Un amore di capo

di Napee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Il gelato riparatore ***
Capitolo 2: *** 2. Brutte sorprese ***
Capitolo 3: *** 3. Misteri svelati ***
Capitolo 4: *** 4. Piove sul bagnato ***
Capitolo 5: *** 5. Nuovi e vecchi incontri ***
Capitolo 6: *** 6. Ma anche no! ***
Capitolo 7: *** 7. Piccola umana ***
Capitolo 8: *** 8. Tutto secondo i piani ***
Capitolo 9: *** 9. Ragnatela ***
Capitolo 10: *** 10. Vendetta ***



Capitolo 1
*** 1. Il gelato riparatore ***


 


1. Il gelato riparatore

Quel giorno, quando tornò dal lavoro, fu la fine di tutto.
Rin non poteva crederci, il suo amore, il suo grande amore Sesshoumaru l'aveva lasciata ..e senza neanche un motivo!!
Non appena era rientrata a casa dalla centrale, lo aveva trovato intento a fare la valigia con la solita calma distaccata che lo caratterizzava.

"Amore.. ma che fai?!"
"Faccio la valigia."
"Come.. Perchè?"
"Me ne vado. È finita."

Me ne vado. È finita.

Nient'altro, solo cinque parole che l'avevano lasciata di sale, immobile, incapace di chiedere altro, incapace di pensare ad altro.
Solo quelle cinque parole ripetute all'infinito nella sua mente.

Me ne vado. È finita.

Così facile da dire, così difficile da ascoltare.
Ma si era fatta forza, non voleva piangere, lui non si meritava le sue lacrime, aveva già preso il suo cuore e con quale semplicità l'aveva distrutto?
Era rimasta impalata a vederlo fare i bagagli fino al momento in cui non chiuse la cerniera, prese la valigia ed uscì dalla camera.. Quella che fino a poco prima era stata la loro camera, quella dove avevano fatto l'amore innumerevoli volte, quella dove avevano dormito più notti insieme, stretti l'uno fra le braccia dell'altra.
Poi eccolo, il rumore della porta di casa che si chiudeva e segnava la fine..la fine di tutto.
Tremante, prese il cellulare e compose il numero della sua più cara amica.

Uno squillo..

Due squilli..

"Pronto?" La voce di Kagome, alterata dal ricevitore del telefono, la svegliò dalla sua momentanea apatia.
"Kagome.." Non riuscì a dire altro, le lacrime avevano già iniziato a rigarle il viso.
"Oh Kami!!Rin ,che succede?" Chiese la ragazza preoccupata, non aveva mai sentito l'amica con quella voce.
"Sesshoumaru.. Se n'è andato..mi ha lasciata.."
"Arrivo subito." Rispose frettolosamente riattaccando il telefono.
Rin si sedette a terra, poggiò la schiena contro il muro freddo e continuò a piangere.
Ormai non sapeva che altro fare, il mondo le era crollato addosso con una violenza totalmente inaspettata, il loro dolce idillio, la loro preziosa storia d'amore era finita con una velocità impressionante.. E per che cosa? Niente.
O meglio, lei non lo sapeva.. Il suo amore, con il quale aveva condiviso 4 anni della sua vita, l'aveva mollata senza neppure degnarla di una spiegazione.
Dal canto suo, lei non l'aveva chiesta.
Forse troppo scossa, forse troppo scioccata, ma non l'aveva chiesta, aveva preferito tacere e rimanere nell'ignoranza.
Forse la paura di scoprire un'altra?
Probabile.

Driiiin!

Il campanello della porta che suonava la destò momentaneamente dal suo pianto.
Si alzò dal suo scomodo ,quanto confortevole ,giaciglio improvvisato e si diresse titubante ad aprire.
Poggiò la mano sulla maniglia ed un'insana speranza le saturò il cuore.
Che fosse tornato?
Che si fosse pentito?
"Chi è?" Chiese con voce gracchiante, consumata dal pianto momentaneamente interrotto.
"Siamo noi ,Rin.." Rispose Kagome dall'altra parte della porta, mandando in fumo quella vana speranza che, dapprima l'aveva scaldata con una dolce illusione, e poi l'aveva svuotata ancor di più.

"Come sarebbe a dire che se n'è andato?" Chiese Sango irritata brandendo minacciosa il cucchiaio sporco di gelato al cioccolato.
"Ha fatto le valigie ed è andato via." Rispose Rin apatica riempiendosi la bocca con l'ennesima cucchiaiata di gelato alla fragola.
"Si, ma perchè?" Chiese a sua volta Kagome con la bocca piena di gelato alla crema.
"Non me l'ha detto."
"E tu non l'hai chiesto?"
"Che stronzo.." Sibilò Sango imboccando un'altra cucchiaiata di gelato ed attirando su di sé l'attenzione delle due amiche.
"Sango!!" La richiamò Kagome scioccata.
L'amica non si lasciava mai andare con un linguaggio così scurrile, ma soprattutto non era sicura che quel commento sarebbe stato gradito alle orecchie dell'amica col cuore spezzato.
"Bhe?! Che c'è? Si è comportato da perfetto stronzo e so che lo pensi anche tu!" Si difese Sango sputacchiando il cioccolato un po' ovunque.
"Sango!" La riprese ancora, stavolta indurendo di più la voce, come a voler intimarle di tacere.
"Ha ragione." Esordì Rin, stavolta attirando lei l'attenzione delle amiche, ma senza distogliere lo sguardo dalla confezione di gelato.
"Se n'è andato su due piedi, senza neppure fornirmi una spiegazione.. Vi confesso che ancora non me ne capacito, mi sembra che non sia successo davvero.. E probabilmente sarà così per un po', dopotutto non posso cancellare quattro anni così.. Con uno schiocco di dita.. Non sono come lui, io nella nostra storia ci ho messo il cuore.. Forse lui no, o almeno non quanto me.." S'interruppe per alzare gli occhi sulle sue amiche che la guardavano attente.
Pensava ogni singola parola, ogni singola frase, probabilmente stava solo mentendo a sé stessa nel tentativo di incoraggiarsi da sola, una sorta di autodifesa contro il mondo.. Contro di lui.
Così facendo avrebbe chiuso il dolore in un cassetto ,in un angolo remoto del suo animo e avrebbe curato meticolosamente le sue ferite, con calma e pazienza, facendo attenzione a non aprire mai quel  nefasto cassetto, neppure per sbaglio, per non vanificare totalmente i progressi fatti.
Ci voleva del tempo, lo sapeva bene, ma almeno quello era dalla sua parte.
Ogni giorno sarebbe stato più facile, ogni giorno sarebbe stato migliore fino a che quel cassetto non sarebbe divenuto inutile ed allora avrebbe anche potuto aprirlo, conscia del fatto che non le avrebbe più gravato emotivamente, non le avrebbe più fatto del male.
Ma quel giorno era ben lontano.
"Voglio andare avanti, devo andare avanti." Aggiunse infine richiudendo la confezione di gelato riparatore.

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Capitolo 2
*** 2. Brutte sorprese ***


2. Brutte sorprese

Erano ormai passati diversi mesi dal giorno in cui Sesshoumaru se n'era andato.
Ogni giorno Rin stava sempre meglio, aveva soffocato il dolore e la tristezza catapultandosi totalmente nel lavoro e soffocando la voglia di piangere con l'inesorabile routine quotidiana.
Ormai Sesshoumaru era solo un'immagine sbiadita nella sua mente che non aveva il coraggio di rievocare per paura di tornare al punto di partenza e vanificare i progressi fatti.
Il problema vero e proprio, era quando ,stanca morta, tornava a casa dal lavoro e ad attenderla vi era solo il silenzio di un appartamento vuoto che le ricordava perennemente quel giorno.
Da quel momento aveva iniziato a fare straordinari su straordinari, riuscendo a stancarsi talmente tanto che quando tornava a casa crollava esausta sul divano.
Sì, perchè quando se n'era andato non aveva più dormito nel loro letto, da quel giorno il divano era stato il suo più caro confidente sul quale aveva versato le sue lacrime.
Il letto matrimoniale era stato il testimone del loro amore e lei voleva mantenerlo così, tale e quale a quando Sesshoumaru se n'era andato, con persino l'impronta della valigia a spiegazzare le coperte.
Dopotutto, che senso aveva distruggere quel piccolo "tempio sacro" quando poteva riposare sul divano? Soprattutto per quelle misere ore di sonno che si concedeva!
E proprio a causa di quelle misere ore, adesso si ritrovava ad ingozzarsi di caffè durante una breve pausa che si era volutamente concessa.
Quel giorno era particolarmente noioso.
Sango e Kagome erano di pattuglia, Kagura e Kikyo erano state assegnate al controllo del traffico, mentre lei si era ritrovata a riordinare gli archivi infiniti della polizia sistemando milioni di fogli in miliardi di cartelle per poi riporli negli appositi schedari.
Era già a buon punto, dopo sei ore ininterrotte, gli occhi avevano iniziato a chiudersi sotto il peso inesorabile delle palpebre assonnate.
A quel punto, solo una cosa avrebbe potuto salvarla: il caffè!
Sacro nettare nero degli dei!
"Ti sei concessa una piccola pausa?" Le chiese gentile il procuratore distrettuale, amichevolmente soprannominato "il vecchio Miyoga" a causa della sua veneranda età già ampiamente pensionabile.
"Già.. Sistemare gli archivi è sfiancante." Rispose lei prendendo un'altro sorso di caffè fumante.
"Sì, pensa che alla tua età mi delegavano sempre alla sistemazione degli archivi.. Non so perchè, ma finivo per fare sempre quello.. E guardami adesso?! Un vecchio bacucco che verrà spedito a casa a calci.." Rispose il procuratore sedendosi al tavolo con lei, nell'area ristoro della centrale di polizia.
"Ancora non le va giù di esser stato mandato in pensione con la forza?!" Chiese retoricamente Rin, già sapendo la risposta... E come poteva non saperla?!
Il vecchio Miyoga se ne era lamentato tutti i giorni, ogni giorno ,per almeno due mesi.
"Porca miseria, certo che sì!! Insomma, guardami!! Ho ammala pena 1956 anni!! Sono ancora un giovanotto!!" Rispose lui difensivo ed indignato, come ogni volta che veniva toccato l'argomento "età" o "pensione".
"Bhe.. Diciamo non proprio giovanotto, ma magari un giovane adulto!" Rispose Rin cercando di  soffocare le risate nella tazza del caffè.
Quel demone millenario si sentiva giovane come lei.. È probabilmente aveva anche più energia di lei!
"È proprio quello che mi hanno detto i grandi capi per spedirmi in pensione e fare posto al nuovo giovincello!" Commentò lui offeso e Rin si sentì in dovere di abbassare la testa e porgli le sue scuse.
Dopotutto,per quanto simpatico e amichevole potesse essere, alla fine restava comunque il suo superiore.
"Non importa Rin.. Voi tutti siete come figli per me e anche i miei figli mi prendono in giro!" Disse bonario scompigliandole i capelli con fare affettuoso.
Dopo che era stata lasciata, Rin era diventata la piccola bimba della centrale, colei che andava sempre coccolata ,quella che doveva esser protetta da tutto e da tutti.
"A proposito della mia età e del mio repentino pensionamento, oggi viene il nuovo procuratore per firmare delle carte ed abbiamo pensato di accoglierlo con un bel mazzo di fiori, ti spiace andarli a ritirare dal fioraio all'angolo?" Chiese il vecchio gentilmente.
"Ma.. Devo finire gli archivi e poi io non ho messo la mia parte di soldi per i fiori!" Constatò lei risentita.
Perchè tutti la trattavano come una bambina?
"Ma figurati! Non li vogliamo nemmeno i tuoi soldi! E per l'archivio ci penso io!"
"Scusami, ma non mi sembra giusto.."
"Agente Nakamura, è un' ordine!" Disse il vecchio con aria fintamente autoritaria.
"Ecco.. Tutti figli tuoi quando ti pare.." Sibilò guardandolo accigliata mentre l'altro se la rideva sotto i folti baffi.

