Per istinto e pensiero

di ellephedre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 gennaio 1997 - Alexander si ammala ***
Capitolo 2: *** 2/3 gennaio 1997 - Vacanza in Italia/1 ***
Capitolo 3: *** 3 gennaio 1997 - Vacanza in Italia/2 ***
Capitolo 4: *** 5 gennaio 1997 - Letture ***
Capitolo 5: *** 14 febbraio 1997 - San Valentino scordato ***
Capitolo 6: *** Inizio marzo 1997 - Videogiochi ***
Capitolo 7: *** Marzo 1997 - Lasciarsi andare ***
Capitolo 8: *** Fine marzo 1997 - Troppo vino? ***
Capitolo 9: *** Inizio maggio 1997 - Mercurio ***
Capitolo 10: *** Giugno 1997 - Nuove idee a Izu ***
Capitolo 11: *** Luglio 1997 - Dubbi ***
Capitolo 12: *** Fine luglio 1997 - Fato? ***
Capitolo 13: *** Agosto 1997 - Addio? ***
Capitolo 14: *** Settembre/ottobre 1997 - Separazione e... ***
Capitolo 15: *** 3/4 novembre 1997 - A Boston, in America ***
Capitolo 16: *** Novembre/dicembre 1997 - Lontani ma vicini ***
Capitolo 17: *** 21/30 dicembre - Per istinto e pensiero ***



Capitolo 1
*** 1 gennaio 1997 - Alexander si ammala ***


alexander_malattia

Note: questa è la raccolta post Verso l'alba che dedico alla coppia Ami-Alexander. Ogni capitolo avrà un titolo semplice, che per chiarezza indicherà la data o il periodo dell'evento che sto per raccontare, e un brevissimo riassunto dell'accadimento principale

Per istinto e pensiero

di ellephedre

1 gennaio 1997 - Alexander si ammala

Cominciò alle nove del mattino, nel primo giorno del nuovo anno.

Alexander si svegliò nel proprio letto con Ami abbracciata alla sua spalla e una sensazione di malessere che avrebbe definito mal di testa se non fosse stata tanto vaga. Provò a scacciarla aspettando che passasse, poi dovette portare una mano alla tempia. Massaggiò una linea dolorante - forse un nervo, un vaso sanguigno... O un punto di incontro tra aree cerebrali?

Ami rabbrividì, un pulcino che arruffava le penne nel rivedere il giorno. Si accucciò contro di lui e sollevò pigra le palpebre. «... buongiorno.»

Inspirando Alexander si sentì meglio. «Buongiorno.»

Il sorriso di lei fu radioso e tranquillo, poi sparì nel nulla. Allarmata, Ami si sollevò sulle braccia. «Che ore sono?»

«Le nove e venti.» Forse i loro corpi si attendevano ancora un nemico da combattere, perché quando lui era stanco era capace di dormire anche fino alle undici del mattino.

Ami era preoccupata. «Mia madre voleva vederci alle dieci.»

Per quale motivo?

«Me n'ero dimenticata. Ha detto che potevo passare la notte qui se stamattina andavamo presto da lei. Per il discorso che...»

«Ah.» Per la lezione sul sesso che Saeko-san intendeva dare a lui e ad Ami.

Avrebbe quasi preferito farsi castrare. Quasi.

Lo colpì una fitta alla nuca.

«Che cos'hai?» Ami cercò di aiutarlo nel massaggio alla testa.

«Non lo so.» Ma di solito si sentiva in quel modo quando... «Forse sto prendendo un raffreddore.» Dopo l'influenza del mese precedente. Che fortuna.

Ami cominciò ad accarezzargli la fronte, scostando i capelli all'indietro. Il tocco dei suoi polpastrelli era studiato e rilassante.

«Senti male alla gola? Al petto?»

Non gli sembrava.

«In America ti sei scoperto molto?»

Non si era curato della mancanza di una sciarpa in quei frangenti, con la preoccupazione di lei che combatteva una guerra contro gli alieni e un amico con una sorella morta.

Ami comprese che il suo silenzio era frutto della stanchezza, nonché delle meravigliose dita con cui stava lenendo i suoi fastidi.

«Potremmo dire alla mamma che non ti senti bene.»

L'idea era allettante, ma posticipare avrebbe solo rimandato l'inevitabile. «No.» Per non ripensarci si tirò su, sedendosi. «Mi preparo e andiamo. Tanto vale farla finita.» Si spogliò del pigiama e cominciò a cercare dei vestiti. Ami lo guardava.

«Che cosa possiamo dirle?»

«Lasciamo parlare lei.»

«Sì, ma ad un certo punto vorrà una spiegazione precisa su come è potuto... succedere. Non si accontenterà di una scena muta. Non ammetterà imbarazzi.»

Lui lo aveva immaginato. Ami aveva ereditato la sua determinazione dalla madre, ma Saeko Mizuno era meno docile di sua figlia. Per questo, nel trattare con lei, Alexander non si era mai trattenuto nell'esprimerle qualunque briciolo di ammirazione sincera provasse nei suoi confronti, mostrandosi in qualunque momento come il bravo ragazzo che - per natura - era.

Si era conquistato la benevolenza di Saeko-san, ma poteva averla persa tutta per un'incomprensione che non aveva speranza di chiarire.

Non sarebbe stato più sufficiente sorridere e scusarsi. «Vorrà che ci prendiamo le nostre responsabilità. Le dirò che... non mi sono ritratto in tempo.»

Ami arrossì. «No. Per lei non usare protezioni è il massimo dell'idiozia.»

«Non è quello che le hai detto?»

«Sono stata vaga.»

Meglio. «Allora diremo che... ci eravamo preoccupati per non aver capito come usare il preservativo. Dopo aver finito bisogna ritrarsi tenendolo alla base con le dita, altrimenti si rischia la fuoriuscita di-»

«Okay» lo fermò lei, a disagio.

Alexander si divertì. A quanto pareva, durante quella conversazione Ami sarebbe stata la prima a vergognarsi.

«È una spiegazione valida» le fece notare. «Non le sembreremo nemmeno degli incoscienti. Penserà che tu ti sia preoccupata troppo, ma non si stupirà. Sei meticolosa.»

Parlarne di nuovo lo aiutò a mettere in prospettiva il loro comportamento dell'ultimo mese. Erano stati davvero folli. Lo spavento che ne era conseguito e l'essersi preparati a tutti gli effetti a diventare genitori forse li redimeva. Lui ed Ami si erano dimostrati adulti, nessuno dei due si era tirato indietro.

Ami sospirò, tormentata. «Allora è questa la nostra versione?»

«Se ti sembra che tua madre sia sospettosa, aggiungi che è successo più volte. E che almeno una volta hai proprio sentito che era uscito-»

Lei fece una smorfia. «Non voglio dare tutta la colpa a te.»

«Dille che mi hai trattenuto tu. Trovavi così bello stare abbracciati stretti stretti, dopo.»

Ami lo fulminò con gli occhi. «Ti stai divertendo.»

Cercava solo di vedere il lato comico della tragedia. «Non possiamo sfuggirle, tanto vale riderci sopra. E poi non è forse vero, Ami love?» Si chinò su di lei e strofinò il naso contro il suo. «Tu adori stare stretta stretta a me, dopo.»

Lei cercò di abbassare la testa, ma lui la inseguì fino a trovare un bacio sulla guancia. La fece ridere.

Ami lo guardò, più serena. «Ti senti meglio?»

In piedi, lui valutò il proprio stato. La sensazione vaga di fastidio non era ancora sparita. «Magari basta non pensarci.» Almeno, lo sperava.

Lei non insistette, un segno che - per muta promessa - lo avrebbe tenuto d'occhio finché non fosse stata convinta al cento per cento della sua buona salute.

Lui non l'aveva ancora sperimentata in versione infermiera. Da una malattia poteva aspettarsi quel vantaggio. L'ultima volta aveva tenuto Ami lontano perché gli esami di ammissione alla Todai erano stati alle porte e lei non si era potuta permettere di stare male.

«Se finisco K.O.» le disse, «mi curerai con tanto amore?»

«Con pastiglie e impacchi freddi» sorrise Ami. Avvicinandosi, lo baciò su una spalla. «E con tanto amore. Ora mi vesto e andiamo.»

 

«... perciò è così che sono andate le cose.»

Al termine della spiegazione il silenzio a tavola si protrasse per lunghi secondi. Saeko Mizuno continuava a studiare le loro parole come se tentasse di ricostruire la scena nella propria mente.

Era come trovarsi al centro del suo tavolo operatorio, le interiora strette nelle sue mani ansiose di dissezionare la carne.

«Perché non avete letto bene le istruzioni sulla scatola?»

Alexander non ebbe il tempo di rispondere.

«Mamma... puoi immaginare la ragione.»

Saeko-san non disse che era da lui che voleva una risposta, si limitò a guardarlo.

«È stata colpa mia» la accontentò Alexander. «Erano le prime volte e io ero... impaziente. Confuso.» Non era una bugia.

«Le prime volte?»

La domanda era chiara. «Abbiamo cominciato solo di recente.»

Ami si fece udire mentre prendeva aria, accumulando pazienza. «No, mamma. Io non ti chiedo delle tue abitudini sessuali.»

Alexander boccheggiò come un pesce: non avrebbe mai immaginato Ami che parlava in quel modo a sua madre.

Ma lei non era sorpresa. «Hai ragione. Cercavo di capire se mi stavate mentendo.»

«Non abbiamo motivo di mentire. Siamo qui a parlarne con te.»

«Eppure siete riusciti a omettere la verità per settimane.»

Alexander si intromise. «Solo perché prima dovevamo essere sicuri che ci fossero state conseguenze.» Non si pentì di non aver lasciato parlare Ami: la signora si era di nuovo attesa di sentire lui, non sua figlia. «Per quanto lei avesse diritto di sapere, Saeko-san... Era una faccenda che riguardava innanzitutto me ed Ami. Dovevamo essere prima noi a gestirla.»

«Sei solo un ragazzo, Alexander.»

Nella sua testa l'accusa ebbe la voce dura di suo padre. «So quanti anni ho. So che cosa ho fatto.» Smise di stringere i denti, perché la tensione peggiorava la pressione sulle tempie, che avevano ricominciato a pulsare.

Lasciò che la rabbia si trasformasse in decisione. «Non sono un bambino. Ho la possibilità di dare un tetto a una mia famiglia, se voglio.» Vendendo la faccia, ma il mezzo non aveva importanza. «Non ci sarebbe mancato niente. A parte la questione del denaro, per me non era sbagliato che fosse successo con Ami. Col passare dei giorni non ero più pentito, ero più sicuro.» Perché poi doveva spiegazioni a una donna che aveva commesso lo stesso errore per cui lo biasimava, senza nemmeno tentare di costruire qualcosa col padre di sua figlia? Saeko Mizuno si era arresa subito, per questo Ami non aveva mai avuto una vera famiglia.

Si massaggiò la fronte.

Maledetto raffreddore, stava arrivando. Si sentiva sempre più debole e, quando era debilitato, era collerico.

Ami gli tenne stretto il polso, un tocco pensato per dargli conforto. «Alexander non sta molto bene. Per oggi basta, per favore. Ti avevo già detto che stavamo gestendo la situazione. Io ero spaventata, ma le cose stavano... funzionando. Avevamo trovato una nostra strada.»

Non vi furono reazioni immediate e Alexander non ne cercò con gli occhi. Passato qualche momento, udì il suono di una sedia che strisciava sul pavimento. Dei passi si avvicinarono a lui.

«Va' a prendermi lo stetoscopio, Ami.»

Dopo una breve esitazione, Ami andò. Saeko-san prese il posto che aveva occupato sua figlia, spostando la sedia per mettersi di fronte a lui.

Alexander non sollevò lo sguardo, lo tenne fermo sulla ginocchia. I pensieri che aveva avuto sulla signora lo fecero sentire in colpa.

Saeko-san non approfittò del momento di solitudine per parlargli. Un attimo prima che Ami arrivasse, si limitò a un unico segnale: mise una mano sulla sua, stringendola, poi lo lasciò andare con una piccola pacca sulla dita.

Ami rientrò nella stanza. «Ecco lo stetoscopio.»

«Grazie. Togliti la felpa, Alexander. Sentiamo se ti stai per beccare l'ultima influenza.» 

Contro il parere medico della sua futura suocera, quel pomeriggio Alexander visitò il tempio Hikawa con Ami. Saeko-san non aveva trovato niente di anomalo in lui, si era limitata a fargli ingerire una pillola contro il mal di testa e un intruglio vitaminico.

«Ma se tu riconosci i segnali che il tuo corpo ti dà quando sta per cedere... Riposa.»

Si erano trovati sulla strada di casa sua quando la medicina aveva cominciato ad avere effetto sul mal di testa.

«È il primo dell'anno» aveva detto ad Ami. «Andiamo a festeggiare.» Voleva anche andare a trovare Nanny Shoko quella sera; si rifiutava di stare male.

Ami alla fine aveva ceduto. Si era ritrovata con le sue amiche il giorno precedente, ma aveva ancora voglia di vederle.

Era giusto che festeggiassero e continuassero ad esser felici della loro vittoria, insieme. Lui sospettava anche che Ami volesse saperne di più su Usagi Tsukino e il suo nuovo anello di fidanzamento. Tra discorsi di guerra, alieni e misteriose entità sovrannaturali, il giorno precedente non c'era stato tempo per le ragazze di spettegolare sulla proposta. Lui immaginava che Mamoru l'avesse buttata giù in modo semplice.

'Usagi. Siamo quasi morti, stiamo insieme da quattro anni. Ecco l'anello, sposiamoci.'

Chiba gli sembrava proprio un tipo così concreto.

D'altronde, erano sempre le donne a ingigantire la portata di un evento che avrebbe dovuto essere il più semplice e genuino possibile.

Quando fosse toccato a lui chiederlo ad Ami... No, non ci voleva pensare.

Era stato costretto a considerare l'idea qualche settimana prima e si era sentito a disagio: gli piacevano l'ordine e la chiarezza, li aveva sempre voluti nel suo rapporto con Ami. Farle una proposta di matrimonio dopo aver scoperto che lei era incinta era una situazione che straripava di possibili malintesi per il futuro.

Ami un giorno avrebbe potuto rinfacciarglielo, o semplicemente convincersi che in altre circostanze lui avrebbe scelto di non impegnarsi con lei in quel modo.

Nemmeno a lui sarebbe piaciuto: associare l'idea di costrizione, di fretta, a una decisione che avrebbe dovuto essere presa nella più totale libertà...

Dove sarebbe finito il romanticismo? Come avrebbe fatto capire ad Ami che nel momento in cui le avesse chiesto di stare con lui per tutti i giorni della loro esistenza, ci sarebbero stati solo loro due nella sua mente, e nessun altro? Come avrebbe potuto dimenticare davvero quel qualcun altro, se l'idea del suo arrivo fosse stata tanto presente tra di loro, a renderli al contempo ansiosi e più uniti che in passato, diversi?

Meglio che non fosse successo, già.

... Ma poteva capitare di nuovo.

Forse uno di quei giorni Ami ci avrebbe ripensato e avrebbe deciso che voleva un bambino subito. Era stato lui a dirle che poteva cambiare idea in qualunque momento, ma... era stato avventato?

Nei mesi a venire aveva già tante cose da fare, proprio in previsione del futuro che progettavano insieme. Doveva trovarsi una casa nuova, mettersi a lavorare per mantenersi, finire la tesi di laurea prima di non avere più pomeriggi liberi, cominciare a risparmiare a fondo perché comunque poi aveva... quanto tempo? Poco più di due anni, se i suoi calcoli erano esatti.

Se aspettavano oltre, lui ed Ami non avrebbero mai avuto un bambino loro, una specie di pupazzo piccolo come Arimi Yamato, che profumava di buono.

Il problema era che lui aveva preso in braccio quella bambina e si era sentito incompetente, totalmente impreparato. Se avesse potuto sarebbe scappato a gambe levate, ancora di più quando l'aveva sentita strillare e si era scoperto incapace di aiutarla. Le aveva dato un bacio sulla testa - perché lei gli aveva fatto tenerezza, una reazione umana - ma aveva scalpitato nell'attesa che Shun tornasse a prenderla.

Si sarebbe comportato così anche con Ami? Le avrebbe scaricato il bambino appena avesse potuto?

Oppure, sarebbe stato diverso se si fosse trattato di un figlio suo?

Non voleva ancora scoprirlo.

Voleva solo riprendere ad andare all'università, uscire con Ami la sera, pensare ai prossimi esami e... vivere la loro vita di prima. Almeno per qualche altra settimana.

«Sei distratto.»

Nel retro della stanza adibita alla vendita dei talismani, assaltata da clienti, passò a Yuichiro Kumada una nuova scatola di talismani portafortuna. «È il tuo lavoro, non il mio.»

«Non dicevo per questo. Comunque, Mamoru sta già lavorando per tre.»

Mamoru Chiba si era offerto di aiutare Kumada al negozio, in sostituzione di Rei Hino che era andata a prendersi una pausa. Chiba aveva indossato una tunica templare e si era messo tranquillo dietro lo stand, a chiedere ai clienti in fila cosa desiderassero quel giorno. Augurava a tutti buon anno nuovo e sorrideva cortese, quasi irriconoscibile.

Alexander lo osservò. «Non ho ancora perso la testa fino a quel punto.»

Kumada si caricò in braccio altri due scatoloni chiusi. «Non devi farlo.»

«Non posso ridere a comando.»

Ma lo stava facendo Kumada, comprensivo. «Infatti ti ho messo nelle retrovie.»

E anche lì, si rese conto Alexander, stava causando dei problemi.

Dannazione, aveva ricominciato a sentirsi poco bene. Gli facevano male le spalle e la schiena. Tenere la testa dritta era uno sforzo.

Prima di tornare dai clienti, Kumada si girò. «Hai un'aria strana. Vai a fare un giro per il bosco, c'è meno caos.»

Alexander seguì il consiglio e uscì dal gazebo scansando la folla, cercando pace nel profondo del boschetto che circondava il santuario. Camminò senza meta e finì nell'angolo più nascosto del luogo, dove trovò... Gen Masashi. Lui era seduto sul parapetto in pietra che delimitava l'area.

Alexander provò a deviare per evitare l'incontro, ma Masashi lo notò. Allontanarsi non fu più un'opzione.

Avvicinandosi, Alexander concretizzò la vista di quello che Masashi teneva tra le dita della mano destra.

«Fumi.» Espresse abbastanza disgusto in due sole sillabe.

«Si muore di freddo.»

«Hanno inventato la lana. E le bibite calde.»

«Non ti ho offerto di farti un tiro, Golden Boy. Tieni per te i tuoi giudizi.»

Alexander aprì la bocca per rispondere, ma la sua testa non formulò una sola battuta intelligente.

Si adeguò al silenzio e, scostandosi di lato, si limitò a rimanere lontano dal fumo della sigaretta.

Guardando l'orizzonte provò a concentrarsi sulla calma del cielo, ma il suo cervello martellava incessante contro la calotta cranica.

... avrebbe preso un'altra pillola. Le medicine non gli piacevano, ma il dolore alla testa era l'unica cosa che non poteva sopportare.

Udì un fruscìo. Masashi aveva spento la sigaretta schiacciandola contro il muretto. Fu rispettoso: non abbandonò il mozzicone sul posto, tirò fuori un fazzoletto dalla tasca interna della giacca e avvolse il rifiuto là dentro, stringendo forte. Espirò con un ultimo lungo soffio. «Sai se Makoto ha mai fumato?»

«Compra verdure biologiche.» Gli sembrò sufficiente come spiegazione.

«Già.»

Alexander lo studiò. «Stai pensando di smettere?»

«Non è mai stata un'abitudine. Era solo qualcosa che facevo ogni tanto.»

Non indagò. Ma Masashi aveva qualcosa da dire ed era strano sentirsi il ricevente di una confessione da parte sua.

Era la giornata a essere strana? Il primo giorno dell'anno, di un nuovo anno e di una nuova vita che diventava reale nella sua stranezza, ora che sapevano tutta la verità.

«È il primo dell'anno» confermò Masashi. Mettendosi in piedi, osservò il pugno che stringeva il mozzicone spento. «Questa era l'ultima sigaretta che fumavo.»

«Un proposito?»

«No, uno stato di fatto. Stavo pensando che non sono più single.»

Se ne accorgeva in quel momento?

«Mi sono reso conto che non voglio più essere single.» Masashi aggrottò la fronte e scosse la testa, guardando il mozzicone come se fosse la sua libertà perduta, una cosa che aveva già lasciato andare e che non rimpiangeva, ma a cui era ancora difficile credere.

C'era una domanda inespressa nell'aria.

Ti sei sentito così anche tu?

Alexander rispose. «Io non ho i tuoi blocchi emotivi.»

«Dovevo immaginarlo. Come una ragazzina, vivi felice l'idea della favola eterna.»

«Con più palle di te, senza lamentarmi.»

Fu la cosa sbagliata da dire. Con un grugnito Masashi si voltò e cominciò ad andare via.

Alexander si pentì. «Ehi.»

Masashi si fermò, solo per quel bisogno che avevano entrambi di trovare una stabilità in una situazione assurda, in cui di giusto tutti e due avevano solo una ragazza.

Nell'intero pianeta erano stati solo in tre a sperimentare quella condizione e ora che Yuichiro Kumada si era rivelato diverso, erano rimasti in due. Si dovevano qualcosa a vicenda.

«La tua vita non è un vizio che devi abbandonare. Non ti sembrerà così in futuro.»

Masashi rifletté sulle sue parole. Annuì. «Ci si vede, Golden Boy.»

Alexander rimase solo nel boschetto, a massaggiarsi la tempia.

 

La sera, dopo un'altra pastiglia, andò a letto alle sei, un orario indegno per qualunque adulto che non fosse malato.

In pigiama, si sentiva uno straccio.

Ami era sdraiata accanto a lui, vestita e preoccupata. Continuava a passargli la mano sulla fronte, cercando di scorgere segni di febbre.

«Non ti lascio solo, okay? Rimango qui.»

Ad Alexander piaceva vederla mentre si prendeva cura di lui, almeno quando non c'erano di mezzo alieni assassini pronti a uccidere entrambi. Così materna lei era ancora più dolce.

«In questi giorni ti è successo di tutto...» stava dicendo Ami.

«L'ho sopportato.»

Lei sorrise piano. «Non hai mangiato bene, hai visitato posti con umidità molto differenti nel giro di poche ore... Ti sei indebolito.»

«Continua ad accarezzarmi la testa e passerà.»

La pillola stava ricominciando a fare il suo effetto, portandosi dietro una scia di stanchezza.

Gli venne sonno.

Ami lo baciò sulla fronte. «Riposa.»

Lui le ubbidì.

 


 

Occhi aperti, accecati.

Giorno, in un luogo da incubo. Arco d'India, posto di morte, Ami al centro del piazzale.

Correre da lei, urlare.

Esplosione nucleare.

 

Colpo al cuore, di nuovo sveglio.

In casa sua, in camera. Notte fuori dalle finestre.

Buio senza luce, pericolo. Capelli azzurri, aliena.

Scappare, sparire!

C'era energia?

Sì, dentro di lui.

Assassino, mani di morte e crac al collo per lei.

Fallimento, pugni e dolore alla faccia.

Gettato fuori dalla finestra.

Cadere nel vuoto, non fermarsi. Perduto!

Gridare, gola rotta.

 

Di nuovo luce, vivo.

Sveglio, dentro una bolla. In trappola.

Ami catturata, alieno la porta via.

No nooo!

Dimenarsi, distruggersi le mani.

Tirare la moquette, prendere il comunicatore!

Aliena con occhi grigi, ride.

Ti odio.

Arriva qualcuno, un Re.

Petto squartato, agonia.

Poi lasciato solo con morte, sentire che giunge.

Non importa. Uccide l'impotenza, la debolezza.

Ami lontana, loro bambino muore.

Sangue sulle lenzuola, no noo!

 

Soffocare, occhi di nuovo aperti.

Bambino vivo, in braccio. Piccolo, si rompe.

No! Stringerlo piano, attento.

Bambino piange, piange. Non smette!

Orecchie fanno male, tutto fa male.

A casa, indietro, via! Senza bambino!

Lo prende Ami. Se ne va.

Delusione, amore finito.

Lasciato solo.

 


Si svegliò in un inferno di calore, le ossa doloranti e lo stomaco che saliva di prepotenza al petto. Scostò le coperte e si gettò su un fianco, per vomitare tutto quello che aveva sul pavimento.

Fuck!

Con un braccio cercò di issarsi sul comodino, ancora più lontano dal materasso, mentre dalla bocca gli colavano saliva e cibo dissolto, tanto maleodoranti da causargli altri conati.

Qualcuno lo stava massaggiando sulla schiena.

«Va tutto bene, sono qui!»

Cazzo, era Ami.

Lei lo stava vedendo vomitare, e lui non riusciva a smettere!

Provò a tenere su la testa, uno sforzo mastodontico. Tutti i suoi muscoli ardevano.

Si buttò sulla schiena e si coprì la bocca sporca con una manica del pigiama.

Ami saltò via dal materasso. «Torno subito!»

Alexander tremò da capo a piedi. Provava un freddo cane, ma il suo corpo era caldo come lava.

Si rannicchiò, provò a coprirsi. Aveva la schiena rigida come un palo e il sapore sulla lingua era orribile. La sua testa pulsava come se stesse per scoppiare.

What the hell? Non era mai stato tanto male.

«Ecco.»

Sulle labbra ebbe un panno bagnato. Sentì le braccia di Ami attorno al collo, che gli sollevavano la nuca.

«Questa è acqua, bevi un pochino.» Lei gli mise sulla bocca un bicchiere. «Vuoi sputare? Qui c'è il panno.»

Senza alternative, lo fece.

Lei cominciò ad allontanarsi e lui si aggrappò al suo braccio.

«Va tutto bene.» Ami cominciò a slacciargli i bottoni del pigiama. «Vuoi che prima ti cambi? Lo faccio.»

«Ami...»

«Shh. Hai la febbre molto alta. Ti ho dato una medicina, ma ora si trova sul pavimento.»

God, tremava anche lei. Era nervosa e preoccupata.

«Che diavolo...?» Come aveva fatto lui a ridursi così?

Si tenne la testa con una mano mentre Ami gli toglieva l'altro braccio dalla manica sporca.

Tutto il suo pigiama era madido di sudore.

«Resisti. Pulisco il pavimento, poi vado a chiamare Mamoru. Ti curerà lui.»

«Cosa...?» Le tempie stavano per esplodergli, tremava sempre di più. «No, per favore...»

«Sì, invece. Vedrai che guarirai subito.»

«Dammi un'altra medicina...» Dio, perché aveva tanto male agli occhi? «Spegni la luce!»

Ami si mise davanti alla lampada. «Devo chiamare Mamoru, adesso.» Si chinò su di lui fino ad abbracciarlo con tutto il corpo. Lo baciò forte sulla fronte.

Alexander rantolò. «Resta...»

«No. Ti metto un altro pigiama e vado.»

... lei stava piangendo?

«Ami...»

La sentì singhiozzare. «Riesci a tirare su la testa? Così, ecco il pigiama nuovo.»

Una felpa gli coprì tutta la faccia, poi finì arrotolata attorno al suo collo. «Cosa c'è...? Ami...»

Lei era metodica e svelta: gli stava infilando a forza un braccio piegato dentro una manica. «Ho quasi fatto. Ora mi trasformo e vado da Mamoru. Torno subito!»

«No, cosa...?»

Ami era già scesa dal letto. «Rimani sdraiato!»

Lui si girò dalla parte in cui non poteva colpirlo la luce.

Si sentiva una carcassa senza forze. Faticava a pensare.

Udì dei suoni, di Ami che si muoveva per la stanza. Lei aveva preso qualcosa, forse un lenzuolo. Lo gettò sul pavimento.

I suoi passi sparirono nel corridoio.

No, torna qui.

Ma Ami non si rifece viva.

«Mercury Crystal Power...»

Lei si stava trasformando. Per andare da Chiba, per trasportarsi col pensiero...

Dio, la testa! Gliela stavano schiacciando dall'interno, faceva male!

Nel silenzio assoluto della casa si permise un lamento patetico.

Non c'era più nessuno con lui. Era solo con quella tortura senza senso.

Che malattia aveva preso? Perché stava così male?

Provò inutilmente a rilassare la fronte, boccheggiando.

Udì il proprio respiro che usciva veloce e rauco, come quello di un animale morente.

Cercò di eclissarsi sotto le coperte.

«È lì.»

Ami. E dei passi, che non erano di lei.

«Okay, ora vediamo.»

Chiba.

God, no no! Non poteva farsi vedere da qualcun altro in quello stato!

Chiba tirò via le coperte, a forza. «Tranquillo. Concentrati sulla mia mano.»

Il tocco delle sue dita fu come ghiaccio sulla pelle. Alexander cercò di allontanarsene, ma venne tenuto fermo.

Ami era nella stanza da qualche parte, lontana dal letto. «Puoi fare qualcosa? Altrimenti dobbiamo portarlo in ospedale

«Devo concentrarmi.»

Lei si zittì e Alexander riuscì ad aprire gli occhi. Nella penombra della stanza vide Ami china sul pavimento, la schiena che si sollevava e scendeva. Lei stava pulendo quello che lui aveva rimesso. «Ami, no...»

Lei alzò la testa, il diadema di Mercurio sulla fronte. «Shh.» Aveva gli occhi umidi mentre lo guardava.

«Non piangere...»

Lei non disse niente e osservò Mamoru. Lui gli teneva una mano sulla testa. Alexander non ebbe il tempo per prepararsi, fu trafitto alle tempie da una lancia, poi...

Sollievo.

La pressione sparì dal suo cranio e in un istante lui si riappropriò di tutti i propri sensi.

«Ami.» Quasi senza sforzo, si spostò sul materasso.

Estatica, lei si arrampicò sul letto. «Stai meglio?»

«Sì. Che cosa...?»

Chiba gli aveva lasciato la testa, ma ora gli stringeva il polso. «Non agitarti. Devo finire.»

Alexander guardò Ami, in cerca di risposte.

«Forse avevi... un'infezione.»

Eh?

«Dimmi i sintomi.» Era stato Chiba a parlare, ma non si era rivolto a lui.

«Aveva la febbre da due ore, ma era bassa.» Ami era ancora in apprensione. «Non gli ho dato qualcosa perché aveva preso un'altra medicina e non sapevo se... La temperatura è salita all'improvviso, fino a trentanove gradi. A quel punto gli ho fatto inghiottire un antipiretico e ho abbassato la febbre con impacchi freddi. Sembrava che gli stesse passando... sudava. Ma nel giro di dieci minuti il computer mi ha segnalato che aveva toccato i quaranta. Lui si copriva gli occhi, il suo collo era diventato rigido... È in quel momento che ho pensato a...» Deglutì. «Si è svegliato quasi subito e ha vomitato tutto. Mi ha confermato a voce che non sopportava la luce.»

«Allora...» rifletté Chiba. «Sì. Può essere.»

Tra lui ed Ami ci fu uno scambio silenzioso, da cui lo lasciarono fuori.

«Può essere, cosa?» chiese Alexander.

Chiba lo fissava. «Oggi sei stato al tempio, in mezzo alla gente. Ma tu... stavi sul retro. Sono stato a contatto con molte più persone di te.»

Parlavano di un contagio.

Pensieroso, Chiba scosse la testa. «Potresti averla presa da chiunque. Anche diversi giorni fa.»

«Che cosa

Chiba guardò Ami.

Fu lei a rispondere. «Un'infezione al cervello. Procede molto rapidamente quando si attiva.»

Cioè... meningite? Era impossibile. «È rara.» Con tutte le cose assurde che gli erano capitate in quell'ultimo periodo, era statisticamente fuori dal mondo che si fosse beccato anche una malattia come quella.

Chiba non lo escludeva. «Terrò d'occhio gli ospedali. Per caso sei stato a contatto con qualche bambino di recente?»

No, che c'entravano i bambi-...? Capì e si allarmò. «La nipote di Shun!»

Ami sussultò. «Calma. La bambina avrebbe manifestato i sintomi prima di te. Se fosse stata male, Yamato avrebbe avvisato chiunque avesse avuto a che fare con lei.»

Sempre che Shun non fosse stato troppo devastato dalle conseguenze della malattia per fare qualcosa. «Passami il telefono.» Non era tranquillo.

Ami si alzò. «Lo chiamo io, tu resta con Mamoru.» Prese il cordless dall'alloggiamento e uscì in corridoio.

Chiba gli strinse un'ultima volta il polso, poi la sua mano smise di bruciargli sulla pelle.

Poiché non lo lasciava andare, Alexander si voltò. «Non stavo per morire.»

«Ora non lo sapremo mai.» Chiba si allontanò e scese dal letto. «Ho infuso il mio potere in ogni parte del tuo corpo. Non può essere rimasto segno di ciò che ti ha causato quei sintomi.»

Era un bene che lui non avesse più in sé una sola molecola di quella roba, ma ignorare cosa gli era successo era destabilizzante. Fino a poco prima si era sentito come se qualcosa lo stesse mangiando vivo dall'interno. «Grazie per aver risolto.»

Chiba scosse la testa e prese la strada della porta. Scansò coi piedi la massa di lenzuola gettata a terra.

Alexander digrignò i denti. «Shit.»

«Non è stata colpa tua. Buonanotte.»

Il pavimento era un disastro. «Buonanotte.»

Ami rientrò nella stanza. «La bambina sta bene, Yamato dice che non ha mai avuto la febbre. Gli ho detto che tu eri a letto con qualcosa di contagioso, ma non ho voluto allarmarlo, perciò gli ho raccontato che non sapevamo ancora che cosa avevi.»

Era quello il problema.

Come leggendogli nel pensiero, Ami annuì. «Ci chiamerà lui nei prossimi giorni, per sapere di te. Ora che lo abbiamo avvertito, sa che deve stare attento.»

Questo lo faceva stare più tranquillo.

Chiba si era fermato sulla soglia e guardava Ami. «Se parliamo di contagio... Tu sei una persona a rischio, Ami. Sei stata a stretto contatto con lui in queste ore, proprio mentre manifestava i sintomi.»

Invece di allarmarsi, Ami si mise a riflettere. «Se io cominciassi a stare male, potremmo verificare che cosa ha avuto Alex.»

«Ami

Chiba gli venne in aiuto, mostrandosi più perplesso di lui. «Ha importanza? L'ho guarito, non dovrebbe ripresentarsi.»

«È stato a contatto con altre persone. Mia madre, per esempio.»

Chiba aggrottò la fronte. «Controllala, e se pensi che sia il caso, agirò su di lei. Nel frattempo è inutile che non agisca su di te. Potresti persino essere contagiosa durante l'incubazione, sempre che si tratti di quello che pensiamo.» Vedendo che l'aveva convinta, Chiba le indicò il salotto con un cenno. «Andiamo. Riportami a casa.»

In silenzio, Alexander gli fu grato una seconda volta. Coprendosi il naso per evitare l'odore che aleggiava nell'aria, uscì dalla stanza e si diresse in bagno. Sciacquò la bocca con acqua e colluttorio e si guardò intorno. Gli servivano disinfettante e strofinacci.

Provò a captare rumori in lontananza, ma non ne sentì alcuno. Ami si era già teletrasportata con Chiba.

Recuperò un secchio dallo stanzino delle pulizie e cominciò a riempirlo d'acqua.

... possibile che si fosse davvero beccato un'infezione al cervello? 

Se non avesse avuto accanto persone con poteri, sarebbe morto nel giro di poche ore.

Represse il brivido e tornò in camera sua, a mettersi all'opera sul pavimento.

Dopo un paio di minuti, mentre era in bagno, udì un fruscio in salotto. Passò una seconda volta il getto della doccia sulle lenzuola che aveva gettato nella vasca, cercando di pulirle più in fretta.

Ami apparve alle sue spalle. Aveva perso la trasformazione ed era inquieta, immobile.

«Sto bene» le disse lui.

«Lo so.» Lei prese in mano una confezione di detersivo. «Fai la lavatrice stasera?»

«Sì, solo il programma rapido.»

«Non è tanto tardi. Sono solo le nove.»

Forse, ma lei gli sembrava stanca come se non avesse dormito da una notte intera. «È stata una buona idea quella di chiamare Chiba.»

«Avrei dovuto pensarci prima. Se era davvero meningite batterica, arriva un momento in cui insorgono danni cerebrali permanenti. È capitato a un mio compagno di classe, alle elementari. Per questo ho sospettato che anche tu... Lui è guarito, ma il suo udito non è mai più stato quello di prima. Nonostante questo, è stato fortunato.»

C'era qualcosa che Alexander non capiva della reazione di lei. «Perché ti incolpi? Cos'altro avresti potuto fare per me?»

«Avrei dovuto rivolgermi a Mamoru prima. Ma non volevo disturbarlo per una febbre.»

«Infatti.»

Ami si adirò. «Avrei potuto chiamare mia madre, per chiederle se potevo mischiare l'antipiretico con l'altra medicina.»

«Non era al lavoro questa sera?»

«Sì, ma se ti avessi dato qualcosa contro la febbre, avrei attenuato un po' i sintomi e forse evitato che-»

«Che succedesse qualcosa che non è successo? Non ho danni, Ami.» Non sapeva nemmeno lui perché stava discutendo con lei, ma quando la vide inspirare profondamente, si ruppe. «Sto bene, love.»

Ami lo abbracciò con tutta la propria forza. «Sembra... Sembra che non abbia mai fine. Pensavo di poter stare tranquilla ora che c'è pace, ma...»

«È stato un caso. Possiamo stare tranquilli.»

Lei annuì contro il suo petto. Si staccò piano, ricomponendosi e stringendogli la mano.

«Mamoru ti ha passato la sua energia?» le domandò Alexander.

«Sì. Per precauzione.»

«Ha fatto bene.» Cercò di mandar via il senso di oppressione e provò a sorridere. «La mia stanza è inutilizzabile stanotte.» Per l'odore, nonché per le lenzuola ancora umide di sudore che nessuna magia aveva asciugato e pulito. «Dovrebbero esserci ancora le coperte nel letto dei miei genitori. Se non trovo un'altra stanza, ci sistemiamo lì.»

«Sì. A mia madre dirò che stanotte sei stato male. Se fa delle domande, ma non mi importa.»

Lo aveva immaginato. «Sorry per quello che hai visto. Non è stato il lato migliore di me.»

«Non scherzare.»

Ne aveva bisogno. «È passata, Ami.»

Lei sollevò gli occhi. Lo guardò, poi fece quel mezzo sorriso mogio di quando si rassegnava a qualcosa di inevitabile. «Vado a controllare le stanze del piano inferiore.» Se ne andò, senza lasciargli il tempo di domandare altro.

 

«Mia madre ha lasciato un messaggio in segreteria.»

Con quelle parole attirò l'attenzione di Ami.

«Per augurarmi buon anno nuovo» le disse Alexander. «Ha detto che domani verrà una squadra di operai per montare la nuova scala tra i due piani.»

«Andrò via presto allora.»

Non era per questo che lui l'aveva informata. Era stato solo un tentativo di fare conversazione. «Sei ancora spaventata?»

«... Sì.»

«Stanotte dormiremo abbracciati, hm?» Cercò di guardarla negli occhi, ma nell'osservarlo lei diventò ancora più esitante.

«Mentre avevi la febbre... Hai avuto degli incubi.»

Ah sì? Non lo ricordava. «Deliri. Con quella temperatura...»

Ami non fu completamente d'accordo. «Mormoravi qualcosa. Forse stavi sognando quello che ci è capitato coi nemici, ma...»

Lui rimase ad attendere una conclusione. «Ma?»

Ami terminò di lisciare l'angolo delle coperte sul proprio lato e passò a sistemare i cuscini sul letto che avevano scelto, in una camera per gli ospiti. «Hai parlato di un bambino.»

Alexander sentì il cuore in gola. «Sì?»

«Sì.»

Capì dal tono di lei che non vi aveva associato parole piacevoli. «Avevo la febbre.»

«Lo so.»

«Certo, ma non mi sei ancora stata vicina mentre sto male. Voglio dire... Prendi oggi: ero irritato e di cattivo umore. Non gestisco bene le situazioni complicate quando sono malato.» Forse si stava affossando da solo, perché Ami si era impietosita.

Non poté accettarlo. «I sogni non sono lo specchio della verità. Tirano fuori le sensazioni più istintive, è vero, ma le acuiscono. Le peggiorano.»

Ami si sedette sul bordo del letto, la mano che non smetteva di sistemare la superficie della trapunta. «Anche io ero spaventata per il bambino. Va bene esserlo o... essere sollevati che non ci sia.»

Lui le aveva fatto dei discorsi nelle ultime settimane, fino alla fine di quella loro vicenda. Aveva detto e provato cose che non erano false. «La bambina di Yamato.»

Ami si voltò a guardarlo.

«Me l'ha fatta tenere in braccio. Lei piangeva così disperatamente... Non ero capace di calmarla. Soffriva e io non riuscivo a fare niente. Non capivo. Non avevo tempo di prendere un libro e informarmi, ma il fatto è che... Non penso che avrei trovato la risposta giusta da nessuna parte. Shun ha detto che piangono così, finché non gli dai quello che vogliono. Non mi è piaciuto sentirmi impotente.»

Ami era rimasta in silenzio.

«Questa è la sensazione che hai sentito nel mio sogno, qualunque cosa io abbia detto. Non ho mentito su quello che provavo quando pensavamo ancora che ci sarebbe stato un bambino nostro. È diventata un'idea più concreta ora che ho visto un neonato da vicino. Non è un compito facile crescerne uno, ma lo sapevo già.» In teoria. La pratica lo aveva messo davanti ai problemi della realtà, ma ora che stava di nuovo bene - ora che era di nuovo in forze - era pronto ad affrontarla, se necessario.

Non si era mai detto che sarebbe stato un compito semplice, e anche se lui non fosse sempre stato in buona salute, avrebbe inghiottito il caratteraccio con una dose di digestivo industriale e se la sarebbe fatta passare. Con un loro bambino sarebbe stato diverso.

«Non ti avrei lasciato se me lo avessi detto.»

Attonito, guardò Ami.

«Nel sogno ti lamentavi per essere rimasto solo, dopo che io avevo capito cosa pensavi della situazione.» Sospirò, addolorata. «Non devi essere sempre gentile o accomodante. Non devi sempre farti forza da solo. Se qualcosa è difficile, puoi dirmelo. Non ti amerò di meno se non ti comporti in maniera perfetta.»

... ma era difficile, pensò lui. «Non stavo cercando di assecondarti. Era importante anche per me.»

«Va bene. Però...» Ami sorrise piano. «Mi piacerebbe conoscere anche i lati peggiori del tuo carattere. Non cambierà quello che provo per te. Sarà solo... un buon esercizio per entrambi. Mi farò conoscere meglio anche io, così, quando litigheremo, non ci sembrerà di avere a che fare con qualcuno che non conosciamo.»

Era una cosa saggia. «Quindi da adesso in poi... ci alleneremo a litigare?»

Ami era felice. «Se capita. Procediamo passo per passo, ora che siamo solo noi due. Senza fretta, okay?»

Certo. Però lei lo capiva così bene che su quelle basi non c'era molto spunto per discutere di qualcosa.

Ami abbandonò le pantofole sul pavimento e si infilò sotto le coperte. Spense la luce sul soffitto. Rimasero solo con il lume della lampada. «Nello spirito dell'esercizio... Quando sono in ansia, non mi piace che usi la logica contro di me. Non serve a calmarmi.»

Okay, l'avrebbe presa alla lettera. «Quando sei in ansia, mi metti in ansia. Uso la logica per calmare me stesso. Con te funzionano altri mezzi.»

«Altri mezzi?»

Si infilò anche lui sotto le coperte. «Sì. Abbracci, baci...»

Ami riuscì a non sorridere e strinse gli occhi. «A volte, quando sono seria, usi il senso dell'umorismo per depistarmi. Sa un po' di presa in giro.»

«Ora stai mentendo. Per te sa soprattutto di imbarazzo, no?»

«A prescindere, tu evadi comunque il discorso.»

«Significa che non sono d'accordo sulla tempistica, non che ho intenzione di saltarlo.»

Si sporse a spegnere l'ultima luce. Tra loro vi fu il buio.

«Quindi torneremo a parlare di come reagiamo quando discutiamo?» domandò Ami.

«Sì.»

«Quando?»

«Non ne ho idea. Quando ne avremo voglia.»

«Era questo che intendevo. Lasciati a noi stessi, tendiamo ad andare d'accordo per abitudine.»

«Che reato.»

«Alex...»

«Sul serio, Ami.» Si divertì troppo per non ridere. «Ci serve andare d'accordo. Così potremo discutere meglio.»

Neppure lei riuscì ad obiettare a quella logica.

«Questa sera ho solo voglia di fare questo.» Lui si spostò dal suo lato del letto e la abbracciò forte, inspirando l'odore dei suoi capelli, il profumo della sua pelle. La baciò dietro l'orecchio e continuò in una scia, lungo il collo. Giunto alla clavicola, mise più attenzione nel bacio.

Lei non stava rispondendo. «Sei impazzito?»

Eh? Si staccò.

Ami sorrideva, incredula. «Non questa notte. No.» Fu lei a stringerlo, affondando con la faccia nella sua spalla. «Questa notte ce ne staremo tranquilli, e io ti ascolterò dormire. Ne ho bisogno. Ero immensamente spaventata.» Inspirò contro il suo petto. «Temevo di averti fatto del male.»

Lui cambiò umore. «Certo che no.»

«Pensavo di nuovo di perderti.»

«Mi dispiace.» Per il fatto di averla fatta sentire il quel modo, e per non avere idea di come fosse potuto accadere.

Sapeva solo che adesso stava bene, forse meglio di quanto fosse mai stato in passato. Dopo essere stato moribondo e oppresso dal dolore, si sentiva... in equilibrio. Rigenerato.

Lo doveva a Mamoru Chiba.

Ami gli accarezzò la schiena. «A volte, ti amo così tanto che ho solo voglia di... bearmi di te. Di averti con me, di sentirti.»

Con parole come quelle, o solo esistendo, lei lo faceva sentire in una maniera indescrivibile.

Ami si ritrasse un poco. «Invece, tu a volte mi ami così tanto che... non hai voglia di stare solamente abbracciati, no? Anche se te lo chiedo io.»

... c'era una risposta giusta a quella domanda? O era un quesito a trabocchetto?

«Era questo che intendevo dire» sorrise Ami. «Non devi pensare a come rispondere, basta che dici la verità.»

«Be', ma queste sono le mie strategie. Hanno una loro utilità, vedi? Ti divertono.»

Ridendo piano, lei lo abbracciò. «Ma questa notte possiamo restare così?»

«Sì.»

«... anche se non vuoi?»

«Mi fraintendi. Io lo voglio sempre. Solo a che a volte di mezzo mi va anche qualcos'altro.»

Non ebbe bisogno di vederla sorridere, seppe che lei lo stava facendo contro il suo collo e le sistemò meglio il braccio sotto la testa.

«Buonanotte» le disse. «Domattina mi troverai ancora qui. Sano e in forma.»

Ami strofinò la guancia contro il suo petto. «Buonanotte. Tu mi troverai qui qualunque cosa tu faccia. Qualunque cosa tu dica. Finché vorrai.»

«Forever, then?»

«Sì.»

«... Ho una lamentela.»

«Hm?»

«Mi scioglierò nella melassa se divento ancora più sappy mentre sono con te. Sono troppo sdolcinato, devi fermarmi.»

Risero abbracciandosi, quasi togliendosi il respiro.

Nella calma terminarono le risate, i pensieri.

Giunse il sonno.

  

FINE - 1 gennaio 1997

 


NdA: C'è un motivo dietro la 'malattia' di Alexander. Cioè il fatto che non è una malattia. Lo fanno intuire un poco i suoi sogni, in cui in particolare ricorda cose che non avrebbe dovuto avere ancora in testa, in quanto cancellate dalla sua mente da Euthasia. Ma alla fine, da sveglio, Alexander in effetti non ricorda nulla. Altrimenti forse avrebbe capito che gli è successo un po' quello che è successo a Yuichiro durante gli ultimi capitoli di Verso l'alba, poco dopo aver liberato la sua energia. Nel caso di Alexander la cosa è stata più violenta perché non ha avuto nessuno a curarlo subito. Poteva morire? Sì. Perché non è ancora pronto a subire questo passaggio. Forse non lo sarebbe stato mai, ma la vicinanza continua con Ami, che per via dell'ykeòs ha posato su di lui il suo potere - che lo racchiude - di fatto continua a chiamare l'energia che dorme dentro di lui, chiedendole di uscire. Sarebbe meglio che non lo facesse, ma entrambi sono inconsapevoli in merito. E lo resteranno per un bel po' di tempo.

Fa tutto parte dei miei deliri :)

 

Grazie di aver letto!

 

ellephedre

 

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Capitolo 2
*** 2/3 gennaio 1997 - Vacanza in Italia/1 ***


per istinto e pensiero 2     

 

P.S - ho modificato leggermente il capitolo, perché nella precedente versione avevo completamente sbagliato il fuso orario tra Italia e Giappone - confondendo +9 per -9. Mi sono sentita molto scema perché era tutto sballato nei tempi del racconto, ma almeno sono riuscita a sistemare. Grazie ad Alessia per avermelo fatto notare :)

 

 

Per istinto e pensiero

di ellephedre

 

2/3 gennaio 1997 - Vacanza in Italia/1

   

«Non pensiamo di tornare prima del weekend.»

Alexander annuì. Stava parlando al telefono con Nanny Shoko e capiva sia lei che la sua famiglia. A Tokyo, solo due giorni addietro, si erano verificati eventi pericolosi che avevano coinvolto l'intera area urbana. Era normale volerne stare lontani. «Fai bene a rimanere dai tuoi genitori» disse alla sua nanny. «Ci vediamo la prossima settimana.»

«Però Alex... Non mi piace l'idea che tu stia a Tokyo. Perché con Ami non andate a fare una bella vacanza? State via almeno fino a domenica. Per allora si sarà capito se le acque si sono calmate in città.»

Lui sorrise dell'analogia. Aveva la certezza che le acque fossero calme: accanto a sé aveva la signora di quell'elemento, pronta a proteggere lui e l'intera Tokyo assieme alle sue compagne. «Ne parlerò ad Ami. Dovremo ugualmente aspettare domani per muoverci: oggi gli operai sono qui a riparare le scale.»

«Giusto.» Shoko rifletté. «C'è una soluzione. In questi giorni dovrebbe esserci Mitachi-san alla reception.»

«Il portiere del palazzo?»

«Sì, controlla. Puoi dargli una mancia e chiedergli di supervisionare lo stato dei lavori durante la giornata. Gli operai possono lasciare a lui le chiavi di casa quando avranno finito.»

Era una possibilità. «Non sapevo che ci facesse questi favori.»

«Da sempre, è una persona fidata. Tua madre gli chiedeva una mano quando io non c'ero.»

Certo. Sua madre aveva un modo tutto suo di corrompere la gente, con sorrisi e piccoli regali. «Okay. Ti voglio bene, Nanny Shoko. Ci sentiamo.» Sul punto di riattaccare, sentì un sospiro all'altro capo della linea. Rimase in ascolto. «Cosa?»

«Oh, tesoro. È così bello sentire che cresci ma dentro rimani sempre il mio Ale-chan.»

«Ehm...»

«Lo so, ormai ci vuole un pericolo di morte per tirarti fuori queste dichiarazioni d'affetto. Lascia che mi commuova lo stesso.»

Ma lui non era così freddo. «Non te l'ho detto altre volte?»

«'Ti voglio bene' mi mancava da un po'.»

Ah, sì? «Lo penso sempre.»

«Oh, no no! Se esageri ora mi metto a piangere! Torna da Ami-san, sicuramente è la sua influenza a farti bene. Ciao!»

«Ciao» la salutò lui, incerto.

Premette il tasto di fine chiamata sul cordless e tornò verso la cucina, vicino ai rumori degli operai che lavoravano nell'ala principale del piano. Durante la colazione, con Ami erano riusciti a stento a sentirsi l'un l'altro.

«Tutto bene?» chiese lei ad alta voce, vedendolo rientrare.

In salotto stavano distruggendo le piastrelle col martello. Gli operai erano andati anche al piano inferiore, a controllare se vi fossero stati cedimenti nel soffitto causati dal crollo delle scale al loro livello.

Alexander si chinò verso Ami, per farsi sentire. «Nanny Shoko non è a Tokyo!»

Lei annuì, facendo girare un cucchiaio in una tazza colma di cereali.

«Ho un'idea per dopo!» la informò lui, sedendosi per terminare di mangiare.

Finirono di fare colazione col chiasso dei lavori di ristrutturazioni nelle orecchie.

  

Al piano di sopra, Ami valutò il da farsi. «Non possiamo andare a casa mia questa mattina. Mia madre sta riposando.»

«Sta male?» domandò lui. Il giorno precedente avevano parlato della necessità di verificare anche la salute di Saeko Mizuno, nel caso lei avesse contratto l'infezione che lo aveva colpito.

«Mamma sta bene, ha detto solo di essere stanca.»

C'era da fidarsi? Ami gli aveva raccontato che sua madre faceva turni lunghi fino a quarantotto ore quando il dovere chiamava. Mizuno-san non era una persona che badava al proprio benessere ed era capace di sottovalutare i primi segnali di una malattia, nonostante fosse un medico.

Ami intuì i suoi pensieri. «Ho controllato stamattina.»

Lui si sorprese. «Quando?»

«Mentre dormivi. Mi sono teletrasportata e ho fatto credere a mia madre di aver passato la notte a casa. Le ho detto che eri stato molto male e che forse potevi averla contagiata, ma lei non si è preoccupata di se stessa; piuttosto mi ha chiesto come stavi tu. Poi è andata a riposare e io l'ho studiata a distanza col computer. La sua temperatura corporea era nella norma.»

Gli mancarono le parole: Ami era un'efficientissima spia.

«Cosa c'è?» domandò lei, sentendosi osservata.

«Una ne pensi e dieci ne fai.»

«Mi piace avere la situazione sotto controllo.» Le passò un lampo di colpa negli occhi e Alexander seppe cosa stava pensando.

«Hai intenzione di sorvergliarmi tutto il giorno, vero?»

«Per precauzione. Non sappiamo se quello che hai avuto-»

Lui non voleva discuterne. «Nanny Shoko mi ha fatto notare che siamo in vacanza.» Non solo potevano passare insieme tutta la giornata, ma persino dedicarsi a qualunque attività venisse loro in mente. Preferibilmente, senza il rumore di voci e martelli in sottofondo.

Ami stava osservando la parete in vetro della stanza, pensierosa.

Già, pensò lui. Uscire non era una prospettiva attraente. Tokyo mostrava ancora le proprie ferite di guerra - se non negli edifici spezzati, nella testa delle persone.

Il giorno prima, per strada e al tempio, con Ami non avevano sentito altro che discorsi di alieni e guerriere Sailor.

Non era il modo migliore per allontanarsi con la testa da quelle esperienze, perciò... «Andiamocene.»

«Hm?»

«Facciamo una valigia veloce e andiamo da qualche parte. Dove vuoi tu.»

«Una gita?»

In verità il fatto che lei potesse ricorrere al teletrasporto gli aveva allargato la mente. «Grazie a te pochi giorni fa siamo stati in America. Se ti va, possiamo aprire un atlante e decidere per qualunque posto al mondo.»

Ami scoprì un universo di possibilità. «Oh.»

Esatto. Essere potenti come lei non era utile solamente per combattere. «Prendo le cartine.»

Una mano di Ami lo afferrò prima che potesse allontanarsi. «Possiamo davvero? Devo controllare la salute di mamma.»

«Per farlo puoi teletrasportarti.»

Ami si stupì di non averlo ricordato. «Così è scomodo. Però ho salvato il suo stato nel computer. Dovrei riuscire a studiarla da qualunque parte del globo.»

Fantastico. «Quel tuo aggeggio non ha limiti.»

Ami stava sprizzando gioia. «Per il viaggio dobbiamo tenere conto del fuso orario.»

Lui riuscì a spostarsi verso gli scaffali della libreria. «Questo potrebbe essere l'unico problema. Sarebbe più conveniente andare in un posto in cui è giorno.»

«Sì» sussurrò Ami, concentrata. «Se non ti dispiace, vorrei evitare i posti in cui siamo state con le altre prima di capodanno.»

Naturalmente era d'accordo. «Lo scopo è quello di dimenticare un po'.»

Lei annuì. «Allora...» Aprirono insieme il libro di cartine geografiche. Ami glielo tolse di mano e cercò la pagina che indicava i fusi orari mondiali. «È giorno in tutta questa parte del globo.» Vi passò sopra il palmo. «Inoltre, dovremo scegliere delle città per cominciare. Stiamo partendo senza preparazione e non è saggio muoversi verso luoghi privi di presenza umana senza aver prima verificato le condizioni atmosferiche e il tipo di equipaggiamento necessario a...» Si interruppe. «Oh. Potrò vedere un'aurora boreale!»

Alexander la adorava quando l'entusiasmo di lei era tale da portarla a formulare nuovi pensieri ancora prima di aver terminato di parlare. «Possiamo fare tutto quello che vuoi.»

«L'altro giorno sono stata al Polo Nord e...» Le parole le morirono in gola.

Lui le scostò i capelli dalla fronte. «Pensi davvero troppo.»

Ami si concesse un lungo sospiro. «Il mio cervello non sta mai fermo.»

Non era un difetto. «Hai solo bisogno di riempirlo con nuovi ricordi.» Prese una decisione. «Per questa volta scegliamo l'Europa.»

«Tu ci sei già stato.»

«Non dappertutto.» Era partito da solo l'estate precedente, ma aveva evitato di proposito alcuni paesi, per poterli vedere per la prima volta con lei

Guardando la cartina politica, Ami scartò mentalmente Londra e Parigi, due delle grandi capitali che erano state minacciate dalle bombe nucleari dell'alieno Zenas.

«Spagna» suggerì Alexander. «O Italia, se vuoi.»

«Italia!» ripeté con un gridolino Ami. «Roma e Venezia!»

La culla di un antico impero e la città del romanticismo europeo - entrambi posti perfetti. «Venezia» propose lui. Era sempre stato curioso di vedere tutti quei canali in mezzo a una città abitata.

Ami ci stava pensando a sua volta. «Però c'è tanta acqua. Non penso che gennaio sia il momento più bello per visitarla.»

«Vada per Roma, allora. E se vorremo, potremo comunque dare un'occhiata a Venezia. Nulla ci ferma.»

Ami quasi saltò sul letto. «Giusto!» Entrò in modalità operativa. «Dunque, sono le nove del mattino. In Italia dovrebbe essere piena notte.»

«Mezzanotte» confermò lui, dando un'occhiata alla tabella dei fusi orari presente nell'atlante.

Con Ami rifletterono per pochi secondi. 

«Aspettiamo questa sera per partire» propose lei. «Così ci prepariamo per bene e nel frattempo posso passare anche al tempio di Rei. Devo andare a trovare Ale-chan.»

«Giusto.» Colpevolmente, lui si rese conto di essersi quasi dimenticato del gattino di Ami.

«Ho bisogno di parlare con Luna e Artemis. Devo chiedere se possono tenermelo d'occhio in questi giorni. Altrimenti...»

«Certo.» Lei si era già rabbuiata al pensiero di lasciare il gattino senza supervisione. «Troveremo una soluzione, vedrai.» Anche a costo di corrompere Luna.

Iniziarono a prepararsi per uscire e una volta fuori Ami cominciò a organizzare i dettagli. «Dobbiamo andare in banca a ritirare del denaro?»

«Lascia stare il cambio di valuta: ho una carta di credito e dei traveller's cheques che ci aiuteranno con la prenotazione dell'hotel.»

«Pensi che sia il caso di dormire lì? Potremmo risparmiare molto tornando qui in Giappone.»

«Che viaggio sarebbe? Inoltre il nostro corpo avrà già abbastanza problemi a distinguere tra il giorno e la notte. Non confondiamolo troppo.» Era già successo durante i loro spostamenti da e verso Boston. Se fino a quel momento non avevano avuto problemi a dormire, era stato solo per la troppa stanchezza.

Ami fu d'accordo. «Se ricordo bene le lezioni di geografia, in Italia hanno un clima temperato non dissimile da quello di Tokyo. Forse farà un po' più caldo. Sceglierò bene i vestiti.»

«Di questo passo per stasera sarai pronta prima di me.»

Ami ne fu sicura. «Non sottovalutarmi.» 

   

Alle sei di quella sera erano pronti a partire.

Nel pomeriggio erano andati in una libreria a comprare una guida della città, per capirne bene la fisionomia e studiare il posto migliore in cui teletrasportarsi.

«Ci serve un luogo che sia relativamente isolato» disse Ami, studiando la mappa dei luoghi turistici. Le immagini le erano utili per trovare un riferimento per il loro spostamento, ma avere una cartina in mano le permetteva - grazie al minicomputer - di ampliare le loro scelte.

Alla fine dovettero affidarsi alle fotografie. «Questo sembra un fast-food.» Indicò ad Alexander l'edificio dietro un monumento. «Avranno un bagno. Possiamo teletrasportarci lì.»

«Riesci a controllare se saremo soli all'arrivo?»

«Certo. Col computer ora studio la pianta del luogo.»

Nel frattempo lui sfogliò la guida degli alberghi. Ne aveva puntati un paio, di cui uno nella zona individuata da lei.

«Ci siamo» disse Ami. Si alzò dal letto, sedendosi sulla cima della propria valigia. Prima di trasformarsi in Sailor Mercury aveva indossato cappotto e sciarpa, ma vederla in casa con la gonna corta e le gambe nude, incrociate, provocò ad Alexander un sorriso. Ami non lo notò: era comoda nei suoi stivali azzurri e alti. «È mattino dall'altra parte, perciò il posto dovrebbe essere poco affollato. Riuscirò a capire mentalmente quando i bagni saranno vuoti.»

«Hai come un radar in testa, vero?»

«Hm-mh» annuì lei. «Posso anche dirti che il bagno che ho puntato misura due metri quadrati. Staremo stretti all'arrivo. Riesci a tenere la valigia sopra la testa?»

«Nessun problema.» La sollevò sopra di sé.

Ami chiuse gli occhi, per concentrarsi. «Un attimo di pazienza.»

Alexander la lasciò alla propria analisi. Incredulo, si guardò attorno. Stava davvero per apparire in un altro continente, in un istante, senza l'ausilio di nessun aereo o macchina. Il concetto stesso di viaggio assumeva una connotazione completamente differente con tempi tanto ridotti: il mondo diventava un unico posto senza più barriere temporali a dividerli da luoghi lontani.

Ami lo afferrò per un braccio. «Ci siamo. Tieniti stretto a me.»

Lui fece attenzione a non far cadere la valigia.

Mentre sbatteva gli occhi, vide per un momento un brillio di colori chiari. Poi con Ami si ritrovarono in un posto maleodorante e chiuso. 

Lei si coprì il naso. «Okay. Usciamo prima che ci vedano.»

Alexander si spostò per farle aprire la porta, stando attento a dove metteva i piedi. L'igiene non era una priorità in quel posto.

Nell'anticamera del bagno, davanti a un grande specchio, riuscirono a respirare.

Guardando il proprio costume Sailor, Ami sussultò e sciolse la trasformazione. Un momento dopo la porta del locale si aprì, facendo passare una ragazza.

Lei spalancò gli occhi. Rise e disse qualcosa di incomprensibile. Ami si sorprese della familiarità dell'estranea, che si era rivolta a loro con un tono colloquiale e molto amichevole.

Alexander scosse la testa, sorridendo. «We don't speak Italian.»

«Ah!» proruppe la ragazza, infilandosi nello spazio tra loro e il lavabo per passare, senza aspettare nemmeno che si spostassero. «Not I, me not English!»

Ami si divertì fino a che non notò il modo in cui la ragazza si soffermava a guardare lui. Era abituata all'attenzione di altre donne, ma non a un'insistenza così sfacciata. La straniera concluse l'occhiata con un sorriso allusivo che lo fece ridere.

Appena uscì, Alexander si voltò per un commento. «Sono così diversi!»

Ami si accigliò. «Usciamo.»

L'interno del locale si rivelò un ambiente fondamentalmente differente da quello che si sarebbero aspettati da un fast-food: le luci erano tenui, le poltroncine comode, gli spazi ampi. C'era poca gente. Alexander ebbe un buon ricordo. «Questo è l'affollamento europeo, sempre.»

Ami trascinò dietro di sé la valigia, distratta. «Hm?»

«Te ne accorgerai mentre ci muoviamo. Ci sono meno persone che a Tokyo, dappertutto. In Europa si ha la sensazione di respirare in tutte le città.»

Lei osservò i propri dintorni con occhi nuovi. Acquisì energia nel passo. «Andiamo a scoprirlo.»

 

Solo uscire per strada provocò ad Ami un piccolo scombussolamento. Era tutto diverso. Gli edifici sembravano antichi, artistici, vissuti. Bassi in altezza e affascinanti per i particolari senza utilità - come le volte sopra i portoni - che sembravano inseriti solo per aumentarne la bellezza.

E le strade. Come le aveva detto Alexander, erano libere e disordinate nel passaggio delle persone. Non c'era nessuna fila in cui immettersi per camminare in una direzione. Si trovavano in una delle vie centrali di Roma, in un quartiere dedicato allo shopping, eppure la gente camminava come voleva, a volte persino entrando nella corsia riservata alle macchine.

Ami si stupì nel vedere un'auto che rallentava senza suonare il clacson. I guidatori erano apparentemente abituati a quel tipo di intromissione.

Non stava guardando davanti a sé e quasi si scontrò con un altro passante. «Sorry!»

Invece di un rimprovero le arrivarono delle scuse allegre. L'uomo proseguì per la propria strada e Alexander scrollò le spalle.

«Sono molto rilassati.»

Lei avrebbe potuto passare tutta la mattina a girare senza meta, ma prima dovevano disfarsi delle valigie. «L'albergo a cui hai pensato è qui vicino?»

«Sì. Vediamolo dal vivo e dimmi se ti va bene.»

Mentre si incamminavano, lei si godette l'atmosfera della città. Era romantica anche di giorno, proprio come aveva letto. Nulla era stato costruito pensando agli affari o all'efficienza. I negozi si incastravano in piccole vetrine che all'interno si dipanavano in spazi più ampi. La natura antica delle vie non veniva meno per quegli accenni di modernità.

Era un connubio strano, con uno stile diverso da quello a cui era abituata. Anche a Tokyo c'erano piccole strade isolate, per lo più residenziali, in cui si potevano trovare tracce viventi di passato - come i templi. Ma Roma, per quel poco che aveva visto, sembrava un museo all'aria aperta, con qualcosa di valore da vedere a ogni passo.

Scorse un edificio imponente, in lontananza. «Guarda quello!» Era un enorme colonnato di marmo distante circa un chilometro, forse un altare.

Alexander svoltò in un vicolo. «Andiamo a vederlo dopo. Siamo arrivati, che ne dici?»

Ad una prima occhiata l'hotel le piacque. «Entriamo.»

Passarono insieme attraverso un ingresso dalle dimensioni ridotte, elegante.

Ami sorrise guardando l'interno dell'albergo: il bancone in legno aveva uno stile dell'ottocento europeo, la forma delle lampade era ricercata al limite della pomposità e tutti i tappeti, per materiali e disegni, rimandavano a un mondo antico. Amò ogni particolare.

Il congierce dietro il bancone offrì loro un caloroso benvenuto. «Buongiorno!» Aveva usato l'italiano, ma si ripeté anche in inglese.

«Salve» rispose Alexander, adottando senza motivo un accento britannico. «Vorremmo una camera doppia per due notti.»

Ami arrossì, ma il concierge non pensò nulla di due giovani stranieri che viaggiavano in coppia dormendo nello stesso letto. L'unica imbarazzata era lei. 

«Buongiorno.»

Sobbalzò, voltandosi. Alle sue spalle era giunto un ragazzo in divisa da inserviente.

«Prima volta a Roma?» domandò lui in inglese, con una cadenza forte e singolare.

La domanda personale la confuse. «Sì.»

«È una bellissima città! Non è vero, signor Pitti?»

Col tono della voce il ragazzo quasi urlava.

Il concierge stava eseguendo la registrazione della camera. «È la città più bella. Possiamo fornirvi cartine, registrarvi per tour, guide turistiche... Qualunque cosa vogliate!»

«Grazie» disse Alexander, appoggiandosi sul bancone per voltarsi a osservare lei e l'inserviente.

Lui si era avvicinato di un passo, chinandosi come per farsi ascoltare meglio. «Con quello che è accaduto, sei coraggiosa a viaggiare da sola.»

Ami offrì un sorriso incerto. «Veramente...»

«Ci sono io con lei.» Alexander sorrideva con la bocca, gli occhi duri.

«Ah, pensavo-» Il ragazzo fece scorrere il dito tra loro due, come a spiegare l'errore. Non si imbarazzò e rise. «Scusate! Be', allora siete coraggiosi a viaggiare in questi giorni. Il tragitto dall'aereoporto vi ha stremato, vero? Roma è sempre nel caos, ma mai come in questo nuovo anno!»

Dietro il bancone il concierge stava annuendo. «Tanta gente cerca di tornare a casa dall'estero. Siamo stati fortunati a non essere attaccati qui in Italia.»

«Tu sei giapponese, giusto?» L'inserviente si rivolse a lei. «Voi ne sapete di più su queste ragazze, queste Sailor

Ami non si scompose. «Sono guerriere.»

«Come soldati, dici? Non è la stessa cosa se non fanno parte di un esercito. Chi glielo fa fare di combattere per noi?»

«Senso del dovere» si intromise Alexander. «Amore per l'umanità, desiderio di giustizia. Chi lo sa? Ma lo fanno da sempre.»

«Eh!» Il ragazzo italiano aprì le mani, gesticolando. «Questo è ottimismo! Ha sentito, capo?»

«Ho sentito che parli troppo, Mario.» L'uomo si sporse per passare una chiave ad Alexander. «Accompagnali nella loro stanza. È la 302.»

«Agli ordini!» L'inserviente provò a diventare professionale, poi di nascosto lanciò un occhiolino ad Ami. «Seguitemi.» Le afferrò la valigia prima che Alexander potesse prenderla.

Vedendo che lui le marciava davanti, come a distanziarla dall'estraneo, Ami si concesse un sorriso.

Si fermarono dopo mezzo giro di corridoio. «Questo è l'ascensore» spiegò il ragazzo italiano, pigiando un tasto sul muro. Iniziò a osservarli entrambi. «Ma una domanda, così... Voi avete intenzione di tornare in Giappone?»

«Certo» rispose Ami.

«Non avete paura che gli alieni ricompaiano? È cominciato tutto a Tokyo, no? Voi venite da lì?»

«Viviamo lì» confermò Alexander.

«Hm. Fossi in voi rimarrei in viaggio. Tranne che per tornare a prendere la famiglia, ovvio.»

Ami capiva il suo punto di vista, ma... «Ha senso scappare? Se gli alieni tornassero a essere una minaccia, lo sarebbero per tutto il mondo.»

«Sarà, ma nascondersi in montagna per una settimana in più di vita non mi dispiacerebbe!» La risata del ragazzo conteneva una traccia di paura.

Ami si impietosì. «Quell'alieno ha detto che non voleva farci del male. Comunque non c'è più, no? Io credo che adesso Sailor Moon lo abbia fatto sparire.»

«Serenity?»

Quel nome nella bocca di una persona comune la scombussolò ancora una volta.

L'inserviente li invitò a entrare nell'ascensore appena arrivato. «Io non mi fido di lei. Quella donna secondo me vuole sottometterci. Con tutti quei poteri... Inoltre non viene dalla Luna? Tutte quelle Sailor hanno nomi di pianeti. Per me è un'aliena come quelli che ci hanno attaccato.»

Era un'accusa a cui Ami dovette rispondere. «Cos'è 'alieno'? In questi giorni abbiamo scoperto che gli alieni possono essere come noi. Sono esseri umani, perciò abbiamo la possibilità di capirli.» Deglutì. Si sentiva disonesta a parlare di sé in terza persona. «Mi preoccuperò che siano pericolosi solo quando dimostreranno di volerci fare del male. Ma non penso che succederà.»

Dopo averla ascoltata, il ragazzo italiano rimuginò e fece per dire qualcosa. Si zittì prima di pronunciare parola.

«Hai un'opinione?» lo incalzò Alexander, appoggiato contro la parete della cabina. La sua non era una sfida, solo un invito a parlare.

«Mia madre mi ha insegnato a non essere maleducato.» Il ragazzo rise forte del suo stesso scherzo.

Ami non la accettò come risposta. «Mi interessa sapere la verità.»

«Ma no, perché?»

Era semplice. «Una persona può moderare ciò che dice per educazione, ma questo non significa che non abbia il pensiero che non sta esprimendo. È importante sapere per capire.»

Il ragazzo non la comprese, ma scrollò le spalle. «Non dite che non ve l'avevo detto. Ecco... da quello che ho visto, voi giapponesi siete un popolo strano. Vi inchinate, accettate, obbedite. Seguite. È la vostra natura. Qui non abbiamo fiducia in chi ci governa. Per quanto riguarda il resto del mondo... be', la gente pretende risposte e motivazioni. Mettiamo tutto in dubbio. Se quella Serenity ha intenzione di comandarci come l'alieno, non avrà vita facile. A me non va di avere una regina.»

Rimasero in silenzio per il resto del percorso.

Arrivati al piano, la loro stanza risultò essere proprio davanti all'ascensore. Alexander prese le valigie in mano. «Grazie per la tua onestà.»

L'inserviente inspirò a fondo. «Ho esagerato? Vi ho offeso?»

«No» disse Ami guardandolo. «Mi hai aiutato a capire.» Sorrise. «Bongiorno.»

Il ragazzo rise del suo italiano. «Sei bravissima! Ma è 'buongiorno'.»

«Buongiorno» ripeté correttamente Ami.

Il ragazzo annuì e andò via con l'ascensore.

 

Per le strade di Roma, notò più tardi Ami, molta gente correva invece di camminare. Lei non sapeva se fosse uno stato naturale, ma aveva l'impressione che le persone volessero tornare presto a casa. C'erano piccole riunioni un po' dappertutto, soprattutto davanti ai 'bar' - i locali dove ci si poteva fermare per prendere un caffè. Le persone parlavano concitatamente, preoccupate, ed Ami aveva colto nei loro discorsi parole che conosceva. 'Zenas', 'Sailor'.

Quel viaggio era per metà magia e per metà pensieri. Non era possibile fuggire da quello che era accaduto.

Alexander la invitò a seguirlo prendendola per mano. «Siamo quasi arrivati.»

«Veramente?»  Si stavano dirigendo alla Fontana di Trevi. Dalle foto nella guida le sembrava che fosse una grande piazza, ma fino a quel momento si erano addentrati in vicoli sempre più stretti e tortuosi.

«È qui dietro» disse Alexander, ma anche lui nutriva dei dubbi.

Sbucarono in un'apertura tra le stradine. Ami capì che il posto era speciale perché c'era una piccola folla che fotografava l'edificio accanto a loro. Girandosi, vide il riflesso dell'acqua in un bacino di marmo. «Ah.»

Bastò avanzare per osservare la fontana in tutta la sua considerevole grandezza. Solo la piazza in cui si trovavano era minuta.

Con un sospiro Alexander guardò il cielo. «Mi sono appena ricordato: non ho portato la macchina fotografica.»

«Non importa.»

«Ma quando ci ricapiterà di... Well, right

«Infatti. Potremmo tornare qui quando vorremo. Inoltre, come avrei spiegato a mamma l'immagine di me accanto a questa fontana?»

«Facile: tenevo io la foto, a casa mia.» Alexander si chinò per sussurrarle nell'orecchio. «Ho questa idea di crearmi un album personale di tue immagini...»

Ami rise contro il suo petto. «Vieni!» Lo trascinò per una mano, salendo verso il livello superiore della piazza, per poter guardare la fontana dall'alto.

Era artistica, romantica e bellissima.

Sospirò. «Almeno non siamo i soli a godercela.»

I turisti si mettevano in posa davanti al monumento. Anche i più felici e giovani erano moderati nel loro entusiasmo.

«C'è incertezza, Ami. Man mano che i giorni passeranno, la situazione si calmerà.»

Sì. Poi, col trascorrere degli anni, tutto sarebbe diventato molto più complicato per il mondo intero.

Lei cominciava già ad avere la sensazione di vivere istanti rubati al suo vero destino. 

'Non ha senso scappare', aveva sostenuto. Non poteva valere solo per gli altri.

Alexander non aveva smesso per un attimo di osservarla. Abbassò la voce. «Dipenderà tutto dalle circostanze in cui Usagi e Mamoru prenderanno il potere.»

«Lo so.»

«Si suppone che lo faranno per salvarci da qualcosa. Questo renderà più semplice per le persone accettare la nuova situazione.»

«Non stavo pensando a questo.» Anche se era d'accordo con lui. «Valutavo la transizione a cui andremo incontro come persone. Hai sentito quel ragazzo.» O per la verità, qualunque telegiornale al mondo, che in quei giorni lei aveva evitato il più possibile, di proposito. «Faticheranno a ritenerci umani all'inizio. Saremo come divinità, o estranei. Alieni. Per qualcuno, addirittura nemici.»

Alexander annuì a malincuore.

«Le circostanze in cui nascerà il nuovo regno ci aiuteranno a capire come gestire la situazione, ma... nella pratica? Per esempio, dove andremo a vivere?»

Lui non si sorprese della domanda.

«Non potremo rimanere in case normali» continuò Ami. «Come persone comuni, diamo per scontate molte cose. Siamo anonimi, ci confondiamo tra la gente. Perciò possiamo avere un lavoro, un conto in banca, un'abitazione in cui nessuno viene a cercarci. Ma una volta che l'intero pianeta dubiterà di noi...»

«Staremo tutti insieme all'inizio.»

Era l'idea che stava avendo lei. «Non solo noi. Anche le nostre famiglie dovranno nascondersi.»

Alexander strinse le labbra.

«Finché verremo ritenuti un pericolo, potranno usare le persone che amiamo contro di noi. Il nostro potere non potrà impedirlo: il mondo è enorme e le minacce saranno molteplici e quotidiane. Ricattarci non sarà un'idea che verrà solo ai governi.» Lei stava pensando a sua madre, ma Alexander aveva più persone a cui teneva: i suoi genitori, la signora Shoko, forse il suo amico Shun Yamato.

Si sarebbe arrivati al punto da servirsi di loro semplici amicizie?

Certo, si rispose da sola. Se chi si sentiva minacciato da loro avesse pensato di non avere altra scelta...

Alexander stava riflettendo. Gli era spuntato un sorriso amaro.

«A cosa pensi?»

«Sarà la volta buona che mio padre diventa povero.»

«In che senso?» Ma le bastò fermarsi un momento a pensare per capire.

Alexander annuì in silenzio. «Un governo può confiscare qualunque tipo di bene se lo desidera. Se ci trattano alla stregua di terroristi, ci lasceranno tutti senza un soldo.»

Lei provò a immaginare una contromossa.

L'unico modo per Usagi e tutte loro di impedire misure simili era minacciare ritorsioni che non avrebbero mai messo in atto. A meno che un governo evitasse sin da principio di stuzzicarli in quel modo, per timore della loro forza. Era una possibilità, ma la paura che generavano nel prossimo non li avrebbe protetti per sempre. Nel momento in cui i governi avessero sentito messa in pericolo la propria sovranità, sarebbero ricorsi a misure estreme.

È quello che abbiamo intenzione di fare? Appropriarci della sovranità altrui?

No, le veniva da dire. Ma non aveva idea, di fatto, del motivo che avrebbe portato Usagi e Mamoru a voler diventare sovrani del pianeta. Sapeva solo che si sarebbe trattato di una ragione valida.

«Contanti» disse Alexander. «In valute diverse. E per il grosso del denaro, conti correnti in paesi che non vanno d'accordo tra loro. Sotto falso nome.»

Le venne da ridere. «Ora sì che mi sento criminale.»

Divertito, lui sospirò. «Sarà uno dei tanti modi per proteggerci. Inoltre, a meno di non voler diventare davvero dei ladri, sarà meglio accumulare capitali prima che arrivi il limite di questi tre anni di vita normale. Nessuno di noi dopo troverà un lavoro. La nostra sorte sarà lasciata al caso.»

Era un quadro pessimista, ma realistico. «Mi chiedo se Usagi creerà con la magia il castello...»

Alexander drizzò le orecchie. «Quale castello?»

«Vivevamo in un edificio di cristallo nel futuro.» Nel bel mezzo di Tokyo, dove nel presente si trovavano interi quartieri abitati da milioni di persone. «No» comprese. «È improbabile che lei lo abbia creato dal nulla. Passeranno decenni, o forse secoli, per completare la sua costruzione.» Prima che sorgesse un palazzo di tali dimensioni bisognava trovare un'altra locazione al resto della città, dopotutto.

«Ti dicevo del falso nome» le ricordò Alexander. «Magari Artemis potrà aiutarci a creare altre penne di trasformazione che nascondano i nostri tratti alla vista.»

«Come vivere in incognito?» rimuginò Ami. La prospettiva non le piaceva.

«Solo quando usciremo di casa.» L'idea deprimeva anche lui. «Forse solo per qualche tempo.»

Non era piacevole fare quei discorsi, né sentirli uscire dalla sua bocca. «Mi dispiace averti trascinato in questa storia.»

«Daremo la colpa a chi l'avrà, quando verrà il tempo.» Lo vide scuotere la testa. «Non ci stiamo godendo Roma. Andiamo a gettare una moneta nella fontana.»

«Giusto.» Lei cercò nella propria borsa. Tirò fuori degli yen. «Moneta giapponese in una fontana italiana. Doppia fortuna?»

«Perché no?»

Si avvicinarono al bacino d'acqua. Ami osservò le altre persone che esprimevano i loro desideri gettandosi una moneta alle spalle.

Alexander buttò la propria.

«Sei veloce.»

Lui le strizzò l'occhio. «Non ho nemmeno dovuto pensarci.»

Gli avrebbe chiesto cosa aveva desiderato se non avesse saputo che la tradizione imponeva di non rivelarlo. Era solo una superstizione, ma non c'era niente di male, di tanto in tanto, a credere in qualcosa di illogico e magico. Per parte sua lei aveva mille desideri, ma il più intenso e personale, in quel momento, era semplice.

Guardò Alexander e gettò nell'acqua dietro di sé una moneta da cinquecento yen.

Voglio che lui rimanga sempre in salute.

Non voleva più vederlo agonizzante, sanguinante, in pericolo, o in punto di morte. Mai più, in tutta la loro vita.

Alexander sorrise quieto. «Mi divertirò a immaginare cosa hai desiderato.»

«Come preferisci.»

«Tu non sei curiosa su di me?»

«Sei stato rapido, quindi dev'essere stato un desiderio semplice. Riesco a immaginarlo perché ti conosco.»

«Ouch, farewell to the mistery. Mi sono rivelato troppo.»

Lei si lasciò invadere da una risatina. «A proposito, perché prima l'accento inglese?»

«Hm? Ah, in hotel. Fa più... europeo.»

«Ti piace esserlo?»

«In parte lo sono. L'idea che hanno degli americani qui in Europa è che siano senza classe, rumorosi e maleducati. No, thank you. In questo senso io sono molto british

Ridendo, Ami lo prese sfacciatamente in giro.

«Ah, sì? Vedrai la differenze culturuali, love. Le hai già notate: qui si approfitteranno del tuo essere timida e remissiva.»

Indignata, lei spalancò la bocca. «Io non sono-»

«Ti guardano in faccia e pensano che tu lo sia. Glielo confermi quando sei posata, parli a voce bassa e sorridi appena. La perfetta immagine della mite giapponese.»

Ami cercò di capire se lui le stesse esprimendo solo un punto di vista altrui o anche il proprio.

Alexander sollevò un angolo della bocca, furbo. «A me piaci timida e remissiva.»

Lei non si lasciò scomporre. «Tra mille giapponesi io ho scelto uno straniero che osa e non si vergogna mai di niente. Sono sicura che qui potrei trovare molte persone simili.»

Lui mangiò la foglia e la seguì verso un negozietto di souvenir. «Questa era buona.»

«Certo. Entriamo, voglio un ricordo di questo posto.»

 

Alle una ora locale capirono che era tempo di mangiare. Per il loro bioritmo l'ora di cena era passata da un pezzo.

Ami fu deliziata di entrare in un ristorante. «Si sentono leggende sulla cucina italiana. Spero che abbiano un menù in inglese.»

Per l'occasione indossava uno dei tre vestiti carini che si era portata in valigia. Con Alexander aveva imparato a essere preparata: da quando usciva con lui mangiava fuori anche tre volte a settimana.

Nel posto in cui scelsero di cenare furono serviti da un cameriere maschio. Ami notò il modo in cui lui fissava il suo viso, ma non si stupì troppo. In Giappone nessuno osservava mai gli estranei con l'insistenza tipica degli italiani. Dopo poche ore in giro per strada, aveva capito che la gente la analizzava di continuo con una rapidissima occhiata, facendo una radiografia di ciò che indossava da capo a piedi, valutando ogni elemento, l'insieme e il suo viso, con incredibile sfacciataggine. Aveva iniziato a comprendere perché nessun italiano fosse vestito male, almeno per i suoi standard.

Il cameriere tornò a prendere le loro ordinazioni. Annotò quella di Alexander con efficienza, riportando disinteressato le voci su un taccuino.

Aiutandosi coi sottotitoli del menù, scritti in un inglese incerto, Ami terminò di scegliere. Alzando la testa ritrovò su di sé lo sguardo intenso del giovane cameriere dai capelli ondulati.

«Yes, signorina?» le domandò lui allegro. Nonostante la presenza di Alexander, stava apertamente flirtando con lei.

«Ehm... Fusilli allo pom- with tomatoes» terminò Ami in inglese.

«Ma certo, certo!» Il cameriere si chinò, toccando il suo menù. «'Pomodoro fresco', si dice. Con 'prezzemolo'» provò a insegnarle.

Lei aumentò la distanza tra loro con un sorriso e Alexander bussò sul tavolo con le nocche. «Va bene così.»

«Ma come, niente dolce? A dessert, no?»

«Ah... Tiramii... sù?» tentò Ami.

«Ottimo, ottimo!»

«Anche per me» sorrise letale Alexander.

Il cameriere non gli badò e andò via soddisfatto.

Alexander chiuse il menù. «Quello si scorda la mancia.»

Divertendosi, Ami si versò da bere nel bicchiere. «È così anche nel resto d'Europa?»

Lui ci pensò su. «In Francia, forse. Fuori da Parigi soprattutto, dove sono meno altezzosi. A Londra sono pronti a offrirti un one-night-stand dopo dieci minuti di buona conversazione.»

Lei quasi si strozzò con l'acqua.

Alexander scattò ad aiutarla. «Non volevo dire che-»

Ami gli allontanò la mano. «Cosa ti hanno offerto?» Una notte di sesso con un'estranea?!

«Ah... Non a me, a Yamato.»

Lei gli sondò l'anima con un'occhiata. Capì a cosa credere.

«Ami...»

Voltò la testa, indignata.

«Sai che non è successo niente!»

«Ma io non ho bisogno di sapere cosa poteva succedere.» Come gli era venuto in mente di raccontarglielo?

«Ti ho confuso per... Di solito faccio questi discorsi con Yamato, tra amici.»

«Quindi ora so di cosa parlate.»

Alexander evitò di scavarsi una fossa più profonda e rimase in silenzio.

Il cameriere tornò al loro tavolo. «Del pane! Fresco e profumato!»

Mise la vaschetta tra loro ed Ami gli offrì un caloroso sorriso. «Grazie!»

«Di niente!» Il ragazzo si illuminò. «Se ha bisogno di qualunque cosa, chiami!» Se ne andò al cenno di un altro tavolo.

«Questo è crudele» commentò Alexander.

«È una cosa innocua» dichiarò Ami. Lo guardò di nuovo negli occhi ed espresse ciò che la disturbava. «Non mi piace essere gelosa.»

«Non esserlo.»

«Non darmi motivo per pensare a te con altre ragazze.»

«Non lo farò. Ma se ti capiterà di pensarci, non arrabbiarti e studia ciò che è successo nella realtà.» Annuì. «Niente, Ami. Non è successo niente quando ero libero di fare quello che volevo, in passato, figurarsi ora.»

«Vuol dire che adesso non sei libero di fare come credi?»

Accettò il rimprovero silenzioso di lui. La sua era stata una provocazione.

«Adesso ho preso un impegno dopo aver trovato la persona che volevo. Sto facendo tutto quello che voglio.»

Sedata, Ami guardò a lungo il proprio bicchiere. «La gelosia mi rende immatura» disse infine.

«A me piace sapere che ci tieni. Non mi piace saperti triste.»

Lei si azzardò a offrirgli un sorriso. «Scusa.»

«Scusa tu. E... prendilo come un complimento. A volte sono così candido con te che non connetto bocca e cervello.»

Lei rise piano. Aprì la guida della città e gliela mostrò. «Pensavo che per andare con ordine potremmo percorrere tutto questo viale. La guida indica che sopra di noi c'è una piazza famosa, a metà ci sono i palazzi del governo e in fondo - qui in basso - il monumento che abbiamo visto da lontano. Siamo vicini anche a una grande scalinata che si chiama Piazza di Spagna.» Non vedeva l'ora di visitarla.

«Nelle foto sembrava più bella di notte.»

Lei rifletté. «Potremmo andarci stasera.» Anche se già per metà pomeriggio sarebbero crollati dal sonno. 

Alexander scrollò le spalle. «Abbiamo tempo. Camminiamo finché non siamo stanchi, poi ci facciamo una dormita. Altrimenti non resisteremo.»

Lei lo trovò un buon piano. Tornò a rimirare le immagini della scalinata. «Voglio sapere qual è la vista dalla cima.»

«Io mi sto pentendo di nuovo di non aver portato la Polaroid.»

«Ci sono le cartoline.»

«Non ci sei tu nelle cartoline. Io sono un po' come quegli artisti perduti senza una musa. Quando la trovo, non penso ad altro.»

Lei arrossì dietro la guida. «Smettila.»

«Ti vergogni troppo. Sto solo ribadendo che mi piace la tua immagine.»

«È una cosa nuova.»

«No, è vecchia in realtà. Ma tu ti imbarazzavi se ti guardavo troppo intensamente in pubblico; era fuori discussione chiederti una fotografia da sola.»

Ami respirò a grandi boccate. «Mi vergogno anche ora.» Resisteva giusto perché nessuno intorno a loro capiva di cosa stavano parlando.

«Sei senza speranze. Per toglierti questi imbarazzi non so cosa dovrò farti quando saremo soli...»

Lei spalancò gli occhi e lo fissò.

Alexander sfoderava una calma innocente, come se non avesse appena pronunciato in un ristorante, ad alta voce, parole tante scioccanti.

Ami seppellì l'imbarazzo nella bocca dello stomaco. «Foto, dici?»

Lui annuì lentamente, sospettoso.

«Prima te ne fai fare qualcuna tu. Quelle che ho di noi, scattate dalle ragazze, sono pessime. Non guardi l'obiettivo, hai il sorriso tirato e quasi sempre fai una faccia strana.»

Alexander guardò sofferente il soffitto. «Vuoi una foto mia?»

«Più di una. Se tu vuoi le mie.»

«Hm.»

Divertita, lei sentì la vittoria in pugno.

«Hm» ribadì lui, cercando di non farsi uscire una smorfia. «È una sfida.»

«I vostri piatti!»

Ringraziando di sfuggita il cameriere, Ami iniziò a mangiare. 

 

«Abbiamo fatto bene a venire di notte.» Sulla cima della scalinata che avevano percorso, in un posto chiamato Trinità dei Monti, Alexander osservò il cielo. In quel due di gennaio, alle undici di sera, il freddo era intenso anche in un paese dal clima mite come l'Italia.

Senza volerlo, lui ed Ami avevano dormito per cinque ore filate quel pomeriggio, perdendosi parecchio del giorno. 

Alexander la strinse al petto, per riscaldarla. «È un bel luogo.»

«Mi piacciono l'atmosfera e la luci» commentò lei sognante. «Sembra davvero di vivere in un antico passato.»

Era bello sentirla serena.

Ami si voltò tra le sue braccia. «Sono contenta di essere qui con te.»

Lui si abbassò a respirare il profumo dei suoi capelli. La ricordò in una piazza più grande, lontana, che lottava da sola con la morte, appena tre giorni prima. La strinse più forte. «Sì.»

«Ehi. Non pensare a cose brutte.»

Aveva ragione lei. «Pensiamo a cose nuove, allora. Come a quello che potremmo fare in questa piazza, da stranieri ingenui quali siamo.»

«Hm?»

«Se ti sembra un posto da favola, rendiamo vera la favola.» Dalla tasca interna del cappotto tirò fuori il lettore minidisc. Dipanò il filo delle cuffie e gliele porse. «Brano tre.»

Ami era felice. «Cosa vuoi fare?»

«Do ascolto al mio lato americano.» Le strizzò l'occhio. «Facciamo una piccola follia da film.» Accese la musica nelle orecchie di lei.

Aveva registrato la ballata dopo averla ascoltata alla radio con Ami, mentre studiavano. Lei, sempre tanto silenziosa, aveva mormorato la melodia muovendo a tempo la testa mentre leggeva un libro. Lui ricordava ancora la sua espressione.

Ami ebbe un sorriso migliore di quel giorno. «Vuoi ballare

Sì. Era inesperto, ma poteva improvvisare due passi di danza semplici. «Non ci vede nessuno.»

Lei si guardò timorosa intorno, controllando che fossero soli. Soddisfatta di non vedere gente nelle vicinanze, si mise in posizione, posandogli una mano sulla spalla. «Oh. Io e te non abbiamo mai ballato insieme.»

Se ne stava rendendo conto anche lui. «Visto quante cose abbiamo ancora da fare?»

Prima di iniziare a muoversi, Ami appoggiò le cuffie sulle spalle e gli chiese di alzare al massimo il volume. «Così anche tu senti la musica.»

Sistemati i dettagli, lui raddrizzò il torso, cercando di capire dove mettere le mani sulla schiena di lei.

«Hai mai ballato?» sorrise Ami.

Alexander digrignò i denti. «Mai con qualcun altro. Era un terreno su cui rendermi potenzialmente ridicolo, nonché un'attività per mettersi in mostra. Non ne avevo bisogno.» Divertì Ami, ma tenne a dimostrarle di cosa era capace. «Non sembra una cosa difficile.»

«Sarai bravo.»

Rinfrancato, lui tentò un passo laterale assieme a lei. Ami lo seguì con naturalezza, lasciandosi guidare anche nel movimento opposto.

La musica era come un eco sottile nell'aria.

«Tu invece hai esperienza.»

«Mi ha insegnato mamma. Era così aggraziata.»

«Lo sei anche tu.» Provò ad allontanarla piano, come aveva visto fare, ed Ami inventò da sola un passo, volteggiando con la sua mano sopra la testa.

Se solo avesse potuto fare un video di quel momento...

Lei gli tornò tra le braccia. «Stringimi un po' di più e gira...»

«Così?»

Ami annuì. «Non pensare più. Ascolta la musica.»

Alexander se ne lasciò trasportare.

Forse, pensò, Ami sarebbe stata più bella con il vestito azzurro che le aveva regalato sua madre, in mezzo a una sala ben illuminata e calda. Eppure, lui non avrebbe cambiato nulla di quella sera. Nei loro cappotti ingombranti, immersi nelle sciarpe, con la poca luce che veniva da un lampione vicino, quella era un'altra delle prime volte uniche che viveva con lei.

Dopo l'ultimo volteggiò, abbracciò Ami, senza più lasciarla andare. «Ora è meglio un lento.»

«Perché?» sorrise lei.

«È imbarazzante quanto tu sia più brava di me.»

«Stavi riuscendo bene.»

«Okay, è una scusa. Mi piace solo averti vicina.»

Senza fare altre domande, lei appoggiò la testa contro il suo petto e lo abbracciò di rimando.

   

A mezzanotte la città dormiva mentre, dentro la loro stanza d'albergo, il loro orologio biologico segnava il primo mattino. 
Non ho sonno, pensò Ami, dando un'occhiata alla tv mentre terminava di asciugare i capelli dopo la doccia. Sperò di non disturbare nessuno col rumore a quell'ora di notte.

Alexander era in bagno a lavarsi.

A pensarci bene - rimuginò lei - questo è un ottimo momento per qualche analisi.

Tirò fuori il suo minicomputer e dall'Italia controllò in Giappone la salute di sua madre. Il calcolatore non la tradì, dandole un rapido resoconto dei parametri vitali di lei.

Niente febbre, la sua mamma era in piena salute.

