di
smettere?»
«Non è mai stata un'abitudine. Era solo qualcosa
che facevo ogni tanto.»
Non indagò. Ma Masashi aveva qualcosa da dire ed era
strano sentirsi il ricevente di una confessione da
parte sua.
Era la giornata a essere strana? Il primo giorno dell'anno,
di un nuovo anno e di una nuova vita che diventava reale nella sua
stranezza, ora che sapevano tutta la verità.
«È il primo dell'anno»
confermò Masashi.
Mettendosi in piedi, osservò il pugno che stringeva il
mozzicone
spento. «Questa era l'ultima sigaretta che
fumavo.»
«Un proposito?»
«No, uno stato di fatto. Stavo pensando che non sono
più single.»
Se ne accorgeva in quel momento?
«Mi sono reso conto che non voglio
più essere
single.» Masashi aggrottò la fronte e scosse la
testa, guardando
il mozzicone come se fosse la sua libertà perduta, una cosa
che
aveva già lasciato andare e che non rimpiangeva, ma a cui
era
ancora difficile credere.
C'era una domanda inespressa nell'aria.
Ti sei sentito
così
anche tu?
Alexander rispose. «Io non ho i tuoi blocchi
emotivi.»
«Dovevo immaginarlo. Come una ragazzina, vivi felice l'idea
della favola eterna.»
«Con più palle di te, senza lamentarmi.»
Fu la cosa sbagliata da dire. Con un grugnito Masashi si
voltò e cominciò ad andare via.
Alexander si pentì. «Ehi.»
Masashi si fermò, solo per quel
bisogno
che avevano entrambi di trovare una stabilità in una
situazione
assurda, in cui di giusto tutti e due avevano solo una ragazza.
Nell'intero pianeta erano stati solo in tre a sperimentare
quella
condizione e ora che Yuichiro Kumada si era rivelato diverso, erano
rimasti in due. Si dovevano qualcosa a vicenda.
«La tua vita non è un vizio che devi abbandonare.
Non ti sembrerà così in futuro.»
Masashi rifletté sulle sue
parole. Annuì. «Ci si vede, Golden
Boy.»
Alexander rimase solo nel boschetto, a massaggiarsi la tempia.
La sera, dopo un'altra pastiglia, andò a letto
alle sei, un orario indegno per qualunque adulto che non fosse malato.
In
pigiama, si sentiva uno straccio.
Ami era sdraiata accanto a lui, vestita e preoccupata. Continuava a
passargli la mano sulla fronte, cercando di scorgere segni di febbre.
«Non ti lascio solo, okay? Rimango qui.»
Ad Alexander piaceva vederla mentre si
prendeva cura di lui, almeno quando non c'erano di mezzo alieni
assassini pronti a uccidere entrambi. Così materna
lei era
ancora più dolce.
«In questi giorni ti è successo di
tutto...» stava dicendo Ami.
«L'ho sopportato.»
Lei sorrise piano. «Non
hai
mangiato bene, hai visitato posti con umidità molto
differenti
nel giro di poche ore... Ti sei indebolito.»
«Continua ad accarezzarmi la testa e
passerà.»
La pillola stava ricominciando a fare il suo effetto, portandosi dietro
una scia di stanchezza.
Gli venne sonno.
Ami lo baciò sulla fronte. «Riposa.»
Lui le ubbidì.
Occhi aperti, accecati.
Giorno,
in un luogo da incubo. Arco d'India, posto di morte, Ami al centro del
piazzale.
Correre da lei, urlare.
Esplosione nucleare.
Colpo al cuore, di nuovo sveglio.
In casa sua, in camera. Notte fuori dalle finestre.
Buio senza luce, pericolo. Capelli azzurri, aliena.
Scappare, sparire!
C'era energia?
Sì, dentro di lui.
Assassino, mani di morte e crac al collo per lei.
Fallimento, pugni e dolore alla faccia.
Gettato fuori dalla finestra.
Cadere nel vuoto, non fermarsi. Perduto!
Gridare, gola rotta.
Di nuovo luce, vivo.
Sveglio, dentro una bolla. In trappola.
Ami
catturata, alieno la porta via.
No nooo!
Dimenarsi, distruggersi le mani.
Tirare la moquette, prendere il
comunicatore!
Aliena con occhi grigi, ride.
Ti odio.
Arriva qualcuno, un Re.
Petto squartato, agonia.
Poi lasciato solo con morte, sentire che giunge.
Non importa. Uccide
l'impotenza, la debolezza.
Ami lontana, loro bambino muore.
Sangue sulle lenzuola, no
noo!
Soffocare, occhi di nuovo aperti.
Bambino vivo, in braccio. Piccolo, si rompe.
No!
Stringerlo piano, attento.
Bambino piange, piange. Non smette!
Orecchie fanno male, tutto fa male.
A casa, indietro, via! Senza bambino!
Lo prende Ami. Se ne va.
Delusione, amore finito.
Lasciato solo.
Si svegliò in un inferno di calore, le ossa
doloranti e lo
stomaco che saliva di prepotenza al petto. Scostò
le coperte
e
si gettò su un fianco, per vomitare tutto quello che
aveva sul pavimento.
Fuck!
Con un braccio cercò di issarsi sul comodino,
ancora più lontano dal materasso, mentre dalla bocca gli
colavano saliva e cibo dissolto, tanto maleodoranti da causargli
altri conati.
Qualcuno lo stava massaggiando sulla schiena.
«Va tutto bene, sono qui!»
Cazzo, era Ami.
Lei lo stava vedendo vomitare, e lui non
riusciva
a
smettere!
Provò a tenere su la testa, uno sforzo
mastodontico. Tutti i suoi muscoli ardevano.
Si buttò sulla schiena e si
coprì la bocca sporca con una manica del pigiama.
Ami
saltò via dal materasso. «Torno
subito!»
Alexander tremò da capo a piedi. Provava un
freddo cane, ma il suo corpo era caldo come lava.
Si rannicchiò, provò a
coprirsi. Aveva la schiena rigida come un palo e il sapore sulla lingua
era orribile. La sua testa pulsava come se stesse
per scoppiare.
What the
hell? Non era mai stato tanto
male.
«Ecco.»
Sulle labbra ebbe un panno bagnato.
Sentì le braccia di Ami attorno al collo, che gli
sollevavano la nuca.
«Questa è acqua, bevi un
pochino.» Lei gli mise sulla
bocca un bicchiere. «Vuoi sputare? Qui
c'è il
panno.»
Senza alternative, lo fece.
Lei cominciò ad allontanarsi e lui si
aggrappò al suo braccio.
«Va tutto bene.» Ami cominciò a
slacciargli i bottoni del pigiama. «Vuoi che prima ti cambi?
Lo faccio.»
«Ami...»
«Shh. Hai la febbre molto alta. Ti ho dato una
medicina, ma ora si trova sul pavimento.»
God, tremava anche lei. Era nervosa e preoccupata.
«Che diavolo...?» Come aveva
fatto lui a ridursi così?
Si tenne la testa con
una mano mentre Ami gli toglieva l'altro braccio dalla manica sporca.
Tutto il suo pigiama era madido di sudore.
«Resisti. Pulisco il pavimento, poi vado a chiamare
Mamoru. Ti curerà lui.»
«Cosa...?» Le tempie stavano per
esplodergli, tremava sempre di più. «No, per
favore...»
«Sì, invece. Vedrai che guarirai
subito.»
«Dammi un'altra medicina...» Dio,
perché aveva tanto male agli occhi? «Spegni la
luce!»
Ami si mise davanti alla lampada. «Devo chiamare
Mamoru, adesso.»
Si chinò su di lui fino
ad
abbracciarlo con tutto il corpo. Lo baciò forte sulla fronte.
Alexander rantolò. «Resta...»
«No. Ti metto un altro pigiama e vado.»
... lei stava piangendo?
«Ami...»
La sentì singhiozzare. «Riesci a tirare
su la
testa? Così, ecco il pigiama nuovo.»
Una felpa gli coprì tutta la faccia, poi
finì
arrotolata attorno al suo collo. «Cosa c'è...?
Ami...»
Lei era metodica e svelta: gli stava infilando a forza un
braccio
piegato dentro una manica. «Ho quasi fatto. Ora mi trasformo
e
vado da
Mamoru. Torno subito!»
«No, cosa...?»
Ami era già scesa dal letto. «Rimani
sdraiato!»
Lui si girò dalla parte in cui non poteva colpirlo
la luce.
Si sentiva una carcassa senza forze. Faticava a
pensare.
Udì dei
suoni, di Ami che si muoveva per la stanza. Lei aveva preso qualcosa,
forse un
lenzuolo. Lo gettò sul pavimento.
I suoi passi sparirono nel corridoio.
No, torna qui.
Ma Ami non si rifece viva.
«Mercury Crystal Power...»
Lei si stava trasformando. Per andare da Chiba, per
trasportarsi col pensiero...
Dio, la testa! Gliela stavano schiacciando
dall'interno,
faceva male!
Nel silenzio assoluto della casa si permise un lamento
patetico.
Non c'era più nessuno con lui. Era solo con quella
tortura senza senso.
Che malattia aveva preso? Perché stava
così male?
Provò inutilmente a rilassare la fronte,
boccheggiando.
Udì il proprio respiro che usciva veloce e rauco,
come quello di un
animale morente.
Cercò di eclissarsi sotto le coperte.
«È lì.»
Ami. E dei passi, che non erano di lei.
«Okay, ora vediamo.»
Chiba.
God, no no!
Non poteva farsi vedere da qualcun altro in
quello stato!
Chiba tirò via le coperte, a forza.
«Tranquillo. Concentrati sulla mia
mano.»
Il tocco delle sue dita fu come ghiaccio sulla
pelle. Alexander cercò di allontanarsene, ma venne tenuto
fermo.
Ami era nella stanza da qualche parte, lontana dal letto.
«Puoi fare qualcosa? Altrimenti dobbiamo portarlo in
ospedale.»
«Devo concentrarmi.»
Lei si zittì e Alexander riuscì ad
aprire gli occhi. Nella penombra della stanza vide
Ami china
sul
pavimento, la schiena che si sollevava e scendeva. Lei stava
pulendo quello che lui aveva rimesso. «Ami, no...»
Lei alzò la testa, il diadema di Mercurio sulla
fronte. «Shh.» Aveva gli occhi umidi mentre lo
guardava.
«Non piangere...»
Lei non disse niente e osservò Mamoru.
Lui gli teneva
una mano sulla testa. Alexander non ebbe il tempo per
prepararsi,
fu
trafitto alle tempie da una lancia, poi...
Sollievo.
La
pressione sparì dal suo cranio e in un istante lui si
riappropriò di tutti i propri sensi.
«Ami.» Quasi senza sforzo, si
spostò sul materasso.
Estatica, lei si arrampicò sul letto.
«Stai meglio?»
«Sì. Che cosa...?»
Chiba gli aveva lasciato la testa, ma ora gli
stringeva il polso. «Non agitarti. Devo finire.»
Alexander guardò Ami, in cerca di risposte.
«Forse avevi... un'infezione.»
Eh?
«Dimmi i sintomi.» Era stato Chiba a
parlare, ma non si era rivolto a lui.
«Aveva la febbre da due ore, ma era
bassa.» Ami era
ancora in apprensione. «Non gli ho dato qualcosa
perché aveva preso un'altra medicina e non sapevo se... La
temperatura è salita
all'improvviso, fino a trentanove gradi. A quel punto gli ho fatto
inghiottire un antipiretico e ho abbassato la febbre con impacchi
freddi.
Sembrava che gli stesse passando... sudava. Ma nel giro di dieci minuti
il computer mi ha segnalato che aveva toccato i
quaranta.
Lui si copriva gli occhi, il suo collo era diventato rigido...
È
in quel momento che ho pensato a...» Deglutì.
«Si è svegliato quasi subito
e ha vomitato tutto. Mi ha confermato a voce che non
sopportava
la
luce.»
«Allora...» rifletté Chiba.
«Sì. Può essere.»
Tra lui ed Ami ci fu uno scambio silenzioso, da cui lo
lasciarono fuori.
«Può essere, cosa?» chiese
Alexander.
Chiba lo fissava. «Oggi sei stato al tempio, in
mezzo alla
gente. Ma tu... stavi sul retro. Sono stato a contatto con molte
più persone di te.»
Parlavano di un contagio.
Pensieroso, Chiba scosse la testa. «Potresti averla
presa da chiunque. Anche diversi giorni fa.»
«Che
cosa?»
Chiba guardò Ami.
Fu lei a rispondere. «Un'infezione al cervello.
Procede molto rapidamente quando si attiva.»
Cioè... meningite? Era impossibile.
«È rara.»
Con tutte le cose assurde che gli erano capitate in quell'ultimo
periodo, era statisticamente fuori dal mondo che si fosse beccato anche
una malattia come quella.
Chiba non lo escludeva. «Terrò d'occhio
gli ospedali.
Per caso sei stato a contatto con qualche bambino di recente?»
No, che c'entravano i bambi-...? Capì e si
allarmò. «La nipote di Shun!»
Ami sussultò. «Calma. La bambina
avrebbe manifestato i sintomi prima di te. Se
fosse stata male, Yamato avrebbe avvisato chiunque avesse
avuto a che fare con lei.»
Sempre che Shun non fosse stato troppo devastato dalle
conseguenze della malattia per fare qualcosa. «Passami il
telefono.» Non era tranquillo.
Ami si alzò. «Lo chiamo io, tu resta con
Mamoru.» Prese il cordless dall'alloggiamento e
uscì
in
corridoio.
Chiba gli strinse un'ultima volta il polso, poi la sua mano
smise di bruciargli sulla pelle.
Poiché non lo lasciava andare, Alexander si
voltò. «Non stavo per morire.»
«Ora non lo sapremo mai.» Chiba si
allontanò e scese dal letto.
«Ho infuso il mio potere in ogni parte del tuo corpo. Non
può essere rimasto segno di ciò che ti ha causato
quei sintomi.»
Era un bene che lui non avesse più in sé
una sola molecola
di quella roba, ma ignorare cosa gli era successo era
destabilizzante. Fino a poco prima si era sentito come se
qualcosa lo stesse mangiando vivo dall'interno. «Grazie per
aver risolto.»
Chiba scosse la testa e prese la strada della porta.
Scansò coi piedi la massa di lenzuola gettata a
terra.
Alexander digrignò i denti. «Shit.»
«Non è stata colpa tua.
Buonanotte.»
Il pavimento era un disastro.
«Buonanotte.»
Ami rientrò nella stanza. «La bambina sta
bene, Yamato dice che non ha mai avuto la febbre. Gli ho detto che tu
eri a letto con qualcosa di contagioso, ma non ho voluto allarmarlo,
perciò gli ho raccontato che non sapevamo ancora che cosa
avevi.»
Era quello il problema.
Come leggendogli nel pensiero, Ami annuì.
«Ci chiamerà lui nei prossimi giorni, per sapere
di te. Ora che lo abbiamo avvertito, sa che deve stare
attento.»
Questo lo faceva stare più tranquillo.
Chiba si era fermato sulla soglia e guardava Ami.
«Se parliamo di contagio... Tu sei una persona a
rischio, Ami. Sei stata a stretto contatto con lui in queste ore,
proprio mentre manifestava i sintomi.»
Invece di allarmarsi, Ami si mise a riflettere. «Se
io cominciassi a stare male, potremmo verificare che cosa ha avuto
Alex.»
«Ami.»
Chiba gli venne in aiuto, mostrandosi più perplesso
di lui. «Ha importanza? L'ho guarito, non dovrebbe
ripresentarsi.»
«È stato a contatto con altre persone.
Mia madre, per esempio.»
Chiba aggrottò la fronte. «Controllala, e
se pensi che sia il caso, agirò su di lei. Nel frattempo
è inutile che non agisca su di te. Potresti persino essere
contagiosa durante l'incubazione, sempre che si tratti di quello che
pensiamo.» Vedendo che l'aveva convinta, Chiba le
indicò il salotto con un cenno. «Andiamo.
Riportami a
casa.»
In silenzio, Alexander gli fu grato una seconda volta.
Coprendosi il naso per evitare l'odore che aleggiava nell'aria,
uscì dalla stanza e si diresse in bagno.
Sciacquò la bocca con acqua e colluttorio e si
guardò intorno. Gli
servivano disinfettante e strofinacci.
Provò a captare rumori in lontananza, ma non ne
sentì alcuno. Ami si era già teletrasportata con
Chiba.
Recuperò un secchio dallo stanzino delle
pulizie e
cominciò a riempirlo d'acqua.
... possibile che si fosse davvero beccato un'infezione al
cervello?
Se non avesse avuto accanto persone con poteri, sarebbe morto
nel giro di poche ore.
Represse il brivido e tornò in camera sua, a
mettersi all'opera sul pavimento.
Dopo un paio di minuti, mentre era in bagno, udì un
fruscio in salotto.
Passò una seconda volta il getto della doccia sulle lenzuola
che aveva gettato nella vasca, cercando di pulirle più in
fretta.
Ami apparve alle sue spalle. Aveva perso la
trasformazione ed era inquieta, immobile.
«Sto bene» le disse lui.
«Lo so.» Lei prese in mano una confezione
di detersivo. «Fai la lavatrice stasera?»
«Sì, solo il programma rapido.»
«Non è tanto tardi. Sono solo le
nove.»
Forse, ma lei gli sembrava stanca come se non avesse dormito
da una notte intera. «È stata una buona idea
quella di chiamare Chiba.»
«Avrei dovuto pensarci prima. Se era davvero
meningite batterica, arriva un momento in cui insorgono danni
cerebrali permanenti. È capitato a un mio compagno di
classe, alle elementari. Per questo ho sospettato che anche tu... Lui
è guarito, ma il suo udito non è mai
più stato quello di prima. Nonostante questo, è
stato fortunato.»
C'era qualcosa che Alexander non capiva della reazione di lei.
«Perché ti
incolpi? Cos'altro avresti potuto fare per me?»
«Avrei dovuto rivolgermi a Mamoru prima. Ma
non volevo disturbarlo per una febbre.»
«Infatti.»
Ami si adirò. «Avrei potuto chiamare mia
madre, per chiederle se potevo mischiare l'antipiretico con
l'altra medicina.»
«Non era al lavoro questa sera?»
«Sì, ma se ti avessi dato qualcosa contro
la febbre, avrei attenuato un po' i sintomi e forse evitato
che-»
«Che succedesse qualcosa che non è
successo? Non ho danni, Ami.» Non sapeva nemmeno lui
perché stava discutendo con lei, ma quando la vide inspirare
profondamente, si ruppe. «Sto bene, love.»
Ami lo abbracciò con tutta la propria forza.
«Sembra... Sembra che non abbia mai fine. Pensavo di poter
stare
tranquilla ora che c'è pace, ma...»
«È stato un caso. Possiamo stare
tranquilli.»
Lei annuì contro il suo petto. Si staccò
piano, ricomponendosi e stringendogli la mano.
«Mamoru ti ha passato la sua energia?» le
domandò Alexander.
«Sì. Per precauzione.»
«Ha fatto bene.» Cercò di
mandar via il senso di oppressione e provò a sorridere.
«La mia stanza è inutilizzabile
stanotte.» Per l'odore, nonché per le lenzuola
ancora umide di
sudore che nessuna magia aveva asciugato e pulito.
«Dovrebbero esserci ancora le coperte nel letto dei miei
genitori. Se non trovo un'altra stanza, ci sistemiamo
lì.»
«Sì. A mia madre dirò che
stanotte sei stato male. Se fa delle domande, ma non mi
importa.»
Lo aveva immaginato. «Sorry per quello
che hai visto. Non è stato il lato migliore di me.»
«Non scherzare.»
Ne aveva bisogno. «È passata,
Ami.»
Lei sollevò gli occhi. Lo
guardò, poi fece quel mezzo sorriso mogio di quando si
rassegnava
a qualcosa di inevitabile. «Vado a controllare le stanze del
piano inferiore.» Se ne andò, senza lasciargli il
tempo di domandare altro.
«Mia madre ha lasciato un messaggio in
segreteria.»
Con quelle parole attirò l'attenzione di Ami.
«Per augurarmi buon anno nuovo» le disse
Alexander.
«Ha detto che domani verrà una squadra di
operai per montare la nuova scala tra i due piani.»
«Andrò via presto allora.»
Non era per questo che lui l'aveva informata. Era stato solo
un
tentativo di fare conversazione. «Sei ancora
spaventata?»
«... Sì.»
«Stanotte dormiremo abbracciati, hm?»
Cercò di guardarla negli occhi, ma nell'osservarlo lei
diventò ancora più esitante.
«Mentre avevi la febbre... Hai avuto degli
incubi.»
Ah sì? Non lo ricordava. «Deliri. Con
quella temperatura...»
Ami non fu completamente d'accordo. «Mormoravi
qualcosa. Forse stavi sognando quello che ci è capitato coi
nemici, ma...»
Lui rimase ad attendere una conclusione.
«Ma?»
Ami terminò di lisciare l'angolo delle coperte sul
proprio
lato e passò a sistemare i cuscini sul letto che avevano
scelto, in una camera per gli ospiti. «Hai parlato
di un bambino.»
Alexander sentì il cuore in gola.
«Sì?»
«Sì.»
Capì dal tono di lei che non vi aveva associato
parole piacevoli. «Avevo la febbre.»
«Lo so.»
«Certo, ma non mi sei ancora stata vicina
mentre sto male. Voglio dire... Prendi oggi: ero irritato e di cattivo
umore. Non gestisco bene le situazioni complicate quando sono
malato.» Forse si stava affossando da solo, perché
Ami si era impietosita.
Non poté accettarlo. «I sogni non sono lo
specchio della verità. Tirano fuori le sensazioni
più istintive, è vero, ma le acuiscono. Le
peggiorano.»
Ami si sedette sul bordo del letto, la mano che non smetteva
di sistemare la superficie della trapunta. «Anche io ero
spaventata per il bambino. Va bene esserlo o... essere sollevati che
non ci sia.»
Lui le aveva fatto dei discorsi nelle ultime settimane, fino
alla
fine di quella loro vicenda. Aveva detto e provato cose che non erano
false.
«La bambina di Yamato.»
Ami si voltò a guardarlo.
«Me l'ha fatta tenere in braccio. Lei piangeva
così
disperatamente... Non ero capace di calmarla. Soffriva e io non
riuscivo a fare niente. Non capivo. Non avevo tempo di prendere un
libro e informarmi, ma il fatto è che... Non penso che avrei
trovato la risposta giusta da nessuna parte. Shun ha detto che piangono
così, finché non gli dai quello che vogliono. Non
mi è piaciuto sentirmi impotente.»
Ami era rimasta in silenzio.
«Questa è la sensazione che hai sentito
nel mio sogno, qualunque cosa io abbia detto. Non ho mentito su quello
che provavo quando pensavamo ancora che ci sarebbe stato un bambino
nostro. È diventata un'idea più concreta ora che
ho visto un neonato da vicino. Non è un compito facile
crescerne uno, ma lo sapevo già.» In teoria. La
pratica lo aveva messo davanti ai problemi della realtà, ma
ora che stava di nuovo bene - ora che era di nuovo in forze - era
pronto ad affrontarla, se necessario.
Non si era mai detto che sarebbe stato un compito semplice, e
anche se
lui non fosse sempre stato in buona salute, avrebbe inghiottito il
caratteraccio con una dose di digestivo industriale e se la sarebbe
fatta passare. Con un loro bambino sarebbe stato diverso.
«Non ti avrei lasciato se me lo avessi
detto.»
Attonito, guardò Ami.
«Nel sogno ti lamentavi per essere rimasto solo,
dopo che io avevo capito cosa pensavi della situazione.»
Sospirò, addolorata. «Non devi essere
sempre gentile o accomodante. Non devi sempre farti forza da solo.
Se
qualcosa è difficile, puoi dirmelo. Non ti amerò
di meno se non ti comporti in maniera perfetta.»
... ma era difficile, pensò lui. «Non
stavo cercando di
assecondarti. Era importante anche per me.»
«Va bene. Però...» Ami
sorrise piano. «Mi piacerebbe conoscere anche i lati peggiori
del tuo carattere. Non cambierà quello che provo per te.
Sarà solo... un buon esercizio per entrambi. Mi
farò conoscere meglio anche io, così, quando
litigheremo, non ci sembrerà di avere a che fare con
qualcuno che non conosciamo.»
Era una cosa saggia. «Quindi da adesso in poi... ci
alleneremo a litigare?»
Ami era felice. «Se capita. Procediamo passo per
passo, ora che siamo solo noi due. Senza fretta,
okay?»
Certo. Però lei lo capiva così bene che
su quelle basi non c'era molto spunto per discutere di
qualcosa.
Ami abbandonò le pantofole sul pavimento e si
infilò sotto le coperte. Spense la luce sul soffitto.
Rimasero solo con il lume della lampada. «Nello spirito
dell'esercizio... Quando sono in ansia, non mi piace che usi la logica
contro di me. Non serve a calmarmi.»
Okay, l'avrebbe presa alla lettera. «Quando sei
in ansia, mi metti in ansia. Uso la logica per calmare me stesso. Con
te funzionano altri mezzi.»
«Altri mezzi?»
Si infilò anche lui sotto le coperte.
«Sì. Abbracci, baci...»
Ami riuscì a non sorridere e strinse gli occhi.
«A volte, quando sono seria, usi il senso dell'umorismo per
depistarmi. Sa un po' di presa in giro.»
«Ora stai mentendo. Per te sa soprattutto di
imbarazzo, no?»
«A prescindere, tu evadi comunque il
discorso.»
«Significa che non sono d'accordo sulla tempistica,
non che ho intenzione di saltarlo.»
Si sporse a spegnere l'ultima luce. Tra loro vi fu il buio.
«Quindi torneremo a parlare di come reagiamo quando
discutiamo?»
domandò Ami.
«Sì.»
«Quando?»
«Non ne ho idea. Quando ne avremo voglia.»
«Era questo che intendevo. Lasciati a noi stessi,
tendiamo ad andare d'accordo per abitudine.»
«Che reato.»
«Alex...»
«Sul serio, Ami.» Si divertì
troppo per non ridere. «Ci serve andare d'accordo.
Così potremo discutere meglio.»
Neppure lei riuscì ad obiettare a quella logica.
«Questa sera ho solo voglia di fare
questo.» Lui si spostò dal suo lato del letto e la
abbracciò forte, inspirando l'odore dei suoi capelli, il
profumo della sua pelle. La baciò dietro l'orecchio e
continuò in una scia, lungo il collo. Giunto alla clavicola,
mise più attenzione nel bacio.
Lei non stava rispondendo. «Sei impazzito?»
Eh?
Si staccò.
Ami sorrideva, incredula. «Non questa notte.
No.»
Fu lei a stringerlo, affondando con la faccia nella sua spalla.
«Questa notte ce ne staremo tranquilli, e io ti
ascolterò dormire. Ne ho bisogno. Ero immensamente
spaventata.» Inspirò contro il suo petto.
«Temevo di averti fatto del male.»
Lui cambiò umore. «Certo che
no.»
«Pensavo di nuovo di perderti.»
«Mi dispiace.» Per il fatto di averla
fatta sentire il quel modo, e per non avere idea di come fosse
potuto accadere.
Sapeva solo che adesso stava bene, forse meglio di quanto
fosse
mai stato in passato. Dopo essere stato moribondo e oppresso
dal dolore, si
sentiva... in equilibrio. Rigenerato.
Lo doveva a Mamoru Chiba.
Ami gli accarezzò la schiena. «A volte,
ti amo così tanto che ho solo voglia di... bearmi di te. Di
averti con me, di sentirti.»
Con parole come quelle, o solo esistendo, lei lo faceva
sentire in una maniera indescrivibile.
Ami si ritrasse un poco. «Invece, tu a volte mi ami
così tanto che... non hai voglia di stare solamente
abbracciati, no? Anche se te lo chiedo io.»
... c'era una risposta giusta a quella domanda? O era un
quesito a
trabocchetto?
«Era questo che intendevo dire» sorrise
Ami. «Non devi pensare a come rispondere, basta che dici la
verità.»
«Be', ma queste sono le mie strategie. Hanno una
loro
utilità, vedi? Ti divertono.»
Ridendo piano, lei lo abbracciò. «Ma
questa notte possiamo restare così?»
«Sì.»
«... anche se non vuoi?»
«Mi fraintendi. Io lo voglio sempre. Solo a che a
volte di mezzo mi va anche qualcos'altro.»
Non ebbe bisogno di vederla sorridere, seppe che lei lo stava
facendo contro il suo collo e le sistemò meglio il braccio
sotto la testa.
«Buonanotte» le disse.
«Domattina mi troverai ancora qui. Sano e in forma.»
Ami strofinò la guancia contro il suo petto.
«Buonanotte. Tu mi troverai qui qualunque cosa tu faccia.
Qualunque cosa tu dica. Finché vorrai.»
«Forever,
then?»
«Sì.»
«... Ho una lamentela.»
«Hm?»
«Mi scioglierò nella melassa se divento
ancora più sappy
mentre sono con te. Sono troppo sdolcinato, devi fermarmi.»
Risero abbracciandosi, quasi togliendosi il respiro.
Nella calma terminarono le risate, i pensieri.
Giunse il sonno.
FINE - 1 gennaio 1997
NdA: C'è un motivo dietro la 'malattia' di
Alexander. Cioè il fatto che non è una malattia.
Lo fanno intuire un poco i suoi sogni, in cui in particolare ricorda
cose che non avrebbe dovuto avere ancora in testa, in quanto cancellate
dalla sua
mente da Euthasia. Ma alla fine, da sveglio, Alexander in effetti non
ricorda nulla. Altrimenti forse avrebbe capito che gli è
successo un po' quello che è successo a Yuichiro durante gli
ultimi capitoli di Verso l'alba, poco dopo aver liberato la sua
energia. Nel caso di Alexander la cosa è stata
più violenta perché non ha avuto nessuno
a curarlo subito. Poteva morire? Sì.
Perché non è ancora pronto a subire
questo passaggio. Forse non lo sarebbe stato mai, ma la vicinanza
continua con Ami, che per via dell'ykeòs ha posato su di lui
il suo potere - che lo racchiude - di fatto continua a chiamare
l'energia che dorme dentro di lui, chiedendole di uscire. Sarebbe
meglio che non lo facesse, ma entrambi sono inconsapevoli in merito. E
lo resteranno per un bel po' di tempo.
Fa tutto parte dei miei deliri :)
Grazie di aver letto!
ellephedre
|
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Capitolo 2 *** 2/3 gennaio 1997 - Vacanza in Italia/1 ***
per istinto e pensiero 2
P.S - ho modificato leggermente il capitolo,
perché nella precedente
versione avevo completamente sbagliato il fuso orario tra Italia e
Giappone - confondendo +9 per -9. Mi sono sentita molto scema
perché era tutto sballato nei tempi del racconto, ma
almeno sono riuscita a sistemare. Grazie ad Alessia per avermelo fatto
notare :)
Per
istinto e pensiero
di ellephedre
2/3 gennaio 1997 - Vacanza in Italia/1
«Non pensiamo di tornare prima del
weekend.»
Alexander annuì. Stava parlando al telefono con Nanny Shoko
e capiva sia lei che la sua famiglia. A Tokyo, solo
due giorni addietro, si erano verificati eventi pericolosi che avevano
coinvolto l'intera area urbana. Era normale volerne stare
lontani. «Fai bene a rimanere dai tuoi
genitori» disse
alla sua
nanny.
«Ci vediamo la prossima
settimana.»
«Però Alex... Non mi
piace l'idea
che tu stia a Tokyo. Perché con Ami non andate a fare una
bella vacanza?
State via almeno fino a domenica. Per allora si sarà capito
se
le acque si sono calmate in città.»
Lui sorrise dell'analogia. Aveva la certezza che le acque
fossero calme: accanto a sé aveva la signora di
quell'elemento,
pronta a proteggere lui e l'intera Tokyo assieme alle sue
compagne. «Ne parlerò ad Ami. Dovremo ugualmente
aspettare
domani per muoverci:
oggi gli operai sono qui a riparare le scale.»
«Giusto.» Shoko rifletté.
«C'è una soluzione. In questi giorni dovrebbe
esserci
Mitachi-san alla reception.»
«Il portiere del palazzo?»
«Sì, controlla. Puoi dargli una
mancia e
chiedergli
di supervisionare lo stato dei lavori durante la giornata. Gli operai
possono lasciare a lui le chiavi di casa quando avranno
finito.»
Era una possibilità. «Non sapevo
che ci
facesse questi favori.»
«Da sempre, è una persona fidata. Tua
madre gli chiedeva una mano quando io non c'ero.»
Certo. Sua madre aveva un modo tutto suo di corrompere la
gente, con sorrisi e piccoli regali. «Okay. Ti
voglio bene, Nanny Shoko. Ci sentiamo.» Sul punto di
riattaccare, sentì un
sospiro all'altro capo della linea. Rimase in ascolto.
«Cosa?»
«Oh, tesoro. È così bello
sentire che cresci ma dentro rimani sempre il mio
Ale-chan.»
«Ehm...»
«Lo so, ormai ci vuole un pericolo di morte
per tirarti fuori queste dichiarazioni d'affetto. Lascia che mi
commuova lo stesso.»
Ma lui non era così freddo. «Non te l'ho
detto altre volte?»
«'Ti voglio bene' mi mancava da un po'.»
Ah, sì? «Lo penso sempre.»
«Oh, no no! Se esageri ora mi metto a piangere!
Torna da
Ami-san, sicuramente è la sua influenza a farti bene.
Ciao!»
«Ciao» la salutò lui, incerto.
Premette il tasto di fine chiamata sul cordless e
tornò verso la cucina, vicino ai rumori degli operai che
lavoravano nell'ala principale del piano. Durante la colazione, con
Ami
erano riusciti a stento a sentirsi l'un l'altro.
«Tutto bene?» chiese lei ad alta voce,
vedendolo rientrare.
In salotto stavano distruggendo le piastrelle col
martello.
Gli operai erano andati anche al piano inferiore, a controllare se vi
fossero stati cedimenti nel soffitto causati dal crollo delle scale al
loro livello.
Alexander si chinò verso Ami, per farsi sentire.
«Nanny Shoko non è a Tokyo!»
Lei annuì, facendo girare un cucchiaio in una tazza
colma di cereali.
«Ho un'idea per dopo!» la
informò lui, sedendosi per terminare di mangiare.
Finirono di fare colazione col chiasso dei lavori di
ristrutturazioni nelle orecchie.
Al piano di sopra, Ami valutò il da farsi.
«Non possiamo andare a casa mia questa mattina. Mia madre sta
riposando.»
«Sta male?» domandò lui. Il
giorno
precedente avevano
parlato della necessità di verificare anche la salute di
Saeko Mizuno, nel caso lei avesse contratto l'infezione che lo aveva
colpito.
«Mamma sta bene, ha detto solo di essere
stanca.»
C'era da fidarsi? Ami gli aveva raccontato che sua madre
faceva turni lunghi fino a quarantotto ore quando il
dovere
chiamava. Mizuno-san
non era
una persona che badava al proprio benessere ed era capace di
sottovalutare i primi segnali di una malattia, nonostante fosse un
medico.
Ami intuì i suoi pensieri. «Ho
controllato stamattina.»
Lui si sorprese.
«Quando?»
«Mentre dormivi. Mi sono teletrasportata e ho
fatto credere
a mia madre di aver passato la notte a casa. Le ho detto che eri
stato molto
male e che forse potevi averla contagiata, ma lei non si è
preoccupata di se stessa; piuttosto mi ha chiesto come stavi tu. Poi
è andata a riposare e io l'ho
studiata a distanza col computer. La sua temperatura corporea era nella
norma.»
Gli mancarono le parole: Ami era un'efficientissima spia.
«Cosa c'è?» domandò
lei, sentendosi osservata.
«Una ne pensi e dieci ne fai.»
«Mi piace avere la situazione sotto
controllo.» Le
passò un lampo di colpa negli occhi e Alexander seppe cosa
stava
pensando.
«Hai intenzione di sorvergliarmi tutto il
giorno, vero?»
«Per precauzione. Non sappiamo se quello che hai
avuto-»
Lui non voleva discuterne. «Nanny Shoko mi ha fatto
notare che
siamo in vacanza.» Non solo potevano passare insieme tutta la
giornata, ma persino dedicarsi a qualunque attività venisse
loro
in mente. Preferibilmente, senza il rumore di voci e martelli in
sottofondo.
Ami stava osservando la parete in vetro della stanza,
pensierosa.
Già, pensò lui. Uscire non era una
prospettiva attraente.
Tokyo mostrava ancora
le proprie ferite di guerra - se non negli edifici spezzati, nella
testa
delle persone.
Il giorno prima, per strada e al tempio, con Ami non
avevano sentito altro che discorsi di alieni e guerriere Sailor.
Non
era il modo migliore per allontanarsi con la testa da quelle
esperienze, perciò... «Andiamocene.»
«Hm?»
«Facciamo una valigia veloce e andiamo da qualche
parte. Dove vuoi tu.»
«Una gita?»
In verità il fatto che lei potesse ricorrere al
teletrasporto gli aveva allargato la mente. «Grazie a te
pochi
giorni fa siamo stati in America. Se ti va, possiamo aprire un atlante
e decidere per qualunque posto al mondo.»
Ami scoprì un universo di possibilità.
«Oh.»
Esatto. Essere potenti come lei non era utile
solamente per combattere. «Prendo le
cartine.»
Una mano di Ami lo afferrò prima che potesse
allontanarsi. «Possiamo davvero? Devo controllare la
salute di mamma.»
«Per farlo puoi teletrasportarti.»
Ami si stupì di non averlo ricordato.
«Così
è scomodo. Però ho
salvato il suo
stato nel computer. Dovrei riuscire a studiarla da qualunque parte
del globo.»
Fantastico. «Quel tuo aggeggio non ha
limiti.»
Ami stava sprizzando gioia. «Per il viaggio dobbiamo
tenere conto del fuso orario.»
Lui riuscì a spostarsi verso gli scaffali della
libreria.
«Questo potrebbe essere l'unico problema. Sarebbe
più conveniente andare in un posto in cui
è giorno.»
«Sì» sussurrò Ami,
concentrata. «Se
non ti dispiace, vorrei evitare i posti in cui siamo state
con le altre prima di capodanno.»
Naturalmente era d'accordo. «Lo scopo
è quello di dimenticare un po'.»
Lei annuì. «Allora...» Aprirono
insieme il libro
di cartine geografiche. Ami glielo tolse di mano e cercò la
pagina che indicava i fusi orari mondiali. «È
giorno in
tutta questa parte del globo.» Vi passò sopra il
palmo.
«Inoltre, dovremo scegliere delle città per
cominciare.
Stiamo partendo senza preparazione e non è saggio muoversi
verso
luoghi privi di presenza umana senza aver prima verificato le
condizioni atmosferiche e il tipo di equipaggiamento necessario
a...» Si interruppe. «Oh. Potrò vedere
un'aurora
boreale!»
Alexander la adorava quando l'entusiasmo di lei era tale da
portarla a
formulare nuovi pensieri ancora prima di aver terminato di parlare.
«Possiamo fare tutto quello che vuoi.»
«L'altro giorno sono stata al Polo Nord
e...» Le parole le morirono in gola.
Lui le scostò i capelli dalla fronte.
«Pensi davvero troppo.»
Ami si concesse un lungo sospiro. «Il mio cervello
non sta mai fermo.»
Non era un difetto. «Hai solo bisogno di riempirlo
con
nuovi ricordi.» Prese una decisione. «Per questa
volta
scegliamo l'Europa.»
«Tu ci sei già stato.»
«Non dappertutto.» Era partito da solo
l'estate precedente,
ma aveva evitato di proposito alcuni paesi, per poterli vedere per la
prima volta con lei
Guardando la cartina politica, Ami scartò
mentalmente Londra
e Parigi, due delle grandi capitali che erano state minacciate dalle
bombe nucleari dell'alieno Zenas.
«Spagna» suggerì Alexander.
«O Italia, se vuoi.»
«Italia!» ripeté con un
gridolino Ami. «Roma e Venezia!»
La culla di un antico impero e la città del
romanticismo
europeo - entrambi posti perfetti. «Venezia»
propose lui.
Era sempre stato curioso di
vedere tutti quei canali in mezzo a una città
abitata.
Ami ci stava pensando a sua
volta. «Però c'è tanta acqua. Non penso
che gennaio sia il momento più bello per
visitarla.»
«Vada per Roma, allora. E se vorremo, potremo
comunque dare
un'occhiata a Venezia. Nulla ci
ferma.»
Ami quasi saltò sul letto.
«Giusto!» Entrò in modalità
operativa. «Dunque, sono le nove del mattino. In Italia
dovrebbe essere piena notte.»
«Mezzanotte» confermò lui,
dando
un'occhiata alla tabella dei fusi orari presente nell'atlante.
Con Ami rifletterono per pochi secondi.
«Aspettiamo questa sera per partire»
propose lei. «Così ci prepariamo per bene e nel
frattempo posso passare anche al tempio di Rei. Devo andare a trovare
Ale-chan.»
«Giusto.» Colpevolmente, lui si rese conto
di
essersi
quasi dimenticato del gattino di Ami.
«Ho bisogno di parlare con Luna e Artemis. Devo
chiedere se
possono tenermelo d'occhio in questi giorni. Altrimenti...»
«Certo.» Lei si era già
rabbuiata al
pensiero di lasciare il gattino senza supervisione.
«Troveremo una soluzione, vedrai.» Anche a costo di
corrompere Luna.
Iniziarono a prepararsi per uscire e una volta fuori Ami
cominciò a organizzare i dettagli.
«Dobbiamo andare in banca a ritirare del
denaro?»
«Lascia stare il
cambio di
valuta: ho una carta di credito e dei
traveller's cheques che ci aiuteranno con la prenotazione
dell'hotel.»
«Pensi che sia il caso di
dormire lì? Potremmo risparmiare molto tornando qui in
Giappone.»
«Che viaggio sarebbe? Inoltre il nostro corpo
avrà
già abbastanza problemi a distinguere tra il giorno e la
notte. Non
confondiamolo troppo.» Era già successo durante i
loro spostamenti da e verso
Boston. Se fino a quel momento non avevano avuto problemi a dormire,
era stato solo per la troppa stanchezza.
Ami fu d'accordo. «Se
ricordo bene le
lezioni di geografia, in Italia hanno un clima temperato non dissimile
da quello
di Tokyo. Forse farà un po' più caldo.
Sceglierò bene i vestiti.»
«Di questo
passo per stasera sarai pronta prima di me.»
Ami ne fu sicura. «Non
sottovalutarmi.»
Alle sei di quella sera erano pronti a partire.
Nel
pomeriggio erano andati in una libreria a comprare una guida della
città, per capirne bene la fisionomia e studiare il posto
migliore in cui teletrasportarsi.
«Ci serve un luogo
che
sia relativamente isolato» disse Ami, studiando la mappa dei
luoghi
turistici. Le immagini le erano utili per trovare un
riferimento
per il loro spostamento, ma avere una cartina in mano le permetteva -
grazie al minicomputer - di ampliare le loro scelte.
Alla fine dovettero affidarsi alle fotografie.
«Questo sembra un
fast-food.» Indicò ad Alexander l'edificio dietro
un
monumento.
«Avranno un bagno. Possiamo teletrasportarci
lì.»
«Riesci a controllare se saremo soli
all'arrivo?»
«Certo. Col computer ora studio la pianta del
luogo.»
Nel frattempo lui sfogliò la guida degli
alberghi.
Ne aveva puntati un paio, di cui uno nella zona individuata da lei.
«Ci siamo» disse Ami. Si alzò
dal letto,
sedendosi sulla cima della propria valigia. Prima di trasformarsi in
Sailor Mercury aveva indossato cappotto e sciarpa, ma vederla in casa
con la
gonna corta e le gambe nude, incrociate, provocò ad
Alexander un
sorriso.
Ami non lo notò: era comoda nei suoi stivali azzurri e alti.
«È mattino dall'altra parte,
perciò il
posto dovrebbe essere poco affollato. Riuscirò a capire
mentalmente
quando i bagni saranno vuoti.»
«Hai come un radar in testa, vero?»
«Hm-mh» annuì lei.
«Posso anche dirti che
il bagno che ho puntato misura due metri quadrati. Staremo stretti
all'arrivo. Riesci a tenere la valigia sopra la testa?»
«Nessun problema.» La
sollevò sopra di sé.
Ami chiuse gli occhi, per concentrarsi. «Un attimo
di pazienza.»
Alexander la lasciò alla propria analisi.
Incredulo, si
guardò attorno. Stava davvero per apparire in un altro
continente, in un istante, senza l'ausilio di nessun aereo o macchina.
Il concetto stesso di viaggio assumeva una connotazione completamente
differente con tempi tanto ridotti: il mondo diventava un
unico posto senza
più barriere temporali a dividerli da luoghi lontani.
Ami lo afferrò per un braccio. «Ci siamo.
Tieniti stretto a me.»
Lui fece attenzione a non far cadere la valigia.
Mentre
sbatteva gli
occhi, vide per un momento un brillio di colori chiari. Poi con Ami si
ritrovarono in un posto maleodorante e chiuso.
Lei si coprì il naso. «Okay. Usciamo
prima che ci vedano.»
Alexander si spostò per farle aprire la porta,
stando
attento a
dove metteva i piedi. L'igiene non era una priorità in quel
posto.
Nell'anticamera del bagno, davanti a un grande specchio,
riuscirono
a respirare.
Guardando il proprio costume Sailor, Ami
sussultò e
sciolse la trasformazione. Un momento dopo la porta del locale si
aprì, facendo passare una ragazza.
Lei spalancò gli occhi. Rise e disse
qualcosa di incomprensibile. Ami si sorprese della
familiarità
dell'estranea, che si era rivolta a loro con un tono colloquiale e
molto
amichevole.
Alexander scosse la testa, sorridendo. «We don't
speak Italian.»
«Ah!» proruppe la ragazza, infilandosi
nello spazio tra
loro e il lavabo per passare, senza aspettare nemmeno che si
spostassero. «Not I, me not English!»
Ami si divertì fino a che non notò il
modo in cui
la ragazza si soffermava a guardare lui. Era abituata
all'attenzione
di altre donne, ma non a un'insistenza così sfacciata. La
straniera concluse l'occhiata con un sorriso allusivo che lo fece
ridere.
Appena uscì, Alexander si voltò per un
commento. «Sono così
diversi!»
Ami si accigliò. «Usciamo.»
L'interno del locale si rivelò un ambiente
fondamentalmente differente da quello che si sarebbero aspettati da un
fast-food: le luci erano tenui, le poltroncine comode, gli spazi ampi.
C'era poca gente. Alexander ebbe un buon ricordo. «Questo
è l'affollamento europeo, sempre.»
Ami trascinò dietro di sé la valigia,
distratta.
«Hm?»
«Te ne accorgerai mentre ci muoviamo. Ci sono meno
persone che a Tokyo, dappertutto. In Europa si ha la sensazione di
respirare in tutte le città.»
Lei osservò i propri dintorni con occhi nuovi.
Acquisì energia nel passo. «Andiamo a
scoprirlo.»
Solo uscire per strada provocò ad Ami un
piccolo
scombussolamento. Era tutto diverso.
Gli edifici sembravano antichi, artistici, vissuti. Bassi in
altezza e affascinanti per i particolari senza utilità -
come
le volte sopra i portoni - che sembravano inseriti solo per aumentarne
la bellezza.
E le strade. Come le aveva detto Alexander, erano libere e
disordinate nel passaggio delle persone. Non c'era nessuna fila in cui
immettersi per camminare in una direzione. Si trovavano in una delle
vie centrali di Roma, in un quartiere dedicato allo shopping, eppure la
gente camminava come voleva, a volte persino entrando nella corsia
riservata alle macchine.
Ami si stupì nel vedere un'auto che
rallentava senza suonare il clacson. I guidatori erano apparentemente
abituati a quel
tipo di intromissione.
Non stava guardando davanti a sé e quasi si
scontrò con un altro passante. «Sorry!»
Invece di un rimprovero le arrivarono delle scuse allegre.
L'uomo
proseguì per la propria strada e Alexander
scrollò le spalle.
«Sono molto rilassati.»
Lei avrebbe potuto passare tutta la mattina a girare senza
meta,
ma
prima dovevano disfarsi delle valigie. «L'albergo a cui hai
pensato è qui vicino?»
«Sì. Vediamolo dal vivo e dimmi se ti va
bene.»
Mentre si incamminavano, lei si godette l'atmosfera della
città. Era romantica anche di giorno, proprio come aveva
letto. Nulla era
stato
costruito pensando agli affari o all'efficienza. I negozi si
incastravano in piccole vetrine che all'interno si dipanavano in spazi
più ampi. La natura antica delle vie non veniva meno per
quegli accenni di modernità.
Era un connubio strano, con uno
stile diverso da quello a cui era abituata. Anche a Tokyo c'erano
piccole strade isolate, per lo più residenziali, in cui si
potevano
trovare tracce viventi di passato - come i templi. Ma Roma, per quel
poco
che aveva visto, sembrava un museo all'aria aperta, con qualcosa di
valore da vedere a ogni passo.
Scorse un edificio imponente, in lontananza. «Guarda
quello!» Era un enorme colonnato di marmo distante
circa un
chilometro, forse un altare.
Alexander svoltò in un vicolo. «Andiamo a
vederlo dopo. Siamo arrivati, che ne dici?»
Ad una prima occhiata l'hotel le piacque.
«Entriamo.»
Passarono insieme attraverso un ingresso dalle dimensioni
ridotte, elegante.
Ami sorrise guardando l'interno dell'albergo: il
bancone in legno aveva uno stile dell'ottocento europeo, la forma delle
lampade era ricercata al limite della pomposità e tutti i
tappeti, per materiali e disegni, rimandavano a un mondo
antico. Amò ogni particolare.
Il congierce dietro il bancone offrì loro un
caloroso benvenuto. «Buongiorno!»
Aveva usato l'italiano, ma si ripeté anche in inglese.
«Salve» rispose Alexander, adottando senza
motivo un
accento britannico. «Vorremmo una camera doppia per due
notti.»
Ami arrossì, ma il concierge non pensò
nulla di due
giovani stranieri che viaggiavano in coppia dormendo nello
stesso letto. L'unica imbarazzata era lei.
«Buongiorno.»
Sobbalzò, voltandosi. Alle sue spalle era
giunto un
ragazzo in divisa da inserviente.
«Prima volta a
Roma?» domandò lui in inglese, con una cadenza
forte e singolare.
La domanda personale la confuse.
«Sì.»
«È una bellissima città! Non
è vero,
signor Pitti?»
Col tono della voce il ragazzo quasi urlava.
Il concierge stava eseguendo la registrazione della camera.
«È la città più bella.
Possiamo fornirvi cartine,
registrarvi per
tour, guide turistiche... Qualunque cosa vogliate!»
«Grazie» disse Alexander, appoggiandosi
sul bancone per voltarsi a osservare lei e l'inserviente.
Lui si era avvicinato di un passo, chinandosi come per farsi
ascoltare meglio. «Con quello che è accaduto, sei
coraggiosa a viaggiare da sola.»
Ami offrì un sorriso incerto.
«Veramente...»
«Ci sono io con lei.» Alexander sorrideva
con la bocca, gli occhi duri.
«Ah, pensavo-» Il ragazzo fece scorrere il
dito tra loro
due, come a spiegare l'errore. Non si imbarazzò e rise.
«Scusate! Be', allora siete
coraggiosi
a viaggiare in questi giorni. Il tragitto dall'aereoporto vi ha
stremato, vero? Roma è sempre nel caos, ma mai come in
questo nuovo anno!»
Dietro il bancone il concierge stava annuendo.
«Tanta gente
cerca di tornare a casa dall'estero. Siamo stati fortunati a non essere
attaccati qui in Italia.»
«Tu sei giapponese, giusto?» L'inserviente
si
rivolse a lei. «Voi ne sapete di più su queste
ragazze, queste Sailor?»
Ami non si scompose. «Sono guerriere.»
«Come soldati, dici? Non è la stessa
cosa se non fanno parte di un esercito. Chi glielo fa fare di
combattere per noi?»
«Senso del dovere» si intromise Alexander.
«Amore
per l'umanità, desiderio di giustizia. Chi lo sa? Ma lo
fanno da sempre.»
«Eh!» Il ragazzo italiano aprì
le mani,
gesticolando. «Questo è ottimismo! Ha sentito,
capo?»
«Ho sentito che parli troppo, Mario.»
L'uomo si sporse per
passare una chiave ad Alexander. «Accompagnali nella loro
stanza. È la 302.»
«Agli ordini!» L'inserviente
provò a diventare professionale, poi di
nascosto lanciò un occhiolino ad Ami.
«Seguitemi.»
Le afferrò la valigia prima che Alexander potesse prenderla.
Vedendo che lui le marciava davanti, come a distanziarla
dall'estraneo, Ami si concesse un sorriso.
Si fermarono dopo mezzo giro di corridoio. «Questo
è l'ascensore» spiegò il ragazzo
italiano, pigiando un tasto sul muro. Iniziò a osservarli
entrambi. «Ma
una domanda, così... Voi avete intenzione di tornare in
Giappone?»
«Certo» rispose Ami.
«Non avete paura che gli alieni ricompaiano?
È cominciato tutto a Tokyo, no? Voi venite da
lì?»
«Viviamo lì»
confermò Alexander.
«Hm. Fossi in voi rimarrei in viaggio. Tranne che
per
tornare a prendere la famiglia, ovvio.»
Ami capiva il suo punto di vista, ma... «Ha senso
scappare? Se gli alieni
tornassero a essere una minaccia, lo sarebbero per tutto il
mondo.»
«Sarà, ma nascondersi in montagna per una
settimana in
più
di vita non mi dispiacerebbe!» La risata del ragazzo
conteneva
una traccia di paura.
Ami si impietosì. «Quell'alieno ha detto
che non voleva
farci del male. Comunque non c'è più, no? Io
credo
che adesso Sailor Moon lo abbia fatto
sparire.»
«Serenity?»
Quel nome nella bocca di una persona comune la
scombussolò ancora una volta.
L'inserviente li invitò a entrare nell'ascensore
appena
arrivato. «Io non mi fido di lei. Quella donna secondo me
vuole
sottometterci. Con tutti quei poteri... Inoltre non viene dalla
Luna? Tutte quelle Sailor hanno nomi di pianeti. Per me è
un'aliena come quelli che ci hanno attaccato.»
Era un'accusa a cui Ami dovette rispondere.
«Cos'è 'alieno'? In
questi giorni abbiamo scoperto che gli alieni possono essere come noi.
Sono esseri umani,
perciò
abbiamo la possibilità di capirli.»
Deglutì. Si sentiva disonesta a parlare di
sé in
terza persona.
«Mi preoccuperò che siano pericolosi solo quando
dimostreranno di volerci fare del male. Ma non penso
che succederà.»
Dopo averla ascoltata, il ragazzo italiano rimuginò
e fece per dire qualcosa. Si zittì prima di pronunciare
parola.
«Hai un'opinione?» lo incalzò
Alexander, appoggiato contro la parete della cabina. La sua non era una
sfida, solo un invito a parlare.
«Mia madre mi ha insegnato a non essere
maleducato.» Il ragazzo rise forte del suo stesso scherzo.
Ami non la accettò come risposta. «Mi
interessa sapere la verità.»
«Ma no, perché?»
Era semplice. «Una persona può moderare
ciò
che dice per
educazione, ma questo non significa che non abbia
il pensiero che non sta esprimendo. È importante sapere per
capire.»
Il ragazzo non la comprese, ma scrollò le spalle.
«Non
dite che non ve l'avevo detto. Ecco... da quello che ho visto, voi
giapponesi siete un popolo strano.
Vi inchinate,
accettate, obbedite. Seguite. È la vostra natura. Qui non
abbiamo
fiducia
in chi ci governa. Per quanto riguarda il resto del mondo... be', la
gente pretende
risposte e motivazioni. Mettiamo tutto in dubbio. Se quella Serenity ha
intenzione di comandarci come l'alieno, non avrà
vita facile. A me non va di avere una regina.»
Rimasero in silenzio per il resto del percorso.
Arrivati al piano, la loro stanza
risultò essere proprio davanti
all'ascensore. Alexander prese le valigie in mano. «Grazie
per la
tua onestà.»
L'inserviente inspirò a fondo. «Ho
esagerato? Vi ho offeso?»
«No» disse Ami guardandolo. «Mi
hai aiutato a capire.» Sorrise.
«Bongiorno.»
Il ragazzo rise del suo italiano. «Sei bravissima!
Ma è 'buongiorno'.»
«Buongiorno» ripeté
correttamente Ami.
Il ragazzo annuì e andò via con
l'ascensore.
Per le strade di Roma, notò più tardi
Ami, molta gente
correva invece di camminare. Lei non sapeva se fosse uno stato
naturale, ma
aveva l'impressione che le persone volessero tornare presto a casa.
C'erano piccole riunioni un po' dappertutto, soprattutto
davanti ai 'bar' - i locali dove ci si poteva fermare per prendere un
caffè. Le persone parlavano concitatamente, preoccupate, ed
Ami
aveva colto nei loro discorsi parole che conosceva. 'Zenas', 'Sailor'.
Quel viaggio era per metà magia e per
metà pensieri.
Non era possibile fuggire da quello che era accaduto.
Alexander la invitò a seguirlo prendendola per
mano. «Siamo quasi arrivati.»
«Veramente?» Si stavano
dirigendo alla Fontana di Trevi. Dalle foto nella guida le sembrava che
fosse una grande piazza, ma fino a quel momento si erano addentrati in
vicoli sempre più stretti e tortuosi.
«È qui dietro» disse Alexander,
ma anche lui nutriva dei dubbi.
Sbucarono in un'apertura tra le stradine. Ami capì
che
il posto
era speciale perché c'era una piccola folla che fotografava
l'edificio accanto a loro. Girandosi, vide il riflesso dell'acqua in un
bacino di marmo. «Ah.»
Bastò
avanzare per osservare la fontana in tutta la sua
considerevole grandezza. Solo la piazza in cui si trovavano era minuta.
Con un sospiro Alexander guardò il
cielo.
«Mi sono appena ricordato: non ho portato la macchina
fotografica.»
«Non importa.»
«Ma quando ci ricapiterà di... Well,
right.»
«Infatti. Potremmo tornare qui quando vorremo.
Inoltre, come avrei spiegato a mamma
l'immagine di me accanto a questa fontana?»
«Facile: tenevo io la foto, a casa
mia.»
Alexander si chinò per sussurrarle nell'orecchio.
«Ho
questa idea
di crearmi un album personale di tue immagini...»
Ami rise contro il suo petto. «Vieni!» Lo
trascinò per una mano, salendo verso il livello superiore
della piazza, per poter guardare la fontana dall'alto.
Era artistica,
romantica e bellissima.
Sospirò. «Almeno non siamo i soli a
godercela.»
I turisti si mettevano in posa davanti al monumento. Anche i
più felici e giovani erano moderati nel
loro entusiasmo.
«C'è incertezza, Ami. Man mano che i
giorni passeranno, la situazione si calmerà.»
Sì. Poi, col trascorrere degli anni, tutto sarebbe
diventato molto più complicato per il mondo
intero.
Lei cominciava già ad avere la sensazione di vivere
istanti rubati al suo vero destino.
'Non ha senso scappare', aveva sostenuto. Non poteva
valere
solo per gli altri.
Alexander non aveva smesso per un attimo di osservarla.
Abbassò la voce. «Dipenderà tutto dalle
circostanze
in cui Usagi e Mamoru prenderanno il potere.»
«Lo so.»
«Si suppone che lo faranno per salvarci da qualcosa.
Questo
renderà più semplice per le persone accettare la
nuova situazione.»
«Non stavo pensando a questo.» Anche se
era d'accordo
con lui. «Valutavo la transizione a cui andremo incontro come
persone.
Hai sentito quel ragazzo.» O per la verità,
qualunque
telegiornale al mondo, che in quei giorni lei aveva evitato il
più possibile, di proposito. «Faticheranno a
ritenerci
umani all'inizio. Saremo come divinità, o estranei. Alieni.
Per qualcuno, addirittura nemici.»
Alexander annuì a malincuore.
«Le circostanze in cui nascerà il nuovo
regno ci
aiuteranno a capire come gestire la situazione, ma... nella pratica?
Per esempio, dove andremo a vivere?»
Lui non si sorprese della domanda.
«Non potremo rimanere in case normali»
continuò Ami. «Come
persone comuni, diamo per scontate molte cose. Siamo anonimi, ci
confondiamo tra la gente. Perciò possiamo avere un
lavoro, un conto in banca,
un'abitazione in cui nessuno viene a cercarci. Ma una volta che
l'intero
pianeta dubiterà di noi...»
«Staremo tutti insieme all'inizio.»
Era l'idea che stava avendo lei. «Non solo noi.
Anche le nostre famiglie dovranno nascondersi.»
Alexander strinse le labbra.
«Finché verremo ritenuti un pericolo,
potranno usare le
persone che amiamo contro di noi.
Il nostro potere non potrà impedirlo: il mondo è
enorme e
le minacce saranno molteplici e quotidiane. Ricattarci non
sarà
un'idea che verrà solo ai governi.» Lei
stava pensando a sua madre, ma Alexander aveva più
persone a cui teneva: i suoi genitori, la signora Shoko, forse il suo
amico Shun Yamato.
Si sarebbe arrivati al punto da servirsi di
loro semplici
amicizie?
Certo, si rispose da sola. Se chi si sentiva minacciato da
loro avesse pensato di non avere altra
scelta...
Alexander stava riflettendo. Gli era spuntato un sorriso amaro.
«A cosa pensi?»
«Sarà la volta buona che mio padre
diventa povero.»
«In che senso?» Ma le bastò
fermarsi un momento a pensare per capire.
Alexander annuì in silenzio. «Un governo
può
confiscare qualunque tipo di bene se lo desidera. Se ci trattano alla
stregua di
terroristi, ci lasceranno tutti senza un soldo.»
Lei provò a immaginare una contromossa.
L'unico modo
per Usagi
e tutte loro di impedire misure simili era minacciare ritorsioni che
non
avrebbero mai messo in atto. A meno che un governo evitasse sin da
principio di stuzzicarli in quel modo, per timore della loro forza. Era
una possibilità, ma la paura che generavano nel
prossimo non li avrebbe protetti per sempre. Nel momento in cui i
governi avessero sentito messa in pericolo la propria
sovranità,
sarebbero ricorsi a misure estreme.
È quello che
abbiamo intenzione di fare? Appropriarci della sovranità
altrui?
No, le veniva da dire. Ma non aveva idea, di fatto, del motivo
che
avrebbe portato Usagi e Mamoru a voler diventare sovrani del pianeta.
Sapeva solo che si sarebbe trattato di una ragione valida.
«Contanti» disse Alexander. «In
valute diverse. E
per il grosso del denaro, conti correnti in paesi che non vanno
d'accordo tra loro. Sotto falso nome.»
Le venne da ridere. «Ora sì che mi sento
criminale.»
Divertito, lui sospirò. «Sarà
uno dei tanti modi
per proteggerci. Inoltre, a meno di non voler diventare davvero dei
ladri,
sarà meglio accumulare capitali prima che arrivi il limite
di
questi tre anni di vita normale. Nessuno di noi dopo troverà
un lavoro. La nostra sorte sarà lasciata al caso.»
Era un quadro pessimista, ma realistico. «Mi chiedo
se Usagi creerà con la magia il castello...»
Alexander drizzò le orecchie. «Quale
castello?»
«Vivevamo in un edificio di cristallo nel
futuro.» Nel
bel mezzo di Tokyo, dove nel presente si trovavano interi quartieri
abitati da
milioni di persone. «No» comprese.
«È
improbabile che lei lo abbia creato dal nulla. Passeranno decenni, o
forse
secoli, per completare la sua costruzione.» Prima
che
sorgesse un palazzo di tali dimensioni bisognava trovare un'altra
locazione al resto della città, dopotutto.
«Ti dicevo del falso nome» le
ricordò Alexander.
«Magari Artemis potrà aiutarci a creare altre
penne di
trasformazione che nascondano i nostri tratti alla vista.»
«Come vivere in incognito?»
rimuginò Ami. La prospettiva non le piaceva.
«Solo quando usciremo di casa.» L'idea
deprimeva anche lui. «Forse solo per qualche
tempo.»
Non era piacevole fare quei discorsi, né sentirli
uscire dalla sua bocca. «Mi
dispiace averti trascinato in questa storia.»
«Daremo la colpa a chi
l'avrà,
quando verrà il tempo.» Lo vide scuotere la testa.
«Non
ci stiamo godendo Roma. Andiamo a gettare una moneta nella
fontana.»
«Giusto.» Lei cercò nella
propria borsa.
Tirò fuori degli yen. «Moneta giapponese in una
fontana
italiana. Doppia fortuna?»
«Perché no?»
Si avvicinarono al bacino d'acqua. Ami osservò le
altre
persone che esprimevano i loro desideri gettandosi una moneta alle
spalle.
Alexander buttò la propria.
«Sei veloce.»
Lui le strizzò l'occhio. «Non ho nemmeno
dovuto pensarci.»
Gli avrebbe chiesto cosa aveva desiderato se non avesse saputo
che
la tradizione imponeva di non rivelarlo. Era solo una
superstizione, ma non c'era niente di male, di tanto in tanto, a
credere
in
qualcosa
di illogico e magico. Per parte sua lei aveva mille desideri,
ma il più
intenso e personale, in quel momento, era semplice.
Guardò
Alexander e
gettò nell'acqua dietro di sé una moneta da
cinquecento
yen.
Voglio che lui
rimanga sempre in salute.
Non voleva
più vederlo agonizzante, sanguinante, in pericolo, o in
punto
di morte. Mai più, in tutta la loro vita.
Alexander sorrise quieto. «Mi divertirò a
immaginare cosa hai desiderato.»
«Come preferisci.»
«Tu non sei curiosa su di me?»
«Sei stato rapido, quindi dev'essere stato un
desiderio semplice. Riesco a immaginarlo perché ti
conosco.»
«Ouch,
farewell to the mistery. Mi sono rivelato
troppo.»
Lei si lasciò invadere da una risatina.
«A proposito,
perché prima l'accento inglese?»
«Hm? Ah, in hotel. Fa più...
europeo.»
«Ti piace esserlo?»
«In parte lo sono. L'idea che hanno degli americani
qui in
Europa è che siano senza classe, rumorosi e maleducati. No,
thank you.
In questo senso io sono molto
british.»
Ridendo, Ami lo prese sfacciatamente in giro.
«Ah, sì? Vedrai la differenze culturuali, love. Le hai
già notate: qui si approfitteranno del tuo essere timida e
remissiva.»
Indignata, lei spalancò la bocca. «Io non
sono-»
«Ti guardano in faccia e pensano che tu lo
sia.
Glielo confermi quando sei posata, parli a voce bassa e sorridi appena.
La perfetta immagine della mite giapponese.»
Ami cercò di capire se lui le stesse esprimendo
solo un punto di vista altrui o anche il proprio.
Alexander sollevò un angolo della bocca, furbo.
«A me piaci timida e remissiva.»
Lei non si lasciò scomporre. «Tra mille
giapponesi io
ho scelto uno straniero che osa e non si vergogna mai di niente. Sono
sicura che qui potrei trovare molte persone simili.»
Lui mangiò la foglia e la seguì verso un
negozietto di souvenir. «Questa era buona.»
«Certo. Entriamo, voglio un
ricordo di questo posto.»
Alle una ora locale capirono che era tempo di
mangiare. Per il loro bioritmo l'ora di cena era passata da un pezzo.
Ami fu deliziata di entrare in un ristorante. «Si
sentono
leggende sulla cucina italiana. Spero che abbiano un menù in
inglese.»
Per l'occasione indossava uno dei tre vestiti carini che si
era
portata in valigia. Con Alexander aveva imparato a essere preparata: da
quando usciva con lui mangiava fuori anche tre volte a
settimana.
Nel posto in cui scelsero di cenare furono serviti da un
cameriere
maschio. Ami notò il modo in cui lui fissava il suo viso, ma
non si stupì troppo. In Giappone nessuno
osservava mai gli estranei con l'insistenza tipica degli italiani. Dopo
poche ore in giro per strada, aveva capito che la gente la analizzava
di
continuo con una rapidissima occhiata, facendo una radiografia di
ciò che indossava da capo a piedi, valutando ogni elemento,
l'insieme e il suo viso, con incredibile sfacciataggine. Aveva
iniziato
a comprendere perché nessun italiano fosse vestito male,
almeno per i
suoi standard.
Il cameriere tornò a prendere le loro ordinazioni.
Annotò quella di Alexander con efficienza, riportando
disinteressato le voci su un taccuino.
Aiutandosi coi sottotitoli del menù, scritti in un
inglese
incerto, Ami terminò di scegliere. Alzando la
testa
ritrovò su di sé lo sguardo intenso del giovane
cameriere dai capelli ondulati.
«Yes, signorina?» le domandò
lui allegro.
Nonostante la presenza di Alexander, stava apertamente
flirtando con lei.
«Ehm... Fusilli
allo pom- with tomatoes» terminò Ami
in inglese.
«Ma certo, certo!» Il cameriere si
chinò,
toccando il suo menù. «'Pomodoro fresco', si dice.
Con
'prezzemolo'» provò a insegnarle.
Lei aumentò la distanza tra loro con un sorriso e
Alexander bussò sul tavolo con le nocche. «Va bene
così.»
«Ma come, niente dolce? A dessert,
no?»
«Ah... Tiramii... sù?»
tentò Ami.
«Ottimo, ottimo!»
«Anche per me» sorrise letale Alexander.
Il cameriere non gli badò e andò via
soddisfatto.
Alexander chiuse il menù. «Quello si
scorda la mancia.»
Divertendosi, Ami si versò da bere nel bicchiere.
«È così anche nel resto
d'Europa?»
Lui ci pensò su. «In Francia, forse.
Fuori da Parigi
soprattutto, dove sono meno altezzosi. A Londra sono pronti a offrirti
un one-night-stand dopo dieci minuti di buona conversazione.»
Lei quasi si strozzò con l'acqua.
Alexander scattò ad aiutarla. «Non
volevo dire
che-»
Ami gli allontanò la mano. «Cosa ti hanno
offerto?»
Una notte di sesso con un'estranea?!
«Ah... Non a me, a Yamato.»
Lei gli sondò l'anima con un'occhiata.
Capì a cosa credere.
«Ami...»
Voltò la testa, indignata.
«Sai che non è successo niente!»
«Ma io non ho bisogno di sapere cosa poteva
succedere.» Come gli era venuto in mente di raccontarglielo?
«Ti ho confuso per... Di solito faccio questi
discorsi con Yamato, tra amici.»
«Quindi ora so di cosa parlate.»
Alexander evitò di scavarsi una fossa
più profonda e rimase in silenzio.
Il cameriere tornò al loro tavolo. «Del
pane! Fresco e profumato!»
Mise la vaschetta tra loro ed Ami gli offrì un
caloroso sorriso. «Grazie!»
«Di niente!» Il ragazzo si
illuminò. «Se ha
bisogno di qualunque cosa, chiami!» Se ne andò al
cenno di
un altro tavolo.
«Questo è crudele»
commentò Alexander.
«È una cosa innocua»
dichiarò Ami. Lo
guardò di nuovo negli occhi ed espresse ciò che
la
disturbava. «Non mi piace essere gelosa.»
«Non esserlo.»
«Non darmi motivo per pensare a te con altre
ragazze.»
«Non lo farò. Ma se ti
capiterà di pensarci, non
arrabbiarti e studia ciò che è successo nella
realtà.» Annuì. «Niente, Ami.
Non è
successo niente quando ero libero di fare quello che volevo, in
passato, figurarsi ora.»
«Vuol dire che adesso non sei libero di fare come
credi?»
Accettò il rimprovero silenzioso di lui. La sua era
stata
una provocazione.
«Adesso ho preso un impegno dopo aver trovato la
persona che volevo. Sto facendo tutto quello che voglio.»
Sedata, Ami guardò a lungo il proprio
bicchiere. «La gelosia mi rende immatura»
disse infine.
«A me piace sapere che ci tieni. Non mi piace
saperti triste.»
Lei si azzardò a offrirgli un sorriso.
«Scusa.»
«Scusa tu. E... prendilo come un complimento. A
volte sono
così candido con te che non connetto bocca e
cervello.»
Lei rise piano. Aprì la guida della
città e gliela
mostrò. «Pensavo che per andare con ordine
potremmo percorrere tutto questo viale. La guida indica che sopra di
noi c'è una piazza famosa, a metà ci sono i
palazzi del governo e in fondo - qui in basso - il monumento che
abbiamo visto da lontano. Siamo vicini anche a una grande scalinata che
si chiama Piazza di Spagna.» Non vedeva l'ora di visitarla.
«Nelle foto sembrava più bella di
notte.»
Lei rifletté. «Potremmo andarci
stasera.» Anche se già per metà
pomeriggio sarebbero crollati dal sonno.
Alexander scrollò le spalle. «Abbiamo
tempo. Camminiamo finché non siamo stanchi, poi ci
facciamo una dormita. Altrimenti non resisteremo.»
Lei lo trovò un buon piano. Tornò a
rimirare le immagini della scalinata. «Voglio sapere qual
è la vista dalla
cima.»
«Io mi sto pentendo di nuovo di non aver portato la
Polaroid.»
«Ci sono le cartoline.»
«Non ci sei tu nelle cartoline. Io sono un po' come
quegli
artisti perduti senza una musa. Quando la trovo, non penso ad
altro.»
Lei arrossì dietro la guida.
«Smettila.»
«Ti vergogni troppo. Sto solo ribadendo che mi piace
la tua immagine.»
«È una cosa nuova.»
«No, è vecchia in realtà. Ma
tu ti imbarazzavi
se ti guardavo troppo intensamente in pubblico; era fuori discussione
chiederti una fotografia da sola.»
Ami respirò a grandi boccate. «Mi
vergogno anche
ora.» Resisteva giusto perché nessuno intorno a
loro
capiva di cosa stavano parlando.
«Sei senza speranze. Per toglierti questi imbarazzi
non so cosa dovrò farti quando saremo
soli...»
Lei spalancò gli occhi e lo fissò.
Alexander sfoderava una calma innocente, come se non avesse
appena
pronunciato in un ristorante, ad alta voce, parole tante
scioccanti.
Ami seppellì l'imbarazzo nella bocca dello stomaco.
«Foto, dici?»
Lui annuì lentamente, sospettoso.
«Prima te ne fai fare qualcuna tu. Quelle che ho di
noi,
scattate dalle ragazze, sono pessime. Non guardi l'obiettivo, hai il
sorriso tirato e quasi sempre fai una faccia strana.»
Alexander guardò sofferente il soffitto.
«Vuoi una foto mia?»
«Più di una. Se tu vuoi le mie.»
«Hm.»
Divertita, lei sentì la vittoria in pugno.
«Hm» ribadì lui, cercando di
non farsi uscire una smorfia. «È una
sfida.»
«I vostri piatti!»
Ringraziando di sfuggita il cameriere, Ami iniziò a
mangiare.
«Abbiamo fatto bene a venire di notte.»
Sulla
cima
della scalinata che avevano percorso, in un posto chiamato
Trinità dei Monti, Alexander osservò il
cielo. In quel due di gennaio, alle undici di sera, il
freddo
era intenso anche in un paese dal clima mite come l'Italia.
Senza volerlo, lui ed Ami avevano
dormito per cinque ore filate quel pomeriggio, perdendosi parecchio del
giorno.
Alexander la strinse al petto, per riscaldarla.
«È
un bel luogo.»
«Mi piacciono l'atmosfera e la luci»
commentò lei
sognante. «Sembra davvero di vivere in
un
antico passato.»
Era bello sentirla serena.
Ami si voltò tra le sue braccia. «Sono
contenta di essere qui con te.»
Lui si abbassò a respirare il profumo dei suoi
capelli. La ricordò in una piazza più grande,
lontana, che lottava
da sola con la morte, appena tre giorni prima. La strinse
più forte.
«Sì.»
«Ehi. Non pensare a cose brutte.»
Aveva ragione lei. «Pensiamo a cose nuove, allora.
Come a quello che
potremmo fare in questa piazza, da stranieri ingenui quali
siamo.»
«Hm?»
«Se ti sembra un posto da favola, rendiamo vera la
favola.» Dalla tasca interna del cappotto tirò
fuori il lettore minidisc. Dipanò il filo delle cuffie e
gliele
porse. «Brano tre.»
Ami era felice. «Cosa vuoi fare?»
«Do ascolto al mio lato americano.» Le
strizzò
l'occhio. «Facciamo una piccola follia da
film.» Accese la musica nelle orecchie di lei.
Aveva registrato la ballata dopo averla
ascoltata alla radio con Ami, mentre studiavano. Lei, sempre tanto
silenziosa, aveva mormorato la melodia muovendo a tempo la
testa mentre leggeva un libro. Lui ricordava ancora la sua espressione.
Ami ebbe un sorriso migliore di quel giorno. «Vuoi ballare?»
Sì. Era inesperto, ma poteva improvvisare due passi
di danza semplici. «Non ci vede nessuno.»
Lei si guardò timorosa intorno, controllando che
fossero soli. Soddisfatta di non vedere gente nelle vicinanze,
si mise in posizione, posandogli una
mano
sulla spalla. «Oh. Io e te non abbiamo mai ballato
insieme.»
Se ne stava rendendo conto anche lui. «Visto quante
cose abbiamo ancora da fare?»
Prima di iniziare a muoversi, Ami appoggiò le
cuffie sulle spalle e gli chiese di alzare al massimo il
volume. «Così anche tu senti la
musica.»
Sistemati i dettagli, lui raddrizzò il
torso, cercando di capire dove mettere le mani sulla schiena di lei.
«Hai mai ballato?» sorrise Ami.
Alexander digrignò i denti. «Mai con
qualcun
altro. Era un terreno su cui
rendermi potenzialmente ridicolo, nonché
un'attività per
mettersi in mostra. Non ne avevo
bisogno.» Divertì Ami, ma tenne a
dimostrarle di cosa era
capace. «Non sembra una cosa difficile.»
«Sarai bravo.»
Rinfrancato, lui tentò un passo laterale assieme a
lei.
Ami lo
seguì con naturalezza, lasciandosi guidare anche nel
movimento
opposto.
La musica era come un eco sottile nell'aria.
«Tu invece hai esperienza.»
«Mi ha insegnato mamma. Era così
aggraziata.»
«Lo sei anche tu.» Provò ad
allontanarla piano,
come aveva visto fare, ed Ami inventò da sola un passo,
volteggiando con la sua mano sopra la testa.
Se solo avesse potuto fare un video di quel momento...
Lei gli tornò tra le braccia. «Stringimi
un po' di più e gira...»
«Così?»
Ami annuì. «Non pensare più.
Ascolta la musica.»
Alexander se ne lasciò trasportare.
Forse, pensò, Ami sarebbe stata più
bella con il vestito azzurro che le aveva regalato sua madre, in mezzo
a una sala ben illuminata e calda. Eppure, lui non avrebbe cambiato
nulla di
quella sera. Nei loro cappotti ingombranti, immersi nelle sciarpe, con
la poca luce che veniva da un lampione vicino, quella
era un'altra delle prime volte uniche che viveva con lei.
Dopo l'ultimo volteggiò, abbracciò Ami,
senza più lasciarla andare. «Ora è
meglio un lento.»
«Perché?» sorrise lei.
«È imbarazzante quanto tu sia
più brava di me.»
«Stavi riuscendo bene.»
«Okay, è una scusa. Mi piace solo
averti vicina.»
Senza fare altre domande, lei appoggiò la testa
contro il suo petto e lo abbracciò di rimando.
A mezzanotte la città dormiva mentre, dentro la
loro stanza d'albergo, il loro orologio biologico segnava il primo
mattino.
Non ho sonno,
pensò Ami, dando un'occhiata alla tv mentre
terminava di asciugare i capelli dopo la doccia. Sperò di
non
disturbare nessuno col rumore a quell'ora di notte.
Alexander era in bagno a lavarsi.
A pensarci bene
- rimuginò lei - questo è un ottimo
momento per qualche
analisi.
Tirò fuori il suo minicomputer e dall'Italia
controllò in Giappone la salute di sua madre. Il calcolatore
non
la tradì, dandole un rapido resoconto dei parametri vitali
di
lei.
Niente febbre, la sua mamma era in piena salute.
Nonostante
l'operato
di Mamoru, volle controllare anche lo stato di Alexander. Erano
trascorse meno di ventiquattro ore da quando lui era stato colpito da
quella
sorta di infezione al cervello. La loro magia - il loro potere - poteva
risolvere tutto, ma la prudenza non era mai eccessiva.
Focalizzò l'analisi del computer sui propri
immediati
dintorni. Chiese di concentrarsi sulla stanza accanto a quella dove si
trovava e nel display apparve un'immagine stilizzata di lui che
si lavava sotto il getto dell'acqua.
Sentendosi voyeur, Ami spostò
l'attenzione
sui dati.
La temperatura corporea di Alexander era nella norma. Il display le
mostrava
il numero dei suoi battiti cardiaci al minuto, la misurazione della
pressione sanguigna e la solita rilevazione di energia che avevano
già notato da settimane. Era sempre il potere di Mercurio,
una forza sovrannaturale trasmessa da lei, pensata per allungare la
durata
della sua vita.
La propria forza, si domandò, non avrebbe dovuto
proteggerlo anche dalle malattie, come succedeva per lei?
Era un quesito da esplorare.
Per abitudine pigiò un altro tasto sotto il
display. Le nuove
rilevazioni, immediate, si focalizzarono sulle potenzialità
di
Alexander in quanto nemico.
La sorprese vedere i valori di un normale essere umano. Di
solito
analizzava in quel modo persone possedute da un'entità
maligna, la cui pericolosità era alterata dalla loro anomala
condizione.
Altezza, peso,
percentuale di massa muscolare, forza fisica degli arti superiori,
inferiori, complessiva... Scorse le voci.
Nessuna
particolarità di attacco
dimostrata. Possibilità di pericolo per Sailor Moon, 0%, per
Sailor Mercury, 60%...
Si fermò nella lettura.
Cosa?
Controllò con più attenzione.
Nell'elenco erano presenti tutte le sue compagne. Per ognuna
di loro la percentuale indicata era pari allo zero per cento, l'unica
eccezione era lei.
Chiese un approfondimento del dato.
Il computer le mostrò un diagramma che metteva a
paragone le energie sua e di Alexander. Per lunghi tratti le linee
coincidevano, per poi
separarsi drammaticamente in suo favore.
Sessanta per
cento? si ripeté in testa.
Anche se gli aveva fornito la propria forza, il dato non aveva
senso, a meno che non si riferisse alla capacità di difesa
che
lui aveva da lei. Ma anche così...
Iniziò a convincersene quando vide le stime che il
computer
faceva del danno che Alexander avrebbe ricevuto dai suoi attacchi
più basici e minori. Tuttavia, ricordò, in
passato si era vista rigettare addosso il riflesso di alcuni attacchi
che aveva lanciato. Non ne era mai risultata immune. Perché
lui apparentemente sì?
L'ykèos,
basato sulla forza dell'amore, dava una marcia di protezione in
più all'energia che una persona riceveva da un essere
potente?
Sapendo che non avrebbe trovato
nulla, provò comunque a dare
un'occhiata alla pagina sulle possibilità di attacco di lui.
Alexander scelse quel momento per uscire dal bagno. Lei
serrò il computer con uno schiocco.
Lui continuò ad asciugarsi la testa con un
cappuccio di spugna. Aveva sentito il suono. «Usavi il
computer di Mercurio?»
«Stavo controllando come sta mia madre.»
«È una cosa che hai bisogno di
nascondermi?»
Non aveva una stretta necessità di tenerlo
all'oscuro di quello che
aveva scoperto, ma...
Lui scoprì la testa bagnata. «Stavi
analizzando anche me, vero?»
«Ecco... sì.»
«Da ieri sto bene, non sono più malato.
Perché ora stai arrossendo?»
Gli avrebbe detto tutto, decise, quando avesse trovato il
momento
giusto per completare la sua analisi. Voleva avere un'idea chiara della
situazione prima di spiegargliela.
«Ehm... il computer è una macchina senza
senso del
pudore. Mi ha mostrato uno schema di te sotto la doccia.» Fra
tutte le scuse che avrebbe potuto trovare, quella era la peggiore.
Alexander si diresse alla propria valigia. «Non
sapevo di questo tuo hobby.»
Ami avvampò. «Che stai
dicendo?»
Voltato e accucciato sui
propri vestiti,
lui sollevò le mani in aria. «Io niente. Hai fatto
tutto da
sola.»
Ami si coprì la faccia, cercando di non morire di
vergogna. È
una piccolissima bugia a fin di bene, si disse. Avrebbe
chiarito il malinteso il prima possibile.
Alexander stava trattenendo malamente una risata.
«Avrei dovuto
portarmi dietro un buon libro» disse lei, cambiando discorso.
«Hm?»
«In tv l'unico canale in lingua inglese è
la BBC, che
riporta solo notizie.» Non se ne sarebbe lamentata se avesse
avuto una mezz'oretta da far passare prima di dormire. Ma avendo
davanti potenzialmente tutta la notte senza chiudere occhio...
«Questo è un buon albergo, ma non offre molto in
termini
di svago.»
«Lo svago è la
città.»
«Mi riferivo al divertimento in camera.»
Lui soffocò un suono. «Well... Per quello
probabilmente
c'è un canale dedicato a pagamento anche in questa tv. O
forse
no, se pensano che in una stanza matrimoniale ci dormano per forza due
persone.»
Lei analizzò il discorso mentre lui si cambiava
dietro l'accappattoio.
Comprese il riferimento con diversi secondi di
ritardo. «Ma-! Ma è...!»
Alexander tornò in piedi, in attesa di sentirla
elaborare.
È una cosa
svergognata, spudorata, alla faccia del romanticismo!
Con fare vagamente derisorio, lui annuì.
«So che bisogna
introdurti al concetto con lentezza. Per questo, anche se mi hai
già visto nudo da capo a piedi, mi sto rivestendo con
l'accappatoio addosso.»
Ami sbuffò. «Mi sembra solo giusto che ci
sia l'atmosfera corretta per- per queste cose! Anche per
parlarne.»
«Sì, ma se mi chiedi come si aspettano
che io e te ci
divertiamo insieme qua dentro...»
Lei respirò a grandi boccate, mandando via il
calore alle guance. «Non pensavo al sesso!»
«Questo mi ferisce.»
Le scappò un sorriso. «È colpa
tua.»
Lui era divertito. «Cerca di capire. Su questo
argomento, con te, sono
in perenne
equilibrio tra un'estrema sensibilità e quel normale
pragmatismo
maschile che mi impedisce di trasformarmi in una donna. Non ti piacerei
donna.» Fece una pausa. «Forse non voglio
saperlo.»
Ami si fece una sana risata.
Coi pantaloni del pigiama ormai indosso,
Alexander appoggiò le mani
sul materasso. «Visto che sei capace di ridere di questi
scherzi? Anche tu sei pragmatica su queste cose, quando vuoi.»
Naturalmente. In fondo, nella sostanza, discutevano di
fenomeni
biologici e meccanici. Tuttavia, su un altro piano... «Se mi
imbarazzo
troppo, o se se assumo un approccio troppo logico sulla questione, non
divento
dell'umore giusto.»
Lui sospirò. «Lo so. Per questo
stasera smetto di prenderti in giro.»
Lei fece il naturale collegamento. «Quindi speri di
fare sesso?»
Per un istante Alexander non disse niente. Stava piegando la
bocca per non
ridere.
«Vedi? Sei peggio di me.» Non
continuò la conversazione, scuotendo la testa e tornando a
vestirsi.
Controllando che i propri capelli fossero asciutti, Ami
staccò il phon dalla corrente.
Pensandoci, avevano anche il suo computer a disposizione
quella
notte, e di conseguenza la possibilità di studiare insieme
un
numero infinito di dati, formule e situazioni.
Potevano passare il tempo in quel modo, oppure...
Alzò gli occhi il
soffitto.
Be', dipendeva da quello che lui avrebbe voluto e da
come si
sarebbe comportato nei suoi confronti.
Non era semplice per lei porsi da sola in una situazione
di eccitazione, specie se aveva già iniziato ad analizzare
contesto e circostanze. Forse perché si bloccava da sola -
per
imbarazzo
- su stimoli visivi e mentali.
Non succedeva quando il suo bisogno era
spasmodico. Le era capitato durante i loro brevissimi periodi di
astinenza, o quando aveva sentito la necessità di stare
assieme ad Alexander dopo un grande pericolo, o una grande emozione. In
quei
casi
avevano a stento parlato prima di fare l'amore; si erano capiti
naturalmente, con semplici sguardi. Tuttavia, in una
situazione quotidiana priva di
elementi
eccezionali, la situazione era tutta da costruire.
Per ora le andava bene così. In genere di suo
doveva fare
poco o nulla: le bastava adattarsi a quello che proponeva lui. Era
Alexander a iniziare sempre un approccio, puntualmente. Chiedeva,
suggeriva, le
faceva venire in mente pensieri sensuali e romantici, e infine la
convinceva. Era stata più o meno quella la
struttura dei loro incontri
sessuali
fino a quel momento.
Finché funzionava...
«Il phon?» Lui allungò la mano.
Dopo averglielo passato, Ami si sdraiò sul letto.
Sopra il rumore
dell'asciugacapelli in bagno, provò a seguire un canale in
italiano.
Non era mai tardi per imparare una nuova
lingua.
«Hai portato il tuo computer» disse
Alexander sedendosi
sul letto, osservando l'astuccio di plastica azzurro che
giaceva sulle coperte. «Possiamo riprendere le analisi che
abbiamo
interrotto sul vostro potere. O sul teletrasporto. O sulla tua
condizione, se vuoi.»
Ami lo osservava, sorpresa. «Se ne hai
voglia...»
Lui non lasciò trasparire alcun pensiero.
«È
quello che sto proponendo.» Si allungò verso i
piedi del
letto, sporgendosi per tirare fuori dalla valigia il quaderno e la
penna
che aveva portato.
Con Ami attorno non era mai il caso di stare senza.
«Sarà una notte produttiva»
dichiarò.
Lei abbozzò un sorriso e lui non ebbe rimpianti.
In fondo, forzava spesso la
situazione. I risultati lo ripagavano - li ripagavano
- ma per una sera potevano starsene tranquilli a parlare. C'era un
valore in ogni partecipazione attiva ed entusiasta di Ami, fosse a una
conversazione, a un ballo, o a un momento di intimità.
Lui
sarebbe tornato a rimirare e a rispondere invece di incitare
senza
sosta. Dopo le esperienze che aveva avuto con lei, poteva
rimanere calmo e non avere l'idea fissa del
sesso. Per quel giorno, d'altronde, aveva stuzzicato Ami a sufficienza.
«Teletrasporto?»
suggerì.
Lei si convinse e annuì.
Passarono due ore a studiare la teoria dello spostamento di
materia
attraverso il potere. Poiché Ami riusciva a
teletrasportarsi, avevano capito
qual era l'equazione fondamentale dietro il processo, ma il potere di
lei
era la chiave che lo avviava e lo gestiva - tutti meccanismi che
avrebbero meritato di essere compresi tramite formule leggibili e
aperte alla comprensione.
Riempirono metà quaderno coi loro calcoli e
ragionamenti,
solo basi per la struttura di pensiero da cui partire verso studi
più approfonditi delle singole parti del problema.
Sdraiato sul letto, Alexander portò la penna alle
labbra, mordicchiandone la base.
«A questo punto non mi farebbe male un'occhiata a un
libro
che ho in casa. Ricordo un passaggio che trattava una questione
simile.»
«Posso andare a prenderlo.»
Non se ne parlava neanche. «Siamo in
vacanza.» Il suo era solo un proposito per il
ritorno.
Seduta accanto a lui, Ami osservava con attenzione la
penna nella sua bocca, gli occhi sottili.
«Non
farlo.» Gliela tolse dai denti.
«Poco igienico?»
«No. Ma non riesco a guardare come torturi questi
poveri strumenti.»
Lui rise. «Tu distruggi le matite. Le temperi troppo
per avere sempre una punta fina.»
«Mi piacciono graffianti.»
Già. Incisive e precise. «Domani compro
un
pacchetto di penne nuove. Metà per te,
così saranno
immacolate.»
Ami osservò la biro che teneva in mano. La
rigirò tra le dita, osservando le sfaccettature del
rivestimento
trasparente. «Ne
avremmo avuto bisogno comunque. L'inchiostro di questa è
quasi
finito.»
«Si è immolato alla nostra smania di
conoscenza.»
Sorprendendolo, lei si sdraiò su un fianco.
«Ehi.» Gli mostrò la
penna.
«Se questo fosse l'ultimo inchiostro che ti resta per
sempre, e avessi solo un'ultima frase tua da scrivere...»
Ami poeta. Era una visione rara e
genuina di lei. «Se me lo chiedi, a te è
già venuta
in mente una risposta.»
«Sì. 'L'amore ci eleva'.» Lo
sfiorò con la base della
penna sul naso. «È una cosa in cui credo per
tutti, ma... scrivendola penserei a noi due.»
D'istinto lui le prese la mano. Afferrò la
penna, posando la punta su un polpastrello di lei. Aveva un
sentimento
da esprimere,
un'energia. Nella sua pochezza di mezzi si
ritrovò a tracciare la forma di un cuore.
Vergognandosi, impedì ad Ami di guardare: su un altro suo
dito
disegnò un segno di maggiore intelligenza, il simbolo
dell'infinito. Con altri tre polpastelli da riempire, fu estremamente
idiota e
scrisse il nome di lei in caratteri occidentali. All'ultima lettera,
stava ridendo.
Ami non resistette e si guardò la mano.
«Cosa hai scritto?»
Lui si coprì gli occhi per non vedere la sua
reazione. «Non dovevano promuovermi
all'asilo!»
Udì il divertimento di lei, dolce e
pienamente giustificato.
«Scusa!» scoppiò, senza
riuscire a fermare le
risate. «Tu te ne salti fuori con una poesia e
io...!» Si
afferrò lo stomaco, per fermare gli spasmi.
Ami gli prese la testa e piantò un bacio sonoro
sulla sua
bocca.
«Mi piace!» Gli salì sopra, scossa da
sussulti di felicità. «Mi
piace!»
Lui rispose al respiro allegro sul viso e accettò
un altro bacio. Notò come Ami non
aprì le loro labbra, ma gradì l'innocenza del
trasporto di lei e la semplicità
dell'abbraccio con cui si
limitò ad accoglierla.
Ami tirò su la testa per guardarlo. Nei suoi occhi
c'era un'attesa, quasi una domanda.
Intuendola, lui non terminò di decifrarla. La
accarezzò su una
guancia, toccando con un dito i capelli che le sfioravano la mascella.
Lei fece per riabbassarsi, poi attese un altro istante in cui
cercò invano
di incontrare i suoi occhi. Finì col decidere da sola che
poteva baciarlo di nuovo.
Lui assecondò la pressione lieve
del contatto.
Non dovette trattenersi dall'assaggiare con la lingua: era
entrato in uno stato di calma assoluta. Voleva sentire solo
quello che Ami sceglieva di fargli provare.
Lei proseguì con delicatezza, senza esitazioni.
Dopo lunghi momenti, racchiuse il suo labbro superiore nella bocca,
succhiandolo piano. Con un sospiro lui cominciò a
massaggiarle la
schiena.
Lei raccolse ulteriore coraggio e cercò l'interno
delle sue labbra, scivolandogli dentro con la piccola lingua ruvida,
mobile.
Faticando a respirare, Alexander intensificò il
bacio secondo il ritmo impostato da
lei, seguendola. Provava piacere nel trattenersi da
altre azioni e
più le sensazioni aumentavano, più il rimanere
fermo le concentrava all'interno del suo corpo.
Staccandosi di nuovo, Ami sorrise a stento nel notare
che anche lui ansimava in silenzio. In qualche attimo, si
confuse
ancora. Voleva qualcosa, ma non si decideva a metterla in pratica.
Alexander le diede un minimo aiuto lasciando scorrere una mano
sul
suo fianco. Rinfrancata, lei si sdraiò di lato per
essere
più
comoda, azzardandosi a tirarlo a sé con un
braccio attorno alle spalle. Il bacio intenso che
seguì fu la somma della loro
unione per due minuti buoni, per lui piacevoli, per
lei ragione di incertezza verso la fine.
Ami si allontanò piano, mantenendo il naso vicino
al
suo.
«Perché non...?»
Lui sedò la traccia di tristezza sfiorandole
le labbra. «Cosa?»
Lei capì ancora meno. «Tu non
vuoi...?»
«Sono qui.»
Ami rifletté sulla risposta.
Impietosito, lui le lanciò una corda per uscire dal
labirinto. «Tu vuoi?»
Ami respirò più forte e
deglutì. «... Ti sto stringendo.»
L'ingenuità di lei lo colpì daccapo: Ami
si aspettava davvero di non dover fare nient'altro per andare
avanti. Lui non aveva voluto metterla alla prova, o fare alcun
esperimento, però...
Rifiutò di elaborare un piano preciso.
«Ti seguirò in quello che fai» le disse.
Per quella sera era di quell'umore.
Lei entrò in uno stato di crisi profonda.
Non fare
così. Fu
sul punto di dirle che ci avrebbe
pensato lui, ma smise di stringerle il braccio e si
rilassò. Era colpa sua se Ami si sottovalutava: lui
non le
lasciava
prendere l'iniziativa. Intervenendo l'avrebbe bloccata di nuovo.
Per non metterla alla prova non la
guardò. Si
limitò a toccarle i capelli senza secondi fini e rimase in
attesa di una sua qualunque decisione.
Ami pensò di mettersi a ridere, sedersi e tornare a
studiare. Avrebbe scelto di farlo solo per sfuggire al
nervosismo. Poteva rimanere sdraiata, essere audace e tornare
a baciare Alexander, ma dopo? Era fuori discussione che lei iniziasse a
spogliarsi da sola, senza una spinta o una attiva insistenza di lui.
Non era una ragazza
così...
Così,
cosa?