Ed eccola lì.
Una puffa di un metro e sessanta che trasportava una composizione floreale alta tre volte lei.
Ma chi caspiterina era quel nuovo procuratore?
Un principe?
Un riccone?
Sbuffando scocciata rientrò alla centrale trovandola totalmente in subbuglio, tutti correvano da una parte all'altra senza sosta.
C'era chi sistemava gli offici, chi cercava di pulire alla benemeglio.
Ma che stava succedendo?
"Rin, dammi pure!" Esordì Kagome dinnanzi a lei, anche se non l'aveva proprio vista a causa di quel mastodontico omaggio floreale.
"Ecco.." Disse mentre gli porgeva i fiori.
"Ma cosa sta succedendo?"
"Oh.. Non l'hai saputo? Il nuovo procuratore è un pezzo grosso e vorremmo fare una buona impressione" cinguettò Kagome andandosene a sistemare la sua scrivania accompagnata dall'immensa accozzaglia di fiori.
Pezzo grosso.. Bha!! Non era certo così che avrebbero fatto colpo su di lui, ma risolvendo casi e sventando crimini!
Nonostante la sua reticenza, si fece comunque influenzare da quel clima che sapeva tanto di "pulizie primaverili" e si diede anche lei da fare riordinando la sua scrivania.

Dopo circa quindici minuti, aveva già pulito, risistemato in un ordine maniacale che avrebbe tanto fatto invidia al suo appartamento.
Se ne stava seduta a non far niente, chiacchierando con Sango e Kagome, sue colleghe e "vicine di scrivania".
"Uffa.. InuYasha continua a chiamarmi ininterrottamente, eppure lo sa che sono a lavoro!!" Sbuffò Kagome scocciata, da sempre aveva odiato essere disturbata quando era in servizio, e puntualmente il suo fidanzato non le dava tregua facendole squillare il cellulare ogni mezz'ora circa.
"Magari è importante stavolta, ti conviene rispondere." Suggerì Sango esaminando i fiori che avevano comprato per dare il benvenuto al nuovo procuratore.
"Voglio sperarlo per la sua incolumità!" Sibilò Kagome alzandosi per andare a rispondere in un'altra stanza, magari dove vi era un po' di silenzio.
Le due amiche la guardarono allontanarsi per poi scoppiare a ridere all'unisono.
Da quando InuYasha le aveva fatto la fatidica proposta, non la lasciava mai un'attimo.
Le telefonava sempre, in ogni istante ,solo per poter sentire la sua voce ed assicurarsi che andasse tutto bene e che non era stata ferita o peggio durante una sparatoria.
"Ok preoccuparsi, ma non credi che InuYasha stia un po' esagerando?" Chiese Sango distrattamente.
"Bhe.. Non credo.. A me piacerebbe avere qualcuno che si preoccupa per me." Confessò  Rin triste abbassando lo sguardo.
"Oh.. Tesoro.. Sussurrò Sango stringendo l'amica in un' abbraccio consolatore.
Odiava vederla triste e sola, soprattutto da quando quello stronzo l'aveva mollata così su due piedi.
"Sai, gira voce che il nuovo procuratore sia un gran fico.." Buttò lì Rin distrattamente, cercando di cambiare argomento.. E fortunatamente ci riuscì, altrimenti sarebbe scoppiata in lacrime di lì a breve.
"Davvero?! Bene! Sarà un piacere venire a lavoro da oggi in poi!" Ridacchiò Sango.
"Hey!! Tu hai già Miroku, che ne dici di lasciarne qualcuno a me?!"
"Se proprio insisti..anzi, perchè non gli porgi tu i fiori? Volevano che lo facessi io, ma non vorrei abbagliarlo con la mia immensa bellezza e farlo perdutamente innamorare!" Scherzò ancora la bruna dando il via ad uno scherzoso scambio di battute fra le due amiche.

"Pronto?" Rispose Kagome scocciata.. Se le chiedeva ancora come stava o cosa faceva, sapeva che l'avrebbe presto ucciso!
"Kagome! Quanto ti ci è voluto!!"
"Sono a lavoro, stupido!"
"Lo so, Rin è con te? È urgente!!"
"No, sono nell'altra stanza.. Ma che succede?"
"Devo avvisarla.. È importante."
"Cosa succede? Così mi spaventi.."
"Il nuovo procuratore è Sesshoumaru."

Un parlottio sconnesso si sentiva dall'altra parte della porta mentre tutti gli agenti se ne stavano in silenzio pronti a salutare il vecchio Miyoga ed accogliere il nuovo capo.
Pian piano le voci si fecero più chiare, segno che stavano per vederli.
Rin si avvicinò alla porta con in mano il mastodontico omaggio floreale che le tappava il viso.
Si sentiva così stupidamente piccola.. E bassa.
Piccola e bassa.
Sbuffò un po' scocciata, quando finalmente udì la voce del nuovo capo.
Somigliava tremendamente a...
"Rin!" Urlò Kagome mentre la porta si aprì rivelando l'identità del nuovo procuratore.
Nessuno la sentì, tantomeno la diretta interessata che, non appena i suoi occhi neri incontrarono quelli dorati del demone piombò nell'oscurità più nera, tetra e asfissiante, la stessa che aveva conosciuto quella sera, quando lui se n'era andato.



Ma ciao!!
Finalmente aggiorno qualcosa! Ultimamente vi ho sommerso di one shottine che mi hanno tolto un po' di tempo, ma si sa.. L'ispirazione è bastarda U.U
Spero che questo capitolino vi sia piaciuto e ,come sempre, vi prego di farmi notare gli eventuali orrori grammaticali ;)
Alla prossima!!
Un bacione!! <3

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Capitolo 3
*** 3. Misteri svelati ***


3. Misteri svelati

Era passata una settimana da quel giorno, da quando Sesshoumaru, il suo ex, era diventato il suo capo.
Ancora stentava a crederci.
Quella settimana sembrava esser passata in poco più di un'ora, avendola vissuto come un'automa.
Non riusciva più a far nulla che non fosse lavorare, andare a casa, cenare (si fa per dire) e dormire.
A stento si ricordava di aver vagamente chiacchierato con Sango e Kagome, ma al contempo si ricordava benissimo di lui.
Lui che le passava davanti senza degnarla di uno sguardo, lui che la ignorava, lui che la chiamava per cognome quando aveva bisogno di lei.
Ed infine, quello più difficile da digerire, gli sguardi dei colleghi quando lui entrava in una stanza, gli sguardi compassionevoli traboccanti di pena che immediatamente le rivolgevano.
Quegli sguardi proprio non li sopportava..
Adesso non era più Rin, l'agente di polizia, no.. Ora era soltanto "la poveretta scaricata dal capo" o "l'ex del capo".
Come ormai da un mese a quella parte, si trovava negli archivi a sistemare i vari fascicoli dei casi irrisolti.
Sembrava proprio che Sesshoumaru avesse tutta l'intenzione di seguire le orme del vecchio Miyoga e segregarla lì dentro a vita.
Ripose nell'archivio l'ennesimo fascicolo e chiuse a chiave lo sportelletto metallico.
Finalmente aveva concluso con i casi più vecchi, restavano da fare i più recenti, quindi da ordinare circa gli ultimi dieci anni di multe.
Sbuffò scocciata poggiando la testa contro il freddo metallo.
Non poteva continuare così.
Ogni qualvolta che lo vedeva, il suo cuore iniziava a battere furioso contro la cassa toracica e sapeva, anzi ne era certissima, che con l'udito finissimo da demone cane, Sesshoumaru l'avesse sentito più di una volta, chiaro e limpido, come i suoi sentimenti ,fin troppo palesi, per lui.
Che fare?
Continuare a stare in quella centrale e soffrire o chiedere il trasferimento?
Da un lato, il trasferimento la tentava parecchio.
Non avrebbe più visto le sue amiche, non avrebbe avuto il lavoro così vicino a casa, ma ,dall'altra parte, non avrebbe neanche più visto lui.
Magari avrebbe potuto chiedere aiuto ad InuYasha e farsi trasferire nel suo distretto.
Bhe.. Dopotutto non era una cattiva idea.
Restava solo da vedere se Sesshoumaru avrebbe accettato ed acconsentito al suo trasferimento e ,chissà perché, sentiva che proprio non lo avrebbe fatto.
Ma a tentare non si sbaglia mai, giusto?
Intanto avrebbe preso i moduli da compilare, poi ci avrebbe meditato un po' su.
"Hey! Rin, siamo appena tornate. Prendi un caffè con noi?" La voce di Kagome la distolse dai suoi pensieri.
"Si, arrivo subito." Rispose cercando di acquisire un'aria quantomeno serena.
Ecco, quello le sarebbe mancato tantissimo: la sua famiglia.
Sì, perché ormai le sue colleghe ed amiche non erano solo questo, erano tutto per lei che ora davvero non aveva più nessuno al mondo.
Prese le sue cose ed uscì dalle sale dell'archiviazione ,diretta verso la piccola zona ristoro.
Con la mente assolta nei suoi dilemmi, svoltò l'angolo e si scontrò contro qualcuno.. O meglio, qualcosa! Forse un muro in cemento armato di tre metri con rinforzi in ferro.
Barcollò all'indietro, ma non cadde, una mano la sorresse per la schiena impedendole di farsi male al fondoschiena.
"Attenta Nakamura."
Quella voce.
No.. No.. Con tutti i poliziotti ed i detective che c'erano alla centrale, proprio con Sesshoumaru si doveva scontrare?
Ok, il destino ce l'aveva ufficialmente con lei.
Aprì gli occhi e si ritrovò in bilico, pericolosamente pendente all'indietro, ma immobile perché sostenuta dalla sua mano artigliata poggiata sulla vita.
Alzò lo sguardo e si ritrovò il volto del demone a pochi centimetri dal suo.
No.. Non poteva sopportarlo..
Sentiva già le lacrime pungerle gli occhi.
Non ce la faceva.. Lo squarcio che le aveva lasciato al posto del cuore ,adesso sanguinava copioso.
Una lacrima sfuggì dalle sue ciglia solcandole la pelle pallida della guancia.
Non voleva piangere davanti a lui.
L'aveva ferita a morte, non si meritava anche le sue lacrime, non poteva dargli quella soddisfazione.
Rin osservò lo sguardo del demone mutare mentre la guardava.
Dapprima sembrava distaccato ed impassibile, come era sempre stato, il solito Sesshoumaru di sempre.
Ma quando la lacrima le era sfuggita, il suo sopracciglio destro era salito vertiginosamente creando sul suo volto un'espressione alquanto incuriosita.
Per Rin fu come ricevere uno schiaffo in faccia.
Non solo non capiva la sua lacrima, non solo non capiva il suo dolore, ma non faceva neanche una piega.
Restava lì, fermo ed impassibile col suo sopracciglio arcuato.
No.. Era troppo..
Lesta poggiò le mani sul petto duro del procuratore e lo spinse via.
O meglio, lei si spinse lontana da lui, dato che il corpo di Sesshoumaru non si mosse di una virgola.
Inevitabilmente, lei cadde a terra e, come una preda braccata dal predatore, indietreggiò spaventata con il dolore dipinto sul viso.
Quella visione, per Sesshoumaru, fu come ricevere una stilettata sulla pelle.
Non voleva vederla così, non voleva che lei soffrisse per lui.
Solo in quel momento realizzò di averla davvero distrutta con le sue stesse mani, quando ,in verità, aveva fatto tutto il possibile per impedirlo.
"Rin.." Fu l'unica cosa che uscì dalle labbra del demone.
Incapace di dire o formulare una vera frase di senso compiuto davanti a quegli occhi che lo scrutavano terrorizzati.
"Stammi lontano.." Bisbigliò lei  in risposta mentre si alzava da terra.
Sesshoumaru non l'ascoltò, e , guidato da non si sa bene cosa, avanzò di un passo verso di lei.
In quel momento non gli importava molto del luogo in cui si trovavano o dei colleghi che guardavano la scena come si guarda un film, no.. In quel momento avrebbe solo voluto stringerla fra le sue braccia.
"No!!" Gridò lei in preda al panico , indietreggiando di conseguenza.
Non gli avrebbe mai permesso di avvicinarsi.. Mai più.
"Lasciami stare.." Bisbigliò dando il libero sfogo alle lacrime e lasciandole finalmente fluire via.
"Lasciami stare.." Aggiunse ancora, con voce più ferma che poteva, mentre si allontanava da lui.
Sola, voleva stare sola, piangere e disperarsi fino a crollare esausta.
Raggiunse la stanza degli archivi, ci si fiondò dentro chiudendosi a chiave e si accasciò per terra, con le ginocchia strette al petto.
Pianse.
Pianse tantissimo, pianse tutte le sue lacrime fino a che gli occhi non le fecero male.