Nonostante l'operato di Mamoru, volle controllare anche lo stato di Alexander. Erano trascorse meno di ventiquattro ore da quando lui era stato colpito da quella sorta di infezione al cervello. La loro magia - il loro potere - poteva risolvere tutto, ma la prudenza non era mai eccessiva.

Focalizzò l'analisi del computer sui propri immediati dintorni. Chiese di concentrarsi sulla stanza accanto a quella dove si trovava e nel display apparve un'immagine stilizzata di lui che si lavava sotto il getto dell'acqua.

Sentendosi voyeur, Ami spostò l'attenzione sui dati. La temperatura corporea di Alexander era nella norma. Il display le mostrava il numero dei suoi battiti cardiaci al minuto, la misurazione della pressione sanguigna e la solita rilevazione di energia che avevano già notato da settimane. Era sempre il potere di Mercurio, una forza sovrannaturale trasmessa da lei, pensata per allungare la durata della sua vita.

La propria forza, si domandò, non avrebbe dovuto proteggerlo anche dalle malattie, come succedeva per lei?

Era un quesito da esplorare.

Per abitudine pigiò un altro tasto sotto il display. Le nuove rilevazioni, immediate, si focalizzarono sulle potenzialità di Alexander in quanto nemico.

La sorprese vedere i valori di un normale essere umano. Di solito analizzava in quel modo persone possedute da un'entità maligna, la cui pericolosità era alterata dalla loro anomala condizione.

Altezza, peso, percentuale di massa muscolare, forza fisica degli arti superiori, inferiori, complessiva... Scorse le voci.

Nessuna particolarità di attacco dimostrata. Possibilità di pericolo per Sailor Moon, 0%, per Sailor Mercury, 60%...

Si fermò nella lettura.

Cosa?

Controllò con più attenzione.

Nell'elenco erano presenti tutte le sue compagne. Per ognuna di loro la percentuale indicata era pari allo zero per cento, l'unica eccezione era lei.

Chiese un approfondimento del dato.

Il computer le mostrò un diagramma che metteva a paragone le energie sua e di Alexander. Per lunghi tratti le linee coincidevano, per poi separarsi drammaticamente in suo favore.

Sessanta per cento? si ripeté in testa.

Anche se gli aveva fornito la propria forza, il dato non aveva senso, a meno che non si riferisse alla capacità di difesa che lui aveva da lei. Ma anche così...

Iniziò a convincersene quando vide le stime che il computer faceva del danno che Alexander avrebbe ricevuto dai suoi attacchi più basici e minori. Tuttavia, ricordò, in passato si era vista rigettare addosso il riflesso di alcuni attacchi che aveva lanciato. Non ne era mai risultata immune. Perché lui apparentemente sì?

L'ykèos, basato sulla forza dell'amore, dava una marcia di protezione in più all'energia che una persona riceveva da un essere potente?

Sapendo che non avrebbe trovato nulla, provò comunque a dare un'occhiata alla pagina sulle possibilità di attacco di lui.

Alexander scelse quel momento per uscire dal bagno. Lei serrò il computer con uno schiocco.

Lui continuò ad asciugarsi la testa con un cappuccio di spugna. Aveva sentito il suono. «Usavi il computer di Mercurio?»

«Stavo controllando come sta mia madre.»

«È una cosa che hai bisogno di nascondermi?»

Non aveva una stretta necessità di tenerlo all'oscuro di quello che aveva scoperto, ma...

Lui scoprì la testa bagnata. «Stavi analizzando anche me, vero?»

«Ecco... sì.»

«Da ieri sto bene, non sono più malato. Perché ora stai arrossendo?»

Gli avrebbe detto tutto, decise, quando avesse trovato il momento giusto per completare la sua analisi. Voleva avere un'idea chiara della situazione prima di spiegargliela.

«Ehm... il computer è una macchina senza senso del pudore. Mi ha mostrato uno schema di te sotto la doccia.» Fra tutte le scuse che avrebbe potuto trovare, quella era la peggiore.

Alexander si diresse alla propria valigia. «Non sapevo di questo tuo hobby.»

Ami avvampò. «Che stai dicendo?»

Voltato e accucciato sui propri vestiti, lui sollevò le mani in aria. «Io niente. Hai fatto tutto da sola.»

Ami si coprì la faccia, cercando di non morire di vergogna. È una piccolissima bugia a fin di bene, si disse. Avrebbe chiarito il malinteso il prima possibile.

Alexander stava trattenendo malamente una risata.

«Avrei dovuto portarmi dietro un buon libro» disse lei, cambiando discorso.

«Hm?»

«In tv l'unico canale in lingua inglese è la BBC, che riporta solo notizie.» Non se ne sarebbe lamentata se avesse avuto una mezz'oretta da far passare prima di dormire. Ma avendo davanti potenzialmente tutta la notte senza chiudere occhio... «Questo è un buon albergo, ma non offre molto in termini di svago.»

«Lo svago è la città.»

«Mi riferivo al divertimento in camera.»

Lui soffocò un suono. «Well... Per quello probabilmente c'è un canale dedicato a pagamento anche in questa tv. O forse no, se pensano che in una stanza matrimoniale ci dormano per forza due persone.»

Lei analizzò il discorso mentre lui si cambiava dietro l'accappattoio.

Comprese il riferimento con diversi secondi di ritardo. «Ma-! Ma è...!»

Alexander tornò in piedi, in attesa di sentirla elaborare.

È una cosa svergognata, spudorata, alla faccia del romanticismo!

Con fare vagamente derisorio, lui annuì. «So che bisogna introdurti al concetto con lentezza. Per questo, anche se mi hai già visto nudo da capo a piedi, mi sto rivestendo con l'accappatoio addosso.»

Ami sbuffò. «Mi sembra solo giusto che ci sia l'atmosfera corretta per- per queste cose! Anche per parlarne.»

«Sì, ma se mi chiedi come si aspettano che io e te ci divertiamo insieme qua dentro...»

Lei respirò a grandi boccate, mandando via il calore alle guance. «Non pensavo al sesso!»

«Questo mi ferisce.»

Le scappò un sorriso. «È colpa tua.»

Lui era divertito. «Cerca di capire. Su questo argomento, con te, sono in perenne equilibrio tra un'estrema sensibilità e quel normale pragmatismo maschile che mi impedisce di trasformarmi in una donna. Non ti piacerei donna.» Fece una pausa. «Forse non voglio saperlo.»

Ami si fece una sana risata.

Coi pantaloni del pigiama ormai indosso, Alexander appoggiò le mani sul materasso. «Visto che sei capace di ridere di questi scherzi? Anche tu sei pragmatica su queste cose, quando vuoi.»

Naturalmente. In fondo, nella sostanza, discutevano di fenomeni biologici e meccanici. Tuttavia, su un altro piano... «Se mi imbarazzo troppo, o se se assumo un approccio troppo logico sulla questione, non divento dell'umore giusto.»

Lui sospirò. «Lo so. Per questo stasera smetto di prenderti in giro.»

Lei fece il naturale collegamento. «Quindi speri di fare sesso?»

Per un istante Alexander non disse niente. Stava piegando la bocca per non ridere. «Vedi? Sei peggio di me.» Non continuò la conversazione, scuotendo la testa e tornando a vestirsi.

Controllando che i propri capelli fossero asciutti, Ami staccò il phon dalla corrente.

Pensandoci, avevano anche il suo computer a disposizione quella notte, e di conseguenza la possibilità di studiare insieme un numero infinito di dati, formule e situazioni.

Potevano passare il tempo in quel modo, oppure... Alzò gli occhi il soffitto.

Be', dipendeva da quello che lui avrebbe voluto e da come si sarebbe comportato nei suoi confronti.

Non era semplice per lei porsi da sola in una situazione di eccitazione, specie se aveva già iniziato ad analizzare contesto e circostanze. Forse perché si bloccava da sola - per imbarazzo - su stimoli visivi e mentali.

Non succedeva quando il suo bisogno era spasmodico. Le era capitato durante i loro brevissimi periodi di astinenza, o quando aveva sentito la necessità di stare assieme ad Alexander dopo un grande pericolo, o una grande emozione. In quei casi avevano a stento parlato prima di fare l'amore; si erano capiti naturalmente, con semplici sguardi. Tuttavia, in una situazione quotidiana priva di elementi eccezionali, la situazione era tutta da costruire.

Per ora le andava bene così. In genere di suo doveva fare poco o nulla: le bastava adattarsi a quello che proponeva lui. Era Alexander a iniziare sempre un approccio, puntualmente. Chiedeva, suggeriva, le faceva venire in mente pensieri sensuali e romantici, e infine la convinceva. Era stata più o meno quella la struttura dei loro incontri sessuali fino a quel momento.

Finché funzionava...

«Il phon?» Lui allungò la mano.

Dopo averglielo passato, Ami si sdraiò sul letto. Sopra il rumore dell'asciugacapelli in bagno, provò a seguire un canale in italiano.

Non era mai tardi per imparare una nuova lingua.

    

«Hai portato il tuo computer» disse Alexander sedendosi sul letto, osservando l'astuccio di plastica azzurro che giaceva sulle coperte. «Possiamo riprendere le analisi che abbiamo interrotto sul vostro potere. O sul teletrasporto. O sulla tua condizione, se vuoi.»

Ami lo osservava, sorpresa. «Se ne hai voglia...»

Lui non lasciò trasparire alcun pensiero. «È quello che sto proponendo.» Si allungò verso i piedi del letto, sporgendosi per tirare fuori dalla valigia il quaderno e la penna che aveva portato.

Con Ami attorno non era mai il caso di stare senza. «Sarà una notte produttiva» dichiarò.

Lei abbozzò un sorriso e lui non ebbe rimpianti.

In fondo, forzava spesso la situazione. I risultati lo ripagavano - li ripagavano - ma per una sera potevano starsene tranquilli a parlare. C'era un valore in ogni partecipazione attiva ed entusiasta di Ami, fosse a una conversazione, a un ballo, o a un momento di intimità.

Lui sarebbe tornato a rimirare e a rispondere invece di incitare senza sosta. Dopo le esperienze che aveva avuto con lei, poteva rimanere calmo e non avere l'idea fissa del sesso. Per quel giorno, d'altronde, aveva stuzzicato Ami a sufficienza.

«Teletrasporto?» suggerì. 

Lei si convinse e annuì.

  

Passarono due ore a studiare la teoria dello spostamento di materia attraverso il potere. Poiché Ami riusciva a teletrasportarsi, avevano capito qual era l'equazione fondamentale dietro il processo, ma il potere di lei era la chiave che lo avviava e lo gestiva - tutti meccanismi che avrebbero meritato di essere compresi tramite formule leggibili e aperte alla comprensione.

Riempirono metà quaderno coi loro calcoli e ragionamenti, solo basi per la struttura di pensiero da cui partire verso studi più approfonditi delle singole parti del problema.

Sdraiato sul letto, Alexander portò la penna alle labbra, mordicchiandone la base. «A questo punto non mi farebbe male un'occhiata a un libro che ho in casa. Ricordo un passaggio che trattava una questione simile.» 

«Posso andare a prenderlo.»

Non se ne parlava neanche. «Siamo in vacanza.» Il suo era solo un proposito per il ritorno.

Seduta accanto a lui, Ami osservava con attenzione la penna nella sua bocca, gli occhi sottili. «Non farlo.» Gliela tolse dai denti.

«Poco igienico?»

«No. Ma non riesco a guardare come torturi questi poveri strumenti.»

Lui rise. «Tu distruggi le matite. Le temperi troppo per avere sempre una punta fina.»

«Mi piacciono graffianti.»

Già. Incisive e precise. «Domani compro un pacchetto di penne nuove. Metà per te, così saranno immacolate.»

Ami osservò la biro che teneva in mano. La rigirò tra le dita, osservando le sfaccettature del rivestimento trasparente. «Ne avremmo avuto bisogno comunque. L'inchiostro di questa è quasi finito.»

«Si è immolato alla nostra smania di conoscenza.»

Sorprendendolo, lei si sdraiò su un fianco. «Ehi.» Gli mostrò la penna. «Se questo fosse l'ultimo inchiostro che ti resta per sempre, e avessi solo un'ultima frase tua da scrivere...»

Ami poeta. Era una visione rara e genuina di lei. «Se me lo chiedi, a te è già venuta in mente una risposta.»

«Sì. 'L'amore ci eleva'.» Lo sfiorò con la base della penna sul naso. «È una cosa in cui credo per tutti, ma... scrivendola penserei a noi due.»

D'istinto lui le prese la mano. Afferrò la penna, posando la punta su un polpastrello di lei. Aveva un sentimento da esprimere, un'energia. Nella sua pochezza di mezzi si ritrovò a tracciare la forma di un cuore. Vergognandosi, impedì ad Ami di guardare: su un altro suo dito disegnò un segno di maggiore intelligenza, il simbolo dell'infinito. Con altri tre polpastelli da riempire, fu estremamente idiota e scrisse il nome di lei in caratteri occidentali. All'ultima lettera, stava ridendo.

Ami non resistette e si guardò la mano. «Cosa hai scritto?»

Lui si coprì gli occhi per non vedere la sua reazione. «Non dovevano promuovermi all'asilo!»

Udì il divertimento di lei, dolce e pienamente giustificato.

«Scusa!» scoppiò, senza riuscire a fermare le risate. «Tu te ne salti fuori con una poesia e io...!» Si afferrò lo stomaco, per fermare gli spasmi.

Ami gli prese la testa e piantò un bacio sonoro sulla sua bocca. «Mi piace!» Gli salì sopra, scossa da sussulti di felicità. «Mi piace!»    

Lui rispose al respiro allegro sul viso e accettò un altro bacio. Notò come Ami non aprì le loro labbra, ma gradì l'innocenza del trasporto di lei e la semplicità dell'abbraccio con cui si limitò ad accoglierla.

Ami tirò su la testa per guardarlo. Nei suoi occhi c'era un'attesa, quasi una domanda.

Intuendola, lui non terminò di decifrarla. La accarezzò su una guancia, toccando con un dito i capelli che le sfioravano la mascella.

Lei fece per riabbassarsi, poi attese un altro istante in cui cercò invano di incontrare i suoi occhi. Finì col decidere da sola che poteva baciarlo di nuovo.

Lui assecondò la pressione lieve del contatto. Non dovette trattenersi dall'assaggiare con la lingua: era entrato in uno stato di calma assoluta. Voleva sentire solo quello che Ami sceglieva di fargli provare.

Lei proseguì con delicatezza, senza esitazioni. Dopo lunghi momenti, racchiuse il suo labbro superiore nella bocca, succhiandolo piano. Con un sospiro lui cominciò a massaggiarle la schiena.

Lei raccolse ulteriore coraggio e cercò l'interno delle sue labbra, scivolandogli dentro con la piccola lingua ruvida, mobile.

Faticando a respirare, Alexander intensificò il bacio secondo il ritmo impostato da lei, seguendola. Provava piacere nel trattenersi da altre azioni e più le sensazioni aumentavano, più il rimanere fermo le concentrava all'interno del suo corpo.

Staccandosi di nuovo, Ami sorrise a stento nel notare che anche lui ansimava in silenzio. In qualche attimo, si confuse ancora. Voleva qualcosa, ma non si decideva a metterla in pratica.

Alexander le diede un minimo aiuto lasciando scorrere una mano sul suo fianco. Rinfrancata, lei si sdraiò di lato per essere più comoda, azzardandosi a tirarlo a sé con un braccio attorno alle spalle. Il bacio intenso che seguì fu la somma della loro unione per due minuti buoni, per lui piacevoli, per lei ragione di incertezza verso la fine.

Ami si allontanò piano, mantenendo il naso vicino al suo. «Perché non...?»

Lui sedò la traccia di tristezza sfiorandole le labbra. «Cosa?»

Lei capì ancora meno. «Tu non vuoi...?»

«Sono qui.»

Ami rifletté sulla risposta.

Impietosito, lui le lanciò una corda per uscire dal labirinto. «Tu vuoi?»

Ami respirò più forte e deglutì. «... Ti sto stringendo.»

L'ingenuità di lei lo colpì daccapo: Ami si aspettava davvero di non dover fare nient'altro per andare avanti. Lui non aveva voluto metterla alla prova, o fare alcun esperimento, però...

Rifiutò di elaborare un piano preciso. «Ti seguirò in quello che fai» le disse. Per quella sera era di quell'umore.

Lei entrò in uno stato di crisi profonda.

Non fare così. Fu sul punto di dirle che ci avrebbe pensato lui, ma smise di stringerle il braccio e si rilassò. Era colpa sua se Ami si sottovalutava: lui non le lasciava prendere l'iniziativa. Intervenendo l'avrebbe bloccata di nuovo.

Per non metterla alla prova non la guardò. Si limitò a toccarle i capelli senza secondi fini e rimase in attesa di una sua qualunque decisione.

    

Ami pensò di mettersi a ridere, sedersi e tornare a studiare. Avrebbe scelto di farlo solo per sfuggire al nervosismo. Poteva rimanere sdraiata, essere audace e tornare a baciare Alexander, ma dopo? Era fuori discussione che lei iniziasse a spogliarsi da sola, senza una spinta o una attiva insistenza di lui. Non era una ragazza così...

Così, cosa?

Frustrata, provò a esprimere una preghiera con gli occhi, ma Alexander non la stava guardando. Era calmo. Nel modo in cui si concentrava sul dito che muoveva dietro il suo orecchio, non c'era alcuno scopo o fretta. Lui non voleva spingerla a fare qualcosa: era lei ad aver creato il problema.

Già, stava facendo tutto da sola. Alexander aveva reso evidente la propria mancanza di interesse.

Lasciamo stare, allora.

Si concentrò sulle dita che che la accarezzavano, pronta a lasciarle andare.

Peccato.

Per la delusione gli chiese un ultimo bacio, prendendoselo da sola. Volle renderlo breve - una specie di saluto all'idea - ma le piacque davvero molto stargli attaccata, avere la bocca di lui che le rispondeva e stringerlo per la spalla con la mano disegnata.

Il cuore, il simbolo matematico dell'infinito e il suo nome tutti insieme erano la cosa più sciocca e dolce che avesse mai visto.

Mi piace. Approfondì per necessità il bacio. Adoro tutto.

Dosò il respiro come aveva imparato a fare, per continuare a baciare senza smettere.

Diventarono più smaniosi in pochi momenti.

Insieme? O sono solo io?

Resistette all'impulso di staccarsi di nuovo e si avvinghiò a lui con tutta la sua forza. Si preparò a venire sdraiata sulla schiena, o a sentire la bocca di Alexander che scendeva all'improvviso sul suo collo, ma in risposta ebbe solo ciò che diede, ovvero un abbraccio forte che, come il suo, trasmetteva bisogno e ardore.

È un gioco?

Aprì la bocca e lui usò la lingua sulla sua, senza risparmiarsi.

Se era un gioco, non c'era qualcosa di scorretto in ciò che le veniva chiesto.

Scivolò col palmo sulla schiena di lui, rabbrividendo nel sentire un tocco simile sul proprio corpo. Continuò la carezza per istinto e fu con quello che Alexander rispose.

Lui non la stava mettendo alla prova. Si stava solo beando delle sue azioni, come faceva lei quando era lui a stimolarla.

Ami volle comunque cambiare la situazione: si sollevò e, privandosi di qualunque pudore, levò con un unico movimento la felpa del pigiama. Non ottenne la reazione che si era aspettata - un piccolo assalto. Alexander rimase fermo a rimirarla, le dita che premevano sulla carne delle sue mani, sui suoi polsi, mentre la percorreva con gli occhi, soffermandosi sui seni che per la troppa attenzione si stavano indurendo dietro i ricami di cotone azzurro. In tutto ciò, lei rimaneva immobile a farsi guardare.

Si sentì dentro una specie di romanzo erotico. «Ehm...» Gli strinse le mani in due pugni.

A lui spuntò un sorriso lieve, devastante nel suo messaggio. E ora cosa fai?

Per non rimanere in mostra lei gli si sdraiò sopra, stringendolo forte, quasi a punirlo. Non resistette comunque dall'abbandonarsi a più baci. Il suo corpo fremeva, il battito del cuore le pulsava nelle orecchie e i suoi nervi erano accesi. L'intera condizione era divina.

«E ora...» allontanò le labbra da lui, «toglierai da solo il pigiama?»

«Guidami a farlo.»

Solo l'impazienza le impedì di protestare. Mise le mani sotto il tessuto pesante e arrotolò verso l'alto il pigiama di lui, avvampando appena Alexander non fu più in grado di vederla. Quantomeno lui la aiutò sollevando il torso dal letto, per permettere alla felpa di uscirgli da sopra la testa. Nella stanza la luce proveniva dalla lampada a muro di un piccolo corridoio e da due abat-jour posti sui comodini da una parte all'altra del letto. Ogni volta che vedeva i capelli di lui tanto biondi, Ami sapeva che l'illuminazione era eccessiva.

Saltò via dal letto. «Spengo la luce.» Andò all'ingresso della camera, togliendo il tassello della chiave dall'alloggiamento. Il meccanismo risultò inceppato: tutte le luci rimasero accese.

Forse c'era da aspettare?

Nella stanza l'illuminazione si abbassò dopo il suono di un clic.

«Facciamo manualmente» disse Alexander.

Lei rimise la chiave al proprio posto. Già, serviva un minimo di luce.

Tornò indietro dopo aver trovato l'interruttore che rendeva buio il corridoio.

Alexander aveva lasciato acceso un unico abat-jour e si era alzato a recuperare qualcosa dalla valigia. Lei notò nella sua mano un piccolo involucro quadrato, di plastica.

Si sentì... esposta. Non era lui che la innervosiva: era il fatto che fosse meno priva di controllo rispetto ad altre volte. Era meno semplice per lei giocare, buttarla sul ridere, se sapeva di doverli guidare entrambi. Se solo immaginava di poter sbagliare...

Ma non potrò fare grandi errori con te, vero?

Camminò verso il letto, salendoci sopra con le ginocchia.

Alexander la incontrò a metà strada. «Ora sei incerta?»

«Un po'.»

«Perché?»

Faticò a scegliere cosa dire.

«Non ricordi le prime volte? Anzi, la seconda volta. Di pomeriggio, nella tua camera.»

Sì. Gli era stata sopra, tentando di ripagarlo con un atto di audacia per i mesi di attesa. Non era stata molto brava e alla fine non aveva funzionato come aveva voluto, ma non le era importato. «Ricordo.»

«Come quella volta, anche prima eri bravissima. Naturale ed eccitante.»

Smettila. Ma nell'ascoltarlo l'aveva percorsa un brivido.

Alexander allungò una mano. Con un dito le sfiorò tutto lo stomaco, dall'alto verso il basso. «Mi piace quando mi tocchi.»

A lei piaceva toccarlo.

Non spense il cervello, lo usò. L'incertezza non aveva ragione di esistere per situazioni che si erano già ripetute in molte circostanze.

Piegando il braccio, slacciò il reggiseno sulla schiena. Era l'ennesima volta che si faceva vedere seminuda e ciò la aiutò a lasciar cadere le coppe dal petto, con lentezza, rimanendo dritta col torso. Stava scegliendo di essere assaporata con gli occhi.

Che ragazza svergognata. Sorrise per l'aggettivo che aveva sempre temuto di darsi. Ma non c'era vergogna nell'amore, anche quando non era una follia che annebbiava la mente.

Si sporse in avanti, ancora confusa su come si sentiva nell'aver cercato tanta attenzione. Mentre raggiungeva Alexander per sedersi sulle sue gambe, capì l'effetto che gli aveva fatto: era tanto nei suoi occhi quanto nel rigonfiamento evidente sul bassoventre.

Anche di questo so tutto. Quasi.

Evitò ogni ritrosia e, sistemandosi su di lui, abbassò le palpebre e lo baciò. Non venne stretta con forza o spostata, ma appena toccata, come stava facendo lei stessa. Forse Alexander si stava trattenendo, ma a quel punto era probabile che lo trovasse piacevole: lei non lo aveva mai visto immettersi in un percorso che non sentisse soddisfacente.

Poiché stavano continuando come prima, con lei che decideva cosa fare, intrecciò le dita con lui e le portò alla bocca, sfiorandogli le nocche con le labbra umide. Abbassandogli le mani, a palpebre serrate, aprì quei palmi grandi sul proprio petto.

Smise di respirare.

Cominciò a essere massaggiata, stuzzicata coi pollici.

Fu salvata dalla propria eccitazione - o piuttosto distratta - da una bocca leggera sulla sua.

«Hai tutto il petto rosso.»

Lo so. La situazione non si sarebbe sistemata, ma lei poteva arrossire per ragioni migliori. Nascose gli occhi contro un lato della tempia di lui e gli passò le mani sulla schiena nuda, percorrendo il suo corpo fino ad arrivare allo stomaco. Aveva visto, sapeva, ma per timidezza a malapena si era goduta ciò che toccava.

Questo, tracciò un contorno, è quel muscolo che si contrae quando lui trattiene il respiro.

Alexander lo fece in quel momento.

Lei salì con le mani. Sfrego il seno contro questo punto quando lui mi sta sopra.

Lo sentì ansimare contro la propria bocca.

Aprì gli occhi. Cercò lo choc congiunto delle iridi chiare che diventavano verdi e della sensazione delle dita con cui gli stringeva le spalle.

Qui mi tengo quando devo afferrarmi. Ho tagliato le unghie corte per non fargli male.

Ora stava morendo dalla voglia di afferrarlo più forte. Ansimando in silenzio, si spostò di lato, per spogliarsi della parte inferiore del pigiama. Alexander fece lo stesso coi propri pantaloni.

Sapendo che non sarebbe andato oltre da solo, Ami avvicinò la mano al suo ventre. Con immenso imbarazzo, gli tirò giù l'elastico dei boxer, piano. A metà strada lui ebbe pietà e terminò da solo. In due, l'unica barriera che era rimasta a separarli erano gli slip azzurri che lei ancora indossava.

Sollevandosi sulle ginocchia, Ami provò a essere sensuale nello sfilarli, facendoli scivolare lungo i fianchi.

Alexander la guardava a bocca aperta. Poi ebbe una sola reazione: si voltò verso il comodino e recuperò il preservativo.

Lei si sentì libera di essere più normale nei movimenti mentre liberava i piedi dalle mutandine.

È tutto così strano. Soprattutto la maniera in cui era straordinariamente lucida nella propria eccitazione.

Lui terminò di srotolare su di sé l'involucro protettivo di lattice.

Non riflettere, vai.

Coprì il metro che li separava, deglutendo mentre di nuovo lo scavalcava con un ginocchio. «Questa volta» tentò di sorridere, «manterrò la promessa.»

«Quale?»

«Ne so di più adesso. Provo a starti sopra.»

Quando lo aveva proposto, un mese prima, si era letteralmente gettata in un territorio sconosciuto, pronta a offrire pazzie pur di dimostrare in quel nuovo modo il proprio amore.

Di slancio circondò il collo di lui con le braccia, affondando col naso nella sua guancia. Avere i loro corpi che aderivano e le sue braccia che la stringevano la aiutò a sentirsi più sicura. Quella era sempre una situazione familiare, un mero rimbaltamento a centottanta gradi delle loro normali posizioni.

Appoggiò il bacino contro quello di Alexander e ricordò la differenza più importante. «Ehm.»

Udì una risata bassa. «Non devi fare tutto da sola fino a questo punto. Tirati un po' su.»

Manovrarono con mani e fianchi, fino a che lei non sentì la consistenza bollente della protezione sottile che li separava. «Okay.» Si abbassò lentamente su di lui.

Racchiudendolo in sé, si fermò. Le sembrò di essere più stretta - quasi spiacevolmente - e meno bagnata.

Separando le gambe, tirò indietro i fianchi e provò di nuovo.

Con qualche tentativo lo inumidì del liquido del proprio corpo e scivolare su di lui divenne più facile.

A differenza delle volte precedenti - nonché del giorno in cui aveva sperimentato quella posizione - faticò a far incontrare i loro bacini. Ad Alexander non sembrava dispiacere: con una mano lui si teneva forte al materasso, le labbra aperte.

Era bello essere tanto potente da provocargli simili sensazioni. Era bello guardarlo.

Gli passò un dito sulla bocca. «Vuoi sdraiarti?»

Senza neppure rispondere, lui andò indietro con la schiena.

«Aspetta!» Gli impedì all'ultimo momento di sbattere con la nuca contro la testata del letto.

Sorrisero.

«Va bene.» Alexander la tenne per i fianchi e scivolò sdraiato lungo il materasso, trascinandola con sé.

Anche per lei fu difficile trattenere un ansito: durante il movimento si erano incastrati più a fondo.

Si sporse in avanti, le mani ai lati della testa di lui. «Adesso sembri... più grande.»

«Questo è quello che voglio sentirmi dire.»

Corse a tappargli la bocca e lo sentì ridere contro il palmo. Divertita, scosse il capo e a occhi chiusi provò a strofinarsi contro di lui.

Non trovò subito il movimento giusto. Fu impacciata, cauta per non perdere l'incastro.

Dopo alcune prove, capì come combinare un affondo all'indietro e lo sfregamento del pube contro quello di lui. L'effetto fu ultraterreno nell'estasi che le provocò.

«Sei tu che sei diversa.» Perso, Alexander la stava baciando senza ordine sul collo. «Dev'essere la posizione.»

«Forse.» Sospirò contro la fronte di lui, la forza che le veniva meno nelle braccia. Si sdraiò col torso sopra il suo corpo. «Non ti dispiace rimanere fermo?»

«Hm?»

«Vuoi muoverti?» Si rendeva conto di non mettere in atto le manovre che di solito gli piacevano di più.

«Per quello dovrai pregarmi.»

Ah, sì? Gli strinse un ciuffo di capelli, tirando appena. 

«Quindi preferisci servirti di me a piacimento?» Alexander le fece abbassare la testa, per baciarla. Ami dondolò su di lui, l'idea di usarlo che cresceva nelle intenzioni di tutto il suo bacino.

Respirò più forte dentro la sua bocca.

«Mi togli il fiato, Ami.»

«Oh, scusa!» Cercò di smettere di schiacciarlo.

«No.» Ridendo lui la accarezzò sul petto, prendendo un suo seno nella mano. «You are beautiful. Perfect.» Sollevò i fianchi per spingerla in avanti, verso di lui, così da poter arrivare con la lingua su un suo capezzolo gonfio.

Sbilanciata, lei non smise di muovere a tempo a i fianchi. Con l'aria che la colpiva sulla schiena e le ginocchia che insistevano nell'aiutarla a scuotersi, si sentì indecente e libera. Le bastò non guardare per continuare. Non era sola: Alexander fremeva dentro di lei e con la bocca continuava a tormentarle il seno.

Riconobbe i primi segnali di tensione nel proprio corpo e si fermò per pura forza di volontà. «Alex.» Ansimando, premette verso il basso col peso, per tornare più stabile. Strinse i denti. «Ti prego

Lui aprì di scatto le palpebre.

Con le braccia piegate a racchiudergli la testa, lei si chinò a baciarlo. «Ti prego» mormorò di nuovo. «Muoviti con me.»

Si sentì abbracciare forte. «So generous» udì, ma lei non era generosa. Lo aveva chiesto per se stessa: voleva essere con lui nel culmine delle sensazioni.

Ebbe le sue mani sulla parte bassa della schiena, poi su entrambe le natiche. Sussultò.

«Tieniti.»

Alla prima spinta fece pressione sui palmi delle mani per non essere sbalzata in avanti. Alexander si stava aiutando con le gambe piegate, e persino andando contro la forza di gravità, era tutto così...

Sconvolta da come si erano ribaltati i ruoli, cominciò a opporsi per istinto, a rispondere. Lui rallentò, permettendole di comprendere il ritmo, e con una rotazione delle ànche lei trovò l'insieme della sua spinta, raccogliendola in sé sul finale.

Alexander sibilò, gettando la testa all'indietro. Ami gli alitò sul viso, gemendo in silenzio.

Stava per implodere, sciogliersi nel più assoluto dei-

Lo spasmo la colse di sorpresa. Ne venne invasa, sentì come non mai la differenza: non aveva impedimenti nel muoversi in risposta. Riuscì a seguire, ad amplificare ogni minima sensazione. Tenne la testa di lui tra le mani e lo baciò in viso tutte le volte che ne sentì il bisogno. Fu glorioso.

Alla fine, anche se Alexander contribuiva a tenerla ferma, non ebbe più le energie per opporglisi. Lui se ne accorse e provò a girarli di lato. Esausta, lei si aggrappò con le gambe ai suoi fianchi.

Quasi gioì quando sentì il materasso sulla schiena. Riposò, osservò, mentre lui si muoveva dentro di lei con lo stesso desiderio che l'aveva animata fino a pochi istanti prima.

«Ami.»

Il proprio nome nella sua voce, con quel timbro... Lo racchiuse più forte tra le gambe.

Come sofferente, lui si mosse veloce, poi si irrigidì col torso e solo il suo bacino si agitò in scatti lunghi, profondi.

Lei fotografò il momento nei ricordi.

Mi piace.

Alexander finì e lei allungò le mani per prepararsi ad accogliere il suo riposo.

Fu un premio poterlo abbracciare contro il petto.

Respirarono forte, sempre più lentamente, insieme.

Lui emise un brontolio infelice. Si sollevò, allontanandosi da lei per rimaneggiare nel punto in cui si univano. Ami capì e accettò la rapidità della separazione. Vederlo alzarsi fu un dispiacere, ma quando si ritrovò le membra libere, le stiracchiò soddisfatta, andando a rannicchiarsi su un fianco.

Se avesse dormito così, si rese conto, sarebbe morta di freddo.

A malincuore trovò l'energia per rimettersi in piedi. Cominciò a liberare le coperte dagli angoli del materasso.

Alexander la raggiunse e la aiutò, sollevandole in aria con lei. «Ecco.»

Si ripararono sotto la massa comoda del copriletto.

Lui cercò un abbraccio. «Ti prego, love

«Hm?» Le uscì uno sbadiglio.

«Un giorno dobbiamo rifarlo assolutamente.»

Come fai a pensarci adesso?

Sorridendo, si accucciò contro di lui.

Il sonno si prese il suo cervello.

  

Riaprendo gli occhi, la prima cosa che Ami notò fu la luce della lampada. Alexander era seduto accanto a lei con un quaderno sulle ginocchia. Fuori dalla finestra era ancora buio pesto.

Strofinò le palpebre.

«Ehi.» Fu un sussurro.

«Che ore sono?»

«Le quattro.»

Lei fece una smorfia e si sdraiò sulla schiena. «Tu hai dormito?»

«Un'ora abbondante. Se vuoi, torna a riposare.»

Non era così semplice, oramai era sveglia. «Non ho tanto sonno.» Liberò uno sbadiglio di pigrizia.

Lui si divertì. «Se vuoi, ti aiuto come prima con la stanchezza.»

In risposta lei nascose la testa contro il cuscino.

«Ho scoperto una cosa» lo sentì dire.

Incuriosita, lo osservò mentre lui si girava e recuperava un paio di occhiali sottili. 

«Le tue lenti da vista?»

«Per quando affatico gli occhi» annuì piano Alexander. «Me le hai viste usare prima?»

Ami mandò via gli ultimi residui di sonno. «Mentre studiavamo?»

«Già. Non ho sentito il bisogno di mettere gli occhiali, ci vedevo bene. È da un'ora che butto giù formule sotto questa piccola luce gialla, ma la mia vista è ancora ottima.»

Lei impiegò un momento a capire.

«Sono guarito.»

Sussultò. «...Mamoru?»

«Dev'essere» sorrise Alexander. «Effetto collaterale.»

Lui ne era stato influenzato al punto da avere cambiamenti fisici permanenti? E se quella non fosse stata l'unica conseguenza?

Si sporse a prendere il computer. «Alex.»

Lui la sentì grave. «Cosa?»

Lei accese il calcolatore. «È meglio se approfondiamo la questione. Inoltre, c'è una cosa di cui devo parlarti.»

Sospirando, cominciò a spiegargli. 

   

2/3 gennaio 1997 - Vacanza in Italia/1 - CONTINUA

  


 

NdA: E finalmente ho scritto anche questo capitolo :) Si conclude su una sorta di mini-cliffhanger, ma nel prossimo episodio non prevedo rivelazioni eccezionali (a meno che la mia testa non mi sorprenda :P) Questa sarà semplicemente un'altra delle questioni che imcomberanno ancora, a livello di pensiero di futuro, su questi due poveri ragazzi che stanno cercando di farsi una sana vacanza (riuscendoci con successo, a tratti ;P)

Passando ad altro...

Sono stata a Roma tre volte, quindi ho ripreso dai miei ricordi del posto. La città era più un'ambientazione che la protagonista di questa storia, perciò non stupitevi di trovarla poco (scusate, romani, per questo). Naturalmente, non ho ancora finito di menzionarla: ho già scritto altrove che la vacanza di Alexander ed Ami dura almeno quattro giorni. È possibile che in un certo momento i due si spostino a Venezia, o in altre città, ma se ciò non implicherà un'evoluzione delle loro dinamiche, eviterò di raccontare il loro puro divertimento (bisogna pur lasciare che si godano un po' di privacy :D)

Ho fatto un paio di ricerche sul modo in cui i giapponesi vedono gli stranieri, e viceversa. Da lì vengono le mie note sull'argomento in questo capitolo. Per esempio, non sono stata a Tokyo, ma leggevo in più appunti di viaggio che è un posto affollatissimo in certi quartieri e che le persone camminano in fila tra fiumane di genti che si spostano tutte nella stessa direzione. Ho pensato di creare un contrasto con una via abbastanza centrale di Roma che ho visitato (guardando ora una cartina, dovrebbe essere 'Via del Corso'). Ho visto coi miei occhi che non c'era differenza tra marciapiede e strada in molti punti :D

Come al solito, anche qui ho inserito un paio di indizi su quello che sta capitando ad Alexander e in generale su cosa potrebbe implicare un utilizzo del potere di guarigione di Mamoru.

Elaborerò :)

 

Grazie di aver letto! Ogni commento mi farà felice *_*

ellephedre

  

Gruppo Facebook dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

 

 

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Capitolo 3
*** 3 gennaio 1997 - Vacanza in Italia/2 ***


per istinto e pensiero 3

 

Per istinto e pensiero

di ellephedre

 

3 gennaio 1997 - Vacanza in Italia/2

 Si trovavano a ridosso di un campo, su un marciapiede, appoggiati a una ringhiera. Sotto di loro, incastonata nella città, stava una piccola distesa erbosa di rovine, cumuli di pietre consumate che lasciavano intuire la disposizione di edifici andati distrutti nei secoli. Ad Ami l'immagine ricordava un luogo in cui si era trovata: nella battaglia contro Nehellenia, in compagnia della sola Uranus, aveva corso lungo colline disseminate di ruderi arcaici per ricongiungersi alle compagne da cui era stata separata.

Era come se quei resti romani le stessero dicendo che, un tempo, si erano avuti scenari simili sulla Terra, tra persone comuni. «Non può essere.»

«Cosa?»

La domanda di Alexander la risvegliò dai suoi pensieri. Sentì di nuovo il calore del sole sulla pelle.

«Anni fa ho combattuto in un luogo simile a questo, all'interno di un'illusione. Ma la nostra nemica non poteva conoscere l'antico impero romano.» D'altronde, rifletté, non sarebbe stato necessario. «Lo stile di queste rovine ricorda quello delle costruzioni che sorgevano nell'antico Regno della Luna.»

«Eh?»

Era uno dei molti dettagli che non gli aveva rivelato.

«Non era un posto futuristico, sai? L'architettura degli edifici era molto simile a quella che si era espansa nel Mediterraneo un paio di millenni addietro.» Ben oltre, anzi. «In verità, i romani si sono limitati a copiarla dal popolo greco. Furono loro a crearla, anche se...» Il ricordo le causò una smorfia. 

«Cosa c'è?»

«Nemesis. Anche se la parola esiste in inglese, la sua radice è da ricercare nell'antica lingua greca.»

Alexander era attento. «Come lo hai saputo?»

«Hotaru. I servizi segreti americani volevano informazioni da lei. Hotaru ha trovato il modo di ottenerne a sua volta.»

Ne sorrise con lui, poi si fece grave. «Quello stesso giorno Zenas di Nemesis le ha rivelato che una persona del suo popolo era già giunta sulla terra, secoli fa, plasmando la nostra cultura.» 

Lui assorbì l'informazione. «In Grecia» comprese. Come lei, non gradì l'idea. «Non ha mentito. Le probabilità che due lingue appartenenti a mondi diversi abbiano radici simili senza essere mai entrate in contatto tra loro è... nulla.»

Esatto, lei aveva fatto lo stesso ragionamento.

Si chiese fino a che punto i nemesiani li avessero influenzati come popolo terrestre. Era un fatto che quasi li derubava della loro identità.

«Scusa» finì col dire, sospirando.

«Perché?»

«Non volevo parlare ancora dei nemici.»

«Non mi dà fastidio.»

In ogni caso, avevano già passato buona parte della mattina a riflettere su questioni sovrannaturali. Con le loro analisi avevano concluso solamente che, col passare delle ore, l'influenza che il potere di Mamoru aveva avuto su Alexander andava diminuendo. Il mini-computer ora valutava la pericolosità di lui nei confronti del potere di Mercurio al cinquantacinque per cento, da un sessanta per cento rilevato poche ore addietro.

«Per dopodomani sarò tornato normale» aveva detto Alexander. «In questi giorni mi ritengo fortunato a essere vivo. Se per rimanerlo è stato necessario che si modificasse qualcosa in me... Non importa, almeno fino a che il massimo del disagio è aver recuperato la vista e aver assorbito un poco delle tue capacità. Con la sua tecnica di guarigione Mamoru avrà esaltato l'effetto del potere che mi hai passato, no? Non stiamo a preoccuparci.»

In altre circostanze lui avrebbe speso ogni minuto a disposizione a studiare il fenomeno, soprattutto perché era passeggero. Ma aveva ragione: quel giorno stavano vivendo un altro tipo di esperienza straordinaria.

Ami riempì i polmoni dell'aria fredda del mattino. «Mi sto già abituando al fuso orario. Ho fame.»

«O può essere che il tuo corpo ti stia dicendo che è ora di cena.» Sereno, Alexander le chiese la mano. «Ho in mente una buona zona per cercare un ristorante.»

«Hai visto qualcosa di interessante sulla guida della città?»

«Sì. Andiamo alla ricerca di un tipo di intrattenimento... internazionale.»

 

Lo trovarono in una grande libreria, la più fornita della città secondo le indicazioni della guida turistica. Il reparto in lingua inglese non era grande come quello di alcune librerie di Tokyo, ma Ami  trovò ugualmente ciò che cercava. «È uscito il nuovo numero di The Lancet!» Si fiondò sullo scaffale, aprendo la rivista. Da settimane era così occupata che non era riuscita a consultare gli ultimi numeri.

Contento del suo entusiasmo, Alexander le indicò l'angolo opposto del corridoio. «Mi trovi di là.»

Lei annuì, sapendo che si trattava del reparto dedicato alle pubblicazioni scientifiche.

Con del tempo a disposizione, si beò degli articoli sulle ultime scoperte in materie di genetica, sulle nuove tecniche chirugiche sperimentate nel mondo, e sui protocolli di cura che si stavano attuando nei paesi in via di sviluppo. In poche pagine risiedevano tutti i suoi sogni.

Presto avrebbe iniziato l'università, poi sarebbe diventata anche lei, finalmente, un medico.

O no.

Rimase immobile con le mani, la rivista aperta davanti ai suoi occhi.

Continuava a dimenticare la verità della sua situazione: non avrebbe avuto il tempo di laurearsi in medicina.

Cercando di non pensarci, tornò a leggere gli articoli.

«Prendi qualcosa?»

«Sì, The Lancet.»

Ami - notò Alexander - stringeva la rivista al petto come un tesoro.

«C'è un articolo interessante?»

Lei esitò a rispondere. «Ce ne sono molti. Tu cosa prendi?»

«Ho trovato questi nuovi volumi sullo spazio. L'uscita era prevista per questa settimana e si vede che sono riusciti a spedirli nonostante i disastri di questi giorni.» Si rese conto che la sua ironia era fuori luogo.

Ma Ami sorrideva. «Hai deciso, vero? Andrai al MIT a settembre?»

Spiazzato, lui impiegò un momento a rispondere. «Sì.»

Ami fece silenzio mentre si mettevano in coda alla cassa. «Non ti blocca più niente, sai? Io sarò al sicuro in quel periodo, ora è certo.»

Lui ne era consapevole. Tuttavia, il suo desiderio di partire si era molto affievolito nelle ultime settimane.

Ami incrociò il suo sguardo. «Dimentichi che potrò venire a trovarti quando voglio? Non sarà una separazione.»

In lui si accese come un interruttore. «È vero!»

Aveva parlato forte e le persone attorno a loro si voltarono a guardarli.

Ami emise una risatina. «Certo. Ci vedremo anche tutti i giorni, se vorrai.»

Già. Sarebbe stato come studiare in Giappone. Non sarebbe cambiato nulla, non si sarebbe allontanato da lei.

Vedendo la sua felicità, Ami si avvicinò di un passo, prendendogli la mano. Non si sarebbe comportata in quel modo a casa, ma lì, in quel momento, appoggiò la testa contro la sua spalla, chiudendo gli occhi.

 

Era così strano, pensò Ami, sentirsi colmi di un'altra persona.

Quella mattina si era svegliata al caldo, con un braccio sulla schiena e le narici inondate dell'odore confortante di un pigiama. Aveva nascosto il viso contro il petto di Alexander, quasi smettendo di respirare pur di continuare a inebriarsi di lui. Non c'era stato altro posto al mondo in cui avesse desiderato trovarsi. Su quel letto aveva tutto ciò per cui valeva la pena di combattere.

La sua vita non era più un'incertezza: era al sicuro, era amata. Si scioglieva per le carezze al viso, si accendeva per i baci. Voleva passare ogni momento della sua esistenza con la persona che amava, vedendola sempre sorridere - un desiderio che aveva portato fino al punto di pensare che, con l'eccezione delle sue amiche, poteva perdere qualunque altra cosa, ma non lui.

Era vero, ma... Nell'amare così tanto si stava volutamente perdendo, dimenticando buon senso e ragione.

Nell'amore era naturale - positivo se erano in due a sentirsi nello stesso modo - e lei non lo rinnegava. Alexander per primo le offriva tutto se stesso: era lui quello disposto a mettere in secondo piano qualunque desiderio e obiettivo pur di seguirla, per un'infinità di tempo.

Eppure, entrambi avevano delle vite da vivere.

Lei forse non sarebbe diventata medico, ma aveva davanti a sé tre preziosi anni per vivere un sogno che non voleva lasciar andare - studiare medicina, almeno quello. Lui aveva già abbandonato l'idea di dedicarsi alla passione su cui aveva incentrato la sua vita prima di conoscerla: si era rassegnato a studiare astrofisica nel tempo che gli rimaneva e aveva persino contemplato la possibilità di lasciare l'università se loro due, insieme, avessero avuto...

Di mezzo c'era una domanda. Perché lei voleva ancora un bambino?

Aveva desiderato l'idea di Adam perché l'aveva creduta già vera e viva dentro di sé, ma ora che sapeva che era solo una prospettiva futura... perché?

Per una brama di felicità, ovviamente. E sicurezza, anche se era doloroso ammetterlo. 

Lei e Alexander con un figlio sarebbero stati una famiglia. Dentro di sé non avrebbe più temuto di tornare un giorno a essere sola, una persona che desiderava un affetto che rischiava di non ricevere. Alex non l'avrebbe più lasciata, e il loro piccolo... lei sarebbe stata importante per lui, necessaria. Quello era un tipo di amore assoluto che lei voleva vivere.

Ruotava tutto intorno ai suoi desideri, si rese conto. Stava pensando solo a ciò che voleva per se stessa.

... non era una cosa egoista?

«Pensi da tanto. Ora sembri preoccupata.»

Scrollò piano le spalle. Quando lo faceva, Alexander lasciava perdere e fu così anche in quel caso.

Per cercare un contatto lui le prese ugualmente la mano mentre camminavano. Nel ricambiare la presa lei gli strinse forte le dita e... capì.

Ormai lo amava così tanto che non lo avrebbe più lasciato andare.

Ecco cos'era cambiato rispetto a un tempo. Ecco cosa ora la destabilizzava: il bisogno, la necessità.

Non posso più vivere senza di te. Erano pensieri romantici nei momenti di pericolo, ma nella vita di tutti i giorni... L'amore non si esplicava nel lasciare spazio e libertà di scelta? Lei doveva poter esistere senza di lui, così da dargli la possibilità di sceglierla perché lei era la cosa migliore per la sua vita, e per nessun altro motivo. Non certo per soddisfare una dipendenza che lei non riusciva più a controllare.

Gli aveva proposto di andarlo a trovare spesso in America, per farlo felice, ma anche... per non perderlo. Per assicurarsi - ammise con se stessa - che nulla cambiasse nella sua devozione per lei.

Un tempo era stata più distaccata.

Un tempo aveva pensato di più a lui.

Adesso... si era permessa di cambiare perché era stato Alexander a volerlo, no? In libertà lui continuava a dimostrarle che non desiderava altro che stare con lei, sopra tutto e tutti, perciò... non era completamente sbagliato l'atteggiamento che lei stava tenendo. Stava solo... ricambiando.

No?

«Siamo arrivati, guarda.»

Il suo problema più genuino in fondo era sempre lo stesso: i sentimenti, soprattutto quando erano molto forti, la confondevano.

Guardò dove le veniva indicato e fece in tempo a replicare la sorpresa di lui quando Alexander cercò la sua reazione.

La costruzione era imponente.

Sollevò la guida. «Città del Vaticano. Città-stato indipendente sede del Cattolicesimo. È il più piccolo stato indipendente del mondo, con una popolazione di poco più di 800 abitanti.» Continuò a leggere mentre si immettevano nel largo viale che li avrebbe avvicinati all'enorme chiesa.

Alexander la ascoltava. «Si può entrare?»

Lei cercò l'informazione tra le pagine. «Sì, l'ingresso è libero, con alcune limitazioni sugli orari e al di fuori della celebrazione delle funzioni più importanti.»

Lui era particolarmente interessato. Era credente, ma lei non lo aveva mai preso per un tipo religioso, desideroso di trovarsi in un luogo di culto.

Alexander si spiegò prima ancora di sentire la domanda. «Voglio vedere l'interno. Conosci una delle ragioni per cui il cristianesimo si è scisso, qualche secolo fa? Lutero diceva che la Chiesa di Roma era troppo materialista.» Le indicò col mento la cattedrale davanti a loro. «A guardare questo edificio...»

Lei non ne sapeva molto, tuttavia... «Dietro queste dimensioni potrebbe esserci stato anche il desiderio di costruire un segno tangibile della forza della loro fede.» L'essere umano lo faceva, con molti dei propri intenti. Le venne in mente un collegamento e sorrise.

«Cosa?»

«Ecco... il palazzo di cristallo di Crystal Tokyo sarà molto più grande di questa chiesa.» A loro volta avrebbero ostentato il proprio stato - in un certo senso, il loro potere.

Alexander si divertì. «Ti avverto: se Usagi e Mamoru cominciano a credersi divinità, io me ne vado.»

Le uscì una smorfia.

«Cosa c'è?»

«Niente.»

«Ami...»

Lei lo trascinò in avanti per una mano. «Andiamo. Per entrare c'è da fare la coda.»

 

L'interno della cattedrale del Vaticano si rivelò maestoso ai loro occhi. Ami si meravigliò della cura dei dettagli e della grandezza dell'edificio. Per costruire mura tanto alte, immense fatiche erano state fatte, per secoli. Quando l'essere umano lavorava per qualcosa in cui credeva, ergeva templi e piramidi, anche senza l'aiuto di macchine.

Accanto a lei Alexander osservava in silenzio, meravigliato.

«Hai cambiato idea?»

«L'ho ampliata» rimuginò lui. «Questo posto è un inno al materialismo in pompa magna, ma... è intriso di fede. Lo trovo solenne. A loro modo, cercavano solo di costruire qualcosa che fosse degno di Dio.»

Dio... L'idea di un'entità singola che vegliava su tutti le sembrava semplicistica, ma non disdegnava il concetto che vi stava dietro.

Come aveva detto Usagi al mondo, anche Ami era principalmente convinta che vi fosse in tutti una spinta al bene. In molte religioni erano comportamenti che bisognava tenere in nome di un dio, ma nella realtà era semplicemente una pulsione naturale che esisteva in tutti gli uomini che avevano il coraggio di seguirla.

Comunque, non le piaceva pensare che ciò che erano in vita sparisse nel nulla dopo la morte. Sarebbe stata in grado di accettarlo, ma trovava conforto nell'idea lontana che esistesse un sovrannaturale buono, che desiderava il bene di chi era ancora in vita. Avi, parenti morti, persone per cui si era provato affetto... Per lei era più semplice credere in qualcuno che era realmente esistito. Voleva pensare che l'amore che quelle persone avevano provato verso coloro che avevano conosciuto, o che erano legate alla loro famiglia, avesse una forza anche dopo la morte.

Qualcuno veglia su di te.

Era un concetto - non solo cristiano - che la inteneriva, anche se preferiva trovare la forza dentro se stessa e nelle persone vive che aveva accanto. In ciò Alexander era più spirituale di lei, ma di fondo non avevano convinzioni opposte tra loro.

Lui guardava ancora la navata centrale della cattedrale e alcune persone, inginocchiate su delle panche, che pregavano.

«Potrebbero farlo anche fuori di qui» disse. «Ma in questo luogo si estraneano. Si spostano materialmente per darsi il tempo di dedicarsi alla loro fede, in un posto in cui la sentono più vicina.»

Nelle sue parole c'era un pizzico di ammirazione. Ami continuò a parlare a bassa voce. «Vuoi rimanere ad assistere a una celebrazione?»

«No» sorrise quieto lui. «Solo che... finora non mi era accorto dell'importanza che potessero avere.»

Lei non comprese.

«Ha senso ricordarsi dei sacrifici che sono stati fatti, inginocchiarsi e ringraziare. Ciò che abbiamo alla fine è... effimero.»

Lei ne trasse una sensazione di angoscia.

«Non sto pensando alla morte, Ami. Sto pensando alla vita. Finché c'è ed è come la desideriamo, bisogna viverla al massimo.»

... prima che battaglie, incidenti o malattie mortali la portassero via.

Quelle circostanze erano diventate talmente usuali nella sua esistenza che era rapida a superare il trauma quando lo incontrava, per istinto di sopravvivenza. Ma non per tutti era così.

Prese la mano di Alexander, per essere la sua àncora.

Lui abbassò gli occhi. «Parole troppo pesanti, hm?» Si divertì, forse a beneficio suo. «Su, usciamo. Andiamo a vedere i musei di questo posto.»

  

Come aveva già sperimentato, Alexander guardava statue e dipinti con interesse vago, faticando a trovarvi un significato.

«È colpa mia, ma... la metà di queste cose non mi dice niente. Per me sono più aspetto che sostanza.»

Era un giudizio duro, pensò lei. Alcune di quelle opere erano profonde nella loro bellezza. Era evidente quanto l'artista si fosse impegnato per dare vita a un'espressione del volto, o per scegliere il mix di colori giusti che comunicasse l'atmosfera cercata. «C'è molto sforzo dietro.»

«Sì, ma non sempre il risultato mi dice qualcosa.» Alexander scosse la testa. «Non pensare a me, io ascolto la mia musica.» Mise le cuffie. «Ci muoviamo coi tuoi tempi, guarda con calma.»

A lei sembrava quasi oltraggioso non concentrarsi sui contenuti del museo mentre ci si stava dentro, ma la differenza nel loro atteggiamento la rese allegra. Aveva voglia di rimproverare Alexander, come un ragazzino a cui doveva insegnare qualcosa. Quando non erano uguali - si rese conto - erano anche molto diversi. C'erano volte che lui sospirava per atteggiamenti di lei, e a sua volta aveva pazienza.

Il confronto era stimolante per i diversi punti di vista a cui esponevano a vicenda. In quel caso lei riusciva a vedere, attraverso gli occhi di lui, come metà di quelle opere fossero inutili, ma sceglieva di non usare quel tipo di visione, continuando a concentrarsi sulla ricchezza che traeva dalla propria comprensione di ciò che vedeva.

Forse un giorno sarebbe riuscita a trasmetterla ad Alexander, o forse sarebbero rimasti differenti per sempre su quel punto, come su altre cose.

Lui si chinò. «Sono curioso: cosa c'è di divertente in questa statua?»

«Niente. Rido per te.»

«Che ho fatto?»

«La musica e il rifiuto di capire l'arte. Sembri uno studente in gita scolastica. Mi sento una professoressa incompresa.»

Non era male neppure prendersi in giro per le loro diversità.

Lui comprese l'intento. «Una prof? Sei troppo giovane. Devi esserti appena laureata, perciò mi starai dando lezioni private. Mi hai portato fino in Italia, prof? Sicura di non avere secondi fini con me?»

Lei tossicchiò. «Siamo in un museo, davanti a opere secolari.» Ci voleva un po' di contegno. Gli passò la guida. «Tieni e impara, studente.»

Lui fece scorrere velocemente le pagine. «Stanotte ho appreso qualcosa. In albergo, ricordi? Credo che stessi cercando di insegnarmi a dipingere nudi, perché ti sei spogliata e...»

Lei gli infilò in bocca la cuffia che si era tolto.

In silenzio, sorrisero per tutto il percorso fino alla Cappella Sistina.

Nella grande sala, Ami fu conquistata.

Smettendo per un momento di guardare, lesse piano le parole della guida. «Gli affreschi sulla volta sono stati dipinti da Michalengelo Buonarroti, dal 1508 al 1512. Egli ha realizzato anche il Giudizio Universale, che adorna la parete di fondo, sopra l'altare, negli anni dal 1535 al 1541.»

Una vita intera. Erano passati più di vent'anni tra le due realizzazioni, ma quel pittore era tornato al lavoro sul medesimo luogo, creando qualcosa di... immenso. Persino lei - che abitava dall'altra parte del pianeta - conosceva di fama quelle immagini, distanti più di quattro secoli dal tempo in cui era nata.

Alexander guardava il soffitto. «L'ha dipinto una sola persona?» Cercò approfondimenti nella guida, per accertarsene.

«Sì» confermò lei. Era incredibile. «In tre anni.»

Non era lo stesso periodo di tempo che lei aveva da dedicare alla medicina? In seguito la sua vita non sarebbe finita: come quell'uomo, poteva tornare a quella che considerava una missione, lo scopo massimo che esaltava la sua essenza in qualunque momento. Aveva davanti mille anni di vita.

Galvanizzata, prese una decisione.

Iniziò a fare i primi calcoli, ma per essere precisa aveva bisogno dei libri di testo del corso di laurea. Doveva tornare a casa.

No, si ammonì. Era in vacanza. 

Aveva tempo per immergersi nello studio. Vivere quei giorni, come aveva detto Alexander, era altrettanto importante.

La vita, il tempo, scappava.

  

A metà pomeriggio, erano di nuovo distrutti. Dormire un paio d'ore prima di cena parve a entrambi una buona idea.

Ami mise il pigiama per stare più comoda. Si sdraiò sul letto per prima, stiracchiandosi in cerca del sonno.

Unendosi a lei sul materasso, Alexander sbadigliò a bocca aperta, senza coprirsi il volto. «A cosa pensavi oggi?»

«Hm?»

«Un paio di volte hai fatto una faccia strana, stamattina. Eri preoccupata.»

Be'... Erano pensieri che lei doveva ancora elaborare prima di poter spiegare. Dovevano essere completi.

Era vero che cominciava a sentirsi egoista nel desiderio che aveva di riempire ogni momento della vita di lui, tenendolo legato a sé, ma Alexander le aveva dato da pensare.

Era tutto effimero, come aveva detto lui.. La sensazione di perderlo per sempre, o di non essere più viva, era ancora troppo vicina per non darle l'importanza che aveva.

Non si meritevano entrambi un po' di tregua? Le conseguenze erano ancora lontane. 

«Stai pensando invece di parlare.»

Si decise per un'altra verità, non meno crudele. «Voglio studiare.»

Lui non capì. «Da quando non lo vuoi?»

Ora era diverso. «Voglio studiare medicina da subito, come se fossi già all'università. Alla prima sessione di esami voglio essere pronta a sostenere anche quelli del secondo semestre. Cercherò di farmi dare una licenza speciale.»

Alexander la guardava.

Lei annuì. «Voglio fare così anche l'anno prossimo, senza sosta. Io... devo avvicinarmi più che posso a diventare medico. Non voglio cominciare la prossima fase della mia vita senza essermi impegnata al massimo in questi anni. Sono quelli che ho ancora per me. Potrei rilassarmi, ma...»

«Lo so.»

Sì, non era da lei prendersi pause prima di aver lavorato. «Questo non significa che ho rinunciato all'idea di una nostra famiglia.» Al contrario. «Impegnarmi tanto adesso mi darà la sensazione di avere più tempo. Avrò comunque studiato tutto quello che potevo, anche se a un certo punto deciderò di fermarmi.»

Lui rifletteva. «Questo significa che... avrai meno sere libere. Meno weekend.»

Esatto. Era il suo unico rimpianto, e in effetti un sacrificio che gli chiedeva di fare con lei. «Col teletrasporto risparmierò sui tempi di viaggio. Troverò comunque il modo di vederti, anche se...» Era necessario che fosse sincera. «Finché non mi sarò organizzata con lo studio, agli inizi, ti chiederò un po' di tempo per concentrarmi solo sui libri. Una settimana o due.» Notò l'umore di lui. «Cercherò di fare dei break.»

Alexander non parlava. Guardò il soffitto. «Vuoi tornare a casa oggi?»

«No. Questi giorni sono per noi.»

Lui espirò via il risentimento. «Non voglio che non studi, Ami. Ho capito. Solo che, nemmeno due giorni fa... E tu stai già pensando a ricominciare col dovere.»

Mi dispiace. Non era felice per il dolore di lui, ma non era seriamente dispiaciuta. Aver preso quella decisione le stava dando stabilità e uno scopo da seguire, laddove prima si era sentita confusa e frustrata.

«Sei fatta così» dichiarò lui, arrendendosi. «Però almeno per altri due giorni... non pensare a studiare.»

Era una promessa che voleva mantenere. «Non c'entri tu con questo, è... una cosa mia.» In verità, anche in quel desiderio c'erano delle differenze tra loro, che lei faticava a capire. «A te non manca l'idea di non poter studiare quello che sognavi?»

«Lo studierò comunque.»

«Sì, ma non all'università. Se ti metti a lavorare non potrai più dedicarti completamente allo studio.»

«Questo non è più un'ipotesi, ma una certezza. Io lavorerò per mantenermi» le disse. Cercò di capire cosa voleva sentire da lui. «Siamo in fasi diverse della vita, Ami. E... io sono meno concentrato di te. Lo studio è una passione, ma l'ho sempre preferita quando è libera. Avere voti eccellenti agli esami era soddisfacente perché mi faceva sentire bravo, ma se non fosse stato per questo... Avrei studiato con meno criterio, per quanto il mio interesse sia forte. Non soffro all'idea dell'interruzione che subiremo tra qualche anno perché in un modo o nell'altro io continuerò a studiare fisica. Nemmeno una valanga di impegni mi fermerà. In qualunque minuto libero imparerò cose nuove, per saperne sempre di più. Lo sai, anche adesso è così... Ragiono in formule mentre corro, sotto la doccia, persino mentre sto con te a volte. Non riesco a fermarmi.»

Sì, avevano approcci diversi. Quello di lui era affascinante, perché - anche se non ne era cosciente - parlava della fisica come avrebbe fatto un'artista con la propria arte. L'aveva nel sangue, faceva parte della sua natura.

Per lei la medicina era un obiettivo. Un'altra delle differenze tra loro era che lei non sentiva ancora di essersi impossessata degli strumenti di base per comprendere la materia che tanto le interessava. In quel senso era stata pigra negli anni in cui aveva pensato fosse più importante dedicarsi a una formazione di base il più estesa possibile prima di concentrarsi sulla branca della conoscenza umana che la appassionava sul serio.

Alexander la studiava mesto. «Comunque... Per me sarà una sofferenza vederti di meno, ma l'importante è che tu senta di dare al tuo tempo il suo massimo valore.»

C'era un fraintendimento. «Anche quando sono con te il mio tempo non ha un valore maggiore.»

«Ma con me avrai anche gli anni dopo il duemila, giusto?» Il pensiero gli causò un sorriso rassegnato. «Sono in svantaggio rispetto alla medicina, almeno per ora. È inevitabile.»

Lei desiderò che le giornate fossero di quarantotto ore. «Quando sarò con te, mi dedicherò solo a te. Niente studio.»

«Questa è una promessa che ti farò mantenere.»

Lei lo toccò sul braccio, cercando di abbracciarlo. «Alex?»

Lui sollevò le sopracciglia, rimanendo in attesa della domanda.

Come sai che che mi vorrai anche tra tre anni?

Era la più stupida delle domande, nonché una richiesta nascosta e ingiusta: tutto quello che lui sapeva per ora era che la amava. Conosceva il proprio cuore e le proprie intenzioni, ma di ciò che avrebbe provato nel futuro sapeva quanto lei: nulla.

Ami lo baciò. Solo il presente era sicuro, solo nel presente potevano vivere.

Lo strinse con tutta la propria forza e, per qualche minuto, gli chiese in modo assoluto di darle tutto ciò che aveva.

  

Alexander si svegliò un'ora e mezza dopo, alle sei di sera, con una sensazione di incombenza. 

Era iniziata nella tardi mattinata, ma aveva cercato di non badarci.

Dannazione. Non stava andando via, anzi.

Si alzò dal letto, cercando i pantaloni e la felpa del pigiama. Si rivestì, scacciando un brivido di freddo che non riuscì a fermare. Barcollò nell'alzarsi in piedi, ma non si permise di spaventarsi. Si era solo mosso troppo in fretta, non aveva dato al sangue il tempo di tornare alla testa.

Dopo qualche secondo, tornò a muoversi verso la scrivania della stanza. In silenzio, prese in mano il computer di Ami e si diresse in bagno.

Unì l'anta della porta al muro e si sedette sopra la tazza chiusa del water.

Chiese allo strumento di Mercurio di rilevare la sua temperatura corporea.

37.9

Si sentì troppo debole per imprecare.

... doveva svegliare Ami?

Forse la sua era solo una febbre vera, un raffreddore che aveva preso durante la notte e che stava degenerando. Magari non c'entrava nulla con il fenomeno che lo aveva colpito in casa sua, due sere prima.

... Si stava prendendo in giro da solo. Si sentiva esattamente come nel primo giorno dell'anno, con un cerchio alla testa che non aveva mai conosciuto in precedenza.

Studiò la situazione col mini-computer.

Possibilità di pericolo per Sailor Mercury: 90%

La sua era una malattia di potere. Nella teoria che aveva elaborato, era stata l'azione del sovrano nemesiano a far inceppare il meccanismo dell'ykèos dentro di lui.

Se lo avesse detto ad Ami, sapeva già qual era la soluzione che avrebbe proposto lei: stare lontani.

Massaggiò forte la tempia, sentendo a ondate il dolore che si propagava lunga la massa grigia.

Se l'ykèos era una conseguenza di quanto tenevano l'uno all'altra, stare lontani non sarebbe servito a risolvere il problema, bensì solo ad aumentare l'agonia. Ami si sarebbe data la colpa di tutto. Sarebbe tornata a pensare che gli aveva fatto danno standogli vicino, che forse stare con lui non era la cosa giusta.

Che incubo senza fine.

Unì le mani e per la disperazione pregò, la fronte abbandonata sulle nocche.

Voglio stare meglio. Non voleva nessuno stupido potere che cercasse di ucciderlo e... e voleva Ami. Anche se avesse avuto quegli episodi a ripetizione, per il resto della sua vita, voleva stare con lei. Solo questo, al resto sarebbe sopravvissuto.

Sospirò.

Abbattuto, adottò la misura più logica e settò il computer perché gli fosse di soccorso. Di suo non poteva far altro che coprirsi, tornare a dormire e... sperare.

Se la febbre fosse salita a trentanove, aveva ordinato al computer di emettere un suono di allarme, riepilogando la situazione ad Ami in un'unica schermata. 

Lei sarebbe corsa a prendere Mamoru Chiba, lui lo avrebbe guarito di nuovo e poi... avrebbero discusso sul da farsi.

Era un discorso che Alexander sperava di non dover affrontare mai.

Tornò nella stanza da letto e si sdraiò vicino ad Ami. Non la toccò, per non svegliarla e non farle sentire la febbre, ma nella sua testa l'abbracciò con tutta la propria forza. 

Respirando a fatica, crollò dal sonno.

 

«Ehi.»

La voce di lei. Sopra la sua testa, Ami sorrideva.

«Sveglia! Ci siamo addormentati per un'ora in più!»

Alexander sgranò gli occhi. La sua pelle era fresca, come se... 

Aveva sudato. Si tirò su con cautela, tenendo le coperte sopra il corpo, cercando di capire se la felpa era umida. La sentiva fredda al contatto, ma era possibile che non si notasse da fuori.

Non dovette nascondersi da Ami, lei stava andando in bagno. «Mi preparo per andare a cenare, okay?»

Lui annuì vago e appena lei sparì nell'altra stanza, saltò fuori dal letto.

Era pieno di energia! Sorrise levandosi la felpa, sentendosi in forze.

La febbre se n'era andata, era guarito!

... era stata una ricaduta rapida?

Andò al computer. 

Osservò il grafico della sua temperatura durante il sonno e fu percorso da un brivido. Aveva toccato trentotto gradi e nove mezz'ora prima; a quel punto la febbre aveva raggiunto un picco ed era sparita.

Era solo l'effetto del rilascio di sudore? In quanto veniva calcolata ora la sua pericolosità nei confronti di Mercurio?

Trentacinque per cento.

Tirò un sospirò di sollievo.

Il fenomeno si stava davvero attenuando, come aveva detto ad Ami quella mattina, credendoci solo a metà.

Stava guarendo, giusto?

Cancellò il grafico con la rilevazione della febbre. Ami non doveva vederlo. 

Ne avrebbero parlato solo e solamente se il problema si fosse ripresentato, ma...

Fermò le dita sul computer. Tenne fisso il comando che aveva impartito in bagno: se in qualunque momento fosse stato tanto male da avere una febbre superiore ai trentanove gradi, Ami doveva essere avvisata. La paura non poteva superare la prudenza.

Respirò a pieni polmoni.

... nonostante la cautela, si sentiva ottimista.

Il malessere era andato via da solo, non c'era stato bisogno dell'intervento di Chiba.

Forse era una cosa che si poteva curare come un raffreddore vero e proprio, con tè caldo e coperte pesanti sul corpo. Sorrise. «Ho trovato un buon ristorante sulla guida!»

«Ah... okay!» Come la signorina educata che era, Ami non disse altro da dentro il bagno.

Alexander osservò il simbolo sul computer di Mercurio.

Se il problema sei tu, ykèos, non mi batterai.

Lasciò il computer sulla scrivania e andò a vestirsi.

   

3 gennaio 1997 - Vacanza in Italia/2 - FINE

 


NdA: tre capitoli di questa raccolta e ho descritto esattamente tre giorni consecutivi. Mi sento lumaca -_-

Ho questo interesse primario a ricollegarmi allo stato d'animo di Ami che ho descritto in Plenilunio. Il capitolo 6 era ambientato il 13 gennaio 1997, quindi a una decina di giorni da questo momento. Lei e Luna facevano questo discorso:

«Il matrimonio... è un impegno senza fine, che durerà almeno mille anni con persone come noi. A volte mi chiedo... È giusto chiedere una cosa simile a una persona? È possibile ora fare tante promesse per un tempo così lungo?»

Luna aveva quasi timore di chiedere. «Parliamo di promesse di... fedeltà?»

Ami tornò a vederla. «No» sorrise. «Non mi hai mai sfiorato come problema. Pensavo a...» Col petto pesante, espirò. «Il matrimonio è un percorso comune: obiettivi, speranze, scelte. Equivale a prendere decisioni insieme, per sempre, spesso limitandosi. È solo che...» Soffrì. «Alexander è così giovane.»

Oh, no, comprese Luna. «Tu hai due anni meno di lui.»

«Io conosco il mio percorso, mentre lui ha mille possibilità. Come fa a sapere che-»

«Ami, Ami! Ti è venuto in mente leggendo qualche libro? Tu pensi troppo. Persino un racconto è capace di influenzarti.»

Ami glissò sulla domanda. «Questi pensieri che ho non sono un vero problema. È solo una riflessione su quanto sia giusto o meno, da parte mia, aspettarmi che le cose tra noi possano andare... in quel modo. Verso il matrimonio.»

 

Penso che il capitolo 4 della raccolta tratterà dell'ultimo giorno di vacanza in Italia di Ami e Alexander (quindi due giorni a partire da adesso, presumibilmente). Ho in mente il contenuto, dovrebbe essere piuttosto breve e meno didascalico come capitolo.

In effetti Luna ha ragione, Ami sarà stata influenzata da un libro (di narrativa), anche se già aveva iniziato ad avere questo tipo di pensieri. Quello che sto cercando di trasmettere è l'insicurezza di fondo di lei.  Non sarà una cosa che si risolverà a breve, ma - come è normale - Ami non sarà continuamente tormentata da questi pensieri. Per ora sono solo idee che le vengono così, e le danno un po' di fastidio e incertezza. Ci sarà un'escalation, ma in tempi dilatati.

Ma parlando della 'malattia di potere' di Alexander, alla fine ho deciso di riprenderla perché era giusto così, volevo che si capisse che è una cosa importante, anche se si sta attenuando. 

La risposta a questo mistero si avrà in tempi ancora più lunghi rispetto al problema di Ami, ma era un concetto che volevo portare avanti con calma, in maniera naturale lungo la saga.

 

Parlando dei capitoli successivi, finalmente dopo il capitolo finale sulla vacanza italiana, potrò saltare avanti nel tempo e parlare di altri episodi che ho in mente da un po', come Ami e Alexander che giocano ai videogiochi (in casa di Yamato, con lei che è particolarmente forte nei picchiaduro - come dimostrato nell'anime originale), o il trasloco di lui.

Ah, poi in questa raccolta potrò mettere anche l'episodio di San Valentino dedicato a loro due, racchiuso nell'omonima raccolta per ora.

 

Grazie di aver letto i miei sproloqui :)

Spero che la lettura vi abbia donato qualche momento divertente e magari qualche riflessione che mi farebbe piacere sentire.

A presto!

 

Elle

 

P.S. Ho due pagine Facebook: una dedicata a Sailor Moon in generale, dove posto opinioni e immagini (Oltre le stelle saga), e un gruppo in cui parlo esclusivamente delle mie fanfiction con i lettori che mi seguono - Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

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Capitolo 4
*** 5 gennaio 1997 - Letture ***


per istinto e pensiero 4

 

Per istinto e pensiero

di ellephedre

 

5 gennaio 1997 - Letture

 

Nel loro ultimo giorno di vacanza in Italia, piovve. Lei e Alexander trovarono una maniera alternativa di divertirsi.

«Scegliamo a caso» le disse lui davanti allo scaffale della libreria internazionale. «Un esperimento.»

Ami fu d'accordo. Di solito dava una possibilità solo ad autori che conosceva o a libri molto ben recensiti, ma... erano in vacanza. Era liberatorio affidarsi al caso, aprendosi all'esperienza di un libro di cui non sapevano nulla. Con quel proposito in mente non lesse neppure il riassunto della trama del suo volume. Tutto quello che seppe prima di aprirlo, comoda e all'asciutto nella loro stanza d'hotel, fu che titolo aveva e qual era la copertina. L'immagine ritraeva la figura in controluce di due persone, un uomo e una donna, in piedi su un prato al tramonto.

Con Alexander avevano ordinato una colazione tardiva in camera. Era una perfetta mattinata di relax.

«Cominciamo» sorrise lui. «Se il mio è valido te lo dico strada facendo.»

«Anche io.»

Per circa mezz'ora, non parlarono. Ami comprese sin dai primi capitoli che si trovava davanti a una storia di qualità: lo stile era evocativo, ricco e al contempo schietto. I personaggi erano due ragazzi inglesi comuni - Jamie e Anna - di cui si narrava la giovinezza e il primo incontro. Per quanto la riguardava, era da grandi autori essere capaci di descrivere eventi semplici senza annoiare.

Si immerse nella loro storia, deliziata di seguire la nascita della loro relazione. Li trovava entrambi simpatici, lui bizzarro e lei molto divertente e aperta.

La colpì il modo in cui si innamorarono: niente rivelazioni improvvise o fulmini a ciel sereno. L'amore non li travolse, li unì come le giornate che già condividevano in quanto compagni di università. Il loro primo bacio fu molto dolce e i loro sorrisi... uscivano letteralmente dalle pagine.

Ami accarezzò il libro. Quella storia le dava la sensazione di lei e Alexander: si sentiva nello stesso modo, calma e piena di felicità, quando stava con lui.

«Allora è un buon titolo?»

Annuì soddisfatta. «E il tuo?»

«Credo di aver preso una storia d'amore.»

Lei rise.

«Non per donne» si divertì lui. «Altrimenti non avrebbe avuto questa copertina.» Le mostrò l'immagine stilizzata su sfondo giallo, poi assottigliò gli occhi osservando il disegno con attenzione, forse per la prima volta. «Ma qui c'è un cuore.»

Ami era curiosa. «Di cosa parla?»

«Il protagonista è un uomo. Sai che soffre della sindrome di Asperger? Sembra che finirà per innamorarsi di una tizia che ha appena incontrato. Comunque... tutti i suoi pensieri sono resi molto bene. La sindrome non è una scusa della trama, l'autore la rappresenta come si deve. La considerazione che il protagonista ha di sé e degli altri per esempio: non sente che gli manca qualcosa, pensa di essere superiore al resto della gente proprio perché privo di sentimenti. Devi leggerlo, Ami.»

Certo. Si erano confessati a vicenda di aver sospettato entrambi di soffrire di quella sindrome, molti anni addietro. La tendenza a isolarsi, ad analizzare tutto, a seguire la logica fino a livelli di cinismo... Alexander si muoveva bene in contesti sociali, ma tendeva a dissezionarli nel dettaglio, manipolandoli a proprio piacimento - senza alcuna empatia quando lo desiderava. Dal canto suo, lei era stata refrattaria alle compagnie fino a che non aveva incontrato le ragazze. Prima di loro, aveva passato il suo tempo a valutare come le altre persone si comportavano, preferendo osservare piuttosto che partecipare alle loro interazioni. E la tendenza a concentrarsi, vivendo di studio e letture...

Alla fine, sia lei che Alexander avevano un cervello che rientrava nel range della normalità: erano troppo emotivi per poter essere affetti dalla sindrome di Asperger. Ma se quel libro le avesse permesso di entrare nel cervello di uno di quei soggetti... «Lo prenderò quando lo avrai finito.»

«Il tuo di cosa parla?»

«Per ora è la storia della vita di due persone.» In effetti, non aveva ancora compreso quale fosse lo scopo ultimo del racconto, ma non lo sentiva come un problema. «Devo ancora capire. Vado avanti.»

Ripresero a leggere.

La sua storia continuò a piacerle molto. Visse la vita di Jamie e Anna assieme a loro. Le difficoltà di sposarsi giovani, mantenersi agli studi, trovare una casa, imparare a convivere e a capirsi. Furono fasi che i due affrontarono e superarono insieme. Erano persone con caratteri diversi, non sempre complementari, che avevano scelto un percorso di vita comune. Ami lo vide culminare in un bambino. Apprezzò l'onestà dell'autore - un uomo, era andata a controllare. Lui non parlò solo dei momenti di felicità legati alla nascita di un figlio, ma anche dello stress che generava quella nuova presenza in una coppia. Jamie e Anna dovevano dargli totale attenzione, a volte erano oberati dalle responsabilità. Nei primi mesi di vita del bambino tutti e due avevano i nervi a fior di pelle. Litigavano per sciocchezze, solo per poi fare pace consolandosi a vicenda. Alla fine, col passare dei mesi, Jamie e Anna trovarono un equilibrio in cui capirsi di nuovo, per proseguire come persone adulte che erano cambiate dopo essere diventate genitori.

Ami terminò l'ultimo capitolo con la mente piena di riflessioni. Un buon libro la portava sempre a pensare all'esperienza della vita, tentando di capire come si sarebbe sentita nei panni dei personaggi. In quel caso, non era nemmeno difficile. 

Guardò nel vuoto, in direzione di Alexander. Lui se ne accorse e lanciò un'occhiata alla mano con cui lei teneva aperto il volume. «Ormai sei a metà. Com'è?»

«È un libro... maturo. Una di quelle storie che non vogliono insegnarti qualcosa, solo raccontarti delle esperienze.»

Lui annuì. «Cosa stanno facendo i protagonisti?»

«Si sono sposati e hanno creato una famiglia. Gestirla non è stato facile come pensavano.»

«Hm.» Alexander ci pensò su solo brevemente. «Voglio sapere come va a finire prima di decidere se leggerlo.»

Sì, lui era più un tipo da romanzi thriller, o drammatici. Gli piacevano le vicende inquadrate, di cui poteva intuire la conclusione.

«Allora continuo» disse Ami.

Ma andare avanti si rivelò un errore.

Il libro era troppo realistico, veritiero. Non poté dire a se stessa che l'autore stava forzando le vicende quando intuì la direzione in cui si stavano muovendo. Il personaggio di Jamie aveva coltivato da sempre un piccolo hobby, il modellismo. Anna non lo aveva mai condiviso, ma in passato quella passione le aveva fatto tenerezza. Nella nuova casa, con un bambino di tre anni, Anna iniziava a mostrare segni di insofferenza. Nella sua visione delle cose, Jamie dedicava troppo tempo a oggetti inanimati e fuggiva nel suo studio quando lei cercava di convincerlo a uscire la sera.

Lui non la vedeva in quel modo. Era un buon padre che faceva quello che poteva per dedicare le sue ore libere al bambino. Per lui passare il tempo in compagnia di amici era solo un modo per stancarsi di più. La loro cerchia di conoscenti era stata scelta da Anna ed erano persone con cui lui aveva poco da spartire.

Ami fu sollevata quando finalmente li vede discutere di quei problemi, ma la risoluzione del litigio non fu soddisfacente: Jamie e Anna non superarono le loro differenze, si limitarono a celarsele a vicenda, ritagliandosi spazi personali per fare da soli quelli che sentivano di non poter più fare in coppia.

Era una cosa sana, supponeva, ma non se entrambi percepivano che stava venendo a mancare qualcosa nella loro relazione.

Fu doloroso leggere di quanto si amavano, nonostante tutto. Condividevano ancora piccoli momenti che li riportavano al passato, dando un senso al loro presente insieme. Li univano il bambino e le difficoltà che avevano superato. Erano persone che volevano ancora essere tutto l'uno per l'altra, come un tempo. Ci riuscivano, a volte con impegno, a volte con naturalezza, ma non più con la facilità di qualche anno addietro.

Se c'era una cosa che le stava trasmettendo il libro, era che la vita cambiava. Si cresceva, ci si evolveva.

Ami ne era cosciente.

Quando iniziò il nuovo capitolo, visse come un colpo al cuore il momento in cui Jamie provò per la prima volta attrazione per un'altra donna. Lui non tradì la moglie: si rifiutò di seguire un impulso che avrebbe rovinato la sua famiglia e tentò invece di coltivare ciò che aveva avuto con Anna. Lei non seppe mai dei pensieri di lui, ma intuì il bisogno con cui Jamie la stava cercando e vi rispose. Una vacanza insieme ridiede loro unione, felicità - e un'altra bambina.

Tre anni dopo, Anna non era più felice al lavoro. Amava i suoi figli e apprezzava avere un compagno presente in Jamie, ma loro due erano sempre più diversi. A trent'anni lei sentiva di essere una persona che aveva compiuto scelte troppo importanti prima ancora di sapere cosa voleva, o chi era. Man mano che passava il tempo, Anna scopriva di essere più determinata e testarda di quello che aveva pensato, molto meno paziente di Jamie. Lui le sembrava lento nel prendere decisioni, troppo prudente. Non era entusiasta come lei davanti alle sue nuove prospettive di carriera, anche se la appoggiava. Guardando le amiche single, senza responsabilità e legami, Anna cominciò a desiderare la loro vita come un pensiero lontano, che sapeva di non potersi concedere. Era cresciuta senza genitori e per lei essere una buona madre per i suoi bambini era indispensabile. Una buona madre si concentrava sulla famiglia, pensava, non su se stessa. Ogni tanto, senza secondi fini, Anna flirtava con uomini carini, solo per sentirsi speciale. Il gioco le sfuggì di mano il giorno in cui prese una vera cotta per un collega al lavoro.

Ami mise giù il libro.

C'erano troppi indizi per non capire come sarebbe andata a finire, ma continuò a leggere.

Anna si tormentò per settimane per quell'attrazione senza senso, che non riusciva a scacciare. Il collega non la aiutava: era un uomo gentile, che non voleva avere a che fare con una donna sposata, ma... capiva Anna. La faceva ridere, arrivava al lavoro presto solo per avere qualche minuto per parlarle. Erano emozioni assenti nel rapporto tra lei e Jamie, da molto tempo.

Nella sua frustrazione Anna litigava con Jamie per nulla, senza riuscire a esprimersi. Lui non capiva, sapeva solo che non era quella la vita che aveva desiderato, con una moglie con cui non era più capace di comunicare. Quando infine lo fecero, la discussione degenerò. Anna si lasciò sfuggire che provava qualcosa per un'altra persona e Jamie le gridò contro che lei non aveva diritto di sentirsi in quel modo, visto che per la loro famiglia anche lui aveva rinunciato a-... Fu devastante per entrambi farsi tanto male. Non si era mai odiati in quel modo.

Rimasero insieme e Anna cambiò lavoro. Tuttavia, qualcosa si era incrinato tra loro due. I bambini erano la loro luce, il momento in cui erano felici in famiglia. Ma quando i piccoli non c'erano... Fu Jamie a prendere la decisione di andare via di nuovo, per un weekend da trascorrere da soli, tra adulti. Furono due giorni in cui scoprirono di avere interessi diversi su molte cose, troppe - a tal punto erano cambiati nel tempo - ma soprattutto... si cercarono, sì, ma si trovarono solo come genitori. Erano in pace quando pensavano alla loro famiglia, non a loro due come coppia.

Anna era cresciuta in un istituto, affidata negli anni a diverse famiglie. Per lei darne una ai propri figli era tutto, non avrebbe mai distrutto quella che aveva creato con Jamie. Ancora riusciva a pensare a loro due e ai bambini come a un'entità unica negli anni. Voleva passare i natali insieme, invecchiare con lui, persino senza passione, anche se erano tanto cambiati da quando si erano... amati, pensò. Anna giunse alla conclusione che il suo amore era finito quasi senza rendersene conto, soffrendo. Voleva ancora bene a Jamie: erano amici, si erano sostenuti per tanto tempo.

Un giorno lui aprì un album di loro vecchi ricordi. Vide il sorriso di Anna, gli oggetti che simboleggiavano tutti i sogni e le speranze che lei aveva avuto. Quella ragazza era diventata una donna senza luce, che cercava con tutte le sue forze di fare la cosa che credeva più giusta - per tutti tranne che per se stessa. Quella sera Jamie le disse... 'Voglio il divorzio'.

Ami sgranò gli occhi. Respirò male.

«Ehi.»

Sollevò lo sguardo.

«Che cosa hai letto?» le domandò Alexander.

«È....» Non seppe come spiegarlo. Deglutì e sbatté le palpebre.

Lui chiuse il proprio libro. 

«I personaggi si stanno lasciando. Dopo dieci anni di matrimonio.»

Alexander fece una mezza smorfia. «Per un tradimento? Alla fine era un dramma.»

«No, non- Non si sono mai traditi, anche se...» Avevano voluto farlo. «È triste vedere che si vogliono ancora bene. Solo... non si amano più come un marito e una moglie.»

La frase attirò l'attenzione di Alexander. «Perché?»

L'autore era stato bravo a spiegarlo senza nemmeno tentare di farlo, semplicemente limitandosi a descrivere i molti anni di vita comune. «Sono cambiati. Erano troppo giovani quando si sono sposati. Si amavano e pensavano di sapere come sarebbe stata la loro vita insieme. Si sono impegnati per continuare a essere una coppia, ma stava diventando uno sforzo, anno dopo anno...»

«Come possono essere cambiati tanto?»

«Erano già diversi in alcune piccole cose, però... è la vita che li ha cambiati. Il tempo. Hanno scoperto cose che non sapevano di volere.»

Ad Alexander il discorso non piaceva. «Non erano giusti l'uno per l'altra, sin dall'inizio.»

«Lo sembravano» rispose Ami. O lei non avrebbe sofferto tanto nel sentirli separarsi lentamente, inesorabilmente. Da principio li aveva visti così vicini...

Lui abbassò la gambe a terra, tirandole giù dalle sedia. «È solo un libro. Perché sei tanto triste?»

«Racconta in maniera reale di cose che possono accadere davvero a una coppia.»

Alexander era quasi arrabbiato. «Quelli non saremo noi.»

Per lei fu come una scossa. «Non mi stavo... immedesimando.»

«Non sarebbe stato il passo successivo?»

Sì. E avrebbe molto riflettuto su quello che aveva letto, però... Però....

Lui era sempre più deciso. «Noi siamo noi. Sappiamo quello che vogliamo.»

Come i personaggi del libro, pensò lei. Come tante giovani coppie al mondo che prendevano decisioni ingenue, solo per un amore purissimo che nell'inesperienza sembrava valere più di qualunque buon senso. In fondo, su quelle pagine lei non aveva letto nulla che non si fosse già domandata da sola.

Si alzò dal letto mentre Alexander si tirava su dalla poltrona, per raggiungerla. Lui le prese il libro di mano e lo chiuse sul comodino, la bocca una linea dritta di impazienza. Lei lenì la sua infelicità con un bacio sulla guancia, proseguendo fino alle labbra.

«Quello che provo per te non cambierà mai.» Con tutto il suo essere, ne era sicura. Non c'era ragione che volesse seguire su questo, o di cui le importasse qualcosa. Tra molti anni la situazione poteva cambiare, lui poteva diventare una persona nuova, ma... l'amore che provava lei non sarebbe svanito, né sarebbe sfumato. Tra decenni o secoli, incontrandolo in una stanza, avrebbe ancora sentito una scossa al solo guardarlo perché... sì. Perché questo era Ami Mizuno, in relazione ad Alexander Foster. Ami lo sapeva, lo sentiva. Non aveva idea di come sarebbe cambiato Alexander, ma... lei era una persona viva e forte nell'amarlo. E lo avrebbe lasciato andare se un giorno lo avesse visto desiderare un'altra vita.

Lui scuoteva la testa. «Quando ti metti a riflettere su queste cose con tanta concentrazione... sembra che tu ti stia preparando a vederle succedere. È come sentirti fare un passo indietro.»

«No.»

Lui le afferrò le braccia. «Voglio che tu ci creda, Ami. Anche per me non cambierà mai niente.»

Ma lei credeva all'intensità di quella promessa, alla sua sincerità. Era folle e bello sentire di poter fare progetti per mille anni sulla base di un amore presente che entrambi sentivano immenso. Logica, ragione... ci avrebbero pensato a tempo debito. Il presente la rendeva euforica al solo pensarci. «Mi piace baciarti.»

Lui allargò gli occhi. «Stai cambiando discorso.»

«No.» Regalò a entrambi un bacio giocoso, breve e dolce. «Penso che sono fortunata a poterlo fare. Non voglio smettere mai.»

Alexander perse tensione nelle spalle. «Non dovrai farlo.» La abbracciò e all'orecchio Ami udì altre meravigliose promesse, sogni che diventavano realtà in parole.

Le offrì di rimando, senza fermarsi, senza limiti. Si chiuse con lui in un cassetto del tempo, riempiendolo di tocchi, odori, della sensazione di loro due che stavano insieme in ogni maniera possibile.

Lo strinse forte mentre si muovevano l'uno sull'altra, guardando con più attenzione le pagliuzze di colore nei suoi occhi, assorbendo i diversi sapori della sua bocca. Memorizzò gli ansiti che generava con le proprie carezze, notò i differenti timbri, le pause deliziose, strappate al piacere.

Sognava di avere tutto per un millennio. Non avrebbe mai smesso.

Alla fine, si ritrovò sdraiata, senza vestiti, a guardare Alexander che dormiva a labbra aperte, esausto.

Era più forte di lui: non gli riusciva quasi mai di restare sveglio. 

Sorridendo, gli scostò i capelli dalla fronte, passandogli le dita tra le ciocche.

Con serenità riprese il libro che aveva abbandonato e tornò a leggere.

Accettò la conclusione della storia: era il racconto di un amore che svaniva e di due persone che riuscivano a volersi bene ugualmente, nonostante la separazione, senza recriminazioni, lasciando andare lentamente il dolore.

Nell'epilogo, Jamie e Anna erano divorziati da due anni. Lei aveva trovato un nuovo amore, lui usciva con una vicina di casa. La domenica passavano il tempo insieme, con i loro bambini. Al parco giocavano a pallavolo. Dopo una bella battuta, i due si scambiarono un cinque - amici e complici come quando si erano conosciuti.

Il testo si chiuse sulla parola 'fine'.

Ami inspirò a fondo, chiuse il libro. Lo mise da parte e prese in mano il volume di Alexander. Accucciandosi vicino a lui, iniziò a leggere la storia di un uomo complicato che scopriva quanto era illogico e unico l'amore.

Anche lei voleva crederci.
 

5 gennaio 1997 - Letture - FINE

  


 

NdA: Mentre buttavo giù questa storia mi sono chiesta più volte se avesse senso scriverla. Voglio dire, potevo dire che Ami aveva letto un libro simile anche senza raccontare l'episodio specifico, ma desideravo che si capisse, che si sentisse, cosa aveva provato lei. Non sono paure a cui Ami sta decidendo di dare importanza adesso, ma questo libro, nella sua testa, andrà a formare un quadro generale che spiegherà meglio l'atteggiamento che lei terrà nel giro di qualche mese.

Per ora... basta. Vorrei davvero che questa ragazza fosse più rilassata. Oddio, nel capitolo di San Valentino, che dovrò rivedere, Ami è in fissa con lo studio, ma voglio davvero farla sciogliere, perché altrimenti sembra che lei viva in un perenne stato di ansia con Alexander dopo Verso l'alba, e non è così.

Il libro su Jamie e Anna l'ho inventato. Devo aver letto nel tempo qualcosa che mi ha dato sensazioni molto simili, ma non ho titoli che mi siano rimasti in mente. Invece il libro che legge Alexander esiste davvero, è un testo carino, una commedia romantica. Si chiama 'The Rosie Project' di Graeme Simsion. Esiste anche in italiano. È uscito molti anni dopo il momento che sto raccontando in questa storia, ma passatemi la licenza poetica.

 

Grazie per aver letto :) Spero di essere riuscita a trasmettere le sensazioni che volevo.

 

Elle

 

P.S. Ho due pagine Facebook: una dedicata a Sailor Moon in generale, dove posto opinioni e immagini (Oltre le stelle saga), e un gruppo in cui parlo esclusivamente delle mie fanfiction con i lettori che mi seguono - Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

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Capitolo 5
*** 14 febbraio 1997 - San Valentino scordato ***


per istinto e pensiero 5
 

 

 

Per istinto e pensiero

di ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

  

 


  

14 febbraio 1997 - San Valentino scordato

    

Il sole che tramontava sugli occhi chiusi, i pantaloni che si sporcavano sull'erba fredda, il peso di lei sulle ginocchia. Le braccia attorno alla vita sottile che riusciva a chiudere in una stretta sola - mille, se avesse potuto. Il primo di tanti baci, anelli di una catena deliziosa che li avrebbe tenuti insieme.

Ami love, stringimi forte anche tu. Cadi con me, sii folle come me.

Guardandola negli occhi Alexander aveva calcolato il tempo dei loro respiri che si fondevano piano, sino ad amalgamarsi.

«Passiamo sempre così San Valentino» le aveva detto, felicità e incertezza nelle gambe che non lo reggevano in piedi. Con lei sarebbe rimasto sdraiato in quel lembo di terra, nel momento perfetto su cui voleva scommettere tutto il proprio essere.

Prolungherò questo attimo, niente cambierà mai.

«Passiamo San Valentino insieme» aveva pregato, patetico e bisognoso senza vergognarsi. «Fino alla fine dei nostri tempi.»

La meraviglia di Ami lo aveva riempito di un altro grammo di sicurezza, certezze che si andavano costruendo dentro di lui giorno dopo giorno, lentamente.

Aveva creduto di sapere tutto allora.

Non posso amarla di più. Non posso essere più felice di così. Qualunque cosa accada, noi staremo sempre insieme.

Era il 14 febbraio 1996.  

Era passato un anno intero da quel giorno e diavolo se era divertente. Oggi si rendeva conto di non aver saputo niente a quel tempo, di Ami o di se stesso.