Frustrata, provò a esprimere una
preghiera
con gli occhi, ma Alexander non la stava guardando. Era calmo. Nel
modo in cui si concentrava sul dito che muoveva dietro il suo orecchio,
non c'era alcuno scopo o fretta. Lui non voleva spingerla a fare
qualcosa: era lei ad aver creato il problema.
Già, stava facendo tutto da
sola. Alexander aveva reso evidente la propria mancanza di interesse.
Lasciamo stare,
allora.
Si concentrò sulle dita che che la accarezzavano,
pronta a lasciarle andare.
Peccato.
Per la delusione gli chiese un ultimo bacio, prendendoselo da
sola. Volle renderlo breve - una specie di saluto all'idea - ma le
piacque davvero molto stargli attaccata, avere la bocca di lui che le
rispondeva e stringerlo per la spalla con la mano disegnata.
Il cuore, il simbolo matematico dell'infinito e il suo nome
tutti insieme erano la cosa più sciocca e dolce
che avesse
mai visto.
Mi piace.
Approfondì per necessità il bacio. Adoro tutto.
Dosò il respiro come aveva imparato a fare, per
continuare a baciare senza smettere.
Diventarono più
smaniosi in
pochi momenti.
Insieme? O sono solo io?
Resistette all'impulso di staccarsi di nuovo e si
avvinghiò a lui con tutta la sua forza. Si
preparò a venire sdraiata sulla schiena, o a sentire la
bocca di Alexander che scendeva all'improvviso sul suo collo, ma in
risposta ebbe solo ciò che diede, ovvero un abbraccio forte
che,
come il suo, trasmetteva bisogno e ardore.
È un
gioco?
Aprì la bocca e lui usò la
lingua sulla sua, senza risparmiarsi.
Se era un gioco, non c'era qualcosa di scorretto in
ciò che
le veniva chiesto.
Scivolò col palmo sulla schiena di lui,
rabbrividendo nel sentire un tocco simile sul proprio corpo.
Continuò la carezza per istinto e fu con quello che
Alexander rispose.
Lui non la stava mettendo alla prova. Si stava solo
beando delle sue azioni, come faceva lei quando era lui a stimolarla.
Ami volle comunque cambiare la situazione: si
sollevò e, privandosi di qualunque pudore, levò
con
un unico movimento la felpa del pigiama. Non ottenne la reazione che si
era aspettata - un piccolo assalto. Alexander rimase fermo a rimirarla,
le dita che premevano sulla carne delle sue mani, sui suoi
polsi, mentre la percorreva con gli occhi, soffermandosi sui seni che
per la troppa attenzione si stavano indurendo dietro i ricami di cotone
azzurro. In tutto ciò, lei rimaneva
immobile a farsi guardare.
Si sentì dentro una specie di romanzo erotico.
«Ehm...» Gli strinse le mani in due pugni.
A lui spuntò un sorriso lieve, devastante nel
suo messaggio. E ora
cosa fai?
Per non rimanere in mostra lei gli si sdraiò sopra,
stringendolo forte, quasi a punirlo. Non resistette comunque
dall'abbandonarsi a più baci. Il suo corpo fremeva,
il battito del cuore le pulsava nelle
orecchie e i suoi nervi erano
accesi. L'intera condizione
era
divina.
«E ora...» allontanò le labbra
da
lui, «toglierai da solo il pigiama?»
«Guidami a farlo.»
Solo l'impazienza le impedì di protestare. Mise le
mani sotto il tessuto pesante e
arrotolò
verso l'alto il pigiama di lui, avvampando appena Alexander non fu
più in
grado di vederla. Quantomeno lui la aiutò sollevando il
torso
dal letto, per permettere alla felpa di uscirgli da sopra la
testa. Nella stanza la luce proveniva dalla lampada a muro di
un
piccolo corridoio e da due abat-jour posti sui comodini da una
parte all'altra del letto. Ogni volta che vedeva i capelli di
lui tanto biondi, Ami
sapeva che l'illuminazione era eccessiva.
Saltò via dal letto. «Spengo la
luce.» Andò all'ingresso della camera, togliendo
il tassello della chiave dall'alloggiamento. Il meccanismo
risultò inceppato: tutte le luci rimasero
accese.
Forse c'era da aspettare?
Nella stanza l'illuminazione si abbassò dopo il
suono di un clic.
«Facciamo manualmente» disse Alexander.
Lei rimise la chiave al proprio posto. Già,
serviva un minimo di luce.
Tornò indietro dopo aver trovato l'interruttore che
rendeva buio il corridoio.
Alexander aveva lasciato acceso un unico abat-jour e si era
alzato a
recuperare qualcosa dalla valigia. Lei notò nella sua mano
un piccolo involucro quadrato, di plastica.
Si sentì...
esposta. Non era lui che la innervosiva:
era il fatto che fosse meno priva di controllo rispetto ad
altre volte. Era meno semplice per lei giocare, buttarla sul
ridere, se
sapeva di doverli guidare entrambi. Se solo immaginava di
poter sbagliare...
Ma non
potrò
fare grandi errori con te, vero?
Camminò verso il letto, salendoci sopra con le
ginocchia.
Alexander la incontrò a metà strada.
«Ora sei incerta?»
«Un po'.»
«Perché?»
Faticò a scegliere cosa dire.
«Non ricordi le prime volte?
Anzi, la seconda
volta. Di pomeriggio, nella tua camera.»
Sì. Gli era stata sopra, tentando di ripagarlo con
un atto di audacia per i mesi di attesa. Non era stata molto brava e
alla
fine non aveva funzionato come aveva voluto, ma non
le era importato. «Ricordo.»
«Come quella volta, anche prima eri bravissima.
Naturale ed
eccitante.»
Smettila. Ma
nell'ascoltarlo l'aveva percorsa un brivido.
Alexander allungò una mano. Con un dito le
sfiorò tutto lo stomaco, dall'alto verso il basso.
«Mi piace quando mi tocchi.»
A lei piaceva toccarlo.
Non spense il cervello, lo usò. L'incertezza non
aveva ragione di esistere per situazioni che si erano già
ripetute in molte circostanze.
Piegando il braccio, slacciò
il reggiseno sulla schiena. Era l'ennesima volta che si faceva vedere
seminuda e ciò la aiutò a lasciar cadere le
coppe dal
petto, con lentezza, rimanendo dritta col torso. Stava scegliendo
di essere assaporata con gli occhi.
Che ragazza
svergognata. Sorrise per l'aggettivo che aveva
sempre temuto di darsi. Ma non c'era vergogna nell'amore,
anche quando non era una
follia che annebbiava la mente.
Si sporse in avanti, ancora confusa su come si sentiva
nell'aver cercato tanta attenzione. Mentre raggiungeva Alexander per
sedersi sulle sue gambe, capì l'effetto che gli aveva fatto:
era tanto nei suoi occhi quanto nel rigonfiamento evidente sul
bassoventre.
Anche di questo so tutto.
Quasi.
Evitò ogni ritrosia e, sistemandosi su di lui,
abbassò le palpebre e lo baciò. Non
venne stretta
con forza o spostata, ma appena toccata, come stava facendo lei
stessa. Forse Alexander si stava trattenendo, ma a quel punto
era
probabile che lo trovasse piacevole: lei non lo aveva mai visto
immettersi in un
percorso che non sentisse soddisfacente.
Poiché stavano continuando come prima, con lei che
decideva cosa fare, intrecciò le dita con lui
e le portò alla bocca, sfiorandogli le nocche con le
labbra umide. Abbassandogli le mani, a palpebre serrate,
aprì quei palmi grandi sul proprio petto.
Smise di respirare.
Cominciò a essere massaggiata, stuzzicata coi
pollici.
Fu salvata dalla propria
eccitazione - o piuttosto distratta - da una bocca leggera sulla sua.
«Hai tutto il petto rosso.»
Lo so.
La situazione non si sarebbe sistemata, ma lei poteva
arrossire per ragioni migliori. Nascose gli occhi contro un
lato della tempia di lui e gli
passò le mani sulla schiena nuda, percorrendo il suo corpo
fino ad arrivare allo stomaco. Aveva visto, sapeva, ma
per timidezza a malapena si era goduta ciò che toccava.
Questo,
tracciò un contorno, è
quel muscolo che si contrae quando lui trattiene il respiro.
Alexander lo fece in quel momento.
Lei salì con le mani. Sfrego il seno contro questo
punto quando lui mi sta sopra.
Lo sentì ansimare contro la propria bocca.
Aprì gli occhi. Cercò lo choc
congiunto delle iridi chiare che diventavano verdi e della sensazione
delle dita con cui gli stringeva le spalle.
Qui mi tengo
quando
devo afferrarmi. Ho tagliato le unghie corte per non fargli
male.
Ora
stava morendo dalla voglia di afferrarlo più
forte. Ansimando
in silenzio, si spostò di lato, per spogliarsi della parte
inferiore del
pigiama. Alexander fece lo stesso coi propri pantaloni.
Sapendo che non sarebbe andato oltre da solo, Ami
avvicinò la mano al
suo ventre. Con immenso imbarazzo, gli tirò giù
l'elastico dei boxer, piano. A metà strada lui ebbe
pietà e terminò da
solo. In due, l'unica barriera che era rimasta a separarli
erano gli
slip
azzurri che lei ancora indossava.
Sollevandosi sulle ginocchia, Ami provò a essere
sensuale nello sfilarli, facendoli
scivolare
lungo i fianchi.
Alexander la guardava a bocca aperta. Poi ebbe una sola
reazione: si voltò verso il comodino e recuperò
il
preservativo.
Lei si sentì libera di essere più
normale nei movimenti mentre liberava i piedi dalle mutandine.
È tutto
così strano. Soprattutto la maniera in
cui era
straordinariamente lucida nella propria eccitazione.
Lui terminò di srotolare su di sé
l'involucro
protettivo di lattice.
Non riflettere, vai.
Coprì il metro che li separava, deglutendo mentre
di nuovo lo scavalcava con un ginocchio. «Questa
volta» tentò di sorridere,
«manterrò la promessa.»
«Quale?»
«Ne so di più adesso. Provo a starti
sopra.»
Quando lo aveva proposto, un mese prima, si era letteralmente
gettata in un territorio sconosciuto, pronta a offrire pazzie pur di
dimostrare in quel nuovo modo il proprio amore.
Di slancio circondò il collo di lui con le
braccia, affondando col naso nella sua guancia. Avere i loro corpi che
aderivano e le sue braccia che la
stringevano la aiutò a sentirsi più
sicura. Quella era sempre una
situazione familiare, un mero rimbaltamento a centottanta
gradi
delle loro normali posizioni.
Appoggiò il bacino contro quello di Alexander e
ricordò la differenza più importante.
«Ehm.»
Udì una risata bassa.
«Non devi fare tutto da sola fino a questo punto. Tirati un
po'
su.»
Manovrarono con mani e fianchi, fino a che lei non
sentì la consistenza bollente della protezione sottile che
li
separava. «Okay.» Si
abbassò lentamente su di lui.
Racchiudendolo in sé, si
fermò. Le sembrò di essere più stretta
- quasi
spiacevolmente - e meno bagnata.
Separando le gambe, tirò
indietro i fianchi e provò di nuovo.
Con qualche tentativo
lo
inumidì del liquido del proprio corpo e scivolare su di lui
divenne più facile.
A differenza delle volte precedenti - nonché del
giorno in cui aveva sperimentato quella posizione - faticò a
far
incontrare i loro bacini. Ad Alexander non sembrava
dispiacere: con una mano lui si
teneva forte al materasso, le labbra aperte.
Era bello essere tanto potente da provocargli simili
sensazioni. Era bello guardarlo.
Gli passò un dito sulla bocca. «Vuoi
sdraiarti?»
Senza neppure rispondere, lui andò indietro con la
schiena.
«Aspetta!» Gli impedì
all'ultimo momento di sbattere con la nuca contro la testata del letto.
Sorrisero.
«Va bene.» Alexander la tenne per i
fianchi e scivolò sdraiato lungo il materasso, trascinandola
con sé.
Anche per lei fu difficile trattenere un ansito: durante il
movimento si erano incastrati più a fondo.
Si sporse in avanti, le mani ai
lati della testa di lui. «Adesso sembri... più
grande.»
«Questo è quello che voglio sentirmi
dire.»
Corse a tappargli la bocca e lo sentì ridere contro
il palmo. Divertita, scosse il capo e a occhi chiusi provò a
strofinarsi contro di lui.
Non trovò subito il movimento giusto. Fu
impacciata, cauta per non perdere l'incastro.
Dopo alcune prove, capì come combinare un affondo
all'indietro e lo sfregamento del pube contro quello di lui. L'effetto
fu ultraterreno nell'estasi che le provocò.
«Sei tu che sei diversa.» Perso, Alexander
la stava
baciando senza ordine sul collo. «Dev'essere la
posizione.»
«Forse.» Sospirò contro la
fronte di lui, la forza che le veniva meno nelle braccia. Si
sdraiò col torso sopra il suo corpo. «Non ti
dispiace rimanere fermo?»
«Hm?»
«Vuoi
muoverti?» Si rendeva conto di non mettere in atto le manovre
che di solito gli piacevano di più.
«Per quello dovrai pregarmi.»
Ah,
sì? Gli strinse un ciuffo di
capelli, tirando appena.
«Quindi preferisci servirti di me a
piacimento?» Alexander le fece abbassare la
testa, per baciarla. Ami dondolò su di lui, l'idea di
usarlo
che cresceva nelle intenzioni di tutto il suo bacino.
Respirò più forte dentro la sua bocca.
«Mi togli il fiato, Ami.»
«Oh, scusa!» Cercò di smettere
di schiacciarlo.
«No.»
Ridendo lui la
accarezzò sul petto, prendendo un suo seno nella mano.
«You are
beautiful. Perfect.» Sollevò
i fianchi per spingerla in avanti, verso di
lui, così da poter arrivare con la lingua su un suo
capezzolo gonfio.
Sbilanciata, lei non smise di muovere a tempo a i fianchi. Con
l'aria che la colpiva sulla schiena e le ginocchia che
insistevano nell'aiutarla a scuotersi, si sentì indecente e
libera. Le bastò non guardare per continuare. Non era sola:
Alexander fremeva dentro di lei e con la bocca continuava a tormentarle
il seno.
Riconobbe i primi segnali di tensione nel proprio corpo e si
fermò per pura forza di volontà.
«Alex.» Ansimando, premette verso il basso col
peso, per tornare
più
stabile. Strinse i denti. «Ti prego.»
Lui aprì di scatto le palpebre.
Con le braccia piegate a racchiudergli la testa, lei si
chinò a baciarlo. «Ti prego»
mormorò di nuovo. «Muoviti con me.»
Si sentì abbracciare forte. «So generous»
udì, ma lei non era generosa. Lo aveva chiesto per
se stessa: voleva essere con lui nel culmine delle sensazioni.
Ebbe le sue mani sulla parte bassa della schiena, poi su
entrambe le natiche. Sussultò.
«Tieniti.»
Alla prima spinta fece pressione sui palmi delle mani per non
essere sbalzata in
avanti. Alexander si stava aiutando con le gambe piegate, e
persino andando contro la forza di gravità, era tutto
così...
Sconvolta da come si erano ribaltati i ruoli,
cominciò a
opporsi per istinto, a rispondere. Lui rallentò,
permettendole di comprendere il ritmo, e con una rotazione delle
ànche
lei trovò l'insieme della sua
spinta, raccogliendola in sé sul finale.
Alexander sibilò, gettando la testa all'indietro.
Ami gli alitò sul viso, gemendo in silenzio.
Stava per implodere, sciogliersi nel più assoluto
dei-
Lo spasmo la colse di sorpresa. Ne venne invasa,
sentì come non mai la differenza: non aveva
impedimenti nel muoversi in risposta. Riuscì a seguire, ad
amplificare ogni minima sensazione. Tenne la testa di lui tra le
mani e lo baciò in viso tutte le volte che ne
sentì il bisogno. Fu glorioso.
Alla fine, anche se Alexander contribuiva a tenerla
ferma, non ebbe più le energie per opporglisi. Lui se ne
accorse e provò a girarli di lato. Esausta, lei si
aggrappò con le gambe ai suoi fianchi.
Quasi
gioì
quando sentì il materasso sulla
schiena. Riposò,
osservò, mentre lui si muoveva dentro di lei con lo stesso
desiderio che l'aveva animata fino a pochi istanti prima.
«Ami.»
Il proprio nome nella sua voce, con quel timbro... Lo
racchiuse più forte tra le gambe.
Come sofferente, lui si mosse veloce, poi si
irrigidì col torso e solo il suo bacino si agitò
in scatti lunghi, profondi.
Lei fotografò il momento nei ricordi.
Mi piace.
Alexander finì e lei allungò le mani per
prepararsi
ad
accogliere il suo riposo.
Fu un premio poterlo abbracciare contro il petto.
Respirarono forte, sempre più lentamente, insieme.
Lui emise un brontolio infelice. Si sollevò,
allontanandosi da lei per rimaneggiare nel punto in cui si univano. Ami
capì e accettò la rapidità della
separazione. Vederlo alzarsi fu un dispiacere, ma quando si
ritrovò le
membra
libere, le stiracchiò soddisfatta, andando a rannicchiarsi
su un fianco.
Se avesse dormito così, si rese conto, sarebbe
morta di freddo.
A malincuore trovò l'energia per rimettersi in
piedi. Cominciò a liberare le coperte dagli angoli del
materasso.
Alexander la raggiunse e la aiutò, sollevandole in
aria con lei. «Ecco.»
Si ripararono sotto la massa comoda del copriletto.
Lui cercò un abbraccio. «Ti prego, love.»
«Hm?» Le uscì uno sbadiglio.
«Un giorno dobbiamo rifarlo assolutamente.»
Come fai a
pensarci adesso?
Sorridendo, si accucciò contro di lui.
Il sonno si
prese il suo cervello.
Riaprendo gli occhi, la prima cosa che Ami notò fu
la
luce della lampada. Alexander era seduto accanto a lei con un
quaderno
sulle ginocchia. Fuori dalla finestra era ancora buio pesto.
Strofinò le palpebre.
«Ehi.» Fu un sussurro.
«Che ore sono?»
«Le quattro.»
Lei fece una smorfia e si sdraiò sulla schiena.
«Tu hai dormito?»
«Un'ora abbondante. Se vuoi, torna a
riposare.»
Non era così semplice, oramai era sveglia.
«Non ho tanto sonno.» Liberò uno
sbadiglio di pigrizia.
Lui si divertì. «Se vuoi, ti aiuto come
prima con la stanchezza.»
In risposta lei nascose la testa contro il cuscino.
«Ho scoperto una cosa» lo sentì
dire.
Incuriosita, lo osservò mentre lui si girava e
recuperava un paio di occhiali sottili.
«Le tue lenti da vista?»
«Per quando affatico gli occhi»
annuì piano Alexander. «Me le hai viste usare
prima?»
Ami mandò via gli ultimi
residui di sonno. «Mentre studiavamo?»
«Già. Non ho sentito il
bisogno di mettere gli occhiali, ci vedevo bene. È da
un'ora che butto giù formule sotto questa piccola luce
gialla, ma la mia vista è ancora ottima.»
Lei impiegò un momento a capire.
«Sono guarito.»
Sussultò. «...Mamoru?»
«Dev'essere» sorrise Alexander.
«Effetto collaterale.»
Lui ne era stato influenzato al punto da avere cambiamenti
fisici permanenti? E se quella non fosse stata l'unica conseguenza?
Si sporse a prendere il computer. «Alex.»
Lui la sentì grave. «Cosa?»
Lei accese il calcolatore. «È meglio se
approfondiamo
la questione. Inoltre, c'è una cosa di cui devo
parlarti.»
Sospirando, cominciò a spiegargli.
2/3 gennaio 1997
- Vacanza in Italia/1 - CONTINUA
NdA: E finalmente ho scritto anche questo capitolo :) Si
conclude su
una sorta di mini-cliffhanger, ma nel prossimo episodio non prevedo
rivelazioni eccezionali (a meno che la mia testa non mi sorprenda
:P) Questa sarà semplicemente un'altra delle
questioni
che
imcomberanno ancora, a livello di pensiero di futuro, su questi due
poveri ragazzi che stanno cercando di farsi una sana vacanza
(riuscendoci con successo, a tratti ;P)
Passando ad altro...
Sono stata a Roma tre volte, quindi ho ripreso dai miei
ricordi del
posto. La città era più un'ambientazione che la
protagonista di questa storia, perciò non stupitevi di
trovarla
poco
(scusate, romani, per questo). Naturalmente, non ho ancora finito di
menzionarla: ho già scritto altrove che la vacanza di
Alexander ed
Ami dura almeno quattro giorni. È possibile che in un certo
momento i due si spostino a Venezia, o in altre città, ma se
ciò non
implicherà un'evoluzione delle loro dinamiche,
eviterò di
raccontare il loro puro divertimento (bisogna pur lasciare che si
godano un po' di privacy :D)
Ho fatto un paio di ricerche sul modo in cui i giapponesi
vedono gli
stranieri, e viceversa. Da lì vengono le mie note
sull'argomento
in questo capitolo. Per esempio, non sono stata a Tokyo, ma leggevo in
più appunti di viaggio che è un posto
affollatissimo in certi quartieri e che le persone camminano in fila
tra fiumane di genti che si spostano tutte nella stessa direzione. Ho
pensato di creare un contrasto con una via abbastanza centrale
di Roma che
ho visitato (guardando ora una cartina, dovrebbe essere 'Via del
Corso'). Ho visto coi miei occhi che non c'era differenza tra
marciapiede e strada in molti punti :D
Come al solito, anche qui ho inserito un paio di indizi su
quello che sta capitando ad Alexander e in generale su cosa potrebbe
implicare un utilizzo del potere di guarigione di Mamoru.
Elaborerò :)
Grazie di aver letto! Ogni commento mi farà felice
*_*
ellephedre
Gruppo
Facebook dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre...
|
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Capitolo 3 *** 3 gennaio 1997 - Vacanza in Italia/2 ***
per istinto e pensiero 3
Per
istinto e pensiero
di ellephedre
3 gennaio 1997 - Vacanza in Italia/2
Si trovavano a ridosso di un campo, su un
marciapiede, appoggiati a
una ringhiera. Sotto di loro, incastonata nella città, stava
una
piccola distesa erbosa di rovine, cumuli di pietre consumate che
lasciavano intuire la disposizione di edifici andati distrutti nei
secoli. Ad Ami l'immagine ricordava un luogo in cui si era trovata:
nella
battaglia
contro Nehellenia, in compagnia della sola Uranus, aveva corso lungo
colline disseminate di ruderi arcaici per ricongiungersi alle compagne
da cui era stata separata.
Era come se quei
resti romani le stessero dicendo che, un tempo, si erano avuti scenari
simili
sulla Terra, tra persone comuni. «Non può
essere.»
«Cosa?»
La domanda di Alexander la risvegliò dai suoi
pensieri. Sentì di nuovo il
calore del sole sulla pelle.
«Anni fa ho combattuto in un
luogo simile a questo, all'interno di un'illusione. Ma la
nostra
nemica non poteva conoscere l'antico impero romano.»
D'altronde, rifletté, non sarebbe stato necessario.
«Lo stile di queste
rovine ricorda quello delle costruzioni che sorgevano nell'antico Regno
della
Luna.»
«Eh?»
Era uno dei molti dettagli che non gli aveva rivelato.
«Non
era
un
posto futuristico, sai? L'architettura degli edifici era molto simile a
quella
che si era espansa nel Mediterraneo un paio di millenni
addietro.»
Ben
oltre, anzi. «In verità, i romani si sono limitati
a
copiarla dal
popolo greco. Furono loro a crearla, anche se...» Il ricordo
le causò una smorfia.
«Cosa c'è?»
«Nemesis.
Anche se la parola esiste in inglese, la sua radice è da
ricercare nell'antica lingua greca.»
Alexander era attento. «Come lo hai
saputo?»
«Hotaru. I servizi segreti americani volevano
informazioni da
lei. Hotaru ha trovato il modo di ottenerne a sua volta.»
Ne sorrise con lui, poi si fece grave. «Quello
stesso giorno Zenas di Nemesis le ha rivelato che una persona del suo
popolo era già giunta sulla terra, secoli fa,
plasmando la nostra cultura.»
Lui assorbì l'informazione. «In
Grecia» comprese. Come lei, non gradì l'idea.
«Non ha mentito. Le probabilità che due lingue
appartenenti a mondi diversi abbiano
radici simili senza essere mai entrate in contatto tra loro
è... nulla.»
Esatto, lei aveva fatto lo stesso ragionamento.
Si chiese fino a che punto i nemesiani li avessero
influenzati come popolo terrestre. Era un fatto che quasi li derubava
della loro
identità.
«Scusa» finì col dire,
sospirando.
«Perché?»
«Non volevo parlare ancora dei nemici.»
«Non mi dà fastidio.»
In ogni caso, avevano già passato buona
parte della mattina a riflettere su questioni sovrannaturali. Con le
loro analisi avevano concluso solamente che, col passare delle ore,
l'influenza che il potere di Mamoru aveva avuto su Alexander andava
diminuendo. Il mini-computer ora valutava la
pericolosità di lui nei confronti del potere di Mercurio
al cinquantacinque per cento, da un sessanta per cento rilevato poche
ore addietro.
«Per dopodomani sarò tornato
normale» aveva detto
Alexander. «In questi giorni mi ritengo fortunato a
essere vivo. Se per rimanerlo è stato necessario che si
modificasse qualcosa in me... Non importa, almeno fino a che il
massimo del disagio è aver recuperato la vista e aver
assorbito
un poco delle tue capacità. Con la sua tecnica di guarigione
Mamoru
avrà esaltato
l'effetto del potere che mi hai passato, no? Non stiamo a
preoccuparci.»
In altre circostanze lui avrebbe speso ogni minuto a
disposizione a studiare il fenomeno, soprattutto
perché era
passeggero. Ma aveva ragione: quel giorno stavano vivendo un
altro tipo
di esperienza straordinaria.
Ami riempì i polmoni dell'aria fredda del
mattino.
«Mi sto già abituando al fuso orario. Ho
fame.»
«O può essere che il tuo corpo ti stia
dicendo che
è ora di cena.» Sereno, Alexander le chiese la
mano.
«Ho in mente una buona zona per cercare un
ristorante.»
«Hai visto qualcosa di interessante sulla guida
della
città?»
«Sì. Andiamo alla ricerca di un
tipo di
intrattenimento... internazionale.»
Lo trovarono in una grande libreria, la più fornita
della città
secondo le indicazioni della guida turistica. Il reparto
in lingua inglese non era grande come quello di alcune librerie di
Tokyo, ma Ami trovò ugualmente ciò che
cercava. «È uscito il nuovo numero di The
Lancet!» Si fiondò sullo scaffale,
aprendo la
rivista. Da settimane
era
così occupata che non era riuscita a consultare gli ultimi
numeri.
Contento del suo entusiasmo, Alexander le indicò
l'angolo
opposto del
corridoio. «Mi trovi di là.»
Lei annuì, sapendo che si trattava del
reparto
dedicato alle pubblicazioni scientifiche.
Con del tempo a disposizione, si beò degli articoli
sulle
ultime scoperte in materie di
genetica, sulle nuove tecniche chirugiche sperimentate nel mondo, e sui
protocolli di cura che si stavano attuando nei paesi in via di
sviluppo. In poche pagine risiedevano tutti i suoi sogni.
Presto avrebbe
iniziato l'università, poi sarebbe diventata anche lei,
finalmente, un medico.
O no.
Rimase immobile con le mani, la rivista aperta davanti ai suoi
occhi.
Continuava a dimenticare la verità
della sua situazione: non avrebbe avuto il tempo di laurearsi in
medicina.
Cercando di non pensarci, tornò a leggere gli
articoli.
«Prendi qualcosa?»
«Sì, The Lancet.»
Ami - notò Alexander - stringeva la rivista al
petto come un
tesoro.
«C'è un articolo interessante?»
Lei esitò a rispondere. «Ce ne sono
molti. Tu cosa
prendi?»
«Ho trovato questi nuovi volumi sullo spazio.
L'uscita era prevista per questa settimana e si vede che sono riusciti
a
spedirli nonostante i
disastri di questi giorni.» Si rese conto che la sua ironia
era fuori luogo.
Ma Ami sorrideva. «Hai deciso, vero? Andrai al MIT a
settembre?»
Spiazzato, lui impiegò un momento a rispondere.
«Sì.»
Ami fece silenzio mentre si mettevano in coda alla cassa.
«Non ti
blocca più niente, sai? Io sarò al sicuro in
quel
periodo, ora è certo.»
Lui ne era consapevole. Tuttavia, il suo desiderio di partire
si era
molto
affievolito nelle ultime settimane.
Ami incrociò il suo sguardo.
«Dimentichi che
potrò venire a trovarti quando voglio? Non sarà
una
separazione.»
In lui si accese come un interruttore. «È
vero!»
Aveva parlato forte e le persone attorno a loro si voltarono a
guardarli.
Ami emise una risatina. «Certo. Ci vedremo anche
tutti i
giorni, se vorrai.»
Già. Sarebbe stato come studiare in Giappone. Non
sarebbe cambiato
nulla,
non si sarebbe allontanato da lei.
Vedendo la sua felicità, Ami si avvicinò
di un
passo,
prendendogli la mano. Non si sarebbe comportata in quel modo a casa, ma
lì, in quel momento, appoggiò la testa contro la
sua
spalla, chiudendo gli occhi.
Era così strano, pensò Ami, sentirsi
colmi di un'altra persona.
Quella mattina si era svegliata al caldo, con un braccio sulla
schiena e le narici inondate dell'odore confortante di un pigiama.
Aveva nascosto il viso contro il petto di Alexander, quasi smettendo di
respirare pur di continuare a inebriarsi di lui. Non c'era stato altro
posto
al mondo in cui avesse desiderato trovarsi. Su
quel letto aveva
tutto ciò per cui valeva la pena di combattere.
La sua vita non era più un'incertezza: era al
sicuro, era amata. Si scioglieva per le carezze al viso, si
accendeva per i baci.
Voleva passare ogni momento della sua esistenza con la persona che
amava, vedendola
sempre sorridere - un desiderio che aveva portato fino al punto di
pensare che, con l'eccezione delle sue amiche, poteva perdere qualunque
altra cosa, ma non lui.
Era vero, ma... Nell'amare così tanto si
stava volutamente
perdendo, dimenticando buon senso e ragione.
Nell'amore era naturale -
positivo se erano in due a sentirsi nello stesso modo - e lei non lo
rinnegava. Alexander per primo le offriva tutto se stesso: era lui
quello disposto a mettere in secondo piano qualunque desiderio e
obiettivo pur di seguirla, per un'infinità di tempo.
Eppure, entrambi avevano delle vite da vivere.
Lei forse non sarebbe diventata medico, ma aveva davanti a
sé tre
preziosi anni per vivere un sogno che non voleva lasciar andare -
studiare medicina, almeno quello. Lui aveva già abbandonato
l'idea di dedicarsi alla passione su cui aveva incentrato la sua vita
prima di conoscerla: si era rassegnato a studiare astrofisica nel tempo
che gli rimaneva e aveva persino contemplato la possibilità
di lasciare l'università se loro due, insieme, avessero
avuto...
Di mezzo c'era una domanda. Perché lei
voleva ancora un bambino?
Aveva desiderato l'idea di Adam perché l'aveva
creduta già vera e viva dentro di sé, ma ora che
sapeva che era solo una prospettiva futura... perché?
Per una brama di felicità, ovviamente. E sicurezza,
anche se
era doloroso ammetterlo.
Lei e Alexander con un figlio sarebbero stati una famiglia.
Dentro di sé non avrebbe più temuto di
tornare un
giorno a essere sola, una persona che desiderava un affetto che
rischiava di non ricevere. Alex non l'avrebbe più
lasciata, e il loro piccolo... lei sarebbe stata importante per lui,
necessaria. Quello era un tipo di amore assoluto che lei voleva vivere.
Ruotava tutto intorno ai suoi desideri, si rese
conto. Stava pensando solo a
ciò che voleva per se stessa.
... non era una cosa egoista?
«Pensi da tanto. Ora sembri preoccupata.»
Scrollò piano le spalle. Quando lo faceva,
Alexander lasciava perdere e fu così anche in quel caso.
Per cercare un contatto lui le prese ugualmente la mano
mentre
camminavano. Nel ricambiare la presa lei gli strinse forte le dita e...
capì.
Ormai lo amava così tanto che non lo avrebbe
più lasciato andare.
Ecco cos'era cambiato rispetto a un tempo. Ecco cosa ora la
destabilizzava: il bisogno, la necessità.
Non posso
più vivere senza di te. Erano pensieri
romantici nei momenti di pericolo, ma nella vita di tutti i giorni...
L'amore non si esplicava nel lasciare spazio e libertà di
scelta? Lei doveva poter esistere senza di lui, così da
dargli la possibilità di sceglierla perché lei
era la cosa migliore per la sua
vita, e per nessun altro motivo. Non certo per soddisfare una
dipendenza che lei
non riusciva più a controllare.
Gli aveva proposto di andarlo a trovare spesso in America, per
farlo felice, ma anche... per non perderlo. Per assicurarsi - ammise
con
se stessa - che nulla cambiasse nella sua devozione per lei.
Un tempo era stata più distaccata.
Un tempo aveva pensato di più a lui.
Adesso... si era permessa di cambiare
perché era stato Alexander a volerlo, no? In
libertà
lui continuava a dimostrarle che non desiderava altro che stare con
lei, sopra tutto e tutti, perciò... non era completamente
sbagliato l'atteggiamento che lei stava tenendo. Stava solo...
ricambiando.
No?
«Siamo arrivati, guarda.»
Il suo problema più genuino in fondo era sempre lo
stesso: i sentimenti, soprattutto quando erano molto forti, la
confondevano.
Guardò dove le veniva indicato e fece in tempo
a replicare la sorpresa di lui quando Alexander cercò la sua
reazione.
La costruzione era imponente.
Sollevò la guida. «Città del
Vaticano. Città-stato indipendente sede del Cattolicesimo.
È il più piccolo stato indipendente del mondo,
con una popolazione di poco più di 800 abitanti.»
Continuò a leggere mentre si immettevano nel largo viale che
li avrebbe avvicinati all'enorme chiesa.
Alexander la ascoltava. «Si
può entrare?»
Lei cercò l'informazione tra le pagine.
«Sì, l'ingresso è libero, con alcune
limitazioni sugli orari e al di fuori della celebrazione delle funzioni
più importanti.»
Lui era particolarmente interessato. Era
credente, ma lei non lo aveva mai preso per un tipo religioso,
desideroso di trovarsi in un luogo di culto.
Alexander si spiegò prima ancora di sentire la
domanda.
«Voglio vedere l'interno. Conosci una delle ragioni per cui
il cristianesimo si è scisso, qualche secolo fa? Lutero
diceva che la Chiesa di Roma era troppo materialista.»
Le indicò col mento la cattedrale davanti a loro.
«A guardare questo edificio...»
Lei non ne sapeva molto, tuttavia... «Dietro queste
dimensioni
potrebbe esserci stato anche il desiderio di
costruire un segno tangibile della forza della loro fede.»
L'essere umano lo faceva, con molti dei propri intenti. Le venne in
mente
un collegamento e sorrise.
«Cosa?»
«Ecco... il palazzo di cristallo di Crystal Tokyo
sarà molto più grande di questa
chiesa.» A loro
volta avrebbero ostentato il proprio stato - in un certo
senso,
il loro potere.
Alexander si divertì. «Ti avverto: se
Usagi e Mamoru cominciano a credersi divinità, io me ne vado.»
Le uscì una smorfia.
«Cosa c'è?»
«Niente.»
«Ami...»
Lei lo trascinò in avanti per una mano.
«Andiamo. Per entrare c'è da fare la
coda.»
L'interno della cattedrale del Vaticano si rivelò
maestoso ai
loro occhi. Ami si meravigliò della cura dei dettagli e
della
grandezza dell'edificio. Per costruire mura tanto alte, immense fatiche
erano state fatte, per secoli. Quando l'essere umano lavorava per
qualcosa in cui credeva, ergeva templi e piramidi, anche senza l'aiuto
di macchine.
Accanto a lei Alexander osservava in silenzio, meravigliato.
«Hai cambiato idea?»
«L'ho ampliata» rimuginò lui.
«Questo posto
è un inno al materialismo in pompa magna, ma... è
intriso
di fede. Lo trovo solenne. A loro modo, cercavano solo di costruire
qualcosa che fosse degno di Dio.»
Dio... L'idea di un'entità singola che vegliava su
tutti
le sembrava semplicistica, ma non disdegnava il concetto che vi stava
dietro.
Come aveva detto Usagi al mondo, anche Ami era principalmente
convinta che vi
fosse in tutti una spinta al bene. In molte religioni erano
comportamenti che bisognava tenere in nome di un dio, ma nella
realtà era
semplicemente una pulsione naturale che esisteva in tutti gli uomini
che avevano il coraggio di seguirla.
Comunque, non le piaceva pensare che ciò
che erano in
vita sparisse nel nulla dopo la morte. Sarebbe stata in grado di
accettarlo, ma trovava conforto nell'idea lontana che esistesse un
sovrannaturale buono, che desiderava il bene di chi era ancora in vita.
Avi, parenti morti, persone per cui si era provato affetto... Per lei
era più semplice credere in qualcuno che era realmente
esistito.
Voleva pensare che l'amore che quelle persone avevano provato verso
coloro che avevano conosciuto, o che erano legate alla loro famiglia,
avesse una forza anche dopo la morte.
Qualcuno veglia su di te.
Era un concetto - non solo cristiano - che la inteneriva,
anche se
preferiva trovare la forza dentro se stessa e nelle persone vive che
aveva accanto. In ciò Alexander era più
spirituale di lei, ma di fondo non avevano convinzioni opposte tra loro.
Lui guardava ancora la navata centrale della cattedrale e
alcune
persone, inginocchiate su delle panche, che pregavano.
«Potrebbero farlo anche fuori di qui»
disse. «Ma in
questo luogo si estraneano. Si spostano materialmente per darsi il
tempo di dedicarsi alla loro fede, in un posto in cui la sentono
più vicina.»
Nelle sue parole c'era un pizzico di ammirazione. Ami
continuò a parlare a bassa voce. «Vuoi rimanere ad
assistere a una celebrazione?»
«No» sorrise quieto lui. «Solo
che... finora non mi era accorto dell'importanza che potessero
avere.»
Lei non comprese.
«Ha senso ricordarsi dei sacrifici che sono stati
fatti,
inginocchiarsi e ringraziare. Ciò che abbiamo alla fine
è... effimero.»
Lei ne trasse una sensazione di angoscia.
«Non sto pensando alla morte, Ami. Sto pensando
alla vita.
Finché c'è ed è come la desideriamo,
bisogna
viverla al massimo.»
... prima che battaglie, incidenti o malattie mortali la
portassero
via.
Quelle circostanze erano diventate talmente usuali nella sua
esistenza che era rapida a superare il trauma quando lo incontrava, per
istinto di sopravvivenza. Ma non per tutti era così.
Prese la mano di Alexander, per essere la sua
àncora.
Lui abbassò gli occhi. «Parole troppo
pesanti,
hm?» Si divertì, forse a beneficio suo.
«Su,
usciamo. Andiamo a vedere i musei di questo posto.»
Come aveva già sperimentato, Alexander guardava
statue e dipinti con interesse vago, faticando a trovarvi un
significato.
«È colpa mia, ma... la metà di
queste cose non
mi dice niente. Per me sono più aspetto che
sostanza.»
Era un giudizio duro, pensò lei. Alcune di quelle
opere erano profonde
nella
loro bellezza. Era evidente quanto l'artista si fosse impegnato per
dare vita a un'espressione del volto, o per scegliere il mix di colori
giusti che comunicasse l'atmosfera cercata. «C'è
molto
sforzo dietro.»
«Sì, ma non sempre il risultato mi dice
qualcosa.» Alexander scosse la testa. «Non pensare
a me, io
ascolto la mia musica.» Mise le cuffie. «Ci
muoviamo coi
tuoi tempi, guarda con calma.»
A lei sembrava quasi oltraggioso non concentrarsi sui
contenuti del
museo mentre ci si stava dentro,
ma la differenza nel loro atteggiamento la rese allegra. Aveva voglia
di rimproverare Alexander, come un ragazzino a cui doveva insegnare
qualcosa.
Quando non erano uguali - si rese conto - erano anche molto diversi.
C'erano volte che lui sospirava per atteggiamenti di lei, e a sua volta
aveva pazienza.
Il confronto era stimolante per i diversi punti di vista a cui
esponevano a vicenda. In quel caso lei riusciva a vedere, attraverso
gli occhi di lui, come
metà di quelle opere fossero inutili, ma sceglieva di non
usare
quel tipo di visione, continuando a concentrarsi sulla ricchezza che
traeva dalla
propria comprensione di ciò che vedeva.
Forse un giorno sarebbe
riuscita a trasmetterla ad Alexander, o forse sarebbero rimasti
differenti per
sempre su quel punto, come su altre cose.
Lui si chinò. «Sono curioso: cosa
c'è di divertente in questa statua?»
«Niente. Rido per te.»
«Che ho fatto?»
«La musica e il rifiuto di capire l'arte. Sembri uno
studente
in gita scolastica. Mi sento una professoressa incompresa.»
Non era male neppure prendersi in giro per le loro
diversità.
Lui comprese l'intento. «Una prof? Sei troppo
giovane. Devi esserti appena laureata, perciò mi starai
dando
lezioni private. Mi hai portato fino in Italia, prof? Sicura di non
avere secondi fini con me?»
Lei tossicchiò. «Siamo in un museo,
davanti a opere secolari.» Ci voleva un po' di contegno. Gli
passò la guida.
«Tieni e impara, studente.»
Lui fece scorrere velocemente le pagine. «Stanotte
ho appreso qualcosa. In albergo, ricordi? Credo
che stessi cercando di insegnarmi a dipingere nudi, perché
ti
sei spogliata e...»
Lei gli infilò in bocca la cuffia che si era tolto.
In silenzio, sorrisero per tutto il percorso fino alla
Cappella Sistina.
Nella grande sala, Ami fu conquistata.
Smettendo per un momento di
guardare, lesse piano le parole della guida. «Gli affreschi
sulla
volta sono stati dipinti da Michalengelo Buonarroti, dal 1508 al 1512.
Egli ha realizzato anche il Giudizio Universale, che adorna la parete
di fondo, sopra l'altare, negli anni dal 1535 al 1541.»
Una vita intera. Erano passati più di vent'anni tra
le due
realizzazioni, ma quel pittore era tornato al lavoro sul medesimo
luogo, creando qualcosa di... immenso. Persino lei - che abitava
dall'altra parte del pianeta - conosceva di fama quelle immagini,
distanti più di quattro secoli dal tempo in cui era nata.
Alexander guardava il soffitto. «L'ha dipinto una sola
persona?» Cercò approfondimenti nella guida, per
accertarsene.
«Sì» confermò lei.
Era incredibile. «In tre anni.»
Non era lo stesso periodo di tempo che lei aveva da dedicare
alla
medicina? In seguito la sua vita non sarebbe finita: come quell'uomo,
poteva tornare a quella che considerava una missione, lo scopo massimo
che esaltava la sua essenza in
qualunque momento. Aveva davanti mille anni di vita.
Galvanizzata, prese una decisione.
Iniziò a fare i primi
calcoli, ma per essere precisa aveva bisogno dei libri di testo del
corso di laurea. Doveva tornare a casa.
No, si ammonì. Era in vacanza.
Aveva tempo per immergersi nello studio. Vivere quei
giorni, come aveva detto Alexander, era altrettanto importante.
La vita, il tempo, scappava.
A metà pomeriggio, erano di nuovo distrutti.
Dormire un paio d'ore prima di cena parve a entrambi una buona idea.
Ami mise il pigiama per stare più comoda. Si
sdraiò sul letto per prima, stiracchiandosi in cerca del
sonno.
Unendosi a lei sul materasso, Alexander sbadigliò a
bocca
aperta, senza coprirsi il volto. «A cosa pensavi
oggi?»
«Hm?»
«Un paio di volte hai fatto una faccia strana,
stamattina. Eri preoccupata.»
Be'... Erano pensieri che lei doveva ancora elaborare prima di
poter spiegare. Dovevano essere completi.
Era vero che cominciava a sentirsi egoista nel desiderio che
aveva
di riempire ogni momento della vita di lui, tenendolo legato a
sé, ma Alexander le aveva dato da pensare.
Era
tutto effimero, come aveva detto lui.. La sensazione di perderlo per
sempre, o di non essere
più
viva, era ancora troppo vicina per non darle l'importanza che aveva.
Non si meritevano entrambi un po' di tregua? Le conseguenze
erano ancora lontane.
«Stai pensando invece di parlare.»
Si decise per un'altra verità, non meno crudele.
«Voglio studiare.»
Lui non capì. «Da quando non lo
vuoi?»
Ora era diverso. «Voglio studiare medicina da
subito, come se fossi già all'università. Alla
prima sessione di
esami voglio essere pronta a sostenere anche quelli del secondo
semestre. Cercherò di farmi dare una licenza
speciale.»
Alexander la guardava.
Lei annuì. «Voglio fare così
anche l'anno prossimo, senza sosta. Io... devo avvicinarmi
più che posso a
diventare medico. Non voglio cominciare la prossima fase della mia vita
senza essermi impegnata al massimo in questi anni. Sono quelli che ho
ancora per me. Potrei rilassarmi, ma...»
«Lo so.»
Sì, non era da lei prendersi pause prima di aver
lavorato.
«Questo non significa che ho rinunciato all'idea di una
nostra
famiglia.» Al contrario. «Impegnarmi tanto adesso
mi
darà la sensazione di avere più tempo.
Avrò comunque
studiato tutto quello che potevo, anche se a un certo punto
deciderò di fermarmi.»
Lui rifletteva. «Questo significa che... avrai meno
sere libere. Meno weekend.»
Esatto. Era il suo unico rimpianto, e in effetti un sacrificio
che
gli chiedeva di fare con lei. «Col teletrasporto
risparmierò sui tempi di viaggio. Troverò
comunque il
modo di vederti, anche se...» Era necessario che fosse
sincera.
«Finché non mi sarò organizzata con lo
studio, agli
inizi, ti chiederò un po' di tempo per concentrarmi solo sui
libri. Una settimana o due.» Notò l'umore di lui.
«Cercherò di fare dei break.»
Alexander non parlava. Guardò il soffitto.
«Vuoi tornare a casa oggi?»
«No.
Questi giorni sono per noi.»
Lui espirò via il risentimento. «Non
voglio che non
studi, Ami. Ho capito. Solo che, nemmeno due giorni fa... E tu stai
già pensando a ricominciare col dovere.»
Mi dispiace.
Non era felice
per il dolore di lui, ma non era seriamente dispiaciuta. Aver preso
quella decisione le stava dando stabilità e
uno scopo da seguire, laddove prima si era sentita confusa e frustrata.
«Sei fatta così»
dichiarò lui,
arrendendosi. «Però almeno per altri due giorni...
non
pensare a studiare.»
Era una promessa che voleva mantenere. «Non c'entri
tu con
questo, è... una cosa mia.» In verità,
anche in
quel desiderio c'erano delle differenze tra loro, che lei faticava a
capire. «A te non manca l'idea di non poter studiare
quello
che sognavi?»
«Lo studierò comunque.»
«Sì, ma non all'università. Se
ti metti a
lavorare non potrai più dedicarti completamente allo
studio.»
«Questo non è più un'ipotesi,
ma una certezza.
Io lavorerò per mantenermi» le disse.
Cercò di
capire cosa voleva sentire da lui. «Siamo in fasi diverse
della
vita, Ami. E... io sono meno concentrato di te. Lo studio è
una
passione, ma l'ho sempre preferita quando è libera. Avere
voti
eccellenti agli esami era soddisfacente perché mi faceva
sentire
bravo, ma se non fosse stato per questo... Avrei studiato con meno
criterio, per quanto il mio interesse sia forte. Non soffro all'idea
dell'interruzione che subiremo tra qualche anno perché in un
modo o nell'altro io continuerò a studiare fisica.
Nemmeno una valanga di impegni mi fermerà. In qualunque
minuto
libero imparerò cose nuove, per saperne sempre di
più. Lo sai, anche adesso è così...
Ragiono in formule
mentre corro, sotto la doccia, persino mentre sto con te a volte. Non
riesco a fermarmi.»
Sì, avevano approcci diversi. Quello di lui era
affascinante,
perché - anche se non ne era cosciente - parlava della
fisica
come avrebbe fatto un'artista con la propria arte. L'aveva nel sangue,
faceva parte della sua natura.
Per lei la medicina era un obiettivo. Un'altra delle
differenze tra
loro era che lei non sentiva ancora di essersi impossessata degli
strumenti di base per comprendere la materia che tanto le interessava.
In quel senso era stata pigra negli anni in cui aveva pensato fosse
più importante dedicarsi a una formazione di base il
più
estesa possibile prima di concentrarsi sulla branca della conoscenza
umana che la appassionava sul serio.
Alexander la studiava mesto. «Comunque... Per me
sarà una sofferenza vederti di meno, ma l'importante
è
che tu senta di dare al tuo tempo il suo massimo valore.»
C'era un fraintendimento. «Anche quando sono con te
il mio tempo non ha un valore maggiore.»
«Ma con me avrai anche gli anni dopo il duemila,
giusto?» Il pensiero gli causò un sorriso
rassegnato.
«Sono in svantaggio rispetto alla medicina, almeno per
ora. È inevitabile.»
Lei desiderò che le giornate fossero di quarantotto
ore.
«Quando sarò con te, mi dedicherò solo
a te. Niente
studio.»
«Questa è una promessa che ti
farò mantenere.»
Lei lo toccò sul braccio, cercando di abbracciarlo.
«Alex?»
Lui sollevò le sopracciglia, rimanendo in attesa
della domanda.
Come sai che che mi vorrai
anche tra tre anni?
Era la più stupida delle domande, nonché
una richiesta
nascosta e ingiusta: tutto quello che lui sapeva per ora era che la
amava. Conosceva il proprio cuore e le proprie intenzioni, ma di
ciò che avrebbe provato nel futuro sapeva quanto lei: nulla.
Ami lo baciò. Solo il presente era sicuro, solo nel
presente potevano vivere.
Lo strinse con tutta la propria forza e, per qualche minuto,
gli chiese in modo assoluto di darle tutto ciò che aveva.
Alexander si svegliò un'ora e mezza dopo, alle sei
di sera, con una sensazione di incombenza.
Era iniziata nella tardi mattinata, ma
aveva cercato di non badarci.
Dannazione.
Non stava andando via, anzi.
Si alzò dal letto, cercando i pantaloni e la felpa
del pigiama. Si rivestì, scacciando un brivido di freddo che
non riuscì a
fermare. Barcollò nell'alzarsi in piedi, ma non si permise
di
spaventarsi. Si era solo mosso troppo in fretta, non aveva dato al
sangue il tempo di tornare alla testa.
Dopo qualche secondo, tornò a muoversi verso la
scrivania
della stanza. In silenzio, prese in mano il computer di Ami e si
diresse in bagno.
Unì l'anta della porta al muro e si sedette sopra
la tazza chiusa del water.
Chiese allo strumento di Mercurio di rilevare la sua
temperatura corporea.
37.9
Si sentì troppo debole per imprecare.
... doveva svegliare Ami?
Forse la sua era solo una febbre vera, un raffreddore che
aveva
preso durante la notte e che stava degenerando. Magari non c'entrava
nulla con il fenomeno che lo aveva colpito in casa sua, due sere prima.
... Si stava prendendo in giro da solo. Si sentiva
esattamente come nel primo giorno dell'anno, con un
cerchio alla testa che non aveva mai conosciuto in precedenza.
Studiò la situazione col mini-computer.
Possibilità di
pericolo per Sailor Mercury: 90%
La sua era una malattia di potere. Nella teoria che aveva
elaborato,
era stata l'azione del sovrano nemesiano a far inceppare il
meccanismo dell'ykèos dentro di lui.
Se lo avesse detto ad
Ami, sapeva già qual era la soluzione che avrebbe proposto
lei:
stare lontani.
Massaggiò forte la tempia, sentendo a ondate il
dolore che si propagava lunga la massa grigia.
Se l'ykèos era una conseguenza di quanto tenevano
l'uno all'altra,
stare lontani non sarebbe servito a risolvere il problema,
bensì solo ad
aumentare l'agonia. Ami si sarebbe data la colpa di tutto.
Sarebbe
tornata a pensare che gli aveva fatto danno standogli vicino, che forse
stare con lui non era la cosa giusta.
Che incubo senza fine.
Unì le mani e per la disperazione pregò,
la fronte abbandonata sulle nocche.
Voglio stare
meglio. Non voleva nessuno stupido potere che
cercasse
di ucciderlo e... e voleva Ami. Anche se avesse avuto quegli episodi a
ripetizione, per il resto della sua vita, voleva stare con
lei. Solo questo, al resto sarebbe sopravvissuto.
Sospirò.
Abbattuto, adottò la misura più logica e
settò il computer perché gli fosse di soccorso.
Di suo non
poteva far altro che coprirsi, tornare a dormire e... sperare.
Se la febbre fosse salita a trentanove, aveva ordinato al
computer di emettere un suono di allarme, riepilogando la situazione ad
Ami in un'unica schermata.
Lei sarebbe corsa a prendere Mamoru Chiba, lui lo avrebbe
guarito di nuovo e poi... avrebbero discusso sul da farsi.
Era un discorso che Alexander sperava di non dover affrontare
mai.
Tornò nella stanza da letto e si sdraiò
vicino ad Ami.
Non la toccò, per non svegliarla e non farle sentire la
febbre,
ma nella sua testa l'abbracciò con tutta la propria
forza.
Respirando a fatica, crollò dal sonno.
«Ehi.»
La voce di lei. Sopra la sua testa, Ami sorrideva.
«Sveglia! Ci siamo addormentati per un'ora in
più!»
Alexander sgranò gli occhi. La sua pelle era
fresca, come se...
Aveva sudato. Si tirò su con cautela, tenendo le
coperte
sopra il corpo, cercando di capire se la felpa era umida. La sentiva
fredda al contatto, ma era possibile che non si notasse da fuori.
Non dovette nascondersi da Ami, lei stava andando in bagno.
«Mi preparo per andare a cenare, okay?»
Lui annuì vago e appena lei sparì
nell'altra stanza, saltò fuori dal letto.
Era pieno di energia! Sorrise levandosi la felpa, sentendosi
in forze.
La febbre se n'era andata, era guarito!
... era stata una ricaduta rapida?
Andò al computer.
Osservò il grafico della sua temperatura durante il
sonno e fu percorso da un brivido. Aveva toccato trentotto
gradi e nove mezz'ora prima; a quel punto la febbre aveva
raggiunto un picco ed era sparita.
Era solo l'effetto del rilascio di sudore? In quanto
veniva calcolata ora la sua pericolosità nei confronti di
Mercurio?
Trentacinque per cento.
Tirò un sospirò di sollievo.
Il fenomeno si stava davvero attenuando, come aveva detto ad
Ami quella mattina, credendoci solo a metà.
Stava guarendo, giusto?
Cancellò il grafico con la rilevazione della
febbre. Ami non doveva vederlo.
Ne avrebbero parlato solo e solamente se il problema si fosse
ripresentato, ma...
Fermò le dita sul computer. Tenne fisso il comando
che aveva
impartito in bagno: se in qualunque momento fosse stato tanto male
da avere una febbre superiore ai trentanove gradi, Ami doveva essere
avvisata. La paura non poteva superare la prudenza.
Respirò a pieni polmoni.
... nonostante la cautela, si sentiva ottimista.
Il malessere era andato via da solo, non c'era stato bisogno
dell'intervento di Chiba.
Forse era una cosa che si poteva curare come
un raffreddore vero e proprio, con tè caldo e coperte
pesanti
sul corpo. Sorrise. «Ho trovato un buon ristorante sulla
guida!»
«Ah... okay!» Come la signorina educata
che era, Ami non disse altro da dentro il bagno.
Alexander osservò il simbolo sul computer di
Mercurio.
Se il problema sei tu,
ykèos, non mi batterai.
Lasciò il computer sulla scrivania e
andò a vestirsi.
3 gennaio 1997 - Vacanza in
Italia/2 - FINE
NdA: tre capitoli di questa raccolta e ho descritto
esattamente tre giorni consecutivi. Mi sento lumaca -_-
Ho questo interesse primario a ricollegarmi allo stato d'animo
di Ami che ho descritto in Plenilunio. Il capitolo 6 era ambientato il
13 gennaio 1997, quindi a una decina di giorni da questo momento. Lei e
Luna facevano questo discorso:
«Il matrimonio... è un impegno senza
fine, che durerà almeno mille anni con persone come noi. A
volte mi chiedo... È giusto chiedere una cosa
simile a una
persona? È possibile ora fare tante promesse per un tempo
così
lungo?»
Luna aveva quasi timore di chiedere. «Parliamo di
promesse di... fedeltà?»
Ami tornò a vederla. «No»
sorrise. «Non mi hai mai sfiorato come
problema. Pensavo a...» Col petto pesante, espirò.
«Il matrimonio è un percorso comune: obiettivi,
speranze, scelte. Equivale a prendere decisioni insieme, per sempre,
spesso limitandosi. È solo che...»
Soffrì. «Alexander è così
giovane.»
Oh, no,
comprese Luna. «Tu hai due anni meno di lui.»
«Io conosco il mio percorso, mentre lui ha mille
possibilità. Come fa a sapere che-»
«Ami, Ami! Ti è venuto in mente
leggendo qualche libro? Tu pensi troppo. Persino un racconto
è capace di influenzarti.»
Ami glissò sulla domanda. «Questi
pensieri che ho non sono un vero problema. È solo una
riflessione su quanto sia giusto o meno, da parte mia, aspettarmi che
le cose tra noi possano andare... in quel modo. Verso il
matrimonio.»
Penso che il capitolo 4 della raccolta tratterà
dell'ultimo giorno di vacanza in Italia di Ami e Alexander (quindi due
giorni a partire da adesso, presumibilmente). Ho in mente il contenuto,
dovrebbe essere piuttosto breve e meno didascalico come capitolo.
In effetti Luna ha ragione, Ami sarà stata
influenzata da un libro (di narrativa), anche se già aveva
iniziato ad avere questo tipo di pensieri. Quello che sto cercando di
trasmettere è l'insicurezza di fondo di lei. Non
sarà una cosa che si risolverà a breve, ma - come
è normale - Ami non sarà continuamente tormentata
da questi pensieri. Per ora sono solo idee che le vengono
così, e le danno un po' di fastidio e incertezza. Ci
sarà un'escalation, ma in tempi dilatati.
Ma parlando della 'malattia di potere' di Alexander, alla fine
ho deciso di riprenderla perché era giusto così,
volevo che si capisse che è una cosa importante, anche se si
sta attenuando.
La risposta a questo mistero si avrà in tempi
ancora più lunghi rispetto al problema di Ami, ma era un
concetto che volevo portare avanti con calma, in maniera naturale lungo
la saga.
Parlando dei capitoli successivi, finalmente dopo il capitolo
finale sulla vacanza italiana, potrò saltare avanti nel
tempo e parlare di altri episodi che ho in mente da un po', come Ami e
Alexander che giocano ai videogiochi (in casa di Yamato, con lei che
è
particolarmente forte nei picchiaduro - come dimostrato nell'anime
originale), o il trasloco di lui.
Ah, poi in questa raccolta
potrò mettere anche l'episodio di San Valentino dedicato a
loro due,
racchiuso nell'omonima raccolta per ora.
Grazie di aver letto i miei sproloqui :)
Spero che la lettura vi abbia donato qualche momento
divertente e magari qualche riflessione che mi farebbe piacere sentire.
A presto!
Elle
P.S. Ho due pagine Facebook: una dedicata a Sailor Moon in
generale, dove posto opinioni e immagini (Oltre le stelle saga), e un
gruppo in cui parlo
esclusivamente delle mie fanfiction con i lettori che mi seguono - Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...
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Capitolo 4 *** 5 gennaio 1997 - Letture ***
per istinto e pensiero 4
Per
istinto e pensiero
di ellephedre
5 gennaio 1997 - Letture
Nel loro ultimo giorno di vacanza in Italia, piovve. Lei e
Alexander trovarono una maniera alternativa di divertirsi.
«Scegliamo a caso» le disse lui davanti
allo scaffale della libreria internazionale. «Un
esperimento.»
Ami fu d'accordo. Di solito dava una possibilità
solo
ad autori che conosceva o a libri molto ben recensiti, ma... erano in
vacanza. Era liberatorio affidarsi al caso, aprendosi all'esperienza di
un libro di cui non sapevano nulla. Con quel proposito in
mente non lesse neppure il riassunto della trama del suo volume. Tutto
quello che seppe prima di aprirlo,
comoda e all'asciutto nella loro stanza d'hotel, fu che titolo aveva e
qual era la copertina. L'immagine ritraeva la figura in controluce di
due
persone, un uomo e una donna, in piedi su un prato al tramonto.
Con Alexander avevano ordinato una colazione tardiva in
camera. Era una perfetta mattinata di relax.
«Cominciamo» sorrise lui.
«Se il mio è valido te lo dico strada
facendo.»
«Anche io.»
Per circa mezz'ora, non parlarono. Ami comprese sin dai
primi capitoli che si trovava davanti a una storia di
qualità: lo stile era evocativo, ricco e al contempo
schietto. I personaggi erano due ragazzi inglesi comuni - Jamie e Anna
- di cui si narrava la giovinezza e il primo incontro. Per quanto la
riguardava, era
da grandi autori essere capaci di descrivere eventi semplici
senza annoiare.
Si immerse nella loro storia, deliziata di
seguire la nascita della loro relazione. Li trovava entrambi
simpatici, lui bizzarro e lei molto divertente e aperta.
La colpì il modo in cui
si innamorarono: niente rivelazioni improvvise o
fulmini a ciel sereno. L'amore non li travolse, li unì come
le giornate che già condividevano in quanto compagni di
università. Il loro primo bacio fu molto dolce e i
loro sorrisi... uscivano letteralmente dalle pagine.
Ami accarezzò il libro. Quella storia
le dava la sensazione di lei e Alexander: si sentiva nello stesso modo,
calma e piena di felicità, quando stava con lui.
«Allora è un buon titolo?»
Annuì soddisfatta. «E il tuo?»
«Credo di aver preso una storia d'amore.»
Lei rise.
«Non per donne» si divertì lui.
«Altrimenti non avrebbe avuto questa copertina.» Le
mostrò l'immagine stilizzata su sfondo giallo, poi
assottigliò gli occhi osservando il disegno con
attenzione, forse per la prima volta. «Ma qui c'è
un cuore.»
Ami era curiosa. «Di cosa parla?»
«Il protagonista è un uomo. Sai che
soffre della sindrome di Asperger? Sembra che finirà per
innamorarsi di una
tizia che ha appena incontrato. Comunque... tutti i suoi pensieri sono
resi molto bene. La sindrome non è una scusa della trama,
l'autore la rappresenta come si deve. La considerazione che il
protagonista ha di sé
e degli altri per esempio: non sente che gli manca qualcosa, pensa di
essere superiore al resto della gente proprio perché privo
di
sentimenti. Devi leggerlo, Ami.»
Certo. Si erano confessati a vicenda di aver sospettato
entrambi di soffrire di quella sindrome, molti anni addietro. La
tendenza a isolarsi, ad analizzare tutto, a seguire la logica fino a
livelli di cinismo... Alexander si muoveva bene in contesti sociali, ma
tendeva a dissezionarli nel dettaglio, manipolandoli a proprio
piacimento - senza alcuna empatia quando lo desiderava. Dal canto suo,
lei era stata refrattaria alle compagnie fino a che non aveva
incontrato le
ragazze. Prima di loro, aveva passato il suo tempo a valutare come le
altre persone si comportavano, preferendo osservare piuttosto che
partecipare alle loro interazioni. E la tendenza a concentrarsi,
vivendo di studio
e letture...
Alla fine, sia lei che Alexander avevano un cervello
che rientrava nel range della normalità: erano troppo
emotivi per poter essere affetti dalla sindrome di Asperger. Ma se quel
libro le avesse permesso di entrare nel cervello di uno di quei
soggetti... «Lo prenderò quando lo avrai
finito.»
«Il tuo di cosa parla?»
«Per ora è la storia della vita di due
persone.» In effetti, non aveva ancora compreso quale
fosse lo scopo ultimo del racconto, ma non lo sentiva come un problema.
«Devo ancora capire. Vado avanti.»
Ripresero a leggere.
La sua storia continuò a piacerle molto. Visse la
vita di Jamie e Anna assieme a loro. Le difficoltà di
sposarsi giovani, mantenersi agli studi, trovare una casa, imparare a
convivere e a capirsi. Furono fasi che i due affrontarono
e superarono insieme. Erano persone con caratteri diversi, non sempre
complementari, che avevano scelto un percorso di vita comune. Ami
lo vide culminare in un bambino. Apprezzò
l'onestà dell'autore - un uomo, era andata a controllare.
Lui non parlò solo dei momenti di felicità legati
alla
nascita di un figlio, ma anche dello stress che generava quella nuova
presenza in una coppia. Jamie e Anna dovevano dargli totale attenzione,
a volte erano
oberati dalle responsabilità. Nei primi mesi di vita del
bambino tutti e due avevano i nervi a fior di pelle. Litigavano per
sciocchezze, solo per poi fare pace consolandosi a vicenda. Alla fine,
col passare dei mesi, Jamie e Anna trovarono un equilibrio in cui
capirsi di nuovo,
per
proseguire come persone adulte che erano cambiate dopo essere diventate
genitori.
Ami terminò l'ultimo capitolo con la mente piena di
riflessioni. Un buon libro la portava sempre a pensare all'esperienza
della vita, tentando di capire come si sarebbe sentita nei panni dei
personaggi. In quel caso, non era nemmeno difficile.
Guardò nel vuoto, in direzione di Alexander. Lui se
ne accorse e lanciò un'occhiata alla mano con cui lei teneva
aperto il volume. «Ormai sei a metà.
Com'è?»
«È un libro... maturo. Una di quelle
storie
che non vogliono insegnarti qualcosa, solo raccontarti delle
esperienze.»
Lui annuì. «Cosa stanno facendo i
protagonisti?»
«Si sono sposati e hanno creato una famiglia.
Gestirla non è stato facile come pensavano.»
«Hm.» Alexander ci pensò su
solo
brevemente. «Voglio sapere come va a finire prima di decidere
se leggerlo.»
Sì, lui era più un tipo da romanzi
thriller, o drammatici. Gli piacevano le vicende inquadrate, di cui
poteva intuire la conclusione.
«Allora continuo» disse Ami.
Ma andare avanti si rivelò un errore.
Il libro era troppo realistico, veritiero. Non poté
dire a
se stessa che l'autore stava forzando le vicende quando
intuì la direzione in cui si stavano muovendo. Il
personaggio di Jamie aveva coltivato da sempre un piccolo hobby, il
modellismo. Anna non lo aveva mai condiviso, ma in passato quella
passione le aveva fatto tenerezza. Nella nuova casa,
con un bambino di tre anni, Anna iniziava a mostrare segni di
insofferenza. Nella sua visione delle cose, Jamie dedicava troppo tempo
a oggetti inanimati e fuggiva nel suo studio
quando lei cercava di convincerlo a uscire la sera.
Lui non la vedeva in quel modo. Era un buon padre che faceva
quello che poteva per dedicare le sue ore libere al bambino. Per
lui passare il tempo in compagnia di amici era solo un modo per
stancarsi
di più. La loro cerchia di conoscenti era stata scelta da
Anna ed erano persone con cui lui aveva poco da spartire.
Ami fu sollevata quando finalmente li vede discutere di quei
problemi, ma la risoluzione del litigio non fu
soddisfacente: Jamie e Anna non superarono le loro differenze, si
limitarono a celarsele a vicenda, ritagliandosi spazi personali per
fare da soli quelli che sentivano di non poter più fare in
coppia.
Era una cosa sana, supponeva, ma non se
entrambi percepivano che stava venendo a mancare qualcosa
nella loro relazione.
Fu doloroso leggere di quanto si amavano, nonostante tutto.
Condividevano ancora piccoli momenti che li riportavano al passato,
dando un senso al loro presente insieme. Li univano il bambino e le
difficoltà che avevano superato. Erano persone che volevano
ancora essere tutto l'uno per l'altra, come un tempo. Ci
riuscivano, a volte con impegno, a volte con naturalezza, ma non
più con la facilità di qualche anno addietro.
Se c'era una
cosa che le stava trasmettendo il libro, era che la vita cambiava. Si
cresceva, ci si evolveva.
Ami ne era cosciente.
Quando iniziò il nuovo capitolo, visse come un
colpo al cuore il momento in cui Jamie provò per la prima
volta attrazione per un'altra donna. Lui non tradì la
moglie: si rifiutò di seguire un impulso che
avrebbe rovinato la sua famiglia e tentò invece di coltivare
ciò che aveva avuto con Anna. Lei non seppe mai dei pensieri
di lui, ma intuì il bisogno con cui Jamie la stava cercando
e vi rispose.
Una vacanza insieme ridiede loro unione, felicità - e
un'altra
bambina.
Tre anni dopo, Anna non era più felice al lavoro.
Amava i
suoi figli e apprezzava avere un compagno presente in Jamie, ma loro
due erano sempre più diversi. A trent'anni lei sentiva di
essere una persona che aveva compiuto scelte troppo importanti prima
ancora
di sapere cosa voleva, o chi era. Man mano che passava il tempo, Anna
scopriva di essere più determinata e testarda di quello che
aveva pensato, molto meno paziente di Jamie. Lui le sembrava lento nel
prendere decisioni, troppo prudente. Non era entusiasta come lei
davanti alle sue nuove prospettive di carriera, anche se la appoggiava.
Guardando le amiche single, senza
responsabilità e legami, Anna cominciò a
desiderare la
loro vita come un pensiero lontano, che sapeva di non potersi
concedere. Era cresciuta senza genitori e per lei essere una buona
madre per i suoi bambini era indispensabile. Una
buona madre si concentrava sulla famiglia, pensava, non su se stessa.
Ogni
tanto, senza secondi fini, Anna flirtava con uomini carini,
solo per sentirsi speciale. Il gioco le sfuggì di mano il
giorno in cui prese una vera cotta per un collega al
lavoro.
Ami mise giù il libro.
C'erano troppi indizi per non capire come sarebbe andata a
finire, ma continuò a leggere.
Anna si tormentò per settimane per quell'attrazione
senza senso, che non riusciva a scacciare. Il collega non la aiutava:
era
un uomo gentile, che non voleva avere a che fare con una donna sposata,
ma... capiva Anna. La faceva ridere, arrivava al lavoro presto solo per
avere qualche minuto per parlarle.
Erano emozioni assenti nel rapporto tra lei e Jamie, da molto tempo.
Nella sua frustrazione Anna litigava con Jamie per nulla,
senza riuscire a esprimersi. Lui non capiva, sapeva solo che non era
quella la vita che aveva desiderato, con una moglie con cui non era
più capace di comunicare. Quando infine lo fecero, la
discussione degenerò. Anna si lasciò sfuggire che
provava
qualcosa per un'altra persona e Jamie le gridò contro che
lei
non aveva diritto di sentirsi in quel modo, visto che per la loro
famiglia anche lui aveva rinunciato a-... Fu devastante per
entrambi farsi tanto male. Non si era mai odiati in quel modo.
Rimasero insieme e Anna cambiò lavoro. Tuttavia,
qualcosa
si era incrinato tra loro due. I bambini erano la loro luce, il momento
in
cui erano felici in famiglia. Ma quando i piccoli non c'erano... Fu
Jamie a
prendere la decisione di andare via di nuovo, per un weekend da
trascorrere da
soli, tra adulti. Furono due giorni in cui scoprirono di avere
interessi diversi su molte
cose, troppe - a tal punto erano cambiati nel tempo - ma soprattutto...
si
cercarono, sì, ma si trovarono solo come genitori. Erano in
pace quando pensavano alla loro famiglia, non a loro due come coppia.
Anna era cresciuta in un istituto, affidata negli anni a
diverse famiglie. Per lei darne una ai propri figli era tutto, non
avrebbe mai distrutto quella che aveva creato con Jamie. Ancora
riusciva a pensare a loro due e ai bambini come a un'entità
unica negli anni. Voleva passare i natali insieme, invecchiare
con
lui, persino senza passione, anche se erano tanto cambiati da quando si
erano... amati, pensò. Anna giunse alla conclusione che il
suo amore era
finito quasi senza rendersene conto, soffrendo. Voleva ancora bene a
Jamie: erano amici, si erano sostenuti per tanto tempo.
Un giorno lui aprì un album di loro vecchi
ricordi. Vide il sorriso di Anna, gli oggetti che simboleggiavano tutti
i sogni e le speranze che lei aveva avuto. Quella ragazza era diventata
una donna senza luce, che cercava con tutte le sue forze di fare la
cosa che credeva più giusta - per tutti tranne che per se
stessa. Quella sera Jamie le disse... 'Voglio il divorzio'.
Ami sgranò gli occhi. Respirò male.
«Ehi.»
Sollevò lo sguardo.
«Che cosa hai letto?» le
domandò Alexander.
«È....» Non seppe come
spiegarlo. Deglutì e sbatté le palpebre.
Lui chiuse il proprio libro.
«I personaggi si stanno lasciando. Dopo dieci anni
di matrimonio.»
Alexander fece una mezza smorfia. «Per un
tradimento? Alla
fine era un dramma.»
«No, non- Non si sono mai traditi, anche
se...» Avevano voluto farlo. «È triste
vedere che si
vogliono ancora bene. Solo... non si amano più come
un marito e una
moglie.»
La frase attirò l'attenzione di Alexander.
«Perché?»
L'autore era stato bravo a spiegarlo senza nemmeno
tentare di farlo, semplicemente limitandosi a descrivere i molti anni
di
vita comune. «Sono cambiati. Erano troppo giovani quando si
sono sposati. Si amavano e pensavano di sapere come sarebbe stata la
loro vita insieme. Si sono impegnati per continuare a essere una
coppia, ma stava
diventando uno sforzo, anno dopo anno...»
«Come possono essere cambiati tanto?»
«Erano già diversi in alcune piccole
cose, però... è la vita che li ha cambiati. Il
tempo. Hanno scoperto cose che non sapevano di
volere.»
Ad Alexander il discorso non piaceva. «Non erano
giusti l'uno per l'altra, sin dall'inizio.»
«Lo sembravano» rispose Ami. O lei non
avrebbe
sofferto tanto nel sentirli separarsi lentamente, inesorabilmente. Da
principio li aveva visti così vicini...
Lui abbassò la gambe a terra, tirandole
giù dalle sedia.
«È solo un libro. Perché sei tanto
triste?»
«Racconta in maniera reale di cose che possono
accadere davvero a una
coppia.»
Alexander era quasi arrabbiato. «Quelli non saremo
noi.»
Per lei fu come una scossa. «Non mi stavo...
immedesimando.»
«Non sarebbe stato il passo successivo?»
Sì. E avrebbe molto riflettuto su quello che aveva
letto,
però... Però....
Lui era sempre più deciso. «Noi siamo
noi.
Sappiamo quello che vogliamo.»
Come i personaggi del libro, pensò lei. Come tante
giovani coppie al
mondo che prendevano decisioni ingenue, solo per un amore purissimo
che nell'inesperienza sembrava valere più di qualunque buon
senso. In fondo, su quelle pagine lei non aveva letto nulla che non si
fosse
già domandata da sola.
Si alzò dal letto mentre Alexander si tirava su
dalla
poltrona, per raggiungerla. Lui le prese il libro di mano e lo chiuse
sul comodino, la bocca una linea dritta di impazienza. Lei
lenì la sua infelicità con un bacio sulla
guancia,
proseguendo fino alle labbra.
«Quello che provo per te non cambierà
mai.» Con
tutto il suo essere, ne era sicura. Non c'era ragione che volesse
seguire su questo, o di cui le importasse qualcosa. Tra molti anni la
situazione poteva cambiare, lui
poteva diventare una persona nuova, ma... l'amore che provava lei non
sarebbe svanito, né sarebbe sfumato. Tra decenni o
secoli, incontrandolo in una stanza, avrebbe ancora
sentito una scossa al solo guardarlo perché...
sì.
Perché questo era Ami Mizuno, in relazione ad Alexander
Foster.
Ami lo sapeva, lo sentiva. Non aveva idea di come sarebbe
cambiato
Alexander, ma... lei era una persona viva e forte nell'amarlo. E lo
avrebbe
lasciato andare se un giorno lo avesse visto desiderare un'altra vita.
Lui scuoteva la testa. «Quando ti metti a riflettere
su queste cose con tanta concentrazione... sembra che tu ti stia
preparando a
vederle succedere. È come sentirti fare un passo
indietro.»
«No.»
Lui le afferrò le braccia. «Voglio che tu
ci creda, Ami. Anche per me non cambierà mai
niente.»
Ma lei credeva all'intensità di quella promessa,
alla sua sincerità. Era folle e bello sentire di poter fare
progetti per
mille anni sulla base di un amore presente che entrambi sentivano
immenso. Logica, ragione... ci avrebbero pensato a tempo debito. Il
presente la rendeva euforica al solo pensarci. «Mi
piace baciarti.»
Lui allargò gli occhi. «Stai cambiando
discorso.»
«No.» Regalò a entrambi un
bacio giocoso, breve e
dolce. «Penso che sono fortunata a poterlo fare. Non voglio
smettere mai.»
Alexander perse tensione nelle spalle. «Non dovrai
farlo.» La abbracciò e all'orecchio Ami
udì altre meravigliose promesse, sogni che
diventavano realtà in parole.
Le offrì di rimando, senza
fermarsi, senza limiti. Si chiuse con lui in un cassetto del tempo,
riempiendolo di tocchi, odori, della sensazione di loro due che stavano
insieme in
ogni maniera possibile.
Lo strinse forte mentre si muovevano l'uno sull'altra,
guardando con più attenzione le
pagliuzze di colore nei suoi occhi, assorbendo i diversi sapori
della sua bocca. Memorizzò gli ansiti che generava con le
proprie carezze, notò i differenti timbri, le pause
deliziose,
strappate al piacere.
Sognava di avere tutto per un millennio. Non avrebbe mai
smesso.
Alla fine, si ritrovò sdraiata, senza vestiti, a
guardare Alexander che dormiva a labbra aperte, esausto.
Era più forte di lui: non gli riusciva quasi mai di
restare sveglio.
Sorridendo, gli scostò i capelli dalla fronte,
passandogli le dita tra le ciocche.
Con serenità riprese il libro che aveva abbandonato
e tornò a leggere.
Accettò la conclusione della storia: era il
racconto di un amore
che svaniva e di due persone che riuscivano a volersi bene ugualmente,
nonostante la separazione, senza recriminazioni, lasciando andare
lentamente il dolore.
Nell'epilogo, Jamie e Anna erano divorziati da due anni. Lei
aveva
trovato un nuovo amore, lui usciva con una vicina di casa. La domenica
passavano il tempo insieme, con i loro bambini. Al parco giocavano a
pallavolo. Dopo una bella battuta, i due si scambiarono un cinque -
amici e complici come quando si erano conosciuti.
Il testo si chiuse sulla parola 'fine'.
Ami inspirò a fondo, chiuse il libro. Lo mise da
parte e
prese in mano il volume di Alexander. Accucciandosi vicino a lui,
iniziò a leggere la storia di un uomo complicato che
scopriva
quanto era illogico e unico l'amore.
Anche lei voleva crederci.
5 gennaio 1997 -
Letture - FINE
NdA: Mentre buttavo giù questa storia mi sono
chiesta più volte
se avesse senso scriverla. Voglio dire, potevo dire che Ami aveva letto
un libro simile anche senza raccontare l'episodio specifico, ma
desideravo
che si capisse, che si sentisse, cosa aveva provato lei. Non sono paure
a cui Ami sta
decidendo di dare importanza adesso, ma questo libro, nella sua testa,
andrà a formare un quadro generale che spiegherà
meglio
l'atteggiamento che lei terrà nel giro di qualche mese.
Per ora... basta. Vorrei davvero che questa ragazza fosse
più
rilassata. Oddio, nel capitolo di San Valentino, che dovrò
rivedere, Ami è in fissa con lo studio, ma voglio davvero
farla sciogliere, perché altrimenti sembra che lei viva in
un
perenne stato di ansia con Alexander dopo Verso l'alba, e non
è
così.
Il libro su Jamie e Anna l'ho inventato. Devo aver letto nel
tempo
qualcosa che mi ha dato sensazioni molto simili, ma non ho titoli che
mi siano rimasti in mente. Invece il libro che legge Alexander esiste
davvero, è un testo carino, una commedia romantica. Si
chiama
'The Rosie Project' di Graeme Simsion. Esiste anche in italiano.
È uscito molti anni dopo il momento che sto raccontando in
questa storia, ma passatemi la licenza poetica.
Grazie per aver letto :) Spero di essere riuscita a
trasmettere le sensazioni che volevo.
Elle
P.S. Ho due pagine Facebook: una dedicata a Sailor Moon in
generale, dove posto opinioni e immagini (Oltre le stelle saga), e un
gruppo in cui parlo
esclusivamente delle mie fanfiction con i lettori che mi seguono - Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...
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Capitolo 5 *** 14 febbraio 1997 - San Valentino scordato ***
per istinto e pensiero 5
Per
istinto e pensiero
di ellephedre
Disclaimer:
i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
14 febbraio 1997 - San
Valentino scordato
Il sole che tramontava
sugli occhi chiusi, i pantaloni che si
sporcavano sull'erba fredda, il peso di lei sulle ginocchia. Le braccia
attorno alla vita sottile che riusciva a chiudere in una stretta sola -
mille, se avesse potuto. Il primo di tanti baci, anelli di una catena
deliziosa che li avrebbe tenuti insieme.
Ami love,
stringimi
forte anche tu. Cadi con me, sii folle come me.
Guardandola
negli occhi Alexander aveva calcolato il tempo dei
loro respiri che si fondevano piano, sino ad amalgamarsi.
«Passiamo
sempre così San Valentino» le aveva detto,
felicità e incertezza nelle gambe che non lo reggevano in
piedi. Con lei sarebbe rimasto sdraiato in quel lembo di terra,
nel momento perfetto su cui voleva scommettere tutto il proprio essere.
Prolungherò
questo attimo,
niente cambierà mai.
«Passiamo San Valentino insieme» aveva
pregato, patetico e
bisognoso
senza vergognarsi. «Fino alla fine dei nostri
tempi.»
La meraviglia di
Ami lo aveva riempito di un altro grammo di sicurezza,
certezze che si andavano costruendo dentro di lui giorno dopo giorno,
lentamente.
Aveva creduto
di sapere tutto allora.
Non posso
amarla di
più. Non posso
essere
più felice di così. Qualunque cosa
accada,
noi staremo sempre insieme.
Era il
14 febbraio 1996.
Era passato un
anno intero da quel giorno e diavolo se era
divertente. Oggi si rendeva conto di non aver saputo niente a
quel
tempo, di Ami o di se stesso.
E prima di incontrarla...
Sei disposto a
pensarti
per sempre legato a una sorta di aliena con superpoteri?
Avrebbe risposto di no.
Pensi
di poter vivere mille anni con lei?
Nemmeno
per sogno,
l'immortalità era un desiderio riservato agli
idioti.
Forse l'hai
messa incinta.
Damnfuckshit.
Fregato per l'eternità, si
sarebbe rassegnato
alla
responsabilità come all'idea di andare sul patibolo.
Hai
all'incirca altri tre anni
di tempo prima che la tua vita come la conosci ora sia finita per
sempre.
Sono
fuori di qui, è stato bello
volerti bene.
La persona che
era stato un anno prima sarebbe stato deciso nel dare
quelle risposte. Almeno, prima di dare un'occhiata ad Ami.
Gli sarebbe
bastato quel momento
per vacillare su ogni singolo punto, ma la realtà si era
rivelata
molto più assurda di quell'ipotesi: cinque minuti dopo aver
saputo che Ami era un
essere millennario, si era convertito alla causa della vita
secolare. In meno di minuto aveva disdegnato la natura Sailor di lei
come poco importante, ininfluente,
ma su ciò poteva aver influito il rapimento subito da Ami -
forse. In seguito, aveva impiegato più o meno un
quarto
d'ora di
sudori freddi a dirsi che a vent'anni poteva diventare padre
senza farne una tragedia.
Col passare dei giorni, i suoi tempi
decisionali si erano accorciati invece di allungarsi. Aveva
già saputo che Ami sarebbe diventata la
guardiana di un nuovo regno che avrebbe sovvertito l'ordine politico
mondiale. Pertanto, avere coscienza che ciò sarebbe accaduto
agli inizi dell'anno duemila - o poco prima - era equivalso
semplicemente
a fornirgli un'utile tabella di
tempistiche. Nell'immediato non aveva offerto alcuna risposta ad Ami
né lei
gli
aveva fatto domande in merito: naturalmente erano d'accordo sul da
farsi, lo avevano capito entrambi in meno di un secondo.
Così erano arrivati al giorno di San Valentino
dell'anno
1997,
entrambi impegnati a uccidere ogni grammo di momento libero sui libri
- Ami a studiare medicina ancor prima di aver iniziato
l'università e lui a buttare giù una tesi di
laurea con
un anno di anticipo. Tutto per il loro futuro, tutto per il loro amore.
Era ironico,
diabolicamente divertente. Ora
si sarebbero
meritati San Valentino, ora
avrebbero dovuto festeggiarlo, ora lui sentiva di
amarla come mai in vita sua.
Invece, erano
le dieci di sera del 14 febbraio ed Ami... Ami si era
dimenticata che giorno era.
L'ultima volta
che era stato tanto depresso aveva avuto sette anni. Si
era rotta la piscina gonfiabile della casa a Izu e ci era affogato
dentro Baldios Robot. Una giornata da dimenticare.
«Ho bisogno
di
concentrazione.»
La voce
di lei, esasperata, gli risuonava ancora in testa.
«Me lo hai detto, Ami. Ma non puoi
studiare venti ore al giorno, sette giorni su sette.»
«Dovrò
imparare, non c'è più tempo.
Non vedi che non...» Lei aveva sospirato profondamente.
«Alexander.»
Il suo nome, come
un peso da sopportare.
«Mi manchi anche tu, ma non stiamo
giocando. Dove finiremo in futuro se non riusciamo a
essere tenaci adesso?»
«Un'ora in
meno di studio non ti toglie testa. Te la ridà.»
Lei aveva
deglutito e si era rifiutata di guardarlo. «Ho fatto dei
calcoli. Non ce la farò se entro due mesi non sono
preparata a sostenere almeno tre esami.»
Lui aveva
evitato di dirle che nel giro di due mesi lei avrebbe messo
piede all'università da nemmeno tre settimane, senza avere
alcun esame da sostenere. Ami si era data una tabella di marcia stretta
fino all'inverosimile per i mesi che seguivano, senza darsi pause.
«Questi testi
danno per scontato che io abbia basi che mi mancano; devo
colmare le mie lacune in libri che non conosco. Non so nemmeno
dove trovarli.»
«Le prime
lezioni ti aiuteranno.»
«Ma per allora
io dovrò essere già molto
più avanti.» Le mani con cui massaggiava la
tempia si erano
fatte nervose. «Forse questa è una
pazzia e tra
un mese mi sarò arresa, ma... Aiutami. Ho bisogno di tempo
per studiare, senza distrarmi. Devo capire se ce la posso
fare.»
Quando lei aveva preso la decisione di portarsi avanti con lo
studio era stata molto più serena e ottimista. Alexander
capiva
perché ora Ami fosse inquieta: si era scontrata con la
realtà della mole di preparazione che doveva assimilare in
poco
tempo. Non era un caso se la facoltà di medicina era
difficile già tentando di superarla in tempi
normali. Ami voleva accorciarli di tre volte - un'impresa.
Lui si rendeva conto che, per gli obiettivi che lei si era
data e
per la sua tranquillità futura, Ami doveva capirlo da
sola. Questo non significava che lo stress a cui si stava
sottoponendo lo vedesse concorde. Aveva
anche creduto che lei non sarebbe arrivata al punto di non volersi
prendere nemmeno un'ora libera - giusto un momento da dedicargli,
proprio quando lui glielo stavo chiedendo.
«Allora ci
sentiamo tra un paio di settimane. O quando vuoi tu.»
Risentito, se
n'era andato
dalla casa di lei.
Erano passati
dieci giorni da allora. San Valentino
aveva colto di sorpresa anche lui quella mattina.
"Cioccolatini
per il
vostro amato! Prezzi e formati per tutti da Moe-chan!"
Il jingle
della pubblicità alla televisione aveva iniziato
ad avere un senso solo dopo la seconda fetta di pane e marmellata, tra
equazioni sulle distorsioni dimensionali e formule che tentavano di
dare concretezza al concetto di teletrasporto. Il computer di Ami aveva
la sua risposta, ma il punto era arrivare a quelle formule tramite
sistemi conosciuti ai comuni mortali, metodi che potessero essere
presentati in una ricerca da stampare su carta. Lui stava
tentando di studiare la questione da uomo comune, immergendosi in un
oceano di Fisica.
"San Valentino
è qui! Cioccolatini per tutti i gusti, oggi in un formato
esclusivo!"
Si era ripreso così, gli occhi fissi sulla tv.
Fino a
mezzogiorno era rimasto a studiare, depresso.
Dov'era finito
l'entusiasmo dell'anno prima, quando avevano parlato di San Valentino
insieme per giorni? Allora era stata Ami a chiamarlo, per
chiedergli che dolce preferiva.
Alexander alzò il telefono e si ritrovò
con poche
parole in
bocca. «Buon San Valentino.» Parlò con
la
segreteria
telefonica, Ami non rispondeva. «Se più tardi
sei
libera, sono qui.»
Incredibile
non sentirsi nemmeno libero di chiederle di uscire insieme
quella sera.
«Devo
studiare.» Non una risposta data in quel momento, ma parole
ripetute in continuazione nelle ultime settimane.
Forse quell'obiezione sarebbe valsa anche per il giorno di San
Valentino, la prova suprema che lui era in grado di rispettare le sue
decisioni.
Crudele come
test.
A Gen Masashi,
al telefono quella mattina, Alexander aveva detto che lui ed Ami
si sarebbero visti quella sera. Non una bugia, ma una speranza
conservata per tutto il giorno.
Di sera aveva deciso di non aspettare
più e l'aveva chiamata, di nuovo. Il telefono
portatile
era spento e a casa lei non c'era.
Perciò
era quella la loro nuova vita? Tre anni spesi a
lavorare per un'esistenza di cui non avrebbero potuto usufruire, prima
di essere perennemente impegnati in compiti che non volevano, in ruoli
che sarebbero stati una gabbia, in un'immagine che avrebbero dovuto a
tutti i costi mantenere? Lui non si faceva illusioni: forse il suo
ruolo
sarebbe stato quello della statua, ma nella situazione che si sarebbe
venuta a creare persino la statua doveva essere impeccabile, priva di
una vita personale, con ogni pensiero votato a cause comuni. Per Ami
sarebbe stato mille volte peggio.
Scappiamo, love.
Avrebbe voluto
dirlo se non avesse visto di cosa lei era capace.
Ami non voleva fuggire dalla propria vita: prima di entrarci, voleva
solo
del tempo che non aveva e che nessuno poteva darle.
E lui?
Sul suo futuro prossimo aveva una nuova idea: nessuna
specializzazione. Non solo non frequentare,
ma nemmeno iscriversi al corso. Solo una possibilità per
ora, con
sempre più concretezza. Mille dannati anni di vita dovevano
pur servire a rimandare obiettivi che nel tempo sarebbero stati
perfettamente raggiungibili. Gli studi di Fisica non scappavano, a
fuggire erano solo i tre anni - ormai circa trenta mesi, poco ma sicuro
- di vita normale e vera, che si sarebbe ripreso solo tra qualche
decennio.
Voleva ancora
scappare, continuamente.
La sensazione
spariva quando Ami era con lui, ma a lei non l'aveva
detto. Era da deboli. Doveva gestire da solo le decisioni sul proprio
futuro, convincendosi che, anche se non era come Yuichiro Kumada e non
aveva poteri, il destino che si era scelto era davvero una sua
decisione che poteva andare oltre Ami, che poteva esistere a
prescindere da lei.
Tuttavia, era
una colpa pensare alla bellezza degli anni '97, '98, '99,
ancora tutti da gustare ?
Voleva trovare un lavoro, una casa, mantenersi da solo,
studiare Fisica
come poteva e... altre cose, che dipendevano da Ami.
Per quel
giorno, gli sarebbe bastato tornare indietro a un anno prima,
con la testa piena della consapevolezza dell'anno appena passato.
Dietro il cespuglio nel parco dell'università, su un divano,
all'aperto - il luogo non importava. Voleva solo un abbraccio, qualche
bacio. È
stata dura,
ma ce l'abbiamo fatta. Per quello che abbiamo qui, tra noi, ce la
faremo anche per i prossimi mille anni. Ne è già
passato uno. È stato bello, vero?
Nonostante
tutto, lo era stato.
Non avrebbe
scambiato con nulla i mesi trascorsi ad agognare i lembi di
pelle che spuntavano da gonne e magliette, i sorrisi imbarazzati che
promettevano con innocenza intimità deliziose, le ore
infinite di discussione che lo avevano fatto sentire come un puzzle che
aveva trovato il proprio pezzo mancante. Tempi immaturi, belli.
Non
voleva
tornare indietro nemmeno sul dolore dei giorni in cui aveva pensato di
poter perdere Ami - era diventato adulto, lui assieme a quello che
provava, soprattutto in seguito a quelle esperienze.
Ci sarebbe
voluto un abbraccio in quel momento, una notte intera per
festeggiare.
Dove sei, love,
quando
mi servi?
Era un bel
modo di scherzare. Glielo avrebbe proposto il giorno dopo,
quando andando da lei si sarebbe preso i suoi abbracci, i suoi baci, un
po' di quell'amore che voleva. Sarebbe stato abbastanza: era adulto
ora, poteva aspettare.
Magari
sarebbe
riuscito a farsi dire da lei cosa c'era davvero che non andava. Tutta
quell'ostinazione non era normale.
Esausto, si
alzò dalla sedia.
Si
allungò con le braccia verso il soffitto e le
articolazioni
provate delle sue spalle scricchiolarono. Vestito, si
diresse in camera da letto e si buttò sul materasso.
Una giornata
da dimenticare.
La tristezza
svanì nel sonno.
Col buio,
venne la promessa di un mattino per ricominciare.
Ami sentiva gli
occhi doloranti, la gola secca. Non si dava neppure un
momento per prendere un bicchiere d'acqua, il sorso era una distrazione.
Mancavano due
pagine alla fine del capitolo e del libro. Un ultimissimo sforzo, coraggio.
«Mizuno-san?»
In quei giorni
si era riempita la testa di talmente tante nozioni che
ricordare il nome del ragazzo che le stava parlando
risultò impossibile. Lui era uno studente universitario del
primo anno, molto gentile, che le aveva fornito
indicazioni sui libri di testo da acquistare per i suoi studi. Come lei
e Alexander, era un ragazzo che si impegnava
moltissimo nello studio. Rimaneva spesso nella biblioteca fino a tarda
ora, ma fino a quel momento era sempre stata lei a disturbarlo,
iniziando una conversazione.
Lui le stava
offrendo un sorriso cordiale. «La biblioteca sta per
chiudere.»
Oh.
Già le undici?
Guardò
l'orologio e fu costretta a rassegnarsi: avrebbe
terminato la lettura del libro sull'autobus, le fosse costato anche
dieci mal di testa.
«Pensavo che
oggi saresti andata via prima.»
Lei
cominciò a raccogliere i libri. «Riposo un po'
solo di
domenica, sabato è una giornata come le altre.»
«No, intendevo
dire...» Udì un sorriso, senza vederlo.
«Allora non hai un ragazzo.»
Il cambio di
argomento la portò ad aggrottare la fronte,
l'attenzione rivolta all'ordine dei libri dentro la cartella in cuoio
delle superiori - continuava ad avere quella, forse avrebbe dovuto
comprarne un'altra. «Non capisco.»
«Visto che
oggi era San Valentino, penso che qui in biblioteca sia
venuto solamente chi è solo come noi. Voglio dire, non solo, ma senza
qualcuno di speciale che-»
Ami non lo
sentì più. In testa le era suonato un
campanello. Il timbro sordo le aveva riempito il cervello,
lasciandola stordita e ignara.
La sua mente
riprese a funzionare.
San Valentino.
Il ragazzo
stava ancora parlando. «Non volevo insinuare che tu non
abbia nessuno. Anzi, in verità volevo
chiederti, se non sono troppo sfacciato, se non ti da
fastidio...»
Oh no.
No, no, no! «Scusa,
devo andare!»
Corse in bagno
e si chiuse in una cabina. Si dimenò nella
giacca fino a esplorare tutte le tasche, pregando con tutta se stessa
di aver portato la penna di trasformazione con sé.
La trovò in fondo alla cartella,
graffiandosi le mani con
gli angoli rigidi delle copertine dei libri.
Non
riuscì a pronunciare la formula di trasformazione.
Cosa gli
dirò? Come potrò-? Le
mancò il respiro. Le parole per diventare Sailor Mercury le
sfuggirono dalle labbra, un'invocazione necessaria.
Con le mani
ricoperte dai guanti del costume, affondò il
viso nel palmo delle mani.
Era un essere
meschino! Come aveva potuto...? Come aveva potuto lui!
Ricordò il telefono portatile. Lo aveva lasciato
scarico sulla scrivania, a casa.
Era tutta colpa sua.
Tremando, si
impose concentrazione. Il teletrasporto ne richiedeva
molta per funzionare e mantenere intatto un corpo umano durante lo
spostamento; doveva arrivare intera da Alexander, per permettergli di
farla a pezzi con lo sguardo. O forse si sarebbe rotta prima.
Mi sono
dimenticata di
San Valentino!
Dopo l'anno
prima, dopo tutto quello che si erano detti!
"Staremo sempre
insieme. I love
you constantly, deeply."