"Higurashi!" Tuonò Sesshoumaru dal suo ufficio e ,dopo pochi secondi, una Kagome indignata fece la sua comparsa.
"Che vuoi?!" Chiese impertinente, ben sapendo di provocarlo, ma non le importava.
Sesshoumaru in risposta alzò minacciosamente un sopracciglio e, dopo qualche secondo, decise di lasciar correre sul suo comportamento.
Diede la colpa alla sua relazione con InuYasha ed agli ascendenti negativi che aveva quest'ultimo nei confronti della ragazza.
"Chiudi la porta e siediti." Ordinò freddo mentre riponeva alcuni fogli in un cassetto.
Kagome fece come le era stato ordinato.
"Allora? Cosa vuoi?" Tornò a chiedere l'agente con un cipiglio irato.
Lui aveva usato un tono confidenziale, dunque non avrebbero discusso di lavoro.. Bene! Moriva proprio dalla voglia di mandarlo a quel paese per come aveva ridotto la sua amica!
"Credo che Rin non abbia capito." Esordì il demone allentandosi il nodo della cravatta, fattosi improvvisamente troppo stretto.
"No mio caro, lei ha capito benissimo! Ha capito che sei uno stronzo di prima categoria e che è bene stare lontani da quelli come te!" Sbottò la ragazza guardandolo in cagnesco.
Moriva letteralmente dalla voglia di picchiarlo e spaccargli quella faccia perennemente indifferente.
Sesshoumaru fece appello a tutta la sua calma per non sventrare la cognata all'istante.
Dovette chiudere gli occhi e contare fino a trenta prima di convincersi a desistere dai suoi intenti omicidi.
"Sono partito per Hokkaido quel giorno."iniziò in demone con fatica.
Non amava parlare, soprattutto dare spiegazioni.. Ma , in quel caso, avrebbe dovuto.
"Sono stato reclutato in un corpo speciale per il sorvegliamento dei demoni di classe A*1." Confessò guardandola dritta negli occhi e leggendovi un certo smarrimento.
Perché le diceva quelle cose?
Perché solo adesso?
"Si trattava di un'operazione top secret e non volevo metterla in pericolo." Aggiunse poi socchiudendo gli occhi e distogliendo lo sguardo.
Dopo più di quattrocento anni, ancora trovava difficoltà ad ammettere i suoi sentimenti, ciò che lui aveva da sempre considerato come debolezze.
"L'hai lasciata per proteggerla.." Suggerì Kagome scioccata in un sussurro, ricevendo un cenno d'assenso in risposta.
"Scusa, ma perché lo dici solo adesso? Insomma, lei ha sofferto tantissimo per te.. Ancora non sta bene..cosa intendi fare? Ripiombare nella sua vita come se niente fosse?"
"Sì. E tu mi aiuterai."
"Scordatelo!" Sbottò Kagome battendo le mani sulla scrivania.
"L'ho vista piangere fin troppo, non ti aiuterò affatto! Come posso essere certa che non la farai soffrire ancora?!"
"Non accadrà." Rispose lui con voce ferma.
"Certo, ed io dovre.."
"Non accadrà mai più." La interruppe lui bruscamente, estraendo una piccola scatolina blu in velluto dal taschino e mostrandole l'anello per Rin.

1-mi sono inventata delle classi per i demoni più o meno pericolosi.
Quelli di classe A sono quelli più pericolosi che rinnegano ogni trattativa con gli umani e sono sempre pronti a far danni.
Mano a mano che si avanza con l'alfabeto , si hanno demoni sempre meno pericolosi, fino ad arrivare alla classe E.
Quest'ultima è costituita da tutti quei demoni che hanno accettato di vivere fra gli umani in pace.







Buonasera! :)
Innanzitutto, voglio scusarmi con tutti per il vergognoso ritardo.. Davvero, non so che dirvi :/ se non che sono più che mortificata.
Presto aggiornerò anche "Lacrime scarlatte"  e spero di aggiornare nel weekend "Sposa il re, ama il guerriero".
Purtroppo ho dei problemi con la linea (che sembra essere morta) e quindi mi ritrovo ad aggiornare dal telefono, dunque vi prego di perdonare gli eventuali errori, anzi siete invitati a farmeli notare così provvederò a correggerli quanto prima :)
Alla prossima!!
Un bacio <3

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Capitolo 4
*** 4. Piove sul bagnato ***


4. Piove sul bagnato
 
Rin camminava verso casa con passo strascicato.
Per tutto il giorno si era rintanata negli archivi senza osare mettere più la testa fuori, ed assolutamente a niente erano valse le suppliche di Sango e Kagome... Era semplicemente rimasta lì, chiusa nel suo dolore, con i fascicoli ingialliti dei casi archiviati.
Solo all’ora di andare a casa si era decisa ad uscire, ma sempre guardandosi intorno spaventata, esattamente come farebbe una preda braccata da un predatore.
In fretta e furia si era cambiata nello spogliatoio ed era letteralmente fuggita via correndo, come se un maniaco armato le stesse alle calcagna.
A debita distanza, quando non correva più il rischio di incontrare nessuno, aveva deciso di fermarsi un po’ per prendere fiato.
Si era seduta su di una panchina ed aveva acceso una canna che aveva opportunamente preparato e schiaffato in borsa.
Non le era mai piaciuto fumare, lo riteneva da sempre un vizio stupido e non si era mai posta il problema di tacerlo a Sesshoumaru che, al contrario suo, fumava erba come una ciminiera.
Lui le aveva sempre imposto di non farlo perché sarebbe stato dannoso per il suo fisico umano, mentre a lui non creava nessun problema.
Aveva sbuffato una nuvoletta di fumo denso con astio.
Persino un gesto stupido come quello gli ricordava sempre lui... In ogni caso, la sua mente veniva intasata con immagini di Sesshoumaru, i suoi occhi, loro insieme, loro che facevano l’amore... E solo quel vizio stupido le dava un minimo di sollievo da quello strazio.
Con la psiche piacevolmente assopita, si era trascinata per due isolati, aspirando un po’ di fumo di quando in quando e sorridendo come una scema ogni qualvolta espirasse.
Era una dolce litania che la portava in un mondo di felicità apparente.
Portò alle labbra il mozzicone quasi esausto per un’ultima aspirata che la stordisse definitivamente.
Inspirò a pieni polmoni, finché non percepì il calore della combustione bruciarle le labbra, ed infine trattenne il respiro per qualche secondo prima si espirare lentamente.
Da quando lui se ne era andato, quello era divenuto un vizio bello e buono e nonostante sapesse che si stava solo facendo del male, non voleva rinunciarvi per nulla al mondo.
Ormai i suoi giorni erano scanditi dalla tristezza di una casa piena di ricordi,  il lavoro era diventato una tortura gratuita...purtroppo, viveva per quei momenti di puro stordimento in cui tutto spariva, lui spariva, ed allora poteva crogiolarsi in quella sensazione di effimera felicità.
Arrivò a casa e salì gli scalini un po’ traballante.
“Ma chi se ne importa!” Si disse fra sé e sé. A lei andava benissimo così!
Estrasse le chiavi dalla borsa e fece per aprire il portone, ma la serratura era stata manomessa.
Che strano...
Sospirò indifferente ed entrò lo stesso senza porsi troppe domande.
Probabilmente era tutta colpa del ragazzino che abitava al primo piano! Dannato moccioso!
Salì le scale tenendosi al corrimano, ma quando arrivò sul suo pianerottolo, davanti alla sua porta, trovò un capannello di persone tutte preoccupate.
Oh merda.
Che cazzo era successo?
Si fece largo fra la calca di curiosi ed entrò nel suo appartamento... O almeno, quello che ne restava!
Tutte le sue cose erano state buttate in giro,i suoi vestiti giacevano a terra, il suo intimo era stato gettato fuori dai cassetti e rovesciato sul letto e per terra.
La cucina era completamente in subbuglio ed il contenuto del suo frigo pareva essere stato rovesciato a terra.
La stessa sorte era toccata al salotto ed al bagno.
Sembrava che qualcuno fosse entrato ed avesse violentemente cercato qualcosa... Ma cosa?
Lei non possedeva oggetti di valore o gioielli o soldi... E le uniche cose relativamente interessanti per i ladri erano il televisore ed il portatile, ma quelli erano stati lasciati al loro posto.
“Rin, cara, ci siamo permessi di chiamare la polizia.” La informò la Signora Shin, la sua vicina.
Rin distrattamente annuì evidentemente spaesata.
Che stava succedendo alla sua vita?
Perché stava andando sempre più allo sfascio?
Decisamente, sembrava piovere sul bagnato...
Senza neppure accorgersene, iniziò a piangere accucciandosi a terra, con la schiena contro lo stipite della sua porta sfondata, e circondata da tutte le sue cose sparse in giro.
La Signora Shin si mosse cauta e le carezzò amorevolmente i capelli scuri.
“Mentre attendiamo che arrivi la polizia, ti andrebbe di bere una tazza di the?” Suggerì sorridente, con quel suo viso costellato d rughe ma tremendamente angelico.
E così fece, Rin si lasciò trasportare fra le braccia della sua anziana vicina e si fece condurre piano piano nell’appartamento accanto, dove sperava di trovare un po’ di pace.
 