E prima di incontrarla...

Sei disposto a pensarti per sempre legato a una sorta di aliena con superpoteri?

Avrebbe risposto di no.

Pensi di poter vivere mille anni con lei?

Nemmeno per sogno, l'immortalità era un desiderio riservato agli idioti.

Forse l'hai messa incinta.

Damnfuckshit. Fregato per l'eternità, si sarebbe rassegnato alla responsabilità come all'idea di andare sul patibolo.

Hai all'incirca altri tre anni di tempo prima che la tua vita come la conosci ora sia finita per sempre.

Sono fuori di qui, è stato bello volerti bene.

La persona che era stato un anno prima sarebbe stato deciso nel dare quelle risposte. Almeno, prima di dare un'occhiata ad Ami.

Gli sarebbe bastato quel momento per vacillare su ogni singolo punto, ma la realtà si era rivelata molto più assurda di quell'ipotesi: cinque minuti dopo aver saputo che Ami era un essere millennario, si era convertito alla causa della vita secolare. In meno di minuto aveva disdegnato la natura Sailor di lei come poco importante, ininfluente, ma su ciò poteva aver influito il rapimento subito da Ami - forse. In seguito, aveva impiegato più o meno un quarto d'ora di sudori freddi a dirsi che a vent'anni poteva diventare padre senza farne una tragedia.

Col passare dei giorni, i suoi tempi decisionali si erano accorciati invece di allungarsi. Aveva già saputo che Ami sarebbe diventata la guardiana di un nuovo regno che avrebbe sovvertito l'ordine politico mondiale. Pertanto, avere coscienza che ciò sarebbe accaduto agli inizi dell'anno duemila - o poco prima - era equivalso semplicemente a fornirgli un'utile tabella di tempistiche. Nell'immediato non aveva offerto alcuna risposta ad Ami né lei gli aveva fatto domande in merito: naturalmente erano d'accordo sul da farsi, lo avevano capito entrambi in meno di un secondo.

Così erano arrivati al giorno di San Valentino dell'anno 1997, entrambi impegnati a uccidere ogni grammo di momento libero sui libri - Ami a studiare medicina ancor prima di aver iniziato l'università e lui a buttare giù una tesi di laurea con un anno di anticipo. Tutto per il loro futuro, tutto per il loro amore.

Era ironico, diabolicamente divertente. Ora si sarebbero meritati San Valentino, ora avrebbero dovuto festeggiarlo, ora lui sentiva di amarla come mai in vita sua.

Invece, erano le dieci di sera del 14 febbraio ed Ami... Ami si era dimenticata che giorno era.

L'ultima volta che era stato tanto depresso aveva avuto sette anni. Si era rotta la piscina gonfiabile della casa a Izu e ci era affogato dentro Baldios Robot. Una giornata da dimenticare.

«Ho bisogno di concentrazione.»

La voce di lei, esasperata, gli risuonava ancora in testa.

«Me lo hai detto, Ami. Ma non puoi studiare venti ore al giorno, sette giorni su sette.»

«Dovrò imparare, non c'è più tempo. Non vedi che non...» Lei aveva sospirato profondamente. «Alexander.»

Il suo nome, come un peso da sopportare.

«Mi manchi anche tu, ma non stiamo giocando. Dove finiremo in futuro se non riusciamo a essere tenaci adesso?»

«Un'ora in meno di studio non ti toglie testa. Te la ridà.»

Lei aveva deglutito e si era rifiutata di guardarlo. «Ho fatto dei calcoli. Non ce la farò se entro due mesi non sono preparata a sostenere almeno tre esami.»

Lui aveva evitato di dirle che nel giro di due mesi lei avrebbe messo piede all'università da nemmeno tre settimane, senza avere alcun esame da sostenere. Ami si era data una tabella di marcia stretta fino all'inverosimile per i mesi che seguivano, senza darsi pause.

«Questi testi danno per scontato che io abbia basi che mi mancano; devo colmare le mie lacune in libri che non conosco. Non so nemmeno dove trovarli.»

«Le prime lezioni ti aiuteranno.»

«Ma per allora io dovrò essere già molto più avanti.» Le mani con cui massaggiava la tempia si erano fatte nervose. «Forse questa è una pazzia e tra un mese mi sarò arresa, ma... Aiutami. Ho bisogno di tempo per studiare, senza distrarmi. Devo capire se ce la posso fare.»

Quando lei aveva preso la decisione di portarsi avanti con lo studio era stata molto più serena e ottimista. Alexander capiva perché ora Ami fosse inquieta: si era scontrata con la realtà della mole di preparazione che doveva assimilare in poco tempo. Non era un caso se la facoltà di medicina era difficile già tentando di superarla in tempi normali. Ami voleva accorciarli di tre volte - un'impresa.

Lui si rendeva conto che, per gli obiettivi che lei si era data e per la sua tranquillità futura, Ami doveva capirlo da sola. Questo non significava che lo stress a cui si stava sottoponendo lo vedesse concorde. Aveva anche creduto che lei non sarebbe arrivata al punto di non volersi prendere nemmeno un'ora libera - giusto un momento da dedicargli, proprio quando lui glielo stavo chiedendo.

«Allora ci sentiamo tra un paio di settimane. O quando vuoi tu.» Risentito, se n'era andato dalla casa di lei.

Erano passati dieci giorni da allora. San Valentino aveva colto di sorpresa anche lui quella mattina.

"Cioccolatini per il vostro amato! Prezzi e formati per tutti da Moe-chan!"

Il jingle della pubblicità alla televisione aveva iniziato ad avere un senso solo dopo la seconda fetta di pane e marmellata, tra equazioni sulle distorsioni dimensionali e formule che tentavano di dare concretezza al concetto di teletrasporto. Il computer di Ami aveva la sua risposta, ma il punto era arrivare a quelle formule tramite sistemi conosciuti ai comuni mortali, metodi che potessero essere presentati in una ricerca da stampare su carta. Lui stava tentando di studiare la questione da uomo comune, immergendosi in un oceano di Fisica.

"San Valentino è qui! Cioccolatini per tutti i gusti, oggi in un formato esclusivo!"

Si era ripreso così, gli occhi fissi sulla tv.

Fino a mezzogiorno era rimasto a studiare, depresso.

Dov'era finito l'entusiasmo dell'anno prima, quando avevano parlato di San Valentino insieme per giorni? Allora era stata Ami a chiamarlo, per chiedergli che dolce preferiva.

Alexander alzò il telefono e si ritrovò con poche parole in bocca. «Buon San Valentino.» Parlò con la segreteria telefonica, Ami non rispondeva. «Se più tardi sei libera, sono qui.»

Incredibile non sentirsi nemmeno libero di chiederle di uscire insieme quella sera.

«Devo studiare.» Non una risposta data in quel momento, ma parole ripetute in continuazione nelle ultime settimane.

Forse quell'obiezione sarebbe valsa anche per il giorno di San Valentino, la prova suprema che lui era in grado di rispettare le sue decisioni.

Crudele come test.

A Gen Masashi, al telefono quella mattina, Alexander aveva detto che lui ed Ami si sarebbero visti quella sera. Non una bugia, ma una speranza conservata per tutto il giorno.

Di sera aveva deciso di non aspettare più e l'aveva chiamata, di nuovo. Il telefono portatile era spento e a casa lei non c'era.

Perciò era quella la loro nuova vita? Tre anni spesi a lavorare per un'esistenza di cui non avrebbero potuto usufruire, prima di essere perennemente impegnati in compiti che non volevano, in ruoli che sarebbero stati una gabbia, in un'immagine che avrebbero dovuto a tutti i costi mantenere? Lui non si faceva illusioni: forse il suo ruolo sarebbe stato quello della statua, ma nella situazione che si sarebbe venuta a creare persino la statua doveva essere impeccabile, priva di una vita personale, con ogni pensiero votato a cause comuni. Per Ami sarebbe stato mille volte peggio.

Scappiamo, love.

Avrebbe voluto dirlo se non avesse visto di cosa lei era capace. Ami non voleva fuggire dalla propria vita: prima di entrarci, voleva solo del tempo che non aveva e che nessuno poteva darle.

E lui?

Sul suo futuro prossimo aveva una nuova idea: nessuna specializzazione. Non solo non frequentare, ma nemmeno iscriversi al corso. Solo una possibilità per ora, con sempre più concretezza. Mille dannati anni di vita dovevano pur servire a rimandare obiettivi che nel tempo sarebbero stati perfettamente raggiungibili. Gli studi di Fisica non scappavano, a fuggire erano solo i tre anni - ormai circa trenta mesi, poco ma sicuro - di vita normale e vera, che si sarebbe ripreso solo tra qualche decennio.

Voleva ancora scappare, continuamente.

La sensazione spariva quando Ami era con lui, ma a lei non l'aveva detto. Era da deboli. Doveva gestire da solo le decisioni sul proprio futuro, convincendosi che, anche se non era come Yuichiro Kumada e non aveva poteri, il destino che si era scelto era davvero una sua decisione che poteva andare oltre Ami, che poteva esistere a prescindere da lei.

Tuttavia, era una colpa pensare alla bellezza degli anni '97, '98, '99, ancora tutti da gustare ?

Voleva trovare un lavoro, una casa, mantenersi da solo, studiare Fisica come poteva e... altre cose, che dipendevano da Ami.

Per quel giorno, gli sarebbe bastato tornare indietro a un anno prima, con la testa piena della consapevolezza dell'anno appena passato. Dietro il cespuglio nel parco dell'università, su un divano, all'aperto - il luogo non importava. Voleva solo un abbraccio, qualche bacio. È stata dura, ma ce l'abbiamo fatta. Per quello che abbiamo qui, tra noi, ce la faremo anche per i prossimi mille anni. Ne è già passato uno. È stato bello, vero?

Nonostante tutto, lo era stato.

Non avrebbe scambiato con nulla i mesi trascorsi ad agognare i lembi di pelle che spuntavano da gonne e magliette, i sorrisi imbarazzati che promettevano con innocenza intimità deliziose, le ore infinite di discussione che lo avevano fatto sentire come un puzzle che aveva trovato il proprio pezzo mancante. Tempi immaturi, belli.

Non voleva tornare indietro nemmeno sul dolore dei giorni in cui aveva pensato di poter perdere Ami - era diventato adulto, lui assieme a quello che provava, soprattutto in seguito a quelle esperienze.

Ci sarebbe voluto un abbraccio in quel momento, una notte intera per festeggiare.

Dove sei, love, quando mi servi?

Era un bel modo di scherzare. Glielo avrebbe proposto il giorno dopo, quando andando da lei si sarebbe preso i suoi abbracci, i suoi baci, un po' di quell'amore che voleva. Sarebbe stato abbastanza: era adulto ora, poteva aspettare.

Magari sarebbe riuscito a farsi dire da lei cosa c'era davvero che non andava. Tutta quell'ostinazione non era normale.

Esausto, si alzò dalla sedia.

Si allungò con le braccia verso il soffitto e le articolazioni provate delle sue spalle scricchiolarono. Vestito, si diresse in camera da letto e si buttò sul materasso.

Una giornata da dimenticare.

La tristezza svanì nel sonno.

Col buio, venne la promessa di un mattino per ricominciare.

  


  

Ami sentiva gli occhi doloranti, la gola secca. Non si dava neppure un momento per prendere un bicchiere d'acqua, il sorso era una distrazione.

Mancavano due pagine alla fine del capitolo e del libro. Un ultimissimo sforzo, coraggio.

«Mizuno-san?»

In quei giorni si era riempita la testa di talmente tante nozioni che ricordare il nome del ragazzo che le stava parlando risultò impossibile. Lui era uno studente universitario del primo anno, molto gentile, che le aveva fornito indicazioni sui libri di testo da acquistare per i suoi studi. Come lei e Alexander, era un ragazzo che si impegnava moltissimo nello studio. Rimaneva spesso nella biblioteca fino a tarda ora, ma fino a quel momento era sempre stata lei a disturbarlo, iniziando una conversazione.

Lui le stava offrendo un sorriso cordiale. «La biblioteca sta per chiudere.»

Oh. Già le undici?

Guardò l'orologio e fu costretta a rassegnarsi: avrebbe terminato la lettura del libro sull'autobus, le fosse costato anche dieci mal di testa.

«Pensavo che oggi saresti andata via prima.»

Lei cominciò a raccogliere i libri. «Riposo un po' solo di domenica, sabato è una giornata come le altre.»

«No, intendevo dire...» Udì un sorriso, senza vederlo. «Allora non hai un ragazzo.»

Il cambio di argomento la portò ad aggrottare la fronte, l'attenzione rivolta all'ordine dei libri dentro la cartella in cuoio delle superiori - continuava ad avere quella, forse avrebbe dovuto comprarne un'altra. «Non capisco.»

«Visto che oggi era San Valentino, penso che qui in biblioteca sia venuto solamente chi è solo come noi. Voglio dire, non solo, ma senza qualcuno di speciale che-»

Ami non lo sentì più. In testa le era suonato un campanello. Il timbro sordo le aveva riempito il cervello, lasciandola stordita e ignara.

La sua mente riprese a funzionare. San Valentino.

Il ragazzo stava ancora parlando. «Non volevo insinuare che tu non abbia nessuno. Anzi, in verità volevo chiederti, se non sono troppo sfacciato, se non ti da fastidio...»

Oh no.

No, no, no! «Scusa, devo andare!»

Corse in bagno e si chiuse in una cabina. Si dimenò nella giacca fino a esplorare tutte le tasche, pregando con tutta se stessa di aver portato la penna di trasformazione con sé.

La trovò in fondo alla cartella, graffiandosi le mani con gli angoli rigidi delle copertine dei libri.

Non riuscì a pronunciare la formula di trasformazione.

Cosa gli dirò? Come potrò-? Le mancò il respiro. Le parole per diventare Sailor Mercury le sfuggirono dalle labbra, un'invocazione necessaria.

Con le mani ricoperte dai guanti del costume, affondò il viso nel palmo delle mani.

Era un essere meschino! Come aveva potuto...? Come aveva potuto lui!

Ricordò il telefono portatile. Lo aveva lasciato scarico sulla scrivania, a casa.

Era tutta colpa sua.

Tremando, si impose concentrazione. Il teletrasporto ne richiedeva molta per funzionare e mantenere intatto un corpo umano durante lo spostamento; doveva arrivare intera da Alexander, per permettergli di farla a pezzi con lo sguardo. O forse si sarebbe rotta prima.

Mi sono dimenticata di San Valentino!

Dopo l'anno prima, dopo tutto quello che si erano detti!

"Staremo sempre insieme. I love you constantly, deeply."

Quante parole vuote se poi l'anno successivo lei arrivava persino a dimenticarsi che-

Riaprì gli occhi a casa di Alexander. Si sentì un blocco di ghiaccio mentre squadrava i dintorni del salotto. Era vuoto, non c'era nessuno. Si diresse piano verso il corridoio. Notò l'ora sul display dello stereo. Dieci e cinquanta.

Trovò Alexander nella propria stanza, che dormiva su un fianco, le spalle rivolte a lei.

Sciolse la trasformazione tra lacrime silenziose.

Pianse per il suo errore imperdonabile, per la giornata che avevano perso, per la frustrazione accumulata da settimane. Si impose un poco di forza, la dignità necessaria a farsi colpevolizzare come meritava. Andò verso il letto, abbandonando scarpe e giacca lungo il cammino.

«Alex.»

Lui non si svegliò.

Lei abbracciò la sua schiena e rimase a stringerlo, cullando il suo sonno.

Non le bastò. «Alex.» Lo scavalcò fino ad abbracciarlo da davanti.

Sentì l'inizio del risveglio di lui, nella penombra che non era buio completo.

Il suo nome fu un'esclamazione muta, calma.

Lei salì ad accarezzargli il viso, si allungò sul letto fino a premere forte la bocca sulla sua guancia.

«Ehi.»

Una sillaba felice e si ritrovò spezzata. «Mi dispiace.» Scosse la testa, non smise più.

Due braccia la avvolsero per intero, dalla schiena fino alla nuca. «Sei arrivata.»

«Mi sono dimenticata, come una stupida. Scusa, scusami tantissimo...»

«Hai guardato la tv?»

La domanda concreta, un sussurro privo di malinconia, la confuse. «No.»

«Me l'ero dimenticato anche io. Mi ha salvato la pubblicità.»

Quella per lei non era una giustificazione. «È stata colpa mia.»

«È ancora il quattordici febbraio?»

Lui le stava impedendo di sfaldarsi, quando lei ne avrebbe avuto bisogno per riscostruirsi, per dargli tutto quello che aveva dentro e che gli apparteneva.

Per ricordarsi la risposta, dovette pensare un momento. «Sì, sono le... sono ancora le undici.»

«Allora non scusarti. Rimanda a domani, vieni qui.»

Non andò da nessuna parte perché si stavano già abbracciando. La stretta si fece magnificamente soffocante.

Ami sistemò il mento sulle spalle di lui per poter respirare. Cercò di inglobarlo contro il petto. «I love you» gli disse.

Mancò una risposta a parole, ma le labbra che la adorarono sulla fronte, sul naso, la fecero sentire in una culla perfetta, amore e nient'altro che la bellezza della vita.

«Mille meno venti circa» lo sentì sussurrare. «Moltiplicato per trecentosessantacinque.»

«I love you.»

«Sì, ma vinco io. Lo dirò almeno altre trecentosessantamila volte nei prossimi mille anni, San Valentino compresi. Autorizzami a rapirti ovunque ti troverai la prossima volta, così non soffriremo più.»

Era venuta a mancarle la facoltà della parola: aveva un grosso nodo alla gola, che le permetteva solo di scoppiare di felicità contenuta, senza urli, senza dimostrazioni.

Alexander lo sapeva. Annuì. «Ma ti ho presa già adesso.» Il respiro di lui bruciò dolcemente sulla sua nuca. «Ti tengo sempre con me, sei d'accordo?»

Lei gli scostò la frangia dalla fronte, provò a cercare maggiori segni di coscienza. «Hai sonno?»

«Muoio di sonno. Anche tu, Ami love.»

Lei non voleva nemmeno negarlo. «Sdraiati sul mio petto.» A lui piaceva dormire lì.

«No, oggi ti stringo io. Non c'è scampo.»

«Non lo cerco.»

«I love you too.»

Lo ripeté anche lei. E dormirono.

   

La mattina successiva il risveglio sotto le coperte fu caldo, scomodo per via dei vestiti, dolce per la vicinanza, poco romantico nei risultati. Eccitante, almeno per lui.

«Avrai già capito che non lo faccio apposta» le disse Alexander. Non era pentito. Sorrideva cercando di tenere gli occhi chiusi, aperti su una fessura solo per guardarla. «Succede quando mi sei vicina e sei stata lontana a lungo.»

«Tu mi sei mancato molto.»

Lui non le chiese perché non avesse mollato tutto prima, precipitandosi a trovarlo. Non parlarono, si baciarono un poco, assaggiandosi come fiumi d'acqua che si incontravano alla foce, mergendosi.

Infine si spogliarono, finendo solo col toccarsi. Mancavano della protezione che avrebbe mantenuto le loro vite difficili calme ancora per qualche tempo, per quanto già poco lo fossero. Alexander non le permise di alzarsi e non lo fece nemmeno lui. Si toccarono con mani che si scoprirono a vicenda nuovamente, dita che crearono brividi e carezze. Anche quando il bisogno divenne più grande, lo saziarono senza muoversi dal letto, senza neppure sporgersi verso il comodino.

Alla fine, lei lo sentì dire, «Però tra poco round two.»

Scoppiò a ridere. La sua mente si sciolse, si aprì.

«Ami... Perché?»

Lei non si irrigidì. Protesse il petto scoperto premendolo contro quello di lui. «Sono stata ingenua. Ero così piena di entusiasmo quando ho cominciato a studiare... ma ho tantissimo da imparare. Troppo.»

«Fai solo ciò che puoi.»

«Lo so, ma è come arrendermi. Alla fine, non solo non diventerò medico, ma non mi avvicinerò nemmeno ad esserlo.» Nel dirlo, si accorse fino a che punto avesse tentato di dimenticare quanto il suo piano di contingenza fosse irrealizzabile. «Tre settimane di follia per accorgermi che stavo tentando di risalire una cascata come se volassi.»

«Avrai il tuo futuro, Ami. Un giorno...»

«Sì, è una rinuncia di adesso. Volevo solo raggiungere qualche traguardo come Ami prima di... E poi ci sono cose che non posso rimandare con te. Che non voglio.»

La risposta di lui fu un cenno di assenso minuscolo, riflessivo.

«Dopo aver fatto i calcoli delle tempistiche per il mio studio, ho finito per tentare di programmare anche... il resto. Per capire se avremmo avuto il tempo.»

Alexander capì, concordò. «Trentaquattro mesi al duemila. Un margine di sicurezza di almeno quattro mesi da considerare - hanno detto che la guerra si scatenerà entro la fine dell'anno, non il 31 dicembre del 1999. Abbiamo perciò trenta mesi, a cui vanno tolti i nove necessari. Meno dodici perché dobbiamo avere tempo per noi, almeno fino al prossimo anno. Meno un numero ignoto di mesi di tentativi che potrebbero non avere alcun risultato. C'è da considerare anche questa possibilità.»

Esatto. Il calcolo crudo del loro prossimo futuro si riduceva a meno di trenta e qualcosa mesi in cui far rientrare una vita che avrebbe dovuto dipanarsi in un tempo di almeno dieci volte superiore. Ma non c'era scelta.

Entro il duemila, secondo Rei, secondo Usagi, secondo Mamoru, secondo Michiru... Game Over. Tutte quante avrebbero liberato il loro potere planetario nel diventare guardiane del nuovo regno terrestre ed Ami Mizuno avrebbe smesso di essere una terrestre comune, di avere un fisico umano semplice e il tempo concesso a una persona normale. Da ciò derivavano costrizioni che la facevano sentire come su un tapis-roulant da cui non poteva scendere.

«Hai deciso di non ucciderti più di studio?» fu la domanda di lui.

«Studierò tanto. Meno.» L'errore di quel giorno - arrivare a dimenticarsi fino a quel punto del resto della sua vita, di lui - era stato come un segnale d'allarme.

Alexander annuì. «Allora penso che la cosa migliore che possiamo fare è... vivere come abbiamo fatto finora. Per il resto rimaniamo fermi sull'anno, fino a... San Valentino prossimo?»

«Capodanno. Gennaio.»

«Per quando sarò tornato dagli States» intuì lui. «Va bene.»

«Tu non sei... oppresso?»

Lo vedo riflettere solo per un attimo. «La ricerca sul teletrasporto... sai che non so nemmeno se la presenterò? Se arrivo a mostrarne i principi, faccio cambiare questo mondo prima del tempo. Forse presenterò solo risultati parziali, quello che conta è... la passione. Questo studio che sto svolgendo, gli altri che seguiranno... era per scoprire cose come queste che volevo studiare Fisica.»

Lui si stava realizzando, capì lei. Un dono, in mezzo a tutto il resto.

«Per le altre cose che riguardano entrambi... l'importante è sentirci pronti.»

Ami non ebbe il tempo di sentirsi male per non esserlo quanto lui: Alexander la prese la faccia tra le mani. «Ehi, there. Non pensarci per tutto un anno. E se ci pensi, ricordati che le costrizioni che pensiamo di avere.... ce le stiamo mettendo da soli.»

«Ma io voglio Adam.» Solo che sentirsi costretta ad averlo nei successivi trenta mesi... La costrizione temporale dettata dalle circostanze era il suo unico vero problema.

Alexander aveva preso a guardare il soffitto. «Guarda che potrebbe essere anche Adama. Non la chiamerei Eve; secondo una mia breve ricerca - frutto di esperienza personale - le Eve sono belle ma capricciose, vanitose, incentrate su se stesse...»

«Come te.»

La risata silenziosa di lui la fece nascondere sotto le coperte. Lì sotto lottarono per un po' prima di finire con la bocca l'uno sull'altro, le labbra dolcemente tumide dal troppo cercarsi.

Giorno per giorno, concluse Ami. Per quel giorno doveva solo farsi perdonare la mancanza di San Valentino.

Il giorno seguente sarebbe tornata a scuola - una delle ultime settimane come studentessa delle superiori - e sì, la sera avrebbe anche proseguito negli studi di Embriologia.

Tempo al tempo. Muovendosi giorno per giorno, non ci sarebbero stati trenta mesi né tre anni di attesa, bensì solo lei, solo Alexander, solo tutte le persone a cui voleva bene.

E il Game Over che tanto temeva in futuro, tra vent'anni, tra qualche secolo, le sarebbe sembrata solo una tappa. Il momento in cui tutto era cominciato.

   

14 febbraio 1997 - San Valentino scordato - FINE

 


 

NdA: Questo capitolo era stato pubblicato nella raccolta 'San Valentino', che poi ho deciso di scorporare, avendo creato raccolte per ciascuna coppia. Inizialmente era stato scritto nel marzo del 2012. Tre anni dopo ho creato molte altre storie contemporanee a questo periodo per Ami e Alexander e ciò che inizialmente avevo compattato in questo unico capitolo - la decisione di avere Adam, lo stress del troppo studio - sono stati poi concetti che ho sparso in diverse one shot. Perciò, per evitare troppe ripetizioni e mantenere logico l'atteggiamento di Ami e Alexander nel tempo, ho cambiato alcune frasi e dialoghi di questa storia. La modifica è stata meno sostanziale di quello che pensavo.

Devo ammettere che credevo di aver scritto peggio questo capitolo. Per essere una cosa che ho concepito tre anni fa, era fatta bene (<- piccolo momento di orgoglio da scrittrice. Più passa il tempo da quando scrivo una cosa più riesco a valutarla come se non l'avessi scritta io).

Naturalmente solo voi lettori potete dare un giudizio e dirmi sia cosa pensate del capitolo, sia come si inquadra in questa raccolta dedicata a Ami e Alexander.

Solo una cosa: posso promettere che d'ora in poi lei cercherà di farsi meno paranoie - nei limiti del possibile :D

 

ellephedre

 

P.S. - Le cinque recensioni che avevo ricevuto alla precedente pubblicazione naturalmente sono gelosamente conservate :)

P.S. 2 - il gruppo delle mie storie, Sailor Moon, Verso l'alba e oltre... (pagina che contiene spoiler e curiosità su tutta la mia saga).

 

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Capitolo 6
*** Inizio marzo 1997 - Videogiochi ***


per istinto e pensiero 6

 

 

Per istinto e pensiero

di ellephedre

 

 

Inizio marzo 1997 - Videogiochi

   

Nell'unica sera che potevano uscire insieme quella settimana, Alexander le aveva proposto di passare del tempo a casa di Yamato. Ami era curiosa di scoprire che cosa ci fosse da fare lì. Forse c'era stato qualche problema che bisognava risolvere? O magari Alexander si era prefisso di pulire un po' l'appartamento del suo amico. Le sembrava un intento nobile, in cui lo avrebbe aiutato volentieri, solo che...

Niente, sospirò. Se non uscivano più a cena fuori o per una passeggiata, era colpa sua. I ritmi della rigorosa tabella di marcia che si era imposta non le lasciavano molto tempo libero. Aveva allentato il ritmo dopo la figuraccia che aveva fatto a San Valentino - come aveva potuto dimenticarsi di quella ricorrenza? - ma appena aveva notato che stava rimanendo indietro, aveva chiesto ad Alexander di essere di nuovo paziente. Lui era stato comprensivo.

Proprio perché si rendeva conto di non essere la migliore delle fidanzate, Ami cercava di essere molto dolce con lui durante i loro incontri. Gli telefonava tutte le sere prima di andare a dormire. A volte provava un profondo desiderio di teletrasportarsi per andare a trovarlo, ma... Sapeva come andava a finire quando si vedevano: cenavano insieme e parlavano per non meno di due ore consecutive. Scopriva di avere talmente tanto da dirgli quando lo vedeva in faccia.

Alla fine, raramente trovava il coraggio di andare a casa per la notte. Nemmeno lo voleva in verità, e la mattina successiva era sempre stanca. Per quanto fosse piacevole quel tipo di spossamento, la sua concentrazione ne risentiva per diverse ore. Come una ragazzina si beava del ricordo degli abbracci, vivendo su una piccola nuvola di spensieratezza amorosa.

Invece, ricordò, mancava così poco tempo alla fine della scuola.

Si stava impegnando nello studio apposta per darsi una settimana in cui fare una pausa assoluta. Avrebbe passato un paio di giorni con le ragazze e Usagi, per starle vicino prima del suo matrimonio, poi... poi il suo tempo sarebbe stato tutto per il suo ragazzo.

Arrossì mentre suonava il citofono. Si ricompose quando una lucina la illuminò in volto: era l'apparecchio che la inquadrava con una telecamera.

«Sali» fu tutto ciò che udì, un saluto insolitamente conciso.

Incuriosita, percorse i due piani di scale dell'edificio e schiacciò il campanello dell'ex appartamento di Yamato.

Alexander le aprì la porta, sorridente. «Entra!»

Invece di darle il benvenuto con un bacio, lui tornò dentro, diretto in salotto. Sicura che ci fosse qualcosa da vedere, Ami si tolse rapidamente le scarpe e lo seguì, lanciando un'occhiata alla stanza.

Alexander si stava sedendo sulla moquette. Aveva impugnato un joystick e guardava fisso lo schermo del televisore. Stava giocando ai videogiochi.

Ami roteò gli occhi al soffitto.

«Hai visto?»

«Ehm...» Lei iniziò a togliere il cappotto.

«È una Playstation. L'hai mai provata?»

«Certo.» Aveva anche una buona padronanza di quei mezzi ludici, tuttavia... «Mi hai chiamato qui per giocare?»

Sullo schermo lui stava comandando un personaggio femminile in pantaloncini e maglietta azzurra attillata. La ragazza stava attraversando una giungla.

«Tomb Raider?» commentò Ami.

Alexander le lanciò una mezza occhiata. «Conosci il gioco?»

Per forza, non viveva fuori dal mondo. «So di cosa tratta.»

«Sto arrivando a un punto di salvataggio.»

Naturale, con tutta calma.

Colpita dalla propria irritazione, si permise di sorridere mentre tornava verso l'ingresso, per disfarsi di soprabito e borsa.

Aveva sempre pensato di essere un caso a parte con un fidanzato come Alex, che se perdeva tempo in qualcosa era su un programma al computer, mai su un videogioco. Ma prima o poi doveva cascarci anche lui.

Ora si era sollevato sulle ginocchia. «Ci sono quasi...»

Ami guardò lo schermo. La pettoruta Lara Croft stava compiendo un balzo sovraumano da una piattaforma di rovine a un'altra, diretta verso un cristallo luccicante che galleggiava per aria. Appena lo raggiunse, sul televisore comparve una finestrella con diverse opzioni.

«Ecco!» Soddisfatto, Alexander salvò il gioco. «Sono qui da quattro ore. Non riesco a fermarmi, voglio sempre scoprire quale enigma viene dopo.»

Lei poteva capirlo, ma non le era mai capitato di essere ignorata per via di un hobby.

Alexander finalmente le dedicò attenzione. «Ho preso una cosa per te.»

L'emozione che provò la fece sentire sciocca.

Davvero teneva tanto a essere riempita di attenzioni? Eppure, non era altrettanto brava quando si trattava di offrirne - o almeno, Alexander avrebbe avuto il diritto di pensarlo.

Lui la raggiunse e la sorpassò, dirigendosi verso il comò su cui era posato un vaso. «Li ho messi in acqua perché fossero freschi.»

Oh, erano fiori. Bellissimi boccioli di rosa bianchi, umidi sui petali.

Ami li ricevette in mano e abbracciò il vaso, per non farlo cadere.

Alexander era contento. Aveva già capito l'effetto che le aveva fatto. «Era un po' che non te li regalavo. Ma quando vedo dei fiori, io penso sempre a te.»

Il vaso le sfuggì lentamente dalle dita. Lui la aiutò a trattenerlo e lei si aggrappò a una sua spalla.

Non permise al bacio di essere un mero saluto: sollevò una mano, accarezzandogli i capelli. Visse il momento romantico che sognava da giorni interi.

Alexander tirò fuori una rosa dal vaso, avvicinandola alla sua tempia. «Te la metterei tra i capelli, come l'altra volta. Ma qui ci sono le spine.»

«Non sarebbero rose, altrimenti.» Ami chiuse gli occhi, per godersi il calore della fronte sulla sua. Si allontanò per rimirare il regalo.

Lui rimise a posto il fiore. «Volevo essere più originale, ma la bancarella da cui li ho presi non aveva una grande scelta.»

«Non importa. Mi piacciono.» Li amo. Sentì che se lo avesse aggiunto, sarebbe stata travolta. Le azioni con cui si sarebbe espressa sarebbero state spudorate, troppo passionali e... preferiva trattenerle, esprimersi con calma. Forse non ci sarebbe riuscita se lui avesse continuato a guardarla, ma Alexander le stava indicando con la testa la consolle posata a terra.

«Yamato non l'ha portata in America per via del diverso attacco di corrente. Negli USA hanno la nostra stessa codifica per i giochi, ma lui non voleva rischiare che la macchina si rovinasse. L'ha lasciata qui per me, solo che fino a oggi non ci avevo badato.»

Se non altro, Alex avrebbe avuto qualcosa con cui tenersi impegnato nei giorni in cui lei fosse stata impegnata con lo studio. A quel proposito... «I tuoi esami?»

«Mi sto preparando a dovere.»

Naturalmente lui era in grado di valutare la qualità della propria preparazione, ma lei era sempre un po' in apprensione: non lo voleva distratto. «Come mai mi hai invitata qui?»

Alexander studiò un pensiero prima di rispondere. «Yamato mi ha chiesto di affidare la casa a un'agenzia immobiliare, per affittarla, ma... voglio prenderla io.»

Oh. «È un appartamento... spazioso.» Non sarebbe costato poco.

«Mi sembra già troppo piccolo per una sola persona.»

Sì, conosceva gli spazi a cui era abituato lui. Si guardò intorno. «Cosa farai delle due camere in più?»

«Ci porto i mobili che mi ha lasciato mia madre.»

In effetti, con tutto il mobilio inutile che riempiva i due piani di casa Foster, c'era solo l'imbarazzo della scelta. Spostare tutto sarebbe stato... oh. Ma il trasloco non doveva essere per forza un problema. «Posso aiutarti a spostare le tue cose.»

«Hm?» 

«Col teletrasporto.» Non sarebbe stato difficile. «Non dovrai assumere qualcuno e non ci sarà nemmeno bisogno di inscatolare. Posso far apparire il tuo armadio e le librerie dove ti servono, con tutto il loro contenuto.»

Sorpreso, lui iniziò a vedere la comodità della soluzione. «Giusto.»

«Un utilizzo pratico del mio potere è utile, soprattutto quando si tratta di risparmiare denaro.» Non esisteva nulla di peggio degli sprechi.

Alexander annuì. «Allora... nell'ultima settimana di marzo vorrei il tuo aiuto.»

Cosa? «Vuoi... passare le vacanze traslocando?» Si rese subito conto di quanto fosse sciocca la domanda: naturalmente i giorni di vacanza erano il momento migliore per cambiare casa. Più tempo libero, meno distrazioni. Inoltre, Alexander le aveva detto che con suo padre erano rimasti d'accordo affinché lui rimanesse nel vecchio appartamento solo fino al mese successivo.

Alexander era dubbioso. «Col teletrasporto non ti porterò via più di mezza giornata. So che hai da studiare.»

Lei non replicò. Davvero gli aveva dato l'impressione di non voler passare del tempo con lui nemmeno durante la pausa scolastica?

Nella sua espressione Alexander vide un invito a cambiare argomento. «Per quanto riguarda l'appartamento... Non costerà poco, ma nell'immediato mi farà risparmiare. Yamato non mi chiederà una caparra contro i danni. Penso che non vorrà nemmeno un anticipo sull'affitto, ma glielo offrirò lo stesso. Non gli piace l'idea di dipendere dal denaro dei suoi genitori, anche se hanno dei doveri verso lui e sua nipote.»

Era comprensibile. «Come stanno?» Le ultime novità che aveva sentito su Yamato-kun e la bambina non erano state incoraggianti.

Ma sul viso di Alexander c'era sollievo. «Va meglio. Arimi non piange più tanto la notte. Shun si sta affezionando a lei, lo sento quando ne parla. Mi ha raccontato che Arimi ride quando lo vede. Ha imparato a riconoscerlo.»

Ami fu contenta. «Yamato-kun se lo merita.»

Alexander annuì e non disse più nulla. Il pensiero del suo amico lontano gli causava nostalgia e anche un certo senso di colpa per l'oceano che li divideva.

Ami non si stupì di vederlo cercare una distrazione con lo sguardo. I suoi occhi si fermarono sulla consolle.

«Ti va di giocare a qualcosa? Ci sono due joystick.»

«Certo.»

Lui si piegò a prendere degli astucci con diverse copertine. «Allora... qui c'è un gioco di tennis... Quest'altro è un gioco di corse.» Scartò un titolo che lei trovava interessante.

«Quello no?»

Alexander glielo fece vedere meglio. «Tekken? È un picchiaduro.»

Ne era consapevole. «Sono brava.»

Lui sgranò gli occhi. «Hai giocato a picchiare la gente?»

Ami scelse apposta di non menzionare il suo breve excursus come cosplayer a un torneo di picchiaduro. Aveva partecipato - e vinto - per poter parlare coi Three Lights. Non le sembrava delicato continuare a menzionare una persona per cui aveva avuto una cotta, perciò non aveva raccontato ad Alexander di quell'episodio. «Mettimi alla prova» gli disse.

Lui inserì il disco nella consolle. «Okay. Però gioca un po' da sola prima, altrimenti...»

«Non ne ho bisogno.»

Alexander fu perplesso. «Come farai a sapere le mosse che servono a-»

«Le intuirò strada facendo.» I comandi di calci e pugni erano sempre gli stessi per tutti i videogiochi di quel genere. Avrebbe perso qualche partita mentre imparava, ma presto...

Nella sua poca convinzione lui fu quasi beffardo. «Come vuoi. Poi non lamentarti.»

Così era una sfida. «Guarda che conto di vincere. Vuoi mettere qualcosa in palio?»

Alexander la guardò con occhi nuovi. «I videogiochi tirano fuori il tuo spirito di competizione.»

Certo, perché ci si poteva sfidare all'ultimo sangue senza arrecarsi il minimo danno. Come a scacchi, ma diversamente da quel caso era richiesta meno riflessione e più istinto.

Lui aveva iniziato a prenderla sul serio. «Vogliamo rendere la cosa interessante? Lasciamo decidere il premio al vincitore.»

«Ci sto.» Tanto avrebbe vinto lei, e sarebbe stata generosa.

Lui sollevò due dita. «Due partite multisquadre, con otto personaggi ciascuno. Ogni sfida due round, così la vittoria non sarà mai un caso.»

Ami fu d'accordo. «Non potrai dire che ho vinto per pura fortuna.»

Alexander scoppiò a ridere. «Cominciamo! Voglio vedere di cosa sei capace!»

Anche lei. Nei pochi secondi in cui lo aveva visto giocare aveva avuto l'impressione che Alexander fosse un 'pigiatasti', un giocatore che andava ad istinto quando si trattava di adoperare un joystick. Dato che lui aveva già esperienza con quel gioco, conosceva alcune tecniche dei personaggi e le aveva senza dubbio imparate a memoria, ma appena fosse stato messo alle corde sarebbe ricorso a una disperata difesa priva di strategie. Era solo una teoria, ma lei era piuttosto sicura di non sbagliarsi.

Il gioco era partito ed erano arrivati alla schermata di selezione dei personaggi.

Non conoscendone nessuno, Ami scorse i volti per provare a comprenderne sommariamente le caratteristiche. Di solito i creatori di picchiaduro erano poco originali: aspetto e stile di combattimento erano sempre fortemente collegati. Quando ebbe finito di dare un'occhiata alla selezione disponibile, Alexander aveva già scelto quattro personaggi, tra cui un'unica ragazza. Lei si impose di sceglierla a sua volta, ma in modo da evitare uno scontro diretto. Poiché lui continuava a scegliere personaggi maschili, decise di farne una sfida tra sessi e scelse tutti i personaggi femminili a disposizione, più un emulo di Bruce Lee, la versione in videogioco di Tigerman e quello che le sembrava il malvagio della storia, un tizio coi capelli sparati all'indietro dalle folte sopracciglia.

Alexander manteneva un atteggiamento neutro, ma Ami sapeva che stava sorridendo mentalmente dell'ingenuità delle sue scelte.

Lei si ripromise di farlo dolcemente a pezzi.

Iniziò il primo scontro.

Round 1. Fight!

Ami iniziò a calciare per aria, familiarizzando col personaggio. Il biondino di Alexander, in tuta rossa, non attaccava.

«Mi stai lasciando del tempo?»

«Dieci secondi. Per familiarizzare.»

Gli sarebbero stati fatali. Con la sua indianina dalle lunghe trecce, Ami testò la lunghezza dei salti, i comandi per calci e pugni, nonché una combo che scoprì sul momento.

«Sei pronta?»

«Fatti sotto.»

La galvanizzò vedere i due personaggi che si correvano incontro. Schiacciando la freccetta laterale verso il basso, fece scivolare la ragazza in avanti, mandandola a colpire con un calcio gli stinchi dell'uomo in rosso. Quello cadde in avanti, rotolando su se stesso.

Alexander raddrizzò la schiena, allerta. Senza pietà Ami gli stava già saltando addosso.

Se le diedero virtualmente di santa ragione.

I pugni del biondo forzuto toglievano un mucchio di energia alla sua barra della vita ogni volta che andavano a segno, ma la sua ragazza indiana era capace di girare su se stessa cambiando il piano del gioco, sfuggendo così agli attacchi e colpendo con calci laterali. Purtroppo, non servì a vincere il primo round.

Ami tornò a sedersi sulle ginocchia, stringendo forte il joystick.

Il personaggio le piaceva. Non doveva perderlo.

«Te la stai cavando bene.»

Era condiscendenza quella che sentiva nella sua voce? «Ti ho tolto l'80% dell'energia alla mia prima partita con questo gioco.»

Lui deglutì. «Infatti ho detto che sei brava.»

No, la stava trattando come una principiante. «La mia coordinazione mano-occhio mi dà una marcia in più ai videogiochi.»

Lui premette il tasto 'Start', per far andare avanti la schermata. «Non me ne hai mai parlato.»

«In modo da farti vedere quello che so fare il giorno in cui mi avessi sottovalutato. Le mie ragazze ti stracceranno.»

Round 2. Fight!

«Lo vedremo.»

Fu come se i personaggi sullo schermo si fulminassero con lo sguardo. Corsero l'uno incontro all'altro, colpendosi con calci che respinsero a vicenda. Ami adottò una tattica di sopravvivenza: attaccare quando la guardia dell'avversario era scoperta e familiarizzare con ulteriori nuove mosse del suo personaggio ogni volta che poteva permettersi di indietreggiare. Riuscì a creare una meraviglioso combo di attacco. Alexander arretrò, ferito, e la fortuna volle che una combinazione di tasti la mandasse in una giravolta controllata, sicuramente destinata a terminare in uno straordinario colpo finale. L'uomo biondo di Alexander - americano, a guardare il nome - aveva piegato il torso e sprigionava una luce crescente dalle braccia.

Oh, no.

Un istante prima che la sua ragazza indiana riuscisse a colpire, il personaggio di Alexander la abbatté via, lontano, con un poderoso attacco finale che prosciugò in un istante tutta la sua rimanente barra della vita.

K.O.

Ami fremette.

Da Alexander non giunse alcun commento.

Avevano concordato due partite a otto personaggi, si ricordò lei, pertanto avrebbe avuto modo di riutilizzare Michelle Chang e le sue mosse.

Il suo prossimo personaggio era una bionda vamp in tuta attillata viola.

«È un'assassina» la informò Alexander.

«Quello che mi ci vuole.»

Udì una risata. «Ti stai infiammando.»

Anche ad Ami sfuggì un sorriso. «Combatti.»

Le magnifiche gambe lunghe di Nina Williams la portarono lontano. Sfoderò calci a ripetizione, ritraendosi nel momento in cui l'americano di Alexander stava per colpirla. Ormai conosceva le sue mosse e la sua velocità. Nel momento in cui vinse il secondo round, fece un piccolo saltello.

Alexander sorrideva, piccato. «Ora ho capito come la usi.» Premette velocemente Start.

Lei era già pronta al nuovo scontro. «Dimostralo.»

Il suo nuovo avversario si rivelò un uomo dal volto mostruoso, munito di spada.

«In realtà Yoshimitsu è un ladro ninja.»

«Nina lo punirà.»

Alexander rise forte e impugnò con più decisione il joystick. «Non penso.»

Purtroppo andò in quel modo, ma non senza una strategia studiata: appena capì che stava per perdere, Ami ne approfittò per studiare nuove mosse del personaggio, in previsione della seconda partita a squadre.

«Non sembri dispiaciuta» commentò Alexander.

«Ho qualcosa in mente. Lo scoprirai.»

La nuova disfida la vide prendere possesso di una ragazza dai tratti giapponesi, vestita in maniera sorprendentemente casta rispetto agli altri personaggi femminili. Ad Ami piacque subito. In partita Jun Kazama non la deluse. «È fortissima» dichiarò mentre schiacciava i tasti per ottenere un calcio volante.

«Per questo l'ho scelta anche io.» Alexander si difendeva a stento.

Non parlarono più, impegnati a cercare di annichilirsi a vicenda. Jun ebbe la meglio, per un soffio.

Ami tirò un sospiro di sollievo.

Alexander si riappoggiò sui talloni. «Marshall Law mi vendicherà.»

Ami rise. Incrociò lo sguardo con lui e in lei si accese una scintilla di... qualcosa. Giocare le faceva quell'effetto.

«Jun è la migliore.»

«Marshall è stato creato per vincere.»

La sfida tra i due personaggi fu all'ultimo sangue. Ami perse il primo round e recuperò nel secondo. Nel terzo, iniziarono a farle male le dita per la velocità con cui premeva i comandi. A metà gara Marshall Law coinvolse Jun in una spirale di colpi devastante, da cui lei uscì viva solo per miracolo. Ami si impegnò a recuperare con le combo micidiali che aveva imparato. Funzionò, ma un attimo prima che sferrasse il colpo finale, Alexander riuscì a scappare e infliggerle un ultimo calcio. Bastò ad azzerare quel dieci per cento di vita che le era rimasto.

Mesta, Ami emise un lungo sospiro di delusione. Aveva perso Jun.

Accanto a lei non udiva battute di giubilo. Alexander era impietosito.

«Ehi» lo ammonì. «È una gara. Capita di perdere.»

«Mi dispiace che tu abbia perso un personaggio che ti piaceva.»

«Più tardi giocherò alla versione arcade e farò un torneo intero con lei.»

Alexander fece andare avanti il gioco. «C'è una cosa che ti farà ridere.»

«Hm?»

«Adesso hai Anna Williams. È la sorella di Nina. Presuntuosa, arrogante, vendicativa. Prova a premere questi tasti.» Glieli indicò sul joystick mentre il round iniziava.

Appena i personaggi furono liberi di muoversi, Marshall Law fece due passi in avanti, finendo per subire il colpo di Anna: un paio di schiaffi sdegnati in pieno volto, che gli fecero girare la testa a centottanta gradi.

Ami scoppiò a ridere.

Alexander si divertì con lei, contento.

«Ora basta sconti però.» Ami gli indicò il televisore. «È tempo di combattere.»

Con Anna non andò lontano: aveva delle limitazioni rispetto alla sorella Nina, inoltre Marshall Law era davvero molto forte. I creatori del videogioco gli avevano dato una marcia in più. Ma studiandolo bene...

La sua ultima ragazza fu Kunimitsu ed Ami la sacrificò per carpire ulteriori punti deboli di Law.

Col nuovo round arrivò il momento dello scontro diretto: lei e Alexander avevano lo stesso personaggio.

«Percepisco che vuoi vendicarti.»

«Sei intelligente.»

Alexander sorrise. Anche se ce la mise tutta, Ami non gli lasciò scampo: aveva imparato i colpi di Law tramite quello che aveva visto fare a lui e lo usò al meglio delle sue possibilità. Anche così, la sua vittoria fu una questione di fortuna, decisa nelle ultime percentuali di vita rimaste a entrambi.

Soddisfatta, Ami strinse il joystick. Era tornata in corsa per la vittoria finale.

«Anche io conosco i punti deboli di Law» le ricordò Alexander.

«Usali» lo incitò lei, preparandosi al nuovo scontro. Era tempo di affrontare Jun Kazama.

Fu un combattimento all'ultimo sangue, metodico e preciso: Ami si rifiutò di affidarsi alle mosse più efficaci di Law. Si adeguò all'abilità di Jun, colpendo solo dopo aver parato i colpi. Frustrato, Alexander cambiò strategia a due terzi della gara, ma a quel punto Ami ribaltò le carte in tavola e scatenò le giravolte del suo personaggio, senza dare tempo a Jun di reagire. Lei andò a terra. 

Alexander aveva socchiuso gli occhi, contrariato.

Ami si interessò della storia di Jun. «Chi è?»

«Un'agente della protezione ambientale esperta di arti marziali.» Alexander raddrizzò la schiena. Aveva appena scelto di smettere di fare il pigiatasti.

Fu il momento della sfida contro King, l'emulo di Tigerman. Ami studiò con grande attenzione le capacità del personaggio. In fondo, se avesse perso Marshall, le sarebbe toccato usare lui. 

Alexander non le diede filo da torcere nel primo round: lo usò per cambiare stile di gioco, testando la varietà di mosse di King. Ami non si lasciò ingannare e rimase attenta. Notò un sorriso appena accennato sul volto di Alexander e si preparò a dargli battaglia.

Fight!

Si ritrovò vittima di una combo e arretrò, parando per miracolo il colpo successivo. Rispose con una sua serie di colpi che furono tutti respinti. Saltò lontano, prima di venire di nuovo attaccata.

Rilasciò un ansito e mandò di nuovo alla carica Law. Il personaggio di Alexander la intercettò in aria, scaraventandola a terra. Non le diede modo di rialzarsi: la afferrò in una presa, capovolgendo Law e saltando con tutto il suo peso sulla testa del personaggio.

Ami emise un ghigno di dolore. Che brutto modo di morire.

Alexander saltò il replay ed ebbero modo di vedere King che emetteva un ruggito di vittoria.

«È un animale?» sorrise Ami.

«No, ma gli effetti sonori sono convincenti.»

E divertenti. «Chi era Law?»

«Un uomo onesto che voleva far soldi per mantenere la sua palestra e il suo ristorante. Purtroppo ora, dall'oltretomba...» Scosse la testa.

«Ehi. Non gongolare troppo.»

«Giusto. Ho ancora due personaggi da uccidere.»

Ma Ami non perdeva mai senza aver imparato qualcosa. Si ritrovò a manovrare proprio King, con una tuta che rispecchiava fedelmente il costume del Tigerman animato. La fece valere: da bambina aveva tifato anche lei per la vittoria dell'orfano Naoto Date. Sorprendendo Alexander, si appropriò delle abilità di King senza difficoltà, aiutata dal modo in cui il personaggio scattava veloce in avanti, da vero professionista del ring. Arrivò a copiare la presa che l'aveva sconfitta. Alexander si concentrò di nuovo e arrivò quasi a batterla, finché un calcetto agli stinchi lo mise K.O. Guardarono entrambi sorpresi la barra della vita di lui: era finita senza che se ne accorgessero.

Alexander la prese con filosofia. «Si muore anche in questo modo.»

Per i gusti di Ami, era troppo tranquillo. Che aveva in mente?

Il suo prossimo personaggio era un grosso robottone.

«Questo lo hai scelto perché non mi credevi capace» disse lei.

«Aspetta prima di giudicarlo.»

In effetti, la sua opinione risultò affrettata. Jack-2 era lento a muoversi, ma ogni suo pugno era un quintale di metallo che le toglieva un terzo dell'energia. Ami sudò freddo per tutto il combattimento. Vinse di nuovo, ma solo per un soffio.

Alexander appoggiò il joystick a terra. Incrociò le dita, stirando i tendini le braccia. «Ora faccio sul serio.»

«Parole.»

Si scambiarono un nuovo sguardo d'intesa, ognuno pronto a mettere l'altro alla prova.

Il nuovo personaggio di Alexander si chiamava Kazuya Mishima. Anche lei lo aveva selezionato, per ultimo.

«Lui partecipa al torneo per uccidere il padre.»

«Edipico» commentò lei.

«Non ci sono madri di mezzo. Heihachi Mishima lo ha gettato giù da un burrone. Pur di ucciderlo, Kazuya si farà possedere da un demone.»

Quando si diceva, 'essere divorati dal desiderio di vendetta'... Kazuya lo scatenò anche contro il suo personaggio. Aveva in dotazione un devastante calcio rotante che si muoveva su diversi livelli, oltre che una gambata che dall'alto verso il basso puniva con celerità l'avversario. Ami non riuscì a difendersi da un solo colpo. Colta di sorpresa, si ritrovò battuta prima di riuscire a reagire.

Perfect! la schernì il gioco.

Alexander non stava più nascondendo la sua soddisfazione.

Ami strinse le palpebre. «Questo è il tuo personaggio preferito, vero?»

«Sì. Quello che uso meglio.»

Ami inforcò il joystick con più decisione, sporgendosi verso il televisore. Era ora di dare il tutto per tutto!

Kazuya VS Kazuya.

«La sfida finale» dichiarò con voce teatrale Alexander.

«'Sta zitto.»

Per poco non si unì alla risata bassa di lui.

Fu esilarante essere al comando di Kazuya, così come lo era stato con Jun e Marshall. Riprodusse i calci che aveva subito, ed esaltata si difese con maestria dagli attacchi, al meglio delle sue possibilità. Aveva imparato molto in un quarto d'ora di gioco e rivaleggiò con Alexander alla pari.

Appena finì il primo round, a nessuno dei due importò chi avesse vinto. Fecero a gara a chi cliccava Start per primo, per andare avanti.

Il silenzio tra loro era assoluto, le loro menti concentrate sul videogioco.

Fight!

Fu un tripudio di tasti schiacciati. Ami si ritrovò a virare di lato col corpo, come per dare maggior spinta al personaggio. Si ricompose in tempo per parare un pugno, poi coinvolse l'altro Kazuya in una combo che lo mandò a roteare per aria quasi fosse senza peso. Alexander si rialzò immediatamente e non commise più errori. Entrambi riuscirono a inforcare serie poderose di calci e pugni, senza infliggersi alcun danno. Erano diventati superbi a leggersi a vicenda.

Ami saltò all'indietro con Kazuya, per prendersi un secondo e ragionare.

Con una mossa sciocca, Alexander tentò una spallata in corsa. Lei la schivò muovendosi di lato, ma lui non cadde in avanti. Si accucciò, cominciando a girare su se stesso. Si preparava a un colpo finale. Allerta, Ami si spostò di lato più volte, ma il vortice di Kazuya non smetteva di seguire i suoi movimenti. «No!» gridò, mentre un uppercut rovinoso la mandava a volare in aria, finendola.

«Sì!» proruppe Alexander, alzando i pugni.

Ami gettò la testa all'indietro.

Era stata battuta.

Fu scossa da una risata improvvisa, che la fece tremare su tutto il corpo.

Si ritrovò circondata da un braccio e ricevette un bacio veloce tra orecchio e mascella. «Sei stata grande!»

Ancora pervasa dall'adrenalina, lei riconobbe la natura del brivido che provò sui nervi del collo, sensibili per un tocco non dato, desiderato. Continuando a giocare, allontanò Alexander con una mano. «Cosa vuoi per premio?»

Lui la guardò con più attenzione. «Non vuoi fare la seconda partita?»

Lei scosse piano la testa. «Hai vinto tu.» Lo disse con più suadenza di quanto aveva inteso, ma non se ne pentì.

Alexander aveva colto l'implicazione nel suo tono. Rapito, per bisogno, iniziò ad accarezzarle la nuca, cercando di decidere a quale parte della sua immaginazione poteva dare voce. 

Lei non voleva che lui si mettesse limiti. Non dopo il modo in cui l'aveva perdonata per il suo errore di San Valentino, o dopo la pazienza che continuava a dimostrare ogni volta che erano lontani. Lei desiderava stare vicini almeno quanto lo voleva lui. Era ingiusto continuare a perdere occasioni per dimostrarglielo.

Si sollevò sulla ginocchia e, audace, gli circondò il collo con le braccia. «Ti verrà in mente strada facendo.» Lo baciò, dall'alto verso il basso, e si sentì... forte. Capace di lottare e di sostenere più energia del solito.

Non la sconvolse nulla della stretta in cui Alexander la avvolse. Si premette contro il suo petto, come voleva lui, ascoltando l'istinto.

Prima di spegnere il cervello, lo fece funzionare un'ultima volta. Si staccò con la bocca, ansimando. «Hai quello che ci serve, vero?»

«Hm?» mugugnò lui.

«I preservativi.» Solo dirlo ad alta voce la fece arrossire. Non se ne lasciò fermare. «Li hai portati?»

A occhi chiusi, lui stava strofinando la faccia contro il suo collo. Iniziò a baciarlo. «... nel portafoglio.»

Ami cercò con la mano la tasca posteriore dei suoi pantaloni, confusamente. Non trovò nulla.

Alexander sorrideva, il respiro veloce. «Sul comodino dell'entrata.» Si alzò, un movimento rapido che la sbilanciò all'indietro. Si tenne in piedi afferrandosi al braccio con cui lui l'aveva presa mentre già si muoveva verso l'ingresso.

Le piacque la poca delicatezza. «Ne hai sempre uno?»

«Lo preparo ogni volta che so di incontrarti.»

Dopo quella confessione, lui esitò un momento a voltarsi.

Ami si sentì... desiderata.

Quando si guardarono di nuovo, non sentì il bisogno di raggiungerlo.

La distanza creava una tensione sottile, piacevole. Lei la aumentò di un passo.

Notando il sorriso incredulo di lui, giocò e corse via.

La sua mente faticò a ricordarsi qual era la camera da letto. Appena ci arrivò, si girò e finì avvolta in un abbraccio. Tenne gli occhi serrati, lasciandosi sollevare e rispondendo al bacio.

Certo che voglio passare le vacanze con te. Tutto il mio tempo libero con te. E aveva amato tantissimo i fiori.

Sentì coi piedi il materasso e vi salì sopra, camminando all'indietro per lasciargli spazio.

Alexander tolse la maglia prima di raggiungerla. «Cos'hai?»

Ami fece sparire il dolore dal viso. «Non ti dico mai quello che penso. Sto studiando tanto per passare del tempo insieme durante le vacanze.»

Lui ne fu sollevato. «Lo so.»

«No, lo speravi.»

«Lo sapevo. Ti conosco.»

Ma un tempo lei era stata più spensierata e pronta nell'esprimergli il desiderio che aveva di stare con lui. Alexander stava per dire qualcosa, ma lei si sedette e non lo lasciò andare avanti. Se voleva dargli qualcosa, poteva cominciare smettendo di pensare.

Lo baciò con più intensità, quasi con foga, privandosi di freni. Lei era una combattente, come quelli che aveva fatto scatenare sullo schermo. Saggiò la pelle nuda di lui con le mani e sopportò con piacere ogni brivido: sentirsi spogliare era vergognosamente eccitante.

Tenne le palpebre chiuse per comportarsi come se fosse buio, nel momento in cui si dedicava solo ai sensi. Si godette i baci, il respiro caldo della sua bocca, il sapore. Tremò mentre immaginava quello che lui stava vedendo, ma se ne lasciò inebriare. Era un regalo totale quello che voleva fargli, il dono di non vederla più esitare.

Non cambiò idea quando si sentì sfiorare tra le gambe, ma si morse un labbro.

«Va bene?»

Annuì e tornò a baciarlo. Iniziò per prima a tirare giù gli slip, guidandosi con le mani. Manovrarono senza cura, perché fosse possibile sfilarli senza che lei smettesse di stargli sopra.

Ami si sedette a gambe aperte sulla sua mano, forse non per caso. Gemette in silenzio.

Nascose il viso contro la guancia di lui, stringendolo forte. 

«Ami...»

Ondeggiò contro le sue dita, stringendo i denti per le troppe sensazioni.

«Guardami.»

Rispose alla supplica per necessità, alzando la testa.

Vedere i suoi occhi le causò uno spasmo improvviso al ventre. Alexander aprì la bocca e con le dita fece quello di cui lei aveva bisogno, allinenandone due rigide all'apertura del suo corpo perché lei potesse spingerle dentro. Ami lo fece ripetutamente, senza controllo, soverchiata mentre moriva di un imbarazzo che rendeva il piacere più feroce, soprattutto nel sentire il respiro consapevole di lui sul collo, sulla faccia.

So good.

Tornò a chiudere gli occhi quando riuscì a fermare le ànche, ma Alexander non se ne lamentò. Tenendola per la schiena la fece sdraiare sul materasso, restandole sopra.

«That was the sweetest prize.»

Ami avvampò da capo a piedi e strinse più forte le palpebre. Indossava ancora la gonna! E lui i pantaloni!

Non per molto, comprese, quando lo sentì armeggiare con la cerniera.

«I want another.»

Un altro premio. Lei fu sul punto di spirare dalla mortificazione, ma non ne ebbe il tempo: Alexander stava strappando la confezione di plastica. Si sollevò, e colpita al petto dall'aria Ami si concentrò sul contatto tra le loro cosce e sul braccio che riusciva ancora a toccargli.

Si sciolse di nuovo, una seconda volta. Non doveva ergere barriere: non c'erano inibizioni, non in quel momento.

Resistette all'assalto di sensazioni dato dai loro corpi che si incontravano. Senza mai guardare, inarcò la schiena nel sentirlo entrare dentro di lei.

«Ti vergogni?»

Trovò la sua testa con le mani, sentendosi compresa dalla dolcezza della domanda. «Love me.» E spinse prima di lui, per inglobarlo più a fondo.

Non aveva bisogno di vedere. Lei sentiva, esisteva, risplendeva nella fisicità di quel legame. Conosceva ogni lembo di carne che toccava e sapeva tutto della mente a cui si univa. Imparava a conoscere se stessa con lui. 

Banalmente, in quel momento, apprese di nuovo quanto fosse sensibile a una stimolazione prolungata, incisiva e rapida, nella parte più interna del suo corpo.

Gli strinse i capelli e le sue gambe si mossero come se non le appartenessero più, circondandogli lascivamente i fianchi.

Oh my god.

Evaporò al picco di sensazioni, ma non col suo corpo. Quello rimase ancorato al letto e ad Alexander, a pulsare, spingere e tremare assieme a lui.

Ami si azzardò ad aprire gli occhi solo alla fine. Nel vedere il soffitto, allungò una mano sopra la testa e trovò un cuscino. Lo usò per nascondervi sotto il viso.

Stremato, Alexander si era sdraiato su un fianco. Sorrideva. «Cosa fai?»

Lei scosse la testa. Non lo so.

«Too much?»

«... sì.» Decisamente troppo.

«You offered.»

Fortunatamente non aveva più sangue da far arrivare alle guance. «Lo so.» Era stata lei a incitarlo.

Alexander la circondò con un braccio. «Ma era troppo.»

Ami sollevò il cuscino, per farsi vedere meglio. Non ebbe bisogno di parlare.

«Troppo, troppo presto.»

Presto?

Lui sorrise. «La prendo come un'anteprima, Ami love. Ma per il momento puoi stare tranquilla. Sono sedato.»

Lei emerse da sotto il cuscino. «Non mi pento, solo che...»

«I know. In questo caso hanno parlato meglio le tue azioni.»

Lei riuscì ad avere il coraggio di quello che aveva fatto. «Sì.»

Alexander si sorprese, poi si divertì. «Torno subito.» Allegro, scese dal letto.

Abbandonata sopra le lenzuola, Ami le tirò da dietro la schiena, cercando di ridarsi un contegno con un poco di più stoffa a coprirla. Riuscì a recuperare giusto un lembo, nemmeno sufficiente a fare un giro della sua vita.

Alexander tornò indietro. «Sei comica.»

«Sono imbarazzata.» Ma non voleva rinnegare tutto quello che era successo saltando sfacciatamente sotto le coperte.

«Ti copro io.» Le offrì un abbraccio che lei accolse con sollievo.

Pacata, Ami osservò la stanza. «È carina.»

«Ci sta giusto il mio letto e l'armadio. Per la scrivania dovrò prendere l'altra camera.»

Ami sorrise: ci sarebbe stato spazio per tutto se lui non fosse stato abituato a metrature tanto ampie.

Alexander la guardò. «Sono contento di venire a vivere qui. Finalmente sarà un posto mio. Qualcosa che mi sono guadagnato.»

Ami fu fiera di lui.

Lo abbracciò e non parlarono più.

Svegli, riposarono.

  

Inizio marzo 1997 - Videogiochi - FINE

  


  

NdA: Ho riletto tre quarti della storia, mentre per l'ultima metà sto andando a istinto, come Ami, e pubblico senza rileggere. Mi sento soddisfatta di quello che c'è nel testo, soprattutto per quanto riguarda lei, che finalmente si è sciolta un po'. Ma solo voi potete dirmi se lo avete percepito :)

 

Elle

 

Note di traduzione, che magari qualcuno ne ha bisogno :)

- So good = Così bello.

- That was the sweetest prize = Quello era il premio più dolce (ma non in senso tenero, quanto... gustoso).

- I want another = Ne voglio un altro.

- Oh my god = O mio dio.

- Too much? = Troppo?

- You offered = Hai offerto tu.

- I know = Lo so.

  

Gruppo Facebook dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

 

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Capitolo 7
*** Marzo 1997 - Lasciarsi andare ***


per istinto e pensiero 7

Note: attenzione, non ho completato il pezzo del viaggio in Italia, saltando avanti di qualche mese.
Comunque non era indispensabile finire quella parte per scrivere questa, altrimenti non sarei riuscita a scriverne. Potete leggerla tranquillamente senza temere spoiler strani.

Per istinto e pensiero

di ellephedre

Marzo 1997 - Lasciarsi andare?

 

«È così difficile…»

«Cosa?» indagò Minako.

Ami accarezzò le cuciture del reggiseno rosa. «Non è semplice trovare dei modelli senza ferretto, o privi di coppe imbottite.»

Il negozio di biancheria intima aveva una gran quantità di modelli in esposizione, ma come al solito la scelta era limitata per chi come lei preferiva capi semplici e poco elaborati. Sospirò. Non era lì per scegliere qualcosa per sé. Dovevano trovare un regalo adatto alla luna di miele di Usagi. Makoto e Rei erano già sparite nei meandri ben illuminati degli stand.

Minako aveva sotto braccio un completino in pizzo giallo. «Ti danno ancora fastidio i ferretti?»

Visivamente, soprattutto. «Sono rigidi. Ma il problema è l’impressione che danno.»

«Cioè?» Minako sollevò un sopracciglio.

Perché le faceva domande ovvie? «Regalano una taglia in più. È un piccolo inganno.» Oh, ma non voleva dire che fosse una bugia cattiva. «Se è lo scopo, nessun problema, ma a me non va di…»

Minako stava sorridendo della sua ingenuità.

Ami sospirò, preparandosi alla lezione. «Cosa?»

«Chi è che dovremmo ingannare?»

Chiunque le guardasse, no?

Minako scuoteva la testa. «Proprio tu, che sei tanto logica, non ci arrivi? Ami, Ami… A chi ti mostri nuda?»

Ami avvampò, incavando la testa tra le spalle. «Shh!» Qualcuno per caso le aveva sentite? Si guardò attorno, frenetica.

«Sì, shh, certo!» Minako avvicinò la testa solo per accontentare il suo bisogno di privacy. «Anche indossando uno di questi, come fai a ingannare il tuo ragazzo se lui sa già perfettamente come sei fatta davvero?»

Ami non ebbe una risposta pronta.

Minako alzò un dito, continuando a insegnarle. «Questo tipo di reggiseno non è fatto per forza per essere visto, sai? Sotto i vestiti dà l’impressione di una bella curva alta sul petto, è a questo che serve.»

Sì, a dare l’impressione di un seno più grande. Era quello che aveva detto lei.

Minako era perplessa. «Se non ti piacciono i ferretti per una questione di comodità è un conto, ma le coppe imbottite… È bello guardarsi allo specchio e vedere una bella scollatura, tutto qui. Non c’entrano fidanzati, uomini da attirare o niente di simile. Una donna compra biancheria come questa per se stessa.»

Hm. Anche se la nascondeva per la maggior parte del tempo?

Minako la studiava. «Ho paura di chiederlo ma… vero che nei tuoi cassetti tu hai almeno una cosa di questo tipo?» Le sventolò il suo prossimo acquisto davanti agli occhi.

Ami ritenne che fosse meglio far finta di niente. «Cosa intendi?»

«Pizzo, Ami. Trasparenze. Qualcosa di provocante.»

Ma non avevano appena stabilito che una donna comprava biancheria come quella solo per sé? «Io preferisco il cotone.»

Minako roteò gli occhi al soffitto. «Questo pizzo è fatto di cotone. Hai mai provato un modello come questo almeno?»

«Il pizzo mi dà una sensazione di prurito sulla pelle.»

Minako le afferrò la mano. «Solo i modelli di cattiva qualità. Senti qui!» Le passò il palmo sul tessuto. «E se vogliamo una prova di delicatezza…»

Ami si ritrovò le mutandine di pizzo strofinate sulla guancia. «Cosa fai?!» si dimenò.

«Senti come sono morbide?»

«Okay, ma ora abbassale!» Stavano dando spettacolo!

Minako la osservò da dietro le palpebre socchiuse. Era lo sguardo di quando aveva un piano in mente.

«Cosa c’è?» le domandò Ami, sapendo di rischiare la dignità.

«Adesso vai in uno di quei camerini e provi questo completo!»

«Quello è tuo!»

«Ah, non ti preoccupare!» Con un saltello Minako recuperò un modello identico, di colore bianco. «Dato che siamo in tema nuziale…»

Ami provò a protestare, ma furono interrotte da un gridolino.

«Minako-san!»

Accanto a loro una ragazza saltellava a piedi uniti. «Non ci posso credere, Minako-san, sei proprio tu!»

Minako si immerse nei panni della diva che era diventata. «Ciao! Sei una mia fan?»

La giovane estranea iniziò a sommergerla di complimenti ed Ami si arrese. Col completo di biancheria intima in mano andò verso i camerini di prova.

In fondo non era da lei sottrarsi alle sfide. Poteva provare quei capi e dimostrare che non erano niente di speciale, né qualcosa che lei sentisse il bisogno di possedere.

No?

Si chiuse dietro una tenda. Appoggiò la borsa su uno sgabello e sollevò il completino che Minako aveva scelto.

Non era imbottito e non era così male. Le coppe erano sciolte, fatte completamente di pizzo bianco, leggero e morbido al tatto.

Intuendo che non lo avrebbe riempito bene, controllò la taglia sul cartellino.

Infatti, era per una coppa di una misura superiore alla sua, ma tanto... era solo una prova.

Iniziò a spogliarsi del vestito e adocchiò le mutandine appoggiate sulla borsa.

Erano molto più provocanti del reggiseno. La fantasia era identica, ma i ricami bianchi avrebbero lasciato in trasparenza tutto il sedere e il bassoventre, a eccezione di un piccolo scampolo di cotone sistemato per igiene in posizione strategica, tra le gambe.

Arrossì.

Aveva davvero voglia di indossare una cosa del genere? Non era da lei, non sentiva la necessità di apparire come una creatura tanto... sessuale.

È solo una prova.

Già, nessuno l'avrebbe vista.

Ripiegò con cura il vestito in tessuto di jeans - uno dei suoi preferiti - e si preparò a indossare la sua piccola sfida. Lo fece senza guardarsi allo specchio.

Terminando di sistemare le spalline del reggiseno, abbassò lo sguardo sul petto.

Le coppe erano comode e semivuote. I suoi seni erano poco sostenuti - forse doveva stringere le spalline? - ma il tessuto, per quanto era poco compatto, le dava una sensazione di... respiro. La seminudità era fresca, ideale per la stagione estiva.

Era strano vedere i suoi capezzoli tanto liberi, anche se... provò a tendere il pizzo sulla pelle e osservò la maniera in cui la trasparenza del tessuto incorniciò la sua areola, lasciandola intravedere sotto i ricami. Più che provocante, era una cosa... bella. Delicata.

Si voltò.

Il riflesso nello specchio le fece salire un fiotto di calore alle guance. Corse a coprirsi tra le gambe.

Così era indecente!

Trovò il coraggio di girarsi, per guardarsi di schiena.

Arrossì ancora di più, schiacciandosi contro il muro.

In quello stato era praticamente nuda. Che senso aveva indossare della biancheria intima? Poi tutto quel pizzo era scomodo tra le gambe, pizzicava e... No, ammise. Non prudeva. Non era diverso dal tessuto di puro cotone che normalmente preferiva. Era una soluzione di abbigliamento molto fresca, solo perché sentiva di non portarla nemmeno.

Schiacciò la fronte contro la parete, vergognandosi da sola.

Era una sciocca. Perché si imbarazzava? Stava solo guardando il proprio corpo.

Inspirò a fondo e decise di osservarsi con più calma, analiticamente. Si voltò di nuovo.

Okay. La cosa che le sembrava più sessuale in assoluto era la vista dei peli pubici attraverso il pizzo. Non erano tanti perché lei li teneva curati, ma... Si voltò di lato, poi a centottanta gradi, per avere la visuale completa del proprio profilo.

Quelle mutandine erano proprio comode.

Ma... come faceva la popolazione femminile adulta ad andare in giro vestita in quel modo? Quel tipo di trasparenza era diffuso su tanti dei modelli in commercio, almeno la metà. Lei l'aveva sempre evitata di proposito, tuttavia... Sì, non era scomoda, però...

Poco convinta, rimuginò.

La sessualità era negli occhi di chi guardava, no? Nei suoi. In realtà quel modello, come qualunque altro, si limitava a svolgere la sua funzione di sostenere e coprire laddove era igienico non avere un contatto diretto con l'aria o altri tessuti.

Tornò a voltarsi. Sul retro la cucitura delle mutandine seguiva la linea di separazione tra le natiche, abbracciandole i glutei con ricami di fiori bianchi posati su un finissimo intreccio semi-trasparente. Tutto ciò la denudava, di fatto, o forse... sottolineava solo che lei aveva un sedere? Ed era la verità.

Quel completo di biancheria, quindi, si limitava ad affermare che lei aveva un corpo composto di parti piacevoli, che valeva la pena di valorizzare.

Hm. Vista così...

Usò le mani per tirare di nuovo su le spalline del reggiseno. Sullo stand avrebbe scommesso che, per i suoi gusti, quelle coppe in pizzo le avrebbero dato un'impressione di volgarità, ma dovette ricredersi. L'effetto finale era soave e romantico. Le piaceva molto.

Controllò il prezzo dei due indumenti.

... Sì. Li avrebbe comprati.

Mentre si rivestiva, sorrise, mordendosi un labbro.

Okay. Per quella volta si era sbagliata.

 

Alla cassa non la seguì nessuno. Makoto e Rei erano ancora alla ricerca del regalo perfetto - c'era da battere di Michiru, a quanto aveva sentito - e Minako era scomparsa. Probabilmente si stava nascondendo dalle fan. Seguendo un impulso, Ami prese un secondo reggiseno con la stessa fantasia, questa volta con coppe imbottite. Non lo provò. Se non le fosse andato bene, avrebbe passato il secondo reggiseno a Usagi.

Era fatta così, pensò mentre pagava. Quando si accorgeva di aver fatto un errore e di non aver esplorato un intero mondo di possibilità, si buttava a capofitto negli esperimenti, almeno fino a che la sua cautela non tornava. Era meglio comprare due reggiseni finché era ancora piena di coraggio.

Oh. «Aspetti» disse alla commessa dietro la cassa.

Recuperò un secondo paio di slip bianchi e li appoggiò sul bancone. Non aveva senso comprare due reggiseni e una sola mutandina.

Sentì un brivido lungo la schiena.

«Fai acquisti.»

Sobbalzò. «Minako!»

Lei aveva indossato un cappellino e un paio di occhiali da sole.

«Cosa compri, Ami-chan?»

La commessa era stata così gentile da mettere i suoi capi in un sacchetto. Le comunicò il prezzo ed Ami tirò fuori i contanti. «Ehm, cose.»

«Capisco.»

La risatina di Minako, inquietante, proseguì per mezzo minuto buono.

Ami cercò di non arrossire. «Vuoi dirmi qualcosa?»

«No, no. A me basta vincere.»

Lasciandola nel suo pozzo di imbarazzo, Minako danzò alla ricerca di Rei a Makoto.

 

A casa, Ami guardò l'orologio appeso alla parete. Le sette di sera. Aveva mezz'ora prima della cena, poi aveva programmato una sessione di studio dalle otto fino a mezzanotte.

Ale-chan si strusciò contro le sue gambe.

«Ehi.» Ami lo prese in braccio, rimirandolo da capo a piedi. «Come stai crescendo!» Strofinò la guancia contro quella pelosa di lui, inspirando il suo odore di cucciolo di sei mesi.

Assieme ad Ale-chan e al sacchetto dei suoi acquisti, salì le scale. «È sempre bene essere ordinati, sai? Bisogna mettere subito a posto le proprie cose.» Gli accarezzò la schiena. «Come mai non ti piace questa regola? Ho visto che hai lasciato la tua cannetta di piume sul divano in salotto.»

Comunque, a lui avrebbe perdonato di tutto: adorava osservarlo mentre giocava.

«Non ti annoi a casa da solo? Luna o Artemis sono venuti a portarti fuori oggi?» Non lo sapeva, avrebbe dovuto chiamarli.

Lasciava una finestra unita, da aprire con una spinta, apposta per permettere a loro due di entrare quando lo desideravano. Entrambi si erano affezionati ad Ale-chan ed Ami non avrebbe potuto esserne più felice.

Posò il micio sul materasso del letto.

«Se ti servissero vestiti da gatto, te ne comprerei moltissimi.» Rise, mostrandogli quello che avevo preso. «Ma questi sono per me. Ti piacciono?»

Ale-chan aggredì una delle bretelle del reggiseno. Una delle sue piccole unghie si incastrò tra i ricami di pizzo.

Con una smorfia, Ami separò la zampetta di lui dal suo acquisto. «Ti piace troppo.» Sollevò il reggiseno in aria, rimirandolo. «Lo provo di nuovo, questo è della mia taglia.» Non aveva osato fare una seconda prova per paura di essere scoperta da Minako, ma non era servito a niente.

Vincendo la ritrosia, alla fine a Minako aveva detto un bel, 'Sì, ho comprato quello che pensi.'

Minako l'aveva guardata con nuovo rispetto. 'Brava ragazza'. E le sue prese in giro erano finite.

Canticchiando, Ami si spogliò di nuovo del vestito blu e indossò la combinazione di reggiseno con coppe sciolte e mutandine di pizzo bianco. Si osservò nello specchio della propria camera.

Sì, si piaceva. Il completino le stava bene e lei era carina in una maniera dolce, sensuale.

Si accarezzò i gomiti, coprendosi lo stomaco.

Aveva fatto un bel primo passo, ma per il momento lo avrebbe tenuto per sé. Prima doveva abituarsi a portare quel tipo di indumenti, da sola, poi un giorno...

Non tanto presto, si ripromise, sentendo il battito che accelerava. Tutto quello che aveva pensato all'inizio di quei capi - che erano troppo provocanti, e sessuali - Alexander lo avrebbe ingigantito cento volte tanto.

Morì di imbarazzo.

Non era pronta a farsi vedere da lui così. Nemmeno doveva. C'era tempo e certamente loro non avevano bisogno di altri stimoli in campo intimo: non mancavano d'inventiva, né di entusiasmo.

Lei non si vergognava - di quello mai - perché le loro esperienze erano fantastiche, naturali e spontanee, e continuavano a travolgerla volta dopo volta. Insieme le stavano trasformando piano piano e non avevano ancora bisogno di reinventarsi. Avevano una buona vita sessuale.

Era incredibile - pensò guardandosi allo specchio - che pensarlo non la facesse arrossire da capo a piedi. Era cresciuta.

Suonò il campanello di casa.

Ami saltò in piedi e si rivestì di corsa, buttandosi sopra la testa il vestito con cui era uscita.

Chi poteva essere a quell'ora? Un venditore porta a porta? Un fattorino che aveva sbagliato casa?

Allacciò la cerniera sulla schiena mentre scendeva le scale, preparandosi a scoprirlo.

 

Alexander non aveva mai visto Ami che sbiancava nell'incontrarlo.

«Ciao» le disse, ridendo tra sé. «Ho pensato di farti un'improvvisata.»

«Ah...» Lei ancora non chiudeva la bocca.

«So che è serata di studio, non te la rubo. Ma possiamo cenare insieme, se ti va.»

Le spalle di Ami persero tensione. «Scusa. Certo. Ero solo... sorpresa.»

Lui se n'era reso conto. Ma lei stava già sorridendo, in un modo che gli disse che era il benvenuto a entrare.

Ami gli fece spazio e Alexander attraversò l'uscio di casa Mizuno, abbassandosi per togliere le scarpe.

«Come va per l'esame di domani?»

Sollevò il pollice bene in alto. «Sono pronto. Il cento è già mio.»

Lei lo guardò fiera: era orgogliosa dei suoi risultati e del suo impegno. Non si incontravano da quattro giorni, apposta per dargli il tempo di concentrarsi sugli ultimi esami dell'anno accademico.

«Non ho ancora deciso cosa preparare da mangiare» gli fece sapere Ami. «Hai qualche preferenza?»

Lui non ne aveva nessuna, il cibo era quasi una scusa. «Sono venuto solo per stare con te.»

Generò la tenerezza che aveva cercato. Ami fece un passo verso di lui, per abbracciarlo, ma si fermò all'ultimo momento, esitando su un piccolo brivido.

Alexander non capì. Non chiese solo perché lei scosse la testa - nel solito modo tenero, invitandolo a lasciar perdere.

Mentre camminavano verso la cucina, lui notò che il suo vestito era slacciato di qualche centimetro. «Aspetta.» Le posò una mano sulla schiena. Ami si irrigidì, riprendendo a respirare solo quando Alexander tirò su la cerniera.

«Ah... grazie.» Lei si scostò veloce.

Si comportava in modo strano.

«Hai qualcosa?»

Per lui fu una domanda divertente, per lei una ragione per sussultare. «Niente.»

... invece aveva qualcosa.

Inspirando per ritrovare la calma, Ami si diresse a una credenza, aprendo un'anta e sollevandosi sulle punte dei piedi. «Ho questo preparato per due. Oppure...» Aprì il frigo. «Ho del cous cous vegetariano già pronto.» Iniziò a leggere le istruzioni sulla confezione. «È da riscaldare in padella.»

Lui scrollò le spalle. Andava bene qualunque cosa.

Serena, Ami scelse da sola. «Scusa. Non sono una brava cuoca.»

Nemmeno lui lo era. «Mi sto facendo dare delle ricette da Nanny Shoko.» Andò a sedersi sul tavolo e rimase a guardarla mentre lei trafficava tra i tegami. Apparentemente, Ami era tornata normale. Gli stava dando attenzione, in attesa di sentirlo continuare.

«Sono pigro. Proverò a fare qualcosa solo quando andrò a vivere per conto mio.»

«Ormai mancano due settimane.»

«Già.» Due settimane al trasloco, poi l'ex appartamento di Yamato sarebbe diventato la sua nuova casa.

Gli sarebbero mancati i manicaretti della sua tata. «Nanny Shoko continua a dire che può venire a prepararmi qualcosa quando ho bisogno.»

«Ti vizia.»

Era vero. «Il mio stomaco non protesta.»

Ami stava accendendo il fuoco. «Hai già provato a stare per un paio di settimane con cose cucinate solo da te, no?»

Sì, non era andata a finire bene.

«Alla fine sei ricorso ai ristoranti.»

Purtroppo. «Ora mi posso permettere solo le piccole trattorie. Sopravviverò.»

Ami sorrideva in silenzio.

«Non hai fiducia, hm?»

Lei sollevò tra le mani la confezione che si apprestava ad aprire. «I moderni supermercati si sono attrezzati. Per chi non ama cucinare, come noi, c'è una vasta scelta di cibi che richiedono solo pochi minuti per essere pronti da servire.»

Ami sembrava una pubblicità.

«Il tuo problema» continuò lei, «é che sei esigente in fatto di gusti. Non ti piacciono le cose che non sono fresche.»

Sì, i ristoranti lo avevano abituato male. Il cibo era un piacere fatto per essere gustato e doveva essere cucinato da mani esperte.

Ami scuoteva la testa. «Ti avverto: dubito che diventerò una di quelle donne che cucinano bene. Quando vivremo insieme e toccherà a me nutrire entrambi, dovrai accontentarti di pochi piatti ben fatti.»

«Non voglio altro.» Per lui era già una cosa grandiosa sentirla parlare del loro futuro insieme con tanta sicurezza. «Questi mesi in cui vivrò da solo mi serviranno a perferzionarmi. Comprerò dei libri di cucina, così, quando andremo al lavoro di mattina, ti farò trovare uno di quei bento ben preparati, con tante cose diverse.»

La dolcezza del sorriso di lei lo riempì di gioia.

In cucina si fece vivo un miagolio vivace.

Alexander si piegò sotto il tavolo. Trovò il suo omonimo che stava disegnando una esse tra le gambe di Ami.

«Poverino, ha fame.»

«Lo nutro io.» Si alzò e andò verso il ripiano in cui era sistemato il cibo da gatto. Afferrò una lattina.

Ami sorrideva. «Naturalmente lui verrà a stare con noi. Per allora troverò qualche lavoretto, così manterrò sia me che Ale-chan.»

Anche a lui piaceva molto fare progetti di quel tipo. Solo, non era felice che dovessero preoccuparsi dei soldi. Ce ne sarebbero voluti parecchi per mantenere entrambi, una casa e le loro carriere universitarie. Per non parlare di quell'idea di famiglia che non poteva aspettare più di un altro anno e mezzo.

Nel presente Ami era serena. «Dovrai anche imparare a fare le pulizie.»

«Sono capace.»

Lei non era così convinta. «Non sei disordinato, ma è sempre stata Shoko-san a pulire per te i pavimenti, a togliere la polvere dai mobili, a farti il bucato. Ah, e a stirare. Sei fortunato, a me piace stirare.»

Ah, sì? «Quindi verrai a farlo per me?» Versò il cibo del gatto nella ciotola.

«Non scherzare. Mi riferivo a quando vivremo insieme.»

Lui scoppiò a ridere.

Ami non capì. «Adesso ho da stirare la roba mia e di mamma. Non verrò a casa tua a farlo per te!»

Lui si divertì ancora di più. «Lo so! È solo che... Nanny Shoko me l'avrebbe offerto.» Un altro tipo di ragazza lo avrebbe fatto. Ma Ami era indipendente e assolutamente estranea a logiche di suddivisione dei ruoli in base al sesso. Non era nata per essere casalinga e lo affermava con forza.

Gli occhi di lei erano socchiusi per il sospetto. «Non sono la tua governante.»

«E non vorrei che lo fossi.» Al di fuori di qualche strano e perverso giochino erotico, almeno. «Mi piace che tu non pensi nemmeno di fare una cosa simile. Non devi servirmi o riverirmi più di quanto non debba fare io con te. Tutti e due abbiamo un cervello e due mani: possiamo pensare a noi stessi e non pesare sull'altro.»

Ami annuiva. «O possiamo aiutarci a vicenda, suddividendoci i compiti in modo equo.»

Tanto lui sapeva già come sarebbe andata a finire. «Non ti piace lavare i piatti, giusto?»

Ami scrollò le spalle. «No.»

Sì, lei non gradiva il contatto coi residui di cibo. Una sua fisima. «Io e le stoviglie sporche ce la caviamo bene invece.»

Lui provava uno strano piacere nel grattare via lo sporco dalle superfici, rendendole di nuovo immacolate. «Alla fine ci divideremo i compiti in questo modo: a me il lavaggio dei piatti, a te lo stiro.» Tornò a sedersi a tavola.

Ami aveva incrociato le braccia. Sorrideva furba. «Stirare richiede almeno un'ora - due, quando ci sono di mezzo lenzuola e coperte. Per lavare i piatti ci vogliono al massimo quindici minuti.»

Ah. Stavano già negoziando? «Ho la soluzione.»

Ami sollevò un sopracciglio.

«Lavastoviglie e servizio di lavenderia. E tutti contenti - soprattutto le nostre menti, che avranno più tempo per dedicarsi a compiti più interessanti.»

Lei lo trovò divertente. «Sono servizi che costano, Alex.»

Lui ne era consapevole. «Non preoccuparti di questo.»

Ami non disse più niente. Si voltò per tornare a cucinare.

Quella era una discussione che continuavano a non affrontare, ma a lui andava bene così. Quando fosse venuto il tempo, avrebbe trovato il modo - qualunque modo - per far sì che i soldi non fossero un problema. Era capace di mantenere se stesso e una famiglia. Non era dell'idea che solo un uomo potesse portare soldi in casa, ma finché Ami aveva da studiare... E se volevano davvero avere presto un bambino...

Lei lo guardava. «A cosa pensi?»

Trovò una buona scusa. «Non mi hai ancora dato un bacio di benvenuto.»

Ami si strinse nelle spalle, timida. Lanciò un'occhiata al cous cous che aveva messo sul fuoco e lo rigirò con energia un'altra volta. Si mosse verso di lui. «Devi tenere le mani a posto.»

Perché? Ma non fece domande quando Ami si chinò e posò le labbra sulle sue in un sorriso, tenendogli ferme le braccia.

Poiché aveva solo la bocca a contatto con lei, lui usò quella e la lingua per suscitarle sensazioni. Dapprima baciò piano, convincendola a non allontanarsi con la pressione delle labbra. Poi massaggiò quelle di lei una ad una, disegnandone l'orlo col respiro, con piccoli sfregamenti. Ami aprì la bocca e Alexander poté assaggiarla. Lentamente riuscì a prenderla per la vita, stringendola.

«Aspetta.»

C'erano ritrosie a cui lui non obbediva più. Ami a volte voleva fermarsi senza motivo, solo per ricomporsi. La circondò meglio con le braccia, spingendola a sedersi sulle sue gambe.

In risposta udì un sospiro contro l'orecchio. Era sceso con la bocca sul collo di lei, sul nervo che le dava maggiori sensazioni. Lo baciò una volta, dandogli una leccata leggera.

Ami lo graffiò sulle spalle. «La cena.» Si allontanò da lui con una spintarella veloce, tornando in piedi. Sistemò la gonna mentre si distanziava, ancora tremando.

Alexander decise di essere sincero. «Non ho così fame.»

Lei gli aveva dato le spalle. «Non eri venuto per mangiare?»

Certo, ma era una persona che sapeva adeguare i propri obiettivi alla situazione. «È quasi pronto, no? Possiamo spegnere il fuoco.»

Lei continuava a non voltarsi.

Lui le andò dietro, mettendo un braccio tra il suo stomaco e la cucina. Non la voleva troppo vicino a delle fiamme per quello che stava per dirle. «Questo cibo si può riscaldare di nuovo, love. Io ora vorrei scaldare te.»

Ad Ami sfuggì un piccolo suono, una via di mezzo tra un gemito e un lamento. «Alex...»

«Hm?» Girò la manopola del fornello per lei, spegnendolo.

«Vorrei cambiarmi.»

Perché?

Ami si girò tra le sue braccia, facendo un passo laterale. «Ho bisogno di cambiarmi.»

Lui non era contrario. «Ti metti qualcosa per me?» scherzò.

L'imbarazzo di Ami contenne una traccia di... qualcosa. Qualcosa di sconosciuto.

«Cosa c'è?»

«Niente.»

«Fai così da prima.»

Lei guardò per terra. «Ecco... Non è nulla, solo che... Ho bisogno di un momento.»

Per qualche faccenda femminile, supponeva. «Okay.»

Sollevata, Ami si diresse verso il salotto. Lui la seguì.

«Ehm... Non puoi aspettare in cucina?»

Gli venne da ridere. «Tornerai qui sotto? Stai diventando davvero audace.»

Lei avvampò e di nuovo si rannicchiò le spalle. «No, solo che...»

Dalla spallina del suo vestito stava spuntando una bretella di pizzo bianco.

Alexander la indicò col mento. «È una nuova canotta?»

Ami abbassò gli occhi e saltò per aria. «No! Cioè... È un... è una...»

Era la fonte del suo strano disagio, chiaramente. «Non è pulita?» A lui sembrava pulita, persino nuova dato che non l'aveva mai vista. «Non importa. Tanto devi toglierla, no?»

Ami si vergognò ancora di più.

«Ehi...»

Lei stava indietreggiando verso le scale. «Ti prego, non seguirmi.»

«Va bene. Ma non devi avere paura di me.»

Lei si fermò con un piede sul gradino. «Non ho paura.»

«Paura di quello che penso.» Come se ci fossero ancora cose che lei poteva vergognarsi di mostrargli.

Ami provò a rispondere, poi chiuse la bocca. «Mi hai... sorpresa, arrivando oggi. Non ero preparata.»

Certo, ma se lei stava pensando al tipo di preparazione che richiedeva profumi o rasoi... «Per me non ha importanza.»

Su di lui lo sguardo di Ami era intenso, concentrato su molti pensieri. Lei ne focalizzò uno, sorridendo. «Sei venuto a trovarmi per questo, hm?» Indicò con la testa il piano di sopra, quasi fosse un'idea troppo maliziosa da mettere a parole.

Lui aveva avuto un unico scopo. «Volevo vederti. Mi mancavi.» Trovarsela davanti a tavola, mentre cenavano, sarebbe stato sufficiente. Guardarla dal vivo per un minuto lo sarebbe stato. Sentirla al telefono non era abbastanza.

Sulle scale Ami lo osservava, colpita come se lui avesse espresso quel sentimento per la prima volta. La sorprendeva il bisogno, lo comprendeva solo quando lui glielo dimostrava. Ne gioiva quando alla fine ci credeva e lui non vedeva l'ora di convincerla di nuovo, un'altra volta, in continuazione.

Sentì il petto stringersi quando Ami si arrese a se stessa, allungando una mano verso di lui. «Vieni.»

Coprì la distanza tra loro in due passi, fermandola sulle scale per un bacio, la dita tra i suoi capelli.

Lei respirava veloce. «Aspetta.» Indietreggiò, salendo, le gambe poco stabili ma sicure della direzione. Lo teneva per la mano.

Mentre oltrepassavano la porta della stanza Alexander notò che Ami si stava mangiando le labbra. Lei lo faceva quando voleva risentire il sapore di un bacio - una volta glielo aveva confessato.

Lui la trattenne, gliene dietro un altro - migliore, più profondo, un braccio sulla vita per invitarla a non cercare pause. Le diede tutto il gusto che cercava, con lunghi assaggi morbidi, umidi, che lo inebriarono del sapore che creavano insieme. Ami ansimava contro la sua bocca, innaturalmente eccitata. Mise una mano sul suo petto.

Lui udì la richiesta. «Cosa?»

«Non pensare male.»

In che senso?

Lei portò le mani dietro la schiena e lui capì che stava per scoprire cosa la innervosiva.

Ami tirò giù la cerniera dell'abito che indossava. Il rossore sulle sue guance divenne così intenso che Alexander le lasciò fare un passo indietro, verso il letto.

Lei posò le mani sulle spalle, lasciando scivolare le dita sotto il tessuto del vestito blu, il petto che si muoveva ritmicamente, forte. Si spogliò fino a metà braccio. Con più coraggio lasciò cadere il vestito fino allo stomaco.

A lui bastò un'occhiata al suo torso per sentire un colpo al basso ventre, tanto intenso da lasciarlo senza fiato. 

Aprì la bocca per respirare, o forse solo per inneggiare alla vista di lei. My God.

Allungò una mano. Deviò in tempo per prendere quella di Ami, che lo stava guardando con due chiazze rosse sulle guance, quasi dolorante per l'imbarazzo.

Alexander riuscì a stento a riderne. «Non... dovevo pensare male?» Non avrebbe mai potuto. C'erano solo bene e dieci mondi di piacere dietro quella cosa semi-trasparente.

Dio, chi aveva mai inventato un indumento che delineava tanto bene dei capezzoli?

Quelli di Ami iniziarono a indurirsi sotto i suoi occhi, facendogli stringere i denti, aumentando la morsa all'inguine.

«L'ho comprato perché era carino. Non per...»

Non gliene importava nulla.

«Non per il sesso» espirò lei.

Lui la guardò negli occhi. «Non vuoi che lo usiamo per questo?» Avanzò, facendola indietreggiare verso il letto.

Ami cadde a sedere e lui si inginocchiò, le mani sulle sue gambe. «Non ti piace che ti guardi?» Voleva farglielo ammettere, perché non era disposto a toglierle subito quel reggiseno. Voleva giocarci, farne un mezzo per adorarla.