Quante parole vuote se poi l'anno
successivo lei arrivava persino a dimenticarsi che-
Riaprì
gli occhi a casa di Alexander. Si sentì
un blocco di ghiaccio mentre squadrava i dintorni del salotto. Era
vuoto, non c'era nessuno. Si diresse piano verso il corridoio.
Notò l'ora sul
display dello stereo. Dieci e cinquanta.
Trovò
Alexander nella propria stanza, che dormiva su un fianco,
le spalle rivolte a lei.
Sciolse la
trasformazione tra lacrime silenziose.
Pianse per il
suo errore imperdonabile, per la giornata che avevano
perso, per la frustrazione accumulata da settimane. Si impose un poco
di forza, la dignità necessaria a farsi colpevolizzare come
meritava. Andò verso il letto, abbandonando scarpe e giacca
lungo il cammino.
«Alex.»
Lui non si
svegliò.
Lei abbracciò
la sua schiena e rimase a stringerlo, cullando il suo sonno.
Non le
bastò. «Alex.» Lo
scavalcò fino ad abbracciarlo da davanti.
Sentì
l'inizio del risveglio di lui, nella penombra
che non era buio completo.
Il suo nome fu
un'esclamazione muta, calma.
Lei salì
ad accarezzargli il viso, si allungò sul
letto fino a premere forte la bocca sulla sua guancia.
«Ehi.»
Una sillaba
felice e si ritrovò spezzata. «Mi
dispiace.»
Scosse la testa, non smise più.
Due braccia la
avvolsero per intero, dalla schiena fino alla nuca. «Sei
arrivata.»
«Mi sono
dimenticata, come una stupida. Scusa, scusami tantissimo...»
«Hai guardato
la tv?»
La domanda
concreta, un sussurro privo di malinconia, la confuse.
«No.»
«Me l'ero
dimenticato anche io. Mi ha salvato la pubblicità.»
Quella per lei
non era una giustificazione. «È stata colpa
mia.»
«È ancora il
quattordici febbraio?»
Lui le stava
impedendo di sfaldarsi, quando lei ne avrebbe avuto bisogno
per riscostruirsi, per dargli tutto quello che aveva dentro e che gli
apparteneva.
Per ricordarsi
la risposta, dovette pensare un momento.
«Sì,
sono le... sono ancora le undici.»
«Allora non
scusarti. Rimanda a domani, vieni qui.»
Non
andò da nessuna parte perché si stavano
già abbracciando. La stretta si fece magnificamente
soffocante.
Ami sistemò il mento sulle spalle di lui per poter
respirare. Cercò di inglobarlo contro il
petto. «I
love you»
gli disse.
Mancò
una risposta a parole, ma le labbra che la adorarono
sulla fronte, sul naso, la fecero sentire in una culla perfetta, amore
e nient'altro che la bellezza della vita.
«Mille meno
venti circa» lo sentì sussurrare.
«Moltiplicato
per trecentosessantacinque.»
«I love you.»
«Sì,
ma vinco io. Lo dirò almeno altre
trecentosessantamila volte nei prossimi mille anni, San Valentino
compresi. Autorizzami a rapirti ovunque ti troverai la prossima volta,
così non soffriremo più.»
Era venuta a
mancarle la facoltà della parola: aveva un
grosso nodo alla gola, che le permetteva solo di scoppiare di
felicità contenuta, senza urli, senza dimostrazioni.
Alexander lo
sapeva. Annuì. «Ma
ti ho
presa già adesso.» Il respiro di lui
bruciò dolcemente sulla sua nuca. «Ti tengo sempre
con me,
sei d'accordo?»
Lei gli
scostò la frangia dalla fronte, provò a
cercare maggiori segni di coscienza. «Hai sonno?»
«Muoio di
sonno. Anche tu, Ami love.»
Lei non voleva
nemmeno negarlo. «Sdraiati sul mio petto.» A lui
piaceva
dormire lì.
«No, oggi ti
stringo io. Non c'è scampo.»
«Non lo cerco.»
«I love you
too.»
Lo
ripeté anche lei. E dormirono.
La mattina successiva il risveglio
sotto le coperte fu caldo, scomodo per via dei vestiti,
dolce per la vicinanza, poco romantico nei risultati. Eccitante, almeno
per lui.
«Avrai
già capito che non lo faccio apposta» le
disse
Alexander. Non era pentito. Sorrideva cercando di tenere gli occhi
chiusi, aperti su una fessura solo per guardarla. «Succede
quando mi sei
vicina e sei stata lontana a lungo.»
«Tu mi sei
mancato molto.»
Lui non le
chiese perché non avesse mollato tutto prima,
precipitandosi a trovarlo. Non parlarono, si baciarono un poco,
assaggiandosi come fiumi d'acqua che si incontravano alla foce,
mergendosi.
Infine si
spogliarono, finendo solo col toccarsi. Mancavano della
protezione che avrebbe mantenuto le loro vite difficili calme
ancora per qualche tempo, per quanto già poco lo fossero.
Alexander non le permise di alzarsi e non lo fece nemmeno lui.
Si toccarono con mani che si scoprirono a vicenda nuovamente, dita che
crearono brividi e carezze. Anche quando il bisogno divenne
più grande, lo saziarono senza muoversi dal letto, senza
neppure sporgersi verso il comodino.
Alla fine, lei
lo sentì dire, «Però tra poco round
two.»
Scoppiò
a ridere. La sua mente si sciolse, si
aprì.
«Ami...
Perché?»
Lei non si
irrigidì. Protesse il petto scoperto premendolo
contro quello di lui. «Sono stata ingenua. Ero
così piena di entusiasmo quando ho cominciato a studiare...
ma ho tantissimo da imparare. Troppo.»
«Fai solo ciò che puoi.»
«Lo so, ma è come arrendermi. Alla fine,
non solo non diventerò medico, ma non mi
avvicinerò nemmeno ad esserlo.» Nel
dirlo, si accorse fino a che punto avesse tentato di
dimenticare quanto il suo piano di contingenza fosse irrealizzabile.
«Tre settimane di
follia per accorgermi che stavo tentando di risalire una cascata come
se volassi.»
«Avrai il tuo
futuro, Ami. Un giorno...»
«Sì, è una
rinuncia di adesso. Volevo solo raggiungere qualche
traguardo come Ami prima di... E poi ci sono cose che non posso
rimandare con te. Che non voglio.»
La risposta di
lui fu un cenno di assenso minuscolo, riflessivo.
«Dopo aver fatto i calcoli delle tempistiche per il
mio studio, ho finito per tentare di programmare anche... il resto. Per
capire se avremmo avuto il tempo.»
Alexander capì, concordò.
«Trentaquattro
mesi al duemila. Un margine di sicurezza di almeno
quattro mesi da considerare - hanno detto che la guerra si
scatenerà entro la fine dell'anno, non
il 31 dicembre del 1999. Abbiamo perciò trenta mesi, a cui
vanno tolti i nove necessari. Meno dodici perché
dobbiamo avere tempo per noi, almeno fino al prossimo anno. Meno un
numero ignoto di mesi di tentativi che potrebbero non avere alcun
risultato. C'è da considerare anche questa
possibilità.»
Esatto. Il
calcolo crudo del loro prossimo futuro si riduceva a meno di
trenta e qualcosa mesi in cui far rientrare una vita che avrebbe dovuto
dipanarsi in un tempo di almeno dieci volte superiore. Ma non c'era
scelta.
Entro il duemila, secondo Rei, secondo Usagi, secondo Mamoru,
secondo Michiru... Game Over. Tutte quante avrebbero liberato il loro
potere
planetario nel diventare guardiane del nuovo regno terrestre ed Ami
Mizuno avrebbe smesso di essere una terrestre comune, di avere un
fisico umano semplice e il tempo concesso a una persona normale. Da
ciò derivavano costrizioni che la facevano sentire come su
un tapis-roulant da cui non poteva scendere.
«Hai deciso di
non ucciderti più di studio?» fu la domanda
di lui.
«Studierò
tanto. Meno.» L'errore di quel giorno - arrivare a
dimenticarsi fino a quel punto del resto della sua vita, di lui - era
stato come un segnale d'allarme.
Alexander annuì. «Allora penso che la
cosa migliore che possiamo fare
è... vivere come abbiamo fatto finora. Per il resto
rimaniamo fermi sull'anno, fino a... San Valentino prossimo?»
«Capodanno.
Gennaio.»
«Per quando
sarò tornato dagli States» intuì lui.
«Va bene.»
«Tu non sei...
oppresso?»
Lo vedo riflettere solo per un attimo. «La ricerca
sul teletrasporto... sai che non so nemmeno se la
presenterò? Se arrivo a mostrarne i principi, faccio
cambiare questo mondo prima del tempo. Forse
presenterò solo risultati parziali, quello che conta
è... la passione. Questo studio che sto svolgendo, gli altri
che seguiranno... era per scoprire cose come queste che volevo studiare
Fisica.»
Lui si stava
realizzando, capì lei. Un dono, in mezzo a tutto il
resto.
«Per le altre
cose che riguardano entrambi... l'importante è
sentirci pronti.»
Ami non ebbe il
tempo di sentirsi male per non esserlo quanto lui:
Alexander la prese la faccia tra le mani. «Ehi, there. Non
pensarci per
tutto un anno. E se ci pensi, ricordati che le costrizioni che
pensiamo di avere.... ce le stiamo mettendo da soli.»
«Ma io voglio
Adam.» Solo che sentirsi costretta ad
averlo nei successivi trenta mesi... La costrizione temporale dettata
dalle circostanze era il suo unico vero problema.
Alexander
aveva preso a guardare il soffitto. «Guarda che potrebbe
essere anche Adama.
Non la chiamerei Eve; secondo una mia breve ricerca - frutto di
esperienza personale - le Eve sono belle ma capricciose, vanitose,
incentrate su se stesse...»
«Come te.»
La risata
silenziosa di lui la fece nascondere sotto le coperte.
Lì sotto lottarono per un po' prima di finire con la bocca
l'uno sull'altro, le labbra dolcemente tumide dal troppo cercarsi.
Giorno per
giorno, concluse Ami. Per quel
giorno doveva solo farsi perdonare la mancanza di San Valentino.
Il giorno
seguente sarebbe tornata a scuola - una delle ultime
settimane come studentessa delle superiori - e sì,
la sera avrebbe anche proseguito negli studi di Embriologia.
Tempo al
tempo. Muovendosi giorno per giorno, non ci sarebbero stati
trenta mesi né tre anni di attesa, bensì solo
lei, solo Alexander, solo tutte le persone a cui voleva bene.
E il Game Over
che tanto temeva in futuro, tra vent'anni, tra qualche
secolo, le sarebbe sembrata solo una tappa. Il momento in
cui tutto era cominciato.
14 febbraio 1997 - San
Valentino scordato - FINE
NdA: Questo capitolo era stato pubblicato nella raccolta 'San
Valentino', che poi ho deciso di scorporare, avendo creato raccolte per
ciascuna coppia. Inizialmente era stato scritto nel marzo del 2012. Tre
anni dopo ho creato molte altre storie contemporanee a questo periodo
per Ami e Alexander e ciò che inizialmente avevo compattato
in questo unico capitolo - la decisione di avere Adam, lo stress del
troppo studio - sono stati poi concetti che ho sparso in diverse one
shot. Perciò, per evitare troppe ripetizioni e mantenere
logico l'atteggiamento di Ami e Alexander nel tempo, ho cambiato alcune
frasi e dialoghi di questa storia. La modifica è stata meno
sostanziale di quello che pensavo.
Devo ammettere che credevo di aver scritto peggio questo
capitolo. Per
essere una cosa che ho concepito tre anni fa, era fatta bene
(<- piccolo momento di orgoglio da scrittrice. Più
passa il tempo da quando scrivo una cosa più riesco a
valutarla come se non l'avessi scritta io).
Naturalmente solo voi lettori potete dare un giudizio e dirmi
sia cosa pensate del capitolo, sia come si inquadra in questa raccolta
dedicata a Ami e Alexander.
Solo una cosa: posso promettere che d'ora in poi lei
cercherà di farsi meno paranoie - nei limiti del possibile
:D
ellephedre
P.S. - Le cinque recensioni che avevo ricevuto alla precedente
pubblicazione naturalmente sono gelosamente conservate :)
P.S. 2 - il gruppo delle mie storie, Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...
(pagina che contiene spoiler e curiosità su tutta la mia
saga).
|
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Capitolo 6 *** Inizio marzo 1997 - Videogiochi ***
per istinto e pensiero 6
Per
istinto e pensiero
di ellephedre
Inizio marzo 1997 - Videogiochi
Nell'unica sera che potevano uscire insieme quella settimana,
Alexander
le aveva proposto di passare del tempo a casa di Yamato. Ami era
curiosa di scoprire che cosa ci fosse da fare lì. Forse
c'era
stato qualche problema che bisognava risolvere? O magari
Alexander si era prefisso di pulire un po' l'appartamento del suo
amico. Le sembrava un intento nobile, in cui lo avrebbe aiutato
volentieri, solo che...
Niente, sospirò. Se non uscivano più a
cena fuori
o per
una
passeggiata, era colpa sua. I ritmi della rigorosa tabella
di marcia che si era imposta non le lasciavano molto tempo
libero. Aveva allentato il ritmo dopo
la
figuraccia che aveva fatto a San Valentino - come aveva potuto
dimenticarsi di quella ricorrenza? - ma appena aveva notato che
stava rimanendo indietro, aveva chiesto ad Alexander di essere
di nuovo paziente. Lui era stato comprensivo.
Proprio perché si rendeva conto di non essere la
migliore
delle
fidanzate, Ami cercava di essere molto dolce con lui durante i loro
incontri. Gli telefonava tutte le sere prima di andare a dormire. A
volte provava un profondo desiderio di teletrasportarsi per andare a
trovarlo, ma... Sapeva come andava a finire quando si vedevano:
cenavano insieme e parlavano per non meno di due ore consecutive.
Scopriva
di avere talmente tanto da dirgli quando lo vedeva in faccia.
Alla
fine, raramente trovava il coraggio di andare a casa per la
notte. Nemmeno lo voleva in verità, e la mattina successiva
era
sempre stanca. Per quanto fosse piacevole quel tipo di
spossamento, la
sua concentrazione ne risentiva per diverse ore. Come una ragazzina si
beava del ricordo degli abbracci, vivendo su una piccola nuvola di
spensieratezza amorosa.
Invece, ricordò, mancava
così poco
tempo alla fine della scuola.
Si stava impegnando nello studio apposta
per darsi una settimana in cui fare una pausa assoluta. Avrebbe
passato un paio di giorni con le ragazze e Usagi, per starle vicino
prima del suo matrimonio, poi... poi il suo tempo sarebbe stato tutto
per il suo ragazzo.
Arrossì mentre suonava il citofono. Si ricompose
quando una
lucina la illuminò in volto: era l'apparecchio che la
inquadrava
con una telecamera.
«Sali» fu tutto ciò che
udì,
un saluto insolitamente conciso.
Incuriosita, percorse i due piani di scale dell'edificio e
schiacciò il campanello dell'ex appartamento di
Yamato.
Alexander le aprì la porta, sorridente.
«Entra!»
Invece di darle il benvenuto con un bacio, lui
tornò dentro,
diretto in
salotto. Sicura che ci fosse qualcosa da vedere, Ami si tolse
rapidamente le scarpe e lo seguì, lanciando un'occhiata alla
stanza.
Alexander si stava sedendo sulla moquette. Aveva impugnato un
joystick
e guardava fisso lo schermo del televisore. Stava giocando ai
videogiochi.
Ami roteò gli occhi al soffitto.
«Hai visto?»
«Ehm...» Lei iniziò a togliere
il
cappotto.
«È una Playstation. L'hai mai
provata?»
«Certo.» Aveva anche una buona padronanza
di quei
mezzi
ludici, tuttavia... «Mi hai chiamato qui per
giocare?»
Sullo schermo lui stava comandando un personaggio femminile in
pantaloncini e maglietta azzurra attillata. La ragazza stava
attraversando una giungla.
«Tomb Raider?» commentò Ami.
Alexander le lanciò una mezza occhiata.
«Conosci
il gioco?»
Per forza, non viveva fuori dal mondo. «So di cosa
tratta.»
«Sto arrivando a un punto di salvataggio.»
Naturale, con tutta calma.
Colpita dalla propria irritazione, si permise di sorridere
mentre
tornava verso l'ingresso, per disfarsi di soprabito e borsa.
Aveva
sempre pensato di essere un caso a parte con un fidanzato come
Alex, che se perdeva tempo in qualcosa era su un programma al
computer, mai su un videogioco. Ma prima o poi doveva cascarci anche
lui.
Ora si era sollevato sulle ginocchia. «Ci sono
quasi...»
Ami guardò lo schermo. La pettoruta Lara Croft
stava compiendo un balzo sovraumano da una piattaforma di rovine a
un'altra, diretta verso un cristallo luccicante che galleggiava per
aria. Appena lo raggiunse, sul televisore comparve una finestrella con
diverse opzioni.
«Ecco!» Soddisfatto, Alexander
salvò il gioco. «Sono qui da
quattro ore. Non riesco a fermarmi, voglio sempre scoprire
quale enigma viene dopo.»
Lei poteva capirlo, ma non le era mai capitato di essere
ignorata per
via di un hobby.
Alexander finalmente le dedicò attenzione.
«Ho
preso una cosa per te.»
L'emozione che provò la fece sentire sciocca.
Davvero teneva
tanto a essere riempita di attenzioni? Eppure, non era altrettanto
brava
quando si trattava di offrirne - o almeno, Alexander avrebbe avuto il
diritto di pensarlo.
Lui la raggiunse e la sorpassò, dirigendosi verso
il
comò
su cui era posato un vaso. «Li ho messi in acqua
perché
fossero freschi.»
Oh, erano fiori. Bellissimi boccioli di rosa bianchi, umidi
sui petali.
Ami li ricevette in mano e abbracciò il vaso, per
non farlo
cadere.
Alexander era contento. Aveva già capito l'effetto
che le
aveva
fatto. «Era un po' che non te li regalavo. Ma quando vedo
dei fiori, io penso sempre a te.»
Il vaso le sfuggì lentamente dalle dita. Lui la
aiutò a trattenerlo e lei si aggrappò a una sua
spalla.
Non permise al
bacio di essere un mero saluto: sollevò una mano,
accarezzandogli i capelli. Visse il momento romantico che
sognava da giorni interi.
Alexander tirò fuori una rosa dal vaso,
avvicinandola alla
sua tempia. «Te la metterei tra i capelli, come l'altra
volta. Ma qui ci sono le spine.»
«Non sarebbero rose, altrimenti.» Ami
chiuse gli
occhi, per
godersi il calore della fronte sulla sua. Si
allontanò per rimirare il regalo.
Lui rimise a posto il fiore. «Volevo essere
più
originale,
ma la bancarella da cui li ho presi non aveva una grande
scelta.»
«Non importa. Mi piacciono.» Li amo.
Sentì che se lo
avesse aggiunto, sarebbe stata travolta. Le azioni con cui si
sarebbe
espressa sarebbero state spudorate, troppo passionali e... preferiva
trattenerle,
esprimersi con calma. Forse non ci sarebbe riuscita se lui avesse
continuato a guardarla, ma Alexander le stava indicando con la testa la
consolle posata a terra.
«Yamato non l'ha portata in America per via del
diverso
attacco
di corrente. Negli USA hanno la nostra stessa codifica per i giochi, ma
lui non
voleva rischiare che la macchina si rovinasse. L'ha lasciata qui per
me, solo che fino a oggi
non ci avevo badato.»
Se non altro, Alex avrebbe avuto qualcosa con cui tenersi
impegnato nei
giorni in cui lei fosse stata impegnata con lo studio. A quel
proposito... «I tuoi esami?»
«Mi sto preparando a dovere.»
Naturalmente lui era in grado di valutare la
qualità della
propria preparazione, ma lei era sempre un po' in apprensione: non lo
voleva distratto. «Come mai mi hai invitata
qui?»
Alexander studiò un pensiero prima di
rispondere. «Yamato mi ha chiesto di affidare la
casa a
un'agenzia immobiliare,
per affittarla, ma... voglio prenderla io.»
Oh. «È un appartamento...
spazioso.» Non
sarebbe costato poco.
«Mi sembra già troppo piccolo per una
sola
persona.»
Sì, conosceva gli spazi a cui era abituato lui. Si
guardò
intorno. «Cosa farai delle due camere in
più?»
«Ci porto i mobili che mi ha lasciato mia
madre.»
In effetti, con tutto il mobilio inutile che riempiva i due
piani di
casa Foster, c'era solo l'imbarazzo della scelta. Spostare tutto
sarebbe stato... oh. Ma il trasloco non doveva essere per forza un
problema. «Posso aiutarti a spostare le tue cose.»
«Hm?»
«Col teletrasporto.» Non sarebbe stato
difficile.
«Non dovrai assumere qualcuno e non ci sarà
nemmeno
bisogno di inscatolare. Posso far apparire il tuo
armadio e le librerie dove ti servono, con tutto il loro
contenuto.»
Sorpreso, lui iniziò a vedere la
comodità della
soluzione. «Giusto.»
«Un utilizzo pratico del mio potere è
utile,
soprattutto quando si tratta di risparmiare denaro.» Non
esisteva
nulla di peggio degli sprechi.
Alexander annuì. «Allora... nell'ultima
settimana di marzo vorrei il tuo aiuto.»
Cosa? «Vuoi... passare le vacanze
traslocando?» Si
rese subito conto di quanto fosse sciocca la domanda: naturalmente i
giorni di vacanza erano il momento migliore per cambiare casa.
Più tempo libero, meno distrazioni. Inoltre, Alexander le
aveva
detto che con suo padre erano rimasti d'accordo affinché lui
rimanesse nel vecchio appartamento solo fino al mese successivo.
Alexander era dubbioso. «Col teletrasporto non ti
porterò
via più di mezza giornata. So che hai da studiare.»
Lei non replicò. Davvero gli aveva dato
l'impressione di non
voler passare del tempo con lui nemmeno durante la pausa scolastica?
Nella sua espressione Alexander vide un invito a cambiare
argomento.
«Per quanto riguarda l'appartamento... Non costerà
poco, ma nell'immediato
mi farà risparmiare. Yamato non mi chiederà una
caparra
contro i danni. Penso che non vorrà nemmeno un anticipo
sull'affitto, ma glielo offrirò lo stesso. Non gli piace
l'idea
di dipendere dal
denaro dei suoi genitori, anche se hanno dei doveri verso lui e sua
nipote.»
Era comprensibile. «Come stanno?» Le
ultime
novità che
aveva sentito su Yamato-kun e la bambina non erano state incoraggianti.
Ma sul viso di Alexander c'era sollievo.
«Va meglio. Arimi non piange più tanto la
notte. Shun si sta affezionando a lei, lo sento quando ne parla.
Mi ha
raccontato che Arimi ride quando lo vede. Ha imparato a
riconoscerlo.»
Ami fu contenta. «Yamato-kun se lo merita.»
Alexander annuì e non disse più nulla.
Il
pensiero del suo amico
lontano gli causava nostalgia e anche un certo senso di
colpa per l'oceano che li divideva.
Ami non si stupì di vederlo cercare una distrazione
con lo sguardo. I suoi occhi si fermarono sulla consolle.
«Ti va di giocare a qualcosa? Ci sono due
joystick.»
«Certo.»
Lui si piegò a prendere degli astucci con diverse
copertine.
«Allora... qui c'è un gioco di tennis...
Quest'altro è un gioco di corse.»
Scartò un titolo che lei trovava interessante.
«Quello no?»
Alexander glielo fece vedere meglio. «Tekken?
È un
picchiaduro.»
Ne era consapevole. «Sono brava.»
Lui sgranò gli occhi. «Hai giocato a
picchiare la
gente?»
Ami scelse apposta di non menzionare il suo breve excursus
come
cosplayer a un torneo di picchiaduro. Aveva partecipato - e vinto - per
poter parlare coi Three Lights. Non le sembrava delicato continuare a
menzionare una persona per cui aveva avuto una cotta, perciò
non aveva raccontato ad Alexander di
quell'episodio. «Mettimi
alla prova» gli disse.
Lui inserì il disco nella consolle.
«Okay.
Però gioca un po' da sola prima, altrimenti...»
«Non ne ho bisogno.»
Alexander fu perplesso. «Come farai a
sapere le mosse
che servono a-»
«Le intuirò strada facendo.» I
comandi
di calci e pugni erano sempre gli stessi per tutti i videogiochi di
quel genere. Avrebbe perso qualche partita mentre imparava, ma presto...
Nella sua poca convinzione lui fu quasi beffardo.
«Come vuoi.
Poi non lamentarti.»
Così era una sfida. «Guarda che conto di
vincere.
Vuoi mettere qualcosa in palio?»
Alexander la guardò con occhi nuovi. «I
videogiochi tirano fuori il tuo spirito di competizione.»
Certo, perché ci si poteva sfidare all'ultimo
sangue senza
arrecarsi il minimo danno. Come a scacchi, ma diversamente da quel caso
era richiesta meno riflessione e più istinto.
Lui aveva iniziato a prenderla sul serio. «Vogliamo
rendere
la
cosa interessante? Lasciamo decidere il premio al vincitore.»
«Ci sto.» Tanto avrebbe vinto lei, e
sarebbe stata
generosa.
Lui sollevò due dita. «Due partite
multisquadre,
con otto personaggi ciascuno. Ogni sfida due round, così la
vittoria non sarà mai un caso.»
Ami fu d'accordo. «Non potrai dire che ho vinto per
pura
fortuna.»
Alexander scoppiò a ridere. «Cominciamo!
Voglio
vedere di cosa sei capace!»
Anche lei. Nei pochi secondi in cui lo aveva visto giocare
aveva avuto
l'impressione che Alexander fosse un 'pigiatasti', un giocatore che
andava ad istinto quando si trattava di adoperare un joystick. Dato che
lui aveva già esperienza con quel gioco, conosceva alcune
tecniche dei personaggi e le aveva senza dubbio imparate a memoria, ma
appena fosse stato messo alle corde sarebbe ricorso a una disperata
difesa priva di strategie. Era solo una teoria, ma
lei era piuttosto sicura di non sbagliarsi.
Il gioco era partito ed erano arrivati alla schermata di
selezione dei
personaggi.
Non conoscendone nessuno, Ami scorse i volti per provare a
comprenderne
sommariamente le caratteristiche. Di solito i creatori di picchiaduro
erano poco originali: aspetto e stile di combattimento
erano sempre fortemente collegati. Quando ebbe finito di dare
un'occhiata alla selezione disponibile, Alexander aveva già
scelto quattro personaggi, tra cui un'unica ragazza. Lei si impose di
sceglierla a sua volta, ma in modo da evitare uno scontro diretto.
Poiché lui continuava a scegliere personaggi maschili,
decise di farne una sfida tra sessi e scelse tutti i personaggi
femminili a disposizione, più un emulo di Bruce Lee, la
versione in videogioco di Tigerman e quello che le sembrava il malvagio
della storia, un tizio coi capelli sparati all'indietro dalle folte
sopracciglia.
Alexander manteneva un atteggiamento neutro, ma Ami sapeva che
stava
sorridendo mentalmente dell'ingenuità delle sue scelte.
Lei
si ripromise di farlo dolcemente a pezzi.
Iniziò il primo scontro.
Round 1. Fight!
Ami iniziò a calciare per aria, familiarizzando col
personaggio. Il biondino di Alexander, in tuta rossa, non attaccava.
«Mi stai lasciando del tempo?»
«Dieci secondi. Per familiarizzare.»
Gli sarebbero stati fatali. Con la sua indianina dalle lunghe
trecce,
Ami testò la lunghezza dei salti, i comandi per calci e
pugni, nonché una combo che scoprì sul momento.
«Sei pronta?»
«Fatti sotto.»
La galvanizzò vedere i due personaggi che si
correvano
incontro. Schiacciando la freccetta laterale verso il basso, fece
scivolare la ragazza in avanti, mandandola a colpire con un calcio gli
stinchi dell'uomo in rosso. Quello cadde in avanti, rotolando su se
stesso.
Alexander raddrizzò la schiena, allerta. Senza
pietà Ami gli stava già saltando
addosso.
Se le diedero virtualmente di santa ragione.
I pugni del biondo forzuto toglievano un mucchio di energia
alla sua
barra della vita ogni volta che andavano a segno, ma la sua ragazza
indiana era capace di girare su se stessa cambiando il piano del gioco,
sfuggendo così agli attacchi e colpendo con calci laterali.
Purtroppo, non servì a vincere il primo round.
Ami tornò a sedersi sulle ginocchia, stringendo
forte il
joystick.
Il personaggio le piaceva. Non doveva perderlo.
«Te la stai cavando bene.»
Era condiscendenza quella che sentiva nella sua voce?
«Ti ho
tolto l'80% dell'energia alla mia prima partita con questo
gioco.»
Lui deglutì. «Infatti ho detto che sei
brava.»
No, la stava trattando come una principiante. «La
mia
coordinazione mano-occhio mi dà una marcia in più
ai
videogiochi.»
Lui premette il tasto 'Start', per far andare avanti la
schermata.
«Non me ne hai mai parlato.»
«In modo da farti vedere quello che so fare il
giorno
in cui
mi avessi sottovalutato. Le mie ragazze ti stracceranno.»
Round 2. Fight!
«Lo vedremo.»
Fu come se i personaggi sullo schermo si
fulminassero con lo
sguardo. Corsero l'uno incontro all'altro, colpendosi con calci che
respinsero a vicenda. Ami adottò una tattica di
sopravvivenza:
attaccare quando la guardia dell'avversario era scoperta e
familiarizzare con ulteriori nuove mosse del suo personaggio ogni volta
che poteva permettersi di indietreggiare. Riuscì a creare
una
meraviglioso combo di attacco. Alexander arretrò,
ferito, e la fortuna volle che una combinazione di tasti la mandasse in
una giravolta controllata, sicuramente destinata a terminare in uno
straordinario colpo finale. L'uomo biondo di Alexander - americano, a
guardare il nome - aveva piegato il torso e sprigionava una luce
crescente dalle braccia.
Oh, no.
Un istante prima che la sua ragazza indiana riuscisse a
colpire, il
personaggio di Alexander la abbatté via, lontano, con un
poderoso attacco finale che prosciugò in un istante tutta la
sua rimanente barra della vita.
K.O.
Ami fremette.
Da Alexander non giunse alcun commento.
Avevano concordato due partite a otto personaggi, si
ricordò
lei, pertanto avrebbe avuto modo di riutilizzare Michelle Chang e le
sue mosse.
Il suo prossimo personaggio era una bionda vamp in tuta
attillata viola.
«È un'assassina» la
informò
Alexander.
«Quello che mi ci vuole.»
Udì una risata. «Ti stai
infiammando.»
Anche ad Ami sfuggì un sorriso.
«Combatti.»
Le magnifiche gambe lunghe di Nina Williams la portarono
lontano.
Sfoderò calci a ripetizione, ritraendosi nel momento in cui
l'americano di Alexander stava per colpirla. Ormai conosceva le sue
mosse e la sua velocità. Nel momento in cui vinse
il secondo round, fece un piccolo saltello.
Alexander sorrideva, piccato. «Ora ho capito come la
usi.» Premette velocemente Start.
Lei era già pronta al nuovo scontro.
«Dimostralo.»
Il suo nuovo avversario si rivelò un uomo dal volto
mostruoso, munito di spada.
«In realtà Yoshimitsu è un
ladro
ninja.»
«Nina lo punirà.»
Alexander rise forte e impugnò con più
decisione
il joystick. «Non penso.»
Purtroppo andò in quel modo, ma non senza una
strategia
studiata: appena capì che stava per perdere, Ami ne
approfittò per studiare nuove mosse del personaggio, in
previsione della seconda partita a squadre.
«Non sembri dispiaciuta»
commentò
Alexander.
«Ho qualcosa in mente. Lo scoprirai.»
La nuova disfida la vide prendere possesso di una ragazza dai
tratti
giapponesi, vestita in maniera sorprendentemente casta rispetto agli
altri personaggi femminili. Ad Ami piacque subito. In partita Jun
Kazama non la deluse. «È
fortissima» dichiarò
mentre schiacciava i tasti per ottenere un calcio volante.
«Per questo l'ho scelta anche io.»
Alexander si difendeva a stento.
Non parlarono più, impegnati a cercare di
annichilirsi a
vicenda. Jun ebbe la meglio, per un soffio.
Ami tirò un sospiro di sollievo.
Alexander si riappoggiò sui talloni.
«Marshall Law
mi vendicherà.»
Ami rise. Incrociò lo sguardo con lui e in lei si
accese una
scintilla di... qualcosa. Giocare le faceva quell'effetto.
«Jun è la migliore.»
«Marshall è stato creato per
vincere.»
La sfida tra i due personaggi fu all'ultimo sangue. Ami perse
il primo
round e recuperò nel secondo. Nel terzo, iniziarono a farle
male
le dita per la velocità con cui premeva i comandi. A
metà
gara Marshall Law coinvolse Jun in una spirale di colpi devastante, da
cui lei uscì viva solo per miracolo. Ami si
impegnò a
recuperare con le combo micidiali che aveva imparato.
Funzionò,
ma un attimo prima che sferrasse il colpo finale, Alexander
riuscì a scappare e infliggerle un ultimo calcio.
Bastò
ad azzerare quel dieci per cento di vita che le era rimasto.
Mesta, Ami emise un lungo sospiro di delusione. Aveva perso
Jun.
Accanto a lei non udiva battute di giubilo. Alexander
era impietosito.
«Ehi» lo ammonì.
«È una gara. Capita di perdere.»
«Mi dispiace che tu abbia perso un personaggio che
ti
piaceva.»
«Più tardi giocherò alla
versione
arcade e
farò un torneo intero con lei.»
Alexander fece andare avanti il gioco.
«C'è una cosa che ti farà
ridere.»
«Hm?»
«Adesso hai Anna Williams. È la sorella
di Nina.
Presuntuosa, arrogante, vendicativa. Prova a premere questi
tasti.» Glieli indicò sul joystick mentre il round
iniziava.
Appena i personaggi furono liberi di muoversi, Marshall Law
fece due
passi in avanti, finendo per subire il colpo di Anna: un paio di
schiaffi sdegnati in pieno volto, che gli fecero girare la testa a
centottanta gradi.
Ami scoppiò a ridere.
Alexander si divertì con lei, contento.
«Ora basta sconti però.» Ami
gli
indicò il televisore. «È tempo di
combattere.»
Con Anna non andò lontano: aveva delle limitazioni
rispetto
alla
sorella Nina, inoltre Marshall Law era davvero molto forte. I creatori
del videogioco gli avevano dato una marcia in più. Ma
studiandolo bene...
La sua ultima ragazza fu Kunimitsu ed Ami la
sacrificò per carpire ulteriori punti deboli di Law.
Col nuovo round arrivò il momento dello scontro
diretto: lei
e Alexander avevano lo stesso personaggio.
«Percepisco che vuoi vendicarti.»
«Sei intelligente.»
Alexander sorrise. Anche se ce la mise tutta, Ami non gli
lasciò
scampo: aveva imparato i colpi di Law tramite quello che aveva visto
fare a lui e lo usò al meglio delle sue
possibilità.
Anche così, la sua vittoria fu una questione di fortuna,
decisa
nelle ultime percentuali di vita rimaste a entrambi.
Soddisfatta, Ami strinse il joystick. Era tornata in corsa per
la vittoria
finale.
«Anche io conosco i punti deboli di Law»
le ricordò Alexander.
«Usali» lo incitò lei,
preparandosi al
nuovo scontro. Era tempo di affrontare Jun Kazama.
Fu un combattimento all'ultimo sangue, metodico e preciso: Ami
si rifiutò di affidarsi alle mosse più efficaci
di Law. Si adeguò all'abilità di Jun, colpendo
solo dopo aver parato i colpi. Frustrato, Alexander cambiò
strategia a due terzi della gara, ma a quel punto Ami
ribaltò le carte in tavola e scatenò le giravolte
del suo personaggio, senza dare tempo a Jun di reagire. Lei
andò a terra.
Alexander aveva socchiuso gli occhi, contrariato.
Ami si interessò della storia di Jun.
«Chi è?»
«Un'agente della protezione ambientale esperta di
arti marziali.» Alexander raddrizzò la schiena.
Aveva appena scelto di smettere di fare il pigiatasti.
Fu il momento della sfida contro King, l'emulo di Tigerman.
Ami studiò con
grande attenzione le capacità del personaggio. In fondo, se
avesse perso
Marshall, le sarebbe toccato usare lui.
Alexander non le diede filo da torcere nel primo round: lo
usò per cambiare stile di gioco, testando la
varietà di mosse di King. Ami non si lasciò
ingannare e rimase attenta. Notò un sorriso appena accennato
sul volto di Alexander e si preparò a dargli battaglia.
Fight!
Si ritrovò vittima di una combo e
arretrò, parando per miracolo il colpo successivo. Rispose
con una sua serie di colpi che furono tutti respinti. Saltò
lontano, prima di venire di nuovo attaccata.
Rilasciò un ansito e mandò di nuovo alla
carica Law. Il personaggio di Alexander la intercettò in
aria, scaraventandola a terra. Non le diede modo di rialzarsi: la
afferrò in una presa, capovolgendo Law e saltando con tutto
il suo peso sulla testa del personaggio.
Ami emise un ghigno di dolore. Che brutto modo di morire.
Alexander saltò il replay ed ebbero modo di vedere
King che emetteva un ruggito di vittoria.
«È un animale?» sorrise Ami.
«No, ma gli effetti sonori sono
convincenti.»
E divertenti. «Chi era Law?»
«Un uomo onesto che voleva far soldi per mantenere
la sua
palestra e il suo ristorante. Purtroppo ora,
dall'oltretomba...» Scosse la testa.
«Ehi. Non gongolare troppo.»
«Giusto. Ho ancora due personaggi da
uccidere.»
Ma Ami non perdeva mai senza aver imparato qualcosa. Si
ritrovò a manovrare proprio King, con una tuta che
rispecchiava fedelmente il costume del Tigerman animato. La fece
valere: da bambina aveva tifato anche lei per la vittoria dell'orfano
Naoto Date. Sorprendendo Alexander, si appropriò delle
abilità di King senza difficoltà, aiutata dal
modo in cui il personaggio scattava
veloce
in avanti, da vero professionista del ring. Arrivò a copiare
la presa che l'aveva sconfitta. Alexander si concentrò di
nuovo e arrivò quasi a batterla, finché un
calcetto agli stinchi lo mise K.O. Guardarono entrambi sorpresi la
barra della vita di lui: era finita senza che se ne accorgessero.
Alexander la prese con filosofia. «Si muore anche in
questo modo.»
Per i gusti di Ami, era troppo tranquillo. Che aveva in mente?
Il suo prossimo personaggio era un grosso robottone.
«Questo lo hai scelto perché non mi
credevi
capace» disse lei.
«Aspetta prima di giudicarlo.»
In effetti, la sua opinione risultò affrettata.
Jack-2 era
lento
a muoversi, ma ogni suo pugno era un quintale di metallo che le
toglieva un terzo dell'energia. Ami sudò freddo per
tutto
il combattimento. Vinse di nuovo, ma solo per un soffio.
Alexander appoggiò il joystick a terra.
Incrociò
le dita,
stirando i tendini le braccia. «Ora faccio sul
serio.»
«Parole.»
Si scambiarono un nuovo sguardo d'intesa, ognuno pronto a
mettere l'altro alla
prova.
Il nuovo personaggio di Alexander si chiamava Kazuya Mishima.
Anche lei lo aveva selezionato, per ultimo.
«Lui partecipa al torneo per uccidere il
padre.»
«Edipico» commentò lei.
«Non ci sono madri di mezzo. Heihachi Mishima lo ha
gettato giù da un
burrone. Pur di ucciderlo, Kazuya si farà possedere da un
demone.»
Quando si diceva, 'essere divorati dal desiderio di
vendetta'... Kazuya
lo scatenò anche contro il suo personaggio. Aveva in
dotazione
un devastante calcio rotante che si muoveva su diversi livelli, oltre
che una gambata che dall'alto verso il basso puniva con
celerità
l'avversario. Ami non riuscì a difendersi da un solo colpo.
Colta di
sorpresa, si ritrovò battuta prima di riuscire a reagire.
Perfect!
la
schernì il gioco.
Alexander non stava più nascondendo la sua
soddisfazione.
Ami strinse le palpebre. «Questo è il tuo
personaggio preferito, vero?»
«Sì. Quello che uso meglio.»
Ami inforcò il joystick
con
più decisione, sporgendosi verso il televisore. Era ora di
dare
il tutto per tutto!
Kazuya VS
Kazuya.
«La sfida finale» dichiarò con
voce
teatrale Alexander.
«'Sta zitto.»
Per poco non si unì alla risata bassa di lui.
Fu esilarante essere al comando di Kazuya, così
come lo era
stato con Jun e Marshall. Riprodusse i calci che aveva subito,
ed esaltata si difese con
maestria dagli attacchi, al meglio delle sue possibilità.
Aveva
imparato molto in un quarto d'ora di gioco e
rivaleggiò
con Alexander alla pari.
Appena finì il primo round, a nessuno dei due
importò chi
avesse vinto. Fecero a gara a chi cliccava Start per primo, per andare
avanti.
Il silenzio tra loro era assoluto, le loro menti concentrate
sul
videogioco.
Fight!
Fu un tripudio di tasti schiacciati. Ami si ritrovò
a virare
di
lato col corpo, come per dare maggior spinta al personaggio. Si
ricompose in tempo per parare un pugno, poi coinvolse l'altro Kazuya in
una combo che lo mandò a roteare per aria quasi fosse senza
peso. Alexander si rialzò immediatamente e non commise
più errori. Entrambi riuscirono a inforcare serie poderose
di calci e pugni, senza infliggersi alcun danno. Erano diventati
superbi a leggersi a vicenda.
Ami saltò all'indietro con Kazuya, per prendersi un
secondo e ragionare.
Con una mossa sciocca, Alexander tentò una spallata
in
corsa.
Lei la schivò muovendosi di lato, ma lui non cadde in
avanti. Si
accucciò, cominciando a girare su se stesso. Si preparava a
un
colpo finale. Allerta, Ami si spostò di lato
più
volte, ma il
vortice
di Kazuya non smetteva di seguire i suoi
movimenti. «No!»
gridò, mentre un uppercut rovinoso la mandava a volare in
aria,
finendola.
«Sì!» proruppe Alexander,
alzando i
pugni.
Ami gettò la testa all'indietro.
Era stata battuta.
Fu scossa da una risata improvvisa, che la fece tremare su
tutto il corpo.
Si ritrovò circondata da un braccio e
ricevette un bacio veloce tra orecchio e mascella.
«Sei stata
grande!»
Ancora pervasa dall'adrenalina, lei riconobbe la
natura
del brivido che provò sui nervi del collo, sensibili per un
tocco non dato, desiderato. Continuando a giocare,
allontanò Alexander con una mano. «Cosa vuoi per
premio?»
Lui la guardò con più attenzione.
«Non vuoi fare la seconda partita?»
Lei scosse piano la testa. «Hai vinto tu.»
Lo disse con più suadenza di quanto aveva inteso, ma non se
ne pentì.
Alexander aveva colto l'implicazione nel suo tono. Rapito, per
bisogno, iniziò ad accarezzarle la nuca, cercando di
decidere a quale parte della sua immaginazione poteva dare
voce.
Lei non voleva che lui si mettesse limiti. Non dopo il modo in
cui l'aveva perdonata per il suo errore di San Valentino, o dopo la
pazienza che continuava a dimostrare ogni volta che erano lontani. Lei
desiderava stare vicini almeno quanto lo voleva lui. Era ingiusto
continuare a perdere occasioni per dimostrarglielo.
Si sollevò sulla ginocchia e, audace, gli
circondò il collo con le braccia. «Ti
verrà in mente strada facendo.» Lo
baciò, dall'alto verso il basso, e si sentì...
forte. Capace di lottare e di sostenere più energia del
solito.
Non la sconvolse nulla della stretta in cui Alexander la
avvolse. Si premette contro il suo petto, come voleva lui, ascoltando
l'istinto.
Prima di spegnere il cervello, lo fece funzionare un'ultima
volta. Si staccò con la bocca, ansimando. «Hai
quello che ci serve, vero?»
«Hm?» mugugnò lui.
«I preservativi.» Solo dirlo ad alta voce
la fece arrossire. Non se ne lasciò fermare. «Li
hai portati?»
A occhi chiusi, lui stava strofinando la faccia contro il suo
collo. Iniziò a baciarlo. «... nel
portafoglio.»
Ami cercò con la mano la tasca posteriore dei suoi
pantaloni, confusamente. Non trovò nulla.
Alexander sorrideva, il respiro veloce. «Sul
comodino dell'entrata.» Si alzò, un movimento
rapido che la sbilanciò all'indietro. Si tenne in piedi
afferrandosi al braccio con cui lui l'aveva presa mentre già
si muoveva verso l'ingresso.
Le piacque la poca delicatezza. «Ne hai sempre
uno?»
«Lo preparo ogni volta che so di
incontrarti.»
Dopo quella confessione, lui esitò un momento a
voltarsi.
Ami si sentì... desiderata.
Quando si guardarono di nuovo, non sentì il bisogno
di raggiungerlo.
La distanza creava una tensione sottile,
piacevole. Lei
la aumentò di un passo.
Notando il sorriso incredulo di lui, giocò e corse
via.
La sua mente faticò a ricordarsi qual era la camera
da letto. Appena ci arrivò, si girò e
finì avvolta in un abbraccio. Tenne gli occhi serrati,
lasciandosi sollevare e rispondendo al bacio.
Certo che voglio passare le vacanze con te. Tutto il mio tempo
libero con te. E aveva
amato tantissimo i fiori.
Sentì coi piedi il materasso e vi salì
sopra, camminando all'indietro per lasciargli spazio.
Alexander tolse la maglia prima di raggiungerla.
«Cos'hai?»
Ami fece sparire il dolore dal viso. «Non ti dico
mai quello che penso. Sto studiando tanto per passare del tempo insieme
durante le vacanze.»
Lui ne fu sollevato. «Lo so.»
«No, lo speravi.»
«Lo sapevo. Ti conosco.»
Ma un tempo lei era stata più spensierata e pronta
nell'esprimergli il desiderio che aveva di stare con lui. Alexander
stava per dire qualcosa, ma lei si sedette e non lo lasciò
andare avanti. Se voleva dargli qualcosa, poteva cominciare smettendo
di pensare.
Lo baciò con più intensità,
quasi con foga, privandosi di freni. Lei era una combattente, come
quelli che aveva fatto scatenare sullo schermo. Saggiò
la pelle nuda di lui con le mani e sopportò con
piacere ogni brivido: sentirsi spogliare era vergognosamente eccitante.
Tenne le palpebre chiuse per comportarsi come se fosse buio,
nel momento in cui si dedicava solo ai sensi. Si godette i baci, il
respiro caldo della sua bocca, il sapore. Tremò mentre
immaginava quello che lui stava vedendo, ma se ne lasciò
inebriare. Era un regalo totale quello che voleva fargli, il dono di
non vederla più esitare.
Non cambiò idea quando si sentì sfiorare
tra le gambe, ma si morse un labbro.
«Va bene?»
Annuì e tornò a baciarlo.
Iniziò per prima a tirare giù gli slip,
guidandosi con le mani. Manovrarono senza cura, perché fosse
possibile sfilarli senza che lei smettesse di stargli sopra.
Ami si sedette a gambe aperte sulla sua mano, forse non per
caso. Gemette in silenzio.
Nascose il viso contro la guancia di lui, stringendolo
forte.
«Ami...»
Ondeggiò contro le sue dita, stringendo i denti per
le troppe sensazioni.
«Guardami.»
Rispose alla supplica per necessità, alzando la
testa.
Vedere i suoi occhi le causò uno spasmo improvviso
al ventre. Alexander aprì la bocca e con le dita fece quello
di cui lei aveva bisogno, allinenandone due rigide all'apertura del suo
corpo perché lei potesse spingerle dentro. Ami lo fece
ripetutamente, senza controllo, soverchiata mentre moriva di un
imbarazzo che rendeva il piacere più feroce, soprattutto nel
sentire il respiro consapevole di lui sul collo, sulla faccia.
So good.
Tornò a chiudere gli occhi quando riuscì
a fermare le ànche, ma Alexander non se ne
lamentò. Tenendola per la schiena la fece sdraiare sul
materasso, restandole sopra.
«That was the sweetest prize.»
Ami avvampò da capo a piedi e strinse
più forte le palpebre. Indossava ancora la gonna! E lui i
pantaloni!
Non per molto, comprese, quando lo sentì armeggiare
con la cerniera.
«I want another.»
Un altro premio.
Lei fu sul punto di spirare dalla mortificazione, ma non ne ebbe il
tempo: Alexander stava strappando la confezione di plastica. Si
sollevò, e colpita al petto dall'aria Ami si
concentrò sul contatto tra le loro cosce e sul braccio che
riusciva ancora a toccargli.
Si sciolse di nuovo, una seconda volta. Non doveva ergere
barriere: non c'erano inibizioni, non in quel momento.
Resistette all'assalto di sensazioni dato dai loro corpi che
si incontravano. Senza mai guardare, inarcò la schiena nel
sentirlo entrare dentro di lei.
«Ti vergogni?»
Trovò la sua testa con le mani, sentendosi compresa
dalla dolcezza della domanda. «Love me.» E spinse
prima di lui, per inglobarlo più a fondo.
Non aveva bisogno di vedere. Lei sentiva, esisteva,
risplendeva nella fisicità di quel legame. Conosceva ogni
lembo di carne che toccava e sapeva tutto della mente a cui si
univa. Imparava a conoscere se stessa con lui.
Banalmente, in quel momento, apprese di nuovo quanto fosse
sensibile a una stimolazione prolungata, incisiva e rapida, nella parte
più interna del suo corpo.
Gli strinse i capelli e le sue gambe si mossero come se non le
appartenessero più, circondandogli lascivamente i fianchi.
Oh my god.
Evaporò al picco di sensazioni, ma non col suo
corpo. Quello rimase ancorato al letto e ad Alexander, a pulsare,
spingere e tremare assieme a lui.
Ami si azzardò ad aprire gli occhi solo alla fine.
Nel vedere il soffitto, allungò una mano sopra la testa e
trovò un cuscino. Lo usò per nascondervi sotto il
viso.
Stremato, Alexander si era sdraiato su un fianco. Sorrideva.
«Cosa fai?»
Lei scosse la testa. Non
lo so.
«Too much?»
«... sì.» Decisamente troppo.
«You offered.»
Fortunatamente non aveva più sangue da far arrivare
alle guance. «Lo so.» Era stata lei a incitarlo.
Alexander la circondò con un braccio. «Ma
era troppo.»
Ami sollevò il cuscino, per farsi vedere meglio.
Non ebbe bisogno di parlare.
«Troppo, troppo presto.»
Presto?
Lui sorrise. «La prendo come un'anteprima, Ami love.
Ma per il momento puoi stare tranquilla. Sono sedato.»
Lei emerse da sotto il cuscino. «Non mi pento, solo
che...»
«I know. In questo caso hanno parlato meglio le tue
azioni.»
Lei riuscì ad avere il coraggio di quello che aveva
fatto. «Sì.»
Alexander si sorprese, poi si divertì.
«Torno subito.» Allegro, scese dal letto.
Abbandonata sopra le lenzuola, Ami le tirò da
dietro la schiena, cercando di ridarsi un contegno con un poco di
più stoffa a coprirla. Riuscì a recuperare giusto
un lembo, nemmeno sufficiente a fare un giro della sua vita.
Alexander tornò indietro. «Sei
comica.»
«Sono imbarazzata.» Ma non voleva
rinnegare tutto quello che era successo saltando sfacciatamente sotto
le coperte.
«Ti copro io.» Le offrì un
abbraccio che lei accolse con sollievo.
Pacata, Ami osservò la stanza.
«È carina.»
«Ci sta giusto il mio letto e l'armadio. Per la
scrivania dovrò prendere l'altra camera.»
Ami sorrise: ci sarebbe stato spazio per tutto se lui non
fosse stato abituato a metrature tanto ampie.
Alexander la guardò. «Sono contento di
venire a vivere qui. Finalmente sarà un posto mio. Qualcosa
che mi sono guadagnato.»
Ami fu fiera di lui.
Lo abbracciò e non parlarono più.
Svegli, riposarono.
Inizio marzo
1997 - Videogiochi - FINE
NdA: Ho riletto tre quarti della storia, mentre per l'ultima
metà sto andando a istinto, come Ami, e pubblico senza
rileggere. Mi sento soddisfatta di quello che c'è nel testo,
soprattutto per quanto riguarda lei, che finalmente si è
sciolta un po'. Ma solo voi potete dirmi se lo avete percepito :)
Elle
Note di traduzione, che magari qualcuno ne ha bisogno :)
- So good = Così bello.
- That was the sweetest prize = Quello era
il premio più dolce (ma non in senso tenero, quanto...
gustoso).
- I want another = Ne voglio un altro.
- Oh my god = O mio dio.
- Too much? = Troppo?
- You offered = Hai offerto tu.
- I know = Lo so.
Gruppo
Facebook dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre...
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Capitolo 7 *** Marzo 1997 - Lasciarsi andare ***
per istinto e pensiero 7
Note: attenzione, non ho completato il pezzo del viaggio in
Italia, saltando avanti di qualche mese.
Comunque non era indispensabile finire quella parte per scrivere
questa, altrimenti non sarei riuscita a scriverne. Potete leggerla
tranquillamente senza temere spoiler strani.
Per
istinto e pensiero
di ellephedre
Marzo 1997 - Lasciarsi andare?
«È così
difficile…»
«Cosa?»
indagò Minako.
Ami accarezzò le cuciture del reggiseno
rosa.
«Non è semplice trovare dei modelli senza
ferretto, o privi di coppe
imbottite.»
Il negozio di biancheria intima aveva una gran
quantità di modelli
in esposizione, ma come al solito
la scelta era limitata per chi come lei preferiva capi semplici e
poco elaborati. Sospirò. Non era
lì per scegliere
qualcosa per sé. Dovevano trovare un regalo adatto alla luna
di miele di Usagi. Makoto e Rei erano già sparite nei
meandri ben illuminati degli stand.
Minako aveva sotto braccio un completino in pizzo giallo.
«Ti
danno ancora fastidio i ferretti?»
Visivamente, soprattutto. «Sono rigidi. Ma il
problema è l’impressione che
danno.»
«Cioè?» Minako
sollevò un sopracciglio.
Perché le faceva domande ovvie? «Regalano
una
taglia in più. È un piccolo inganno.»
Oh, ma non voleva dire che fosse una bugia cattiva.
«Se è lo scopo, nessun
problema, ma a me non va di…»
Minako stava
sorridendo della sua ingenuità.
Ami sospirò, preparandosi alla lezione.
«Cosa?»
«Chi è che dovremmo
ingannare?»
Chiunque le
guardasse, no?
Minako scuoteva la testa. «Proprio tu, che sei tanto
logica,
non ci arrivi? Ami, Ami… A chi ti mostri
nuda?»
Ami avvampò, incavando la testa tra le
spalle. «Shh!» Qualcuno per caso le aveva sentite?
Si guardò attorno, frenetica.
«Sì, shh, certo!» Minako
avvicinò la testa solo per accontentare il suo bisogno di
privacy. «Anche
indossando uno di questi, come fai a ingannare il tuo ragazzo se lui sa
già perfettamente come sei fatta davvero?»
Ami non ebbe una risposta pronta.
Minako alzò un dito, continuando a insegnarle.
«Questo tipo di reggiseno non è fatto per
forza per essere visto, sai? Sotto i vestiti dà
l’impressione di una bella curva alta sul petto, è
a
questo che serve.»
Sì, a dare
l’impressione di un seno più grande. Era quello
che aveva detto lei.
Minako era perplessa.
«Se non ti piacciono i ferretti per una questione di
comodità è un conto, ma le coppe
imbottite…
È bello guardarsi allo specchio e vedere una bella
scollatura, tutto qui. Non c’entrano fidanzati, uomini da
attirare o niente di simile. Una donna compra biancheria come questa
per se stessa.»
Hm. Anche se la nascondeva per la maggior parte del
tempo?
Minako la studiava. «Ho paura di chiederlo
ma…
vero che nei tuoi cassetti tu hai almeno una cosa di questo
tipo?» Le
sventolò il suo prossimo acquisto
davanti agli occhi.
Ami ritenne che fosse meglio far finta di niente.
«Cosa
intendi?»
«Pizzo, Ami. Trasparenze. Qualcosa di
provocante.»
Ma non avevano appena stabilito che una donna comprava
biancheria come quella solo per sé? «Io
preferisco
il cotone.»
Minako roteò gli occhi al soffitto.
«Questo pizzo è
fatto di cotone. Hai mai
provato un modello come questo almeno?»
«Il pizzo mi
dà una sensazione di prurito sulla pelle.»
Minako le afferrò la mano. «Solo i
modelli di
cattiva qualità. Senti qui!» Le passò
il palmo sul tessuto. «E se vogliamo una prova di
delicatezza…»
Ami si ritrovò le
mutandine di pizzo strofinate sulla guancia. «Cosa
fai?!» si dimenò.
«Senti come sono morbide?»
«Okay, ma ora abbassale!» Stavano dando
spettacolo!
Minako la osservò da dietro le palpebre
socchiuse. Era lo sguardo di quando aveva un piano in mente.
«Cosa
c’è?» le domandò Ami, sapendo
di
rischiare la dignità.
«Adesso vai in uno di quei camerini e provi
questo
completo!»
«Quello è tuo!»
«Ah, non ti preoccupare!» Con un saltello
Minako
recuperò un modello identico, di colore bianco.
«Dato che siamo in tema nuziale…»
Ami provò a protestare, ma furono interrotte da un
gridolino.
«Minako-san!»
Accanto a loro una ragazza saltellava a piedi uniti.
«Non ci
posso credere, Minako-san, sei proprio tu!»
Minako si immerse nei panni della diva che era diventata.
«Ciao! Sei una mia fan?»
La giovane estranea iniziò a sommergerla di
complimenti ed
Ami si arrese. Col completo di biancheria intima in mano
andò verso
i camerini di prova.
In fondo non era da lei sottrarsi alle
sfide. Poteva
provare quei capi e dimostrare che non erano niente di
speciale, né qualcosa che lei sentisse il bisogno di
possedere.
No?
Si chiuse dietro una tenda. Appoggiò la borsa su
uno sgabello
e sollevò il completino che Minako
aveva scelto.
Non
era imbottito e non era così male. Le coppe erano sciolte,
fatte
completamente di pizzo bianco, leggero e morbido al tatto.
Intuendo che
non lo avrebbe riempito bene, controllò la taglia sul
cartellino.
Infatti, era per una coppa di una misura superiore alla sua,
ma tanto... era solo una prova.
Iniziò a spogliarsi del vestito e
adocchiò le mutandine appoggiate sulla borsa.
Erano
molto più provocanti del reggiseno. La
fantasia era identica, ma i ricami bianchi avrebbero lasciato in
trasparenza tutto il sedere e il bassoventre, a eccezione di un
piccolo
scampolo di cotone sistemato per igiene in posizione strategica, tra le
gambe.
Arrossì.
Aveva davvero voglia di indossare una cosa
del genere? Non era da lei, non sentiva la
necessità di apparire come una creatura tanto... sessuale.
È solo una prova.
Già, nessuno l'avrebbe vista.
Ripiegò con cura il vestito in tessuto di jeans -
uno dei
suoi preferiti - e si preparò a
indossare la sua piccola sfida. Lo fece senza guardarsi allo
specchio.
Terminando di sistemare le spalline del reggiseno,
abbassò lo
sguardo sul petto.
Le coppe erano comode e semivuote. I suoi
seni erano poco sostenuti - forse doveva stringere le spalline? - ma il
tessuto, per quanto era poco compatto, le dava una sensazione di...
respiro. La seminudità era fresca, ideale per la stagione
estiva.
Era strano vedere i suoi capezzoli tanto liberi, anche se...
provò a tendere il pizzo sulla pelle e osservò la
maniera
in cui la trasparenza del tessuto incorniciò la sua areola,
lasciandola intravedere sotto i ricami. Più che
provocante, era una cosa... bella. Delicata.
Si voltò.
Il riflesso
nello specchio le fece salire un fiotto di calore alle guance. Corse a
coprirsi tra le gambe.
Così era indecente!
Trovò il coraggio di girarsi, per guardarsi di
schiena.
Arrossì ancora di più, schiacciandosi
contro
il muro.
In quello stato era praticamente nuda. Che senso aveva
indossare della biancheria intima? Poi tutto quel pizzo era scomodo tra
le gambe, pizzicava
e...
No, ammise. Non prudeva. Non era diverso dal tessuto
di puro cotone che normalmente preferiva. Era una soluzione di
abbigliamento molto fresca, solo perché sentiva di non
portarla
nemmeno.
Schiacciò la fronte contro la parete, vergognandosi
da sola.
Era una sciocca. Perché si imbarazzava? Stava solo
guardando il proprio corpo.
Inspirò a fondo e decise di osservarsi con
più calma, analiticamente. Si voltò di
nuovo.
Okay. La cosa che le sembrava più sessuale in
assoluto era la
vista dei peli pubici attraverso il pizzo. Non erano tanti
perché lei li teneva curati, ma... Si voltò di
lato, poi
a centottanta gradi, per avere la visuale completa del proprio
profilo.
Quelle mutandine erano proprio comode.
Ma... come faceva la popolazione femminile
adulta ad andare in
giro vestita in quel modo? Quel tipo di trasparenza era diffuso su
tanti dei modelli in commercio, almeno la metà. Lei l'aveva
sempre
evitata di
proposito, tuttavia... Sì, non era scomoda,
però...
Poco convinta, rimuginò.
La sessualità era negli occhi di chi guardava, no?
Nei suoi. In realtà quel modello, come qualunque altro, si
limitava a svolgere la sua funzione di sostenere e coprire laddove era
igienico non avere un contatto diretto con l'aria o altri tessuti.
Tornò a voltarsi. Sul retro la cucitura delle
mutandine seguiva la linea di separazione tra le natiche,
abbracciandole i glutei con ricami di fiori bianchi posati su un
finissimo intreccio semi-trasparente. Tutto ciò la denudava,
di fatto, o forse... sottolineava solo che lei aveva un sedere? Ed era
la verità.
Quel completo di biancheria, quindi, si limitava ad affermare
che lei aveva un corpo composto di parti piacevoli, che valeva la pena
di valorizzare.
Hm. Vista così...
Usò le mani per tirare di nuovo su le spalline del
reggiseno. Sullo stand avrebbe scommesso che, per i suoi gusti, quelle
coppe in pizzo le avrebbero dato un'impressione di
volgarità,
ma dovette ricredersi. L'effetto finale era soave e
romantico. Le piaceva molto.
Controllò il prezzo dei due indumenti.
... Sì. Li avrebbe comprati.
Mentre si rivestiva, sorrise, mordendosi un labbro.
Okay. Per quella volta si era sbagliata.
Alla cassa non la seguì nessuno. Makoto e Rei erano
ancora alla ricerca del regalo perfetto - c'era da battere di Michiru,
a quanto aveva sentito - e Minako era scomparsa.
Probabilmente si stava nascondendo dalle
fan. Seguendo
un impulso, Ami prese un secondo reggiseno con la
stessa fantasia, questa volta con coppe imbottite. Non lo
provò. Se non le fosse andato bene, avrebbe passato
il secondo
reggiseno a Usagi.
Era fatta così, pensò mentre pagava.
Quando si accorgeva di aver fatto un errore e di non aver esplorato un
intero mondo di possibilità, si buttava a capofitto negli
esperimenti, almeno fino a che la sua cautela non tornava. Era
meglio comprare due reggiseni finché era ancora piena di
coraggio.
Oh.
«Aspetti» disse alla commessa dietro
la cassa.
Recuperò un secondo paio di slip bianchi e li
appoggiò sul bancone. Non aveva
senso comprare due reggiseni e una sola mutandina.
Sentì un brivido lungo la schiena.
«Fai acquisti.»
Sobbalzò. «Minako!»
Lei aveva indossato un cappellino e un paio di occhiali da
sole.
«Cosa compri, Ami-chan?»
La commessa era stata così gentile da mettere i
suoi capi in un sacchetto. Le comunicò il prezzo ed Ami
tirò fuori i contanti. «Ehm, cose.»
«Capisco.»
La risatina di Minako, inquietante, proseguì per
mezzo
minuto buono.
Ami cercò di non arrossire. «Vuoi dirmi
qualcosa?»
«No, no. A me basta vincere.»
Lasciandola nel suo pozzo di imbarazzo, Minako
danzò alla ricerca di Rei a Makoto.
A casa, Ami guardò l'orologio appeso alla parete.
Le sette di sera. Aveva
mezz'ora prima della cena, poi aveva programmato una sessione di studio
dalle otto fino a mezzanotte.
Ale-chan si strusciò contro le sue gambe.
«Ehi.» Ami lo prese in braccio,
rimirandolo da
capo a
piedi. «Come stai
crescendo!» Strofinò la guancia contro quella
pelosa di
lui, inspirando il suo odore di cucciolo di sei mesi.
Assieme ad
Ale-chan e al sacchetto dei suoi acquisti, salì le scale.
«È sempre bene essere ordinati, sai? Bisogna
mettere subito a posto le proprie cose.» Gli
accarezzò la schiena. «Come mai non ti piace
questa regola? Ho visto che hai lasciato la tua cannetta di piume sul
divano in salotto.»
Comunque, a lui avrebbe
perdonato di tutto:
adorava osservarlo mentre
giocava.
«Non ti annoi a casa da solo? Luna o
Artemis
sono venuti a portarti fuori oggi?» Non lo sapeva,
avrebbe dovuto chiamarli.
Lasciava una finestra
unita, da aprire con una spinta, apposta per permettere a loro due di
entrare quando lo desideravano. Entrambi si erano affezionati
ad Ale-chan ed Ami non avrebbe
potuto esserne più felice.
Posò il micio sul materasso del letto.
«Se ti servissero vestiti da gatto, te ne
comprerei moltissimi.» Rise, mostrandogli quello che avevo
preso. «Ma questi sono per me. Ti piacciono?»
Ale-chan aggredì una delle bretelle del reggiseno.
Una delle sue piccole unghie si incastrò tra i ricami di
pizzo.
Con una smorfia, Ami separò la zampetta di lui dal
suo
acquisto. «Ti piace troppo.»
Sollevò il reggiseno in aria, rimirandolo. «Lo
provo di nuovo, questo è della mia taglia.» Non
aveva osato fare una seconda prova per paura di essere scoperta da
Minako, ma non era servito a niente.
Vincendo la ritrosia, alla fine a Minako aveva detto
un bel, 'Sì, ho comprato quello che pensi.'
Minako l'aveva guardata con nuovo rispetto. 'Brava ragazza'. E
le
sue prese in giro erano finite.
Canticchiando, Ami si spogliò di nuovo del vestito
blu
e indossò la combinazione di reggiseno con coppe sciolte e
mutandine di pizzo bianco. Si osservò nello
specchio della propria camera.
Sì, si piaceva. Il completino le stava
bene e lei era carina in una
maniera dolce, sensuale.
Si accarezzò i gomiti, coprendosi lo stomaco.
Aveva fatto un bel primo passo, ma per il momento lo avrebbe
tenuto per sé. Prima doveva abituarsi a portare quel tipo di
indumenti, da sola, poi un giorno...
Non tanto presto, si ripromise, sentendo il battito che
accelerava. Tutto quello che aveva pensato all'inizio di quei
capi
- che erano troppo provocanti, e sessuali - Alexander lo avrebbe
ingigantito cento volte tanto.
Morì di imbarazzo.
Non era pronta a farsi vedere da lui così. Nemmeno
doveva. C'era tempo e certamente loro non avevano bisogno di altri
stimoli in campo intimo: non mancavano d'inventiva, né di
entusiasmo.
Lei
non si vergognava - di quello mai -
perché le loro esperienze erano fantastiche, naturali e
spontanee, e continuavano a travolgerla volta dopo volta. Insieme le
stavano trasformando piano
piano e non avevano ancora bisogno di
reinventarsi. Avevano una buona vita sessuale.
Era incredibile - pensò guardandosi allo
specchio - che pensarlo non la facesse arrossire da capo a
piedi. Era cresciuta.
Suonò il campanello di casa.
Ami saltò in piedi e si rivestì di
corsa, buttandosi sopra la testa il vestito con cui era uscita.
Chi poteva essere a quell'ora? Un venditore porta a
porta? Un fattorino che aveva sbagliato
casa?
Allacciò la cerniera sulla schiena mentre scendeva
le scale,
preparandosi a scoprirlo.
Alexander non aveva mai visto Ami che sbiancava
nell'incontrarlo.
«Ciao» le disse, ridendo tra
sé. «Ho pensato di farti
un'improvvisata.»
«Ah...» Lei ancora non chiudeva la bocca.
«So che è serata di studio, non te la
rubo. Ma possiamo cenare insieme, se ti va.»
Le spalle di Ami persero tensione. «Scusa. Certo.
Ero
solo... sorpresa.»
Lui se n'era reso conto. Ma lei stava già
sorridendo,
in un modo
che gli disse che era il benvenuto a entrare.
Ami gli fece spazio e Alexander
attraversò l'uscio di casa Mizuno, abbassandosi
per togliere le scarpe.
«Come va per l'esame di domani?»
Sollevò il pollice bene in alto. «Sono
pronto. Il cento è già mio.»
Lei lo guardò fiera: era orgogliosa dei suoi
risultati e del
suo impegno. Non si incontravano da quattro giorni, apposta per dargli
il tempo di concentrarsi sugli ultimi esami dell'anno
accademico.
«Non ho ancora
deciso cosa preparare da mangiare» gli fece sapere Ami.
«Hai qualche preferenza?»
Lui non ne aveva nessuna, il cibo era quasi una scusa.
«Sono venuto solo per stare con
te.»
Generò la tenerezza che aveva cercato. Ami fece un
passo
verso di lui, per abbracciarlo, ma si fermò all'ultimo
momento,
esitando su un piccolo brivido.
Alexander non capì. Non chiese solo
perché lei scosse la
testa - nel solito modo tenero, invitandolo a lasciar perdere.
Mentre camminavano verso la cucina, lui notò che il
suo
vestito
era slacciato di qualche centimetro. «Aspetta.» Le
posò una mano sulla schiena. Ami si irrigidì,
riprendendo
a respirare solo quando Alexander tirò su la cerniera.
«Ah... grazie.» Lei si scostò
veloce.
Si comportava in modo strano.
«Hai
qualcosa?»
Per lui fu una domanda divertente, per lei una ragione per
sussultare. «Niente.»
... invece aveva qualcosa.
Inspirando per ritrovare la calma, Ami si diresse a una
credenza, aprendo un'anta e sollevandosi sulle punte dei piedi.
«Ho questo preparato per due. Oppure...»
Aprì il frigo. «Ho del cous cous vegetariano
già
pronto.» Iniziò a leggere le istruzioni sulla
confezione. «È
da riscaldare in padella.»
Lui scrollò le spalle. Andava bene qualunque cosa.
Serena, Ami scelse da sola. «Scusa. Non sono una
brava
cuoca.»
Nemmeno lui lo era. «Mi sto facendo dare delle
ricette da
Nanny Shoko.» Andò a sedersi sul tavolo e
rimase a
guardarla mentre lei trafficava tra i tegami. Apparentemente, Ami era
tornata normale. Gli stava dando attenzione, in attesa di sentirlo
continuare.
«Sono pigro. Proverò a fare qualcosa solo
quando andrò a vivere per conto mio.»
«Ormai mancano due settimane.»
«Già.» Due settimane al
trasloco, poi l'ex appartamento di Yamato sarebbe diventato la sua
nuova casa.
Gli sarebbero mancati i manicaretti della sua tata.
«Nanny
Shoko continua a dire che può venire a prepararmi qualcosa
quando ho bisogno.»
«Ti vizia.»
Era vero. «Il mio stomaco non
protesta.»
Ami stava accendendo il fuoco. «Hai già
provato a stare
per un paio di settimane con cose cucinate solo da te, no?»
Sì, non era andata a finire bene.
«Alla fine sei ricorso ai ristoranti.»
Purtroppo. «Ora mi posso permettere solo le piccole
trattorie. Sopravviverò.»
Ami sorrideva in silenzio.
«Non hai fiducia, hm?»
Lei sollevò tra le mani la confezione che si
apprestava ad
aprire. «I moderni supermercati si sono attrezzati. Per chi
non
ama cucinare, come noi, c'è una vasta scelta di cibi che
richiedono solo pochi minuti per essere pronti da servire.»
Ami sembrava una pubblicità.
«Il tuo problema» continuò lei,
«é
che sei esigente in fatto di gusti. Non ti piacciono le cose che non
sono fresche.»
Sì, i ristoranti lo avevano abituato male. Il cibo
era un
piacere fatto per essere gustato e doveva essere cucinato da mani
esperte.
Ami scuoteva la testa. «Ti avverto: dubito che
diventerò una di quelle donne che cucinano bene.
Quando
vivremo insieme e toccherà a me nutrire entrambi, dovrai
accontentarti di pochi piatti ben fatti.»
«Non voglio altro.» Per lui era
già una cosa grandiosa sentirla parlare del loro
futuro insieme con tanta sicurezza. «Questi mesi
in cui vivrò da solo mi serviranno a perferzionarmi.
Comprerò dei libri di cucina, così, quando
andremo al
lavoro di mattina, ti farò trovare uno di quei bento ben
preparati,
con tante cose diverse.»
La dolcezza del sorriso di lei lo riempì di
gioia.
In cucina si fece vivo un miagolio vivace.
Alexander si piegò sotto il tavolo.
Trovò il suo omonimo che stava disegnando una esse tra le
gambe di Ami.
«Poverino, ha fame.»
«Lo nutro io.» Si alzò e
andò
verso il ripiano in cui era sistemato il cibo da gatto.
Afferrò una lattina.
Ami sorrideva. «Naturalmente lui verrà a
stare con noi.
Per allora troverò qualche lavoretto,
così
manterrò sia me che Ale-chan.»
Anche a lui piaceva molto fare progetti di quel tipo. Solo,
non era
felice che dovessero preoccuparsi dei soldi. Ce ne sarebbero voluti
parecchi per mantenere
entrambi, una casa e le loro carriere universitarie. Per non parlare di
quell'idea di famiglia
che non poteva aspettare più di un altro anno e mezzo.
Nel presente Ami era serena. «Dovrai anche imparare
a fare le pulizie.»
«Sono capace.»
Lei non era così convinta. «Non sei
disordinato, ma
è sempre stata Shoko-san a pulire per te i pavimenti, a
togliere
la polvere dai mobili, a farti il bucato. Ah, e a stirare. Sei
fortunato, a me piace stirare.»
Ah, sì? «Quindi verrai a farlo per
me?» Versò il cibo del gatto nella ciotola.
«Non scherzare. Mi riferivo a quando vivremo
insieme.»
Lui scoppiò a ridere.
Ami non capì. «Adesso ho da stirare la
roba mia e di mamma. Non verrò a casa tua a farlo per
te!»
Lui si divertì ancora di più.
«Lo so! È
solo che... Nanny Shoko me l'avrebbe offerto.» Un altro tipo
di
ragazza lo avrebbe fatto. Ma Ami era indipendente e assolutamente
estranea a logiche di suddivisione dei ruoli in base al sesso. Non era
nata per essere casalinga e lo affermava con forza.
Gli occhi di lei erano socchiusi per il sospetto.
«Non sono la tua governante.»
«E non vorrei che lo fossi.» Al di fuori
di qualche
strano e perverso giochino erotico, almeno. «Mi piace che tu
non
pensi nemmeno di fare una cosa simile. Non devi servirmi o riverirmi
più di quanto non debba fare io con
te. Tutti e due abbiamo un cervello e due mani: possiamo pensare a noi
stessi e non pesare sull'altro.»
Ami annuiva. «O possiamo aiutarci a vicenda,
suddividendoci i compiti in modo equo.»
Tanto lui sapeva già come sarebbe andata a finire.
«Non ti piace lavare i piatti, giusto?»
Ami scrollò le spalle. «No.»
Sì, lei non gradiva il contatto coi residui di
cibo.
Una sua fisima. «Io e le stoviglie sporche ce la caviamo
bene
invece.»
Lui provava uno strano piacere nel grattare via lo
sporco
dalle superfici, rendendole di nuovo
immacolate. «Alla fine ci
divideremo i compiti in questo
modo: a me il lavaggio dei piatti, a te lo
stiro.» Tornò a sedersi a tavola.
Ami aveva incrociato le braccia. Sorrideva furba.
«Stirare
richiede almeno un'ora - due, quando ci sono di mezzo lenzuola e
coperte. Per lavare i piatti ci vogliono al massimo quindici
minuti.»
Ah. Stavano già negoziando? «Ho la
soluzione.»
Ami sollevò un sopracciglio.
«Lavastoviglie e servizio di lavenderia. E tutti
contenti - soprattutto le nostre menti, che avranno più
tempo per dedicarsi
a compiti più interessanti.»
Lei lo trovò divertente. «Sono servizi
che
costano, Alex.»
Lui ne era consapevole. «Non preoccuparti di
questo.»
Ami non disse più niente. Si voltò per
tornare a cucinare.
Quella era una discussione che continuavano a non affrontare,
ma a lui andava bene così. Quando fosse venuto il tempo,
avrebbe trovato il modo - qualunque modo - per far sì che i
soldi non fossero un problema. Era capace di mantenere se stesso e una
famiglia. Non era dell'idea che solo un uomo potesse portare
soldi in
casa, ma
finché Ami aveva da studiare... E se volevano davvero avere
presto un bambino...
Lei lo guardava. «A cosa pensi?»
Trovò una buona scusa. «Non mi hai ancora
dato un bacio di benvenuto.»
Ami si strinse nelle spalle, timida. Lanciò
un'occhiata al
cous cous che aveva messo sul fuoco e lo rigirò con energia
un'altra volta. Si mosse verso di lui. «Devi tenere
le mani a posto.»
Perché?
Ma
non fece domande quando Ami si chinò e posò le
labbra sulle sue in un sorriso, tenendogli ferme le braccia.
Poiché aveva solo la bocca a contatto con lei,
lui usò
quella e la lingua per suscitarle sensazioni. Dapprima baciò
piano, convincendola a non allontanarsi con la pressione delle labbra.
Poi massaggiò quelle di lei una ad una, disegnandone
l'orlo
col respiro, con piccoli sfregamenti. Ami aprì
la bocca e Alexander poté assaggiarla. Lentamente
riuscì a prenderla per la vita, stringendola.
«Aspetta.»
C'erano ritrosie a cui lui non obbediva più.
Ami a volte voleva fermarsi senza motivo, solo per
ricomporsi. La circondò meglio con le braccia,
spingendola a
sedersi sulle sue gambe.
In risposta udì un sospiro
contro l'orecchio. Era sceso con la bocca sul collo
di lei, sul nervo
che le dava
maggiori sensazioni. Lo baciò una volta, dandogli una
leccata
leggera.
Ami lo graffiò sulle spalle. «La
cena.» Si
allontanò da lui con una spintarella veloce, tornando in
piedi.
Sistemò la gonna mentre si distanziava, ancora tremando.
Alexander decise di essere sincero. «Non ho
così fame.»
Lei gli aveva dato le spalle. «Non eri venuto per
mangiare?»
Certo, ma era una persona che sapeva adeguare i propri
obiettivi alla situazione. «È quasi pronto, no?
Possiamo
spegnere il fuoco.»
Lei continuava a non voltarsi.
Lui le andò dietro, mettendo
un braccio tra il suo stomaco e la cucina. Non la voleva troppo vicino
a delle
fiamme per quello che stava per dirle. «Questo cibo
si può riscaldare di nuovo,
love. Io ora vorrei scaldare te.»
Ad Ami sfuggì un piccolo suono, una via di mezzo
tra
un gemito e un lamento. «Alex...»
«Hm?» Girò la manopola del
fornello per lei, spegnendolo.
«Vorrei cambiarmi.»
Perché?
Ami si girò tra le sue braccia, facendo un passo
laterale. «Ho bisogno di cambiarmi.»
Lui non era contrario. «Ti metti qualcosa per
me?» scherzò.
L'imbarazzo di Ami contenne una traccia di... qualcosa.
Qualcosa di sconosciuto.
«Cosa c'è?»
«Niente.»
«Fai così da prima.»
Lei guardò per terra. «Ecco... Non
è nulla, solo che... Ho bisogno di un momento.»
Per qualche faccenda femminile, supponeva.
«Okay.»
Sollevata, Ami si diresse verso il salotto. Lui la
seguì.
«Ehm... Non puoi aspettare in cucina?»
Gli venne da ridere. «Tornerai qui sotto? Stai
diventando davvero audace.»
Lei avvampò e di nuovo si rannicchiò le
spalle. «No, solo che...»
Dalla spallina del suo vestito stava spuntando una bretella di
pizzo bianco.
Alexander la indicò col mento.
«È
una
nuova canotta?»
Ami abbassò gli occhi e saltò per aria.
«No! Cioè... È un... è
una...»
Era la fonte del suo strano disagio, chiaramente.
«Non
è
pulita?» A lui sembrava pulita, persino nuova dato che non
l'aveva mai vista. «Non importa. Tanto devi toglierla,
no?»
Ami si vergognò ancora di più.
«Ehi...»
Lei stava indietreggiando verso le scale. «Ti prego,
non seguirmi.»
«Va bene. Ma non devi avere paura di me.»
Lei si fermò con un piede sul gradino.
«Non ho paura.»
«Paura di quello che penso.» Come se ci
fossero ancora cose che lei poteva vergognarsi di mostrargli.
Ami provò a rispondere, poi chiuse la bocca.
«Mi hai... sorpresa, arrivando oggi. Non ero
preparata.»
Certo, ma se lei stava pensando al tipo di preparazione che
richiedeva profumi o rasoi... «Per me non ha
importanza.»
Su di lui lo sguardo di Ami era intenso, concentrato su molti
pensieri. Lei ne focalizzò uno, sorridendo. «Sei
venuto a
trovarmi per questo, hm?» Indicò con la testa il
piano di
sopra, quasi fosse un'idea troppo maliziosa da mettere a
parole.
Lui aveva avuto un unico scopo. «Volevo vederti. Mi
mancavi.»
Trovarsela davanti a tavola, mentre cenavano, sarebbe stato
sufficiente. Guardarla dal vivo per un minuto lo sarebbe stato.
Sentirla al telefono non era abbastanza.
Sulle scale Ami lo osservava, colpita come se lui avesse
espresso
quel sentimento per la prima volta. La sorprendeva il bisogno, lo
comprendeva solo quando lui glielo dimostrava. Ne gioiva quando alla
fine ci credeva e lui non vedeva l'ora di convincerla di nuovo,
un'altra volta, in continuazione.
Sentì il petto stringersi quando Ami si arrese a se
stessa, allungando una mano verso di
lui. «Vieni.»
Coprì la distanza tra loro in due passi, fermandola
sulle scale per un bacio, la dita tra i suoi capelli.
Lei respirava veloce. «Aspetta.»
Indietreggiò, salendo, le gambe poco stabili ma sicure della
direzione. Lo teneva per la mano.
Mentre oltrepassavano la porta della
stanza Alexander notò che Ami si stava mangiando le labbra.
Lei lo faceva
quando voleva risentire il sapore di un bacio - una volta glielo aveva
confessato.
Lui la trattenne, gliene dietro un altro - migliore,
più profondo, un braccio sulla vita per invitarla a non
cercare
pause. Le diede tutto il gusto che cercava, con lunghi assaggi morbidi,
umidi, che lo inebriarono del sapore che creavano insieme. Ami
ansimava contro la sua bocca, innaturalmente eccitata.
Mise una mano sul suo petto.
Lui udì la richiesta. «Cosa?»
«Non pensare male.»
In che senso?
Lei portò le mani dietro la schiena e lui
capì che stava per scoprire cosa la innervosiva.
Ami tirò giù la cerniera dell'abito che
indossava. Il
rossore sulle sue guance divenne così intenso che Alexander
le
lasciò fare un passo indietro, verso il letto.
Lei posò le mani sulle spalle, lasciando
scivolare le dita
sotto il tessuto del vestito blu, il petto che si muoveva ritmicamente,
forte. Si spogliò fino a metà braccio.
Con più coraggio lasciò cadere il vestito fino
allo stomaco.
A lui bastò un'occhiata al suo torso per sentire un
colpo al basso ventre, tanto intenso da lasciarlo senza fiato.
Aprì la
bocca per respirare, o forse solo per inneggiare alla vista di lei. My God.
Allungò una mano. Deviò in
tempo per prendere quella di Ami, che lo stava guardando con due
chiazze rosse sulle guance, quasi dolorante per l'imbarazzo.
Alexander riuscì a stento a riderne.
«Non...
dovevo pensare
male?» Non avrebbe mai potuto. C'erano solo bene e dieci
mondi di
piacere dietro quella cosa semi-trasparente.
Dio,
chi aveva mai
inventato un indumento che delineava tanto bene dei capezzoli?
Quelli di Ami iniziarono a indurirsi sotto i suoi occhi,
facendogli stringere i denti, aumentando la morsa all'inguine.
«L'ho comprato perché era carino. Non
per...»
Non gliene importava nulla.
«Non per il sesso» espirò lei.
Lui la guardò negli occhi. «Non vuoi che
lo usiamo per
questo?» Avanzò, facendola indietreggiare verso il
letto.
Ami cadde a sedere e lui si inginocchiò, le mani
sulle sue
gambe. «Non ti piace che ti
guardi?» Voleva
farglielo ammettere, perché non era disposto
a
toglierle subito quel reggiseno. Voleva giocarci, farne un mezzo per
adorarla.
Per il bisogno che aveva di accarezzarla strinse nel
pugno la sua gonna ed Ami sussultò. «Sotto ho
un'altra cosa che... Gli slip sono uguali, ma più
trasparenti.»
Se lei voleva farlo venire con le parole, ci stava riuscendo.
Alexander espanse l'eccitazione lungo tutto il corpo,
diramandola,
controllandola. Non aveva alcuna intenzione di perderla - per un'ora,
se possibile, o per il resto della nottata. Al pensiero, morse le
labbra.
Ami lo notò e si riempì d'aria. Gli
coprì le
mani con le proprie. «Mi piace quando... mi piace tutto
quello che
fai.»
Lui lo prese come un assenso. Con un dito le sfiorò
lo stomaco.
Lei si tese, gli occhi socchiusi per la delizia della
sensazione. «Non so perché ancora mi
vergogno.»
Non so
perché stiamo ancora parlando. Ma gli
entrò in testa il tono di supplica che chiedeva una mano, e
l'ossigeno tornò al suo
cervello. «Cosa
vuoi nascondere?» Non seppe perché fu
così sincero, ma per farsi perdonare le aprì una
mano,
baciandole il palmo.
Ami faticava a pensare. «Non voglio nascondere il
mio corpo.
Non sono brutta.»
«Sei la più bella che abbia mai
visto.» Ragazza, donna, creatura - non importava la
categoria.
A lei sfuggì un lamento, commozione e resa. Gli
prese la testa tra le mani, piegandosi in avanti. «Non voglio
più pensare.» Chiuse la sua bocca in un bacio.
Lui si sollevò lentamente, senza smettere di
ricambiarla. Si
sentì un poco crudele nell'insistere. «Hai paura
che sappia
quanto lo
vuoi, Ami love?»
Lei scosse la testa, la fronte contro la sua.
Alexander si appoggiò con le mani sul materasso,
mentre lei ricadeva col peso sui gomiti. Si sdraiò.
Lui respirò contro le sue labbra, gli occhi chiusi.
«Per cosa dovevo pensare male?» Voleva aiutarla a
capire.
«Perché non ho pudore.»
Lui voleva che lei non ne avesse. E voleva che niente, nulla
in
assoluto, le desse dubbi mentre stavano insieme.
Fu una prova di quanto
l'amasse il fatto che non potesse smettere di baciarla sulla bocca,
nonostante il desiderio che aveva di usare le labbra sul suo corpo in
altri modi.
Ma Ami che lo abbracciava e cercava forza nello stringerlo era
paradisiaco, era il bisogno che lui aveva di lei riflesso, dichiarato.
«Farei di tutto» gli disse lei e senza
fiato Alexander
le passò una mano sotto la schiena. Aiutandosi con le gambe
la
spostò verso l'alto, dove avrebbero avuto spazio per
qualunque
idea.
La confessione le era costata, ma lui aveva capito.
«È
una debolezza. Non ti fermi più se ti lasci
andare.»
Deglutendo, Ami annuì.
Le faceva male sentire di doversi limitare, ma non stavano
parlando
di sesso. Se lei si lasciava andare completamente poi chiedeva troppo,
voleva troppo - di questo aveva paura. Di non sapersi più
frenare e di non essere in grado di mettere se stessa in secondo piano
rispetto a lui - il suo concetto di massimo amore. Lo aveva
già
spinto al limite per amarlo, arrivando a una contraddizione da cui non
sapeva uscire.
Ci voleva tempo, pazienza. Lui aveva ancora tanto da darle, e
nessuna intenzione di smettere. «Un po' alla
volta» le sussurrò, riferendosi a ogni cosa.
«E vedrai che andrà tutto bene.»
Lei spinse il naso contro la sua guancia. Lo
strinse con tutta la propria forza per la comprensione che
stava ricevendo, poi rise piano. «Va bene non andare tanto
piano.
Per questo, adesso.»
Era contento di sentirglielo dire, perché voleva
perdere un
po' il controllo con lei. Non pretendeva di risolvere tutto in una
sera, ma c'era una cosa che teneva a farle dire. Un altro passo
avanti.
«Voglio farti tante cose, Ami.»
Non smise di guardarla mentre lei smetteva di respirare. «Let me.»
Sì, le chiedeva di lasciarlo fare - una
concessione di
fiducia a scatola chiusa. Perché lui la conosceva, lei e i
suoi limiti, e lei doveva
saperlo, doveva fidarsi.
Nel suo sconvolgimento Ami fu abbastanza stabile.
Riuscì
persino a sorridere. «Ti piace così tanto questo
pizzo?»
Gli piaceva lei che faceva quei discorsi, e la
sensualità del
suo mormorio, più dolce del solito. «Da
morire.»
Ami assorbì le sue parole. Alexander seppe di
essere osservato
mentre abbassava lo sguardo sul petto di lei. Non si trattenne
più,
le accarezzò il torso con una mano, arrivando sul bordo
bianco
del tessuto che si adagiava sui suoi seni, teso sulle punte turgide e
rosate che premevano sui ricami. Ami sfiorò con un
dito quella che lui stava
guardando, facendogli spalancare gli occhi.
«I'm
letting you.»
Per nessun'altra frase lui avrebbe alzato la testa.
«Fa' tutto quello che vuoi. Va bene.»
Non aveva calcolato quanto forte sarebbe stato il pugno di
eccitazione, la sorpresa. Imbambolato, non fece niente.
Ami non aveva voglia di aspettare. Sì, gli avrebbe
lasciato
fare ogni cosa, perché era così bello vederlo
tanto
intento su di lei e sentire di avere fiducia - anche per cose che non
conosceva, che si sarebbe sentita troppo spudorata a provare, ma non
importava. Voleva dimenticare, voleva dirgli di
sì. Voleva
lasciarsi andare e cadere per davvero - era eccitata a tal
punto e
non poteva uscire da quel momento, doveva viverlo per non perderlo.
Mise una mano sulla felpa di lui, sullo scollo. Gli
sfiorò le
clavicole, poi smise di toccarlo per portare le dita sul suo stomaco -
l'unico modo di spogliarlo di qualcosa.
Alexander le prese il polso, spostandole la mano di lato,
contro le coperte. «Ricordi la prima volta?»
«Hm?»
«L'effetto che ti hanno fatto i baci sui
seni.»
Lei capì subito di cosa stavano parlando.
«Ho sempre voluto capire se era stata la
novità, o se sei davvero così
sensibile.»
Ami sentì il sangue che pulsava dai piedi
fino
al petto, più forte tra le gambe. Le unì, le
strofinò. Non stava più
arrossendo in faccia, ma dove lui stava per baciarla.
«Proviamo.»
Alexander non appoggiò le labbra, non
sfiorò.
Inglobò con la bocca tutta la sua areola, compreso il pizzo.
Succhiò.
Lei gli graffiò le braccia, tirando
indietro la testa.
Sentì il movimento della lingua sul capezzolo - piccoli
colpi
continui, lenti e veloci, che accesero tutte le sue terminazioni
nervose. Non aveva un solo muscolo che non fosse contratto, o parte di
lei che non volesse essere toccata, strofinata, leccata.
So good.
Lui allontanò la bocca, la sostituì con
un dito sulla punta del seno. «Ti ho bagnata di saliva.
La senti sulla pelle?»
Lei annuì con la testa, gli occhi chiusi. Non era
per la vergogna che non voleva vedere: voleva concentrarsi. Sul tatto,
pensò, stringendogli la parte alta delle braccia,
senza lasciare che l'ostacolo della felpa le impedisse di sentire il
calore del suo corpo, la forma dei muscoli a cui poteva tenersi.
Ora lui stava usando un polpastrello su di lei,
tracciando il contorno dello stesso capezzolo che aveva tormentato,
spingendolo da un lato, dall'altro.
Usò due dita per stringerlo, solo per un istante, poi la
stuzzicò con un'unghia, lo strofinio col tessuto
ricamato che acuiva
le sensazioni.
L'aria usciva da lei senza scampo. La sua bocca si apriva,
tremava, e l'idea di essere vista non era più un problema -
era un regalo, qualcosa da condividere. Insieme respiravano
convulsamente.
«Così lo rovino.» Lui
abbassò le coppe del reggiseno, tutte e due, e per un
momento fece quella strana cosa che facevano tutti gli uomini secondo
Rei. Si riempì le mani dei suoi seni, un gesto che non
portava sensazioni, se non mentali e solo a lui. Per
tentare di nuovo di capirle Ami aprì gli occhi ma
Alexander era già andato oltre e con due dita per seno -
indice e pollice - stava facendo roteare piano entrambe le sue punte.
Incrociarono gli occhi, un istante che non le diede il tempo
di sfuggirgli. Arrossì, ma non smise di guardarlo. Anche lui
non riusciva a tenere le labbra chiuse. Erano più scure,
come i suoi occhi. Alexander era diviso tra tormento e piacere, il suo
volto
identico a quando era coinvolto con tutto il corpo in quell'atto.
Allargando i gomiti riuscì a chinarsi di
più su di lei, senza smettere di muovere le dita. In
realtà perse un po' di ritmo su una mano, ma
sopperì con l'assaggio della bocca.
«Apri.»
Lei non aveva chiuso le labbra, ma comprese la supplica. Non
bastava, bisognava averne di più. Inumidì apposta
le labbra, come lui, per premerle umide contro le sue - una sensazione
divina per come riuscivano solo a sfiorarsi e dovevano tendersi per
trovare uno strofinio interno, delizioso proprio perché era
breve, scappava.
Alexander si scostò di colpo, abbassandosi per
premere la
bocca aperta contro il suo capezzolo, il dorso della lingua insistente,
duro, una tortura grandiosa.
Ami tese il petto e anche il bacino contro il corpo
di lui, di mezzo la gonna del vestito arrotolata sopra i fianchi.
Manovrò senza successo, o scopo, ma Alexander
provò a trovarne uno mettendole una coscia tra le gambe. Non
poté più muoversi senza strofinarglisi addosso.
Sul seno lui cominciò a morderla piano,
alternandosi
nel leccare.
Ami si procurò piacere da sola quando
sollevò di nuovo il ventre. Spalancò la bocca,
senza riuscire a crederci. Ripeté il movimento e
mugolò.
Non l'aveva mai sentito in quel modo. Tutta la sua carne
morbida aveva qualcosa di compatto contro cui sfregarsi. Era divino,
piacevole da impazzire. Lo fece di nuovo, stringendo i denti per
trattenere il suono.
Alexander si tirò su per metà,
appoggiandosi su un fianco. Senza riflettere lei provò a
non lasciar andare la sua gamba, ma lui ci mise di mezzo una mano,
infilandola di lato nei suoi slip. Si bagnò le dita
senza neppure provarci e lasciò scivolare il pollice verso
l'alto, tra le sue pieghe. Quando lei sussultò, lui
iniziò a descrivere un piccolo cerchio, con intento,
letteralmente rubandole il cervello.
«Così» la pregò,
ansimando e tornando con la lingua sul suo petto.
Lei si mosse a tempo col suo dito, non capendo neppure
più cosa la tenesse ancorata al letto. Fu corpo
invece che mente - divenne un tutt'uno con gli spasmi
che le crescevano nel ventre, coi fianchi che
roteavano cercando altra estasi. Sentì di nuovo la suzione
nel punto più sensibile del seno, che tirava a sé
sensazioni, le richiedeva.
Una breve leccata innocua si portò dietro lo
spasmo finale, talmente forte che la colse di sorpresa, facendo
scattare verso l'alto tutto il suo bacino.
Si agitò in
movimenti ampi, sapendo per istinto come dimenarsi per amplificare la
pulsione, le contrazioni di muscoli che si scioglievano a ritmo, senza
perdere la forza della morsa. Le assecondò, perdendo ogni
resistenza.
Appena il piacere iniziò a morire lentamente,
deliziosamente, aprì con uno scatto le mani, smettendo di
graffiare.
Controllò col palmo di non aver tirato fuori del
sangue dietro il collo di lui. Trovò piccole scie asciutte,
in rilievo. Contrita, massaggiò tutto intorno, poi gli
accarezzò i capelli.
Alexander si tirò su senza smorfie di dolore,
appoggiandosi sulle ginocchia e usando le mani per tirarle
giù la gonna.
Lei gli diede una mano e non chiese quando si
sentì spostare di lato, verso il bordo del materasso. Le
salì un brivido - eccitazione, sgomento - quando lo vide
scendere dal letto e inginocchiarsi sul pavimento, le mani sulle sue
cosce per tirarla verso di lui, verso la sua faccia.
Aspetta.
Non le uscì la parola, perché col primo
tocco lui riposizionò i suoi slip, sistemandoli per coprila.
La massaggiò lungo tutta la stoffa con un solo dito,
espandendo la chiazza umida.