^^^
 
Il telefono trillò urgente e Kagome accolse la telefonata del centralino della polizia.
“Sì?”
“C’è stata un’irruzione in un appartamento al terzo piano, via Kurosaki 23, quartiere  Nikishima.
Non sembrano esserci né testimoni, né feriti.” Snocciolò annoiata la centralinista e poi riattaccò all’istante.
Kagome organizzò subito i moduli da compilare una volta rientrata da quell’incarico, ma in un momento, mentre prendeva il distintivo dal cassetto, un brivido gelido le corse lungo tutta la schiena.
Qualcosa non andava...
Ricontrollò l’indirizzo che si era opportunamente appuntata sul taccuino ed il sangue le si gelò nelle vene.
Kurosaki 23... Nikishima... Terzo piano... Era l’appartamento di Rin!
Lesta corse da Sango in caffetteria e l’acchiappò per un braccio portandola via dalla sua meritata pausa.
“Kagome! Ma che ti prende?!” Chiese la bruna faticando a tenere il passo dell’amica, ma quando Kagome si girò verso di lei, Sango intuì subito che qualcosa non andava... Decisamente non andava.
Ed il pallore mortale che aveva spento le gote rosee della sua amica ne era la prova lampante.
“Rin... Le sono entrati in casa... Non so altro!” Disse agitata la bruna evidentemente spaventata.
Sango la strattonò per un braccio, facendola così smettere di correre, e l’afferrò per le spalle scuotendola leggermente.
“Ti ho vista con quella faccia solo quando sono morti i genitori di Rin. Che cosa senti?” Le chiese seria scrutandola attentamente.
Kagome proveniva da una millenaria stirpe di sacerdotesse potentissime ed ogni suo minimo presentimento negativo si manifestava sempre come una tragica notizia.
“Paura... Sento tanta paura ed ho l’impressione che questo sia solo l’inizio... Ho percepito un’aura malvagia...” Sentenziò la mora abbassando lo sguardo colpevole, come se ne fosse responsabile.
Sango annuì sconfitta ed estrasse le chiavi dalla tasca.
“Io vado ad accendere la macchina, tu avvisa Sesshoumaru.
Nonostante lo detesti profondamente,se deve succedere qualcosa di brutto, lui deve saperlo” Disse Sango con aria risoluta e si avviò verso il parcheggio delle volanti.
Sango aveva la superba capacità di non farsi mai prendere dal panico, nemmeno nelle situazioni peggiori, e questo era tutto merito dei suoi avi: famigerati e sanguinari cacciatori di demoni.
Kagome corse nell’ufficio del procuratore e spalancò la porta senza neppure annunciarsi.
Sesshoumaru alzò un sopracciglio, evidente manifestazione del suo stupore misto a curiosità e fastidio.
Poi osò alzare lo sguardo verso i suoi occhi chiari e la faccia spaventata che la poliziotta gli mostrò lo mise in allarme.
“Rin!” Gracchiò Kagome uscendo di corsa per dirigersi all’uscita della centrale, dove Sango l’attendeva.
Sesshoumaru non ebbe neppure il tempo di formulare una domanda che esternasse la sua curiosità, che Kagome gli aveva già risposto e, anche se era stata una sola parola, era stata tremendamente esaustiva.
Quella faccia sul volto della cognata non portava certo liete notizie e se aveva pronunciato quel nome, evidentemente era perché Rin era in pericolo.
Senza nemmeno rendersene conto, aveva già raggiunto Kagome in corridoio ed ora correvano insieme verso la volante che li attendeva.
Nella sua mente un solo nome: Rin.
Nel suo cuore solo un pessimo presentimento.
Entrarono in macchina come due furie: Kagome sui sedili dietro, mentre Sesshoumaru sedeva accanto a Sango.
“Che è successo?” Disse atono sfoggiando la sua solita voce distaccata ed incolore, ma solo un orecchio attento avrebbe notato l’angoscia che si affacciava in quelle parole o nella mascella ermeticamente contratta o in quella vena del collo che non smetteva un attimo di pulsare impazzita.
“Le sono entrati in casa” rispose Sango non nascondendo l’astio che le colorava la voce. E poco importava che fosse il suo capo! Era uno stronzo, il primo stronzo della sua lista di stronzi perché aveva spezzato il cuore di Rin.
Sesshoumaru digrignò i denti al sol sentire quelle parole.
Chi aveva osato tanto?
In pieno pomeriggio poi...
Chi era così temerario da osare infrangere la barriera magica che delimitava la loro casa?
No... Non era più la sua casa da un po’...
“Lei sta bene?” Chiese senza guardare nessuna delle due ragazze, gli occhi erano fissi sulla strada che Sango bruciava sotto le gomme.
“Sembrerebbe di sì. Non ci sono stati né testimoni, né feriti... Solo...” Azzardò Kagome, ma si fermò subito titubante se continuare o meno.
Sesshoumaru le rivolse un’occhiataccia talmente ostile che sembrò volerla incenerire solo guardandola.
“Ho percepito un’aura malvagia non appena ho riattaccato la chiamata... È stata una sensazione gelida ed oscura che mi ha schiacciata.” Continuò la bruna incupendosi ancor di più evidentemente preoccupata.
Sesshoumaru tornò ad osservare la strada dritta dinnanzi a sé, finalmente erano arrivati.
Sango mollò la macchina alla cavolo, quasi in mezzo alla strada, e tutti e tre si precipitarono all’interno del palazzo.
Sesshoumaru volò fino al terzo piano, fino alla sua vecchia casa ora sfasciata ed entrò senza troppi preamboli.
Subito l’odore della sua Rin lo investì in pieno, travolgendolo come un treno e stordendolo fin quasi a drogarlo.
Quanto le mancava...
Quanto le mancava potersi addormentare al suo fianco e tuffare il naso fra quei capelli scuri...
In una frazione di secondo, si ricompose ed iniziò a setacciare la casa alla ricerca di qualche indizio.
Chiunque fosse stato, chiunque avesse osato così tanto, non sarebbe certamente rimasto impunito!
Entrò nella loro vecchia camera ed iniziò a frugare fra quei milioni di vestiti abbandonati in giro.
L’odore di lei era ovunque. Forte ed intenso come non mai.
Ad un tratto, la sua voce cristallina ruppe il silenzio di quella casa.
“Non lo so... Sono tornata ed era già così...” Rin tirò su col naso.
Doveva trovarsi in cucina.
“Non preoccuparti, finché non ti sistemeranno la porta potrai stare da me.” Asserì Sango convinta.
“Hanno preso oggetti di valore?” Intervenne  Kagome quasi in un sussurro.
“No... Sembra che abbiano solo buttato all’aria tutto. Hanno lasciato persino il televisore ed il portatile...”
Sesshoumaru ascoltò quella conversazione con estrema attenzione.
Che diamine di rapina era quella?
Avevano lasciato tutte le cose di valore ed avevano solo sparso gli oggetti in giro... Sembrava quasi che stessero cercando qualcosa.
E se fosse stato così?
Ma cosa? Cosa potevano mai cercare in una casa di una ragazza sola?
“La ragazza...” Bisbigliò fra sé e sé, e mai parole furono più dolorose.
Chiunque fosse entrato, cercava Lei, cercava la sua Rin!
Ma per cosa?
A cosa poteva mai servire una semplice ragazza?
Avanzò di qualche passo finché un rumore di vetri schiacciati non lo distolse dai suoi ragionamenti.
Subito abbassò lo sguardo incuriosito, ritrovandosi sotto al piede una cornice argentata troppo familiare...
Sospirò frustrato mentre la raccoglieva da terra.
In quella cornice, Rin aveva voluto metterci una foto decisamente discordante per un oggetto così elegante.
Ancora ricordava alla perfezione la foto che ora giaceva sotto ad una canottiera rosa.
Sorrise internamente ripensandoci.
Quella foto li raffigurava insieme, abbracciati sugli scogli con il mare alle spalle.
Lui era serio, come sempre, mentre la guardava, ma nel suo sguardo si vedeva benissimo l’amore che traboccava dai suoi occhi...o almeno, questo era quello che diceva Rin.
Lei invece stava reggendo la macchina fotografica ed il suo sorriso felice illuminava tutta la foto.
Sesshoumaru sospirò affranto al sol pensare che cosa aveva perso...
Poggiò sul comodino la cornice rotta e prese la foto in mano per osservarla.
Qualcosa non andava...
La foto era stata divisa a metà ed ora, tra le mani, Sesshoumaru teneva solo la metà che lo ritraeva.
Poteva essere stata lei, poteva averla stracciata in un momento di rabbia, sarebbe stato plausibile, ma qualcosa gli suggerì che non era affatto così...
Subito la strinse nella mano e ringhiò sommessamente cercando di mantenere sotto controllo la sua rabbia.
Come una furia tornò in salotto, dove Sango e Kagome stavano cercando di consolare la sua Rin.
“L’hai stracciata tu?” Chiese non riuscendo a mascherare la furia che lo bruciava dall’interno.
All’udire quella voce, Rin rabbrividì vistosamente, mentre già le lacrime le pungevano gli occhi.
Non lui...
Non qui...
Non nella loro casa...
Le tre poliziotte si voltarono all’unisono curiose di capirci qualcosa.
Rin impallidì ulteriormente vedendolo in quell’ambiente familiare che da anni condividevano.
Una fitta al cuore le mozzò il fiato, mentre un pallore mortale andava a spegnerle le guance rosee.
“No...l’ho solo... Tolta dal mobile e nascosta nel cassetto” Sussurrò pianissimo in risposta, ma sapeva che lui l’aveva udita alla perfezione.
“Sai che non mi piacciono le foto. Non amo averle in giro. Soprattutto se ci ritraggono insieme.” Sputò quelle parole con rabbia, voltandosi per non guardarlo in faccia.
Doveva ferirlo, voleva ferirlo.
Non le importava di starci male, tanto peggio di così non poteva andare!
Sesshoumaru digrignò i denti rabbioso e si voltò uscendo dall’appartamento con passo veloce.
Le parole di Rin lo avevano colpito duramente, ma cercò di non badarci più di tanto.
Ora voleva solo capire il motivo assurdo di  quella farsa.
Non era riuscito a trovare nessun indizio su chi aveva fatto irruzione, neppure uno straccio di nota olfattiva... Ma lui sapeva chi era in grado di fare questo, lui sapeva benissimo chi era così tanto abile da non lasciare alcun indizio.
Ringhiò astioso alzandosi in volo per poter raggiungere il prima possibile la sua destinazione.
Fino all’ultimo aveva sperato che la sua missione non avesse avuto ripercussioni su di lei.
L’aveva allontanata brutalmente, con il cuore che gli sanguinava per ciò che aveva fatto, eppure tutto era mirato solo ed esclusivamente a proteggerla.
Aveva bruciato ogni traccia che potesse ricondurlo a lei, aveva tagliato tutti i ponti, tutti i legami che potevano avere in comune,ma ancora non era bastato!
E solo i Kami sapevano che diamine aveva in mente quel sadico di Naraku!