Per il bisogno che aveva di accarezzarla strinse nel pugno la sua gonna ed Ami sussultò. «Sotto ho un'altra cosa che... Gli slip sono uguali, ma più trasparenti.»

Se lei voleva farlo venire con le parole, ci stava riuscendo.

Alexander espanse l'eccitazione lungo tutto il corpo, diramandola, controllandola. Non aveva alcuna intenzione di perderla - per un'ora, se possibile, o per il resto della nottata. Al pensiero, morse le labbra.

Ami lo notò e si riempì d'aria. Gli coprì le mani con le proprie. «Mi piace quando... mi piace tutto quello che fai.»

Lui lo prese come un assenso. Con un dito le sfiorò lo stomaco.

Lei si tese, gli occhi socchiusi per la delizia della sensazione. «Non so perché ancora mi vergogno.»

Non so perché stiamo ancora parlando. Ma gli entrò in testa il tono di supplica che chiedeva una mano, e l'ossigeno tornò al suo cervello. «Cosa vuoi nascondere?» Non seppe perché fu così sincero, ma per farsi perdonare le aprì una mano, baciandole il palmo.

Ami faticava a pensare. «Non voglio nascondere il mio corpo. Non sono brutta.»

«Sei la più bella che abbia mai visto.» Ragazza, donna, creatura - non importava la categoria.

A lei sfuggì un lamento, commozione e resa. Gli prese la testa tra le mani, piegandosi in avanti. «Non voglio più pensare.» Chiuse la sua bocca in un bacio.

Lui si sollevò lentamente, senza smettere di ricambiarla. Si sentì un poco crudele nell'insistere. «Hai paura che sappia quanto lo vuoi, Ami love?»

Lei scosse la testa, la fronte contro la sua.

Alexander si appoggiò con le mani sul materasso, mentre lei ricadeva col peso sui gomiti. Si sdraiò.

Lui respirò contro le sue labbra, gli occhi chiusi. «Per cosa dovevo pensare male?» Voleva aiutarla a capire.

«Perché non ho pudore.»

Lui voleva che lei non ne avesse. E voleva che niente, nulla in assoluto, le desse dubbi mentre stavano insieme.

Fu una prova di quanto l'amasse il fatto che non potesse smettere di baciarla sulla bocca, nonostante il desiderio che aveva di usare le labbra sul suo corpo in altri modi. Ma Ami che lo abbracciava e cercava forza nello stringerlo era paradisiaco, era il bisogno che lui aveva di lei riflesso, dichiarato.

«Farei di tutto» gli disse lei e senza fiato Alexander le passò una mano sotto la schiena. Aiutandosi con le gambe la spostò verso l'alto, dove avrebbero avuto spazio per qualunque idea.

La confessione le era costata, ma lui aveva capito. «È una debolezza. Non ti fermi più se ti lasci andare.»

Deglutendo, Ami annuì.

Le faceva male sentire di doversi limitare, ma non stavano parlando di sesso. Se lei si lasciava andare completamente poi chiedeva troppo, voleva troppo - di questo aveva paura. Di non sapersi più frenare e di non essere in grado di mettere se stessa in secondo piano rispetto a lui - il suo concetto di massimo amore. Lo aveva già spinto al limite per amarlo, arrivando a una contraddizione da cui non sapeva uscire.

Ci voleva tempo, pazienza. Lui aveva ancora tanto da darle, e nessuna intenzione di smettere. «Un po' alla volta» le sussurrò, riferendosi a ogni cosa. «E vedrai che andrà tutto bene.»

Lei spinse il naso contro la sua guancia. Lo strinse con tutta la propria forza per la comprensione che stava ricevendo, poi rise piano. «Va bene non andare tanto piano. Per questo, adesso.»

Era contento di sentirglielo dire, perché voleva perdere un po' il controllo con lei. Non pretendeva di risolvere tutto in una sera, ma c'era una cosa che teneva a farle dire. Un altro passo avanti.

«Voglio farti tante cose, Ami.» Non smise di guardarla mentre lei smetteva di respirare. «Let me

Sì, le chiedeva di lasciarlo fare - una concessione di fiducia a scatola chiusa. Perché lui la conosceva, lei e i suoi limiti, e lei doveva saperlo, doveva fidarsi.

Nel suo sconvolgimento Ami fu abbastanza stabile. Riuscì persino a sorridere. «Ti piace così tanto questo pizzo?»

Gli piaceva lei che faceva quei discorsi, e la sensualità del suo mormorio, più dolce del solito. «Da morire.»

Ami assorbì le sue parole. Alexander seppe di essere osservato mentre abbassava lo sguardo sul petto di lei. Non si trattenne più, le accarezzò il torso con una mano, arrivando sul bordo bianco del tessuto che si adagiava sui suoi seni, teso sulle punte turgide e rosate che premevano sui ricami. Ami sfiorò con un dito quella che lui stava guardando, facendogli spalancare gli occhi.

«I'm letting you

Per nessun'altra frase lui avrebbe alzato la testa.

«Fa' tutto quello che vuoi. Va bene.»

Non aveva calcolato quanto forte sarebbe stato il pugno di eccitazione, la sorpresa. Imbambolato, non fece niente.

 

Ami non aveva voglia di aspettare. Sì, gli avrebbe lasciato fare ogni cosa, perché era così bello vederlo tanto intento su di lei e sentire di avere fiducia - anche per cose che non conosceva, che si sarebbe sentita troppo spudorata a provare, ma non importava. Voleva dimenticare, voleva dirgli di sì. Voleva lasciarsi andare e cadere per davvero - era eccitata a tal punto e non poteva uscire da quel momento, doveva viverlo per non perderlo.

Mise una mano sulla felpa di lui, sullo scollo. Gli sfiorò le clavicole, poi smise di toccarlo per portare le dita sul suo stomaco - l'unico modo di spogliarlo di qualcosa.

Alexander le prese il polso, spostandole la mano di lato, contro le coperte. «Ricordi la prima volta?»

«Hm?»

«L'effetto che ti hanno fatto i baci sui seni.»

Lei capì subito di cosa stavano parlando.

«Ho sempre voluto capire se era stata la novità, o se sei davvero così sensibile.»

Ami sentì il sangue che pulsava dai piedi fino al petto, più forte tra le gambe. Le unì, le strofinò. Non stava più arrossendo in faccia, ma dove lui stava per baciarla.

«Proviamo.»

Alexander non appoggiò le labbra, non sfiorò. Inglobò con la bocca tutta la sua areola, compreso il pizzo. Succhiò.

Lei gli graffiò le braccia, tirando indietro la testa. Sentì il movimento della lingua sul capezzolo - piccoli colpi continui, lenti e veloci, che accesero tutte le sue terminazioni nervose. Non aveva un solo muscolo che non fosse contratto, o parte di lei che non volesse essere toccata, strofinata, leccata.

So good.

Lui allontanò la bocca, la sostituì con un dito sulla punta del seno. «Ti ho bagnata di saliva. La senti sulla pelle?»

Lei annuì con la testa, gli occhi chiusi. Non era per la vergogna che non voleva vedere: voleva concentrarsi. Sul tatto, pensò, stringendogli la parte alta delle braccia, senza lasciare che l'ostacolo della felpa le impedisse di sentire il calore del suo corpo, la forma dei muscoli a cui poteva tenersi.

Ora lui stava usando un polpastrello su di lei, tracciando il contorno dello stesso capezzolo che aveva tormentato, spingendolo da un lato, dall'altro. Usò due dita per stringerlo, solo per un istante, poi la stuzzicò con un'unghia, lo strofinio col tessuto ricamato che acuiva le sensazioni.

L'aria usciva da lei senza scampo. La sua bocca si apriva, tremava, e l'idea di essere vista non era più un problema - era un regalo, qualcosa da condividere. Insieme respiravano convulsamente.

«Così lo rovino.» Lui abbassò le coppe del reggiseno, tutte e due, e per un momento fece quella strana cosa che facevano tutti gli uomini secondo Rei. Si riempì le mani dei suoi seni, un gesto che non portava sensazioni, se non mentali e solo a lui. Per tentare di nuovo di capirle Ami aprì gli occhi ma Alexander era già andato oltre e con due dita per seno - indice e pollice - stava facendo roteare piano entrambe le sue punte.

Incrociarono gli occhi, un istante che non le diede il tempo di sfuggirgli. Arrossì, ma non smise di guardarlo. Anche lui non riusciva a tenere le labbra chiuse. Erano più scure, come i suoi occhi. Alexander era diviso tra tormento e piacere, il suo volto identico a quando era coinvolto con tutto il corpo in quell'atto. Allargando i gomiti riuscì a chinarsi di più su di lei, senza smettere di muovere le dita. In realtà perse un po' di ritmo su una mano, ma sopperì con l'assaggio della bocca.

«Apri.»

Lei non aveva chiuso le labbra, ma comprese la supplica. Non bastava, bisognava averne di più. Inumidì apposta le labbra, come lui, per premerle umide contro le sue - una sensazione divina per come riuscivano solo a sfiorarsi e dovevano tendersi per trovare uno strofinio interno, delizioso proprio perché era breve, scappava.

Alexander si scostò di colpo, abbassandosi per premere la bocca aperta contro il suo capezzolo, il dorso della lingua insistente, duro, una tortura grandiosa.

Ami tese il petto e anche il bacino contro il corpo di lui, di mezzo la gonna del vestito arrotolata sopra i fianchi. Manovrò senza successo, o scopo, ma Alexander provò a trovarne uno mettendole una coscia tra le gambe. Non poté più muoversi senza strofinarglisi addosso.

Sul seno lui cominciò a morderla piano, alternandosi nel leccare.

Ami si procurò piacere da sola quando sollevò di nuovo il ventre. Spalancò la bocca, senza riuscire a crederci. Ripeté il movimento e mugolò.

Non l'aveva mai sentito in quel modo. Tutta la sua carne morbida aveva qualcosa di compatto contro cui sfregarsi. Era divino, piacevole da impazzire. Lo fece di nuovo, stringendo i denti per trattenere il suono.

Alexander si tirò su per metà, appoggiandosi su un fianco. Senza riflettere lei provò a non lasciar andare la sua gamba, ma lui ci mise di mezzo una mano, infilandola di lato nei suoi slip. Si bagnò le dita senza neppure provarci e lasciò scivolare il pollice verso l'alto, tra le sue pieghe. Quando lei sussultò, lui iniziò a descrivere un piccolo cerchio, con intento, letteralmente rubandole il cervello.

«Così» la pregò, ansimando e tornando con la lingua sul suo petto.

Lei si mosse a tempo col suo dito, non capendo neppure più cosa la tenesse ancorata al letto. Fu corpo invece che mente - divenne un tutt'uno con gli spasmi che le crescevano nel ventre, coi fianchi che roteavano cercando altra estasi. Sentì di nuovo la suzione nel punto più sensibile del seno, che tirava a sé sensazioni, le richiedeva.

Una breve leccata innocua si portò dietro lo spasmo finale, talmente forte che la colse di sorpresa, facendo scattare verso l'alto tutto il suo bacino.

Si agitò in movimenti ampi, sapendo per istinto come dimenarsi per amplificare la pulsione, le contrazioni di muscoli che si scioglievano a ritmo, senza perdere la forza della morsa. Le assecondò, perdendo ogni resistenza.

Appena il piacere iniziò a morire lentamente, deliziosamente, aprì con uno scatto le mani, smettendo di graffiare.

Controllò col palmo di non aver tirato fuori del sangue dietro il collo di lui. Trovò piccole scie asciutte, in rilievo. Contrita, massaggiò tutto intorno, poi gli accarezzò i capelli.

Alexander si tirò su senza smorfie di dolore, appoggiandosi sulle ginocchia e usando le mani per tirarle giù la gonna.

Lei gli diede una mano e non chiese quando si sentì spostare di lato, verso il bordo del materasso. Le salì un brivido - eccitazione, sgomento - quando lo vide scendere dal letto e inginocchiarsi sul pavimento, le mani sulle sue cosce per tirarla verso di lui, verso la sua faccia.

Aspetta.

Non le uscì la parola, perché col primo tocco lui riposizionò i suoi slip, sistemandoli per coprila. La massaggiò lungo tutta la stoffa con un solo dito, espandendo la chiazza umida.

«Come la prima volta» disse senza guardarla, chinandosi e appoggiando a occhi chiusi la bocca su di lei, per baciarla.

La luce era accesa e questa volta Ami vide con una chiarezza sconosciuta. Con le sopracciglia unite, perso, lui riceveva piuttosto che prendere, anche quando tirò fuori la lingua e assaggiò, premendo tanto forte che risultò chiaro che voleva sentire il sapore. Lo cercava, lo voleva.

Ami si portò le mani alla faccia, sussultando involontariamente. Cercò di tenere aperte le gambe, di non chiuderle - perché anche se le veniva da gemere per il contatto, la possibilità che lui potesse sfilarle gli slip... Oh, Alex lo avrebbe fatto e lei non avrebbe avuto più il minimo pudore. Non avrebbe più potuto difendersi se- se lui... Iniziò a provare un nuovo picco di piacere, contenuto e languido. Lo strofinio di lingua e cotone frammentato insieme era immensamente piacevole, mobile e scivoloso, da togliere il fiato. Direttamente sulla carne sarebbe stato...

Lei non voleva sentire così tanto! Lo pensò anche mentre i suoi fianchi tremavano in risposta, ondeggiando.

Alexander smise, si staccò per guardarla in volto.

Con tutte le sue forze lei provò a non fargli vedere alcuna esitazione. Lui non lo meritava e lei non capiva - non capiva! - perché ancora non riuscisse a dargli tutto, che cosa le facesse paura.

Io sono già tua, no? Era così vero, qual era il problema?

Lui si stava tirando su, piano, le mani appoggiate sul materasso, ai lati del suo corpo. Respirava forte e non aveva smesso di osservarla. Invece di avvicinarsi ad abbracciarla, si allontanò all'improvviso, facendo il giro del letto. Seguendolo con gli occhi, Ami si tirò indietro, tornando distesa nel verso lungo del letto.

Non si alzò, non si sedette. Rimase a guardare mentre lui apriva il cassetto dove avevano concordato di tenere i preservativi.

Le uscì un sospiro - sollievo. Si sollevò per spogliarsi.

Alexander aveva in volto un'espressione sofferente. Tirò via la felpa e gettò la confezione del profilattico sul letto prima di abbassare la zip dei pantaloni, facendo attenzione a non farsi male. «Ami...» Liberò in fretta le gambe e tornò da lei. «Perché fai quella faccia?»

«I love you.»

Quando riuscì ad abbracciarlo, capì. Comprese quando lo tenne stretto, quasi con disperazione, il naso contro il suo e gli occhi aperti per non smettere di guardarlo.

Non so per quanto tu sarai mio.

Lui la abbracciava forte, di rimando. «... vuoi che smettiamo?»

«No» sussurrò decisa. Al contrario, voleva continuare. Era davvero lei quella che voleva prenderlo, tenerlo in eterno. Ma non era possibile fare una cosa simile a una persona.

Eppure, lo baciò con trasporto e tutta se stessa. Cercava di dimenticare il limite, era una persona egoista. Voleva chiedere e avere tutto, anche se non era più una bambina. Non sarebbe uscita intera quando avesse dovuto ricordarsi che tra le persone doveva esserci distanza, spazio.

«Non ti è piaciuto?» Lui stava provando a staccarsi. «Non lo farò più.»

«No.» Parlò a occhi chiusi, contro le sue labbra. «È bello tutto quello che fai.» Era incredibile amarlo e stare insieme. Ma lui doveva andare in America per mesi, era già deciso. Lei poteva andare a trovarlo tutti i giorni, ma forse non doveva farlo? Forse Alex lo avrebbe trovato complicato, forse non avrebbe voluto distrazioni.

Magari era giusto staccarsi un po'.

Lui le accarezzò la tempia, facendole aprire gli occhi. Aveva tanta voglia di chiedere e capire, ma comunicarono come sapevano, sentendo entrambi che cosa desideravano di più - e non si trattava di spiegazioni.

Alexander si scostò per levare i boxer e lei infilò una mano sotto l'arco del suo braccio, per prendere il profilattico che lui aveva schiacciato. Glielo passò, attese. Lo accolse quando tornò a sdraiarsi accanto a lei.

Era quella la cosa più bella. Le piaceva il sesso e sì, amava il sensazioni, ma quando sentiva lui con tutto il corpo, e non c'era parte di lei che non lo avesse e che non gli appartenesse. Era l'esperienza più... «I love it» gli disse, allargando i fianchi sotto i suoi, sentendolo entrare. Lo avvolse con le braccia, nel loro momento perfetto. «I love you so much.»

«I adore you, Ami love.» Alexander non si mosse con lei, restò fermo a godersi l'unione, i baci lievi. «Dopo dovrai dirmi perché facevi così.»

Lei non ne aveva alcuna intenzione. Gli voleva troppo bene per intrappolarlo e ricattarlo con l'amore.

Aveva avuto un momento di debolezza perché era imperfetta, una ragazza comune. Ma sapeva come amarlo ed era fortunata. «Sono felice.» Lo incitò a muoversi, ottennendo una piccola e deliziosa spinta.

Alexander aveva chinato la testa. Lei lo sentì sorridere contro un lato del suo viso. «Davvero?»

«Sei venuto a trovarmi, ti mancavo.»

«Tantissimo.»

Aveva già così tanto di lui. Ondeggiarono di nuovo e lei volle ripetergli la verità. «Mi manchi anche quando non ti cerco.» Quando non poteva dirglielo, per timore di chiedergli più di quanto doveva.

«Lo so.»

Volle mettersi a piangere di gioia, ma non fu così sciocca. Semplicemente, si lasciò andare. Era capace, un giorno ci sarebbe riuscita completamente. Come diceva lui, sarebbe andato tutto bene alla fine, piano piano.

Mozzò il fiato e si abbandonò al momento. Lasciò vincere l'amore e fu la persona più felice, più completa e adorata.

 

C'erano cose - pensò Alexander alla fine, sdraiato - che ancora non capiva di Ami.

Lei sorrideva serena, piena di energie mentre si rivestiva accanto al letto, guardandolo. «Vado a finire la cena.»

Lui si sarebbe alzato per accompagnarla, ma gli era venuto un incredibile colpo di sonno.

Ami aprì l'armadio e tirò fuori una trapunta. «Quanto hai dormito stanotte?»

«Sei ore. Credo.» Se finiva prima di studiare, si era detto, avrebbe avuto un po' di tempo libero quella sera.

Allargando le braccia, Ami distese la trapunta sopra di lui.

«No.» Alexander provò ad alzarsi, ma lei lo fece ricadere sul materasso, le mani sulle sue spalle. «Certo che sì. Riposa.»

«Non-»

«Hai studiato tutto o no?»

«Sì.» Odiava ridursi all'ultimo momento. Studiando in quegli ultimi giorni in realtà lo aveva fatto: stava dedicando troppo tempo al lavoro sulla tesi - con grande anticipo, per prepararsi a ogni eventualità sul loro futuro.

«Ti sveglio io, prima che rientri mamma. Ti do il tempo di mangiare insieme, poi torni a casa.»

Lui riuscì a ridere. «Così sembra che sia venuto da te solo per...»

Ami gli regalò un sorriso adulto, molto diverso dall'imbarazzo di inizio sera. «Non mi sarebbe dispiaciuto.» Si chinò su di lui, sistemandogli le coperte sulle spalle. «Dormi.» Lo baciò sulla fronte. «Veglio io su di te.»

Ne risero insieme, poi lei lo lasciò solo.

Lui faticò a tenere aperti gli occhi.

Doveva davvero ricordarsi di avere più pazienza. Poi Ami era capace di far finta di nulla ed essere anche soddisfatta ma... non c'era ragione di far esistere il disagio, solo perché lui aveva avuto fretta. Quando andavano piano, ai tempi di lei, andava tutto bene.

Non voleva più vederla esitante, voleva solo farla felice.

Abbassò le palpebre.

.. avevano tutto il tempo.

 

Marzo 1997 - Lasciarsi andare? - FINE

 


NdA: Eh. Qui ho introdotto un concetto di cui stavo parlando già da un po' in spoiler vari. Mi rendo conto che possa non essere chiarissimo, considerato che, come mio solito, salto da un momento temporale all'altro, senza finire di raccontare bene cose precedenti. Questa è la prima volta nel suo percorso che Ami definisce tanto bene nella sua testa quello che prova. Delineavo uno dei motivi di questo suo atteggiamento nell'ultimo capitolo di Acqua viva, parlando del rapporto con suo padre.

Ami è una ragazza cresciuta con l'idea che, se si ama qualcuno, bisogna lasciarlo andare. Bisogna lasciare che le persone che si amano (suo padre, ma anche sua madre) si occupino delle cose che amano davvero (il lavoro, l'arte) rispetto alle quali lei deve accettare di stare in secondo piano.

È una cosa dolorosa da accettare per un bambino, per una persona, ma Ami la ritiene normale.

Lei non si è detta con chiarezza che il suo atteggiamento dipende dai suoi genitori - non so nemmeno fino a che punto ne sarà consapevole in futuro, ma scoprirlo non la aiuterà a cambiare definitivamente modo di fare. Ormai fa parte di lei.

Quindi, questo sarà il problema che lei dovrà risolvere nel suo prossimo futuro. Non da sola, ovviamente, ma la domanda è: fino a che punto può essere spinta la pazienza di Alexander? A livello sessuale, pare che non ci siano problemi (:D). Per questi due conta molto il livello emotivo. Lui può essere forte fino ad un certo punto, perché - come spiegavo in passato - questo suo voler dare e dare nasconde un'insicurezza di fondo con riguardo ad Ami. Cioè, anche lui ha il timore che, se non è abbastanza bravo e generoso, sarà mollato.

Eh. Non si prospettano tempi facili per questi due.

Come al solito cercherò di descrivere bene tutte queste vicende.

Grazie di aver letto!

ellephedre

Gruppo Facebook dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

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Capitolo 8
*** Fine marzo 1997 - Troppo vino? ***


per istinto e pensiero 8

 

 

Per istinto e pensiero

di ellephedre

 

Fine marzo 1997 - Troppo vino?

   

«Cin-cin.»

Ami fece tintinnare il calice con quello di Alexander. Rimirò il liquido rosso prima di assaggiarlo.

Le sue papille gustative vennero invase dal sapore ricco e corposo del vino francese.

Lo inghiottì, sentendone il percorso fino allo stomaco. «Wow.»

Alexander concordava. «È più forte di quello che pensavo.»

Già. La gradazione alcolica doveva essere alta. Avevano recuperato la bottiglia dalla credenza di Yamato, l'amico di Alexander. Lui aveva detto che qualunque cosa fosser rimasta in casa era da considerare regalata. Lei e Alexander avevano preso la bottiglia di vino dopo aver deciso che era il caso di festeggiare quella sera.

«Non ce l'avrei mai fatta senza di te, Ami love. Traslocare in un giorno... Abbiamo battuto qualche record.»

Lei alzò il calice in loro onore. Erano stati efficienti. «Avevi messo in ordine tutto quanto.»

«Già. Ci ho messo una settimana.»

Esatto, alla fine cambiare casa non era mai semplice. Con una rigorosa organizzazione loro avevano ridotto i tempi al minimo indispensabile. «Ora abbiamo il tempo di andare dove vogliamo.» Avevano cinque giorni liberi, tutti per loro. Il periodo degli esami era terminato.

Alexander si stava guardando intorno, rimirando il salotto di quello che era stato un tempo l'appartamento del suo amico. Ora era casa sua.

«Voglio conoscere tanti posti, ma... per almeno una giornata mi andrebbe di stare qui. Sento di voler fare qualcosa con questo posto.»

Lui ne era proprio fiero. «Per esempio?»

«Voglio riempire il frigo. Ora è solo mio e comprerò il cibo coi miei soldi. Sento che sarà diverso fare la spesa. Voglio anche andare a comprare le cose che mancano in giro per la casa.»

Sì, incredibilmente non avevano trovato proprio tutto nell'appartamento dei genitori di lui: alcuni mobili erano stati troppo ingombranti per la funzione che avevano.  «Allora domani andiamo in un negozio di mobili.»

Alexander pensava. «Sai, anche se sarà un posto economico, non importa. Sono contento. Stare qui mi dà la carica.»

Lui tenero nel suo palese desiderio di rendere quel posto ancora più suo. «Ti meriti tutto questo.» Ami brindò di nuovo a lui, a ciò che aveva conseguito. «Riuscirai a mantenere questo appartamento. È tuo, te lo sei guadagnato. Sei una persona completamente adulta ora.»

Alexander si illuminò. Fece tintinnare i loro calici con più energia. 

Quei giorni erano... speciali, pensò Ami.

Pochi giorni prima Alex aveva presenziato alla sua cerimonia di diploma. Era venuto alla sua scuola in completo, elegante senza essere troppo formale, per vederla ricevere in mano il documento che decretava la fine di un lungo periodo della sua esistenza. Non era più una studentessa che doveva portare l'uniforme; la scuola come la conosceva era finita.

Quando avevano chiamato il suo nome sul palco, Alexander l'aveva applaudita assieme a sua madre e alle ragazze.

Fuori dall'edificio scolastico, Ami lo aveva visto fare una faccia strana quando gli aveva chiesto di fare una foto ricordo con lei.

«Perché sei sorpreso?» gli aveva domandato.

«Te lo dico dopo» aveva risposto lui. Si era messo davanti all'obiettivo, un braccio intorno alle sue spalle, ed Ami lo aveva visto sfoderare il sorriso più grande che avesse mai regalato a una macchina fotografica.

Si era dimenticata di insistere per una risposta, ma in seguito aveva capito da sola come si era sentito lui. Era successo quando erano andati insieme al matrimonio di Usagi.

Lei aveva pianto nel vedere Usagi e Mamoru che si prendevano per mano, guardandosi negli occhi, mentre giuravano di amarsi in eterno. 

Avrebbe ricordato per sempre quel giorno assieme alle sue compagne. In futuro avrebbero parlato della festa, di quanto fossero state emozionate mentre si dirigevano insieme verso il luogo della cerimonia... Si era resa conto che avrebbe ripensato anche ad Alex, al momento in cui lo aveva tenuto per mano mentre si scioglieva dalla commozione per Usagi. 

Iniziavano ad essere presenti, l'uno per l'altra, in momenti irripetibili delle loro esistenze.

Ami voleva essergli accanto nel giorno in cui lui si fosse laureato - la prossima grande tappa della sua vita.. Era anche felice più che mai di averlo aiutato a traslocare nella sua prima vera casa: sarebbe rimasta nei ricordi di lui per sempre, qualunque cosa fosse successa tra loro.

Colpita da un magone, bevve un altro bel sorso di vino.

«Ehi, vacci piano.»

«È buono.» Forse però l'alcool stava cominciando a darle alla testa. 

«Vuoi mangiare qualcosa?»

Hm. Non aveva molta fame, e non aveva voglia di cucinare.

Alexander sembrava pensare la stessa cosa. «Andiamo a cenare fuori.»

Uscire? Ma era così bello e tranquillo starsene in casa a non fare niente, dopo tutti gli impegni che avevano avuto.

Lui aveva adocchiato una scatola sistemata in una mensola della libreria. Sorrideva.

«Cosa c'è?»

«È da un po' che non giochiamo a scacchi.»

Ami voltò la testa. Per l'entusiasmo quasi travolse il calice di vino. Evitò per un soffio che il liquido si rovesciasse, ridacchiando. Si spostò verso la libreria e afferrò la scatola che conteneva la scacchiera. «Giochiamo ora!»

Lui era già convinto. Si stava alzando. «Vado a prendere degli snack.»

Aveva così fame? 

Sulla porta del salotto Alexander chiarì. «Servono per non stare a stomaco vuoto. Altrimenti il vino ci farà ubriacare.»

Lei fermò il calice a un centimetro dalle labbra. «Ho retto più di questo.» Al pigiama party di Usagi. Inoltre quello sarebbe stato il suo ultimo bicchiere.

«Scommetto che avevi mangiato qualcosa.» Alexander non discusse più, andò in cucina.

Un minuto dopo Ami aveva finito di sistemare i pezzi sulla scacchiera. Lui tornò indietro con un piattino di crackers.

«Non ho niente di valido in casa. Devo davvero fare la spesa.»

Lei ebbe un'idea. «Usciremo insieme nel cuore della notte. Andremo a prendere qualcosa in un Family Mart.» Non ci era mai stata oltre una certa ora. L'entusiasmo all'idea di fare piccole cose nuove insieme, in quella casa, l'aveva contagiata.

Alexander prese di nuovo in mano il proprio calice. «Andata. La città sarà nostra.»

Lei ricambiò il cin-cin. 

Lui bevve in un sorso solo quello che restava del proprio vino. «Ora ti insegnerò come giocare a scacchi.»

Davvero? «Che presuntuoso.» 

«Vedrai.»

 

Mezz'ora dopo Alexander sentiva la testa leggera. Aveva sgranocchiato un paio di crackers, ma la concentrazione per la partita lo aveva distratto. Era stato più facile continuare a bere che preoccuparsi di masticare. La bottiglia di vino era mezza vuota.

Ami pareva nella sua stessa condizione. Mentre guardava la scacchiera le sue guance erano accaldate. Sulle labbra aveva il residuo di una goccia di vino. Tirò fuori la lingua, per leccarla via.

Che cosa seducente.

Lei lo era, in ogni momento.

I suoi occhi blu salirono a guardarlo.

«Cosa?» domandò lui.

«Perché mi fissi?»

Non c'era un vero motivo. Semplicemente, l'aveva davanti e guardarla era tremendamente piacevole.

Il sorriso di Ami era divertito. «Ho qualcosa?»

«No.»

Lei raddrizzò le spalle, inspirando. «Mi sento... diversa.»

Ah, sì?

«Non credo di potermi più concentrare sulla partita.»

Sì, lui la capiva.

Ami stiracchiò le braccia verso l'alto, tirando fuori del petto. I suoi seni erano piccoli e appuntiti. La temperatura della stanza si era abbassata.

Lei rabbrividì. «Anche se è primavera...» Il suo discorso venne interrotto dal suono di un tuono, in lontananza. 

Ami emise una risata bassa, cristallina. «Ecco. Piove.»

Per Alexander era una serata perfetta. Era rintanato in casa - in una casa che poteva definire completamente sua - con Ami.

Lei smise di stringersi nelle spalle. «Prestami una tua felpa.»

Lui scosse piano la testa. «Perché non vieni qui? Ti riscaldo io.»

Ami non arrossì. Il momento in cui valutò la sua proposta fu particolare: per una volta in lei non vi furono imbarazzi. Lo fissò, poi con naturalezza coprì la distanza tra loro. Salì sulle sue ginocchia.

Alexander le portò le braccia intorno alla vita. Col respiro di lei sulla fronte, sollevò gli occhi, per bearsi della sua vicinanza.

Ami era calma, ma perplessa.

«Cosa c'è?»

«Non mi sto vergognando.»

Gli venne da ridere. Affondò il naso nel collo di lei. Inspirando forte, si inebriò del suo odore. «Sei così buona.»

«Anche tu. Te l'ho mai detto?»

Alexander si fermò a pensare. «No.»

Ami si strinse più forte alle sue spalle. «Sono... stordita.»

«Hm?»

«Dal vino.»

Ah.

Forse lo era anche lui.

Ami fece una pausa. «Non è male.»

Già. Non lo era affatto.

Rimasero in silenzio.

Alexander non resistette. «In che senso sono buono?»

Ami si divertì, un suono sottile che giunse al suo orecchio con un soffio leggero. Provò un brivido.

«Hai un buon sapore. Mi fa venire voglia di... baciarti.»

Fallo, allora. Non glielo disse. Sollevò la testa e incontrò la sua bocca. Sciolse le labbra di Ami con un bacio languido, intenso. Lei e tutto il suo corpo persero forza tra le sue braccia.

Con una piccola spinta delle anche, Alexander la fece sdraiare sulla schiena. Ami continuò ad accettare il bacio, non una sola protesta a interromperli.

Wow.

Lei non si arrendeva mai tanto presto.

Si staccò dalla sua bocca. «Sei davvero ubriaca?»

«Hm?»

A pochi centimetri dai suoi occhi, Alexander non riuscì a trovare le parole. «Non fai mai...» Così.

Ami non lo comprese. Rabbrividì di nuovo e lo strinse più forte. «Ho freddo.»

Si persero di nuovo nel bacio. Era bello sentirla rispondere senza alcuna inibizione. Lei si scioglieva sempre alla fine, ma arrivarci era un lavoro, una conquista. Ora invece...

Ami sorrise contro le sue labbra. Gli tirò su la maglia. «Dammela.»

«Cosa?»

«La voglio, ho freddo.»

Divertito, lui si staccò. «Così tanto?» Iniziò a spogliarsi. Quando riemerse dall'indumento, Ami aveva un sorriso furbo in volto.

«Ho voglia di metterla. Mi piace il tuo odore.»

Lui la trovò dolce e passionale. Libera. «Prendilo dalla fonte.» Si chinò in avanti, rubandole un altro contatto di labbra.

Ridacchiando, lei si ritrasse. Si era presa la sua maglia. «Mi basta questa.»

Alexander finse dolore. «Veramente?»

Nascondendo la bocca dietro il tessuto, Ami scosse veloce la testa.

Giocava. Era adorabile.

Lui fu audace. «Mettila. Con nient'altro sotto.»

Le si mozzò il respiro. Ami rimase a guardarlo, per un momento. Poi, con gli occhi che puntavano la stanza per non guardarlo direttamente, iniziò a togliersi le calze. Appena denudò un piede, lui glielo afferrò, premendo forte con un dito sulla pianta. Le uscì un gemito.

«Ti bacerò su queste dita.»

Ad Ami scappò una risata.

«Non vuoi?»

«È assurdo.» Lei lo disse mentre continuava a spogliarsi. Aveva levato la maglietta, rimanendo in reggiseno. Era il capo di biancheria che gli aveva fatto perdere la testa qualche settimana prima.

«God, ti sta così bene.»

«Cosa?»

«Quel pizzo.»

Sulle guance di lei comparve un po' di colore. Si era ricordata solo in quel momento di cosa indossava. «Ne ho comprati altri.»

Davvero?

«Perché il primo ti è piaciuto.»

Lui boccheggiò: era incredibile sentirla tanto sincera.

«Perché non ti stai spogliando anche tu?» gli domandò lei.

Dovette darle ragione. Le stava facendo fare tutto il lavoro da sola, ma aveva voglia di osservarla.

Sciolse la cintura dei pantaloni. Sollevando il sedere dalla moquette, fu a gambe nude in un paio di secondi.

«Troppo veloce» si lamentò Ami.

«Dovevo fare piano?»

«Era più romantico.»

Okay. Magari doveva ricordarlo in futuro.

Lei stava levando la gonna. Si vergognò solo in quel momento, ma non ebbe esitazioni nei movimenti: rimase in slip, il modello ricamato semi-trasparente che non la copriva quasi per niente.

Con incredibile audacia si mise dritta, sulle ginocchia, dandogli una splendida visione del proprio corpo.

Alexander memorizzò ogni centimetro quadrato di pelle.

«Si vede tutto quello che pensi.»

Eh? Non riuscì a guardarla negli occhi.

«Dal tuo pene.»

Lui scoppiò in una risata alta.

Ami si divertì. «È vero!»

Ma lei non aveva mai usato quella parola in vita sua!

Alexander non riuscì a smettere di sussultare.

Lei deglutì il proprio divertimento. Gli si avvicinò. «Sono un futuro medico. Penso a queste cose.»

Buono a sapersi.

Sentì le mani di lei sulle spalle. Si lasciò mettere a sedere.

Ami teneva gli occhi sul suo bacino. Lo studiava, spostando lo sguardo su tutta la sua forma. «A volte... mi fai male quando entri.»

... ah.

«Devo essere molto umida prima.»

Sì, se n'era accorto. Perciò cercava di farle avere un orgasmo prima. Era un po' laborioso, ma era una fatica così piacevole...  «Mi dispiace.»

«Non è colpa tua.»

Ancora lei non lo guardava in faccia. Lo spinse più forte all'indietro, fino a farlo sdraiare. «Credo di doverci pensare da sola di tanto in tanto. Con la testa.»

Lui non capì cosa voleva dire.

«Eccitarmi col pensiero» chiarì Ami.

Sarebbero bastate quelle parole a farlo diventare duro, ma Ami fece di più, appoggiando il bacino sul suo, in un deliberato strofinio.

Vederla tanto sicura, seminuda sopra di lui, lo portò al massimo dell'eccitazione.

«Per esempio, questo...» Ami strinse le labbra, ripetendo il movimento circolare dei fianchi, aggiungendo la forza del proprio peso. «È... wonderful

Lui le aveva stretto la vita, la bocca aperta e gli occhi socchiusi.

Senza chiedere, lei continuò a fare uso del suo corpo, muovendo il bacino controllatamente, per incrementare il piacere di entrambi.

Lui avrebbe voluto essere torturato in quel modo per sempre, ogni notte. Ogni mattina, tutti i giorni.

Allargò la presa alle natiche di lei, prendendone una per palmo.

Ami sussultò, poi si spinse contro le sue mani, senza inibizioni. «Vuoi... farlo?»

Lei era timida nella scelta dei termini, anche quando non era completamente lucida.

«Sì» rispose lui.

«Non senza preservativi.»

Il cervello non gli si era ancora spento a tal punto. «Vado a prenderli.»

Per alzarsi la sollevò, capovolgendola di lato. La seguì dapprima per impedirle un impatto troppo rapido col pavimento, poi solo per il piacere di stringerla. Si chinò a baciarle il collo, sovrastandola. «You are delicious

Ami ansimò, affondando le unghie nelle sue spalle. «Va' a prenderli.»

Per allontanarsi lui fece forza sulle braccia.

Una volta in piedi, lievemente più in sé, cercò di dare un senso ai propri dintorni. Dove aveva visto l'ultima volta i preservativi?

Non erano più nel solito cassetto. Aveva cambiato casa.

Si diresse verso la camera da letto, dove aveva lasciato il borsone con le ultime cose che aveva portato. Vi rovistò dentro, trovando una striscia dei prodotti che cercava.

Stringendoli in mano, tornò indietro. Forse doveva far venire Ami in camera? 

Sul punto di chiamarla, le parole gli morirono in gola. 

Ami era rimasta sdraiata sul pavimento, esattamente come l'aveva lasciata. Stava guardando la finestra, le ginocchia lievemente piegate, i pugni socchiusi vicino alla testa. Il suo ventre si sollevava piano, come i suoi seni. Sotto il pizzo bianco lui intravedeva il rosa scuro dei capezzoli turgidi, che tiravano il tessuto.

E il freddo? Non sarà comodo.

Ma una parte di lui non aveva nessuna di quelle preoccupazioni. Non era interessato alle conseguenze.

Appena lo sentì vicino, Ami voltò la testa. Sorrise, serena. «Questa casa già mi piace.»

«Come mai?»

«Mi fa sentire come se non avessi regole.»

Quello era l'alcool. Ne era affetto anche lui, perché aveva appena avuto un'idea.

Era un proposito che poteva realizzare con Ami in quello stato, mentre lui stesso si sentiva in quel modo. C'erano meno domande nella sua testa, meno freni. Più desideri.

Tornando a sistemarsi accanto a lei, la guardò negli occhi. Quelli di Ami rimasero fissi sui suoi, poi lei si sporse in avanti. Reclamò un bacio profondo, avvolgendogli la vita con le gambe.

Alexander non ebbe più alcun dubbio su cosa fare.

 


 

Ami si svegliò la mattina dopo, di colpo. Sentiva la testa leggera, sanata. Cercò invano le coperte. Aveva dormito senza un solo straccio addosso.

Sbatté le palpebre.

Ebbe un flash di quello che era accaduto la notte prima. Incredula, si tirò a sedere sul letto.

Concentrandosi, focalizzò i ricordi.

Si riempì di mortificazione. 

Cosa-? Come-?

Cercò invano i vestiti sul pavimento, per coprirsi e ritrovare un po' di pudore. I suoi abiti erano rimasti in salotto.

Si strinse nelle braccia e si allontanò dal letto. Era umida tra le gambe, per la prima volta per un'esperienza che la faceva sentire strana, incerta.

Sgattaiolò in bagno.

Seduta sul bordo della vasca, ripercorse con la mente le sue azioni della notte precedente. Si vide da fuori come se... come se non fosse lei.

Non era lei che si era dimenata in quel modo. Non era lei che si era lasciata... e poi aveva...

Invece sì.

Scattò in piedi, smettendo di ricordare per istinto di conservazione. Si pulì velocemente e raggiunge il salotto, ritrovando per terra tutti i suoi vestiti.

Sul tavolino al centro della stanza c'erano ancora la scacchiera e due calici con residui di vino sul fondo.

È stato l'alcool.

Rendersene conto le diede solo un attimo di sollievo. Non cancellava ciò che era avvenuto.

Vestita, con la giacca indosso, aveva già una mano sulla porta quando decise di tornare indietro.

Non cercò Alexander, che ancora dormiva nella stanza. Si diresse al borsone dove lui aveva sistemato tutti i medicinali. Per pietà recuperò una pastiglia di Bufferin e andò in cucina, a riempire un bicchiere d'acqua.

Era stato l'alcool, si ripeté. Lei non stava subendo gli effetti della sbronza solo perché aveva un fisico speciale, particolare.

Lasciò la medicina sul bancone, ricordandosi che tutto il suo potere non le era servito a mantenere un minimo di ritegno quella notte.

Con le guance in fiamme, a disagio, scappò dal nuovo appartamento di Alexander come una ladra.

   

Quando Alexander si svegliò, il suo cervello martellava contro le pareti della nuca.

Dolorante, si voltò su un fianco.

Ami?

Il letto accanto a lui era vuoto, freddo.

Si mise a sedere, un movimento rapido che gli fece vorticare la testa. Impiegò un momento a riprendersi.

Dannazione, era una sbornia. Si era ubriacato.

Ami non c'era.

La chiamò. Nel non sentire risposta iniziò ad allarmarsi.

Si alzò, vagando per le stanze.

Non c'era alcun segno di lei. I suoi vestiti erano andati, la giacca non era più appesa all'ingresso del corridoio. C'era solo...

Si avvicinò al bancone della cucina. Sul ripiano era appoggiato un bicchiere d'acqua e una pastiglia bianca - un antidolorifico.

Ami se n'era andata.

Si concentrò, combattendo contro il dolore alla testa. Perché lei non lo aveva svegliato? Per caso la notte prima lui aveva fatto qualcosa che...?

Ricordò tutto. Sbiancò.

Cazzo.

  


  

Usagi era in luna di miele. Rei era andata in gita con Yuichiro, Makoto era in viaggio con Gen e Minako era andata fuori città per lavoro. Per Ami le vacanze non erano mai capitate in un momento meno opportuno: aveva bisogno di parlare con qualcuno. Luna era rimasta in città, ma lei sarebbe rimasta scandalizzata già dalla sua prima frase.

Ieri notte ho bevuto troppo. E con Alex... non sono stata io.

Non era abbastanza amica di Haruka e Michiru per parlare con loro di questioni tanto personali. Inoltre, era certa che loro avrebbero riso di lei, dandole piccole pacche sulla testa per la sua ingenuità. Solo le sue amiche avrebbero potuto comprendere la sua confusione, anche se neppure a loro avrebbe potuto dire tutto quello che era successo la notte prima.

Nei suoi ricordi era in ginocchio sopra Alexander, le dita di lui rigide tra le sue gambe, ben insite il suo corpo.

«Qui ti piace?» lo aveva sentito domandare. Senza alcuna vergogna si era spinta contro la sua mano, roteando le ànche. Mentre lei continuava, lui le aveva chiesto ancora cosa volesse, fino a premere forte coi polpastrelli su un rilievo rotondo e gonfio, ipersensibile. Ami ricordava di aver chiuso gli occhi per l'estasi mentre lui percorreva quella protuberanza per intero, strofinandola. Poi Alexander aveva deciso che colpire veloce con le dita, a ripetizione, era la chiave giusta. Gli spasmi le avevano fatto tremare le ginocchia.

Era ricaduta su di lui, mentre il suo corpo ancora si stringeva sulla sua mano, pulsando.

Fino a quel punto era stata semplicemente disinibita. Poi aveva perso completamente la ragione.

Si erano spostati in camera da letto.

Il loro primo rapporto era iniziato in maniera naturale, intensa - entrambi così attenti a stare stretti l'una all'altro che a stento avevano respirato. Ricordava il peso di lui sul corpo e come avesse cercato di tenerlo ancora più vicino, perché la coprisse per intero. Aveva abbandonato la testa all'indietro, per aprirsi più a fondo ai loro baci - per assaggiarlo meglio, per percepirlo meglio.

Poi lui si era sollevato sulle braccia. «Devi dirmi come.»

«Cosa?»

«Dimmi come devo muovermi.»

Si era agitata, cercando di farlo chinare, inutilmente. Lui aveva anche smesso di muovere il bacino.

Lei lo aveva chiamato per nome, la supplica implicita.

Alexander le aveva liberato la fronte dai capelli, insistendo. «Tell me how

«Come prima» si era lasciata sfuggire lei. Lui era tornato a muoversi, premiandola. Le aveva obbedito anche quando lei gli aveva chiesto di tornare ad abbracciarla. Poi si era comportato in modo deliberatamente insensato, smettendo di rispondere agli aumenti di ritmo che lei gli chiedeva coi fianchi. Voleva sentirla parlare. Aveva addirittura rallentato, evadendo il suo sguardo mentre si chinava a strofinare la bocca contro il suo collo. Aveva detto una cosa, l'unica che le faceva pensare che il vino avesse avuto la meglio anche su di lui.

«Vorrei che fossi più alta.»

«Eh?»

«Mi devo piegare troppo per fare questo.» Era scivolato all'indietro, quasi uscendo da lei, per tormentarle il seno. Aveva usato i denti più del solito, causando un minuscolo dolore. Lo aveva  trasformato subito in piacere - acuto, troppo acuto - succhiandola vorace. Forse era quello l'attimo in cui lei aveva smesso di pensare.

«Fallo forte!»

Senza aprire gli occhi aveva sentito la pausa di lui.

«Hard» aveva ansimato e al solo ricordo del proprio tono si vergognava, per la disperazione con cui lo aveva pregato.

Alexander l'aveva accontentata con foga, senza pause. Dopo tre spinte lei aveva cambiato idea. «Rallenta!» Aveva avuto un'idea molto precisa di quello che voleva il suo corpo - pensieri racimolati da tutte le loro esperienze insieme. Poiché lui si era immediatamente fermato, una parte di lei aveva capito di poter chiedere qualunque cosa. «Prendi un ritmo costante. Rotea i fianchi mentre...» Alexander lo aveva capito da solo, muovendosi in maniera circolare nel terminare la spinta.

Il suo cervello si era annebbiato. «Così

Quello che la faceva imbarazzare maggiormente era quanto fosse stata lasciva. Aveva continuato a dare istruzioni, perché lui non si era mai, mai, mosso in precedenza esattamente come voleva lei. Anche se era riuscita comunque a raggiungere picchi di sensazione straordinari, quella notte era andata oltre. Aveva emesso suoni a ogni spinta - gemiti, sospiri, mugolii. Non era stata in silenzio neppure un momento. A un certo punto gli avevo chiesto di smettere di roteare il bacino, di insistere con gli affondi. Sapendo cosa aspettarsi, il suo corpo lo aveva stretto a ogni spinta, ricevendo stimolazione nell'istante migliore, nella maniera più perfetta - in continuazione, senza fine.

Non ricordava nulla di come si era mossa quando aveva raggiunto il culmine. Aveva solo memoria di quanto fosse stato grande il piacere - così giusto e totalizzante da farle credere di averlo sempre cercato. Di Alexander non si era quasi curata, ma lui aveva trovato soddisfazione ugualmente - con ansiti che ricordava più profondi del solito, e movimenti veloci, irregolari, controllati a stento nella loro forza.

Quando era finita, lui si era spostato e lei era rimasta a guardare il soffitto, sveglia - in pace col mondo e coi propri sensi.

Erano passati dieci minuti e avevano ricominciato.

Il rossore le fece male al viso.

Si era lasciata voltare, lo stomaco premuto sul letto. Non aveva emesso protesta quando lo aveva sentito entrare da dietro - anche se non avevano mai usato quella posizione e un po' di pudore avrebbe dovuto imporle di fermarlo. Invece non solo si era sistemata meglio con le gambe, per accoglierlo più a fondo, ma si era ripetuta dalla sessione precedente - rilasciando suoni a volontà, parlando. Come se quello fosse stato un frangente fuori dal tempo, un momento staccato dalla realtà in cui il pensiero non era concesso.

Rabbrividiva al ricordo di ogni istante, di ogni reazione.

Non sono quel tipo di persona.

Non si sentiva a suo agio il giorno dopo. Non poteva pensare di essersi lasciata vedere e sentire mentre... mentre faceva... e gridava...

Con che faccia sarebbe tornata a guardare Alexander? Al momento si vergognava così tanto che non era certa di volerlo più incontrare.

Si alzò, vagando per la sua camera.

Stava reagendo in maniera ridicola.

Ma come avrebbe potuto fargli capire che quella non era... lei? Che anche se lo era stata, questo non significava che covasse il desiderio nascosto di fare l'amore in quel modo. Non era vero! Lei desiderava stargli accanto come sempre, come prima. Non voleva che lui avesse di lei un'idea così... sbagliata? No, diversa.

Comunque, Alex aveva avuto più testa di lei la notte prima. Si era atteggiato in quel modo deliberatamente, per portarla proprio in quella condizione di irrazionalità.

Avercela con qualcuno che non fosse se stessa la liberò di un peso. Non era stata tutta colpa sua.

Anzi, se era stata colpa di lui...

Si permise di riflettere sull'implicazione.

Squillò il telefono. Mentre prendeva in mano la cornetta, esitò per un momento, poi rispose alla chiamata.

«... Ami?»

Combatté col risentimento. «... ciao.»

All'altro capo del telefono Alexander stava cercando qualcosa da dirle.

Lei la percepì come un'ammissione di colpa. «Ti è passata la sbornia?»

«Sì. Ami-»

«È passata anche a me. Credo che starò a casa oggi.»

«... Ah.»

Se fosse stato così semplice - se fosse stata solo colpa di lui... «Allora ci vediamo.»

Riattaccò. Confusa e irritata, tornò a riflettere.

  


  

I fucked it up.

Per strada Alexander si maledì per l'ennesima volta.

C'era un pattern nel suo atteggiamento. Cercava di essere attento, rispettoso, procedeva sempre con estrema cautela... poi dal nulla il suo cervello entrava in cortocircuito. Diceva cose che Ami non era pronta a sentire, o - peggio - faceva cose che lei non era in grado di reggere.

Ami glielo faceva capire, in tutti i modi possibili, da sempre. Quindi perché diavolo la notte prima si era spinto tanto in là?

Per l'alcool. Non berrò mai più assieme a lei, mai più in assoluto.

Dannazione, le inibizioni esistevano per una ragione. Ami non era il tipo di persona che era capace di dimenticarle dopo una sera. Anzi, lei non si sentiva mai a suo agio se si lasciava andare senza prima aver preso una decisione consapevole, ragionata. Altrimenti poi si sentiva scoperta, infelice. Destabilizzata.

Posso rimediare, vero?

Aveva pronte delle spiegazioni. Aveva intenzione di dirle che potevano dimenticare tutto. Cancellato, come se non fosse mai successo.

Probabilmente avrebbe funzionato solo se lui se ne fosse stato tranquillo per un bel po', ma...

Brontolò.

Non gli importava del sesso. Voleva solo sapere di poterla sfiorare senza sentirla sobbalzare. Ami si era sempre avvicinata a lui con fiducia, certa di non avere nulla da temere. Ora si sentiva smentita, no? Anche se lei non aveva fatto nulla che non avesse desiderato realmente - nel profondo del suo essere, in quella parte che non conosceva pause, imbarazzi, che era solo totale e incondizionata resa...

Chiuse gli occhi.

Aveva il suo materiale da sogno. Poteva usarlo per frenarsi per... per tutto il tempo che sarebbe servito. Era pronto a mentire, a dire che era stato il vino a guidarlo. 

Non mi sarei mai comportato così, love. Mi vergogno, come te.

Poteva essere bugiardo a tal punto?

Sì, sospirò. Gli importava più di un bacio, dato con calore, che di intimità fisiche in cui lei non si sentisse coinvolta. Forse sarebbe stato un percorso in salita, di nuovo. Forse sarebbe durato a lungo, ma... non importa.

Per favore, perdonami.

 


 

Un'ora e mezza dopo la chiamata di Alexander, Ami sentì suonare il campanello di casa.

Se lo era aspettata. Dopo lunghe riflessioni era giunta alla conclusione che aveva più bisogno di un confronto che del silenzio.

Comunque, non sarebbe stata lei ad andare da lui. Se si vergognava, era anche colpa di Alexander. Non spettava a lei fare il primo passo.

Scese per le scale.

In fondo, tu non ti sei vergognato di sicuro. Scommetto che stamattina eri fiero di te.

Non sapeva ancora come sentirsi a pensarla in quel modo. Non sapeva se doveva essere risentita, se poteva passarci sopra o...

Aprì la porta di casa.

Davanti a lei il suo ragazzo era costernato.

Ah.

Lui rimase fermo sulla soglia, in silenzio, meditando sulle sue prime parole.

In lei la pietà sorse spontanea. «Entra.» Gli fece spazio.

Coi piedi sull'ingresso, Alexander rilasciò un sospiro. «Scusami.»

Ami non lo guardò in faccia.

«Se stanotte è accaduto qualcosa che non ti è piaciuto... Non volevo che ti sentissi così.»

In lei si sciolse un nodo di incertezza. La notte prima era stata pienamente partecipe dell'esperienza che ora la turbava, ma per tutto quel pomeriggio aveva pensato che forse aveva perso una parte di loro due: quella che le permetteva di sentirsi compresa e consolata quando provava ritrosie che per lei erano naturali. Si era convinta che, pur conoscendola, Alexander avesse volutamente disdegnato quella parte di lei. Ma se non era così... «Non l'hai fatto apposta?»

Udì silenzio.

Alzò gli occhi e lo guardò in faccia.

Lui stava decidendo se dirle la verità.

Non fu una consapevolezza che le diede troppo fastidio. «Preferisco che tu sia sincero.» Anche se la risposta poteva non piacerle.

Alexander deglutì. «L'alcool toglie le inibizioni.»

«Sì.»

«Quando le ho... non mi comporto così con te. È una scelta, perché so come ti fa sentire.»

Non era una cosa che lei, in fondo, non avesse sempre saputo. I loro momenti di intimità potevano sempre essere stati caratterizzati da dolcezza, comprensione, lentezza... ma che lui fosse capace di andare oltre, e lo volesse... Lei lo sapeva già.

Arrossì e di nuovo con gli occhi sul pavimento tenne a dire la sua. «Non posso essere ubriaca ogni volta che lo facciamo.»

Gli uscì un suono costernato. «No! Non voglio che-»

«Lasciami finire. Siccome non avrò sempre la testa annebbiata, io sarò... come sono sempre stata, come prima. E vorrei sapere...» Tremò, scoprendo questa volta non il corpo, ma il proprio animo. «Vorrei sapere se per te questo va bene.»

«, Ami.» Alexander si chinò e la strinse, forte. «Certo. Mi dispiace di averti fatto pensare che... che non...» Scosse la testa. «Io ti voglio come sei.»

I love you like this. Le tornò in mente una frase molto simile, detta tra gli ansiti la sera prima, quando lei si era comportata in maniera completamente diversa.

Stranamente, non se la prese.

Ricambiò piano l'abbraccio, e mentre consolava allargò la propria concezione di amore.

Significava amare tutto di una persona? Anche nello scoprire lati nuovi di lei. Anche nella consapevolezza che quegli stessi lati potevano non manifestarsi mai.

Alexander aveva aspettato un anno prima di manifestarle il suo desiderio di fare l'amore. Nel mentre non si era mai lamentato, non aveva mai preteso. Gli andava bene impostare la loro relazione sui ritmi di lei, anche a costo di sacrificare i propri.

Ami iniziò a vergognarsi un po' meno di come si era comportata quella notte. C'erano cose peggiori che perdere la testa con qualcuno che l'amava a quel modo.

Lo baciò su una guancia, con affetto. Si sentì leggera e seppe di poter sdrammatizzare. «Hai detto che mi volevi più alta.» Cercò di non arrossire nel ricordare le circostanze. Si alzò in punta di piedi. «Cercherò di mettere più spesso i tacchi, così non dovrai piegarti troppo.»

Riuscì a strappargli un sorriso. 

«Non prendere sul serio nulla di quello che ho detto ieri.»

Eppure avrebbe tenuto a mente quella notte ugualmente, anche se non era pronta a riviverla. «Fai lo stesso con me, per favore.» Si concesse di sorridere con un poco di imbarazzo.

Alexander era immensamente sollevato. «Mi va di ricordare qualcosa.»

«Hm?» Lei sperò che non fosse nulla di troppo azzardato.

«Ti piace essere presa in braccio.»

Ami ricordò e sentì caldo alle guance. «Quello...» Quando si erano spostati dal salotto in camera, lei lo aveva fatto aggrappata a lui. Perché glielo aveva chiesto. «Ecco...»

«E ho degli occhi bellissimi.»

«Come?»

«Hai detto anche questo ieri.»

Si era lasciata sfuggire più assurdità di quelle che pensava.

Alexander si stava divertendo, sempre più.

Lei decise di rispondere. «Anche tu avrai detto altre cose sciocche.» Lei doveva solo rinfrescarsi la memoria.

Lui si sedette sul bracciolo del divano vicino, prendendole la mano. «Se vuoi sentirmele dire, chiedi. Ti dirò tutto quello che vuoi, Ami love.»

Per Ami ogni cosa tornò straordinariamente al suo posto. Si sentì riempire di tenerezza. «Prova con la prima che ti viene in mente.»

«Ieri notte, quando dormivi già da tanto, mi sono girato verso di te e ti ho abbracciato. Avevo una mezza idea di svegliarti per ricominciare, perciò ero ancora ubriaco, ma ho messo il naso nei tuoi capelli e mi sono calmato. Ho pensato... 'Voglio morire qui. Voglio vivere qui. Così.'»

Lei sentì un groppo alla gola. «Questa non è una sciocchezza.»

«No. Ora non commuoverti.»

Ami non lo fece, lo abbracciò. 

Voglio morire qui, pensò a sua volta. Oh, no, io voglio vivere qui.

Così.

 

Fine marzo 1997 - Troppo vino - FINE

 


 

NdA: Questa storia... è questa storia. Alla fine mi ha generato un sacco di pensieri ed emozioni diverse nello scriverla.

Mi piace.

Spero di aver suscitato qualcosa anche a voi.

 

Elle

 

P.S. La traduzione di alcune parole ed espressioni.

Hard = forte

Tell me how = Dimmi come

I fucked it up = Ho fatto una caz***a.

I love you like this = 'Ti amo così', ma è più un 'Ti amo quando sei così' 

 

  

Gruppo Facebook dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

 

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Capitolo 9
*** Inizio maggio 1997 - Mercurio ***


per istinto e pensiero 10

Note: attenzione, non ho completato il pezzo del viaggio in Italia, saltando avanti di qualche mese.

Comunque non era indispensabile finire quella parte per scrivere questa, altrimenti non sarei riuscita a scriverne. Potete leggerla tranquillamente senza temere spoiler strani.

 

 

Per istinto e pensiero

di ellephedre

 

Inizio maggio 1997 -Mercurio

   

Ami rimirò il cielo.

Le stelle erano meno nitide sopra Tokyo, offuscate dalle luci della città. A lei non importava: nei suoi ricordi erano moltiplicate per cento, come nell'immensa volta celeste che aveva ammirato a Capo Nord. Era stato un viaggio breve ma intenso. Lei e Alexander avevano resistito per un'ora nel freddo norvegese di aprile, coperti da capo a piedi con due strati di calze, cappotti, maglioni, guanti. Ne era valsa la pena. Si era sentita a un passo dal cielo, capace di toccarlo con un dito se solo si fosse sporta in avanti.

Il vento polare le aveva fatto colare liquido dal naso. Se n'era accorta solo quando Alexander glielo aveva asciugato con un fazzoletto, battendo i denti per il freddo. Avevano riso e si erano stretti più forte. Andandosene, si erano messi d'accordo per ripetere quel viaggio, magari in agosto, quando le temperature fossero diventate più accessibili.

«Che cosa stai sognando?»

Quasi cascò giù dal ramo su cui si era salita. Si aggrappò al tronco dell'albero. «Niente.»

Usagi incombeva sopra la sua testa. «Andiamo, confidati!»

L'equilibrio di Usagi era perfetto. Nemmeno lei si accorgeva che non stava sostenendo per intero il peso sulle gambe. Ami non riuscì a farglielo notare.

«Suu, Ami-chan! Voglio sapere cosa ti fa brillare gli occhi! Sono curiosa!»

Makoto balzò sul ramo opposto al loro, i nastri del costume Sailor che le sfioravano le gambe. «Di cosa chiacchierate?»

«Di amore!»

«Ma no!» chiarì Ami. Usagi aveva un unico pensiero in testa. «Stavo ricordando il viaggio che ho fatto con Alexander questo weekend. Voglio tornarci. Il cielo in quel punto della Terra offre una vista unica!»

«Sei così fortunata!» esclamò Makoto. «Nell'ultimo mese tu e Alex avete fatto il giro del mondo.»

Sì, nei ritagli di tempo, soprattutto nei fine settimana. «Abbiamo deciso di focalizzarci su posti che difficilmente raggiungeremmo con aerei o macchine. Capo Nord presentava ancora un insediamento umano, ma dalla prossima volta saremo più coraggiosi.»

Makoto si preoccupò. «Se andate in luoghi troppo isolati, rimani trasformata. Potrebbero esserci animali selvaggi nei paraggi.»

Lei ne aveva tenuto conto. «Terrò in piedi la mia barriera, così saremo al sicuro.»

«Che invidia!» Usagi aveva incrociato le braccia, emettendo un sospiro. «Ma perché fate questi viaggi soli soletti? Per una volta non potremmo fare una mega-gita di gruppo?»

«Ah... certo.» Sarebbe stato complicato far coincidere gli orari di tutti, ma...

Makoto era dubbiosa. «Riusciresti a teletrasportarci tutti insieme, Ami?»

Bisognava pure che si allenasse a farlo, no? In battaglia sarebbe risultato utile un giorno. «Ci proverò.»

«EHI!»

Chinarono tutte la testa. Rei le chiamava dal suolo, le mani sui fianchi. «Sono rimasta sola ad allenarmi!»

«Scusa.» Ami si strinse nelle spalle e scese a terra. «Ti ho vista molto concentrata.» L'aveva lasciata mentre produceva una piccola luce rossa tra le mani. In quel lume di fuoco Ami aveva percepito un'immensità di potere.

«Sì, sì» le fece eco Usagi, atterrando vicino. «Se avessimo fatto volare una mosca ci avresti incenerito!»

Rei non la prese bene. «Tutte scuse! La verità è che dopo un po' allenarti ti annoia!»

Usagi fece spallucce, beffarda. «Che ci posso fare se non siete più alla mia altezza?»

Rei ringhiò. «Makoto. Falla fuori.»

Makoto soffocò una risatina. «Non sono un cane.»

«Sei l'unico pianeta tra noi oltre a Minako. Qualcuno deve pur darle una lezione!»

Makoto si massaggiò il mento. «Da sola è ancora difficile, ma se io e Minako ci unissimo...»

«Non servirebbe a niente» dichiarò sicura Usagi.

Rei sfoderò il comunicatore. «Adesso chiamo Haruka e Michiru. E Hotaru.»

Usagi fece una smorfia. «Perché mi volete male?!»

«Perché sei arrogante!» Rei la picchiettò sulla testa, poi la risata di entrambe si sciolse in un abbraccio comune.

Ami le osservò, serena. «Si sta facendo tardi. Vorrei fare un ultimo combattimento prima di andare a casa.»

«Contro di me!» Rei si indicò con la mano. «Ho deciso di diventare così forte da impedire alla tua acqua di spegnere il mio fuoco!»

Era un ottimo proposito. «Superare la natura elementale dei nostri poteri ci porterà su un piano di forza superiore.»

Rei sbatté una mano in aria. «Lo preferisco come l'ho detto io.»

Usagi e Makoto fecero loro spazio nella radura che avevano scelto come luogo di allenamento. Unendo le mani all'altezza dello stomaco, Ami si caricò di energia, estraneandosi. Di fronte a lei Rei venne avvolta dalla fiamme.

Ami sobbalzò.

«Sto bene, non preoccuparti! Prova ad attaccarmi!»

Incredula Ami si scambiò un'occhiata estasiata con Usagi e Makoto. 

«Cos'è questa condiscendenza, ragazze? Ho fatto esplodere un vulcano in mezzo alla città, era normale che prima o poi mi ripetessi!»

Ami cercò di distinguere il volto di Rei oltre le lingue di fuoco. Sapeva cosa voleva lei.

Invece di pensare ancora, le offrì la sfida che bramava. «Mercury Aqua Mirage!»

Le sue sfere d'acqua attaccarono Rei da diversi punti, cercando di trovare un varco tra le fiamme. Il fuoco continuò ad ardere imperterrito, proteggendola.

Rei si gettò in avanti. «Ora tocca a me!»

Ami erse la propria barriera trasparente, impedendo a Rei di vederla finché non vi si scontrò con la faccia. Il fuoco attorno al suo corpo svanì di colpo ma Ami non ebbe pietà. «Mercury!» Aprì la mano in aria, dando vita al simbolo del suo pianeta. Intorno alla sua mano si creò un vortice d'acqua.

Rei era stata altrettanto veloce. «Flame Sniper!» Scoccò una freccia di fuoco contro la mano di lei, disintegrando il suo simbolo.

Ami balzò all'indietro, optando per una strategia difensiva. «Shabon Spray!»

La nebbia riempì la radura.

In mezzo alla coltre umida Ami vide una fiammata improvvisa. Venne investita da una vampata di calore.

«Te l'ho detto!» Rei era trionfante. «Fuoco batte acqua!»

La sua nebbia si era diradata!

Le restava un'unica possibilità. Mercury Aqua Rhapsody! Non dichiarò più ad alta voce il nome dell'attacco, lo fece apparire nella mano, iniziando a suonare l'arpa di energia. Usò i nastri d'acqua come barriera mentre Rei la attaccava.

«Dannazione!»

Aveva respinto la forza di Marte, ma per sopraffarla Rei si accese di nuovo, una torcia umana che le fu addosso.

Ami provò dentro di sé una paura atavica, inattesa. Cadde dal sedile immaginario su cui si era posata, il suo attacco che svaniva nel nulla. Vide la mano accesa di Rei che si avvicinava a lei, il calore pronto a bruciarla.

«No!» Mosse un braccio per scacciarla e si sentì... svanire. Osservò la propria mano in movimento che si scioglieva, diventando pura acqua nel colpire le dita di Rei. A contatto terminato la sua mano si ricompose, le dita di Rei spente - per la sorpresa, o forse perché avevano incontrato la sua energia.

«Che cosa-?»

Rei tornò normale. Si inginocchiò accantò a lei. «Come ci sei riuscita?»

«Non lo so.» Col petto in affanno, Ami studiò la sensazione che si irrorava dal centro del suo essere. Potere.

Mercurio era uscito ad aiutarla.

Rei era preoccupata. «Ti avrei solo sfiorato, Ami. Ma... sei stata grandiosa. Io mi sono ricoperta di fuoco, tu sei diventata acqua.»

Non era stato il suo scopo. Era una capacità che la spaventava.

Usagi e Makoto le avevano raggiunte. «Tutto bene?»

Ami annuì per riflesso.

Usagi stavano sgranando gli occhi. «Ami! Hai raggiunto un picco di potere altissimo! Lo sento anche ora, mentre si dirada.»

Eh?

«Ti sei allenata in gran segreto?»

Usagi sorrideva e non capiva che non era divertente. Se persino lei riusciva a percepire Mercurio...

Ami tornò in piedi.

Makoto aveva chinato la testa, per scrutarla meglio. «Non l'hai fatto apposta, vero?»

«No.»

Usagi posò una mano sulla sua spalla. «Dài, non ti scioglierai in una pozzanghera!» Ridacchiò. «È solo una nuova capacità. È una cosa positiva.»

Non se lei non la controllava.

Rei la guardava seria, come se avesse compreso la ragione del suo disagio. «Mercurio è uscito fuori senza il tuo consenso.»

«È successo anche a me.» Usagi cercava di tranquillizzarla. «Può essere una cosa spaventosa, ma quando la temi fai vincere l'inquietudine. Invece i nostri poteri fanno parte di noi, anche quando si manifestano in questi modi assurdi.»

Ami era talmente occupata a pensare da non riuscire a risponderle.

Makoto aveva capito. Scuoteva la testa. «Usagi, non ricordi? Ami ci tiene a non diventare Mercurio troppo presto.»

«Ma perché...? Ah. Oh.»

Rimasero in silenzio nella radura, le sue amiche a chiuderla in un piccolo cerchio.

«Ti ho fatto così paura?» domandò Rei.

Era difficile spiegarlo. «Non ho provato paura come Ami, ma come... Sailor Mercury.» Come se il suo potere volesse provare timore, trovandosi in una situazione di battaglia, per scatenarsi. Il terrore si era mischiato a una goccia di eccitazione.

«Allora Mercurio ha solo colto il momento giusto?»

Ami annuì. «Non lo sentivo forte come oggi da...» Dalla battaglia contro Nemesis. «È strano. Non ho fatto allenamenti speciali in questo periodo.»

Come mai il suo pianeta si era manifestato con tanta forza, all'improvviso? Lei non aveva fatto nulla di diverso da... «Il teletrasporto» comprese.

Le sue amiche la ascoltavano, attente.

«In queste settimane mi sono teletrasportata tante volte.» Non solo per lunghi viaggi, ma anche per andare da Alexander, persino per tornare a casa dall'università una volta, per non perdere tempo. Aveva sostituito gli spostamenti normali col teletrasporto. «Quando mi sposto mi devo concentrare per tenere insieme la mia essenza e quella di chi mi accompagna.» Ormai era diventato quasi naturale per lei. Tuttavia ogni volta cercava di migliorare il processo, snellendolo, tenendone a mente le fasi per ripeterlo più velocemente.

Comprese il suo più grande errore. «Ieri ho provato a teletrasportarmi senza trasformazione.»

Usagi sgranò gli occhi. «Ci sei riuscita?»

Ami scosse la testa. Il teletrasporto non era neppure iniziato senza il potere di Mercurio a supportarla, ma nella sua mente si era aperta la tasca dimensionale necessaria allo spostamento. Lo aveva percepito, si era lievemente inquietata, ma alla fine ne aveva sorriso, ignara. Per lei teletrasportarsi stava diventando normale come correre.

Si strinse nelle braccia.

Makoto le accarezzò un gomito. «Torna a casa, Ami. Chiama Alex e usate insieme il computer per studiare la situazione. È l'unica cosa che ti farà stare tranquilla.»

Ami annuì e indietreggiò di un passo. «Hai ragione. Allora per stasera vi saluto. Adesso vado a-...» Si interruppe, chiudendo di botto la dimensione spaziale che aveva aperto nella sua testa, per istinto.

Rei la guardava, comprensiva. «È meglio se per oggi ti sposti come i comuni mortali.»

Makoto e Usagi sciolsero insieme la trasformazione. «Ti accompagniamo noi!»

Usagi la prese a braccetto mentre il costume di Sailor Mercury spariva dal suo corpo.

«Torni a passeggiare come tutti, Ami-chan. Non è così male, ricordi?»

Forzando un sorriso, Ami salutò Rei. Uscì dal tempio con Usagi e Makoto, ascoltando i loro discorsi incoraggianti, pensati per rasserenarla.

Per tutto il tragitto fino a casa non smise per un momento di pensare.

  

Andò da Alexander solo il giorno successivo. Lo incontrò ad un tavolo del ristorante universitario, in un angolino nascosto che lui aveva scoperto da tempo e che finalmente anche lei poteva frequentare a pieno titolo, come studentessa della Todai.

Lui era impegnato nella lettura di un fascicolo.

Per necessità lei aveva riflettuto da sola quella notte. Appena si era resa conto delle conseguenze che si poteva portare dietro il suo problema, aveva preferito non coinvolgere Alexander. Averlo accanto l'avrebbe distratta. Presto avrebbe potuto stargli lontana molto a lungo.

«Ciao» disse piano.

Lui alzò gli occhi, illuminandosi nel vederla.

Ami cedette, smettendo di controllarsi. Gli andò incontro, circondandogli la testa con le braccia.

«Ehi.» Lui fece scivolare una mano sulla sua schiena. «Tutto a posto?»

Ami chinò il viso. Lo baciò su una guancia. «Mi sei mancato.» Mi mancherai.

Per la sorpresa a lui sfuggì un minuscolo ansito. Cercò le sue labbra con la bocca, la baciò.

Ad Ami non importò che fossero fuori, che qualcuno potesse vederli. Si tenne stretta a lui, assaporando il contatto.

Sedato, felice, Alexander si staccò e le indicò i fogli che aveva lasciato sul tavolo. «Guarda cosa mi hanno dato oggi.» Le fece vedere il fascicolo.

Ami scorse rapidamente il titolo.

MIT - scelta dei corsi universitari per studenti in scambio.

Si sedette al tavolo.

«Me n'ero quasi dimenticato. Entro due settimane devo scegliere quali corsi frequentare negli States a settembre. Leggi qui.»

Ami lo fece. Fisica Sperimentale II, Fisica Quantistica II, Variabili complesse con Applicazioni, Fisica Nucleare, Fisica Quantistica II e III.

La lista andava avanti per metà foglio.

«Hanno messo i nomi dei titolari delle cattedre. Conosco questi professori di fama.» Alexander riprese in mano il foglio, estasiato. «È il paese delle meraviglie, Ami. Potrò studiare davvero con questa gente.»

Da quanto lei non lo sentiva tanto entusiasta? Dai tempi in cui lui voleva specializzarsi in astrofisica negli Stati Uniti, ricordò. Allora Alexander aveva desiderato stare via per tre anni, non solo per tre mesi.

Mi mancherai, pensò di nuovo.

Per un momento provò a non essere tanto certa che le sue conclusioni fossero giuste. Aveva bisogno di confrontarsi con lui, oltre che fare altre analisi. 

Alexander si era accorto del suo silenzio. «Che cos'hai?»

C'era un modo per comunicare la notizia senza rovinare l'entusiasmo di lui per la futura partenza: doveva semplicemente spiegare le circostanze, essere analitica e esporre la probabilità delle sue conclusioni. «Ieri, mentre mi allenavo con le ragazze, è successa una cosa.»

Fu così che gli disse che, forse, non avrebbe più potuto teletrasportarsi.

 

 

Inizio maggio 1997 - Mercurio - FINE

 


 

NdA: Yeah! Finalmente ho scritto questo capitolo di raccordo che avevo necessità di buttare giù per mandare avanti questa storia! Ora inizia la parte centrale di questa raccolta, in cui Alexander ed Ami districheranno il nodo centrale della loro relazione per come è adesso, un problema che ho fatto intuire in molti dei capitoli precedenti.
Ripeto: finalmente. Non vedevo l'ora ;)
P.S. Non escludo di tornare a raccontare di quanto è successo nei mesi di fine marzo e aprile - anzi, lo prevedo, in particolare con riguardo al trasferimento di Alexander nella sua nuova casa, ma era importante proseguire la linea principale della storia.

Grazie di aver letto! 

ellephedre

  

Gruppo Facebook dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

 

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Capitolo 10
*** Giugno 1997 - Nuove idee a Izu ***


per istinto e pensiero 10

Note: non è un vero nuovo capitolo, lo avevo già pubblicato nella raccolta Red Lemon 2. Finalmente sono arrivata a coprire temporalmente il periodo tra la fine di Verso l'alba e questo episodio, quindi ora ho potuto pubblicarlo nel punto giusto :) Presto lo eliminerò dall'altra storia, appena avrò capito come fare a non perdere tutta la fanfic - dato che quello è il primo capitolo pubblicato ;P

 

 

Per istinto e pensiero

di ellephedre

 

Giugno 1997 - Weekend al mare

  

«Ami... questo fine settimana ti va di andare ad Izu?»

Sotto la luce delle plafoniere della biblioteca Ami sollevò gli occhi sgranati da libro, unendo a cuore le labbra.

God, cosa non avrebbe fatto lui a quella bocca. Ma alle undici di sera stava morendo di sonno, aveva bisogno di farsi una doccia e... Be', si trovavano in un luogo pubblico: non aveva senso alimentare una fiammella se poi non poteva spegnere il fuoco.

Neppure in un angolino nascosto?

«Ma i tuoi non hanno venduto la casa?» 

«Hanno cambiato idea. La tengono per l'estate.»

«Oh.»

Ami rivolse uno sguardo pensieroso al libro che teneva tra le mani. Le stavano venendo in mente le sue tabelle di marcia, poco ma sicuro. Aveva centinaia di obiettivi coscienziosi - ammirevoli - che si era prefissata da sola.

«Abbiamo...» Alexander si ricredette sulla strategia da usare: se la poneva come un'esigenza di lei, Ami avrebbe insistito per sacrificarsi e scegliere la strada della sofferenza. «Ho bisogno di un po' di svago. Restando qui in città mi sembra di rimanere intrappolato.»

Lei, anima candida e buona che non era altro, si arrese subito. «Va bene, andiamo via nel weekend.» Allungò una mano e gli accarezzò la testa. Un dito premette magnificamente contro la sua tempia. «Mi dispiace vederti così stanco.»

Be', lui lavorava, ma lei si uccideva di studio. Durante la settimana tutti e due si liberavano solo dopo le dieci di sera, ma almeno a lui davano già dei soldi per quella prigionia.

Damn, si sarebbe preso quel dannato bonus che avevano promesso a uno solo di loro e sì, prima di partire per gli Stati Uniti. Con ogni giorno che passava metteva mentalmente in conto al lavoro il costo fisico ed emotivo delle nottate passate in solitaria: cadeva stremato sul letto non appena rientrava a casa e a volte non aveva nemmeno la forza per fare una telefonata ad Ami. Gli dovevano milioni e milioni di yen.

«Neanche a me piacciono queste occhiaie meravigliose che hai qui.» La sfiorò con le dita. «Abbiamo bisogno di rilassarci entrambi.»

Avevano bisogno di passare più tempo insieme, ecco cosa: lui già soffriva al pensiero dei mesi di lontananza che sarebbero venuti dopo la sua partenza per gli Stati Uniti. Storia del relax a parte, aveva in mente un piano molto più interessante per il weekend: sarebbe stata la fiera dell'amorevole perversione.

Ami si stava perdendo in un'idea. «Magari vogliono venire anche le ragazze?»

No, questa volta non ci sarebbe cascato. Era finito il tempo dei sì a tutto, love, anche quando aveva in mente piani che avrebbero fatto faville per lei. «Stiamo da soli io e te.»

La delusione di Ami si trasformò in una punta di dolcezza, rosata sulle guance, che solo lei riusciva a tirare fuori con tanta sincerità.

«Hm... sì. Sarà bello.»

Bello era il limite tendente a zero di ciò che lui aveva in mente. «Porta quel tuo costume.»

«Cosa?»

«Il costume dell'anno scorso. Quello nero in due pezzi.»

La bocca aperta in una deliziosa O sparì nella furia dell'imbarazzo. «Non...» Lei si guardò rapidamente attorno, scrutando le sedie vuote della biblioteca. «Non parlare di queste cose in pubblico!» 

Lui si sporse in avanti e nascose le labbra tra i suoi capelli, a un soffio dal suo orecchio. «A cosa stavi pensando?» Rise piano ed Ami lo seguì. «Non ci sente nessuno, guarda. Ora prometti di portare quel costume.»

Alla fine il suono di assenso di lei fu giocoso, divertito.

Alexander ne fu certo: a differenza dell'estate scorsa, il fine settimana alle porte sarebbe stato epico.

  

Agosto 1996

  

Ami stava deglutendo. Il nodo alla gola scese giù tra le sue scapole, sparendo in mezzo alla scollatura più provocante che Alexander avesse mai visto in tutta la sua misera e patetica esistenza.

«Questo costume... l'ho comprato ieri in quel negozietto. È stata un'idea di Minako.»

Avrebbe ucciso Minako Aino, o forse l'avrebbe riempita di baci. Se Ami si fosse ingelosita, per scusarsi l'avrebbe portata in camera. A quel punto avrebbe sigillato la porta agli scocciatori e avrebbe commesso su di lei atti inimmaginabili che avrebbero fatto morire di piacere entrambi.

Nei miei sogni. Schioccò la lingua, svegliandosi.

Mentre camminavano, Ami stava guardando la sabbia. «Non mi sento molto a mio agio così.»

Lui sospirò mentalmente, gli occhi fissi sull'azzurro immenso del cielo. Concentrarsi sulla poesia della natura lo avrebbe aiutato a calmarsi. «Stai bene.»

Lei provò a stare meno curva. Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. «Hm. Tanto non c'è nessuno qui.»

Perché lo sottolineava? Sì, non c'era nessuno in giro in quel pezzo di spiaggia. Ed era una meravigliosa giornata di sole, fatta per l'acqua e per le risate.

Alle undici del mattino non era piacevole disperarsi per tentare di mandar giù un'erezione nascosta dietro una tavola di plastica stretta allo stomaco.

Camminava come un idiota da dieci minuti.

«Andiamo di là?» Ami stava indicando il piccolo molo deserto. Lui si limitò ad annuire e ad andarle dietro.

Il riflesso del sole sulla schiena arrossata di lei produsse un brillio perlaceo sugli strati di crema solare non ancora assorbiti dalla pelle.

«Magari puoi spalmarla meglio tu?»

Il consiglio di Aino lo aveva portato vicino all'omicidio-suicidio. Kumada era intervenuto in tempo.

«Tieni questa.» Gli aveva dato la tavola da surf che aveva trovato in un ripostiglio. Sotto il braccio aveva preso una palla. «Oggi è l'ultimo giorno, dividiamoci per la mattina. Io vado a giocare con Rei e le ragazze nell'altra spiaggia. Non siamo ancora andati là.»

Aino aveva sfoggiato un sorriso crudele. «Chi dice che anche io non abbia voglia di imparare a fare surf?»

Alexander era ancora dell'idea di imbracciare un fucile a canne mozze, per mettere fine alle proprie sofferenze e a quelle che Aino infliggeva al resto dell'umanità. Ma poi come avrebbe potuto ringraziarla? Passato il giorno di atavica agonia - quello - lui avrebbe avuto talmente tante nuove immagini a cui appellarsi quando... be', nei momenti in cui faceva di necessità una perversa virtù.

Aino era crudele, ma necessaria. Chi altro avrebbe potuto convincere Ami a mettere un bikini nero tranquillo, carino, che in una spiaggia deserta avrebbe fatto venire in mente perversioni del peggior genere solo a lui e a nessun altro?

Era combattuto.

Mentre pensava, avevano cominciato a percorrere il molo.

Ami si era riparata gli occhi con una mano. «Hai mai visto barche che attraccavano qui?»

«No. La casa prima apparteneva a un tizio che aveva uno yacht. Quando c'era gente lui ci saliva da questo punto con una barca a remi, credo.» Le indicò una casupola in legno, diroccata. «Durante l'inverno lasciava lì la barca.»

Ma Ami era rimasta sorpresa da un particolare. «Uno yacht

«Era un tizio strambo tutto abbronzato, pieno di soldi. Non so che lavoro facesse.» Alexander ricordava di averlo incontrato da bambino, quando avevano comprato quella villa. «In relazione a quanto valeva, ci ha venduto la casa quasi per niente. C'era una brutta storia dietro: uno dei suoi amici era morto affogato poco lontano da qui, vicino a quegli scogli.»

Ami sussultò e lui scosse la testa. «Queste acque non sono più pericolose di altre. Quell'uomo aveva avuto un malore perché era entrato in mare ubriaco.»

«Oh.»

Alexander le accarezzò una spalla: parlare della dipartita di un tipo sconosciuto lo aveva riportato alla propria sanità mentale. Riuscì a spostare la tavola da surf di lato. «Non pensarci. Vuoi provare a entrare in acqua e a stare in piedi su questa tavola?»

In fondo lui era abbastanza adulto - e allenato - da riuscire a comportarsi normalmente da quel momento in poi. Bastava solo pensare ai cadaveri.

Ami era pensierosa. «Tu sai andarci?»

«No» sorrise lui. Sapeva starci in piedi, ma non era in grado di affrontare onde più alte di trenta centimetri. A dieci anni suo padre aveva pagato una persona perché gli insegnasse, ma il sale che si attaccava alla gola, l'acqua che gli scendeva nei polmoni e la corrente che lo sballottolava come una trottola sotto le onde, erano state troppo per lui.

Posò la tavola a terra e con un passo in avanti si lasciò cadere in mare.

God, sarebbe dovuto entrare in acqua prima. Era fresca, magnifica.

Ne uscì con nuova fiducia nel mondo. «Vieni!»

Sopra il molo Ami annuì, felice col suo costume nero che formava tre triangoli, tutti troppo invitanti per non essere ammirati. C'era quello tra le gambe - e Alexander lo saltò per non schizzare di sangue dal naso tutto il mare - e c'erano quelli sopra i seni, rotondità che lui aveva già visto sotto ogni costume possibile, o così aveva pensato fino a quel giorno.

I costumi interi della piscina si bagnavano e aderivano, dando idee fantasticamente lascive, ma non... Non impreziosivano? Quel bikini creava curve rotonde, lasciava vedere quelle che c'erano sempre state e accarezzavano - dannazione - quello che lui avrebbe dovuto poter toccare con le mani. O con le dita, con la bocca. Con la lingua...

Splash!

Ami entrò in mare con un tuffo a braccia unite che lasciò dietro di sé solo due schizzi. Alexander aspettò che riemergesse. Fu accolto da un sorriso gigante.

«Wow!»

Be', per questo lui riusciva a dirsi sempre 'sono contento anche così'. Esplodeva di felicità quando Ami era contenta. 

Lei tornò vicino al molo. «Okay, provo a stare sopra la tavola.»

«Va bene, ma stai attenta a...»

 

Alexander ricordava ancora quella mattina. Si era divertito come un bambino con Ami al mare, loro due soli.

Aveva pensato di essere stato uno stupido a focalizzarsi sulle medesime ossessioni di sempre; stando in coppia con Ami lui era felice in tanti altri modi.

Poi lei era uscita dall'acqua, e precedendolo si era tirata su sul molo, mettendogli involontariamente davanti le natiche. E il costume, e il modo in cui era incredibilmente morbida e bagnata per l'acqua proprio tra le cosce...

Quella notte avrebbero dovuto sedarlo con un calmante.

Svegliandosi nel presente - tempi in cui fare l'amore con Ami era diventata una assodata realtà - sorrise.

Sì. Fine settimana leggendario in arrivo.

 


 

«E così preferisci il fresco mare di Izu alle acque della piscina comunale?» Rei guardò sognante il cielo. «Come ti capisco.»

«Sono io che non capisco voi.» Usagi sospirò sconsolata. «State qui a lamentarvi di non poter andare al mare quando, volendo, potreste andarci tutte. Sono solo io quella bloccata in città! Ami! Io e Mamo-chan non potremmo unirci a voi? Izu è vicino vicino, magari Mamoru riesce ad ottenere un pomeriggio libero per-»

Makoto scosse la testa. «Non disturbarli, Usagi.»

Sconsolata, Usagi desistette senza nemmeno protestare. «Hai ragione.»

Ami si sentì in colpa. «Scusate se non vi sto invitando. L'estate è lunga. Forse la settimana prossima...»

Rei evitò a stento una risatina. «Di cosa ti stai scusando? L'anno scorso ci hai fatto ottenere una vacanza favolosa, io ancora ti ringrazio. Se quest'anno si potrà ripetere, bene, ma non forzare Alexander.»

Makoto concordò. «Poveraccio. La scorsa estate ha sofferto come un cane.»

«Eh?»

Usagi guardò di traverso Rei. «Scusa, spiega di nuovo perché tu non puoi muoverti da Tokyo? Chi glielo fa fare a Yuichiro di lavorare?»

«Lo chiedi a me? Nessuno, si costringe da solo. Ma non è solo un problema di tempo, il fatto è che...» Rei aggrottò la fronte, frustrata. «Si rifiuta di spendere qualcosa di quello che guadagna. Dice che non gli spetta. Ho deciso di trovarmi un lavoro io: pagherò una vacanza per entrambi a fine agosto. Mi sono stancata di litigare con lui per soldi, è assurdo. Faccia come vuole.»

Makoto si piegò in avanti. «State litigando?»

«Hmm... Siamo stressati. Discutiamo in continuazione, ma sono io che inizio, senza volerlo. Non è periodo per parlare di cose serie con Yu.» Rei si appoggiò al palo del corridoio di casa sua. «Stasera non parlo più. Magari gli faccio un messaggio alle spalle. È tutta la settimana che ne vorrei uno anche io.»

Makoto andò dietro la sua schiena. Le fece segno di mettersi in posizione. «Io ho troppa richiesta nel negozio, non voglio deludere i clienti. Non è un buon momento per andare in vacanza. Inoltre Gen è occupato. Fra un mese decidiamo.»

Usagi iniziò a piagnucolare. «Con Mamo-chan non potremo decidere niente! Tuo padre è un orco, Rei!»

«Non sarò io a contraddirti» Con le mani di Makoto che le sciogliavano i muscoli delle spalle, Rei rilasciò un sospiro di godimento. «Però sembra che Mamoru lo sappia trattare, no?»

«Non riesce a farsi dare una vacanza» obiettò Usagi.

«Forse non è il momento di chiederla ora, a giugno. Vedrai che per agosto si inventerà qualcosa. Andrete da qualche parte per il tuo compleanno?»

«No, per quello ci vuole una mega-festa! Dovrete esserci tutte, ho richiamato persino Minako!»

«Ehm, scusate...» Ami tossicchiò. Ottenne l'attenzione delle altre e proseguì. «Prima stavate parlando di Alex, solo che poi siete passate a un altro discorso...»

«Hm?»

Gli sguardi interrogativi la fecero sentire sfacciata nell'insistere. «Cosa intendevate dire quando... Quando lo compativate per l'estate scorsa? Perché, cosa c'era che non andava?»

«Ahh» sorrise Usagi. «Ma niente. Poverino, aveva una voglia pazza di stare solo con te.»

«A fare sesso» dichiarò lapidaria Makoto.

Ami avvampò e Rei scosse la testa. «La solita cima di raffinatezza.»

Makoto premette due dita sui muscoli di Rei, strappandole un gridolino. «Ma scusa, Ami ora sa. Perché essere ancora delicate? Il concetto è quello.»

«È un concetto che si può esprimere in tanti modi. Fare l'amore, stare in intimità, passare la notte insieme...»

«Facendo sesso» canticchiò Makoto. «Ami-chan.... Non siamo più bambine, possiamo chiamare le cose col loro nome e parlarne, no?»

Nel tentativo di offrirle un sì, Ami buttò fuori una serie di smorfie.

Makoto non si impietosì. «Dico solo che lui vorrà rifarsi questo fine settimana. Accontentalo.»

«Sai che sacrificio» ridacchiò Usagi. Si intristì immediatamente. «Che invidia. Una notte al mare, con la spiaggia sotto i piedi e lo scroscio delle onde in sottofondo...»

«Andremo in bicicletta» la interruppe Ami. «Abbiamo programmato una gita sabato mattina. Giriamo tra le colline dei dintorni mangiandoci un panino, poi la sera magari facciamo un tuffo in acqua prima di cenare e poi-»

«Farete sesso.» Fu un coro di tre voci ridenti.

Ami non seppe più sotto che ombra nascondersi. «Sì, forse.» Si morse le labbra. «Ma non sono faccende di cui bisogna per forza parlare, no?»

Makoto non ebbe nemmeno bisogno di rifletterci. «Mah, secondo me parlarne è un'ottima cosa. Soprattutto se lo fai col tuo lui.»

«E con le amiche!» aggiunse Usagi. «È troppo divertente!»

Rei rannicchiò le gambe contro il petto. «A volte sarebbe stato meglio, Usagi, se tu avessi ritenuto un po' della discrezione degli inizi. Ormai su te e Mamoru so più cose io-»

«Anche tu mi hai detto tutto di te e Yuichiro!»

«Non tutto!» arrossì Rei, indicandole di abbassare la voce.

«Be', mi hai detto tante cose utili. Io le ho sfruttate, e secondo me tu hai fatto la stessa cosa!»

«Ehi!» L'indignazione felice di Makoto fu reale. «Perché non avete coinvolto anche me? Io non leggo libri come Ami, imparo per sentito dire. Se potessi ancora sorprendere Gen-»

«Eh-ehm!» Ami interruppe il discorso prima che degenerasse. «Io...» Sotto gli occhi delle sue amiche si sentì sotto una lente di ingradimento. «Io sono ancora riservata. Per adesso.» Fece quella piccola concessione.

Makoto non si lasciò convincere. «Allora parlo io, come amica. Hai mai fatto...?»

Rei si esibì in una smorfia. «Non fare gesti con le mani!»

«Okay okay, scusa.» Makoto si sporse in avanti, una mano accanto alla bocca. «Avvicinati, Ami.»

Ami fu ancora una volta cosciente di un grosso problema che l'affliggeva: era eccessivamente curiosa. Mandò avanti l'orecchio.

Makoto cominciò a sussurrare. «Allora... psst pssst pst. E poi pst pssst pst pst.»

«Interessante» ridacchiò Usagi, che non aveva sentito nulla.

Sorridendo, Rei le fece segno di sedersi vicino a lei. «Vuoi un massaggio anche tu? Quello di Makoto mi ha sciolta, voglio diffondere il relax. Lasciamo che Ami impari qualcosa di nuovo in segreto.»

Ami saltò indietro, porpora in volto. «Ho imparato abbastanza.»

Makoto incrociò le braccia, pensierosa. «Visto come hai reagito, per te è ancora una cosa nuova. Non capisco come sia possibile.»

«Alexander è...» Di fronte al silenzio delle altre, Ami preferì non sbilanciarsi. «Non è successo, tutto qui.»

Makoto si fece tenera. «Può essere una cosa molto bella. Come qualunque cosa, se la fai...» Ci pensò su. «Per l'altra persona. Solo per questo.»

Usagi si intromise con cenni di assenso entusiasti. «Confermo!»

«Come fai a sapere di cosa stanno parlando?» Rei disegnò la linea della sua colonna vertebrale.

«Ahhh! Uh... cosa? Ah, sì, figurati se non ho capito. Ami, poi chiedi di ricambiare. O fallo prima. Bah, prima o dopo non conta, provalo!»

Ami chiuse gli occhi e respirò a fondo. «Credo che tu abbia frainteso.»

Usagi aguzzò lo sguardo e ridacchiò. «Però siccome tu sei intelligentissima adesso non stai facendo confusione su quello che intendo. Dai retta anche a me! Mako-chan, ma tu allora che cosa le stavi dicendo?»

«Per oggi abbiamo imbarazzato Ami abbastanza. Andiamo a prenderci un gelato?»

«Sììì!» Balzando in avanti Usagi si trascinò dietro Rei - a cui si era impigliata con la clip della gonna - Makoto - a cui fece un involontario sgambetto - ed Ami - a cui finì addosso con tutte le altre.

«USAGI!!!»

«Scusate...» fece mesta lei.

Sdraiata in mezzo al mucchio, Rei sospirò. Quattordicenne o donna sposata che fosse, Usagi non era mai cambiata.

 


 

Di venerdì sera, ormai a mezzanotte, Ami si profuse in un inchino di fronte a Minato-san, che era rimasto ad attendere il loro arrivo alla casa di Izu fino a quell'ora.

«Grazie infinite.»

Lui - un signore di sessant'anni basso e amichevole - le sorrise benevolo. «Non si preoccupi. Per me è un piacere sapere che avrò ancora questo lavoro per l'estate.»

Alexander le aveva spiegato che i suoi genitori pagavano molto bene Minato-san per occuparsi della casa, ma la sua presenza a quell'ora tarda era comunque un grosso favore.

«Devo ridare la chiave all'agente immobiliare questo lunedì?» le domandò lui.

Ami dovette ammettere la propria ignoranza. «Non lo so. Alexander mi ha detto che non hanno intenzione di venderla fino a settembre, ma...» Scosse la testa. «La chiamiamo domani, così si può organizzare. Se dobbiamo darle le chiavi, passiamo noi da lei.»

Minato-san annuì. «Dov'è Alexander-san?»

Ami indicò l'interno buio della macchina. «Sta dormendo. Ora lo sveglio per entrare.»

«Ha lasciato guidare di notte una signorina come te?»