«Come la prima volta» disse senza
guardarla, chinandosi e appoggiando a occhi chiusi la bocca su di lei,
per baciarla.
La luce era accesa e questa volta Ami vide con una chiarezza
sconosciuta. Con le sopracciglia unite, perso, lui riceveva piuttosto
che prendere, anche quando tirò fuori la lingua e
assaggiò, premendo tanto forte che risultò chiaro
che voleva sentire il sapore. Lo cercava, lo voleva.
Ami si portò le mani alla faccia,
sussultando involontariamente. Cercò di tenere aperte le
gambe, di non chiuderle - perché anche se le veniva da
gemere per il contatto, la possibilità che lui potesse
sfilarle gli slip... Oh, Alex lo avrebbe fatto e lei non avrebbe
avuto più il minimo pudore. Non avrebbe
più potuto difendersi se- se lui...
Iniziò a provare un nuovo picco di
piacere, contenuto e
languido. Lo strofinio di lingua e cotone frammentato insieme
era immensamente piacevole, mobile e scivoloso, da togliere il
fiato. Direttamente sulla carne sarebbe stato...
Lei non voleva sentire così tanto! Lo
pensò anche mentre i suoi fianchi tremavano in risposta,
ondeggiando.
Alexander smise, si staccò per guardarla in volto.
Con tutte le sue forze lei provò a non fargli
vedere alcuna esitazione. Lui non lo meritava e lei non capiva - non
capiva! - perché ancora non riuscisse a dargli tutto, che
cosa le facesse paura.
Io sono
già tua, no? Era così vero, qual era
il problema?
Lui si stava tirando su, piano, le mani appoggiate sul
materasso, ai lati del suo corpo. Respirava forte e non aveva smesso di
osservarla. Invece di avvicinarsi ad abbracciarla, si
allontanò all'improvviso, facendo il giro del letto.
Seguendolo con gli occhi, Ami si tirò indietro, tornando
distesa nel verso lungo del letto.
Non si alzò, non si sedette. Rimase a guardare
mentre lui apriva il cassetto dove avevano concordato di tenere i
preservativi.
Le uscì un sospiro - sollievo. Si
sollevò per spogliarsi.
Alexander aveva in volto un'espressione sofferente.
Tirò
via la felpa e gettò la confezione del profilattico sul
letto prima di abbassare la zip dei pantaloni, facendo
attenzione a non farsi male. «Ami...»
Liberò in fretta le gambe e tornò da lei.
«Perché fai quella faccia?»
«I
love you.»
Quando riuscì ad abbracciarlo, capì.
Comprese quando lo tenne stretto, quasi con disperazione, il naso
contro il suo e gli occhi aperti per non smettere di guardarlo.
Non so per quanto tu sarai
mio.
Lui la abbracciava forte, di rimando. «... vuoi che
smettiamo?»
«No» sussurrò decisa. Al
contrario, voleva continuare. Era davvero lei quella che voleva
prenderlo, tenerlo in eterno. Ma non era possibile fare una cosa simile
a una persona.
Eppure, lo baciò con trasporto e tutta se stessa.
Cercava di dimenticare il limite, era una persona egoista. Voleva
chiedere e avere tutto, anche se non era più una bambina.
Non
sarebbe uscita intera quando avesse dovuto ricordarsi che tra le
persone doveva esserci distanza, spazio.
«Non ti è piaciuto?» Lui stava
provando a staccarsi. «Non lo farò
più.»
«No.»
Parlò a occhi chiusi, contro le sue labbra.
«È bello tutto quello che fai.» Era
incredibile amarlo e stare insieme. Ma lui doveva andare in America per
mesi, era già deciso. Lei poteva andare a trovarlo tutti i
giorni, ma forse non doveva farlo? Forse Alex lo avrebbe trovato
complicato, forse non avrebbe voluto distrazioni.
Magari era giusto staccarsi un po'.
Lui le accarezzò la tempia, facendole aprire
gli occhi. Aveva tanta voglia di chiedere e capire, ma comunicarono
come sapevano, sentendo entrambi che cosa desideravano di
più - e non si trattava di spiegazioni.
Alexander si scostò per levare i boxer e lei
infilò una mano sotto l'arco del suo braccio, per prendere
il profilattico che lui aveva schiacciato. Glielo passò,
attese. Lo accolse quando tornò a sdraiarsi accanto a lei.
Era quella la cosa più bella. Le piaceva
il sesso e sì, amava il sensazioni, ma
quando sentiva lui con tutto il corpo, e non c'era parte di
lei che non lo avesse e che non gli appartenesse. Era l'esperienza
più... «I
love it» gli disse, allargando i fianchi sotto i
suoi, sentendolo entrare. Lo avvolse con le braccia, nel loro momento
perfetto. «I
love you so much.»
«I
adore you, Ami love.»
Alexander non si mosse con
lei, restò fermo a godersi l'unione, i baci lievi.
«Dopo dovrai dirmi perché facevi
così.»
Lei non ne aveva alcuna intenzione. Gli voleva troppo bene per
intrappolarlo e ricattarlo con l'amore.
Aveva avuto un momento di
debolezza perché era imperfetta, una ragazza comune. Ma
sapeva come amarlo ed era fortunata. «Sono
felice.» Lo incitò a muoversi, ottennendo
una piccola e
deliziosa spinta.
Alexander aveva chinato la testa. Lei lo sentì
sorridere contro un lato del suo viso.
«Davvero?»
«Sei venuto a trovarmi, ti mancavo.»
«Tantissimo.»
Aveva già così tanto di lui.
Ondeggiarono di nuovo e lei volle ripetergli la verità.
«Mi manchi anche quando non ti cerco.» Quando non
poteva dirglielo, per timore di chiedergli più di quanto
doveva.
«Lo so.»
Volle mettersi a piangere di gioia, ma non fu così
sciocca. Semplicemente, si lasciò andare. Era capace, un
giorno ci sarebbe riuscita completamente. Come diceva lui, sarebbe
andato tutto bene alla fine, piano piano.
Mozzò il fiato e si abbandonò al
momento. Lasciò vincere l'amore e fu la persona
più felice, più completa e adorata.
C'erano cose - pensò Alexander alla fine, sdraiato
- che ancora non capiva di Ami.
Lei sorrideva serena, piena di energie mentre si
rivestiva accanto al letto, guardandolo. «Vado a finire la
cena.»
Lui si sarebbe alzato per accompagnarla, ma gli era venuto un
incredibile colpo di sonno.
Ami aprì l'armadio e tirò fuori una
trapunta. «Quanto hai dormito stanotte?»
«Sei ore. Credo.» Se finiva prima di
studiare, si era detto, avrebbe avuto un po' di tempo libero quella
sera.
Allargando le braccia, Ami distese la trapunta sopra di lui.
«No.» Alexander provò ad
alzarsi, ma lei
lo fece ricadere sul materasso, le mani sulle sue spalle.
«Certo che sì. Riposa.»
«Non-»
«Hai studiato tutto o no?»
«Sì.» Odiava ridursi all'ultimo
momento. Studiando in quegli ultimi giorni in realtà lo
aveva fatto: stava dedicando troppo tempo al lavoro sulla tesi - con
grande anticipo, per prepararsi a ogni eventualità sul loro
futuro.
«Ti sveglio io, prima che rientri mamma. Ti do il
tempo di mangiare insieme, poi torni a casa.»
Lui riuscì a ridere. «Così
sembra che sia venuto da te solo per...»
Ami gli regalò un sorriso adulto, molto diverso
dall'imbarazzo di inizio sera. «Non mi sarebbe
dispiaciuto.» Si
chinò su di lui, sistemandogli le coperte sulle spalle.
«Dormi.» Lo baciò sulla fronte.
«Veglio io su di te.»
Ne risero insieme, poi lei lo lasciò solo.
Lui faticò a tenere aperti gli occhi.
Doveva davvero ricordarsi di avere più pazienza.
Poi Ami era capace di far finta di nulla ed essere anche soddisfatta
ma... non c'era ragione di far esistere il disagio, solo
perché lui aveva avuto fretta. Quando andavano piano,
ai tempi di lei, andava tutto bene.
Non voleva più vederla esitante, voleva solo farla
felice.
Abbassò le palpebre.
.. avevano tutto il tempo.
Marzo 1997 -
Lasciarsi andare? - FINE
NdA: Eh. Qui ho introdotto un concetto di cui stavo parlando
già da un po' in spoiler vari. Mi rendo conto che possa non
essere chiarissimo, considerato che, come mio solito, salto da un
momento temporale all'altro, senza finire di raccontare bene cose
precedenti. Questa è la prima
volta nel suo percorso che Ami definisce tanto bene nella sua testa
quello che prova. Delineavo uno dei motivi di questo suo atteggiamento
nell'ultimo capitolo di Acqua viva, parlando del rapporto con suo
padre.
Ami è una ragazza cresciuta con l'idea che, se si
ama qualcuno,
bisogna lasciarlo andare. Bisogna lasciare che le persone che si amano
(suo padre, ma anche sua madre) si occupino delle cose che amano
davvero (il lavoro, l'arte) rispetto alle quali lei deve accettare di
stare in secondo piano.
È una cosa dolorosa da accettare per un bambino,
per una
persona, ma Ami la ritiene normale.
Lei non si è detta con chiarezza che il suo
atteggiamento dipende dai suoi genitori - non so nemmeno fino a che
punto ne sarà consapevole in futuro, ma scoprirlo non la
aiuterà a cambiare definitivamente modo di fare.
Ormai fa parte di lei.
Quindi, questo sarà il problema che lei
dovrà risolvere nel suo prossimo futuro. Non da sola,
ovviamente, ma la domanda è: fino a che punto può
essere spinta la pazienza di Alexander? A livello sessuale, pare che
non ci siano problemi (:D). Per questi due conta molto il
livello emotivo. Lui
può essere forte fino ad un certo punto, perché -
come spiegavo in passato - questo suo voler dare e dare nasconde
un'insicurezza di fondo con riguardo ad Ami. Cioè, anche lui
ha il timore che, se non è abbastanza bravo e generoso,
sarà mollato.
Eh. Non si prospettano tempi facili per questi due.
Come al solito cercherò di descrivere bene tutte
queste vicende.
Grazie di aver letto!
ellephedre
Gruppo
Facebook dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre...
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Capitolo 8 *** Fine marzo 1997 - Troppo vino? ***
per istinto e pensiero 8
Per
istinto e pensiero
di ellephedre
Fine marzo 1997 - Troppo vino?
«Cin-cin.»
Ami fece tintinnare il calice con quello di Alexander.
Rimirò
il liquido rosso prima di assaggiarlo.
Le sue papille gustative vennero
invase dal sapore ricco e corposo del vino francese.
Lo inghiottì, sentendone il percorso fino allo
stomaco. «Wow.»
Alexander concordava. «È più
forte di quello che pensavo.»
Già. La gradazione alcolica doveva essere alta.
Avevano recuperato la bottiglia dalla credenza di Yamato, l'amico di
Alexander. Lui aveva detto che qualunque cosa fosser rimasta in casa
era da considerare regalata. Lei e Alexander avevano preso la bottiglia
di vino dopo aver deciso che era il
caso di festeggiare quella sera.
«Non ce l'avrei mai fatta senza di te, Ami
love. Traslocare in un giorno... Abbiamo battuto qualche
record.»
Lei alzò il calice in loro onore. Erano stati
efficienti. «Avevi messo in ordine tutto quanto.»
«Già. Ci
ho messo una settimana.»
Esatto, alla fine cambiare casa non era mai
semplice. Con una rigorosa organizzazione loro avevano ridotto i tempi
al minimo indispensabile. «Ora abbiamo il tempo di andare
dove
vogliamo.» Avevano cinque giorni liberi, tutti per loro. Il
periodo degli esami era terminato.
Alexander si stava guardando intorno, rimirando il salotto di
quello
che era stato un tempo l'appartamento del suo amico. Ora era casa sua.
«Voglio conoscere tanti posti, ma... per almeno una
giornata mi andrebbe
di stare qui. Sento di voler fare qualcosa con questo posto.»
Lui ne era proprio fiero. «Per
esempio?»
«Voglio
riempire il frigo. Ora è solo mio e comprerò il
cibo coi
miei soldi. Sento che sarà diverso fare la spesa. Voglio
anche andare
a comprare le cose che mancano in giro per la casa.»
Sì, incredibilmente non avevano trovato
proprio tutto
nell'appartamento dei genitori di lui: alcuni mobili erano stati troppo
ingombranti per la funzione che avevano. «Allora
domani andiamo
in
un negozio di mobili.»
Alexander pensava. «Sai, anche se sarà un
posto
economico,
non importa. Sono contento. Stare qui mi dà la
carica.»
Lui tenero nel suo palese desiderio di rendere quel
posto
ancora più suo. «Ti meriti tutto
questo.» Ami brindò di nuovo a lui, a
ciò che
aveva conseguito.
«Riuscirai a mantenere questo appartamento. È tuo,
te lo
sei guadagnato. Sei una persona completamente
adulta ora.»
Alexander si illuminò. Fece tintinnare
i loro calici
con più energia.
Quei giorni erano... speciali, pensò Ami.
Pochi giorni prima Alex aveva presenziato alla sua cerimonia
di
diploma. Era venuto alla sua scuola in completo, elegante senza
essere troppo formale, per vederla ricevere in mano il documento che
decretava la fine di un lungo periodo della sua esistenza. Non era
più una studentessa che doveva portare l'uniforme; la scuola
come la conosceva era finita.
Quando avevano chiamato il suo nome sul
palco, Alexander l'aveva applaudita assieme a
sua madre e alle ragazze.
Fuori dall'edificio scolastico, Ami lo aveva visto fare una
faccia
strana quando gli aveva chiesto di fare una foto ricordo con lei.
«Perché sei sorpreso?» gli
aveva domandato.
«Te lo dico dopo» aveva risposto lui. Si
era
messo davanti all'obiettivo, un braccio intorno alle sue spalle, ed Ami
lo aveva visto sfoderare il sorriso più grande che avesse
mai
regalato a una macchina fotografica.
Si era dimenticata di insistere per una risposta, ma in
seguito aveva capito da
sola come si era sentito lui. Era successo quando erano andati insieme
al matrimonio
di Usagi.
Lei aveva pianto nel vedere Usagi e Mamoru che si prendevano
per mano,
guardandosi negli occhi, mentre giuravano di amarsi in eterno.
Avrebbe ricordato per sempre quel giorno assieme alle sue
compagne. In
futuro avrebbero parlato della festa, di quanto fossero state
emozionate mentre si dirigevano insieme verso il luogo della
cerimonia... Si era resa conto che avrebbe ripensato anche ad
Alex, al momento in cui lo aveva tenuto per mano mentre si
scioglieva dalla commozione per Usagi.
Iniziavano ad essere presenti, l'uno per l'altra, in momenti
irripetibili delle loro esistenze.
Ami voleva essergli accanto nel
giorno in cui lui si fosse laureato - la prossima grande tappa della
sua vita.. Era anche felice più che mai di
averlo aiutato a traslocare nella sua prima vera casa: sarebbe
rimasta nei ricordi di lui per sempre, qualunque cosa fosse successa
tra loro.
Colpita da un magone, bevve un altro bel sorso di vino.
«Ehi, vacci piano.»
«È buono.» Forse
però
l'alcool stava
cominciando a darle alla testa.
«Vuoi mangiare qualcosa?»
Hm. Non aveva molta fame, e non aveva voglia di cucinare.
Alexander sembrava pensare la stessa cosa. «Andiamo
a cenare fuori.»
Uscire? Ma era così bello e tranquillo starsene in
casa a non fare niente, dopo tutti gli impegni che avevano avuto.
Lui aveva adocchiato una scatola sistemata in una mensola
della libreria. Sorrideva.
«Cosa c'è?»
«È da un po' che non giochiamo a
scacchi.»
Ami voltò la testa. Per l'entusiasmo quasi travolse
il calice di vino. Evitò per un
soffio che il liquido si rovesciasse, ridacchiando. Si
spostò verso la libreria e afferrò
la scatola che conteneva la scacchiera. «Giochiamo
ora!»
Lui era già convinto. Si stava alzando.
«Vado a prendere degli snack.»
Aveva così fame?
Sulla porta del salotto Alexander chiarì.
«Servono per
non stare a stomaco vuoto. Altrimenti il vino ci farà
ubriacare.»
Lei fermò il calice a un centimetro dalle labbra.
«Ho
retto più di questo.» Al pigiama party di Usagi.
Inoltre
quello sarebbe stato il suo ultimo bicchiere.
«Scommetto che avevi mangiato qualcosa.»
Alexander non discusse più, andò in cucina.
Un minuto dopo Ami aveva finito di sistemare i pezzi sulla
scacchiera. Lui tornò indietro con un piattino di
crackers.
«Non ho niente di valido in casa. Devo davvero fare
la spesa.»
Lei ebbe un'idea. «Usciremo
insieme nel cuore della notte. Andremo a prendere qualcosa in un Family
Mart.» Non ci era mai stata oltre una certa ora.
L'entusiasmo
all'idea di fare piccole cose nuove insieme, in quella casa,
l'aveva contagiata.
Alexander prese di nuovo in mano il proprio calice.
«Andata. La città sarà
nostra.»
Lei ricambiò il cin-cin.
Lui bevve in un sorso solo quello che restava del proprio
vino. «Ora ti insegnerò come giocare a
scacchi.»
Davvero? «Che presuntuoso.»
«Vedrai.»
Mezz'ora dopo Alexander sentiva la testa leggera. Aveva
sgranocchiato un paio di crackers, ma la concentrazione per la partita
lo aveva distratto. Era stato più facile continuare a bere
che
preoccuparsi di masticare. La bottiglia di vino era mezza vuota.
Ami pareva nella sua stessa condizione. Mentre guardava la
scacchiera le sue guance erano accaldate. Sulle labbra aveva il
residuo di una goccia di vino. Tirò fuori la lingua, per
leccarla via.
Che cosa seducente.
Lei lo era, in ogni momento.
I suoi occhi blu salirono a guardarlo.
«Cosa?» domandò lui.
«Perché mi fissi?»
Non c'era un vero motivo. Semplicemente, l'aveva davanti e
guardarla era
tremendamente piacevole.
Il sorriso di Ami era divertito. «Ho
qualcosa?»
«No.»
Lei raddrizzò le spalle, inspirando. «Mi
sento... diversa.»
Ah, sì?
«Non credo di potermi più concentrare
sulla partita.»
Sì, lui la capiva.
Ami stiracchiò le braccia verso l'alto, tirando
fuori del
petto. I suoi seni erano piccoli e appuntiti. La temperatura della
stanza si era abbassata.
Lei rabbrividì. «Anche se è
primavera...»
Il suo discorso venne interrotto dal suono di un tuono, in
lontananza.
Ami emise una risata bassa, cristallina. «Ecco.
Piove.»
Per Alexander era una serata perfetta. Era rintanato in casa -
in
una casa che poteva definire completamente sua - con Ami.
Lei smise di stringersi nelle spalle. «Prestami una
tua felpa.»
Lui scosse piano la testa. «Perché
non vieni qui? Ti riscaldo io.»
Ami non arrossì. Il momento in cui
valutò la sua
proposta fu particolare: per una volta in lei non vi furono imbarazzi.
Lo fissò, poi con naturalezza coprì la
distanza tra loro. Salì sulle sue ginocchia.
Alexander le portò le braccia intorno
alla vita.
Col
respiro
di lei sulla fronte, sollevò gli occhi, per bearsi della sua
vicinanza.
Ami era calma, ma perplessa.
«Cosa c'è?»
«Non mi sto vergognando.»
Gli venne da ridere. Affondò il naso nel
collo di lei. Inspirando forte, si inebriò del suo odore.
«Sei così buona.»
«Anche tu. Te l'ho mai detto?»
Alexander si fermò a pensare.
«No.»
Ami si strinse più forte alle sue spalle.
«Sono... stordita.»
«Hm?»
«Dal vino.»
Ah.
Forse lo era anche lui.
Ami fece una pausa. «Non è
male.»
Già. Non lo era affatto.
Rimasero in silenzio.
Alexander non resistette. «In che senso sono
buono?»
Ami si divertì, un suono sottile che giunse al suo
orecchio con un soffio leggero. Provò un brivido.
«Hai un buon sapore. Mi fa venire voglia di...
baciarti.»
Fallo, allora.
Non glielo
disse. Sollevò la testa e incontrò la sua bocca.
Sciolse le labbra di Ami con un bacio languido, intenso. Lei e tutto
il suo
corpo persero forza tra le sue braccia.
Con una piccola spinta delle anche, Alexander la fece sdraiare
sulla
schiena. Ami continuò ad accettare il bacio, non
una sola
protesta a interromperli.
Wow.
Lei non si arrendeva mai tanto presto.
Si staccò dalla sua bocca. «Sei davvero
ubriaca?»
«Hm?»
A pochi centimetri dai suoi occhi, Alexander non
riuscì a trovare le parole. «Non fai
mai...» Così.
Ami non lo comprese. Rabbrividì di nuovo e lo
strinse più forte. «Ho freddo.»
Si persero di nuovo nel bacio. Era bello sentirla
rispondere senza alcuna inibizione. Lei si scioglieva sempre alla fine,
ma arrivarci era un lavoro, una conquista. Ora
invece...
Ami sorrise contro le sue labbra. Gli tirò su la
maglia. «Dammela.»
«Cosa?»
«La voglio, ho freddo.»
Divertito, lui si staccò.
«Così
tanto?» Iniziò a spogliarsi. Quando riemerse
dall'indumento,
Ami aveva un sorriso furbo in volto.
«Ho voglia di metterla. Mi piace il tuo
odore.»
Lui la trovò dolce e passionale.
Libera. «Prendilo dalla fonte.» Si
chinò in avanti, rubandole un altro contatto di labbra.
Ridacchiando, lei si ritrasse. Si era presa la sua maglia.
«Mi basta questa.»
Alexander finse dolore. «Veramente?»
Nascondendo la bocca dietro il tessuto, Ami scosse veloce la
testa.
Giocava. Era adorabile.
Lui fu audace. «Mettila. Con nient'altro
sotto.»
Le si mozzò il respiro. Ami rimase a guardarlo, per
un
momento. Poi, con gli occhi che puntavano la stanza per non
guardarlo direttamente, iniziò a togliersi
le
calze. Appena denudò un piede, lui glielo
afferrò,
premendo forte con un dito sulla pianta. Le uscì
un gemito.
«Ti bacerò su queste dita.»
Ad Ami scappò una risata.
«Non vuoi?»
«È assurdo.» Lei lo disse
mentre continuava a
spogliarsi. Aveva levato la maglietta, rimanendo in reggiseno. Era il
capo di biancheria che gli aveva fatto perdere la testa qualche
settimana prima.
«God,
ti sta così bene.»
«Cosa?»
«Quel pizzo.»
Sulle guance di lei comparve un po' di colore. Si era
ricordata
solo in quel momento di cosa indossava. «Ne ho comprati
altri.»
Davvero?
«Perché il primo ti è
piaciuto.»
Lui boccheggiò: era incredibile sentirla
tanto sincera.
«Perché non ti stai spogliando anche
tu?» gli domandò lei.
Dovette darle ragione. Le stava facendo fare tutto il lavoro
da
sola, ma aveva voglia di osservarla.
Sciolse la cintura dei pantaloni.
Sollevando il sedere dalla moquette, fu a gambe nude in un paio di
secondi.
«Troppo veloce» si lamentò Ami.
«Dovevo fare piano?»
«Era più romantico.»
Okay. Magari doveva ricordarlo in futuro.
Lei stava levando la gonna. Si vergognò solo in
quel momento,
ma non ebbe esitazioni nei movimenti: rimase in slip, il modello
ricamato semi-trasparente che non la copriva quasi per niente.
Con incredibile audacia si mise dritta, sulle ginocchia,
dandogli una splendida visione del proprio corpo.
Alexander memorizzò ogni centimetro quadrato di
pelle.
«Si vede tutto quello che pensi.»
Eh?
Non riuscì a guardarla negli occhi.
«Dal tuo pene.»
Lui scoppiò in una risata alta.
Ami si divertì. «È
vero!»
Ma lei non aveva mai usato quella parola in vita sua!
Alexander non riuscì a smettere di sussultare.
Lei deglutì il proprio divertimento. Gli si
avvicinò. «Sono un futuro medico. Penso a queste
cose.»
Buono a sapersi.
Sentì le mani di lei sulle spalle. Si
lasciò mettere a sedere.
Ami teneva gli occhi sul suo bacino. Lo studiava, spostando lo
sguardo su tutta la sua forma. «A
volte... mi
fai male quando entri.»
... ah.
«Devo essere molto umida prima.»
Sì, se n'era accorto. Perciò cercava
di farle avere un orgasmo prima. Era un po' laborioso, ma era una
fatica così piacevole... «Mi
dispiace.»
«Non è colpa tua.»
Ancora lei non lo guardava in faccia. Lo spinse più
forte
all'indietro, fino a farlo sdraiare. «Credo di doverci
pensare da sola di tanto in tanto. Con la testa.»
Lui non capì cosa voleva dire.
«Eccitarmi col pensiero» chiarì
Ami.
Sarebbero bastate quelle parole a farlo diventare duro, ma Ami
fece di
più, appoggiando il bacino sul suo, in un deliberato
strofinio.
Vederla tanto sicura, seminuda sopra di lui, lo
portò al massimo dell'eccitazione.
«Per esempio, questo...» Ami strinse le
labbra, ripetendo il
movimento circolare dei fianchi, aggiungendo la forza del proprio peso.
«È... wonderful.»
Lui le aveva stretto la vita, la bocca
aperta e
gli occhi socchiusi.
Senza chiedere, lei continuò a fare uso del suo
corpo,
muovendo il bacino controllatamente, per incrementare il piacere di
entrambi.
Lui avrebbe voluto essere torturato in quel modo per sempre,
ogni notte. Ogni mattina, tutti i giorni.
Allargò la presa alle natiche di lei,
prendendone una per palmo.
Ami sussultò, poi si spinse contro le sue mani,
senza inibizioni. «Vuoi... farlo?»
Lei era timida nella scelta dei termini, anche quando
non
era completamente lucida.
«Sì» rispose lui.
«Non senza preservativi.»
Il cervello non gli si era ancora spento a tal punto.
«Vado a
prenderli.»
Per alzarsi la sollevò, capovolgendola
di
lato. La seguì dapprima per impedirle un impatto troppo
rapido col pavimento,
poi solo per il piacere di stringerla. Si chinò a baciarle
il
collo, sovrastandola. «You
are delicious.»
Ami ansimò, affondando le unghie nelle sue spalle.
«Va' a prenderli.»
Per allontanarsi lui fece forza sulle braccia.
Una volta in piedi, lievemente più in
sé, cercò
di dare un senso ai propri dintorni. Dove aveva visto l'ultima volta i
preservativi?
Non erano più nel solito cassetto.
Aveva cambiato casa.
Si diresse verso la camera da letto, dove aveva lasciato il
borsone
con le ultime cose che aveva portato. Vi rovistò dentro,
trovando una striscia dei prodotti che cercava.
Stringendoli in mano, tornò indietro. Forse doveva
far venire Ami in camera?
Sul punto di chiamarla, le parole gli morirono in
gola.
Ami era rimasta sdraiata sul pavimento, esattamente come
l'aveva
lasciata. Stava guardando la finestra, le ginocchia lievemente piegate,
i pugni socchiusi vicino alla testa. Il suo ventre si sollevava piano,
come i suoi seni. Sotto il pizzo bianco lui intravedeva il rosa scuro
dei capezzoli turgidi, che tiravano il tessuto.
E il freddo? Non
sarà comodo.
Ma una parte di lui non
aveva nessuna di quelle preoccupazioni. Non era interessato alle
conseguenze.
Appena lo sentì vicino, Ami voltò la
testa. Sorrise, serena. «Questa casa già mi
piace.»
«Come mai?»
«Mi fa sentire come se non avessi regole.»
Quello era l'alcool. Ne era affetto anche lui,
perché aveva
appena avuto un'idea.
Era un proposito che poteva realizzare con Ami in
quello stato, mentre lui stesso si sentiva in quel modo. C'erano
meno domande nella sua testa, meno freni. Più desideri.
Tornando a sistemarsi accanto a lei, la guardò
negli occhi. Quelli di Ami rimasero fissi sui suoi, poi lei si sporse
in avanti. Reclamò un bacio profondo, avvolgendogli la vita
con le gambe.
Alexander non ebbe più alcun dubbio su cosa fare.
Ami si svegliò la mattina dopo, di colpo. Sentiva
la testa leggera, sanata. Cercò invano le coperte. Aveva
dormito senza un solo straccio addosso.
Sbatté le palpebre.
Ebbe un flash di quello che era accaduto la notte prima.
Incredula, si tirò a sedere sul letto.
Concentrandosi, focalizzò i ricordi.
Si riempì di mortificazione.
Cosa-? Come-?
Cercò invano i vestiti sul pavimento, per coprirsi
e ritrovare un po' di pudore. I suoi abiti erano rimasti in salotto.
Si strinse nelle braccia e si allontanò dal letto.
Era umida tra le gambe, per la prima volta per un'esperienza che la
faceva sentire strana, incerta.
Sgattaiolò in bagno.
Seduta sul bordo della vasca, ripercorse con la mente le sue
azioni della notte precedente. Si vide da fuori come se... come se non
fosse lei.
Non era lei che si era dimenata in quel modo. Non era lei che
si era lasciata... e poi aveva...
Invece sì.
Scattò in piedi, smettendo di ricordare per istinto
di conservazione. Si pulì velocemente e raggiunge il
salotto, ritrovando per terra tutti i suoi vestiti.
Sul tavolino al centro della stanza c'erano ancora la
scacchiera e due calici con residui di vino sul fondo.
È stato l'alcool.
Rendersene conto le diede solo un attimo di sollievo. Non
cancellava ciò che era avvenuto.
Vestita, con la giacca indosso, aveva già una mano
sulla porta quando decise di tornare indietro.
Non cercò Alexander, che ancora dormiva nella
stanza. Si diresse al borsone dove lui aveva sistemato tutti i
medicinali. Per pietà recuperò una pastiglia di
Bufferin e andò in cucina, a riempire un bicchiere d'acqua.
Era stato l'alcool, si ripeté. Lei non stava
subendo gli effetti della sbronza solo perché aveva un
fisico speciale, particolare.
Lasciò la medicina sul bancone, ricordandosi che
tutto il suo potere non le era servito a mantenere un minimo di ritegno
quella notte.
Con le guance in fiamme, a disagio, scappò dal
nuovo appartamento di Alexander come una ladra.
Quando Alexander si svegliò, il
suo cervello martellava contro le pareti della nuca.
Dolorante, si voltò su un fianco.
Ami?
Il letto accanto a lui era vuoto, freddo.
Si mise a sedere, un movimento rapido che gli fece
vorticare la testa. Impiegò un momento a riprendersi.
Dannazione, era una sbornia. Si era ubriacato.
Ami non c'era.
La chiamò. Nel non sentire risposta
iniziò ad allarmarsi.
Si alzò, vagando per le stanze.
Non c'era alcun segno di lei. I suoi vestiti erano andati, la
giacca non era più appesa all'ingresso del
corridoio. C'era
solo...
Si avvicinò al bancone della cucina. Sul ripiano
era appoggiato un bicchiere d'acqua e una pastiglia bianca - un
antidolorifico.
Ami se n'era andata.
Si concentrò, combattendo contro il
dolore alla testa. Perché lei non lo aveva svegliato? Per
caso la notte prima lui aveva fatto qualcosa che...?
Ricordò tutto. Sbiancò.
Cazzo.
Usagi era in luna di miele. Rei era andata in gita con
Yuichiro, Makoto era in viaggio con Gen e Minako era andata fuori
città per lavoro. Per Ami le vacanze non erano mai capitate
in un momento meno opportuno: aveva bisogno di parlare con
qualcuno. Luna era rimasta in città, ma lei sarebbe
rimasta scandalizzata già dalla sua prima frase.
Ieri notte ho
bevuto troppo. E con Alex... non sono stata io.
Non era abbastanza amica di Haruka e Michiru per parlare con
loro di questioni tanto personali. Inoltre, era certa che loro
avrebbero riso di lei,
dandole piccole pacche sulla testa per la sua
ingenuità. Solo le sue amiche avrebbero potuto
comprendere la sua confusione, anche se neppure a loro avrebbe potuto
dire tutto quello che era successo la notte prima.
Nei suoi ricordi era in ginocchio sopra Alexander, le dita di
lui rigide tra le sue gambe, ben insite il suo corpo.
«Qui ti piace?» lo aveva sentito
domandare. Senza alcuna vergogna si era spinta contro la sua mano,
roteando le ànche. Mentre lei continuava, lui le aveva
chiesto ancora cosa volesse, fino a premere forte coi polpastrelli su
un rilievo rotondo e gonfio, ipersensibile. Ami ricordava di
aver chiuso gli occhi per l'estasi mentre lui percorreva
quella protuberanza per intero, strofinandola. Poi Alexander aveva
deciso che
colpire veloce con le dita, a ripetizione, era la chiave giusta. Gli
spasmi le avevano fatto tremare le ginocchia.
Era ricaduta
su di lui, mentre il suo corpo ancora si stringeva sulla sua mano,
pulsando.
Fino a quel punto era stata semplicemente disinibita. Poi
aveva perso completamente la ragione.
Si erano spostati in camera da letto.
Il loro primo rapporto era iniziato in maniera naturale,
intensa - entrambi così attenti a stare stretti l'una
all'altro che a stento avevano respirato. Ricordava il peso di lui sul
corpo e come avesse cercato di tenerlo ancora più vicino,
perché la coprisse per intero. Aveva abbandonato la testa
all'indietro, per aprirsi più a fondo ai loro baci - per
assaggiarlo meglio, per percepirlo meglio.
Poi lui si era sollevato sulle braccia. «Devi dirmi
come.»
«Cosa?»
«Dimmi come devo muovermi.»
Si era agitata, cercando di farlo chinare, inutilmente. Lui
aveva anche smesso di muovere il bacino.
Lei lo aveva chiamato per nome, la supplica implicita.
Alexander le aveva liberato la fronte dai capelli, insistendo.
«Tell
me how.»
«Come prima» si era lasciata sfuggire lei.
Lui era tornato a muoversi, premiandola. Le aveva obbedito anche
quando lei gli aveva chiesto di tornare ad abbracciarla. Poi si era
comportato in modo deliberatamente insensato, smettendo di rispondere
agli aumenti di ritmo che lei gli chiedeva coi fianchi. Voleva sentirla
parlare. Aveva addirittura rallentato, evadendo il suo sguardo mentre
si chinava a strofinare la bocca contro il suo collo. Aveva
detto una cosa, l'unica che le faceva pensare che il vino avesse
avuto la meglio anche su di lui.
«Vorrei che fossi più alta.»
«Eh?»
«Mi devo piegare troppo per fare questo.»
Era scivolato all'indietro, quasi uscendo da lei, per tormentarle il
seno. Aveva usato i denti più del solito, causando un
minuscolo dolore. Lo aveva trasformato subito in piacere -
acuto, troppo acuto - succhiandola vorace. Forse era quello l'attimo in
cui
lei aveva smesso di pensare.
«Fallo forte!»
Senza aprire gli occhi aveva sentito la pausa di lui.
«Hard»
aveva ansimato e
al solo ricordo del proprio tono si vergognava, per la disperazione con
cui lo aveva
pregato.
Alexander l'aveva accontentata con foga, senza pause. Dopo tre
spinte lei aveva
cambiato idea. «Rallenta!» Aveva avuto un'idea
molto precisa di quello che voleva il suo corpo - pensieri racimolati
da tutte le loro esperienze insieme. Poiché lui si era
immediatamente fermato, una parte di lei aveva capito di poter chiedere
qualunque cosa. «Prendi un ritmo
costante. Rotea i fianchi mentre...» Alexander lo aveva
capito da
solo, muovendosi in maniera circolare nel terminare la spinta.
Il suo cervello si era annebbiato.
«Così!»
Quello che la faceva imbarazzare maggiormente era quanto
fosse stata lasciva. Aveva continuato a dare istruzioni,
perché lui non si era mai,
mai, mosso in precedenza esattamente come voleva lei. Anche se era
riuscita comunque a raggiungere picchi di sensazione straordinari,
quella
notte era andata oltre. Aveva emesso suoni a ogni spinta - gemiti,
sospiri, mugolii. Non era stata in silenzio neppure un
momento. A un certo punto gli avevo chiesto di smettere di
roteare il
bacino, di insistere con gli affondi. Sapendo cosa aspettarsi, il suo
corpo lo aveva stretto a ogni spinta, ricevendo stimolazione
nell'istante migliore, nella maniera più perfetta - in
continuazione, senza fine.
Non ricordava nulla di come si era mossa quando aveva
raggiunto il culmine. Aveva solo memoria di quanto fosse stato grande
il piacere - così giusto e totalizzante da farle credere di
averlo sempre cercato. Di Alexander non si era quasi curata,
ma lui aveva trovato soddisfazione ugualmente - con ansiti che
ricordava
più profondi del solito, e movimenti veloci, irregolari,
controllati a
stento nella loro forza.
Quando era finita, lui si era spostato e lei era
rimasta a guardare il
soffitto, sveglia - in pace col mondo e coi propri sensi.
Erano passati dieci minuti e avevano ricominciato.
Il rossore le fece male al viso.
Si era lasciata voltare, lo stomaco premuto sul letto. Non
aveva emesso protesta quando lo aveva sentito entrare da
dietro - anche se non
avevano mai usato quella posizione e un po' di pudore
avrebbe dovuto imporle di fermarlo. Invece non solo si era sistemata
meglio
con le gambe, per accoglierlo più a fondo, ma si era
ripetuta dalla sessione precedente - rilasciando suoni a
volontà, parlando. Come se quello fosse stato un frangente
fuori dal tempo, un momento staccato dalla realtà in cui il
pensiero non era concesso.
Rabbrividiva al ricordo di ogni istante, di ogni reazione.
Non sono quel tipo di
persona.
Non si sentiva a suo agio il giorno dopo. Non
poteva pensare di essersi lasciata vedere
e sentire mentre... mentre faceva... e gridava...
Con che faccia sarebbe tornata a guardare Alexander? Al
momento si vergognava così tanto che non era certa di
volerlo più incontrare.
Si alzò, vagando per la sua camera.
Stava reagendo in maniera ridicola.
Ma come avrebbe potuto fargli capire che quella non
era... lei? Che anche se lo era stata, questo non significava che
covasse il desiderio nascosto di fare l'amore in quel modo.
Non era vero! Lei desiderava stargli accanto come sempre, come
prima. Non voleva che lui avesse di lei un'idea
così... sbagliata? No, diversa.
Comunque, Alex aveva avuto più
testa di lei la notte prima. Si era atteggiato in quel modo
deliberatamente, per
portarla proprio in quella condizione di irrazionalità.
Avercela con qualcuno che non fosse se stessa la
liberò di un peso. Non era stata tutta colpa sua.
Anzi, se era stata colpa di lui...
Si permise di riflettere sull'implicazione.
Squillò il telefono. Mentre prendeva in mano la
cornetta, esitò per un
momento, poi rispose alla chiamata.
«... Ami?»
Combatté col risentimento. «...
ciao.»
All'altro capo del telefono Alexander stava cercando qualcosa
da dirle.
Lei la percepì come un'ammissione di colpa.
«Ti è passata la
sbornia?»
«Sì. Ami-»
«È passata anche a me. Credo che
starò a casa oggi.»
«... Ah.»
Se fosse stato così semplice - se fosse stata solo
colpa di lui...
«Allora ci vediamo.»
Riattaccò. Confusa e irritata,
tornò a riflettere.
I fucked it up.
Per strada Alexander si
maledì per l'ennesima volta.
C'era un pattern nel suo atteggiamento. Cercava di essere
attento,
rispettoso, procedeva sempre con estrema cautela... poi dal nulla il
suo
cervello entrava in cortocircuito. Diceva cose che Ami non era pronta
a sentire, o - peggio - faceva cose che lei non era in grado di
reggere.
Ami glielo faceva capire, in tutti i modi possibili, da
sempre. Quindi perché diavolo la notte prima si
era
spinto
tanto in là?
Per l'alcool. Non
berrò mai più assieme a lei, mai più
in assoluto.
Dannazione, le inibizioni esistevano per una ragione. Ami non
era il tipo di persona che era capace di dimenticarle dopo una sera.
Anzi, lei non si sentiva mai a suo agio se si lasciava andare
senza prima aver preso una decisione consapevole, ragionata. Altrimenti
poi si sentiva scoperta, infelice. Destabilizzata.
Posso rimediare, vero?
Aveva pronte delle spiegazioni. Aveva intenzione di dirle che
potevano dimenticare tutto. Cancellato, come se non fosse mai successo.
Probabilmente avrebbe funzionato solo se lui se ne fosse stato
tranquillo per un bel po', ma...
Brontolò.
Non gli importava del sesso. Voleva solo sapere di poterla
sfiorare senza sentirla sobbalzare. Ami si era sempre
avvicinata a lui con fiducia, certa di non avere nulla da temere. Ora
si sentiva smentita, no? Anche se lei
non aveva
fatto
nulla che non avesse desiderato realmente - nel profondo del suo
essere, in quella parte che non conosceva pause, imbarazzi, che era
solo totale e incondizionata resa...
Chiuse gli occhi.
Aveva il suo materiale da sogno. Poteva usarlo per frenarsi
per... per tutto il tempo che sarebbe servito. Era pronto a
mentire, a dire che era stato il vino a
guidarlo.
Non mi sarei mai comportato
così, love. Mi
vergogno, come te.
Poteva essere bugiardo a tal punto?
Sì, sospirò. Gli importava
più di un bacio, dato con calore, che di intimità
fisiche in cui lei non si sentisse coinvolta. Forse sarebbe stato un
percorso in salita, di nuovo. Forse sarebbe durato a lungo, ma... non importa.
Per favore,
perdonami.
Un'ora e mezza dopo la chiamata di Alexander, Ami
sentì suonare il campanello di casa.
Se lo era aspettata. Dopo lunghe riflessioni era giunta alla
conclusione che aveva più bisogno di un confronto che del
silenzio.
Comunque, non sarebbe stata lei ad andare da lui. Se
si vergognava, era anche colpa di Alexander. Non spettava a lei fare il
primo passo.
Scese per le scale.
In fondo, tu non ti sei
vergognato di sicuro. Scommetto che stamattina eri fiero di te.
Non sapeva ancora come sentirsi a pensarla in quel modo. Non
sapeva se doveva essere risentita, se poteva passarci sopra o...
Aprì la porta di casa.
Davanti a lei il suo ragazzo era costernato.
Ah.
Lui rimase fermo sulla soglia, in silenzio, meditando sulle
sue prime parole.
In lei la pietà sorse spontanea.
«Entra.» Gli fece spazio.
Coi piedi sull'ingresso, Alexander rilasciò un
sospiro. «Scusami.»
Ami non lo guardò in faccia.
«Se stanotte è accaduto qualcosa che non
ti è piaciuto... Non volevo che ti sentissi
così.»
In lei si sciolse un nodo di incertezza. La notte prima era
stata pienamente partecipe dell'esperienza che ora la turbava, ma per
tutto quel pomeriggio aveva pensato che forse aveva perso una parte di
loro due: quella che le permetteva di sentirsi compresa e consolata
quando provava ritrosie che per lei erano naturali. Si era convinta
che, pur conoscendola, Alexander avesse volutamente disdegnato quella
parte di lei. Ma se non era così... «Non
l'hai fatto apposta?»
Udì silenzio.
Alzò gli occhi e lo guardò in faccia.
Lui stava decidendo se dirle la verità.
Non fu una consapevolezza che le diede troppo fastidio.
«Preferisco che tu sia sincero.» Anche se la
risposta poteva non piacerle.
Alexander deglutì. «L'alcool toglie le
inibizioni.»
«Sì.»
«Quando le ho... non mi comporto così con
te. È una scelta, perché so come ti fa
sentire.»
Non era una cosa che lei, in fondo, non avesse sempre saputo.
I loro momenti di intimità potevano sempre essere stati
caratterizzati da dolcezza, comprensione, lentezza... ma che lui fosse
capace di andare oltre, e lo volesse... Lei lo sapeva già.
Arrossì e di nuovo con gli occhi sul pavimento
tenne a dire la sua. «Non posso essere ubriaca ogni volta che
lo facciamo.»
Gli uscì un suono costernato. «No! Non
voglio che-»
«Lasciami finire. Siccome non avrò sempre
la testa annebbiata, io sarò... come sono sempre stata, come
prima. E vorrei sapere...» Tremò, scoprendo questa
volta non il corpo, ma il proprio animo. «Vorrei sapere se
per te questo va bene.»
«Sì,
Ami.» Alexander si chinò e la strinse, forte.
«Certo. Mi dispiace di averti fatto pensare che... che
non...» Scosse la testa. «Io ti voglio come
sei.»
I love you like
this. Le tornò in mente una frase molto simile,
detta
tra gli ansiti la sera prima, quando lei si era comportata in maniera
completamente diversa.
Stranamente, non se la prese.
Ricambiò piano l'abbraccio, e mentre consolava
allargò la propria concezione di amore.
Significava amare tutto di una persona? Anche nello scoprire
lati nuovi di lei. Anche nella consapevolezza che quegli stessi lati
potevano non manifestarsi mai.
Alexander aveva aspettato un anno prima di manifestarle il suo
desiderio di fare l'amore. Nel mentre non si era mai lamentato, non
aveva mai preteso. Gli andava bene impostare la loro relazione
sui ritmi di lei, anche a costo di sacrificare i propri.
Ami iniziò a vergognarsi un po' meno di come si era
comportata quella notte. C'erano cose peggiori che perdere la testa con
qualcuno che l'amava a quel modo.
Lo baciò su una guancia, con affetto. Si
sentì leggera e seppe di poter sdrammatizzare.
«Hai detto che mi volevi più alta.»
Cercò di non arrossire nel ricordare le circostanze. Si
alzò in punta di piedi. «Cercherò di
mettere più spesso i tacchi, così non dovrai
piegarti troppo.»
Riuscì a strappargli un sorriso.
«Non prendere sul serio nulla di quello che ho detto
ieri.»
Eppure avrebbe tenuto a mente quella notte ugualmente, anche
se non era pronta a riviverla. «Fai lo stesso con me, per
favore.» Si concesse di sorridere con un poco di imbarazzo.
Alexander era immensamente sollevato. «Mi va di
ricordare qualcosa.»
«Hm?» Lei sperò che non fosse
nulla di troppo azzardato.
«Ti piace essere presa in braccio.»
Ami ricordò e sentì caldo alle guance.
«Quello...» Quando si erano spostati dal salotto in
camera, lei lo aveva fatto aggrappata a lui. Perché glielo
aveva chiesto. «Ecco...»
«E ho degli occhi bellissimi.»
«Come?»
«Hai detto anche questo ieri.»
Si era lasciata sfuggire più assurdità
di quelle che pensava.
Alexander si stava divertendo, sempre più.
Lei decise di rispondere. «Anche tu avrai detto
altre cose sciocche.» Lei doveva solo rinfrescarsi la memoria.
Lui si sedette sul bracciolo del divano vicino, prendendole la
mano. «Se vuoi sentirmele dire, chiedi. Ti dirò
tutto quello che vuoi, Ami love.»
Per Ami ogni cosa tornò straordinariamente al suo
posto. Si sentì riempire di tenerezza. «Prova con
la prima che ti viene in mente.»
«Ieri notte, quando dormivi già da tanto,
mi sono girato verso di te e ti ho abbracciato. Avevo una mezza idea di
svegliarti per ricominciare, perciò ero ancora ubriaco, ma
ho messo il naso nei tuoi capelli e mi sono calmato. Ho pensato...
'Voglio morire qui. Voglio vivere qui. Così.'»
Lei sentì un groppo alla gola. «Questa
non è una sciocchezza.»
«No. Ora non commuoverti.»
Ami non lo fece, lo abbracciò.
Voglio morire
qui,
pensò a sua volta. Oh,
no, io voglio vivere qui.
Così.
Fine marzo 1997
- Troppo vino - FINE
NdA: Questa storia... è questa storia. Alla fine mi
ha generato un sacco di pensieri ed emozioni diverse nello scriverla.
Mi piace.
Spero di aver suscitato qualcosa anche a voi.
Elle
P.S. La traduzione di alcune parole ed espressioni.
Hard = forte
Tell me how = Dimmi come
I fucked it up = Ho fatto una caz***a.
I love you like this = 'Ti amo così', ma
è più un 'Ti amo quando sei
così'
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Facebook dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre...
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Capitolo 9 *** Inizio maggio 1997 - Mercurio ***
per istinto e pensiero 10
Note: attenzione, non ho completato il pezzo del viaggio in
Italia, saltando avanti di qualche mese.
Comunque non era indispensabile finire quella parte per scrivere
questa, altrimenti non sarei riuscita a scriverne. Potete leggerla
tranquillamente senza temere spoiler strani.
Per
istinto e pensiero
di ellephedre
Inizio maggio 1997 -Mercurio
Ami rimirò il cielo.
Le stelle erano meno nitide sopra
Tokyo,
offuscate dalle luci della città. A lei non
importava: nei suoi ricordi
erano moltiplicate per cento, come nell'immensa volta celeste che aveva
ammirato a Capo Nord. Era stato un viaggio breve ma intenso. Lei e
Alexander avevano
resistito per un'ora nel freddo norvegese di aprile, coperti da capo a
piedi con due strati di calze, cappotti, maglioni, guanti. Ne era valsa
la pena. Si era sentita a un passo dal cielo, capace di toccarlo con un
dito se solo si fosse sporta in avanti.
Il vento polare le aveva
fatto colare liquido dal naso. Se n'era accorta solo quando Alexander
glielo aveva asciugato con un fazzoletto, battendo i denti per il
freddo. Avevano riso e si erano stretti più
forte. Andandosene, si
erano messi d'accordo per ripetere quel viaggio, magari in agosto,
quando le temperature fossero diventate più accessibili.
«Che cosa stai sognando?»
Quasi cascò giù dal ramo su cui si era salita. Si
aggrappò al tronco dell'albero.
«Niente.»
Usagi incombeva sopra la sua testa. «Andiamo,
confidati!»
L'equilibrio
di Usagi era perfetto. Nemmeno lei si accorgeva che non stava
sostenendo per intero il peso sulle gambe. Ami non
riuscì a farglielo
notare.
«Suu, Ami-chan! Voglio sapere cosa ti fa brillare gli occhi!
Sono curiosa!»
Makoto balzò sul ramo opposto al loro, i nastri del costume
Sailor che le sfioravano le gambe. «Di cosa
chiacchierate?»
«Di amore!»
«Ma
no!» chiarì Ami. Usagi aveva un unico pensiero in
testa. «Stavo
ricordando il
viaggio che ho fatto con Alexander questo weekend. Voglio tornarci. Il
cielo
in quel punto della Terra offre una vista unica!»
«Sei così fortunata!» esclamò
Makoto. «Nell'ultimo mese tu e Alex avete fatto il giro del
mondo.»
Sì,
nei ritagli di tempo, soprattutto nei fine settimana.
«Abbiamo deciso
di focalizzarci su posti che difficilmente raggiungeremmo
con aerei o macchine. Capo Nord presentava ancora un insediamento
umano, ma dalla prossima volta saremo più
coraggiosi.»
Makoto si
preoccupò. «Se andate in luoghi troppo isolati,
rimani
trasformata. Potrebbero esserci animali selvaggi nei paraggi.»
Lei ne aveva tenuto conto. «Terrò in
piedi la mia
barriera, così saremo al sicuro.»
«Che
invidia!» Usagi aveva incrociato le braccia, emettendo un
sospiro. «Ma
perché fate questi viaggi soli soletti? Per una volta non
potremmo fare
una mega-gita di gruppo?»
«Ah... certo.» Sarebbe stato complicato far
coincidere gli orari di tutti, ma...
Makoto era dubbiosa. «Riusciresti a teletrasportarci tutti
insieme, Ami?»
Bisognava pure che si allenasse a farlo, no? In battaglia sarebbe
risultato utile un giorno. «Ci proverò.»
«EHI!»
Chinarono tutte la testa. Rei le chiamava dal suolo, le mani sui
fianchi. «Sono rimasta sola ad allenarmi!»
«Scusa.»
Ami si strinse nelle spalle e scese a terra. «Ti ho vista
molto
concentrata.» L'aveva lasciata mentre produceva una
piccola
luce rossa tra le mani. In quel lume di fuoco Ami aveva percepito
un'immensità di potere.
«Sì, sì» le fece eco Usagi,
atterrando vicino. «Se avessimo fatto volare una mosca ci
avresti incenerito!»
Rei non la prese bene. «Tutte scuse! La verità
è che dopo un po' allenarti ti annoia!»
Usagi fece spallucce, beffarda. «Che ci posso fare se non
siete più alla mia altezza?»
Rei ringhiò. «Makoto. Falla fuori.»
Makoto soffocò una risatina. «Non sono un
cane.»
«Sei l'unico pianeta tra noi oltre a Minako. Qualcuno deve
pur darle una lezione!»
Makoto si massaggiò il mento. «Da sola
è ancora difficile, ma se io e Minako ci
unissimo...»
«Non servirebbe a niente» dichiarò
sicura Usagi.
Rei sfoderò il comunicatore. «Adesso chiamo Haruka
e Michiru. E Hotaru.»
Usagi fece una smorfia. «Perché mi volete
male?!»
«Perché sei arrogante!» Rei la
picchiettò sulla testa, poi la risata di entrambe si sciolse
in un abbraccio comune.
Ami le osservò, serena. «Si sta facendo tardi.
Vorrei fare un ultimo combattimento prima di andare a casa.»
«Contro
di me!» Rei si indicò con la mano. «Ho
deciso di diventare così forte
da impedire alla tua acqua di spegnere il mio fuoco!»
Era un ottimo proposito. «Superare la natura elementale dei
nostri poteri ci porterà su un piano di forza
superiore.»
Rei sbatté una mano in aria. «Lo preferisco come
l'ho detto io.»
Usagi
e Makoto fecero loro spazio nella radura che avevano scelto come luogo
di allenamento. Unendo le mani all'altezza dello stomaco, Ami si
caricò
di energia, estraneandosi. Di fronte a lei Rei venne avvolta dalla
fiamme.
Ami sobbalzò.
«Sto bene, non preoccuparti! Prova ad
attaccarmi!»
Incredula Ami si scambiò un'occhiata estasiata con Usagi e
Makoto.
«Cos'è
questa condiscendenza, ragazze? Ho fatto esplodere un vulcano in mezzo
alla città, era normale che prima o poi mi
ripetessi!»
Ami cercò di distinguere il volto di Rei oltre le lingue di
fuoco. Sapeva cosa voleva lei.
Invece di pensare ancora, le offrì la sfida che bramava.
«Mercury Aqua Mirage!»
Le
sue sfere d'acqua attaccarono Rei da diversi punti, cercando di trovare
un varco tra le fiamme. Il fuoco continuò ad ardere
imperterrito,
proteggendola.
Rei si gettò in avanti.
«Ora tocca a me!»
Ami erse la
propria barriera trasparente, impedendo a Rei di vederla
finché non vi
si scontrò con la faccia. Il fuoco attorno al suo corpo
svanì di colpo
ma Ami non ebbe pietà. «Mercury!»
Aprì la mano in aria, dando vita al
simbolo del suo pianeta. Intorno alla sua mano si creò
un vortice
d'acqua.
Rei era stata altrettanto veloce. «Flame Sniper!»
Scoccò
una freccia di fuoco contro la mano di lei, disintegrando il suo
simbolo.
Ami balzò all'indietro, optando per una strategia difensiva.
«Shabon Spray!»
La nebbia riempì la radura.
In mezzo alla coltre umida Ami vide una fiammata improvvisa. Venne
investita da una vampata di calore.
«Te l'ho detto!» Rei era trionfante.
«Fuoco batte acqua!»
La sua nebbia si era diradata!
Le restava un'unica possibilità. Mercury Aqua Rhapsody!
Non dichiarò più ad alta voce il nome
dell'attacco, lo fece apparire
nella mano, iniziando a suonare l'arpa di energia. Usò i
nastri d'acqua
come barriera mentre Rei la attaccava.
«Dannazione!»
Aveva respinto la forza di Marte, ma per sopraffarla Rei si accese di
nuovo, una torcia umana che le fu addosso.
Ami
provò dentro di sé una paura atavica, inattesa.
Cadde dal sedile
immaginario su cui si era posata, il suo attacco che svaniva nel nulla.
Vide la mano accesa di Rei che si avvicinava a lei, il calore pronto a
bruciarla.
«No!» Mosse un braccio per scacciarla e si
sentì...
svanire. Osservò la propria mano in movimento che si
scioglieva,
diventando pura acqua nel colpire le dita di Rei. A contatto terminato
la sua mano si ricompose, le dita di Rei spente - per la sorpresa, o
forse perché avevano incontrato la sua energia.
«Che cosa-?»
Rei tornò normale. Si inginocchiò
accantò a lei. «Come ci sei riuscita?»
«Non lo so.» Col petto in affanno, Ami
studiò la sensazione che si irrorava dal centro del suo
essere. Potere.
Mercurio era uscito ad aiutarla.
Rei era preoccupata. «Ti avrei solo sfiorato, Ami. Ma... sei
stata grandiosa. Io mi sono ricoperta di fuoco, tu sei diventata
acqua.»
Non era stato il suo scopo. Era una capacità che la
spaventava.
Usagi e Makoto le avevano raggiunte. «Tutto bene?»
Ami annuì per riflesso.
Usagi
stavano sgranando gli occhi. «Ami! Hai raggiunto un picco di
potere
altissimo! Lo sento anche ora, mentre si dirada.»
Eh?
«Ti sei allenata in gran segreto?»
Usagi sorrideva e non capiva che non era divertente. Se
persino lei riusciva a percepire
Mercurio...
Ami tornò in piedi.
Makoto aveva chinato la testa, per scrutarla meglio. «Non
l'hai fatto apposta, vero?»
«No.»
Usagi
posò una mano sulla sua spalla. «Dài,
non ti scioglierai in una
pozzanghera!» Ridacchiò. «È
solo una nuova capacità. È una cosa
positiva.»
Non se lei non la controllava.
Rei la guardava seria, come se avesse compreso la ragione del suo
disagio. «Mercurio è uscito fuori senza il tuo
consenso.»
«È
successo anche a me.» Usagi cercava di tranquillizzarla.
«Può essere
una cosa spaventosa, ma quando la temi fai vincere l'inquietudine.
Invece i nostri poteri fanno parte di noi, anche quando si manifestano
in questi modi assurdi.»
Ami era talmente occupata a pensare da non riuscire a risponderle.
Makoto aveva capito. Scuoteva la testa. «Usagi, non ricordi?
Ami ci tiene a non diventare Mercurio troppo presto.»
«Ma perché...? Ah. Oh.»
Rimasero in silenzio nella radura, le sue amiche a chiuderla in un
piccolo cerchio.
«Ti ho fatto così paura?»
domandò Rei.
Era
difficile spiegarlo. «Non ho provato paura come Ami, ma
come... Sailor
Mercury.» Come se il suo potere volesse provare timore,
trovandosi in
una situazione di battaglia, per scatenarsi. Il terrore si era
mischiato a una goccia di eccitazione.
«Allora Mercurio ha solo colto il momento giusto?»
Ami
annuì. «Non lo sentivo forte come oggi
da...»
Dalla battaglia contro Nemesis.
«È strano. Non ho fatto allenamenti speciali in
questo periodo.»
Come mai il suo pianeta si era manifestato con tanta forza,
all'improvviso? Lei
non aveva fatto nulla di diverso da... «Il
teletrasporto» comprese.
Le sue amiche la ascoltavano, attente.
«In
queste settimane mi sono teletrasportata tante volte.» Non
solo per
lunghi viaggi, ma anche per andare da Alexander, persino per
tornare a casa dall'università una volta, per non perdere
tempo. Aveva
sostituito gli spostamenti normali col teletrasporto. «Quando
mi sposto mi
devo
concentrare per tenere insieme la mia essenza e quella di chi mi
accompagna.» Ormai era diventato quasi
naturale per
lei. Tuttavia ogni volta cercava di migliorare il processo,
snellendolo, tenendone a mente le fasi per ripeterlo più
velocemente.
Comprese il suo più grande errore. «Ieri
ho provato a
teletrasportarmi senza trasformazione.»
Usagi sgranò gli occhi. «Ci sei
riuscita?»
Ami
scosse la testa. Il teletrasporto non era neppure iniziato
senza il
potere di Mercurio a supportarla, ma nella sua mente si era aperta la
tasca dimensionale necessaria allo spostamento. Lo aveva percepito, si
era lievemente inquietata, ma alla fine ne aveva sorriso, ignara. Per
lei teletrasportarsi stava diventando normale come correre.
Si strinse nelle braccia.
Makoto
le accarezzò un gomito. «Torna a casa, Ami. Chiama
Alex e usate insieme
il computer per studiare la situazione. È l'unica cosa che
ti farà
stare tranquilla.»
Ami annuì e indietreggiò di un passo.
«Hai
ragione. Allora per stasera vi saluto. Adesso vado a-...» Si
interruppe, chiudendo di botto la dimensione spaziale che aveva aperto
nella sua testa, per istinto.
Rei la guardava, comprensiva. «È meglio se per
oggi ti sposti come i comuni mortali.»
Makoto e Usagi sciolsero insieme la trasformazione. «Ti
accompagniamo noi!»
Usagi la prese a braccetto mentre il costume di Sailor Mercury spariva
dal suo corpo.
«Torni a passeggiare come tutti, Ami-chan. Non
è così male, ricordi?»
Forzando
un sorriso, Ami salutò Rei. Uscì dal tempio con
Usagi e Makoto,
ascoltando i loro discorsi incoraggianti, pensati per rasserenarla.
Per
tutto il tragitto fino a casa non smise per un momento di pensare.
Andò
da Alexander solo il giorno successivo. Lo incontrò ad un
tavolo del
ristorante universitario, in un angolino nascosto che lui aveva
scoperto da tempo e che finalmente anche lei poteva frequentare a pieno
titolo, come studentessa della Todai.
Lui era impegnato nella lettura di un fascicolo.
Per
necessità lei aveva riflettuto da sola quella notte. Appena
si era resa
conto delle conseguenze che si poteva portare dietro il suo problema,
aveva
preferito non coinvolgere Alexander. Averlo accanto l'avrebbe
distratta. Presto avrebbe potuto stargli
lontana molto a lungo.
«Ciao» disse piano.
Lui alzò gli occhi, illuminandosi nel vederla.
Ami cedette, smettendo di controllarsi. Gli andò incontro,
circondandogli la testa con le braccia.
«Ehi.» Lui fece scivolare una mano sulla sua
schiena. «Tutto a posto?»
Ami chinò il viso. Lo baciò su una guancia.
«Mi sei mancato.» Mi mancherai.
Per la sorpresa a
lui sfuggì un minuscolo ansito. Cercò le sue
labbra con la bocca, la
baciò.
Ad Ami non importò che fossero fuori, che
qualcuno potesse
vederli. Si tenne stretta a lui, assaporando il contatto.
Sedato,
felice, Alexander si staccò e le indicò i fogli
che aveva lasciato sul
tavolo. «Guarda cosa mi hanno dato oggi.» Le fece
vedere il fascicolo.
Ami scorse rapidamente il titolo.
MIT - scelta
dei corsi
universitari per studenti in scambio.
Si sedette al tavolo.
«Me n'ero quasi dimenticato. Entro due settimane devo
scegliere quali corsi frequentare negli States a settembre. Leggi
qui.»
Ami lo fece. Fisica
Sperimentale II, Fisica Quantistica II, Variabili complesse con
Applicazioni, Fisica Nucleare, Fisica Quantistica II e III.
La lista andava avanti per metà foglio.
«Hanno
messo i nomi dei titolari delle cattedre. Conosco questi professori di
fama.» Alexander riprese in mano il foglio, estasiato.
«È il paese
delle meraviglie, Ami. Potrò studiare davvero con questa
gente.»
Da quanto lei non lo sentiva tanto entusiasta? Dai tempi in
cui lui voleva specializzarsi in astrofisica negli
Stati Uniti, ricordò. Allora Alexander aveva desiderato
stare via per tre anni, non solo per tre mesi.
Mi mancherai, pensò di nuovo.
Per
un momento provò a non essere tanto certa che le sue
conclusioni
fossero giuste. Aveva bisogno di confrontarsi con lui, oltre che
fare altre analisi.
Alexander si era accorto del suo silenzio. «Che
cos'hai?»
C'era
un modo per comunicare la notizia senza rovinare l'entusiasmo di lui
per la futura partenza: doveva semplicemente spiegare le circostanze,
essere analitica e esporre la probabilità delle sue
conclusioni. «Ieri, mentre mi allenavo con le
ragazze, è
successa una cosa.»
Fu così che gli disse che, forse, non avrebbe più
potuto teletrasportarsi.
Inizio maggio
1997 - Mercurio - FINE
NdA: Yeah! Finalmente ho scritto questo capitolo di raccordo
che
avevo necessità di buttare giù per mandare avanti
questa
storia! Ora inizia la parte centrale di questa raccolta, in
cui
Alexander ed Ami districheranno il nodo centrale della loro relazione
per come è adesso, un problema che ho fatto intuire in molti
dei
capitoli precedenti.
Ripeto: finalmente. Non vedevo l'ora ;)
P.S. Non escludo di tornare a raccontare di quanto è
successo
nei mesi di fine marzo e aprile - anzi, lo prevedo, in particolare con
riguardo al trasferimento di Alexander nella sua nuova casa, ma era
importante proseguire la linea principale della storia.
Grazie di aver letto!
ellephedre
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Capitolo 10 *** Giugno 1997 - Nuove idee a Izu ***
per istinto e pensiero 10
Note: non è un vero nuovo capitolo, lo
avevo già pubblicato nella raccolta
Red Lemon 2. Finalmente sono arrivata a coprire temporalmente il
periodo tra la fine di Verso l'alba e questo episodio, quindi ora ho
potuto pubblicarlo nel punto giusto :) Presto lo eliminerò
dall'altra
storia, appena avrò capito come fare a non perdere tutta la
fanfic -
dato che quello è il primo capitolo pubblicato ;P
Per
istinto e pensiero
di ellephedre
Giugno 1997 - Weekend al mare
«Ami... questo fine settimana ti va di andare ad
Izu?»
Sotto la luce delle plafoniere della biblioteca Ami
sollevò
gli
occhi sgranati da libro, unendo a cuore le labbra.
God,
cosa
non
avrebbe fatto lui a quella bocca. Ma alle undici di
sera stava morendo di sonno, aveva bisogno di farsi una
doccia e... Be', si trovavano in un luogo
pubblico: non aveva senso alimentare una fiammella
se poi non poteva spegnere il fuoco.
Neppure in un angolino
nascosto?
«Ma i tuoi non hanno
venduto la casa?»
«Hanno cambiato idea. La tengono per
l'estate.»
«Oh.»
Ami rivolse uno sguardo pensieroso al libro che teneva tra le
mani. Le
stavano venendo in mente le sue tabelle di marcia, poco ma sicuro.
Aveva centinaia di obiettivi coscienziosi - ammirevoli - che si era
prefissata da sola.
«Abbiamo...» Alexander si ricredette sulla
strategia da usare: se la
poneva come un'esigenza di lei, Ami avrebbe insistito per sacrificarsi
e scegliere la strada della sofferenza. «Ho bisogno di un
po'
di
svago. Restando qui in città mi sembra di
rimanere intrappolato.»
Lei, anima candida e buona che non era altro, si arrese
subito.
«Va
bene, andiamo via nel weekend.» Allungò una mano e
gli
accarezzò la testa. Un dito premette magnificamente contro
la sua tempia. «Mi dispiace vederti così
stanco.»
Be', lui lavorava, ma lei si uccideva di studio. Durante la
settimana
tutti e due si liberavano solo dopo le dieci di sera, ma almeno a
lui davano già dei soldi per quella prigionia.
Damn,
si sarebbe
preso quel dannato bonus che avevano promesso a uno solo di loro e
sì, prima di partire per gli Stati Uniti. Con ogni giorno
che passava metteva mentalmente in conto al lavoro il costo fisico ed
emotivo delle nottate passate in solitaria: cadeva stremato
sul letto non appena rientrava a casa e a volte non aveva nemmeno la
forza per fare una telefonata ad Ami. Gli dovevano milioni e milioni di
yen.
«Neanche a me piacciono queste occhiaie meravigliose
che hai
qui.» La
sfiorò con le dita. «Abbiamo bisogno di rilassarci
entrambi.»
Avevano bisogno di passare più tempo
insieme,
ecco cosa: lui già soffriva al pensiero dei mesi di
lontananza che sarebbero venuti dopo la sua partenza per gli Stati
Uniti. Storia del relax a parte, aveva in
mente un piano molto più interessante per il weekend:
sarebbe stata la fiera dell'amorevole perversione.
Ami si stava perdendo in un'idea. «Magari vogliono
venire
anche le
ragazze?»
No, questa volta non ci sarebbe cascato. Era finito il
tempo dei sì
a tutto, love,
anche quando aveva in mente piani che avrebbero fatto faville per
lei. «Stiamo da soli io e te.»
La delusione di Ami si trasformò in una punta di
dolcezza,
rosata sulle guance, che solo lei riusciva a tirare fuori con
tanta sincerità.
«Hm... sì. Sarà
bello.»
Bello era
il limite tendente a zero di ciò che lui aveva in mente.
«Porta quel tuo costume.»
«Cosa?»
«Il costume dell'anno scorso. Quello nero in due
pezzi.»
La bocca aperta in una deliziosa O sparì
nella
furia dell'imbarazzo. «Non...» Lei si
guardò rapidamente
attorno,
scrutando le sedie vuote della biblioteca.
«Non parlare di queste cose
in pubblico!»
Lui si sporse in avanti e nascose le labbra tra i suoi
capelli,
a un soffio dal suo orecchio. «A cosa stavi
pensando?» Rise piano ed
Ami lo seguì. «Non ci sente nessuno, guarda. Ora
prometti di
portare quel costume.»
Alla fine il suono di assenso di lei fu giocoso, divertito.
Alexander ne fu certo: a differenza dell'estate scorsa, il
fine
settimana alle porte sarebbe stato epico.
Agosto 1996
Ami stava deglutendo. Il nodo alla gola scese giù tra
le sue scapole, sparendo in mezzo alla scollatura più
provocante
che Alexander avesse mai visto in tutta la sua misera e patetica
esistenza.
«Questo costume... l'ho comprato ieri in quel
negozietto.
È
stata un'idea di Minako.»
Avrebbe ucciso Minako Aino, o forse l'avrebbe riempita
di baci. Se Ami si fosse ingelosita, per scusarsi
l'avrebbe portata in camera. A quel punto avrebbe sigillato la porta
agli scocciatori e avrebbe commesso su di lei atti inimmaginabili che
avrebbero fatto morire di piacere entrambi.
Nei miei sogni.
Schioccò la lingua, svegliandosi.
Mentre camminavano, Ami stava guardando la sabbia.
«Non
mi sento
molto a mio agio così.»
Lui sospirò mentalmente, gli occhi fissi
sull'azzurro
immenso del cielo. Concentrarsi sulla poesia della natura lo avrebbe
aiutato a calmarsi. «Stai bene.»
Lei provò a stare meno curva. Lasciò
cadere le
braccia lungo i fianchi. «Hm. Tanto non c'è
nessuno qui.»
Perché lo sottolineava? Sì, non c'era
nessuno in
giro in quel pezzo di spiaggia. Ed era una meravigliosa giornata di
sole, fatta per l'acqua e per le risate.
Alle undici del mattino non
era piacevole disperarsi per tentare di mandar giù
un'erezione nascosta dietro una tavola di plastica stretta allo
stomaco.
Camminava come un idiota da dieci minuti.
«Andiamo di là?» Ami stava
indicando il
piccolo molo
deserto. Lui si limitò ad annuire e ad andarle dietro.
Il
riflesso del sole sulla schiena arrossata di lei produsse un brillio
perlaceo sugli strati di crema solare non ancora assorbiti dalla pelle.
«Magari
puoi
spalmarla
meglio tu?»
Il consiglio di
Aino lo aveva portato vicino
all'omicidio-suicidio. Kumada era intervenuto in tempo.
«Tieni
questa.»
Gli aveva dato la tavola da surf che aveva trovato in un ripostiglio.
Sotto il braccio aveva preso una palla. «Oggi è
l'ultimo
giorno, dividiamoci per la mattina. Io vado a giocare con Rei e
le ragazze nell'altra spiaggia. Non siamo ancora andati là.»
Aino aveva sfoggiato un sorriso crudele. «Chi dice che anche io
non
abbia
voglia di imparare a fare surf?»
Alexander era ancora dell'idea di imbracciare un fucile a
canne mozze,
per
mettere fine alle proprie sofferenze e a quelle che Aino infliggeva al
resto dell'umanità. Ma poi come avrebbe potuto ringraziarla?
Passato il giorno di atavica agonia - quello - lui avrebbe avuto
talmente
tante nuove immagini a cui appellarsi quando... be', nei momenti in cui
faceva di necessità una perversa virtù.
Aino era crudele, ma necessaria. Chi altro avrebbe potuto
convincere
Ami a mettere un bikini nero tranquillo, carino, che in una spiaggia
deserta avrebbe fatto venire in mente perversioni del peggior genere
solo a lui e a nessun altro?
Era combattuto.
Mentre pensava, avevano cominciato a percorrere il
molo.
Ami si era riparata gli occhi con una mano. «Hai mai
visto
barche che attraccavano qui?»
«No. La casa prima apparteneva a un tizio che aveva
uno
yacht. Quando
c'era gente lui ci saliva da questo punto con una barca a remi,
credo.» Le indicò una casupola in legno,
diroccata.
«Durante l'inverno
lasciava lì la barca.»
Ma Ami era rimasta sorpresa da un particolare. «Uno yacht?»
«Era un tizio strambo tutto
abbronzato, pieno di soldi. Non so
che lavoro facesse.» Alexander ricordava di averlo
incontrato da
bambino,
quando avevano comprato quella villa. «In relazione a quanto
valeva, ci
ha venduto la casa quasi per niente. C'era una brutta storia dietro:
uno dei suoi amici era morto affogato poco lontano da qui, vicino a
quegli scogli.»
Ami sussultò e lui scosse la testa.
«Queste acque
non sono
più pericolose di altre. Quell'uomo aveva avuto un malore
perché era entrato in mare ubriaco.»
«Oh.»
Alexander le accarezzò una spalla: parlare della
dipartita
di un tipo sconosciuto lo aveva riportato alla propria
sanità
mentale. Riuscì a spostare la tavola da surf di lato.
«Non
pensarci. Vuoi provare a entrare in acqua e a stare in piedi su questa
tavola?»
In fondo lui era abbastanza adulto
- e
allenato - da riuscire a comportarsi normalmente da quel momento in
poi. Bastava solo pensare ai cadaveri.
Ami era pensierosa. «Tu sai andarci?»
«No» sorrise lui. Sapeva starci in piedi,
ma non
era in grado di
affrontare onde più alte di trenta centimetri. A
dieci
anni suo padre aveva pagato una persona perché gli
insegnasse, ma il sale che si attaccava alla gola, l'acqua che gli
scendeva nei polmoni e la corrente che lo sballottolava come una
trottola sotto le onde, erano state troppo per lui.
Posò la tavola a terra e con un passo in avanti si
lasciò cadere in mare.
God,
sarebbe dovuto entrare in acqua prima. Era fresca, magnifica.
Ne
uscì con nuova fiducia nel mondo.
«Vieni!»
Sopra il molo Ami annuì, felice col suo costume
nero
che
formava tre triangoli, tutti troppo invitanti per non essere ammirati.
C'era quello tra le gambe - e Alexander lo saltò per non
schizzare di sangue dal naso tutto il mare - e c'erano quelli sopra i
seni, rotondità che lui aveva già visto sotto
ogni costume possibile, o così aveva pensato fino a quel
giorno.
I costumi interi della piscina si bagnavano e aderivano, dando
idee fantasticamente lascive, ma non... Non impreziosivano?
Quel
bikini creava curve rotonde, lasciava vedere quelle che c'erano sempre
state e accarezzavano - dannazione - quello che lui avrebbe dovuto
poter toccare con le mani. O con le dita, con la bocca. Con la lingua...
Splash!
Ami entrò in mare con un tuffo a braccia
unite che
lasciò dietro di sé solo due schizzi. Alexander
aspettò che riemergesse. Fu accolto da un sorriso gigante.
«Wow!»
Be', per questo lui riusciva a dirsi sempre 'sono contento
anche
così'. Esplodeva di felicità quando Ami era
contenta.
Lei tornò vicino al molo. «Okay, provo a
stare
sopra la
tavola.»
«Va bene, ma stai attenta a...»
Alexander ricordava ancora quella mattina. Si era divertito
come un
bambino con Ami al mare, loro due soli.
Aveva pensato di
essere stato uno stupido a focalizzarsi sulle medesime
ossessioni di sempre; stando in coppia con Ami lui era felice in
tanti altri modi.
Poi lei era uscita dall'acqua, e precedendolo si era
tirata
su sul molo, mettendogli involontariamente davanti le natiche. E il
costume, e il modo in cui era incredibilmente morbida e bagnata per
l'acqua proprio tra le cosce...
Quella notte avrebbero dovuto sedarlo con un calmante.
Svegliandosi nel presente - tempi in cui fare l'amore con Ami
era
diventata una assodata realtà - sorrise.
Sì. Fine settimana leggendario in arrivo.
«E così preferisci il fresco mare di Izu
alle
acque della
piscina comunale?» Rei guardò sognante il cielo.
«Come ti
capisco.»
«Sono io che non capisco voi.» Usagi
sospirò sconsolata. «State
qui a lamentarvi di non poter andare al mare quando, volendo,
potreste andarci
tutte. Sono solo io quella bloccata in città! Ami! Io e
Mamo-chan non potremmo unirci a voi? Izu è vicino vicino,
magari
Mamoru riesce ad ottenere un pomeriggio libero per-»
Makoto scosse la testa. «Non disturbarli,
Usagi.»
Sconsolata, Usagi desistette senza nemmeno protestare.
«Hai
ragione.»
Ami si sentì in colpa. «Scusate se
non vi
sto
invitando. L'estate è lunga. Forse la settimana
prossima...»
Rei evitò a stento una risatina. «Di cosa
ti stai
scusando?
L'anno scorso ci hai fatto ottenere una vacanza favolosa, io ancora ti
ringrazio. Se quest'anno si
potrà ripetere, bene, ma non forzare Alexander.»
Makoto concordò. «Poveraccio. La scorsa
estate ha
sofferto
come un cane.»
«Eh?»
Usagi guardò di traverso Rei. «Scusa,
spiega di
nuovo
perché tu non puoi muoverti da Tokyo? Chi glielo fa fare a
Yuichiro di lavorare?»
«Lo chiedi a me? Nessuno, si costringe da
solo. Ma
non
è solo un problema di tempo, il fatto è
che...»
Rei aggrottò la fronte, frustrata.
«Si rifiuta di spendere
qualcosa di quello che guadagna.
Dice che non gli spetta. Ho deciso di trovarmi un lavoro io:
pagherò una vacanza per entrambi a fine agosto. Mi sono
stancata di litigare con lui per soldi, è assurdo. Faccia
come vuole.»
Makoto si piegò in avanti. «State
litigando?»
«Hmm... Siamo stressati. Discutiamo in
continuazione,
ma sono
io
che inizio, senza volerlo. Non è periodo per parlare di cose
serie con Yu.» Rei si appoggiò al palo del
corridoio di casa
sua. «Stasera non parlo più. Magari gli faccio un
messaggio
alle
spalle. È tutta la settimana che ne vorrei uno anche
io.»
Makoto andò dietro la sua schiena. Le fece segno
di
mettersi in posizione. «Io ho troppa richiesta nel negozio,
non voglio
deludere i clienti. Non è un buon momento per andare in
vacanza. Inoltre Gen è occupato. Fra
un mese decidiamo.»
Usagi iniziò a piagnucolare. «Con
Mamo-chan non
potremo
decidere niente! Tuo padre è un orco, Rei!»
«Non sarò io a contraddirti»
Con le mani di
Makoto che le
sciogliavano i
muscoli delle spalle, Rei rilasciò un sospiro di
godimento. «Però sembra che Mamoru lo sappia
trattare, no?»
«Non riesce a farsi dare una vacanza»
obiettò Usagi.
«Forse non è il momento di chiederla ora,
a
giugno. Vedrai
che
per agosto si inventerà qualcosa. Andrete da qualche parte
per
il tuo compleanno?»
«No, per quello ci vuole una mega-festa! Dovrete
esserci
tutte, ho
richiamato persino Minako!»
«Ehm, scusate...» Ami
tossicchiò.
Ottenne l'attenzione delle
altre e proseguì. «Prima stavate parlando di Alex,
solo che
poi siete passate a un altro discorso...»
«Hm?»
Gli sguardi interrogativi la fecero sentire
sfacciata nell'insistere. «Cosa intendevate dire quando...
Quando lo
compativate per l'estate scorsa? Perché, cosa c'era che non
andava?»
«Ahh» sorrise Usagi. «Ma niente.
Poverino, aveva una voglia pazza di
stare solo con te.»
«A fare sesso» dichiarò
lapidaria Makoto.
Ami avvampò e Rei scosse la testa. «La
solita cima
di
raffinatezza.»
Makoto premette due dita sui muscoli di Rei,
strappandole
un
gridolino. «Ma scusa, Ami ora sa. Perché essere
ancora
delicate?
Il concetto è quello.»
«È un concetto che si può
esprimere in
tanti
modi. Fare
l'amore, stare in intimità, passare la notte
insieme...»
«Facendo sesso» canticchiò
Makoto.
«Ami-chan.... Non siamo più bambine,
possiamo
chiamare le cose col loro nome e parlarne, no?»
Nel tentativo di offrirle un sì, Ami
buttò fuori
una serie di smorfie.
Makoto non si impietosì. «Dico solo che
lui
vorrà
rifarsi questo fine settimana. Accontentalo.»
«Sai che sacrificio» ridacchiò
Usagi. Si
intristì
immediatamente. «Che invidia. Una notte al mare, con la
spiaggia sotto
i piedi e lo scroscio delle onde in sottofondo...»
«Andremo in bicicletta» la interruppe Ami.
«Abbiamo programmato una
gita sabato mattina. Giriamo tra le colline dei dintorni mangiandoci un
panino, poi la sera magari facciamo un tuffo in acqua prima di cenare e
poi-»
«Farete sesso.» Fu un coro di tre voci
ridenti.
Ami non seppe più sotto che ombra nascondersi.
«Sì, forse.» Si morse le labbra.
«Ma non sono faccende di
cui bisogna per forza parlare,
no?»
Makoto non ebbe nemmeno bisogno di rifletterci.
«Mah, secondo
me
parlarne è un'ottima cosa. Soprattutto se lo fai col tuo
lui.»
«E con le amiche!» aggiunse Usagi.
«È troppo divertente!»
Rei rannicchiò le gambe contro il petto.
«A volte
sarebbe stato meglio, Usagi, se tu avessi ritenuto un po' della
discrezione degli inizi. Ormai su te e Mamoru so più cose
io-»
«Anche tu mi hai detto tutto di te e
Yuichiro!»
«Non tutto!» arrossì Rei,
indicandole di
abbassare la voce.
«Be', mi hai detto tante cose utili. Io le ho
sfruttate, e
secondo me tu hai fatto la stessa cosa!»
«Ehi!» L'indignazione felice di Makoto fu
reale.
«Perché non
avete coinvolto anche me? Io non leggo libri come Ami, imparo per
sentito dire. Se potessi ancora sorprendere Gen-»
«Eh-ehm!» Ami interruppe il discorso prima
che
degenerasse. «Io...» Sotto gli occhi delle sue
amiche si
sentì sotto una lente di ingradimento. «Io sono
ancora
riservata. Per adesso.» Fece quella piccola concessione.
Makoto non si lasciò convincere. «Allora
parlo io,
come
amica. Hai mai fatto...?»
Rei si esibì in una smorfia. «Non fare
gesti con
le mani!»
«Okay okay, scusa.» Makoto si sporse in
avanti, una
mano accanto alla
bocca. «Avvicinati, Ami.»
Ami fu ancora una volta cosciente di un grosso problema che
l'affliggeva: era eccessivamente curiosa. Mandò avanti
l'orecchio.
Makoto cominciò a sussurrare.
«Allora... psst
pssst pst. E poi pst pssst pst pst.»
«Interessante» ridacchiò Usagi,
che non
aveva sentito nulla.
Sorridendo, Rei le fece segno di sedersi vicino a lei.
«Vuoi un
massaggio
anche tu? Quello di Makoto mi ha sciolta, voglio diffondere il relax.
Lasciamo che Ami impari qualcosa di nuovo in segreto.»
Ami saltò indietro, porpora in volto.
«Ho
imparato
abbastanza.»
Makoto incrociò le braccia, pensierosa.
«Visto
come hai
reagito,
per te è ancora una cosa nuova. Non capisco come sia
possibile.»
«Alexander è...» Di fronte al
silenzio
delle altre, Ami
preferì non sbilanciarsi. «Non è
successo, tutto
qui.»
Makoto si fece tenera. «Può essere una
cosa molto
bella.
Come
qualunque cosa, se la fai...» Ci pensò su.
«Per l'altra
persona.
Solo per questo.»
Usagi si intromise con cenni di assenso entusiasti.
«Confermo!»
«Come fai a sapere di cosa stanno
parlando?» Rei
disegnò la
linea della sua colonna vertebrale.
«Ahhh! Uh... cosa? Ah, sì, figurati se
non ho
capito. Ami,
poi
chiedi di ricambiare. O fallo prima. Bah, prima o dopo non conta,
provalo!»
Ami chiuse gli occhi e respirò a fondo.
«Credo che
tu abbia
frainteso.»
Usagi aguzzò lo sguardo e ridacchiò.
«Però siccome tu sei intelligentissima adesso non
stai facendo
confusione su quello che intendo. Dai retta anche a me! Mako-chan, ma
tu
allora che cosa le stavi dicendo?»
«Per oggi abbiamo imbarazzato Ami
abbastanza.
Andiamo a
prenderci un gelato?»
«Sììì!»
Balzando
in avanti Usagi si
trascinò dietro Rei - a cui si era impigliata con la clip
della
gonna - Makoto - a cui fece un involontario sgambetto - ed Ami - a cui
finì addosso con tutte le altre.
«USAGI!!!»
«Scusate...» fece mesta lei.
Sdraiata in mezzo al mucchio, Rei sospirò.
Quattordicenne o
donna sposata che fosse, Usagi non era mai cambiata.
Di venerdì sera, ormai a mezzanotte, Ami si profuse
in un inchino di fronte a Minato-san, che era rimasto ad
attendere il
loro arrivo alla casa di Izu fino a quell'ora.
«Grazie
infinite.»
Lui - un signore di sessant'anni basso e amichevole - le
sorrise
benevolo. «Non si preoccupi. Per me è un piacere
sapere che
avrò ancora questo lavoro per l'estate.»
Alexander le aveva spiegato che i suoi genitori pagavano molto
bene
Minato-san per occuparsi della casa, ma la sua presenza a
quell'ora tarda era comunque un grosso favore.
«Devo ridare la chiave all'agente immobiliare questo
lunedì?» le domandò lui.
Ami dovette ammettere la propria ignoranza. «Non lo
so.
Alexander
mi ha
detto che non hanno intenzione di venderla fino a settembre,
ma...»
Scosse la testa. «La chiamiamo domani, così si
può organizzare. Se dobbiamo darle le chiavi, passiamo noi
da lei.»
Minato-san annuì. «Dov'è
Alexander-san?»
Ami indicò l'interno buio della macchina.
«Sta
dormendo. Ora
lo sveglio per entrare.»
«Ha lasciato guidare di notte una signorina come
te?»
Tanta premura era esagerata. «Lui ha lavorato fino
alle dieci
e siamo
partiti appena ha finito. Ero più in forma io.»
«Fino alle dieci di
sera?
Voi ragazzi di Tokyo vi uccidete di lavoro. Avete
fatto bene a venire qui a rilassarvi, ogni tanto ci vuole.»
Le offrì un inchino del capo. «Vi auguro un buon
fine
settimana.»
«Anche a lei» lo salutò Ami.
Scendendo
dal portico
illuminato della casa tornò verso la macchina e
aprì la portiera. «Alex...»
mormorò, sporgendosi
verso di lui. «Siamo arrivati.»
«Hm?»
«Siamo arrivati. Entriamo in casa, così
puoi
dormire sul
letto.»
Lui si allontanò dallo schienale con uno scatto.
«Diavolo.
Dovevi guidare solo per metà strada.»
Lei ridacchiò. «Non importa. Siamo
arrivati. Minato-san mi
ha dato le chiavi ed è già andato via.»
Alexander si strofinò gli occhi con una mano.
«Non
volevo
dormire tanto.» Cominciò a scendere dalla
macchina,
massaggiandosi forte il collo provato. Ami lo precedette verso il
bagagliaio, ma alla fine tirarono fuori insieme le poche cose che si
erano portati dietro.
Mentre Alexander infilava le chiavi nella porta d'ingresso,
lei
respirò a pieni polmoni la brezza del mare.
«Già
l'aria mi fa sentire diversa.»
«Io la sentirò meglio
domattina»
commentò lui,
facendo scricchiolare le spalle. «Adesso mi faccio una
doccia.»
«Non dormi?»
«Dopo la doccia.»
In preda agli effetti del sonno interrotto lui era quasi
sempre
di cattivo
umore, come mai in altri momenti. Per lei quell'atteggiamento burbero
era fonte di divertimento.
Dopo essere entrati, Alexander andò dritto in
bagno.
Lei sistemò le loro cose nella stanza da letto del piano
inferiore, l'unica che avevano chiesto di preparare. Mise come pigiama
una lunga maglietta, larga e comoda, e si sistemò sul letto.
Accese la piccola televisione appoggiata su un comò
sistemato sulla
parete opposta.
Il notiziario le fece da sottofondo
mentre appoggiava la testa sul cuscino e rilassava i muscoli.
Sentì la loro tensione proprio mentre si scioglievano.
Nella stanza solo l'abat-jour faceva penombra.
Le sarebbe sembrato di
stare a Tokyo se, dalla veranda semi-aperta, non avesse sentito
l'assenza di rumori all'esterno. Era un silenzio che non esisteva in
città.
Che pace.
Il peso di mesi di studio ininterrotto le sarebbe sembrato
più leggero se la sera, a giornata finita, fosse potuta
tornare sempre in un posto come quello. L'idea della casa al mare era
bella, ma lei ora vi si trovava bene perché
non era sola. C'era Alexander, che sapeva la ragione per cui lei
stava studiando così tanto. Lui stava facendo i
suoi stessi
sacrifici, con lo stesso scopo... Quello di cui non parlavamo
più
molto. Era un accordo implicito tra loro, forse una maniera per non
programmare anche la felicità.
Alexander uscì dal bagno, la bocca aperta in uno
sbadiglio
sfacciato.
Lei spense la televisione. «Forse è
meglio se non
metto la
sveglia? Possiamo fare la nostra gita anche
dopodomani.»
Lui si sdraiò sul letto. «Vediamo come ci
svegliamo.
Sì, lascia stare the
alarm.» La abbracciò, poi
per il troppo caldo si
allontanò e si limito a rimanerle vicino. «Good night.»
Lei lo baciò sulla fronte.
«Buonanotte.»
La mattina seguente Alexander si svegliò col sole
negli
occhi e
una sensazione che si fece pensiero. Si voltò.
Eccoti qui.
Si trattenne dal toccare Ami e la lasciò dormire.
I missed you..
Oh, se gli era mancata. Aveva nostalgia di quando si svegliava
con lei
in un giorno di settimana qualunque - alle sei magari,
dopo una sera in cui avevano deciso di non farsi scoprire da
Saeko-san. Ami dormiva da lui e si teletrasportava a casa di mattina
presto, prima che sua madre tornasse. Giusto da un mese avevano
scoperto che non era più possibile.
Alexander cercava di sentirla tutti i giorni al telefono, nei
venti minuti di
pausa pranzo
effettiva che aveva a disposizione. A volte entrambi erano
così
mentalmente impegnati ed esausti che riuscivano a parlare solo di
lavoro e di studio. Alla fine lui rimaneva col telefono in mano,
sentendo che era mancato qualcosa.
Parlavano meglio di sera, quando Ami
aveva smesso di studiare, ma a quell'ora era il sonno il loro nemico.
Gli mancava uscire con lei, o divertirsi un martedì
o
giovedì
qualsiasi, solo perché lo aveva deciso. Il weekend
era sacro solo di domenica, anche se gli avevano detto - assicurato -
che da quella settimana gli avrebbero lasciato libero anche il sabato.
Solo per dargli il tempo di studiare per gli
esami di luglio, naturalmente, ma per fortuna sua si era
già portato avanti su quei libri. Altrimenti... Non volle
pensarci.
Era una persona pigra?
Forse si sarebbe sentito costretto anche
se avesse lavorato solo dalle nove alle cinque, come le persone
normali. Ma quelle stavano lontane mille miglia dai reparti interni di
banche d'affari
che strapagavano poveri deleritti che davano l'anima ogni giorno -
ufficialmente con orari umani, officiosamente dalle otto del mattino
fino alle dieci di sera - per scoprire in quali titoli fosse meglio
investire, armati di approfonditi e variegati studi statistici. Giusto perché mi
pagate, pensò. Gli era piaciuto - troppo, a
conti fatti - scegliere come disporre liberamente della propria
giornata.
Sacrifici.
Per un fine ultimo ne valeva la pena. Aveva poco tempo, solo
pochi
mesi, per preparare la sua vita ai cambiamenti che aveva in mente. Il
denaro era necessario, triste ma vero.
Per lui
era sempre stato troppo facile averne. Due giorni addietro aveva
ricevuto il primo stipendio serio della sua vita e... era
soddisfacente sapere che quei soldi non
erano stati un regalo. Li aveva guadagnati, erano davvero suoi.
Sono grande sul
serio.
Era ora
che lo diventassi.
Mancavano meno di tre anni all'arrivo dello sconvolgimento
finale che avrebbe cambiato l'esistenza del mondo intero. Cercava di
non pensarci troppo. Meno che mai, se era possibile.
Aveva problemi
più immediati da risolvere. Una cosa alla volta.
Inspirò e si beò della ragione per cui
lavorava
tanto. Era Ami, e anche quell'odore dolce di sudore appena accennato
che aveva lei quella mattina, mentre ancora dormiva.
Il sole la colpiva sulle palpebre. Un suo occhio si
aprì.
«Morning»
mormorò lui.
Ami aggrottò la fronte.
«Hm...mmuaaa!»
Il suono dello sbadiglio lo fece ridere.
«'ngiorno» lo salutò lei,
nascondendo il
viso contro il
cuscino.
Che ore sono?
Fu una domanda a cui nessuno dei due ebbe voglia di dare voce.
Lei lo spiò con un occhio sereno, semi-aperto.
«Qui ti
sveglia il sole...» Si mosse indolente sotto le lenzuola.
«È piacevole.»
Ami allungò una mano, posandola sui suoi
capelli.
Tracciò piccole linee con le dita. «Stai
meglio?»
Lui annuì.
Lei lo raggiunse con un movimento improvviso:
incastrò le
braccia attorno al suo corpo - una contro il suo petto e l'altra
attorno alla
sua schiena. «Non ci sono uccellini che cantano.»
Un suono acuto, roco e lontano, la smentì.
«Oh.» Ami si sorprese. «Un
gabbiano?»
«Credo di sì.»
Lei nascose il viso contro il suo petto. Dove la maglia
di cotone leggero lo lasciava scoperto, posò un bacio.
Alexander le infilò una mano tra i capelli. Ne
sentì
l'assoluta morbidezza mentre lei continuava a strofinare il naso contro
la
sua pelle. Lo
baciò di nuovo, piano. «Ti voglio bene.»
«Me
too.»
Talmente tanto che, a volte, pensava di sapere
perché era stato giusto non
fare l'amore con lei prima dell'inverno scorso.
Come avrebbe potuto,
senza capire? Come
avrebbe potuto, senza amarla come l'amava adesso? Ormai non gli
importava
più niente di spingersi oltre, gli bastava... stare.
Così.
Ami salì con le labbra, carezze umide che lo
percorsero sul
collo, provocandogli brividi. Li chetò una piccola
folata
d'aria, entrata dallo spiraglio aperto della veranda. Ami si strinse
a lui, cercando la sua bocca, e
neppure il vento bastò più.
I suoi propositi di
casta serenità si evolsero fino a sparire, la mano di
lei che saliva e poi scendeva dal suo petto fino allo stomaco.
«Sai?»
No,
la
baciò lui, assaggiandola sul collo.
«Tu sei davvero... bello.»
Stranito, ne rise senza guardarla.
«Grazie?»
«Non il tuo viso, il...» Ami lo
accarezzò con più
fermezza sullo stomaco, la mano che non si staccava da lui.
«Mi
piaci molto.»
Be', allora in quel senso a lui piaceva piacerle molto. E
stava
cominciando
a diventare colpa di Ami se gli stavano tornando in mente tutte le idee
lascive che aveva elaborato in quella settimana. Ma in fondo... che
male c'era? Sarebbe stato davvero amorevole nel proporgliele, e poi
nell'attuarle.
Le
avrebbe amate anche lei e si sarebbero amati a vicenda.
Cercò di accarezzarla sul fianco, ma Ami
scivolò
via. «Aspetta.»
Che cosa?
Ami sollevò maglia del suo pigiama.
Tracciò
piccoli cerchi con le mani, un sorriso lasciato a guardarlo. Si
chinò di nuovo, a baciare la pelle che stava accarezzando.
«You smell good.»
Anche lei aveva un buon profumo, ma, per una volta, lui non
sentì tanto l'ardore di averlo sotto il naso quanto di
guardare, sentire. L'inglese di Ami era il preludio a momenti di
abbandono che
lei percepiva come profondamente romantici. Lui non riusciva a
immaginare cosa avesse in mente ora.