 

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Capitolo 5
*** 5. Nuovi e vecchi incontri ***


5. Nuovi e vecchi incontri


 

Il vento gelido del nord gli sferzava il viso con violenza, arrossandogli la pelle candida sulle guance e sul naso.
La neve che cadeva in abbondanti fiocchi bianchi gli rendeva difficoltoso il volo, ma la sua meta spiccava nera ed imponente dinanzi a lui.
Una fortezza impenetrabile, il carcere di massima sicurezza per demoni ribelli. Un castello nero in cemento che si ergeva nel bel mezzo del niente, circondato dalla più gelida desolazione del polo nord.
Circondata da mura sacre, sorvegliata da monaci potenti al servizio dei grandi capi del mondo. Un luogo che avrebbe fatto rabbrividire ogni demone a questo mondo.
L’aura che emanava quel luogo era talmente pura che quasi toglieva il respiro.
I detenuti contenuti all’interno di celle inespugnabili, vivevano annichiliti sotto a quello schiacciante potere sacro, perennemente a rischio di purificazione.
Sesshoumaru atterrò nei pressi di quel luogo barcollando a causa di quel potere così destabilizzante.
Materializzò le sue spade demoniache al suo fianco ed impugnò Tenseiga ergendo una barriera protettiva che gli consentisse di proseguire senza rischiare di essere purificato.
La neve gelida gli congelò i piedi e le caviglie mentre avanzava in diversi metri di fiocchi candidi accumulati a terra.
Almeno il vento era mitigato dalla barriera demoniaca della spada.
Avanzò fino all’imponente portone d’ingresso, dove un monaco tutto avvolto in un cappottone lo accolse con un sorriso amichevole che gli fece venire la nausea.
Anche se era ormai integrato nel mondo umano, non si sarebbe mai abituato a quei gesti di solare confidenza che le persone erano solite scambiarsi.
L’uomo gli porse un tablet dallo schermo verdastro con la mano avvolta in uno spesso guanto, e Sesshoumaru poggiò il palmo sullo schermo gelido attendendo il tintinnio e la voce metallica che gli avrebbe consentito l’accesso.
L’uomo guardò il tablet per un secondo, digitò qualcosa sullo schermo con un pennino ed infine gli sorrise di nuovo.
“La stavamo aspettando, bentornato Signor No Taisho!” Gioì infine, ma dal demone non ottenne alcun cenno di risposta.
Avanzarono all’interno della struttura richiudendosi l’imponente portone alle spalle e subito il caldo tepore all’interno gli scaldò le membra congelate.
Sesshoumaru aggrottò le sopracciglia ripensando alle parole dell’uomo.
“Perché mi aspettavate?” Chiese infine, carezzando distrattamente l’elsa di Tenseiga e mantenendo eretta la barriera demoniaca.
“Suo padre l’ha sentita arrivare e ci ha avvisati.” Spiegò l’uomo iniziando a spogliarsi dal pesante giaccone ed appendendolo ad un gancio accanto alla porta.
Suo padre… doveva immaginarselo.
“Dov’è ora? Devo parlargli.” Chiese il demone con fare autoritario e burbero.
Il suo umore apparentemente piatto si inaspriva sempre quando si trattava di suo padre.
“È nel suo ufficio. Vuole che l’accompagni o si ricorda la strada?” Chiese cortese l’uomo, ma Sesshoumaru si era già avviato per quel dedalo di corridoi senza degnarlo di risposta alcuna.

L’immenso ufficio di suo padre era esattamente come se lo ricordava: fastidiosamente arredato.
Ogni dove proliferavano come funghi ninnoli vari, foto di famiglia – nelle quali Sesshoumaru aveva sempre la solita espressione atona – fascicoli e documenti vari spuntavano di quando in quando fra le mille statuette di porcellana disseminate sulla scrivania e sui mobili.
Una lampada, ingombrante ed appariscente, in legno scuro, troneggiava nell’angolo accanto alla finestra sotto alla quale faceva bella mostra di sé una poltroncina in pelle scura. Sopra a quest’ultima, si era assopita Izayoi con un libro fra le mani.
Sesshoumaru si guardò attorno riconoscendo il tocco della madre di suo fratello un po’ ovunque.
Suo padre, il direttore del carcere di massima sicurezza, gli rivolse un sorriso entusiasta nel quale Sesshoumaru rivide tantissimo suo fratello.
“Bentornato, figliolo! A cosa devo questa visita?” Lo accolse suo padre moderando il tono della voce per non svegliare la compagna.
“Ho da fare.” Tagliò corto Sesshoumaru avanzando nello studio e prendendo posto su una delle sedie davanti alla scrivania imponente del direttore.
“Aprimi la cella di Naraku.”
Inu sospirò guardandolo con sospetto.
“Non posso. È contro il regolamento e lo sai bene, quindi perché una simile richiesta? Cosa c’è sotto?”
“Non lo so…” ringhiò Sesshoumaru sentendo ribollirgli il sangue nelle vene al sol pensiero di aver messo in pericolo Rin.
“Ma ho tutta l’intenzione di scoprirlo.”
Inu studiò attentamente la reazione del figlio, non perdendo l’esatto istante in cui conficcò le unghie nei braccioli.
“Cosa sai?” Chiese diretto e schietto, senza troppi giri di parole.
“Niente a dire il vero, ma temo che lui sia arrivato a Rin.”
“Ti avevo detto di tagliare i conti con lei!” Sbottò il genitore alzando la voce e svegliando inesorabilmente la sua compagna.
“Inu… caro…” sbadigliò Izayoi sussultando per lo spavento.
Inforcò gli occhiali da vista e mise pigramente a fuoco la scena che le si parava davanti.
Sesshoumaru e Inu tesissimi come corde di violino che si squadravano in cagnesco ringhiando sommessamente. Ci mise davvero poco a capire di essere di troppo.
“Vado di sopra.” Annunciò infine ricevendo soltanto il silenzio in risposta.
“È sempre un piacere vederti Sesshoumaru.” Sorrise gentilmente uscendo dalla stanza.
“Spero di vederti più spesso… ed in circostanze migliori.” Pigolò cauta chiudendosi la porta che portava al loro appartamento alle spalle.
E quando il click della serratura invase la stanza silenziosa, Inu sospirò esausto rilassando le spalle.
“Ti vuole bene, Sesshoumaru. Potresti almeno risponderle quando ti parla?” Chiese il genitore lasciandosi andare pigramente sulla poltrona. Adesso, solo la scrivania si frapponeva fra i due demoni ed Inu sperava davvero che non finisse in mille pezzi come la volta scorsa.
Far arrivare una scrivania nuova di pacca fino al polo nord era una vera impresa ogni volta.
In risposta, Sesshoumaru sbuffò con aria annoiata.
“Sono passati trent’anni dalla sua ultima reincarnazione e tu ancora non la vuoi accettare in famiglia…” esalò sconsolato il genitore passandosi una mano sulla faccia.
“Sei senza speranza…” aggiunse infine poggiando i gomiti sul legno scuro della scrivania.
“Non sono venuto per una visita di cortesia.”
“Lo so, sei venuto perché hai fatto una stronzata e vuoi che rimedi al danno.”
Sesshoumaru digrignò i denti ed artigliò i braccioli della sedia forandoli con le sue unghie acuminate.
“Non ho commesso errori. Ho chiuso con lei molto prima di rintracciarlo, ho tagliato tutti i ponti che potevano ricondurla a me…”
“Evidentemente non tutti!” Sbottò di nuovo il genitore sbattendo un pugno sulla scrivania.
Si alzò dalla sua poltrona comoda camminando nervosamente per la stanza. Stare fermo era divenuto impossibile per via del suo nervosismo.
“Non prendermi per uno sprovveduto, è della vita della mia compagna che stiamo parlando!” Sbottò anche Sesshoumaru, ringhiando minaccioso.
Il genitore si aprì in un sorriso spavaldo, di scherno. Aveva capito esattamente dove fosse il problema.
“La tua compagna?” Chiese mellifluo mostrando i canini appuntiti.
“Non avevi detto di aver tagliato ogni legame?”
Sesshoumaru corrugò la fronte confuso d all’improvviso cambio di atteggiamento da parte del genitore.
Dove voleva arrivare?
Rin sarebbe rimasta comunque la sua compagna nonostante la rottura. Così come era sempre stato da secoli ormai, di reincarnazione in reincarnazione.
Le loro anime, destinate l’una all’altra, si sarebbero sempre cercate e ritrovate, perché così doveva essere e quel filo indistruttibile non si sarebbe mai spezzato.
“È quello che ho fatto. Niente poteva ricondurmi a lei.” Rispose Sesshoumaru risoluto e sicuro delle sue parole.
“Dove lavori adesso, Sesshoumaru?”
“Alla centrale di Nerima.”
Inu rise debolmente passandosi nervosamente le mani fra i lunghi capelli argentei.
“Sei un tale imbecille…” Sospirò esausto con voce derisoria, poco prima che un poderoso pugno spaccasse in due la pregiata scrivania.
“Spacca tutto quello che vuoi, le cose non cambieranno comunque.” Sibilò serio e minaccioso, animato nuovamente dall’ira più nera che Sesshoumaru avesse mai visto dipinta sul suo volto.
“Basta con i giri di parole! Come l’hanno trovata?”
“Hanno atteso, perché tanto, prima o poi, saresti tornato da lei.” Spiegò il demone massaggiandosi profondamente le tempie. D’improvviso, un indesiderato mal di testa gli aveva attagliato il cranio e non sembrava volersene andare tanto facilmente.
Sesshoumaru corrugò le sopracciglia confuso, ripensando a tutti quei giorni di separazione in cui si era impegnato a depistare ogni fonte che avrebbe potuto ricollegarlo a lei.
Ogni foto bruciata, cellulari distrutti, profili social azzerati completamente. Ogni traccia di Rin, anche minima che fosse, era stata distrutta o nascosta abilmente.
Eppure, la cosa più lampante e potente che li univa non era stata celata agli occhi del malvagi: il loro Legame.
Quel filo invisibile che li avrebbe sempre fatti rincorrere nei secoli, cercandosi, ritrovandosi, unendosi di nuovo fino alla reincarnazione successiva.
Barcollò all’indietro, Sesshoumaru, trovando un sostegno nel muro dietro le sue spalle.
“Come ho potuto…” Bisbigliò incredulo fra sé e sé mentre cercava di ricordare un collegamento ancora visibile, un incontro indesiderato e, prepotente e violento, lo scontro fra loro qualche giorno prima, quando Rin era fuggita via in lacrime.
Era stato un atteggiamento sospetto… troppo inusuale affinché passasse inosservato.
Persino alcuni colleghi avevano capito che fra loro c’era stato qualcosa, figurarsi un possibile pedinatore che sicuramente lo teneva sott’occhio da quando Naraku era stato rinchiuso in carcere.
“Come posso rimediare?” Chiese infine risoluto. Il momento di debolezza era stato accantonato velocemente e adesso, dinanzi al genitore, si ergeva il fiero e spietato calcolatore principe dei demoni.
“Devi nasconderla e fuggire in un posto sicuro. È l’unico modo.”
“Dove?”
“Dove non possono raggiungerti. Anche qui, se necessario.” Sospirò il genitore, incurvando tristemente le spalle.
Sesshoumaru, udendo quelle parole e vedendo quella reazione inusuale per il fiero demone, non riuscì a non domandarsi se anche a lui fosse accaduto la stessa cosa e se Izayoi vivesse lì, nella struttura, solo per protezione. Era un dubbio che mai avrebbe espresso a parole, ma la tristezza e quel senso di colpa che aleggiava negli occhi del genitore, erano una risposta ben più che eloquente.
“Prima voglio scoprire cosa sa Naraku.” Dichiarò infine, rivolgendo il suo sguardo alla porta dell’ufficio oltre al quale si estendeva un dedalo di corridoi infiniti che portavano fino alle celle nel sottosuolo.
Inu sospirò esausto.
“È contro il regolamento, ma ti concedo dieci minuti. Non un secondo di più, Sesshoumaru.” Concesse il demone con qualche reticenza.
Sesshoumaru annuì in silenzio inforcando la porta a grandi falcate.
Dieci minuti sarebbero bastati.