Tanta premura era esagerata. «Lui ha lavorato fino alle dieci e siamo partiti appena ha finito. Ero più in forma io.»

«Fino alle dieci di sera? Voi ragazzi di Tokyo vi uccidete di lavoro. Avete fatto bene a venire qui a rilassarvi, ogni tanto ci vuole.» Le offrì un inchino del capo. «Vi auguro un buon fine settimana.»

«Anche a lei» lo salutò Ami. Scendendo dal portico illuminato della casa tornò verso la macchina e aprì la portiera. «Alex...» mormorò, sporgendosi verso di lui. «Siamo arrivati.»

«Hm?»

«Siamo arrivati. Entriamo in casa, così puoi dormire sul letto.»

Lui si allontanò dallo schienale con uno scatto. «Diavolo. Dovevi guidare solo per metà strada.»

Lei ridacchiò. «Non importa. Siamo arrivati. Minato-san mi ha dato le chiavi ed è già andato via.»

Alexander si strofinò gli occhi con una mano. «Non volevo dormire tanto.» Cominciò a scendere dalla macchina, massaggiandosi forte il collo provato. Ami lo precedette verso il bagagliaio, ma alla fine tirarono fuori insieme le poche cose che si erano portati dietro.

Mentre Alexander infilava le chiavi nella porta d'ingresso, lei respirò a pieni polmoni la brezza del mare. «Già l'aria mi fa sentire diversa.»

«Io la sentirò meglio domattina» commentò lui, facendo scricchiolare le spalle. «Adesso mi faccio una doccia.»

«Non dormi?»

«Dopo la doccia.»

In preda agli effetti del sonno interrotto lui era quasi sempre di cattivo umore, come mai in altri momenti. Per lei quell'atteggiamento burbero era fonte di divertimento.

Dopo essere entrati, Alexander andò dritto in bagno. Lei sistemò le loro cose nella stanza da letto del piano inferiore, l'unica che avevano chiesto di preparare. Mise come pigiama una lunga maglietta, larga e comoda, e si sistemò sul letto. Accese la piccola televisione appoggiata su un comò sistemato sulla parete opposta.

Il notiziario le fece da sottofondo mentre appoggiava la testa sul cuscino e rilassava i muscoli. Sentì la loro tensione proprio mentre si scioglievano.

Nella stanza solo l'abat-jour faceva penombra.

Le sarebbe sembrato di stare a Tokyo se, dalla veranda semi-aperta, non avesse sentito l'assenza di rumori all'esterno. Era un silenzio che non esisteva in città.

Che pace.

Il peso di mesi di studio ininterrotto le sarebbe sembrato più leggero se la sera, a giornata finita, fosse potuta tornare sempre in un posto come quello. L'idea della casa al mare era bella, ma lei ora vi si trovava bene perché non era sola. C'era Alexander, che sapeva la ragione per cui lei stava studiando così tanto. Lui stava facendo i suoi stessi sacrifici, con lo stesso scopo... Quello di cui non parlavamo più molto. Era un accordo implicito tra loro, forse una maniera per non programmare anche la felicità.

Alexander uscì dal bagno, la bocca aperta in uno sbadiglio sfacciato.

Lei spense la televisione. «Forse è meglio se non metto la sveglia? Possiamo fare la nostra gita anche dopodomani.»

Lui si sdraiò sul letto. «Vediamo come ci svegliamo. Sì, lascia stare the alarm.» La abbracciò, poi per il troppo caldo si allontanò e si limito a rimanerle vicino. «Good night.»

Lei lo baciò sulla fronte. «Buonanotte.»

La mattina seguente Alexander si svegliò col sole negli occhi e una sensazione che si fece pensiero. Si voltò.

Eccoti qui.

Si trattenne dal toccare Ami e la lasciò dormire.

I missed you..

Oh, se gli era mancata. Aveva nostalgia di quando si svegliava con lei in un giorno di settimana qualunque - alle sei magari, dopo una sera in cui avevano deciso di non farsi scoprire da Saeko-san. Ami dormiva da lui e si teletrasportava a casa di mattina presto, prima che sua madre tornasse. Giusto da un mese avevano scoperto che non era più possibile.

Alexander cercava di sentirla tutti i giorni al telefono, nei venti minuti di pausa pranzo effettiva che aveva a disposizione. A volte entrambi erano così mentalmente impegnati ed esausti che riuscivano a parlare solo di lavoro e di studio. Alla fine lui rimaneva col telefono in mano, sentendo che era mancato qualcosa.

Parlavano meglio di sera, quando Ami aveva smesso di studiare, ma a quell'ora era il sonno il loro nemico.

Gli mancava uscire con lei, o divertirsi un martedì o giovedì qualsiasi, solo perché lo aveva deciso. Il weekend era sacro solo di domenica, anche se gli avevano detto - assicurato - che da quella settimana gli avrebbero lasciato libero anche il sabato. Solo per dargli il tempo di studiare per gli esami di luglio, naturalmente, ma per fortuna sua si era già portato avanti su quei libri. Altrimenti... Non volle pensarci.

Era una persona pigra?

Forse si sarebbe sentito costretto anche se avesse lavorato solo dalle nove alle cinque, come le persone normali. Ma quelle stavano lontane mille miglia dai reparti interni di banche d'affari che strapagavano poveri deleritti che davano l'anima ogni giorno - ufficialmente con orari umani, officiosamente dalle otto del mattino fino alle dieci di sera - per scoprire in quali titoli fosse meglio investire, armati di approfonditi e variegati studi statistici. Giusto perché mi pagate, pensò. Gli era piaciuto - troppo, a conti fatti - scegliere come disporre liberamente della propria giornata.

Sacrifici.

Per un fine ultimo ne valeva la pena. Aveva poco tempo, solo pochi mesi, per preparare la sua vita ai cambiamenti che aveva in mente. Il denaro era necessario, triste ma vero.

Per lui era sempre stato troppo facile averne. Due giorni addietro aveva ricevuto il primo stipendio serio della sua vita e... era soddisfacente sapere che quei soldi non erano stati un regalo. Li aveva guadagnati, erano davvero suoi.

Sono grande sul serio. Era ora che lo diventassi.

Mancavano meno di tre anni all'arrivo dello sconvolgimento finale che avrebbe cambiato l'esistenza del mondo intero. Cercava di non pensarci troppo. Meno che mai, se era possibile.

Aveva problemi più immediati da risolvere. Una cosa alla volta.

Inspirò e si beò della ragione per cui lavorava tanto. Era Ami, e anche quell'odore dolce di sudore appena accennato che aveva lei quella mattina, mentre ancora dormiva.

Il sole la colpiva sulle palpebre. Un suo occhio si aprì.

«Morning» mormorò lui.

Ami aggrottò la fronte. «Hm...mmuaaa!»

Il suono dello sbadiglio lo fece ridere.

«'ngiorno» lo salutò lei, nascondendo il viso contro il cuscino.

Che ore sono? Fu una domanda a cui nessuno dei due ebbe voglia di dare voce.

Lei lo spiò con un occhio sereno, semi-aperto. «Qui ti sveglia il sole...» Si mosse indolente sotto le lenzuola.

«È piacevole.»

Ami allungò una mano, posandola sui suoi capelli. Tracciò piccole linee con le dita. «Stai meglio?»

Lui annuì.

Lei lo raggiunse con un movimento improvviso: incastrò le braccia attorno al suo corpo - una contro il suo petto e l'altra attorno alla sua schiena. «Non ci sono uccellini che cantano.»

Un suono acuto, roco e lontano, la smentì.

«Oh.» Ami si sorprese. «Un gabbiano?»

«Credo di sì.»

Lei nascose il viso contro il suo petto. Dove la maglia di cotone leggero lo lasciava scoperto, posò un bacio.

Alexander le infilò una mano tra i capelli. Ne sentì l'assoluta morbidezza mentre lei continuava a strofinare il naso contro la sua pelle. Lo baciò di nuovo, piano. «Ti voglio bene.»

«Me too.» Talmente tanto che, a volte, pensava di sapere perché era stato giusto non fare l'amore con lei prima dell'inverno scorso.

Come avrebbe potuto, senza capire? Come avrebbe potuto, senza amarla come l'amava adesso? Ormai non gli importava più niente di spingersi oltre, gli bastava... stare. Così.

Ami salì con le labbra, carezze umide che lo percorsero sul collo, provocandogli brividi. Li chetò una piccola folata d'aria, entrata dallo spiraglio aperto della veranda. Ami si strinse a lui, cercando la sua bocca, e neppure il vento bastò più.

I suoi propositi di casta serenità si evolsero fino a sparire, la mano di lei che saliva e poi scendeva dal suo petto fino allo stomaco.

«Sai?»

No, la baciò lui, assaggiandola sul collo. 

«Tu sei davvero... bello.»

Stranito, ne rise senza guardarla. «Grazie?»

«Non il tuo viso, il...» Ami lo accarezzò con più fermezza sullo stomaco, la mano che non si staccava da lui. «Mi piaci molto.»

Be', allora in quel senso a lui piaceva piacerle molto. E stava cominciando a diventare colpa di Ami se gli stavano tornando in mente tutte le idee lascive che aveva elaborato in quella settimana. Ma in fondo... che male c'era? Sarebbe stato davvero amorevole nel proporgliele, e poi nell'attuarle. Le avrebbe amate anche lei e si sarebbero amati a vicenda.

Cercò di accarezzarla sul fianco, ma Ami scivolò via. «Aspetta.»

Che cosa?

Ami sollevò maglia del suo pigiama. Tracciò piccoli cerchi con le mani, un sorriso lasciato a guardarlo. Si chinò di nuovo, a baciare la pelle che stava accarezzando. «You smell good

Anche lei aveva un buon profumo, ma, per una volta, lui non sentì tanto l'ardore di averlo sotto il naso quanto di guardare, sentire. L'inglese di Ami era il preludio a momenti di abbandono che lei percepiva come profondamente romantici. Lui non riusciva a immaginare cosa avesse in mente ora.

Stava per sedersi su di lui e...? Quello sarebbe stato un ottimo modo di cominciare quell'epico fine settimana.

I baci di Ami sul stuo stomaco si erano fatti... timidi. Teneri, a ben vedere. La sensazione gli ricordò di quando da bambino qualcuno - sua madre, Nanny Shoko? - aveva fatto la stessa cosa. Se ne dimenticò e chiuse gli occhi, passando una mano tra i capelli soffici di lei. Ami lasciò scorrere le mani su entrambi i suoi fianchi, salendo sino all'altezza della vita come a... prenderlo.

Il gesto gli diede idee perverse che lei non aveva cercato, ma che ebbero un effetto immediato.

Ami salì con la bocca e scese con la mano, tanto inequivocabilmente che la infilò sotto i boxer del suo pigiama. Li tirò giù.

Lo choc più grosso dell'esistenza di Alexander durò giusto un secondo, perché quello dopo... Sobbalzò e si tirò su per metà, evitando a stento di mordersi la lingua mentre stringeva i denti.

Ami lo guardò, rosa in viso appena un po' più del normale, troppo tranquilla per il resto.

Lui la guardò di rimando, mentre stava inginocchiata davanti a lui, le mani che stringevano la sua carne.

Non ebbe il cervello per produrre una sola espressione sensata.

Stava sognando. Per forza. Non si era ancora svegliato.

La mano di Ami si mosse sulla sua erezione in una carezza delicata, determinata, che distrusse quell'idea e gli strappò un ansito soffocato. Chiuse gli occhi e fu costretto a riaprirli subito, perché Ami aveva- Oh God, con la bocca lei stava-

Al pensiero si sostituì l'assolutezza della sensazione e dell'immagine, che fu talmente onirica, assurda e - diavolo - la cosa più erotica che lui avesse mai visto in vita sua.

Annichilito, si dimenticò della vista.

Ami baciava come baciava sempre, con passione innocente e curiosità, sentendo, assaggiando e... gustando.

Lui non ebbe la forza di gettare la testa all'indietro, ma come problema sparì subito anche quello: Ami lo aveva chiuso interamente tra le labbra umide e calde, e lui...

Facendo violenza al proprio corpo la spostò di lato. A bocca aperta si sollevò sulle ginocchia, cercando di rannicchiarsi e di non sporcarla mentre provava l'orgasmo più... più...

Rimase miracolosamente in silenzio. Poi dondolò come un pupazzo, svuotato anche della logica.

Alzando gli occhi trovò Ami con lo sguardo basso che... osservava. Solo poi lei passò a guardare lui, in faccia. Avvampò e perse il rossore in un secondo, senza dire niente.

'Non guardarmi così.' Lei lo pensò solo per un attimo e non lo disse. Si vergognò un poco, questo sì, poi deglutì e... accennò un sorriso. «Ho capito.»

... ah?

Lei sorrise, pregna di un imbarazzo mite. Indicò la porta accanto al letto. «Vado in bagno.»

Scese dal letto, e a passo calmo andò dove aveva detto, senza chiudere la porta.

 

Oh.

Oh, arrossì Ami.

Oh, capì.

Capì tante cose.

Si sentì così accaldata che guardando la doccia non resistette. Si spogliò, aprì l'acqua ed entrò sotto il getto che la colpì allo stomaco, chetando i suoi bollori.

Oh.

«Aspetta!»

Alexander entrò in bagno tanto rapidamente da non darle nemmeno il tempo di coprirsi con le mani.

«Non fare la doccia» le disse lui, indicando la stanza da letto, perso. «Torniamo di là.»

«Ehm...» Lei cercò di nascondere seni e ventre come meglio poteva, poi si spostò dietro il vetro opaco della cabina. «... Perché?» Non le venne in mente una domanda più intelligente da porre.

«Devo... Voglio... Vieni di là, Ami.» Quando Alexander riuscì a sorridere, il mondo tornò a essere un pochino più normale. «Non bagnarti la testa, torna ora di là con me.»

«... va bene, ma...» Le sfuggì una risata nervosa. «Aspetta un attimo, mi rinfresco e vengo fuori.»

Senza ascoltarla, Alexander allungò le mani per prenderla, entrando con metà corpo nella cabina.

«Ti bagni!» rise lei, ma la disarmò l'esultanza muta di lui, che la strinse senza lasciarla.

«Non importa. Esci.»

Lui abbassò la bocca verso la sua. Appena prima di abbandonarsi al bacio lei scattò all'indietro con la testa. «Ah.» A labbra serrate cercò di assaggiare da sola la propria lingua.

Lui esitò un momento a sua volta, poi la baciò sull'angolo delle labbra e tra le labbra, incurante di qualunque altra cosa.

Senza uno straccio di vestito addosso e con l'acqua che la rinfrescava sulle gambe, lei si sentì ugualmente come dentro un vulcano. Gemette piano nel bacio e cercò di calmarsi, di smettere. «Adesso esco» riuscì a dire, dolce nel tono: quando parlava così Alexander la ascoltava sempre.

Ma lui non si allontanò. Si mosse anzi in avanti, di quel poco che bastava perché l'acqua iniziasse a bagnargli una spalla sopra la maglietta del pigiama. La lasciò con una mano, solo per mandare a scorrere quelle stesse dita su un suo seno, facendole quasi perdere l'equilibrio sul piatto della doccia.

«Esci, Ami» le ripeté, docile. «Voglio ricambiare.»

Ricamb- Le esplose il cervello. «No!» Si colorò di rosso persino sulla punta del naso. «Voglio dire, io devo... Allora mi serve fare la doccia.» Non credette a quello che aveva detto - a quello che aveva concesso - ma si ritrovò con un altro bacio e non ebbe la testa o il desiderio di ritrattare. Non aveva chiuso gli occhi per l'imbarazzo - perché voleva vedere Alexander - e notò di sfuggita lo strano movimento di lui. Alex aveva messo la mano sotto il getto diretto dell'acqua, per prendere qualcosa dai piccoli ripiani sull'angolo opposto. Del sapone, capì lei, quando sentì la sensazione scivolosa contro lo stomaco. Sobbalzò piano, non troppo perché era ancora stretta forte.

«Okay» lo sentì dire, e sorridere. «Ti serve qui, vero?»

Lei scivolò per davvero quando la barra di sapone prese a scorrerle tra le gambe. Raddrizzò le ginocchia solo per guardare Alexander in faccia.

Aouhm? Il suono muto della sua domanda sconnessa non incontrò risposta.

Lui aveva chiuso gli occhi, teneva la fronte appoggiata sulla sua. «Voglio toccarti così dappertutto, Ami.» Lasciò cadere il sapone e continuò con le dita, costringendola a reprimere un ansito. Alla fine lei non resistette e liberò la voce, stringendogli un braccio tanto forte da graffiarlo con le unghie.

«Voglio baciarti così dappertutto. Per favore.»

Ami nascose il viso contro il suo collo per non ascoltarlo più, per ascoltarlo meglio. Premette il bacino contro la sua mano, dondolando contro le sue dita.

Piano piano, ancora.

Stava andando a pezzi, in fiamme,.

Lui la baciò forte sulla tempia. «I love you

«Hmm» gemette indecentemente lei. «I love you too.»

Alexander si tirò indietro. Bagnandosi di nuovo, prese il manico della doccia.

Attonita, lei si appoggiò con le mani alle pareti della cabina, per rimanere in piedi da sola.

«Ti sciacquo» spiegò lui.

«Ma...»

«Di là, Ami.»

Lei si fece lava di miele e non disse più niente. Accompagnò la mano di lui mentre dirigeva il getto dell'acqua contro il suo corpo, per lavare via le tracce di sapone. A risciacquo terminato, decise di smettere di essere solo una marionetta, felice di subire carezze. Inspirò e afferrò l'asciugamano grande che le passò lui. «Togli quella maglietta bagnata» gli disse.

Alexander lo fece senza protestare. Non era timido come lei. Lui aveva sempre il controllo.

Si ricordò di come glielo aveva rubato solo poco prima e camminò verso l'uscita del bagno, avvolta da un asciugamano, aspettandosi da un momento all'altro, con timore e trepidazione, che anche quello le venisse tolto di dosso, al pari di ogni altra difesa.

Arrivò invece al bordo del letto senza sorprese, con Alexander che si sedeva davanti a lei.

«I love you so much, Ami love

Lei si sporse in avanti, su di lui, lasciando andare l'asciugamano. Lasciò andare tutto, pudore e imbarazzo. Si aggrappò alla persona che amava e nel bacio che ricevette - che diede - bruciò tutte le ragioni che le erano d'ostacolo. D'amore avvampò e per amore si lasciò sdraiare sul materasso, rimanendo ad ascoltare il pulsare del proprio ventre che agognava un contatto. Cercò le mani di lui, sorridendo nel trovarle. «Ti amo» sussurrò ancora. Più di qualunque cosa.

Preparata com'era a vibrare, si inarcò nel ricevere la carezza di un dito tra le gambe, riprendendo a salire la china di sensazioni da dove l'aveva interrotta.

Si sentiva turgida, troppo sangue a dare energia ai recettori che costruivano la sensazione innominabile che voleva con tutta se stessa.

Altri due tocchi studiati la spinsero verso quell'orlo, in caduta libera. Erano carezze meravigliosamente umide - come il sapone, pensò alla lontana. Poi sentì un sapone che era bollente e ruvido, umido, e si muoveva. Strinse le gambe - troppo, ma non bastò. Portò la mano alla bocca e baciò come stava facendo lui, ad occhi chiusi e senza ragione.

Perché ti amo, ed era meraviglioso, tutto.

Sussultò a scatti, a singhiozzi, e pulsò, strappandosi il respiro in ondate - tutto dentro di lei che rispondeva all'unisono, muovendosi per l'eccessivo piacere. Non aveva ancora finito che ricominciò daccapo, senza un momento di tregua. Quando terminò realmente, scoprì che era montata in lei un'euforia che la stava facendo sorridere al soffitto, al nulla.

Alexander si sollevò in tempo per vederla. «Oh, damn. So beautiful now.»

Provarono un bacio, ma lui si fermò con una risata bassa e strofinò la bocca contro il dorso della mano. «Be right back.»

Lei se ne rimase sul letto, a respirare stremata di contentezza. Fu invasa da un'ondata di torpore che si posò sulla sua mente come una coltre amorevole.

«Non dormire.»

Spalancò gli occhi. «Sorry.»

Alexander era tornato e si era messo a carponi sul materasso. «Chi ha detto che ho finito?»

Lei, che era talmente allegra che riconobbe subito che lui era tornato quello di prima - il ragazzo che conosceva e che non era più tanto meravigliosamente determinato ad avere tutto di lei.

«Non sei stanco?»

«Prima sono durato dieci secondi. Che vergogna.»

Lei scoppiò in una risata alta e venne travolta da un abbraccio. Sentì un bacio sotto l'orecchio. «Sono contento di essermi rifatto.»

«Si dice così?»

«Sto solo cercando di vantarmi, così ti do un minuto per recuperare. Ti prego, rimani sdraiata così, my love

«Vuoi approfittarti di me.»

«L'idea è questa. Concedimi la grazia.»

Lei smise di scherzare, sfiorandogli la guancia con le labbra.

, fu la sua risposta.

La grazia di aversi - a vicenda - era un dono.

Lo avrò adesso, e con me tu lo avrai in eterno.

  

Giugno 1997 - Weekend al mare -  FINE

  


  

Note: dopo aver riletto i precedenti capitoli sono stata molto contenta di vedere che questo si incastra bene nella storyline che ho creato, nonostante lo avessi scritto prima di tutti gli altri. Ora finalmente posso proseguire verso la parte clou di questa raccolta. Aspettatevi un po' di tempesta tra Ami e Alexander ;)

 

Grazie di aver letto! 

 

ellephedre

  

Gruppo Facebook dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

 

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Capitolo 11
*** Luglio 1997 - Dubbi ***


per istinto e pensiero 12

Note: non è un vero nuovo capitolo, lo avevo già pubblicato nella raccolta Red Lemon 2. Finalmente sono arrivata a coprire temporalmente il periodo tra la fine di Verso l'alba e questo episodio, quindi ora ho potuto pubblicarlo nel punto giusto :) Presto lo eliminerò dall'altra storia, appena avrò capito come fare a non perdere tutta la fanfic - dato che quello è il primo capitolo pubblicato ;P

 

 

Per istinto e pensiero

di ellephedre

 

Luglio 1997 -  Dubbi

 

In una sera di inizio luglio Ami aveva deciso di arrivare a casa di Alexander prima di lui. Usando la propria copia della chiave era entrata, trovando tutte le finestre spalancate.

Alex non aveva ancora compreso che con quel metodo riscaldava l'ambiente invece di rinfrescarlo. Aveva trascorso tutta la vita in un appartamento situato sulla sommità di un grattacielo, uno spazio che non si era affidato alle finestre per il ricambio dell'aria.

Da quando era arrivata l'estate, lui apriva spesso le ante della sua nuova casa, nella convinzione di disperdere il calore invece di farlo entrare nelle stanze.

Ami serrò tutte le finestre. Dop aver acceso il condizionatore, si guardò attorno. Come aveva temuto, l'azione di Shoko-san era stata fondamentale in passato per organizzare casa Foster. 

C'erano una penna sul bancone della cucina, un libro accanto al televisore, un bicchiere sul comò. Una maglietta - sospirò - abbandonata sul divano. Il tavolino al centro del salotto ospitava sempre un paio di fogli - in quel caso una pubblicità e una bolletta da pagare. Quel giorno c'era anche la confezione aperta di un cd, senza il disco. Accanto al tavolo faceva mostra di sé una bottiglia d'acqua posizionata a terra, vuota.

Alexander aveva cercato di spiegarsi. «Io rimetto a posto, ma poi ho sempre tante cose in testa. Solo quando torno a guardare la stanza noto che ho lasciato in giro un mucchio di oggetti.»

Non erano esattamente tanti - Ami aveva visto ben altro tipo di caos, ad esempio dove era passata Usagi - ma per lei non c'era ordine finché ogni cosa non era al proprio posto.

Riordinò per istinto, passando dal salotto alla camera da letto. Lì la sua attenzione venne attirata da un depliant aperto sulla scrivania.

Esperienza di scambio internazionale al MIT

Sfogliò le pagine, leggendo.

Il Massachusetts Institute of Technology si premurava di offrire il meglio ai suoi studenti: 5 biblioteche, innumerevoli aule studio, spazi per esperimenti, corsi all'avanguardia in ogni settore.

"Chiediamo ai nostri studenti in scambio di dare il meglio di sé. Vi troverete in un ambiente competitivo che stimolerà al massimo le vostre capacità. Siamo qui per formare la vostra mente, aprendola al futuro. In gruppo o da soli, vi verrà chiesto di applicare ogni vostra conoscenza al fine di creare qualcosa di innovativo. Uscirete cambiati da questa università, pronti a plasmare il mondo."

Seguiva il commento di una studentessa australiana.

"Sono arrivata al MIT pensando di specializzarmi in ingegneria aerospaziale. Il corso del professor Koch ha rivoluzionato le mie aspirazioni: le nanotecnologie sono la chiave per il progresso. Mi sono trasferita definitivamente negli States. Una volta assaggiato questo ambiente, non si può più starne lontani. Ora so cosa voglio per il mio futuro."

La testimonianza di uno studente cinese aveva toni simili.

"Il MIT è IL posto dove coltivare il sapere. Non per i professori premi nobel, ma per i compagni di studio che incontrerete. L'ambiente brulica di idee, di passione, di invenzioni a un passo dall'essere realizzate. Durante un assignment di gruppo ho sviluppato un software con due amici europei. Sei mesi dopo eravamo in Silicon Valley a vendere la nostra start-up a un investitore. Il MIT ti trasforma da studente a realizzatore."

Il commento che colpì maggiormente Ami fu l'ultimo.

"Volevo studiare astrofisica sin da quando ero bambino, arrivare al MIT era il mio sogno. Non mi ero reso conto che era solo un punto di partenza. Ho abbandonato la vita che conoscevo per lo scopo per cui ho scoperto di essere nato: andare nello spazio. Senza il MIT mi sarei accontentato. È il luogo dove ho imparato che non esiste limite che non possa essere valicato. - Marshall Whitaker, pilota dell'Aeronautica Militare degli Stati Uniti."

Ami sollevò gli occhi dalla pagina. Pensò.

Qualche minuto dopo riprese a leggere, sfogliando il depliant fino all'ultima riga.

 

Da quel giorno guardò il calendario con occhi nuovi: alla partenza di Alexander mancavano meno di due mesi. Anche lui aveva iniziato a pensarci.

«Mi sono informato sulle tariffe telefoniche verso l'estero dagli States.»

Distratta, lei si era voltata a guardarlo.

«Ho calcolato un'ora di telefonata al giorno.»

Ami aveva riso. «Non avrai tempo per altro!»

«Già so che quei minuti mi sembreranno pochi. Comunque, prevengo con settimane di anticipo le tue obiezioni: non dovrai preoccuparti dei costi, so già quali sono. Ti ho detto che mi sta andando bene al lavoro? Prenderò il bonus.»

Lei lo aveva accarezzato in volto. «Te lo sei meritato.»

Lui aveva annuito, baciandola. «Basterà a pagare tutte le nostre lunghe chiamate. Potremo sentirci quando vorremo.»

Lei aveva pensato agli orari. «Mi sveglierò presto per chiamarti di mattina. Da te sarà tardo pomeriggio e avrai finito da poco le lezioni. O, se sarai occupato, potremo la sentirci la sera tardi, appena ti svegli tu. Per esempio saranno le 21 da me...»

«E le 7 dove sto io» aveva concluso Alexander. Le aveva stretto le mani. «Sarà come se non fossi mai andato via. Anche se non abbiamo più il tuo teletrasporto.»

Quando lui diceva cose simili, in lei si riaccendevano domande che non voleva ascoltare.

'Sarà come se non fossi mai andato via.'

Alexander intendeva partire solo con metà testa: l'altra metà sarebbe rimasta in Giappone, con lei.

Ogni tanto lui accennava a quando sarebbe tornato - una promessa che le faceva dall'inverno precedente. Stava per andare a studiare in una delle migliori università del mondo e già si preoccupava di tornare indietro. Prima di sapere di guerre interplanetarie e di guerriere Sailor, le sue idee erano state molto diverse. 

«Ho un piano sin da quando vado alle medie.»

Lei lo aveva ascoltato con attenzione in un pomeriggio dell'anno precedente.

«Diploma col massimo dei voti, poi ingresso alla Todai, al primo posto in classifica.» Alexander aveva scrollato le spalle, pentito solo a metà. «Su questo mi sono fatto battere, ma al corso ho fatto capire chi è il migliore. Farò uso di quella sfilza di 100: voglio poter frequentare qualunque università desideri, in qualunque parte del mondo. Sono rimasto in Giappone a studiare Fisica perché non volevo andare via troppo presto da casa, ma... il mio futuro non è qui. Io non voglio solo studiare, Ami, voglio fare. Andrò in un posto dove le mie ricerche abbiano uno scopo. Questo spazio in cui siamo nati, questa galassia... Quando toccheremo l'infinito con mano, io voglio esserci. Sarò una delle persone che lo hanno reso possibile.»

Tutto in lei aveva compreso a cosa anelava lo spirito di lui.

Alexander lo aveva capito. «E tu, love? Davvero non vorresti partire? Io so che un giorno, su una nuova scoperta medica, vedrò il tuo nome.»

Per un momento Ami si era permessa di sognare con lui. Si era concessa di immaginare di essere una ragazza comune, che non aveva obblighi né limiti.

«Ogni tanto leggo articoli sulla John Hopkins...»

Alexander era stato molto felice di sentirlo.

Qualche mese lui dopo aveva scoperto la verità, e tutte le sue idee sul futuro erano cambiate.

«Quando tornerò, da gennaio dell'anno prossimo, saremo liberi di programmare i mesi che verranno. Dopo la laurea a marzo ho già questo lavoro assicurato.» Aveva sorriso, indicando il tetto sopra le loro teste. «Ho anche la casa.»

Lui pensava all'inizio di una vita insieme, con un legame ufficiale e duraturo. Pensava a una famiglia. A costringerlo a quei progetti erano stati lei e le condizioni del suo futuro.

Alexander lavorava coi numeri in una banca di investimento - una banca, il ragazzo che aveva sognato da sempre di trovare posto alla NASA.

Di quell'impiego a lui piaceva soprattutto lo stipendio. Non si annoiava durante le lunghissime giornate di lavoro - 'C'è sempre una nuova sfida', diceva - ma il suo appartamento era pieno di libri di fisica che non servivano come preparazione agli esami. Ami li trovava persino in bagno.

Alexander aveva smesso di leggere narrativa, non ne aveva più il tempo. Passava le sue ore libere a svagarsi con la passione su cui in passato aveva voluto incentrare la sua esistenza.

Ami aveva iniziato a sentirsi una ladra.

Poteva l'amore togliere tanto a una persona?

Era contenta che lui andasse via: Alex aveva diritto di tornare a essere uno studente che si focalizzava su ciò che amava davvero.

Poi abbandonerà tutto e tornerà da me.

Col passare dei giorni il suo senso di colpa non faceva che aumentare.

  

Provò a non pensarci. Cercò di ascoltare lui e quello che le diceva: era così felice con lei.

Eppure, Alex non era mai stato davvero vicino al suo sogno. Da settembre in poi ne avrebbe avuto un assaggio.

Studenti geniali come lui avevano cambiato la direzione della loro vita dopo aver frequentato l'università a cui sarebbe andato.

... e se anche lui avesse cambiato idea?

Se avesse provato il desiderio di restare?

Ami aveva una certezza: Alexander sarebbe tornato comunque, per lei. Forse anche solo per le promesse che aveva fatto.

Più lo ascoltava parlare di come avrebbero gestito la lontananza - chiamandosi ogni giorno, contando le settimane fino al suo ritorno - più notava che lui non aveva intenzione di farsi coinvolgere dall'esperienza che stava per fare. La considerava un excursus, una divagazione temporanea rispetto a un percorso già deciso che andava in una direzione opposto.

Solo per quello, non sarebbe stato giusto da parte sua incoraggiarlo. 

"Sono tre mesi e mezzo in cui potrai vivere la vita che avevi desiderato" aveva voglia di dirgli. "Non dovresti pensare a quando tornerai indietro. Dovresti permetterti di..."

Sognare.

Lui non aveva vincoli. Non aveva doveri. Se in quel posto, al MIT, avesse avuto un'illuminazione su come voleva che fosse il suo futuro... sarebbe stato libero di cambiare tutte le sue decisioni.

Non lo farai.

Non lo farai?

Parlandogli tutti i giorni lei avrebbe mantenuto viva nella mente di lui la realtà di loro due. Lo avrebbe fatto tornare indietro.

Ma un giorno Alexander si sarebbe pentito se avesse rinunciato adesso a grandi opportunità. Nel presente si sarebbe lasciato trascinare da lei - perché l'amava tantissimo - ma un giorno...

Erano pensieri logoranti.

Alla fine, non riuscì più a rifletterci da sola. Stava pensando alla vita di lui, perciò doveva ascoltare cosa aveva da dire Alexander.

«Alex?»

Riposavano sul letto, dopo cena, guardando quel poco di stelle che si vedevano dalle finestre.

A lui mancavano le alte pareti di vetro della sua vecchia casa. Teneva un braccio dietro la testa. «Hm?»

«Hai pensato a come sarà stare là?»

«In America?»

«Sì.»

Nella penombra Ami intuì il suono di un sorriso.

«Sarà entusiasmante. Sai, più passa il tempo, più mi convinco che sia stato un bene scegliere di andare. Mi mancherai da morire, love, ma... potrò dare un'occhiata al mondo in cui volevo entrare. Mi riempiranno di idee e progetti. Tornerò più sereno qui, sapendo cosa potrò fare in futuro, tra uno o due decenni.»

Sentirlo alludere all'insoddisfazione del proprio presente, per quanto alla lontana, confermò tutti i suoi dubbi. Se lui voleva tornare indietro più sereno significava che al momento non lo era completamente. «E se là trovassi qualcosa che ti coinvolge molto?»

«Per esempio?»

«Magari una ricerca, un'idea. Come quella di... proseguire gli studi.»

Alexander diede vita a un lungo silenzio.

«Tornerò indietro.»

Non suonava come un'obiezione, né come una risposta. «So cosa hai detto. Ma se sapessi di non dover tornare qui a tutti i costi e ti venisse voglia di rimanere?»

Non vedeva con esattezza l'espressione di lui, ma sapeva di avere tutta la sua attenzione.

«Stai pensando di trasferirti negli States?»

No. Ma aveva capito a quale passaggio logico si era affidato: credeva che gli avesse fatto quella domanda solo perché c'era una possibilità che entrambi lasciassero il Giappone.

Ami chiarì. «Anche se decidessi che posso farlo, tra due anni e mezzo entrerò appieno nel mio ruolo di guerriera Sailor. Né io né te avremmo tempo di completare un ciclo di studi.»

«Infatti. Poi c'è il resto.» Confuso, Alexander scosse la testa. «Cosa stai cercando di chiedermi?»

«Voglio sapere cosa faresti se, stando lì, capissi che ci sono altre cose che vuoi fare nella tua vita. Subito, non tra dieci anni.»

La riflessione di lui non fu così lunga, ma a lei parve infinita.

«Penserei a quello che sto perdendo e tornerei indietro.»

Non mi perderesti.

«Perché mi fai queste domande, Ami?»

«Se tu cambiassi idea, non smetterei di amarti.»

«Love...»

«Il fatto che ci amiamo non può essere un vincolo che ti costringe a rinunciare a-»

«Di cosa stiamo parlando? Anche tu hai detto che non avrei il tempo di terminare una specializzazione prima che arrivi la nuova guerra e cambi tutto. Non servirebbe a niente che rimanessi in America, visto che dopo voglio stare con te. Non avrei modo di completare quella specializzazione né di trovare un lavoro nel campo che desidero. Nel frattempo avremmo solo perso due anni. È tempo prezioso di cui abbiamo bisogno, no?»

... per un bambino. Per farlo diventare padre a ventidue, ventitré anni - solo perché non potevano aspettare oltre, non perché lo desiderassero in assoluto tanto presto.

Per un momento lei non disse nulla.

Alexander emise un breve sbuffo. «Ragioni troppo per ipotesi.»

«Mi piacerebbe che ti sentissi libero.»

«Io lo sono.»

Non avresti deviato tanto dalla tua strada se non fosse stato per me. «Il lavoro che hai adesso non è quello che sognavi.»

«Ci pago questa casa. La mia indipendenza economica. Non fare la martire, non mi sto sacrificando per te.»

Ami si ammutolì.

Alexander si alzò dal letto e uscì dalla stanza. Lei sentì scorrere l'acqua del rubinetto in bagno.

Lo aveva fatto arrabbiare.

Dopo qualche secondo, lui tornò in camera.

Prima di parlare si sedette sul letto, calmandosi. «Riesco a pensare a me stesso, Ami. So quello che sto facendo. Non so perché credi che non abbia riflettuto cento volte su tutto.»

«Non è questo...»

«Allora non sei sicura di quello che provo.»

«No.»

«Se pensi bene alle tue domande, lo sembra.»

Lei lo toccò con una mano. «No. Penso a queste cose perché... sarà un periodo davvero importante per te, per quello che volevi e che ancora sei. Io volevo... Vorrei...»

Lui appoggiò la fronte sulla sua. «Io sono felice di andare. E sono felice di sapere che ti sentirò così spesso che sarà come se fossi lì con me. Sarebbe stato meglio solo se ti fossi potuta teletrasportare a trovarmi, ma già ora...» Alex posò un bacio sulla sua pelle. «Non c'è niente che mi causi dubbi o infelicità. Te lo direi.»

... lui glielo avrebbe detto?

Alexander la spinse a sdraiarsi sul letto, insieme. «Saprai tutto quello che mi passa per la testa. Promesso.»

Ami volle crederci.

«Sai cosa c'è di vero e giusto? Ora, quando sarò in America, e tra tanti e tanti anni?»

Sì. «I love you with all my heart.» Lo amava con tutto il suo cuore, con tutti i suoi dubbi e i suoi timori.

Il respiro di lui era tornato sereno. «Non so come puoi credere che io possa vivere senza sentirlo. Senza viverlo.»

GIà, non lo sapeva. Non sapeva come un amore così grande non potesse essere una favola, dove non era possibile fare del male, in qualunque modo, a una persona per cui avrebbe dato la vita.

Ricette un bacio, serrò gli occhi.

Non mi importa. Fu egoista, amò. Adesso non voglio che mi importi di niente.

 

Luglio 1997 - Dubbi - FINE

 


 

Note: Questa è una necessaria introduzione a ciò che verrà dopo. Come spero sia chiaro, Ami non sente placati i propri dubbi. Per ora li sta solo silenziando.

Alexander sa come trattarla, ma l'argomento lo infastidisce. Avete avuto un assaggio del tipo di tono che può usare quando è davvero irritato. Se ricordate da Verso l'alba, può diventare sarcastico, chiuso. Crudele?

Continuate a seguire la raccolta e lo saprete ;) Punto a far capire meglio anche il punto di vista di lui. A sua volta ha dei timori, di altro tipo.

  

Grazie di aver letto e mi raccomando, fatemi sapere che ne pensate! Mi aiuta sempre a scrivere e a migliorarmi :)

 

Elle

  

Gruppo Facebook dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

 

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Capitolo 12
*** Fine luglio 1997 - Fato? ***


per istinto e pensiero 12

 

 

Per istinto e pensiero

di ellephedre

 

Fine luglio 1997 -  Fato?

 

«Ami, devi vederlo anche tu! Marmalade boy è un anime così coinvolgente! Sto recuperando tutte le puntate!»

Ami lisciò la pagina del suo libro prima di alzare gli occhi verso Usagi. Erano sedute al tavolino di un bar, all'aperto. «Dove trovi il tempo?»

Usagi rilasciò un lungo sospiro di infelicità. «Mamo-chan lavora troppo. Torno sempre a casa molto prima di lui. Quando non esco con voi e non studio, non ho molto da fare.»

«Non avevi detto che avresti iniziato a cercare un lavoro?»

Usagi le lanciò un'occhiataccia. «Insomma, sono appena finiti gli esami!»

Già, e doveva ammettere che Usagi si era impegnata molto. Aveva un po' arrancato agli inizi - non ultimo a causa della sua nuova vita matrimoniale - ma si era data molto da fare negli ultimi due mesi. Ai primi appelli era andata bene.

Lei stava continuando a parlare. «È questione di giorni. Prima voglio assicurarmi di non essere occupata con un lavoretto nel caso Mamo-chan abbia una settimana libera questo mese. Se io fossi impegnata e lui, no sarebbe una tragedia! Salteremmo le ferie per tutto l'anno, me lo sento. Io voglio andare al mare con mio marito!»

Usagi adorava usare quella parola. «Su, calma. Sono certa che riuscirete ad andare da qualche parte.»

«Hai ragione! Non può essere che la coppia più bella di tutta la Terra non riesca a fare delle agognate vacanze!»

Sempre modesta. «Mi parlavi di un anime?»

«Oh, sì! Mi immedesimo così tanto nella protagonista! È una studentessa delle superiori che nelle prime puntate è divisa tra due amori: il ragazzo che l'ha respinta alle medie e quello che ha conosciuto da poco. Lui si chiama Yuu ed è andato a vivere a casa sua perché i loro genitori si sono scambiati i partner. Abitano tutti insieme, capisci? Pensa che...»

Ami iniziò a udire la voce di Usagi in sottofondo. Era una bella giornata estiva, calda. Il periodo degli esami era finito anche per lei e aveva un po' più di tempo libero. Come Usagi a volte meditava di trovarsi un lavoretto, ma aveva sempre qualche idea da sviluppare. Col computer aveva progettato un piccolo software per la condivisione di dati. Lo stava perfezionando, anche se man mano che andava avanti iniziava a chiedersi se gli utilizzi sarebbero stati legali. In quel caso non avrebbe guadagnato niente da quell'idea. Il suo piano invece era creare qualcosa che fosse redditizio, per il futuro.

«Mi ascolti, Ami-chan?»

Dedicò di nuovo attenzione ad Usagi. «Sì.»

Lei la osservò. «Stavi pensando ad Alexander?»

Non in quel caso, ma ci pensava spesso. «Sì.»

«Vedrai, non sarà come per me e Mamo-chan. Tu e lui vi sentirete tutti i giorni!»

Questo purtroppo continuava a preoccuparla.

Doveva davvero tenerlo tanto legato a sé? «Già.»

«Non sarà nemmeno come per Miki e Yuu, che... Ah!»

Se aveva sentito bene, Miki era la protagonista dell'anime di cui parlava Usagi. Cosa c'entravano lei e il suo ragazzo ora?

Usagi tolse la mano dalle labbra. «Niente. Sai, pensandoci, non guardare Marmalade Boy! Non è il tuo genere.»

Questo lo aveva intuito già sentendo parlare di triangoli amorosi. Ma la faccia di Usagi la incuriosiva. «Pensi che qualcosa di quella storia possa influenzarmi.»

Usagi si grattò la testa. «È solo che... anche il ragazzo di Miki va a studiare in America. E...»

«E?» la incalzò Ami.

«Ecco, per loro è molto difficile. Miki è piuttosto insicura. Non posso darle torto, durante la loro relazione ci sono state un paio di ragazze che continuavano a girare intorno a Yuu. Mi veniva voglia di strozzarle! Comunque, quando lui è andato via, è stato difficile per loro comunicare, per via del fuso orario e degli impegni di studio.»

«Io e Alex ci siamo accordati su questo. Siamo organizzati.»

«Infatti, voi siete bravi. Miki era così nervosa quando non sentiva Yuu per un paio di giorni. E poi in America c'era quest'altra ragazza...»

Ami comprese dove Usagi stesse andando a parare. «Non ho questo tipo di paure.»

‹Oh, anche Yuu era molto fedele! Come Alexander, senza dubbio. Però immaginare il proprio ragazzo da solo, in un posto dove ci sono tante studentesse straniere carine...»

Ma Usagi stava cercando di tranquillizzarla o di farla preoccupare? «Anche qui tante ragazze cercando di abbordare Alex. Lui nemmeno le guarda.»

Usagi sospirò. «Sì, il tuo Alex è proprio antipatico con le estranee.»

Ehi.

«Invece Mamoru era sempre così gentile con tutti, donne comprese. Io mi rodevo dalle gelosia!»

«Allora Mamoru ha cambiato atteggiamento?»

La soddisfazione di Usagi fu enorme. «Lui non se ne rende nemmeno conto. L'ho avvinghiato così forte nelle mie spire d'amore che, appena un'altra cerca di distrarlo, Mamo-chan neppure la calcola. Torna da me di corsa, come un cagnolino fedele!»

L'immagine fece sorridere Ami. 

Usagi tornò a pensare. «Ma se ci separassimo per un po', sarei inquieta. Avrei fiducia in Mamo-chan, ma non potrei sopportare l'idea di non essere presente a fermare l'attenzione di altre ragazze. Già me le immagino, che lo circondano come se fosse una preda succulenta...»

Ad Ami parve di udire un ringhio. «Non succederà. Siete sposati e tu gli stai sempre intorno.»

Usagi dimenticò la rabbia. «Già. E scusami, sono un'insensibile a farti pensare a queste situazioni!»

Per lei non era un problema. «Le altre guardano ciò che è mio e non lo sanno.»

Usagi spalancò gli occhi. «Così mi piaci!»

«Inoltre Alexander è immune alla bellezza.» Forse perché lui se l'era sempre trovata davanti, a partire da sua madre. «Non viene colpito dall'aspetto fisico di una persona. A lui interessa solo...» Fece una pausa. «Il cervello.» E ora stava per andare in un posto colmo di ragazze incredibilmente intelligenti.

Al suo fianco Usagi era nervosa. «Ehm...»

Ami si tranquillizzò subito. «Mi ama.»

«Esatto!»

Lui non l'avrebbe dimenticata anche se fossero stati lontani per mesi. Neppure se in quel periodo non si fossero sentiti.

Non parlò di quell'ipotesi ad Usagi. Sapeva come avrebbe reagito lei.

Usagi sollevò il braccio in aria, saltando in piedi sulla sedia. «Ecco le altre! Ragazze, siamo qui!»

Sgomberando la mente dalle preoccupazioni, Ami si concentrò sull'arrivo di Makoto e Rei.

Appena loro si sedettero al tavolo, Usagi offrì a entrambe un rapido riassunto della conversazione.

Rei fissò i suoi occhi su Ami. «Sai, per la gelosia dovresti copiare il mio esercizio.»

«Io non sono gelosa.»

«Ovvio. Ma ascolta: ricordate quella volta che sono andata a prendere Yu al lavoro? C'era quella tizia che era troppo amichevole con lui. Tardona, avrà avuto quasi trent'anni! Comunque, da allora ho drizzato le antenne e sono andata a segnare il territorio. Mi sono fatta trovare fuori dalla sua aula universitaria - più bella che mai - e ho guardato male tutte quelle che gli sono andate troppo vicino. Nella mia testa facevo un elenco: smorfiosa, tappa, 'vuoi-stare-ancora-più-scollata?'. E naturalmente 'racchia' - soprattutto se era carina e osava mettersi a meno di un metro di distanza da Yu.»

 Makoto rideva. «Non ce l'avevi mai detto!»

Rei scrollò le spalle. «È stato un momento di debolezza.» Sospirò. «Era meglio quando Yuichiro stava al tempio. Lì nessuno sapeva della sua famiglia. Invece alla Todai se ne sono accorti subito. Sapete, perché lui è più grande degli altri studenti e gli hanno chiesto come mai avesse iniziato tardi. Yu si è lasciato sfuggire che frequentava solo due corsi come aggiornamento e le sue compagne di classe hanno fatto due più due. Arpie opportuniste! Lo trovano interessante solo per il suo denaro!»

Makoto stava bevendo dal bicchiere di Usagi. Bofonchiò con la cannuccia in bocca. «Minako direbbe che stai ammettendo che senza i soldi non lo vorrebbe nessuna.»

Rei strinse un pugno sul tavolo.

Ami si ritrasse, cercando una distanza di sicurezza.

«Idiozie! Yu è simpatico e gentile, e non siamo più alle superiori! Le ragazze hanno smesso di cercare uno che abbia il viso di un idol, vogliono un po' di... di maturità, come quella che ha Yu.» Al pensiero l'infelicità di Rei crebbe, ma lei la scacciò in un istante. «L'ho visto prima io, è mio! Lo voglio anche diseredato!»

Ami la trovò incredibilmente dolce. «Yuichiro sarà felice di sapere che tieni a lui in questo modo.»

Rei ritrovò la propria compostezza. «Non scherziamo, non gliel'ho detto. Altrimenti si monterebbe troppo la testa.»

Usagi aveva roteato gli occhi al cielo. «Sei crudele!»

Makoto ordinò alla cameriera di avvicinarsi. «Rei è fatta così.» Fece la propria ordinazione e, dopo quella di Rei, incrociò le mani sul tavolo. «Io ho un approccio simile al suo, ma sono più diretta. Mi costringono le circostanze: ieri ho incontrato un'altra ex-ragazza di Gen. È la terza volta oramai, sono disseminate per tutta Tokyo!»

Usagi si impegnò a ricordare. «Be'... lui non aveva avuto ventidue relazioni? O erano ventitré?»

Makoto la fulminò con lo sguardo. «Già. E le sue ex sono tutte sfacciate! Se non sono vicina a lui, credono di poterci tornare insieme come se nulla fosse!»

Usagi si scandalizzò. «Cosa le hai viste fare?!»

«Mi ero allontanata di due passi - due! - e la tipa di ieri stava cercando di dire a Gen che l'avrebbe trovata alla discoteca che sapevano loro, quella sera.»

Come le altre, Ami spalancò la bocca per l'indignazione.

«Lui che ha fatto?!» domandò Usagi.

«Stava ridendo, non ha neanche fatto in tempo a fermarla. Ci ho pensato io, attaccandomi al suo braccio. Le ho fatto sapere che dopo cena saremmo stati molto occupati. Moltissimo

Rei scoppiò a ridere, applaudendola per la sua audacia. 

«Mi sono anche lasciata sfuggire che era il nostro ottavo mesiversario. Non è mai stato con nessuna così a lungo.»

Ami vagò con la mente: lei e Alexander stavano insieme da un anno e nove mesi. Non avevano mai festeggiato dei mesiversari, ma per una volta sarebbe stato carino farlo.

Le sue amiche si erano zittite. Guardavano lei.

Rei si allungò sul tavolo, per prenderle le mani tra le proprie. «Tu non hai niente di cui preoccuparti, Ami-chan. Non ho mai visto un ragazzo che respinge le pretendenti con più facilità di Alexander.»

«Oh, sì» concordò Makoto. «È spietato.»

Ad Ami venne da ridere. «Lo avete visto mentre lo fa?»

«Eccome. Persino in tua presenza, mentre sei girata o abbastanza lontana da non sentire. Non te ne sei accorta perché lui le riduce letteralmente in cenere nel giro di un microsecondo. Fa questa faccia che dice...» Rei deformò il viso. «'Senti, tu, non esisti.' Oppure, 'Ma come hai osato parlarmi?'. E ancora, 'Sono occupato, non ho tempo per le nullità.'»

Ami non riuscì a trattenere le risate. «Non è così cattivo!»

Rei sollevò un sopracciglio. «Invece sì. Ma non puoi desiderare di meglio.» Si incuriosì. «Ha guardato anche te in questo modo quando ti ha conosciuta? Non ce lo hai mai raccontato.»

Per Ami fu semplice ricordare. Aveva quel momento stampato in testa, con Alexander seduto dall'altra parte della tavolata di studio, in biblioteca, mentre posava gli occhi su di lei solo per un attimo, senza mostrare reazioni. «Credo che mi abbia guardato come dite voi. Ma per me era solo un'occhiata neutra.»

«Sei fatta di ferro.»

Ami proseguì a rammentare. «La seconda volta che mi ha visto... ci siamo incrociati per caso alla Todai. Mi ha notata e sembrava che non pensasse nulla di me. Ha continuato a camminare, senza fermarsi.»

Makoto ascoltava, interessata. «Incredibile. Visto come ti tratta ora.»

Già, ma Ami era troppo immersa nei ricordi per soffermarsi sul presente. «La terza volta... Ecco: ho catturato la sua attenzione con la mente.» Sorrise. «Eravamo in coda per comprare lo stesso libro. Lui si è accorto che ero dietro la fila e mi ha salutato col volume in mano, come a dire, 'Guarda, ce l'ho anche io.'»

«E non vi eravate ancora mai parlati?»

Ami rispose a Makoto scuotendo la testa. «Ci sono voluti cinque giorni perché ci scambiassimo una parola. Lo hanno convinto le tante coincidenze, altrimenti...» Lui sarebbe rimasto lontano da lei? Non volle soffermarsi su quel dubbio. «Al quarto incontro c'eravate anche voi. La prima volta che lo avete visto, quando mi ha salutato. Quello era Alex che diceva, 'Ma dai, tutta questa casualità merita un saluto'.»

«Che magnanimo» commentò Rei, scambiandosi un sorriso con Makoto.

Secondo Ami erano troppo severe con lui. «Al quinto giorno ci siamo incrociati su un piccolo ponte, al parco. Alex faceva jogging. Siccome era sorpreso di vedermi di nuovo, ha deciso di fermarsi. La prima cosa che mi ha detto è stata...»

"Sai, forse se ci presentiamo la smetteremo di incontrarci."

Si riempì di tenerezza. Provò una commozione felice ripensando agli inizi, a quanto fosse stata decisa a non volergli parlare e a quanto entrambi fossero stati ignari dell'importanza che avrebbero avuto l'uno per l'altra.

«Ami?»

Ripeté quello che lui aveva detto alle sue amiche, concludendo il racconto.

Rei la osservava, con una riflessione sulla punta della lingua. «Sarai triste al pensiero della vostra separazione. Ma devi ricordarti di tutte queste cose. Se un amore è vero e sincero, la lontananza non lo cambia. Anche se non vi sentiste per un anno, io so che lui penserebbe sempre a te.»

Ami non avrebbe potuto sentire qualcosa di più bello.

Usagi la abbracciò. «Ma si telefoneranno ogni giorno! Lui glielo ha già detto!»

Makoto annuì. «E quando tornerà, sarete più felici che mai.»

Circondata dalle sue amiche, Ami si lasciò cullare dalle loro rassicurazioni.

  

Quella sera osservò Alexander mentre, indolente, lui strofinava i capelli bagnati con un asciugamano. Faceva abbastanza caldo per non usare un phon.

Al tempo in cui lo aveva incontrato, pensò, aveva avuto bisogno di amore. Aveva attirato Alex nella sua sfera, mettendo in atto col suo potere meccanismi per incontrarlo, solo apparentemente casuali. Non aveva avuto alcun controllo su quegli eventi, ma erano dipesi da lei.

Se fosse stato per lui... 

«Oggi ripensavo a quando ci siamo incontrati.»

Alexander la ascoltò, sereno e curioso di sentirla continuare.

«Che cosa hai pensato la prima volta che mi hai vista?»

«Me lo avevi già chiesto.»

Non lo ricordava.

Con l'accappatoio in spugna ancora addosso, lui mise un ginocchio sul letto, chinandosi su di lei. «Ho pensato... 'Guarda com'è carina.'»

Sorridendo, Ami lo abbracciò.

Bugiardo.

Per quella piccola menzogna gli volle ancora più bene.

  

 

Fine luglio 1997 - Fato?- FINE

 


 

Note: Dunque, quando ho iniziato questo capitolo volevo renderlo più corposo e passare già a parlare di quello che sarà il punto di scontro tra Ami e Alexander. Ma quando ho finito di buttare giù le due scene che vedete qui, mi sono resa conto che funzionavano bene da sole.

Il corposo dialogo tra Ami e le sue amiche ha senso come pezzo di un mosaico che va a spiegare quella che sarà una forta decisione di Ami. Un capitolo in più invece di rallentare il ritrmo mi dà la sensazione, come lettrice, che l'autore (sempre io - sono pazza :D), non stia correndo troppo nel raccontare un'evoluzione importante di un personaggio.

Quello che farà Ami farà venire ad alcuni di voi voglia di darle cappocciate in testa :P Proprio perciò si deve capire come è arrivata a quella conclusione. Bisogna far vedere che non è stata una cosa che le è venuta in mente dalla mattina alla sera, perché io avevo fretta di scriverla. È neessario che si capisca come fattori logici e illogici abbiano contribuito in continuazione a farle mettere in discussione consapevolezze che fino a qualche mese prima per lei erano assodate.

Quindi, ecco qua :) Un pezzo divertente in cui le ragazze sono grandi protagoniste. Nel prossimo capitolo ci sarà un evento nuovo - quindi non più solo riflessioni dei personaggi. Perché Ami pensa, pensa, ma se non succedesse nulla di particolare forse metterebbe a tacere la testa e ascolterebbe di più quello che prova. E invece... (perché sono cattiva :D)

Grazie di aver letto e please, please, commentate! 
 

Elle

  

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Capitolo 13
*** Agosto 1997 - Addio? ***


per istinto e pensiero 13

Per istinto e pensiero

di ellephedre

Agosto 1997 - Addio?

Penultimo giorno a Izu, dopo otto giorni di vacanze.

Alexander continuò a nuotare. Voleva godersi l'acqua di mare finché era ancora possibile. Dal lunedì successivo doveva tornare al lavoro, per le ultime due settimane. Poi, l'America.

Virò con on un'ampia bracciata, iniziando a descrivere il percorso di ritorno verso riva. Si era allontanato di molto e il suo corpo dava i primi segni di cedimento. Durante quell'estate non aveva avuto molto tempo per gli allenamenti: la mattina si alzava troppo presto per correre e la sera tornava tardi dal lavoro. Aveva dedicato la maggior parte dei suoi weekend - l'unico ritaglio di tempo libero - ad Ami, e non era stato sufficiente. Si era rifatto in quella settimana, ma l'aveva vista troppo poco negli ultimi due mesi.

Perché il MIT non si trovava in Giappone? Sarebbe stata la soluzione ai loro problemi.

Durante la breve permanenza a Izu aveva sentito Ami esitante, confusa. Era la sua partenza a darle dei dubbi.

Lui aveva un'idea di quali fossero: Ami si stava convincendo di dovergli dare il tempo di focalizzarsi sull'esperienza che avrebbe avuto negli States.

Se lei avesse continuato con quei pensieri, Alexander ne immaginava l'esito: quando l'avesse chiamata dall'America, lei sarebbe stata progressivamente più reticente a portargli via tempo. Avrebbe creduto di distrarlo, di non lasciargli modo di concentrarsi sul suo sogno. Magari avrebbe persino diradato la frequenza delle loro chiamate.

Al solo pensarci si irritava.

Da lontano avrebbe faticato a farle cambiare atteggiamento. Senza vederla e senza starle accanto, sarebbe stato più difficile ricordare ad Ami che lui aveva idee chiarissime su cosa voleva da quei mesi della sua vita.

Non intendeva tornare in Giappone per farle un favore. Lui aveva bisogno di tornare indietro, per stare con lei.

Più sentiva che Ami aveva dei dubbi sulle sue intenzioni, più aveva voglia di prenderla da parte e domandarle, 'Perché non mi credi? Cos'altro devo fare per convincerti?'

Forse stava esagerando. Ami credeva di non poter immaginare tutti i possibili esiti di una situazione, pertanto si preoccupava di come gestire anche l'ipotesi più remota - quasi come esercizio mentale. Se solo non avesse trasformato quei pensieri in possibili paure...

Tornò a concentrarsi sui movimenti del proprio corpo. Stava nuotando per rilassarsi. Doveva lasciar riposare il cervello.

Bracciata destra, spinta delle gambe. Bracciata sinistra...

Iniziò a sentire del calore che si diffondeva sotto un ginocchio. Non si spaventò, ma diminuì il ritmo. Aveva sovraccaricato i muscoli.

Andò avanti per una decina di metri, poi sentì una fitta al polpaccio. Affondò.

Shit!

Boccheggiò per il dolore, inghiottendo acqua. Balzò verso la superficie con la testa, annaspando, le mani strette sulla gamba. Riuscì a sputare liquido dalla bocca prima di affondare di nuovo. Per istinto saltò su ancora una volta, per un attimo solo, riuscendo a far entrare un soffio d'ossigeno nei polmoni.

Tornò a essere circondato dal mare, ma si rifiutò di far uscire l'aria. Massaggia, dannazione! A denti stretti premette sul muscolo contratto, mentre tutto il suo corpo andava sempre più a fondo.

Si dimenò con la gamba sana. Doveva tornare a galla!

Lo sforzo gli impose di respirare. Inghiottì altra acqua di mare.

Dimenandosi, riguadagnò la superficie con un balzo. Nel microsecondo d'aria sputò e trattenne il respiro. Per volontà di sopravvivenza impedì al mare di fagocitarlo di nuovo e riuscì a tenere a galla la testa, per espellere il liquido salato dalla gola e dal naso. Tentò un altro respiro, più completo, ma il suo corpo pesava una tonnellata e l'oceano lo afferrò di nuovo.

Non così. Non qui!

Si sentì ribollire. Ami era a riva!

Ami!

Lei non lo avrebbe mai sentito, erano troppo distanti.

Cercò di zittire la paura mentre si sentiva affondare ancora, i polmoni che bruciavano a causa dello sforzo e dell'acqua ingoiata. Impresse un massaggio deciso al polpaccio, cercando di roteare su se stesso, per mettersi orizzontale. Non servì, continuò a piegarsi sull'addome, nel verso sbagliato. Stava annegando.

Sbatté gli occhi e gli parve di vedere la spiaggia. Per un momento si sentì fuori dal mare, con Ami che era saltata in piedi, notandolo. Ritrovò la lucidità.

Movimenti meno bruschi.

Riemerse con due bracciate, cercando di respirare con bocca e naso. Non riuscì a rimanere fuori dal mare con la testa, ma era preparato. Soffocò l'urlo mentre continuava il massaggio alla gamba, per sciogliere il nodo di carne duro come la pietra.

A tre metri dalla superficie, mosse le braccia convulsamente, per tornare di nuovo fuori.

Doveva solo fare continuare in quel modo. Affonda e riemergi, affonda e riemergi... Non aveva alcuna intenzione di morire.

Ripeté quel ciclo una terza volta e sentì che poteva controllarlo. Il suo polpaccio sembrava sul punto di spaccarsi, ma non gli importava.

Devo uscire di qui! La gamba deve essere almeno un peso morto, deve smettere di fare così male!

Ogni volta che risaliva cercava di muoversi verso la riva. Forse stava sbagliando direzione, ma ci avrebbe pensato in seguito.

Aveva perso il conto delle volte che era riemerso quando sentì finalmente che il dolore iniziava a disperdersi.

«Aleeex!»

Ami!

Uscendo dall'acqua con la testa si costrinse a rimanere su un secondo di più, per poterla vedere. Ami stava sfrecciando a nuoto verso di lui.

L'avrebbe fatta affondare!

Smise di combattere contro la forza di gravità, tornando di sotto. Si concentrò sulla pressione che metteva nelle dita: finalmente il muscolo aveva ceduto, si lasciava plasmare.

D'improvviso sentì una mano sotto il braccio, che lo tirava verso l'alto. Le gambe di Ami lo colpirono alla schiena mentre lei spingeva per farlo riemergere.

Riguadagnarono la superficie con due enormi boccate.

«Lasciami!» gridò lui.

La presa di lei sotto la sua ascella era di ferro. «Non agitarti!»

«Affogherai!»

«Non sto affondando!!»

Lui iniziò a crederci solo quando rimase col mento fuori dall'acqua.

Ami gridava da dietro la sua testa. «Smetti di muoverti e riuscirò a tenerti a galla!»

Alexander cercò di adagiarsi sulla schiena, portando stomaco e gambe verso l'alto. Il polpaccio gli doleva ancora, ma era un dolore sopportabile.

«Ti tengo» affermò Ami, concitata.

Lui riprese a respirare a pieno regime, tremando. «Il crampo sta sparendo!»

«Non parlare!»

Alexander disse più niente. Cercò quanto più poteva di tenersi in superficie da solo, per non affaticare Ami.

Trenta secondi dopo - eterni - provò a voltarsi. «Ce la faccio!»

«Siamo quasi a riva!»

«Ce la faccio!» urlò più forte, scostandosi. Tutto quello sforzo le avrebbe fatto venire un infarto!

Ami cercò di riprenderlo, ma lui uscì fuori dalla sua portata con due bracciate, muovendo una gamba sola. Stavano a venti metri dalla riva.

Lei gli nuotò accanto. «Non sforzarti, tra poco si tocca!»

«Ce la faccio, non è una bugia!»

La sentì bofonchiare - parole di disperazione e rabbia che lei non aveva mai pronunciato.

A dieci metri dalla spiaggia Ami andò avanti con una spinta potente. Quando lui la vide voltarsi, lei era rigida col tronco, in piedi, le mani allungate nella sua direzione. Alexander si abbandonò in avanti, affondando, solo per poter toccare col piede la sabbia immersa. Venne sopraffatto dalla stanchezza.

Riuscì a fare un passo, poi Ami fu di nuovo con lui. Lo tirava a sé, questa volta in piedi anche lei sotto l'acqua.

Riemersero, ansimando per lo sforzo.

«Ci siamo!» Ami lo strattonò verso la battigia. «Ormai siamo fuori!»

Alexander sentiva i polmoni che macinavano aria come se non avessero mai respirato. Il cuore stava per scoppiargli, ma era salvo.

Camminò in acqua, usando la gamba ancora fuori uso come una leva su cui non poteva appoggiarsi. Ami si mise su quel fianco, invitandolo a pesare su di lei.

Lui non riuscì a protestare. Non riuscì nemmeno a gemere.

Barcollarono, lenti, fino ai primi metri di sabbia asciutta.

Alexander si lasciò cadere in ginocchio, Ami al suo fianco.

«Va tutto bene.» Lei gli sostenne il torso, cercando di prendergli la testa. «Ora starai meglio.»

Lui chiuse gli occhi, tentando solo di immagazzinare ossigeno. «La gamba...»

Ami si staccò e iniziò subito un massaggio deciso. «Sdraiati!»

Disteso sulla schiena, Alexander subì con le mani sulla faccia, i denti stretti.

Come era riuscito a tornare indietro con quel crampo?

«Dimmi quando smettere. Devo portarti dentro.»

Riuscì ad annuire.

Era distrutto, ma ce l'aveva fatta.

  

Sulla veranda usciva un tubo per l'acqua, dall'interno della casa. Lei lo usò per pulirlo dal sale, mentre lui era ancora disteso sulla sdraio su cui era riuscito a trascinarsi.

Alexander riuscì a dire una prima frase sensata. «Perché mi lavi?»

«Ora torni a dormire.»

Sono le dieci, pensò lui - dieci del mattino. Non ansimava più, ma si sentiva debole.

«Riposerai finché non ti sarai ripreso del tutto.» Con più delicatezza, Ami lasciò scorrere l'acqua pulita sopra i suoi capelli, passando la mano tra le sue ciocche.

Lui rimase con la testa china, finché il getto non si allontanò. «Dormirò con la testa bagnata?» God, era così bello poter scherzare.

«Ci penso io.»

Ami portò un asciugamano sulle sue spalle e gli massaggiò la testa, con forza ma senza violenza, per asciugarlo il più fretta possibile. Era efficiente e metodica, molto controllata.

«Stai bene?» le domandò lui.

«Voglio vederti riposare su un letto.» Lei incontrò i suoi occhi. Gli strinse le spalle. «Solo poi starò bene.»

Si abbracciarono nello stesso momento, stringendosi forte.

My God. Era quasi morto davanti ai suoi occhi.

Si mossero a passi incerti verso la camera da letto. Alexander riuscì a malapena a levare il costume bagnato prima di crollare sul materasso.

Con un altro asciugamano Ami continuò a muovere le dita sui suoi capelli umidi.

Lui sprofondò nel sonno.

  


 

Ami si svegliò con un suono. Si era addormentata.

Beep. Beep. Beep.

Impiegò un momento a identificare l'origine. Il computer di Mercurio!

Corse verso il salotto, trovando il suo strumento appoggiato sul tavolo. La spia di allarme lampeggiava.

Ma cosa-?

Lo aprì. Il computer stava analizzando una figura sdraiata in quella stessa casa, in camera da letto.

Ricordando, Ami tornò indietro di corsa.

Per un momento, nella stanza, divise velocemente la propria attenzione tra Alexander - che dormiva come lo aveva lasciato, con sopra un lenzuolo - e il computer, senza comprendere. Spense manualmente il suono di allarme e focalizzò la sua attenzione su un numero nello schermo. Veloce, andò da Alex e lo toccò sulla fronte, col dorso della mano.

Febbre.

«Alex.» Cercò di svegliarlo. «Alex

Lui aprì le palpebre con un brivido, la fronte corrucciata. Brontolò di dolore.

«Hai la febbre alta. Dobbiamo abbassarla.»

«Oh, damn...»

Lei non lo ascoltò più. Appoggiò il computer sul tavolo e andò a recuperare una bacinella d'acqua fredda. Rovistò nello stanzino delle pulizie in cerca di una bottiglietta d'alcol.

39 di febbre. Era stato lo sforzo?

O il fatto che lo avesse fatto dormire coi capelli bagnati. Ma lo aveva asciugato, e un malessere si sarebbe manifestato prima con un raffreddore, non con una temperatura tanto alta.

Tornò da Alexander solo dopo aver trovato una boccetta di antipiretico. Appena la vide rientrare, lui cercò di sedersi.

«Aspetta, ti aiuto.»

«Hell... Che corpo inutile!»

Che sciocchezza. «Sarà la reazione a un grosso stress fisico.»

Lui si massaggiò la fronte con una mano. Accettò di malavoglia di aprire la bocca per una cucchiaiata di sciroppo. Quando mandò giù, tremò di nuovo.

Lei imbevette il panno di alcol diluito nell'acqua. Fece sdraiare di nuovo Alexander, poi lo inumidì sullo stomaco, sotto le ascelle, sul collo. Passò al retro della nuca. «Dormivo» gli spiegò. «Il computer mi ha avvertito che stavi male.»

Si rese conto di un'anomalia: come aveva fatto il calcolatore a decidere che quella situazione era pericolosa?

Per un momento Alexander si era irrigidito. A lei non era sfuggita la reazione. «Hai impostato tu l'avviso» capì.

Avrebbe dovuto pensarci lei stessa. Se c'erano avvenimenti misurabili che potevano costituire una situazione di rischio, impostare un avvertimento era un'ottima idea.

Che cosa l'aveva fatta venire in mente a lui?

Alexander bofonchiò. «Quanto ho di febbre...?»

Lei gli disse il numero. «Ora la facciamo scendere.»

Lui fece silenzio. Stava troppo male per pensare.

Ami lo fece al posto suo. Dopo molto riflettere, giunse a una conclusione che non gradì.

 

Erano le tre del pomeriggio. La febbre era sparita da più di un'ora e Alexander stava tentando di mandare giù un piatto di minestra. Era disgustosa, troppo calda in estate.

Che giornata da dimenticare. Prima la quasi morte per affogamento, poi la febbre. Le sue sfortune si erano concentrate in meno di dodici ore.

Ami era seduta davanti a lui sul tavolo. Era silenziosa, meditava.

Lui immaginava che lo attendesse un discorso sull'imprudenza di nuotare a stomaco pieno. Non aveva voglia di sentirlo: aveva già ricevuto la sua punizione.

Il mini-computer di Mercurio era appoggiato su un lato del tavolo. Ami lo trascinò verso di sé, piano, con le dita.

«Hai messo l'avviso per la febbre perché temevi il ripetersi di un episodio acuto.»

... damn it.

Di tutte le possibili cose che aveva fatto, proprio quella doveva tornare a tormentarlo, dopo tutti quei mesi?

Sospirò. «Ho mal di testa.»

Ami non lo ascoltò. «Non hai bisogno di avvisarmi col computer per una febbre generica, che ti consente di alzare un telefono per chiamarmi.»

«Ami...»

Lei lo scrutava. «Temevi che ti sarebbe venuto un attacco come quello di gennaio. Dopo la guerra con gli alieni.»

Lui sforzò il cervello. «Era solo una precauzione.»

«Pensavamo fosse meningite. Poi in Italia abbiamo visto che al tuo corpo stava succedendo qualcosa, in relazione al mio potere. Perciò i due fenomeni potevano essere collegati.»

Lui non si era ancora ripreso a sufficienza da anticipare quel flusso di pensieri.

Ami andrò dritta al punto. «Hai settato l'avviso per una ragione. Hai avuto altri attacchi?»

Lui fissò la minestra.

Lei attese.

«Due.»

Ami chiuse gli occhi, assorbendo la notizia.

«Uno proprio in Italia» chiarì lui. «È successo velocemente, non sono stato davvero male.»

Lei era infelice. «Perché non me l'hai detto?»

Alexander ignorò la domanda. «Il secondo l'ho avuto a marzo. Pensavo fosse una febbre qualunque, ma ero con te e ho potuto controllare nel computer.»

Ami cercò di ricordare.

«Dormivi» precisò lui. «E in quel caso la mia febbre non è andata oltre i trentotto gradi.»

Lei voleva capire. «Perché hai pensato che fosse collegato agli altri episodi?»

Per un attimo Alexander si chiese se doveva fornirle i dettagli. Ma ora che Ami sapeva, non avrebbe accettato niente di meno che la totale verità. «Sentivo una fitta alla testa. Come la prima volta.»

Lei strinse le labbra. «E qualche ora fa?»

Ne aveva percepita una anche in quel momento, ma la sensazione era già svanita.

Probabilmente la febbre si era scatenata perché c'era stata di nuovo una forte connessione col potere di lei, In acqua aveva percepito l'inizio del processo di teletrasporto, come quando, nell'inverno precedente, si era trovato in balia di un terremoto. Inoltre, più ci pensava, più era chiaro che per tirarlo fuori dal mare Ami aveva usato una forza che andava oltre le proprie capacità umane. Era ricorsa al potere di Mercurio, anche se non si era trasformata. Questo doveva averlo influenzato.

Erano gli effetti collaterali del legame di potere che si andava a formare tra loro - ykèos, secondo gli alieni.

Ami non lo stava più guardando. Aveva intuito la risposta che cercava dal suo silenzio. Ora fissava la parete, riflettendo.

Oberato, Alexander decise di mandare giù quello che restava della propria minestra. Tanto, boccone amaro in più o in meno...

Con clemenza, Ami gli lasciò una decina di minuti per pensare.

Osservandola in faccia lui capì che lei era arrivata a una conclusione che li avrebbe fatti discutere. «Cosa vuoi dirmi?»

«Hai cercato di nascondermi che il mio potere poteva danneggiarti.»

No. Ma aveva temuto che lei riassumesse la questione in quel modo. «Sono solo un paio di febbriciattole.»

«Di cui non hai voluto dirmi nulla.»

«Perché tu esageri. Lo avresti preso come un motivo per-... per dire che mi stavi causando qualcosa che non dovevi.»

«Non mi preoccupa la febbre.» Ami si fece dura. «Sarà un tentativo da parte del tuo corpo di trovare un equilibrio a fronte del mio potere che tenta di... di toccarti, modificarti. Mamoru potrebbe aiutarci a contenere gli attacchi, finché non spariranno. Ma se sarai ancora esposto al mio pianeta, gli effetti sul tuo fisico potrebbero diventare permanenti.»

Lui ne era consapevole. «Perché è un problema?»

Lei si arrabbiò. «Perché è per sempre, Alex. Poi non potrai più tornare indietro.»

Incredibile. «Un tempo non dicevi che sarebbe stato un bene se un giorno fossi potuto diventare come te? Millenario? L'idea ti faceva felice

Lei si risentì. «È ancora così.»

«Allora perché stai protestando?»

La mancata risposta confermò tutto quello che lui aveva temuto. Non si permise di aprire bocca: non avrebbe detto cose buone.

Ami cambiò espressione. Distese il viso, lasciando trasparire dolore e pentimento. «Mi dispiace. Oggi non dovevo parlare di queste cose.»

In cuor suo Alexander sapeva perché lei stava cedendo. Ami stava rimandando la discussione perché voleva fargli un discorso importante, che lo avrebbe mandato su tutte le furie.

Testarda. E stupida - sì, stupida, dannazione!

Lasciò andare la rabbia solo perché non aveva le forze per alimentarla. E, damn it, voleva a sua volta un altro po' di serenità. Voleva la Ami che era disposta a fare di tutto per stare con lui.

Lei gli risollevò l'umore colmando la distanza tra loro. Lo abbracciò forte, chinandosi per baciarlo. «Sono felice di averti ancora con me. Dopo stamattina, e la febbre... Voglio pensare solo a farti stare bene.»

Lui si sentì per metà sanato. Annuì, accettando la tregua.

In camera si lasciò accarezzare la testa, la schiena, mentre Ami lo abbracciava.

Per tacito accordo, per il resto del giorno parlarono a stento.

  


 

Il mare che si era quasi portato via il suo Alexander era blu scuro, lucente sotto i raggi del sole. Di mattina era una striscia lunga e immensa, da cui lui non aveva avuto niente da temere per tutta la sua infanzia.

Era solo il secondo anno che Ami visitava quella casa. Ci sarebbe tornata mai più?

Quasi sicuramente la venderanno. E anche se non lo facessero...

Non proseguì col pensiero. Non era quello il punto. Non doveva per forza finire male. Lei doveva solamente fare ciò che era meglio per la persona che amava.

Ci aveva riflettuto per tanto tempo. Aveva cercato di essere ottimista, di non concentrarsi sulle ipotesi più negative. Ma non si trattava più di libera scelta - per tutti e due - se il suo potere stava decidendo al posto loro, secondo suoi tempi.

Attese che terminassero la colazione prima di iniziare il discorso con lui. Non si stupì che Alexander non avesse voglia di nuotare quel giorno.

«Facciamo una passeggiata?» gli propose.

Lui si voltò a guardarla e annuì, distante. Aveva intuito, già dal giorno precedente, la direzione generale dei suoi pensieri. Tuttavia Ami dubitava che fosse preparato alla sua proposta.

Camminarono sulla battigia, scalzi, il sole non ancora abbastanza alto da scottare la pelle.

Alexander parlò per primo. «Mi riabituerò all'acqua con la piscina.»

Lei annuì.

«Non mi era mai venuto un crampo mentre nuotavo.»

«È stato un caso. Magari a causa del poco allenamento.»

Lui guardava l'orizzonte. «... Già.»

A un centinaio di metri dalla casa, Ami decise di affrontare la questione. «Alex... Ho pensato molto in queste settimane.»

Cercò una reazione, ma lui era impassibile. Fissava il mare, dandole la schiena.

«Andare in America sarà una bella esperienza per te.»

«Dovrebbe.»

Lei si preparò a gestire altra ostilità. «Questa sarà l'ultima volta che ci separeremo. Per anni.»

Vide un momento di confusione.

«Se... se faremo tutto come abbiamo programmato, al tuo ritorno prenderemo impegni duraturi tra noi.»

Lui accennò a dire qualcosa, poi si zittì.

Dopo un momento di attesa, Ami continuò. «Io non voglio che questo costituisca un limite. Dovremmo decidere di stare insieme per sempre se è la cosa che ci sembra giusta adesso. In questo anno, voglio dire. Se qualunque situazione che viviamo ci farà pensare che invece vogliamo rimandare decisioni importanti...»

«Stai parlando di me, o di qualcosa che vuoi tu?»

Con la risposta non lo avrebbe calmato. «Voglio che arriviamo ai prossimi passi con piena consapevolezza. Sarà giusto compierli solo se tutti e due saremo davvero certi che-»

«Io ne sono certo.»

Sì. Ma erano ancora tante le esperienze che lui non aveva provato, nonché le cose che poteva imparare di se stesso, col tempo. Specie se era da solo, lontano da lei.

Le venne un magone. «I love you. Ma credo che amarti, ora, significhi lasciarti il tempo di riflettere.»

Lui emise un sospiro sarcastico. «Che significa? Mi chiamerai solo una volta alla settimana?»

Era ancora troppo spesso. «Ti tornerei in mente proprio come se fossi lì con te. Penso che... non sentirci fino a che non torni sarebbe una buona...» Non terminò.

Alexander si era voltato a guardarla. Era sgomento.

Dalla costernazione lui passò alla rabbia. «Per quattro mesi?!»

Per tre mesi e ventidue giorni. «Non cambierà niente se...» Di nuovo, non finì.

Non lo aveva mai visto tanto adirato.

«Stai cercando di mettermi alla prova?!»

«No! Quattro mesi in mille anni non sono niente! Ma possono significare tanto adesso, se standomi lontano, a mente lucida, a te vengono dei dubbi che-»

Lui era sempre più incredulo. «Quindi non sarei capace di pensare con te vicino?»

«Alex...»

Infuriato, lui si voltò, iniziando ad andarsene. Si bloccò e tornò indietro, puntandola con un dito. «Sei tu che hai dei dubbi!»

Lei scosse veloce la testa.

«Non dire a te stessa che lo fai per me! Sai cosa voglio io!»

Doveva fargli capire! «Per amore faremmo di tutto! Ci fa dimenticare ogni cosa! E se tra qualche anno tu ci ripensassi? Se te ne pentissi?»

Gli sfuggì un suono inconsulto. «Vedi che non sei sicura di quello che prometto?! Non mi credi!»

Lei gli credeva invece, per questo aveva paura. «Non possiamo sapere come cambieremo, Alex.»

Lui stringeva i denti. «Continui a dire 'noi'. Quindi non solo non sei sicura di quello che provo io, ma sei incerta anche su quello che provi tu.»

«NO!» gridò lei. «Io voglio solo smettere di opprimerti! Ti ho costretto a pensare a una famiglia quando non eravamo ancora pronti. Anche adesso stiamo facendo progetti su questo solo a causa di ciò che sono, altrimenti... Altrimenti sarebbe una cosa che rimanderemmo per anni!» Soffocò un singhiozzo. «Non è giusto che ti costringa a farlo ora. Te le ricordo ogni giorno con la mia presenza. Se... se non avrai cambiato idea dopo essere stato lontano, dopo aver vissuto la vita che volevi prima di incontrarmi, allora...»

«E per questo sei disposta a non sentirci per tutto questo tempo.»

La nota di rassegnazione la zittì.

Alexander emise un sospiro amaro.

«Sai come suona questo, Ami? Come la volta che mi hai lasciato due anni fa. Quando hai deciso che per non soffrire in futuro era meglio smettere di vederci subito.»

Il senso di colpa la attanagliò.

Cercò qualcosa da dire, ma Alexander si era allontanato a passi larghi, lasciandola sola sulla spiaggia.

 

Quattro mesi di silenzio?

Alexander si sentiva... cheated, tradito. La ragazza che amava non poteva stargli lontana per tanto tempo.

Passò due ore a cercare argomentazioni che potessero convincerla dell'assurdità del suo proposito, poi realizzò di essere... stufo.

Ami si permetteva di usare la logica per decidere la direzione della loro relazione, quando lui non poteva nemmeno immaginare, concepire, di limitare con un ragionamento quello che provava per lei.

«C'è un un'unica cosa che ho capito di quello che hai detto.»

Trovandoselo alle spalle, Ami saltò in piedi sul divano. Lo aveva aspettato fuori dalla stanza in cui lui si era chiuso.

«Io non riesco a resistere quattro mesi senza di te, Ami. Tu sì.»

Lei scosse piano la testa, in agonia.

Se l'era cercata. «È una tortura che hai deciso da sola. Non mi interessa lo scopo, questi sono i fatti.» E gli facevano male.

Ami deglutì. «La prima volta che ho fatto l'errore di lasciarti è stato solo in parte per te.»

Non era più interessato ad ascoltare quel tipo di spiegazioni.

«Non ti conoscevo abbastanza e avevo paura di quanto avrei sofferto quando tu avessi scoperto la verità. Ero terrorizzata al pensiero che non mi avresti accettato. Ma ora ti conosco e sto pensando a te. Se facessi come voglio io...»

Lui aspettò di sentirglielo dire. Voleva sentirlo ripetere dalla sua voce.

Ma Ami si rifiutò di continuare. «È perché sono sicura di quello che provo che non temo l'attesa.»

Lei non stava nemmeno facendo lo sforzo di capirlo. «Però per me è un problema. Non puoi fare questa scelta da sola.»

«Infatti vorrei che tu fossi d'accordo.»

Lui non aveva pensato di potersi arrabbiare di più, ma per come la stava mettendo lei, quella non era una vera richiesta. «E se alla fine non sarò d'accordo, farai ugualmente come hai deciso?»

Lei strinse gli occhi, gravata. «Prima vorrei parlarne.»

Come risposta non era soddisfacente. «Devi dirmi cosa farai se non accetto la tua soluzione.»

Ami non disse nulla.

Il silenzio fu esaustivo, tombale.

L'ostinazione di lei era cieca. Non stava considerando affatto ciò che voleva lui. Quell'atteggiamento era il contrario dell'amore.

Alexander sentì crescere un buco nel petto. «Mi chiedo cosa faresti se ottenessi davvero di allontanarmi.»

Lei perse colore in viso.

Ferirla lo rese felice. Detestò la sensazione.

«Non so come fare» mormorò lei.

Straziato, lui ascoltò.

«Non so come dimostrarti quanto tengo a te, per non farti stare male, quando adesso è altrettanto importante che non continui a parlarti di sentimenti e promesse eterne che... Lo scopo della distanza è non legarti.»

Solo udire un singhiozzo gli permise di non scoppiare.

Perché lei era tanto masochista? «Non siamo ancora distanti.» Anche se quel suo modo di fare proprio ora creava una distanza tra loro.

Solo vederla tremante, che si tratteneva dal gettarsi in avanti a toccarlo, gli diede un minimo di stabilità.

Ami deglutì. «Sapevo che dopo averti fatto questo discorso avrei dovuto...»

Cosa? Comportarsi di conseguenza, con coerenza?

Lei chinò la testa. «Per questo volevo rimandarlo all'ultima settimana.»

Alexander cercò di non vedere rosso, concentrandosi sulla parte buona della confessione. «Volevi rimandare perché vuoi che le cose non cambino.»

Per favore, di' di sì.

Ami perse tensione nelle spalle. «Certo.»

Lui si sentì talmente sollevato che si arrabbiò. Perché si stava accontentando di una briciola? Ami non stava cambiando idea, nemmeno gli stava parlando in totale sincerità, perché aveva già deciso di contenersi - per seguire il suo folle piano.

Rimase in silenzio, aspettando, sperando, inutilmente.

Qualunque cosa la bloccasse, lei avrebbe dovuto liberarsene - per lui, per farlo felice!

Perché era disposta a ferirlo pur di rimanere ancorata ai propri timori? Lui avrebbe spostato il mondo per lei. Non gli importava nulla del buon senso, della ragione... Si era sentito amato sopra ogni cosa, dannazione, e ora non più. Era ridicolo, perché dentro di sé sapeva la verità, sentiva che ...

La raggiunse in due passi e la afferrò per un polso, trascinandola via. Il gemito di sorpresa non lo fermò.

Si voltò solo quando furono in camera, tenendola per le spalle. «Visto che non mi vuoi ascoltare, io non ascolterò più te.» Le afferrò la testa, soffocando le sue parole con la bocca.

Si sentì violento quando la costrinse a rimanere ferma, poi disperato nell'istante stesso in cui fu sul punto di cedere, lasciandola andare. Ma Ami si arrese per prima, iniziando a piangere.

Alexander andò a baciarle le guance umide, sentendosi ricambiare.

Spiegami, per favore.

Doveva capire. Doveva trovare un senso a quella pazzia.

La circondò con le braccia, massaggiandole forte la schiena, la testa.

Cosa avrebbe dovuto sperimentare lui in America? Cosa doveva ancora decidere? Perché doveva cambiare idea su loro due, nel futuro?

Cercò di parlare, ma Ami cercava piccoli baci morbidi, consolatori. Lui glieli offrì per istinto, poi si rese conto che lei non stava chiedendo, stava dando. Si sentì riempire di impeto. La afferrò sotto le natiche, sollevandola. La cooperazione, la totale mancanza di resistenza, lo colmarono di felicità.

This. Era questo che voleva. Lui e lei senza limiti di tempo, di spazio, di raziocinio.

Non dovrei andare via. Dovrei restare.

Fu un pensiero così sbagliato che cercò di eliminarlo.

Ami aveva toccato il materasso con la schiena. Si spostò per sistemarsi e incrociò i suoi occhi. Schiacciò la fronte contro la sua. «Non vorrei mai ferirti, per nessun motivo. Perdonami

Gli aveva fatto così male sentirsi attaccato da lei che volle solo scordare tutta quella giornata. Volle tornare a sentire la Ami che lo amava almeno quanto lui amava lei.

Anche meno, non importa. Basta che tu non possa stare senza di me.

E lei era quella Ami - che lo spogliava, lo baciava e si lasciava toccare ovunque. Lo era sempre, anche quando concepiva quella proposta assurda, così inaccettabile...

Per punirla le tormentò il seno, lo stomaco. Aveva tra le braccia la ragazza che gli aveva permesso lentamente, inesorabilmente, ogni tipo di intimità - solo perché era lui, perché era unico per lei.

Posò la bocca aperta sul suo pube, leccando l'apice delle sue pieghe di carne, dischiudendole. Sentì i fianchi di lei che si sollevavano, agitandosi per la sorpresa, per le troppe sensazioni. Lui le alimentò con un altro piccolo strofinio di lingua, godendosi il tremito che Ami concesse a se stessa, a entrambi, stringendogli i capelli tra le dita.

Mi mancherai, ti mancherò.

Per farglielo ricordare usò su di lei le labbra, l'intera bocca, con pazienza e molto impegno. Si adoperò per stimolare l'uscita del suo liquido salato, scivoloso e dolce, con cui bagnare ogni lembo di pelle soffice tra le sue gambe.

Ami era preda di brividi continui, di sussulti. Lui si assicurò di poterla vedere mentre lei non era più in grado di controllarsi.

Non era mai stata più tenera e sensuale, deliziosa in ogni senso, del momento in cui abbandonò ogni pudore scomponendosi nei movimenti, le palpebre serrate e la voce spezzata, mentre col bacino assecondava i suoi assaggi - senza più ritmo, guidata solo dagli spasmi.

Stava arrossendo sul petto - un effetto del piacere provato - la stessa Ami che era avvampata all'idea di un bacio innocente sul collo. In quel momento lei sfiorava inconsciamente proprio quello, col dorso delle dita.

Lui la accarezzò sul ventre, risalendo coi baci dall'ombelico fino alle clavicole.

È così sbagliato volermi perdere qui?

Ami gli prese il viso tra le mani, cercando un bacio lungo, intenso. Si spostò quando lui cercò di pesarle sopra, mettendosi su un fianco e sovrastandolo. Appoggiato contro lo schienale del letto, Alexander fu ancora più certo di tutto quello che aveva pensato.

L'avrebbe amata per il resto della sua vita. Lei era l'unica persona che lo faceva sentire così vivo, così completo.

Ami si incastrò con lui, poi sussultò e si tirò subito su, allungandosi di lato, sul comodino. Alexander la aiutò a recuperare il preservativo. Lo infilarono di fretta, insieme, per tornare a essere uniti come agognavano.

Tornando ad averlo in sé, Ami lo abbracciò. Rimase ferma, adagiata contro il suo petto, stringendolo.

Lui capì. Non essere sciocca. Appoggiò il viso al suo. Non ci sarà mai un'ultima volta.

Ami iniziò a ondeggiare come aveva imparato - per istinto e da lui - fino a offrirgli quanto di meglio poteva dargli in quel momento. Certezze.

Al termine, chetati, riposarono.

Senza che si fossero scambiati una sola altra parola, Alexander ne aveva sentite molte da lei. Eppure, Ami non aveva ancora cambiato idea.

«Spiegami» le chiese. Era deciso a capire, ora che si era calmato.

Ami si sollevò, per smettere di avvolgerlo col proprio corpo, forse per non distrarlo. O magari per iniziare a distanziarsi, ma non era più il primo pensiero che lui voleva avere.

«Erano cose che pensavo già da tempo. Ma ho preso questa decisione solo quando ho saputo dell'influenza del mio potere su di te.»

... almeno era sincera. Era una decisione, non una proposta. Lei non aveva intenzione di rivedere il suo proposito.

«A causa del fatto che diventerebbe un vincolo potenzialmente eterno?»

«Sì.»

Lui provò a seguire il ragionamento. «Di cosa dovrei pentirmi, Ami?»

Lei appoggiò le mani sulle sue spalle, allontanandosi per guardarlo meglio. «Non credo che le cose che posso immaginare completino la lista.»

Era un modo così tragico di esporre la questione, da risultare desolatamente comico.

Ma lei non si stava divertendo. «Per esempio... Se in America tu scoprissi che non vuoi aspettare per lavorare alla Nasa, come sognavi? So che avresti tempo, con me - tantissimo - ma l'attesa potrebbe generarti frustrazione. È più normale che una persona della nostra età sia pronta a studiare che a...»

Sposarsi. Mettere su famiglia.

Se solo fossero rimasti ai tempi in cui lei era ancora capace di dire, 'Un giorno voglio che ci sia un Adam.'

Ami proseguì. «Magari non sarà nemmeno questo. Al MIT potresti scoprire che la tua passione è un'altra. Forse avrai voglia esplorarla subito. Non sappiamo nemmeno quanto tempo ci vorrà per tornare a essere persone normali in qualcosa. Parliamo di dieci anni come minimo. Forse venti. Trenta.»

Era tanto tempo, sì. Non era un'idea che lui trovava completamente piacevole.

«Non ti sto chiedendo di mettere da parte un futuro insieme, Alex. Penso solo che, con una pausa, sarebbe più facile focalizzare tutte quelle cose che un giorno potrebbero sembrarti grandi limitazioni.»

Lei aveva un modo unico di rivoltargli l'animo. «Una pausa?»

Ami ebbe un'esitazione. «Nel sentirci.»

«Quindi non una pausa nella nostra relazione.»

Non capiva nemmeno come potessero fare un discorso simile mentre erano ancora nudi, semi-abbracciati.

Il silenzio quasi lo uccise.

Lei chinò la testa. «È un periodo breve che non cambierà nulla se per noi non cambierà niente.»

Lui riuscì a mantenersi calmo solo perché poté stringerle le mani. «Dimmi che parli così solo per... coerenza e completezza.» Nella testa di lei, quel periodo di silenzio doveva significare dargli la possibilità di riflettere e cambiare idea sul loro futuro, perciò bisognava prendere in considerazione la possibilità che lui non volesse più tornare a essere una coppia con lei, dopo.

Ami aprì i palmi tra le sue mani, incrociando le loro dita. «Mi fa male dire queste cose. Non è una proposta che avrei scelto di farti se ormai non fosse necessaria. Quindi... non posso agire a metà. Non posso da una parte dirti di andare, perché questo è l'ultimo periodo in cui potrai fare scelte completamente autonome e libere, e poi giocare a tenerti stretto a me, ricordandoti che sarò qui ad aspettarti. Sarebbe ingiusto. Il silenzio a quel punto sarebbe persino crudele. Potrei semplicemente chiamarti tutti i giorni come avevo intenzione di fare all'inizio. Per come ti conosco, ti terrei legato nello stesso modo.»

Era un ragionamento sensato, almeno nella testa di lei. Eppure andare via, senza nessuna promessa, era un'idea che generava in lui... paura? Inquietudine.

Sentì che era qualcosa che aveva bisogno di capire su se stesso.

Ami lo guardava negli occhi. «Ci penserai?»

Solo a una condizione. «Voglio che anche tu pensi al motivo per cui mi stai facendo questa richiesta.» Chiarì, prima di sentirla protestare. «Potresti trovare argomentazioni valide anche per l'idea che siamo pronti già adesso a restare insieme. Invece hai scelto di focalizzarti sulla tesi opposta. Voglio che ti domandi il motivo.»

Interdetta, Ami annuì. Si scostò, sedendosi accanto a lui. «Lo farò.»

Bene. E adesso lei non doveva prendere male una sua decisione. Non nasceva da una volontà di ripicca. «Ho bisogno di tempo per pensare a queste cose. Visto che sarà una separazione lunga, un assaggio mi aiuterà a capire se posso sopportarla.»

Vedere la reazione di Ami lo aiutò a capire maggiormente: lei era affranta, ma determinata a non mostrarlo. Voleva sopportare con rassegnazione. «È giusto.»

... testarda.

Non dissero più nulla.

Lui aveva bisogno di qualcosa prima di entrare in quel periodo di penitenza. «Ami love.»

Lei raddrizzò la testa.

«Ricordami come mi chiameresti, se tutto questo problema non esistesse.»

Lei si sciolse in un pozzo di serenità, prezioso per quanto era effimero. «My love. My only love.»

Unirono i visi, sfiorandosi con un bacio. Poi lui si alzò e si rivestì.

 


  

Tornarono a Tokyo senza discutere ulteriormente di quella situazione, per l'impegno che avevano preso.