Stava per
sedersi su
di
lui e...? Quello sarebbe stato un ottimo modo di cominciare quell'epico
fine settimana.
I baci di Ami sul stuo stomaco si erano fatti... timidi.
Teneri, a ben
vedere. La sensazione gli ricordò
di quando da bambino qualcuno - sua madre, Nanny Shoko? -
aveva fatto
la stessa cosa. Se ne dimenticò e chiuse gli occhi, passando
una mano tra i capelli soffici di lei. Ami lasciò scorrere
le mani su entrambi i suoi fianchi, salendo sino all'altezza della vita
come a... prenderlo.
Il gesto gli diede idee perverse che
lei non aveva cercato, ma che ebbero un effetto immediato.
Ami
salì con la bocca e scese con la mano, tanto
inequivocabilmente che la infilò sotto i boxer del suo
pigiama. Li tirò giù.
Lo choc più grosso dell'esistenza di Alexander
durò
giusto un secondo, perché quello dopo... Sobbalzò
e si tirò su per metà, evitando a stento di
mordersi la lingua mentre stringeva i denti.
Ami lo
guardò, rosa in viso appena un po' più del
normale, troppo tranquilla per il resto.
Lui la guardò di
rimando, mentre stava inginocchiata davanti a lui, le mani che
stringevano la sua carne.
Non ebbe il cervello per produrre una sola espressione
sensata.
Stava sognando. Per forza. Non si era ancora svegliato.
La mano di Ami si mosse sulla sua erezione in una carezza
delicata,
determinata,
che distrusse quell'idea e gli strappò un ansito soffocato.
Chiuse gli occhi e fu costretto a riaprirli subito, perché
Ami aveva- Oh God,
con
la bocca lei stava-
Al pensiero si sostituì l'assolutezza
della sensazione e
dell'immagine, che fu talmente onirica, assurda e - diavolo - la cosa
più erotica
che lui avesse mai visto in vita sua.
Annichilito, si
dimenticò della
vista.
Ami baciava come baciava sempre, con passione innocente e
curiosità, sentendo, assaggiando e... gustando.
Lui non
ebbe
la forza di gettare la testa all'indietro, ma come problema
sparì subito anche quello: Ami lo aveva chiuso interamente
tra le labbra umide e calde, e lui...
Facendo violenza al proprio corpo la spostò di
lato. A bocca aperta
si sollevò sulle ginocchia, cercando di
rannicchiarsi e di non sporcarla mentre provava l'orgasmo
più... più...
Rimase miracolosamente in silenzio. Poi
dondolò come
un
pupazzo, svuotato anche della logica.
Alzando gli occhi trovò
Ami con lo
sguardo basso che... osservava. Solo poi lei passò
a
guardare lui, in faccia. Avvampò e perse il rossore in un
secondo, senza dire niente.
'Non guardarmi
così.' Lei lo pensò
solo per un attimo e non lo disse. Si vergognò un poco,
questo sì, poi deglutì e... accennò
un
sorriso. «Ho capito.»
... ah?
Lei sorrise, pregna di un imbarazzo mite. Indicò la
porta
accanto al letto. «Vado in bagno.»
Scese dal letto, e a passo calmo andò dove aveva
detto,
senza
chiudere la porta.
Oh.
Oh, arrossì Ami.
Oh, capì.
Capì tante cose.
Si sentì così accaldata che guardando la
doccia
non resistette. Si spogliò, aprì l'acqua ed
entrò sotto il getto che la colpì allo stomaco,
chetando i suoi bollori.
Oh.
«Aspetta!»
Alexander entrò in bagno tanto rapidamente da non
darle
nemmeno il tempo di coprirsi con le mani.
«Non fare la doccia» le disse lui,
indicando
la stanza da letto, perso. «Torniamo di
là.»
«Ehm...» Lei cercò di
nascondere seni e
ventre come meglio
poteva, poi si spostò dietro il vetro opaco della cabina.
«... Perché?» Non le venne in mente
una domanda più
intelligente da porre.
«Devo... Voglio... Vieni di là,
Ami.»
Quando Alexander riuscì a sorridere, il mondo
tornò a essere un
pochino più normale. «Non bagnarti la testa, torna
ora di
là con me.»
«... va bene, ma...» Le sfuggì
una risata nervosa. «Aspetta un attimo, mi rinfresco e vengo
fuori.»
Senza ascoltarla, Alexander allungò le mani per
prenderla, entrando con
metà corpo nella cabina.
«Ti bagni!» rise lei, ma la
disarmò
l'esultanza muta di lui,
che la strinse senza lasciarla.
«Non importa. Esci.»
Lui abbassò la bocca verso la sua. Appena
prima di
abbandonarsi al bacio lei scattò all'indietro con la testa.
«Ah.» A labbra serrate cercò di
assaggiare da sola la
propria lingua.
Lui esitò un momento a sua volta, poi la
baciò
sull'angolo delle labbra e tra
le labbra, incurante di qualunque altra cosa.
Senza uno straccio di vestito addosso e con l'acqua che la
rinfrescava
sulle gambe, lei si sentì ugualmente come dentro un
vulcano. Gemette piano nel bacio e cercò di calmarsi, di
smettere. «Adesso esco» riuscì a
dire, dolce nel tono:
quando parlava così Alexander la ascoltava sempre.
Ma lui
non si allontanò. Si mosse anzi in avanti, di quel
poco che bastava perché l'acqua iniziasse a bagnargli una
spalla sopra la maglietta del pigiama. La lasciò con una
mano, solo per mandare a scorrere quelle stesse dita
su un
suo seno, facendole quasi perdere l'equilibrio sul piatto della doccia.
«Esci, Ami» le ripeté, docile.
«Voglio ricambiare.»
Ricamb-
Le
esplose il cervello. «No!» Si colorò di
rosso persino sulla
punta del naso. «Voglio dire, io devo... Allora mi serve fare
la
doccia.» Non credette a quello che aveva detto - a quello che
aveva concesso -
ma si ritrovò con un altro bacio e non ebbe la
testa o il desiderio di ritrattare. Non aveva chiuso gli occhi per
l'imbarazzo - perché voleva vedere Alexander -
e notò di sfuggita lo strano movimento di lui. Alex aveva
messo
la mano sotto il getto diretto dell'acqua, per prendere qualcosa dai
piccoli ripiani sull'angolo opposto. Del sapone, capì lei,
quando
sentì la sensazione scivolosa contro lo stomaco.
Sobbalzò piano, non troppo perché era ancora
stretta forte.
«Okay» lo sentì dire, e
sorridere.
«Ti serve qui, vero?»
Lei scivolò per davvero quando la barra di sapone
prese
a
scorrerle
tra le gambe. Raddrizzò le ginocchia solo per guardare
Alexander in faccia.
Aouhm?
Il suono muto della sua domanda sconnessa non
incontrò risposta.
Lui aveva chiuso gli occhi, teneva la
fronte appoggiata sulla sua. «Voglio toccarti così
dappertutto, Ami.» Lasciò cadere il sapone e
continuò con le dita, costringendola a reprimere un ansito.
Alla fine lei non resistette e liberò la voce, stringendogli
un braccio tanto
forte da graffiarlo con le unghie.
«Voglio baciarti così dappertutto. Per
favore.»
Ami nascose il viso contro il suo collo per non ascoltarlo
più, per ascoltarlo meglio. Premette il bacino contro la
sua mano, dondolando contro le sue dita.
Piano piano, ancora.
Stava
andando a pezzi, in fiamme,
sì.
Lui la baciò forte sulla tempia. «I love you.»
«Hmm» gemette indecentemente lei.
«I love you
too.»
Alexander si tirò indietro. Bagnandosi di nuovo,
prese il
manico della doccia.
Attonita, lei si appoggiò con le mani alle pareti
della
cabina, per rimanere in piedi da sola.
«Ti sciacquo» spiegò lui.
«Ma...»
«Di là, Ami.»
Lei si fece lava di miele e non disse più niente.
Accompagnò la mano di lui mentre dirigeva il getto
dell'acqua contro il suo corpo, per lavare via le tracce di sapone. A
risciacquo terminato, decise di smettere di essere solo una marionetta,
felice di subire carezze. Inspirò e
afferrò l'asciugamano grande che le passò lui.
«Togli quella maglietta bagnata» gli disse.
Alexander lo fece senza protestare. Non era timido come lei.
Lui aveva
sempre il controllo.
Si ricordò di come
glielo aveva rubato solo poco prima e camminò verso l'uscita
del bagno, avvolta da un asciugamano, aspettandosi da un momento
all'altro, con timore e
trepidazione, che anche quello le venisse tolto di dosso, al pari di
ogni altra difesa.
Arrivò invece al bordo del letto senza
sorprese, con
Alexander che si sedeva davanti a lei.
«I
love you so
much, Ami love.»
Lei si sporse in avanti, su di lui, lasciando andare
l'asciugamano.
Lasciò andare tutto, pudore e imbarazzo. Si
aggrappò alla persona che amava e nel bacio che ricevette -
che diede
- bruciò tutte le ragioni che le erano d'ostacolo. D'amore
avvampò e per amore si lasciò sdraiare sul
materasso, rimanendo ad ascoltare il pulsare del proprio ventre
che agognava un contatto. Cercò le mani di lui,
sorridendo nel trovarle. «Ti amo»
sussurrò
ancora. Più
di qualunque cosa.
Preparata com'era a vibrare, si inarcò nel ricevere
la
carezza di un dito tra le gambe, riprendendo a salire la china di
sensazioni da dove l'aveva interrotta.
Si sentiva turgida, troppo sangue a dare energia ai recettori
che costruivano la sensazione innominabile che voleva con
tutta se stessa.
Altri due tocchi studiati la spinsero verso
quell'orlo, in caduta libera. Erano carezze meravigliosamente umide -
come il
sapone,
pensò alla lontana. Poi sentì un sapone che era
bollente e ruvido, umido, e si muoveva.
Strinse le gambe - troppo, ma non bastò. Portò la
mano alla bocca e baciò come stava facendo lui, ad occhi
chiusi e senza ragione.
Perché
ti amo,
ed era meraviglioso, tutto.
Sussultò a scatti, a singhiozzi, e
pulsò,
strappandosi il respiro in ondate - tutto dentro di lei che rispondeva
all'unisono, muovendosi per l'eccessivo piacere. Non aveva ancora
finito che ricominciò daccapo, senza un momento di tregua.
Quando terminò realmente, scoprì che era montata
in lei un'euforia che la stava facendo sorridere al soffitto, al nulla.
Alexander si sollevò in tempo per vederla.
«Oh, damn. So
beautiful now.»
Provarono un bacio, ma lui si fermò con una risata
bassa e
strofinò la bocca contro il dorso della mano. «Be right back.»
Lei se ne rimase sul letto, a respirare stremata di
contentezza. Fu
invasa da un'ondata di torpore che si posò sulla sua
mente come una coltre amorevole.
«Non dormire.»
Spalancò gli occhi. «Sorry.»
Alexander era tornato e si era messo a carponi sul materasso.
«Chi ha
detto che ho finito?»
Lei, che era talmente allegra che riconobbe subito che lui era
tornato
quello di prima - il ragazzo che conosceva e che non era più
tanto meravigliosamente determinato ad avere tutto di lei.
«Non sei
stanco?»
«Prima sono durato dieci secondi. Che
vergogna.»
Lei scoppiò in una risata alta e venne travolta da
un
abbraccio. Sentì un bacio sotto l'orecchio. «Sono
contento
di essermi rifatto.»
«Si dice così?»
«Sto solo cercando di vantarmi, così ti
do un
minuto per recuperare. Ti prego, rimani sdraiata
così, my love.»
«Vuoi approfittarti di me.»
«L'idea è questa. Concedimi la
grazia.»
Lei smise di scherzare, sfiorandogli la guancia con le labbra.
Sì,
fu la sua risposta.
La grazia di aversi - a vicenda - era un dono.
Lo
avrò
adesso, e con me tu lo avrai in eterno.
Giugno 1997 - Weekend al
mare - FINE
Note: dopo aver riletto i precedenti capitoli sono stata molto
contenta di vedere che questo si incastra bene nella storyline che ho
creato, nonostante lo avessi scritto prima di tutti gli altri. Ora
finalmente posso proseguire verso la parte clou di questa raccolta.
Aspettatevi un po' di tempesta tra Ami e Alexander ;)
Grazie di aver letto!
ellephedre
Gruppo
Facebook dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre...
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Capitolo 11 *** Luglio 1997 - Dubbi ***
per istinto e pensiero 12
Note: non è un vero nuovo capitolo, lo
avevo già pubblicato nella raccolta
Red Lemon 2. Finalmente sono arrivata a coprire temporalmente il
periodo tra la fine di Verso l'alba e questo episodio, quindi ora ho
potuto pubblicarlo nel punto giusto :) Presto lo eliminerò
dall'altra
storia, appena avrò capito come fare a non perdere tutta la
fanfic -
dato che quello è il primo capitolo pubblicato ;P
Per
istinto e pensiero
di ellephedre
Luglio 1997 - Dubbi
In una sera di inizio luglio Ami aveva deciso di arrivare a
casa di Alexander prima di lui. Usando la propria copia della
chiave era entrata, trovando tutte le finestre spalancate.
Alex non aveva ancora compreso che con quel metodo
riscaldava l'ambiente invece di rinfrescarlo. Aveva trascorso tutta la
vita in un appartamento situato sulla sommità di un
grattacielo, uno spazio che non si era affidato alle finestre per il
ricambio dell'aria.
Da quando era arrivata l'estate, lui apriva spesso
le ante della sua nuova casa, nella convinzione di disperdere il calore
invece di farlo entrare nelle stanze.
Ami serrò tutte le finestre. Dop aver acceso il
condizionatore, si guardò attorno. Come aveva
temuto, l'azione di Shoko-san era stata
fondamentale in passato per organizzare casa Foster.
C'erano una penna sul bancone della cucina, un libro accanto
al televisore, un bicchiere sul comò. Una maglietta -
sospirò - abbandonata sul divano. Il tavolino al centro
del salotto ospitava sempre un paio di fogli - in quel caso una
pubblicità e una bolletta da pagare. Quel giorno c'era anche
la confezione aperta di un cd, senza il disco. Accanto al tavolo faceva
mostra di sé una bottiglia d'acqua posizionata a terra,
vuota.
Alexander aveva cercato di spiegarsi. «Io
rimetto a posto, ma poi ho
sempre tante cose in testa. Solo quando torno a guardare la stanza noto
che ho
lasciato in giro un mucchio di oggetti.»
Non erano esattamente tanti - Ami aveva visto ben altro tipo
di caos, ad esempio dove era passata Usagi - ma per lei non c'era
ordine finché ogni cosa non era al proprio posto.
Riordinò per istinto, passando dal salotto alla
camera da letto. Lì la sua attenzione venne attirata da un
depliant aperto sulla scrivania.
Esperienza di scambio
internazionale al MIT
Sfogliò le pagine, leggendo.
Il
Massachusetts Institute of Technology si premurava di
offrire il meglio ai suoi studenti: 5 biblioteche, innumerevoli aule
studio, spazi per esperimenti, corsi all'avanguardia in ogni settore.
"Chiediamo ai nostri studenti in scambio di dare il meglio di
sé. Vi troverete in un ambiente competitivo che
stimolerà al massimo le vostre capacità. Siamo
qui per formare la vostra mente, aprendola al futuro. In gruppo o da
soli, vi verrà chiesto di applicare ogni
vostra conoscenza al fine di creare qualcosa di innovativo. Uscirete
cambiati da questa università,
pronti a plasmare il mondo."
Seguiva il commento di una studentessa australiana.
"Sono arrivata al MIT pensando di specializzarmi in ingegneria
aerospaziale. Il corso del professor Koch ha rivoluzionato le mie
aspirazioni: le nanotecnologie sono la chiave per il progresso.
Mi sono trasferita definitivamente negli States. Una volta assaggiato
questo ambiente,
non si può più starne lontani. Ora so cosa voglio
per il mio futuro."
La testimonianza di uno studente cinese aveva toni simili.
"Il MIT è IL posto dove coltivare il sapere. Non
per i professori premi nobel, ma per i compagni di studio che
incontrerete. L'ambiente brulica di idee, di passione, di invenzioni a
un passo dall'essere realizzate. Durante un assignment di gruppo ho
sviluppato un software con due amici europei. Sei mesi dopo eravamo in
Silicon Valley a vendere la nostra start-up a un investitore. Il MIT ti
trasforma da studente a realizzatore."
Il commento che colpì maggiormente Ami fu l'ultimo.
"Volevo studiare astrofisica sin da quando ero bambino,
arrivare al MIT era il mio sogno. Non mi ero reso conto che era solo
un punto di partenza. Ho abbandonato la vita che conoscevo per lo scopo
per cui ho scoperto di essere nato: andare nello spazio. Senza il MIT
mi sarei accontentato. È il luogo dove ho imparato che non
esiste
limite che non possa essere valicato. - Marshall Whitaker, pilota
dell'Aeronautica Militare degli Stati Uniti."
Ami sollevò gli occhi dalla pagina.
Pensò.
Qualche minuto dopo riprese a leggere, sfogliando il depliant
fino all'ultima riga.
Da quel giorno guardò il calendario con occhi
nuovi: alla partenza di Alexander mancavano meno di due mesi. Anche lui
aveva iniziato a pensarci.
«Mi sono informato sulle tariffe telefoniche verso
l'estero dagli States.»
Distratta, lei si era voltata a guardarlo.
«Ho calcolato un'ora di telefonata al
giorno.»
Ami aveva riso. «Non avrai tempo per
altro!»
«Già so che quei minuti mi sembreranno
pochi. Comunque, prevengo con settimane di anticipo le tue obiezioni:
non dovrai preoccuparti dei costi, so già quali sono.
Ti ho detto che mi sta andando bene al lavoro? Prenderò il
bonus.»
Lei lo aveva accarezzato in volto. «Te lo sei
meritato.»
Lui aveva annuito, baciandola. «Basterà a
pagare tutte le nostre lunghe chiamate. Potremo sentirci quando
vorremo.»
Lei aveva pensato agli orari. «Mi
sveglierò presto per chiamarti di mattina. Da te
sarà tardo pomeriggio e avrai finito da poco le lezioni. O,
se sarai occupato, potremo la sentirci la sera tardi, appena ti svegli
tu. Per esempio saranno le 21 da me...»
«E le 7 dove sto io» aveva concluso
Alexander. Le aveva stretto le mani. «Sarà come se
non fossi mai andato via. Anche se non abbiamo
più il tuo teletrasporto.»
Quando lui diceva cose simili, in lei si riaccendevano domande
che non voleva ascoltare.
'Sarà come se
non
fossi mai andato via.'
Alexander intendeva partire solo con metà testa:
l'altra metà sarebbe rimasta in Giappone, con lei.
Ogni
tanto lui accennava a quando sarebbe tornato - una promessa che le
faceva dall'inverno precedente. Stava per andare a studiare in
una delle migliori
università del mondo e già si preoccupava di
tornare
indietro. Prima di sapere di guerre interplanetarie e di
guerriere
Sailor, le sue idee erano state molto diverse.
«Ho un piano sin da quando vado alle
medie.»
Lei lo aveva ascoltato con attenzione in un pomeriggio
dell'anno precedente.
«Diploma col massimo dei voti, poi ingresso alla
Todai, al primo posto in classifica.» Alexander aveva
scrollato le
spalle, pentito solo a metà. «Su questo
mi sono fatto battere, ma al corso ho fatto capire chi è il
migliore. Farò uso di quella sfilza di 100: voglio poter
frequentare qualunque università desideri, in qualunque
parte del mondo. Sono rimasto in Giappone a studiare Fisica
perché non volevo andare via troppo presto da casa, ma... il
mio futuro
non è qui. Io non voglio solo studiare, Ami, voglio fare.
Andrò in un posto dove le mie ricerche abbiano uno scopo.
Questo
spazio in cui siamo nati, questa galassia... Quando toccheremo
l'infinito con mano, io voglio esserci. Sarò una delle
persone che lo hanno reso possibile.»
Tutto in lei aveva compreso a cosa anelava lo spirito di lui.
Alexander lo aveva capito. «E tu, love? Davvero non
vorresti partire? Io so che un giorno, su una nuova scoperta medica,
vedrò il tuo nome.»
Per un momento Ami si era permessa di sognare con lui. Si era
concessa di immaginare di essere una ragazza comune, che non aveva
obblighi né limiti.
«Ogni tanto leggo articoli sulla John
Hopkins...»
Alexander era stato molto felice di sentirlo.
Qualche
mese lui dopo aveva scoperto la verità, e tutte
le sue idee sul futuro erano cambiate.
«Quando tornerò, da gennaio dell'anno
prossimo, saremo liberi di programmare i mesi che verranno. Dopo la
laurea a marzo ho
già questo lavoro assicurato.» Aveva sorriso,
indicando il tetto sopra le loro teste. «Ho anche la
casa.»
Lui pensava all'inizio di una vita insieme, con un legame
ufficiale e duraturo. Pensava a una famiglia. A costringerlo a quei
progetti erano stati lei e le
condizioni del suo futuro.
Alexander lavorava coi numeri in una banca di investimento -
una banca,
il ragazzo che aveva sognato da sempre di trovare posto alla NASA.
Di quell'impiego a lui piaceva soprattutto lo stipendio. Non
si
annoiava durante le lunghissime giornate di lavoro - 'C'è
sempre una nuova sfida', diceva - ma il suo appartamento era pieno di
libri di fisica che non servivano come preparazione agli esami. Ami li
trovava persino in bagno.
Alexander aveva smesso di leggere narrativa, non ne aveva
più il tempo. Passava le sue ore libere a svagarsi con la
passione su cui in passato aveva voluto incentrare la sua esistenza.
Ami aveva iniziato a sentirsi una ladra.
Poteva l'amore togliere tanto a una persona?
Era
contenta che lui andasse via: Alex aveva diritto di tornare a
essere uno studente che si focalizzava su ciò che amava
davvero.
Poi abbandonerà
tutto e tornerà da me.
Col passare dei giorni il suo senso di colpa non faceva che
aumentare.
Provò a non pensarci. Cercò di ascoltare
lui e quello che le diceva: era così felice con lei.
Eppure,
Alex non era mai stato
davvero vicino al suo sogno. Da settembre in poi ne avrebbe avuto un
assaggio.
Studenti geniali come lui avevano cambiato la direzione della
loro vita dopo aver frequentato l'università a cui sarebbe
andato.
... e se anche lui avesse cambiato idea?
Se avesse provato il
desiderio di restare?
Ami aveva una certezza: Alexander sarebbe tornato comunque,
per lei.
Forse anche solo per le promesse che aveva fatto.
Più lo ascoltava parlare di come avrebbero gestito
la lontananza - chiamandosi ogni giorno, contando le settimane fino al
suo ritorno - più notava che lui non aveva intenzione di
farsi coinvolgere dall'esperienza che stava per fare. La considerava un
excursus, una divagazione temporanea rispetto a un percorso
già deciso che andava in una direzione opposto.
Solo per quello, non sarebbe stato giusto da parte sua
incoraggiarlo.
"Sono tre mesi e mezzo in cui potrai vivere la vita che avevi
desiderato" aveva voglia di dirgli. "Non dovresti pensare a quando
tornerai indietro. Dovresti permetterti di..."
Sognare.
Lui non aveva vincoli. Non aveva doveri. Se in quel
posto, al MIT, avesse avuto un'illuminazione su
come voleva che fosse il suo futuro... sarebbe stato libero di
cambiare tutte le sue decisioni.
Non lo farai.
Non lo farai?
Parlandogli tutti i giorni lei avrebbe mantenuto viva nella
mente di lui la
realtà di loro due. Lo avrebbe fatto tornare indietro.
Ma un giorno Alexander si
sarebbe pentito se avesse rinunciato adesso a grandi
opportunità.
Nel presente si sarebbe
lasciato trascinare da lei - perché l'amava tantissimo - ma
un
giorno...
Erano pensieri logoranti.
Alla fine, non
riuscì più a rifletterci da sola. Stava pensando
alla vita di lui, perciò doveva ascoltare cosa aveva da dire
Alexander.
«Alex?»
Riposavano sul letto, dopo cena, guardando quel poco di stelle
che si vedevano dalle finestre.
A lui mancavano le alte pareti
di vetro della sua vecchia casa. Teneva un braccio dietro la testa.
«Hm?»
«Hai pensato a come sarà stare
là?»
«In America?»
«Sì.»
Nella penombra Ami intuì il suono di un sorriso.
«Sarà entusiasmante.
Sai, più passa il tempo, più mi
convinco che sia stato un bene scegliere di andare. Mi mancherai
da
morire, love, ma... potrò dare un'occhiata al mondo in cui
volevo entrare. Mi riempiranno di idee e progetti. Tornerò
più sereno qui, sapendo cosa potrò fare in
futuro, tra uno o due decenni.»
Sentirlo alludere all'insoddisfazione del proprio
presente, per quanto alla lontana, confermò tutti i suoi
dubbi. Se lui voleva tornare
indietro più sereno significava che al momento non lo era
completamente. «E se là trovassi qualcosa
che ti
coinvolge molto?»
«Per esempio?»
«Magari una ricerca, un'idea. Come quella
di... proseguire gli
studi.»
Alexander diede vita a un lungo silenzio.
«Tornerò indietro.»
Non suonava come un'obiezione, né come una
risposta. «So cosa hai detto. Ma se sapessi di non
dover
tornare qui a tutti i costi e ti venisse voglia di
rimanere?»
Non vedeva con esattezza
l'espressione di lui, ma sapeva di avere tutta la sua attenzione.
«Stai pensando di trasferirti negli
States?»
No. Ma aveva capito a quale passaggio logico si era affidato:
credeva che gli avesse fatto quella domanda solo perché
c'era una possibilità che entrambi lasciassero il
Giappone.
Ami chiarì. «Anche se decidessi che posso
farlo, tra due anni e
mezzo entrerò appieno nel mio ruolo di guerriera Sailor.
Né io né te avremmo tempo di completare un ciclo
di studi.»
«Infatti. Poi c'è il resto.»
Confuso, Alexander scosse la testa. «Cosa stai cercando di
chiedermi?»
«Voglio sapere cosa faresti se, stando
lì,
capissi che ci sono altre cose che vuoi fare nella tua vita. Subito,
non tra dieci anni.»
La riflessione di lui non fu così lunga, ma a lei
parve infinita.
«Penserei a quello che sto perdendo e tornerei
indietro.»
Non mi perderesti.
«Perché mi fai queste domande,
Ami?»
«Se tu cambiassi idea, non smetterei di
amarti.»
«Love...»
«Il fatto che ci amiamo non può essere un
vincolo che ti costringe a rinunciare a-»
«Di cosa stiamo parlando? Anche tu hai detto che non
avrei il tempo di terminare una specializzazione prima che arrivi la
nuova guerra e cambi tutto. Non servirebbe a niente che rimanessi in
America, visto che dopo voglio stare con te. Non avrei modo di
completare quella specializzazione né di trovare un lavoro
nel campo che desidero. Nel frattempo avremmo solo perso due anni.
È tempo prezioso di cui abbiamo bisogno,
no?»
... per un bambino. Per farlo diventare padre a ventidue,
ventitré anni - solo perché non potevano
aspettare oltre, non perché lo desiderassero in assoluto
tanto presto.
Per un momento lei non disse nulla.
Alexander emise un breve sbuffo. «Ragioni troppo per
ipotesi.»
«Mi piacerebbe che ti sentissi libero.»
«Io lo sono.»
Non avresti
deviato tanto dalla tua strada se non fosse stato per me. «Il
lavoro che hai adesso non è quello che sognavi.»
«Ci pago questa casa. La mia indipendenza economica.
Non fare la martire, non mi sto sacrificando per te.»
Ami si ammutolì.
Alexander si alzò dal letto e uscì dalla
stanza. Lei sentì scorrere l'acqua del rubinetto in bagno.
Lo aveva fatto arrabbiare.
Dopo qualche secondo, lui tornò in camera.
Prima di parlare si sedette sul letto, calmandosi.
«Riesco a
pensare a me stesso, Ami. So quello che sto facendo. Non so
perché credi che non abbia riflettuto cento volte su
tutto.»
«Non è questo...»
«Allora non sei sicura di quello che
provo.»
«No.»
«Se pensi bene alle tue domande, lo
sembra.»
Lei lo toccò con una mano. «No. Penso a
queste cose perché... sarà un periodo davvero
importante per te, per quello che volevi e che ancora sei. Io volevo...
Vorrei...»
Lui appoggiò la fronte sulla sua.
«Io sono felice di andare. E sono felice di sapere che ti
sentirò così spesso che sarà come se
fossi lì con me. Sarebbe stato meglio solo se ti fossi
potuta
teletrasportare a trovarmi, ma già ora...» Alex
posò un bacio sulla sua pelle. «Non c'è
niente che mi causi dubbi o infelicità. Te lo
direi.»
... lui glielo avrebbe detto?
Alexander la spinse a sdraiarsi sul letto,
insieme. «Saprai
tutto quello che mi passa per la testa. Promesso.»
Ami volle crederci.
«Sai cosa c'è di vero e giusto? Ora,
quando sarò in America, e tra tanti e tanti anni?»
Sì. «I
love you with all my heart.» Lo amava con tutto
il suo cuore, con tutti i suoi dubbi e i suoi timori.
Il respiro di lui era tornato sereno. «Non so come
puoi credere che io possa vivere senza sentirlo. Senza
viverlo.»
GIà, non lo sapeva. Non sapeva come un
amore così grande non potesse
essere una favola, dove non era possibile fare del male, in qualunque
modo, a una persona per cui avrebbe dato la vita.
Ricette un bacio, serrò gli occhi.
Non mi importa.
Fu egoista, amò. Adesso
non voglio che mi importi di niente.
Luglio 1997 - Dubbi
- FINE
Note: Questa è una necessaria introduzione a
ciò che verrà dopo. Come spero sia
chiaro, Ami non sente placati i propri dubbi. Per ora li sta solo
silenziando.
Alexander sa come trattarla, ma l'argomento lo infastidisce.
Avete avuto un assaggio del tipo di tono che può usare
quando è davvero irritato. Se ricordate da Verso l'alba,
può diventare sarcastico, chiuso. Crudele?
Continuate a seguire la raccolta e lo saprete ;) Punto a far
capire meglio anche il punto di vista di lui. A sua volta ha dei
timori, di altro tipo.
Grazie di aver letto e mi raccomando, fatemi sapere che ne
pensate! Mi aiuta sempre a scrivere e a migliorarmi :)
Elle
Gruppo
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Capitolo 12 *** Fine luglio 1997 - Fato? ***
per istinto e pensiero 12
Per
istinto e pensiero
di ellephedre
Fine luglio 1997 - Fato?
«Ami, devi vederlo anche tu! Marmalade boy
è un anime
così coinvolgente! Sto recuperando tutte le
puntate!»
Ami lisciò la pagina del suo libro prima di alzare
gli occhi
verso Usagi. Erano sedute al tavolino di un bar, all'aperto.
«Dove trovi il tempo?»
Usagi rilasciò un lungo sospiro di
infelicità.
«Mamo-chan lavora troppo. Torno sempre a casa molto prima di
lui.
Quando non esco con voi e non studio, non ho molto da fare.»
«Non avevi detto che avresti iniziato a cercare un
lavoro?»
Usagi le lanciò un'occhiataccia.
«Insomma, sono appena finiti gli esami!»
Già, e doveva ammettere che Usagi si era impegnata
molto.
Aveva un po' arrancato agli inizi - non ultimo a causa
della sua nuova vita matrimoniale - ma si era data molto da fare negli
ultimi due mesi. Ai primi appelli era andata bene.
Lei stava continuando a parlare. «È
questione di
giorni. Prima voglio assicurarmi di non essere occupata con un
lavoretto nel caso Mamo-chan abbia una settimana libera questo mese. Se
io fossi impegnata e lui, no sarebbe una tragedia!
Salteremmo le ferie per tutto l'anno, me lo sento. Io voglio andare al
mare con mio marito!»
Usagi adorava usare quella parola. «Su,
calma.
Sono certa che riuscirete ad andare da qualche parte.»
«Hai ragione! Non può essere che la
coppia più
bella di tutta la Terra non riesca a fare delle agognate
vacanze!»
Sempre modesta. «Mi parlavi di un anime?»
«Oh, sì! Mi immedesimo così
tanto nella
protagonista! È una studentessa delle superiori che nelle
prime puntate
è divisa tra due amori: il ragazzo che l'ha respinta alle
medie
e quello che ha conosciuto da poco. Lui si chiama Yuu ed è
andato a vivere a casa sua perché i loro genitori si sono
scambiati i partner. Abitano tutti insieme, capisci? Pensa
che...»
Ami iniziò a udire la voce di Usagi in sottofondo.
Era una
bella giornata estiva, calda. Il periodo degli esami era finito anche
per lei e aveva un po' più di tempo libero. Come Usagi a
volte
meditava di trovarsi un lavoretto, ma aveva sempre qualche idea da
sviluppare. Col computer aveva progettato un
piccolo
software per la condivisione di dati. Lo stava perfezionando, anche se
man mano che andava avanti iniziava a chiedersi se gli utilizzi
sarebbero stati legali. In quel caso non avrebbe guadagnato niente da
quell'idea. Il suo piano invece era creare qualcosa che fosse
redditizio, per il futuro.
«Mi ascolti, Ami-chan?»
Dedicò di nuovo attenzione ad Usagi.
«Sì.»
Lei la osservò. «Stavi pensando ad
Alexander?»
Non in quel caso, ma ci pensava spesso.
«Sì.»
«Vedrai, non sarà come per me e
Mamo-chan. Tu e lui vi sentirete tutti i giorni!»
Questo purtroppo continuava a preoccuparla.
Doveva davvero
tenerlo tanto legato a sé?
«Già.»
«Non sarà nemmeno come per Miki e Yuu,
che... Ah!»
Se aveva sentito bene, Miki era la protagonista dell'anime di
cui parlava Usagi. Cosa c'entravano lei e il suo ragazzo ora?
Usagi tolse la mano dalle labbra. «Niente. Sai,
pensandoci, non guardare Marmalade Boy! Non è il tuo
genere.»
Questo lo aveva intuito già sentendo parlare di
triangoli
amorosi. Ma la faccia di Usagi la incuriosiva. «Pensi che
qualcosa di quella storia possa influenzarmi.»
Usagi si grattò la testa. «È
solo che... anche il ragazzo di Miki va a studiare in America.
E...»
«E?» la incalzò Ami.
«Ecco, per loro è molto difficile. Miki
è piuttosto insicura. Non posso darle torto, durante la loro
relazione ci sono
state un paio
di ragazze che continuavano a girare intorno a Yuu. Mi veniva voglia di
strozzarle!
Comunque, quando lui è andato via, è stato
difficile per
loro comunicare, per via del fuso orario e degli impegni di
studio.»
«Io e Alex ci siamo accordati su questo. Siamo
organizzati.»
«Infatti, voi siete bravi. Miki era così
nervosa quando
non sentiva Yuu per un paio di giorni. E poi in America c'era
quest'altra ragazza...»
Ami comprese dove Usagi stesse andando a parare.
«Non ho questo tipo di paure.»
‹Oh, anche Yuu era molto fedele! Come Alexander,
senza
dubbio. Però immaginare il proprio ragazzo da solo, in un
posto
dove ci sono tante studentesse straniere carine...»
Ma Usagi stava cercando di tranquillizzarla o di farla
preoccupare? «Anche qui
tante ragazze cercando di abbordare Alex. Lui nemmeno le
guarda.»
Usagi sospirò. «Sì, il tuo
Alex è proprio antipatico con le estranee.»
Ehi.
«Invece Mamoru era sempre così gentile
con tutti, donne comprese. Io mi rodevo dalle gelosia!»
«Allora Mamoru ha cambiato atteggiamento?»
La soddisfazione di Usagi fu enorme. «Lui non se ne
rende nemmeno conto. L'ho avvinghiato così forte nelle
mie spire d'amore che, appena un'altra cerca di distrarlo, Mamo-chan
neppure la calcola. Torna da me di corsa, come un cagnolino
fedele!»
L'immagine fece sorridere Ami.
Usagi tornò a pensare. «Ma se ci
separassimo per un po', sarei inquieta. Avrei
fiducia in Mamo-chan, ma non potrei sopportare l'idea di non essere
presente
a fermare l'attenzione di altre ragazze. Già me le immagino,
che lo
circondano come se fosse una preda succulenta...»
Ad Ami parve di udire un ringhio. «Non
succederà. Siete sposati e tu gli stai sempre
intorno.»
Usagi dimenticò la rabbia.
«Già. E
scusami, sono un'insensibile a farti pensare a queste
situazioni!»
Per lei non era un problema. «Le altre guardano
ciò che è mio e non lo sanno.»
Usagi spalancò gli occhi.
«Così mi piaci!»
«Inoltre Alexander è immune alla
bellezza.» Forse
perché lui se l'era sempre trovata davanti, a partire da sua
madre. «Non viene colpito dall'aspetto fisico di una persona.
A
lui interessa solo...» Fece una pausa. «Il
cervello.»
E ora stava per andare in un posto colmo di ragazze incredibilmente
intelligenti.
Al suo fianco Usagi era nervosa. «Ehm...»
Ami si tranquillizzò subito. «Mi
ama.»
«Esatto!»
Lui non l'avrebbe dimenticata anche se fossero stati lontani
per mesi. Neppure se in quel periodo non si fossero sentiti.
Non parlò di quell'ipotesi ad Usagi.
Sapeva come avrebbe reagito lei.
Usagi sollevò il braccio in aria, saltando in piedi
sulla sedia. «Ecco le altre! Ragazze, siamo qui!»
Sgomberando la mente dalle preoccupazioni, Ami si
concentrò sull'arrivo di Makoto e Rei.
Appena loro si sedettero al tavolo, Usagi offrì a
entrambe un rapido
riassunto della conversazione.
Rei fissò i suoi occhi su Ami. «Sai, per
la gelosia dovresti copiare il mio esercizio.»
«Io non sono gelosa.»
«Ovvio. Ma ascolta: ricordate quella volta che sono
andata a prendere Yu
al lavoro? C'era quella tizia che era troppo amichevole con lui.
Tardona,
avrà avuto quasi trent'anni! Comunque, da allora ho drizzato
le
antenne e sono andata a segnare il territorio. Mi sono fatta trovare
fuori dalla sua aula universitaria - più bella che
mai - e ho
guardato male tutte quelle che gli sono andate troppo vicino. Nella mia
testa facevo un elenco: smorfiosa, tappa,
'vuoi-stare-ancora-più-scollata?'. E naturalmente 'racchia'
-
soprattutto se era carina e osava mettersi a meno di un metro di
distanza da Yu.»
Makoto rideva. «Non ce l'avevi mai
detto!»
Rei scrollò le spalle. «È
stato un momento di
debolezza.» Sospirò. «Era meglio quando
Yuichiro stava al
tempio. Lì nessuno sapeva della sua famiglia. Invece alla
Todai
se ne sono accorti subito. Sapete, perché lui è
più
grande degli altri studenti e gli hanno chiesto come mai avesse
iniziato tardi. Yu si è lasciato sfuggire che frequentava
solo
due corsi come aggiornamento e le sue compagne di classe hanno fatto
due
più due. Arpie opportuniste! Lo trovano interessante solo
per il
suo denaro!»
Makoto stava bevendo dal bicchiere di Usagi.
Bofonchiò con la cannuccia in bocca. «Minako
direbbe che stai ammettendo che senza i soldi non lo vorrebbe
nessuna.»
Rei strinse un pugno sul tavolo.
Ami si ritrasse, cercando una
distanza di sicurezza.
«Idiozie! Yu è simpatico e gentile, e non
siamo più alle superiori! Le ragazze hanno smesso di cercare
uno
che abbia il viso di un idol, vogliono un po' di... di
maturità,
come quella che ha Yu.» Al pensiero l'infelicità
di Rei
crebbe, ma lei la scacciò in un istante. «L'ho
visto prima
io, è mio! Lo voglio anche diseredato!»
Ami la trovò incredibilmente dolce.
«Yuichiro sarà felice di sapere che tieni a lui in
questo modo.»
Rei ritrovò la propria compostezza. «Non
scherziamo, non gliel'ho detto. Altrimenti si monterebbe
troppo la
testa.»
Usagi aveva roteato gli occhi al cielo. «Sei
crudele!»
Makoto ordinò alla cameriera di avvicinarsi.
«Rei
è fatta così.» Fece la propria
ordinazione e, dopo
quella di Rei, incrociò le mani sul tavolo. «Io ho
un
approccio simile al suo, ma sono più diretta. Mi costringono
le
circostanze: ieri ho incontrato un'altra ex-ragazza di Gen.
È la
terza volta oramai, sono disseminate per tutta Tokyo!»
Usagi si impegnò a ricordare. «Be'... lui
non aveva avuto ventidue relazioni? O erano
ventitré?»
Makoto la fulminò con lo sguardo.
«Già. E le sue ex sono tutte
sfacciate! Se non sono vicina a lui, credono di poterci tornare insieme
come se nulla fosse!»
Usagi si scandalizzò. «Cosa le hai viste
fare?!»
«Mi ero allontanata di due passi - due! - e la tipa
di ieri
stava cercando di dire a Gen che l'avrebbe trovata alla discoteca
che sapevano loro, quella sera.»
Come le altre, Ami spalancò la bocca per
l'indignazione.
«Lui che ha fatto?!» domandò
Usagi.
«Stava ridendo, non ha neanche fatto in tempo a
fermarla. Ci
ho pensato io, attaccandomi al suo braccio. Le ho fatto sapere che dopo
cena
saremmo stati molto occupati. Moltissimo.»
Rei scoppiò a ridere, applaudendola per la sua
audacia.
«Mi sono anche lasciata sfuggire che era il nostro
ottavo mesiversario. Non è mai stato con nessuna
così a lungo.»
Ami vagò con la mente: lei e Alexander stavano
insieme da un anno e nove
mesi. Non avevano mai festeggiato dei mesiversari, ma per una volta
sarebbe stato carino farlo.
Le sue amiche si erano zittite. Guardavano lei.
Rei si allungò sul tavolo, per prenderle le mani
tra le proprie.
«Tu non hai niente di cui preoccuparti, Ami-chan. Non ho mai
visto un
ragazzo che respinge le pretendenti con più
facilità di
Alexander.»
«Oh, sì» concordò
Makoto. «È spietato.»
Ad Ami venne da ridere. «Lo avete visto mentre lo
fa?»
«Eccome. Persino in tua presenza, mentre sei girata
o abbastanza lontana da non sentire. Non te ne sei accorta
perché lui le
riduce
letteralmente in cenere nel giro di un microsecondo. Fa questa
faccia che dice...» Rei deformò il viso.
«'Senti, tu, non
esisti.' Oppure, 'Ma come hai osato parlarmi?'. E ancora, 'Sono
occupato, non ho tempo per le nullità.'»
Ami non riuscì a trattenere le risate.
«Non è così cattivo!»
Rei sollevò un sopracciglio. «Invece
sì. Ma non puoi
desiderare di meglio.» Si incuriosì. «Ha
guardato
anche te in questo modo quando ti ha conosciuta? Non ce lo hai mai
raccontato.»
Per Ami fu semplice ricordare. Aveva quel momento stampato in
testa,
con Alexander seduto dall'altra parte della tavolata di studio, in
biblioteca, mentre
posava gli occhi su di lei solo per un attimo, senza mostrare reazioni.
«Credo che mi abbia guardato come dite voi. Ma per me era
solo
un'occhiata neutra.»
«Sei fatta di ferro.»
Ami proseguì a rammentare. «La seconda
volta che mi ha
visto... ci siamo incrociati per caso alla Todai. Mi ha notata e
sembrava
che non pensasse nulla di me. Ha continuato a camminare,
senza fermarsi.»
Makoto ascoltava, interessata. «Incredibile. Visto
come ti tratta ora.»
Già, ma Ami era troppo immersa nei ricordi per
soffermarsi
sul presente. «La terza volta... Ecco: ho catturato la sua
attenzione con la mente.» Sorrise. «Eravamo in coda
per comprare lo stesso libro. Lui si è accorto che ero
dietro la fila e mi ha salutato col
volume in mano, come a dire, 'Guarda, ce l'ho anche
io.'»
«E non vi eravate ancora mai parlati?»
Ami rispose a Makoto scuotendo la testa. «Ci sono
voluti
cinque giorni perché ci scambiassimo una parola. Lo hanno
convinto le tante coincidenze, altrimenti...» Lui sarebbe
rimasto
lontano da lei? Non volle soffermarsi su quel dubbio. «Al
quarto
incontro c'eravate anche voi. La prima volta che lo avete visto, quando
mi ha salutato. Quello era Alex che diceva, 'Ma dai, tutta questa
casualità merita un saluto'.»
«Che magnanimo» commentò Rei,
scambiandosi un sorriso con Makoto.
Secondo Ami erano troppo severe con lui. «Al quinto
giorno ci
siamo incrociati su un piccolo ponte, al parco. Alex faceva jogging.
Siccome era sorpreso di vedermi di nuovo, ha deciso di fermarsi. La
prima
cosa che mi ha detto è stata...»
"Sai, forse se
ci presentiamo la smetteremo di incontrarci."
Si riempì di tenerezza. Provò una
commozione felice
ripensando agli inizi, a quanto fosse stata decisa a non volergli
parlare e a quanto entrambi fossero stati ignari dell'importanza che
avrebbero avuto l'uno per l'altra.
«Ami?»
Ripeté quello che lui aveva detto alle sue amiche,
concludendo il racconto.
Rei la osservava, con una riflessione sulla punta della
lingua. «Sarai triste al
pensiero della vostra separazione. Ma devi ricordarti
di tutte queste cose. Se un amore è vero e sincero, la
lontananza non lo cambia. Anche se non vi sentiste per un anno, io so
che lui penserebbe sempre a te.»
Ami non avrebbe potuto sentire qualcosa di più
bello.
Usagi la abbracciò. «Ma si telefoneranno
ogni giorno! Lui glielo ha già detto!»
Makoto annuì. «E quando
tornerà, sarete più felici che mai.»
Circondata dalle sue amiche, Ami si lasciò cullare
dalle loro rassicurazioni.
Quella sera osservò Alexander mentre,
indolente, lui
strofinava i capelli bagnati con un asciugamano. Faceva abbastanza
caldo per non usare un phon.
Al tempo in cui lo aveva incontrato, pensò, aveva
avuto
bisogno di amore. Aveva attirato Alex nella sua sfera, mettendo in
atto col suo potere meccanismi per incontrarlo, solo apparentemente
casuali. Non aveva avuto alcun controllo su quegli eventi, ma erano
dipesi da lei.
Se fosse stato per lui...
«Oggi ripensavo a quando
ci siamo incontrati.»
Alexander la ascoltò, sereno e curioso di sentirla
continuare.
«Che cosa hai pensato la prima volta che mi hai
vista?»
«Me lo avevi già chiesto.»
Non lo ricordava.
Con l'accappatoio in spugna ancora addosso, lui mise un
ginocchio
sul letto, chinandosi su di lei. «Ho pensato... 'Guarda
com'è carina.'»
Sorridendo, Ami lo abbracciò.
Bugiardo.
Per
quella piccola menzogna gli volle ancora più bene.
Fine luglio 1997 -
Fato?- FINE
Note: Dunque, quando ho iniziato questo capitolo volevo
renderlo
più corposo e passare già a parlare di quello che
sarà il punto di scontro tra Ami e Alexander. Ma quando ho
finito di buttare giù le due scene che vedete qui, mi sono
resa
conto che funzionavano bene da sole.
Il corposo dialogo tra Ami e le sue amiche ha senso come pezzo di un mosaico che va a
spiegare quella che sarà una forta decisione di Ami. Un
capitolo in più invece di rallentare il ritrmo mi
dà la sensazione, come lettrice, che l'autore (sempre io -
sono pazza :D), non stia correndo troppo nel raccontare un'evoluzione
importante di un personaggio.
Quello che
farà Ami
farà venire ad alcuni di voi voglia di darle cappocciate in
testa :P Proprio perciò si deve capire come è
arrivata a
quella conclusione. Bisogna far vedere che non è stata una
cosa
che le è venuta in mente dalla mattina alla sera,
perché
io avevo fretta di scriverla. È neessario che si capisca
come
fattori logici e illogici abbiano contribuito in continuazione a farle
mettere in discussione consapevolezze che fino a qualche mese prima per
lei erano assodate.
Quindi, ecco qua
:) Un pezzo
divertente in cui le ragazze sono grandi protagoniste. Nel prossimo
capitolo ci sarà un evento nuovo - quindi non più
solo
riflessioni dei personaggi. Perché Ami pensa, pensa, ma se
non
succedesse nulla di particolare forse metterebbe a tacere la testa e
ascolterebbe di più quello che prova. E invece...
(perché
sono cattiva :D)
Grazie di aver
letto e please, please, commentate!
Elle
Gruppo
Facebook dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre...
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Capitolo 13 *** Agosto 1997 - Addio? ***
per istinto e pensiero 13
Per
istinto e pensiero
di ellephedre
Agosto 1997 - Addio?
Penultimo giorno a Izu, dopo otto giorni di vacanze.
Alexander continuò a nuotare. Voleva godersi
l'acqua di mare finché era
ancora possibile. Dal lunedì successivo doveva tornare al
lavoro, per le
ultime due settimane. Poi, l'America.
Virò con on un'ampia bracciata, iniziando
a descrivere
il percorso di ritorno verso riva. Si era allontanato di molto e il suo
corpo dava i primi segni di cedimento. Durante quell'estate non
aveva avuto molto tempo per gli allenamenti: la mattina si alzava
troppo
presto per correre e la sera tornava tardi dal lavoro. Aveva dedicato
la
maggior parte dei suoi weekend - l'unico ritaglio di tempo libero - ad
Ami, e non era stato sufficiente. Si era rifatto in quella
settimana, ma l'aveva vista troppo poco negli
ultimi due mesi.
Perché il MIT non si trovava in Giappone? Sarebbe
stata la soluzione ai
loro problemi.
Durante la breve permanenza a Izu aveva sentito Ami esitante,
confusa. Era la sua partenza a darle dei dubbi.
Lui aveva un'idea di quali fossero: Ami si stava convincendo
di
dovergli dare il tempo di focalizzarsi sull'esperienza che avrebbe
avuto
negli States.
Se lei avesse continuato con quei pensieri, Alexander ne
immaginava
l'esito: quando l'avesse chiamata dall'America, lei sarebbe stata
progressivamente più reticente a portargli via tempo.
Avrebbe creduto di
distrarlo, di non lasciargli modo di concentrarsi sul suo sogno. Magari
avrebbe persino diradato la frequenza delle loro chiamate.
Al solo pensarci si irritava.
Da lontano avrebbe faticato a farle cambiare atteggiamento.
Senza
vederla e senza starle accanto, sarebbe stato più difficile
ricordare ad Ami
che lui aveva idee chiarissime su cosa voleva da quei mesi della sua
vita.
Non intendeva tornare in Giappone per farle un favore. Lui
aveva
bisogno di tornare indietro, per stare con lei.
Più sentiva che Ami aveva dei dubbi sulle sue
intenzioni, più aveva
voglia di prenderla da parte e domandarle, 'Perché non mi
credi?
Cos'altro devo fare per convincerti?'
Forse stava esagerando. Ami credeva di non poter immaginare
tutti
i possibili esiti di una situazione, pertanto si preoccupava di come
gestire
anche l'ipotesi più remota - quasi come esercizio mentale.
Se solo non
avesse trasformato quei pensieri in possibili paure...
Tornò a concentrarsi sui movimenti del
proprio corpo. Stava nuotando per rilassarsi. Doveva lasciar riposare
il
cervello.
Bracciata destra, spinta
delle gambe.
Bracciata sinistra...
Iniziò a sentire del calore che si diffondeva sotto
un ginocchio. Non si spaventò, ma
diminuì il ritmo. Aveva sovraccaricato i muscoli.
Andò avanti per una decina di metri, poi
sentì una fitta al polpaccio.
Affondò.
Shit!
Boccheggiò per il dolore, inghiottendo acqua.
Balzò verso la superficie
con la testa, annaspando, le mani strette sulla gamba.
Riuscì a
sputare liquido dalla bocca prima di affondare di nuovo. Per istinto
saltò su ancora una volta, per un attimo solo, riuscendo a
far entrare un soffio
d'ossigeno nei polmoni.
Tornò a essere circondato dal mare, ma si
rifiutò di far uscire l'aria. Massaggia,
dannazione! A denti stretti premette sul muscolo
contratto, mentre tutto il suo
corpo andava sempre più a fondo.
Si dimenò con la gamba sana. Doveva tornare a galla!
Lo sforzo gli impose di respirare. Inghiottì altra
acqua di
mare.
Dimenandosi, riguadagnò la superficie con un balzo.
Nel microsecondo
d'aria sputò e trattenne il respiro. Per volontà
di sopravvivenza impedì
al mare di fagocitarlo di nuovo e riuscì a tenere a
galla la testa, per
espellere il liquido salato dalla gola e dal naso. Tentò un
altro
respiro, più completo, ma il suo corpo pesava una tonnellata
e l'oceano
lo afferrò di nuovo.
Non così. Non
qui!
Si sentì ribollire. Ami era a riva!
Ami!
Lei non lo avrebbe mai sentito, erano troppo distanti.
Cercò di zittire la paura mentre si sentiva
affondare ancora, i polmoni
che bruciavano a causa dello sforzo e dell'acqua ingoiata. Impresse un
massaggio deciso al polpaccio, cercando di roteare su se stesso, per
mettersi orizzontale. Non servì, continuò a
piegarsi sull'addome, nel
verso sbagliato. Stava annegando.
Sbatté gli occhi e gli parve di vedere la spiaggia.
Per un momento si
sentì fuori dal mare, con Ami che era saltata in piedi,
notandolo.
Ritrovò la lucidità.
Movimenti meno bruschi.
Riemerse con due bracciate, cercando di respirare con bocca e
naso. Non
riuscì a rimanere fuori dal mare con la testa, ma era
preparato. Soffocò
l'urlo mentre continuava il massaggio alla gamba, per sciogliere il
nodo
di carne duro come la pietra.
A tre metri dalla superficie, mosse le braccia convulsamente,
per
tornare di nuovo fuori.
Doveva solo fare continuare in quel modo. Affonda
e riemergi, affonda e riemergi... Non aveva alcuna
intenzione
di morire.
Ripeté quel ciclo una terza volta e
sentì che poteva controllarlo. Il
suo polpaccio sembrava sul punto di spaccarsi, ma non gli importava.
Devo uscire di
qui! La gamba deve
essere almeno un peso morto, deve smettere di fare così male!
Ogni volta che risaliva cercava di muoversi verso la riva.
Forse stava
sbagliando direzione, ma ci avrebbe pensato in seguito.
Aveva perso il conto delle volte che era riemerso quando
sentì
finalmente che il dolore iniziava a disperdersi.
«Aleeex!»
Ami!
Uscendo dall'acqua con la testa si costrinse a rimanere su un
secondo
di più, per poterla vedere. Ami stava sfrecciando a nuoto
verso di lui.
L'avrebbe fatta affondare!
Smise di combattere contro la forza di gravità,
tornando di sotto. Si
concentrò sulla pressione che metteva nelle dita: finalmente
il muscolo
aveva ceduto, si lasciava plasmare.
D'improvviso sentì una mano sotto il braccio, che
lo tirava verso
l'alto. Le gambe di Ami lo colpirono alla schiena mentre lei spingeva
per farlo riemergere.
Riguadagnarono la superficie con due enormi boccate.
«Lasciami!» gridò lui.
La presa di lei sotto la sua ascella era di ferro.
«Non agitarti!»
«Affogherai!»
«Non sto affondando!!»
Lui iniziò a crederci solo quando rimase col mento
fuori dall'acqua.
Ami gridava da dietro la sua testa. «Smetti di
muoverti e riuscirò
a tenerti a galla!»
Alexander cercò di adagiarsi sulla schiena,
portando stomaco e gambe verso
l'alto. Il polpaccio gli doleva ancora, ma era un dolore sopportabile.
«Ti tengo» affermò Ami,
concitata.
Lui riprese a respirare a pieno regime, tremando.
«Il crampo sta
sparendo!»
«Non parlare!»
Alexander disse più niente. Cercò quanto
più poteva di tenersi in superficie
da solo, per non affaticare Ami.
Trenta secondi dopo - eterni - provò a voltarsi.
«Ce la faccio!»
«Siamo quasi a riva!»
«Ce la faccio!» urlò
più forte, scostandosi. Tutto quello sforzo le
avrebbe fatto venire un infarto!
Ami cercò di riprenderlo, ma lui uscì
fuori dalla sua portata con due
bracciate, muovendo una gamba sola. Stavano a venti metri dalla riva.
Lei gli nuotò accanto. «Non sforzarti,
tra poco si tocca!»
«Ce la faccio, non è una bugia!»
La sentì bofonchiare - parole di disperazione e
rabbia che lei non
aveva mai pronunciato.
A dieci metri dalla spiaggia Ami andò avanti con
una spinta potente.
Quando lui la vide voltarsi, lei era rigida col tronco, in piedi, le
mani allungate nella sua direzione. Alexander si abbandonò
in avanti,
affondando, solo per poter toccare col piede la sabbia immersa. Venne
sopraffatto dalla stanchezza.
Riuscì a fare un passo, poi Ami fu di nuovo con
lui. Lo tirava a
sé, questa volta in piedi anche lei sotto l'acqua.
Riemersero, ansimando per lo sforzo.
«Ci siamo!» Ami lo strattonò
verso la battigia. «Ormai siamo fuori!»
Alexander sentiva i polmoni che macinavano aria come se non
avessero mai respirato. Il
cuore stava per scoppiargli, ma era salvo.
Camminò in acqua, usando la gamba ancora fuori uso
come una leva su cui
non poteva appoggiarsi. Ami si mise su quel fianco, invitandolo a
pesare su di lei.
Lui non riuscì a protestare. Non riuscì
nemmeno a gemere.
Barcollarono, lenti, fino ai primi metri di sabbia asciutta.
Alexander si lasciò cadere in ginocchio, Ami al suo
fianco.
«Va tutto bene.» Lei gli sostenne il
torso, cercando di prendergli la
testa. «Ora starai meglio.»
Lui chiuse gli occhi, tentando solo di immagazzinare ossigeno.
«La
gamba...»
Ami si staccò e iniziò subito un
massaggio deciso. «Sdraiati!»
Disteso sulla schiena, Alexander subì con le mani
sulla faccia, i denti
stretti.
Come era riuscito a tornare indietro con quel crampo?
«Dimmi quando smettere. Devo portarti
dentro.»
Riuscì ad annuire.
Era distrutto, ma ce l'aveva fatta.
Sulla veranda usciva un tubo per l'acqua, dall'interno della
casa. Lei
lo usò per pulirlo dal sale, mentre lui era ancora disteso
sulla sdraio su
cui era riuscito a trascinarsi.
Alexander riuscì a dire una prima frase sensata.
«Perché mi lavi?»
«Ora torni a dormire.»
Sono le dieci, pensò lui - dieci del mattino. Non
ansimava più, ma si
sentiva debole.
«Riposerai finché non ti sarai ripreso
del tutto.» Con più delicatezza,
Ami lasciò scorrere l'acqua pulita sopra i suoi capelli,
passando la
mano tra le sue ciocche.
Lui rimase con la testa china, finché il getto non
si allontanò.
«Dormirò con la testa bagnata?» God, era
così bello poter scherzare.
«Ci penso io.»
Ami portò un asciugamano sulle sue spalle e gli
massaggiò la testa, con
forza ma senza violenza, per asciugarlo il più fretta
possibile. Era
efficiente e metodica, molto controllata.
«Stai bene?» le domandò lui.
«Voglio vederti riposare su un letto.» Lei
incontrò i suoi occhi. Gli
strinse le spalle. «Solo poi starò bene.»
Si abbracciarono nello stesso momento, stringendosi forte.
My God.
Era quasi morto
davanti ai suoi occhi.
Si mossero a passi incerti verso la camera da letto. Alexander
riuscì a
malapena a levare il costume bagnato prima di crollare sul
materasso.
Con un altro asciugamano Ami continuò a muovere le
dita sui suoi
capelli umidi.
Lui sprofondò nel sonno.
Ami si svegliò con un suono. Si era addormentata.
Beep. Beep. Beep.
Impiegò un momento a identificare l'origine. Il
computer di Mercurio!
Corse verso il salotto, trovando il suo strumento appoggiato
sul
tavolo. La spia di allarme lampeggiava.
Ma cosa-?
Lo aprì. Il computer stava analizzando una figura
sdraiata in quella
stessa casa, in camera da letto.
Ricordando, Ami tornò indietro di corsa.
Per un momento, nella stanza, divise velocemente la propria
attenzione tra
Alexander - che dormiva come lo aveva lasciato, con sopra un lenzuolo -
e il computer, senza comprendere. Spense manualmente il suono di
allarme
e focalizzò la sua attenzione su un numero nello schermo.
Veloce, andò
da Alex e lo toccò sulla fronte, col dorso della mano.
Febbre.
«Alex.» Cercò di svegliarlo.
«Alex.»
Lui aprì le palpebre con un brivido, la fronte
corrucciata. Brontolò di
dolore.
«Hai la febbre alta. Dobbiamo abbassarla.»
«Oh,
damn...»
Lei non lo ascoltò più.
Appoggiò il computer sul tavolo e andò a
recuperare una bacinella d'acqua fredda. Rovistò nello
stanzino delle
pulizie in cerca di una bottiglietta d'alcol.
39 di febbre. Era stato lo sforzo?
O il fatto che lo avesse fatto dormire coi capelli bagnati. Ma
lo aveva
asciugato, e un malessere si sarebbe manifestato prima con un
raffreddore, non con una temperatura tanto alta.
Tornò da Alexander solo dopo aver trovato una
boccetta di antipiretico.
Appena la vide rientrare, lui cercò di sedersi.
«Aspetta, ti
aiuto.»
«Hell...
Che corpo inutile!»
Che sciocchezza. «Sarà la reazione a un
grosso stress fisico.»
Lui si massaggiò la fronte con una mano.
Accettò di malavoglia di
aprire la bocca per una cucchiaiata di sciroppo. Quando
mandò giù, tremò
di nuovo.
Lei imbevette il panno di alcol diluito nell'acqua. Fece
sdraiare di
nuovo Alexander, poi lo inumidì sullo stomaco, sotto le
ascelle, sul
collo. Passò
al retro della nuca. «Dormivo» gli
spiegò. «Il computer mi ha avvertito
che stavi male.»
Si rese conto di un'anomalia: come aveva fatto il calcolatore
a
decidere che quella situazione era pericolosa?
Per un momento Alexander si era irrigidito. A lei non era
sfuggita la
reazione. «Hai impostato tu l'avviso»
capì.
Avrebbe dovuto pensarci lei stessa. Se c'erano avvenimenti
misurabili
che potevano costituire una situazione di rischio, impostare un
avvertimento era un'ottima idea.
Che cosa l'aveva fatta venire in mente a lui?
Alexander bofonchiò. «Quanto ho
di febbre...?»
Lei gli disse il numero. «Ora la facciamo
scendere.»
Lui fece silenzio. Stava troppo male per pensare.
Ami lo fece al posto suo. Dopo molto riflettere, giunse a una
conclusione che non gradì.
Erano le tre del pomeriggio. La febbre era sparita da
più di un'ora e
Alexander stava tentando di mandare giù un piatto di
minestra. Era
disgustosa, troppo calda in estate.
Che giornata da
dimenticare.
Prima la quasi morte per affogamento, poi la febbre. Le sue sfortune si
erano concentrate in meno di dodici ore.
Ami era seduta davanti a lui sul tavolo. Era silenziosa,
meditava.
Lui immaginava che lo attendesse un discorso sull'imprudenza
di nuotare
a stomaco pieno. Non aveva voglia di sentirlo: aveva già
ricevuto la sua
punizione.
Il mini-computer di Mercurio era appoggiato su un lato del
tavolo. Ami
lo trascinò verso di sé, piano, con le dita.
«Hai messo l'avviso per la febbre perché
temevi il ripetersi di un
episodio acuto.»
... damn it.
Di
tutte le possibili cose che
aveva fatto, proprio quella doveva tornare a tormentarlo, dopo tutti
quei mesi?
Sospirò. «Ho mal di testa.»
Ami non lo ascoltò. «Non hai bisogno di
avvisarmi col computer per una
febbre generica, che ti consente di alzare un telefono per
chiamarmi.»
«Ami...»
Lei lo scrutava. «Temevi che ti sarebbe venuto un
attacco come quello
di gennaio. Dopo la guerra con gli alieni.»
Lui sforzò il cervello. «Era solo una
precauzione.»
«Pensavamo fosse meningite. Poi in Italia abbiamo
visto che al tuo
corpo stava succedendo qualcosa, in relazione al mio potere.
Perciò i
due fenomeni potevano essere collegati.»
Lui non si era ancora ripreso a sufficienza da anticipare quel
flusso di
pensieri.
Ami andrò dritta al punto. «Hai settato
l'avviso per una ragione. Hai
avuto altri attacchi?»
Lui fissò la minestra.
Lei attese.
«Due.»
Ami chiuse gli occhi, assorbendo la notizia.
«Uno proprio in Italia» chiarì
lui. «È successo velocemente, non sono
stato davvero male.»
Lei era infelice. «Perché non me l'hai
detto?»
Alexander ignorò la domanda. «Il secondo
l'ho
avuto a marzo. Pensavo fosse
una febbre qualunque, ma ero con te e ho potuto controllare nel
computer.»
Ami cercò di ricordare.
«Dormivi» precisò lui.
«E in quel caso la mia febbre non è andata
oltre i trentotto gradi.»
Lei voleva capire. «Perché hai pensato
che fosse collegato agli altri
episodi?»
Per un attimo Alexander si chiese se doveva fornirle i
dettagli. Ma ora
che Ami
sapeva, non avrebbe accettato niente di meno che la totale
verità.
«Sentivo una fitta alla testa. Come la prima volta.»
Lei strinse le labbra. «E qualche ora fa?»
Ne aveva percepita una anche in quel momento, ma la sensazione
era già
svanita.
Probabilmente la febbre si era scatenata perché
c'era stata di nuovo
una forte connessione col potere di lei, In acqua aveva percepito
l'inizio del processo di teletrasporto, come quando, nell'inverno
precedente, si era trovato in balia di un terremoto. Inoltre,
più ci
pensava, più era chiaro che per tirarlo fuori dal mare Ami
aveva usato
una forza che andava oltre le proprie capacità umane. Era
ricorsa
al potere di
Mercurio, anche se non si era trasformata. Questo doveva averlo
influenzato.
Erano gli effetti collaterali del legame di potere che si
andava a
formare tra loro - ykèos, secondo gli alieni.
Ami non lo stava più guardando. Aveva intuito la
risposta che cercava
dal suo silenzio. Ora fissava la parete, riflettendo.
Oberato, Alexander decise di mandare giù quello che
restava della
propria minestra. Tanto, boccone amaro in più o in meno...
Con clemenza, Ami gli lasciò una decina di minuti
per pensare.
Osservandola in faccia lui capì che lei era
arrivata a una conclusione
che li avrebbe fatti discutere. «Cosa vuoi dirmi?»
«Hai cercato di nascondermi che il mio potere poteva
danneggiarti.»
No. Ma aveva temuto che lei riassumesse la questione
in quel
modo. «Sono solo un paio di febbriciattole.»
«Di cui non hai voluto dirmi nulla.»
«Perché tu esageri. Lo avresti preso come
un motivo per-... per dire
che mi stavi causando qualcosa che non dovevi.»
«Non mi preoccupa la febbre.» Ami si fece
dura. «Sarà un tentativo da
parte del tuo corpo di trovare un equilibrio a fronte del mio potere
che
tenta di... di toccarti, modificarti. Mamoru potrebbe aiutarci a
contenere gli attacchi, finché non spariranno. Ma se sarai
ancora
esposto al mio pianeta, gli effetti sul tuo fisico potrebbero diventare
permanenti.»
Lui ne era consapevole. «Perché
è un
problema?»
Lei si arrabbiò. «Perché
è per
sempre, Alex. Poi non potrai più tornare
indietro.»
Incredibile. «Un tempo non dicevi che sarebbe stato
un bene se un
giorno fossi potuto diventare come te? Millenario? L'idea ti faceva felice.»
Lei si risentì. «È ancora
così.»
«Allora perché stai
protestando?»
La mancata risposta confermò tutto quello che lui
aveva
temuto. Non si
permise di aprire bocca: non avrebbe detto cose buone.
Ami cambiò espressione. Distese il viso, lasciando
trasparire dolore e
pentimento. «Mi dispiace. Oggi non dovevo parlare di queste
cose.»
In cuor suo Alexander sapeva perché lei stava
cedendo.
Ami stava rimandando
la discussione perché voleva fargli un discorso importante,
che lo
avrebbe mandato su tutte le furie.
Testarda. E stupida - sì, stupida, dannazione!
Lasciò andare la rabbia solo perché non
aveva le forze per alimentarla.
E, damn it,
voleva a sua volta
un altro po' di serenità. Voleva la Ami che era disposta a
fare di tutto
per stare con lui.
Lei gli risollevò l'umore colmando la distanza tra
loro. Lo abbracciò
forte, chinandosi per baciarlo. «Sono felice di averti ancora
con me.
Dopo stamattina, e la febbre... Voglio pensare solo a farti stare
bene.»
Lui si sentì per metà sanato.
Annuì, accettando la tregua.
In camera si lasciò accarezzare la testa, la
schiena, mentre Ami lo
abbracciava.
Per tacito accordo, per il resto del giorno parlarono a stento.
Il mare che si era quasi portato via il suo Alexander era blu
scuro,
lucente sotto i raggi del sole. Di mattina era una striscia lunga e
immensa, da cui lui non aveva avuto niente da temere per tutta la sua
infanzia.
Era solo il secondo anno che Ami visitava quella casa. Ci
sarebbe
tornata mai più?
Quasi sicuramente la
venderanno. E anche se
non lo facessero...
Non proseguì col pensiero. Non era quello il punto.
Non doveva per
forza finire male. Lei doveva solamente fare ciò che era
meglio per la
persona che amava.
Ci aveva riflettuto per tanto tempo. Aveva cercato di essere
ottimista,
di non concentrarsi sulle ipotesi più negative. Ma non si
trattava più
di libera scelta - per tutti e due - se il suo potere stava decidendo
al
posto loro, secondo suoi tempi.
Attese che terminassero la colazione prima di iniziare il
discorso con
lui. Non si stupì che Alexander non avesse voglia di nuotare
quel
giorno.
«Facciamo una passeggiata?» gli propose.
Lui si voltò a guardarla e annuì,
distante. Aveva intuito, già dal
giorno precedente, la direzione generale dei suoi pensieri. Tuttavia
Ami
dubitava che fosse preparato alla sua proposta.
Camminarono sulla battigia, scalzi, il sole non ancora
abbastanza alto
da scottare la pelle.
Alexander parlò per primo. «Mi
riabituerò all'acqua con la piscina.»
Lei annuì.
«Non mi era mai venuto un crampo mentre
nuotavo.»
«È stato un caso. Magari a causa del poco
allenamento.»
Lui guardava l'orizzonte. «...
Già.»
A un centinaio di metri dalla casa, Ami decise di affrontare
la
questione. «Alex... Ho pensato molto in queste
settimane.»
Cercò una reazione, ma lui era impassibile. Fissava
il mare, dandole la
schiena.
«Andare in America sarà una bella
esperienza per te.»
«Dovrebbe.»
Lei si preparò a gestire altra ostilità.
«Questa sarà l'ultima volta
che ci separeremo. Per anni.»
Vide un momento di confusione.
«Se... se faremo tutto come abbiamo programmato, al
tuo ritorno
prenderemo impegni duraturi tra noi.»
Lui accennò a dire qualcosa, poi si
zittì.
Dopo un momento di attesa, Ami continuò.
«Io non voglio che questo
costituisca un limite. Dovremmo decidere di stare insieme per sempre se
è la cosa che ci sembra giusta adesso. In questo anno,
voglio dire. Se
qualunque situazione che viviamo ci farà pensare che invece
vogliamo
rimandare decisioni importanti...»
«Stai parlando di me, o di qualcosa che vuoi
tu?»
Con la risposta non lo avrebbe calmato. «Voglio che
arriviamo ai
prossimi passi con piena consapevolezza. Sarà giusto
compierli solo se
tutti e due saremo davvero certi che-»
«Io ne sono certo.»
Sì. Ma erano ancora tante le esperienze che lui non
aveva provato,
nonché le cose che poteva imparare di se stesso, col tempo.
Specie se
era da solo, lontano da lei.
Le venne un magone. «I love you.
Ma credo che amarti, ora, significhi lasciarti il tempo di
riflettere.»
Lui emise un sospiro sarcastico. «Che significa? Mi
chiamerai solo una
volta alla settimana?»
Era ancora troppo spesso. «Ti tornerei in mente
proprio come se fossi
lì con te. Penso che... non sentirci fino a che non torni
sarebbe una
buona...» Non terminò.
Alexander si era voltato a guardarla. Era
sgomento.
Dalla costernazione lui passò alla rabbia.
«Per quattro
mesi?!»
Per tre mesi e ventidue giorni. «Non
cambierà niente se...» Di nuovo,
non finì.
Non lo aveva mai visto tanto adirato.
«Stai cercando di mettermi alla prova?!»
«No! Quattro mesi in mille anni non sono niente! Ma
possono significare
tanto adesso, se standomi lontano, a mente lucida, a te vengono dei
dubbi che-»
Lui era sempre più incredulo. «Quindi non
sarei capace di pensare
con te vicino?»
«Alex...»
Infuriato, lui si voltò, iniziando ad andarsene. Si
bloccò e tornò
indietro, puntandola con un dito. «Sei tu
che hai dei
dubbi!»
Lei scosse veloce la testa.
«Non dire a te stessa che lo fai per me! Sai cosa
voglio io!»
Doveva fargli capire! «Per amore faremmo di tutto!
Ci fa dimenticare
ogni cosa! E se tra qualche anno tu ci ripensassi? Se te ne
pentissi?»
Gli sfuggì un suono inconsulto. «Vedi che
non sei sicura di quello che prometto?! Non mi credi!»
Lei gli credeva invece, per questo aveva paura. «Non
possiamo sapere
come cambieremo, Alex.»
Lui stringeva i denti. «Continui a dire 'noi'.
Quindi non solo non sei
sicura di quello che provo io, ma sei incerta anche su quello che provi
tu.»
«NO!» gridò lei. «Io
voglio solo smettere di opprimerti! Ti ho
costretto a pensare a una famiglia quando non eravamo ancora pronti.
Anche adesso stiamo facendo progetti su questo solo a causa di
ciò che
sono, altrimenti... Altrimenti sarebbe una cosa che rimanderemmo per
anni!» Soffocò un singhiozzo. «Non
è giusto che ti costringa a farlo
ora. Te le ricordo ogni giorno con la mia presenza. Se... se non avrai
cambiato idea dopo essere stato lontano, dopo aver vissuto la vita che
volevi prima di incontrarmi, allora...»
«E per questo sei disposta a non sentirci per tutto
questo tempo.»
La nota di rassegnazione la zittì.
Alexander emise un sospiro amaro.
«Sai come suona questo, Ami? Come la volta che mi
hai lasciato due anni
fa. Quando hai deciso che per non soffrire in futuro era meglio
smettere di
vederci subito.»
Il senso di colpa la attanagliò.
Cercò qualcosa da dire, ma Alexander si era
allontanato a passi larghi,
lasciandola sola sulla spiaggia.
Quattro mesi di silenzio?
Alexander si sentiva... cheated,
tradito. La ragazza che amava non poteva stargli lontana per tanto
tempo.
Passò due ore a cercare argomentazioni che
potessero convincerla
dell'assurdità del suo proposito, poi realizzò di
essere... stufo.
Ami si
permetteva di usare la logica per decidere la direzione della loro
relazione, quando lui non poteva nemmeno immaginare, concepire, di
limitare con un ragionamento quello che provava per lei.
«C'è un un'unica cosa che ho capito di
quello che hai detto.»
Trovandoselo alle spalle, Ami saltò in piedi sul
divano. Lo aveva
aspettato fuori dalla stanza in cui lui si era chiuso.
«Io non riesco a resistere quattro mesi senza di te,
Ami. Tu sì.»
Lei scosse piano la testa, in agonia.
Se l'era cercata. «È una tortura che hai
deciso da sola. Non mi
interessa lo scopo, questi sono i fatti.» E gli facevano male.
Ami deglutì. «La prima volta che ho fatto
l'errore di lasciarti è stato
solo in parte per te.»
Non era più interessato ad ascoltare quel tipo di
spiegazioni.
«Non ti conoscevo abbastanza e avevo paura di quanto
avrei sofferto
quando tu avessi scoperto la verità. Ero terrorizzata al
pensiero che non
mi avresti accettato. Ma ora ti conosco e sto pensando a te. Se facessi
come voglio io...»
Lui aspettò di sentirglielo dire. Voleva sentirlo
ripetere dalla sua
voce.
Ma Ami si rifiutò di continuare.
«È perché sono sicura di quello che
provo che non temo l'attesa.»
Lei non stava nemmeno facendo lo sforzo di capirlo.
«Però per me è un
problema. Non puoi fare questa scelta da sola.»
«Infatti vorrei che tu fossi d'accordo.»
Lui non aveva pensato di potersi arrabbiare di più,
ma
per come la stava
mettendo lei, quella non era una vera richiesta. «E se alla
fine non
sarò d'accordo, farai ugualmente come hai deciso?»
Lei strinse gli occhi, gravata. «Prima vorrei
parlarne.»
Come risposta non era soddisfacente. «Devi dirmi
cosa farai se non
accetto la tua soluzione.»
Ami non disse nulla.
Il silenzio fu esaustivo, tombale.
L'ostinazione di lei era cieca.
Non stava considerando affatto ciò che voleva lui.
Quell'atteggiamento era il
contrario
dell'amore.
Alexander sentì crescere un buco nel petto.
«Mi chiedo cosa faresti se
ottenessi davvero di allontanarmi.»
Lei perse colore in viso.
Ferirla lo rese felice. Detestò la sensazione.
«Non so come fare» mormorò lei.
Straziato, lui ascoltò.
«Non so come dimostrarti quanto tengo a te, per non
farti stare male,
quando adesso è altrettanto importante che non continui a
parlarti di
sentimenti e promesse eterne che... Lo scopo della distanza
è non
legarti.»
Solo udire un singhiozzo gli permise di non scoppiare.
Perché lei era
tanto masochista?
«Non siamo
ancora distanti.» Anche se quel suo modo di fare proprio ora
creava una
distanza tra loro.
Solo vederla tremante, che si tratteneva dal gettarsi in
avanti a
toccarlo, gli diede un minimo di stabilità.
Ami deglutì. «Sapevo che dopo averti
fatto questo discorso avrei
dovuto...»
Cosa? Comportarsi di conseguenza, con coerenza?
Lei chinò la testa. «Per questo volevo
rimandarlo all'ultima
settimana.»
Alexander cercò di non vedere rosso, concentrandosi
sulla parte buona
della confessione. «Volevi rimandare perché vuoi
che le cose non
cambino.»
Per favore, di'
di sì.
Ami perse tensione nelle spalle. «Certo.»
Lui si sentì talmente sollevato che si
arrabbiò. Perché si stava
accontentando di una briciola? Ami non stava cambiando idea, nemmeno
gli
stava parlando in totale sincerità, perché aveva
già deciso di
contenersi - per seguire il suo folle piano.
Rimase in silenzio, aspettando, sperando, inutilmente.
Qualunque cosa la bloccasse, lei avrebbe dovuto liberarsene -
per lui,
per farlo felice!
Perché era disposta a ferirlo pur di rimanere
ancorata ai propri timori?
Lui avrebbe spostato il mondo per lei. Non gli importava nulla del buon
senso, della ragione... Si era sentito amato sopra ogni cosa,
dannazione, e ora non più. Era ridicolo, perché
dentro di sé sapeva
la verità, sentiva che ...
La raggiunse in due passi e la afferrò per un
polso, trascinandola via.
Il gemito di sorpresa non lo fermò.
Si voltò solo quando furono in camera, tenendola
per le spalle. «Visto
che non mi vuoi ascoltare, io non ascolterò più
te.» Le afferrò la testa, soffocando
le sue parole con la
bocca.
Si sentì violento quando la costrinse a rimanere
ferma, poi disperato
nell'istante stesso in cui fu sul punto di cedere, lasciandola andare.
Ma Ami si arrese per prima, iniziando a piangere.
Alexander andò a baciarle le guance umide,
sentendosi ricambiare.
Spiegami, per
favore.
Doveva
capire. Doveva trovare
un senso a
quella pazzia.
La circondò con le braccia, massaggiandole forte la
schiena, la testa.
Cosa avrebbe dovuto sperimentare lui in America? Cosa doveva
ancora
decidere? Perché doveva cambiare idea su loro due, nel
futuro?
Cercò
di parlare, ma Ami
cercava piccoli baci morbidi, consolatori. Lui glieli offrì
per istinto,
poi si rese conto che lei non stava chiedendo, stava dando. Si
sentì riempire di impeto. La afferrò sotto le
natiche,
sollevandola. La cooperazione,
la totale mancanza di resistenza, lo colmarono di felicità.
This.
Era questo che voleva.
Lui e lei senza limiti di tempo, di spazio, di raziocinio.
Non dovrei
andare via. Dovrei
restare.
Fu un pensiero così sbagliato che cercò
di eliminarlo.
Ami aveva toccato il materasso con la schiena. Si
spostò per sistemarsi
e incrociò i suoi occhi. Schiacciò la fronte
contro la sua. «Non vorrei
mai ferirti, per nessun motivo. Perdonami.»
Gli aveva fatto così male sentirsi attaccato da lei
che
volle solo scordare
tutta quella giornata. Volle tornare a sentire la Ami che lo
amava almeno quanto lui
amava
lei.
Anche meno, non
importa. Basta che tu
non possa stare senza di me.
E lei era quella Ami - che lo spogliava, lo baciava e si
lasciava
toccare ovunque. Lo era sempre, anche quando concepiva quella proposta
assurda, così inaccettabile...
Per punirla le tormentò il seno, lo stomaco. Aveva
tra le braccia la
ragazza che gli aveva permesso lentamente, inesorabilmente, ogni tipo
di
intimità - solo perché era lui, perché
era unico per lei.
Posò la bocca aperta sul suo pube, leccando l'apice
delle sue pieghe di carne,
dischiudendole. Sentì i fianchi di lei che si sollevavano,
agitandosi
per la sorpresa, per le troppe sensazioni. Lui le alimentò
con
un altro
piccolo strofinio di lingua, godendosi il tremito che Ami concesse a se
stessa, a entrambi, stringendogli i capelli tra le dita.
Mi mancherai,
ti mancherò.
Per farglielo ricordare usò su di lei le labbra,
l'intera bocca, con
pazienza e molto impegno. Si adoperò per stimolare l'uscita
del suo
liquido salato, scivoloso e dolce, con cui bagnare ogni lembo di pelle
soffice tra le sue gambe.
Ami era preda di brividi continui, di sussulti. Lui si
assicurò di
poterla vedere mentre lei non era più in grado di
controllarsi.
Non era mai stata più tenera e sensuale, deliziosa
in ogni senso, del
momento in cui abbandonò ogni pudore scomponendosi nei
movimenti, le
palpebre serrate e la voce spezzata, mentre col bacino assecondava i
suoi assaggi - senza più ritmo, guidata solo dagli spasmi.
Stava arrossendo sul petto - un effetto del piacere provato -
la stessa
Ami che era avvampata all'idea di un bacio innocente sul collo. In quel
momento lei sfiorava inconsciamente proprio quello, col dorso delle
dita.
Lui la accarezzò sul ventre, risalendo coi baci
dall'ombelico fino alle
clavicole.
È
così sbagliato volermi perdere qui?
Ami gli prese il viso tra le mani, cercando un bacio lungo,
intenso. Si
spostò quando lui cercò di pesarle sopra,
mettendosi su un fianco e
sovrastandolo. Appoggiato contro lo schienale del letto, Alexander fu
ancora più certo di tutto quello che aveva pensato.
L'avrebbe amata per il resto della sua vita. Lei era l'unica
persona
che lo faceva sentire così vivo, così completo.
Ami si incastrò con lui, poi sussultò e
si tirò subito su, allungandosi
di lato, sul comodino. Alexander la aiutò a recuperare il
preservativo.
Lo infilarono di fretta, insieme, per tornare a essere uniti come
agognavano.
Tornando ad averlo in sé, Ami lo
abbracciò. Rimase ferma, adagiata
contro il suo petto, stringendolo.
Lui capì. Non
essere sciocca. Appoggiò
il viso al suo. Non ci
sarà mai
un'ultima volta.
Ami iniziò a ondeggiare come aveva imparato - per
istinto e da lui -
fino a offrirgli quanto di meglio poteva dargli in quel momento.
Certezze.
Al termine, chetati, riposarono.
Senza che si fossero scambiati una sola altra parola,
Alexander ne
aveva sentite molte da lei. Eppure, Ami non aveva ancora cambiato idea.
«Spiegami» le chiese. Era deciso a capire,
ora che
si era calmato.
Ami si sollevò, per smettere di avvolgerlo
col proprio corpo,
forse per non distrarlo. O magari per iniziare a distanziarsi, ma non
era più il primo pensiero che lui voleva avere.
«Erano cose che pensavo già da tempo. Ma
ho preso questa decisione solo
quando ho saputo dell'influenza del mio potere su di te.»
... almeno era sincera. Era una decisione, non una proposta.
Lei non aveva intenzione di rivedere il
suo
proposito.
«A causa del fatto che diventerebbe un vincolo
potenzialmente eterno?»
«Sì.»
Lui provò a seguire il ragionamento. «Di
cosa dovrei pentirmi, Ami?»
Lei appoggiò le mani sulle sue spalle,
allontanandosi per guardarlo
meglio. «Non credo che le cose che posso immaginare
completino la
lista.»
Era un modo così tragico di esporre la questione,
da risultare
desolatamente comico.
Ma lei non si stava divertendo. «Per esempio... Se
in America tu scoprissi che non vuoi
aspettare per
lavorare alla Nasa, come sognavi? So che avresti tempo, con me -
tantissimo - ma l'attesa potrebbe generarti frustrazione. È
più normale
che una persona della nostra età sia pronta a studiare che
a...»
Sposarsi. Mettere su famiglia.
Se solo fossero rimasti ai tempi in cui lei era ancora capace
di
dire, 'Un
giorno voglio che ci sia un Adam.'
Ami proseguì. «Magari non sarà
nemmeno questo. Al MIT potresti scoprire
che la tua passione è un'altra. Forse avrai voglia
esplorarla subito.
Non sappiamo nemmeno quanto tempo ci vorrà per tornare a
essere persone
normali in qualcosa. Parliamo di dieci anni come minimo. Forse venti.
Trenta.»
Era tanto tempo, sì. Non era un'idea che lui
trovava
completamente
piacevole.
«Non ti sto chiedendo di mettere da parte un futuro
insieme, Alex.
Penso solo che, con una pausa, sarebbe più facile
focalizzare
tutte quelle cose che un giorno potrebbero sembrarti grandi
limitazioni.»
Lei aveva un modo unico di rivoltargli l'animo. «Una
pausa?»
Ami ebbe un'esitazione. «Nel sentirci.»
«Quindi non una pausa nella nostra
relazione.»
Non capiva nemmeno come potessero fare un discorso simile
mentre erano
ancora nudi, semi-abbracciati.
Il silenzio quasi lo uccise.
Lei chinò la testa. «È un
periodo breve che non cambierà nulla se per
noi non cambierà niente.»
Lui riuscì a mantenersi calmo solo
perché
poté stringerle le mani. «Dimmi
che parli così solo per... coerenza e
completezza.» Nella testa di lei,
quel periodo di silenzio doveva significare dargli la
possibilità di
riflettere e
cambiare idea sul loro futuro, perciò bisognava prendere in
considerazione la possibilità che lui non volesse
più tornare a essere
una coppia con lei, dopo.
Ami aprì i palmi tra le sue mani, incrociando le
loro dita. «Mi fa male
dire queste cose. Non è una proposta che avrei scelto di
farti se ormai
non fosse necessaria. Quindi... non posso agire a metà. Non
posso da una
parte dirti di andare, perché questo è l'ultimo
periodo in cui potrai
fare scelte completamente autonome e libere, e poi giocare a tenerti
stretto a me, ricordandoti che sarò qui ad aspettarti.
Sarebbe ingiusto.
Il silenzio a quel punto sarebbe persino crudele. Potrei semplicemente
chiamarti tutti i giorni come avevo intenzione di fare all'inizio. Per
come ti conosco, ti terrei legato nello stesso modo.»
Era un ragionamento sensato, almeno nella testa di lei. Eppure
andare
via, senza nessuna promessa, era un'idea che generava in lui... paura?
Inquietudine.
Sentì che era qualcosa che aveva bisogno di capire
su se stesso.
Ami lo guardava negli occhi. «Ci penserai?»
Solo a una condizione. «Voglio che anche tu pensi al
motivo per cui mi
stai facendo questa richiesta.» Chiarì, prima di
sentirla protestare.
«Potresti trovare argomentazioni
valide anche per l'idea che siamo pronti già adesso a
restare insieme.
Invece hai scelto di focalizzarti sulla tesi opposta. Voglio che ti
domandi il motivo.»
Interdetta, Ami annuì. Si scostò,
sedendosi accanto a lui. «Lo farò.»
Bene. E adesso lei non doveva prendere male una sua decisione.
Non
nasceva da una volontà di ripicca. «Ho bisogno di
tempo per pensare a
queste cose. Visto che sarà una separazione lunga, un
assaggio mi
aiuterà a capire se posso sopportarla.»
Vedere la reazione di Ami lo aiutò a capire
maggiormente: lei era
affranta, ma determinata a non mostrarlo. Voleva sopportare con
rassegnazione. «È giusto.»
... testarda.
Non dissero più nulla.
Lui aveva bisogno di qualcosa prima di entrare in quel periodo
di
penitenza. «Ami love.»
Lei raddrizzò la testa.
«Ricordami come mi chiameresti, se tutto questo
problema non
esistesse.»
Lei si sciolse in un pozzo di serenità, prezioso
per quanto era
effimero. «My love. My only love.»
Unirono i visi, sfiorandosi con un bacio. Poi lui si
alzò e si rivestì.
Tornarono a Tokyo senza discutere ulteriormente di quella
situazione, per
l'impegno che avevano preso.
Ami era devastata, ma non pentita. Si sentiva come se avesse
commesso
l'errore più grande della sua esistenza, eppure non avrebbe
potuto
comportarsi diversamente: non avrebbe amato davvero Alexander se avesse
fatto di tutto per tenerlo legato a sé, pur sapendo che in
quel modo
poteva rovinarlo. Impedirgli
di inseguire sogni che lui non sapeva ancora di avere non era altro che
quello.
Finché c'era stata la possibilità per
Alex di tornare indietro, aveva
avuto un senso aspettare e vedere come andavano le cose tra loro.
Secondo lei erano perfette, ma se non gli dava quell'unica
preziosissima
possibilità di riflettere sulle scelte che stava compiendo,
lui
non l'avrebbe mai più avuta - non alle attuali condizioni.
Non si facevano passi indietro facilmente quando c'era una
famiglia,
quando c'era un bambino. Fosse stato solo quello, poi. Alex non sarebbe
potuto tornare a condurre una vita normale con semplicità,
una volta che
si fosse legato a una persona universalmente nota come guerriera
Sailor.
Se stando al MIT cambiava idea su tutto, era quello il momento
giusto
per uscire da quella situazione e dalla loro relazione.
L'idea non le generava dei brividi. Era
un'eventualità così assurda da
causarle solo un vuoto dentro il cervello, nel cuore, una sensazione
di... silenzio assoluto.
Potrebbe
lasciarmi.
Lei lo stava persino spingendo in quella direzione col proprio
atteggiamento, ma... ma...
E se andasse
via davvero?
Probabilmente lei avrebbe pianto per il resto dei suoi giorni.
Non
sarebbe mai più stata intera.
Tuttavia, non era in suo potere convincerlo a restare. Se lui
sceglieva
di andare, significava che prima o poi sarebbe finita comunque - che il
suo amore era stato fortissimo, ma confinato a quei pochi anni, alla
loro giovinezza.
Perché ci ragionava su in quel modo, come pensando
a un estraneo? Era Alexander. Era il suo amore. Lui avrebbe
dato la vita per
stare con
lei.
Io ci credo,
non finirà.
Aveva finito col riflettere, più e più
volte, sulla domanda che lui le
aveva posto.
Perché aveva scelto di concentrarsi sulla
possibilità che lui non fosse
felice con lei, in futuro? Lo aveva fatto prima di sapere quanto era
stato vicino un possibile punto di non ritorno.
Erano... paure. Da dove uscivano?
Dalle probabilità, si rispondeva. Erano tante le
persone che si
pentivano di decisioni importanti prese da giovani - statisticamente,
il
cervello terminava di maturare solo intorno ai venti, venticinque
anni. Era vero che le loro circostanze li avevano resi
più maturi della loro
età, ma era arrogante pensare che solo per questo avessero
l'esperienza di vita di un adulto formato. Lei aveva sentito troppe
storie di persone che avevano rinnegato completamente scelte del
passato, parlando di come la maturità acquisita avesse fatto
loro capire
la portata dei loro errori. Non voleva che Alexander fosse uno di loro,
un giorno.
Dando per assodato che loro due erano ancora immaturi, c'erano
comunque
altrettante esperienze di coppie che avevano superato una vita insieme
pur conoscendosi da giovanissimi, nonostante i molti problemi
incontrati
nel percorso. Non era tutta una questione di ragionamenti, di calcoli.
Era fondamentale la volontà.
“Tu non mi credi!” era stata l'accusa di
lui.
Era davvero così?
C'erano momenti in cui Ami percepiva, sapeva, che Alexander
provava
sentimenti forti quanto i suoi. Quando stava con lui non aveva dubbi.
Leggeva nella sua mente come lui leggeva in quella di lei. Si capivano
su ogni cosa, era una comunione di pensieri assoluta.
Era la distanza a farle mettere in prospettiva la situazione,
normalizzandola. Lui poteva essere sicuro solo di quello che provava al
momento, come chiunque. Non c'era sentimento che non si affievolisse
col
tempo, che non cambiasse. Seguendo quella logica, anche quello che
provava lei poteva mutare con gli anni.
“Sei tu che hai dei dubbi!”
No. Quello che lei sentiva non era comune, era diverso.
O forse lo era solo nella sua testa, ma sapeva che il modo
in cui
amava Alexander non poteva diminuire. Conosceva la maniera in cui lo
amava adesso e non aveva idea di come lo avrebbe amato un giorno -
poiché potevano cambiare entrambi - ma non avrebbe mai
potuto
dimenticare il tempo trascorso insieme e tutto ciò che li
aveva legati.
Pertanto, poteva solo amarlo di più in futuro: ogni singolo
cambiamento che lui
aveva manifestato era stato solo un motivo per lei di tenere di
più a lui.
Conosceva la parte più intima e profonda del suo
ragazzo -
erano complementari,
in sintonia assoluta. Non potevano rivoluzionarsi fino a cancellare
l'essenza di sé. E anche se fosse successo, tra secoli, si
sarebbero
accompagnati a vicenda nel percorso di trasformazione. Erano leali,
attenti, desiderosi di farsi del bene a vicenda.
... se era tutto così perfetto, se conosceva
Alexander e la loro
relazione a tal punto, perché prendeva in considerazione la
possibilità
che lui cambiasse fino a pentirsi di essere rimasto con lei?
Perché
non sono onnisciente e devo
essere umile. Anche
io sono solo una ragazzina innamorata.
Le
sue assolute certezze potevano essere illusioni. Lei ci
credeva così tanto che le avrebbe rese reali. Era pronta a
scommettere la sua esistenza su quello che provava, ma... non poteva
chiedere ad Alexander di fare la stessa cosa. Non finché lui
non ne fosse stato
ragionevolmente più sicuro.
Smise di mandare avanti il ragionamento, provando ad
ascoltarsi da
sola.
I suoi pensieri avevano proprio il sapore dei dubbi.
Per lei era normale averli quando desiderava troppo qualcosa.
Sperare
di essere amati non sempre portava a dei buoni risultati e... sembrava
irreale essere tanto importante per un'altra persona - anche se si
trattava di Alexander.
Comunque, amore era pazienza, abnegazione. Era mettere chi
amava prima
del più forte desiderio personale che aveva. Non era
importante quanto
lei volesse avere Alexander vicino: se questo non era sufficiente a
rendere
più
giusta la vita di lui, doveva lasciarlo andare.
Stava ad Alex deciderlo. Solo lui poteva sapere cosa
voleva. Lei
non avrebbe sfruttato la sua debolezza - il desiderio di farla felice -
contro di lui.
Devo darti
più di quanto prenda da
te.
Per la verità, aveva l'impressione di aver preteso
molto da lui
nell'ultimo anno e mezzo. Per questo era giunto il momento di
ricambiare.
A qualunque costo, a qualunque prezzo.
Nei primi giorni, Alexander aveva faticato a riflettere. Si
era
concesso di penare: in fondo, sarebbe stata la sua condizione
permanente
in America, se andava via da Tokyo accettando la decisione di Ami.
Una pausa.
Non importava quale fosse lo scopo, per lui era un termine
odioso.
Una pausa, innanzitutto, significava la libertà di
inseguire altre
relazioni. Ami non lo avrebbe mai fatto, ma la sola idea che lei
potesse
lasciarsi avvicinare da qualcun altro, immaginando che altrove lui
stesse facendo lo stesso...
Aveva faticato a non far ribollire il sangue.
Una pausa significava anche sentirsi abbandonati.
Su quel concetto aveva meditato molto.
Grazie all'ultima discussione con Ami, aveva dato una forma
più chiara
alla dipendenza che aveva da lei - una condizione che aveva accertato
già da tempo.
Amami anche
meno di quanto ti amo io,
aveva pensato. Purché
tu non possa
stare senza di me.