La gelida cella in cui lo aveva sbattuto tempo addietro era rimasta esattamente come se la ricordava.
Un buco angusto ed opprimente capace di far diventare claustrofobico chiunque vi stesse più di pochi minuti.
Naraku era lì, al centro di quelle quattro mura, legato con pesanti catene sacre che gli marchiavano la pelle a fuoco con scie scarlatte grondanti sangue.
Ma il suo sorrisetto mellifluo ed al contempo agghiacciante, non l’aveva ancora perso, quel bastardo.
“Sesshoumaru, qual buon vento!” Lo accolse canzonatorio, Naraku, alzando la testa quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi.
“Come ci sei arrivato?” Chiese Sesshoumaru senza troppi giri di parole.
Naraku lo guardò confuso, mentre una domanda aleggiava nei suoi occhi scarlatti.
“A cosa? Non so di cosa state parlando, agente.” Sorrise mellifluo, il demone, squadrando Sesshoumaru come se volesse farlo a brandelli in quel momento.
Il ringhio irato di Sesshoumaru scosse la struttura fin nelle fondamenta, facendo crollare dal soffitto qualche sassolino e della polvere.
Odiava essere preso in giro, soprattutto da un farabutto come lui.
Si avvicinò al demone prigioniero, lo afferrò per il bavero della tuta arancione da carcerato e lo sbatté violentemente contro la parete opposta.
Ormai solo un soffio d’aria separava i loro volti.
Gli occhi di Sesshoumaru, iniettati di sangue, non parevano sortire alcuna reazione in Naraku che, anzi, non aveva mai abbandonato quel suo sorrisetto irriverente.
“Non prendermi per il culo, schifoso bastardo!” Tuonò il commissario, mentre il rumore di un allarme e i passi concitati degli agenti riempivano i silenziosi corridoi alle loro spalle.
“Come l’hai trovata? Parla!”
“Sesshoumaru, non so di chi stai parlando. Sul serio, io-…”
Il rumore ferroso della porta che si apriva violentemente sui cardini lo interruppe, e Naraku guardò con somma ed immensa felicità gli agenti che trasportavano fuori il suo rivale mentre si dimenava in preda all’ira.
Una risata gli gonfiò il petto. L’algido e sempre composto Sesshoumaru No Taisho perdeva completamente le staffe se si trattava di quella ragazzina.
Sorrise, quella poteva essere la sua ultima occasione per torturarlo, dopotutto.
“Ti capisco però, Sesshoumaru.” Iniziò Naraku leccandosi le labbra con aria famelica.
“Per due occhi come quelli, anche io impazzirei.”
Ed il dolce suono del ringhio gutturale del demone che veniva trascinato via con la forza, lo cullò per ore interminabili in quella cella angusta e solitaria.

Inu strattonò il figlio per i capelli e lo scaraventò contro la parete intonsa del suo ufficio, crepandola inevitabilmente.
“Ti avevo concesso dieci minuti per parlare, non per picchiarlo!” Tuonò il genitore furente mentre osservava il suo primogenito che lo squadrava con occhi di fuoco.
Sesshoumaru, carponi sul pavimento, si rialzava lentamente, guardando il genitore come se volesse farne coriandoli di lì a breve.
Il ringhio nella sua gola aumentava d’intensità per quella cocente sconfitta e la sua aura demoniaca annichilita da quella imponente del padre, bramava all’idea di uno scontro imminente.
“Ha confessato, è stato lui!”
“Non mi interessa, non puoi andartene a menare i prigionieri, soprattutto Naraku!” Sbraitò Inu iniziando a camminare nervosamente in giro per la stanza.
“Sai che è un prigioniero politico e varie nazioni vogliono che venga liberato. Se questa tua bravata si sapesse in giro, sarei costretto ad aprirgli le porte del carcere e stendere un tappeto rosso dove cammina!”
“Lo so.” Commentò Sesshoumaru passandosi nervosamente una mano fra i capelli argentei.
“Ma è con la vita della mia compagna che sta giocando. Non posso lasciargliela passare liscia.” Sibilò infine con un filo di voce.
All’apparenza pareva calmo e risoluto, lo stesso demone calcolatore che falciava nemici nelle terre dell’ovest.
Eppure, nel suo sguardo, brillava una luce nuova. Una luce diversa, diabolica, che non lasciava presagire niente di buono.
Inu indietreggiò non riconoscendolo quasi.
Quello era lo sguardo di un folle.
“Sesshoumaru… non fare stronzate o al posto suo ci finisci tu qui dentro.” Gli uscirono quelle parole in un sussurro, quasi come una preghiera.
“Non ho intenzione di commettere errori, padre.”
“Cos’hai in mente?” Chiese il genitore apprensivo, guardandolo con sospetto.
Non si fidava affatto di quel Sesshoumaru. Non sembrava in sé, non sembrava lucido, ma anzi, pareva sul punto di commettere una follia.
“Proteggerla. Anche a costo della mia vita.” Rispose il demone semplicemente, recuperando la sua giacca da terra e scuotendola dalla polvere.
Inu lo guardò mentre indossava quell’indumento elegante ed usciva dalla porta del suo studio con passo deciso e sicuro.
Non avrebbe dovuto lasciarlo andare, sembrava un pazzo pronto a commettere un omicidio, eppure la calma e la risolutezza della sua aura lo avevano convinto a farlo andare via.
Inizialmente era tumultuosa ed imponente, come era sempre stata quando loro due si sfidavano.
Sesshoumaru era un demone progettato per comandare, per dominare gli altri e quando si scontravano, l’aura del genitore aveva sempre scatenato quella del figlio in modo violento ed inaspettato.
Tuttavia, passato quel momento di agitazione, l’aura di Sesshoumaru aveva riacquisito quel suo fluido e piatto andamento. Calma e distaccata, come se non fosse accaduto niente.
L’aura di un freddo e spietato assassino.
E per un attimo, un misero istante, Inu aveva temuto per la sua vita e quella di Izayoi.
Lasciarlo andare era parsa forse la soluzione migliore e più sicura.
Forse il gelido freddo del nord avrebbe annichilito la sua sete di sangue.
Senza pensarci due volte, prese il telefono e chiamò il figlio minore.
Uno squillo.
Due squilli.
“Pronto?”
“Trova un posto dove puoi parlare liberamente. Abbiamo un problema.”



Rin camminava esausta verso casa.
La giornata a lavoro era stata sfiancante e riordinare pile e pile di documenti in ordine cronologico le aveva portato via praticamente tutto il tempo.
L’aria fresca della sera le mordeva l’epidermide delle guance arrossandole leggermente sugli zigomi.
La casa dove sarebbe tornata sarebbe stata ancora dannatamente vuota e troppo grande per una sola persona.
Sospirò sconsolata alzando lo sguardo al cielo terso.
Odiava quel periodo dove sembrava andarle tutto dannatamente male. Si sentiva davvero inutile in quei giorni, come se la sua esistenza fluisse via piatta.
Uno spintone forte la fece barcollare ed un uomo incappucciato le sfilò davanti velocemente tenendo una borsa fra le mani.
“Al ladro! Al ladro!” Urlò un ragazzo alle sue spalle ed in un attimo, le gambe di Rin si mossero da sole.
Rincorse il ladro per qualche isolato.
L’uomo pareva in sovrappeso ed incredibilmente lento. Bastò solo una piccola corsa per fargli perdere il fiato.
Ed in quel momento, Rin gli piombò addosso spedendolo con la faccia a terra ed immobilizzandogli le braccia dietro la schiena.
“Sei in arresto! Hai il diritto di rimanere in silenzio e qualunque cosa dirai potrà essere usata contro di te in tribunale!” Esordì Rin ammanettando l’uomo e strattonandolo di malagrazia affinché si alzasse da terra.
“Forza, andiamo in centrale! C’è una bella cella che attende solo te stanotte!”
“Grazie signorina! Grazie immensamente!” Gioì il ragazzo che aveva dato l’allarme, raggiungendola a grandi falcate con i piedi costretti in vertiginose décolleté.
“Si figuri, sono un poliziotto, è il mio lavoro!” Sorrise lei cordiale, constatando che, in quella giornata infausta, era riuscita a sventare un crimine e forse la sua esistenza non era poi così inutile.
Certamente non lo era stata per quel ragazzo bizzarro con i tacchi ai piedi ed i capelli acconciati in una splendida crocchia.
“La prego, vorrei offrirle da bere se non è in servizio… mi piacerebbe ringraziarla in qualche modo” propose il ragazzo sorridendole accorato.
“Certo, va bene.” Acconsentì Rin, prima di dirigersi con lui il ladro – stranamente mansueto – verso la centrale di polizia.