Ami era devastata, ma non pentita. Si sentiva come se avesse commesso l'errore più grande della sua esistenza, eppure non avrebbe potuto comportarsi diversamente: non avrebbe amato davvero Alexander se avesse fatto di tutto per tenerlo legato a sé, pur sapendo che in quel modo poteva rovinarlo. Impedirgli di inseguire sogni che lui non sapeva ancora di avere non era altro che quello.

Finché c'era stata la possibilità per Alex di tornare indietro, aveva avuto un senso aspettare e vedere come andavano le cose tra loro. Secondo lei erano perfette, ma se non gli dava quell'unica preziosissima possibilità di riflettere sulle scelte che stava compiendo, lui non l'avrebbe mai più avuta - non alle attuali condizioni.

Non si facevano passi indietro facilmente quando c'era una famiglia, quando c'era un bambino. Fosse stato solo quello, poi. Alex non sarebbe potuto tornare a condurre una vita normale con semplicità, una volta che si fosse legato a una persona universalmente nota come guerriera Sailor.

Se stando al MIT cambiava idea su tutto, era quello il momento giusto per uscire da quella situazione e dalla loro relazione.

L'idea non le generava dei brividi. Era un'eventualità così assurda da causarle solo un vuoto dentro il cervello, nel cuore, una sensazione di... silenzio assoluto.

Potrebbe lasciarmi.

Lei lo stava persino spingendo in quella direzione col proprio atteggiamento, ma... ma...

E se andasse via davvero?

Probabilmente lei avrebbe pianto per il resto dei suoi giorni. Non sarebbe mai più stata intera.

Tuttavia, non era in suo potere convincerlo a restare. Se lui sceglieva di andare, significava che prima o poi sarebbe finita comunque - che il suo amore era stato fortissimo, ma confinato a quei pochi anni, alla loro giovinezza.

Perché ci ragionava su in quel modo, come pensando a un estraneo? Era Alexander. Era il suo amore. Lui avrebbe dato la vita per stare con lei.

Io ci credo, non finirà.

Aveva finito col riflettere, più e più volte, sulla domanda che lui le aveva posto.

Perché aveva scelto di concentrarsi sulla possibilità che lui non fosse felice con lei, in futuro? Lo aveva fatto prima di sapere quanto era stato vicino un possibile punto di non ritorno.

Erano... paure. Da dove uscivano?

Dalle probabilità, si rispondeva. Erano tante le persone che si pentivano di decisioni importanti prese da giovani - statisticamente, il cervello terminava di maturare solo intorno ai venti, venticinque anni. Era vero che le loro circostanze li avevano resi più maturi della loro età, ma era arrogante pensare che solo per questo avessero l'esperienza di vita di un adulto formato. Lei aveva sentito troppe storie di persone che avevano rinnegato completamente scelte del passato, parlando di come la maturità acquisita avesse fatto loro capire la portata dei loro errori. Non voleva che Alexander fosse uno di loro, un giorno.

Dando per assodato che loro due erano ancora immaturi, c'erano comunque altrettante esperienze di coppie che avevano superato una vita insieme pur conoscendosi da giovanissimi, nonostante i molti problemi incontrati nel percorso. Non era tutta una questione di ragionamenti, di calcoli. Era fondamentale la volontà.

“Tu non mi credi!” era stata l'accusa di lui.

Era davvero così?

C'erano momenti in cui Ami percepiva, sapeva, che Alexander provava sentimenti forti quanto i suoi. Quando stava con lui non aveva dubbi. Leggeva nella sua mente come lui leggeva in quella di lei. Si capivano su ogni cosa, era una comunione di pensieri assoluta.

Era la distanza a farle mettere in prospettiva la situazione, normalizzandola. Lui poteva essere sicuro solo di quello che provava al momento, come chiunque. Non c'era sentimento che non si affievolisse col tempo, che non cambiasse. Seguendo quella logica, anche quello che provava lei poteva mutare con gli anni.

“Sei tu che hai dei dubbi!”

No. Quello che lei sentiva non era comune, era diverso. O forse lo era solo nella sua testa, ma sapeva che il modo in cui amava Alexander non poteva diminuire. Conosceva la maniera in cui lo amava adesso e non aveva idea di come lo avrebbe amato un giorno - poiché potevano cambiare entrambi - ma non avrebbe mai potuto dimenticare il tempo trascorso insieme e tutto ciò che li aveva legati. Pertanto, poteva solo amarlo di più in futuro: ogni singolo cambiamento che lui aveva manifestato era stato solo un motivo per lei di tenere di più a lui.

Conosceva la parte più intima e profonda del suo ragazzo - erano complementari, in sintonia assoluta. Non potevano rivoluzionarsi fino a cancellare l'essenza di sé. E anche se fosse successo, tra secoli, si sarebbero accompagnati a vicenda nel percorso di trasformazione. Erano leali, attenti, desiderosi di farsi del bene a vicenda.

... se era tutto così perfetto, se conosceva Alexander e la loro relazione a tal punto, perché prendeva in considerazione la possibilità che lui cambiasse fino a pentirsi di essere rimasto con lei?

Perché non sono onnisciente e devo essere umile. Anche io sono solo una ragazzina innamorata.

Le sue assolute certezze potevano essere illusioni. Lei ci credeva così tanto che le avrebbe rese reali. Era pronta a scommettere la sua esistenza su quello che provava, ma... non poteva chiedere ad Alexander di fare la stessa cosa. Non finché lui non ne fosse stato ragionevolmente più sicuro.

Smise di mandare avanti il ragionamento, provando ad ascoltarsi da sola.

I suoi pensieri avevano proprio il sapore dei dubbi.

Per lei era normale averli quando desiderava troppo qualcosa. Sperare di essere amati non sempre portava a dei buoni risultati e... sembrava irreale essere tanto importante per un'altra persona - anche se si trattava di Alexander.

Comunque, amore era pazienza, abnegazione. Era mettere chi amava prima del più forte desiderio personale che aveva. Non era importante quanto lei volesse avere Alexander vicino: se questo non era sufficiente a rendere più giusta la vita di lui, doveva lasciarlo andare.

Stava ad Alex deciderlo. Solo lui poteva sapere cosa voleva. Lei non avrebbe sfruttato la sua debolezza - il desiderio di farla felice - contro di lui.

Devo darti più di quanto prenda da te.

Per la verità, aveva l'impressione di aver preteso molto da lui nell'ultimo anno e mezzo. Per questo era giunto il momento di ricambiare.

A qualunque costo, a qualunque prezzo.

   

Nei primi giorni, Alexander aveva faticato a riflettere. Si era concesso di penare: in fondo, sarebbe stata la sua condizione permanente in America, se andava via da Tokyo accettando la decisione di Ami.

Una pausa.

Non importava quale fosse lo scopo, per lui era un termine odioso.

Una pausa, innanzitutto, significava la libertà di inseguire altre relazioni. Ami non lo avrebbe mai fatto, ma la sola idea che lei potesse lasciarsi avvicinare da qualcun altro, immaginando che altrove lui stesse facendo lo stesso...

Aveva faticato a non far ribollire il sangue.

Una pausa significava anche sentirsi abbandonati.

Su quel concetto aveva meditato molto.

Grazie all'ultima discussione con Ami, aveva dato una forma più chiara alla dipendenza che aveva da lei - una condizione che aveva accertato già da tempo.

Amami anche meno di quanto ti amo io, aveva pensato. Purché tu non possa stare senza di me.

... perché quel bisogno di sentirsi necessario per lei? Perché gli faceva male pensare che Ami potesse sopravvivere in pace senza di lui?

Per logica, temeva sensazioni che aveva già provato. Con fastidio, aveva cercato di ricordare quando si era sentito in quel modo. Qual era l'origine di quella paura?

“La mamma va a fare compere.” In un ricordo, sua madre Eve, con un sorriso gentile, nervoso, si muoveva rapida verso la porta, sfuggendogli. “Gioca con Nanny Shoko.”

Lui si era risentito, perché voleva sua madre, ma lei non desiderava mai restare con lui.

“Magari ti ci porta papà.” Sempre sua madre, e un'altra bugia, in un nuovo sfuggente ricordo. Suo padre Michael non voleva avere a che fare con lui, ancora meno di lei. Quando non era occupato a lavorare, andava a cenare con amici, assieme a sua madre. E lui restava a casa da solo, con la tata del giorno - quando ancora non c'era Nanny Shoko.

Aveva in mente un episodio specifico, che ricordava da sempre. Gli era rimasto stampato in testa come emblema dell'atteggiamento dei suoi genitori nei suoi confronti.

Era un bambino, di cinque o sei anni. Era sera. Si era tolto il pigiama che gli avevano messo, cercando nell' armadio i vestiti eleganti, per uscire assieme ai suoi genitori. Voleva accompagnarli, non voleva più essere lasciato indietro. Li aveva sorpresi sulla porta, raggiungendoli.

Sua madre era stata fiera di lui. “Che bravo, ti sei vestito da solo? Sei così carino!”

Alexander si era goduto i complimenti. Era stato felice finché non aveva visto il sorriso condiscendente di suo padre - un sorriso che lo scherniva, che già negava.

“Okay, ma ora torna a dormire.”

“Io voglio venire con voi!”

"No, è una cosa da grandi. Va' a letto.”

Sua madre non lo aveva supportato per nulla. Gli aveva offerto una scrollata di spalle graziosa - faceva sempre così, come se non fosse mai colpa sua. “Su, va' a sentire la favola della tata.”

Alexander si era messo a piangere. Loro erano usciti dalla porta, senza tornare indietro.

Avevano preso per un capriccio un desiderio serio, disdegnando l'unica volta che lui aveva avuto il coraggio di opporsi ai loro continui abbandoni.

La sensazione di esclusione era stata assoluta nella sua testa di bambino.

Non voglio mai più sentirmi così.

Con Ami aveva scelto una persona cresciuta in condizioni non troppo diverse dalle sue, a cui poteva dare l'affetto che lui stesso aveva desiderato.

Si sentiva così bene quando riusciva a sanare in lei quel vuoto. Ami faceva lo stesso per lui. Eppure, adesso gli diceva che poteva andare avanti anche senza la sua presenza.

... per lui era diverso. Traumi d'infanzia a parte, aveva bisogno di un legame presente, continuo.

Naturalmente in quattro mesi non sarebbe cambiato nulla tra loro - nemmeno mille anni avrebbero spento quello che provava per lei - ma... era una sofferenza immane separarsi in quel modo. Se poi Ami lo stava facendo davvero per lui, per dargli una scelta, era una cosa assolutamente inutile.

Lei probabilmente aveva sfogliato i depliant del MIT - un suo discorso glielo aveva fatto pensare. Anche lui li aveva letti e si era riempito la testa di sogni. Non limitava la propria immaginazione alla possibilità di frequentare la migliore delle università. Sarebbe diventato il compagno di una guerriera Sailor e, poiché era una condizione con oneri e grossi limiti, era pronto a sfruttarne tutti i vantaggi, a tempo debito.

Appena ne avesse avuto la possibilità, si sarebbe specializzato in tutte le branche di sue interesse. Avrebbe avuto un'infinità di anni a disposizione per farlo. Nel momento in cui avesse deciso di concentrarsi su una ricerca, avrebbe avuto mezzi che una persona normale poteva solo sognare. Se non per una questione economica, per una questione di potere: sarebbe stato amico della regina della Terra, dopotutto - lo aveva detto Usagi stessa.

Erano progetti di cui aveva parlato ad Ami, nel momento in cui aveva iniziato a concepirli. Lei li aveva presi per uno scherzo - forse sottovalutando la sua ambizione - ma lui era serissimo.

Se doveva sacrificare qualche decennio di vita per arrivare a quella condizione, non sarebbe stato facile, ma ne sarebbe valsa la pena. Da persona comune il suo tempo per studiare e fare ricerca era estremamente limitato. Invece, nella strada che intendeva seguire, aveva secoli di studio davanti a sé. Avrebbe potuto plasmare il futuro del mondo.

Nell'attesa, lo attendeva la vita migliore che potesse immaginare - l'inizio di un'esistenza con la ragazza che lo rendeva felice. Forse era presto per il matrimonio, e per un bambino, ma più sentiva che quelle possibilità si allontanavano, più le desiderava.

Sarebbe stato bello rendere Ami una madre, perché lei aveva tanto amore da dare - più di quanto lui riuscisse ad assorbire. Per quanto riguardava lui stesso, responsabilità a parte, sarebbe stato divertente gestire un bambino. Gli avrebbe voluto molto bene - già solo per il fatto che sarebbe nato da Ami - e questo avrebbe reso la sua vita migliore.

.... era tutto così chiaro e lineare che non capiva come lei potesse non coglierlo. Al punto in cui erano arrivati, non sarebbe nemmeno bastato spiegarglielo di nuovo.

Ami stava agendo sulla base di paure personali che lui aveva creduto di essere riuscito a sedare nei quasi due anni che avevano trascorso insieme. E invece...

Qualche altro giorno di discussione non avrebbe cambiato le cose.

Era una sconfitta.

Alexander non voleva ancora rassegnarsi all'idea che, per convincerla davvero che non c'era da temere per il loro futuro, dovesse interrompere le comunicazioni con lei per così tanto tempo. Non era sicuro che qualcosa in lui non sarebbe uscito incrinato dalla necessità di dimostrare altra pazienza.

Sin dall'inizio era stato comprensivo, troppo, per paura di essere rifiutato. Ami lo lasciava, e quando tornavano insieme lui non chiedeva la ragione. Per mesi lei era reticente a contatti più intimi di un bacio e lui nemmeno si preoccupava di farle capire che voleva di più - per non spaventarla. Scopriva che lei era una guerriera Sailor e da subito non gli importava - non si preoccupava del silenzio, delle verità omesse per quasi un anno - pur di avere la certezza che sarebbero rimasti insieme. Infine, lei iniziava ad avere dei dubbi sul loro futuro e invece di rimanere fermo nella propria rabbia, lui si sforzava di comprenderla.

Non gli andava più bene. Non gli era mai parso di sopportare in precedenza, ma ora stava avendo quell'impressione.

Perché non mi ascolti?

Col fiatone, smise di correre, rallentando il ritmo fino a camminare lungo il muretto del parco. Il suo obiettivo era la fontanella che zampillava acqua al centro del piazzale.

«Ehi!»

Si voltò.

Yuichiro lo raggiunse a passo svelto. «Ciao! Era da tanto che non ti vedevo correre!»

Già. Ma finalmente era sabato, e dato che non stava vedendo Ami... «Come va?»

«Bene, e a te? Manca poco alla tua partenza!»

Esatto. Una settimana.

Yuichiro notò la sua espressione. Abbandonò la corsa sul posto e, incerto, si grattò la testa. «Ehm... l'altra sera Rei voleva fare un'uscita di coppia con te ed Ami.»

Ah.

«Ami ha detto che eri impegnato.»

Bell'uscita diplomatica.

Yuichiro aveva domandato per vedere come lui reagiva.

Smettendo di camminare, Alexander si chinò sul getto della fontana. Bevette, poi parlò. «Non stiamo litigando.»

«Okay.» Yuichiro era sollevato, ma ancora confuso.

«Non siamo d'accordo su una cosa importante.»

«Non devo sapere, però... mi dispiace vederti abbattuto, proprio adesso.»

Già. Stava per partire e sarebbe tornato solo a Natale.

Era ancora agosto. Si avvicinava il compleanno di Ami.

Sentì il bisogno di sfogarsi. «Lei vuole che non ci sentiamo per tutta la durata del mio scambio in America.»

Yuichiro era sorpreso. «Ami?»

«Sì. Si è intestardita.»

Come lui, Yuichiro non capiva. Si fece ancora più incredulo. «Sarebbe una specie di... pausa?»

Ecco! «Suona così, vero? Lei dice che mi serve del tempo per pensare al futuro.»

Yuichiro non commentò. Andò a sedersi sulla panchina vicina, per spremersi meglio le meningi.

«Nemmeno Ami sa a cosa dovrebbe servire questo periodo di prova» continuò Alexander. «Pensa di saperlo. Ci ha costruito sopra tutto un ragionamento, ma non è possibile che siamo stati insieme per tutto questo tempo - in tutto quello che abbiamo passato - senza che lei non abbia già ottenuto le certezze che dice di voler trovare. Per me, non per se stessa - è questa la scusa che si dà.»

«Si riferisce al futuro lontano.»

«Sì, quello eterno.» In cui erano coinvolti tutti quanti.

«Un po' di paura è normale.»

Alexander ascoltò.

«Ma non può superare il desiderio di capire quello che vuoi tu. Non sembra una cosa da lei.»

Già. Di solito Ami si prodigava per dargli quello che voleva, una volta che aveva inquadrato cos'era. Almeno non era il solo a pensarlo. «Non ne ho parlato di nuovo con lei, ma è possibile che non riesca a farle cambiare idea.»

Yuichiro era preoccupato. Si alzò. «Spiegami meglio mentre andiamo al tempio.»

A casa sua?

Yuichiro annuì. «Su una cosa del genere Rei potrà darti più risposte di me. Hai bisogno di qualcuno che conosca Ami da tanto perché io...» Scosse la testa. «Non riesco a capire. Non sembra la Ami che vedo con te. Lei non ti lascerebbe andare.»

Sentirlo dire a un'altra persona lo sanò. Esatto, Ami non voleva lasciarlo andare via in quel modo, nonostante quello che diceva.

Seguì Yuichiro verso il tempio Hikawa.

  

Non trovò una Rei Hino molto ben disposta. Erano le otto di mattina di un fine settimana e Yuichiro dovette andare a svegliarla per portarla in salotto.

Senza ancora aver bevuto il suo caffé, lei era meno benevola del solito.

«Non vieni mai a parlarmi e ti decidi a farlo all'alba di un sabato?»

Alexander si divertì. «Io e Yuichiro eravamo fuori a correre da un'ora.»

«Non so quanto vi danno per andare a sudare con questo caldo.»

Yuichiro si avvicinò al tavolo con una tazza fumante. Rideva. «Più tardi il sole scotta troppo. Possiamo allenarci solo di mattina presto.»

Lei ricevette in mano il caffé. Portandolo al naso aggrottò la fronte, disgustata e pentita. «Non lo voglio!» si lamentò.

Yuichiro non capì. «Eh? Ma tutte le altre volte...»

«Oggi fa troppo caldo! Yuu...» lo implorò, rendendogli la tazza. «Per favore, portami qualcosa di freddo!»

Lui era ansioso di accontentarla. «Dello yogurt?»

«Sì. E dei toast. Con la marmellata che ho messo ieri in frigo.»

«Torno subito!»

La scena suscitò in Alexander una risata bassa.

Rei mise il broncio. «Non prenderlo in giro. Yu è buono con me.»

«Non ridevo di lui. È per il modo in cui vi comportate. Andate molto d'accordo.»

Rei accettò il complimento. «Lui ha molto pazienza.»

Non sempre Alexander lo capiva, ma in quel momento lo invidiava. Non importava il tipo di rapporto che avevano due persone, contava solo che fossero felici. Yuichiro era molto servizievole con Rei, ma Alexander era sicuro che lei lo ripagasse a modo suo. Anche solo la gratitudine con cui lo aveva guardato dava un'idea di come lei facesse sentire al suo ragazzo l'importanza che lui aveva nella sua vita.

Rei sospirò, incrociando le braccia. «Yu ha detto che sei qui per parlare di Ami. Questo mi impensierisce.»

«Hai già deciso di darmi la colpa?»

«Chi l'ha detto? So che lei ha tante fisime. Mi preoccupa che tu voglia parlarmi di lei ora, quando stai per partire. Significa che Ami le sta tirando fuori adesso.»

«È così.»

Rei sbuffò. «Quella ragazza...» Si sporse per ricevere il vassoio che Yuichiro stava portando. Sul ripiano c'era tutto quello che lei aveva chiesto, più un succo d'arancia che le fece spuntare un grosso sorriso in volto. «Raccontami tutto mentre faccio colazione. Grazie, Yu.»

Alexander iniziò a parlare.

Rei e Yuichiro lo ascoltarono con attenzione. Lui raccontò tutto quello che aveva in testa, teorie comprese.

Tentò di lasciare da parte ciò che provava in merito a quella situazione. Se stava rivelando ad altri con tanto dettaglio quello che stava succedendo, era solo con la speranza di capire meglio cosa stava passando per la testa ad Ami.

«Non le hai più parlato da allora?» gli domandò Rei.

«No. Non la sto punendo. Devo ancora decidere cosa dirle.» Anche se il tempo a loro disposizione stava finendo.

Lui non aveva intenzione di lasciar passare altri giorni nel silenzio, senza vederla. Di lì a breve non l'avrebbe vista più, per cause di forza maggiore, per infinite settimane.

«Non è venuta a cercarti.»

Il commento di Rei non gli suonò bene.

«È determinata» commentò lei.

Così pareva anche a lui.

Rei smise di giocare col cucchiaino che teneva in mano. «Chiariamo: vorrei prenderla per le spalle e scuoterla fino a farle entrare un po' di sale in zucca. Però...» Si interruppe e guardò verso il cortile, pensando. «Credo di capire perché si comporta così.»

Se aveva un'idea, lui era aperto a ogni opinione.

«È un discorso ampio, ma seguimi: che cosa ti fa credere nell'amore?»

Era un discorso ampio davvero. «Aver visto che esiste?»

«Sì, ma vederlo da fuori non è abbastanza convincente. Devi averlo provato sulla tua pelle per crederci. Per far sì che una persona abbia fiducia nell'amore, deve esserci qualcuno che l'abbia amata.»

... non parlavano di amore romantico. «Intendi, da bambini?»

Rei annuì. «È la prima prova d'amore che riceviamo.»

Il ragionamento gli sembrava fallace. «Io non ho avuto dei grandi genitori. Credo comunque nell'amore.»

Rei aveva pronta una risposta. «Anche mio padre è stato pessimo e non ricordo granché di mia madre. Non parlo per forza di genitori. Parlo di qualcuno, chiunque, che a un certo punto della tua vita ti abbia convinto che sei una persona degna di essere amata, proprio nel momento in cui eri più influenzabile, indifeso e pronto a credere a tutto. Per me quel qualcuno è stato mio nonno.»

Alexander si accorse dell'attenzione con cui Yuichiro guardava Rei.

«Ami mi ha detto che non avevi una relazione stretta coi tuoi genitori, ma fino all'anno scorso, a casa tua, non stava ancora quella tata? La signora Shoko? Ami ha detto che le sei ancora affezionato.»

«È stata come una madre per me.»

Rei aveva provato il suo punto. «È la persona che ti ha dimostrato che sei importante e degno di essere messo davanti a ogni altra esigenza. Tutti abbiamo bisogno di qualcuno così.»

Lui stava iniziando a capire in che modo quel discorso si legasse ad Ami.

Rei proseguì. «Quando ho conosciuto Ami, lei era una ragazza... titubante. Interagiva con noi, ma stava un po' in disparte. Meno con Usagi, perché Usagi non ti permette di chiuderti in te stesso. È contagiosa.»

Parlava di ricordi felici.

«Ad Ami piaceva quando la includevamo nel gruppo, e quando c'era da intervenire lo faceva con forza se aveva delle convinzioni ferme, ma poi si comportava come se avesse qualcosa di cui scusarsi. Come se avesse imposto troppo una presenza non richiesta.»

Suonava proprio da Ami.

«Quando ci siamo affezionate l'una all'altra, Ami non aveva remore a mostrare che teneva a noi, ma si stupiva quando noi dimostravamo di tenere a lei. Era una cosa che la destabilizzava all'inizio. Non sapeva come reagire. A me sembrava troppo timida e ritrosa. Provavo a convincerla a essere più rilassata, ma per lei non era normale sentire di essere fondamentale per la felicità di qualcun altro.»

Con uno sguardo, Rei capì che lui sapeva di cosa stava parlando. «È cambiata tanto da quando avevamo quattordici anni. Ma alcune sensazioni rimangono nella parte più profonda di noi.»

«Sua madre non è così male.» Alexander non sapeva nemmeno perché stava difendendo la signora Saeko.

«Però lavora tanto.»

«Sì. Ma per Ami questa non è più una situazione pesante.»

«Si è abituata. Trova naturale essere seconda rispetto al lavoro di lei.»

Di questo si era accorto anche lui.

Rei sospirò. «Comunque il cuore del problema non è Saeko-san. Ricordi qualche mese fa, alla cerimonia del diploma? Per un momento Ami ha creduto che suo padre fosse venuto a vederla.»

Già. Ami si era confusa a causa sua. Lui le aveva chiesto, “È venuto tuo padre?” Nella calca della folla che parlava tutta insieme, lei non aveva capito che era una domanda. Aveva creduto che suo padre si fosse presentato per quel giorno importante della sua vita - una cosa che anche Alexander aveva dato per scontata.

Le era mancato il fiato. Si era voltata, guardandosi attorno, colma di speranza.

Al suo fianco Rei aveva compreso prima di lui che cercava qualcuno. “Chi cerchi?”

“Mio padre”, aveva risposto Ami, esitando a esplodere in un sorriso. “È venuto.”

Alexander si era avvicinato ad ascoltare e aveva capito di essere stato frainteso. “No, chiedevo se era arrivato.”

Aveva visto qualcosa spegnersi negli occhi di Ami. Lei aveva nascosto la delusione. “Papà non viene. Non è una cosa che fa per lui.”

Lui aveva compreso quanto lei ci fosse rimasta tremendamente male. “Love...”

Ami aveva scosso la testa, forzatamente serena. “È fatto così. Ma ci sono le ragazze e la mamma. Ci sei tu.” Lo aveva baciato, in pubblico, incurante degli sguardi. “Sei venuto tu per me.”

Terminando di ricordare l'episodio, Alexander ebbe una migliore comprensione di quello che Ami stava facendo.

Rei lo osservava. «Ami non è cresciuta sapendo che per qualcuno lei veniva prima di qualunque altra cosa. Sono certa che Saeko-san abbia cercato di dimostrarglielo. Ami ha tanti bei ricordi di lei, ma da piccola tornava a casa e spesso sua madre non c'era. Non serve essere presenti solo nei momenti importanti per far pensare a qualcuno che conti davvero per lei.» Parlandone, Rei stessa si rattristò. «Il padre di Ami ha inciso a fondo dentro di lei l'idea che esistono sogni, passioni - cose - che possono contare più di lei nella vita di chi dovrebbe amarla. È questa la realtà che Ami è abituata a gestire. Fa paura e fa male. Concedersi di sperare che qualcuno non ti tratterà mai più in quel modo equivale ad aprirsi alla possibilità di una delusione che può distruggerti.»

... lui capiva. Lo comprendeva. Ma questo significava che...

«Vale anche se parliamo di te, Alexander, che l'hai sempre messa al primo posto rispetto a qualunque altra cosa. Ami ha difese contro l'indifferenza, ma non è preparata a gestire l'idea che l'amore che provi per lei un giorno possa diventare qualcosa di simile alla noncuranza con cui è stata trattata. Se lo aspetta, o non lo esclude. Credo che... stia cercando di prevenire che accada, per come può.»

Lui non ebbe niente da dire. Stava iniziando a comprendere cosa doveva fare in merito alla scelta che gli era stato chiesta di fare.

Rei inclinò la testa, cercando i suoi occhi. «Ami dovrebbe fidarsi di te, ovviamente. Ma non ha in mente tutto quello di cui abbiamo parlato mentre prende le sue decisioni. Agisce per ragioni inconscie. Non sentirti per mesi, e poi vederti tornare, le darà la sicurezza che tu non cambierai con lei nel tempo. Ha razionalizzato la situazione che ha bisogno di veder accadere per sentirsi più sicura. Questo non esclude che stia davvero pensando anche a ciò che è meglio per te - quello che sostiene ha un senso - solo che... non sarebbe così ferma nella sua decisione se non ci fosse qualcosa di cui ha paura. Ti ascolterebbe di più.»

Per scrupolo, Alexander volle chiedere un'opinione. «Cosa dovrei fare allora?»

Rei scosse la testa. «Dipende da te. Se quello che vuole ti fa stare male, devi farglielo capire. Ami dovrebbe tenerti più in considerazione. Non mi sento di consigliarti di accontentarla. Non so nemmeno se alla fine dei quattro mesi sarà davvero convinta che tu non potrai mai più cambiare modo di tenere a lei. Ma come amica, penso che se l'hai amata per tanto tempo... Se sai come lei potrebbe sentirsi dopo...»

Yuichiro la fermò, mettendole una mano sulla spalla.

Alexander comprese il suo scopo. «Non preoccuparti. Non la sento come un'ulteriore costrizione.»

«Comunque» disse Yuichiro, «non è giusto che ti si chieda altro. Non esiste solo Ami nella vostra relazione.»

Rei era rimasta in silenzio, mesta. «Spero che riusciate a trovare una soluzione.»

Alexander chinò il capo, grato. «Lo spero anche io. Ti ringrazio per quello che mi hai detto. Grazie a entrambi.»

Salutò e tornò a casa.

  


 

Il conto alla rovescia era arrivato a sette, pensò Ami. Sette giorni alla partenza di Alexander per l'America.

Lei lo aveva messo in difficoltà imponendogli di riflettere su una decisione difficile. Lui meritava rispetto per il tempo che aveva chiesto per pensare, ma persino lei riusciva a comprendere che dovevano trovare un compromesso. Fargli capire che non sentiva il bisogno di averlo vicino, prima che se ne andasse, non era accettabile. Era un'ulteriore ferita, e lei gliene aveva già inflitta una grande.

Aveva iniziato a farsi venire dei dubbi.

Davvero non posso cambiare idea?

No. No.

Lo avrebbe intrappolato senza possibilità di scampo nella vita che voleva con lui, nei propri desideri.

Alexander meritava tutto ciò che era e che sarebbe diventato. Lei non poteva limitare un ragazzo come lui, senza avergli offerto almeno una possibilità.

«Chi è?»

Sentì la voce di lui nell'interfono del palazzo. La luce della telecamera la illuminava in viso. Lei non poteva vederlo di rimando e rimase in silenzio, in attesa.

La serratura del portone d'ingresso scattò.

Inspirando, Ami si fece coraggio e oltrepassò la soglia. Dentro l'ascensore, corrugò la fronte.

Sei egoista, si accusò.

Continuava a pensare a ciò che provava lei con riguardo a lui. In quel momento aveva timore di incontrarlo, e al contempo provava trepidazione, ma avrebbe dovuto pensare solo a come si sentiva Alexander, per la situazione in cui lei lo aveva messo.

Inoltre, il silenzio di mesi che gli aveva chiesto l'avrebbe fatta stare tranquilla in futuro. Questo era un punto della questione su cui si era molto concentrata.

Lo stava facendo per se stessa?

Lui non era felice con quella soluzione. Anche se l'avesse accettata, l'avrebbe subìta. Non era nella sua natura trattenersi dall'esprimere affetto per così tanto tempo, né crogiolarsi nell'idea che le cose sarebbero andate bene solo aspettando. Quella era lei.

Uscì dall'ascensore e si apprestò a suonare il campanello della porta. Alexander scostò l'uscio per primo.

Si guardarono.

«Ciao» disse lui.

Ami si sentì felice, vergognandosi. Ma Alexander ricambiò il sorriso, appena, e lei non si concentrò più sul senso di colpa. «Ciao.»

Lui si spostò per farla entrare.

Sull'ingresso lei tolse le scarpe e appoggiò di lato la borsa.

Alexander la attendeva in salotto, in piedi.

Ami seguì la direzione del suo sguardo. «Le tue valigie.» Erano posate a terra, aperte, piene per metà.

«Sto cercando di capire cosa portare.»

Lui doveva ancora andare al lavoro quella settimana. Sfruttare l'ultimo weekend libero per prepararsi al lungo viaggio era indispensabile. «Ti aiuto.»

«Ho fatto una lista.» Alexander gliela indicò, sul tavolo. «Dimmi se sto dimenticando qualcosa.»

Sarebbe stato via durante gli ultimi giorni dell'estate, poi per tutto l'autunno. Nelle ultime settimane le temperature sarebbero scese a livelli invernali.

Interi mesi in cui lei non avrebbe potuto vederlo, né sapere che esperienze aveva fatto. Non gli sarebbe stata accanto.

«Non portare troppe magliette» mormorò.

Lui si avvicinò di qualche passo. «Ne ho messe dentro una decina. Le userò per cambiarmi nei primi giorni, poi per andare a correre.»

Certo, lui voleva riprendere le corse mattutine. Avrebbe finalmente avuto il tempo.

Scorse la lista e sorrise. «Il cuscino?»

«Sai che preferisco usare il mio.» Divertito, Alexander le fece notare un segno accanto alla voce. «Lo porterò solo se avrò abbastanza spazio, ma voglio farcelo entrare.»

Già, lui dormiva molto bene col quel cuscino - era voluminoso e consistente, perfetto per riposare sdraiati su un fianco, come faceva lui di solito.

... lei non lo avrebbe visto svegliarsi per molto tempo.

«L'appartamento è pagato.» Alexander si era piegato un poco, per attirare la sua attenzione. «Per Shun era complicato affittarlo nei tre mesi in cui ero via e io volevo ritrovarlo com'era. Mio padre copre le spese. È soddisfatto che vada in America e per lui sono briciole.»

Ami annuì. Era un pensiero in meno. Non ne erano stati sicuri.

«Potrai entrare con la tua copia della chiave. Ti lascerò anche la mia.»

Certo. «Mi occuperò della posta. Toglierò la polvere.»

A lui spuntò un sorriso quieto. «No, intendevo... Potrai venire a stare qui tutte le volte che ti va.»

Ami sentì una stretta al petto - nostalgia, sempre più forte, al pensiero di una lontananza che ancora non si era concretizzata. «Mi fermerò a dormire qualche volta.» Nel letto che forse avrebbe conservato l'odore di lui.

«Porta Ale-chan se vuoi. Così non starai da sola.»

Lei allungò una mano, trovando un suo braccio. Si adagiò a lui, posando la fronte contro la sua spalla.

Avrebbe sentito la sua mancanza ogni singolo giorno.

Si sentì sfiorare su un gomito, poi Alexander si allontanò, sedendosi.

«Ho preso una decisione su quello che mi hai chiesto.»

... era molto calmo.

Lei non aveva idea di cosa stava per dirle.

«Accetto la tua idea a metà, Ami. Due mesi di silenzio, non quattro. Non ho bisogno di arrivare a Natale per capire cosa significherà l'esperienza al MIT nella mia vita. Per quanto riguarda noi... ho capito di aver bisogno di riflettere.»

... eh?

«Due mesi saranno sufficienti. Hai ragione quando dici che devo sfruttare questo periodo di lontananza per rivalutare cosa voglio dal mio futuro. Così le scelte che farò saranno le più giuste e ragionate.»

Era quello che lei gli aveva chiesto. Era quello che voleva.

Cercò una sua mano, cercando di non tremare. «Due mesi andranno bene.»

Si sentì stringere le dita e capì di non averlo ancora perso.

«Ci sentiremo a novembre?» gli domandò.

Lui annuì.

Lo aveva portato a pensare che aveva bisogno di riflettere su loro due.

Per l'ansia, Ami non sentì altro che il battito del proprio cuore. «Io... Questo ultimo anno e mezzo insieme...»

«Lo so, Ami, non fare già i discorsi finali. Terrò a mente tutto quello che abbiamo passato. Tutto quello che ci siamo detti.»

Per lei ogni singola parola era ancora vera. Non voleva che cambiasse nulla, niente.

Avanzò di un passo, e quando lui non si ritrasse lo abbracciò con tutta la propria forza.

Non si permise un solo altro pensiero.

Lo strinse e lo amò con ogni frammento della sua anima.

  


 

Alla fine, la scelta più giusta si era formata nella mente di Alexander con naturalezza, senza quasi pensarci.

Ne aveva ricavato un senso di pace, e la sensazione che non avrebbe potuto comportarsi in maniera diversa.

Due mesi di silenzio servivano se l'idea che ci fossero lo aveva messo tanto in agitazione.

Non era più preoccupato.

Aveva pensato alla Ami che era ancora rassegnata a non avere un padre che le voleva più bene di qualunque altra cosa, e si era ricordato della Ami che un anno e mezzo prima era tornata da lui, in lacrime, per dirgli che aveva mentito, che lo amava e voleva stare insieme.

Lei aveva già rischiato, per lui.

Si era messo a pensare all'anno che avevano trascorso nella serenità più assoluta, e a quanto la loro relazione fosse diventata più forte dopo che lui aveva scoperto la verità, nonostante tutto.

Alieni, poteri, una vita millenaria... Non lo aveva scalfito niente.

E ora lo spaventavano pochi mesi di distanza?

Perché non era sicuro. Perché anche lui aveva ancora paura di essere abbandonato, dimenticato, messo da parte.

Eppure, la sua certezza che Ami lo avrebbe amato esattamente come prima al suo ritorno non erano solo parole. Era una verità di cui era cosciente fin nel profondo del suo essere.

Anche se ormai ne era convinto, una breve separazione gli avrebbe fatto bene, per seppellire in eterno, coi fatti, quel timore dove meritava di stare: nel passato.

Con quella decisione si sentiva finalmente a posto, anche per ciò che ne avrebbe tratto Ami. Lei meritava di essere liberata da quell'incertezza, che la condizionava e la confondeva.

Lui non stava più riflettendo sui se, né sui come. Forse, come aveva detto Rei, quel periodo di assenza di comunicazioni non sarebbe bastato a convincere completamente Ami che non c'erano più rischi che lui cambiasse idea in futuro, su di lei, ma Alexander non aveva inteso fare promesse a vuoto.

Se diceva di voler spostare il mondo per Ami, allora aveva anche intenzione di cambiare il modo in cui lei vedeva il mondo che la circondava. Esisteva qualcuno che l'avrebbe sempre messa al primo posto. Sarebbe riuscito a convincerla che quella persona esisteva ed era lui. Non importava quanto tempo ci sarebbe voluto, né cosa sarebbe stato necessario fare. Sarebbe riuscito in quell'impresa con lei, perché tutti e due tenevano a rendersi felici stando insieme.

Era la prima tappa ostica di un percorso che avrebbe presentato altre difficoltà in futuro. Non sarebbe mai stato tutto semplice e sereno in una vita lunga come quella che avrebbero avuto. Proprio perciò, lui non intendeva arrendersi al primo ostacolo.

Non era più un sacrificio, né una sofferenza. Si trattava semplicemente di una presa di consapevolezza.

Aveva ridotto il tempo di silenzio richiesto da Ami perché quattro mesi di silenzio erano solo una tortura. Al fine di quello che avevano bisogno di capire, singolarmente e insieme, la metà del tempo bastava.

Nonostante quello che diceva, Ami sarebbe stata in ansia già per tutto settembre e ottobre.

Forse lui aveva incrementato le sue preoccupazioni con le parole che aveva scelto per comunicarle la propria decisione, ma era necessario: lei doveva convincersi che lui stesse rivalutando a fondo la possibilità di un futuro insieme, o al termine dei due mesi poteva trovare altre scuse per non essere ancora sicura, guidata com'era dalla paura. Ami doveva essere sinceramente convinta che lui stesse ragionando come lei, sui pro e i contro, poiché nella sua testa solo i ragionamenti logici erano inconfutabili e rendevano le decisioni salde.

Aveva senso. Solo che quei ragionamenti lui li aveva fatti tempo addietro e continuavano a dargli la stessa risposta.

Da novembre ci avrebbe creduto di più anche lei.

A due giorni dalla sua partenza, Alexander era sereno per il futuro e triste all'idea della lontananza.

Lui avrebbe avuto modo di distrarsi in America: c'erano lezioni interessanti da frequentare e un ambiente nuovo da scoprire. Avrebbe anche rivisto Shun.

Ma Ami... Ami sarebbe rimasta in Giappone con le proprie preoccupazioni.

La separazione era necessaria, eppure questo non lo faceva sentire meglio al pensiero di quanto lei sarebbe stata sola e incerta.

Le servirà.

In sua assenza, nei limiti del loro d'accordo, stava provando a fare qualcosa per lei - tramite una delle ragazze.

Per il resto, doveva accettare che era una situazione che non poteva cambiare. Doveva avere pazienza.

Novembre sarebbe arrivato con lentezza, ma inesorabilmente.

A quel punto, sarebbe andato tutto a posto.

  


 

Ultimo sabato di agosto. L'aereo di Alexander per Boston partiva alle sei e mezzo di sera.

Ami era andata a trovarlo sin dalla notte prima. Aveva dormito abbracciandolo. La mattina, aveva ricontrollato con lui le valigie e la casa.

Avevano lasciato l'appartamento alle due, per raggiungere il nuovo aereoporto internazionale di Tokyo, a Narita, col treno, carichi di due grossi bagagli più il trolley che lui si sarebbe portato in cabina. Conteneva un cambio di emergenza e il suo computer - nel caso perdessero il resto dei bagagli, aveva chiarito Alex. Una volta gli era successo.

Prima di uscire di casa, Ami aveva notato che dalla scrivania mancava il portaritratto della foto che avevano scattato con la Polaroid - quella nella vecchia stanza di lui, in cui Alexander le aveva rubato un bacio sulla guancia, a occhi chiusi, mentre lei guardava l'obiettivo sorridente.

Per tutto il viaggio in treno aveva cercato di apparire normale, soffocando la sofferenza.

Tre ore dopo avevano depositato i bagagli più grossi al banco della compagnia aerea. Si erano mossi per l'aeroporto tenendosi per mano. Per un'altra mezz'ora si erano fermati in un ristorante, in attesa, mangiando qualcosa. Infine, erano andati alla ricerca del gate a cui lui doveva presentarsi.

Era la porta numero 83.

Ami rimase guardare il tabellone. La scritta accanto al numero indicava che l'imbarco era già iniziato.

Tra i controlli di sicurezza e doganali che lui doveva passare, avevano solo qualche altro minuto insieme.

Alexander le indicò una fila di sedili vuoti, accanto a una vetrata. «Andiamo a sederci.»

Lei lo seguì, stringendogli più forte le dita.

Da seduto, lui sollevò le loro mani unite, sorridendo. «Mi rimarrà il segno se stringi così.»

Lei non riuscì ad allentare la presa

Buon viaggio, doveva dirgli. Non trovò la voce.

Non voleva salutare.

Lui cominciò a parlare. «Non saranno due mesi semplici, Ami.»

Lei studiò ogni linea del suo viso, il colore dei suoi occhi, la sensazione della sua guancia sulle mani - da un ricordo. Il sapore del suo bacio, la morbidezza dei suoi capelli, il modo in cui rideva o rifletteva, assorto.

Insieme avevano letto, studiato, dormito, scherzato, giocato, amato, vissuto.

Lui continuò. «Ti prometto di riflettere seriamente su tutto. Non sprecherò questa occasione.»

Occasione? Una situazione che capitava una sola volta nella vita.

Come la fortuna di trovare qualcuno con cui essere così incredibilmente felice, come lo era stata lei. «S-studia molto» balbettò. «Passa del tempo con Yamato.»

Alexander annuì.

«Io...» Iniziò la frase, poi si perse. Perse le parole, il coraggio. Cominciò a tremare.

Alexander attese, quindi le prese entrambe le mani tra le proprie. «Be well, Ami. Non starò bene pensando che non sei felice.»

... lei non lo sarebbe stata mai più.

Lui se ne stava andando. Lo stava perdendo.

Cercò con tutta se stessa di essere forte, ma si spezzò. «Ti amerò per sempre!» Esplose in un singhiozzo. «Anche se non torni indietro!»

Si ruppe in un pianto e non riuscì a restare ferma nell'abbraccio in cui si trovò rinchiusa. Si aggrappò ai vestiti di lui, alla sua schiena, convulsamente. Doveva lasciarlo andare, come aveva deciso, come era giusto! «Per favore, torna» implorò. Non controllò più quello che stava dicendo. «Ti amerò più di qualunque altra cosa al mondo, per favore. Lo farò bastare!»

Alexander emise un lamento. «Shh, you are my heart, Ami. Cosa stai dicendo?»

Lei pianse più forte.

«Certo che torno. Non posso stare senza di te.»

Ami sentì baci sul viso. Ne prese uno sulla bocca, la testa tra le mani di lui. Aprì gli occhi sui suoi, la vista annebbiata.

Anche Alexander soffriva. «Tornerò, e dopo Natale non staremo più lontani. In questi due mesi non cambierà nulla per me. Non può.»

Lei annuì contro la sua fronte, velocemente.

«Devi crederci, okay? Devi credere in me. Farò andare tutto bene.»

Lei riacquistò un po' di ragione. «Scusa se...»

«Stop. Sono contento che tu me lo abbia detto. Non potevo lasciarti se pensavi una cosa simile.»

Si baciarono ed Ami si sentì di nuovo intera, come lui.

Che cosa aveva fatto? Come aveva potuto?

«Ti credo» gli disse e scelse, con coscienza e inequivocabilmente, di essere convinta che Alexander avrebbe avuto la vita migliore che poteva cogliere, in quei due mesi e tornando poi da lei. Perché era la sua scelta.

Alzandosi, lui le passò le mani sulle guance bagnate. Ami si strofinò gli occhi da sola. «Vai. Ti aspetterò.»

«Ti penserò tutti i giorni.»

Lei lo strinse in un altro abbraccio, libera. «Io anche tutte le notti.»

Udì una risata bassa e comprese la propria gaffe.

«Buono a sapersi!»

Si divertì, commossa. «You are my only love. In ogni momento, anche quando non sei accanto a me.»

Comprese quanto lui avesse avuto bisogno di udire parole come quelle solo quando vide come lo fecero sentire.

In piedi, rimasero abbracciati, senza l'intenzione di lasciarsi andare.

«Buon viaggio» si costrinse a dire Ami, cercando di stargli più vicina, per guarire qualunque ferita avesse aperto in lui col proprio comportamento.

Alexander provò a distanziarsi. «Due mesi saranno eterni, ma... voleranno. So che sembreranno finiti subito quando ti sentirò di nuovo.»

Ami annuì, sicura quanto lui, prendendosi e regalandogli un altro bacio. Non sarebbero mai bastati, a nessuno dei due. «Ti accompagno.»

Andò con lui fino alla barriera dedicata ai solo viaggiatori con biglietto.

Alexander le accarezzò i capelli. «Avrò tante cose da raccontarti quando torno.»

Ami annuì. «I love you

«I love you» rispose lui.

Si lasciarono la mano.

Alexander iniziò a percorrere il percorso a serpentina che portava ai controlli di sicurezza, nascosti dietro una parete. Prima di oltrepassarla, ormai a dieci metri di distanza da lei, si fermò.

Ami sollevò una mano per salutarlo, felice e al contempo triste.

Lui si espresse in un breve sorriso sereno, pieno di certezze. Bye, disse con la bocca.

Scomparve oltre il muro, diretto negli Stati Uniti.

  

«Voglio ammazzarla e voglio abbracciarla. Dov'è?»

Rei faticava a trattenere Usagi. «Aspettiamola qui. Deve passare da questa parte.»

Erano andate all'aeroporto sull'impulso di un momento, per consolare Ami. Dopo aver saputo tutto, Usagi non aveva voluto saperne di restare indietro.

«Avresti dovuto dirmelo prima!»

«Saresti intervenuta!»

Makoto non si era potuta unire perché era giorno di ressa alla pasticceria, ma aveva pregato entrambe di andare.

«Ami sarà devastata, statele vicino anche per me!»

Per tutto il viaggio in treno Usagi aveva parlato dell'intenzione di strozzarla. «Come può fare una cosa simile ad Alexander? E a se stessa?! Sta sabotando la loro relazione!»

Rei non lo credeva, o sarebbe andata lei stessa a parlare con Ami. «Non so cosa abbia deciso lui, ma può risolvere il problema di Ami come noi non potremo mai fare con le parole.»

«Questo lo dici tu!» Usagi si era rattristata. Parlava e si lamentava per non stare in pena.

Erano arrivate all'aeroporto da un quarto d'ora e si guardavano intorno senza sosta, in cerca di Ami.

Rei la individuò dietro un gruppetto di persone. «Eccola!»

Senza aspettare, Usagi le corse incontro.

«Ami!»

Rei le raggiunse mentre Usagi stringeva le mani di lei.

«Stai bene?»

«Com'è andata?» domandò Rei.

Sorpresa, Ami sorrideva. «Siete venute per me.»

«Certo!» protestò Usagi. «So cosa stai passando. Non potevamo lasciarti sola!»

Ami era silenziosa, ma serena. «Non preoccupatevi. Ho fatto la cosa giusta.»

«Lasciarlo andare?» osò chiederle Usagi.

Ami scosse piano la testa. «Dirgli che lo amo e che voglio assolutamente vederlo tornare.» Si lasciò abbracciare. «Non è stato un addio. È stato solo...»

Bye, aveva detto lui.

Ami chiuse gli occhi, sicura.

Era stato solo un arrivederci.


Agosto 1997 - Addio? - FINE

 


Note: Ho paura. Ho paura di non aver scritto questo capitolo trasmettendo tutto quello che volevo, tutto quello che ho sempre provato in merito a questa situazione tra Ami e Alexander.

Spero di esserci riuscita. Probabilmente me ne renderò conto meglio col passare delle settimane, quando rileggerò come fossi una lettrice qualunque.

Nel frattempo sono felice di aver trovato il modo di narrare queste vicende. Era così importante.

Ora finalmente posso scrivere di ciò che viene dopo, piano piano (ma non troppo :P)

Il prossimo capitolo sarà dedicato ai due mesi di separazione tra Ami e Alex. Poi... Per una volta non dico nulla, che ho già parlato troppo :)

Grazie infinite di essere qui a leggere! Ogni vostro commento sarà oro per me!

Elle

Gruppo Facebook dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

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Capitolo 14
*** Settembre/ottobre 1997 - Separazione e... ***


per istinto e pensiero 14

 

Per istinto e pensiero

di ellephedre

 

Settembre/ottobre 1997 - Separazione e...

I primi giorni di settembre ricominciò l'università. Ami andò a ogni lezione e si buttò con voracità nella lettura dei nuovi testi d'esame. Aveva del tempo da far passare, il più fretta in possibile.

Si sentiva... leggera. Qualcosa aveva stretto in una morsa il suo petto per l'ultimo periodo della permanenza di Alexander in Giappone. Era stato l'errore fatale che lei aveva quasi commesso.

Forse lui sarebbe tornato comunque, forse sarebbe stato paziente. Magari per due mesi avrebbe solo atteso di risentirla di nuovo, ma...

Come ho potuto?

Per poco non lo aveva lasciato andare via con l'onere di dimostrarle... che cosa? Che l'amava davvero?

Evidentemente non le bastava un ragazzo che, senza alcuna incertezza, le diceva da mesi di voler passare mille anni con lei. Per la sua insicurezza lo aveva caricato della responsabilità di farle cambiare idea sulle relazioni, quando unicamente da sola poteva fare una cosa del genere, armandosi di quel pizzico di coraggio che lui si meritava.

Alexander già le mancava. Avrebbe voluto tenerlo tra le braccia e passare il tempo a farsi perdonare.

Due mesi di silenzio le servivano proprio, alla fine. Gli avrebbe dimostrato che i suoi sentimenti non sarebbero cambiati in quelle settimane. Quando si fossero risentiti, Alexander avrebbe trovato una Ami nuova, più matura, più degna.

Mancavano solo cinquantuno giorni.

«Stai contando quanto tempo manca, vero?»

«Hm?» Ami sollevò lo sguardo verso Usagi.

Lei la osservava e capiva tutto quello che provava. «Quando Mamoru è andato via, io non avevo idea di quanti giorni mi mancavano per rivederlo. Non sapevo con precisione quando sarebbe tornato. Per questo contavo i giorni in cui eravamo stati lontani, per farmi forza. Mi dicevo, 'Un giorno in meno, Usagi. Un giorno in meno di lontananza.»

Ami capì di essere stata cieca. Tre anni addietro aveva attribuito i silenzi di Usagi alla mera nostalgia. «Scusami. Quando Mamoru è andato via, sapevo che ti mancava, ma pensavo che, siccome eravate destinati a stare insieme, tu dovevi per forza essere sicura di quello che provava lui.» Invece, più l'amore era intenso, più i timori erano in agguato. Usagi era stata così forte... Mamoru non le aveva scritto una sola lettera di risposta. Senza saperne la ragione, lei aveva continuato a credere al loro amore, crollando solo dopo mesi di silenzio. Anche allora non aveva mai rinunciato a lui, pur iniziando a dubitare.

Per Usagi erano ricordi tristi, ma passati. «Se ami qualcuno, è normale avere paura. Ma tu ne hai avuta troppa, Ami-chan.»

Già. Se n'era resa conto in tempo.

«Quel ragazzo è un santo, ma non capisco: se vi siete chiariti prima della sua partenza, perché evitare di sentirvi per due mesi?»

Non avevano avuto il tempo di parlarne, ma non era stato necessario. «A questo punto sono io a dovergli dimostrare che la distanza non mi fa paura. Voglio che condivida il suo futuro con me, perciò devo dimostrarmi degna di fiducia.»

Sentì due mani sulle spalle, vicino al collo.

«Per fortuna parli così, o la dea dell'amore avrebbe dovuto punirti!»

Ami si voltò. «Minako!»

Lei esplose in un sorriso, splendida come non l'aveva mai vista. Ami non si era ancora abituata a vedere i capelli biondi di Minako tagliati appena sopra le spalle, ma il nuovo taglio la faceva sembrare più matura. Forse erano i vestiti, il modo in cui si muoveva - più lentamente, con più grazia - ma ogni volta che la rivedevano, Minako appariva un poco più diversa - più simile alla ragazza che mostrava sicura la propria immagine in televisione.

Minako portò un dito alla bocca. «Shh, o attirerai i miei fan!»

Usagi non ci cascò. «Presuntuosa, non ti riconosce nessuno!»

Minako scompose un poco l'espressione, rilasciando una smorfia comica che Ami riconobbe come quella della sua amica. Era tornata.

«Dici così, ma non sai che faticaccia ho fatto per arrivare in incognito fino a qui!» Minako levò un cappellino. Sotto aveva nascosto degli occhiali da sole, che probabilmente aveva indossato per tutto il tragitto. «La mia faccia ormai è nota in tutto il Giappone!»

«Se gridi in questo modo...» ridacchiò Usagi. Era stata superlativa nel riportare indietro la Minako del passato, in un momento.

«Rei e Makoto sono in ritardo?»

«Makoto aspetta la pausa pranzo per uscire dalla pasticceria, mentre Rei aveva un'ultima lezione stamattina.»

«Meglio così.» Ami si ritrovò fulminata da due affilati occhi azzurri. «Altrimenti eviterebbero che te le canti come meriti. Come hai potuto, Ami-chan? Usagi mi ha raccontato tutto.»

«Ho dovuto sfogarmi» spiegò Usagi, senza essere davvero pentita.

Minako levò la giacchetta leggera che aveva indossato e incrociò le braccia. «Era quello che dovevi fare tu, Ami! A cosa servono le amiche se poi ti tieni tutto dentro nel momento del bisogno?»

Ami si sentì in colpa.

«Come faccio ad andarmene da Tokyo se poi non ve la cavate senza di me?»

Le sfuggì una risatina. «Scusa. Ho imparato la lezione.» Era arrivata a tante conclusioni il giorno in cui Alexander era partito - su se stessa, sul loro rapporto e sul modo in cui si relazionava agli altri.

«Davvero hai imparato?» Minako era sospettosa. «Secondo me devi passare prima una bella prova orale!»

«Eh?»

«Un esame, no? Chi meglio di Venere per questo?»

Ami lanciò un'occhiata a Usagi, cercando di capire.

Minako si sfregò le mani. «Senti qua.» Disegnò in aria un ipotetico striscione. «Scena uno: il tuo Alexander sta studiando in biblioteca. Si avvicina a lui una ragazza in minigonna, con maglietta scollata. Lo ha puntato da lontano e si è data una passata di lucidalabbra prima di avvicinarsi. È sicura della sua strategia, nessun ragazzo l'ha mai rifiutata. Lui come si comporta?»

Ami sbatté le palpebre. Immaginò alla lontana la scena, senza dare troppo peso all'aspetto della sconosciuta. «Dipende da cosa gli chiede lei. Ma se lui è occupato a studiare...»

Minako saltò in piedi, chinandosi in avanti sul tavolo. «Lei si avvicina così, mettendo in mostra il petto seminudo. Gli domanda, 'Scusa, sai dov'è il reparto dei libri di astrofisica?'»

Ami fu interdetta. «Come fa a sapere quale argomento gli interessa?»

«È furba, ha dato un'occhiata al titolo dei volumi che lui ha sul tavolo. Rispondi alla domanda.»

Per farlo, Ami dovette raffigurarsi in testa la situazione. Minako era stata brava a dare un'identità alla ragazza, soprattutto quando aveva imitato la voce suadente che lei avrebbe adoperato. «Ehm... Alexander alzerebbe il braccio e le indicherebbe dove si trovano gli scaffali che cerca.»

Minako sollevò un sopracciglio. «Ma un'occhiata alla sua scollatura la lancerebbe, no?»

Usagi si scandalizzò. «Minako!»

Lei scrollò le spalle. «È un uomo.»

Ami era piccata. «Le direbbe comunque di andare via.»

«Facciamo che la ragazza è insistente. Si siede nella sedia vuota accanto a lui e comincia a fare la simpatica.»

Irritata, Ami strinse gli occhi. «Non c'è niente che Alexander detesti di più di una persona affettata. Le direbbe chiaro e tondo che è occupato e che non vuole essere disturbato.»

Minako ci pensò su. «Hai ragione. Hmm... Questa era una prova spicciola, solo una domanda di riscaldamento.» Aprì le mani in aria, teatralmente. «Scena due.»

«Perché la stai torturando?» intervenne Usagi.

«Perché lei ha torturato lui. E visto che si farà venire questi dubbi tra qualche tempo, quando sarà sola, preferisco sapere adesso cosa pensa. Così estirpiamo alla radice il problema.»

«Sei tu che le stai facendo venire brutti pensieri!»

Ma Ami era d'accordo. «Ci sto. Continua.» Era pronta alla sfida. Non temeva nulla.

«Perfetto.» Minako era soddisfatta. «Dicevo, scena seconda. Gruppo di studio: ci sono il tuo Alex e un paio di ragazzi e ragazze. Tutta gente preparata, intelligente. Una delle ragazze è stata appena mollata dal suo fidanzato. È triste. Non ha mire su Alexander - non ancora. Lui la tratta come tutti gli altri, ma... il tempo passa. Lei vede quanto lui è geniale, gentile quando vuole. Questi gruppi di studio si protraggono fino a tarda sera. Un paio di volte capita che Alexander la accompagni al dormitorio, loro due soli. Parlano. A lui lei ricorda te.»

Il cuore di Ami mancò un battito.

«La ragazza finisce col parlargli della sua storia d'amore finita male. Lui prova empatia, perché è fatto così. La consola a parole. Lei ormai è mezza cotta. Inizia a cercare contatti fisici casuali...»

Usagi scuoteva la testa, in pena. «Minako...»

Minako sollevò un dito: voleva terminare. «Lui non ricambia i tocchi, ma si sente in colpa. Ha iniziato a farsi delle domande, perché lei è dolce, intelligente, e lui prova... qualcosa. Ti ama ancora, eppure gli è stato possibile sentire una sorta d'interesse per un'altra persona. Forse, anche se ci credeva, è stato avventato nelle promesse che ti ha fatto. Magari al ritorno deve riflettere bene sui progetti che voi due avete in mente.»

Era uno scenario così plausibile da risultare terrificante. Ami prese un bel respiro, concentrandosi. Aveva una voglia matta di rincorrere i propri timori, crogiolandosi nella possibilità che accadessero, ma forzò un ricordo: l'ultimo abbraccio di Alexander all'aeroporto.

“You are my heart, Ami.”

Era il suo cuore, aveva detto lui, stringendola forte. E glielo dimostrava ogni volta che le parlava, che la guardava, toccandola a volte con reverenza e di recente sempre più con una passione che non riusciva a controllare.

Si immedesimò nei suoi panni, ribaltando la situazione ipotizzata da Minako. Come si sarebbe comportata con un ragazzo che le avesse ricordato lui?

Ebbe solo certezze. «Non può succedere. Alex non si farebbe queste domande. Proverebbe empatia per la situazione della ragazza, ma la tratterebbe come un'estranea, al massimo come un'amica.» Anche se persino quello era improbabile: lui tendeva a mantenere gli estranei a distanza. Non lasciava avvicinare facilmente le persone. «Non si renderebbe nemmeno conto che lei è interessata, almeno fino alla faccenda dei tocchi casuali.» Immaginando quelli e la ragazza della precedente scena, che esibiva davanti a lui il proprio fisico, vide un po' rosso. Ma era una gelosia sana. «A quel punto Alex troverebbe il modo di mettere in chiaro che non può esserci nulla tra loro. Forse non mi menzionerebbe nemmeno, perché il punto non è che è fidanzato: semplicemente, non la ricambia e gli dispiace di essere stato frainteso.»

Minako la fissava. «Però!» Scrisse velocemente su un foglio immaginario. «100 e lode, Ami-chan!» Le passò il suo premio ed Ami lo accolse con sollievo.

«Grazie.»

Usagi le squadrava. «Voi due siete masochiste.»

«Zitta» disse Minako. «Tu hai le sue stesse sicurezze su Mamoru, ma non avresti retto la prova. Sei troppo gelosa.»

«Certo! Una che si mette a far vedere la scollatura a Mamo-chan sta cercando la morte!»

Minako esplose in una risata.

Usagi continuò. «E lui avrebbe pensieri romantici su un'altra donna solo con me morta!»

«Che tragica!»

«Per dire quanto mi ama!»

Ami si stava divertendo. «Comunque ti ringrazio, Minako, hai ragione. Forse mi aiuta riflettere adesso su questi scenari.»

Minako tornò a dedicarle attenzione. «Non prendiamoci in giro, Ami. Ci rifletterai ancora, soprattutto verso la fine dei due mesi. Basta che ricordi come hai risposto ora, quando hai ancora la memoria fresca su di lui.»

«Ormai sono sicura.»

«Ti conosco abbastanza. Per te è un hobby ragionare su possibilità disastrose. Prevengo anche le tue possibili obiezioni future: abbiamo parlato di situazioni che possono coinvolgere un ragazzo qualunque, no?»

Dove voleva arrivare? «Sì.»

«Un ragazzo in una relazione normale, anche quando è innamorato, può avere momenti di cedimento. Ma questo ipotetico ragazzo comune non ti sarebbe rimasto accanto già due anni fa. Uno, perché agli uomini non piace essere mollati.»

Ami si ritrovò con un dito in faccia. Minako ne sollevò un altro. «Due, se scoprono che la loro ragazza ha poteri sovrannaturali, scappano a gambe levate. Tre, alla possibilità che lei sia incinta, la lasciano parlare con una segreteria telefonica per i successivi cento anni. E quattro... Anzi, era il punto due e ce ne sarebbe pure un quinto, ma non esiste un ragazzo che accetti un anno di astinenza senza essere irrimediabilmente e assolutamente convinto che lo sta facendo per la persona giusta. Ancora mi chiedo come abbia fatto lui.»

Usagi scrollò le spalle. «Mamo-chan almeno aspettava perché io ero piccola.»

Ami frenò a stento le risate. «Qual era il quinto punto?»

«Cinque, Ami, è che dopo tutto questo, un ragazzo comune ti avrebbe mandato al diavolo alla richiesta di provarti che il vostro amore è forte con quattro mesi di silenzio. Non avrebbe accettato manco una settimana, altro che due mesi.»

Ami sospirò, ennesimamente pentita.

Minako le strofinò forte la testa. «Per favore, applica tutta la tua considerevole intelligenza a questi fatti nelle prossime settimane, okay?» Picchiettò sulla sua nuca, per far entrare meglio il concetto. «Non immaginare il tuo ragazzo in scenari in cui altri fallirebbero, perché lui non è un ragazzo comune con riguardo a te.»

Ami annuì. Avrebbe avuto bisogno di un discorso forte come quello già settimane addietro.

«Che facce!»

Si voltarono. Al Crown era arrivata anche Rei.

«Ciao!»

«Di cosa stavate parlando?»

«Strigliavo Ami.» Minako ricambiò un suo abbraccio, sentito e caloroso.

«Come stai?» le domandò Rei.

Minako ignorò la domanda. «Perché non sei intervenuta con più forza in questa situazione? Non mi posso più fidare di nessuno!»

Il sorriso di Rei era segreto. «Non eri presente. Avendo sentito l'altra parte in causa, ho ritenuto fosse più saggio non intromettermi. E visto che parliamo di questo...»

Rei tirò fuori dalla borsa un pacchettino squadrato ben incartato, con fiocco.

Il suo regalo, pensò Ami, contenta. «Per me?»

«Sì, per il tuo compleanno. Ma non da parte mia.»

Ami notò la carta da regalo blu, il particolare del materiale con cui era stato creato il fiocco - tela bianca, forse seta. In un attimo, seppe di chi era quello stile. Incredula, si sporse a prendere il pacchetto. Ricevendolo, lo strinse al petto.

«Lui è passato da casa mia per darmelo, qualche giorno prima della sua partenza.»

Usagi era commossa. «Cosa sarà?»

«Non c'è un biglietto?» domandò Minako, occhieggiando il regalo.

Ami conosceva la risposta senza bisogno di guardare. «Ci siamo promessi silenzio.» E lei non si era aspettata nessun dono, perciò stava tremando di gioia. Quasi non le importava cosa fosse: era un modo per Alexander di comunicarle che aveva pensato a come si sarebbe sentita in quel giorno speciale, in sua assenza. Tanto bastava, era già qualcosa di prezioso. E se pensava che lui aveva comprato quel regalo quando ancora lei aveva eretto una distanza tra loro...

Sentì gli occhi umidi. Si lasciò invadere da un sorriso.

Rei era felice. «Ho voluto dartelo adesso, così potrai aprirlo a mezzanotte, prima di passare la giornata di domani a dispiacerti perché lui non è qui con te. Ma ti vedo meglio di quanto mi aspettassi.»

Be', tra quella sorpresa e la lezione di Minako, il suo umore non era mai stato tanto alto in quei giorni, da quando Alexander era partito. Lisciò la carta del pacchetto, rimirandolo.

Usagi moriva di curiosità. «Sembra un libro.»

«Se lo è, passerò la notte a leggerlo.»

«Ohh, come mi piace vederti romantica!»

Lei adorava esserlo. Perché aveva rifuggito la felicità?

Rei le sfiorò una spalla. «Dici che domani riesci lo stesso a uscire con noi la sera, per festeggiare?»

«Certo.» Loro erano le sue care amiche.

Incontrò l'occhiata benevola di Minako. Arrossì. «Cosa c'è?»

«È questa la Ami che mi piace vedere!»

 


Quella sera Ami non resistette alla curiosità: aprì il suo regalo che era ancora il 9 settembre. Risultò essere davvero un libro.

Lei non volle nemmeno leggerne l'introduzione. Si sdraiò sul letto e si immerse nel volume, capitolo dopo capitolo.

Trecentosettanta pagine dopo, la mezzanotte era passata da quindici minuti, lei aveva appena compiuto diciannove anni e aveva terminato di leggere una storia intensa, commovente.

Guerre, privazioni, un oceano di distanza e anni di lontananza - nulla aveva scalfito l'intensità del sentimento dei due protagonisti. Si erano ritrovati nonostante le avversità e avevano combattuto per tornare insieme.

Le erano rimaste impresse delle frasi.

“E quando la rivide, dieci anni sparirono in un secondo. Tornò a essere un ragazzo, col petto che batteva e le gambe che smaniavano di correre, per raggiungerla.”

“In tutto questo tempo ho creduto di averti dimenticato” aveva detto la protagonista all'uomo che aveva segnato la sua gioventù. “Ho vissuto un'intera vita senza di te, ma vivevo a metà, senza saperlo.”

Il libro non era una classica storia d'amore. Ami lo avrebbe classificato più come narrativa generale, ma lo amava per questo. Nella ricchezza della trama vi erano scampoli di sentimento strategicamente posizionati, che le avevano sempre fatto tenere a mente la sofferenza della coppia divisa dalle circostanze, dal tempo, da tutto. A volte era stata solo una malinconia senza nome, la sensazione di aver perso qualcosa di importante che non sarebbe mai più tornata.

Aveva capito cosa provavano quei due - in quei giorni più che mai.

Nel finale non era stato descritto nemmeno un abbraccio, ma lo sguardo che l'uomo e la donna si erano scambiati, pronti a muoversi l'uno verso l'altra, finalmente liberi di stare insieme, era stato sufficiente. La speranza a un passo dall'essere concretizzata era la migliore conclusione che Ami riuscisse a immaginare.

Appoggiò il libro aperto sul viso.

Quando hai avuto il tempo di trovarlo?

Accarezzò la copertina, a occhi chiusi, in testa la sensazione delle mani di Alexander. Voleva sfiorarle, toccarle, dirgli...

Quando pensava di aver trovato un limite all'amore che provava, lo sentiva crescere ancora.

 


 

Settembre diventò autunno.

Un giorno il cielo si riempì di nuvole e iniziò a piovere. Il sole non riapparve per una settimana.

Ami non si lasciò intristire dal tempo: era carica. Usciva con le ragazze, studiava, leggeva, ma alla fine le sue giornate erano più libere del solito. Non aveva più un ragazzo con cui dividere i momenti di svago.

Cosa starai facendo?

Hai conosciuto i professori che ammiravi?

Hai trovato compagni di corso interessanti?

.... Ti manco?

Pensava ad Alexander talmente tante volte al giorno che in un paio di occasioni si era ritrovata con la cornetta in mano, sul punto di chiamarlo, come se non si fossero mai scambiati una promessa diversa.

Una sera aveva persino preso il suo minicomputer e lo aveva geolocalizzato negli Stati Uniti, dove si trovava. Era stata invasa dall'idea che qualcosa potesse essere andato storto nel viaggio di lui ed era riuscita a calmarsi solo quando aveva visto che stava bene. Aveva verificato la sua temperatura corporea, il suo stato di salute generale. L'immagine del cuore di lui che batteva le aveva strappato un sospiro di sollievo, felicità mista a tristezza.

Era impazzita, o pazza.

Per non crogiolarsi in quella tortura, il giorno seguente aveva deciso di concentrarsi su un gioco che non metteva in pratica da tempo: avrebbe esaurito l'argomento di un testo d'esame in meno di sette giorni. La sfida era assimilare il contenuto del libro nella sua testa in maniera chiara e completa, in modo da rendersi capace di spiegarlo ad ipotetici altri come se le fosse toccato insegnare in maniera basilare la materia.

Iniziò una mattina, afferrando il libro scelto, sentendo l'entusiasmo che cresceva sotto pelle.

Cominciò a leggere le prime pagine a colazione, con una matita in mano per sottolineare i concetti e scrivere appunti. Mentre si vestiva per la giornata, ripeté le poche nozioni apprese.

Uscì di casa portando il libro sotto braccio, per leggerlo mentre si muoveva in metropolitana.

Niente doveva distrarla. Era una sfida di concentrazione, a molteplici livelli: a lezione doveva spostare la propria attenzione sull'argomento di cui parlava il professore, e solo poi poteva tornare al testo che voleva scandagliare fin nella più piccola nota.

La prima sera crollò a dormire come un sasso, stanca e appagata.

Il secondo giorno sentì di aver preso il ritmo giusto. Cento pagine in quarantotto ore. Si prese un'ora o due per ripassare nella testa le nozioni, esponendole a se stessa come se le stesse spiegando davanti a un pubblico. Da sempre, per lei era un esercizio per vincere la timidezza.

Cinque giorni dopo, nella sala mensa dell'università, si concesse un buon pranzo: aveva vinto la sua sfida.

«Mizuno-san!»

Una sua compagna di corso, Ritsuko Horie, l'aveva puntata. Stava lanciando un'occhiata al libro poggiato sul suo tavolo. Vedeva i segnalibri colorati che spuntavano dalle pagine.

«Non ci credo, lo hai già studiato tutto?»

Ami si strinse nelle spalle. «È un buon testo. Il professore ha fatto bene a sceglierlo.»

Incoraggiata, Horie-san si sedette accanto a lei. «Anche tu non vedi l'ora che inizi il prossimo anno? Io sono così stufa di studiare queste materie generali!»

Ami in verità si era già portata avanti da mesi con quelle.

Ad Horie brillavano gli occhi. «Poi finalmente ci faranno fare qualcosa di pratico. Ho sentito che per gli studenti migliori è previsto uno stage in un ospedale privato, come semplici osservatori, durante le vacanze. Tu ci sarai di sicuro, Mizuno-san.»

Durante le vacanze? «Nell'estate del prossimo anno?»

Horie-san annuì. «Oh, mi stanno chiamando. Ci vediamo!»

«Ciao» la salutò Ami, deconcentrata.

Prese tra le mani il libro su cui aveva studiato.

Mentre ne imparava il contenuto non aveva perso tempo a domandarsi quando avrebbe potuto applicare quei concetti. Per lei il solo apprendere era una gioia.

Ma il sogno nascosto di sempre, il motivo per cui aveva scelto di studiare medicina, stava in ciò che aveva detto Horie-san: avere un giorno l'opportunità di praticare la professione.

Nella prossima estate sarebbe stata ancora libera, a meno che...

Si guardò intorno.

Le piaceva l'università. Le piaceva frequentarla. Era l'ambiente in cui si era immaginata sin da quando era stata bambina. Era appagante stare lì, ma ricordarsi che stava studiando senza un fine... Non era la prima volta che sceglieva di non esplorare le conseguenze di una possibilità che lei stessa aveva messo in campo.

Ovviamente i fatti erano noti. Meno chiaro era come si sentisse lei a riguardo.

Era qualcosa di molto importante.

Come aveva detto ad Alexander, quello era il periodo in cui potevano ancora cambiare idea sulle loro scelte, se non erano sicuri di quello che volevano fare.

Per una volta, non si permise di mettere l'amore sopra ogni altra cosa. Lo doveva a se stessa e a lui: aveva bisogno di essere completamente sincera.

Terminò di mangiare e mise in pausa la questione. Aveva ancora una lezione da frequentare e un intero weekend per riflettere sulla faccenda.

 

Non è obbligatorio avere un bambino.

Era il nodo centrale della questione su cui doveva dibattere.

Certo, non era una costrizione diventare madre. Se avesse scelto di non esserlo, sarebbe stata libera di continuare la vita che stava conducendo ora - un'esistenza in cui si sentiva già felice e realizzata. Tuttavia...

Sdraiata sul suo letto, accarezzò la testolina di Ale-chan, che si stava strofinando contro la sua mano. Era un gattino affettuoso, che amava riposare sopra il suo petto.

«Ti voglio bene» gli disse, avvicinando il viso al suo muso.

Più pensava a cosa voleva davvero, più era semplice decifrarlo.

La prospettiva di non poter dedicare tutto il tempo che le rimaneva allo studio non era gradevole. Ma l'idea di non poter mai avere un bambino con Alexander era... devastante.

Tutta una vita senza un bambino loro?

No.

Voleva i momenti che aveva vissuto con lui l'inverno scorso. Anzi, li rivoleva, questa volta legittimamente.

Come poteva trascorrere tutta una esistenza col ragazzo che amava senza sentirlo di nuovo toccare il suo ventre con reverenza, per lo stupore di quello che avevano creato insieme? Un nuovo essere umano.

Con i tuoi occhi, forse, e la mia timidezza.

Voleva conoscere quella persona. Voleva vederla nascere, voleva crescerla. Non voleva farlo da sola.

Se tra un anno fosse diventata una madre, non ci sarebbe stato un momento in cui avrebbe desiderato tornare indietro. Perché il bambino sarà nostro e tu sarai con me. In ogni passaggio. Avrebbero scelto in due il nome - se fosse stata femmina, perché se era maschio era certa che fossero già d'accordo. Avrebbero atteso con impazienza il suo arrivo. Lo avrebbero consolato nei suoi pianti, si sarebbero riempiti dei suoi primi sorrisi.

Sarà possibile?

Forse erano solo sogni.

In un mondo crudele, lei e Alexander erano già troppo geneticamente differenti per avere la possibilità di concepire insieme. Sarebbero potuti diventare genitori anche di un figlio che non fosse biologicamente loro, in futuro, ma... Se Adam fosse esistito, sarebbe stato... Il più bel dono che la vita poteva fare a entrambi.

Ale-chan iniziò a fare le fusa contro il suo collo. Ami lo grattò sotto il mento.

«Vuoi un fratellino umano?»

Le fusa aumentarono di volume.

«Gli insegnerò a trattarti bene.»

Oh, sì. Si sentiva capace di far scoprire il mondo a un bambino pieno di curiosità ed entusiasmo, che da lei avrebbe voluto principalmente una cosa: amore.

E io ti amo ancora prima di conoscerti, sai?

Era diventata una persona... completa, unica, amata. Era una Ami Mizuno che non vedeva l'ora di espandersi, di fare.

Sorrise e passò la mano lungo tutta la schiena di Ale-chan, facendogli alzare la coda. «Nel frattempo, studierò medicina. Un giorno diventerò un grande dottore, nessun dubbio.» Sentì il petto che si distendeva, libero. «Ma non c'è fretta.»

 


 

Primo ottobre.

Erano passati trenta giorni da quando Alexander se n'era andato. Ne mancavano ancora trenta prima di risentirlo.

Il periodo di silenzio era ormai a metà del suo percorso.

Nella sua felicità per il tempo di separazione che si riduceva, Ami ogni tanto si ritrovava a guardare l'immensità del cielo.

Il loro era un mondo vasto.

Nella sua mente era vivido il ricordo di ogni respiro che aveva condiviso con Alexander, tanto quanto era grande la sua immaginazione su tutto ciò che lui stava vivendo da solo, in un altro continente. Era quasi come se fosse... un'altra vita.

Era l'esperienza che volevo che avessi.

Vivi e sogna, aveva pensato. Sogna senza limiti e costrizioni, anche senza di me.

Guardava fuori dalla finestra e vedeva così tante speranze e obiettivi, gente che passava e se ne andava.

A volte osservava con indolenza, altre volte con la sensazione di non poter fermare ciò che stava accadendo.

Il mondo avrebbe continuato a girare anche se loro due si fossero allontanati.

Si poneva domande come quelle, senza trovare risposta. Perché continuava a pensare che lui potesse dimenticarla?

Sono una debole.

Quando sentì forte il desiderio di una consolazione illogica, prese una decisione. Caricò Ale-chan nel trasportino. «Facciamo una gita.»

Appena entrò nell'appartamento di Alexander, si sentì meno sola. Lasciò libero il gattino e si guardò intorno.

Uscì a comprare qualcosa per fare colazione la mattina successiva. Servivano anche delle scatolette di cibo e una lettiera per Ale-chan.

Mentre la preparava in bagno, parlò al gatto che esplorava la stanza. «Così avrai un posto per le tue esigenze anche qui.» In fondo, sarebbe stato necessario, se quella sistemazione fosse diventata permanente per entrambi, un giorno.

... stava correndo troppo?

Detestò quel pizzico di insicurezza e la sensazione di prendere decisioni che non sarebbero state gradite.

Era stato Alexander a dirle che poteva venire a dormire in quella casa, da sola o con Ale-chan. Non gli sarebbe dispiaciuta la lettiera per il gatto.

Non gli dispiacerebbe nemmeno se stessi qui per tutto il tempo che lui non c'è.

“Ami love.”

Rivisse un ricordo. Loro due sdraiati, di notte, abbracciati.

“Non te ne andrai domattina, vero?”

“Dobbiamo studiare. Siamo stati insieme per due giorni.”

Lo aveva fatto ridere. “Non te ne andare domattina.”

La sua voce. Il tono morbido, basso.

“Hai studiato?” L'avevano preoccupata i suoi voti.

“Me lo chiedi sempre. Ma quando mai ho preso meno di 90 da quando stiamo insieme?”

L'obiezione era stata sensata. “Hai ragione.”

“Certo.”

La sua arroganza continuava a sembrarle tenera. Aveva avvolto la sua spalla col braccio. “Allora rimango.”

Lui aveva fatto silenzio.

“Non vuoi più?”

“Tu hai studiato abbastanza, vero?”

Le era uscita una risata, dal cuore. “Altrimenti non ti avrei promesso di restare.”

“Hm. Anche se mi hai messo dopo lo studio, non importa.” Le aveva dato un bacio sulla fronte. “Tu devi avere tutti i 100 che meriti.”

“Durante le vacanze vorrò solo te.”

“Ouch.”

Lei si era messa a ridere più forte. Quanta allegria e leggerezza aveva provato nello stare con lui.

“Anche adesso voglio solo te” aveva precisato. “Ma mi sento più rilassata quando non ho qualcosa da studiare.”

Lui aveva fatto scorrere un dito sulla sua nuca. “Un giorno gli esami finiranno.”

Lei si era goduta il tocco, a occhi chiusi. “Già.”

“Quel giorno non te ne andrai più domattina.”

Lei aveva percepito una domanda, incredula. “Mai” aveva detto.

Avevano aumentato la forza dell'abbraccio, di pochissimo. Erano già le loro anime a essere intrecciate.

Quella notte, anche nel presente, Ami riposò nel letto di lui.

 


 

«Ami?»

Quattro ottobre. Era seduta in un tavolino della pasticceria di Makoto, insieme alle ragazze. A una certa ora del pomeriggio c'era sempre scarsa affluenza e Makoto poteva respirare.

Ami guardò Rei. «Cosa c'è?»

«Sei strana oggi. Distratta.»

... aveva fatto un brutto sogno. «Non è niente.»

Makoto arrivò al loro tavolino con un vassoio di pasticcini. «Ecco qui le mie nuove creazioni. Provatele tutte e ditemi quali sono le migliori.»

Usagi si stava leccando le labbra. «Uno per ognuna, di ogni tipo. Ti adoro, Mako-chan!»

Rei aveva l'acquolina in bocca. «Vedo un chilo intero su quel vassoio, solo per me. Lo prenderò sui fianchi con gioia.»

Makoto selezionò un pasticcino con una rosellina sopra. «Devi cominciare da questo, Ami. Ma prima dicci perché sei in pensiero.»

Non poteva nascondere loro nulla. «Ho fatto un incubo.»

«Un sogno premonitore?» si preoccupò Rei.

Ami scosse la testa. La sola idea la faceva sudare freddo. «Era un incubo normale. Mi sono addormentata con la televisione accesa. Il suono delle voci mi ha disturbato.»

Usagi smise di dedicarsi ai dolci. «Che cosa hai sognato?»

Non ricordava come era iniziata. A un certo punto rammentava di essersi ritrovata col mini-computer di Mercurio in mano. In quell'universo onirico aveva messo in atto ciò che non si era permessa di fare nella realtà: si era messa a cercare di nuovo Alexander. Quando lo aveva localizzato, aveva scoperto che lui si trovava in una stanza, con un'altra persona - una ragazza. Lo schema di linee azzurre sullo schermo le aveva restituito l'immagine di due corpi che si avvicinavano.

Aveva assistito a un bacio. Si era svegliata di colpo.

Terminò di raccontare il suo incubo alle ragazze.

«Ma va'!» proruppe Makoto. «Una cosa del genere succederà solo quando i nemici ci batteranno!»

«Esatto» le fece eco Usagi. «Quindi mai!»

«So che è stato solo un brutto sogno...»

«Ma certo.» Rei pativa con lei. «Però quando si fanno incubi di questo tipo viene sempre voglia di verificare subito la realtà, giusto? Il problema è solo che Alexander ti manca.»

Usagi riprese a mangiare. «Fossi in te, lo chiamerei subito.»

Makoto non era d'accordo. «Ami non ha mica paura che sia vero!»

«Che c'entra? Non contano le ragioni, ha voglia di risentirlo. Quando lui ascolterà la voce di lei al telefono, scoppierà di gioia e non gliene importerà nulla del loro accordo.»

Ami si sentì immensamente bene nel sentirlo. Esatto, Alexander avrebbe reagito in quel modo.

“You are my heart, Ami.”

E lui era il suo. Lei non riusciva a pensare ad altro.

Si sentì forte. «Mancano solo ventisette giorni. Devo dimostrargli che posso essere sicura dei nostri sentimenti, anche senza rassicurazioni.»

Makoto stava rivedendo la propria posizione. «Hai già aspettato un mese, però.»

Sì, ma quello che ora le stava facendo paura era esattamente la ragione per cui aveva deciso di lasciargli del tempo per stare da solo. «Alexander sta vivendo un'esperienza fondamentale in America. Ogni giorno che si concentra solo su quella, è un giorno in più in cui acquisisce certezze su cosa lo renderà felice in futuro.».

Quella separazione stava avendo la stessa utilità per lei: più stava lontana da lui, più sapeva di essere stata una sciocca a pensare che il suo avvenire potesse non includerlo. Lui e una loro famiglia, nonché tutta una vita - mille anni interi - da passare l'uno accanto all'altra.

Finalmente era sicura. Finalmente non si sentiva più in colpa per i propri desideri.

Non era egoista, era solo... innamorata.

Rei la osservava, con uno scherno gentile in volto. «Sai, Ami, a volte mi chiedo se per te sarebbe un colpo tremendo ammettere di essere inferiore in qualcosa.»

«Eh?»

«È chiaro che questo periodo di separazione ti sta servendo per rimettere ordine nelle tue priorità. Ma sono convinta che a lui non servisse affatto. Mi sembra un tipo davvero semplice da questo punto di vista: se c'è una cosa che lo soddisfa, non la molla più. Tu invece ne fai una faccenda complicata e non riesci a concepire che per Alexander possa essere stata molto... be', lineare.»

Usagi stava facendo una smorfia. «Ami sa ammettere i propri difetti.»

«Sì, ma tra loro c'è una certa competizione sui talenti che hanno in comune - in questo caso parliamo di perspicacia, e capacità di autoanalisi. Gareggiare è una cosa che vi piace, no? Come col nuoto. Fatichi ad accettare che Alexander sia arrivato tranquillamente a una traguardo che tu hai raggiunto con grande sforzo.»

Sentendo il bisogno che aveva di replicare, Ami si zittì e rifletté sulle parole di Rei.

«È un modo di rassicurarti, sai? Tu devi immaginare che il tuo ragazzo sia lontano, ma ansioso di risentirti e rivederti. Vedrai che tra un mese farete festa.»

Usagi batté le mani. «Devi fare come faccio io quando mi manca Mamo-chan! Penso ai suoi baci, alle sue carezze...»

Makoto la osservava con un sopracciglio alzato. «Ma se non state lontani più di due giorni.»

«E mi fa bene lo stesso! Dormo come una bambina dopo essermi concessa qualche fantasia su di lui. Ah, Ami! Luna vuole sapere dov'è finito Ale-chan. Stamattina lo ha cercato a casa tua.»

«Ehm... l'ho portato nell'appartamento di Alexander con me. Ieri ho dormito lì.» Per la terza notte consecutiva.

«Ohhh!»

Il coro di sospiri la fece arrossire. «È stato lui a darmi il permesso!»

«Ma allora ti stavi già consolando!» Usagi era estatica.

Rei sollevò un dito. Aveva un'idea in mente. «Alexander ha lasciato dei vestiti, giusto?»

«Hm?»

«Prendi una sua maglietta, o qualcosa che abbia ancora il suo odore, e mettila vicino a te quando dormi. Sarà come averlo accanto.»

Era un trucco geniale, e molto intimo. Ami si sentì morire d'imbarazzo.

Il sorriso di Makoto era pronto a rincarare le dose. «Sappi che se poi ti vengono certi istinti, mentre sei sola soletta, lui in America approverà di certo. Specie se poi glielo racconti al telefono.»

Ami balzò in piedi. «Siete delle svergognate!»

Venne sommersa dalle risate.

Avvampò fino alla punta dei capelli. «Vado a casa.»

«Ma no, resta! Devi ancora mangiare i tuoi dolci!» Makoto sigillò le labbra. «Non dirò più niente, giuro.»

Ami si decise a rimanere. Per il resto dell'incontro, sentì il divertimento benevolo delle sue amiche su di sé, ma loro ebbero pietà e non tirarono più in ballo il discorso.

 


 

Sette ottobre. Nove ottobre.

I giorni non passavano mai.

Ami iniziò a trascorrere più notti nell'appartamento di Alexander.

Una sera sua madre le domandò dove andasse quando non dormiva in casa. Ami glielo confessò.

«Non ti sento parlare al telefono con lui.»

Ami scelse di spiegare. «Abbiamo deciso di non sentirci per un po'. È stata una mia idea.»

Percepì l'approvazione di sua madre, e un pizzico di incertezza.

«Lui come l'ha presa?»

«Non era molto contento all'inizio. Poi gli ho detto che secondo me avevamo bisogno di...»

«Riconsiderare il vostro legame?»

A sua madre poteva spiegarlo in quel modo. «Ho pensato che questo viaggio potesse essere un'occasione per stare per conto nostro e capire... cosa vogliamo in futuro, come coppia.»

Sua madre annuì. «Siete giovani e dovete prendere decisioni importanti sul vostro futuro in questi mesi. Lui non deve sentirsi costretto a rinunciare all'America per te. E tu non devi sentirti costretta a seguirlo.»

«Ecco...»

«Intendo dire che è importante non sentirla come una costrizione. Se dopo un periodo di lontananza sentirete ancora di voler stare insieme, potrete fare le vostre scelte con maggiore consapevolezza e maturità.»

Ami si rese conto che sua madre stava pensando a un'eventualità che lei non aveva mai preso in considerazione. «Mi lasceresti andare a studiare in America?»

«Sì, se è quello che vuoi. Non ti devi preoccupare dei costi. Se è quello il posto in cui sarai una persona felice...» La pausa seppe di commozione. «Ti appoggerò in ogni tua scelta.»

Ti appoggerò.

Ami non sapeva perché, ma aveva sempre sentito di dover fare tutto da sola. Invece aveva così tante persone accanto, che la sostenevano e la aiutavano.

«Grazie, mamma.»


 

Tredici ottobre.

Meno diciotto giorni al primo novembre.

Sarai ancora convinto di quello che mi hai promesso?

Le cose saranno ancora come prima, tra noi?

Cercava di dimenticare quelle domande.

Le cose non sarebbero state come prima, incerte. Sarebbero andate meglio. Lei avrebbe abbandonato ogni ritrosia nel ricambiare l'amore di lui. E al suo ritorno, a gennaio...

Voglio andare a vivere con te.

Era un sogno che la imbarazzava per la sua audacia, che la riempiva.

Si era permessa di andare molto oltre. Qualcosa l'aveva animata - forse follia. Un pomeriggio si era ritrovata davanti all'atelier in cui avevano trovato il vestito da sposa di Usagi. In quel posto aveva indossato un bellissimo abito ricamato di fiori, che l'aveva fatta sentire romantica, innamorata, pronta.

Per strada, davanti alla vetrina, si era sentita invadere da un brivido. Era corsa a casa e solo lì si era concessa di singhiozzare.

Ale-chan si era strofinato contro le sue gambe, cercando di consolarla.

«Scusa.» Lo aveva raccolto da terra, abbracciandolo. «Ma perché sono andata in un posto simile? Forse lui non mi vorrà più come prima.» Dopotutto lei lo aveva allontanato, ed era passato del tempo. Magari Alexander aveva scoperto di stare bene anche senza di lei. Forse...

Ma cosa stava pensando?

Lentamente, si era calmata.

Quella notte era ricorsa allo stratagemma di Rei e aveva recuperato una maglietta di lui dal guardaroba. Alexander l'aveva usata la notte prima di partire, una volta sola, per dormire, perciò non l'avevano lavata.

Sdraiata sul letto, voltata su un fianco, Ami chiuse gli occhi, ispirando il profumo dal tessuto.

A Boston stai studiando tante cose che ti piacciono.

Era bello immaginarlo appagato.

Sicuramente, pensi che io qui ormai sia tranquilla.

Infatti. Proprio perciò lei doveva stare serena, anche per lui.

La nostalgia era un sentimento che confondeva.

Prima di dormire, pensò a cose felici. Immaginò cosa gli avrebbe detto il giorno in cui lo avesse risentito, e come avrebbe reagito lui.

Andò più in là nel tempo coi sogni. Era gennaio, erano all'aeroporto. Correvano ad abbracciarsi.

Portò la maglietta al naso. Si addormentò.

La mattina seguente, Ale-chan faceva la pasta sul suo stomaco.

Lei aprì gli occhi, accaldata. Spostò delicatamente il gatto sul materasso, per fermare la stimolazione sul ventre.

Aveva confuso il massaggio dei suoi cuscinetti per delle dita. Appena prima di svegliarsi, aveva sognato che...

Strinse inconsciamente le gambe, richiamando la sensazione di piacere dall'interno del suo corpo.

Perversa, si redarguì, mettendosi a sedere. Le venne da ridere.

«Miao

«Okay, ti do da mangiare.» Il suo amico felino se lo meritava proprio.

 


 

Diciannove ottobre.

Mancavano pochi giorni al compleanno di Minako. L'organizzazione della festicciola a sorpresa che avevano in mente per lei dava ad Ami qualcosa a cui pensare.

Sulla telefonata fatidica che non vedeva l'ora di fare, aveva iniziato a farsi delle domande.

Ma con 'primo novembre', lui intendeva secondo il mio fuso orario, o il suo?

Era una differenza di ben quattordici ore - un'eternità, quando era così vicina al traguardo.

Se aspettava il fuso orario di Boston, forse Alexander avrebbe pensato che lei non aveva alcuna fretta di sentirlo. Sarebbe stato in pena per tutto il tempo, o deluso.

D'altronde, se lei lo chiamava allo scoccare della mezzanotte, ora giapponese, erano le 10 del mattino del giorno precedente in America. Forse lui avrebbe avuto lezione o sarebbe stato occupato con qualcos'altro. Magari non si aspettava di ricevere una chiamata quando il termine non era ancora passato.

Non se la prenderà per questo.

Ami riteneva di no, ma aveva paura di provare a chiamare e non sentire risposta. Avrebbe avuto la sicurezza che per Alexander qualcosa era cambiato se lui non avesse avuto la sua stessa ansia di risentirla.

Il 22 ottobre, nel pieno della sua festa di compleanno, Minako le lanciò un'occhiata e sentenziò, «Lo sapevo!»

«Eh?»

Ami si sentì prendere da parte. Minako la portò in una stanza vuota della casa di Usagi.

«Ti stai concentrando sulle tue fisime! Coraggio, mancano pochi giorni! Se non cambi faccia, sarò costretta a versarti addosso una delle mie gocce d'amore!»

«Scusa» sorrise Ami.

«Adesso andiamo là fuori. Voglio sentirti al karaoke!»

Glielo doveva. «Farò del mio meglio.»

Minako fece per tornare dalle altre, poi si fermò. «Come regalo di compleanno, tra una decina di giorni, voglio essre la prima a cui racconterai tutto. Dovrai dirmi per filo e per segno quanto sarà andata bene la vostra agognata prima telefonata.»

Osservandola, Ami ebbe una curiosità, prettamente impersonale. «Non hai mai avuto alcun dubbio su di noi, Minako?»

Cosa la rendeva tanto sicura dell'esito che avrebbe avuto una relazione sentimentale che non era la propria?

Davanti ai suoi occhi, Minako si fece saggia. «Riconosco l'amore quando lo vedo. Non è uno scherzo, Ami. Non sarei ciò che sono, se non fossi in grado di percepire la forza di un sentimento che non fa neanche respirare quando è sincero.» Le prese le mani. «Non hai bisogno che sia io a dirtelo. Credi in voi.»

Ami ricevette un bacio sulla fronte. Si commosse: il gesto era stato quasi materno.

«Coraggio, torniamo alla festa.»

 

23 ottobre.

Ami rilesse da cima a fondo il libro che aveva ricevuto in regalo per il suo compleanno.

24 ottobre.

Si ricordò di un compito che doveva consegnare il giorno seguente in classe. Completò il lavoro verso mezzanotte, soddisfatta come non era mai stata in precedenza di qualcosa che aveva lasciato da fare all'ultimo momento.

25 ottobre.

Il ruolo che lo studio avrebbe avuto nei successivi mesi della sua vita la colpì come un fulmine a ciel sereno. Se voleva avere del tempo libero da dedicare alle chiacchierate con Alexander, tanto valeva mettersi a studiare tutto il possibile mentre ancora non lo stava sentendo.

Passò le ore del 26, 27, 28 e 29 ottobre sui libri, cercando disperatamente di concentrarsi solo sulle nozioni.

Con tutto quello che stava studiando, avrebbe potuto passare una settimana intera a parlare con lui senza leggere una sola altra pagina.

Sempre che Alex avesse voluto sentirla tanto a lungo.

Il 30 ottobre Usagi le propose un party di Halloween.

«Vieni da me domani, indosseremo dei costumi! Ci saranno anche Hotaru, Michiru e Haruka!» Minako non sarebbe riuscita a venire, ma già lo sapevano.

«Devo tornare a casa prima di mezzanotte.»

«Come Cenerentola! Oh, giusto, devi sentire Alex! A mezzanotte precise?»