... perché quel bisogno di sentirsi necessario per
lei? Perché gli
faceva male pensare che Ami potesse sopravvivere in pace senza di lui?
Per logica, temeva sensazioni che aveva già
provato. Con fastidio,
aveva cercato di ricordare quando si era sentito in quel modo. Qual era
l'origine di quella paura?
“La mamma va a fare compere.” In un
ricordo, sua madre Eve, con un
sorriso gentile, nervoso, si muoveva rapida verso la porta,
sfuggendogli. “Gioca con Nanny Shoko.”
Lui si era risentito, perché voleva sua madre, ma
lei non desiderava
mai restare con lui.
“Magari ti ci porta papà.”
Sempre sua madre, e un'altra bugia, in un
nuovo sfuggente ricordo. Suo padre Michael non voleva avere a che fare
con lui, ancora meno di lei. Quando non era occupato a lavorare, andava
a cenare con amici, assieme a sua madre. E lui restava a casa da solo,
con la tata del giorno - quando ancora non c'era Nanny Shoko.
Aveva in mente un episodio specifico, che ricordava da sempre.
Gli era
rimasto stampato in testa come emblema dell'atteggiamento dei suoi
genitori nei suoi confronti.
Era un bambino, di cinque o sei anni. Era sera. Si era tolto
il pigiama
che gli avevano messo, cercando nell' armadio i vestiti eleganti, per
uscire assieme ai suoi genitori. Voleva accompagnarli, non
voleva
più essere lasciato indietro. Li aveva sorpresi sulla porta,
raggiungendoli.
Sua madre era stata fiera di lui. “Che bravo, ti sei
vestito da solo?
Sei così carino!”
Alexander si era goduto i complimenti. Era stato felice
finché non
aveva visto il sorriso condiscendente di suo padre - un sorriso che lo
scherniva, che già negava.
“Okay, ma ora torna a dormire.”
“Io voglio venire con voi!”
"No, è una cosa da grandi. Va' a letto.”
Sua madre non lo aveva supportato per nulla. Gli aveva offerto
una
scrollata di spalle graziosa - faceva sempre così, come se
non fosse mai
colpa sua. “Su, va' a sentire la favola
della tata.”
Alexander si era messo a piangere. Loro erano usciti dalla
porta, senza tornare indietro.
Avevano preso per un capriccio un desiderio serio, disdegnando
l'unica
volta che lui aveva avuto il coraggio di opporsi ai loro continui
abbandoni.
La sensazione di esclusione era stata assoluta nella sua testa
di
bambino.
Non voglio mai
più sentirmi così.
Con Ami aveva scelto una persona cresciuta in condizioni non
troppo
diverse dalle sue, a cui poteva dare l'affetto che lui stesso aveva
desiderato.
Si sentiva così bene quando riusciva a sanare in
lei quel vuoto. Ami
faceva lo stesso per lui. Eppure, adesso gli diceva che poteva andare
avanti
anche senza la sua presenza.
... per lui era diverso. Traumi d'infanzia a parte, aveva
bisogno di un
legame presente, continuo.
Naturalmente in quattro mesi non sarebbe cambiato nulla tra
loro -
nemmeno mille anni avrebbero spento quello che provava per lei -
ma...
era una sofferenza immane separarsi in quel modo. Se poi Ami lo stava
facendo davvero per lui, per dargli una scelta, era una cosa
assolutamente inutile.
Lei probabilmente aveva sfogliato i depliant del MIT - un suo
discorso
glielo aveva fatto pensare. Anche lui li aveva letti e si era riempito
la testa di sogni. Non limitava la propria immaginazione alla
possibilità di
frequentare la migliore delle università. Sarebbe diventato
il compagno
di una guerriera Sailor e, poiché era una condizione con
oneri e grossi
limiti, era pronto a sfruttarne tutti i vantaggi, a tempo debito.
Appena ne avesse avuto la possibilità, si sarebbe
specializzato in
tutte le branche di sue interesse. Avrebbe avuto un'infinità
di anni a
disposizione per farlo. Nel momento in cui avesse deciso di
concentrarsi
su una ricerca, avrebbe avuto mezzi che una persona normale poteva solo
sognare. Se non per una questione economica, per una questione di
potere: sarebbe stato amico della regina della Terra, dopotutto - lo
aveva detto Usagi stessa.
Erano progetti di cui aveva parlato ad Ami, nel momento in cui
aveva
iniziato a concepirli. Lei li aveva presi per uno scherzo - forse
sottovalutando la sua ambizione - ma lui era serissimo.
Se doveva
sacrificare qualche decennio di vita per arrivare a quella condizione,
non sarebbe stato facile, ma ne sarebbe valsa la pena. Da persona
comune
il suo tempo per studiare e fare ricerca era estremamente limitato.
Invece, nella strada che intendeva seguire, aveva secoli di studio
davanti a sé. Avrebbe potuto plasmare il futuro del mondo.
Nell'attesa, lo attendeva la vita migliore che potesse
immaginare -
l'inizio di un'esistenza con la ragazza che lo rendeva felice. Forse
era
presto per il matrimonio, e per un bambino, ma più sentiva
che quelle
possibilità si allontanavano, più le desiderava.
Sarebbe stato bello rendere Ami una madre, perché
lei aveva tanto amore
da dare - più di quanto lui riuscisse ad assorbire. Per
quanto
riguardava lui stesso, responsabilità a parte, sarebbe stato
divertente
gestire un bambino. Gli avrebbe voluto molto bene - già solo
per il
fatto che sarebbe nato da Ami - e questo avrebbe reso la sua vita
migliore.
.... era tutto così chiaro e lineare che non capiva
come lei potesse
non coglierlo. Al punto in cui erano arrivati, non sarebbe
nemmeno bastato
spiegarglielo di nuovo.
Ami stava agendo sulla base di paure personali che lui aveva
creduto di
essere riuscito a sedare nei quasi due anni che avevano trascorso
insieme. E invece...
Qualche altro giorno di discussione non avrebbe cambiato le
cose.
Era una sconfitta.
Alexander non voleva ancora rassegnarsi all'idea che, per
convincerla
davvero che
non c'era da temere per il loro futuro, dovesse interrompere le
comunicazioni con lei per così tanto tempo. Non era sicuro
che qualcosa
in lui non sarebbe uscito incrinato dalla necessità di
dimostrare altra
pazienza.
Sin dall'inizio era stato comprensivo, troppo, per paura di
essere
rifiutato. Ami lo lasciava, e quando tornavano insieme lui non chiedeva
la ragione. Per mesi lei era reticente a contatti più intimi
di un bacio
e lui nemmeno si preoccupava di farle capire che voleva di
più - per non
spaventarla. Scopriva che lei era una guerriera Sailor e da subito non
gli importava - non si preoccupava del silenzio, delle
verità omesse per
quasi un anno - pur di avere la certezza che sarebbero rimasti insieme.
Infine, lei iniziava ad avere dei dubbi sul loro futuro e invece di
rimanere fermo nella propria rabbia, lui si sforzava di
comprenderla.
Non gli andava più bene. Non gli era mai parso di
sopportare in
precedenza, ma ora stava avendo quell'impressione.
Perché
non mi ascolti?
Col fiatone, smise di correre, rallentando il ritmo fino a
camminare
lungo il muretto del parco. Il suo obiettivo era la fontanella che
zampillava acqua al centro del piazzale.
«Ehi!»
Si voltò.
Yuichiro lo raggiunse a passo svelto. «Ciao! Era da
tanto che non ti
vedevo correre!»
Già. Ma finalmente era sabato, e dato che non stava
vedendo Ami...
«Come va?»
«Bene, e a te? Manca poco alla tua
partenza!»
Esatto. Una settimana.
Yuichiro notò la sua espressione.
Abbandonò la corsa
sul posto e, incerto, si grattò la testa. «Ehm...
l'altra
sera
Rei voleva fare
un'uscita di coppia con te ed Ami.»
Ah.
«Ami ha detto che eri impegnato.»
Bell'uscita diplomatica.
Yuichiro aveva domandato per vedere come lui reagiva.
Smettendo di camminare, Alexander si chinò sul
getto della fontana.
Bevette, poi parlò. «Non stiamo
litigando.»
«Okay.» Yuichiro era sollevato, ma ancora
confuso.
«Non siamo d'accordo su una cosa
importante.»
«Non devo sapere, però... mi dispiace
vederti
abbattuto, proprio adesso.»
Già. Stava per partire e sarebbe tornato solo a
Natale.
Era ancora agosto. Si avvicinava il compleanno di Ami.
Sentì il bisogno di sfogarsi. «Lei vuole
che
non ci sentiamo per tutta la
durata del mio scambio in America.»
Yuichiro era sorpreso. «Ami?»
«Sì. Si è
intestardita.»
Come lui, Yuichiro non capiva. Si fece ancora più
incredulo. «Sarebbe
una specie di... pausa?»
Ecco! «Suona così, vero? Lei dice che mi
serve del tempo per pensare al
futuro.»
Yuichiro non commentò. Andò a sedersi
sulla panchina vicina, per
spremersi meglio le meningi.
«Nemmeno Ami sa a cosa dovrebbe servire questo
periodo di prova»
continuò Alexander. «Pensa di
saperlo. Ci ha costruito sopra tutto un ragionamento, ma non
è possibile
che siamo stati insieme per tutto questo tempo - in tutto quello che
abbiamo passato - senza che lei non abbia già ottenuto le
certezze che
dice di voler trovare. Per me, non per se stessa - è questa
la scusa che
si dà.»
«Si riferisce al futuro lontano.»
«Sì, quello eterno.» In cui
erano coinvolti tutti quanti.
«Un po' di paura è normale.»
Alexander ascoltò.
«Ma non può superare il desiderio di
capire quello che vuoi tu. Non
sembra una cosa da lei.»
Già. Di solito Ami si prodigava per dargli quello
che voleva, una volta
che aveva inquadrato cos'era. Almeno non era il solo a pensarlo.
«Non ne ho
parlato di nuovo con lei, ma è possibile che non riesca a
farle cambiare
idea.»
Yuichiro era preoccupato. Si alzò.
«Spiegami meglio mentre andiamo al
tempio.»
A casa sua?
Yuichiro annuì. «Su una cosa del genere
Rei potrà darti più risposte di
me. Hai bisogno di qualcuno che conosca Ami da tanto perché
io...»
Scosse la testa. «Non riesco a capire. Non sembra la Ami che
vedo con
te. Lei non ti lascerebbe andare.»
Sentirlo dire a un'altra persona lo sanò. Esatto,
Ami non voleva lasciarlo
andare via in quel modo, nonostante quello che diceva.
Seguì Yuichiro verso il tempio Hikawa.
Non trovò una Rei Hino molto ben disposta. Erano le
otto
di mattina di un fine settimana e Yuichiro dovette andare a svegliarla
per portarla in salotto.
Senza ancora aver bevuto il suo caffé, lei era meno
benevola del solito.
«Non vieni mai a parlarmi e ti decidi a farlo
all'alba di un
sabato?»
Alexander si divertì. «Io e Yuichiro
eravamo fuori a correre da
un'ora.»
«Non so quanto vi danno per andare a sudare con
questo caldo.»
Yuichiro si avvicinò al tavolo con una tazza
fumante. Rideva. «Più
tardi il sole scotta troppo. Possiamo allenarci solo di mattina
presto.»
Lei ricevette in mano il caffé. Portandolo al naso
aggrottò la fronte,
disgustata e pentita. «Non lo voglio!» si
lamentò.
Yuichiro non capì. «Eh? Ma tutte le altre
volte...»
«Oggi fa troppo caldo! Yuu...» lo
implorò, rendendogli la tazza. «Per
favore, portami qualcosa di freddo!»
Lui era ansioso di accontentarla. «Dello
yogurt?»
«Sì. E dei toast. Con la marmellata che
ho messo ieri in frigo.»
«Torno subito!»
La scena suscitò in Alexander una risata bassa.
Rei mise il broncio. «Non prenderlo in giro. Yu
è buono con me.»
«Non ridevo di lui. È per il modo in cui
vi comportate. Andate molto
d'accordo.»
Rei accettò il complimento. «Lui ha molto
pazienza.»
Non sempre Alexander lo capiva, ma in quel momento lo
invidiava. Non
importava il tipo di rapporto che avevano due persone, contava solo che
fossero felici. Yuichiro era molto servizievole con Rei, ma Alexander
era sicuro che lei lo ripagasse a modo suo. Anche solo la gratitudine
con cui lo
aveva guardato dava un'idea di come lei facesse sentire al suo
ragazzo l'importanza che lui aveva nella sua vita.
Rei sospirò, incrociando le braccia. «Yu
ha detto che sei qui per
parlare di Ami. Questo mi impensierisce.»
«Hai già deciso di darmi la
colpa?»
«Chi l'ha detto? So che lei ha tante fisime. Mi
preoccupa che tu voglia
parlarmi di lei ora, quando stai per partire. Significa che Ami le sta
tirando fuori adesso.»
«È così.»
Rei sbuffò. «Quella ragazza...»
Si sporse per ricevere il vassoio che
Yuichiro stava portando. Sul ripiano c'era tutto quello che lei aveva
chiesto, più un succo d'arancia che le fece spuntare un
grosso sorriso in volto.
«Raccontami tutto mentre faccio colazione. Grazie,
Yu.»
Alexander iniziò a parlare.
Rei e Yuichiro lo ascoltarono con attenzione. Lui
raccontò tutto quello
che aveva in testa, teorie comprese.
Tentò di lasciare da parte ciò che
provava in merito a
quella situazione. Se stava rivelando ad altri con tanto dettaglio
quello che stava succedendo, era solo con la speranza di capire meglio
cosa stava passando per la testa ad Ami.
«Non le hai più parlato da
allora?» gli domandò Rei.
«No. Non la sto punendo. Devo ancora decidere cosa
dirle.» Anche se il
tempo a loro disposizione stava finendo.
Lui non aveva intenzione di lasciar passare altri giorni nel
silenzio,
senza vederla. Di lì a breve non l'avrebbe vista
più, per cause di forza
maggiore, per infinite settimane.
«Non è venuta a cercarti.»
Il commento di Rei non gli suonò bene.
«È determinata»
commentò lei.
Così pareva anche a lui.
Rei smise di giocare col cucchiaino che teneva in mano.
«Chiariamo:
vorrei prenderla per le spalle e scuoterla fino a farle entrare un po'
di sale in zucca. Però...» Si interruppe e
guardò verso il cortile,
pensando. «Credo di capire perché si comporta
così.»
Se aveva un'idea, lui era aperto a ogni opinione.
«È un discorso ampio, ma seguimi: che
cosa ti fa credere nell'amore?»
Era un discorso ampio davvero. «Aver visto che
esiste?»
«Sì, ma vederlo da fuori non è
abbastanza convincente.
Devi averlo provato sulla tua
pelle per crederci. Per far sì che una persona abbia fiducia
nell'amore,
deve esserci qualcuno che l'abbia amata.»
... non parlavano di amore romantico. «Intendi, da
bambini?»
Rei annuì. «È la prima prova
d'amore che riceviamo.»
Il ragionamento gli sembrava fallace. «Io non ho
avuto dei grandi
genitori. Credo comunque nell'amore.»
Rei aveva pronta una risposta. «Anche mio padre
è stato pessimo e non
ricordo granché di mia madre. Non parlo per forza di
genitori. Parlo di
qualcuno, chiunque, che a un certo punto della tua vita ti abbia
convinto che sei una persona degna di essere amata, proprio nel momento
in cui eri più influenzabile, indifeso e pronto a credere a
tutto. Per
me quel qualcuno è stato mio nonno.»
Alexander si accorse dell'attenzione con cui Yuichiro guardava
Rei.
«Ami mi ha detto che non avevi una relazione stretta
coi tuoi genitori,
ma fino all'anno scorso, a casa tua, non stava ancora quella tata? La
signora Shoko? Ami ha detto che le sei ancora affezionato.»
«È stata come una madre
per me.»
Rei aveva provato il suo punto. «È la
persona che ti ha dimostrato che
sei importante e degno di essere messo davanti a ogni altra esigenza.
Tutti abbiamo bisogno di qualcuno così.»
Lui stava iniziando a capire in che modo quel discorso si
legasse
ad Ami.
Rei proseguì. «Quando ho conosciuto Ami,
lei era una ragazza...
titubante. Interagiva con noi, ma stava un po' in disparte. Meno con
Usagi, perché Usagi non ti permette di chiuderti in te
stesso. È
contagiosa.»
Parlava di ricordi felici.
«Ad Ami piaceva quando la includevamo nel gruppo, e
quando c'era da
intervenire lo faceva con forza se aveva delle convinzioni ferme, ma
poi si comportava come se avesse qualcosa di cui scusarsi. Come se
avesse imposto troppo una presenza non richiesta.»
Suonava proprio da Ami.
«Quando ci siamo affezionate l'una all'altra, Ami
non aveva remore a
mostrare che teneva a noi, ma si stupiva quando noi dimostravamo di
tenere a lei. Era una cosa che la destabilizzava all'inizio. Non sapeva
come reagire. A me sembrava troppo timida e ritrosa. Provavo a
convincerla a essere più rilassata, ma per lei non era
normale sentire
di essere fondamentale per la felicità di qualcun
altro.»
Con uno sguardo, Rei capì che lui sapeva di cosa
stava parlando. «È
cambiata tanto da quando avevamo quattordici anni. Ma alcune sensazioni
rimangono nella parte più profonda di noi.»
«Sua madre non è così
male.» Alexander non sapeva nemmeno perché stava
difendendo
la signora Saeko.
«Però lavora tanto.»
«Sì. Ma per Ami questa non è
più una situazione pesante.»
«Si è abituata. Trova naturale essere
seconda rispetto al lavoro di
lei.»
Di questo si era accorto anche lui.
Rei sospirò. «Comunque il cuore del
problema non
è Saeko-san. Ricordi
qualche mese fa, alla cerimonia del diploma? Per un momento Ami ha
creduto che suo padre fosse venuto a vederla.»
Già. Ami si era confusa a causa sua. Lui le aveva
chiesto, “È venuto
tuo padre?” Nella calca della folla che parlava tutta
insieme, lei non
aveva capito che era una domanda. Aveva creduto che suo padre si fosse
presentato per quel giorno importante della sua vita - una cosa che
anche Alexander aveva dato per scontata.
Le era mancato il fiato. Si era
voltata, guardandosi attorno, colma di speranza.
Al suo fianco Rei aveva compreso prima di lui che cercava
qualcuno.
“Chi cerchi?”
“Mio padre”, aveva risposto Ami, esitando
a esplodere in un sorriso. “È
venuto.”
Alexander si era avvicinato ad ascoltare e aveva capito di
essere stato
frainteso. “No, chiedevo se era arrivato.”
Aveva visto qualcosa spegnersi negli occhi di Ami. Lei aveva
nascosto
la delusione. “Papà non viene. Non è
una cosa che fa per lui.”
Lui aveva compreso quanto lei ci fosse rimasta tremendamente
male.
“Love...”
Ami aveva scosso la testa, forzatamente serena.
“È fatto così. Ma ci
sono le ragazze e la mamma. Ci sei tu.” Lo aveva baciato, in
pubblico,
incurante degli sguardi. “Sei venuto tu per me.”
Terminando di ricordare l'episodio, Alexander ebbe una
migliore
comprensione di quello che Ami stava facendo.
Rei lo osservava. «Ami non è cresciuta
sapendo che per qualcuno lei
veniva prima di qualunque altra cosa. Sono certa che Saeko-san abbia
cercato di dimostrarglielo. Ami ha tanti bei ricordi di lei, ma da
piccola tornava a casa e spesso sua madre non c'era. Non serve essere
presenti solo nei momenti importanti per far pensare a qualcuno che
conti davvero per lei.» Parlandone, Rei stessa si
rattristò. «Il padre
di Ami ha inciso a fondo dentro di lei l'idea che esistono sogni,
passioni - cose - che possono contare più di lei nella vita
di chi
dovrebbe amarla. È questa la realtà che Ami
è abituata a gestire. Fa
paura e fa male. Concedersi di sperare che qualcuno non ti
tratterà mai
più in quel modo equivale ad aprirsi alla
possibilità di una delusione
che può distruggerti.»
... lui capiva. Lo comprendeva. Ma questo significava che...
«Vale anche se parliamo di te, Alexander, che l'hai
sempre messa al
primo posto rispetto a qualunque altra cosa. Ami ha difese contro
l'indifferenza, ma non è preparata a gestire l'idea
che l'amore che
provi per lei un giorno possa diventare qualcosa di simile alla
noncuranza con cui è stata trattata. Se lo aspetta, o non lo
esclude.
Credo che... stia cercando di prevenire che accada, per come
può.»
Lui non ebbe niente da dire. Stava iniziando a
comprendere cosa doveva fare in merito alla
scelta
che gli era stato chiesta di fare.
Rei inclinò la testa, cercando i suoi occhi.
«Ami dovrebbe fidarsi di
te, ovviamente. Ma non ha in mente tutto quello di cui abbiamo parlato
mentre prende le sue decisioni. Agisce per ragioni inconscie. Non
sentirti per mesi, e poi vederti tornare, le darà la
sicurezza che tu
non cambierai con lei nel tempo. Ha razionalizzato la situazione che ha
bisogno di veder accadere per sentirsi più sicura. Questo
non esclude
che stia davvero pensando anche a ciò che è
meglio per te - quello che
sostiene ha un senso - solo che... non sarebbe così ferma
nella sua
decisione se non ci fosse qualcosa di cui ha paura. Ti ascolterebbe di
più.»
Per scrupolo, Alexander volle chiedere un'opinione.
«Cosa dovrei fare
allora?»
Rei scosse la testa. «Dipende da te. Se quello che
vuole ti fa stare
male, devi farglielo capire. Ami dovrebbe tenerti più in
considerazione.
Non mi sento di consigliarti di accontentarla. Non so nemmeno se alla
fine dei quattro mesi sarà davvero convinta che tu non
potrai mai più
cambiare modo di tenere a lei. Ma come amica, penso che se l'hai amata
per tanto tempo... Se sai come lei potrebbe sentirsi dopo...»
Yuichiro la fermò, mettendole una mano sulla
spalla.
Alexander comprese il suo scopo. «Non preoccuparti.
Non la sento come
un'ulteriore costrizione.»
«Comunque» disse Yuichiro, «non
è giusto che ti si chieda altro. Non
esiste solo Ami nella vostra relazione.»
Rei era rimasta in silenzio, mesta. «Spero che
riusciate a trovare una
soluzione.»
Alexander chinò il capo, grato. «Lo spero
anche io. Ti ringrazio per
quello che mi hai detto. Grazie a entrambi.»
Salutò e tornò a casa.
Il conto alla rovescia era arrivato a sette, pensò
Ami. Sette giorni
alla partenza di Alexander per l'America.
Lei lo aveva messo in difficoltà imponendogli di
riflettere su una
decisione difficile. Lui meritava rispetto per il tempo che aveva
chiesto per pensare, ma persino lei riusciva a comprendere che dovevano
trovare un compromesso. Fargli capire che non sentiva il bisogno di
averlo vicino, prima che se ne andasse, non era accettabile. Era
un'ulteriore ferita, e lei gliene aveva già inflitta una
grande.
Aveva iniziato a farsi venire dei dubbi.
Davvero non
posso cambiare idea?
No. No.
Lo avrebbe intrappolato senza possibilità di scampo
nella vita che
voleva con lui, nei propri desideri.
Alexander meritava tutto ciò che era e che sarebbe
diventato. Lei non
poteva limitare un ragazzo come lui, senza avergli offerto almeno una
possibilità.
«Chi è?»
Sentì la voce di lui nell'interfono del palazzo. La
luce
della telecamera la illuminava in viso. Lei non poteva vederlo di
rimando e rimase in
silenzio, in attesa.
La serratura del portone d'ingresso scattò.
Inspirando, Ami si fece coraggio e oltrepassò la
soglia. Dentro
l'ascensore, corrugò la fronte.
Sei egoista,
si accusò.
Continuava a pensare a ciò che provava lei con
riguardo a lui. In quel
momento aveva timore di incontrarlo, e al contempo provava
trepidazione,
ma avrebbe dovuto pensare solo a come si sentiva Alexander, per la
situazione in cui lei
lo aveva
messo.
Inoltre, il silenzio di mesi che gli aveva chiesto l'avrebbe
fatta
stare tranquilla in futuro. Questo era un punto della questione su cui
si era molto concentrata.
Lo stava facendo per se stessa?
Lui non era felice con quella soluzione. Anche se l'avesse
accettata,
l'avrebbe subìta. Non era nella sua natura trattenersi
dall'esprimere
affetto per così tanto tempo, né crogiolarsi
nell'idea che le cose
sarebbero andate bene solo aspettando. Quella era lei.
Uscì dall'ascensore e si apprestò a
suonare il campanello della porta.
Alexander scostò l'uscio per primo.
Si guardarono.
«Ciao» disse lui.
Ami si sentì felice, vergognandosi. Ma Alexander
ricambiò il sorriso, appena,
e lei non si concentrò più sul senso di colpa.
«Ciao.»
Lui si spostò per farla entrare.
Sull'ingresso lei tolse le scarpe e appoggiò di
lato la borsa.
Alexander la attendeva in salotto, in piedi.
Ami seguì la direzione del suo sguardo.
«Le tue valigie.» Erano posate
a terra, aperte, piene per metà.
«Sto cercando di capire cosa portare.»
Lui doveva ancora andare al lavoro quella settimana. Sfruttare
l'ultimo
weekend libero per prepararsi al lungo viaggio era indispensabile.
«Ti
aiuto.»
«Ho fatto una lista.» Alexander gliela
indicò, sul tavolo. «Dimmi se
sto dimenticando qualcosa.»
Sarebbe stato via durante gli ultimi giorni dell'estate, poi
per tutto
l'autunno. Nelle ultime settimane le temperature sarebbero scese a
livelli invernali.
Interi mesi in cui lei non avrebbe potuto vederlo,
né sapere che
esperienze aveva fatto. Non gli sarebbe stata accanto.
«Non portare troppe magliette»
mormorò.
Lui si avvicinò di qualche passo. «Ne ho
messe dentro una decina. Le
userò per cambiarmi nei primi giorni, poi per andare a
correre.»
Certo, lui voleva riprendere le corse mattutine. Avrebbe
finalmente avuto
il tempo.
Scorse la lista e sorrise. «Il cuscino?»
«Sai che preferisco usare il mio.»
Divertito,
Alexander le fece notare un segno
accanto alla voce. «Lo porterò solo se
avrò abbastanza spazio, ma voglio
farcelo entrare.»
Già, lui dormiva molto bene col quel cuscino - era
voluminoso e
consistente, perfetto per riposare sdraiati su un fianco, come faceva
lui di solito.
... lei non lo avrebbe visto svegliarsi per molto tempo.
«L'appartamento è pagato.»
Alexander si era piegato un poco, per
attirare la sua attenzione. «Per Shun era complicato
affittarlo nei tre
mesi in cui ero via e io volevo ritrovarlo com'era. Mio padre copre le
spese. È soddisfatto che vada in America e per lui sono
briciole.»
Ami annuì. Era un pensiero in meno. Non ne erano
stati sicuri.
«Potrai entrare con la tua copia della chiave. Ti
lascerò anche la
mia.»
Certo. «Mi occuperò della posta.
Toglierò la polvere.»
A lui spuntò un sorriso quieto. «No,
intendevo... Potrai venire a stare
qui tutte le volte che ti va.»
Ami sentì una stretta al petto - nostalgia, sempre
più forte, al
pensiero di una lontananza che ancora non si era concretizzata.
«Mi
fermerò a dormire qualche volta.» Nel letto che
forse avrebbe conservato
l'odore di lui.
«Porta Ale-chan se vuoi. Così non starai
da sola.»
Lei allungò una mano, trovando
un suo braccio. Si
adagiò a lui, posando la fronte contro la sua spalla.
Avrebbe sentito la sua mancanza ogni singolo giorno.
Si sentì sfiorare su un gomito, poi Alexander si
allontanò, sedendosi.
«Ho preso una decisione su quello che mi hai
chiesto.»
... era molto calmo.
Lei non aveva idea di cosa stava per dirle.
«Accetto la tua idea a metà, Ami. Due
mesi di silenzio, non quattro.
Non ho bisogno di arrivare a Natale per capire cosa
significherà
l'esperienza al MIT nella mia vita. Per quanto riguarda noi... ho
capito
di aver bisogno di riflettere.»
... eh?
«Due mesi saranno sufficienti. Hai ragione quando
dici che devo
sfruttare questo periodo di lontananza per rivalutare cosa voglio dal
mio futuro. Così le scelte che farò saranno le
più giuste e ragionate.»
Era quello che lei gli aveva chiesto. Era quello che voleva.
Cercò una sua mano, cercando di non tremare.
«Due mesi andranno bene.»
Si sentì stringere le dita e capì di non
averlo ancora perso.
«Ci sentiremo a novembre?» gli
domandò.
Lui annuì.
Lo aveva portato a pensare che aveva bisogno di riflettere su
loro due.
Per l'ansia, Ami non sentì altro che il battito del
proprio cuore. «Io...
Questo ultimo anno e mezzo insieme...»
«Lo so, Ami, non fare già i discorsi
finali. Terrò a mente tutto quello
che abbiamo passato. Tutto
quello che ci siamo detti.»
Per lei ogni singola parola era ancora vera. Non voleva che
cambiasse
nulla, niente.
Avanzò di un passo, e quando lui non si ritrasse lo
abbracciò con tutta
la propria forza.
Non si permise un solo altro pensiero.
Lo strinse e lo amò con ogni frammento della sua
anima.
Alla fine, la scelta più giusta si era formata
nella mente di Alexander
con naturalezza, senza quasi pensarci.
Ne aveva ricavato un senso di pace, e la sensazione che non
avrebbe
potuto comportarsi in maniera diversa.
Due mesi di silenzio servivano se l'idea che ci fossero lo
aveva messo
tanto in agitazione.
Non era più preoccupato.
Aveva pensato alla Ami che era ancora rassegnata a non avere
un padre
che le voleva più bene di qualunque altra cosa, e si era
ricordato della
Ami che un anno e mezzo prima era tornata da lui, in lacrime, per
dirgli
che aveva mentito, che lo amava e voleva stare insieme.
Lei aveva già rischiato, per lui.
Si era messo a pensare all'anno che avevano trascorso nella
serenità
più assoluta, e a quanto la loro relazione fosse diventata
più forte
dopo che lui aveva scoperto la verità, nonostante tutto.
Alieni, poteri, una vita millenaria... Non lo aveva scalfito
niente.
E
ora lo spaventavano pochi mesi di distanza?
Perché non era sicuro. Perché anche lui
aveva ancora paura di essere
abbandonato, dimenticato, messo da parte.
Eppure, la sua certezza che Ami lo avrebbe amato esattamente
come prima
al suo ritorno non erano solo parole. Era una verità di cui
era
cosciente fin nel profondo del suo essere.
Anche se ormai ne era convinto, una breve separazione gli
avrebbe fatto
bene, per seppellire in eterno, coi fatti, quel timore dove meritava di
stare: nel passato.
Con quella decisione si sentiva finalmente a posto, anche per
ciò che
ne avrebbe tratto Ami. Lei meritava di essere liberata da
quell'incertezza, che la
condizionava e la confondeva.
Lui non stava più riflettendo sui se, né
sui come. Forse, come aveva
detto Rei, quel periodo di assenza di comunicazioni non sarebbe bastato
a convincere completamente Ami che non c'erano più rischi
che lui
cambiasse idea in futuro, su di lei, ma Alexander non aveva inteso fare
promesse a vuoto.
Se diceva di voler spostare il mondo per Ami, allora aveva
anche
intenzione di cambiare il modo in cui lei vedeva il mondo che la
circondava. Esisteva qualcuno che l'avrebbe sempre messa al primo
posto.
Sarebbe riuscito a convincerla che quella persona esisteva ed era lui.
Non importava quanto tempo ci sarebbe
voluto, né cosa sarebbe stato necessario fare. Sarebbe
riuscito in
quell'impresa con
lei, perché
tutti e due tenevano a rendersi felici stando insieme.
Era la prima tappa ostica di un percorso che avrebbe
presentato altre
difficoltà in futuro. Non sarebbe mai stato tutto semplice e
sereno in
una vita lunga come quella che avrebbero avuto. Proprio
perciò, lui non
intendeva arrendersi al primo ostacolo.
Non era più un sacrificio, né una
sofferenza. Si trattava semplicemente
di una presa di consapevolezza.
Aveva ridotto il tempo di silenzio richiesto da Ami
perché quattro mesi
di silenzio erano solo una tortura. Al fine di quello che avevano
bisogno di capire, singolarmente e insieme, la metà del
tempo bastava.
Nonostante quello che diceva, Ami sarebbe stata in ansia
già per tutto
settembre e ottobre.
Forse lui aveva incrementato le sue preoccupazioni con le
parole che
aveva scelto per comunicarle la propria decisione, ma era necessario:
lei
doveva convincersi che lui stesse rivalutando a fondo la
possibilità di
un futuro insieme, o al termine dei due mesi poteva trovare altre scuse
per non essere ancora sicura, guidata com'era dalla paura. Ami doveva
essere sinceramente convinta che lui stesse ragionando come lei, sui
pro
e i contro, poiché nella sua testa solo i ragionamenti
logici erano
inconfutabili e rendevano le decisioni salde.
Aveva senso. Solo che quei ragionamenti lui li aveva fatti
tempo
addietro e continuavano a dargli la stessa risposta.
Da novembre ci avrebbe creduto di più anche lei.
A due giorni dalla sua partenza, Alexander era sereno per il
futuro e
triste all'idea della lontananza.
Lui avrebbe avuto modo di distrarsi in America: c'erano
lezioni
interessanti da frequentare e un ambiente nuovo da scoprire. Avrebbe
anche rivisto Shun.
Ma Ami... Ami sarebbe rimasta in Giappone con le proprie
preoccupazioni.
La separazione era necessaria, eppure questo non lo faceva
sentire meglio
al pensiero di quanto lei sarebbe stata sola e incerta.
Le
servirà.
In sua assenza, nei limiti del loro d'accordo, stava provando
a fare qualcosa
per lei - tramite una delle ragazze.
Per il resto, doveva accettare che era una situazione che non
poteva
cambiare. Doveva avere pazienza.
Novembre sarebbe arrivato con lentezza, ma inesorabilmente.
A quel punto, sarebbe andato tutto a posto.
Ultimo sabato di agosto. L'aereo di Alexander per Boston
partiva alle
sei e mezzo di sera.
Ami era andata a trovarlo sin dalla notte prima. Aveva dormito
abbracciandolo. La mattina, aveva ricontrollato con lui le valigie e la
casa.
Avevano lasciato l'appartamento alle due, per raggiungere il
nuovo
aereoporto internazionale di Tokyo, a Narita, col treno, carichi di due
grossi bagagli più il trolley che lui si sarebbe portato in
cabina.
Conteneva un cambio di emergenza e il suo computer - nel caso
perdessero
il resto dei bagagli, aveva chiarito Alex. Una volta gli era
successo.
Prima di uscire di casa, Ami aveva notato che dalla scrivania
mancava
il portaritratto della foto che avevano scattato con la Polaroid -
quella nella vecchia stanza di lui, in cui Alexander le aveva rubato un
bacio sulla guancia, a occhi chiusi, mentre lei guardava l'obiettivo
sorridente.
Per tutto il viaggio in treno aveva cercato di apparire
normale,
soffocando la sofferenza.
Tre ore dopo avevano depositato i bagagli più
grossi al banco della
compagnia aerea. Si erano mossi per l'aeroporto tenendosi per mano. Per
un'altra mezz'ora si
erano fermati in un ristorante, in attesa,
mangiando qualcosa. Infine, erano andati alla ricerca del gate a cui
lui
doveva presentarsi.
Era la porta numero 83.
Ami rimase guardare il tabellone. La scritta accanto al numero
indicava
che l'imbarco era già iniziato.
Tra i controlli di sicurezza e doganali che lui doveva
passare, avevano
solo qualche altro minuto insieme.
Alexander le indicò una fila di sedili vuoti,
accanto a una vetrata.
«Andiamo a sederci.»
Lei lo seguì, stringendogli più forte le
dita.
Da seduto, lui sollevò le loro mani unite,
sorridendo. «Mi rimarrà il
segno se stringi così.»
Lei non riuscì ad allentare la presa
Buon viaggio,
doveva dirgli. Non
trovò la voce.
Non voleva salutare.
Lui cominciò a parlare. «Non saranno due
mesi semplici, Ami.»
Lei studiò ogni linea del suo viso, il colore dei
suoi occhi, la
sensazione della sua guancia sulle mani - da un ricordo. Il sapore del
suo bacio, la morbidezza dei suoi capelli, il modo in cui rideva o
rifletteva, assorto.
Insieme avevano letto, studiato, dormito, scherzato, giocato,
amato,
vissuto.
Lui continuò. «Ti prometto di riflettere
seriamente su tutto. Non
sprecherò questa occasione.»
Occasione? Una situazione che capitava una sola volta nella
vita.
Come la fortuna di trovare qualcuno con cui essere
così incredibilmente
felice, come lo era stata lei. «S-studia molto»
balbettò. «Passa del
tempo con Yamato.»
Alexander annuì.
«Io...» Iniziò la frase, poi si
perse. Perse le parole, il coraggio.
Cominciò a tremare.
Alexander attese, quindi le prese entrambe le mani tra le
proprie.
«Be
well, Ami. Non starò bene pensando che non sei
felice.»
... lei non lo sarebbe stata mai più.
Lui se ne stava andando. Lo stava perdendo.
Cercò con tutta se stessa di essere forte, ma si
spezzò. «Ti amerò per
sempre!» Esplose in un singhiozzo. «Anche se non
torni indietro!»
Si ruppe in un pianto e non riuscì a restare ferma
nell'abbraccio in cui
si trovò rinchiusa. Si aggrappò ai vestiti di
lui, alla sua schiena,
convulsamente. Doveva lasciarlo andare, come aveva deciso, come era
giusto! «Per
favore, torna» implorò.
Non controllò più quello che stava dicendo.
«Ti amerò più di qualunque
altra cosa al mondo, per
favore.
Lo
farò bastare!»
Alexander emise un lamento. «Shh, you are my
heart, Ami. Cosa stai dicendo?»
Lei pianse più forte.
«Certo che torno. Non posso stare senza di
te.»
Ami sentì baci sul viso. Ne prese uno sulla bocca,
la testa tra le mani
di lui. Aprì gli occhi sui suoi, la vista annebbiata.
Anche Alexander soffriva. «Tornerò, e
dopo
Natale non staremo più
lontani. In questi due mesi non cambierà nulla per me. Non
può.»
Lei annuì contro la sua fronte, velocemente.
«Devi crederci, okay? Devi credere in me.
Farò andare tutto bene.»
Lei riacquistò un po' di ragione. «Scusa
se...»
«Stop.
Sono contento che tu me
lo abbia detto. Non potevo lasciarti se pensavi una cosa
simile.»
Si baciarono ed Ami si sentì di nuovo intera, come
lui.
Che cosa aveva fatto? Come aveva potuto?
«Ti credo» gli disse e scelse, con
coscienza e inequivocabilmente, di
essere convinta che Alexander avrebbe avuto la vita migliore che poteva
cogliere, in quei due mesi e tornando poi da lei. Perché era
la sua
scelta.
Alzandosi, lui le passò le mani sulle guance
bagnate. Ami si strofinò
gli occhi da sola. «Vai. Ti aspetterò.»
«Ti penserò tutti i giorni.»
Lei lo strinse in un altro abbraccio, libera. «Io
anche tutte le
notti.»
Udì una risata bassa e comprese la propria gaffe.
«Buono a sapersi!»
Si divertì, commossa. «You are my
only love. In ogni momento, anche quando non sei accanto a
me.»
Comprese quanto lui avesse avuto bisogno di udire parole come
quelle
solo quando vide come lo fecero sentire.
In piedi, rimasero abbracciati, senza l'intenzione di
lasciarsi andare.
«Buon viaggio» si costrinse a dire Ami,
cercando di stargli più vicina,
per guarire qualunque ferita avesse aperto in lui col proprio
comportamento.
Alexander provò a distanziarsi. «Due mesi
saranno eterni, ma...
voleranno. So che sembreranno finiti subito quando ti
sentirò di nuovo.»
Ami annuì, sicura quanto lui, prendendosi e
regalandogli un altro
bacio. Non sarebbero mai bastati, a nessuno dei due. «Ti
accompagno.»
Andò con lui fino alla barriera dedicata ai solo
viaggiatori con
biglietto.
Alexander le accarezzò i capelli.
«Avrò tante cose da raccontarti
quando torno.»
Ami annuì. «I love you.»
«I
love you» rispose lui.
Si lasciarono la mano.
Alexander iniziò a percorrere il percorso a
serpentina che portava ai
controlli di sicurezza, nascosti dietro una parete. Prima di
oltrepassarla, ormai a dieci metri di distanza da lei, si
fermò.
Ami sollevò una mano per salutarlo, felice e al
contempo triste.
Lui si espresse in un breve sorriso sereno, pieno di certezze.
Bye,
disse con la bocca.
Scomparve oltre il muro, diretto negli Stati Uniti.
«Voglio ammazzarla e voglio abbracciarla.
Dov'è?»
Rei faticava a trattenere Usagi. «Aspettiamola qui.
Deve passare da
questa parte.»
Erano andate all'aeroporto sull'impulso di un momento, per
consolare
Ami. Dopo aver saputo tutto, Usagi non aveva voluto saperne di restare
indietro.
«Avresti dovuto dirmelo prima!»
«Saresti intervenuta!»
Makoto non si era potuta unire perché era giorno di
ressa alla
pasticceria, ma aveva pregato entrambe di andare.
«Ami sarà devastata, statele vicino anche
per me!»
Per tutto il viaggio in treno Usagi aveva parlato
dell'intenzione di
strozzarla. «Come può fare una cosa simile ad
Alexander? E a se stessa?!
Sta sabotando la loro relazione!»
Rei non lo credeva, o sarebbe andata lei stessa a parlare con
Ami. «Non
so cosa abbia deciso lui, ma può risolvere il problema di
Ami come noi
non potremo mai fare con le parole.»
«Questo lo dici tu!» Usagi si era
rattristata. Parlava e si lamentava
per non stare in pena.
Erano arrivate all'aeroporto da un quarto d'ora e si
guardavano intorno
senza sosta, in cerca di Ami.
Rei la individuò dietro un gruppetto di persone.
«Eccola!»
Senza aspettare, Usagi le corse incontro.
«Ami!»
Rei le raggiunse mentre Usagi stringeva le mani di lei.
«Stai bene?»
«Com'è andata?»
domandò Rei.
Sorpresa, Ami sorrideva. «Siete venute per
me.»
«Certo!» protestò Usagi.
«So cosa stai passando. Non potevamo lasciarti
sola!»
Ami era silenziosa, ma serena. «Non preoccupatevi.
Ho fatto la cosa
giusta.»
«Lasciarlo andare?» osò
chiederle Usagi.
Ami scosse piano la testa. «Dirgli che lo amo e che
voglio assolutamente vederlo
tornare.» Si lasciò abbracciare. «Non
è stato un addio. È stato solo...»
Bye,
aveva detto lui.
Ami chiuse gli occhi, sicura.
Era stato solo un arrivederci.
Agosto 1997 - Addio? - FINE
Note: Ho paura. Ho paura di non aver scritto questo capitolo
trasmettendo tutto quello che volevo, tutto quello che ho sempre
provato
in merito a questa situazione tra Ami e Alexander.
Spero di esserci riuscita. Probabilmente me ne
renderò conto meglio col
passare delle settimane, quando rileggerò come fossi una
lettrice
qualunque.
Nel frattempo sono felice di aver trovato il modo di narrare
queste
vicende. Era così
importante.
Ora finalmente posso scrivere di ciò che viene
dopo, piano piano (ma
non troppo :P)
Il prossimo capitolo sarà dedicato ai due mesi di
separazione tra Ami e
Alex. Poi... Per una volta non dico nulla, che ho già
parlato troppo :)
Grazie infinite di essere qui a leggere! Ogni vostro commento
sarà oro
per me!
Elle
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dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor Moon,
Verso l'alba e oltre...
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Capitolo 14 *** Settembre/ottobre 1997 - Separazione e... ***
per istinto e pensiero 14
Per
istinto e pensiero
di ellephedre
Settembre/ottobre 1997 - Separazione
e...
I primi giorni di settembre ricominciò
l'università. Ami andò a ogni
lezione e si buttò con voracità nella lettura dei
nuovi testi d'esame.
Aveva del tempo da far passare, il più fretta in possibile.
Si sentiva... leggera. Qualcosa aveva stretto in una morsa il
suo petto
per l'ultimo periodo della permanenza di Alexander in Giappone. Era
stato l'errore fatale che lei aveva quasi commesso.
Forse lui sarebbe tornato comunque, forse sarebbe stato
paziente.
Magari per due mesi avrebbe solo atteso di risentirla di nuovo, ma...
Come ho potuto?
Per poco non lo aveva lasciato andare via con l'onere di
dimostrarle...
che cosa? Che l'amava davvero?
Evidentemente non le bastava un ragazzo che, senza alcuna
incertezza,
le diceva da mesi di voler passare mille anni con lei. Per la sua
insicurezza lo aveva caricato della responsabilità di farle
cambiare
idea sulle relazioni, quando unicamente da sola poteva fare una cosa
del
genere, armandosi di quel pizzico di coraggio che lui si meritava.
Alexander già le mancava. Avrebbe voluto tenerlo
tra le
braccia e passare il
tempo a farsi perdonare.
Due mesi di silenzio le servivano proprio, alla fine. Gli
avrebbe
dimostrato che i suoi sentimenti non sarebbero cambiati in quelle
settimane. Quando si fossero risentiti, Alexander avrebbe trovato una
Ami nuova, più matura, più degna.
Mancavano solo cinquantuno giorni.
«Stai contando quanto tempo manca, vero?»
«Hm?» Ami sollevò lo sguardo
verso
Usagi.
Lei la osservava e capiva tutto quello che provava.
«Quando Mamoru è
andato via, io non avevo idea di quanti giorni mi mancavano per
rivederlo. Non sapevo con precisione quando sarebbe tornato. Per questo
contavo i giorni in cui eravamo stati lontani, per farmi forza. Mi
dicevo, 'Un giorno in meno, Usagi. Un giorno in meno di
lontananza.»
Ami capì di essere stata cieca. Tre anni addietro
aveva attribuito i
silenzi di Usagi alla mera nostalgia. «Scusami.
Quando Mamoru è andato via,
sapevo che ti mancava, ma pensavo
che, siccome eravate destinati a stare insieme, tu dovevi per forza
essere sicura di quello che provava lui.» Invece,
più l'amore era
intenso, più i timori erano in agguato. Usagi era stata
così forte...
Mamoru non le aveva scritto una sola lettera di risposta. Senza saperne
la ragione, lei aveva continuato a credere al loro amore, crollando
solo
dopo mesi di silenzio. Anche allora non aveva mai rinunciato a lui, pur
iniziando a dubitare.
Per Usagi erano ricordi tristi, ma passati. «Se ami
qualcuno, è normale
avere paura. Ma tu ne hai avuta troppa, Ami-chan.»
Già. Se n'era resa conto in tempo.
«Quel ragazzo è un santo, ma non capisco:
se vi siete chiariti prima
della sua partenza, perché evitare di sentirvi per due
mesi?»
Non avevano avuto il tempo di parlarne, ma non era stato
necessario. «A
questo punto sono io a dovergli dimostrare che la distanza non mi fa
paura. Voglio che condivida il suo futuro con me, perciò
devo
dimostrarmi degna di fiducia.»
Sentì due mani sulle spalle, vicino al collo.
«Per fortuna parli così, o la dea
dell'amore avrebbe dovuto punirti!»
Ami si voltò. «Minako!»
Lei esplose in un sorriso, splendida come non l'aveva mai
vista. Ami non si
era ancora abituata a vedere i capelli biondi di Minako tagliati appena
sopra le spalle, ma il nuovo taglio la faceva sembrare più
matura. Forse
erano i vestiti, il modo in cui si muoveva - più lentamente,
con più
grazia - ma ogni volta che la rivedevano, Minako appariva un poco
più
diversa - più simile alla ragazza che mostrava sicura la
propria
immagine in televisione.
Minako portò un dito alla bocca. «Shh, o
attirerai i miei fan!»
Usagi non ci cascò. «Presuntuosa, non ti
riconosce nessuno!»
Minako scompose un poco l'espressione, rilasciando una smorfia
comica
che Ami riconobbe come quella della sua amica. Era tornata.
«Dici così, ma non sai che faticaccia ho
fatto per arrivare in
incognito fino a qui!» Minako levò un cappellino.
Sotto aveva nascosto
degli occhiali da sole, che probabilmente aveva indossato per tutto il
tragitto. «La mia faccia ormai è nota in tutto il
Giappone!»
«Se gridi in questo modo...»
ridacchiò Usagi. Era stata superlativa nel
riportare indietro la Minako del passato, in un momento.
«Rei e Makoto sono in ritardo?»
«Makoto aspetta la pausa pranzo per uscire dalla
pasticceria, mentre
Rei aveva un'ultima lezione stamattina.»
«Meglio così.» Ami si
ritrovò fulminata da due affilati occhi azzurri.
«Altrimenti eviterebbero che te le canti come meriti. Come
hai potuto,
Ami-chan? Usagi mi ha raccontato tutto.»
«Ho dovuto sfogarmi» spiegò
Usagi, senza essere davvero pentita.
Minako levò la giacchetta leggera che aveva
indossato e incrociò le
braccia. «Era quello che dovevi fare tu, Ami! A cosa servono
le amiche
se poi ti tieni tutto dentro nel momento del bisogno?»
Ami si sentì in colpa.
«Come faccio ad andarmene da Tokyo se poi non ve la
cavate senza di
me?»
Le sfuggì una risatina. «Scusa. Ho
imparato la lezione.» Era arrivata a
tante conclusioni il giorno in cui Alexander era partito - su se
stessa,
sul loro rapporto e sul modo in cui si relazionava agli altri.
«Davvero hai imparato?» Minako era
sospettosa. «Secondo me devi passare
prima una bella prova orale!»
«Eh?»
«Un esame, no? Chi meglio di Venere per
questo?»
Ami lanciò un'occhiata a Usagi, cercando di capire.
Minako si sfregò le mani. «Senti
qua.» Disegnò in aria un ipotetico
striscione. «Scena uno: il tuo Alexander sta studiando in
biblioteca. Si
avvicina a lui una ragazza in minigonna, con maglietta scollata. Lo ha
puntato da lontano e si è data una passata di lucidalabbra
prima di
avvicinarsi. È sicura della sua strategia, nessun ragazzo
l'ha mai
rifiutata. Lui come si comporta?»
Ami sbatté le palpebre. Immaginò alla
lontana la scena, senza dare
troppo peso all'aspetto della sconosciuta. «Dipende da
cosa gli
chiede lei. Ma se lui è occupato a studiare...»
Minako saltò in piedi, chinandosi in avanti sul
tavolo. «Lei si
avvicina così, mettendo in mostra il petto seminudo. Gli
domanda,
'Scusa, sai dov'è il reparto dei libri di
astrofisica?'»
Ami fu interdetta. «Come fa a sapere quale argomento
gli
interessa?»
«È furba, ha dato un'occhiata al titolo
dei volumi che lui ha sul
tavolo. Rispondi alla domanda.»
Per farlo, Ami dovette raffigurarsi in testa la situazione.
Minako era
stata brava a dare un'identità alla ragazza, soprattutto
quando aveva
imitato la voce suadente che lei avrebbe adoperato. «Ehm...
Alexander
alzerebbe il braccio e le indicherebbe dove si trovano gli scaffali che
cerca.»
Minako sollevò un sopracciglio. «Ma
un'occhiata alla sua scollatura la
lancerebbe, no?»
Usagi si scandalizzò. «Minako!»
Lei scrollò le spalle. «È un
uomo.»
Ami era piccata. «Le direbbe comunque di andare
via.»
«Facciamo che la ragazza è insistente. Si
siede nella sedia vuota
accanto a lui e comincia a fare la simpatica.»
Irritata, Ami strinse gli occhi. «Non c'è
niente che Alexander detesti
di più di una persona affettata. Le direbbe chiaro e tondo
che è
occupato e che non vuole essere disturbato.»
Minako ci pensò su. «Hai ragione. Hmm...
Questa era una prova
spicciola, solo una domanda di riscaldamento.»
Aprì le mani in aria,
teatralmente. «Scena due.»
«Perché la stai torturando?»
intervenne Usagi.
«Perché lei ha torturato lui. E visto che
si farà venire questi dubbi
tra qualche tempo, quando sarà sola, preferisco sapere
adesso cosa
pensa. Così estirpiamo alla radice il problema.»
«Sei tu che le stai facendo venire brutti
pensieri!»
Ma Ami era d'accordo. «Ci sto. Continua.»
Era pronta alla sfida. Non
temeva nulla.
«Perfetto.» Minako era soddisfatta.
«Dicevo, scena seconda. Gruppo di
studio: ci sono il tuo Alex e un paio di ragazzi e ragazze. Tutta gente
preparata, intelligente. Una delle ragazze è stata appena
mollata dal
suo fidanzato. È triste. Non ha mire su Alexander - non
ancora. Lui la
tratta come tutti gli altri, ma... il tempo passa. Lei vede quanto lui
è
geniale, gentile quando vuole. Questi gruppi di studio si protraggono
fino a tarda sera. Un paio di volte capita che Alexander la accompagni
al dormitorio, loro due soli. Parlano. A lui lei ricorda te.»
Il cuore di Ami mancò un battito.
«La ragazza finisce col parlargli della sua storia
d'amore finita male.
Lui prova empatia, perché è fatto
così. La consola a parole. Lei ormai è
mezza cotta. Inizia a cercare contatti fisici casuali...»
Usagi scuoteva la testa, in pena.
«Minako...»
Minako sollevò un dito: voleva terminare.
«Lui non ricambia i tocchi,
ma si sente in colpa. Ha iniziato a farsi delle domande,
perché lei è
dolce, intelligente, e lui prova... qualcosa. Ti ama ancora, eppure gli
è stato possibile sentire una sorta d'interesse per un'altra
persona.
Forse, anche se ci credeva, è stato avventato nelle promesse
che ti ha
fatto. Magari al ritorno deve riflettere bene sui progetti che voi due
avete in mente.»
Era uno scenario così plausibile da risultare
terrificante. Ami prese
un bel respiro, concentrandosi. Aveva una voglia matta di rincorrere i
propri timori, crogiolandosi nella possibilità che
accadessero, ma forzò
un ricordo: l'ultimo abbraccio di Alexander all'aeroporto.
“You are my heart, Ami.”
Era il suo cuore, aveva detto lui, stringendola forte. E
glielo
dimostrava ogni volta che le parlava, che la guardava, toccandola a
volte con reverenza e di recente sempre più con una passione
che non
riusciva a controllare.
Si immedesimò nei suoi panni, ribaltando la
situazione ipotizzata da
Minako. Come si sarebbe comportata con un ragazzo che le avesse
ricordato lui?
Ebbe solo certezze. «Non può succedere.
Alex non si farebbe queste
domande. Proverebbe empatia per la situazione della ragazza, ma la
tratterebbe come un'estranea, al massimo come un'amica.»
Anche se
persino quello era improbabile: lui tendeva a mantenere gli estranei a
distanza. Non lasciava avvicinare facilmente le persone. «Non
si
renderebbe nemmeno conto che lei è interessata, almeno fino
alla
faccenda dei tocchi casuali.» Immaginando quelli e la ragazza
della
precedente scena, che esibiva davanti a lui il proprio fisico, vide un
po' rosso. Ma era una gelosia sana. «A quel punto Alex
troverebbe il
modo di mettere in chiaro che non può esserci nulla tra
loro. Forse non
mi menzionerebbe nemmeno, perché il punto non è
che è fidanzato:
semplicemente, non la ricambia e gli dispiace di essere stato
frainteso.»
Minako la fissava. «Però!»
Scrisse velocemente su un foglio
immaginario. «100 e lode, Ami-chan!» Le
passò il suo premio ed Ami lo
accolse con sollievo.
«Grazie.»
Usagi le squadrava. «Voi due siete
masochiste.»
«Zitta» disse Minako. «Tu hai le
sue stesse sicurezze su Mamoru, ma non
avresti retto la prova. Sei troppo gelosa.»
«Certo! Una che si mette a far vedere la scollatura
a Mamo-chan sta
cercando la morte!»
Minako esplose in una risata.
Usagi continuò. «E lui avrebbe pensieri
romantici su un'altra donna
solo con me morta!»
«Che tragica!»
«Per dire quanto mi ama!»
Ami si stava divertendo. «Comunque ti ringrazio,
Minako, hai ragione.
Forse mi aiuta riflettere adesso su questi scenari.»
Minako tornò a dedicarle attenzione. «Non
prendiamoci in giro, Ami. Ci
rifletterai ancora, soprattutto verso la fine dei due mesi. Basta che
ricordi come hai risposto ora, quando hai ancora la memoria fresca su
di
lui.»
«Ormai sono sicura.»
«Ti conosco abbastanza. Per te è un hobby
ragionare su possibilità
disastrose. Prevengo anche le tue possibili obiezioni future: abbiamo
parlato di situazioni che possono coinvolgere un ragazzo qualunque,
no?»
Dove voleva arrivare? «Sì.»
«Un ragazzo in una relazione normale, anche quando
è innamorato, può
avere momenti di cedimento. Ma questo ipotetico ragazzo comune non ti
sarebbe rimasto accanto già due anni fa. Uno,
perché agli uomini non
piace essere mollati.»
Ami si ritrovò con un dito in faccia. Minako ne
sollevò un altro. «Due,
se scoprono che la loro ragazza ha poteri sovrannaturali, scappano a
gambe levate. Tre, alla possibilità che lei sia incinta, la
lasciano
parlare con una segreteria telefonica per i successivi cento anni. E
quattro... Anzi, era il punto due e ce ne sarebbe pure un quinto, ma
non
esiste un ragazzo che accetti un anno di astinenza senza essere
irrimediabilmente e assolutamente convinto che lo sta facendo per la
persona giusta. Ancora mi chiedo come abbia fatto lui.»
Usagi scrollò le spalle. «Mamo-chan
almeno aspettava perché io ero
piccola.»
Ami frenò a stento le risate. «Qual era
il quinto punto?»
«Cinque, Ami, è che dopo tutto questo, un
ragazzo comune ti avrebbe
mandato al diavolo alla richiesta di provarti che il vostro amore
è
forte con quattro mesi di silenzio. Non avrebbe accettato manco una
settimana, altro che due mesi.»
Ami sospirò, ennesimamente pentita.
Minako le strofinò forte la testa. «Per
favore, applica tutta la tua
considerevole intelligenza a questi fatti nelle prossime settimane,
okay?» Picchiettò sulla sua nuca, per far entrare
meglio il concetto.
«Non immaginare il tuo ragazzo in scenari in cui altri
fallirebbero,
perché lui non
è un ragazzo
comune con riguardo a te.»
Ami annuì. Avrebbe avuto bisogno di un discorso
forte come quello già
settimane addietro.
«Che facce!»
Si voltarono. Al Crown era arrivata anche Rei.
«Ciao!»
«Di cosa stavate parlando?»
«Strigliavo Ami.» Minako
ricambiò un suo abbraccio, sentito e caloroso.
«Come stai?» le domandò Rei.
Minako ignorò la domanda.
«Perché non sei intervenuta con più
forza in
questa situazione? Non mi posso più fidare di
nessuno!»
Il sorriso di Rei era segreto. «Non eri presente.
Avendo sentito
l'altra parte in causa, ho ritenuto fosse più saggio non
intromettermi.
E visto che parliamo di questo...»
Rei tirò fuori dalla borsa un pacchettino squadrato
ben incartato, con
fiocco.
Il suo regalo, pensò Ami, contenta. «Per
me?»
«Sì, per il tuo compleanno. Ma non da
parte mia.»
Ami notò la carta da regalo blu, il particolare del
materiale con cui
era stato creato il fiocco - tela bianca, forse seta. In un attimo,
seppe di chi era quello stile. Incredula, si sporse a prendere il
pacchetto. Ricevendolo, lo strinse al petto.
«Lui è passato da casa mia per darmelo,
qualche giorno prima della sua
partenza.»
Usagi era commossa. «Cosa sarà?»
«Non c'è un biglietto?»
domandò Minako, occhieggiando il regalo.
Ami conosceva la risposta senza bisogno di guardare.
«Ci siamo promessi
silenzio.» E lei non si era aspettata nessun dono,
perciò stava tremando
di gioia. Quasi non le importava cosa fosse: era un modo per Alexander
di comunicarle che aveva pensato a come si sarebbe sentita in quel
giorno speciale, in sua assenza. Tanto bastava, era già
qualcosa di
prezioso. E se pensava che lui aveva comprato quel regalo quando ancora
lei aveva eretto una distanza tra loro...
Sentì gli occhi umidi. Si lasciò
invadere da un sorriso.
Rei era felice. «Ho voluto dartelo adesso,
così potrai aprirlo a
mezzanotte, prima di passare la giornata di domani a dispiacerti
perché
lui non è qui con te. Ma ti vedo meglio di quanto mi
aspettassi.»
Be', tra quella sorpresa e la lezione di Minako, il suo umore
non era
mai stato tanto alto in quei giorni, da quando Alexander era partito.
Lisciò la carta del pacchetto, rimirandolo.
Usagi moriva di curiosità. «Sembra un
libro.»
«Se lo è, passerò la notte a
leggerlo.»
«Ohh, come mi piace vederti romantica!»
Lei adorava esserlo. Perché aveva rifuggito la
felicità?
Rei le sfiorò una spalla. «Dici che
domani riesci lo stesso a uscire
con noi la sera, per festeggiare?»
«Certo.» Loro erano le sue care amiche.
Incontrò l'occhiata benevola di Minako.
Arrossì. «Cosa c'è?»
«È questa la Ami che mi piace
vedere!»
Quella sera Ami non resistette alla curiosità:
aprì il suo regalo che era
ancora il 9 settembre. Risultò essere davvero un
libro.
Lei non volle nemmeno leggerne l'introduzione. Si
sdraiò sul letto e si
immerse nel volume, capitolo dopo capitolo.
Trecentosettanta pagine dopo, la mezzanotte era passata da
quindici
minuti, lei aveva appena compiuto diciannove anni e aveva terminato di
leggere una storia intensa, commovente.
Guerre, privazioni, un oceano di distanza e anni di lontananza
- nulla
aveva scalfito l'intensità del sentimento dei due
protagonisti. Si erano
ritrovati nonostante le avversità e avevano combattuto per
tornare
insieme.
Le erano rimaste impresse delle frasi.
“E quando la rivide, dieci anni sparirono in un
secondo. Tornò a essere
un ragazzo, col petto che batteva e le gambe che smaniavano di correre,
per raggiungerla.”
“In tutto questo tempo ho creduto di averti
dimenticato” aveva detto la
protagonista all'uomo che aveva segnato la sua
gioventù. “Ho
vissuto un'intera vita senza di te, ma vivevo a metà, senza
saperlo.”
Il libro non era una classica storia d'amore. Ami lo avrebbe
classificato più come narrativa generale, ma lo amava per
questo. Nella
ricchezza della trama vi erano scampoli di sentimento strategicamente
posizionati, che le avevano sempre fatto tenere a mente la sofferenza
della coppia divisa dalle circostanze, dal tempo, da tutto. A volte era
stata solo una malinconia senza nome, la sensazione di aver perso
qualcosa di importante che non sarebbe mai più tornata.
Aveva capito cosa provavano quei due - in quei giorni
più che mai.
Nel finale non era stato descritto nemmeno un abbraccio, ma lo
sguardo
che l'uomo e la donna si erano scambiati, pronti a muoversi l'uno verso
l'altra, finalmente liberi di stare insieme, era stato
sufficiente. La speranza a un passo dall'essere concretizzata
era la
migliore
conclusione che Ami riuscisse a immaginare.
Appoggiò il libro aperto sul viso.
Quando hai
avuto il tempo di
trovarlo?
Accarezzò la copertina, a occhi chiusi, in testa la
sensazione delle
mani di Alexander. Voleva sfiorarle, toccarle, dirgli...
Quando pensava di aver trovato un limite all'amore che
provava, lo
sentiva crescere ancora.
Settembre diventò autunno.
Un giorno il cielo si riempì di nuvole e
iniziò a piovere. Il sole non
riapparve per una settimana.
Ami non si lasciò intristire dal tempo: era carica.
Usciva con le
ragazze, studiava, leggeva, ma alla fine le sue giornate erano
più
libere del solito. Non aveva più un ragazzo con cui dividere
i momenti
di svago.
Cosa starai
facendo?
Hai conosciuto
i professori che
ammiravi?
Hai trovato
compagni di corso
interessanti?
.... Ti manco?
Pensava ad Alexander talmente tante volte al giorno che in un
paio di
occasioni si era ritrovata con la cornetta in mano, sul punto di
chiamarlo, come se non si fossero mai scambiati una promessa diversa.
Una sera aveva persino preso il suo minicomputer e lo aveva
geolocalizzato negli Stati Uniti, dove si trovava. Era stata invasa
dall'idea che qualcosa potesse essere andato storto nel viaggio di lui
ed era riuscita a calmarsi solo quando aveva visto che stava bene.
Aveva
verificato la sua temperatura corporea, il suo stato di salute
generale.
L'immagine del cuore di lui che batteva le aveva strappato un sospiro
di
sollievo, felicità mista a tristezza.
Era impazzita, o pazza.
Per non crogiolarsi in quella tortura, il giorno seguente
aveva deciso
di concentrarsi su un gioco che non metteva in pratica da tempo:
avrebbe
esaurito l'argomento di un testo d'esame in meno di sette giorni. La
sfida era assimilare il contenuto del libro nella sua testa in maniera
chiara e completa, in modo da rendersi capace di spiegarlo ad ipotetici
altri come se le fosse toccato insegnare in maniera basilare la materia.
Iniziò una mattina, afferrando il libro scelto,
sentendo l'entusiasmo
che cresceva sotto pelle.
Cominciò a leggere le prime pagine a colazione, con
una matita in mano
per sottolineare i concetti e scrivere appunti. Mentre si vestiva per
la
giornata, ripeté le poche nozioni apprese.
Uscì di casa portando il libro sotto braccio, per
leggerlo mentre si
muoveva in metropolitana.
Niente doveva distrarla. Era una sfida di concentrazione, a
molteplici
livelli: a lezione doveva spostare la propria attenzione sull'argomento
di cui parlava il professore, e solo poi poteva tornare al testo che
voleva scandagliare fin nella più piccola nota.
La prima sera crollò a dormire come un sasso,
stanca e appagata.
Il secondo giorno sentì di aver preso il ritmo
giusto. Cento pagine in
quarantotto ore. Si prese un'ora o due per ripassare nella testa le
nozioni, esponendole a se stessa come se le stesse spiegando davanti a
un pubblico. Da sempre, per lei era un esercizio per vincere la
timidezza.
Cinque giorni dopo, nella sala mensa
dell'università, si concesse un
buon pranzo: aveva vinto la sua sfida.
«Mizuno-san!»
Una sua compagna di corso, Ritsuko Horie, l'aveva puntata.
Stava
lanciando un'occhiata al libro poggiato sul suo tavolo. Vedeva i
segnalibri colorati che spuntavano dalle pagine.
«Non ci credo, lo hai già studiato
tutto?»
Ami si strinse nelle spalle. «È un buon
testo. Il professore ha fatto
bene a sceglierlo.»
Incoraggiata, Horie-san si sedette accanto a lei.
«Anche tu non vedi
l'ora che inizi il prossimo anno? Io sono così stufa di
studiare queste
materie generali!»
Ami in verità si era già portata avanti
da mesi con quelle.
Ad Horie brillavano gli occhi. «Poi finalmente ci
faranno fare qualcosa
di pratico. Ho sentito che per gli studenti migliori è
previsto uno
stage in un ospedale privato, come semplici osservatori, durante le
vacanze. Tu ci sarai di sicuro, Mizuno-san.»
Durante le vacanze? «Nell'estate del prossimo
anno?»
Horie-san annuì. «Oh, mi stanno
chiamando. Ci vediamo!»
«Ciao» la salutò Ami,
deconcentrata.
Prese tra le mani il libro su cui aveva studiato.
Mentre ne imparava il contenuto non aveva perso tempo a
domandarsi
quando avrebbe potuto applicare quei concetti. Per lei il solo
apprendere era una gioia.
Ma il sogno nascosto di sempre, il motivo per cui aveva scelto
di
studiare medicina, stava in ciò che aveva detto Horie-san:
avere un
giorno l'opportunità di praticare la professione.
Nella prossima estate sarebbe stata ancora libera, a meno
che...
Si guardò intorno.
Le piaceva l'università. Le piaceva frequentarla.
Era l'ambiente in cui
si era immaginata sin da quando era stata bambina. Era appagante stare
lì, ma ricordarsi che stava studiando senza un fine... Non
era la prima
volta che sceglieva di non esplorare le conseguenze di una
possibilità
che lei stessa aveva messo in campo.
Ovviamente i fatti erano noti. Meno chiaro era come si
sentisse lei a
riguardo.
Era qualcosa di molto importante.
Come aveva detto ad Alexander, quello era il periodo in cui
potevano
ancora cambiare idea sulle loro scelte, se non erano sicuri di quello
che volevano fare.
Per una volta, non si permise di mettere l'amore sopra ogni
altra cosa.
Lo doveva a se stessa e a lui: aveva bisogno di essere completamente
sincera.
Terminò di mangiare e mise in pausa la questione.
Aveva ancora una
lezione da frequentare e un intero weekend per riflettere sulla
faccenda.
Non
è obbligatorio avere un bambino.
Era il nodo centrale della questione su cui doveva dibattere.
Certo, non era una costrizione diventare madre. Se avesse
scelto di non
esserlo, sarebbe stata libera di continuare la vita che stava
conducendo
ora - un'esistenza in cui si sentiva già felice e
realizzata.
Tuttavia...
Sdraiata sul suo letto, accarezzò la testolina di
Ale-chan, che si
stava strofinando contro la sua mano. Era un gattino affettuoso, che
amava riposare sopra il suo petto.
«Ti voglio bene» gli disse, avvicinando il
viso al suo muso.
Più pensava a cosa voleva davvero, più
era semplice decifrarlo.
La prospettiva di non poter dedicare tutto il tempo che le
rimaneva
allo studio non era gradevole. Ma l'idea di non poter mai avere un
bambino con Alexander era... devastante.
Tutta una vita senza un bambino loro?
No.
Voleva i momenti che aveva vissuto con lui l'inverno scorso.
Anzi, li
rivoleva, questa volta legittimamente.
Come poteva trascorrere tutta una esistenza col ragazzo che
amava senza
sentirlo di nuovo toccare il suo ventre con reverenza, per lo stupore
di
quello che avevano creato insieme? Un nuovo essere umano.
Con i tuoi
occhi, forse, e la mia
timidezza.
Voleva conoscere quella persona. Voleva vederla nascere,
voleva
crescerla. Non voleva farlo da sola.
Se tra un anno fosse diventata una madre, non ci sarebbe stato
un
momento in cui avrebbe desiderato tornare indietro. Perché
il bambino sarà nostro e tu sarai con me. In
ogni passaggio.
Avrebbero scelto in due il nome - se fosse stata femmina,
perché se era
maschio era certa che fossero già d'accordo. Avrebbero
atteso con
impazienza il suo arrivo. Lo avrebbero consolato nei suoi pianti, si
sarebbero riempiti dei suoi primi sorrisi.
Sarà
possibile?
Forse erano solo sogni.
In un mondo crudele, lei e Alexander erano già
troppo geneticamente
differenti per avere la possibilità di concepire insieme.
Sarebbero
potuti diventare genitori anche di un figlio che non fosse
biologicamente loro, in futuro, ma... Se Adam fosse esistito, sarebbe
stato... Il più bel dono che la vita poteva fare a
entrambi.
Ale-chan iniziò a fare le fusa contro il suo collo.
Ami lo grattò sotto
il mento.
«Vuoi un fratellino umano?»
Le fusa aumentarono di volume.
«Gli insegnerò a trattarti
bene.»
Oh, sì. Si sentiva capace di far scoprire il mondo
a un bambino pieno di curiosità ed entusiasmo, che
da lei avrebbe voluto
principalmente una
cosa: amore.
E io ti amo
ancora prima di
conoscerti, sai?
Era diventata una persona... completa, unica, amata. Era una
Ami Mizuno
che non vedeva l'ora di espandersi, di fare.
Sorrise e passò la mano lungo tutta la schiena di
Ale-chan, facendogli
alzare la coda. «Nel frattempo, studierò medicina.
Un giorno diventerò
un grande dottore, nessun dubbio.» Sentì il petto
che si distendeva,
libero. «Ma non c'è fretta.»
Primo ottobre.
Erano passati trenta giorni da quando Alexander se n'era
andato. Ne
mancavano ancora trenta prima di risentirlo.
Il periodo di silenzio era ormai a metà del suo
percorso.
Nella sua felicità per il tempo di separazione che
si riduceva, Ami
ogni tanto si ritrovava a guardare l'immensità del cielo.
Il loro era un mondo vasto.
Nella sua mente era vivido il ricordo di ogni respiro che
aveva
condiviso con Alexander, tanto quanto era grande la sua immaginazione
su
tutto ciò che lui stava vivendo da solo, in un altro
continente. Era
quasi come se fosse... un'altra vita.
Era
l'esperienza che volevo che
avessi.
Vivi e sogna,
aveva pensato.
Sogna senza limiti e costrizioni, anche senza di me.
Guardava fuori dalla finestra e vedeva così
tante speranze e obiettivi, gente che passava e se ne andava.
A volte osservava con indolenza, altre volte con la sensazione
di non
poter fermare ciò che stava accadendo.
Il mondo avrebbe continuato a girare anche se loro due si
fossero
allontanati.
Si poneva domande come quelle, senza trovare risposta.
Perché continuava a
pensare che lui potesse dimenticarla?
Sono una debole.
Quando sentì forte il desiderio di una consolazione
illogica, prese una
decisione. Caricò Ale-chan nel trasportino.
«Facciamo una gita.»
Appena entrò nell'appartamento di Alexander, si
sentì meno sola. Lasciò
libero il gattino e si guardò intorno.
Uscì a comprare qualcosa per fare colazione la
mattina successiva.
Servivano anche delle scatolette di cibo e una lettiera per Ale-chan.
Mentre la preparava in bagno, parlò al gatto che
esplorava la stanza.
«Così avrai un posto per le tue esigenze anche
qui.» In fondo, sarebbe
stato necessario, se quella sistemazione fosse diventata permanente per
entrambi, un giorno.
... stava correndo troppo?
Detestò quel pizzico di insicurezza e la sensazione
di prendere
decisioni che non sarebbero state gradite.
Era stato Alexander a dirle che poteva venire a dormire in
quella casa, da sola o
con Ale-chan. Non gli sarebbe dispiaciuta la lettiera per il gatto.
Non gli
dispiacerebbe nemmeno se
stessi qui per tutto il tempo che lui non c'è.
“Ami love.”
Rivisse un ricordo. Loro due sdraiati, di notte, abbracciati.
“Non te ne andrai domattina, vero?”
“Dobbiamo studiare. Siamo stati insieme per due
giorni.”
Lo aveva fatto ridere. “Non te ne andare
domattina.”
La sua voce. Il tono morbido, basso.
“Hai studiato?” L'avevano preoccupata i
suoi voti.
“Me lo chiedi sempre. Ma quando mai ho preso meno di
90 da quando
stiamo insieme?”
L'obiezione era stata sensata. “Hai
ragione.”
“Certo.”
La sua arroganza continuava a sembrarle tenera. Aveva avvolto
la sua
spalla col braccio. “Allora rimango.”
Lui aveva fatto silenzio.
“Non vuoi più?”
“Tu hai studiato abbastanza, vero?”
Le era uscita una risata, dal cuore. “Altrimenti non
ti avrei promesso
di restare.”
“Hm. Anche se mi hai messo dopo lo studio, non
importa.” Le aveva dato
un bacio sulla fronte. “Tu devi avere tutti i 100 che
meriti.”
“Durante le vacanze vorrò solo
te.”
“Ouch.”
Lei si era messa a ridere più forte. Quanta
allegria e leggerezza aveva
provato nello stare con lui.
“Anche adesso voglio solo te” aveva
precisato. “Ma mi sento più
rilassata quando non ho qualcosa da studiare.”
Lui aveva fatto scorrere un dito sulla sua nuca. “Un
giorno gli esami
finiranno.”
Lei si era goduta il tocco, a occhi chiusi.
“Già.”
“Quel giorno non te ne andrai più
domattina.”
Lei aveva percepito una domanda, incredula.
“Mai” aveva detto.
Avevano aumentato la forza dell'abbraccio, di pochissimo.
Erano già le
loro anime a essere intrecciate.
Quella notte, anche nel presente, Ami riposò nel
letto
di lui.
«Ami?»
Quattro ottobre. Era seduta in un tavolino della pasticceria
di Makoto,
insieme alle ragazze. A una certa ora del pomeriggio c'era sempre
scarsa
affluenza e Makoto poteva respirare.
Ami guardò Rei. «Cosa
c'è?»
«Sei strana oggi. Distratta.»
... aveva fatto un brutto sogno. «Non è
niente.»
Makoto arrivò al loro tavolino con un vassoio di
pasticcini. «Ecco qui
le mie nuove creazioni. Provatele tutte e ditemi quali sono le
migliori.»
Usagi si stava leccando le labbra. «Uno per ognuna,
di ogni tipo. Ti
adoro, Mako-chan!»
Rei aveva l'acquolina in bocca. «Vedo un chilo
intero su quel vassoio,
solo per me. Lo prenderò sui fianchi con gioia.»
Makoto selezionò un pasticcino con una rosellina
sopra. «Devi
cominciare da questo, Ami. Ma prima dicci perché sei in
pensiero.»
Non poteva nascondere loro nulla. «Ho fatto un
incubo.»
«Un sogno premonitore?» si
preoccupò Rei.
Ami scosse la testa. La sola idea la faceva sudare freddo.
«Era un
incubo normale. Mi sono addormentata con la televisione accesa. Il
suono
delle voci mi ha disturbato.»
Usagi smise di dedicarsi ai dolci. «Che cosa hai
sognato?»
Non ricordava come era iniziata. A un certo punto rammentava
di
essersi ritrovata col mini-computer di Mercurio in mano. In
quell'universo onirico aveva messo in atto ciò che non si
era permessa
di fare nella realtà: si era messa a cercare di nuovo
Alexander. Quando
lo aveva localizzato, aveva scoperto che lui si trovava in una stanza,
con
un'altra persona - una ragazza. Lo schema di linee azzurre sullo
schermo
le aveva restituito l'immagine di due corpi che si avvicinavano.
Aveva assistito a un bacio. Si era svegliata di colpo.
Terminò di raccontare il suo incubo alle ragazze.
«Ma va'!» proruppe Makoto. «Una
cosa del genere succederà solo quando i
nemici ci batteranno!»
«Esatto» le fece eco Usagi.
«Quindi mai!»
«So che è stato solo un brutto
sogno...»
«Ma certo.» Rei pativa con lei.
«Però quando si fanno incubi di questo
tipo viene sempre voglia di verificare subito la realtà,
giusto? Il
problema è solo che Alexander ti manca.»
Usagi riprese a mangiare. «Fossi in te, lo chiamerei
subito.»
Makoto non era d'accordo. «Ami non ha mica paura che
sia vero!»
«Che c'entra? Non contano le ragioni, ha voglia di
risentirlo. Quando
lui ascolterà la voce di lei al telefono,
scoppierà di gioia e non
gliene importerà nulla del loro accordo.»
Ami si sentì immensamente bene nel sentirlo.
Esatto, Alexander avrebbe
reagito in quel modo.
“You are my heart, Ami.”
E lui era il suo. Lei non riusciva a pensare ad altro.
Si sentì forte. «Mancano solo ventisette
giorni. Devo dimostrargli che
posso essere sicura dei nostri sentimenti, anche senza
rassicurazioni.»
Makoto stava rivedendo la propria posizione. «Hai
già aspettato un
mese, però.»
Sì, ma quello che ora le stava facendo paura era
esattamente la ragione
per cui aveva deciso di lasciargli del tempo per stare da solo.
«Alexander sta vivendo un'esperienza fondamentale in America.
Ogni
giorno che si concentra solo su quella, è un giorno in
più in cui
acquisisce certezze su cosa lo renderà felice in
futuro.».
Quella separazione stava avendo la stessa utilità
per lei: più stava
lontana da lui, più sapeva di essere stata una sciocca a
pensare che il
suo avvenire potesse non includerlo. Lui e una loro famiglia,
nonché
tutta una vita - mille anni interi - da passare l'uno accanto all'altra.
Finalmente era sicura. Finalmente non si sentiva
più in colpa per i
propri desideri.
Non era egoista, era solo... innamorata.
Rei la osservava, con uno scherno gentile in volto.
«Sai, Ami, a volte
mi chiedo se per te sarebbe un colpo tremendo ammettere di essere
inferiore in qualcosa.»
«Eh?»
«È chiaro che questo periodo di
separazione ti sta
servendo per
rimettere ordine nelle tue priorità. Ma sono convinta che a
lui non
servisse affatto. Mi sembra un tipo davvero semplice da questo punto di
vista: se c'è una cosa che lo soddisfa, non la molla
più. Tu invece ne
fai una faccenda complicata e non riesci a concepire che per Alexander
possa essere stata molto... be', lineare.»
Usagi stava facendo una smorfia. «Ami sa ammettere i
propri difetti.»
«Sì, ma tra loro c'è una certa
competizione sui talenti che hanno in
comune - in questo caso parliamo di perspicacia, e capacità
di
autoanalisi. Gareggiare è una cosa che vi piace, no? Come
col nuoto.
Fatichi ad accettare che Alexander sia arrivato tranquillamente a una
traguardo che tu hai raggiunto con grande sforzo.»
Sentendo il bisogno che aveva di replicare, Ami si
zittì e rifletté
sulle parole di Rei.
«È un modo di rassicurarti, sai? Tu devi
immaginare che
il tuo ragazzo sia
lontano, ma ansioso di risentirti e rivederti. Vedrai che tra un mese
farete festa.»
Usagi batté le mani. «Devi fare come
faccio io quando mi manca
Mamo-chan! Penso ai suoi baci, alle sue carezze...»
Makoto la osservava con un sopracciglio alzato. «Ma
se non
state lontani più
di due giorni.»
«E mi fa bene lo stesso! Dormo come una bambina dopo
essermi concessa
qualche fantasia su di lui. Ah, Ami! Luna vuole sapere dov'è
finito
Ale-chan. Stamattina lo ha cercato a casa tua.»
«Ehm... l'ho portato nell'appartamento di Alexander
con me. Ieri ho
dormito lì.» Per la terza notte consecutiva.
«Ohhh!»
Il coro di sospiri la fece arrossire. «È
stato lui
a darmi il
permesso!»
«Ma allora ti stavi già
consolando!» Usagi era estatica.
Rei sollevò un dito. Aveva un'idea in mente.
«Alexander ha lasciato dei
vestiti, giusto?»
«Hm?»
«Prendi una sua maglietta, o qualcosa che abbia
ancora il suo odore, e
mettila vicino a te quando dormi. Sarà come averlo
accanto.»
Era un trucco geniale, e molto intimo. Ami si
sentì morire
d'imbarazzo.
Il sorriso di Makoto era pronto a rincarare le dose.
«Sappi che se poi
ti vengono certi istinti, mentre sei sola soletta, lui in America
approverà di certo. Specie se poi glielo racconti al
telefono.»
Ami balzò in piedi. «Siete delle
svergognate!»
Venne sommersa dalle risate.
Avvampò fino alla punta dei capelli.
«Vado a casa.»
«Ma no, resta! Devi ancora mangiare i tuoi
dolci!» Makoto sigillò le
labbra. «Non dirò più niente,
giuro.»
Ami si decise a rimanere. Per il resto dell'incontro,
sentì il
divertimento benevolo delle sue amiche su di sé, ma loro
ebbero pietà e
non tirarono più in ballo il discorso.
Sette ottobre. Nove ottobre.
I giorni non passavano mai.
Ami iniziò a trascorrere più notti
nell'appartamento di Alexander.
Una sera sua madre le domandò dove andasse quando
non dormiva in casa.
Ami glielo confessò.
«Non ti sento parlare al telefono con lui.»
Ami scelse di spiegare. «Abbiamo deciso di non
sentirci per un po'. È stata una mia idea.»
Percepì l'approvazione di sua madre, e un pizzico
di incertezza.
«Lui come l'ha presa?»
«Non era molto contento all'inizio. Poi gli ho detto
che secondo me
avevamo bisogno di...»
«Riconsiderare il vostro legame?»
A sua madre poteva spiegarlo in quel modo. «Ho
pensato che questo
viaggio potesse essere un'occasione per stare per conto nostro e
capire... cosa vogliamo in futuro, come coppia.»
Sua madre annuì. «Siete giovani e dovete
prendere decisioni importanti
sul vostro futuro in questi mesi. Lui non deve sentirsi costretto a
rinunciare all'America per te. E tu non devi sentirti costretta a
seguirlo.»
«Ecco...»
«Intendo dire che è importante non
sentirla come una costrizione. Se
dopo un periodo di lontananza sentirete ancora di voler stare insieme,
potrete fare le vostre scelte con maggiore consapevolezza e
maturità.»
Ami si rese conto che sua madre stava pensando a
un'eventualità che lei
non aveva mai preso in considerazione. «Mi lasceresti andare
a studiare
in America?»
«Sì, se è quello che vuoi. Non
ti devi preoccupare dei costi. Se è
quello il posto in cui sarai una persona felice...» La pausa
seppe di
commozione. «Ti appoggerò in ogni tua
scelta.»
Ti
appoggerò.
Ami non sapeva perché, ma aveva sempre sentito di
dover
fare tutto da sola.
Invece aveva così tante persone accanto, che la sostenevano
e la
aiutavano.
«Grazie, mamma.»
Tredici ottobre.
Meno diciotto giorni al primo novembre.
Sarai ancora
convinto di quello che
mi hai promesso?
Le cose saranno
ancora come prima,
tra noi?
Cercava di dimenticare quelle domande.
Le cose non sarebbero state come prima, incerte. Sarebbero
andate
meglio. Lei avrebbe abbandonato ogni ritrosia nel ricambiare l'amore di
lui. E al suo ritorno, a gennaio...
Voglio andare a
vivere con te.
Era un sogno che la imbarazzava per la sua audacia, che la
riempiva.
Si era permessa di andare molto oltre. Qualcosa l'aveva
animata - forse
follia. Un pomeriggio si era ritrovata davanti all'atelier in cui
avevano trovato il vestito da sposa di Usagi. In quel posto aveva
indossato un bellissimo abito ricamato di fiori, che l'aveva fatta
sentire romantica, innamorata, pronta.
Per strada, davanti alla vetrina, si era sentita invadere da
un
brivido. Era corsa a casa e solo lì si era concessa
di singhiozzare.
Ale-chan si era strofinato contro le sue gambe, cercando di
consolarla.
«Scusa.» Lo aveva raccolto da terra,
abbracciandolo. «Ma perché sono
andata in un posto simile? Forse lui non mi vorrà
più come prima.»
Dopotutto lei lo aveva allontanato, ed era passato del tempo. Magari
Alexander aveva scoperto di stare bene anche senza di lei. Forse...
Ma cosa stava pensando?
Lentamente, si era calmata.
Quella notte era ricorsa allo stratagemma di Rei e aveva
recuperato una
maglietta di lui dal guardaroba. Alexander l'aveva usata la notte prima
di partire, una volta sola, per dormire, perciò non
l'avevano lavata.
Sdraiata sul letto, voltata su un fianco, Ami chiuse gli
occhi,
ispirando
il profumo dal tessuto.
A Boston stai
studiando tante cose
che ti piacciono.
Era bello immaginarlo appagato.
Sicuramente,
pensi che io qui ormai
sia tranquilla.
Infatti. Proprio perciò lei doveva stare serena,
anche per lui.
La nostalgia era un sentimento che confondeva.
Prima di dormire, pensò a cose felici.
Immaginò cosa gli avrebbe detto
il giorno in cui lo avesse risentito, e come avrebbe reagito lui.
Andò
più in là nel tempo coi sogni. Era gennaio, erano
all'aeroporto.
Correvano ad abbracciarsi.
Portò la maglietta al naso. Si
addormentò.
La mattina seguente, Ale-chan faceva la pasta sul suo stomaco.
Lei aprì gli occhi, accaldata. Spostò
delicatamente il gatto sul
materasso, per fermare la stimolazione sul ventre.
Aveva confuso il massaggio dei suoi cuscinetti per delle dita.
Appena
prima di svegliarsi, aveva sognato che...
Strinse inconsciamente le gambe, richiamando la sensazione di
piacere
dall'interno del suo corpo.
Perversa,
si redarguì,
mettendosi a sedere. Le venne da ridere.
«Miao!»
«Okay, ti do da mangiare.» Il suo amico
felino se lo meritava proprio.
Diciannove ottobre.
Mancavano pochi giorni al compleanno di Minako.
L'organizzazione della
festicciola a sorpresa che avevano in mente per lei dava ad Ami
qualcosa
a cui pensare.
Sulla telefonata fatidica che non vedeva l'ora di fare, aveva
iniziato
a farsi delle domande.
Ma con 'primo
novembre', lui
intendeva secondo il mio fuso orario, o il suo?
Era una differenza di ben quattordici ore -
un'eternità, quando era
così vicina al traguardo.
Se aspettava il fuso orario di Boston, forse Alexander avrebbe
pensato
che lei non aveva alcuna fretta di sentirlo. Sarebbe stato in pena per
tutto il tempo, o deluso.
D'altronde, se lei lo chiamava allo scoccare della mezzanotte,
ora
giapponese, erano le 10 del mattino del giorno precedente in America.
Forse lui avrebbe avuto lezione o sarebbe stato occupato con
qualcos'altro.
Magari non si aspettava di ricevere una chiamata quando il termine non
era ancora passato.
Non se la
prenderà per questo.
Ami riteneva di no, ma aveva paura di provare a chiamare e non
sentire
risposta. Avrebbe avuto la sicurezza che per Alexander qualcosa era
cambiato se lui non avesse avuto la sua stessa ansia di risentirla.
Il 22 ottobre, nel pieno della sua festa di compleanno, Minako
le
lanciò un'occhiata e sentenziò, «Lo
sapevo!»
«Eh?»
Ami si sentì prendere da parte. Minako la
portò in una stanza vuota
della casa di Usagi.
«Ti stai concentrando sulle tue fisime! Coraggio,
mancano pochi giorni!
Se non cambi faccia, sarò costretta a versarti addosso una
delle mie
gocce d'amore!»
«Scusa» sorrise Ami.
«Adesso andiamo là fuori. Voglio sentirti
al karaoke!»
Glielo doveva. «Farò del mio
meglio.»
Minako fece per tornare dalle altre, poi si fermò.
«Come regalo di
compleanno, tra una decina di giorni, voglio essre la prima a cui
racconterai tutto. Dovrai dirmi per filo e per segno quanto
sarà andata
bene la vostra agognata prima telefonata.»
Osservandola, Ami ebbe una curiosità, prettamente
impersonale. «Non hai
mai avuto alcun dubbio su di noi, Minako?»
Cosa la rendeva tanto sicura dell'esito che avrebbe avuto una
relazione
sentimentale che non era la propria?
Davanti ai suoi occhi, Minako si fece saggia.
«Riconosco l'amore quando
lo vedo. Non è uno scherzo, Ami. Non sarei ciò
che sono, se non fossi in
grado di percepire la forza di un sentimento che non fa neanche
respirare quando è sincero.» Le prese le mani.
«Non hai bisogno che sia
io a dirtelo. Credi in voi.»
Ami ricevette un bacio sulla fronte. Si commosse: il gesto era
stato
quasi materno.
«Coraggio, torniamo alla festa.»
23 ottobre.
Ami rilesse da cima a fondo il libro che aveva ricevuto in
regalo per
il suo compleanno.
24 ottobre.
Si ricordò di un compito che doveva consegnare il
giorno seguente in
classe. Completò il lavoro verso mezzanotte, soddisfatta
come non era
mai stata in precedenza di qualcosa che aveva lasciato da fare
all'ultimo momento.
25 ottobre.
Il ruolo che lo studio avrebbe avuto nei successivi mesi della
sua vita
la colpì come un fulmine a ciel sereno. Se voleva avere del
tempo libero
da dedicare alle chiacchierate con Alexander, tanto valeva mettersi a
studiare tutto il possibile mentre ancora non lo stava sentendo.
Passò le ore del 26, 27, 28 e 29 ottobre sui libri,
cercando
disperatamente di concentrarsi solo sulle nozioni.
Con tutto quello che stava studiando, avrebbe potuto passare
una
settimana intera a parlare con lui senza leggere una sola altra pagina.
Sempre che Alex avesse voluto sentirla tanto a lungo.
Il 30 ottobre Usagi le propose un party di Halloween.
«Vieni da me domani, indosseremo dei costumi! Ci
saranno anche Hotaru,
Michiru e Haruka!» Minako non sarebbe riuscita a venire, ma
già lo
sapevano.
«Devo tornare a casa prima di mezzanotte.»
«Come Cenerentola! Oh, giusto, devi sentire Alex! A
mezzanotte
precise?»
«Sì.» Alla fine, aveva deciso
che non avrebbe potuto aspettare un
minuto di più.
Usagi la salutò, dandole appuntamento per la sera
successiva.
31 ottobre 1997.
Nel guardare la data completa, Ami si ricordò che
conosceva Alexander
da quasi due anni.
Lo aveva incontrato in un giorno di novembre.
Lo aveva baciato un pomeriggio di dicembre.
Lo aveva lasciato una settimana prima di Natale.
Cinque giorni dopo lo aveva pregato di perdonarla.
Il 1996 era stato il loro anno più sereno. Il 1997,
quello più intenso.
Non le bastava. Lei voleva un altro anno, un altro decennio.
Un altro
secolo.
Inspirò, scegliendo di ascoltare, per istinto di
sopravvivenza, la
paura che aveva cercato di dimenticare.
Doveva prepararsi ad affrontarla.
Magari stanotte
mi dirai che per te è
cambiato qualcosa di importante.
Non pianse.
Alexander poteva aver deciso che una vita in America era
ciò che voleva
davvero.
‘Ho deciso di rimanere qui. Voglio lavorare alla
Nasa. Voglio fare
ricerca. Mi hanno proposto una specializzazione che non voglio
rifiutare.’
... lei non gliene avebbe fatto una colpa.
‘Ci ho pensato molto, Ami.’
Lo sapeva. Ne era sicura.
I love you. Avrebbe
cercato
di non dirlo. Gli avrebbe detto che capiva.
Se nonostante tutto lui non avesse voluto troncare la loro
relazione...
Sarebbe andata a trovarlo. Avrebbe voluto rivederlo. Al resto avrebbe
pensato in seguito. Il futuro non aveva importanza.
Se invece lui, dopo aver preso quella decisione, avesse anche
voluto
lasciarla...
È probabile.
Sei sempre stato
corretto.
Si appoggiò contro lo schienale della sedia,
svuotata.
No, capì. Non sarebbe riuscita a non dirgli che lo
amava. Ma proprio
per questo gli avrebbe augurato il meglio. Una vita bella, intensa,
piena.
Goodbye.
31 ottobre 1997.
Sbattè le palpebre secche, tornando a vedere il
calendario.
“Ti amerò per sempre” aveva
detto all'aeroporto. “Anche se non torni
indietro.”
Quel giorno più che mai, era consapevole che
sarebbe stato vero fino al
suo ultimo respiro. Qualunque cosa fosse successa.
«Da cosa sei travestita, Ami?»
Il suo costume causava un sorriso in chiunque lo vedeva.
«Sono uno spirito.» Piegò
le braccia a uncino davanti al petto,
incurvando la testa per mettere in risalto i due cartoncini attaccati
alla coroncina in fil di ferro che aveva fabbricato in casa. Sui
cartoncini aveva disegnato delle ondine, come quelle che nei manga si
usavano per rappresentare gli spiriti.
Makoto si fece una risata.
«Non ho avuto modo di andare a comprare un costume
vero.» Si era
distratta facendone uno in casa, con un vecchio lenzuolo e strumenti da
cartoleria. Come per le feste scolastiche, quando era stata una bambina.
«Sei adorabile!»
«Grazie.»
«Devo farti una foto, così anche Alex un
giorno potrà vederti!»
Ami riuscì a non formare alcuna espressione.
Makoto intuì ugualmente il suo stato d'animo.
«Ragazze!»
Le raggiunsero Rei e Usagi - rispettivamente una diavolessa e
una
fata.
Haruka, Michiru e Hotaru non erano ancora arrivate.
«Cosa?»
«Formiamo un cerchio attorno a Ami.»
Le sue amiche non chiesero nemmeno il motivo: la circondarono,
le loro
braccia sulle sue spalle.
«Questa notte andrà tutto bene,
Ami-chan» disse Makoto.
Ami non si azzardò a parlare. Le era cresciuto un
magone in gola.
Usagi strofinò la testa contro la sua tempia.
«Lo risenterai e sarà...
bellissimo.»
Ami chiuse gli occhi.
Rei le liberò la fronte dai capelli.
«Svaniranno tutta l'incertezza e
l'attesa di questi due mesi.»
Lei si riempì l'animo delle loro rassicurazioni.
Makoto non resistette più e l'abbracciò
forte. «Non riesco a vederti
triste! Come puoi esserlo?»
«Mi sto solo... Voglio essere preparata se lui mi
dirà che...»
«Non succederà.» Usagi scuoteva
la testa.
Rei incontrò i suoi occhi. La comprese meglio di
tutte quando
disse, «Se per qualunque motivo vorrai parlare con noi, dopo
che lo
avrai sentito, io starò sveglia tutta la notte ad
ascoltarti.»
Ami si sporse verso di lei. Finì racchiusa tra le
sue braccia,
lasciandosi sostenere.