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Capitolo 6
*** 6. Ma anche no! ***


6. Ma anche no!


Entrarono nel locale dove aleggiava una soffusa luce rosata e l’aria profumava di dolce.
La musica suonava forte, rimbombando nelle casse e nel piccolo abitacolo. Corpi sconclusionati di ragazzoni e demoni si muovevano senza senso in quella che doveva essere una danza folle.
Poco più avanti, al fianco della postazione del dj, svettava un immenso bancone in legno scuro, dove un demone con otto braccia serviva cocktail colorati di ogni genere.
Rin si strinse nelle spalle facendosi più piccola di quel che era.
Non era mai entrata in un locale per gay. Non ne aveva motivo dopotutto.
E solitamente, quando si ritrovava ad uscire a bere qualcosa con Sango e Kagome, mille e più occhi languidi maschili le squadravano sempre insistentemente. Senza contare i baldi giovani che tentavano una sorta approccio con loro senza sortire alcun risultato.
Ma lì, in quel posto popolato da ragazzi, era pressoché invisibile.
E di questo aveva un dannato bisogno: passare inosservata, indisturbata, e lasciare il cervello spento per un po’.
Jakotsu le fece segno di seguirlo al bancone, addentrandosi fra i danzatori pazzi che li separavano dalla loro meta.
Il ragazzo si muoveva suadente ed elegante fra quella marmaglia confusa, schivando con maestria i colpi che i danzatori sembravano riservargli.
Rin non fu altrettanto abile e si procurò un calcio allo stinco ed una gomitata nelle costole, ma riuscì ad arrivare comunque al bancone sulle sue gambe.
Si sedettero allo sgabello ed ordinarono due cocktail scelti da Jakotsu, che andava millantandosi come grande intenditore di bevute, sbronze e postumi devastanti del giorno dopo.
Rin  si lasciò convincere guardandosi intorno curiosa.
Quel posto le piaceva da matti. La gente pareva divertirsi senza freno, sembravano liberi di fare qualunque cosa volessero senza freni inibitori e la musica era l’innesco di tutto, ciò che li faceva scatenare, ciò che gli consentiva di brillare.
E Rin si sentiva attratta da quel clima selvaggio ed indomabile che pareva urlare a gran voce da ogni dove “non pensare a niente e divertiti”.
Il drink le fu messo sotto al naso da un Jakotsu con un sorriso smagliante pieno di gratitudine.
“A te, Rin! La piccola poliziotta coraggiosa!” Esordì alzando la coppa Martini, seguito a ruota da qualche ragazzo nei dintorni che aveva udito.
Rin rise divertita e brindò anche lei.
Uno, due, tre brindisi, finché non perse il conto con fin troppa velocità.
E fu in un momento di estrema euforia in cui sentiva la testa leggera e le gambe malferme che i suoi occhi incontrarono una figura familiare.
Pareva impacciato, ritto con la schiena in una posa fin troppo scomoda e con quella treccia lunghissima che gli carezzava i fianchi stretti.
Barcollò malferma calpestando piedi un po’ ovunque e sbattendo contro schiene finché non piombò letteralmente addosso al ragazzo.
“Ban!” Esultò più brilla di quanto credesse, abbracciando il collega e rovesciandogli sulla camicia scura il suo delizioso cocktail.
Bankotsu impallidì preso alla sprovvista e tremolante poggiò una mano sulla schiena della ragazza.
“Rin… che ci fai qui?” Chiese togliendole di mano il bicchiere prima che facesse altri danni.
“Sono venuta con un amico” rispose lei barcollando indietro fino a che non finì fra le braccia pronte di Jakotsu.
I due si scambiarono un lungo sguardo silenzioso finché Jakotsu non decise di interrompere quel momento.
“Ehi carino!” Miagolò strizzandogli l’occhio e Bankotsu arrossì a dismisura in risposta.
“Ehi… tu…” biascicò impacciato abbassando lo sguardo sulle sue scarpe.
“Come conosci questo splendore?” Chiese Jakotsu all’orecchio della poliziotta e Rin si aprì in una risatina brilla.
“Siamo colleghi e avevo una cotta per lui…” rispose senza inibizioni, rendendo il rossore sulle guance del poliziotto ancor più evidente.
“Ma non mi dire…” bisbigliò Jakotsu squadrando Bankotsu con uno sguardo famelico come pochi.
Si leccò le labbra audacemente e sorrise di nuovo verso l’indirizzato.
“Non ti offendi mica se ci provo io, vero cara?”
“Pff! No, fai pure!”
“Rin, permetti due parole?” E senza attendere risposta, Bankotsu la trascinò fuori dal locale senza troppe cerimonie.
Attraversarono nuovamente la massa informe di gente folle che si dilettava nelle danze più contorte e sconclusionate finché non giunsero infine fuori, dove la brezza fredda colpì il viso accaldato di Rin con più violenza di quanto volesse.
Barcollò fino a metà marciapiede, poi la testa iniziò a girarle paurosamente e Bankotsu fu abbastanza cavaliere da sorreggerla stavolta prima che cadesse indietro.
“Sei ridotta uno straccio!” Commentò severo e scocciato aiutandola a poggiarsi al muro.
“Parla quello che puzza di martini alla fragola.”
“Questo perché me l’hai rovesciato tu addosso.”
“Ma smettila! Non è vero!”
“No certo…”
La issò contro il muro e la sorresse sotto le ascelle come una bambina finché non fu certo che le gambe la reggessero abbastanza per tenerla dritta.
“Quanto sei ubriaca?” Chiese serio improvvisamente. Più serio del solito, serio come quando erano a lavoro e si diceva che non ridesse mai, Bankotsu, nemmeno nell’eventualità in cui un sedere ignudo gli si fosse parato davanti.
“Non molto… quanto basta.” Rispose lei cercando di rimanere sveglia nonostante le palpebre che tentennavano cercando di non chiudersi.
“Quanto basta… in che senso?”
“Quanto basta per stare bene.” Rispose Rin di getto, portandosi le mani sul viso per asciugare quelle lacrime che già le scendevano sugli occhi.
Non voleva piangere. Lui non si meritava le sue lacrime.
“Ok… senti, non me ne importa niente dei tuoi drammi amorosi, mi interessa soltanto che tu sia abbastanza lucida da capire quello che dico. E lo sei?” Chiese scettico squadrandola con sospetto.
“Sì, abbastanza…” pigolò lei in risposta tirando su con il naso.
Fanculo, stava piangendo.
“Bene. Senti, gradirei che tu non dicessi a nessuno dei nostri colleghi che ci siamo incontrati in questo locale. Non voglio che si sappia in giro che sono gay.”
“Perché scusa? Mica c’è qualcosa di male!” Chiese lei protestando candidamente, con una ingenuità nella voce che fece innervosire il poliziotto.
“Certo, come no…” rispose sarcastico Bankotsu passandosi una mano fra i capelli della frangetta scompigliata.
“Cosa ci sarebbe di tanto sbagliato allora?” Chiese una seconda voce, più dura e offesa. Jakotsu troneggiava dietro di lui squadrandolo irato.
Quel tono sarcastico lo aveva ferito immensamente e quel modo in cui aveva parlato… sembrava quasi che ci fosse una sorta di errore divino nell’amare una persona dello stesso sesso.
Bankotsu si voltò verso di lui sorpreso di non averlo sentito arrivare nonostante i tacchi vertiginosi.
“Niente, ma non è per tutti questo pensiero e vorrei evitare di restare senza lavoro per qualche coglione.” Rispose irritato, squadrando il nuovo arrivato con le sopracciglia aggrottate.
Che voleva quel tizio?
Chi gli aveva detto che poteva intromettersi in quel discorso?
Jakotsu gli restituì lo stesso sguardo scocciato. Quelle parole lo avevano ferito e offeso nonostante la giustificazione che le avevano motivate.
“Nhaaaa! Non voglio che litigate!” Subentrò Rin maldestra, asciugandosi il naso con la manica della maglia.
“Sareste così carini insieme… Bankotsu e Jakotsu… è destino che stiate assieme, lo dicono anche i vostri nomi!”
“Stai vaneggiando.” Replicò duro il poliziotto non riuscendo a mascherare un prepotente rossore alle guance.
Jakotsu se la rise sotto i baffi osservandolo di sottecchi, infine avanzò verso Rin dando fintamente per sbaglio una spallata a Bankotsu e finendo per farlo barcollare.
“Scusa carino, ma devo decisamente portare la mia amica a casa.” Esordì infine sorridendogli malizioso.
“Se vuoi, poi potrei accompagnare a casa anche te… sempre che non ti crei troppa vergogna!”
Bankotsu irrigidì la mascella contraendola ed incrociando le braccia al petto.
“Tranquillo, per stasera sono sistemato.” Replicò il poliziotto guardando altrove.
Jakotsu di passò un braccio di Rin dietro le spalle e con una mano le cinse il fianco per aiutarla a camminare.
“Guarda che porn hub non conta.”
“Basta litigare!” Sbottò Rin di nuovo, incespicando sui suoi piedi nel tentativo di compiere un passo avanti.
“E vorreste andare a piedi?” Chiese divertito. Lo sguardo annoiato di Jakotsu gli fece intuire la risposta.
Bankotsu li squadrò irritato e scocciato da quella situazione. Una parte di lui voleva mandare tutto al diavolo, ma una piccolissima parte gli suggerì che dopotutto avrebbe anche potuto accompagnarli. Dopotutto, che aveva da fare?
E magari Rin avrebbe taciuto con i loro colleghi se si fosse mostrato abbastanza gentile nei suoi confronti almeno per quella sera.
Con un sospiro addolorato si rufolò in tasca ed estrasse le chiavi della sua macchina.
“Dai, andiamo, vi porto io.”
“A cosa dobbiamo questo onore Signor ho-già-un-uomo-nel-mio-letto-stasera-ma-non-voglio-che-si-sappia?” Lo schernì Jakotsu con voce acuta ed irritante che fece pentire il poliziotto all’istante per quella buona azione proposta.
“Al mio buon cuore, chiappe d’oro.” Rispose a tono stavolta, strizzandogli l’occhio di rimando con le guance più rosse di quanto gli sarebbe piaciuto ammettere.

Il viaggio fino all’appartamento di Rin fu abbastanza breve e caratterizzato da un perenne finto bisticcio fra i due ragazzi che sapeva incredibilmente di flirt selvaggio.
Rin se la rideva da sola sul sedile posteriore, convinta di aver fatto da piccolo cupido e gongolando mentalmente come se tutto fosse merito suo.
La sua relazione era colata a picco prendendo in pieno l’iceberg che affondò il titanic, ma almeno sapeva accoppiare la gente. Ben magra consolazione.
Giunse infine in casa dopo una rampa di scale pericolante che si sdoppiava di continuo e continuava a girare su sé stessa nonostante le proteste della poliziotta.
Provò a chiudere il portone di casa, ma la serratura scassinata proprio non voleva saperne.
Prese dunque una sedia e la mise contro alla porta chiusa congratulandosi con sé stessa per l’ottima idea.
Infine, con più alcol in corpo che anima, crollò addormentata sul divano.