«Sì.» Alla fine, aveva deciso che non avrebbe potuto aspettare un minuto di più.

Usagi la salutò, dandole appuntamento per la sera successiva.

 

31 ottobre 1997.

Nel guardare la data completa, Ami si ricordò che conosceva Alexander da quasi due anni.

Lo aveva incontrato in un giorno di novembre.

Lo aveva baciato un pomeriggio di dicembre.

Lo aveva lasciato una settimana prima di Natale.

Cinque giorni dopo lo aveva pregato di perdonarla.

Il 1996 era stato il loro anno più sereno. Il 1997, quello più intenso.

Non le bastava. Lei voleva un altro anno, un altro decennio. Un altro secolo.

Inspirò, scegliendo di ascoltare, per istinto di sopravvivenza, la paura che aveva cercato di dimenticare.

Doveva prepararsi ad affrontarla.

Magari stanotte mi dirai che per te è cambiato qualcosa di importante.

Non pianse.

Alexander poteva aver deciso che una vita in America era ciò che voleva davvero.

‘Ho deciso di rimanere qui. Voglio lavorare alla Nasa. Voglio fare ricerca. Mi hanno proposto una specializzazione che non voglio rifiutare.’

... lei non gliene avebbe fatto una colpa.

‘Ci ho pensato molto, Ami.’

Lo sapeva. Ne era sicura.

I love you. Avrebbe cercato di non dirlo. Gli avrebbe detto che capiva.

Se nonostante tutto lui non avesse voluto troncare la loro relazione... Sarebbe andata a trovarlo. Avrebbe voluto rivederlo. Al resto avrebbe pensato in seguito. Il futuro non aveva importanza.

Se invece lui, dopo aver preso quella decisione, avesse anche voluto lasciarla...

È probabile. Sei sempre stato corretto.

Si appoggiò contro lo schienale della sedia, svuotata.

No, capì. Non sarebbe riuscita a non dirgli che lo amava. Ma proprio per questo gli avrebbe augurato il meglio. Una vita bella, intensa, piena.

Goodbye.

31 ottobre 1997.

Sbattè le palpebre secche, tornando a vedere il calendario.

“Ti amerò per sempre” aveva detto all'aeroporto. “Anche se non torni indietro.”

Quel giorno più che mai, era consapevole che sarebbe stato vero fino al suo ultimo respiro. Qualunque cosa fosse successa.

«Da cosa sei travestita, Ami?»

Il suo costume causava un sorriso in chiunque lo vedeva.

«Sono uno spirito.» Piegò le braccia a uncino davanti al petto, incurvando la testa per mettere in risalto i due cartoncini attaccati alla coroncina in fil di ferro che aveva fabbricato in casa. Sui cartoncini aveva disegnato delle ondine, come quelle che nei manga si usavano per rappresentare gli spiriti.

Makoto si fece una risata.

«Non ho avuto modo di andare a comprare un costume vero.» Si era distratta facendone uno in casa, con un vecchio lenzuolo e strumenti da cartoleria. Come per le feste scolastiche, quando era stata una bambina.

«Sei adorabile!»

«Grazie.»

«Devo farti una foto, così anche Alex un giorno potrà vederti!»

Ami riuscì a non formare alcuna espressione.

Makoto intuì ugualmente il suo stato d'animo. «Ragazze!»

Le raggiunsero Rei e Usagi - rispettivamente una diavolessa e una fata. Haruka, Michiru e Hotaru non erano ancora arrivate.

«Cosa?»

«Formiamo un cerchio attorno a Ami.»

Le sue amiche non chiesero nemmeno il motivo: la circondarono, le loro braccia sulle sue spalle.

«Questa notte andrà tutto bene, Ami-chan» disse Makoto.

Ami non si azzardò a parlare. Le era cresciuto un magone in gola.

Usagi strofinò la testa contro la sua tempia. «Lo risenterai e sarà... bellissimo.»

Ami chiuse gli occhi.

Rei le liberò la fronte dai capelli. «Svaniranno tutta l'incertezza e l'attesa di questi due mesi.»

Lei si riempì l'animo delle loro rassicurazioni.

Makoto non resistette più e l'abbracciò forte. «Non riesco a vederti triste! Come puoi esserlo?»

«Mi sto solo... Voglio essere preparata se lui mi dirà che...»

«Non succederà.» Usagi scuoteva la testa.

Rei incontrò i suoi occhi. La comprese meglio di tutte quando disse, «Se per qualunque motivo vorrai parlare con noi, dopo che lo avrai sentito, io starò sveglia tutta la notte ad ascoltarti.»

Ami si sporse verso di lei. Finì racchiusa tra le sue braccia, lasciandosi sostenere.

Usagi stava trattenendo le lacrime. «Perché siamo infelici prima del tempo?»

Ami sentiva la carezza della mani di Rei sulla nuca. Fu lei a dare voce ai suoi pensieri. «Perché nella realtà una persona non rinuncia a tutta la vita che conosce solo perché è innamorata. Il tempo passa, i sentimenti si affievoliscono. La lontananza separa. Le persone cambiano.»

Non lei. Quello che provava non sarebbe mai sparito.

Tornò dritta e Rei chinò la testa, per farsi guardare. «Ma io sono convinta, con tutto ciò che sono, che la tua sarà una favola, Ami. Questa storia finirà in lacrime solo perché saranno di gioia. Tu meriti tutto l'amore del mondo.»

Ami sentì una scia umida sulla guancia.

Non importava cosa meritava, contava ciò che aveva: delle amiche splendide. Erano sorelle. «Vi voglio bene.»

Le fece commuovere tutte, queste persone che amava e che non la lasciavano mai sola.

Amore.

Esisteva in molte forme. Lei voleva aprirsi ad ognuna di esse. Non voleva più fuggire, né nascondersi.

Qualunque cosa fosse successa...

Non torno indietro.

 

Undici e cinquanta, dieci minuti alla mezzanotte.

Seduta sul suo letto, Ami guardava il foglietto col numero da chiamare. Lo aveva imparato a memoria.

Era andata in bagno, aveva bevuto un bicchiere di latte per calmarsi.

Non si era mai sentita in quel modo in vita sua: man mano che si avvicinava il momento, l'ansia cresceva insieme alla sua fervida attesa. Voleva risentire la voce di Alexander. Non le importava nemmeno di cosa lui avrebbe detto, voleva solo risentirlo.

Devi essere a casa, rispondimi.

I love you.

I love you.

Voglio che andiamo a vivere insieme. Voglio avere il nostro bambino. Voglio che ci sposiamo.

Rischiava di dire tutte quelle cose nella prima frase.

Rise, l'istinto di piangere che scappava sempre più lontano.

Dentro di sé sapeva la verità.

Questo è il giorno in cui finiranno le sciocchezze per cui ti ho fatto soffrire.

Chissà come gli era andata a Boston?

Presto avrebbe saputo come si era trovato, che cosa aveva fatto.

Lo avrebbe risentito.

Sei l'altra metà di me, per questo mi sento instabile senza di te. Ma in quei due mesi, nonostante tutto, era cresciuta. Ora era la persona che poteva sostenerlo a pieno titolo, per un altruismo sincero che non derivava da timori nascosti.

Due minuti alla mezzanotte.

Rigirò il cordless tra le mani.

Il suo animo era talmente pieno che elaborò dei versi.

`E quando lo risentì, sparì l'oceano che li separava e i mesi in cui erano stati lontani. Fu come averlo accanto, e avere sulla pelle il suo respiro.`

Sorrise. Aveva ripreso la struttura della frase dal libro che lui le aveva regalato, ma erano parole vibranti che traboccavano da lei. Le avrebbe recitate al suo unico amore, senza vergognarsene.

Meno trenta secondi.

Tremando, si preparò a comporre il numero con le dita.

Allora, prefisso 001, poi 617. Guardò l'orologio, in attesa, per iniziare a premere i tasti solo quando il contatore dei secondi fosse arrivato almeno a cinquant-...

Un trillio esplose nella stanza.

Ami guardò incredula il telefono. Il suono dello squillo si stava perdendo nell'aria.

Col cuore in gola schiacciò subito il tasto di risposta, quasi sbattendo la cornetta contro l'orecchio.

«... pronto?»

«Ami.»

Le uscì un lamento. «Alex!»

Non riuscì a formare una sola altra parola: scoppiò a piangere, lacrime su lacrime a inondarle la faccia.

«Ah, love, don't cry.»

Provò a rispondergli, ma i singhiozzi glielo impedivano, per la ragione migliore che potesse esistere: felicità pura. Mai nella sua vita si era sentita così...

«Per me non è cambiato niente, Ami. Dimmi che per te è la stesso.»

«I love you!» Si costrinse a deglutire. «Sono stata una stupida! Ogni giorno ho pensato a te.»

La risposta di lui fu un sospiro. Lei provò la sua stessa pace.

Rise, ancora pianse, ma era solo per gioia. «Come stai?»

«Non sai quante cose ho da raccontarti.»

Lei si abbandonò sul cuscino. «Anche io.»

Lo sentì ridere - una cosa così bella. «Hai scoperto nuovi teletrasporti?»

No, aveva scoperto una Ami nuova - grazie a lui, per lui. «Prima voglio sentire tutto quello che ti è successo. Non facevo che immaginarlo.»

«Io non facevo che immaginarti da sola, love.»

«Non lo ero.» Non lo era mai stata, comprese. In nessun momento.

Fu come sentire l'ultimissimo tassello di sé che andava finalmente al proprio posto. «Eri con me.» Lui l'aveva pensata per tutto il tempo.

«Sì. Ma sono riuscito a studiare un po'.»

Lei sorrise e inspirò a fondo, smettendo di piangere. «Raccontami.»

Ascoltò, non seppe per quante ore. E parlò, per buona parte della notte.

Quel giorno finirono la sua attesa, i suoi incubi, le sue paure.

Quel giorno cominciò il suo nuovo mondo.

 


Settembre/ottobre 1997 - Separazione e... - FINE

 


Note: Piango di commozione per essere riuscita a raccontare questa lunga vicenda di Ami e Alexander, che finalmente ha avuto fine. Da questo momento in poi, solo leggerezza in questa raccolta! :) Nel prossimo capitolo leggerete anche di Shun e Arimi (Alexander li ha incontrati spesso). Tornerò al punto di vista di lui, dato che Ami - infine, di nuovo, clap clap, Ami-chan - ha messo da parte le sue fisime. Proprio per questo, la vedrete comportarsi anche in maniera più, ehm, disinibita.

Grazie di essere qui a leggere e se vorrete dirmi cosa ne pensate, sarò felice come Ami in questo capitolo (quasi :D).

Elle

Gruppo Facebook dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

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Capitolo 15
*** 3/4 novembre 1997 - A Boston, in America ***


per istinto e pensiero

 

Per istinto e pensiero

di ellephedre

 

3/4 Novembre 1997 - A Boston, in America

 

In tre giorni probabilmente Alexander aveva speso più di cento dollari in chiamate intercontinentali, ma non se ne pentiva.

«Da quanto stiamo parlando?» gli domandò Ami.

«Quattro ore.»

«Da te sono le due del mattino. Non devi andare a dormire?»

«Posso resistere ancora un po'.»

Udì un sorriso. «Vorrei lasciarti riposare, ma... mi sei mancato così tanto. Sento che non finirò mai di avere cose da dirti.»

«Parla fino a domattina, love. Per te passerò la notte in bianco.»

«Sarebbe la seconda notte.»

Lei si preoccupava troppo. «Tu oggi non sei mancata a lezione per stare al telefono con me?»

«... sì. Non ha importanza, ho studiato molto in queste settimane.»

Risentirla dopo due mesi era come respirare di nuovo. Ami era diversa: più affettuosa, meno timida, pronta a dirgli tutto quello che le passava per la testa, soprattutto quando si trattava di quello che provava per lui.

«Yamato non ha il sonno leggero, vero?»

«Solo quando Arimi piange. Per quanto lo riguarda posso rimanere in piedi tutta la notte, basta che la bambina non si svegli.»

Ami rise piano. «È così bello che tu stia vivendo a casa sua. Avresti dovuto pensarci subito.»

Alexander concordava. «Non volevo autoinvitarmi, pensavo che Shun avesse la sua vita. Ma alla fine aveva bisogno di una mano. Mi trovo bene qui e risparmio anche il costo dell'alloggio.»

«Quando verrò in America voglio stare con voi per qualche giorno.»

«Certo. Ti farò vedere il campus e tutta Boston.»

«Poi New York, vero?»

«Hm-hm. E Washington, se ti andrà. Ci muoveremo in auto da una città all'altra.»

«Hai già modificato il tuo biglietto aereo? Devo prenotare lo stesso volo per tornare indietro con te.»

Giusto. «Ho chiamato oggi l'agenzia. Un attimo, cerco i dati del nuovo volo.»

Ami fece silenzio. «Ale-chan si sta strofinando tra le mie gambe.»

«Si prende quello che spetterebbe a me solo perché porta il mio nome.»

Lei si divertì. «Ha fame, è quasi ora di pranzo. Vado ad aprirgli una scatoletta.»

Alexander annuì, mentre inginocchiato sfogliava i fascicoli di documenti che aveva radunato. 

«Alex?»

«Sì?»

«Potrò restare qui quando tornerai? Intendo, in questo appartamento?»

Che domanda era? «Ovvio.»

«Voglio dire... senza andare più a dormire a casa mia. Porterei qui le mie cose.»

Per un attimo lui si immobilizzò. Se solo lei avesse potuto vedere la sua faccia... «Sì, love. Sì. Vieni a vivere con me.»

Ami rilasciò un suono. Felicità. «Scusa se sono stata sfacciata. Però-»

«Non dirlo. Ti amo e non voglio più stare lontani. Te lo avrei chiesto io.»

Lei emise un sospiro spezzato. «In questi giorni mi sto allenando a gestire la casa. Ma già vivevo per metà del tempo da sola a casa di mia madre, perciò...»

«Ti vorrei anche se fossi disordinata.»

«Sei tu il disordinato» sorrise lei. «Ma io metterò a posto tutto quello che lasci in giro. E comprerò qualche libro di ricette, o chiederò a Mako-chan, perché so che quello che cucino di solito è troppo leggero per te.»

Lei parlava di una vita domestica che gli stava facendo scoppiare il petto dal desiderio di iniziarla subito. «I love you.»

«Me too. Terribly.»

Se solo avesse potuto abbracciarla...

Al telefono udì lo squillo di un apparecchio. Il computer di Mercurio.

«Qualcuno mi chiama. Un attimo.»

Alexander rimase in linea mentre Ami rispondeva, la sua voce chiara nell'aria.

«Ciao, Artemis.»

«Ami-san! Sei a casa questo pomeriggio?»

«No, mi trovo nell'appartamento di Alexander. Volevi venire a prendere Ale-chan?»

«Cercavo te. Ho una cosa da darti. Un regalo.»

Alexander sollevò un sopracciglio.

«Grazie mille.»

«Ti piacerà molto, Ami-san. Mi sono impegnato!»

Da quando il gatto Artemis offriva doni alla sua ragazza?

«Scoprirò cos'è quando me lo porti?» domandò lei.

«No, posso dirtelo adesso. Ho costruito due nuovi comunicatori che sfruttano il potere di Mercurio.»

«Due?»

«Presto darò i loro alle altre ragazze. Ho fatto i tuoi per primi perché è stata la tua situazione a ispirarmi. Ho aggiunto uno schermo più grande, di 4 pollici per 3. Niente più tastiera, ha un solo pulsante e gli altri comandi si attivano con uno stimolo tattile sullo schermo. Ho letto che stanno inventando qualcosa di simile e io ci sono arrivato per primo!»

Quel gatto era un genio, pensò Alexander.

«Il secondo computer sarà per Alex, quando torna?»

«Veramente... Mi sono permesso di contattare Haruka e Michiru negli Stati Uniti. Sono pronte a venire qui a prendere il secondo comunicatore. Se al tuo ragazzo va bene, possono portarglielo dove sta adesso in America, così tu e lui potrete vederv-»

Alexander saltò in piedi. «Quando possono venire?!»

Artemis sentì la sua voce. «Alexander-san?»

Ami stava ridendo piano. «Era al telefono con me. Davvero Haruka e Michiru possono farci questo favore?»

«Hanno detto che non è un problema. Dovete solo organizzarvi.»

«Le chiamerò io» dichiarò Ami. «Artemis, ti raggiungo ovunque ti trovi questo pomeriggio. Un grazie non è abbastanza.»

«È stato merito di Minako. Io ho pensato allo schermo più grande, ma è stata lei a dirmi che dovevo farne due per te. Non ti ha detto niente finora perché volevamo prima essere sicuri che ci sarei riuscito.»

Alexander aveva solo poche parole per loro. «Li amo. Tutti e due.»

Artemis rise. «Ti ho sentito. La vostra felicità è la mia ricompensa.»

Per Alexander non bastava. Doveva pensare a un regalo fuori da ogni proporzione, sia per lui che per Aino.

Ami concluse la chiamata e tornò al telefono. «Potrò vederti! Solo su uno schermo, ma...»

Alexander aveva fatto un passo oltre con l'immaginazione. «Ami... E se chiedessi a Kaiou e a Tenou di portarmi in Giappone per il weekend?» Era disposto a inginocchiarsi per il disturbo.

Ami iniziò a respirare veloce. «Co-come spiegheresti a Yamato dovei sei andato?»

Giusto. Poteva mentire sulla destinazione, ma Shun aveva sempre bisogno di una mano per Arimi. Alexander si era trasferito a casa sua con la promessa di esserci per le emergenze e Shun aveva parecchio da fare con l'università. Come lui, d'altronde. Aveva in ballo almeno due lavori di gruppo per quel fine settimana. «Potrei venire per mezza giornata» tentò. God, anche solo qualche ora con lei sarebbe stata...

Ami non stava dicendo nulla. «Alex... verrei io da te se entrare in un teletrasporto non richiamasse Mercurio su di me. Però... se ti vedessi, se ti toccassi... Per così poco tempo...»

... già. Se fosse andato in Giappone a trovarla solo per qualche misera ora, non sarebbe riuscito a tornare indietro. Non avrebbe più voluto, finché non si fosse saziato di lei - una cosa impossibile. «Rimarrei lì incollato a te.»

La sentì sorridere - un divertimento mesto. «Penserei solo a quando posso rivederti per i prossimi due mesi. Credo che potrei persino chiederti di... di restare, abbandonando tutto.»

Lei non aveva idea di come una cosa che la faceva sentire in colpa in realtà rendesse lui immensamente felice. Quel piccolo segnale di egoismo era la dimostrazione di un amore che non aveva più limiti.

«Ti vedrò con quel comunicatore» le disse, rassegnandosi alla sofferenza.

«Credo che ora sognerò l'altra possibilità.»

Mai quanto lui. «Mancano meno di cinquanta giorni perché diventi realtà. Resisterò solo perché poi non ci lasceremo più.»

Seppe che Ami stava annuendo all'altro capo della cornetta. «Devo andare da Artemis.»

«Sbrigati.»

«Tu dormi. Sarai stanco.»

«Di' a Tenou e Kaiou che posso muovermi all'ora che vogliono loro.»

Lei sorrise. «Staranno dormendo, si trovano nel tuo stesso fuso orario. Le chiamo domattina. Mi inchinerò di gratitudine anche per te.»

«Ne verrà la pena.»

«Ciao.»

«Ciao.»

Riattaccarono in fretta. Avevano imparato che se aggiungevano un appellativo appena più dolce o un altro saluto, la chiamata poteva continuare per un'altra mezz'ora.

Alexander guardò il soffitto.

... avrebbe rivisto il viso di Ami. Forse già il giorno seguente.

Si sdraiò sul letto e crollò a dormire felice.

 

«Che occhiaie» commentò Shun, vedendolo entrare in salotto per la colazione.

Alexander si appoggiò al bancone, sbadigliando. «'morning.»

Udì un gorgoglio acuto. Ah, si era dimenticato di salutare qualcuno. «Hello, little girl!»

Arimi Yamato ridacchiò sentendo il solletico delle sue dita sulle guance paffute. Si agitò allegra nel seggiolino. «Hi!»

A lui quello sembrava un 'ciao' inglese in piena regola, ma Shun insisteva sul fatto che quella non poteva essere la prima parola di Arimi. Era convinto che a dieci mesi fosse presto per sentirla parlare con coerenza.

«Sei stato al telefono tutta la notte?»

Alexander stiracchiò le braccia. «Fino alle due e mezza. Ti devo almeno trenta dollari.»

«Non farmi passare per tirchio.»

Come se non lo avesse visto digrignare i denti al pensiero delle chiamate intercontinentali tra lui ed Ami. «Tra poco il costo non ricadrà più sulla tua bolletta.»

«Hm?»

«Comprerò una di quelle schede con ricarica inclusa, così sarà più semplice controllare quanto spendo.»

«Come vuoi.» Shun sorseggiò dal proprio caffè. Gliene passò una tazza piena. «Con Ami siete ancora nella fase delle smancerie?»

«Dopo due mesi di silenzio...»

Shun rimuginò. «Per te è tutto a posto, allora? Anche se è stata una sua idea non sentirvi?»

Non aveva mai convinto Shun con la spiegazione incompleta di quello che era successo tra lui ed Ami. Non poteva dirgli tutta la verità. Allo stesso tempo non aveva voluto mentirgli, dichiarando che stava sentendo Ami quando non era vero. Sarebbe stato difficile ingannare Shun anche se non avessero convissuto da un mese a quella parte. 

«Ami è cambiata. Stanotte ha detto che vuole venire a vivere con me.»

Shun sgranò gli occhi. «In Giappone?»

«Sì.»

«Dopo che ti ha torturato poteva almeno prendere in considerazione l'idea di trasferirsi qui.»

«Non arrabbiarti al posto mio.»

«Tu sai che ho sempre pensato bene di Ami-san. Ma decidere di non parlarti per due mesi... Non me lo sarei aspettato da lei. È un giochetto psicologico, un dramma inutile.»

«Ami se n'è pentita appena me ne sono andato. Lo sapevamo già tutte e due, all'aeroporto. Avrei potuto chiederle di ritirare tutto e lei sarebbe stata d'accordo. Non sono pentito di non averlo fatto. Avevamo bisogno di questa separazione. Qualunque dubbio fosse mai esistito dentro di noi riguardando alla nostra relazione, è sparito completamente. Non eri tu quello che diceva che esageravo nel fare tutto quello che voleva lei? Ora è diverso.»

Il suo amico evitò di dire quello che aveva in mente.

Alexander udì ugualmente l'obiezione. «Tornerò in Giappone perché è quello che voglio io. Non lo faccio per paura. Ormai sono sicuro che anche se stessi via per anni, Ami mi aspetterebbe.»

«Continuo a non capire perché lei non può raggiungerti qui, dove tu hai la possibilità di specializzarti nella migliore università del mondo. Varrebbe lo stesso per lei con medicina.»

Su quel punto Alexander doveva fingere una saggezza senza valide spiegazioni. «Saremo felici in Giappone. È una vita che non vedo l'ora di iniziare.»

Shun lo scrutò. «Non è che avete fatto di nuovo sesso senza precauzioni e questa volta lei è davvero incinta?»

Alexander scoppiò a ridere. «Te lo avrei detto subito!» Bevve il suo caffé.

«Magari lei non ha ancora avuto il coraggio di rivelartelo. Così ha un senso, non vedi? Ti ha sottoposto a questa stupida prova del silenzio perché voleva assicurarsi che, avendo campo libero, tu non scegliessi di allontanarti. Ami-san è il tipo capace di prendersi cura di un bambino da sola, se crede che coinvolgerti ti bloccherebbe.»

«Hai cominciato a guardare soap-opera americane?»

Shun gli lanciò uno sguardo di fuoco mentre si sistemava accanto al seggiolino, in mano un omogeneizzato fatto in casa - da Agatha, la tata di sua nipote. Iniziò ad imboccare Arimi. «Non ti stupire se salta fuori che è la verità.»

«Sei fuori strada.» Ma Alexander voleva essere sincero con lui, ora che poteva. «Io ed Ami stanotte abbiamo parlato di andare a convivere, ma io voglio di più. Entro il prossimo anno ci sposeremo. E per il prossimo Natale lei potrebbe essere davvero incinta. Vogliamo un bambino.»

«Ehi, ehi!» Shun era incredulo. «Chi ti corre dietro?»

«Nessuno.»

«Perché vuoi fare tutto così in fretta? Ti senti già tanto adulto?»

Guardando Arimi e sapendo quello che Shun aveva passato con lei, Alexander esitò a parlare. «La mia non è arroganza, è una sensazione di... pace. It's just right. Non vedo l'ora che io ed Ami arriviamo a fare insieme tutti questi passi.»

Shun aggrottò la fronte, strofinandosi gli occhi. «Alle sette del mattino è troppo presto per questi discorsi. Anche per essere rincitrulliti dall'amore.»

Alexander sorrise. «Ami verrà a trovarmi qui appena finite le lezioni. Gireremo per la East Coast, ma prima vuole vedere te e Arimi. Potremmo passare il Natale insieme, che ne dici?»

«Sembri una pubblicità natalizia. Siamo appena il 4 novembre.»

Si era dimenticato che di mattina era difficile trovare Shun di buon umore. «Be'... avrai il tempo di vederci insieme e verificare che non mi è partito il cervello.»

«Solo perché sono un signore non dico che lei ti sta comandando per una parte del tuo corpo si trova molto al di sotto del petto.»

«Ha-ha. Lo hai detto.»

Shun scrollò le spalle. «E sta usando una certa parte del suo corpo per intrappolarti come una specie di mantide religiosa che-»

«È meglio che stai zitto» lo interruppe Alexander. «Perché invece io non ho problemi a dirti che dovresti farti una sana scopata per non avere più quel palo piantato su per il-»

«Ehi! C'è Arimi!»

Chiudendosi la bocca a forza, Alexander sollevò il braccio, il gomito piegato, per mostrare a Shun il dito medio.

Il suo amico spalancò la bocca. Fottiti! mimò in risposta con le labbra.

Alexander andò in camera sua a vestirsi. «È quello che stavo consigliando di fare a te.»

 

Per il resto del giorno per Alexander non fu semplice concentrarci. Ce l'aveva ancora Shun, anche se capiva la ragione dietro il suo atteggiamento.

«Mr Foster. What's your answer for this?»

Si riscosse, rispondendo al richiamo all'attenzione del suo professore. «I have it right here.» Diede la risposta che aveva segnato sul foglio. Lasciò perdere la questione Shun per altri lunghi minuti, continuando ad esporre la sua soluzione riguardo al problema di fisica per il quale era stato richiesto a tutti di creare un approccio originale. L'idea era quella di mettere in pratica la soluzione trovata, ingegnandosi per costruire nella realtà lo strumento necessario. Era una gara, e avrebbe vinto chi ci fosse arrivato più vicino. 

In Giappone si sarebbero limitati a essere soddisfatti di una risposta teorica che non sarebbe mai uscita dalla carta. Non si era mai sentito tanto sfidato come in quelle settimane, in quell'università.

«Good. Interesting. Vedremo se riuscirà a tirarne fuori qualcosa di concreto.»

Lui ne aveva tutta l'intenzione.

A fine lezione il suo vicino di posto, John McCornack, si sporse nella sua direzione. «Senti, vorrei fare gruppo con te.»

Alexander sorrise. «Non credi abbastanza nella tua idea?»

«Credo che la tua sia più ambiziosa. Siccome qui non stiamo giocando, se la facciamo funzionare tra qualche anno potremmo portarla sul mercato. Prevedo soldi.»

Sì, la sua idea aveva un potenziale di guadagno più elevato. «Ti abbasserà la media non concentrarti sulla tua soluzione.»

«So guardare oltre.»

Il ragazzo che stava davanti a loro, Kwan Hu, aveva prestato attenzione alla loro conversazione. «Vi serve una terza persona. Io ho una specializzazione in ingegneria. Voi no, giusto?»

Era esatto. «Okay, ci lavoreremo insieme.» Fece no con la testa in direzione di una quarta persona che aveva pensato di unirsi al loro team.

Quella classe era un concentrato di personalità ambiziose, opportuniste e geniali. Forse sarebbe stato utile avere più di tre menti al lavoro per sviluppare l'idea che aveva avuto, ma per la prima volta in vita sua - per la seconda in verità, al di fuori di un gruppo di semi-dee Sailor - sentiva che poteva non essere capace di tenere le redini di una situazione. McCornack e Hu erano in grado di sovverchiarlo se non dimostrava di essere avanti a loro in ogni punto del progetto.

Mentre si formavano altri gruppi, Hu si caricò la cartella su una spalla. «Stasera birra al pub? Così impostiamo il lavoro.»

Quanto era diverso quel luogo dal Giappone: unire alcool e studio era impensabile da dove veniva. «Posso rimanere fino alle dieci.»

McCornack li precedette sulle scale. «Poi prometti orari più flessibili? Altrimenti stiamo parlando del nulla.»

«No problem. Questo progetto avrà la priorità.» Erano solo altri due mesi della sua vita, e ricordò perché Ami era stata saggia a non incitarlo ad andare da lei. 

Hu gli diede una spallata leggera, non per caso. «Senti, quella tizia che ti girava intorno... Reed, giusto? Per caso ti ha lasciato il suo numero?»

«Non dovresti chiederlo a lei?» Per quanto non consigliasse a nessuno di frequentarla: quella tizia era pazza.

«Volevo solo una mano. Per le ragazze siamo tutti bros, right?»

McCornack era dubbioso. «Non passo dove ha pascolato un altro. Te la sei fatta?»

Alexander rilasciò uno sbuffo. «No.»

«Come on. Pensavo fosse per questo che ce l'aveva con te. Perché l'avevi usata e mollata.»

«Sai quando uno non vuole parlare con una persona, e quella insiste, e si mette nel tuo cammino fino a costringerti a spostarla di peso? Reed è peggio. Non è la prima che si sia interessata a me, ma il suo rifiuto di accettare un no era patologico. È un molestatore al femminile.»

«Uhò! Che ti ha fatto?»

Preferiva non parlarne. «Vi ho avvertito.»

«Hm. Per quel paio di gioielli che si ritrova sul petto...»

McCornack fece schioccare la lingua. «No, amico, dài retta. Ha ragione Foster, una che si comporta così è una piaga. Pensa a quando vorrai chiudere con lei.»

Alexander li lasciò ai loro discorsi di donne. «A stasera.»

  

Seduto in biblioteca, dopo aver mangiato un panino comprato nell'unico locale che ne servisse uno decente nelle vicinanze, fissò il telefono portatile che aveva appoggiato sul tavolo. Aveva voglia di parlare con Ami, ma da quell'apparecchio avrebbe speso un capitale.

Voleva dirle di Shun. Voleva anche parlarle degli orari delle loro chiamate nelle prossime settimane, poiché non si sarebbero potuti sentire tanto quanto in quei giorni. Glielo aveva già anticipato, ma ascoltare McCornack che gli ricordava quanto sarebbe stato impegnativo il lavoro lo aveva messo di malumore.

Due mesi soltanto. E a me piace stare qui.

Se Ami avesse potuto raggiungerlo, sarebbe stato un mondo perfetto. Tuttavia, lo era anche il loro mondo in Giappone, dove avrebbe avuto una vita con lei e sarebbe riuscito a trovare il modo di sviluppare le idee per cui stava mettendo le basi in quei mesi negli States. La tesi era già finita, perciò avrebbe avuto tempo libero dopo il lavoro. Un po', almeno. Sarebbero state poche ore al giorno, che avrebbe voluto dedicare solamente ad Ami.

Fissò il soffitto della caffetteria in cui si era seduto.

Alla fine aveva scoperto che lei aveva un briciolo di ragione su una delle paure di cui gli aveva parlato prima di partire. Solo trovandosi in America lui aveva sentito di non essere ancora pronto ad abbandonare la sua vita da studente, proprio ora che aveva scoperto quanto potesse essere ancora esaltarlo.

Ovviamente anche lavorare poteva essere interessante, ma la società finanziaria che lo aveva assunto in estate non gli aveva offerto le stesse sfide, ed era proprio nei loro uffici che lui intendeva tornare. Lo stipendio era troppo allettante.

Non era una tortura stare con loro, non si annoiava, ma lavorare con loro non lo avrebbe reso felice quanto sviluppare un progetto di fisica. Avrebbe potuto puntare ad un altro impiego se non si fosse messo in testa di mantenere una famiglia.

Rimuginò.

Alla fine, quel periodo della sua vita difficilmente si sarebbe protratto per più di due anni. Dopo sarebbero venuti Usagi, Mamoru, e il loro regno. Eppure, non era piacevole scoprire di avere un minimo rimpianto. Avrebbe preferito non saperlo.

Aveva ancora delle possibilità, no? Poteva sempre provare a trovare un lavoro diverso in Giappone, più adatto a lui. Non sarebbe stata Ami a costringerlo in un impiego per denaro. A lei non importava dei soldi, era frugale. E lui... Forse poteva imparare a vivere con meno. Tutto quello di cui aveva bisogno era lei.

Riprese a bere il suo tè del pomeriggio - un abitudine che faceva parte del suo essere giapponese.

Con un cenno della testa salutò un compagno di corso che stava passando per i corridoi della biblioteca.

Doveva raccontare ad Ami di Reed? Si era ripromesso di dimenticarsi di quella storia, ma alle domande di lei sulle persone che aveva incontrato in America, un paio di volte gli era venuto in mente anche quell'esperienza poco piacevole. Si era trattenuto dal parlarne.

Provava un poco di vergogna, come se avesse fatto qualcosa per attirare quel genere di attenzioni. Non era così, ma forse era questo il gioco delle persone come Reed - maschi o femmine che fossero. Facevano sentire accerchiate le loro predere e continuavano a ripetere che erano state loro a incitare tanto interesse.

Quella vicenda era durata... una decina di giorni? Joanna Reed si era presentata al tavolo del pub in cui lui aveva avuto la sfortunata idea di sedersi da solo, sbattendogli in faccia le tette strizzate in un top fuori stagione nei primi freddi autunnali di settembre. «Ciao!» gli aveva sorriso, maliziosa. 

Lui aveva alzato il libro che stava leggendo, per farle capire che era occupato. «Ciao.» Aveva giudicato chiusa la conversazione, tornando ad assaggiare i suoi primi sorsi di birra americani.

«Tutto solo, hm? Come ti chiami?»

«Non interessato. Scusa.»

«Uh, come sei acido! Non riesco a credere che io e te non possiamo trovare qualcosa di interessante di cui... parlare. O da fare.»

In quel momento l'aveva lievemente ammirata per la sua audacia, ma non per questo era stato meno infastidito dalla sua insistenza. Le aveva detto una sola parola, non in inglese.

«Cosa vuol dire? Che lingua è?»

«Giapponese. Significa sempre 'Non interessato'. Magari in un secondo idioma lo capisci.»

Le era passato un lampo d'irritazione negli occhi. «Fai il difficile.»

«Mi sono limitato a dire no.» Fu ancora più schietto. «E ora addio.»

Si era convinto di essersi liberato di lei, ma non gli era sfuggito il fatto che Reed si fosse seduta al tavolo accanto al suo con un altro ragazzo, alzando apposta la voce per farsi sentire mentre flirtava. Anche il suo tono di voce era fastidioso.

Noncurante, Alexander aveva finito la propria birra e se n'era andato.

Due giorni dopo aveva scoperto che una bionda chiedeva in giro di lui. Tre giorni dopo quella prima serata al pub, si era ritrovato Reed fuori dalle porte della sua aula.

«Ciao!»

Era rimasto interdetto solo per un attimo. Poi l'aveva ignorata, passando oltre.

«Come on, aspetta!»

Sentirla attaccarsi al suo braccio lo aveva costretto a scostarsi. «Ehi!»

Il tono duro non l'aveva scoraggiata. «Ciao di nuovo. Ora conosco il tuo nome, Alex.»

Tutta quella confidenza, e il tono mellifluo, lo avevano disgustato. «Hai qualcosa che non va nella testa?»

«Mi chiamo Joanna. Joanna Reed.»

«Non ti voglio conoscere. Stammi lontana.» Aveva fatto per andare via.

«Se non ti fermi faccio una scenata.»

Si era voltato verso di lei, attonito.

In quel suo sorriso qualcosa non andava. «Mi piaci, sai? Anche con questi modi bruschi. Mi eccitano. Dài, un'uscita sola.»

Lui l'aveva guardata in faccia, cercando altri segni di follia nel suo sguardo. «Urla, se vuoi. Abbiamo cento testimoni intorno, non ti ho fatto niente. Sembrerai pazza da sola.»

Se n'era andato sentendosi addosso la sporcizia in cui lei aveva cercato di trascinarlo.

Quando gli aveva raccontato dell'episodio, Shun era stato d'accordo con lui. «Quella ha qualche rotella fuori posto. Sa di... viscida.»

Era la parola esatto.

«Avevo sentito parlare di donne così, ma pensavo che non esistessero.»

Lui avrebbe preferito rimanere in quella convinzione. Una volta che si era sfogato non aveva più pensato a Reed, finché, passati altri due giorni, lei non si era presentata nella sua classe, nel bel mezzo della lezione. 

«Scusi, professore!» Dopo essere entrata senza bussare, era andata al centro dell'aula, sorridendo in modo così naturale che il professore si era mostrato disposto ad ascoltarla.

«Cosa c'è, signorina?»

«Lei ha un animo romantico, vero? Sono venuta a salutare il mio ragazzo per il suo compleanno. Auguri, tesoro!» Aveva lanciato un bacio in aria. Incredulo, Alexander aveva visto che era diretto a lui.

La classe, composta prevalentemente da ragazzi, aveva lanciato fischi di apprezzamento.

Lui era riuscito a condensare in un'unica occhiata astio e disinteresse. Chi lo aveva guardato aveva capito che non sapeva di cosa lei stesse parlando, e che probabilmente neppure si conoscevano. Senza tener conto della sua reazione, Reed era corsa verso la fila in cui era seduto, passandogli un bigliettino. «Il tuo regalo!»

Appena se n'era andata, nel silenzio generale, lui aveva avuto la tentazione di distruggere subito il foglietto, poi qualcosa lo aveva convinto a guardare. Una persona come quella era pericolosa, non poteva ignorare completamente le sue mosse. Aprendo il biglietto aveva visto un numero di telefono. Lo aveva appallotolato nel pugno, gettandolo con noncuranza nel cestino più vicino. 

Due giorni dopo ancora, si era diretto, stanco, nella camera che aveva affittato al dormitorio degli studenti. Entrando, aveva scoperto che la porta era aperta. 

«Bentornato.»

«Shit!» Gli era preso un colpo.

Reed aveva acceso la luce, seduta accanto al letto del suo compagno di stanza. Quell'idiota si era dimenticato di nuovo di chiudere la porta!

«Ti aspettavo.»

«Tu non sei normale. Fuori di qui!»

«Senti, mi stai facendo arrabbiare. Almeno parlami!»

La sua distorta percezione della realtà gli aveva generato un senso di inquietudine e rabbia. Aveva spalancato la porta, indicandole il corridoio. «Non ti ho dato il permesso di stare qui.» Dopo avrebbe dovuto controllare se mancava qualcosa.

Reed aveva notato dove stava guardando. «Non mi interessano gli oggetti, mi interessi tu. Ti rifiuti di vedere che potremmo spassarcela insieme. Una notte, dài. Non te la dimenticherai più.»

Lui aveva iniziato ad usare il cervello. «Hai forzato la serratura.»

«Non è vero, era aperta!»

Come se fosse meno grave. «Io giurerò di averla chiusa a chiave.»

Gli occhi di Reed si erano assottigliati. «Stai cercando di incastrarmi? Se inizi a dire bugie, urlo. E a chi verrà qui dirò che mi hai-»

«C'è una telecamera in corridoio. Mi ha filmato mentre entravo venti secondi fa.»

«Che importa? Può essere successo di tutto in quei pochi moment-» Si era zittita, perché lui si era avvicinato. Per una volta aveva usato la sua presenza fisica per intimidire una donna.

«Ho fatto delle ricerche, sai? Quello che mi stai facendo si chiama stalking. Con oggi, anche violazione di proprietà privata. Ho un amico avvocato» aveva mentito.

Lei aveva digrignato i denti.

«Ti farò espellere dall'università, Reed, Joanna. Ho segnato il tuo nome solo per poterlo riferire al consiglio di istituto. E alla polizia.»

Lei aveva continuato a guardarlo in faccia, tremando dalla rabbia. Era scattata in piedi. «Fuck you! Tante storie per una scopata! È chiaro che sei impotente, non mi interessi!»

Alexander avrebbe sentito il bisogno di trascinarla fuori dalla stanza se lei non gli fosse sembrata tanto patetica. Reed era marciata via. Da allora non l'aveva più vista.

Non era una storia che gli faceva piacere di aver vissuto. Avrebbe voluto evitare di riviverla a parole, ma gli sembrava di mentire per omissione non parlandone ad Ami. Se le fosse accaduto qualcosa di simile, e lei non gliene avesse parlato, si sarebbe arrabbiato.

Hm. Non voleva farla preoccupare, ma se fosse capitata di nuovo l'occasione di raccontare tutto, avrebbe riassunto l'episodio sottolineando che era andata a finire bene.

Era quasi assurdo, sorrise, rendersi conto che Ami avrebbe avuto più ragione a preoccuparsi di lui che viceversa.

Era felice che lei fosse Sailor Mercury: non doveva immaginare che, in sua assenza, lei potesse correre pericoli per mano di altri esseri umani. In caso di attacco, molestia, o anche solo lo sfioramento di una spalla, gli piaceva figurarsi una reazione poco diplomatica da parte di lei: un bel calcio nelle parti basse. Lui avrebbe completato l'opera con una castrazione totale.

Il suo telefono portatile squillò. Sapendo chi poteva essere, Alexander rispose velocemente. «Pronto?»

«Ciao. Sai chi sono?»

«Kaiou. Ciao.»

«Ti va di fare un salto al Fenway Park, come l'altra volta? Io e Haruka possiamo essere lì tra mezz'ora.»

«Ci sarò. Grazie infinite per il favore che state facendo a me e ad Ami.»

«Le parole di un uomo innamorato.»

   

Quando Tenou gli consegnò in mano il prezioso regalo di Artemis, aggiunse un commento.

«Quel gatto non ha capito per chi lavora. Si prodiga per produrre strumenti per conversazioni amorose, poi dimentica di donarli a due guerriere Sailor come noi.»

La sua era tutta invidia.

Kaiou provò a fare conversazione. «Come ti sta andando qui? Il MIT è un grande traguardo.»

«È un'ottima università »

Tenou lo fissò in volto e sorrise sardonica. «Non ti è venuta la tentazione di frequentarla in pace, per i prossimi anni? Senza faccende planetarie di mezzo.»

«Haruka...»

Lei fece spallucce. «È una domanda legittima.»

Lui non aveva problemi a rispondere. «Tornerò in Giappone tra due mesi. Senza rimpianti.»

«Tanto ci basta.»

Alexander studiò le parole di Kaiou. «Pensavo che mi saresti stata più ostile. Anche tu mi volevi fuori dai piedi durante l'ultima guerra.»

«Siamo andate a trovare Ami prima di venire qui. Non è stabile senza di te. Abbiamo bisogno di essere al massimo della condizione per le nostre prossime battaglie.»

Lui annuì, grave. Nel vedere un cenno uguale in Kaiou e Tenou, seppe che per una volta si stavano comprendendo.

Kaiou sorrise. «Pensavo che ci avresti pregato di teletrasportarti da Ami.»

«Sarebbe una tortura andare e tornare dopo poche ore. Saremo pazienti e ci faremo bastare questo.» Sollevò nella mano il nuovo comunicatore. Non vedeva l'ora di usarlo, finalmente ne aveva uno tutto suo.

«Ykèos.»

«Cosa?»

«Alla fine ho dato a questo fenomeno il nome scelto dai nemesiani. Ormai lo percepisco a pelle su di te.» Scrollò delicatamente le spalle. «So dove cercare. Stai percependo qualche effetto indesiderato?»

Lui ci pensò su. «Un giorno ve ne parlerò. Tutto bene per ora, Ami ha la situazione sotto controllo.»

«Hm. Mi hai incuriosito.»

«Non chiedermi di far aspettare la mia ragazza per soddisfare la tua curiosità.»

«Mi pare giusto» sorrise Kaiou. «Buona permanenza negli States, Alexander.»

Tenou gli lanciò un sorriso di sufficienza - come se gli concedesse una grazia. «Ci si vede.»

«Altrettanto. Grazie ancora e buon ritorno.»

Si salutarono.

  

Per la sua prima conversazione faccia a faccia con Ami, Alexander scelse un luogo pubblico, un parco nel vento freddo dell'autunno di Boston. A casa di Shun quello era il giorno della signora che li aiutava con le pulizie. Non sarebbe stato solo.

Si sistemò su una panchina, appoggiando un libro dietro il comunicatore. Nessuno lo avrebbe visto, se non arrivandogli dietro le spalle.

Fece partire la chiamata. Con un suono sordo, magico, lo schermo aprì un quadrato video che si riempì del volto di Ami.

Lei portò le mani davanti alla bocca. «Ciao.»

Ciao.

... gli aveva sempre fatto quell'effetto? Solo a guardarla sentiva che il mondo era un posto più giusto, migliore. Con un senso.

«Hi» riuscì a mormorare.

Lei sfiorò lo schermo con un dito. «Pensavo che sarebbero passate settimane prima di poterti rivedere.»

Come la capiva. «Sei più bella di quando ti ho lasciato.»

Apparve il rossore - quel leggero velo di colore che aveva dovuto immaginare in quelle settimane. Ami abbassò lo sguardo, recuperando un poco della timidezza che aveva abbandonato nelle loro ultime conversazioni. Rivedersi era diverso, come ritrovarsi daccapo.

«Ero dimagrita. Ho ripreso un chilo in questi giorni.»

Rise. «Ti ho spinta a mangiare?»

Lei annuì. «Per la felicità.»

Toccò a lui portare la mano sullo schermo, scoprendo quanto faceva male non poterla toccare. «Non pensavo che potessi mancarmi di più.»

Gli occhi le brillarono di lacrime.

«Ah, don't cry.»

«Ma sarebbe per qualcosa di buono.»

Alexander studiò la forma delle sue guance, che forse erano lievemente smunte e per questo la facevano sembrare più matura. Ami aveva i capelli scompigliati - da una doccia, stava per andare a dormire. I suoi occhi erano sempre stati così... profondi, dolci? La conosceva da sempre, ma era come non averla rivista per anni, pur ricordando ogni particolare del suo viso.

Per un attimo si sentì come quando le aveva parlato per la prima volta. «Qualcuno ci ha provato con te in questi due mesi?»

«Cosa?»

«Devo saperlo.»

Udì una risata - leggera e piacevole. «Forse. Due ragazzi.»

«Forse?»

«Hanno cercato di iniziare una conversazione, ma io avevo altro da fare. È finita così.»

La discrezione giapponese era una grande qualità.

«E tu?»

«Io?»

Ami si concentrò sulla sua immagine. «Sei davvero più... più di quanto mi ricordassi. Guardarti mi spezza il respiro. Succederebbe anche se non fossi la tua ragazza.»

Lui si sentì... graziato, come non gli sarebbe capitato con nessun altro per un complimento sul suo aspetto. Ami non apprezzava la sua avvenenza, la sentiva. «Devo raccontarti di una persona pazza.»

Lei si allarmò,. «Come? Chi?»

«Ho incontrato una tizia che mi ha perseguitato per più di una settimana. In una maniera anormale.»

«Ti ha fatto qualcosa?»

Sentirla tanto protettiva sciolse qualcosa dentro di lui. Le raccontò ogni cosa, liberandosi di un piccolo peso che non aveva saputo di portare.

 

Quel pomeriggio tornò più sereno a casa di Shun. «Ci sei?» disse entrando. Non alzò troppo la voce: poteva disturbare Arimi se lei stava dormendo.

Shun spuntò sulla porta del salotto. «Ciao.» Stava dritto col petto, cauto nel muoversi. Valutava il suo umore.

Alexander non aveva neppure pensato a come cominciare. Non pensava spettasse farlo a lui.

Shun rilasciò un sospiro pesante. «Senti... Scusa.»

«Okay.»

Shun si diresse al bancone, appoggiandosi al ripiano con la schiena. «Non dovevo parlare così.»

Era d'accordo.

Shun incrociò le braccia e provò a pensare. «Sento che non sarò davvero convinto che tu stia prendendo la decisioni più giuste, ma... non è la mia vita. Non mi riguarda.»

Si sbagliava. «Io ti ho osteggiato quando hai deciso di prendere Arimi. Perché mi importava di te.»

Shun guardò il soffitto, oberato. «Ci sto provando, Fox. Se mi importa non riesco a stare zitto.»

Non glielo aveva chiesto, contavano i toni. «Di' quello che pensi. Voglio capire. Voglio che tu mi capisca.»

Shun sbuffò. «Cosa vuoi che dica? Quando tu ed Ami non vi parlavate, sembravi un randagio che aspettava disperatamente che il padrone lo riprendesse in casa.»

Nonostante tutto, Alexander sorrise.

Shun scuoteva la testa. «Vorresti che mi riducessi così per una donna?»

Forse era inevitabile. «Quando si ama, si soffre.»

«Queste sono balle.»

Se solo fosse stato vero. «Si può stare male quando una relazione non è matura.»

«E d'improvviso la tua lo è diventata?»

«Non all'improvviso. È cresciuta in questi mesi di separazione.» Vide che la sua argomentazione non stava sortendo alcun effetto in Shun, ma aveva appena iniziato. «Sai cos'era quell'aria da cane bastonato che mi hai visto addosso?»

«Sentiamo.»

«Era consapevolezza. Non pensare che non ci sia stato un momento in cui ho creduto che potesse essere finita tra me ed Ami. Forse la distanza aveva cambiato quello che lei provava per me. Allora ho fatto come vorresti tu: ho iniziato a pensare a tutto quello che avrei potuto fare se non stavamo più insieme Venire a studiare qui. Scegliere in solitaria il mio futuro. Avevo davanti una marea di possibilità.»

Shun lo guardava in silenzio.

«L'ho visto quel mondo, a portata di mano, pieno di tutte quelle cose che volevo un tempo. Era vuoto. Incolore.» Fece una pausa. «Non sono solo innamorato, Shun, sono cambiato. Penso di essere cresciuto. Voglio più cose di prima e alcune sono diventate così importanti da essere fondamentali.»

«E se fossi da solo in questo percorso?»

Era la chiave. «Se permettessi alla paura di bloccarmi, lo rimpiangerei per mille anni.»

Shun la prese per una figura retorica.

«Avrei potuto continuare per sempre a credere, in una parte di me» si toccò il petto, «che se non mi immolavo a ogni desiderio di Ami, lei avrebbe potuto smettere di ricambiarmi. Invece mi sono liberato. Non importa se è successo per una sua idea stramba, è servito. E se vuoi saperlo, Ami ne aveva più bisogno di me. Ad una persona che è sempre stata concreta, leale e logica è permesso una volta nella vita di fare qualcosa di folle, no? Si è trattato di questo per lei. Ha agito per paura, dopo che finalmente ha avuto il coraggio di mostrarmela.» Non sapeva se si stava spiegando in maniera convincente, ma era la verità. «Conosco la persona che amo. Questo è il momento migliore della nostra relazione. E siamo lontani, Shun. Quando ci ritroveremo, sarà il paradiso in Terra.»

Shun stava muovendo la lingua contro il palato, riflettendo. «Quindi è stato un singolo lungo momento di pazzia per Ami-san?»

«Esatto. Non è diversa da come l'hai conosciuta.»

Il suo amico guardò la parete. «Non penso che smetterò mai di essere cinico. Mi aspetto sempre di scoprire una grande difetto nelle persone, prima o poi.»

Alexander lo sapeva molto bene. Per Shun era un modo di salvaguardarsi: se non credeva in nessuno, non aveva possibilità di essere deluso.

Gli vide spuntare un sorriso in volto. «Ma non è la mia vita. Forse per te esiste davvero quel lieto fine irrealistico. Ma soprattutto, che amico sono se insisto a volerti cinico, quando tu adesso sei felice come probabilmente io non lo sarò mai?» Annuì. «E visto che ho un po' di fiducia di te, lascio perdere e mi fido. Non esiste che tu sia diventato così stupido innamorandoti. Hai visto qualcosa in Ami-san. Ci crederò anche io.»

Alexander fece un passo avanti. Aveva voglia di abbracciarlo.

Shun intuì le sue intenzioni. «Basta che sia una cosa corta. Da uomini.»

Ridendo, si strinse a lui battendogli una mano sulla spalla, con energia. «Grazie.» Si allontanò.

«Ho esaurito la mia quota di smancerie per il prossimo anno.»

«Invece ti becchi un abbraccio anche a Natale. E mi sa che tua nipote vorrà baciarti man mano che cresce.»

«Ho una quota a parte per le persone che contano l'età in mesi.»

Alexander sorrise. «Arimi è di là?»

«Sì, ma non farlo. Non andare a guardarla mentre dorme. Sente l'odore della tua adorazione e si mette a piangere.»

Esagerato. Le cose erano cambiate da quando era una neonata. «Ora le piaccio.»

«Ti ho avvertito: se la svegli, badi tu a lei.»

Alexander sospirò. «Devo uscire tra un'ora, mi incontro con dei ragazzi per sviluppare il progetto di Masters.»

«Ah, quello difficile. Povera Ami, ti sentirà poco in queste settimane.»

«Perché stai godendo?»

«Quando due tubano da far schifo, è piacevole vederli soffrire un po'.»

Alexander roteò gli occhi al soffitto. Andò verso la stanza di Arimi.

«Alex?»

Si voltò.

«Per l'invito a farmi una buona scopata... Non credere che non sia d'accordo. Se la settimana prossima mi tieni Arimi per una sera, forse combino qualcosa con una tipa.»

«Sicuro. Ti aiuterò a perdere la tua verginità di padre.»

Shun sfoderò un sorriso smagliante. «Fottiti.»

«Ho avuto il piacere da meno di tempo di te.»

A Shun non restò che incassare il colpo.

  

Quella sera, al termine di una lunga giornata, Alexander controllò l'ora. Rifletté per un minuto, poi, nel silenzio della sua stanza, afferrò il nuovo comunicatore.

In Giappone erano le dieci del mattino. Non si aspettava una risposta se Ami era fuori casa.

Lei apparve sullo schermo nel giro di pochi secondi.

«Tutto a posto?»

 «Sì. È un capriccio: volevo vedere la tua faccia prima di andare dormire.»

Le sfuggì un sospiro di sollievo. «Sono per strada. Sto tenendo il comunicatore tra le mani per nasconderlo, appoggiata a una parete.»

«Scusa, non ho resistito. Abuserò di questo strumento.»

La risatina di lei fu il suo premio.

«Ne è valsa la pena» le disse. «Passa una buona giornata.»

«Goodnight, my love. Chiama tutte le volte che vuoi.» Ami soffiò un bacio nella sua direzione.

Senza alcuna vergogna, lui lo ricambiò.

«Bye.»

Chiusero insieme la chiamata.

Senza sentire più nulla di incompiuto in quel giorno, Alexander si addormentò.



Novembre 1997 - A Boston, in America - FINE

 


Note: Dovete sapere con quale idea ero partita per questo capitolo. Innanzitutto, doveva coprire i due mesi di separazione che rimangono da sopportare ad Ami e Alexander. Era mia intenzione descrivere brevemente la vita di lui - soprattutto con riguardo a Shun. La parte centrale del capitolo doveva ruotare intorno a una scena d'intimità telefonica - wink wink :P

Ebbene, i miei piani sono cambiati quando a Shun è venuto in mente di dare della mantide religiosa ad Ami :D Poi ho dovuto dare un nome ai compagni di classe di Alexander, sapere (e farvi sentire) quale tipo di ambiente universitario stava frequentando lui, far presente che aveva vissuto anche esperienze poco piacevoli durante la sua permanenza in America (anche se la pazzia di Reed ha preso il sopravvento mentre scrivevo - è inquietante quella donna). E così, arrivata a metà capitolo, mi sono resa conto che avevo già costruito e superato l'ostacolo narrativo di questo episodio e che dovevo solo dipanare i nodi. Come al solito, rispetto la sacra struttura: ogni capitolo deve avere un inizio, un problema che si presenta, e una fine con la risoluzione della suddetta questione. C'era tutto qui - tra Reed e il parlarne ed Ami, e soprattutto la litigata con Shun e poi il chiarimento. Quindi il capitolo lemon è tristemente rimandato - sarà il prossimo.

Meglio così, credetemi. Ci voleva un'atmosfera più soffusa e calma per quello che voglio scrivere. Non sono necessarie distrazioni. Inoltre, ora sapete come si è trovato Alexander nei passati due mesi - al pari di quanto sapevate su Ami - e avete anche un'idea di come si sia evoluto lui in questo periodo. Mi è piaciuto scriverne. Mi piace come sta venendo fuori questa raccolta.
Grazie per essere qui a leggere *_* Fatemi sapere cosa ne pensate!

 

Elle

 

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Capitolo 16
*** Novembre/dicembre 1997 - Lontani ma vicini ***


per istinto e pensiero

 

 

Per istinto e pensiero

di ellephedre

  

 

Novembre/dicembre 1997 - Lontani ma vicini

Per due settimane lei e Alexander non avevano mancato una sola volta di sentirsi alla stessa ora - di mattina presto per lei, la sera tardi per lui. In assenza di una chiamata, quel giorno Ami aveva fatto colazione in compagnia del telegiornale, vestendosi e preparandosi per le lezioni con mezz'ora di anticipo. Lo squillo del comunicatore arrivò dieci minuti prima che uscisse di casa.

«Scusa» esordì Alexander.

Lo schermo le permetteva di vedere l'espressione contrita di lui. «Ti sei distratto?»

«Sì. Stavo buttando giù degli appunti per una cosa. Sorry.»

«Non preoccuparti, ho ancora qualche minuto. Su cosa stai lavorando?»

Il viso di lui si illuminò. «È un'intuizione che ho avuto poco fa. La mia tesi sulla deformazione dello spazio, Ami. Ricordi che mancava il passaggio per replicare il teletrasporto?»

Lei annuì, curiosa.

«Il congegno a cui sto lavorando con McCormack e Hu mi ha fatto venire un'idea. È incredibile: non c'entra niente con questo progetto, ma è tutto collegato. Ho un nuovo approccio per arrivare all'equazione che descrive il tubo dimensionale.»

Oh! «Riesci a spiegarmela?»

«Sì. Però l'idea mi è appena venuta, ho riempito dieci pagine di formule. Possiamo sentirci dopo?»

Certo, capiva il suo entusiasmo. «A stasera.»

«Dovrai aiutarmi. Sento che mi sfuggirà qualcosa, ma ci sono così vicino...»

«Concentrati e non pensare a nient'altro.» Lo salutò con la mano. «Ciao!»

Interruppe la chiamata. Quanto era bello sentirsi nervosi ed eccitati davanti a una possibile nuova scoperta! Vivevano in un mondo da decifrare, tutto da scoprire.

Afferrò tra le mani i suoi libri di medicina. Anche lei doveva darsi da fare.

 

Mentre mangiava un pasticcino, Usagi adocchiava con sospetto il suo quaderno di appunti. «Ami... Qualche settimana fa non avevi detto di aver studiato abbastanza?»

Era stata preda di un delirio d'amore. «Mi è capitato tra le mani un articolo di genetica appassionante e ho dovuto approfondire la questione. Stavo pensando di abbozzare un'idea per la tesi.»

«Sei al primo anno!»

«Sì, ma conto di sostenere i primi esami del secondo anno nella prossima sessione. Mi hanno autorizzato.»

Erano sedute a uno dei tavolini della pasticceria di Makoto. Alle tre del pomeriggio c'era un momento di calma e Makoto poteva dedicare loro del tempo. Ami la vide avvicinarsi con un vassoio in mano.

«Usagi, prova questi biscotti.»

«Certo!» Usagi ne infilò due in bocca. «Mffako-chan...»

«Almeno finisci di mangiare! Come fai a gustarteli se mischi i sapori?»

Usagi deglutì in un batter d'occhio. «Perdonami, sono buonissimi. Ma non vedi che abbiamo un altro problema? Ami ci sta ricascando.»

«Come?» disse lei.

Usagi sospirò. «Alexander non sta facendo il suo dovere nel distrarti. Eri così serena e felice in questi giorni...»

«Sono ancora felice» puntualizzò Ami. Studiare e fare ricerche per lei equivaleva a rilassarsi.

Makoto si accomodò al tavolino, appoggiando i gomiti sul ripiano. «Anche Alex è occupato con l'università?»

Ovviamente. «È andato lì per imparare. Ha diversi progetti di gruppo in questi giorni.»

Usagi era delusa. «Scommetto che le vostre conversazioni sono di nuovo incentrate su formule, progressi scientifici, sviluppi teorici di fisica...»

Ami se la prese: raccontata in quel modo la loro relazione appariva noiosa. Le sue amiche non capivano, e lei non pretendeva che lo facessero, ma per lei e Alexander aprire insieme la mente era un momento di comunione assoluta.

Usagi batté le mani sul tavolo. «Mako-chan, devi passarle quel libro!»

«Quale?»

«Ah, sì!» comprese Makoto. «Ami, ricordi la storia che vi ho costretto a leggere in primavera? Il duca inglese che si innamora della ragazza senza soldi né prospettive matrimoniali.»

Ami riuscì a non roteare gli occhi al cielo.

«Non mentire, ti è piaciuto! È uscito il seguito, sul migliore amico del protagonista.»

«Lord Valentine?»

Makoto si esaltò. «Allora lo ricordi!»

Ami cercò di non arrossire. «Memorizzo i nomi. Con chi lo hanno fatto mettere?»

«Una governante, la giovane tutrice della sorellastra. Entrambe vanno a vivere a casa sua. È così romantico, Ami! Usagi lo ha già letto tutto! La protagonista è una povera ragazza senza famiglia, costretta a mantenersi da sola. Sai quanto era difficile a quel tempo! È dovuta scappare da una casa in cui il padrone ha cercato di molestarla. Ha cambiato città e nome perché teme che se lui la ritrova scoppierà uno scandalo!»

Le logiche della società inglese del diciottesimo secolo erano assurde e restrittive, ma si prestavano bene alla creazione di trame in cui la protagonista femminile era una novella Cenerentola che doveva combattere contro tutto e tutti, solo per venire poi salvata dal principe di turno - un nobile gentiluomo che si invaghiva di lei con ardore. Erano le storie preferite di Makoto, che la stava scrutando con attenzione.

«Voglio che la legga anche tu, Ami.»

Prima che Ami protestasse, Usagi si aggiunge al coro. «Niente 'ma'! Consideralo un compito che ti danno le tue maestre di vita, Usagi-chan e Mako-chan. Ricordiamo quanto ti abbia fatto bene il primo libro.»

Ami volle sprofondare sotto terra. Non avrebbe mai dovuto confessare nulla. «Era scritto in modo molto semplice.»

«Questo non ti ha impedito di trovare eccitanti le parti erotiche.»

Così sembrava che parlassero di qualcosa di sconcio! «Erano scene d'amore!»

«Con un sacco di sesso!» ridacchiò Usagi. «Ti farà benissimo una vera lettura di svago!»

«Alex questa volta non c'è.» Si rese conto del proprio errore quando notò le espressioni estatiche di Usagi e Makoto.

«Allora vorresti che fosse qui per poterti sfogare con lui!»

Si coprì la faccia con le mani.

«Guarda che col nuovo comunicatore potete vedervi. Non sai come io e Mamo-chan abbiamo sfruttato lo schermino più grande...»

Makoto era perplessa. «Voi vivete nella stessa casa.»

«Però lui va a lavorare. Quando ne ho l'occasione io mi metto qualcosa di carino e gli faccio vedere cosa lo aspetta al ritorno.»

Ami si sentì in una fornace: non voleva conoscere i dettagli della vita intima di Usagi e Mamoru!

Makoto era colpita. «Anche se non vuoi arrivare a tanto, Ami, do ragione a Usagi. Leggi quel libro. Scene d'amore a parte, ti farà sentire bene. È una storia con un lieto fine che riempie di pace.»

Ami sapeva che non aveva la possibilità di rifiutare. Inoltre era curiosa. «Prestamelo quando puoi.»

«Ce l'ho qui! Lo stavo rileggendo.»

Prima che potesse fermarla, Makoto era già scomparsa nel retro del locale.

Usagi sollevò le sopracciglia, allusiva. «Non hai scampo.»

«Ho un pudore diverso dal tuo.»

«Lo so.» Usagi divenne seria. Quando aveva quell'espressione, stava per dire qualcosa di saggio e impossibile da confutare. «Ami... ora che sei lontana dal tuo ragazzo, non ti senti come se ci fosse qualcosa di intenso che non puoi esprimere? Gli parli, lo vedi, ma non è come averlo accanto. Se quel libro ti farà sentire in un certo modo... trova la maniera di liberare quello che senti. Sarà un'esperienza nuova.»

Ami non fu certa di aver compreso.

Usagi annuì con un piccolo sorriso serafico. «Alexander ne sarà molto felice. Pensa a questo quando senti che il pudore ha la meglio.»

Ami si imbarazzò. «Sono già più aperta con lui.»

«Perfetto. Continua su questa strada.»

Makoto tornò indietro col libro ed Ami lo ricevette tra le mani. 

«Allora lo leggerai?»

«Sì» promise.

Usagi e Makoto si scambiarono un'occhiata di intesa.

  

Nonostante le sue intenzioni, Ami si dimenticò del volume per l'intera giornata. La sera Alexander la ricontattò e insieme trascorsero due ore a esaminare l'idea che lui aveva sviluppato. Era geniale, un concetto innovativo. 

«In questi momenti mi pento di non aver studiato Fisica» gli confessò lei. «Ti sarei di maggiore aiuto.»

Lui non era d'accordo. «Esporti i concetti mi aiuta a riordinaree le idee. Inoltre il fatto che tu non abbia studiato la materia rende il tuo approccio più fresco. Non sai che una cosa non si può fare, perciò non ti poni limiti.»

Lo scopo di lui era rendere possibile ciò che per l'umanità era ancora inimmaginabile - non per lei, come Sailor Mercury, ma se Alexander fosse riuscito a replicare il teletrasporto in assenza di potere... Spiegare il potere, esporlo in formule, equivaleva a trasformare la magia in scienza. Forse non ci sarebbero riusciti a breve, o nei prossimi decenni, ma le grandi scoperte iniziavano in quel modo - da un'idea originale e dall'entusiasmo nel perseguirla. Era orgogliosa di lui, anche solo per il tentativo.

Tra teorie e formule tirarono avanti fino alle una del mattino, poi Alexander scoprì di dover correre a lezione.

Dopo averlo salutato, Ami rimase sola nella propria stanza, con la testa piena di calcoli e possibilità.

   

Il giorno successivo scoprì di avere tempo. Alexander doveva partecipare a un incontro col gruppo costituito da McCormack e Hu e avrebbe terminato tardi. Lui era in dubbio su quanto condividere con loro riguardo alla sua intuizione: non era strettamente inerente al progetto che dovevano presentare, anche se avrebbe dato al loro lavoro una marcia in più.

Con poco da fare, distratta, Ami decise di iniziare a sfogliare il libro di Makoto. Il titolo era esemplificativo del contenuto.

'Amore all'improvviso'

Aveva avuto moltissimi pregiudizi sul primo volume della saga. Li aveva visti confermati durante la lettura, ma aveva anche scoperto che quel tipo di libro si soffermava su sentimenti che venivano tralasciati nella narrativa generale a cui era affezionata. I grandi autori erano capaci di dipingere l'amore con maestria e profondità, ma in libri come quelli di Makoto accadeva qualcosa di particolare: la semplicità delle situazioni e dei dialoghi risvegliavano in Ami sensazioni inesplorate.

Quando leggeva di una ragazza in grande difficoltà, con uno smodato bisogno di aiuto, le risultava facile percepire la disperazione della sua situazione. Si immedesimava e tifava per la protagonista. Il libro - l'autice - creava nel lettore una connessione empatica immediata calcando la mano sulle difficoltà da affrontare e sull'isolamento della ragazza. Il topos era abusato ma efficace e nemmeno Ami ne era immune. Nella storia veniva data moltissima attenzione ai sentimenti romantici: pagine intere venivano spese per descrivere in crescendo le sensazioni che l'eroe maschile suscitava di volta in volta nella protagonista.

Ami si ritrovò suo malgrado ad andare avanti nei capitoli, solo per sapere se Lord Valentine avrebbe iniziato a prestare attenzione a Catherine. Il fatto che la ragazza fosse riluttante, nonostante l'interesse che provava, era un punto che le accomunava come persone. Catherine le piaceva più della protagonista del precedente libro: era meno damigella in pericolo e più donna concreta, determinata a riuscire senza il supporto di nessuno. La pietà la infastidiva, così come le offerte di aiuto. Vi vedeva sempre la possibilità di un secondo fine e per istinto non si fidava.

«Forse voglio solo darvi una mano» disse a un certo punto Lord Valentine a Catherine. Furono parole che diedero da pensare ad Ami.

Lei non aveva mai opposto la resistenza della protagonista, ma aveva ritenuto di dare fastidio quando costringeva altre persone ad occuparsi di lei. In verità - e trovava lei stessa illogica la differenza - aveva ritenuto di infastidire Alexander più delle sue amiche nelle stesse circostanze. Non perché volesse di più da lui, ma perché lui era... un ragazzo. Gli uomini per natura erano più restii a essere generosi.

Rifletté sul concetto. Nel libro Valentine era ansioso di essere di aiuto - non solo perché si stava già innamorando, ma soprattutto perché riteneva che una persona che lavorava tanto come Catherine meritasse di non reggere tanto peso da sola sulle spalle. 

A parte Mamoru, l'unico altro uomo che Ami conosceva bene era Alexander - e la generosità di lui era immensa. Perciò, perché era convinta che gli uomini provassero meno piacere nel far felice il prossimo? Aveva letto un mucchio di libri e visto tanti film in cui si dimostrava che non c'era nessuna differenza di genere su quel punto. Nonostante ciò, trovava ancora più commovente l'idea di un uomo - un fidanzato, un fratello, un padre, un amico - che si spendeva per un'altra persona.

Si era lasciata condizionare dai luoghi comuni?

Proseguì nella lettura e presto dimenticò di qualunque cosa a parte la trama. Invece di tenere Catherine e Lord Valentine nella stessa casa, l'autrice li separò, costringendo la protagonista a fuggire. Valentine la ritrovò presto, ma Catherine rifiutò di tornare indietro, avendo intuito che la dipendenza emotiva che avrebbe avuto da lui sarebbe stata eccessiva da sopportare. Ebbe inizio un lungo corteggiamento, serrato nelle intenzioni ma delicato nei tempi e nei modi. Ami assaporò ogni parola.

Lesse altri due capitoli, poi dieci. Infine smise di contarli, immergendosi nella parte finale del libro.

 

Alexander aveva mal di testa. Prima di chiamare Ami - solo per un saluto della buonanotte - decise di farsi una doccia.

Era contrario all'assunzione del Tylenol consigliato da McCormack: perché doveva ricorrere a un antidolorifico per un malessere che poteva risolvere con un massaggio e un quarto d'ora di relax? Doveva solo rilassare le meningi: erano al lavoro da quattordici ore consecutive.

Sbadigliando, con la nuca umida avvolta da un asciugamano, si sdraiò sul letto. Massaggiò le tempie mentre inoltrava la chiamata ad Ami.

Lei gli apparve sullo schermo, nuda sulle spalle. «Ciao.»

Lo invase un'ondata di piacere soffuso. Ami aveva usato un tono dolce, sorpreso. Ricambiando il saluto, lui scoprì che lei era immersa in una vasca d'acqua fumante.

Ami sobbalzò accorgendosi del proprio stato e lui si ritrovò a guardare le piastrelle azzurre del bagno di casa Mizuno.

«Pensavo non chiamassi stamattina.»

«Per questo mi merito di guardare la parete? Sono ferito.»

«No, ma...» La risatina lieve di lei gli rivelò che Ami si era accorta di essere assurda. «Un attimo.»

Alexander udì lo spruzzo di un qualche tipo di liquido denso e la sua mente formò da sola una serie di immagini: Ami che raccoglieva il sapone tra le mani, che se lo spalmava sul corpo... Se in Giappone era mattina, come mai lei si stava dedicando in pieno giorno a un bagno caldo? Era un'idea che suonava lussuriosa, non da Ami.

Vide un dito sullo schermo e si ritrovò di nuovo davanti la sua ragazza, con nuvole di schiuma bianca che le galleggiavano intorno. Lei aveva indossato una cuffietta rosa.

«Anche tu ti sei fatto un bagno. Stai per dormire?» 

Gli mancarono le parole. Perché non l'aveva mai vista immersa nella schiuma? Stavano insieme da due anni, era una cosa ingiusta.

«Alex?»

«Hm?»

«Cos'hai?»

«Guardarti mi distrae.»

Lei trattenne un sorriso, chiudendo gli occhi. Non arrossì tanto quanto lui si era aspettato. «Ti vedo stanco. Hai lavorato molto?»

«È stata una giornata pesante.»

«Allora non tenere il comunicatore tra le mani, usa il trucco dell'auto-equilibrio.»

Giusto. Si girò su un fianco e appoggiò la base del comunicatore sul letto, disegnando sul retro, col dito, l'angolo a cui voleva che lo strumento stesse in piedi. Secondo il meccanismo magico di Artemis, il comunicatore rimase fisso a mezz'aria, senza supporto. Ancora più della sua capacità di trasmettere immagini da un capo all'altro del pianeta, la possibilità di stare in piedi in assenza di appoggi era la caratteristica di quell'oggetto che più lo affascinava. Il gatto Artemis aveva sconfitto la forza di gravità. «Un giorno scoprirò come ha fatto.»

Ami capì subito cosa intendeva. «Ho provato a chiederglielo. Mi ha scritto degli appunti, ma è sempre la solita storia: Artemis opera più con la magia che con la fisica.»

«Vorrei avere il tuo computer qui» disse lui. Fece un'aggiunta necessaria. «Vorrei avere te qui.»

Ami lo osservò con affetto. «Se ti fossi accanto, poserei un bacio sulle tue palpebre stanche.» Scivolò all'indietro, nell'acqua, e lui fu geloso della schiuma che le sfiorava il corpo.

«Ti vedo... accesa. Cos'hai fatto oggi?»

«Ho finito di leggere un libro.»

«Ah, sì? Racconta.» Erano settimane che non riusciva a godersi una buona storia.

«Non ti piacerebbe. Era un libro di Makoto.»

Lui faticò a ricordare cosa significasse.

«Una storia d'amore» chiarì Ami.

Alexander si ricordò di un aneddoto da riferirle. «Sai che anche Shun sta leggendo un libro romantico? Dice che l'ha preso dalla biblioteca di sua sorella.»

Ami rise. «Legge ancora di tutto, vero?»

Oh, sì, Shun lo definiva un esperimento personale. Non lo faceva per gradimento: leggeva ogni tipo di libro, a prescindere dal genere e dal pubblico a cui era destinato. Per lui era un modo di capire le persone.

«Ha cercato di ripetermi che sono testi utili per decifrare la testa delle donne.» Infatti non era la prima volta che il suo amico ne leggeva uno. «Secondo me non gli dispiacciono.»

«Perché?»

«L'ho costretto a raccontarmi la trama. Prendeva in giro un sacco di punti, ma non la relazione della coppia. Ha detto che tra loro non era solo una questione di sesso.» Per uno come Shun equivaleva a descrivere una profonda relazione sentimentale.

Ami era divertita. «Magari ha solo analizzato i personaggi. Yamato è affascinato anche dalla mente di un serial killer, no?»

«Sì, ma... era come quando guardava i drama con famiglie, da ragazzino. Erano i suoi preferiti e cercava di non farmelo capire. Ecco, quando parla di questi due che si amano sembra che rispetti quello che provano.»

Ami ripensò al passato. «Yamato osservava anche noi, sai? Faceva battute su battute, e sembrava confuso, ma non poteva fare a meno di studiarci quando ci vedeva insieme.»

Alexander le aveva già detto che Shun non aveva preso bene il loro lungo silenzio.

«Mi dispiace di averlo deluso» ricordò lei. «Quando sarò lì, spero di fargli capire che non ha nulla da temere per te.»

Anche Alexander sperava di convincerlo di nuovo, totalmente, che Ami non desiderava altro che farlo felice. «Allora... in quanto tempo hai finito il libro di Makoto?»

«Qualche ora.»

«Perciò era buono.»

«No, era... appassionante.»

«Eppure non mi piacerebbe?»

«No. È troppo un libro da ragazze.»

Non aveva mai sentito di Ami che divorava un testo che non avesse una certa qualità. «Di cosa parlava?» insistette.

«È molto sciocco. Immagina Jane Austen in versione semplificata e moderna.»

Okay, non era mai andato oltre mezzo libro di quell'autrice. Ne aveva provato solo uno, per sfida, ma non era riuscito a interessarsi alle vicende di una ragazza dell'Ottocento inglese in cerca di marito. Da quel che sapeva, Ami trovava quei testi gradevoli, ma non si era mai appassionata al genere. «Che cosa non mi stai dicendo?»

«Ecco... si parla tanto di sentimenti. Sono il motore di tutti gli sviluppi della trama. Per descrivere un bacio l'autrice impiega un'intera pagina.»

Hm. «E si ferma a quelli?»

Smettendo di guardarlo, Ami dondolò nell'acqua, leccandosi inconsciamente le labbra. «No.»

Quel discorso era appena diventato molto interessante. «Potresti leggermene qualche riga.»

Ami schizzò di gocce lo schermo, sprofondando nella schiuma. «Smettila!»

«Sei tu quella che ha letto quel libro da cima a fondo.»

Lei era diventata porpora sulle guance. «La prosa era terribile. Così descrittiva e infiocchettata...»

«Per esempio?»

«Si parlava di... muscoli sodi, carni morbide. Lingue guizzanti.»

Ma dài.

«Pelle liscia come pesca che profumava di miele e sapeva di cannella...»

Gli si seccò la gola. Chissà che odore aveva il bagnoschiuma che Ami stava usando.

Lei teneva gli occhi fissi sulle nuvole vaporose da cui era circondata. «Apprezzo l'utilizzo di sinonimi e perifrasi per evitare la volgarità, ma alcuni paragrafi erano un tripudio di 'boccioli di rosa che si indurivano come sassolini', o 'luoghi segreti che si schiudevano come petali'.»

Gli uscì un ansito strozzato. «Ami...» 

«Capisci? Mi vergognavo a leggere.»

Alexander però non aveva alcuna remora a immaginarla mentre rifletteva sul significato di quelle frasi. «Allora è stata una tortura?» Tipo quella che stava subendo lui ora, a sentirla parlare in quel modo.

«No, tenevo alla relazione tra i protagonisti. Quei due si amavano molto ed era naturale che si... desiderassero.»

Così lo faceva eccitare.

Rimanendo in silenzio, Ami guardò dappertutto nella stanza, tranne che verso di lui. «Mi manchi» mormorò infine. Esitò, assaggiando un pensiero. «Non solo per i baci.»

Gli cadde la mascella. La rigidità delle sue parti bassi divenne tale che, se Ami gli fosse stata accanto, sarebbe stato in grado di donarle immediatamente tutto quello di cui lei sentiva la mancanza.

La vide fare un lungo respiro. «... non dici niente?»

«Non riesco.»

«Ah.»

Idiota. «Love, basta una tua sillaba e io...»

«È chiaro che non possiamo farci nulla.» Ami tornò a regalargli uno sguardo intenso, onesto. «Volevo solo che lo sapessi.»

Lui non riuscì a racchiudere in parole l'immensità di quello che provava.

La sua incertezza rese Ami più sicura e felice. Lei non aveva bisogno di sentirlo parlare per sapere cosa pensava. Sorrise. «Buonanotte.»

«Aspetta.» La fermò con la mano a mezz'aria. «Manca anche a me la... morbidezza vellutata della tua pelle di seta.»

Si guadagnò una risatina. Nell'immediato era più facile esprimersi scherzando. «Mi mancano le tue orecchie, che nei lobi sanno di cioccolata.»

«Davvero?»

«Sì, al latte.»

Ami si crogiolò con gioia nell'imbarazzo, coprendosi gli occhi.

Se lui avesse usato le frasi che aveva davvero in mente...

Lei tornò a guardarlo. «Ricordo il sapore della tua bocca. Non vedo l'ora di risentirlo.»

Gli mancò il fiato.

«'Notte, my love.»

«... 'night» bofonchiò lui.

Ami chiuse la comunicazione.

Alexander rilasciò un lungo, interminabile soffio.

 

Come conseguenza della sua sfrontatezza e audacia, quella notte Ami sognò.

Nella vasca da bagno parlava con Alexander tramite il piccolo schermo che le impediva di toccarlo. Rabbrividiva per quello che gli stava dicendo - confessioni imbarazzanti, impossibili da tenersi dentro un minuto di più. Poi si consumava la magia: lui usciva dal comunicatore, materializzandosi di fronte a lei.

Come se fosse sempre stato lì, Ami premeva il corpo contro il suo in unico lungo bacio. La vasca cessava di avere una dimensione, si adattava ai loro movimenti. Galleggiavano, con lei che raccoglieva la schiuma per spalmargliela sulla pelle calda e solida. Cessava di sentire la sua mancanza solo perché Alex era lì, la stringeva, perdendosi nei suoi occhi. In quel momento strappato al tempo si incastravano in un abbraccio di corpi. Seduta sulle sue gambe, Ami ondeggiava sopra di lui e si abbandonava alle sensazioni. Tremava per le sue carezze sulla schiena, per le labbra bollenti sul collo. Spostava frenetica la bocca, cercando un altro bacio - uno ancora. Afferrava tra le mani i capelli fradici di lui.

Con tutto il proprio essere assorbiva piacere a ritmo, senza sosta - il loro amore perfezione in quell'atto fisico. Muoveva le labbra per chiedergli qualcosa all'orecchio, smaniosa. Non emetteva suono ma Alexander capiva e accelerava il dondolio dei loro fianchi uniti.

Afferrando le coperte, Ami strisciò con la mano sulle lenzuola. Prona sul letto, si svegliò. 

Il culmine era troppo vicino per permettere alla realtà di intromettersi. Serrando gli occhi tornò nel sogno, riprendendo a spingere il bacino contro il materasso. Per istinto strofinò le cosce tra loro. La frizione dei vestiti la stimolò nel punto giusto: spalancò le labbra in un grido muto, totalizzante.

Rimase a sentire il piacere degli spasmi tra le gambe, abbracciando il cuscino. Per la vergogna vi nascose contro la faccia.

Rifiutandosi di pensare, si voltò e riportò alla mente il viso di Alexander. Il buio e la spossatezza del piacere sedato la cullarono nel sonno.

  

«La signora Agatha ci cucinerà un tacchino.» Alexander le stava raccontando di come avrebbe trascorso il giorno del Ringraziamento americano. «Non ha nessun altro con cui festeggiare. Era una madre single e ha perso l'unico figlio in guerra.»

Che storia triste. «Allora rimarrà con voi e la bambina?»

«Sì. Se fossimo rimasti soli, io e Shun non avremmo fatto niente. È stata lei a trasmetterci lo spirito della festa.»

Ami valutò il suo umore. «È una giornata che senti di più rispetto a quando stavi qui con tua madre.»

«Già. Per lei era importante, ma per mio padre era un giorno qualunque e a me sembrava una ricorrenza senza senso. Ora che sono negli States ne parlano tutti. È diverso, è qualcosa di condiviso.»

Ami avrebbe voluto avere la possibilità di festeggiare quel giorno con lui. «Magari provo a fare un tacchino anche io, per entrare nello spirito.»

Alexander apprezzò l'idea. «Ma è un piatto difficile, love.»

«C'è una prima volta per tutto. Troverò una ricetta e seguirò le istruzioni. Oppure chiederò aiuto a Makoto. Potrei invitare a cena le ragazze.»

«A casa mia o a casa tua?»

«A casa... nostra, se vorrai.»

Lui si accese di felicità. «Invita chi vuoi.»

Era il 21 novembre. Per Ami la ricorrenza del Ringraziamento era un altro modo per scandire il tempo sul calendario. Mancava ancora un mese prima che potesse rivedere di persona Alexander. Con ogni giorno che passava, l'attesa sembrava allungarsi all'infinito.

«Arimi sta provando ad alzarsi in piedi» le stava raccontando lui al comunicatore.

«Che brava!» Si intenerì pensando alla piccola. «Ha solo undici mesi. È precoce.»

Alexander era uno zio fiero. «Cerca qualcosa a cui reggersi e fa questo faccino concentrato...»

«Riesci a farmela vedere un giorno? Quando Yamato non c'è.»

Lui si sorprese. «Certo, non ci avevo pensato. Il mio prossimo turno di babysitteraggio è domani.»

Ami si abbandonò sul letto con la schiena, sospirando. «Domani, dopodomani, tra una settimana... Il tempo passa, ma il 21 dicembre sembra sempre fermo lì, lontano.»

Alexander si perse nella sua contemplazione. «Sai, Ami... prima non mi parlavi così.»

Lei ne era cosciente.

«Sapevo quello che pensavi perché lo vedevo nei tuoi occhi, ma sentirlo a parole... Era una speranza che non mi permettevo di avere.»

«Perdonami.» 

«Non sento il bisogno di perdonarti, non lo ritenevo un gran problema. Ma ora che dici così liberamente quello che ti passa per la testa...Suppongo che continuerà a sembrarmi per metà un sogno, almeno fino a che non ti riavrò davanti.»

Lei si issò sui gomiti. «Non mi comporto così solo per la lontananza. Erano troppi i pensieri che mi tenevo dentro. Adesso, ogni volta che ti parlo vincendo l'istinto di trattenermi... mi sento meglio. Più libera.» Con ogni confessione che le usciva se ne andava una paura.

Alexander stava annuendo. «Era tutto quello che volevo.»

«La situazione non cambierà quando ci rivedremo. Tu ti sei sempre aperto completamente con me e io mi sento così bene a fare lo stesso con te ora.»

Lui era felice. «Allora dimmi qualcosa.»

«Hm?»

«Qualunque cosa.»

Lei non ebbe bisogno di riflettere molto. «Oggi ho visto un copripiumino a due piazze in un negozio. Ho avuto la tentazione di comprarlo per noi.»

Nessuno dei due parlò, perché non ce n'era bisogno. Non esistevano parole che potessero usare per comunicare meglio di quanto facessero con gli occhi.

Ami adagiò la testa sul cuscino, mettendosi più comoda. Aveva appoggiato il comunicatore sul comodino, ed era quasi come stare sdraiata accanto ad Alex. «Ho fatto un sogno ieri.»

Si imbarazzò. Perché lo stava raccontando?

Lui rimase in attesa, senza domandarle di proseguire.

«Era un sogno pieno di... sensazioni.» Forse la distanza era un incentivo a parlare, poiché teneva a bada le conseguenze. Non rimuginò troppo su quella conclusione. «Eri con me nella vasca in cui stavo facendo il bagno.»

Le pupille di lui si allargarono come pozzi. «Davvero?»

Ami annuì, la gola che tremava. «Eravamo... senza vestiti. Ci stringevamo e...» Si sentì come in una fornace. «Mi sono agitata nel sonno. Ho premuto il bacino contro il letto, senza pensarci, fino a che... ecco...»

Gli occhi di lui non si erano mossi. «Ti ha aiutato?»

Emettendo un ansito di vergogna, Ami annuì di nuovo.

«Dio, love. Quanto vorrei essere lì ad accarezzarti.»

La invase una vampata di calore. «Non so...»

Lui provò a dire qualcos'altro, ma si fermò.

Per non essere sola in quell'imbarazzo, Ami provò a fargli una domanda. «A te è capitato?»

Gli sfuggì una risata strozzata. Non la tradusse in parole, non subito, poi prese una decisione. «Non mi capita: lo faccio accadere.»

Cosa intendeva?

«Quando mi manchi, mi concentro e ti penso. Fisicamente.»

Ami si tirò su. Era impossibile rimanere sdraiata. «Oh.»

«Uso i ricordi.»

Lei aveva distolto lo sguardo e percepì un velato tono di sofferenza nelle parole di lui, per il fatto che gli stesse dando le spalle. Lo cercò di nuovo nello schermo del comunicatore, troppo piccolo per darle la vicinanza di cui aveva bisogno. Prese lo strumento tra le mani. «Va bene.»

Lui liberò una risata di sollievo. «Stai morendo di vergogna.»

«È che.... forse ci siamo spinti troppo in là.»

«Okay, torniamo indietro.»

Anche se fosse stato possibile... Bastava rallentare. «Dovremmo parlarne di persona.»

Lui era d'accordo. «Tutto sarà più bello quando potrò sfiorarti su quelle guance rosse.»

Lei si lasciò invadere dalla tenerezza. «I love you.»

«Me too. Dormi bene, love.»

«Sì.»

Nel sorriso di lui si accese una scintilla. «E mi raccomando, fa' sogni innocenti.» Le strizzò l'occhio e su quella nota chiuse la comunicazione.

 

«Sento troppa soddisfazione nell'aria di questa stanza.»

Alexander rise, piegandosi per prendere Arimi in braccio. «Ciao!» Ignorò Shun e schioccò un bacio sulla guancia della bambina. «Cosa faccio adesso? Lo sai cosa faccio?»

Arimi gli rispose con una risatina estatica. Lui tenne fede alla promessa, facendola volare per aria. «Hop!»

La riprese mentre cadeva, guadagnandosi un grido di approvazione. Al secondo salto, si ricordò del suo amico. «Cosa dicevi?»

«Per caso stai facendo sesso telefonico?»

Quasi mancò di riprendere Arimi. Accennando una risata, la strinse al petto.

A Shun era sfuggita una smorfia. «Dieu. Non dovevo chiedere.»

«Non stiamo facendo niente.»

«Allora cosa?»

Non sapeva come parlarne - non voleva - perciò si limitò al sorriso stupido che non riusciva a scacciare da un'intera giornata.

«TMI» comprese Shun, annuendo.

Sì, gli stava chiedendo informazioni troppo personali.

«Comunque ho un'idea per te.»

«Hm?»

Arimi stava protestando per i salti mancati, tirandogli la maglia.

«Quando arriverà Ami-san, prendi una stanza d'hotel all'aeroporto. Non posso ospitarvi in casa la prima notte, c'è una minore qui.»

Alexander scoppiò a ridere.

Ma Shun era sicuro. «Anche io vorrei evitare di comprare tappi per le orecchie.»

«Ho capito, hai ragione.» Era un'ottima idea, a ben pensarci. Avrebbe prenotato la stanza per un'intera settimana.

Shun si riprese Arimi. Era ora di cena e lei doveva mangiare.

Alexander notò che il suo amico era cupo. «Non ti ho chiesto come è andato il tuo appuntamento di ieri.»

Shun fece un suono con la bocca - l'equivalente di un due di picche.

Per forza non era di buon umore, e notava quanto lo fosse lui. «Cos'è successo?»

«Colpa mia. Lei ci stava, capisci? Stavamo uscendo dal locale e abbiamo incrociato una madre con un bambino stretto al petto, in una fascia. Connie ha detto, 'Ma cosa ci fa quella con un marmocchio in giro a quest'ora?' Io non sono più riuscito a levarmi dalla testa lei che usava quel tono di sprezzo. Non l'avrei mai fatta incontrare ad Arimi, ma immaginare che avrebbe chiamato così anche la mia bambina...» Si bloccò. «Intendo Mi-chan. Be', mi ha sgonfiato. L'ho salutata e me ne sono tornato a casa, scocciato.»

Alexander non poté lasciarsi sfuggire l'occasione. «Ragioni come un vero papà.»

Shun fu sul punto di lanciargli un'imprecazione colorita, poi incrociò lo sguardo di Arimi e la sua espressione si distese. Parlò a lei. «Hai fame, vero? Vuoi la pappa?»

Sua figlia comprese l'ultima parola e si sporse con tutto il corpo verso il tavolo, quasi sfuggendogli dalle braccia.

«Okay, okay!»

Alexander comprese che Shun non sarebbe tornato sull'argomento. Era ancora indeciso su come farsi chiamare da Arimi. Per alcuni mesi aveva usato la parola 'zio' con lei - Zio Shun - e solo in seguito aveva scoperto che la signora Agatha si riferiva a lui come 'papà' quando parlava alla bambina.

Alexander non sapeva se avessero discusso per questo, ma era una cosa che aveva fatto riflettere Shun. Il suo amico non era ancora arrivato a una conclusione. Ad Alexander pareva semplice, ma non voleva forzare la situazione offrendo il proprio punto di vista.

Arimi aveva appena undici mesi e non aveva bisogno di conoscere le circostanze della propria nascita. Sarebbero passati anni prima che potesse comprenderle. L'onestà era una buona politica, ma nella semplicità del suo mondo di bambina era più giusto che Arimi conoscesse come 'papà' il ragazzo che si prendeva cura di lei. Stava già sentendo quella parola all'asilo e nei cartoni animati che ogni tanto guardava. Imporle di usare qualunque altro appellativo era modo di invitare domande in futuro. Sarebbe stata Arimi a farle, ma le avrebbe anche ricevute: c'era tutto un mondo che la circondava e che avrebbe voluto sapere perché era uno zio a crescerla.

Alexander era certo che Shun fosse cosciente di tutti quei problemi. Forse si sentiva solo strano a definirsi genitore della bambina di sua sorella. Magari gli sembrava di usurparne il ruolo.

Shun stava tirando fuori dal frigo la zuppa frullata che aveva preparato Mrs Agatha.

«Quanta ne ha fatta?» commentò Alexander. Era un pentolino intero, troppa per Arimi.

«Ne mangerò un po' anche io.»

Alexander rise. «Con la pappetta per bambini hai completato la tua discesa nel mondo dei neonati.»

«Sì, sì, prendimi in giro. Ma adesso, appena è calda, la assaggi.»

«Perché dovrei?»

«È verdura mischiata a carne. Ho comprato del pane perché da sola non mi riempie, ma se potessi mangiare solo questo per il resto della mia vita, non mi lamenterei.»

Addirittura?

Shun glielo confermò con un cenno della testa, mentre Arimi si agitava per raggiungere la scodella che si stava scaldando sul fuoco. Shun aveva già dimenticato il malumore per la serata andata male con una ragazza. Appena prendeva in braccio Arimi era appagato.

Alexander allungò le braccia verso di loro. «Dalla a me.»

Shun gliela cedette senza protestare. Doveva approntare la tavola.

Alexander si diresse al frigo con lei. «Guarda cos'abbiamo qui, Mi-chan: cibo vero, per adulti. È pollo che ho preso al diner più buono di Boston. Vedremo se la tua minestra potrà competere con queste cosce croccanti.» Scoperchiò la scatola. Comprese il proprio errore quando Arimi vi affondò una mano dentro, tirando fuori il pezzo di pollo più grosso.

«Ehi, aspetta-»

Shun intervenne rapido, togliendo la coscia dalla mano di lei prima che potesse metterla in bocca. Sua figlia scoppiò a piangere. «Genio. Ora spiegale tu perché non può mangiarlo.»

«Magari un pochino... Così non è infelice.»

Shun scuoteva la testa. «I tuoi figli mangeranno solo schifezze quando rimarranno con te.»

Alexander non riuscì a ribattere: in segno di protesta, Arimi gli stava sporcando tutta la faccia di grasso.

  

Era diventata un'ossessione.

Ami non riusciva a smettere di pensare a quello che aveva detto ad Alexander, a come aveva risposto lui e al vaso di Pandora che avevano scoperchiato insieme.

Con coraggio e molto amore non si astenne dal chiamarlo il giorno successivo. Lui si comportò come se nulla fosse cambiato tra loro. Lei quasi gli credette.

Ma il suo cervello si rifiutava di spegnersi sull'argomento: come un treno ad alta velocità, rallentava a malincuore in corrispondenza delle fermate del suo pudore, scalpitando per tornare ad avanzare.

Aveva tutti quei pensieri carnali proprio perché cercava di rifiutarli. Lo aveva detto lei stessa: il sesso era un impulso naturale tra due persone che si amavano.

L'unico problema, nel caso suo e di Alexander, era che non avevano la possibilità di incontrarsi, quindi non potevano agire secondo le loro pulsioni. Questo le creava frustrazione e insoddisfazione.

Perché non mi bastano più i pensieri romantici? Per assurdo erano stati sufficienti per quasi due anni. Proprio ora che non poteva fare nulla, voleva di più.

Non si apprezza quello che si ha finché non se ne sente la mancanza.

Le uscì un sospiro sarcastico. Sdraiata nel letto dell'appartamento di Alexander, accese la tv.

Per qualche secondo seguì le vicende di un film drammatico. I dialoghi le suonarono banali e noiosi, perciò cambiò canale.

Si ritrovò a guardare un varietà, con concorrenti che dovevano superare un percorso a ostacoli. Non era in vena di ridere delle loro disgrazie e passò al canale successivo.