Usagi stava trattenendo le lacrime.
«Perché siamo infelici prima del
tempo?»
Ami sentiva la carezza della mani di Rei sulla nuca. Fu lei a
dare voce
ai suoi pensieri. «Perché nella
realtà una
persona non rinuncia a tutta la vita che
conosce solo perché è innamorata. Il tempo
passa, i sentimenti si
affievoliscono. La lontananza separa. Le persone cambiano.»
Non lei. Quello che provava non sarebbe mai sparito.
Tornò dritta e Rei chinò la
testa, per farsi guardare. «Ma io
sono convinta, con tutto ciò che sono, che la tua
sarà una favola, Ami.
Questa storia finirà in lacrime solo perché
saranno di gioia. Tu meriti
tutto l'amore del mondo.»
Ami sentì una scia umida sulla guancia.
Non importava cosa meritava, contava ciò che aveva:
delle amiche
splendide. Erano sorelle. «Vi voglio bene.»
Le fece commuovere tutte, queste persone che amava e che non
la
lasciavano mai sola.
Amore.
Esisteva in molte forme. Lei voleva aprirsi ad ognuna di esse.
Non
voleva più fuggire, né nascondersi.
Qualunque cosa fosse successa...
Non torno
indietro.
Undici e cinquanta, dieci minuti alla mezzanotte.
Seduta sul suo letto, Ami guardava il foglietto col numero da
chiamare.
Lo aveva imparato a memoria.
Era andata in bagno, aveva bevuto un bicchiere di latte per
calmarsi.
Non si era mai sentita in quel modo in vita sua: man mano che
si
avvicinava il momento, l'ansia cresceva insieme alla sua fervida
attesa.
Voleva risentire la voce di Alexander. Non le importava nemmeno di cosa
lui avrebbe detto, voleva solo risentirlo.
Devi essere a
casa, rispondimi.
I love you.
I love you.
Voglio che
andiamo a vivere insieme.
Voglio avere il nostro bambino. Voglio che ci sposiamo.
Rischiava di dire tutte quelle cose nella prima frase.
Rise, l'istinto di piangere che scappava sempre più
lontano.
Dentro di sé sapeva la verità.
Questo
è il giorno in cui finiranno
le sciocchezze per cui ti ho fatto soffrire.
Chissà come gli era andata a Boston?
Presto avrebbe saputo come si era trovato, che cosa aveva
fatto.
Lo avrebbe risentito.
Sei l'altra
metà di me, per questo mi
sento instabile senza di te. Ma in quei due mesi,
nonostante
tutto, era cresciuta. Ora era la persona che poteva sostenerlo a pieno
titolo, per un altruismo sincero che non derivava da timori nascosti.
Due minuti alla mezzanotte.
Rigirò il cordless tra le mani.
Il suo animo era talmente pieno che elaborò dei
versi.
`E quando lo risentì, sparì l'oceano che
li separava e i mesi in cui
erano stati lontani. Fu come averlo accanto, e avere sulla pelle il suo
respiro.`
Sorrise. Aveva ripreso la struttura della frase dal libro che
lui le
aveva regalato, ma erano parole vibranti che traboccavano da lei. Le
avrebbe recitate al suo unico amore, senza vergognarsene.
Meno trenta secondi.
Tremando, si preparò a comporre il numero con le
dita.
Allora,
prefisso 001, poi 617. Guardò
l'orologio, in attesa, per iniziare a premere i tasti solo quando il
contatore dei secondi fosse arrivato almeno a cinquant-...
Un trillio esplose nella stanza.
Ami guardò incredula il telefono. Il suono dello
squillo si stava perdendo
nell'aria.
Col cuore in gola schiacciò subito il tasto di
risposta, quasi
sbattendo la cornetta contro l'orecchio.
«... pronto?»
«Ami.»
Le uscì un lamento. «Alex!»
Non
riuscì a formare una sola altra parola:
scoppiò a piangere, lacrime su lacrime a inondarle la
faccia.
«Ah,
love, don't cry.»
Provò a rispondergli, ma i singhiozzi glielo
impedivano, per la ragione
migliore che potesse esistere: felicità pura. Mai nella sua
vita si era
sentita così...
«Per me non è cambiato niente, Ami. Dimmi
che per te è la stesso.»
«I love you!» Si costrinse a deglutire.
«Sono stata una stupida! Ogni
giorno ho pensato a te.»
La risposta di lui fu un sospiro. Lei provò la sua
stessa pace.
Rise, ancora pianse, ma era solo per gioia. «Come
stai?»
«Non sai quante cose ho da raccontarti.»
Lei si abbandonò sul cuscino. «Anche
io.»
Lo sentì ridere - una cosa così bella.
«Hai scoperto nuovi
teletrasporti?»
No, aveva scoperto una Ami nuova - grazie a lui, per lui.
«Prima voglio
sentire tutto quello che ti è successo. Non facevo che
immaginarlo.»
«Io non facevo che immaginarti da sola,
love.»
«Non lo ero.» Non lo era mai stata,
comprese. In nessun momento.
Fu come sentire l'ultimissimo tassello di sé che
andava finalmente al
proprio posto. «Eri con me.» Lui l'aveva pensata
per
tutto il tempo.
«Sì. Ma sono riuscito a studiare un
po'.»
Lei sorrise e inspirò a fondo, smettendo di
piangere. «Raccontami.»
Ascoltò, non seppe per quante ore. E
parlò, per buona parte della
notte.
Quel giorno finirono la sua attesa, i suoi incubi, le sue
paure.
Quel giorno cominciò il suo nuovo mondo.
Settembre/ottobre 1997 -
Separazione e...
- FINE
Note: Piango di commozione per essere riuscita a raccontare
questa
lunga vicenda di Ami e Alexander, che finalmente ha avuto fine. Da
questo momento in poi, solo leggerezza in questa raccolta! :) Nel
prossimo capitolo leggerete anche di Shun e Arimi (Alexander li ha
incontrati spesso). Tornerò al punto di vista di lui, dato
che Ami - infine,
di nuovo, clap clap, Ami-chan - ha messo da parte le sue fisime.
Proprio
per questo, la vedrete comportarsi anche in maniera più,
ehm,
disinibita.
Grazie di essere qui a leggere e se vorrete dirmi cosa ne
pensate, sarò
felice come Ami in questo capitolo (quasi :D).
Elle
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dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor Moon,
Verso l'alba e oltre...
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Capitolo 15 *** 3/4 novembre 1997 - A Boston, in America ***
per istinto e pensiero
Per
istinto e pensiero
di ellephedre
3/4 Novembre 1997 - A Boston, in
America
In tre giorni probabilmente Alexander aveva speso
più di
cento dollari in chiamate intercontinentali, ma non se ne pentiva.
«Da quanto stiamo parlando?» gli
domandò Ami.
«Quattro ore.»
«Da te sono le due del mattino. Non devi andare a
dormire?»
«Posso resistere ancora un po'.»
Udì un sorriso. «Vorrei lasciarti
riposare, ma...
mi sei mancato così tanto. Sento che non finirò
mai di
avere cose da dirti.»
«Parla fino a domattina, love. Per te
passerò la notte in bianco.»
«Sarebbe la seconda notte.»
Lei si preoccupava troppo. «Tu oggi non sei mancata
a lezione per stare al telefono con me?»
«... sì. Non ha importanza, ho studiato
molto in queste settimane.»
Risentirla dopo due mesi era come respirare di nuovo. Ami
era diversa: più affettuosa, meno timida, pronta a
dirgli tutto quello che le passava per la testa, soprattutto quando si
trattava di quello che provava per lui.
«Yamato non ha il sonno leggero, vero?»
«Solo quando Arimi piange. Per quanto lo riguarda
posso
rimanere in piedi tutta la notte, basta che la bambina non si
svegli.»
Ami rise piano. «È così bello
che tu stia vivendo a casa sua. Avresti dovuto pensarci
subito.»
Alexander concordava. «Non volevo
autoinvitarmi, pensavo che Shun avesse la sua vita. Ma alla fine aveva
bisogno di una mano. Mi trovo bene qui e risparmio anche il costo
dell'alloggio.»
«Quando verrò in America voglio stare con
voi per qualche giorno.»
«Certo. Ti farò vedere il campus e tutta
Boston.»
«Poi New York, vero?»
«Hm-hm. E Washington, se ti andrà. Ci
muoveremo in auto da una città all'altra.»
«Hai già modificato il tuo biglietto
aereo? Devo prenotare lo stesso volo per tornare indietro con
te.»
Giusto. «Ho chiamato oggi l'agenzia. Un attimo,
cerco i dati del nuovo volo.»
Ami fece silenzio. «Ale-chan si sta strofinando tra
le mie gambe.»
«Si prende quello che spetterebbe a me solo
perché porta il mio nome.»
Lei si divertì. «Ha fame, è
quasi ora di pranzo. Vado ad aprirgli una scatoletta.»
Alexander annuì, mentre inginocchiato sfogliava i
fascicoli di documenti che aveva radunato.
«Alex?»
«Sì?»
«Potrò restare qui quando tornerai?
Intendo, in questo appartamento?»
Che domanda era? «Ovvio.»
«Voglio dire... senza andare più a
dormire a casa mia. Porterei qui le mie cose.»
Per un attimo lui si immobilizzò. Se solo
lei avesse potuto vedere la sua faccia... «Sì,
love. Sì.
Vieni a vivere con me.»
Ami rilasciò un suono. Felicità.
«Scusa se sono stata sfacciata. Però-»
«Non dirlo. Ti amo e non voglio più stare
lontani. Te lo avrei chiesto io.»
Lei emise un sospiro spezzato. «In questi giorni mi
sto
allenando a gestire la casa. Ma già vivevo per
metà del
tempo da sola a casa di mia madre, perciò...»
«Ti vorrei anche se fossi disordinata.»
«Sei tu il disordinato» sorrise lei.
«Ma io
metterò a posto tutto quello che lasci in giro. E
comprerò qualche libro di ricette, o chiederò a
Mako-chan, perché so che quello che cucino di solito
è
troppo leggero per te.»
Lei parlava di una vita domestica che gli stava facendo
scoppiare il
petto dal desiderio di iniziarla subito. «I love you.»
«Me
too. Terribly.»
Se solo avesse potuto abbracciarla...
Al telefono udì lo squillo di un apparecchio. Il
computer di Mercurio.
«Qualcuno mi chiama. Un attimo.»
Alexander rimase in linea mentre Ami rispondeva, la sua voce
chiara nell'aria.
«Ciao, Artemis.»
«Ami-san! Sei a casa questo pomeriggio?»
«No, mi trovo nell'appartamento di Alexander. Volevi
venire a prendere Ale-chan?»
«Cercavo te. Ho una cosa da darti. Un
regalo.»
Alexander sollevò un sopracciglio.
«Grazie mille.»
«Ti piacerà molto, Ami-san. Mi sono
impegnato!»
Da quando il gatto Artemis offriva doni alla sua ragazza?
«Scoprirò cos'è quando me lo
porti?» domandò lei.
«No, posso dirtelo adesso. Ho costruito due nuovi
comunicatori che sfruttano il potere di Mercurio.»
«Due?»
«Presto darò i loro alle altre ragazze.
Ho fatto i tuoi
per primi perché è stata la tua situazione a
ispirarmi.
Ho aggiunto uno schermo più grande, di 4 pollici per 3.
Niente
più tastiera, ha un solo pulsante e gli altri comandi si
attivano con uno stimolo tattile sullo schermo. Ho letto che stanno
inventando qualcosa di simile e io ci sono arrivato per
primo!»
Quel gatto era un genio, pensò Alexander.
«Il secondo computer sarà per Alex,
quando torna?»
«Veramente... Mi sono permesso di contattare
Haruka e Michiru negli Stati Uniti. Sono pronte a venire qui a prendere
il secondo comunicatore. Se al tuo ragazzo va bene, possono
portarglielo dove sta adesso in America, così tu e lui
potrete
vederv-»
Alexander saltò in piedi. «Quando possono
venire?!»
Artemis sentì la sua voce.
«Alexander-san?»
Ami stava ridendo piano. «Era al telefono con me.
Davvero Haruka e Michiru possono farci questo favore?»
«Hanno detto che non è un problema.
Dovete solo organizzarvi.»
«Le chiamerò io»
dichiarò Ami. «Artemis, ti
raggiungo ovunque ti trovi questo pomeriggio. Un grazie non
è abbastanza.»
«È stato merito di Minako. Io ho pensato
allo schermo
più grande, ma è stata lei a dirmi che dovevo
farne due
per te. Non ti ha detto niente finora perché volevamo prima
essere
sicuri che ci sarei riuscito.»
Alexander aveva solo poche parole per loro. «Li amo.
Tutti e due.»
Artemis rise. «Ti ho sentito. La vostra
felicità è la mia ricompensa.»
Per Alexander non bastava. Doveva pensare a un regalo fuori da
ogni proporzione, sia per lui che per Aino.
Ami concluse la chiamata e tornò al telefono.
«Potrò vederti! Solo su uno schermo,
ma...»
Alexander aveva fatto un passo oltre con l'immaginazione.
«Ami... E se chiedessi a Kaiou e a Tenou di portarmi in
Giappone
per il weekend?» Era disposto a inginocchiarsi
per il disturbo.
Ami iniziò a respirare veloce. «Co-come
spiegheresti a Yamato dovei sei andato?»
Giusto. Poteva mentire sulla destinazione, ma Shun
aveva sempre bisogno di una mano per Arimi. Alexander si era trasferito
a casa sua con la promessa di esserci per le emergenze e Shun aveva
parecchio da fare con l'università. Come lui, d'altronde.
Aveva
in ballo almeno due lavori di gruppo per quel fine
settimana. «Potrei venire per mezza
giornata»
tentò. God, anche solo qualche ora con lei sarebbe stata...
Ami non stava dicendo nulla. «Alex... verrei io da
te se
entrare in un teletrasporto non richiamasse Mercurio su di me.
Però... se ti vedessi, se ti toccassi... Per così
poco
tempo...»
... già. Se fosse andato in Giappone a trovarla
solo per qualche
misera ora, non sarebbe riuscito a tornare indietro. Non avrebbe
più voluto, finché non si fosse saziato di lei -
una cosa
impossibile. «Rimarrei lì incollato a
te.»
La sentì sorridere - un divertimento mesto.
«Penserei solo a quando
posso rivederti per i prossimi due mesi. Credo che potrei persino
chiederti di... di restare,
abbandonando tutto.»
Lei non aveva idea di come una cosa che la faceva sentire in
colpa
in realtà rendesse lui immensamente felice. Quel piccolo
segnale
di egoismo era la dimostrazione di un amore che non aveva
più limiti.
«Ti vedrò con quel
comunicatore» le disse, rassegnandosi alla sofferenza.
«Credo che ora sognerò l'altra
possibilità.»
Mai quanto lui. «Mancano meno di cinquanta giorni
perché diventi realtà. Resisterò solo
perché poi non ci lasceremo
più.»
Seppe che Ami stava annuendo all'altro capo della cornetta.
«Devo andare da Artemis.»
«Sbrigati.»
«Tu dormi. Sarai stanco.»
«Di' a Tenou e Kaiou che posso muovermi all'ora che
vogliono loro.»
Lei sorrise. «Staranno dormendo, si trovano nel tuo
stesso
fuso orario. Le chiamo domattina. Mi inchinerò di
gratitudine
anche per te.»
«Ne verrà la pena.»
«Ciao.»
«Ciao.»
Riattaccarono in fretta. Avevano imparato che se
aggiungevano un appellativo appena più dolce o un altro
saluto,
la chiamata poteva continuare per un'altra mezz'ora.
Alexander guardò il soffitto.
... avrebbe rivisto il viso di Ami. Forse già il
giorno seguente.
Si sdraiò sul letto e crollò a dormire
felice.
«Che occhiaie» commentò Shun,
vedendolo entrare in salotto per la colazione.
Alexander si appoggiò al bancone, sbadigliando.
«'morning.»
Udì un gorgoglio acuto. Ah, si era dimenticato di
salutare qualcuno. «Hello, little girl!»
Arimi Yamato ridacchiò sentendo il solletico delle
sue dita
sulle guance paffute. Si agitò allegra nel
seggiolino. «Hi!»
A lui quello sembrava un 'ciao' inglese in piena regola, ma
Shun
insisteva sul fatto che quella non poteva essere la prima parola di
Arimi. Era convinto che a dieci mesi fosse presto per sentirla parlare
con coerenza.
«Sei stato al telefono tutta la notte?»
Alexander stiracchiò le braccia. «Fino
alle due e mezza. Ti devo almeno trenta dollari.»
«Non farmi passare per tirchio.»
Come se non lo avesse visto digrignare i denti al pensiero
delle
chiamate intercontinentali tra lui ed Ami. «Tra
poco il costo non ricadrà più sulla tua
bolletta.»
«Hm?»
«Comprerò una di quelle schede con
ricarica inclusa,
così sarà più semplice controllare
quanto
spendo.»
«Come vuoi.» Shun sorseggiò dal
proprio
caffè. Gliene passò una tazza piena.
«Con Ami siete
ancora nella fase delle smancerie?»
«Dopo due mesi di silenzio...»
Shun rimuginò. «Per te è tutto
a posto, allora? Anche se è stata una sua idea non
sentirvi?»
Non aveva mai convinto Shun con la spiegazione incompleta di
quello
che era successo tra lui ed Ami. Non poteva dirgli tutta la
verità. Allo stesso tempo non aveva voluto mentirgli,
dichiarando che stava sentendo Ami quando non era vero.
Sarebbe stato
difficile ingannare Shun anche se non avessero convissuto da un mese a
quella
parte.
«Ami è cambiata. Stanotte ha detto che
vuole venire a vivere con me.»
Shun sgranò gli occhi. «In
Giappone?»
«Sì.»
«Dopo che ti ha torturato
poteva almeno prendere in considerazione l'idea di trasferirsi
qui.»
«Non arrabbiarti al posto mio.»
«Tu sai che ho sempre pensato bene di Ami-san. Ma
decidere di
non parlarti per due mesi... Non me lo sarei aspettato da
lei. È un giochetto psicologico, un dramma
inutile.»
«Ami se n'è pentita appena me ne sono
andato. Lo
sapevamo già tutte e due, all'aeroporto. Avrei potuto
chiederle di ritirare tutto e lei sarebbe stata d'accordo. Non sono
pentito di non averlo fatto. Avevamo bisogno di questa separazione.
Qualunque dubbio fosse
mai esistito dentro di noi riguardando alla nostra relazione,
è
sparito completamente. Non eri tu quello che diceva che esageravo nel
fare tutto quello che voleva lei? Ora è diverso.»
Il suo amico evitò di dire quello che aveva in
mente.
Alexander udì ugualmente l'obiezione.
«Tornerò
in Giappone perché è quello che
voglio io. Non lo faccio per paura. Ormai sono sicuro che
anche se stessi via
per anni, Ami mi aspetterebbe.»
«Continuo a non capire perché lei non
può
raggiungerti qui, dove tu hai la possibilità di
specializzarti
nella migliore università del mondo. Varrebbe lo stesso per
lei con medicina.»
Su quel punto Alexander doveva fingere una saggezza senza
valide
spiegazioni. «Saremo felici in Giappone. È una
vita che
non vedo l'ora di iniziare.»
Shun lo scrutò. «Non è che
avete fatto di
nuovo sesso senza precauzioni e questa volta lei è davvero
incinta?»
Alexander scoppiò a ridere. «Te
lo avrei detto subito!» Bevve il suo caffé.
«Magari lei non ha ancora avuto il coraggio di
rivelartelo.
Così ha un senso, non vedi? Ti ha sottoposto a questa
stupida
prova del silenzio perché voleva assicurarsi che, avendo
campo
libero, tu non scegliessi di allontanarti. Ami-san è il
tipo capace di prendersi cura di un bambino da sola, se
crede che coinvolgerti ti bloccherebbe.»
«Hai cominciato a guardare soap-opera
americane?»
Shun gli lanciò uno sguardo di fuoco mentre si
sistemava
accanto al seggiolino, in mano un omogeneizzato fatto in casa - da
Agatha, la tata di sua nipote.
Iniziò ad imboccare Arimi. «Non ti stupire se
salta fuori
che è la verità.»
«Sei fuori strada.» Ma Alexander voleva
essere sincero con
lui, ora che poteva. «Io ed Ami stanotte abbiamo parlato di
andare a
convivere, ma io voglio di più. Entro il prossimo anno ci
sposeremo. E per il prossimo Natale lei potrebbe essere davvero
incinta. Vogliamo un bambino.»
«Ehi, ehi!» Shun era incredulo.
«Chi ti corre dietro?»
«Nessuno.»
«Perché vuoi fare tutto così
in fretta? Ti senti già tanto adulto?»
Guardando Arimi e sapendo quello che Shun aveva passato con
lei, Alexander
esitò a parlare. «La mia non è
arroganza,
è una sensazione di... pace. It's just right. Non
vedo l'ora che io ed Ami
arriviamo a fare insieme tutti questi passi.»
Shun aggrottò la fronte, strofinandosi gli occhi.
«Alle
sette del mattino è troppo presto per questi discorsi. Anche
per
essere rincitrulliti dall'amore.»
Alexander sorrise. «Ami verrà a trovarmi
qui
appena finite le lezioni. Gireremo per la East Coast,
ma prima vuole vedere te e Arimi. Potremmo passare il Natale
insieme, che ne dici?»
«Sembri una pubblicità natalizia. Siamo
appena il 4 novembre.»
Si era dimenticato che di mattina era difficile trovare Shun
di buon
umore. «Be'... avrai il tempo di
vederci insieme e verificare che non mi è partito il
cervello.»
«Solo perché sono un signore non dico
che lei ti sta
comandando per una parte del tuo corpo si trova molto al di sotto del
petto.»
«Ha-ha. Lo hai detto.»
Shun scrollò le spalle. «E sta usando una
certa parte del suo
corpo per intrappolarti come una specie di mantide religiosa
che-»
«È meglio che stai zitto» lo
interruppe Alexander.
«Perché invece io non ho problemi a dirti che
dovresti
farti una sana scopata per non avere più quel palo piantato
su
per il-»
«Ehi! C'è Arimi!»
Chiudendosi la bocca a forza, Alexander sollevò il
braccio, il gomito piegato, per mostrare a Shun il dito medio.
Il suo amico spalancò la bocca. Fottiti! mimò
in risposta con le labbra.
Alexander andò in camera sua a vestirsi.
«È quello che stavo consigliando di fare a
te.»
Per il resto del giorno per Alexander non fu semplice
concentrarci.
Ce l'aveva ancora Shun, anche se capiva la ragione dietro il suo
atteggiamento.
«Mr Foster. What's your answer for this?»
Si riscosse, rispondendo al richiamo all'attenzione del suo
professore. «I have it right here.» Diede la
risposta che aveva segnato sul
foglio. Lasciò perdere la questione Shun per altri lunghi
minuti, continuando ad esporre la sua soluzione riguardo al problema di
fisica per il quale era stato richiesto a tutti di creare un approccio
originale. L'idea era quella di mettere in pratica la soluzione
trovata, ingegnandosi per costruire nella realtà lo
strumento
necessario. Era una gara, e avrebbe vinto chi ci fosse arrivato
più vicino.
In Giappone si sarebbero limitati a essere soddisfatti di una
risposta teorica che non sarebbe mai uscita dalla carta. Non
si era mai sentito tanto sfidato come in quelle settimane, in
quell'università.
«Good. Interesting. Vedremo se riuscirà a
tirarne fuori qualcosa di concreto.»
Lui ne aveva tutta l'intenzione.
A fine lezione il suo vicino di posto, John
McCornack, si
sporse nella sua direzione. «Senti, vorrei fare gruppo con
te.»
Alexander sorrise. «Non credi abbastanza nella tua
idea?»
«Credo che la tua sia più ambiziosa.
Siccome qui non
stiamo giocando, se la facciamo funzionare tra qualche anno potremmo
portarla sul mercato. Prevedo soldi.»
Sì, la sua idea aveva un potenziale di guadagno
più
elevato. «Ti abbasserà la media non concentrarti
sulla tua
soluzione.»
«So guardare oltre.»
Il ragazzo che stava davanti a loro, Kwan Hu, aveva prestato
attenzione alla loro conversazione. «Vi serve una terza
persona.
Io ho una specializzazione in ingegneria. Voi no,
giusto?»
Era esatto. «Okay, ci lavoreremo insieme.»
Fece no con
la testa in direzione di una quarta persona che aveva pensato di unirsi
al loro team.
Quella classe era un concentrato di personalità
ambiziose,
opportuniste e geniali. Forse sarebbe stato utile avere più
di
tre menti al lavoro per sviluppare l'idea che aveva avuto, ma per la
prima volta
in vita sua - per la seconda in verità, al di fuori di un
gruppo
di semi-dee Sailor - sentiva che poteva non essere capace di tenere le
redini di una situazione. McCornack e Hu erano in grado di
sovverchiarlo
se non dimostrava di essere avanti a loro in ogni punto del progetto.
Mentre si formavano altri gruppi, Hu si caricò la
cartella su una spalla. «Stasera birra al pub?
Così
impostiamo il lavoro.»
Quanto era diverso quel luogo dal Giappone: unire alcool e
studio
era impensabile da dove veniva. «Posso rimanere fino alle
dieci.»
McCornack li precedette sulle scale. «Poi prometti
orari più flessibili? Altrimenti stiamo parlando del
nulla.»
«No problem. Questo progetto avrà la
priorità.» Erano solo altri due mesi della sua
vita, e
ricordò perché Ami era stata saggia a non
incitarlo ad
andare da lei.
Hu gli diede una spallata leggera, non per caso.
«Senti,
quella tizia che ti girava intorno... Reed, giusto? Per caso ti ha
lasciato
il suo numero?»
«Non dovresti chiederlo a lei?» Per quanto
non consigliasse
a nessuno di frequentarla: quella tizia era pazza.
«Volevo solo una mano. Per le ragazze siamo tutti
bros, right?»
McCornack era dubbioso. «Non passo dove ha pascolato
un altro. Te la sei fatta?»
Alexander rilasciò uno sbuffo.
«No.»
«Come on. Pensavo fosse per questo che ce l'aveva
con te. Perché l'avevi usata e mollata.»
«Sai quando uno non vuole parlare con una persona, e
quella
insiste, e si mette nel tuo cammino fino a costringerti a spostarla di
peso? Reed è peggio. Non
è la prima che si sia interessata a me, ma il suo rifiuto di
accettare un no era patologico. È un molestatore al
femminile.»
«Uhò! Che ti ha fatto?»
Preferiva non parlarne. «Vi ho avvertito.»
«Hm. Per quel paio di gioielli che si ritrova sul
petto...»
McCornack fece schioccare la lingua. «No, amico,
dài
retta. Ha ragione Foster, una che si comporta così
è una piaga. Pensa a quando vorrai chiudere con
lei.»
Alexander li lasciò ai loro discorsi di donne.
«A stasera.»
Seduto in biblioteca, dopo aver mangiato un panino comprato
nell'unico locale che ne servisse uno decente nelle vicinanze,
fissò il telefono portatile che aveva appoggiato sul
tavolo. Aveva voglia di parlare con Ami, ma da quell'apparecchio
avrebbe speso un capitale.
Voleva dirle di Shun. Voleva anche parlarle degli orari delle
loro
chiamate nelle prossime settimane, poiché non si sarebbero
potuti sentire tanto quanto in quei giorni. Glielo aveva già
anticipato, ma ascoltare McCornack che gli ricordava quanto sarebbe
stato
impegnativo il lavoro lo aveva messo di malumore.
Due mesi soltanto.
E a me piace stare qui.
Se Ami avesse potuto raggiungerlo, sarebbe stato un mondo
perfetto.
Tuttavia, lo era anche il loro mondo in Giappone, dove avrebbe avuto
una vita
con lei e sarebbe riuscito a trovare il modo di sviluppare le idee per
cui stava
mettendo le basi in quei mesi negli States. La tesi era già
finita, perciò avrebbe avuto tempo libero dopo il lavoro. Un
po', almeno. Sarebbero state poche ore al giorno, che avrebbe
voluto dedicare solamente ad Ami.
Fissò il soffitto della caffetteria in cui si era
seduto.
Alla fine aveva scoperto che lei aveva un briciolo di ragione
su una
delle paure di cui gli aveva parlato prima di partire. Solo trovandosi
in America lui aveva sentito di non essere ancora pronto ad abbandonare
la sua vita da studente, proprio ora che aveva scoperto quanto potesse
essere ancora esaltarlo.
Ovviamente anche lavorare poteva essere interessante, ma la
società finanziaria che lo aveva assunto in estate non gli
aveva
offerto le stesse sfide, ed era proprio nei loro uffici che lui
intendeva tornare. Lo stipendio era troppo allettante.
Non era una tortura stare con loro, non si
annoiava, ma lavorare con loro non lo avrebbe reso felice quanto
sviluppare un progetto di fisica. Avrebbe potuto puntare ad un altro
impiego se non si fosse messo
in testa di mantenere una famiglia.
Rimuginò.
Alla fine, quel periodo della sua vita difficilmente
si sarebbe protratto per
più di due anni. Dopo sarebbero venuti Usagi, Mamoru, e il
loro
regno. Eppure, non era piacevole scoprire di avere un minimo rimpianto.
Avrebbe preferito non saperlo.
Aveva ancora delle possibilità, no? Poteva sempre
provare a
trovare un lavoro diverso in Giappone, più adatto a lui. Non
sarebbe stata Ami a costringerlo in un impiego per denaro. A
lei non importava dei soldi, era frugale. E lui... Forse poteva
imparare a vivere con meno. Tutto quello di cui aveva bisogno era lei.
Riprese a bere il suo tè del pomeriggio - un
abitudine che faceva parte del suo essere giapponese.
Con un cenno della testa salutò un compagno di
corso che stava passando per i corridoi della biblioteca.
Doveva raccontare ad Ami di Reed? Si era ripromesso di
dimenticarsi
di quella storia, ma alle domande di lei sulle persone che
aveva
incontrato in America, un paio di volte gli era venuto in mente anche
quell'esperienza poco piacevole. Si era trattenuto dal parlarne.
Provava un poco di vergogna, come se avesse fatto qualcosa per
attirare quel genere di attenzioni. Non era così, ma forse
era
questo il gioco delle persone come Reed - maschi o femmine che fossero.
Facevano sentire accerchiate le loro predere e continuavano a ripetere
che erano state loro a incitare tanto interesse.
Quella vicenda era durata... una decina di giorni? Joanna Reed
si era presentata al
tavolo del pub in cui lui aveva avuto la sfortunata idea di sedersi da
solo, sbattendogli in faccia le tette strizzate in un top fuori
stagione nei primi freddi autunnali di settembre.
«Ciao!»
gli aveva sorriso, maliziosa.
Lui aveva alzato il libro che stava leggendo, per farle capire
che era occupato.
«Ciao.» Aveva giudicato chiusa la conversazione,
tornando
ad assaggiare i suoi primi sorsi di birra americani.
«Tutto solo, hm? Come ti chiami?»
«Non interessato. Scusa.»
«Uh, come sei acido! Non riesco a credere che io e
te non
possiamo trovare qualcosa di interessante di cui... parlare. O da
fare.»
In quel momento l'aveva lievemente ammirata per la sua
audacia, ma
non per questo era stato meno infastidito dalla sua insistenza. Le
aveva detto una sola parola, non in inglese.
«Cosa vuol dire? Che lingua è?»
«Giapponese. Significa sempre 'Non interessato'.
Magari in un secondo idioma lo capisci.»
Le era passato un lampo d'irritazione negli occhi.
«Fai il difficile.»
«Mi sono limitato a dire no.» Fu ancora
più schietto. «E ora addio.»
Si era convinto di essersi liberato di lei, ma non gli era
sfuggito il
fatto che Reed si fosse seduta al tavolo accanto al suo con un altro
ragazzo, alzando apposta la voce per farsi sentire mentre flirtava.
Anche il suo tono di voce era fastidioso.
Noncurante, Alexander aveva finito la propria birra e se n'era
andato.
Due giorni dopo aveva scoperto che una bionda chiedeva in giro
di
lui. Tre giorni dopo quella prima serata al pub, si era ritrovato Reed
fuori dalle porte della sua aula.
«Ciao!»
Era rimasto interdetto solo per un attimo. Poi l'aveva
ignorata, passando oltre.
«Come on, aspetta!»
Sentirla attaccarsi al suo braccio lo aveva costretto a
scostarsi. «Ehi!»
Il tono duro non l'aveva scoraggiata. «Ciao di
nuovo. Ora conosco il tuo nome, Alex.»
Tutta quella confidenza, e il tono mellifluo, lo avevano
disgustato. «Hai qualcosa che non va nella testa?»
«Mi chiamo Joanna. Joanna Reed.»
«Non ti voglio conoscere. Stammi lontana.»
Aveva fatto per andare via.
«Se non ti fermi faccio una scenata.»
Si era voltato verso di lei, attonito.
In quel suo sorriso qualcosa non andava. «Mi piaci,
sai? Anche con
questi modi bruschi. Mi eccitano. Dài, un'uscita
sola.»
Lui l'aveva guardata in faccia, cercando altri segni di follia
nel suo sguardo.
«Urla, se vuoi. Abbiamo cento testimoni intorno, non ti ho
fatto
niente. Sembrerai pazza da sola.»
Se n'era andato sentendosi addosso la sporcizia in cui lei
aveva cercato di trascinarlo.
Quando gli aveva raccontato dell'episodio, Shun era stato
d'accordo con lui.
«Quella ha qualche rotella fuori posto. Sa di...
viscida.»
Era la parola esatto.
«Avevo sentito parlare di donne così, ma
pensavo che non esistessero.»
Lui avrebbe preferito rimanere in quella convinzione. Una
volta che
si era sfogato non aveva più pensato a Reed,
finché,
passati altri due giorni, lei non si era presentata nella sua classe,
nel bel mezzo della lezione.
«Scusi, professore!» Dopo essere entrata
senza bussare, era andata al centro dell'aula,
sorridendo in modo così naturale che il professore si era
mostrato disposto ad ascoltarla.
«Cosa c'è, signorina?»
«Lei ha un animo romantico, vero? Sono venuta a
salutare il
mio ragazzo per il suo compleanno. Auguri, tesoro!» Aveva
lanciato un bacio in aria. Incredulo, Alexander aveva visto che era
diretto a lui.
La classe, composta prevalentemente da ragazzi, aveva
lanciato fischi di apprezzamento.
Lui era riuscito a condensare in un'unica occhiata astio e
disinteresse. Chi lo aveva guardato aveva capito che non sapeva di cosa
lei stesse parlando, e che probabilmente neppure si conoscevano. Senza
tener conto della sua reazione, Reed era corsa verso la fila in cui era
seduto, passandogli un bigliettino. «Il tuo regalo!»
Appena se n'era andata, nel silenzio generale, lui aveva avuto
la
tentazione di distruggere subito il foglietto, poi qualcosa lo aveva
convinto a guardare. Una persona come quella era pericolosa, non poteva
ignorare completamente le sue mosse. Aprendo il biglietto aveva
visto un numero di telefono. Lo aveva appallotolato nel pugno,
gettandolo con noncuranza nel cestino più vicino.
Due giorni dopo ancora, si era diretto, stanco, nella camera
che
aveva affittato al dormitorio degli studenti. Entrando, aveva scoperto
che
la porta era aperta.
«Bentornato.»
«Shit!» Gli era preso un colpo.
Reed aveva acceso la luce, seduta accanto al letto del suo
compagno
di stanza. Quell'idiota si era dimenticato di nuovo di chiudere la
porta!
«Ti aspettavo.»
«Tu non sei normale. Fuori di qui!»
«Senti, mi stai facendo arrabbiare. Almeno
parlami!»
La sua distorta percezione della realtà gli aveva
generato un
senso di inquietudine e rabbia. Aveva spalancato la porta, indicandole
il corridoio. «Non ti ho dato il permesso di stare
qui.» Dopo avrebbe dovuto controllare se mancava qualcosa.
Reed aveva notato dove stava guardando. «Non mi
interessano gli oggetti, mi interessi tu. Ti rifiuti
di vedere che potremmo spassarcela insieme. Una notte, dài.
Non
te la dimenticherai più.»
Lui aveva iniziato ad usare il cervello. «Hai
forzato la serratura.»
«Non è vero, era aperta!»
Come se fosse meno grave. «Io giurerò di
averla chiusa a chiave.»
Gli occhi di Reed si erano assottigliati. «Stai
cercando di
incastrarmi? Se inizi a dire bugie, urlo. E a chi verrà qui
dirò che mi hai-»
«C'è una telecamera in corridoio. Mi ha
filmato mentre entravo venti secondi fa.»
«Che importa? Può essere successo di
tutto in quei
pochi moment-» Si era zittita, perché lui si era
avvicinato. Per una volta aveva usato la sua presenza
fisica per intimidire una donna.
«Ho fatto delle ricerche, sai?
Quello che mi stai facendo si chiama stalking. Con oggi, anche
violazione di proprietà privata. Ho un amico
avvocato»
aveva mentito.
Lei aveva digrignato i denti.
«Ti farò espellere
dall'università, Reed,
Joanna. Ho segnato il tuo nome solo per poterlo riferire al consiglio
di istituto. E alla polizia.»
Lei aveva continuato a guardarlo in faccia, tremando dalla
rabbia. Era scattata in piedi. «Fuck you! Tante storie per
una
scopata! È chiaro che sei impotente, non mi
interessi!»
Alexander avrebbe sentito il bisogno di trascinarla fuori
dalla
stanza se lei non gli fosse sembrata tanto patetica. Reed era marciata
via.
Da allora non l'aveva più vista.
Non era una storia che gli faceva piacere di aver vissuto.
Avrebbe
voluto evitare di riviverla a parole, ma gli sembrava di
mentire
per omissione non parlandone ad Ami. Se le fosse accaduto qualcosa di
simile, e lei non gliene avesse parlato, si sarebbe arrabbiato.
Hm. Non voleva farla preoccupare, ma se fosse capitata di
nuovo
l'occasione di raccontare tutto, avrebbe riassunto l'episodio
sottolineando che
era andata a finire bene.
Era quasi assurdo, sorrise, rendersi conto che Ami avrebbe
avuto
più ragione a preoccuparsi di lui che viceversa.
Era felice che
lei fosse Sailor Mercury: non doveva immaginare che, in sua assenza,
lei potesse correre pericoli per mano di altri esseri umani. In caso di
attacco, molestia, o anche solo lo sfioramento di una spalla, gli
piaceva figurarsi una reazione poco diplomatica da parte di lei: un bel
calcio nelle parti basse. Lui avrebbe
completato l'opera con una castrazione totale.
Il suo telefono portatile squillò. Sapendo chi
poteva essere, Alexander rispose velocemente.
«Pronto?»
«Ciao. Sai chi sono?»
«Kaiou. Ciao.»
«Ti va di fare un salto al Fenway Park, come l'altra
volta? Io e Haruka possiamo essere lì tra
mezz'ora.»
«Ci sarò. Grazie infinite per il favore
che state facendo a me e ad Ami.»
«Le parole di un uomo innamorato.»
Quando Tenou gli consegnò in mano il prezioso
regalo di Artemis, aggiunse un commento.
«Quel gatto non ha capito per chi lavora. Si prodiga
per
produrre strumenti per conversazioni amorose, poi dimentica di donarli
a due guerriere Sailor come noi.»
La sua era tutta invidia.
Kaiou provò a fare conversazione. «Come
ti sta andando qui? Il MIT è un grande traguardo.»
«È un'ottima università
»
Tenou lo fissò in volto e sorrise sardonica.
«Non ti
è venuta la tentazione di frequentarla in pace, per i
prossimi
anni? Senza faccende planetarie di mezzo.»
«Haruka...»
Lei fece spallucce. «È una domanda
legittima.»
Lui non aveva problemi a rispondere.
«Tornerò in Giappone tra due mesi. Senza
rimpianti.»
«Tanto ci basta.»
Alexander studiò le parole di Kaiou.
«Pensavo
che mi saresti stata più ostile. Anche tu mi volevi fuori
dai
piedi durante l'ultima guerra.»
«Siamo andate a trovare Ami prima di venire qui. Non
è
stabile senza di te. Abbiamo bisogno di essere al massimo
della condizione per le nostre prossime battaglie.»
Lui annuì, grave. Nel vedere un cenno uguale in
Kaiou e Tenou, seppe che per una volta si stavano comprendendo.
Kaiou sorrise. «Pensavo che ci avresti pregato di
teletrasportarti da Ami.»
«Sarebbe una tortura andare e tornare dopo poche
ore. Saremo pazienti e ci faremo bastare
questo.» Sollevò nella mano il nuovo comunicatore.
Non
vedeva l'ora di usarlo, finalmente ne aveva uno tutto suo.
«Ykèos.»
«Cosa?»
«Alla fine ho dato a questo fenomeno il nome scelto
dai
nemesiani. Ormai lo percepisco a pelle su di te.»
Scrollò delicatamente le spalle. «So dove cercare.
Stai percependo qualche effetto indesiderato?»
Lui ci pensò su. «Un giorno ve ne
parlerò. Tutto bene per ora, Ami ha la situazione sotto
controllo.»
«Hm. Mi hai incuriosito.»
«Non chiedermi di far aspettare la mia ragazza per
soddisfare la tua curiosità.»
«Mi pare giusto» sorrise Kaiou.
«Buona permanenza negli States, Alexander.»
Tenou gli lanciò un sorriso di sufficienza - come
se gli concedesse una grazia. «Ci si vede.»
«Altrettanto. Grazie ancora e buon
ritorno.»
Si salutarono.
Per la sua prima conversazione faccia a faccia con Ami,
Alexander scelse un luogo pubblico, un parco nel vento freddo
dell'autunno di Boston. A casa di Shun quello era il giorno della
signora che li aiutava con le pulizie. Non sarebbe stato solo.
Si
sistemò su una panchina, appoggiando un libro dietro il
comunicatore. Nessuno lo avrebbe visto, se non arrivandogli dietro
le spalle.
Fece partire la chiamata. Con un suono sordo, magico, lo
schermo
aprì un quadrato video che si riempì del volto di
Ami.
Lei portò le mani davanti alla bocca. «Ciao.»
Ciao.
... gli aveva sempre fatto quell'effetto? Solo a guardarla
sentiva
che il mondo era un posto più giusto, migliore. Con un senso.
«Hi» riuscì a mormorare.
Lei sfiorò lo schermo con un dito.
«Pensavo che sarebbero passate settimane prima di poterti
rivedere.»
Come la capiva. «Sei più bella di quando
ti ho lasciato.»
Apparve il rossore - quel leggero velo di colore che aveva
dovuto immaginare in quelle settimane. Ami abbassò
lo sguardo, recuperando un poco della
timidezza che aveva abbandonato nelle loro ultime conversazioni.
Rivedersi era diverso, come ritrovarsi daccapo.
«Ero dimagrita. Ho ripreso un chilo in
questi giorni.»
Rise. «Ti ho spinta a mangiare?»
Lei annuì. «Per la
felicità.»
Toccò a lui portare la mano sullo schermo,
scoprendo quanto
faceva male non poterla toccare. «Non pensavo che potessi
mancarmi di più.»
Gli occhi le brillarono di lacrime.
«Ah, don't cry.»
«Ma sarebbe per qualcosa di buono.»
Alexander studiò la forma delle sue guance, che
forse erano lievemente
smunte e per questo la facevano sembrare più matura. Ami
aveva i
capelli scompigliati - da una doccia, stava per andare a dormire. I
suoi occhi erano sempre stati così... profondi, dolci?
La conosceva da sempre, ma era come non averla rivista per anni, pur
ricordando ogni particolare del suo viso.
Per un attimo si sentì come quando le aveva parlato
per la
prima volta. «Qualcuno ci ha provato con te in questi due
mesi?»
«Cosa?»
«Devo saperlo.»
Udì una risata - leggera e piacevole.
«Forse. Due ragazzi.»
«Forse?»
«Hanno cercato di iniziare una conversazione, ma io
avevo altro da fare. È finita così.»
La discrezione giapponese era una grande qualità.
«E tu?»
«Io?»
Ami si concentrò sulla sua immagine. «Sei
davvero
più... più di quanto mi ricordassi. Guardarti mi
spezza
il respiro. Succederebbe anche se non fossi la tua ragazza.»
Lui si sentì... graziato, come non gli sarebbe
capitato con
nessun altro per un complimento sul suo aspetto. Ami non
apprezzava la sua avvenenza, la sentiva. «Devo
raccontarti di una persona pazza.»
Lei si allarmò,. «Come?
Chi?»
«Ho incontrato una tizia che mi ha perseguitato per
più di una settimana. In una maniera anormale.»
«Ti ha fatto qualcosa?»
Sentirla tanto protettiva sciolse qualcosa dentro di
lui. Le
raccontò ogni cosa, liberandosi di un piccolo peso che non
aveva saputo di portare.
Quel pomeriggio tornò più sereno a casa
di Shun.
«Ci sei?» disse entrando. Non alzò
troppo la voce:
poteva disturbare Arimi se lei stava dormendo.
Shun spuntò sulla porta del salotto.
«Ciao.»
Stava dritto col petto, cauto nel muoversi. Valutava il suo
umore.
Alexander non aveva neppure pensato a come cominciare. Non
pensava spettasse farlo a lui.
Shun rilasciò un sospiro pesante.
«Senti... Scusa.»
«Okay.»
Shun si diresse al bancone, appoggiandosi al ripiano con la
schiena. «Non dovevo parlare così.»
Era d'accordo.
Shun incrociò le braccia e provò a
pensare.
«Sento che non sarò davvero convinto che tu stia
prendendo
la decisioni più giuste, ma... non è la mia vita.
Non mi
riguarda.»
Si sbagliava. «Io ti ho osteggiato quando hai deciso
di prendere Arimi. Perché mi importava di te.»
Shun guardò il soffitto, oberato. «Ci sto
provando, Fox. Se mi importa non riesco a stare zitto.»
Non glielo aveva chiesto, contavano i toni. «Di'
quello che pensi. Voglio capire. Voglio che tu mi capisca.»
Shun sbuffò. «Cosa vuoi che dica? Quando
tu ed Ami
non vi parlavate, sembravi un randagio che aspettava disperatamente
che il padrone lo riprendesse in casa.»
Nonostante tutto, Alexander sorrise.
Shun scuoteva la testa. «Vorresti che mi riducessi
così per una donna?»
Forse era inevitabile. «Quando si ama, si
soffre.»
«Queste sono balle.»
Se solo fosse stato vero. «Si può stare
male quando una relazione non è matura.»
«E d'improvviso la tua lo è
diventata?»
«Non all'improvviso. È cresciuta in
questi mesi di
separazione.» Vide che la sua argomentazione non stava
sortendo
alcun effetto in Shun, ma aveva appena iniziato. «Sai cos'era
quell'aria da cane bastonato che mi hai visto addosso?»
«Sentiamo.»
«Era consapevolezza. Non pensare che non ci sia
stato un momento
in cui ho creduto che potesse essere finita tra me ed Ami. Forse la
distanza aveva
cambiato quello che lei provava per me. Allora ho fatto come
vorresti tu: ho iniziato a pensare a tutto quello che avrei potuto fare
se non stavamo più insieme Venire a studiare qui. Scegliere
in solitaria il mio
futuro. Avevo davanti una marea di possibilità.»
Shun lo guardava in silenzio.
«L'ho visto quel mondo, a portata di mano, pieno di
tutte
quelle cose che volevo un tempo. Era vuoto. Incolore.» Fece
una
pausa. «Non sono solo innamorato, Shun, sono cambiato. Penso
di essere cresciuto. Voglio
più cose di prima e alcune sono diventate così
importanti
da essere fondamentali.»
«E se fossi da solo in questo percorso?»
Era la chiave. «Se permettessi alla paura di
bloccarmi, lo rimpiangerei per mille anni.»
Shun la prese per una figura retorica.
«Avrei potuto continuare per sempre a credere, in
una parte di
me» si toccò il petto, «che se non mi
immolavo a
ogni desiderio di Ami, lei avrebbe potuto smettere di ricambiarmi.
Invece mi sono liberato. Non importa se è successo per una
sua
idea stramba, è servito. E se vuoi saperlo, Ami ne aveva
più bisogno di me. Ad una persona che è sempre
stata
concreta, leale e logica è permesso una volta nella vita di
fare
qualcosa di folle, no? Si è trattato di questo per lei. Ha
agito per paura, dopo che finalmente ha avuto il coraggio di
mostrarmela.» Non sapeva se si stava spiegando in maniera
convincente, ma era la verità.
«Conosco la persona che amo. Questo è il momento
migliore
della nostra relazione. E siamo lontani, Shun. Quando ci ritroveremo,
sarà il paradiso in Terra.»
Shun stava muovendo la lingua contro il palato, riflettendo.
«Quindi è stato un singolo lungo momento di pazzia
per Ami-san?»
«Esatto. Non è diversa da come l'hai
conosciuta.»
Il suo amico guardò la parete. «Non penso
che
smetterò mai di essere cinico. Mi aspetto sempre di scoprire
una
grande difetto nelle persone, prima o poi.»
Alexander lo sapeva molto bene. Per Shun era un modo di
salvaguardarsi: se non credeva in nessuno, non aveva
possibilità
di essere deluso.
Gli vide spuntare un sorriso in volto. «Ma non
è la mia
vita. Forse per te esiste davvero quel lieto fine irrealistico. Ma
soprattutto, che amico sono se insisto a volerti cinico, quando tu
adesso sei felice come probabilmente io non lo sarò
mai?»
Annuì. «E visto che ho un po' di fiducia di te,
lascio
perdere e mi fido. Non esiste che tu sia diventato così stupido
innamorandoti. Hai visto qualcosa in Ami-san. Ci crederò
anche io.»
Alexander fece un passo avanti. Aveva voglia di abbracciarlo.
Shun intuì le sue intenzioni. «Basta che
sia una cosa corta. Da uomini.»
Ridendo, si strinse a lui battendogli una mano sulla spalla,
con energia. «Grazie.» Si allontanò.
«Ho esaurito la mia quota di smancerie per il
prossimo anno.»
«Invece ti becchi un abbraccio anche a Natale. E mi
sa che tua
nipote vorrà baciarti man mano che cresce.»
«Ho una quota a parte per le persone che contano
l'età in mesi.»
Alexander sorrise. «Arimi è di
là?»
«Sì, ma non farlo. Non andare a guardarla
mentre dorme.
Sente l'odore della tua adorazione e si mette a piangere.»
Esagerato. Le cose erano cambiate da quando era una neonata.
«Ora le piaccio.»
«Ti ho avvertito: se la svegli, badi tu a
lei.»
Alexander sospirò. «Devo uscire tra
un'ora, mi incontro
con dei ragazzi per sviluppare il progetto di Masters.»
«Ah, quello difficile. Povera Ami, ti
sentirà poco in queste settimane.»
«Perché stai godendo?»
«Quando due tubano da far schifo,
è piacevole vederli soffrire un po'.»
Alexander roteò gli occhi al soffitto.
Andò verso la stanza di Arimi.
«Alex?»
Si voltò.
«Per l'invito a farmi una buona scopata... Non
credere che non
sia d'accordo. Se la settimana prossima mi tieni Arimi per una sera,
forse combino qualcosa con una tipa.»
«Sicuro. Ti aiuterò a perdere la tua
verginità di padre.»
Shun sfoderò un sorriso smagliante.
«Fottiti.»
«Ho avuto il piacere da meno di tempo di
te.»
A Shun non restò che incassare il colpo.
Quella sera, al termine di una lunga giornata, Alexander
controllò l'ora. Rifletté per un minuto, poi, nel
silenzio della sua stanza, afferrò il nuovo
comunicatore.
In Giappone erano le dieci del mattino. Non si aspettava una
risposta se Ami era fuori casa.
Lei apparve sullo schermo nel giro di pochi secondi.
«Tutto a posto?»
«Sì. È un capriccio:
volevo vedere la tua faccia prima di andare dormire.»
Le sfuggì un sospiro di sollievo. «Sono
per strada. Sto
tenendo il comunicatore tra le mani per nasconderlo, appoggiata a una
parete.»
«Scusa, non ho resistito. Abuserò di
questo strumento.»
La risatina di lei fu il suo premio.
«Ne è valsa la pena» le disse.
«Passa una buona giornata.»
«Goodnight, my love. Chiama tutte le volte che
vuoi.» Ami soffiò un bacio nella sua direzione.
Senza alcuna vergogna, lui lo ricambiò.
«Bye.»
Chiusero insieme la chiamata.
Senza sentire più nulla di incompiuto in quel
giorno, Alexander si addormentò.
Novembre 1997 - A Boston, in
America
- FINE
Note: Dovete sapere con quale idea ero partita per questo
capitolo.
Innanzitutto, doveva coprire i due mesi di separazione che rimangono da
sopportare ad Ami e Alexander. Era mia intenzione descrivere brevemente
la vita di lui - soprattutto con riguardo a Shun. La parte centrale del
capitolo doveva ruotare intorno a una scena d'intimità
telefonica - wink wink :P
Ebbene, i miei piani sono cambiati quando a Shun è
venuto in
mente di dare della mantide religiosa ad Ami :D Poi ho dovuto dare un
nome ai compagni di classe di Alexander, sapere (e farvi sentire) quale
tipo di ambiente universitario stava frequentando lui, far presente che
aveva vissuto anche esperienze poco piacevoli durante la sua permanenza
in America (anche se la pazzia di Reed ha preso il sopravvento mentre
scrivevo - è inquietante quella donna). E così,
arrivata
a metà capitolo, mi sono resa conto che avevo già
costruito e superato l'ostacolo narrativo di questo episodio e che
dovevo solo dipanare i nodi. Come al solito, rispetto la sacra
struttura: ogni capitolo deve avere un inizio, un problema che si
presenta, e una fine con la risoluzione della suddetta questione. C'era
tutto qui - tra Reed e il parlarne ed Ami, e soprattutto la litigata
con Shun e poi il chiarimento. Quindi il capitolo lemon è
tristemente rimandato - sarà il prossimo.
Meglio così, credetemi. Ci voleva un'atmosfera
più
soffusa e calma per quello che voglio scrivere. Non sono necessarie
distrazioni. Inoltre, ora sapete come si è trovato Alexander
nei
passati due mesi - al pari di quanto sapevate su Ami - e avete anche
un'idea di come si sia evoluto lui in questo periodo. Mi è
piaciuto scriverne. Mi piace come sta venendo fuori questa raccolta.
Grazie per essere qui a leggere *_* Fatemi sapere cosa ne pensate!
Elle
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dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor Moon,
Verso l'alba e oltre...
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Capitolo 16 *** Novembre/dicembre 1997 - Lontani ma vicini ***
per istinto e pensiero
Per
istinto e pensiero
di ellephedre
Novembre/dicembre 1997 - Lontani ma
vicini
Per due settimane lei e Alexander non avevano mancato una sola
volta
di sentirsi alla stessa ora - di mattina presto per lei, la sera
tardi per lui. In assenza di una chiamata, quel giorno Ami aveva fatto
colazione in compagnia del telegiornale, vestendosi e preparandosi per
le lezioni con mezz'ora di anticipo. Lo squillo del
comunicatore
arrivò dieci minuti prima che uscisse di casa.
«Scusa» esordì Alexander.
Lo schermo le permetteva di vedere
l'espressione
contrita di lui. «Ti sei distratto?»
«Sì. Stavo buttando giù degli
appunti per una cosa. Sorry.»
«Non preoccuparti, ho ancora qualche minuto. Su cosa
stai lavorando?»
Il viso di lui si illuminò.
«È un'intuizione che ho avuto
poco fa. La mia tesi sulla deformazione dello spazio, Ami. Ricordi che
mancava il passaggio per replicare il teletrasporto?»
Lei annuì, curiosa.
«Il congegno a cui sto lavorando con McCormack e Hu
mi ha
fatto venire un'idea. È incredibile: non c'entra niente con
questo progetto, ma è tutto collegato. Ho un nuovo
approccio per arrivare all'equazione che descrive il tubo
dimensionale.»
Oh! «Riesci a spiegarmela?»
«Sì. Però l'idea mi
è appena venuta,
ho riempito dieci pagine di formule. Possiamo sentirci dopo?»
Certo, capiva il suo entusiasmo. «A
stasera.»
«Dovrai aiutarmi. Sento
che mi sfuggirà qualcosa, ma ci sono così
vicino...»
«Concentrati e non pensare a nient'altro.»
Lo salutò con la mano. «Ciao!»
Interruppe la chiamata. Quanto era bello sentirsi nervosi ed
eccitati davanti a
una possibile nuova scoperta! Vivevano in un mondo da decifrare, tutto
da scoprire.
Afferrò tra le mani i suoi libri di
medicina. Anche lei doveva darsi da fare.
Mentre mangiava un pasticcino, Usagi adocchiava con sospetto
il suo
quaderno di appunti. «Ami... Qualche settimana fa
non
avevi detto di aver studiato abbastanza?»
Era stata preda di un delirio d'amore. «Mi
è capitato
tra le mani un articolo di genetica appassionante e ho
dovuto approfondire la questione. Stavo pensando di
abbozzare un'idea per la tesi.»
«Sei al primo anno!»
«Sì, ma conto di sostenere i primi esami
del secondo
anno nella prossima sessione. Mi hanno autorizzato.»
Erano sedute a uno dei tavolini della pasticceria di Makoto.
Alle
tre del pomeriggio c'era un momento di calma e Makoto poteva dedicare
loro del tempo. Ami la vide avvicinarsi con un vassoio in mano.
«Usagi, prova questi biscotti.»
«Certo!» Usagi ne infilò due in bocca.
«Mffako-chan...»
«Almeno finisci di mangiare! Come fai a gustarteli
se mischi i sapori?»
Usagi deglutì in un batter d'occhio.
«Perdonami, sono
buonissimi. Ma non vedi che abbiamo un altro problema? Ami ci sta
ricascando.»
«Come?» disse lei.
Usagi sospirò. «Alexander non sta facendo
il suo
dovere nel distrarti. Eri così serena e felice in questi
giorni...»
«Sono ancora felice»
puntualizzò Ami. Studiare e fare ricerche per lei equivaleva
a rilassarsi.
Makoto si accomodò al tavolino, appoggiando i
gomiti sul
ripiano. «Anche Alex è occupato con
l'università?»
Ovviamente. «È andato lì per
imparare. Ha diversi progetti di gruppo in questi giorni.»
Usagi era delusa. «Scommetto che le vostre
conversazioni sono
di nuovo incentrate su formule, progressi scientifici, sviluppi teorici
di fisica...»
Ami se la prese: raccontata in quel modo la loro relazione appariva
noiosa. Le sue
amiche non capivano, e lei non pretendeva che lo facessero, ma per lei
e Alexander aprire insieme la mente era un momento di comunione assoluta.
Usagi batté le mani sul tavolo.
«Mako-chan, devi passarle quel libro!»
«Quale?»
«Ah, sì!» comprese
Makoto. «Ami, ricordi la storia che vi ho costretto
a leggere in primavera? Il
duca inglese che si innamora della ragazza senza soldi né
prospettive matrimoniali.»
Ami riuscì a non roteare gli occhi al cielo.
«Non mentire, ti è piaciuto! È
uscito il seguito, sul migliore amico del protagonista.»
«Lord Valentine?»
Makoto si esaltò. «Allora lo
ricordi!»
Ami cercò di non arrossire. «Memorizzo i
nomi. Con chi lo hanno fatto mettere?»
«Una governante, la giovane tutrice della
sorellastra.
Entrambe vanno a vivere a casa sua. È così
romantico,
Ami! Usagi lo ha già letto tutto! La protagonista
è una
povera ragazza senza famiglia, costretta a mantenersi da sola. Sai
quanto
era difficile a quel tempo! È dovuta scappare da una casa in
cui il padrone ha cercato di molestarla. Ha cambiato città e
nome
perché teme che se lui la ritrova scoppierà uno
scandalo!»
Le logiche della società inglese del diciottesimo
secolo
erano assurde e restrittive, ma si prestavano bene alla creazione di
trame in
cui la protagonista femminile era una novella Cenerentola che doveva
combattere
contro tutto e tutti, solo per venire poi salvata dal
principe di turno - un nobile gentiluomo che si invaghiva di lei con
ardore. Erano le storie preferite di Makoto, che la stava scrutando con
attenzione.
«Voglio che la legga anche tu, Ami.»
Prima che Ami protestasse, Usagi si aggiunge al coro.
«Niente 'ma'! Consideralo un compito che ti danno le tue
maestre di
vita, Usagi-chan e Mako-chan. Ricordiamo quanto ti abbia fatto bene il
primo libro.»
Ami volle sprofondare sotto terra. Non avrebbe mai dovuto
confessare
nulla. «Era scritto in modo molto semplice.»
«Questo non ti ha impedito di trovare eccitanti le
parti erotiche.»
Così sembrava che parlassero di qualcosa di
sconcio! «Erano scene d'amore!»
«Con un sacco di sesso!»
ridacchiò
Usagi. «Ti farà benissimo una vera
lettura di
svago!»
«Alex questa volta non
c'è.» Si rese conto
del proprio errore quando notò le espressioni estatiche di Usagi e
Makoto.
«Allora vorresti che fosse qui per poterti
sfogare con lui!»
Si coprì la faccia con le mani.
«Guarda che col nuovo comunicatore potete vedervi.
Non sai
come io e Mamo-chan abbiamo sfruttato lo schermino più
grande...»
Makoto era perplessa. «Voi vivete nella stessa
casa.»
«Però lui va a lavorare. Quando ne ho
l'occasione io mi
metto qualcosa di carino e gli faccio vedere cosa lo aspetta al
ritorno.»
Ami si sentì in una fornace: non voleva conoscere i
dettagli della vita intima di Usagi e Mamoru!
Makoto era colpita. «Anche se non vuoi arrivare a
tanto, Ami,
do ragione a Usagi. Leggi quel libro. Scene d'amore a parte, ti
farà sentire bene. È una storia con un lieto
fine che riempie di pace.»
Ami sapeva che non aveva la possibilità di
rifiutare.
Inoltre era curiosa. «Prestamelo quando puoi.»
«Ce l'ho qui! Lo stavo rileggendo.»
Prima che potesse fermarla, Makoto era già
scomparsa nel retro del locale.
Usagi sollevò le sopracciglia, allusiva.
«Non hai scampo.»
«Ho un pudore diverso dal tuo.»
«Lo so.» Usagi divenne seria.
Quando aveva
quell'espressione, stava per dire qualcosa di saggio e impossibile da
confutare. «Ami... ora che sei lontana dal tuo ragazzo, non
ti senti come
se ci fosse qualcosa di intenso che non puoi esprimere? Gli parli, lo
vedi, ma non è come averlo accanto. Se quel libro ti
farà
sentire in un certo modo...
trova la maniera di liberare quello che senti. Sarà
un'esperienza nuova.»
Ami non fu certa di aver compreso.
Usagi annuì con un piccolo sorriso serafico.
«Alexander
ne sarà molto felice. Pensa a questo quando senti che il
pudore
ha la meglio.»
Ami si imbarazzò. «Sono
già più aperta con lui.»
«Perfetto. Continua su questa strada.»
Makoto tornò indietro col libro ed Ami lo ricevette
tra le mani.
«Allora lo leggerai?»
«Sì» promise.
Usagi e Makoto si scambiarono un'occhiata di intesa.
Nonostante le sue intenzioni, Ami si dimenticò del
volume per l'intera giornata. La sera Alexander la ricontattò
e
insieme trascorsero due ore a esaminare l'idea che lui aveva
sviluppato. Era geniale, un concetto innovativo.
«In questi momenti mi pento di non aver studiato
Fisica»
gli confessò lei. «Ti sarei di maggiore
aiuto.»
Lui non era d'accordo. «Esporti i concetti mi aiuta a
riordinaree le idee. Inoltre il fatto che tu non abbia studiato la
materia rende il tuo approccio più fresco. Non sai che una
cosa
non si può fare, perciò non ti poni
limiti.»
Lo scopo di lui era rendere possibile ciò che
per l'umanità era ancora inimmaginabile - non per lei, come
Sailor
Mercury, ma se Alexander fosse riuscito a replicare il teletrasporto in
assenza di potere... Spiegare il potere,
esporlo in formule, equivaleva a trasformare la magia in scienza. Forse
non ci sarebbero riusciti a breve, o nei prossimi decenni, ma le grandi
scoperte iniziavano in quel modo - da un'idea originale e
dall'entusiasmo nel perseguirla. Era orgogliosa di lui, anche
solo per il tentativo.
Tra teorie e formule tirarono avanti fino alle una del
mattino,
poi Alexander scoprì di dover correre a lezione.
Dopo averlo salutato, Ami rimase sola nella propria stanza,
con la testa piena di calcoli e possibilità.
Il giorno successivo scoprì di avere
tempo. Alexander doveva partecipare a un incontro col gruppo
costituito
da McCormack e Hu e avrebbe terminato tardi. Lui era in
dubbio su quanto condividere con loro riguardo alla sua intuizione: non
era strettamente inerente al progetto che dovevano presentare, anche se
avrebbe dato al loro lavoro una marcia in più.
Con poco da fare, distratta, Ami decise di iniziare a
sfogliare il libro di Makoto. Il titolo era esemplificativo del
contenuto.
'Amore all'improvviso'
Aveva avuto moltissimi pregiudizi sul primo volume della saga.
Li aveva visti confermati durante la lettura, ma aveva anche scoperto
che
quel tipo di libro si soffermava su sentimenti che
venivano tralasciati nella narrativa generale a cui era
affezionata. I grandi autori erano capaci di dipingere l'amore
con maestria e
profondità, ma in libri come quelli di Makoto accadeva
qualcosa
di particolare: la semplicità delle situazioni e dei
dialoghi
risvegliavano in Ami sensazioni inesplorate.
Quando leggeva di una ragazza in grande difficoltà,
con uno
smodato bisogno di aiuto, le risultava facile percepire
la disperazione della sua situazione. Si immedesimava e tifava
per la
protagonista. Il libro - l'autice - creava nel
lettore una connessione empatica immediata
calcando la mano sulle difficoltà da affrontare e
sull'isolamento della ragazza. Il topos era abusato ma efficace e
nemmeno Ami ne era immune. Nella storia veniva data moltissima attenzione ai
sentimenti
romantici: pagine intere venivano spese per descrivere in crescendo le
sensazioni che l'eroe maschile suscitava di volta in volta
nella protagonista.
Ami si ritrovò suo malgrado ad andare avanti nei
capitoli, solo per sapere se Lord Valentine
avrebbe iniziato a prestare attenzione a Catherine. Il
fatto che la ragazza
fosse riluttante, nonostante l'interesse che provava, era un punto che
le accomunava come persone. Catherine le piaceva
più della protagonista del precedente
libro: era meno damigella in pericolo e più donna concreta,
determinata a riuscire senza il supporto di
nessuno. La pietà la infastidiva, così
come le
offerte di aiuto. Vi
vedeva sempre la possibilità di un secondo fine e per
istinto
non si fidava.
«Forse voglio solo darvi una mano» disse a un certo
punto Lord Valentine a Catherine. Furono parole che diedero da pensare ad
Ami.
Lei non aveva mai
opposto la resistenza della protagonista, ma aveva ritenuto
di dare fastidio quando costringeva altre persone ad occuparsi di lei.
In verità - e trovava lei stessa illogica la differenza -
aveva
ritenuto di infastidire Alexander più delle sue amiche nelle
stesse circostanze. Non perché volesse di più da
lui, ma
perché lui era... un ragazzo. Gli uomini per natura erano
più restii a essere generosi.
Rifletté sul concetto. Nel libro Valentine era
ansioso di
essere di aiuto - non solo perché si stava già
innamorando, ma
soprattutto perché riteneva che una persona che lavorava
tanto
come Catherine meritasse di non reggere tanto peso da sola sulle
spalle.
A parte Mamoru, l'unico altro uomo che Ami conosceva bene era Alexander - e la
generosità di lui era immensa. Perciò,
perché era convinta
che gli uomini provassero
meno piacere nel far felice il prossimo? Aveva letto un mucchio di
libri e visto tanti film in cui si dimostrava che non c'era
nessuna differenza di genere su quel punto. Nonostante
ciò, trovava
ancora più commovente l'idea di un uomo - un fidanzato, un
fratello, un padre, un amico - che si spendeva per un'altra persona.
Si era lasciata condizionare dai luoghi comuni?
Proseguì nella lettura e presto dimenticò di
qualunque cosa a parte la trama. Invece di tenere
Catherine
e Lord Valentine nella stessa
casa, l'autrice li separò, costringendo la protagonista a
fuggire. Valentine la ritrovò presto, ma Catherine
rifiutò
di tornare indietro, avendo intuito che la dipendenza emotiva che
avrebbe avuto da lui sarebbe stata eccessiva da sopportare.
Ebbe inizio un lungo
corteggiamento, serrato nelle intenzioni ma delicato nei tempi e nei
modi. Ami assaporò ogni parola.
Lesse altri due capitoli, poi dieci. Infine smise di contarli,
immergendosi nella parte finale del libro.
Alexander aveva mal di testa. Prima di chiamare Ami - solo per
un
saluto della buonanotte - decise di farsi una doccia.
Era contrario
all'assunzione del Tylenol consigliato da McCormack: perché
doveva ricorrere a un antidolorifico per un malessere che poteva
risolvere con un massaggio e un quarto d'ora di relax? Doveva
solo
rilassare le meningi: erano al lavoro da quattordici ore
consecutive.
Sbadigliando, con la nuca umida avvolta da un asciugamano, si
sdraiò sul letto. Massaggiò le tempie mentre
inoltrava la
chiamata ad Ami.
Lei gli apparve sullo schermo, nuda sulle spalle.
«Ciao.»
Lo invase un'ondata di piacere soffuso. Ami aveva usato un
tono
dolce, sorpreso. Ricambiando il saluto, lui scoprì che
lei era immersa in una vasca d'acqua fumante.
Ami sobbalzò accorgendosi del proprio stato e lui si
ritrovò a guardare le piastrelle azzurre del bagno di casa
Mizuno.
«Pensavo non chiamassi stamattina.»
«Per questo mi merito di guardare la parete? Sono
ferito.»
«No, ma...» La risatina lieve di lei gli
rivelò
che Ami si era accorta di essere assurda. «Un
attimo.»
Alexander udì lo spruzzo di un qualche tipo di
liquido denso e la sua mente formò da sola una serie di
immagini: Ami che raccoglieva il sapone tra le mani, che se lo
spalmava sul corpo... Se in
Giappone era mattina, come mai lei si stava dedicando in pieno giorno a
un bagno caldo? Era un'idea che suonava lussuriosa, non da Ami.
Vide un dito sullo schermo e si ritrovò di nuovo
davanti la sua ragazza,
con nuvole di schiuma bianca che le galleggiavano intorno. Lei
aveva indossato una cuffietta rosa.
«Anche tu ti sei fatto un bagno.
Stai per dormire?»
Gli mancarono le parole. Perché non l'aveva mai
vista immersa nella schiuma? Stavano insieme da due anni, era
una
cosa
ingiusta.
«Alex?»
«Hm?»
«Cos'hai?»
«Guardarti mi distrae.»
Lei trattenne un sorriso, chiudendo gli occhi. Non
arrossì
tanto quanto lui si era aspettato. «Ti vedo stanco.
Hai
lavorato molto?»
«È stata una giornata pesante.»
«Allora non tenere il comunicatore tra le mani, usa
il trucco dell'auto-equilibrio.»
Giusto. Si girò su un fianco e appoggiò
la base del
comunicatore sul letto, disegnando sul retro, col dito, l'angolo a cui
voleva che lo strumento stesse in piedi. Secondo il meccanismo magico
di Artemis, il comunicatore rimase fisso a mezz'aria, senza supporto.
Ancora più della sua capacità di trasmettere
immagini da
un capo all'altro del pianeta, la possibilità di stare in
piedi
in assenza di appoggi era la caratteristica di quell'oggetto che
più lo affascinava. Il gatto Artemis aveva sconfitto la
forza di
gravità. «Un giorno scoprirò come ha
fatto.»
Ami capì subito cosa intendeva. «Ho
provato a chiederglielo. Mi ha scritto degli appunti, ma è
sempre la solita storia: Artemis opera più con la magia che
con la fisica.»
«Vorrei avere il tuo computer qui» disse
lui. Fece un'aggiunta necessaria. «Vorrei avere te
qui.»
Ami lo osservò con affetto. «Se ti fossi
accanto, poserei un bacio sulle tue
palpebre stanche.» Scivolò all'indietro,
nell'acqua, e lui fu geloso della schiuma che le sfiorava il corpo.
«Ti vedo... accesa. Cos'hai fatto oggi?»
«Ho finito di leggere un libro.»
«Ah, sì? Racconta.» Erano
settimane che non riusciva a godersi una buona storia.
«Non ti piacerebbe. Era un libro di
Makoto.»
Lui faticò a ricordare cosa significasse.
«Una storia d'amore» chiarì Ami.
Alexander si ricordò di un aneddoto da
riferirle.
«Sai che anche Shun sta leggendo un libro romantico? Dice che l'ha preso
dalla biblioteca di sua sorella.»
Ami rise. «Legge ancora di tutto, vero?»
Oh, sì, Shun lo definiva un esperimento personale.
Non lo
faceva per gradimento: leggeva ogni tipo di libro, a
prescindere dal genere e dal pubblico a cui era destinato. Per lui era
un modo di capire le persone.
«Ha cercato di ripetermi
che sono testi utili per decifrare la testa delle
donne.» Infatti non era la prima volta che il suo amico ne leggeva uno.
«Secondo me non gli dispiacciono.»
«Perché?»
«L'ho costretto a raccontarmi la trama. Prendeva in
giro un
sacco di punti, ma non la relazione della coppia. Ha detto che tra loro
non era solo una questione di sesso.» Per uno come Shun
equivaleva a descrivere una profonda relazione sentimentale.
Ami era divertita. «Magari ha solo analizzato i
personaggi.
Yamato è affascinato anche dalla mente di un serial killer,
no?»
«Sì, ma... era come quando guardava i
drama con
famiglie, da ragazzino. Erano i suoi preferiti e cercava di non farmelo
capire. Ecco, quando parla di questi due che si amano sembra
che rispetti quello che provano.»
Ami ripensò al passato. «Yamato osservava anche noi, sai?
Faceva
battute su battute, e sembrava confuso, ma non poteva fare a meno di
studiarci quando ci vedeva insieme.»
Alexander le aveva già detto che Shun non aveva preso
bene il loro lungo silenzio.
«Mi dispiace di averlo deluso»
ricordò lei.
«Quando sarò lì, spero di fargli capire
che non ha
nulla da
temere per te.»
Anche Alexander sperava di convincerlo di nuovo, totalmente,
che Ami
non desiderava altro che farlo felice. «Allora... in
quanto
tempo hai finito il libro di Makoto?»
«Qualche ora.»
«Perciò era buono.»
«No, era... appassionante.»
«Eppure non mi piacerebbe?»
«No. È troppo un libro da
ragazze.»
Non aveva mai sentito di Ami che divorava un testo che non
avesse
una certa qualità. «Di cosa
parlava?» insistette.
«È molto sciocco. Immagina Jane Austen in
versione semplificata e moderna.»
Okay, non era mai andato oltre mezzo libro di quell'autrice.
Ne
aveva provato solo uno, per sfida, ma non era riuscito a interessarsi
alle vicende di una ragazza dell'Ottocento inglese in cerca di marito.
Da quel che sapeva, Ami trovava quei testi gradevoli, ma non si era mai
appassionata al genere. «Che cosa non mi stai
dicendo?»
«Ecco... si parla tanto di sentimenti. Sono il
motore di tutti
gli sviluppi della trama. Per descrivere un bacio l'autrice impiega
un'intera pagina.»
Hm. «E si ferma a quelli?»
Smettendo di guardarlo, Ami dondolò nell'acqua,
leccandosi inconsciamente le labbra. «No.»
Quel discorso era appena diventato molto interessante.
«Potresti leggermene qualche riga.»
Ami schizzò di gocce lo schermo, sprofondando nella
schiuma. «Smettila!»
«Sei tu quella che ha letto quel libro da cima a
fondo.»
Lei era diventata porpora sulle guance.
«La prosa era terribile. Così descrittiva e
infiocchettata...»
«Per esempio?»
«Si parlava di... muscoli sodi, carni morbide.
Lingue guizzanti.»
Ma dài.
«Pelle liscia come pesca che profumava di miele e sapeva
di cannella...»
Gli si seccò la gola. Chissà che odore aveva il
bagnoschiuma che Ami stava usando.
Lei teneva gli occhi fissi sulle nuvole vaporose da cui era
circondata. «Apprezzo l'utilizzo di
sinonimi e perifrasi per evitare la volgarità, ma alcuni
paragrafi erano un
tripudio di 'boccioli di rosa che si indurivano come sassolini', o
'luoghi segreti che si schiudevano come petali'.»
Gli uscì un ansito strozzato.
«Ami...»
«Capisci? Mi vergognavo a leggere.»
Alexander però non aveva alcuna remora a
immaginarla mentre rifletteva sul significato di quelle frasi.
«Allora è
stata una tortura?»
Tipo quella che stava subendo lui ora, a sentirla parlare in quel modo.
«No, tenevo alla relazione tra i
protagonisti.
Quei due si amavano molto ed era naturale che
si... desiderassero.»
Così lo faceva eccitare.
Rimanendo in silenzio, Ami guardò dappertutto nella
stanza,
tranne che verso di lui. «Mi manchi»
mormorò infine. Esitò, assaggiando un pensiero.
«Non solo per i baci.»
Gli cadde la mascella. La rigidità delle
sue parti bassi divenne tale che, se Ami
gli fosse stata accanto, sarebbe stato in grado di donarle
immediatamente tutto quello di cui lei sentiva la mancanza.
La vide fare un lungo respiro. «... non dici
niente?»
«Non riesco.»
«Ah.»
Idiota. «Love, basta una tua sillaba e
io...»
«È chiaro che non possiamo farci
nulla.» Ami tornò a regalargli uno sguardo
intenso, onesto. «Volevo
solo che lo sapessi.»
Lui non riuscì a racchiudere in parole l'immensità
di quello che provava.
La sua incertezza rese Ami più sicura e felice. Lei
non aveva bisogno di sentirlo parlare per sapere cosa pensava.
Sorrise.
«Buonanotte.»
«Aspetta.» La fermò con la mano a mezz'aria. «Manca anche a me la... morbidezza vellutata della
tua pelle di seta.»
Si guadagnò una risatina. Nell'immediato era
più
facile esprimersi scherzando. «Mi mancano le tue
orecchie,
che nei lobi sanno di cioccolata.»
«Davvero?»
«Sì, al latte.»
Ami si crogiolò con gioia nell'imbarazzo,
coprendosi gli occhi.
Se lui avesse usato le frasi che aveva davvero in mente...
Lei tornò a guardarlo. «Ricordo il sapore
della tua bocca. Non vedo l'ora di risentirlo.»
Gli mancò il fiato.
«'Notte, my love.»
«... 'night» bofonchiò lui.
Ami chiuse la comunicazione.
Alexander rilasciò un lungo, interminabile soffio.
Come conseguenza della sua sfrontatezza e audacia, quella
notte Ami sognò.
Nella vasca da bagno parlava con Alexander tramite il piccolo
schermo che le impediva di toccarlo. Rabbrividiva per quello
che
gli stava dicendo - confessioni imbarazzanti, impossibili da tenersi
dentro un minuto di più. Poi si consumava
la
magia: lui usciva dal comunicatore, materializzandosi di fronte a lei.
Come se fosse sempre stato lì, Ami premeva il corpo
contro il
suo in unico lungo bacio. La vasca cessava di avere una dimensione, si
adattava ai loro movimenti. Galleggiavano, con lei che raccoglieva la
schiuma per spalmargliela sulla pelle calda e solida. Cessava di sentire
la sua mancanza solo perché Alex era lì, la stringeva,
perdendosi nei suoi occhi. In quel momento strappato al tempo si
incastravano in un abbraccio di corpi. Seduta sulle sue gambe, Ami
ondeggiava sopra di lui e si abbandonava alle sensazioni. Tremava per
le sue
carezze sulla schiena, per le labbra bollenti sul collo.
Spostava frenetica la bocca, cercando un altro bacio - uno ancora.
Afferrava tra le mani i capelli fradici di lui.
Con tutto il proprio essere assorbiva piacere a ritmo, senza
sosta - il loro amore
perfezione in quell'atto fisico. Muoveva le labbra per chiedergli qualcosa all'orecchio,
smaniosa.
Non emetteva suono ma Alexander capiva e accelerava il
dondolio dei loro fianchi uniti.
Afferrando le coperte, Ami strisciò con la mano
sulle lenzuola. Prona sul letto, si svegliò.
Il
culmine era troppo vicino per permettere alla realtà di
intromettersi. Serrando gli occhi tornò nel sogno,
riprendendo a
spingere il bacino contro il materasso. Per istinto strofinò
le
cosce tra loro. La frizione dei vestiti la stimolò nel punto
giusto: spalancò le labbra in un grido muto, totalizzante.
Rimase a sentire il piacere degli spasmi tra le gambe,
abbracciando il cuscino. Per la vergogna vi nascose contro la faccia.
Rifiutandosi di pensare, si voltò e
riportò alla mente
il viso di Alexander. Il buio e la spossatezza del piacere sedato la cullarono
nel sonno.
«La signora Agatha ci cucinerà un
tacchino.» Alexander le stava raccontando di come
avrebbe
trascorso il giorno del Ringraziamento
americano. «Non ha
nessun altro con cui festeggiare. Era una madre single e ha perso
l'unico figlio in guerra.»
Che storia triste. «Allora rimarrà con
voi e la bambina?»
«Sì. Se fossimo rimasti soli, io e
Shun non avremmo fatto niente. È stata lei a trasmetterci lo
spirito
della festa.»
Ami valutò il suo umore. «È
una giornata che senti di più rispetto a quando stavi qui con
tua madre.»
«Già. Per lei era importante, ma per mio
padre era un giorno qualunque e a me sembrava una ricorrenza senza
senso. Ora che
sono negli States ne parlano tutti. È diverso, è qualcosa di
condiviso.»
Ami avrebbe voluto avere la possibilità di
festeggiare quel giorno con lui.
«Magari provo a fare un tacchino anche io, per
entrare
nello spirito.»
Alexander apprezzò l'idea. «Ma
è un piatto difficile, love.»
«C'è una prima volta per tutto.
Troverò
una ricetta e seguirò le istruzioni. Oppure
chiederò
aiuto a Makoto. Potrei invitare a cena le ragazze.»
«A casa mia o a casa tua?»
«A casa... nostra, se vorrai.»
Lui si accese di felicità. «Invita chi
vuoi.»
Era il 21 novembre. Per Ami la ricorrenza del Ringraziamento
era un
altro modo per scandire il tempo sul calendario. Mancava ancora
un mese prima che potesse rivedere di persona Alexander. Con ogni
giorno
che passava, l'attesa sembrava allungarsi all'infinito.
«Arimi sta provando ad alzarsi in piedi»
le stava raccontando lui al comunicatore.
«Che brava!» Si intenerì
pensando alla piccola. «Ha solo undici mesi. È
precoce.»
Alexander era uno zio fiero.
«Cerca
qualcosa a cui reggersi e fa questo faccino concentrato...»
«Riesci a farmela vedere un giorno? Quando Yamato
non c'è.»
Lui si sorprese. «Certo, non ci avevo pensato.
Il mio prossimo turno di babysitteraggio è domani.»
Ami si abbandonò sul letto con la schiena,
sospirando.
«Domani, dopodomani, tra una settimana... Il tempo passa, ma
il
21 dicembre sembra sempre fermo lì, lontano.»
Alexander si perse nella sua contemplazione. «Sai, Ami...
prima non mi parlavi così.»
Lei ne era cosciente.
«Sapevo quello che pensavi perché lo
vedevo nei tuoi
occhi, ma sentirlo a parole... Era una speranza che non mi permettevo
di avere.»
«Perdonami.»
«Non sento il bisogno di perdonarti, non lo ritenevo
un gran
problema. Ma ora che dici così liberamente quello che ti
passa
per la testa...Suppongo che continuerà a sembrarmi per
metà un sogno, almeno fino a che non ti riavrò
davanti.»
Lei si issò sui gomiti. «Non mi comporto così solo per la lontananza. Erano troppi i pensieri che
mi tenevo dentro. Adesso, ogni volta che ti parlo vincendo l'istinto di
trattenermi... mi sento meglio. Più libera.» Con
ogni
confessione che le usciva se ne andava una paura.
Alexander stava annuendo. «Era tutto quello che
volevo.»
«La situazione non cambierà quando ci
rivedremo. Tu ti
sei sempre aperto completamente con me e io mi sento
così
bene a fare lo stesso con te ora.»
Lui era felice. «Allora dimmi qualcosa.»
«Hm?»
«Qualunque cosa.»
Lei non ebbe bisogno di riflettere molto. «Oggi ho visto un
copripiumino
a due piazze in un negozio. Ho avuto la tentazione di comprarlo per
noi.»
Nessuno dei due parlò, perché non ce
n'era bisogno.
Non esistevano parole che potessero usare per comunicare meglio di
quanto
facessero con gli occhi.
Ami adagiò la testa sul cuscino, mettendosi
più
comoda. Aveva appoggiato il comunicatore sul comodino, ed era quasi
come stare sdraiata accanto ad Alex. «Ho fatto un
sogno ieri.»
Si imbarazzò. Perché lo stava
raccontando?
Lui rimase in attesa, senza domandarle di proseguire.
«Era un sogno pieno di... sensazioni.»
Forse la
distanza era un incentivo a parlare, poiché teneva
a bada
le conseguenze.
Non rimuginò troppo su quella conclusione. «Eri
con me
nella vasca in cui stavo facendo il bagno.»
Le pupille di lui si allargarono come pozzi.
«Davvero?»
Ami annuì, la gola che tremava. «Eravamo...
senza vestiti.
Ci stringevamo e...» Si sentì come in una
fornace.
«Mi sono agitata
nel sonno. Ho premuto il bacino contro il letto, senza
pensarci, fino a che... ecco...»
Gli occhi di lui non si erano mossi. «Ti ha
aiutato?»
Emettendo un ansito di vergogna, Ami annuì di nuovo.
«Dio, love. Quanto vorrei essere lì ad accarezzarti.»
La invase una vampata di calore. «Non
so...»
Lui provò a dire qualcos'altro, ma si
fermò.
Per non essere sola in quell'imbarazzo, Ami provò a
fargli una domanda. «A te è capitato?»
Gli sfuggì una risata strozzata. Non la tradusse in
parole,
non subito, poi prese una decisione. «Non mi capita:
lo
faccio accadere.»
Cosa intendeva?
«Quando mi manchi, mi concentro e ti penso.
Fisicamente.»
Ami si tirò su. Era impossibile rimanere sdraiata.
«Oh.»
«Uso i ricordi.»
Lei aveva distolto lo sguardo e percepì un velato tono
di
sofferenza nelle parole di lui, per il fatto che gli stesse dando le
spalle. Lo cercò di nuovo nello schermo del
comunicatore, troppo piccolo per darle la vicinanza di cui aveva
bisogno. Prese lo strumento tra le mani. «Va bene.»
Lui liberò una risata di sollievo. «Stai
morendo di vergogna.»
«È che.... forse ci siamo spinti troppo
in là.»
«Okay, torniamo indietro.»
Anche se fosse stato possibile... Bastava rallentare.
«Dovremmo parlarne di persona.»
Lui era d'accordo. «Tutto sarà
più bello quando potrò sfiorarti su quelle guance
rosse.»
Lei si lasciò invadere dalla tenerezza.
«I love you.»
«Me too. Dormi bene, love.»
«Sì.»
Nel sorriso di lui si accese una scintilla. «E mi
raccomando, fa' sogni
innocenti.» Le strizzò l'occhio e su quella nota
chiuse la
comunicazione.
«Sento troppa soddisfazione nell'aria di questa
stanza.»
Alexander rise, piegandosi per prendere Arimi in braccio.
«Ciao!» Ignorò Shun e
schioccò un
bacio sulla guancia della bambina. «Cosa faccio adesso? Lo sai cosa
faccio?»
Arimi gli rispose con una risatina estatica. Lui tenne fede
alla promessa, facendola volare per aria.
«Hop!»
La riprese mentre cadeva, guadagnandosi un grido di
approvazione. Al
secondo salto, si ricordò del suo amico. «Cosa
dicevi?»
«Per caso stai facendo sesso telefonico?»
Quasi mancò di riprendere Arimi. Accennando una
risata, la strinse al petto.
A Shun era sfuggita una smorfia. «Dieu. Non dovevo
chiedere.»
«Non stiamo facendo niente.»
«Allora cosa?»
Non sapeva come parlarne - non voleva - perciò si
limitò al sorriso stupido che non riusciva a scacciare da
un'intera giornata.
«TMI» comprese Shun, annuendo.
Sì, gli stava chiedendo informazioni troppo
personali.
«Comunque ho un'idea per te.»
«Hm?»
Arimi stava protestando per i salti mancati, tirandogli la
maglia.
«Quando arriverà Ami-san, prendi una
stanza d'hotel
all'aeroporto. Non posso ospitarvi in casa la prima notte,
c'è
una minore qui.»
Alexander scoppiò a ridere.
Ma Shun era sicuro. «Anche io vorrei evitare di
comprare tappi per le orecchie.»
«Ho capito, hai ragione.» Era
un'ottima idea,
a ben pensarci. Avrebbe prenotato la stanza per un'intera
settimana.
Shun si riprese Arimi. Era ora di cena e lei doveva mangiare.
Alexander notò che il suo amico era
cupo. «Non ti ho chiesto come è andato il
tuo appuntamento di ieri.»
Shun fece un suono con la bocca - l'equivalente di un due di
picche.
Per forza non era di buon umore, e notava quanto lo fosse lui.
«Cos'è successo?»
«Colpa mia. Lei ci stava, capisci? Stavamo uscendo
dal locale
e abbiamo incrociato una madre con un bambino stretto al petto, in una
fascia. Connie ha detto, 'Ma cosa ci fa quella con
un marmocchio in giro a quest'ora?' Io non sono più
riuscito a levarmi dalla testa lei che usava quel
tono di sprezzo. Non l'avrei mai fatta incontrare ad Arimi, ma
immaginare che
avrebbe chiamato così anche la mia bambina...» Si
bloccò. «Intendo Mi-chan. Be', mi ha sgonfiato. L'ho
salutata e
me ne sono tornato a casa, scocciato.»
Alexander non poté lasciarsi sfuggire l'occasione.
«Ragioni come un vero papà.»
Shun fu sul punto di lanciargli un'imprecazione colorita, poi
incrociò lo sguardo di Arimi e la sua espressione si
distese.
Parlò a lei. «Hai fame, vero? Vuoi la
pappa?»
Sua figlia comprese l'ultima parola e si sporse con tutto il
corpo verso il tavolo, quasi sfuggendogli dalle braccia.
«Okay, okay!»
Alexander comprese che Shun non sarebbe tornato
sull'argomento. Era
ancora indeciso su come farsi chiamare da Arimi. Per alcuni mesi aveva
usato la parola 'zio' con lei - Zio Shun - e solo in seguito aveva
scoperto che la signora Agatha si riferiva a lui come 'papà'
quando parlava alla bambina.
Alexander non sapeva se avessero
discusso per questo, ma era una cosa che aveva fatto riflettere Shun.
Il suo amico non era ancora arrivato a una conclusione. Ad Alexander
pareva
semplice, ma non voleva forzare la situazione offrendo il proprio punto
di vista.
Arimi aveva appena undici mesi e non aveva bisogno di
conoscere le
circostanze della propria nascita. Sarebbero passati anni prima che
potesse
comprenderle. L'onestà era una buona politica, ma nella
semplicità del suo mondo di bambina era più
giusto che
Arimi conoscesse come 'papà' il ragazzo che si prendeva cura
di
lei. Stava già sentendo quella parola all'asilo e nei
cartoni
animati che ogni tanto guardava. Imporle di usare qualunque altro
appellativo era modo di invitare domande in futuro. Sarebbe stata Arimi a farle, ma le avrebbe anche ricevute: c'era tutto un mondo che la circondava e che
avrebbe voluto sapere perché era uno zio a crescerla.
Alexander era certo che Shun fosse cosciente di tutti quei
problemi.
Forse si sentiva solo strano a definirsi genitore della bambina di sua
sorella. Magari gli sembrava di usurparne il ruolo.
Shun stava tirando fuori dal frigo la zuppa frullata che aveva
preparato Mrs Agatha.
«Quanta ne ha fatta?» commentò
Alexander. Era un pentolino intero, troppa per Arimi.
«Ne mangerò un po' anche io.»
Alexander rise. «Con la pappetta per bambini hai
completato la tua discesa nel mondo dei neonati.»
«Sì, sì, prendimi in giro. Ma
adesso, appena è calda, la assaggi.»
«Perché dovrei?»
«È verdura mischiata a carne. Ho
comprato del pane perché da sola non mi riempie, ma se
potessi mangiare solo questo per il resto della mia vita, non mi
lamenterei.»
Addirittura?
Shun glielo confermò con un cenno della testa,
mentre Arimi
si agitava per raggiungere la scodella che si stava scaldando sul
fuoco. Shun aveva già dimenticato il malumore per la serata
andata male con una ragazza. Appena prendeva in braccio Arimi era
appagato.
Alexander allungò le braccia verso di loro.
«Dalla a me.»
Shun gliela cedette senza protestare. Doveva approntare
la tavola.
Alexander si diresse al frigo con lei.
«Guarda
cos'abbiamo qui, Mi-chan: cibo vero, per adulti. È pollo che
ho
preso al diner più buono di Boston. Vedremo se la tua
minestra
potrà competere con queste cosce croccanti.»
Scoperchiò la scatola. Comprese il
proprio
errore quando Arimi vi affondò una mano dentro, tirando
fuori
il pezzo di pollo più grosso.
«Ehi, aspetta-»
Shun intervenne rapido, togliendo la coscia dalla mano di lei
prima
che potesse metterla in bocca. Sua figlia scoppiò a piangere. «Genio. Ora spiegale tu perché non
può mangiarlo.»
«Magari un pochino... Così non
è infelice.»
Shun scuoteva la testa. «I tuoi figli mangeranno
solo schifezze quando rimarranno con te.»
Alexander non riuscì a ribattere: in segno di
protesta, Arimi gli stava sporcando tutta la faccia di grasso.
Era diventata un'ossessione.
Ami non riusciva a smettere di pensare
a quello che aveva detto ad Alexander, a come aveva risposto lui e al
vaso di Pandora che avevano scoperchiato insieme.
Con coraggio e molto amore
non si astenne dal chiamarlo il giorno successivo. Lui si
comportò come se nulla fosse cambiato tra loro. Lei quasi
gli credette.
Ma il suo cervello si rifiutava di spegnersi sull'argomento: come un treno ad alta velocità, rallentava
a
malincuore in corrispondenza delle fermate del suo pudore, scalpitando
per tornare ad avanzare.
Aveva tutti quei
pensieri carnali proprio perché cercava di rifiutarli. Lo
aveva detto
lei stessa: il sesso era un impulso naturale tra due persone che si
amavano.
L'unico problema, nel caso suo e di Alexander, era che non
avevano la possibilità
di incontrarsi, quindi non potevano agire secondo le loro pulsioni.
Questo le creava frustrazione e insoddisfazione.
Perché
non mi bastano più i pensieri romantici? Per
assurdo erano stati sufficienti per quasi due anni. Proprio ora che non
poteva fare nulla, voleva di più.
Non si apprezza quello che
si ha finché non se ne sente la mancanza.
Le uscì un sospiro sarcastico. Sdraiata nel letto
dell'appartamento di Alexander, accese la tv.
Per qualche secondo seguì le vicende di un film
drammatico. I dialoghi le suonarono banali e noiosi, perciò cambiò
canale.
Si ritrovò a guardare un varietà, con concorrenti che dovevano
superare un percorso a ostacoli. Non era in vena di ridere delle loro
disgrazie e passò al canale successivo.
Sullo schermo apparvero i volti di due attori famosi,
uomo e donna. Sembravano una coppia, stavano litigando. L'atmosfera era
soffusa e carica. D'un tratto lui afferrò la compagna per le
braccia e le piantò un bacio sulla bocca. Lei si
agitò,
ma ben presto si arrese. L'inquadratura sfumò su una camera
da
letto.
«Oh, no.»
Voleva spegnere ma non riusciva a farlo. I due attori
avvinghiati si
stavano spogliando, baciandosi e accarezzandosi. Si adagiarono sul
materasso, in preda alla passione.
«Miao.»
Si voltò e abbracciò Ale-chan, che era
salito sul
letto. Contro le sue proteste lo avvolse al petto, per
impedirsi di guardare lo schermo. «Sono una
pervertita.»
Con sguardo impassibile, il suo gatto le diede ragione.
«Stai bene?» Alexander studiò
Ami con molta
attenzione: lei aveva gli occhi gonfi. «Hai
dormito?»
«Sto avendo
difficoltà a prendere sonno.»
«Sei preoccupata per qualcosa?»
Lo sguardo di lei vagò, poi Ami strinse le labbra.
«Non proprio.»
In che senso?
«Alex...»
«Sì?»
«Mi sento strana a fare questo discorso al
comunicatore.»
Lui valutò le sue parole, cercando di non trarre
conclusioni. «Okay.»
Lei esitò. «Dall'altro giorno non ho
smesso di pensarci.»
Alexander fu immediatamente certo di cosa stavano parlando.
Non disse nulla, ma vedere Ami a disagio non gli piacque.
«Non sono sicura che...»
«Non volevo metterti in imbarazzo.»
«No! Mi imbarazza la necessità di... sentirmi e farti sentire come l'ultima
volta.» La sua voce si fece piccola. «Intendo,
quando ti ho raccontato di quello
che ho sognato. Di quello che desidero.»
Lui seppe che era giunto un momento cruciale per loro.
Parlò con
grande attenzione. «Mi hai fatto sorridere per due giorni
interi.»
«... davvero?»
Annuì. «Mi hai reso felice.»
Ami assorbì la rassicurazione. «E se
mi spingessi
più in là... non penseresti male di me?»
Lui volle avere una reazione scomposta, ma rimase calmo.