Sullo schermo apparvero i volti di due attori famosi, uomo e donna. Sembravano una coppia, stavano litigando. L'atmosfera era soffusa e carica. D'un tratto lui afferrò la compagna per le braccia e le piantò un bacio sulla bocca. Lei si agitò, ma ben presto si arrese. L'inquadratura sfumò su una camera da letto.

«Oh, no.»

Voleva spegnere ma non riusciva a farlo. I due attori avvinghiati si stavano spogliando, baciandosi e accarezzandosi. Si adagiarono sul materasso, in preda alla passione.

«Miao.»

Si voltò e abbracciò Ale-chan, che era salito sul letto. Contro le sue proteste lo avvolse al petto, per impedirsi di guardare lo schermo. «Sono una pervertita.»

Con sguardo impassibile, il suo gatto le diede ragione.

  

«Stai bene?» Alexander studiò Ami con molta attenzione: lei aveva gli occhi gonfi. «Hai dormito?»

«Sto avendo difficoltà a prendere sonno.»

«Sei preoccupata per qualcosa?»

Lo sguardo di lei vagò, poi Ami strinse le labbra. «Non proprio.»

In che senso?

«Alex...»

«Sì?»

«Mi sento strana a fare questo discorso al comunicatore.»

Lui valutò le sue parole, cercando di non trarre conclusioni. «Okay.»

Lei esitò. «Dall'altro giorno non ho smesso di pensarci.»

Alexander fu immediatamente certo di cosa stavano parlando. Non disse nulla, ma vedere Ami a disagio non gli piacque.

«Non sono sicura che...»

«Non volevo metterti in imbarazzo.»

«No! Mi imbarazza la necessità di... sentirmi e farti sentire come l'ultima volta.» La sua voce si fece piccola. «Intendo, quando ti ho raccontato di quello che ho sognato. Di quello che desidero.»

Lui seppe che era giunto un momento cruciale per loro. Parlò con grande attenzione. «Mi hai fatto sorridere per due giorni interi.»

«... davvero?»

Annuì. «Mi hai reso felice.»

Ami assorbì la rassicurazione. «E se mi spingessi più in là... non penseresti male di me?»

Lui volle avere una reazione scomposta, ma rimase calmo. «Certo che no.»

«Non so nemmeno cosa voglio. È solo che la mia testa si rifiuta di darmi tregua.»

«Love.» Gli toccava prendere in mano le redini della situazione. «Ti manca il contatto fisico?»

Il termine corretto, pragmatico, le diede stabilità. «Esatto.»

«Possiamo essere creativi.»

In fondo l'immaginazione di lei non era così pura: arrossì.

Alexander portò un dito alla bocca. Alzando le sopracciglia, le fece comprendere cosa voleva. Ami lo imitò, fidandosi.

Lui spostò il dito sul proprio labbro inferiore. Ami seguì il movimento, ripetendolo senza spostare gli occhi dalla sua mano. Acquisì sicurezza. «Tira indietro i capelli» gli disse.

Lui obbedì.

«Mi piaci con la fronte libera. Sembri più... innocente.»

«Vuoi che lo sia?»

«No, è solo che... è come se fossi io a toccarti, giusto?»

Proprio così. «Bacia il tuo dito, piano.»

Ami chiuse gli occhi. Appoggiò le labbra sul polpastrello in un bacio delicato. Alexander si godette ogni istante. Lei si allontanò, poi non resistette e premette un secondo bacio, più intenso, su tutte le dita.

Lui seppe che stava immaginando di baciarlo. «Se fossi lì, farei scendere la mia mano lungo il tuo collo.»

Nel vederla dare vita al movimento, qualcosa in lui si accese a tal punto da fargli temere di non potersi controllare.

«Ieri notte ho fatto una cosa» sussurrò Ami.

Ansimando in silenzio, lui attese.

«Ho sognato di nuovo, ma questa volta mi sono svegliata prima. Non potevo più fingere di non sapere cosa stavo facendo, eppure... non ho resistito: ho spostato il cuscino tra le gambe e mi ci sono spinta contro.» Ami arrossiva in continuazione, da quando la conosceva, ma in quel momento sembrava affebbrata. Gemette. «Non mi bastava. Così ho immaginato che tu avessi... che mi facessi... poi sono di nuovo...» Lei esalò, cercando aria. «Tante parole e mi vergogno a usarle.»

Lui aveva capito ugualmente ed era diventato duro come la roccia. «Ami.»

Lei rabbrividì. «Sì?»

«Che cosa ti stavo facendo?»

Rigida, lei non sfuggì al suo sguardo. Trovò il coraggio di parlare proprio osservandolo negli occhi. «Mi stavi baciando, a bocca aperta, tra... Strofinavi la lingua in mezzo alle mie... Su...»

Lui perse la connessione tra bocca e cervello. «Sul tuo fiore?»

Ami nascose la faccia tra le mani, facendo su e giù con la testa. Singhiozzò.

«God, non piangere.»

«No!» Lei riemerse dal proprio nascondiglio. Era mortificata, ma rideva. «Fiore

Sentendosi eccitato e ridicolo, lui liberò una risata stentata. «Scusa. Non sapevo come altro chiamarlo.»

«Per forza. Non c'è una parola buona per... Oh mio Dio!» Tornò a coprirsi gli occhi.

A lui faceva piacere averla resa religiosa. «Non vergognarti. Cercherò un termine migliore.»

«Tu- io... L'ho detto davvero?»

«Te l'ho chiesto.»

Ami allontanò la mano dal viso, ma tenne chiuse le palpebre. «Mi sento di nuovo come ieri notte.»

In tutta quella storia c'era un punto di massima sopportazione e lui lo aveva appena raggiunto. «Ami love.» Sapeva che lei non era pronta, perché glielo aveva appena dimostrato. «Ti devo salutare.»

«Cosa?»

La sua delusione gli fece quasi cambiare idea. «Hai bisogno di qualcosa, ma non vuoi che io ti guardi. Il mio bisogno in questo momento è più grande del tuo. Sto... esplodendo.»

Ad Ami cadde la mascella.

Lui strinse le coperte su cui era seduto. «Fai quello che senti, immagina che sia io a farlo. Su ogni più piccolo punto del tuo corpo.»

L'imbarazzo non la bloccava più dal guardarlo. Ami era eccitata quanto lui.

«Sfogati. Non sarai da sola.»

Lei sbatté gli occhi. «Ci sentiamo dopo?»

Per Alexander fu una sofferenza confermare. Chiuse la chiamata.

 

Incredula, col comunicatore ancora in mano, Ami si sdraiò sul letto e insinuò una mano tra due bottoni del pigiama. Non si stava toccando da sola, era Alexander che voleva farlo. Era lui che le prendeva il seno a coppa, stuzzicandone la punta. Roteò il proprio capezzolo tra le dita, rifiutandosi di pensare alle proprie azioni. Era bello, intimo - perché se il suo amore fosse stato con lei in quel momento sarebbe stato ancora più insistente e dolce...

Scese con le dita sullo stomaco. A migliaia di chilometri di distanza Alexander era sicuramente andato più sotto sul proprio corpo e con la testa gettata all'indietro sul cuscino ora stringeva i denti per il piacere. Lei intrufolò la mano nei pantaloni del pigiama, dentro gli slip, agitando le gambe.

Immagina che sia io a farlo.

Bastò quella consapevolezza a farle sollevare di scatto il bacino, per uno spasmo improvviso. Si tormentò col dito, stringendo disperatamente le cosce tra loro, cercando di non gridare.

Quando aprì gli occhi, ansimava, appagata.

Girò la testa per guardare l'ora.

Non poteva essere passato più di un minuto.

Si impose di aspettare prima di richiamare.

 

Passati dieci minuti, Alexander non sapeva se attendere oltre o rischiare. Avrebbe riavuto un'erezione completa, immediata, se avesse beccato Ami mentre lei non aveva ancora terminato.

Non sapendo se sperarlo o temerlo, si azzardò a chiamarla.

Lei rispose in un secondo netto. «Ciao.»

Era la stessa voce infatuata e sazia che lei usava quando riposavano insieme, dopo aver fatto l'amore.

Suo malgrado, Alexander si eccitò.

Ami aveva la mente sgombra. «Scusa.»

«Per cosa?»

«Per averti costretto a spegnere. È vero, non ce l'avrei fatta a guardare.»

Il suo pentimento gli generò solo tenerezza. «Non preoccuparti.»

Senza badare ai bottoni del pigiama aperti, lei si sdraiò su un fianco, serena. «La prossima volta farò uno sforzo.»

«Non deve essere uno sforzo»

«Giusto. Ce la farò e basta. Ti amo così tanto.»

Lui sentì il cuore che traboccava felicità. «Anche io. Qualunque cosa tu faccia.»

Ami si mangiò un sorriso, furbo sugli angoli. «Ti renderò fiero di me.» Gli lanciò un bacio. «A domani, passa una buona giornata.»

 

Nel fine settimana Ami riuscì a riunire le sue amiche per una cena, nell'appartamento di Alexander. 

Terminando di mangiare, Makoto la squadrò. «Hai finito quel libro, Ami? Voglio prestarlo a Rei.»

«Oh, sì. È di là.»

«Di che libro parlate?» indagò Rei.

Gli occhi di Usagi erano come raggi laser su Ami. «Ti è servito?»

Lei dibatté brevemente su come rispondere. «Sì.» Davanti ai gridolini delle sue amiche, scappò in cucina.

Il grido di Rei fu il più alto. «Perché non so mai niente?»

 

Fu a lei che Ami decise di rivolgersi un paio di giorni dopo. Usagi e Makoto erano ansiose di esserle d'aiuto, ma il modo in cui volevano condividere la sua esperienza la spingeva a zittirsi piuttosto che a parlare. Rei, pur essendo schietta, era capace di rispettare la sua privacy e di non farla sentire a disagio. Era la persona migliore a cui rivolgersi per un consiglio nel campo che le serviva.

Parlarono davanti a una tazza di tè.

«Vuoi sapere come creare un'atmosfera romantica?»

«Sì. Mi serve qualcosa che produca un effetto rilassante e... intimo.»

Rei sorrise. Non di lei, e neppure con lei - una sua grande qualità. Aveva compreso che cosa le stava chiedendo e non stava sottolineando quanto fosse anomalo il comportamento nel suo caso. A differenza di Usagi, Makoto e Minako, Rei non si sorprendeva di quella sua evoluzione, quasi come se avesse sempre saputo che anche lei, come chiunque altro, era capace di grande ardore.

«Dato che stiamo parlando di una comunicazione via schermo, ci vuole qualcosa di scenografico.»

Ne parlò con tanta naturalezza che Ami non ebbe modo di vergognarsi. Rei stava già riflettendo sul da farsi. «Candele» dichiarò.

«Profumate?»

«Sì. Gli odori influenzano l'umore e la luce soffusa crea un ambiente calmo, che placa l'animo e al contempo accende l'immaginazione. Sotto le lampade si lavora, si studia, si legge. Insomma, si fanno le cose di tutti i giorni. Una candela invece è speciale, unica.»

Erano parole che da sole incantavano. 

Rei era concentrata. «La vasca da bagno è uno scenario sensuale ma complicato da gestire e un po' troppo audace per te. Restiamo sul semplice: una stanza. Svuotala degli oggetti alle tue spalle. Distraggono, anche se ovviamente lui guarderà solo te. Ma facciamo le cose per bene.»

Ad Ami piaceva quel modo pratico di approcciarsi al progetto.

Rei incrociò i suoi occhi. «Non voglio imbarazzarti, ma dato che stiamo parlando di far sentire a tuo agio anche te... Compra della biancheria nuova.»

Ami arrossì per la prima volta.

«No, ascoltami: non qualcosa di sexy, solo qualcosa che ti faccia sentire... desiderabile. Un nuovo capo di biancheria funzionerà meglio perché questa è una nuova esperienza per te, quindi... rendila nuova in tutti i sensi. A lui stai offrendo qualcosa di unico e vuoi che ti veda come non ti ha mai visto prima. Il capo di vestiario giusto è il fiocco che impacchetta un regalo speciale come questo. Quando sentirai che ti blocchi, o ti sembrerà di essere sgraziata, fuori luogo, persino ridicola... penserai a come ti rende bella ciò che indossi e ti sentirai meglio.»

Solo Rei era in grado di rendere naturale quel tipo di discorso. «Tu hai mai provato?» Ami si morse le labbra, vergognandosi della propria curiosità.

«No, ma al posto tuo lo farei.» Rei sospirò, guardando il cielo. «Al posto tuo lo avrei fatto sin dai primi giorni. Sapendo che dovevamo stare lontani per mesi, avrei avuto paura di non essere sempre nei suoi pensieri. Avrei voluto fargli sentire in tutti i modi possibili che aveva ancora bisogno di me, e io di lui.» Si mangiò un sorriso. «Per questo la tua relazione è ad uno stadio che invidio. Tu ti sei dimostrata più sicura di me.»

«Siamo solo diverse.»

Rei accettò la concessione. «In ogni caso ciò che vuoi fare è molto bello. Mentre vai a scegliere le candele e la biancheria immergiti in un sogno. Stai per dare a te stessa e a lui un ricordo unico.»

Ami si sentì pervasa da un puro spirito romantico. «Grazie.»

Rei sorseggiò il proprio tè. «Di nulla. Più ti senti innamorata, più sei disinibita. Questo aiuta in una conversazione telefonica spinta.»

Soffocando una risatina, Ami accettò quell'ultima perla di saggezza.

All'alba di dicembre, Alexander non si aspettava nulla più di quello che aveva.

Non aveva più rivissuto con Ami l'esperienza di qualche giorno prima, ma lei non l'aveva dimenticata. Quando lo salutava gli faceva percepire con sguardo intenso che lo avrebbe pensato, di notte.

Una volta lui aveva avuto il coraggio di chiederle, 'Mi hai più sognato?'.

Lei aveva risposto di sì, sciogliendosi in un sorriso. Aveva posato un bacio delicato sulle proprie dita e le aveva appoggiate sullo schermo, trasmettendogli il contatto a un oceano di distanza.

Sapere che lei, da sola, si dedicava a placare le sensazioni che era lui ad accenderle nel corpo era un pensiero che occupava la sua mente giorno e notte. Lo usava per soddisfarsi, non vedendo l'ora di poterlo fare con lei, dal vivo.

Quella sera, sentendo lo squillo del comunicatore, sbadigliò per la stanchezza. Era stata una giornata piena. Si infilò sotto le coperte, preparandosi ad addormentarsi dopo la buonanotte di Ami.

«Ciao» esordì.

«Ciao.»

Si stupì di non vedere nessuno nello schermo. Il comunicatore era puntato verso la sua stanza. Sul comodino dove di solito teneva la lampada c'erano tre fusti di candele alte, di colore rosa.

Nel suo campo visivo entrò una coda. Ami allungò le mani, spostando il gatto dalla scena.

Alexander si mise a sedere sul letto, divertito. «Cosa fai?» Era una sua impressione, o aveva visto su di lei le maniche di una vestaglia?

Udì una risatina leggera. «Ale-chan ci teneva a salutarti.» Ami entrò nell'inquadratura solo con la testa, di lato. «Ora ci sono anche io.»

Lei stava... giocando. «Perché ti stai nascondendo?»

Ami scosse il capo. «È solo una piccola entrata a effetto.»

Vedendola apparire per intero sul letto, seduta, Alexander notò la vestaglia color crema che indossava. Era opaca, di seta, e su di lei gli ricordava uno yukata estivo. Le lasciava scoperte le gambe.

«Sei stanco stasera?»

«No.» Non era nemmeno una bugia. Gli era già passata la stanchezza ammirandola in quei nuovi panni...

«Che cos'hai fatto oggi?»

L'umore di lei era diverso, particolare, ma per scoprire che cosa aveva lui preferì seguire la scia indicata, rispondendo alla domanda. Le fece un rapido resoconto della propria giornata. «E tu?» domandò infine.

Ami rivolse lo sguardo alla luce delle candele. «Ho fatto questo acquisto.»

«La vestaglia è nuova.»

Lei annuì. La fiamma delle candele si rifletteva nei suoi occhi. «È liscia e morbida. Mi piace sentirla sulla pelle.»

Rapito, Alexander si avvicinò allo schermo. Cercando con la mano dietro di sé, spense la luce sul soffitto.

Ami sorrise. «Così non ti vedo.»

A lui bastava vedere lei. «Un attimo.» Accese la lampada, regolandone la luminosità. «Ora va bene? Anche se non penso che il mio lato appaia altrettanto bene su video.»

Lei accolse il complimento. «Ti piace questa atmosfera?»

Gli piaceva vedere che allestire in quel modo la stanza aveva trasformato la dolcezza di lei in qualcosa di... sensuale.

Per non imbarazzarla, scherzò. «Mi fa sentire inadeguato. Al tuo confronto io indosso uno straccio.» Tirò la maglia del pigiama, squadrandola con finto disgusto.

Ami lo fissò per un lungo momento. «Perché non la togli?»

... la maglia?

«Stai meglio senza.»

Lui non avrebbe potuto essere più veloce a spogliarsi.

Quando terminò, vide che Ami si era alzata sulle ginocchia. «Dimmi se anche io sto meglio senza la vestaglia.» Lei sciolse il nodo sulla vita e, con lentezza, lasciò cadere il tessuto dalle spalle.

Indossava una sottoveste di colore chiaro, con spalline sottili, che arrivava a malapena alle gambe. Sotto i triangoli dei seni una decorazione in pizzo lasciava spazio a una fascia di tessuto in trasparenza che terminava prima dell'ombelico. Il resto dell'indumento era di seta - e sulla pelle di lei aveva una consistenza preziosa, lavica.

Alexander osservò, immobile.

Vedeva il petto di Ami che si sollevava a ritmo, con sempre più insistenza.

Articolò un suono. «Ah...»

Lei portò una mano sullo stomaco, raccogliendo lievemente il tessuto. A lui uscì un ansito.

Ami tornò a sedere e Alexander colse di sfuggita un sorriso candido. Sistemandosi meglio, lei si sdraiò sul letto, di lato, tutta la sua attenzione rivolta a lui. «Volevo che stasera fosse speciale.»

«Sei incantevole.» Ecco, riusciva ancora a parlare.

Ami giocò con l'orlo della veste. «Ho voluto scegliere qualcosa di... dolcemente eccitante.»

Parole che la descrivevano perfettamente.

Alexander appoggiò la bocca contro le nocche delle mani, provando a non respirare troppo forte. Le punte dei seni di Ami si erano fatte turgide. «La senti fredda? La veste?»

«No. Si è scaldata contro il mio corpo.»

Lui immaginò la sensazione e represse un mugolio. Giudicò saggio non aprire più bocca.

Ami non sentì il bisogno di colmare il silenzio. Alexander non la guardava in viso ma lei non fece nulla per attirare la sua attenzione verso gli occhi. Ad un certo punto si allungò, come per dargli una migliore visione di sé. Il tessuto della veste scivolò di lato sui fianchi, lasciandogli intravedere la linea degli slip.

Come sarebbero scivolati sulla carne morbida, umida?

Ami si issò su un gomito, attenta. «Alex... Stai perdendo sangue dal naso?»

Lui si schiaffò una mano sulla faccia, sentendo la scia bagnata. «No, sono...» Allontanando le dita dalla faccia vide del liquido rosso. Inorridendo, si allungò a prendere un fazzoletto.

Lei si era avvicinata allo schermo, preoccupata. «Premi forte sulle narici.»

«Sto bene» bofonchiò lui. Non riuscire a parlare bene lo fece sentire ridicolo. Si liberò del fazzoletto. «Oggi ero raffreddato, mi sono soffiato forte il naso. Avrò indebolito un capillare.»

Ami annuiva, cercando di rassicurarlo. A un certo punto si morse le labbra.

Non ridere, non ridere...

Lei soffocò la prima risatina.

Alexander gettò la testa all'indietro - più per la disperazione che per fermare l'emorragia. Quando fu certo che non avrebbe più espulso liquidi dall'orifizio sbagliato, tornò a guardare Ami - seminuda nella sua stupenda veste color crema, disponibile a ogni piacere carnale, ma lontana migliaia di chilometri da lui.

«Stai bene?» si sentì domandare.

«A posto.»

«Mi spiace di aver riso, ma... Ho voglia di darti un bacio sulla fronte.»

Lui ne voleva uno da tutt'altra parte. «Love...»

«È meglio che ti lasci riposare.»

No! «Non riuscirò a dormire in questo stato.»

«Non vuoi restare da solo?»

Sì, ma non perché si sentiva male. «Non andartene. Continua quello che stavi facendo.»

Negli occhi di lei entrò un pizzico di malizia. «Ero solo sdraiata.»

Era stato sufficiente per lui. «Torna nella posizione di prima.»

Arrendevole, Ami obbedì. Era ancora in apprensione. «Stai bene sul serio?»

«Certo.»

«Sicuro?»

Lei era molto dolce, ma fuori luogo senza saperlo. «Un calo di pressione non renderebbe possibile la congestione di sangue che ho a livello del bacino.»

Lei allargò gli occhi. Combattendo contro un sorriso, lo guardò intensamente. «Ti amo.»

«Non sai quanto io.»

«Non per- Perché sei tu, ovviamente, ma i termini medici che hai usato per descrivere il tuo problema... Mi conquistano quanto il tuo stato di congestione.»

Alexander rise.

Ami non era più in vena di scherzi. «Ti va di pensarci insieme?» Nel fare quella proposta il sangue le salì al viso ed Ami respirò a fondo. «Anche io non riuscirò a calmarmi fino a quando... Fino a che noi...»

Alexander notò che lei si stava rannicchiando e comprese la portata del suo bisogno. «Strofina le gambe tra loro.»

Glielo vide fare, sullo schermo. Durante il movimento Ami aveva stretto più forte le coperte.

Lui portò la mano alla congestione che svettava sul suo basso ventre. «Com'è stato?»

«Non abbastanza.»

«Prova ad abbassare le spalline.»

Qualcosa - curiosità, audacia - si accese negli occhi di lei. «Perché?»

«L'aria ti darà quella carezza che non posso darti io. E avrò qualcosa di meraviglioso da guardare.»

Invece di mettere in dubbio il complimento, o vergognarsi di essere al centro di tanta attenzione, Ami respirò a fondo e denudò una spalla. Si sdraiò sulla schiena, per tirare giù anche l'altra spallina. Infine tornò su un fianco, rivolgendosi a lui. Con deliberata lentezza, incastrò un dito nella scollatura della veste e tirò giù il tessuto, molto piano.

Lui stava per venire senza neppure stimolarsi.

Fotografò nella mente quell'attimo: non aveva mai visto niente di più erotico di Ami che gli rivelava i propri seni, cosciente di essere guardata, consapevole dell'effetto che gli faceva.

Guardò gli occhi di lei e vi lesse qualcosa che conosceva: una nota di incertezza, lievissima.

«You are breathtaking» le disse. Lei aveva bisogno di sentirlo parlare e l'inglese sembrava più soave e intimo alle loro orecchie. «I could die watching you.»

Come in agonia, Ami lasciò scivolare una mano tra le proprie gambe. Premette lievemente, agitando appena le dita, senza mai smettere di guardarlo. «L'ho fatto ieri» mormorò. Le si spezzò il respiro. «Non è stato più a causa di un sogno. Mi conoscevo attraverso te e non avevo mai... Volevo essere pronta per oggi.» Continuò a massaggiarsi, inarcando la schiena, chiudendo gli occhi. «Volevo che fosse solo per te, ma ad un certo punto... È così devastantemente piacevole che...»

Oh, God.

Alexander smise di respirare.

Lei muoveva un unico dito su di sé, stringendo i denti. «C'era solo questa sensazione così...» Agitando la testa, provò a resistere alla propria carezza, inutilmente. «Non esisteva nient'altro che...» Si irrigidì di colpo coi fianchi, donandosi ai tocchi incessanti della mano.

Lui schizzò di sperma le proprie dita, proibendosi di emettere suoni.

Ami incontrò i suoi occhi e gli chiese amore, conforto e perdono - tutto in una volta sola. Smise di muoversi, rannicchiando le ginocchia contro il ventre.

Lui calmò il respiro assieme a lei, senza fretta, mentre discretamente cercava un fazzoletto.

Se l'avesse avuta accanto, le avrebbe ravviato i capelli. «Come fai a sentirti in colpa?»

«È sempre stata una cosa che ho fatto solo con te...»

Come se lui potesse esserne geloso. «Sii edonista, love. Approvo in pieno.»

Lei nascose la faccia nelle coperte. «Veramente?»

«Diventa esperta. Poi mi insegnerai come darti più piacere.»

Ami si strofinò contro il materasso, abbracciandosi. «Non ce n'è bisogno. Voglio dire, quando noi due... è già tremendamente... Stupendamente...»

«Se continui, avrò voglia di ricominciare.»

Le suscitò un sorriso e seppe che lei era di nuovo a suo agio.

«Ti è piaciuto?»

Sorridere con lei, per lei, era la cosa più bella sua vita. «Tanto.»

Più calma, Ami scrutò i suoi occhi. «Scusa se trovo il coraggio di dire cose imbarazzanti solo in momenti strani.»

«Mi basta che tu le dica.» Allungò la mano e soffrì nello scoprire di non poterla toccare. 

Ami si sporse sul letto e prese il comunicatore, portandolo vicino a sé. Alexander fece lo stesso.

«Ti si stanno chiudendo gli occhi» la sentì mormorare.

«Non è vero.» Ma riconoscendolo, lui si liberò del fazzoletto sporco, gettandolo nel cestino.

Nel comunicatore Ami lo guardava come se lo avesse scoperto daccapo. «Un giorno dimostrerò l'esistenza del filo rosso del destino.»

Alexander aveva adagiato la testa sul cuscino. «Hm?»

«Non sarà difficile: ne ho uno avvolto attorno al dito, che mi lega a te. Non c'è distanza che tenga. Non lo spezza il mio imbarazzo, la mia insicurezza. Le mie decisioni più sciocche.» Le pupille di Ami vacillarono, umide. «Tu tieni saldo il filo.»

Alexander era assonnato, ma sentiva tutto. Capiva tutto. «Mi hai chiamato tu.» Chiuse gli occhi, certo che lei sentisse il suo abbraccio. «Ancora prima che ti conoscessi, già mi chiamavi.»

In Giappone Ami strinse il comunicatore al petto.

Era vero.

 


 

Tre settimane volarono. Le riempirono di discorsi, di racconti, di esperienze - il loro paradiso dei sensi, come aveva iniziato a chiamarlo.

Ami lesse ad Alexander le parti che aveva preferito del libro che aveva ricevuto da lui in regalo, per il suo compleanno.

Lui le fece conoscere Arimi. Vedere la bambina sorridente, che guardava con gli occhi sgranati lo schermo e poi rideva nell'abbraccio di lui, le riempì l'animo.

Aiutò Alexander nello sviluppo della sua idea sul teletrasporto. Non andarono molto lontano, poi lui chiese una mano a Shun, esponendogli il progetto come un concetto puramente teorico. Da lì avanzarono insieme verso un livello che le risultò incomprensibile, ma non poté che esserne felice.

Gli espose la sua idea per la tesi di laurea. Alexander tornò a rammaricarsi per il fatto che lei non avrebbe avuto tempo di laurearsi, ma per Ami non era un problema. Non aveva più alcun rimpianto.

 

«Ancora tre giorni.»

«Ancora tre giorni» ripeté lui. «Ho una sorpresa per te, Ami love. Hai già pronte le valigie?»

«Sì! Non vedo l'ora di arrivare. Ho comprato dei regali di Natale per tutti.»

«Io riporterò i miei indietro con te. Mi riferisco a quelli per Shoko-san e la sua famiglia. Poi ci sono le tue amiche, i ragazzi, i gatti. Ah, ho una cosa anche per tua madre. Ma dovrà aspettare gennaio.»

Quando avrebbero iniziato la loro vita insieme. «Quattordici giorni solo per noi» disse Ami, ebbra di speranza. Sapeva che sarebbero stati i giorni più belli, i più attesi.

Lui era impaziente quanto lei. «Vado, o non dormo più. Devo accumulare sonno, perché conto di non dormire quando ti rivedrò.»

Era una promesssa. «Almeno per ventiquattr'ore.»

La sua audacia non lo sorprese più. Era un premio guadagnato. «Poco ma sicuro. 'Notte, love.»

«Bye.»

Era una delle ultime volte che si salutavano al comunicatore, dopo quasi quattro mesi di separazione.

Ami abbracciò Ale-chan. «Non vedo l'ora di partire. Tornerò presto, vedrai. Tu starai con Luna, poi avrai un nuovo amico. Staremo nell'altra casa, tutti insieme. E finalmente saremo...»

Una famiglia.

Sospirò di gioia.

 

 

Novembre/dicembre 1997 - Lontani ma vicini - FINE

 


Note: Gente, questo è il penultimo capitolo di questa raccolta. La chiuderò col botto, raccontandovi di quando Ami e Alexander si ritrovano, in America.

Se vi è piaciuto ciò che avete letto (o magari no), lasciatemi una parola - come regalino di Natale, su :D

 

Elle

 

Gruppo Facebook dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

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Capitolo 17
*** 21/30 dicembre - Per istinto e pensiero ***


per istinto e pensiero ì

 

Per istinto e pensiero

di ellephedre

 

21/30 dicembre 1997 - Per istinto e pensiero

Boston, Aeroporto internazionale.

Dopo quindici ore di volo, Ami aveva appena passato il controllo dell'immigrazione. Era estatica ed esausta - dormire accanto ad estranei, in uno spazio angusto, si era rivelato più complicato del previsto. Era quasi pentita di non aver speso altri soldi per un sedile più comodo, ma il denaro le serviva per la vacanza. Voleva fare tante cose - tantissime - insieme ad Alexander.

Cercò un bagno. Si era già data una sistemata in aereo, ma lo specchio dei servizi dell'aeroporto confermò i suoi timori: aveva i capelli scompigliati, la pelle secca e gli occhi stanchi. Si passò dell'acqua sulla faccia, cercando di ravvivarsi. Mise del burrocacao sulle labbra screpolate e pettinò i capelli con la spazzola che aveva infilato nell'unico beauty case che si era portata in America.

Era pronta e non lo sarebbe stata più di così.

Afferrò le valigie dal nastro trasportatore e si diresse verso l'uscita, dove attendevano i visitatori dell'area arrivi. Con ogni passo nella giusta direzione, il battito del suo cuore aumentava di ritmo.

Finalmente era finita. Non doveva più dirsi di aspettare un altro mese, un'altra settimana, un altro giorno. Alexander era dietro le porte che stava per attraversare.

Appena le ante della sala si aprirono, cercò il viso di lui nella folla.

Vide prima di vedere, sentì prima di sapere. Cominciò a correre, le rotelle delle valigie che stridevano contro il pavimento nello sforzo di starle dietro.

Si sentì afferrare e venne avvolta in un abbraccio.

Mio Dio. Era necessario invocare il divino per la sensazione del corpo di lui contro le mani, per il suo odore sul naso, per le sue braccia che la stringevano.

Si arrampicò sulle sue spalle, affondando il viso nel suo collo.

«Ami.»

Si scostò per un bacio, ma ebbe gli occhi di Alexander a due centimetri di distanza e singhiozzò di felicità. «Alex.»

Cercarono di fondersi l'uno con l'altra, per non potersi più separare.

Le valigie giacevano ai loro piedi, dimenticate.

Lui non riusciva a staccare il viso dalla sua tempia. «Ti ho sentita solo ieri, ma è passato così tanto tempo

Lei sapeva esattamente cosa intendeva dire.

Si allontanò per prendergli il volto tra le mani. Non le importò di trovarsi tra la gente: lo baciò, aprendo la giacca perché ci fosse meno stoffa tra loro.

Si perse e continuò per un tempo interminabile, troppo breve. Lui si allontanò di un passo.

Le venne da ridere pensando che solo in quel momento lo stava vedendo per davvero. Alexander indossava un cappotto nero e un maglione azzurro, del colore dei suoi occhi. Era sano e in forma - uguale all'ultima volta che lo aveva visto in Giappone e al contempo diverso, ma soprattutto reale. Le stava sorridendo, riempiendosi di lei. «Non ti ho nemmeno lasciato parlare.»

Lei tornò a baciarlo su una guancia. «Non serviva.»

«Come stai? Sei stanca?»

Ami annuì. Era esausta soprattutto per l'enormità di quello che stava provando. Era come se fosse appena finita una lunga e sottile agonia. «Andiamo via, non stiamo qui. Prima arriviamo, prima staremo da soli.»

A lui spuntò un sorriso disteso. «La nostra destinazione è più vicina di quello che pensi.»

«Prenderemo un taxi?» Sarebbe costato tantissimo.

«Ho avuto un'altra idea. Me l'ha suggerita Shun, è la tua sorpresa.»

Oh, quella di cui le aveva parlato. Fece per prendere le valigie, ma Alexander le recuperò tutte e due al posto suo. «Ho prenotato una stanza» le disse.

«Dove?»

«Dall'altra parte della strada, nell'aeroporto dell'hotel.»

Le uscì un sospiro di sollievo così grande, così immenso che...

Lui condivise il suo senso di liberazione. «Solo qualche altro passo.» Si chinò per strofinare il naso contro la sua tempia.

Avrebbero potuto passare l'eternità a sfiorarsi, mai sazi.

«Com'è andato il viaggio?» 

«È stato lungo. Non ho dormito molto. Non importa.»

«Abbiamo tutto il tempo che vogliamo. Potrai riposare.»

Ci avrebbe pensato una volta che fossero stati in camera, ma al solo pensiero non aveva più voglia di dormire. «È così strano rivederti di persona.»

«Vero? God, sei più carina che mai.»

Lei arrossì. «Mi sono vista allo specchio. Non è vero.»

«Non discutere, non vedi quello che vedo io.» Alexander si frappose tra lei e le porte di uscita dell'aeroporto. «Copriti. Fa un freddo cane.» 

Ami seguì il consiglio: non si ammalava più, ma non teneva a testare la teoria. Seguì Alexander nel gelo della città. «C'è un odore diverso qui.» Inalò il profumo dell'aria - sapeva di bruciato, di vento.

«Mi manca Tokyo» disse lui.

Ci sarebbero tornati presto. Attraversarono la strada sulle strisce pedonali ed entrarono nell'edificio di fronte a loro, in una hall. 

«Era proprio vicino» commentò Ami.

«Il miglior consiglio che abbia mai seguito.» Alexander la condusse verso l'ascensore, senza fermarsi alla reception.

Nella cabina, appena vide che lui aveva premuto il pulsante per il quarto piano, Ami si prese del tempo per abbracciarlo.

Alexander affondò di nuovo col viso nei suoi capelli. «La lontananza è stata una tortura.»

Lo era ancora, per quell'impossibilità di annullare tutto ciò che li circondava, per l'attesa che li costringeva a esistere ancora come due esseri distinti. Abbracciarlo non bastava, per quanto fosse meraviglia per ogni suo senso.

Le porte dell'ascensore si aprirono troppo presto, troppo tardi. Cercando di contenersi, entrambi percorsero rapidi il corridoio. 

Alexander tirò fuori dalla tasca una chiave magnetica e la inserì nella quinta porta sul loro cammino. Scostando l'anta, fece attenzione a far entrare prima le valigie. Ami sfilò la sciarpa, oltrepassando la soglia per ultima. Nella fretta di sorpassare gli ostacoli che la separavano da lui, urtò il trolley, facendolo cadere.

Non importò a nessuno dei due mentre la porta si chiudeva alle loro spalle.

Si scontrarono in un abbraccio, trovandosi. Faticarono a decidere se tenere gli occhi chiusi o aperti mentre si spogliavano freneticamente dei soprabiti.

Alexander le prese la testa tra le mani. «Look at you. So beautiful...»

Era molto più bello sentire la sua voce dal vivo, col calore del suo fiato sulla pelle.

Lo privò del cappotto. Lui aveva fatto cadere a terra la sua giacca e la sollevò di peso tra le braccia, per la vita. Mentre si muovevano, lei cercò invano di aiutarsi con le gambe a restare sollevata: la presa era disordinata ma salda. Si sentì cadere di lato, su un letto, e si sollevò sulle ginocchia, per racchiudergli le guance tra le mani. Lui era il suo miracolo. «Mi sei mancato.» Si sciolse in un bacio. «Non riesco a dire quanto. Non ci sono parole...» Nella gola le scoppiò un singhiozzo.

«No, no...» Alexander tolse aria alle sue lacrime premendo la bocca sulla sua. «Hai pianto abbastanza. Sono qui, sei qui...»

Era vero. E potevano essere passati mesi, settimane, ma furono più bravi e capaci che mai a levarsi i vestiti di dosso, indumento dopo indumento, staccandosi a stento, cercando piuttosto di salirsi sopra, o schiacciarsi. Ami voleva consistenza, peso, realtà.

Sollevò i fianchi, facendo scivolare giù la gonna mentre lui riempiva di baci aperti il suo stomaco, le mani impegnate ad aprirsi i pantaloni. Lei si tirò indietro solo per avere maggior libertà di movimento. Riuscì a sfilare le gambe dalle calzamaglia in cotone.

Come risvegliandosi, Alexander arretrò sul letto e barcollò per la stanza. «Aspetta.» Raccolse da terra i vestiti, cercando qualcosa. «La giacca, dove...?» La trovò e non disse più nulla. Armeggiò tra le varie tasche, aprendo finalmente una cerniera e tirando fuori qualcosa.

Nell'aria della stanza, nuda, Ami rabbrividiva per il freddo e voleva solo tornare ad abbracciarlo. Rise quando lo vide sbattere il ginocchio contro un angolo del letto. Alexander saltellò per il dolore e si liberò dei pantaloni dimenando le gambe. In ginocchio sul materasso, cominciò a trafficare con la confezione del preservativo.

«Niente abbracci prima?»

Lui si immobilizzò.

Ami soffiò via una risata, alzandosi per raggiungerlo. «Scherzavo. Voglio tutto.» Gli levò dalle mani il preservativo già aperto e si sentì estranea a se stessa - e incredibilmente proprio se stessa - quando prese la sua erezione tra le mani e vi fece scivolare sopra la protezione di lattice, senza neppure guardare. Privi di ostacoli, si avvolsero con tutta la forza che possedevano.

«My God.»

«Adoro la tua voce.»

«Missed you so much. With all my heart.»

Ami strinse il suo viso al petto. «Lo so.»

«Couldn't exist withou you.»

Lei aveva provato la stessa cosa. Lo stava ancora baciando quando sentì la prima risata. Lui aveva un odore così buono... «Che c'è?»

«Non parli più inglese, Ami love?»

Nella piccola pausa si guardarono negli occhi, smettendo di respirare. Le si fermò il cuore. «Penso di aver dimenticato tutte le lingue che conosco.»

Per un poco si strinsero col solo fine di bearsi del calore che si trasmettevano a vicenda. Lentamente, inesorabilmente, tornarono a percepire la propria nudità con le mani. L'affetto degenerò in passione.

«Apri.»

Ami eseguì: si stava già sedendo sopra di lui, da sola, tenendosi alle sue spalle. Terminò di separare le cosce e lo sentì posizionarsi all'entrata del suo corpo. L'incastro riscrisse il suo mondo. «Oh.» Iniziò ad ansimare contro il suo viso. Qualunque altra esperienza, qualunque sensazione mai provata, impallidì, scomparve.

Come era riuscita a sopravvivere con le sole immagini, con le sole parole, per tutto quel tempo?

Lui premeva con le mani sui suoi fianchi. «Ami.»

Lei gli levò i capelli dalla fronte - come gli aveva promesso che avrebbe fatto, al telefono, quando lo avesse rivisto. Mise le dita nella sua chioma e imparò di nuovo la forma della sua nuca. Tornò a ricordare lo strofinio del seno contro il suo petto, la sensazione bollente dei loro ventri uniti che cominciavano a sudare, le loro gambe intrecciate. In quella posizione purtroppo non sentiva bene quelle di lui. «Fammi sdraiare.»

Alexander riuscì a farlo senza che si staccassero.

Così, così! Ecco cosa le era mancato: la sensazione di abbandono assoluto e unione. Ora poteva baciare, abbracciare con ogni arto, subire e dare. «Make it last.» L'inglese le tornò per quella richiesta. Fallo durare.

A due centimetri da lei, Alexander scuoteva la testa, soverchiato. «Non so se...»

Schiacciata, Ami aprì la bocca sulla sua e ondeggiò contro il suo corpo. Baciami, amami, stringimi. Non lasciarmi andare - mai, mai più. Affondò lievemente i denti nelle sue labbra e venne scossa da un orgasmo. Vi si aggrappò con disperazione, come se non fosse sicura di poterne provare un altro in vita sua.

Qualcosa si diradò nella sua mente - paura, ansia.

Si arrese al sollievo.

Sentendo un bacio sulla tempia, si girò tra le braccia di lui e lasciò uscire un singhiozzo. Scoppiò a piangere con violenza, travolta.

Si sentì avvolgere in un bozzolo.

«Mai più.»

La sofferenza era prepotente, non solo sua.

Sì, mai più, perché era stata lei a volere quella separazione. Lei! Che stupida, che idiota...!

Esaurì le lacrime e scivolò verso l'alto nell'abbraccio, stringendogli la testa contro i seni. «Sto provando troppe cose.»

«Provale tutte. Non vado da nessuna parte. E tu non ti muovi da qui.»

Accolse il sorriso. Si diede il tempo di pensare. «Ritrovarmi con te è come... svegliarmi.»

«È questa la realtà. Non pensarci troppo. Non avere paura.»

«Con te mai più.»

L'ultimo ricordo fu il suono di un sorriso.

  

Quando aprì gli occhi, di nuovo, per un momento si allarmò. Poi il braccio che la teneva per la schiena aumentò la forza della presa.

Quanto aveva dormito?

«Sono passate due ore» offrì Alexander, leggendole nella mente. 

Lei sollevò la testa. «Scusa.»

Lui iniziò a ridere.

«Cosa c'è?»

«Mi mancavano le tue scuse!»

Per un momento il suo divertimento la irritò. «Scusa se-»

La travolse un'altra risata.

Ami gli batté una mano sul petto, abbracciandolo risentita.

«Queste continue richieste di perdono sono così te, Ami love. Non vedevo l'ora di risentirle dal vivo.»

Lei si dimenticò di tutto. «Mi sono addormentata, lasciandoti solo.»

«Hai dormito contro di me. È stato paradisiaco.»

Il desiderio di vicinanza più violento era stato ormai sedato, ma era ancora vivo. Solo per un istante lei riuscì a guardare la persona che aveva davanti con gli occhi di qualche mese prima. «Pensi che continueremo così per sempre?»

«Hm?»

«Ci ricopriremo di parole di amore e passione in ogni singolo momento?»

«Io non mi lamenterei.»

Valutando la situazione, Ami ebbe la propria risposta. «Neanche io.» Si adagiò su di lui, riposando nella loro pace. «Non voglio più alzarmi da qui.»

«Posso aiutarti con questo.»

Quando lui parlava le faceva venire voglia di... di fare qualcosa, tutto. Non sapendo da dove cominciare, sollevò una sua mano e la studiò, meravigliandosi di poterla di nuovo sfiorare, toccare. Percorse la lunghezza dell'indice di lui, memorizzando daccapo la lieve curva delle giunture. Studiò la sensibilità della pelle del palmo, costringendolo a incavarsi sotto la pressione del suo pollice. Era una mano che le rispondeva, che la cercava.

Alexander parlò. «Mi è servito che dormissi, sai?»

«Perché?»

«Questa esplorazione che stai mettendo in atto... Ho un vantaggio di due ore su di te. Ho studiato ogni centimetro di epidermide sulle tue mani, sulle braccia... Ho provato a non focalizzarmi troppo sul tuo corpo perché dormivi e potevo fare poco se mi eccitavo. Mi sono beato del tuo viso per un'ora intera.»

Il relax di Ami fu totale. «Abbiamo fusi orari diversi. Quando dormirai io sarò sveglia e potrò studiarti a mio piacimento.»

«Mi sembra giusto.»

Lei sollevò la testa. Nel rivedere gli occhi di lui ebbe la tentazione di salutarlo, come se lo stesse appena rivedendo.

«Oggi ti avrò reincontrato dieci volte» commentò Alexander in un'involontaria risposta.

«È la novità del rivedersi.»

Lui afferrò in coppia le sue mani e portò le nocche alla bocca. «Quando stavamo insieme tutti i giorni avevo la soddisfazione di conoscerti da sempre, ed era una cosa immensa. Non so cosa sia migliore.»

Lei non voleva più esistere fuori da quella stanza. In quei pochi metri quadrati aveva tutta la felicità di cui aveva bisogno.

«Hai fame?»

Hm... «No.» Aveva mangiato sull'aereo.

Sentì un gorgoglìo che proveniva dalla pancia di lui. «Io ho fame» lo sentì ammettere. «Ero così in ansia al pensiero di rivederti che ho mangiato poco.»

Ami si sollevò, impietosita. «Andiamo a prendere qualcosa.»

Alexander si rifiutò. «Servizio in camera. Non voglio uscire da qui finché non mi sarò saziato di te.»

Lei si riempì di piacere. «Quanto ci metterai?»

«Un paio di mesi.» Sorridendo, lui si mise in piedi. Le sembrò più stabile rispetto all'ultima volta che lo aveva visto alzato, più calmo e sollevato mentre andava a prendere il menù dell'albergo dal tavolino vicino. Insieme avevano provato una smania meravigliosa, che non si era ancora spenta.

«Speriamo che facciano del buon cibo.»

Sdraiata, Ami lo squadrò da capo a piedi, studiando la forma definita della sue gambe, la compattezza del suo torso, la solidità delle sue braccia.

Oh.

Non se n'era mai accorta.

Lui notò la sua ispezione. «Cosa c'è?»

Aveva da riferirgli una considerazione prettamente visiva. «Hai un corpo... eccitante.»

Alexander sgranò gli occhi. Sollevò un braccio nella sua direzione, disegnando una croce in aria. «Lussuria, esci da questa Ami.»

Lei si vergognò. «Sei tu che hai insistito per farmi diventare così.»

«Ti preferivo modesta.»

«... davvero?»

Lui spalancò la bocca. «No! Voglio che dici tutto quello che ti passa per la testa.»

Le uscì un sospiro.

Alexander la osservò in volto. «È troppo presto per le prese in giro, hm?»

«Devo solo imparare a scioccarti più di quanto tu sciocchi me.»

«Potrei restarci secco.»

«Te la saresti andata a cercare.»

«È vero» le confermò divertito. Salì sul letto, dimenticandosi del menù e del cibo. La percorse con gli occhi, indugiando a piacere. «Non hai perso peso.»

Se lo era ricordato? «Ho recuperato dopo i primi mesi. Da quando ci siamo risentiti, la felicità mi ha portata a mangiare come prima. E col freddo che si avvicinava... Penso di essere un po' più in carne rispetto ad agosto.»

Lui allungò una mano verso un suo seno. «Mi piace.»

Lei inarcò lievemente la schiena, godendosi la carezza del dito sul capezzolo turgido. «Sarà appena un chilo in più.»

«Mi andrebbe bene anche se fossero dieci.»

Oh, lei non sarebbe mai ingrassata tanto. A meno che...

Be', sarebbe successo solo quando...

Si costrinse ad allontanare le mani di lui, per pensare. «Chiama la reception. Se non ordini qualcosa subito, dovrai aspettare troppo per mangiare.»

Alexander si era scordato di avere fame. «Resisterò.»

Il suo stomaco fu di un altro parere: gorgogliò di nuovo.

Lui rise. «Stupido. Ho qualcosa di pronto, me l'ero dimenticato.» Si diresse al mini-bar. 

L'anima risparmiatrice di Ami soffrì nel vederlo prendere un succo di frutta. Alexander recuperò anche dei biscotti. Glieli offrì. «Non fare quella faccia, love. Li ho comprati io, in un supermercato. Ho preso anche del latte e dei crackers. Li ho portati qui prima di venire a prenderti.»

Ami amò la sua previdenza. Accettò un singolo biscotto, scoprendo nonostante tutto di avere appetito.

Mentre Alexander masticava avidamente i crackers, lei ritrovò il filo del ragionamento che aveva interrotto.

C'era una ragione se stava rivedendo il suo ragazzo per la prima volta dopo ben tre mesi e mezzo, nonostante fosse in grado di teletrasportarsi da un continente all'altro.

Aveva fatto una gran tragedia della loro situazione per più motivi validi, seri, che l'avevano costretta a mettere in discussione se stessa e la loro relazione. Ma soprattutto un elemento - un progetto, una speranza, un impegno - l'aveva spinta a essere così ferma nella sua determinazione a cercare una distanza tra loro, affinché fossero entrambi sicuri di quello che stavano facendo nel legarsi l'uno all'altra. 

... lei voleva quel progetto. Voleva lui e il loro avvenire. Ora erano insieme, si erano finalmente ritrovati. Sarebbero andati a convivere e non avevano più alcuna incertezza sul fatto che, qualunque percorso di vita avessero intrapreso, avrebbero avanzato insieme. Perciò... Erano stati tutti e due d'accordo sul fatto che ci fosse poco tempo per dare una chance alla possibilità che più li aveva messi in dubbio, giovani com'erano.

Su entrambi incombevano troppi doveri e cambiamenti: avevano meno di due anni di tempo da vivere normalmente. Aspettare era stato giusto, ma adesso che erano del tutto sicuri...

Alexander si era messo a bere da una cannuccia.

Ami diede fiato a ciò che le passava per la mente. «E se provassimo ad avere un bambino?»

Lui schizzò succo d'arancia dal naso. Si piegò in avanti, tossendo e soffocandosi mentre lei lo raggiungeva di corsa, battendogli forte sulla schiena. «Stai bene?» 

Alexander provò inutilmente a parlare. Tossì altre due volte prima di riuscire a schiarirsi la gola. «Come

Ami si sentì rozza. «Era un'idea» balbettò.

«Sì, ma... Cosa-? Quando...?» Deglutì. «Eh

Lei si sentì ridicola. «Cancella l'ultimo minuto. Facciamo finta che non abbia parlato.» 

«Aspetta.» Si sentì afferrare un braccio. «So che io e te...» La costernazione di lui si trasformò in semplice incredulità. «Spiegami perché ti è venuto in mente adesso.»

Lei volle una fossa in cui sotterrarsi. «Hai parlato di vedermi grassa. Dato che non succederà fino a che io non resterò...» Non riuscì a dire la parola. «Poi ho pensato che ci stiamo rivedendo solo oggi perché non potevo teletrasportarmi da te per tutto questo tempo per questa ragione, per il bambino intendo, e allora... dato che sappiamo di avere poco tempo, ho creduto che...»

Udì un suono, una via di mezzo tra un sospiro e una risata.

Si azzardò ad alzare gli occhi. «Cosa stai pensando?»

«Che non era il modo in cui immaginavo di parlarne.»

Giusto. Aveva ragione lui. «Ripensiamoci quando torneremo in Giappone.»

Alexander considerò quell'opzione. La scrutò in viso, infine spostò lo sguardo sulla giacca che aveva buttato a terra. Si mosse per raccoglierla. «Sai... Quando ho comprato questi preservativi, mi sono chiesto per quanto tempo ne avremmo avuto bisogno.»

Ami sentì il cuore in gola. «Davvero?»

Lui prese la confezione tra le mani. «Ricordavo che cosa avevamo progettato. So che c'è poco tempo.» Si diresse al cestino. Allungando il braccio, vi buttò dentro l'intera scatola di profilattici.

Lei non riuscì nemmeno a sbattere gli occhi.

Alexander aveva qualcosa da dirle. «Vorrei davvero - davvero tanto - avere più tempo per stare solo con te. Ma se avremo un bambino non arriverà domani e... te l'avevo promesso, l'anno scorso.»

Oh, non poteva essere una questione di promesse.

Lui stava scuotendo la testa. «Intendo dire che è da un anno che mi sto preparando all'idea. Se non me ne avessi parlato tu, te ne avrei parlato io, presto. Con più tatto.»

L'aggiunta dissipò la sua ansia. «Allora...»

Anche lui era nervoso. «Allora non useremo più protezioni. E sento che non sto dicendo una sola cosa come vorrei, ma...»

Ami lo raggiunse, stritolandolo in un abbraccio.

Alexander respirò meglio. «Dovevi permettermi di prepararmi, love. Quello che cerco di dire è che era qualcosa che anche io volevo fare con te.» Prese fiato. «Perché so di voler passare il resto della mia vita con te.»

Per non tornare a singhiozzare, Ami premette la faccia nell'incavo del suo collo. Raccolse aria. «Allora non sarà un peso? Il bambino, intendo.»

«No, ma... Sai che non è una certezza, vero?»

Sicuro. Perciò era ansiosa di iniziare a tentare. «Magari non ne avremo mai uno.» Era consapevole che poteva essere già troppo tardi per loro, nonostante le precauzioni che aveva preso per limitare l'avanzata del suo potere. Però... «Mi basteresti tu. Avere un bambino ha senso in una vita con te. Se non lo avremo mai, io sarò completa comunque.» Ora lo sentiva. Ora sapeva che non aveva davvero bisogno di null'altro che lui per esistere. «Anche se rimanessimo solo noi due per sempre, sarà la vita migliore che io possa desiderare.»

Nello sguardo di Alexander vide qualcosa che la rese umile: la forza della felicità che era in grado di donargli, e che non aveva mai espresso a sufficienza.

Chinandosi, lui appoggiò la fronte contro la sua, gli occhi chiusi. Ebbero a stento fisicità in quel momento: furono anime che si sfioravano col respiro, terminando di intrecciarsi.

Lei pose fine all'attimo sollevandosi per un bacio necessario, indispensabile. Lui doveva aver pensato la stessa cosa, perché la incontrò a metà strada. Tornarono a essere corpi, con un disperato bisogno di ritrovarsi. A tentoni raggiunsero il letto e non si diedero più tregua.

     

Sedato dalla loro nuova sessione d'amore, Alexander aveva una sola recriminazione: non era progettato in modo da proseguire senza sosta. Era un peccato. Ami ancora tremava se lui la sfiorava, come se fosse pronta a ricominciare in qualunque momento. Lasciò la mano sul fianco di lei, ogni tanto stringendo la presa per ricordarle che non aveva finito quella sera.

Ami sollevò le palpebre, stordendolo daccapo con la profondità delle sue iridi blu. «Mi è mancato.»

«Cosa?»

«Fare l'amore senza il... Cioè, unirci senza barriere.»

Lei era così deliziosamente tecnica in quelle sue considerazioni. «È mancato anche a me.»

La vide perdersi in un pensiero e non la interruppe.

«Cercherò di non essere ansiosa.»

«Con riguardo a cosa?»

«Al bambino, se mai ce ne sarà uno dentro di me. Ho letto che l'impazienza e l'ansia destabilizzano l'equilibrio ormonale, contribuendo a diminuire le possibilità di concepimento.» Ami guardò serena il soffitto. «Sarà un regalo, se verrà. Preferisco non aspettarmelo, né programmarlo. La cosa migliore che posso fare è starmene tranquilla e completamente rilassata.»

Al fine di raggiungere lo scopo era una buona strategia, ma... «Lasciami fare la mia parte.»

Le causò un sorriso. «Certo, devi partecipare.»

«No, intendo... tu sii pure tranquilla e rilassata. Ma per aumentare le probabilità, dovremmo favorire in ogni modo l'incontro dei, ehm, soggetti interessati. Quindi direi di fare l'amore almeno due volte al giorno.» O tre.

Ami stava trattenendo una risata. «Sai che sarebbe meglio lasciare che il liquido seminale si ricarichi?»

Eh?

«La concentrazione di spermatozoi non può rimanere la stessa a fronte di eiaculazioni troppo frequenti. Si anticipa il tempo necessario alla loro produzione.»

Alexander si sentì come se lei avesse appena dissezionato verbalmente i suoi testicoli. «Quale sarebbe la frequenza ottimale dei rapporti, in teoria?»

«Ogni due giorni. I libri consigliano di concentrarli nel periodo immediatamente precedente all'ovulazione e durante la stessa.»

Lui iniziò a soffrire, poi notò che Ami si stava divertendo.

«Una frequenza poco serrata è una precauzione da seguire nel caso di bassa conta degli spermatozoi. In merito a questo, giocano a favore dell'uomo una serie di fattori, quali-»

Età, stato di salute, alimentazione. «Ho ventun anni, mi mantengo in forma e faccio una dieta variata. Non posso essere più fertile di così.»

Lei si sciolse in una risatina. «Lasciami finire! Stavo per dire che non mi importa di ricreare le condizioni mediche migliori. Mi piace un'altra teoria che ho sentito: consiglia di avere rapporti tutte le volte che lo si desidera. Se due volte al giorno è la frequenza a cui aspiri...»

«Non farebbe male alla causa.»

Ami lo abbracciò, posando un bacio sulla sua clavicola. «Sarei d'accordo anche se non ci fosse alcun secondo fine.»

Oh, lui era in paradiso. Aveva finalmente accanto la Ami che aveva conosciuto al comunicatore. Lei era la stessa persona che lui aveva amato per anni. 

Ami notò qualcosa oltre le sue spalle. «Allora hai letto un libro mentre dormivo.» Si sporse a prendere il volume sul comodino.

«Ci ho provato. Mi distraevi semplicemente respirando.»

Felice, lei sfogliò le pagine. «C'entra con la tua ricerca?»

«Sì. Questo autore ha una teoria che potrebbe aiutarmi. Stavo pensando di scrivergli.»

Ami lo guardò, estasiata. «Pensi che ti risponderebbe?»

«In realtà mi piacerebbe andare a trovarlo, ma... sta in California. Se gli esponessi la mia idea per intero, potrei davvero coinvolgerlo nella ricerca. Però dovrei lavorare a tempo pieno con lui per arrivare a qualcosa di concreto. Io e Shun ci siamo andati vicini, ma... Ci sono ancora troppi buchi. Ne scopro uno nuovo ogni volta che vado avanti.»

Ami ci pensò su. Capì perfettamente cosa intendeva.

Alexander si esaltò. «Anche così, credo che nessuno sia mai arrivato fino al nostro punto. Avere un teletrasporto funzionante, con uno strumento che permette di analizzare il processo al livello di cui è capace il tuo computer, ci ha fatto fare un salto enorme in avanti come umanità. Sarà una rivoluzione così grande che...» Ci rifletté, fermandosi. «Non sono sicuro che l'equazione sia da diffondere immediatamente, una volta individuata. Comunque, solamente esplorando il percorso per arrivarci, Shun ha già avuto decine di idee per altre applicazioni pratiche. Ci sono state due notti in cui non ha dormito a forza di lavorarci.»

Ami condivideva ogni sfaccettatura della sua meraviglia. Iniziò a percepire un senso di perdita, per lui. «Mi porterai a vedere il campus del MIT?»

«Certo. Ti piacerà tantissimo.»

Ne era sicura. «Alex...» Gli accarezzò la fronte. «Ti piacerebbe restare qui? O andare in California.»

Lui rimase interdetto. «Prima di tornare in Giappone?»

No. «Per i prossimi due anni.» Lo bloccò prima che potesse ribattere. «Io rimarrei con te. Dovremmo cambiare i piani che abbiamo fatto, ma... posso studiare medicina ovunque. Da sola o iscrivendomi in un'università vicina alla tua. Non vedrei le mie amiche tanto spesso, ma il teletrasporto ci avvicina. Posso avere un bambino anche qui in America.» 

Vide i dubbi di lui e cercò di spiegarsi meglio. «So che sarebbe una pazzia. Non concluderemmo nessun percorso di studi e trasferirci e studiare fuori dal Giappone costerebbe tantissimo, ma... qual è il valore di questi anni della nostra vita? Forse stiamo prendendo troppe precauzioni. È un delitto che tu interrompa gli studi che stai facendo, limitando questo entusiasmo che accende tutto ciò che per cui hai sempre lavorato.»

«Ho capito cosa intendi» la interruppe Alexander. «E non sai quanto mi renda felice sentirti parlare così.»

Ami fu contenta di essersi lasciata andare, smettendo di focalizzarsi su quanto sarebbe stato complesso riorganizzare la loro vita in un altro paese. C'erano cose più importanti su cui concentrarsi: lui, loro.

«Sono felice perché mi sostieni, love. Ma questo l'ho sempre saputo.» Alexander si mise a sedere. «Voglio comunque tornare in Giappone insieme, a casa.»

«Perché?»

Lui non era più entusiasta come quando le aveva parlato di tutto quello che poteva scoprire, ma non sembrava oberato. Era... calmo. «In questi due anni che ci rimangono, potremmo andare avanti come se nulla fosse destinato a cambiare, ma... io non sarei tranquillo. Mi sembra già di aver fatto finta di niente troppo a lungo. Ci è servito, ma voglio che arriviamo pronti al giorno in cui le nostre vite cambieranno. Non sarà facile se non possiamo dare per scontato il tetto sotto cui abiteremo, o se avremo ancora la possibilità di lavorare e di guadagnare qualcosa.»

Lei rimase in silenzio.

«Non potrei concentrarmi sullo studio con questi pensieri in testa. Vorrei che vivessimo il più normalmente possibile fino ad allora, ma mi interessa iniziare a organizzarci. Devo lavorare per accumulare denaro, il più possibile. E...» sorrise, incredulo. «Penso che coinvolgerò le tue amiche. Soprattutto Tenou e Kaiou, che la sanno lunga. Dobbiamo prevedere la situazione in cui ci troveremo, per prepararci a difenderci. Forse dovremo munirci di identità fittizie, creare conti all'estero, sicuramente identificare uno o più luoghi sicuri in cui stare se dovessimo spostarci in fretta...» I dettagli a cui pensare erano innumerevoli. «Sono idee che mi vengono sul momento. I problemi a cui pensare sono molti di più. Senza la protezione delle vostre identità, con tutto il mondo a conoscenza di chi siete davvero, non sento di potermi affidare completamente al potere di Usagi per tutte le situazioni che dovremo risolvere. Potenzialmente, stiamo parlando di come andranno le nostre vite per i prossimi decenni. Non ci salverà solo la magia: ci vogliono dei piani.»

Ami era d'accordo. Soffrì per lui, solo un poco. «Scusa se ti ho fatto credere di non avere in mente tutte queste cose.»

«Mi fido di te. Ma tu ti fidi troppo di Usagi.»

Lei non se la prese. «Forse Usagi creerà un'impenetrabile castello in cui saremo tutti felici e al sicuro, ma... è vero, abbiamo bisogno di organizzarci. Ci vorrà del tempo.»

Alexander annuì. «Troverò il modo di mandare avanti la mia ricerca nel tempo libero, o quando mi capiterà. Ma per ora è già un progetto secondario nella mia testa.» Allungò le mani verso di lei. «D'altronde in Giappone mi aspettano tante novità che non vedo l'ora di godermi. Tu che vieni a vivere a casa mia, per cominciare.»

Ami sorrise contro la sua spalla.

«Lo hai già detto a tua madre?»

«Ecco... no. Ho pensato che fosse indelicato presentarle l'idea da sola. Mamma accetterà qualunque mia decisione, ma sarebbe più tranquilla sapendo che abbiamo dei progetti duraturi insieme.»

Lui comprese. «Allora, quando torneremo, le parleremo il prima possibile.»

Proprio così. «Ho già organizzato tutte le mie cose in modo da poterle inscatolare con rapidità. Posso trasferirmi nel giro di un giorno.»

Era musica per le orecchie di Alexander.

«Ho fatto qualche considerazione su come gestirci a livello economico.»

«Non parliamone ora.» Non si ritrovavano più nella situazione di un anno prima: poiché aveva lavorato lui aveva delle decenti disponibilità economiche, considerato anche che quel viaggio in America era stato finanziato interamente da suo padre. Non c'era motivo di parlare di denaro: se Ami ne aveva, o voleva guadagnarne per usarlo per tutti e due, bene, ma non sarebbe stato indispensabile.

In ogni caso lui era aperto a qualunque cosa lei volesse fare. Erano nella posizione di non preoccuparsi eccessivamente delle loro finanze nell'immediato presente. Nei successivi due anni l'unica grossa spesa che avrebbero dovuto affrontare insieme sarebbe stata legata al bambino, o alla cerimonia di... Hm.

Guardò Ami negli occhi.

«Cosa c'è?»

Era smemorato come lei quando si trattava di alcune ovvietà. «Niente.» Allegro, assaggiò una sua guancia.

Divertita, Ami incavò la testa nelle spalle. «Stavi pensando a qualcosa.»

Sì, ma non gliene avrebbe parlato senza un'estesa e dettagliata preparazione.

Ami lo scrutava. «Per quanto riguarda i soldi, volevo solo dire che ho trovato il modo di commercializzare un programma che ho sviluppato al computer.»

«Sei una grande.» Scese con le labbra lungo il suo collo. 

«Ci vorrà un po' di tempo per ingranare, ma potrò mantenermi da sola per tutte le spese, anche quelle condivise. E presto-»

A lui non poteva importare di meno. «Brava.»

Ami affondò le unghie nella sua schiena. «Mi sembri condiscendente.»

Si sbagliava. «Sono pronto a farmi mantenere da te senza discutere.» Le causò una risata e cercò un suo bacio. Lei aveva un sapore così dolce... «Ma non potrai farmi riflettere sull'ammontare dei nostri stipendi quando ho solo voglia di mangiarti viva.»

«Suona... sanguinolento» commentò Ami. Il ritmo del suo respiro era cambiato.

Alexander arrivò a uno dei suoi seni. Con estrema pazienza, ignorò completamete l'areola, baciando tutto attorno. Lei si piegò all'indietro sul letto, usando le braccia per adagiarsi con lentezza sulla schiena.

Lui percepiva ancora l'odore del sesso che avevano fatto, inebriante per le sue narici. Era passato troppo tempo dall'ultima volta che si era goduto il piacere di sentire la sua carne più intima sotto la lingua. La cosa più eccitante era vedere che Ami si era preparata: lo sentiva con le dita, mentre sfiorava i peli cortissimi del suo pube. Piegò la testa verso il basso.

«No!» si agitò lei. «Devo prima farmi un bagno!»

«Non importa.»

«Alex, Alex... A me . Ho viaggiato su un aereo e abbiamo fatto persino l'amore...»

«Va bene.» Si sollevò su di lei, incastrando le mani sotto le sue ginocchia, per piegarle le gambe. «Però a me il tuo odore piace sempre.»

Ami annuì col respiro accelerato: aveva intuito cosa lui stava per fare.

Alexander non la deluse: spostando i fianchi entrò nel suo corpo, più veloce di quanto avesse voluto. Restò senza fiato: il bollore, il palpito della stretta, l'umidità dei suoi umori...

Ami separò indolentemente le gambe, scendendo con una carezza a stringergli le braccia.

Lui si azzardò ad aprire gli occhi. Aveva visto troppe volte il corpo di lei su uno schermo per non provare ora la necessità impellente di osservare dal vivo quello che Ami aveva fatto a se stessa quando lui era stato incapace di aiutarla. Scese con la mano sul suo ventre, muovendo il pollice fino a trovare il punto più sensibile della sua carne. «Era qui che volevi che ti toccassi?»

Ami ansimò, tendendosi. Con la bocca lui la adorò in viso, gemendo in silenzio. «È mancato di più a me, love.» Si mantenne fermo a forza: era divino, assolutamente unico, sentirla dondolare contro di lui, intrappolata dal piacere.

Ami lo abbracciò e parlò al suo orecchio. «Sognavo che tu... spingessi.»

Lui lo fece, a fondo, senza impostare alcun ritmo. Premette in lei con singole inesorabili spinte, desiderando più di ogni altra cosa di non arrivare mai alla fine.

Ami trovò la sua bocca in un bacio. Per un lungo minuto, giocarono: coi fianchi lei chiedeva e lui non dava, godendosi i suoi sforzi.

Poi lei premette le mani sulle sue spalle, allontanandolo. «Facevo così.» Lo incitò ad andare ancora più indietro, finché non fu praticamente seduto. Quando Ami fu sicura che potesse vederla, abbassò una mano su di sé. Con un'espressione di adorabile mortificazione lasciò scivolare il dito tra le pieghe delle proprie cosce.

Lui gemette a voce alta.

Senza smettere di guardarlo lei iniziò un massaggio circolare, esperto - delicato ma insistente. Le bastò sfiorarlo per caso per farlo muovere come se avesse premuto un interruttore: sostenendosi con le braccia per non coprirla, Alexander sentì tutto il basso ventre che si abbandonava a un ritmo regolare, inevitabile, una strada verso la perfezione.

Ami boccheggiava a tempo con le sue spinte, cercando di non essere vocale mentre si toccava. Era divina, sensuale oltre ogni forma di erotismo.

Il piacere la colse in crescendo, scuotendola.

The most beautiful girl...

Lui contribuì a plasmare il suo orgasmo seguendone le ondate, poi vi aggiunse il proprio peso e le fece perdere la testa: Ami incrociò le gambe attorno ai suoi fianchi, inarcando le schiena, senza mai smettere di far proseguire gli spasmi con movimenti erratici delle dita. All'improvviso allontanò la mano come se si fosse scottata, distendosi con tutto il corpo mentre lui la abbracciava disperatamente per la vita, schiacciandole il bacino a tempo.

Lei rabbrividì in risposta a ogni affondo e non emise suono quando lui si svuotò dentro il suo corpo.

«My God, Ami. My God.» Chinandosi, Alexander nascose la faccia contro il suo collo.

Udì un primo mugolio. Ami portò le braccia attorno alle sue spalle, con tenerezza.

Stremati, si concentrarono sulla riconquista del respiro.

Dopo un minuto, lei lo baciò su una tempia. «Non sarei così, senza di te.» Lo avvolse con tutto il corpo, cercando riparo. «Non sarei e basta, senza di te.»

Non era vero, ma la realtà di quelle parole esisteva anche dentro di lui. Infilò le braccia tra il letto e la sua schiena, stringendola più che poteva.

Non c'era un significato prima di te.

Non voleva mai più trovarne un altro.

 


  

«Ehi, ciao!»

Era il 22 dicembre, il giorno dopo il suo arrivo in America. Ami sentì sparire l'ansia quando colse il sorriso di Yamato, il miglior amico di Alexander, che la invitava a entrare in casa.

«Quando tempo, Ami-san!»

«Yamato-san.»

Lui non era mai stato tipo da contatti fisici, ma Ami portò comunque avanti una mano, per toccare un suo braccio. Non si vedevano da un anno. In quei dodici mesi tutto era cambiato per lui.

Quel giorno era l'anniversario della morte di Asuka Yamato e il primo compleanno della figlia di lei, Arimi.

Alla parete era appeso uno striscione. 'Oggi compio un anno!'

Alexander le aveva raccontato che Yamato aveva deciso che il compleanno di Arimi non poteva essere indissolubilmente legato alla morte della madre. Il modo migliore per onorare Asuka era festeggiare, di anno in anno, la vita di sua figlia che andava avanti.

Yamato la osservò con attenzione in volto. «Sei così... giapponese, Ami-san. In senso buono: mi fai venire nostalgia di casa.»

Ami lo prese come un complimento. «Tu invece...»

«Sono più vecchio, lo so. Ma la maturità rende un uomo affascinante.»

Mentre lei rideva, lui salutò Alexander. «Chi si rivede: l'inquilino in fuga. Se solo fossi stata qui ieri mattina, Ami-san. Lui praticamente non ha dormito: si è svegliato all'alba. Aveva le ali ai piedi quando è uscito di casa.»

Si era dimenticata di quanto fosse divertente Yamato.

Lui squadrò entrambi. «Sapete a chi somigliate? A una di quelle coppie dei vecchi film Disney. Ami-san, tu sei una specie di Biancaneve, con le guance perennemente spruzzate di rosa, timida e composta. E tu, Fox? Gli occhi ti brillano come uno di quei principi che stanno per attaccare con le note di una canzone romantica. Trattieniti, limitati a tubare.»

Alexander gli coprì metà faccia con la mano. «Vuoi chiudere la bocca?»

Pur soffocato, Yamato riuscì a imitare il verso di una colomba, muovendo le mani come se fossero ali.

«Hiii!»

Attirata dal gridolino infantile, Ami guardò oltre le spalle di entrambi. Oh!

Alexander corse a prendere Arimi, sistemata sul suo seggiolino. «Ciao! Hai visto che sono tornato? Buon compleanno!»

Ami si sciolse. Dal vivo Arimi era bellissima, così preziosa nel suo essere paffuta e minuscola. Vedere Alexander che le schioccava un bacio sulla guancia le chiuse la gola per la tenerezza.

Lui passò Arimi a suo padre. Tenendola in braccio, Yamato fece in modo che Arimi fosse rivolta verso di lei. «Ho qualcuno da presentarti, Mi-chan. Questa è la ragazza di tuo zio Alexander, Ami Mizuno. È giunto il momento che tu conosca la tua rivale.»

Ami sorrise. «Ciao, piccolina.» Cercò di parlarle con voce delicata, per non spaventarla. Da vicino osservò i suoi capelli neri, ondulati e morbidi, le guanciotte piene e gli occhi di un indefinito colore, tra il verde e il marrone. In inglese erano 'hazel eyes', un nome che Ami aveva sempre trovato poetico. Infilò un dito nella manina di lei, muovendola su e giù. «È un piacere conoscerti.»

Arimi sbatteva le palpebre, cercando di comprendere tutti i suoi misteri.

Yamato si piegò per passarle la piccola. Per un attimo Ami si innervosì, poi la ricevette in modo corretto tra le braccia. Attaccata a lei, Arimi sollevò le mani, palpandola in viso per esplorarla. Forse si ricordava di averla vista dentro il comunicatore?

Yamato parlò. «Non ha molti contatti con donne giovani. Per lei sono una novità.»

Ami tentò un sorriso. Squadrando la sua espressione, Arimi decise che era innocua e le regalò la vista di quattro splendidi dentini bianchi. Aveva un profumo buonissimo, da neonata. «Posso continuare a tenerla in braccio?» Il suo peso era delizioso.

Yamato annuì. «Prego. E benvenuta nella dimora Yamato, che ha dato asilo per due mesi al tuo boyfriend.»

Alexander guardava rassegnato il soffitto. «Sei già andato a prendere la torta?»

«È in frigo. Sto solo aspettando che ci raggiunga Agatha per iniziare i festeggiamenti.»

Ami percorse il salotto, guardando per la prima volta l'interno della casa che aveva visto da fuori un anno prima. «È un appartamento luminoso.»

«Già. Ti prometto che non ha favorito incontri clandestini tra Fox e una delle sue amanti.»

Mentre Alexander si massaggiava la tempia, esasperato, Ami sollevò un sopracciglio. «Davvero?»

«Sai, siamo usciti insieme solo una volta - perché di solito dovevamo alternarci per Arimi. Era tutto uguale a quando eravamo single. Lui si riveste di questa faccia disinteressata che fa colpo sulle ragazze al cento per cento. Per fare il bravo fidanzato ha ignorato quelle che si avvicinavano a lui prestando più attenzione agli amici che gli presentavo. Un paio di loro l'hanno preso per gay, anche se a Fox non è piaciuto sentirlo.»

Ami liberò una risata cristallina. 

«Stai dicendo cazza-!» Alexander censurò la parola, rendendo chiaro cosa pensava con un gesto. 

«Fox, rassegnati. Per loro la tua assoluta fedeltà è anormale. Ti sei perso il meglio della vita universitaria.» Yamato non lo lasciò rispondere e tornò a rivolgersi a lei. «Ami-san, il suo stoicismo è divenuto argomento di leggenda, proprio come nel campus della Todai. Puoi stare tranquilla.»

«Lo ero.»

«Perfetto. Ora dissipa i miei dubbi: dimmi che, almeno con te, a letto è un animale.»

Avvampando, Ami affondò con la testa tra le spalle. Arimi ne approfittò per tirarle i capelli mentre Alexander attaccava Yamato dalle spalle, prendendolo per il collo. «Piantala!»

Attirata dal trambusto, Arimi cominciò a fare il tifo. Ami ne approfittò per rubarle un bacio sulla guancia. «Va' da papà» disse ad alta voce, avvicinandosi ai litiganti. Per lei era sempre comico vedere Alexander che si comportava come un ragazzino quando si trattava del suo amico Yamato.

Qualcosa che aveva detto aveva attirato l'attenzione di Yamato, ma lui fece finta di nulla. «Mi sono fatto male» disse ad Arimi quando la riprese, sollevando una sua mano per accarezzarsi la faccia.

Alexander si era tirato indietro di due passi. «Così impari a connettere il cervello prima di parlare.»

Scherzava, ma per Ami la burla era andata avanti troppo a lungo. «Su, basta.»

Alexander sospirò, incrociando le braccia.

«All'amo» bofonchiò Yamato, imitando con la mano libera il gesto di una lenza da pesca che veniva tirata su.

«Sono felice di esserlo» dichiarò Alexander, attirando Ami a sé con un braccio.

Lei arrossì: aveva sentito abbastanza sciocchezze. «Yamato-san.» Fece un passo in avanti e gli offrì un piccolo inchino. «Voglio chiederti perdono.»

«Per cosa?»

«Per averti fatto stare in pensiero. Amo Alexander più della mia stessa vita e non sarò mai più così insicura da lasciarlo andare.»

Zittì sia lui che Alex. Arimi si guardava intorno, cercando di capire cosa stesse succedendo.

«Lo renderò felice» proseguì Ami. «È una promessa.»

Yamato si lasciò sfuggire una risata stentata. «Quanta ufficialità.»

«Volevo la tua benedizione. Sei molto importante per lui, e quindi per me.»

Capì di averlo privato della parola, molto più di quanto avesse voluto. 

Ci fu un momento di silenzio.

«Non mi hai detto se fate del buon sesso.»

Alexander si coprì gli occhi con le mani, ma Ami badò al tono che Yamato aveva usato: stava cercando di buttarla sul ridere, per non commuoversi.

«Ne facciamo» gli disse, e poiché aveva risposto con audacia, esagerò. «La qualità è importante quanto la quantità per noi.»

Alexander aveva girato la testa verso di lei, a bocca aperta. Yamato era convinto. «Avete la mia approvazione!»

«Hiii!» gridò Arimi.

Yamato scoppiò a ridere. «Lo prendo per un 'sì' giapponese! Vi approviamo tutti e due.»

Lo squillo di un citofono riempì la casa.

«È arrivata Agatha. Cominciamo la tua festa, Mi-chan!»

«Hiii!»

  


  

Ami trascorse con Alexander cinque giorni interi a Boston, a casa di Yamato. Lui le fece conoscere i luoghi di cui le aveva raccontato: il campus universitario, i pub che aveva frequentato coi suoi compagni di corso, gli angoli della città che aveva scoperto. Il secondo giorno, il 23 dicembre, iniziò a nevicare. Ami fu sicura di non aver mai visto un'atmosfera più natalizia in vita sua.

Chiamò in Giappone per fare gli auguri di buon compleanno a Yuichiro. Era in corso una festa e Usagi, Rei, Makoto e Minako la tennero al comunicatore per oltre venti minuti, per conoscere ogni dettaglio della sua felicità.

«Quante volte lo avete fatto?» Minako.

«Davvero quando tornerete qui vivrete insieme?» Makoto.

«Questi sono i baci più belli che tu abbia mai ricevuto, vero?» Usagi.

«Ricordati le protezioni» fu il monito di Rei. Ami non ebbe il coraggio di comunicare via video cosa stava progettando. Era un annuncio da fare di persona.

Quella sera lesse un libro, sdraiata sul letto a una piazza e mezza in cui Alexander aveva dormito per oltre due mesi. Yamato aveva indicato come opzione alternativa l'uso del divano letto in salotto, ma poteva ospitare una sola persona e non si era stupito che entrambi avessero preferito rimanere stretti, ma uniti, nel letto della camera degli ospiti.

Alexander stava facendo delle analisi col suo mini-computer. Appena lo aveva riavuto in mano vi si era immerso per oltre un'ora.

Ami lo lasciò ai suoi calcoli: aveva scoperto l'assoluta bellezza e vastità delle librerie americane. Avrebbe voluto accamparsi tra quegli scaffali pieni di libri per leggere il retrocopertina di tutti i volumi in vendita. Lei e Alexander avevano speso una fortuna nel regalarsi libri a vicenda quel giorno.

«Ami.»

«Hm?» Si voltò a guardarlo.

«Sai che la tua situazione non mi sembra cambiata rispetto ad agosto?»

Impiegò un momento a capire a cosa si stesse riferendo lui. Per non lasciarle dubbi, Alexander voltò il mini-computer nella sua direzione. Sullo schermo era disegnato un grafico che rappresentava la figura di lei, seduta sul letto, con vari dati relativi alla sua persona.

Ami annuì. «Non mi sono più allenata. Il più grosso sbalzo di potere che ho avuto risale a maggio, quando sono riuscita a smateralizzare parte del mio corpo.» Lo aveva trasformato in acqua, mentre era Sailor Mercury.

Lui meditò. «Anche io sono rimasto uguale. Sono ancora ricoperto dalla tua energia.»

Lei lo sapeva. «Ti ho dato un'occhiata un paio di settimane fa.»

«Di nuovo?»

Ami comprese il proprio errore. «È stato un controllo veloce.»

«Certo. Una cosa innocente, giusto? Come la prima volta.»

Ovvio. L'unico suo sbaglio era stato confessargli quello che aveva fatto per assicurarsi che stesse bene, nell'impossibilità di parlargli.

Lui accarezzò l'idea. «Sapevi che era sbagliato, ma non hai potuto resistere. Mi hai spiato, magari mentre facevo la doccia.»

«Non è vero!»

«Se hai deciso di beccarmi di prima mattina, avrai visto uno spettacolo interessante.»

Ami arrossì. «Sarò rimasta a guardarti per non più di venti secondi!»

La precisione lo deliziò. Fece dondolare il mini-computer per aria. «Avresti dovuto lasciare che lo portassi con me. Avrei fatto un uso molto meno nobile di questo strumento.»

«Avrei sentito che mi guardavi a ogni ora del giorno.»

«Sarebbe stato verissimo.»

Lei sapeva bene che tipo di atmosfera stavano creando, e che da un momento all'altro lui si sarebbe alzato dalla sedia, per raggiungerla sul letto. «Era questo che volevi dirmi?»

«No. Pensavo solo che i miei, ehm, soldatini hanno moderate probabilità di fare breccia se sono ricoperti dal tuo potere. Magari, anche se il tuo ovulo è già potenziato, il meccanismo dell'ykeos riuscirà a ingannarlo.»

Ami soffocò una risatina un gola. «Che termini hai usato? Non è una guerra.»

Lui strinse un pugno. «È la battaglia per la vita!»

Ami rise così forte che temette di aver svegliato tutta la casa. Si zittì a forza. «Era questo che volevi dirmi?»

Lui si stava ancora divertendo. «No. Pensavo che è meno improbabile di quanto credevamo, perciò dovresti dare un'occhiata a qualche libro, per vedere se ci sono cose che è consigliabile fare in... preparazione.»

Lei ci aveva già pensato. «Ho in mente quello che ho letto un anno fa. Andrò in farmacia domani: è meglio che inizi ad assumere una dose di acido folico ogni giorno. È utile nei primi trenta giorni di vita del feto, per evitare malformazioni durante la chiusura del tubo neurale. Siccome spesso ci si accorge della gravidanza non prima di due o tre settimane dal suo inizio, l'assunzione di questa vitamina è consigliata a chiunque stia pianificando un concepimento.»

«Good. Intendevo questo.»

Ami sospirò. «Poi consigliano anche di fare esami del sangue per controllare la compatibilità dei fattori Rh nei gruppi sanguigni di madre e bambino, ma... »

Lui capì. Lei non faceva esami clinici da molto prima di diventare una guerriera Sailor: se qualcosa di fondamentale era cambiato nel suo corpo, era importante che nessun estraneo potesse analizzare i suoi campioni biologici.

Ami meditò: se avesse avuto bisogno di qualche intervento, prima o dopo la gravidanza, sarebbe stato un problema.

Alexander intuì la sua preoccupazione. «Andrà tutto bene.» Le prese le mani, portandole alla bocca.

Già, preoccuparsi le faceva solo male. «Comunque, per questo mese dovremmo essere nel periodo clou a giorni.»

«Direi di impegnarci lo stesso, fin da subito. Delle prove generali non fanno male.»

Lei non aveva bisogno di essere convinta. «Non si sa mai» affermò.

Lui fu d'accordo  «Non si sa mai.»

Sorridendo, si incontrarono in un bacio.

 

Il 26 dicembre lasciarono Boston, diretti a New York. Per Ami fu una sofferenza salutare Arimi. Posò un bacio sui suoi capelli neri. «Ci rivedremo prima della mia partenza. Goditi il tuo primo Capodanno.»

«Hii!»

Yamato era in fermento. «Anche io sto aspettando Agatha per uscire. Il Boxing day mi aspetta!»

Alexander aveva in faccia una smorfia. «Non dirmi che affronterai la ressa di inizio saldi solo spendere di meno?»

Yamato era determinato. «Il risparmio è la mia missione! Rifarò il guardaroba di Arimi prima che cresca oltre i suoi vestiti.»

«Shun?»

«Sì.»

«Quando ti deciderai ad ammettere che sei diventato un padre?»

Lui strinse gli occhi, fingendo durezza. «Il più tardi possibile. Ora fuori di qui, sei stato in casa mia abbastanza a lungo.» Cambiò tono con Ami. «Naturalmente è stato un piacere avere te come ospite, Ami-san. Ti auguro buon viaggio.» Scambiò con Alexander un'ultima occhiata sardonica. Di comune accordo si avvicinarono l'uno all'altro, per darsi un paio di pacche amichevoli sulle spalle.

«Non farti inghiottire dalla Grande Mela, hm?»

«Ti porterò come souvenir una di quelle palle di vetro.»

Yamato lo apostrofò poco garbatamente in inglese. Ridendo di quello scambio, Ami trascinò il trolley giù per le scale.

Parlò solo quando lei e Alexander furono soli. «È strano vederti trattare così sarcasticamente una persona a cui vuoi bene.»

«Colpa sua. Fosse per me sarei più gentile, ma quando ci provo lui mi prende in giro.»

Sì, Yamato aveva un modo particolare di dimostrare affetto. «Arimi-chan gli insegnerà a essere più dolce.»

Alexander valutò l'idea. «Vorrei poterlo vedere.»

 

Il 29 dicembre Ami non riuscì più a ignorare il mondo che la circondava - non a New York, dove tutta la città si preparava a festeggiare l'Humanity Day, il primo anniversario della venuta degli alieni sulla Terra. Le strade si andavano riempiendo di truppe militari.

Ai telegiornali si discuteva su quanto fosse saggio tenere il principale comizio americano nello stesso incrocio dove l'alieno Zenas aveva piazzato una bomba atomica.

Il senatore Logan, rappresentante degli Stati Uniti presso la nuova ETO - Earth Treaty Organization, l'entità che aveva soppiantato la Nato - aveva le idee molto chiare.

«Times Square appartiene alla cittadinanza di New York e all'America. Dobbiamo riappropriarcerne. Non possiamo lasciare che rimanga un luogo di paura.»

«Ci dica, senatore: non teme che gli alieni possano rifarsi vivi domani?»

«Ogni commissione d'inchiesta ha stabilito che sono stati sconfitti un anno fa. In ogni caso, non siamo impreparati: in questi dodici mesi abbiamo lavorato senza sosta per acquisire i mezzi necessari a proteggerci dalla minaccia di questi esseri.»

«Può dirci qualcosa di più specifico?»

«No. È e rimarrà segreto militare, signora. Gli alieni non devono sapere quali armi possiamo usare contro di loro, perciò l'informazione non verrà resa pubblica.»

Alexander aveva ascoltato il telegiornale assieme ad Ami. «Forse» aveva commentato, «sono più avanti di quello che pensiamo. Magari stanno già lavorando sul teletrasporto.»

«Magari.»

«Potrebbero essere riusciti ad acquisirlo.»

Non era da escludere, pensò lei.

Lui era rimasto in silenzio.

«Quale sarà il suo slogan per l'Humanity Day, senatore Logan?»

«Questo: come umanità non abbiamo bisogno di essere dominati né protetti da nessuno. Alcuni discordano su quanto sto per dire, ma domani dobbiamo ribadire l'affrancamento da qualunque entità che pretenda di asservirci, governarci, e agire in nome nostro, senza essere stato prima regolarmente eletta dall'intera popolazione terrestre. L'Humanity Day sarà un messaggio anche per Serenity: se ella è aperta a un confronto, la ETO la aspetta. È con noi che deve dialogare.»

«È questo che si aspetta la Presidente Rimbaud? Vi state organizzando per un incontro con Serenity della Luna?»

«Non è la prima volta in questo anno che estendiamo pubblicamente un invito a questa... donna. Finora non ci ha risposto, ma non perdiamo le speranze.»

La giornalista era sempre più interessata. «Serenity della Luna potrebbe svelarci le risposte a molti dei misteri che sono sorti in seguito alla battaglia con gli alieni. Secondo lei perché è rimasta in silenzio?»

«Abbiamo notato tutti la sua giovane età. Tendiamo a pensare che voglia mantenere il suo anonimato.»

«Ha ragione» commentò Ami. Non ascoltò più l'intervista, perdendosi nei propri pensieri.

Alexander le rivolse una domanda. «Domani vuoi andare a quella celebrazione?»

«Sì.» Voleva vedere con i suoi occhi che cosa pensava la gente della Terra di ciò che era successo un anno prima. Voleva sentire le opinioni delle persone e avere un assaggio di quello che sarebbe stato il suo futuro.

Al pari di Usagi e delle sue amiche, avrebbe dovuto curarsi del giudizio delle persone che avrebbe protetto ed esserne in parte soggetta, per l'enorme responsabilità che intendeva assumersi nei loro confronti.

«Ci sarà una cerimonia anche a Tokyo» disse Alexander. «Shun mi raccontava che è soprattutto lì che si aspettano che Usagi si faccia viva.»

Ami sorrise. «Lei ci andrà proprio come noi. Di nascosto, solo per guardare.»

In televisione l'intervista al senatore Logan era terminata. La giornalista si rivolse agli spettatori. «E ora andiamo in collegamento con Therese Ritter, che ci parla da New Delhi.»

Ami si irrigidì.

«Buongiorno, Claire. New Delhi si prepara all'anniversario del giorno in cui ha rischiato la sua distruzione. Mi trovo nel punto in cui Serenity della Luna ha lasciato brillare la bomba nucleare. Dopo i fatti del 30 dicembre scorso, questo luogo è stato isolato per due settimane dalle autorità. La popolazione ha ancora timore di avvicinarsi all'area. Per dissipare in maniera definitiva i dubbi della gente, il governo ha deciso di tenere proprio qui le celebrazioni dell'Humanity Day. L'India vuole ribadire che in quella giornata ha conosciuto una tragedia che non è stata dimenticata. Rimane vivido il ricordo delle 2743 vittime dei disordini che si scatenarono in città dopo la comparsa della bomba nucleare.»

«Bisogna ricordare, Therese, che fu solo New Delhi a registrare un numero così elevato di morti tra tutte le città che videro comparire nelle proprie strade una delle bombe.»

«Sì, Claire. Il governo indiano si è speso con misure senza precedenti per l'ammodernamento delle zone in cui si è registrato il maggior numero di incidenti. L'intera popolazione ha lavorato con alacrità in uno sforzo coordinato che sta trasformando intere baraccopoli in moderni quartieri. Guardiamo il servizio.»

Ami seppe ciò che stava per vedere, ma non distolse in tempo lo sguardo: sullo schermo vide la bomba che esplodeva tra le mani di Usagi, e lei e Mamoru in sottofondo che si allontanavano, franando all'indietro. Chiuse gli occhi, ricordando. Alexander tolse il volume al televisore e la abbracciò.

A lungo, non parlarono.

Lei ricordò che c'era una questione che alla fine, incredibilmente, non aveva ancora affrontato con lui, dopo ormai un anno. «Un giorno combatterò di nuovo» gli disse. «Potrei affrontare pericoli anche più terribili di questo.»

«Perché lo dici?»

Perché era vero. «Tu avevi paura un tempo.»

«Ne ho ancora.»

«Eri contrario.»

«Non volevo vederti più rischiare la morte.»

Infatti.

Alexander non la lasciò andare. «Ma succederà lo stesso. Posso solo decidere se sostenerti o allontanarmi.»

Lei si strinse alle sue spalle. «Non perderò. Non permetterò che niente e nessuno mi sconfigga.»

Lui annuì contro la sua testa. «Sarei un'anima in pena senza di te. Mi avresti sulla coscienza.»

«Vivremo insieme per mille anni. Te lo giuro.»

«That's a beautiful promise.»

Lei avrebbe vissuto per renderla vera.

Lui le sistemò i capelli dietro le orecchie. «Sai cos'è cambiato in questo anno, Ami?»

Lo guardò, in attesa della risposta.

«Non c'è più nessun 'se' nella mia testa. Non mi struggo pensando a quanto sarei più tranquillo se solo tu non fossi una guerriera Sailor. Perché non saresti tu, se non fossi Sailor Mercury. Non penso più a cosa farei se non ti avessi incontrata - che cosa studierei, dove sarei ora. È un esercizio inutile, perché non mi importa. Quest'ultimo anno mi ha portato chiarezza assoluta. Non discuto più col destino, neppure in via teorica. Mi preparo a viverlo. Lo trovo più funzionale per entrambi.»

Lei non aveva mai sentito un discorso così pragmaticamente romantico. Aveva aperto qualcosa nella sua anima. «Non so perché non l'abbia capito fin da subito.»

«Che cosa?»

«Ho combattuto così a lungo con questa idea... Fin da quando ti ho incontrato. Ho sempre tentato di non cedere, fallendo ogni volta. Avevo paura di accettare che il mio destino fossi tu, e che tutto ciò che ero dipendesse da quanto avresti voluto accogliermi nella tua vita, e unirti alla mia.»

«Love...»

Lei scosse la testa, abbracciandolo. «Credevo fosse una battaglia di ragione contro cuore. Tutti i pensieri che avevo frenavano l'unico istinto che conoscevo. Era talmente futile rimanere ancorata alla mia confusione. Amore è chiarezza, Alex. Oggi non ho più domande per te, o per me. Ho solo risposte.»

Lo sentì sorridere. «Sei diventata puro istinto?»

Oh, no. Si sollevò, per guardarlo negli occhi. «Sono anche pensiero. Sono istinto e pensiero. È sparito il dualismo.» E la verità che si era rivelata a lei era stupenda. «Sento di essere la me stessa più elevata, libera e felice che avrei mai potuto sperare di diventare.»

Lui assorbì quelle parole, riempiendosene fino a traboccare. «È così che ti ho sempre amata.»

«Anche quando ero timida?»

«Un po' lo sei ancora.»

«Quando ero reticente» si corresse.

«Avevi tanta voglia di osare. Lo sentivo.»

Ami si intenerì. «Non penso di aver fatto per te la metà di quanto tu abbia fatto per me.»

«Che errore.»

«Perché?»

«Tutto ciò che ero e sentivo di voler esprimere non aveva una meta prima di te, love. Mi hai conosciuto nella mia versione più decente, perché solo dopo averti incontrato ho trovato il mio significato. Ti sembra poco?»

... no.

Lo baciò e smise di fare a gara a chi aveva fatto di più tra loro due, l'uno per l'altra.

Erano stati fortunati, graziati: erano il tutto delle vite di entrambi. Avevano la possibilità di saperlo, e viverlo, per anni, decenni, secoli.

Sarebbe stata una lunga, bellissima esistenza.

  

21/30 dicembre 1997 - Per istinto e pensiero - FINE

  


Note: Sigh. Questo è il punto a cui ho sempre voluto portare il personaggio di Ami. Sono commossa: questa è la ragazza che, come Alexander, ho sempre visto dietro quella facciata di timidezza, reticenza e insicurezza che ho raccontato. Ami non si meritava solo la felicità: doveva crederci prima, per viverla. Non è cambiata a 360°, è sempre Ami, ma senza vincoli e limiti. Non è più potenzialità, è realtà.

Quando inizierò a parlare di come le andranno le cose nell'anno 1998 la vedrete vivere la vita che aveva voluto e programmato, libera da paranoie. In verità quello che ne ha ancora qualcuna è Alexander - non con riguardo a lei, bensì a se stesso - ma avrà anche lui tempo di evolvere e crescere. Dopotutto si sta buttando in mille progetti e il destino - o l'autrice :P - è crudele e non aspetta.

Saranno mesi - ehm, nove mesi - che lo metteranno a dura prova. Il lieto fine è così assicurato che ha persino un nome, ma questa... è un'altra storia ;)

 

Un bacio a tutti quelli che mi hanno seguito in questa seconda avventura di Ami e Alexander, dopo 'Acqua viva'.

È stato un onore scrivere per voi, che avete avuto la pazienza e la fedeltà di seguirmi.

  

Elle

 

Gruppo Facebook dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

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