«Certo che no.»
«Non so nemmeno cosa voglio. È solo che
la mia testa si rifiuta di darmi tregua.»
«Love.» Gli toccava prendere in
mano le redini della situazione. «Ti manca il contatto
fisico?»
Il termine corretto, pragmatico, le diede
stabilità. «Esatto.»
«Possiamo essere creativi.»
In fondo l'immaginazione di lei non era così pura:
arrossì.
Alexander portò un dito alla bocca. Alzando le
sopracciglia,
le fece comprendere cosa voleva. Ami lo imitò, fidandosi.
Lui spostò il dito sul proprio labbro inferiore.
Ami
seguì il movimento, ripetendolo senza spostare gli occhi
dalla
sua mano. Acquisì sicurezza. «Tira indietro i
capelli» gli disse.
Lui obbedì.
«Mi piaci con la fronte libera. Sembri
più... innocente.»
«Vuoi che lo sia?»
«No, è solo che... è come se
fossi io a toccarti, giusto?»
Proprio così. «Bacia il tuo dito,
piano.»
Ami chiuse gli occhi. Appoggiò le labbra sul
polpastrello in
un bacio delicato. Alexander si godette ogni istante. Lei si
allontanò, poi non resistette e premette un secondo bacio,
più intenso, su tutte le dita.
Lui seppe che stava immaginando di baciarlo. «Se
fossi lì, farei scendere la mia mano lungo il tuo
collo.»
Nel vederla dare vita al movimento, qualcosa in lui si accese
a tal punto da fargli temere di non potersi controllare.
«Ieri notte ho fatto una cosa»
sussurrò Ami.
Ansimando in silenzio, lui attese.
«Ho sognato di nuovo, ma questa volta mi sono
svegliata prima.
Non potevo più fingere di non sapere cosa stavo facendo, eppure... non
ho resistito: ho spostato il cuscino tra le gambe e mi ci sono
spinta
contro.» Ami arrossiva in continuazione, da quando la
conosceva, ma in quel momento sembrava affebbrata. Gemette. «Non mi bastava. Così ho
immaginato
che tu avessi... che mi facessi... poi sono di nuovo...»
Lei esalò,
cercando aria. «Tante parole e mi vergogno a
usarle.»
Lui aveva capito ugualmente ed era diventato duro come
la roccia. «Ami.»
Lei rabbrividì. «Sì?»
«Che cosa ti stavo facendo?»
Rigida, lei non sfuggì al suo sguardo.
Trovò il
coraggio di parlare proprio osservandolo negli occhi. «Mi stavi
baciando, a bocca aperta, tra... Strofinavi la lingua in mezzo alle mie...
Su...»
Lui perse la connessione tra bocca e cervello. «Sul
tuo fiore?»
Ami nascose la faccia tra le mani, facendo su e
giù con la testa. Singhiozzò.
«God, non piangere.»
«No!» Lei riemerse dal proprio
nascondiglio. Era mortificata, ma rideva. «Fiore!»
Sentendosi eccitato e ridicolo, lui liberò una
risata stentata. «Scusa. Non sapevo come altro chiamarlo.»
«Per forza. Non c'è una parola
buona per... Oh mio Dio!» Tornò a coprirsi gli occhi.
A lui faceva piacere averla resa religiosa. «Non
vergognarti. Cercherò un termine migliore.»
«Tu- io... L'ho detto davvero?»
«Te l'ho chiesto.»
Ami allontanò la mano dal viso, ma tenne chiuse le
palpebre. «Mi sento di nuovo come ieri notte.»
In tutta quella storia c'era un punto di massima sopportazione
e lui
lo aveva appena raggiunto. «Ami love.» Sapeva che
lei non era
pronta, perché glielo aveva appena dimostrato. «Ti
devo salutare.»
«Cosa?»
La sua delusione gli fece quasi cambiare idea. «Hai
bisogno di
qualcosa, ma non vuoi che io ti guardi. Il mio bisogno in questo
momento
è più grande del tuo. Sto...
esplodendo.»
Ad Ami cadde la mascella.
Lui strinse le coperte su cui era seduto. «Fai
quello
che senti, immagina che sia io a farlo. Su ogni più
piccolo
punto del tuo corpo.»
L'imbarazzo non la bloccava più dal guardarlo. Ami
era eccitata quanto lui.
«Sfogati. Non sarai da sola.»
Lei sbatté gli occhi. «Ci sentiamo
dopo?»
Per Alexander fu una sofferenza confermare. Chiuse la chiamata.
Incredula, col comunicatore ancora in mano, Ami si
sdraiò sul
letto e insinuò una mano tra due
bottoni del
pigiama. Non si stava toccando da sola, era Alexander che voleva farlo.
Era
lui che le prendeva il seno a coppa, stuzzicandone la
punta. Roteò
il proprio capezzolo tra le dita, rifiutandosi di pensare
alle proprie azioni. Era bello, intimo - perché se il suo
amore fosse stato con lei in quel momento sarebbe stato ancora
più
insistente e dolce...
Scese con le dita sullo stomaco. A migliaia di
chilometri di
distanza Alexander era sicuramente andato più sotto sul proprio
corpo e con
la testa gettata all'indietro sul cuscino ora stringeva i denti per il
piacere. Lei intrufolò la mano nei pantaloni del pigiama,
dentro gli slip, agitando le gambe.
Immagina che sia io a farlo.
Bastò quella consapevolezza a farle sollevare
di scatto il bacino, per uno spasmo improvviso. Si
tormentò
col dito, stringendo disperatamente le cosce tra loro, cercando di non gridare.
Quando aprì gli occhi, ansimava, appagata.
Girò la testa per guardare l'ora.
Non poteva essere passato più di un minuto.
Si impose di aspettare prima di richiamare.
Passati dieci minuti, Alexander non sapeva se attendere oltre
o
rischiare. Avrebbe riavuto un'erezione completa, immediata, se avesse
beccato Ami mentre lei non aveva ancora terminato.
Non sapendo se sperarlo o temerlo, si azzardò a
chiamarla.
Lei rispose in un secondo netto. «Ciao.»
Era la stessa voce infatuata e sazia che lei usava quando
riposavano insieme, dopo aver fatto l'amore.
Suo malgrado, Alexander si eccitò.
Ami aveva la mente sgombra. «Scusa.»
«Per cosa?»
«Per averti costretto a spegnere. È vero,
non ce l'avrei fatta a guardare.»
Il suo pentimento gli generò solo tenerezza.
«Non preoccuparti.»
Senza badare ai bottoni del pigiama aperti, lei si
sdraiò su
un fianco, serena. «La prossima volta farò uno
sforzo.»
«Non deve essere uno sforzo»
«Giusto. Ce la
farò e basta. Ti amo così tanto.»
Lui sentì il cuore che traboccava
felicità. «Anche io. Qualunque cosa tu
faccia.»
Ami si mangiò un sorriso, furbo sugli angoli.
«Ti
renderò fiero di me.» Gli lanciò un
bacio. «A
domani, passa una buona giornata.»
Nel fine settimana Ami riuscì a riunire le sue
amiche per una cena, nell'appartamento di Alexander.
Terminando di mangiare, Makoto la squadrò.
«Hai finito quel libro, Ami? Voglio prestarlo a
Rei.»
«Oh, sì. È di
là.»
«Di che libro parlate?» indagò
Rei.
Gli occhi di Usagi erano come raggi laser su Ami.
«Ti è servito?»
Lei dibatté brevemente su come rispondere.
«Sì.» Davanti ai gridolini delle sue amiche, scappò in cucina.
Il grido di Rei fu il più alto.
«Perché non so mai niente?»
Fu a lei che Ami decise di rivolgersi un paio di giorni dopo.
Usagi e Makoto erano ansiose di esserle d'aiuto, ma il modo in cui
volevano condividere la sua esperienza la spingeva a zittirsi piuttosto
che a parlare. Rei, pur essendo schietta, era capace di rispettare la
sua privacy e di non farla sentire a disagio. Era la persona migliore a
cui rivolgersi per un consiglio nel campo che le serviva.
Parlarono davanti a una tazza di tè.
«Vuoi sapere come creare un'atmosfera
romantica?»
«Sì. Mi serve qualcosa che
produca un effetto rilassante e... intimo.»
Rei sorrise. Non di lei, e neppure con lei - una sua grande
qualità. Aveva compreso che cosa le stava chiedendo e non
stava sottolineando quanto fosse anomalo il comportamento nel suo caso. A differenza di
Usagi, Makoto e Minako, Rei non si sorprendeva di quella sua evoluzione,
quasi come se avesse sempre saputo che anche lei, come chiunque altro,
era capace di grande ardore.
«Dato che stiamo parlando di una comunicazione via
schermo, ci vuole qualcosa di scenografico.»
Ne parlò con tanta naturalezza che Ami non ebbe
modo di vergognarsi. Rei stava già riflettendo sul da farsi.
«Candele» dichiarò.
«Profumate?»
«Sì. Gli odori influenzano l'umore e la
luce soffusa crea un ambiente calmo, che placa l'animo e al contempo
accende l'immaginazione. Sotto le lampade si lavora, si studia, si
legge. Insomma, si fanno le cose di tutti i giorni. Una candela invece
è speciale, unica.»
Erano parole che da sole incantavano.
Rei era concentrata. «La vasca da bagno è
uno scenario sensuale ma complicato da gestire e un po' troppo audace
per te. Restiamo sul semplice: una stanza. Svuotala degli oggetti alle
tue spalle. Distraggono, anche se ovviamente lui guarderà
solo te. Ma facciamo le cose per bene.»
Ad Ami piaceva quel modo pratico di approcciarsi al progetto.
Rei incrociò i suoi occhi. «Non voglio
imbarazzarti, ma dato che stiamo parlando di far sentire a tuo
agio anche te... Compra della biancheria nuova.»
Ami arrossì per la prima volta.
«No, ascoltami: non qualcosa di sexy, solo qualcosa che ti
faccia sentire... desiderabile. Un nuovo capo di biancheria
funzionerà meglio perché questa è una
nuova esperienza per te, quindi... rendila nuova in tutti i sensi. A lui
stai offrendo qualcosa di unico e vuoi che ti veda come non ti ha mai
visto prima. Il capo di vestiario giusto è il fiocco che
impacchetta un regalo speciale come questo. Quando sentirai che ti
blocchi, o ti sembrerà di essere sgraziata, fuori luogo,
persino ridicola... penserai a come ti rende bella ciò che
indossi e ti sentirai meglio.»
Solo Rei era in grado di rendere naturale quel
tipo di discorso. «Tu hai mai provato?»
Ami si morse le labbra, vergognandosi della propria
curiosità.
«No, ma al posto tuo lo
farei.» Rei
sospirò, guardando il cielo. «Al posto tuo lo
avrei fatto sin dai primi giorni. Sapendo che dovevamo stare lontani
per mesi, avrei avuto paura di non essere sempre nei suoi
pensieri. Avrei voluto fargli sentire in tutti i modi possibili che
aveva ancora bisogno di me, e io di lui.» Si
mangiò un sorriso. «Per questo la tua relazione
è ad uno stadio che invidio. Tu ti sei dimostrata
più sicura di me.»
«Siamo solo diverse.»
Rei accettò la concessione. «In ogni caso
ciò che vuoi fare è molto bello. Mentre vai a
scegliere le candele e la biancheria immergiti in un sogno. Stai
per dare a te stessa e a lui un ricordo unico.»
Ami si sentì pervasa da un puro spirito romantico.
«Grazie.»
Rei sorseggiò il proprio tè.
«Di nulla. Più ti senti innamorata, più
sei disinibita. Questo aiuta in una conversazione telefonica
spinta.»
Soffocando una risatina, Ami accettò quell'ultima
perla di saggezza.
All'alba di dicembre, Alexander non si aspettava nulla
più di quello che aveva.
Non aveva più rivissuto con Ami l'esperienza di
qualche giorno prima, ma lei non l'aveva dimenticata. Quando lo
salutava gli faceva percepire con sguardo intenso che lo avrebbe pensato, di
notte.
Una volta lui aveva avuto il coraggio di chiederle, 'Mi hai
più sognato?'.
Lei aveva risposto di sì,
sciogliendosi in un sorriso. Aveva posato un bacio delicato sulle
proprie dita e le aveva appoggiate sullo schermo, trasmettendogli il
contatto a un oceano di distanza.
Sapere che lei, da sola, si dedicava a placare le sensazioni
che era lui ad accenderle nel corpo era un pensiero che occupava la
sua mente giorno e notte. Lo usava per soddisfarsi, non vedendo l'ora
di poterlo fare con lei, dal vivo.
Quella sera, sentendo lo squillo del comunicatore,
sbadigliò per la stanchezza. Era stata una giornata piena.
Si infilò sotto le coperte, preparandosi ad addormentarsi
dopo la buonanotte di Ami.
«Ciao» esordì.
«Ciao.»
Si stupì di non vedere nessuno nello schermo. Il
comunicatore era puntato verso la sua stanza. Sul comodino dove di
solito teneva la lampada c'erano tre fusti di candele alte, di colore
rosa.
Nel suo campo visivo entrò una coda. Ami
allungò le mani, spostando il gatto dalla scena.
Alexander si mise a sedere sul letto, divertito.
«Cosa fai?» Era una sua impressione, o aveva
visto su di lei le maniche di una vestaglia?
Udì una risatina leggera. «Ale-chan ci
teneva a salutarti.» Ami entrò nell'inquadratura
solo con la testa, di lato. «Ora ci sono anche io.»
Lei stava... giocando. «Perché
ti stai nascondendo?»
Ami scosse il capo. «È solo una piccola
entrata a effetto.»
Vedendola apparire per intero sul letto, seduta, Alexander
notò la vestaglia color crema che indossava. Era opaca, di
seta, e su di lei gli ricordava uno yukata estivo. Le lasciava scoperte
le gambe.
«Sei stanco stasera?»
«No.» Non era nemmeno una bugia. Gli
era già passata la stanchezza ammirandola
in quei nuovi panni...
«Che cos'hai fatto oggi?»
L'umore di lei era diverso, particolare, ma per scoprire che
cosa aveva lui preferì seguire la scia indicata, rispondendo
alla domanda. Le fece un rapido resoconto della propria giornata.
«E tu?» domandò infine.
Ami rivolse lo sguardo alla luce delle candele. «Ho
fatto questo acquisto.»
«La vestaglia è nuova.»
Lei annuì. La fiamma delle candele si rifletteva
nei suoi occhi. «È liscia e morbida. Mi piace
sentirla sulla pelle.»
Rapito, Alexander si avvicinò allo schermo. Cercando con
la mano dietro di sé, spense la luce sul soffitto.
Ami sorrise. «Così non ti vedo.»
A lui bastava vedere lei. «Un attimo.»
Accese la lampada, regolandone la luminosità. «Ora
va bene? Anche se non penso che il mio lato appaia altrettanto bene su
video.»
Lei accolse il complimento. «Ti piace questa
atmosfera?»
Gli piaceva vedere che allestire in quel modo la stanza aveva
trasformato la dolcezza di lei in qualcosa di... sensuale.
Per non imbarazzarla, scherzò. «Mi fa
sentire inadeguato. Al tuo confronto io indosso uno straccio.»
Tirò la maglia del pigiama, squadrandola con finto disgusto.
Ami lo fissò per un lungo momento.
«Perché non la togli?»
... la maglia?
«Stai meglio senza.»
Lui non avrebbe potuto essere più veloce a spogliarsi.
Quando terminò, vide che Ami si era alzata sulle
ginocchia. «Dimmi se anche io sto meglio senza la vestaglia.» Lei sciolse il nodo sulla vita e, con lentezza,
lasciò cadere il tessuto dalle spalle.
Indossava una sottoveste di colore chiaro, con spalline
sottili, che arrivava a malapena alle gambe. Sotto i triangoli dei seni
una decorazione in pizzo lasciava spazio a una fascia di tessuto in
trasparenza che terminava prima dell'ombelico. Il resto dell'indumento
era di seta - e sulla pelle di lei aveva una consistenza preziosa,
lavica.
Alexander osservò, immobile.
Vedeva il petto di Ami che si sollevava a ritmo, con sempre più insistenza.
Articolò un suono. «Ah...»
Lei portò una mano sullo stomaco, raccogliendo
lievemente il tessuto. A lui uscì un ansito.
Ami tornò a sedere e Alexander colse di sfuggita un
sorriso candido. Sistemandosi meglio, lei si sdraiò sul letto,
di lato, tutta la sua attenzione rivolta a lui. «Volevo che
stasera fosse speciale.»
«Sei incantevole.» Ecco, riusciva
ancora a parlare.
Ami giocò con l'orlo della veste. «Ho
voluto scegliere qualcosa di... dolcemente eccitante.»
Parole che la descrivevano perfettamente.
Alexander appoggiò la bocca contro le nocche delle
mani, provando a non respirare troppo forte. Le punte dei seni di Ami
si erano fatte turgide. «La senti fredda? La veste?»
«No. Si è scaldata contro il mio
corpo.»
Lui immaginò la sensazione e represse un mugolio.
Giudicò saggio non aprire più bocca.
Ami non sentì il bisogno di colmare il silenzio.
Alexander non la guardava in viso ma lei non fece nulla per attirare la
sua attenzione verso gli occhi. Ad un certo punto si
allungò, come per dargli una migliore visione di
sé. Il tessuto della veste scivolò di lato sui fianchi, lasciandogli intravedere la linea degli slip.
Come
sarebbero scivolati sulla carne morbida, umida?
Ami si issò su un gomito, attenta. «Alex... Stai
perdendo sangue dal naso?»
Lui si schiaffò una mano sulla faccia, sentendo la
scia bagnata. «No, sono...» Allontanando le dita
dalla faccia vide del liquido rosso. Inorridendo, si allungò
a prendere un fazzoletto.
Lei si era avvicinata allo schermo, preoccupata.
«Premi forte sulle narici.»
«Sto bene» bofonchiò lui. Non
riuscire a parlare bene lo fece sentire ridicolo. Si liberò
del fazzoletto. «Oggi ero raffreddato, mi sono soffiato forte
il naso. Avrò indebolito un capillare.»
Ami annuiva, cercando di rassicurarlo. A un certo punto si
morse le labbra.
Non ridere, non ridere...
Lei soffocò la prima risatina.
Alexander gettò la testa all'indietro -
più per la disperazione che per fermare l'emorragia. Quando
fu certo che non avrebbe più espulso liquidi dall'orifizio
sbagliato, tornò a guardare Ami - seminuda nella sua
stupenda veste color crema, disponibile a ogni piacere carnale, ma
lontana migliaia di chilometri da lui.
«Stai bene?» si sentì domandare.
«A posto.»
«Mi spiace di aver riso, ma... Ho voglia di darti un
bacio sulla fronte.»
Lui ne voleva uno da tutt'altra parte.
«Love...»
«È meglio che ti lasci
riposare.»
No! «Non riuscirò a dormire in questo
stato.»
«Non vuoi restare da solo?»
Sì, ma non perché si sentiva male.
«Non andartene. Continua quello che stavi facendo.»
Negli occhi di lei entrò un pizzico di malizia.
«Ero solo sdraiata.»
Era stato sufficiente per lui. «Torna nella
posizione di prima.»
Arrendevole, Ami obbedì. Era ancora in
apprensione. «Stai bene sul serio?»
«Certo.»
«Sicuro?»
Lei era molto dolce, ma fuori luogo senza saperlo. «Un
calo di pressione non renderebbe possibile la congestione di sangue che
ho a livello del bacino.»
Lei allargò gli occhi. Combattendo contro un
sorriso, lo guardò intensamente. «Ti
amo.»
«Non sai quanto io.»
«Non per- Perché sei tu, ovviamente, ma i
termini medici che hai usato per descrivere il tuo problema... Mi
conquistano quanto il tuo stato di congestione.»
Alexander rise.
Ami non era più in vena di scherzi. «Ti
va di pensarci insieme?» Nel fare quella proposta il sangue
le salì al viso ed Ami respirò a
fondo. «Anche io non riuscirò a calmarmi fino a
quando... Fino a che noi...»
Alexander notò che lei si stava rannicchiando e
comprese la portata del suo bisogno. «Strofina le gambe tra
loro.»
Glielo vide fare, sullo schermo. Durante il movimento Ami
aveva stretto più forte le coperte.
Lui portò la mano alla congestione che svettava sul suo basso ventre.
«Com'è stato?»
«Non abbastanza.»
«Prova ad abbassare le spalline.»
Qualcosa - curiosità, audacia - si accese negli
occhi di lei. «Perché?»
«L'aria ti darà quella carezza che non
posso darti io. E avrò qualcosa di meraviglioso da
guardare.»
Invece di mettere in dubbio il complimento, o vergognarsi di
essere al centro di tanta attenzione, Ami respirò a fondo e
denudò una spalla. Si sdraiò sulla schiena, per
tirare giù anche l'altra spallina. Infine tornò su
un fianco, rivolgendosi a lui. Con deliberata lentezza,
incastrò un dito nella scollatura della veste e
tirò giù il tessuto, molto piano.
Lui stava per venire senza neppure stimolarsi.
Fotografò nella mente quell'attimo: non
aveva mai visto niente di più erotico di Ami che
gli rivelava i propri seni, cosciente di essere guardata, consapevole
dell'effetto che gli faceva.
Guardò gli occhi di lei e vi lesse qualcosa che
conosceva: una nota di incertezza, lievissima.
«You are breathtaking» le disse. Lei aveva bisogno
di sentirlo parlare e l'inglese sembrava più soave e intimo
alle loro orecchie. «I could die watching you.»
Come in agonia, Ami lasciò scivolare una mano tra
le proprie gambe. Premette lievemente, agitando appena le dita, senza
mai smettere di guardarlo. «L'ho fatto ieri»
mormorò. Le si spezzò il respiro. «Non
è stato più a causa di un sogno. Mi conoscevo attraverso
te e non avevo mai... Volevo essere pronta per oggi.»
Continuò a massaggiarsi, inarcando la schiena, chiudendo gli
occhi. «Volevo che fosse solo per te, ma ad un certo punto...
È così devastantemente piacevole che...»
Oh, God.
Alexander smise di respirare.
Lei muoveva un unico dito su di sé, stringendo i
denti. «C'era solo questa sensazione
così...» Agitando la testa, provò a
resistere alla propria carezza, inutilmente. «Non esisteva nient'altro
che...» Si irrigidì di colpo coi fianchi,
donandosi ai tocchi incessanti della mano.
Lui schizzò di sperma le proprie dita, proibendosi
di emettere suoni.
Ami incontrò i suoi occhi e gli chiese amore,
conforto e perdono - tutto in una volta sola. Smise di muoversi, rannicchiando
le ginocchia contro il ventre.
Lui calmò il respiro assieme a lei, senza fretta, mentre discretamente cercava un fazzoletto.
Se l'avesse avuta accanto, le avrebbe ravviato i capelli.
«Come fai a sentirti in colpa?»
«È sempre stata una cosa che ho fatto
solo con te...»
Come se lui potesse esserne geloso. «Sii edonista, love. Approvo
in pieno.»
Lei nascose la faccia nelle coperte.
«Veramente?»
«Diventa esperta. Poi mi insegnerai come darti
più piacere.»
Ami si strofinò contro il materasso,
abbracciandosi. «Non ce n'è bisogno. Voglio dire,
quando noi due... è già tremendamente...
Stupendamente...»
«Se continui, avrò voglia di
ricominciare.»
Le suscitò un sorriso e seppe che lei era di nuovo a
suo agio.
«Ti è piaciuto?»
Sorridere con lei, per lei, era la cosa più bella
sua vita. «Tanto.»
Più calma, Ami scrutò i suoi occhi.
«Scusa se trovo il coraggio di dire cose imbarazzanti solo in
momenti strani.»
«Mi basta che tu le dica.»
Allungò la mano e soffrì nello scoprire di non
poterla toccare.
Ami si sporse sul letto e prese il comunicatore, portandolo vicino a sé. Alexander fece lo stesso.
«Ti si stanno chiudendo gli occhi» la
sentì mormorare.
«Non è vero.» Ma
riconoscendolo, lui si liberò del fazzoletto sporco, gettandolo nel cestino.
Nel comunicatore Ami lo guardava come se lo avesse scoperto
daccapo. «Un giorno dimostrerò l'esistenza del
filo rosso del destino.»
Alexander aveva adagiato la testa sul cuscino.
«Hm?»
«Non sarà difficile: ne
ho uno avvolto attorno al dito, che mi lega a te. Non
c'è distanza che tenga. Non lo spezza il mio imbarazzo, la
mia insicurezza. Le mie decisioni più sciocche.»
Le pupille di Ami vacillarono, umide. «Tu tieni saldo il
filo.»
Alexander era assonnato, ma sentiva tutto. Capiva tutto.
«Mi hai chiamato tu.» Chiuse gli occhi, certo che
lei sentisse il suo abbraccio. «Ancora prima che ti
conoscessi, già mi chiamavi.»
In Giappone Ami strinse il comunicatore al petto.
Era vero.
Tre settimane volarono. Le riempirono di
discorsi, di racconti, di esperienze - il loro paradiso dei sensi, come
aveva iniziato
a chiamarlo.
Ami lesse ad Alexander le parti che aveva preferito
del libro che aveva ricevuto da lui in regalo, per il suo compleanno.
Lui le fece conoscere Arimi. Vedere la bambina sorridente, che
guardava con gli occhi sgranati lo schermo e poi rideva nell'abbraccio
di lui, le riempì l'animo.
Aiutò Alexander nello sviluppo della sua idea sul
teletrasporto.
Non andarono molto lontano, poi lui chiese una mano a Shun,
esponendogli il progetto come un concetto puramente teorico. Da
lì avanzarono insieme verso un livello che le
risultò incomprensibile, ma non poté
che esserne
felice.
Gli espose la sua idea per la tesi di laurea. Alexander
tornò
a rammaricarsi per il fatto che lei non avrebbe avuto tempo di
laurearsi, ma per Ami non era un problema. Non aveva
più alcun rimpianto.
«Ancora tre giorni.»
«Ancora tre giorni» ripeté lui.
«Ho
una sorpresa per te, Ami love. Hai già pronte le
valigie?»
«Sì! Non vedo l'ora di arrivare. Ho
comprato dei regali di Natale per tutti.»
«Io riporterò i miei indietro
con te. Mi riferisco
a quelli per Shoko-san e la sua famiglia. Poi ci sono le tue amiche, i
ragazzi, i gatti. Ah, ho una cosa
anche per tua madre. Ma dovrà aspettare gennaio.»
Quando avrebbero iniziato la loro vita insieme.
«Quattordici giorni solo per noi» disse Ami, ebbra
di speranza.
Sapeva che sarebbero stati i giorni più belli, i
più
attesi.
Lui era impaziente quanto lei. «Vado, o non dormo
più. Devo accumulare
sonno, perché conto di non dormire quando ti
rivedrò.»
Era una promesssa. «Almeno per
ventiquattr'ore.»
La sua audacia non lo sorprese più. Era un premio
guadagnato. «Poco ma sicuro. 'Notte, love.»
«Bye.»
Era una delle ultime volte che si salutavano al
comunicatore, dopo quasi quattro mesi di separazione.
Ami abbracciò Ale-chan. «Non vedo l'ora
di
partire.
Tornerò presto, vedrai. Tu starai con Luna, poi avrai un
nuovo
amico. Staremo nell'altra casa, tutti insieme. E finalmente
saremo...»
Una famiglia.
Sospirò di gioia.
Novembre/dicembre 1997 -
Lontani ma vicini
- FINE
Note: Gente, questo è il penultimo capitolo di questa
raccolta. La chiuderò col botto, raccontandovi di quando Ami e
Alexander si ritrovano, in America.
Se vi è piaciuto ciò che avete letto (o magari no), lasciatemi una parola - come regalino di Natale, su :D
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dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor Moon,
Verso l'alba e oltre...
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Capitolo 17 *** 21/30 dicembre - Per istinto e pensiero ***
per istinto e pensiero
ì
Per
istinto e pensiero
di ellephedre
21/30 dicembre 1997
- Per istinto e pensiero
Boston, Aeroporto internazionale.
Dopo quindici ore di volo, Ami aveva appena passato il
controllo
dell'immigrazione. Era estatica ed esausta - dormire accanto ad
estranei, in uno spazio angusto, si era rivelato più
complicato
del previsto. Era quasi pentita di non aver speso altri soldi per un
sedile più comodo, ma il denaro le serviva per la vacanza.
Voleva fare tante cose - tantissime - insieme ad Alexander.
Cercò un bagno. Si era già data una
sistemata in
aereo, ma lo specchio dei servizi dell'aeroporto confermò i
suoi
timori: aveva i capelli scompigliati, la pelle secca e gli
occhi
stanchi. Si passò dell'acqua sulla faccia, cercando di
ravvivarsi. Mise del burrocacao sulle labbra screpolate e
pettinò i capelli con la spazzola che aveva infilato
nell'unico
beauty case che si era portata in America.
Era pronta e non lo sarebbe stata più di
così.
Afferrò le valigie dal nastro trasportatore e
si diresse
verso l'uscita, dove attendevano i visitatori dell'area arrivi. Con ogni passo nella giusta direzione, il battito del suo
cuore aumentava di ritmo.
Finalmente era finita. Non doveva più dirsi di
aspettare un
altro mese, un'altra settimana, un altro giorno. Alexander era dietro
le
porte che stava per attraversare.
Appena le ante della sala si aprirono,
cercò il viso di lui nella folla.
Vide prima di vedere,
sentì prima di sapere. Cominciò a correre, le
rotelle
delle valigie che stridevano contro il pavimento nello sforzo di starle
dietro.
Si sentì afferrare e venne avvolta in un abbraccio.
Mio
Dio. Era necessario invocare il
divino per la sensazione del corpo di lui contro le mani, per il suo
odore sul naso, per le sue braccia
che la stringevano.
Si arrampicò sulle sue spalle, affondando il viso
nel suo collo.
«Ami.»
Si scostò per un bacio, ma ebbe gli occhi di Alexander a
due
centimetri di distanza e singhiozzò di
felicità. «Alex.»
Cercarono di fondersi l'uno con l'altra, per non potersi
più separare.
Le valigie giacevano ai loro piedi, dimenticate.
Lui non riusciva a staccare il viso dalla sua tempia.
«Ti ho sentita solo ieri, ma è passato così tanto tempo.»
Lei sapeva esattamente cosa intendeva dire.
Si allontanò per prendergli il volto tra le mani. Non le
importò di trovarsi tra la gente: lo baciò,
aprendo la
giacca perché ci fosse meno stoffa tra loro.
Si perse e continuò per un tempo interminabile,
troppo breve. Lui si
allontanò di un passo.
Le venne da ridere
pensando che solo in quel momento lo stava vedendo per davvero.
Alexander indossava un cappotto nero e un maglione azzurro, del colore
dei
suoi occhi. Era sano e in forma - uguale all'ultima volta che lo aveva
visto in Giappone e al contempo diverso, ma soprattutto reale. Le stava
sorridendo, riempiendosi di lei. «Non ti
ho nemmeno lasciato parlare.»
Lei tornò a baciarlo su una guancia. «Non
serviva.»
«Come stai? Sei stanca?»
Ami annuì. Era esausta soprattutto per
l'enormità di
quello che stava provando. Era come se fosse appena finita una lunga e
sottile agonia. «Andiamo via, non stiamo qui. Prima
arriviamo, prima
staremo da soli.»
A lui spuntò un sorriso disteso. «La
nostra destinazione è più vicina di quello che
pensi.»
«Prenderemo un taxi?» Sarebbe costato
tantissimo.
«Ho avuto un'altra idea. Me l'ha suggerita Shun,
è la tua sorpresa.»
Oh, quella di cui le aveva parlato. Fece per prendere le
valigie,
ma Alexander le recuperò tutte e due al posto suo. «Ho
prenotato una
stanza» le disse.
«Dove?»
«Dall'altra parte della strada, nell'aeroporto
dell'hotel.»
Le uscì un sospiro di sollievo così
grande, così immenso che...
Lui condivise il suo senso di liberazione.
«Solo qualche
altro passo.» Si chinò per strofinare il naso
contro la
sua tempia.
Avrebbero potuto passare l'eternità a sfiorarsi,
mai
sazi.
«Com'è andato il
viaggio?»
«È stato lungo. Non ho dormito molto. Non
importa.»
«Abbiamo tutto il tempo che vogliamo. Potrai
riposare.»
Ci avrebbe pensato una volta che fossero stati in camera, ma
al solo pensiero non
aveva più voglia di dormire. «È
così strano
rivederti di persona.»
«Vero? God, sei più carina che
mai.»
Lei arrossì. «Mi sono vista allo
specchio. Non è vero.»
«Non discutere, non vedi quello che vedo
io.» Alexander
si frappose tra lei e le porte di uscita dell'aeroporto.
«Copriti. Fa un freddo cane.»
Ami seguì il consiglio: non si ammalava
più, ma non
teneva a testare la teoria. Seguì Alexander nel gelo della
città. «C'è un odore diverso
qui.»
Inalò il profumo dell'aria - sapeva di bruciato, di vento.
«Mi manca Tokyo» disse lui.
Ci sarebbero tornati presto. Attraversarono la strada sulle
strisce
pedonali ed entrarono nell'edificio di fronte a loro, in una
hall.
«Era proprio vicino» commentò
Ami.
«Il miglior consiglio che abbia mai
seguito.» Alexander la condusse verso l'ascensore, senza fermarsi alla
reception.
Nella cabina, appena vide che lui aveva premuto il
pulsante per il quarto piano, Ami si prese del tempo per abbracciarlo.
Alexander affondò di nuovo col viso nei suoi capelli.
«La lontananza è stata una tortura.»
Lo era ancora, per quell'impossibilità di annullare
tutto ciò che li circondava, per l'attesa che li costringeva
a esistere ancora come due
esseri distinti. Abbracciarlo non bastava, per quanto fosse meraviglia
per
ogni suo senso.
Le porte dell'ascensore si aprirono troppo presto,
troppo tardi. Cercando di contenersi, entrambi percorsero rapidi il
corridoio.
Alexander tirò fuori dalla tasca una chiave magnetica e
la
inserì nella quinta porta sul loro cammino. Scostando
l'anta, fece attenzione a far entrare prima le valigie. Ami
sfilò la sciarpa, oltrepassando la soglia per ultima. Nella
fretta di sorpassare gli ostacoli che la separavano da lui,
urtò
il trolley, facendolo cadere.
Non importò a nessuno
dei due
mentre la porta si chiudeva alle loro spalle.
Si scontrarono in un abbraccio, trovandosi.
Faticarono a decidere se tenere gli
occhi chiusi o aperti mentre si spogliavano freneticamente dei
soprabiti.
Alexander le prese la testa tra le mani. «Look at
you. So beautiful...»
Era molto più bello sentire la sua voce dal vivo, col
calore del suo fiato sulla pelle.
Lo privò del
cappotto. Lui aveva fatto cadere a terra la sua giacca e la
sollevò di peso tra le braccia, per la vita. Mentre si
muovevano, lei cercò
invano di aiutarsi con le gambe a restare sollevata: la presa era
disordinata ma salda. Si sentì cadere di lato, su un
letto, e si sollevò sulle ginocchia, per racchiudergli le
guance tra le
mani. Lui era il suo miracolo. «Mi sei
mancato.» Si sciolse in un bacio. «Non
riesco a dire quanto. Non ci sono parole...» Nella gola le
scoppiò un singhiozzo.
«No, no...» Alexander tolse aria alle sue
lacrime
premendo la bocca sulla sua. «Hai pianto abbastanza. Sono
qui,
sei qui...»
Era vero. E potevano essere passati mesi, settimane, ma furono
più bravi e capaci che mai a levarsi i vestiti di dosso,
indumento dopo indumento, staccandosi a stento, cercando piuttosto di
salirsi sopra, o schiacciarsi. Ami voleva consistenza, peso,
realtà.
Sollevò i fianchi, facendo scivolare giù
la gonna
mentre lui riempiva di baci aperti il suo stomaco, le mani
impegnate ad aprirsi i pantaloni. Lei si tirò indietro solo
per
avere maggior libertà di movimento. Riuscì a sfilare le
gambe dalle
calzamaglia in cotone.
Come risvegliandosi, Alexander arretrò sul letto e
barcollò per la stanza. «Aspetta.»
Raccolse da
terra i vestiti, cercando qualcosa. «La giacca,
dove...?»
La trovò e non disse più nulla.
Armeggiò tra le varie
tasche, aprendo finalmente una cerniera e tirando fuori qualcosa.
Nell'aria della stanza, nuda, Ami rabbrividiva per il freddo e
voleva solo tornare ad abbracciarlo. Rise
quando lo vide sbattere il ginocchio contro un angolo del letto.
Alexander saltellò per il dolore e si liberò dei pantaloni dimenando le gambe. In
ginocchio sul materasso, cominciò a trafficare con la
confezione
del preservativo.
«Niente abbracci prima?»
Lui si immobilizzò.
Ami soffiò via una risata, alzandosi per
raggiungerlo. «Scherzavo. Voglio
tutto.» Gli levò dalle mani il
preservativo già aperto e si
sentì estranea a se stessa - e
incredibilmente proprio se stessa - quando prese la sua
erezione tra le mani e vi fece scivolare
sopra la protezione di lattice, senza neppure guardare. Privi di
ostacoli, si avvolsero con tutta la forza che possedevano.
«My God.»
«Adoro la tua voce.»
«Missed you so much. With all my heart.»
Ami strinse il suo viso al petto. «Lo so.»
«Couldn't exist withou you.»
Lei aveva provato la stessa cosa. Lo stava ancora baciando quando
sentì la prima risata. Lui aveva un odore così
buono...
«Che c'è?»
«Non parli più inglese, Ami
love?»
Nella piccola pausa si guardarono negli occhi, smettendo di
respirare. Le si fermò il cuore.
«Penso di aver dimenticato tutte le lingue che
conosco.»
Per un poco si strinsero col solo fine di bearsi del calore
che si trasmettevano a vicenda. Lentamente, inesorabilmente, tornarono a percepire la propria
nudità con le mani. L'affetto degenerò in
passione.
«Apri.»
Ami eseguì: si stava già
sedendo sopra di lui, da sola, tenendosi alle
sue
spalle. Terminò di separare le cosce e lo sentì
posizionarsi all'entrata del suo corpo. L'incastro riscrisse il suo
mondo. «Oh.»
Iniziò ad ansimare contro il suo viso. Qualunque
altra esperienza, qualunque sensazione mai provata,
impallidì, scomparve.
Come era riuscita a sopravvivere con le sole immagini, con le
sole
parole, per tutto quel tempo?
Lui premeva con le mani sui suoi fianchi.
«Ami.»
Lei gli levò i capelli dalla fronte - come gli
aveva promesso
che avrebbe fatto, al telefono, quando lo avesse rivisto. Mise le dita
nella sua chioma e imparò di nuovo la forma della sua nuca.
Tornò a ricordare lo strofinio del seno contro
il suo petto, la sensazione bollente dei loro ventri uniti
che
cominciavano a
sudare, le loro gambe intrecciate. In quella posizione purtroppo non
sentiva
bene quelle
di lui. «Fammi sdraiare.»
Alexander riuscì a farlo senza che si staccassero.
Così,
così! Ecco
cosa le era mancato: la
sensazione di abbandono assoluto e unione. Ora poteva baciare,
abbracciare con ogni arto, subire e dare. «Make it
last.» L'inglese le tornò per quella richiesta. Fallo durare.
A due centimetri da lei, Alexander scuoteva la testa, soverchiato.
«Non so se...»
Schiacciata, Ami aprì la bocca sulla sua e
ondeggiò contro il suo corpo. Baciami, amami, stringimi. Non
lasciarmi andare - mai, mai più. Affondò lievemente i denti nelle sue labbra e venne scossa
da un orgasmo. Vi si aggrappò con disperazione, come se non
fosse
sicura di poterne provare un altro in vita sua.
Qualcosa si diradò nella sua mente - paura, ansia.
Si
arrese al sollievo.
Sentendo un bacio sulla tempia, si girò tra
le braccia di lui e lasciò uscire un singhiozzo.
Scoppiò a piangere con violenza, travolta.
Si
sentì
avvolgere in un bozzolo.
«Mai più.»
La sofferenza era prepotente, non solo sua.
Sì, mai più, perché era stata
lei a volere quella separazione. Lei! Che stupida, che idiota...!
Esaurì le lacrime e scivolò verso l'alto
nell'abbraccio, stringendogli la testa contro i seni.
«Sto provando troppe cose.»
«Provale tutte. Non vado da nessuna parte. E tu non
ti muovi da qui.»
Accolse il sorriso. Si diede il tempo di pensare.
«Ritrovarmi con te è come... svegliarmi.»
«È questa la realtà. Non
pensarci troppo. Non avere paura.»
«Con te mai più.»
L'ultimo ricordo fu il suono di un sorriso.
Quando aprì gli occhi, di nuovo, per un momento
si
allarmò. Poi il braccio che la teneva per la schiena
aumentò la forza della presa.
Quanto aveva dormito?
«Sono passate due ore» offrì
Alexander, leggendole nella mente.
Lei sollevò la testa. «Scusa.»
Lui iniziò a ridere.
«Cosa c'è?»
«Mi mancavano le tue scuse!»
Per un momento il suo divertimento la irritò.
«Scusa se-»
La travolse un'altra risata.
Ami gli batté una mano sul petto, abbracciandolo
risentita.
«Queste continue richieste di perdono sono
così te,
Ami love. Non vedevo l'ora di risentirle dal vivo.»
Lei si dimenticò di tutto. «Mi sono
addormentata, lasciandoti solo.»
«Hai dormito contro di me. È stato
paradisiaco.»
Il desiderio di vicinanza più violento era stato
ormai
sedato, ma era ancora vivo. Solo
per un istante lei riuscì a guardare la persona che aveva
davanti con gli occhi di qualche
mese prima. «Pensi che continueremo così per
sempre?»
«Hm?»
«Ci ricopriremo di parole di amore e passione in
ogni singolo momento?»
«Io non mi lamenterei.»
Valutando la situazione, Ami ebbe la propria risposta.
«Neanche
io.» Si adagiò su di lui, riposando nella loro
pace.
«Non voglio più alzarmi da qui.»
«Posso aiutarti con questo.»
Quando lui parlava le faceva venire voglia di... di fare
qualcosa, tutto. Non sapendo da dove cominciare,
sollevò una sua mano e la studiò,
meravigliandosi di poterla di nuovo sfiorare, toccare. Percorse la
lunghezza dell'indice di lui, memorizzando daccapo la lieve curva delle
giunture. Studiò la sensibilità della pelle del
palmo,
costringendolo a incavarsi sotto la pressione del suo pollice.
Era una mano che le rispondeva, che la cercava.
Alexander parlò. «Mi è servito che dormissi,
sai?»
«Perché?»
«Questa esplorazione che stai mettendo in atto... Ho
un
vantaggio di due ore su di te. Ho studiato ogni centimetro di
epidermide sulle tue mani, sulle braccia... Ho provato a non
focalizzarmi troppo sul tuo corpo perché dormivi
e potevo fare poco se mi eccitavo. Mi sono beato del tuo viso per
un'ora intera.»
Il relax di Ami fu totale. «Abbiamo fusi orari
diversi.
Quando dormirai io sarò sveglia e potrò studiarti
a mio piacimento.»
«Mi sembra giusto.»
Lei sollevò la testa. Nel rivedere gli occhi di
lui ebbe la tentazione di salutarlo, come se lo stesse appena
rivedendo.
«Oggi ti avrò reincontrato dieci
volte» commentò Alexander in un'involontaria
risposta.
«È la novità del
rivedersi.»
Lui afferrò in coppia le sue mani e
portò le nocche
alla bocca. «Quando stavamo insieme tutti i giorni avevo la
soddisfazione di conoscerti da sempre, ed era una cosa immensa. Non so cosa sia
migliore.»
Lei non voleva più esistere fuori da quella stanza.
In quei pochi
metri quadrati aveva tutta la felicità di cui aveva bisogno.
«Hai fame?»
Hm... «No.» Aveva mangiato sull'aereo.
Sentì un gorgoglìo che proveniva dalla
pancia di lui.
«Io ho fame» lo sentì ammettere.
«Ero
così in ansia al pensiero di rivederti che ho mangiato
poco.»
Ami si sollevò, impietosita. «Andiamo a
prendere qualcosa.»
Alexander si rifiutò. «Servizio in
camera. Non voglio uscire
da qui finché non mi sarò saziato di
te.»
Lei si riempì di piacere. «Quanto ci
metterai?»
«Un paio di mesi.» Sorridendo,
lui si mise in
piedi. Le sembrò più
stabile rispetto all'ultima volta che lo aveva visto alzato,
più
calmo e sollevato mentre andava a prendere il menù
dell'albergo dal tavolino
vicino. Insieme avevano provato una smania
meravigliosa, che non si era ancora spenta.
«Speriamo che facciano del buon cibo.»
Sdraiata, Ami lo squadrò da capo a piedi, studiando
la forma definita
della sue gambe, la compattezza del suo torso, la solidità
delle
sue braccia.
Oh.
Non se n'era mai accorta.
Lui notò la sua ispezione.
«Cosa c'è?»
Aveva da riferirgli una considerazione prettamente visiva. «Hai un
corpo... eccitante.»
Alexander sgranò gli occhi. Sollevò un
braccio
nella sua direzione, disegnando una croce in aria. «Lussuria,
esci da questa Ami.»
Lei si vergognò. «Sei tu che hai
insistito per farmi diventare così.»
«Ti preferivo modesta.»
«... davvero?»
Lui spalancò la bocca. «No! Voglio che dici
tutto quello che ti passa per la testa.»
Le uscì un sospiro.
Alexander la osservò in volto.
«È troppo presto per le prese in giro,
hm?»
«Devo solo imparare a scioccarti più di
quanto tu sciocchi me.»
«Potrei restarci secco.»
«Te la saresti andata a cercare.»
«È vero» le confermò divertito. Salì sul
letto, dimenticandosi del menù e del cibo. La percorse con
gli occhi, indugiando a piacere. «Non
hai perso peso.»
Se lo era ricordato? «Ho recuperato dopo i primi
mesi. Da quando ci siamo risentiti, la
felicità mi ha portata a mangiare come prima. E col
freddo che si
avvicinava... Penso di essere un po' più in carne rispetto
ad agosto.»
Lui allungò una mano verso un suo seno.
«Mi piace.»
Lei inarcò lievemente la schiena, godendosi la
carezza del
dito sul capezzolo turgido. «Sarà appena un
chilo in
più.»
«Mi andrebbe bene anche se fossero dieci.»
Oh, lei non sarebbe mai ingrassata tanto. A meno
che...
Be', sarebbe successo solo quando...
Si
costrinse ad allontanare le mani di lui, per pensare.
«Chiama la reception. Se
non ordini qualcosa subito, dovrai aspettare troppo per
mangiare.»
Alexander si era scordato di avere fame.
«Resisterò.»
Il suo stomaco fu di un altro parere: gorgogliò di
nuovo.
Lui rise. «Stupido. Ho
qualcosa di pronto, me l'ero dimenticato.» Si
diresse al mini-bar.
L'anima risparmiatrice di Ami soffrì
nel vederlo prendere un succo di frutta. Alexander recuperò
anche dei biscotti. Glieli offrì. «Non fare quella faccia, love. Li ho comprati
io, in un supermercato. Ho preso anche del latte e dei crackers.
Li ho
portati qui prima di venire a prenderti.»
Ami amò la sua previdenza. Accettò un
singolo
biscotto, scoprendo nonostante tutto di avere appetito.
Mentre
Alexander masticava avidamente i crackers, lei ritrovò il
filo del ragionamento che aveva interrotto.
C'era una ragione se stava rivedendo il suo ragazzo per la
prima volta dopo ben
tre mesi e mezzo, nonostante fosse in grado di teletrasportarsi da un
continente all'altro.
Aveva fatto
una gran tragedia della loro situazione per più motivi
validi,
seri, che l'avevano costretta a mettere in discussione se stessa e la
loro relazione. Ma soprattutto un elemento - un progetto, una speranza,
un impegno - l'aveva spinta a essere così ferma nella sua
determinazione a cercare una distanza tra loro, affinché
fossero entrambi
sicuri di quello che stavano facendo nel legarsi l'uno
all'altra.
... lei voleva quel progetto. Voleva lui e il loro avvenire.
Ora
erano insieme, si erano finalmente ritrovati. Sarebbero andati a
convivere e non avevano più alcuna incertezza sul fatto che,
qualunque percorso di vita avessero intrapreso, avrebbero avanzato
insieme. Perciò... Erano stati tutti e due
d'accordo sul
fatto che ci fosse poco tempo per dare una chance alla
possibilità che più li aveva messi in dubbio,
giovani
com'erano.
Su entrambi incombevano troppi doveri e cambiamenti: avevano
meno di due anni di tempo da vivere normalmente. Aspettare
era stato giusto, ma adesso che erano del tutto sicuri...
Alexander si era messo a bere da una cannuccia.
Ami diede fiato a ciò che le passava per la mente. «E se provassimo ad avere un
bambino?»
Lui schizzò succo d'arancia dal naso. Si
piegò in
avanti, tossendo e soffocandosi mentre lei lo raggiungeva di corsa,
battendogli forte sulla schiena. «Stai
bene?»
Alexander provò inutilmente a parlare.
Tossì altre due volte prima di riuscire a schiarirsi la
gola. «Come?»
Ami si sentì rozza. «Era
un'idea» balbettò.
«Sì, ma... Cosa-? Quando...?» Deglutì. «Eh?»
Lei si sentì ridicola. «Cancella l'ultimo
minuto. Facciamo finta che non abbia parlato.»
«Aspetta.» Si sentì afferrare
un braccio.
«So che io e te...» La costernazione di lui si
trasformò in semplice incredulità.
«Spiegami
perché ti è venuto in mente adesso.»
Lei volle una fossa in cui sotterrarsi.
«Hai parlato di
vedermi grassa. Dato che non succederà fino a che io non resterò...» Non riuscì a dire la parola. «Poi
ho
pensato
che ci stiamo rivedendo solo oggi perché non potevo
teletrasportarmi da te per tutto questo tempo per questa ragione, per il
bambino intendo, e
allora... dato che sappiamo di avere poco tempo, ho
creduto che...»
Udì un suono, una via di mezzo tra un sospiro e una
risata.
Si azzardò ad alzare gli occhi. «Cosa
stai pensando?»
«Che non era il modo in cui immaginavo di
parlarne.»
Giusto. Aveva ragione lui.
«Ripensiamoci quando torneremo in Giappone.»
Alexander considerò quell'opzione. La
scrutò in viso, infine spostò lo
sguardo sulla giacca che aveva buttato a terra. Si mosse per
raccoglierla. «Sai... Quando ho comprato questi preservativi,
mi sono
chiesto per quanto tempo ne avremmo avuto bisogno.»
Ami sentì il cuore in gola.
«Davvero?»
Lui prese la confezione tra le mani. «Ricordavo che
cosa
avevamo progettato. So che c'è poco tempo.» Si
diresse al
cestino. Allungando il braccio, vi buttò dentro l'intera
scatola
di profilattici.
Lei non riuscì nemmeno a sbattere gli occhi.
Alexander aveva qualcosa da dirle. «Vorrei davvero -
davvero tanto - avere più tempo per
stare solo con te. Ma se avremo un bambino non arriverà
domani e... te l'avevo
promesso, l'anno scorso.»
Oh, non poteva essere una questione di promesse.
Lui stava scuotendo la testa. «Intendo dire che
è da un anno che mi sto preparando all'idea. Se non me ne
avessi
parlato tu, te ne avrei parlato io, presto. Con più
tatto.»
L'aggiunta dissipò la sua ansia.
«Allora...»
Anche lui era nervoso. «Allora non useremo
più
protezioni. E sento che non sto dicendo una sola cosa come vorrei,
ma...»
Ami lo raggiunse, stritolandolo in un abbraccio.
Alexander respirò meglio. «Dovevi permettermi
di prepararmi,
love. Quello che cerco di dire è che era qualcosa che anche
io
volevo fare con
te.» Prese fiato. «Perché so di voler
passare il
resto della
mia vita con te.»
Per non tornare a singhiozzare, Ami premette la faccia
nell'incavo
del suo collo. Raccolse aria. «Allora non sarà un
peso? Il bambino, intendo.»
«No, ma... Sai che non è una certezza,
vero?»
Sicuro. Perciò era ansiosa di iniziare a tentare.
«Magari non ne avremo mai uno.» Era consapevole che
poteva
essere già troppo tardi per loro, nonostante
le precauzioni
che aveva preso per limitare l'avanzata del suo potere.
Però...
«Mi basteresti tu. Avere un bambino ha senso in una vita con
te.
Se non lo avremo mai, io sarò completa comunque.»
Ora lo
sentiva. Ora sapeva che non aveva davvero bisogno di null'altro che lui
per esistere. «Anche se
rimanessimo solo noi due per sempre, sarà la vita
migliore
che io
possa desiderare.»
Nello sguardo di Alexander vide qualcosa che la rese umile: la
forza
della
felicità che era in grado di donargli, e che non aveva mai
espresso a sufficienza.
Chinandosi, lui appoggiò la fronte contro la
sua, gli occhi chiusi. Ebbero a stento fisicità in
quel momento: furono anime che si sfioravano col respiro, terminando di
intrecciarsi.
Lei pose fine all'attimo sollevandosi per un bacio necessario,
indispensabile. Lui doveva aver pensato la stessa cosa,
perché
la incontrò a metà strada. Tornarono a essere
corpi, con
un disperato bisogno di ritrovarsi. A tentoni raggiunsero il letto e
non si diedero più tregua.
Sedato dalla loro nuova sessione d'amore, Alexander aveva una sola
recriminazione: non era progettato in modo da proseguire senza
sosta. Era un peccato. Ami ancora tremava se lui la sfiorava, come se fosse pronta a
ricominciare in qualunque momento. Lasciò la mano sul fianco
di lei, ogni tanto
stringendo la presa per ricordarle che non aveva finito quella sera.
Ami sollevò le palpebre, stordendolo daccapo con la
profondità delle sue iridi blu. «Mi
è mancato.»
«Cosa?»
«Fare l'amore senza il... Cioè, unirci senza
barriere.»
Lei era così deliziosamente tecnica in quelle sue
considerazioni. «È mancato anche a me.»
La vide perdersi in un pensiero e non la interruppe.
«Cercherò di non essere
ansiosa.»
«Con riguardo a cosa?»
«Al bambino, se mai ce ne sarà uno dentro
di me. Ho
letto che l'impazienza e l'ansia destabilizzano l'equilibrio ormonale,
contribuendo a diminuire le possibilità di
concepimento.» Ami guardò serena il soffitto.
«Sarà un
regalo, se
verrà. Preferisco non aspettarmelo, né
programmarlo. La cosa migliore che posso
fare è starmene tranquilla e completamente
rilassata.»
Al fine di raggiungere lo scopo era una buona
strategia, ma... «Lasciami fare la mia parte.»
Le causò un sorriso. «Certo, devi
partecipare.»
«No, intendo... tu sii pure tranquilla e rilassata.
Ma per
aumentare le probabilità, dovremmo favorire in ogni modo
l'incontro dei, ehm, soggetti interessati. Quindi direi di fare l'amore almeno
due volte al giorno.» O tre.
Ami stava trattenendo una risata. «Sai che sarebbe
meglio lasciare che il liquido seminale si ricarichi?»
Eh?
«La concentrazione di spermatozoi non può
rimanere la stessa
a fronte di eiaculazioni troppo frequenti. Si anticipa il tempo
necessario alla loro produzione.»
Alexander si sentì come se lei avesse appena
dissezionato verbalmente i suoi testicoli. «Quale sarebbe
la frequenza ottimale dei rapporti, in teoria?»
«Ogni due giorni. I libri consigliano di concentrarli nel
periodo immediatamente precedente all'ovulazione e durante la
stessa.»
Lui iniziò a soffrire, poi notò
che Ami
si stava divertendo.
«Una frequenza poco serrata
è una precauzione da
seguire nel caso di bassa conta degli spermatozoi. In merito a questo, giocano a
favore dell'uomo una serie di fattori, quali-»
Età, stato di salute, alimentazione. «Ho
ventun anni, mi mantengo in forma e faccio una dieta variata. Non posso
essere più fertile di così.»
Lei si sciolse in una risatina. «Lasciami finire!
Stavo per
dire che non mi importa di ricreare le condizioni mediche migliori. Mi
piace un'altra teoria che ho sentito: consiglia di avere rapporti tutte
le volte che lo si desidera. Se due volte al giorno è la
frequenza a cui aspiri...»
«Non farebbe male alla
causa.»
Ami lo abbracciò, posando un bacio sulla sua
clavicola. «Sarei d'accordo anche se non ci fosse alcun
secondo fine.»
Oh, lui era in paradiso. Aveva finalmente accanto la
Ami che aveva conosciuto al
comunicatore. Lei era la stessa persona che lui aveva amato per
anni.
Ami notò qualcosa oltre le sue spalle.
«Allora hai letto un libro mentre dormivo.» Si
sporse a prendere il volume sul comodino.
«Ci ho provato. Mi distraevi semplicemente
respirando.»
Felice, lei sfogliò le pagine. «C'entra
con
la tua ricerca?»
«Sì. Questo autore ha una teoria che
potrebbe aiutarmi. Stavo pensando di scrivergli.»
Ami lo guardò, estasiata. «Pensi che
ti risponderebbe?»
«In realtà mi piacerebbe andare a
trovarlo, ma... sta in California. Se gli esponessi la mia idea per
intero, potrei davvero coinvolgerlo nella ricerca.
Però dovrei lavorare a tempo pieno con lui per arrivare a
qualcosa di concreto. Io e Shun ci siamo andati vicini, ma... Ci sono ancora troppi buchi. Ne scopro uno nuovo ogni volta che
vado avanti.»
Ami ci pensò su. Capì
perfettamente cosa intendeva.
Alexander si esaltò. «Anche così, credo che
nessuno
sia mai arrivato fino al nostro punto. Avere un teletrasporto
funzionante, con uno strumento che permette di analizzare il processo
al livello di cui è capace il tuo computer, ci ha fatto fare un
salto enorme in avanti come umanità. Sarà una
rivoluzione
così grande che...» Ci rifletté,
fermandosi.
«Non sono sicuro che l'equazione sia da
diffondere immediatamente, una volta individuata. Comunque, solamente
esplorando il
percorso per arrivarci, Shun ha già avuto decine di idee per
altre applicazioni pratiche. Ci sono state due notti in cui non ha
dormito a forza di lavorarci.»
Ami condivideva ogni sfaccettatura della sua meraviglia. Iniziò a percepire un senso di perdita, per
lui. «Mi porterai a vedere il campus del
MIT?»
«Certo. Ti piacerà tantissimo.»
Ne era sicura. «Alex...» Gli
accarezzò la fronte. «Ti piacerebbe restare qui? O
andare in California.»
Lui rimase interdetto. «Prima di tornare in
Giappone?»
No. «Per i prossimi due anni.» Lo
bloccò prima che potesse ribattere. «Io rimarrei con
te. Dovremmo cambiare i piani che abbiamo fatto, ma... posso studiare
medicina ovunque. Da sola o iscrivendomi in un'università
vicina alla tua. Non vedrei le mie amiche tanto spesso, ma il
teletrasporto ci avvicina. Posso avere un bambino anche qui in
America.»
Vide i dubbi di lui e cercò di spiegarsi meglio.
«So che sarebbe una pazzia. Non concluderemmo nessun percorso
di studi e trasferirci e studiare fuori dal Giappone costerebbe
tantissimo, ma... qual è il valore di questi anni della
nostra vita? Forse stiamo prendendo troppe precauzioni.
È un delitto che tu interrompa gli studi che stai
facendo,
limitando questo entusiasmo che accende tutto ciò che per
cui hai sempre lavorato.»
«Ho capito cosa intendi» la interruppe Alexander.
«E non sai quanto mi renda felice sentirti parlare
così.»
Ami fu contenta di essersi lasciata andare, smettendo di
focalizzarsi su quanto sarebbe stato complesso riorganizzare la loro
vita in un altro paese. C'erano cose più importanti su cui
concentrarsi: lui, loro.
«Sono felice perché mi sostieni, love. Ma
questo
l'ho sempre saputo.» Alexander si mise a sedere.
«Voglio comunque tornare in Giappone insieme, a
casa.»
«Perché?»
Lui non era più entusiasta come quando le aveva
parlato di tutto quello che poteva scoprire, ma non sembrava
oberato. Era... calmo. «In questi due anni
che ci rimangono, potremmo andare avanti come se nulla fosse destinato a
cambiare, ma... io non
sarei tranquillo. Mi sembra già di aver fatto finta
di niente troppo a lungo. Ci è servito, ma voglio che
arriviamo pronti al giorno in cui le nostre vite cambieranno. Non sarà facile se non
possiamo dare per scontato il tetto sotto cui abiteremo, o se avremo
ancora la possibilità di lavorare e di guadagnare
qualcosa.»
Lei rimase in silenzio.
«Non potrei concentrarmi sullo studio con questi
pensieri in
testa. Vorrei che vivessimo il più normalmente possibile
fino ad allora, ma mi interessa iniziare a organizzarci. Devo lavorare
per accumulare denaro, il più possibile. E...»
sorrise, incredulo.
«Penso che coinvolgerò le tue amiche. Soprattutto
Tenou e Kaiou, che la sanno lunga. Dobbiamo prevedere la situazione in cui ci troveremo, per prepararci a difenderci.
Forse dovremo munirci di identità fittizie, creare conti
all'estero, sicuramente identificare uno o più luoghi sicuri
in cui stare se dovessimo spostarci in fretta...» I dettagli a cui pensare erano innumerevoli. «Sono idee che mi vengono sul momento. I problemi a
cui pensare sono molti di più. Senza la protezione delle
vostre identità, con tutto il mondo a conoscenza di chi
siete davvero, non sento di potermi affidare completamente al potere di
Usagi per tutte le situazioni che dovremo risolvere. Potenzialmente,
stiamo parlando di come
andranno le nostre vite per i prossimi decenni. Non ci
salverà solo la magia: ci vogliono dei piani.»
Ami era d'accordo. Soffrì per lui, solo un
poco. «Scusa se ti ho fatto credere di non avere in
mente
tutte queste cose.»
«Mi fido di te. Ma tu ti fidi troppo di
Usagi.»
Lei non se la prese. «Forse Usagi creerà
un'impenetrabile castello in cui saremo tutti felici e al sicuro, ma...
è vero, abbiamo bisogno di organizzarci. Ci
vorrà del tempo.»
Alexander annuì. «Troverò il
modo di mandare avanti la mia ricerca nel tempo libero, o quando mi
capiterà. Ma per ora è già un progetto
secondario nella mia testa.» Allungò le
mani verso di lei. «D'altronde in Giappone mi
aspettano tante novità che non vedo l'ora di godermi. Tu che
vieni a vivere a casa mia, per cominciare.»
Ami sorrise contro la sua spalla.
«Lo hai già detto a tua madre?»
«Ecco... no. Ho pensato che fosse indelicato
presentarle l'idea da sola. Mamma accetterà qualunque mia
decisione, ma sarebbe più tranquilla sapendo che
abbiamo dei progetti duraturi insieme.»
Lui comprese. «Allora, quando torneremo, le
parleremo il prima possibile.»
Proprio così. «Ho già
organizzato tutte le mie cose in modo da poterle inscatolare con
rapidità. Posso trasferirmi nel giro di un giorno.»
Era musica per le orecchie di Alexander.
«Ho fatto qualche considerazione su come gestirci a
livello economico.»
«Non parliamone ora.» Non si
ritrovavano più nella situazione di un anno prima:
poiché aveva lavorato lui aveva delle decenti
disponibilità economiche, considerato anche che quel viaggio
in America era stato finanziato interamente da suo padre. Non c'era
motivo di parlare di denaro: se Ami ne aveva, o voleva guadagnarne per
usarlo per tutti e due, bene, ma non sarebbe stato indispensabile.
In
ogni caso lui era aperto a qualunque cosa lei volesse fare. Erano nella
posizione di non preoccuparsi eccessivamente delle loro finanze
nell'immediato presente. Nei successivi due anni l'unica grossa spesa
che avrebbero dovuto affrontare insieme sarebbe stata legata al
bambino, o alla cerimonia di... Hm.
Guardò Ami negli occhi.
«Cosa c'è?»
Era smemorato come lei quando si trattava di alcune
ovvietà. «Niente.» Allegro,
assaggiò una sua guancia.
Divertita, Ami incavò la testa nelle spalle.
«Stavi pensando a qualcosa.»
Sì, ma non gliene avrebbe parlato senza
un'estesa e dettagliata preparazione.
Ami lo scrutava. «Per quanto riguarda i soldi, volevo solo dire che
ho trovato il
modo di commercializzare un programma che ho sviluppato al
computer.»
«Sei una grande.» Scese con le labbra lungo il suo
collo.
«Ci vorrà un po' di tempo per ingranare,
ma potrò mantenermi da sola per tutte le spese,
anche quelle condivise. E presto-»
A lui non poteva importare di meno.
«Brava.»
Ami affondò le unghie nella sua schiena.
«Mi sembri condiscendente.»
Si sbagliava. «Sono pronto a farmi mantenere da te
senza discutere.» Le causò una risata e
cercò un suo bacio. Lei aveva un sapore così
dolce... «Ma non potrai farmi riflettere sull'ammontare dei
nostri stipendi quando ho solo voglia di mangiarti viva.»
«Suona... sanguinolento» commentò Ami. Il ritmo del suo respiro era cambiato.
Alexander arrivò a uno dei suoi seni. Con estrema pazienza,
ignorò completamete l'areola, baciando tutto attorno. Lei si
piegò all'indietro sul letto,
usando le braccia per adagiarsi con lentezza sulla schiena.
Lui percepiva ancora l'odore del sesso che avevano fatto,
inebriante per le sue
narici. Era passato troppo tempo dall'ultima volta che si era goduto il
piacere di sentire la sua carne più intima sotto la lingua.
La
cosa più eccitante era vedere che Ami si era preparata:
lo sentiva con le dita, mentre sfiorava i peli
cortissimi del suo pube. Piegò la testa verso il basso.
«No!» si agitò lei. «Devo prima farmi un bagno!»
«Non importa.»
«Alex, Alex... A me sì. Ho
viaggiato su
un aereo e abbiamo fatto persino l'amore...»
«Va bene.» Si sollevò su di lei, incastrando le
mani sotto le sue ginocchia, per piegarle le gambe.
«Però a me il tuo odore piace sempre.»
Ami annuì col respiro accelerato: aveva intuito
cosa lui stava per fare.
Alexander non la deluse: spostando i fianchi entrò
nel suo
corpo, più veloce di quanto avesse voluto. Restò
senza fiato: il bollore, il palpito della stretta, l'umidità
dei suoi umori...
Ami separò indolentemente le gambe, scendendo con
una carezza a stringergli le braccia.
Lui si azzardò ad aprire gli occhi. Aveva visto
troppe volte il
corpo di lei su uno schermo per non provare ora la necessità
impellente di osservare dal vivo quello che Ami aveva fatto a se stessa quando lui era
stato incapace di aiutarla. Scese con la mano sul suo ventre,
muovendo il pollice fino a trovare il punto più sensibile della sua carne.
«Era qui che volevi che ti toccassi?»
Ami ansimò, tendendosi. Con la bocca lui la
adorò in viso, gemendo in
silenzio. «È
mancato di più a me, love.» Si mantenne fermo a
forza: era divino, assolutamente unico, sentirla dondolare contro
di lui, intrappolata dal piacere.
Ami lo abbracciò e parlò al suo
orecchio. «Sognavo che tu... spingessi.»
Lui lo fece, a fondo, senza impostare alcun ritmo. Premette in
lei
con singole inesorabili spinte, desiderando più di ogni
altra cosa di non arrivare mai alla fine.
Ami trovò la sua bocca in un bacio. Per un lungo
minuto, giocarono: coi fianchi lei chiedeva e lui non dava, godendosi i
suoi sforzi.
Poi lei premette le mani sulle sue spalle, allontanandolo.
«Facevo così.» Lo incitò ad
andare ancora più indietro, finché non fu
praticamente seduto. Quando Ami fu sicura che potesse vederla,
abbassò una mano su di sé. Con un'espressione di
adorabile mortificazione lasciò scivolare il dito tra le
pieghe delle proprie cosce.
Lui gemette a voce alta.
Senza smettere di guardarlo lei iniziò un massaggio
circolare, esperto - delicato ma insistente. Le bastò
sfiorarlo per caso per farlo muovere come se avesse premuto un
interruttore: sostenendosi con le braccia per non coprirla, Alexander
sentì tutto il basso ventre che si abbandonava a un ritmo
regolare, inevitabile, una strada verso la perfezione.
Ami boccheggiava a tempo con le sue spinte, cercando di non
essere vocale mentre si toccava. Era divina, sensuale oltre
ogni forma di
erotismo.
Il piacere la colse in crescendo, scuotendola.
The most beautiful girl...
Lui contribuì a plasmare il suo orgasmo seguendone le ondate,
poi vi aggiunse
il proprio peso e le fece perdere la testa: Ami incrociò le
gambe attorno ai suoi fianchi, inarcando le schiena, senza mai smettere
di far proseguire gli spasmi con movimenti erratici delle dita. All'improvviso allontanò la mano come se si fosse scottata, distendosi con tutto il
corpo mentre lui la abbracciava disperatamente
per la vita, schiacciandole il bacino a tempo.
Lei rabbrividì in risposta a ogni affondo e non emise suono quando lui si svuotò dentro il suo
corpo.
«My God, Ami. My God.»
Chinandosi, Alexander nascose
la faccia contro il suo collo.
Udì un primo mugolio. Ami portò le
braccia attorno alle sue spalle, con tenerezza.
Stremati, si concentrarono sulla riconquista del respiro.
Dopo un minuto, lei lo baciò su una tempia.
«Non sarei così, senza di te.» Lo
avvolse con tutto il corpo, cercando riparo. «Non sarei e
basta, senza di te.»
Non era vero, ma la realtà di quelle parole
esisteva anche dentro di lui. Infilò le braccia tra il letto
e la
sua schiena, stringendola più che poteva.
Non c'era un significato
prima di te.
Non voleva mai
più trovarne un altro.
«Ehi, ciao!»
Era il 22 dicembre, il giorno dopo il suo arrivo in America.
Ami sentì sparire l'ansia quando colse il sorriso
di Yamato, il miglior amico di Alexander, che la invitava a entrare in
casa.
«Quando tempo, Ami-san!»
«Yamato-san.»
Lui non era mai stato tipo da contatti fisici, ma Ami
portò comunque avanti una mano, per toccare un suo
braccio. Non si vedevano da un anno. In quei dodici mesi tutto era
cambiato per lui.
Quel giorno era l'anniversario della morte
di Asuka Yamato e il primo compleanno della figlia di lei,
Arimi.
Alla parete era appeso uno striscione. 'Oggi compio un anno!'
Alexander le aveva raccontato che Yamato aveva deciso che il compleanno
di Arimi non poteva essere indissolubilmente legato alla morte della
madre. Il modo migliore per onorare Asuka era festeggiare, di anno in
anno, la vita di sua figlia che andava avanti.
Yamato la osservò con attenzione in volto. «Sei
così... giapponese, Ami-san. In senso buono: mi fai venire nostalgia
di casa.»
Ami lo prese come un complimento. «Tu
invece...»
«Sono più vecchio, lo so. Ma la
maturità rende un uomo affascinante.»
Mentre lei rideva, lui salutò Alexander.
«Chi si rivede: l'inquilino in fuga. Se solo fossi stata qui ieri
mattina, Ami-san. Lui praticamente non ha dormito: si è
svegliato all'alba. Aveva le ali ai piedi quando è uscito di casa.»
Si era dimenticata di quanto fosse divertente Yamato.
Lui squadrò entrambi. «Sapete a chi somigliate? A una di quelle coppie dei vecchi film Disney. Ami-san,
tu sei una specie di Biancaneve, con le guance perennemente spruzzate di rosa,
timida e composta. E tu, Fox? Gli occhi ti brillano come uno di quei
principi che stanno per attaccare con le note di una canzone romantica.
Trattieniti, limitati a tubare.»
Alexander gli coprì metà faccia con la
mano. «Vuoi chiudere la bocca?»
Pur soffocato, Yamato riuscì a imitare il verso di
una colomba, muovendo le mani come se fossero ali.
«Hiii!»
Attirata dal gridolino infantile, Ami guardò oltre
le spalle di entrambi. Oh!
Alexander corse a prendere Arimi, sistemata sul suo
seggiolino. «Ciao! Hai visto che sono tornato? Buon
compleanno!»
Ami si sciolse. Dal vivo Arimi era
bellissima, così preziosa nel suo essere paffuta e
minuscola. Vedere Alexander che le schioccava un bacio sulla guancia
le
chiuse la gola per la tenerezza.
Lui passò Arimi a suo padre. Tenendola in
braccio, Yamato fece in modo che Arimi fosse rivolta verso di
lei. «Ho qualcuno da presentarti, Mi-chan. Questa
è la ragazza di tuo zio Alexander, Ami Mizuno.
È giunto il momento che tu conosca la tua
rivale.»
Ami sorrise. «Ciao, piccolina.» Cercò di
parlarle con voce delicata, per non spaventarla.
Da vicino osservò i suoi capelli neri, ondulati e morbidi,
le guanciotte piene e gli occhi di un indefinito colore, tra il verde e
il marrone. In inglese erano 'hazel eyes', un nome che Ami aveva sempre
trovato poetico. Infilò un dito nella manina di lei,
muovendola su e
giù. «È un piacere
conoscerti.»
Arimi sbatteva le palpebre, cercando di comprendere tutti i
suoi misteri.
Yamato si piegò per
passarle la piccola. Per un attimo Ami si innervosì, poi la
ricevette in modo corretto tra le braccia. Attaccata a lei, Arimi
sollevò le mani, palpandola in viso per esplorarla. Forse si
ricordava di averla vista dentro il comunicatore?
Yamato parlò. «Non ha molti contatti con donne giovani. Per lei sono una
novità.»
Ami tentò un sorriso. Squadrando la sua
espressione, Arimi decise che era innocua e le regalò la
vista di quattro splendidi dentini bianchi. Aveva un profumo
buonissimo, da
neonata. «Posso continuare a tenerla in braccio?»
Il suo peso
era delizioso.
Yamato annuì. «Prego. E benvenuta nella
dimora Yamato, che ha dato asilo per due mesi al tuo
boyfriend.»
Alexander guardava rassegnato il soffitto. «Sei
già andato a prendere la torta?»
«È in frigo. Sto solo aspettando che ci
raggiunga Agatha per iniziare i festeggiamenti.»
Ami percorse il salotto, guardando per la prima volta
l'interno della casa che aveva visto da fuori un anno prima.
«È un appartamento luminoso.»
«Già. Ti prometto che non ha
favorito incontri clandestini tra Fox e una delle sue
amanti.»
Mentre Alexander si massaggiava la tempia, esasperato, Ami
sollevò un sopracciglio. «Davvero?»
«Sai, siamo usciti insieme solo una volta -
perché di solito dovevamo alternarci per Arimi. Era
tutto uguale a
quando eravamo single. Lui si riveste di questa faccia disinteressata
che fa colpo sulle ragazze al cento per cento. Per fare il bravo
fidanzato ha ignorato quelle che si avvicinavano a lui
prestando
più attenzione agli amici che gli presentavo. Un paio di
loro l'hanno preso per gay, anche se a Fox non è piaciuto
sentirlo.»
Ami liberò una risata cristallina.
«Stai dicendo cazza-!» Alexander
censurò la parola, rendendo chiaro cosa pensava con un
gesto.
«Fox, rassegnati. Per loro la tua assoluta
fedeltà è anormale. Ti sei perso il meglio della vita
universitaria.» Yamato non lo lasciò rispondere e
tornò a rivolgersi a lei. «Ami-san, il suo
stoicismo è divenuto argomento di leggenda, proprio come nel
campus della Todai. Puoi stare tranquilla.»
«Lo ero.»
«Perfetto. Ora dissipa i miei dubbi: dimmi che,
almeno con te, a letto è un animale.»
Avvampando, Ami affondò con la testa tra le spalle. Arimi ne
approfittò per tirarle i capelli mentre Alexander
attaccava
Yamato dalle spalle, prendendolo per il collo.
«Piantala!»
Attirata dal trambusto, Arimi cominciò a fare il
tifo. Ami ne approfittò per rubarle un bacio sulla guancia.
«Va' da papà» disse ad alta voce,
avvicinandosi ai litiganti. Per lei era sempre comico vedere
Alexander che si comportava come un ragazzino quando si trattava del
suo amico Yamato.
Qualcosa che aveva detto aveva attirato l'attenzione di
Yamato, ma lui fece finta di nulla. «Mi
sono fatto male» disse ad Arimi quando la riprese, sollevando
una sua mano per accarezzarsi la faccia.
Alexander si era tirato indietro di due passi.
«Così impari a connettere il cervello prima di
parlare.»
Scherzava, ma per Ami la burla era andata avanti troppo a
lungo.
«Su, basta.»
Alexander sospirò, incrociando le braccia.
«All'amo» bofonchiò Yamato,
imitando con la mano libera il gesto di una lenza da pesca che veniva
tirata su.
«Sono felice di esserlo»
dichiarò
Alexander, attirando Ami a sé con un braccio.
Lei arrossì: aveva sentito abbastanza sciocchezze.
«Yamato-san.» Fece un passo in avanti e gli
offrì un piccolo inchino. «Voglio chiederti
perdono.»
«Per cosa?»
«Per averti fatto stare in pensiero. Amo Alexander
più della mia stessa vita e non sarò mai
più così insicura da lasciarlo andare.»
Zittì sia lui che Alex. Arimi si guardava intorno,
cercando di capire cosa stesse succedendo.
«Lo renderò felice»
proseguì Ami. «È una
promessa.»
Yamato si lasciò sfuggire una risata stentata.
«Quanta ufficialità.»
«Volevo la tua benedizione. Sei molto importante per
lui, e quindi per me.»
Capì di averlo privato della parola, molto
più di quanto avesse voluto.
Ci fu un momento di silenzio.
«Non mi hai detto se fate del buon sesso.»
Alexander si coprì gli occhi con le mani, ma Ami
badò al tono che Yamato aveva usato: stava cercando di
buttarla sul ridere, per non commuoversi.
«Ne facciamo» gli disse, e
poiché aveva risposto con audacia, esagerò.
«La qualità è importante quanto la
quantità per noi.»
Alexander aveva girato la testa verso di lei, a bocca aperta.
Yamato era convinto. «Avete la mia approvazione!»
«Hiii!» gridò Arimi.
Yamato scoppiò a ridere. «Lo prendo per
un 'sì' giapponese! Vi approviamo tutti e due.»
Lo squillo di un citofono riempì la casa.
«È arrivata Agatha. Cominciamo la tua
festa,
Mi-chan!»
«Hiii!»
Ami trascorse con Alexander cinque giorni interi a Boston, a
casa di Yamato. Lui le fece conoscere i luoghi di cui le aveva
raccontato: il campus universitario, i pub che aveva frequentato coi
suoi compagni di corso, gli angoli della città che aveva
scoperto. Il secondo giorno, il 23 dicembre, iniziò a
nevicare. Ami fu sicura di non aver mai visto un'atmosfera
più natalizia in vita sua.
Chiamò in Giappone per fare gli auguri di buon
compleanno a Yuichiro. Era in corso una festa e Usagi, Rei, Makoto e
Minako la tennero al comunicatore per oltre venti minuti, per conoscere
ogni
dettaglio della sua felicità.
«Quante volte lo avete fatto?» Minako.
«Davvero quando tornerete qui vivrete
insieme?» Makoto.
«Questi sono i baci più belli che tu
abbia mai ricevuto, vero?» Usagi.
«Ricordati le protezioni» fu il monito di
Rei. Ami non ebbe il coraggio di comunicare via video cosa stava
progettando. Era un annuncio da fare di persona.
Quella sera lesse un libro, sdraiata sul letto a una piazza e
mezza
in cui Alexander aveva dormito per oltre due mesi. Yamato aveva
indicato come opzione alternativa l'uso del divano letto in salotto, ma
poteva ospitare una sola persona e non si era stupito che entrambi
avessero preferito
rimanere stretti, ma uniti, nel letto della camera degli ospiti.
Alexander stava facendo delle analisi col suo mini-computer.
Appena lo aveva riavuto in mano vi si era immerso per oltre un'ora.
Ami lo lasciò ai suoi calcoli: aveva scoperto
l'assoluta
bellezza e vastità delle librerie americane. Avrebbe voluto
accamparsi tra quegli scaffali pieni di libri per leggere il retrocopertina di tutti i volumi in vendita. Lei e Alexander avevano speso
una fortuna nel regalarsi libri a vicenda quel giorno.
«Ami.»
«Hm?» Si voltò a guardarlo.
«Sai che la tua situazione non mi sembra cambiata
rispetto ad agosto?»
Impiegò un momento a capire a cosa si stesse
riferendo lui.
Per non lasciarle dubbi, Alexander voltò il mini-computer
nella
sua direzione. Sullo schermo era disegnato un grafico che rappresentava
la figura di lei, seduta sul letto, con vari dati relativi alla sua
persona.
Ami annuì. «Non mi sono più
allenata. Il
più grosso sbalzo di potere che ho avuto risale a maggio,
quando
sono riuscita a smateralizzare parte del mio corpo.» Lo aveva
trasformato in acqua, mentre era Sailor Mercury.
Lui meditò. «Anche io sono rimasto
uguale. Sono ancora ricoperto dalla tua energia.»
Lei lo sapeva. «Ti ho dato un'occhiata un paio di
settimane fa.»
«Di nuovo?»
Ami comprese il proprio errore. «È stato
un controllo
veloce.»
«Certo. Una cosa innocente, giusto? Come la prima
volta.»
Ovvio. L'unico suo sbaglio era stato confessargli quello
che
aveva fatto per assicurarsi che stesse bene,
nell'impossibilità
di parlargli.
Lui accarezzò l'idea. «Sapevi che era
sbagliato,
ma non hai
potuto resistere. Mi hai spiato, magari mentre facevo la
doccia.»
«Non è vero!»
«Se hai deciso di beccarmi di prima mattina, avrai visto uno spettacolo
interessante.»
Ami arrossì. «Sarò rimasta a
guardarti per non più di venti secondi!»
La precisione lo deliziò. Fece dondolare il
mini-computer per
aria. «Avresti dovuto lasciare che lo portassi con me. Avrei
fatto un uso molto meno nobile di questo strumento.»
«Avrei sentito che mi guardavi a ogni ora del
giorno.»
«Sarebbe stato verissimo.»
Lei sapeva bene che tipo di atmosfera stavano creando, e che
da un
momento all'altro lui si sarebbe alzato dalla sedia, per raggiungerla
sul letto. «Era questo che volevi dirmi?»
«No. Pensavo solo che i miei, ehm, soldatini hanno
moderate
probabilità di fare breccia se sono ricoperti dal tuo
potere.
Magari, anche se il tuo ovulo è già potenziato,
il
meccanismo dell'ykeos riuscirà a ingannarlo.»
Ami soffocò una risatina un gola. «Che
termini hai usato? Non è una guerra.»
Lui strinse un pugno. «È la battaglia per
la vita!»
Ami rise così forte che temette di aver svegliato
tutta la
casa. Si zittì a forza. «Era questo che volevi
dirmi?»
Lui si stava ancora divertendo. «No. Pensavo che è meno improbabile di quanto credevamo, perciò dovresti dare
un'occhiata a
qualche
libro, per vedere se ci sono cose che è consigliabile fare
in...
preparazione.»
Lei ci aveva già pensato. «Ho in mente quello
che ho letto
un anno fa. Andrò in farmacia domani: è meglio
che inizi
ad assumere una dose di acido folico ogni giorno. È utile
nei
primi trenta giorni di vita del feto, per evitare malformazioni durante
la chiusura del tubo neurale.
Siccome spesso ci si accorge della gravidanza non prima di due o tre
settimane dal suo inizio, l'assunzione di questa vitamina è
consigliata a chiunque stia pianificando un concepimento.»
«Good. Intendevo questo.»
Ami sospirò. «Poi consigliano
anche di fare esami
del sangue per controllare la compatibilità dei fattori Rh
nei
gruppi sanguigni di madre e bambino, ma... »
Lui capì. Lei non faceva esami clinici da molto
prima di
diventare una guerriera Sailor: se qualcosa di fondamentale era
cambiato nel suo corpo, era importante che nessun estraneo potesse
analizzare i suoi campioni biologici.
Ami meditò: se avesse avuto bisogno di
qualche intervento, prima o
dopo la gravidanza, sarebbe stato un problema.
Alexander intuì la sua
preoccupazione. «Andrà tutto
bene.» Le
prese le mani, portandole alla bocca.
Già, preoccuparsi le faceva solo male.
«Comunque, per
questo mese dovremmo essere nel periodo clou a giorni.»
«Direi di impegnarci lo stesso, fin da subito.
Delle prove
generali non fanno male.»
Lei non aveva bisogno di essere convinta. «Non si sa
mai» affermò.
Lui fu d'accordo «Non si sa mai.»
Sorridendo, si incontrarono in un bacio.
Il 26 dicembre lasciarono Boston, diretti a New York. Per Ami
fu una
sofferenza salutare Arimi. Posò un bacio sui suoi
capelli neri. «Ci rivedremo prima della mia partenza. Goditi
il
tuo primo Capodanno.»
«Hii!»
Yamato era in fermento. «Anche io sto aspettando
Agatha per uscire. Il Boxing day mi aspetta!»
Alexander aveva in faccia una smorfia. «Non dirmi
che affronterai la ressa di inizio saldi solo spendere di meno?»
Yamato era determinato. «Il risparmio è
la mia
missione! Rifarò il guardaroba di Arimi prima che cresca
oltre
i suoi vestiti.»
«Shun?»
«Sì.»
«Quando ti deciderai ad ammettere che sei diventato
un
padre?»
Lui strinse gli occhi, fingendo durezza. «Il
più tardi
possibile. Ora fuori di qui, sei stato in casa mia abbastanza a
lungo.» Cambiò tono con Ami.
«Naturalmente è
stato un piacere avere te come ospite, Ami-san. Ti auguro buon
viaggio.»
Scambiò con Alexander un'ultima occhiata sardonica. Di
comune accordo si avvicinarono l'uno all'altro, per darsi un
paio di pacche amichevoli sulle spalle.
«Non farti inghiottire dalla Grande Mela,
hm?»
«Ti porterò come souvenir una di quelle
palle di vetro.»
Yamato lo apostrofò poco garbatamente in inglese.
Ridendo di
quello scambio, Ami trascinò il trolley giù per
le scale.
Parlò solo quando lei e Alexander furono soli.
«È strano vederti trattare così
sarcasticamente una
persona a cui vuoi bene.»
«Colpa sua. Fosse per me sarei più
gentile, ma quando ci provo lui mi prende in giro.»
Sì, Yamato aveva un modo particolare di dimostrare
affetto.
«Arimi-chan gli insegnerà a essere più
dolce.»
Alexander valutò l'idea. «Vorrei poterlo
vedere.»
Il 29 dicembre Ami non riuscì più a
ignorare il mondo
che la circondava - non a New York, dove tutta la città si
preparava a festeggiare l'Humanity Day, il primo anniversario della
venuta degli alieni sulla Terra. Le strade si andavano riempiendo di
truppe militari.
Ai telegiornali si discuteva su quanto fosse saggio tenere il
principale comizio americano nello stesso incrocio dove l'alieno Zenas
aveva piazzato una bomba atomica.
Il senatore Logan, rappresentante degli Stati Uniti presso la
nuova
ETO - Earth Treaty Organization, l'entità che aveva
soppiantato la Nato - aveva
le idee molto chiare.
«Times Square appartiene alla cittadinanza di New
York e
all'America. Dobbiamo riappropriarcerne. Non possiamo
lasciare che rimanga un luogo di paura.»
«Ci dica, senatore: non teme che gli alieni possano
rifarsi vivi domani?»
«Ogni commissione d'inchiesta ha stabilito che sono
stati
sconfitti un anno fa. In ogni caso, non siamo impreparati:
in questi dodici mesi abbiamo lavorato senza sosta per acquisire i
mezzi necessari a proteggerci dalla minaccia di questi
esseri.»
«Può dirci qualcosa di più
specifico?»
«No. È e rimarrà segreto
militare, signora. Gli alieni
non devono sapere quali armi possiamo usare contro di loro,
perciò l'informazione non verrà resa
pubblica.»
Alexander aveva ascoltato il telegiornale assieme ad Ami.
«Forse» aveva commentato, «sono
più avanti di
quello che pensiamo. Magari stanno già lavorando sul
teletrasporto.»
«Magari.»
«Potrebbero essere riusciti ad acquisirlo.»
Non era da escludere, pensò lei.
Lui era rimasto in silenzio.
«Quale sarà il suo slogan per l'Humanity
Day, senatore Logan?»
«Questo: come umanità non abbiamo bisogno
di essere dominati
né protetti da nessuno. Alcuni discordano su quanto sto per dire, ma
domani dobbiamo ribadire
l'affrancamento da qualunque entità che pretenda di
asservirci, governarci, e agire in nome nostro, senza essere stato
prima regolarmente eletta dall'intera popolazione terrestre.
L'Humanity Day sarà un messaggio anche per Serenity: se ella
è aperta a un confronto, la ETO la aspetta.
È
con noi che deve dialogare.»
«È questo che si aspetta la Presidente
Rimbaud? Vi
state organizzando per un incontro con Serenity della Luna?»
«Non è la prima volta in questo anno che
estendiamo
pubblicamente un invito a questa... donna. Finora non ci ha risposto,
ma non perdiamo le speranze.»
La giornalista era sempre più interessata.
«Serenity
della Luna potrebbe svelarci le risposte a molti dei misteri che sono
sorti in
seguito alla battaglia con gli alieni. Secondo lei
perché è rimasta in silenzio?»
«Abbiamo notato tutti la sua giovane età.
Tendiamo a pensare che voglia mantenere il suo anonimato.»
«Ha ragione» commentò Ami. Non
ascoltò più l'intervista, perdendosi nei propri
pensieri.
Alexander le rivolse una domanda. «Domani vuoi
andare a quella celebrazione?»
«Sì.» Voleva vedere con i suoi
occhi che cosa
pensava la gente della Terra di ciò che era successo un anno
prima. Voleva sentire le opinioni delle persone e avere un
assaggio di quello che sarebbe stato il suo futuro.
Al pari di Usagi e delle sue amiche, avrebbe dovuto curarsi
del giudizio
delle persone che avrebbe protetto ed esserne in parte soggetta, per
l'enorme responsabilità che intendeva assumersi nei loro
confronti.
«Ci sarà una cerimonia anche a
Tokyo» disse Alexander. «Shun mi raccontava
che è soprattutto lì che si aspettano che Usagi
si faccia
viva.»
Ami sorrise. «Lei ci andrà proprio come
noi. Di nascosto, solo per guardare.»
In televisione l'intervista al senatore Logan era terminata.
La
giornalista si rivolse agli spettatori. «E ora andiamo in
collegamento con Therese Ritter, che ci parla da New Delhi.»
Ami si irrigidì.
«Buongiorno, Claire. New Delhi si prepara
all'anniversario del
giorno in cui ha rischiato la sua distruzione. Mi trovo nel punto in
cui Serenity della Luna ha lasciato brillare la bomba
nucleare. Dopo i fatti del 30 dicembre scorso, questo luogo è stato isolato per due settimane
dalle
autorità. La
popolazione
ha ancora timore di avvicinarsi all'area. Per dissipare in maniera
definitiva i dubbi della gente, il governo ha deciso di tenere
proprio qui le celebrazioni dell'Humanity Day. L'India vuole ribadire
che in quella giornata ha conosciuto una tragedia che non è
stata dimenticata. Rimane vivido il ricordo delle 2743 vittime dei
disordini che si scatenarono in
città dopo la comparsa della bomba nucleare.»
«Bisogna ricordare, Therese, che fu solo New Delhi a
registrare un numero così elevato di morti tra tutte le
città che videro comparire nelle proprie strade una delle
bombe.»
«Sì, Claire. Il governo indiano si
è speso con
misure senza precedenti per l'ammodernamento delle zone in cui
si è registrato il maggior numero di incidenti.
L'intera popolazione ha lavorato con alacrità in uno sforzo
coordinato che sta trasformando intere baraccopoli in
moderni quartieri. Guardiamo il servizio.»
Ami seppe
ciò che stava per vedere, ma non distolse in tempo lo
sguardo: sullo schermo vide la bomba che esplodeva tra le mani
di Usagi, e lei e Mamoru in sottofondo che si allontanavano, franando
all'indietro. Chiuse gli occhi, ricordando. Alexander tolse il volume
al televisore e
la abbracciò.
A lungo, non parlarono.
Lei ricordò che c'era una questione che alla
fine,
incredibilmente, non aveva ancora affrontato con lui, dopo ormai un
anno. «Un giorno combatterò di
nuovo» gli disse. «Potrei affrontare pericoli anche
più terribili di questo.»
«Perché lo dici?»
Perché era vero. «Tu avevi paura un
tempo.»
«Ne ho ancora.»
«Eri contrario.»
«Non volevo vederti più rischiare la
morte.»
Infatti.
Alexander non la lasciò andare. «Ma
succederà lo
stesso. Posso solo decidere se sostenerti o allontanarmi.»
Lei si strinse alle sue spalle. «Non
perderò. Non
permetterò che niente e nessuno mi sconfigga.»
Lui annuì contro la sua testa. «Sarei
un'anima in pena senza di te. Mi avresti sulla coscienza.»
«Vivremo insieme per mille anni. Te lo
giuro.»
«That's a beautiful promise.»
Lei avrebbe vissuto per renderla vera.
Lui le sistemò i capelli dietro le orecchie.
«Sai cos'è cambiato in questo anno, Ami?»
Lo guardò, in attesa della risposta.
«Non c'è più nessun 'se' nella
mia testa. Non mi
struggo pensando a quanto sarei più tranquillo se solo tu
non
fossi una guerriera Sailor. Perché non saresti tu, se non
fossi
Sailor Mercury. Non penso più a cosa farei se non ti
avessi incontrata - che cosa studierei, dove sarei ora. È un
esercizio inutile, perché non mi importa. Quest'ultimo anno mi ha
portato chiarezza assoluta. Non discuto più col destino,
neppure
in via teorica. Mi preparo a viverlo. Lo trovo più
funzionale
per entrambi.»
Lei non aveva mai sentito un discorso così
pragmaticamente romantico. Aveva aperto qualcosa nella sua anima. «Non so
perché non l'abbia capito fin da
subito.»
«Che cosa?»
«Ho combattuto così a lungo con questa
idea... Fin da
quando ti ho incontrato. Ho sempre tentato di non cedere, fallendo ogni
volta. Avevo paura di accettare che il mio destino
fossi
tu, e che tutto ciò che ero dipendesse da quanto avresti
voluto
accogliermi nella tua vita, e unirti alla mia.»
«Love...»
Lei scosse la testa, abbracciandolo.
«Credevo fosse una
battaglia di ragione contro cuore. Tutti i pensieri che avevo frenavano
l'unico istinto che conoscevo. Era talmente futile rimanere ancorata
alla mia confusione. Amore è chiarezza, Alex. Oggi non ho
più
domande per te, o per me. Ho solo risposte.»
Lo sentì sorridere. «Sei diventata puro
istinto?»
Oh, no. Si sollevò, per guardarlo negli occhi.
«Sono anche pensiero. Sono istinto e
pensiero. È sparito il dualismo.» E la
verità che si era rivelata a lei era
stupenda. «Sento di essere la me stessa più
elevata,
libera e felice che avrei mai potuto sperare di diventare.»
Lui assorbì quelle parole, riempiendosene fino a
traboccare. «È così che ti ho sempre
amata.»
«Anche quando ero timida?»
«Un po' lo sei ancora.»
«Quando ero reticente» si corresse.
«Avevi tanta voglia di osare. Lo sentivo.»
Ami si intenerì. «Non penso di aver fatto
per te la metà di quanto tu abbia fatto per me.»
«Che errore.»
«Perché?»
«Tutto ciò che ero e sentivo di voler
esprimere non
aveva una meta prima di te, love. Mi hai conosciuto nella mia
versione
più decente, perché solo dopo averti incontrato ho
trovato il mio significato. Ti sembra poco?»
... no.
Lo baciò e smise di fare a gara a chi aveva fatto
di più tra loro due, l'uno per l'altra.
Erano stati fortunati, graziati: erano il tutto delle vite di
entrambi. Avevano la possibilità di saperlo, e viverlo, per
anni, decenni, secoli.
Sarebbe stata una lunga, bellissima esistenza.
21/30 dicembre 1997 - Per
istinto e pensiero
- FINE
Note: Sigh. Questo è il punto a cui ho sempre
voluto portare
il personaggio di Ami. Sono commossa: questa è la ragazza
che,
come Alexander, ho sempre visto dietro quella facciata di timidezza,
reticenza e insicurezza che ho raccontato. Ami non si meritava solo la
felicità: doveva crederci prima, per viverla. Non
è
cambiata a 360°, è sempre Ami, ma senza vincoli e
limiti.
Non è più potenzialità, è
realtà.
Quando inizierò a parlare di come le andranno le
cose
nell'anno 1998 la vedrete vivere la vita che aveva voluto e
programmato, libera da paranoie. In verità quello che ne ha
ancora qualcuna è Alexander - non con riguardo a lei,
bensì a se stesso - ma avrà anche lui tempo di
evolvere e
crescere. Dopotutto si sta buttando in mille progetti e il destino - o
l'autrice :P - è crudele e non aspetta.
Saranno mesi - ehm, nove mesi - che lo metteranno a dura
prova. Il
lieto fine è così assicurato che ha persino un
nome, ma
questa... è un'altra storia ;)
Un bacio a tutti quelli che mi hanno seguito in questa seconda
avventura di Ami e Alexander, dopo 'Acqua viva'.
È stato un onore scrivere per voi, che avete avuto la
pazienza e la fedeltà di seguirmi.
Elle
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dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor Moon,
Verso l'alba e oltre...
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