La sveglia che suonava impazzita annunciando le sette in punto, fu come una coltellata nella tempia.
Rin saltò per lo spavento lanciando il cellulare chissà dove, mentre quel frastuono continuava ad imperversare in tutto il soggiorno.
Certa che qualcosa fosse andato a morire nella sua bocca quella notte e che quel saporaccio che aveva in bocca altri non era che il sapore della pura putrefazione, si alzò barcollando cercando a tentoni il telefono speranzosa di trovarlo il prima possibile nonostante le sue palpebre incollate.
Miracolosamente gli Dei giunsero in suo soccorso e la poliziotta riuscì a trovarlo quasi subito, sotto una delle sedie del salotto.
Spense quel frastuono infernale e si sedette sulla sedia.
Si sentiva la testa letteralmente spaccata in due, come una noce di cocco. Non aveva gran memoria di quello che era successo la sera precedente, ma era certa che ubriacarsi con Jakotsu non era stato proprio un lampo di genio.
Si guardò intorno sbadigliando.
Almeno non aveva vomitato. Ci sarebbe mancato soltanto il dover ripulire in quelle condizioni.
Controllò l’orario: le sette e dieci.
Era giunto il momento di affogarsi sotto la doccia nel tentativo di recuperare anche solo parte delle sue funzioni neurologiche.

Per le sette e quaranta era già per strada, con i capelli ancora umidi legati in una crocchia sfatta e delle occhiaie spaventose che le arrivavano fino ai piedi.
La pastiglia per il mal di testa che aveva preso le era servita quanto un pugno nello stomaco, ma sperava soltanto che sarebbe passato una volta chiusa a chiave negli archivi a dormire fingendo di lavorare.
“Piccola poliziotta coraggiosa!” La chiamò una voce dall’altro lato della strada.
Una voce fin troppo squillante ed entusiasta per essere le sette e quaranta di mattina, ma era dolcemente inconfondibile e Rin sorrise serena per la prima volta da quando aveva aperto gli occhi.
“Jakotsu, ciao!” Lo salutò a sua volta, osservandolo mentre le correva incontro su dei tacchi vertiginosi e sfoggiando un equilibrio e un’eleganza pressoché invidiabili.
“Come stai cara? Non hai una bella cera…”
“Sto da schifo… non sono adatta all’alcol o alla vita notturna.”
“Nha! Sciocchezze!” Ribatté il ragazzo sistemandosi meglio la giacca sulle spalle.
Una giacca fin troppo grande per lui, troppo maschile e sportiva per i gusti eleganti e raffinati per i vestiti di Jakotsu.
Quest’ultimo parve accorgersi che gli occhi della poliziotta si erano incatenati al giubbotto, quindi le sorrise malizioso arrossendo debolmente.
“Se te lo stai chiedendo, sì, ci siamo divertiti stanotte…” Confessò infine, sistemandosi nervosamente i capelli scuri nello chignon sempre perfetto.
“Bankotsu! Oh santo cielo! Quindi gli piaci?” Esordì entusiasta Rin, iniziando a riempirlo letteralmente di domande curiose.
“Non lo so… cioè, non so se gli piaccio in quel senso… non lo vedo molto un tipo da relazione.”
“Ma questo non vuol dire niente! Con la persona giusta, anche l’essere più inadatto ad una vita di coppia, può cambiare idea!”
“Lo dici come se fosse già successo a te!” Scherzò su Jakotsu ignaro del tasto dolente che aveva appena toccato.
Si accorse di aver parlato troppo quando la vide ammutolirsi all’istante e quel bel sorriso luminoso sparire piano piano.
“Tesoro, tutto bene? Ho parlato troppo, vero?” Chiese cauto poggiandole una mano sulla spalla con fare consolatorio.
Rin si sforzò di indossare un sorriso sereno seppur fintissimo.
“No, non preoccuparti… è acqua passata.” Ma non lo era e quella voce incrinata che preannunciava solo pianto, non lasciava alcun dubbio.
Jakotsu la scrutò per secondi interminabili con uno sguardo colpevole e addolorato prima di stringerla a sé in un abbraccio dolcissimo.
“Tesoro, sono stato un tale cafone! Mi dispiace!”
“Ma no! Non  preoccuparti!”
“Certo che mi preoccupo, scricciolo! Come posso farmi perdonare?”
Rin, nonostante il malumore e la tristezza, rise divertita fra le braccia del suo nuovo amico.
Jakotsu era una persona estremamente espansiva, come lei, e parlare con lui era diventato così naturale che si stupiva lei stessa della facilità con cui era mutato velocemente il loro rapporto.
“Davvero, non occorre…” insistette sciogliendo l’abbraccio ed allontanandosi di qualche passo.
“Che ne dici se ti porto la colazione a lavoro?”
“Ma figurati, Jakotsu, non importa…”
“Certo che importa! È il pasto più importante della giornata!
Sei alla centrale di Nerima come Ban, giusto?”
“Sì, ma-…”
“Perfetto! Caffè e donuts vanno bene?”
Rin sorrise serena annuendo e poi lo vide allontanarsi tutto esuberante ed eccitato.
Un vulcano sempre attivo, un uragano inestinguibile di energia, questo era Jakotsu.
Sorrise rasserenata riniziando a camminare. Finalmente la pastiglia per il mal di testa stava facendo il suo lavoro.

Nell’area ristoro, Rin si stava sorbendo una doverosa lavata di capo da una Sango nervosa e stanca per aver passato la notte sveglia ad aspettarla a casa.
“Mi dispiace, Sango, ma non ero assolutamente in me e mica potevo piombarti in casa in quel modo.” Tentava di giustificarsi Rin, ma niente scalfiva il muro invalicabile di nervosismo della poliziotta.
“Non mi interessa, Rin, mi hai fatto stare in pena tutta la notte! Almeno avresti potuto telefonare!”
“Lo so! Lo so! Sono una pessima amica… mi dispiace!” Si scusò per l’ennesima volta, sdraiandosi sul tavolo con il busto per simulare un profondo inchino.
Kagome rise divertita, ma l’occhiataccia di Sango la fece ammutolire all’istante.
“E tu, smettila. Eravamo d’accordo che saresti stata arrabbiata come me.” La redarguì Sango sventolandole l’indice sotto al naso con fare minatorio.
“Lo so, ma non ha fatto niente di male in fondo…”
“Niente di male?!” Sbottò Sango allucinata.
“Questa sconsiderata ha dormito in una casa con la serratura scassata! E se le fosse successo qualcosa?!”
“Mi sarei difesa a dovere! Ti prego Sango, abbi pietà di me!” Protestò Rin ribattendo.
“Certo! E vorrei proprio sapere come!”
“Tecnicamente ha una pistola anche lei.” Intervenì Kagome, ma l’ennesima occhiataccia di Sango la zittì di nuovo.
“Scricciolo!” Esordì una voce nuova, allegra e festosa che attirò immediatamente l’attenzione di tutti.
“Jakotsu!” Trillò festosa Rin in risposta andandogli in contro per aiutarlo con i caffè e le ciambelle che aveva comperato.
“Ma quanto hai speso? Hai preso un sacco di roba!”
“Non sapevo quale preferissi, quindi ho comprato un po’ di tutto.”
“Lascia almeno che ti rimborsi, avrai speso un patrimonio!”
“Ma no, tranquilla! Non ho speso così tanto!” Ribatté Jakotsu sorridendo garbato.
Si sedettero al tavolo con le altre poliziotte e Rin fece le dovute presentazioni.
Quando Jakotsu, entusiasta delle nuove conoscenze, strinse la mano di Kagome, quest’ultima percepì un brivido gelido lungo la schiena ed una percezione di terrore schiacciante ed opprimente.
Bianca come un lenzuolo, tirò indietro la mano sorridendo blandamente.
Sango le rivolse un’occhiata confusa di nascosto, ma la ragazza le fece cenno con la mano che avrebbero parlato dopo.
Consumarono la colazione fra le chiacchiere più frivole che il buoncostume consentisse a quell’orario mattutino.
Ogni poliziotto che passava di lì, finiva inevitabilmente per diventare una vittima dei commenti hot che Jakotsu emanava come fossero noccioline.
Fu dopo un po’ che le donuts furono diventate solo briciole e che qualche caffè fu bevuto, che Sesshoumaru piombò fra loro come un tuono fragoroso all’improvviso.
Prese Rin per un braccio e la trascinò via sotto lo sguardo attonito e stupito dei presenti e dei colleghi in pausa.
La poliziotta si divincolò come poté, sbraitando infuriata e scalciando come un’ossessa e, quando Sango si riebbe dallo stupore e si frappose fra i due, finalmente Rin poté dirsi libera.
“Che diamine ti prende?!” Urlò Rin oltraggiata, squadrandolo da dietro le spalle di Sango con gli occhi di fuoco inondati di lacrime.
“Vieni via, poi ti spiego.” Replicò lui lapidario. Rin poteva giurare di non averlo mai visto con quell’espressione dura e granitica che non preannunciava niente di buono.
“Sesshoumaru, lasciala subito! Non puoi trattarla così!” Intervenne Sango a sua volta in difesa dell’amica. “Siamo a lavoro! Se dovete parlare, almeno fatelo a fine turno fuori di qui!” Intervenne Kagome più pacifica, cercando di calmare gli animi dei presenti per evitare di dare ancora spettacolo con i colleghi.
Sesshoumaru lasciò la presa e se ne andò sbuffando scocciato da tutta quella pantomima.
Volevano aspettare a fine giornata, bene, l’avrebbe portata in salvo a fine giornata.
Sperava soltanto che non fosse troppo tardi.

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Capitolo 7
*** 7. Piccola umana ***


7. Piccola umana


“È come se non fossi neanche una persona per lui!” Era l’ennesima frase che usciva dalle labbra imbronciate di una Rin ferita, delusa e umiliata.
Aveva ragione ad esserlo, aveva tutte le ragioni del mondo. Sesshoumaru si era comportato come un perfetto imbecille con lei e non faceva altro che peggiorare le cose.
Era sparito per chissà quanto tempo dopo che aveva fatto le valigie e l’aveva mollata? Perfetto! Che continuasse sulla sua strada senza tornare indietro!
Invece no, il Signor Ghiacciolo splendido splendente era dovuto tornare a Tokyo in grande stile nelle vesti del – niente poco di meno – nuovo procuratore distrettuale!
Per di più nel distretto dove lavorava anche lei e - che i Kami la fulminassero – era estremamente convinta che lui lo avesse fatto deliberatamente di proposito!
Avrebbe potuto scegliere qualsiasi altro distretto, il pensionamento del Vecchio Miyoga era solo una scusa banale. Conosceva bene la sua famiglia, conosceva la reverenziale importanza che veniva attribuita al suo cognome.
Gli sarebbe bastato pronunciarlo per ottenere qualsiasi cosa volesse. E se questo non fosse bastato, c’era suo padre e sua madre! Una telefonata dal demone che aveva inventato il primo carcere per la detenzione di demoni di classe A o una parola da parte della prima senatrice donna demone, e il mondo gli avrebbe dato tutto! Ogni suo capriccio sarebbe stato accontentato subito.
Ma no, lui doveva venire a fare il procuratore nella sua centrale!
Fanculo, era una vera e propria cattiveria gratuita.
Rin non riusciva neppure a concepire il pensiero malato e psicotico che aveva partorito quella sua mente di demone. 
Perché andare proprio nella sua centrale?
Cos’avrebbe mai ottenuto?
E si ricordava bene il suo sguardo sofferente quando si erano scontrati e lei lo aveva allontanato bruscamente. In quei quattro anni aveva imparato bene a decifrare il grande enigma che era la faccia di Sesshoumaru No Taisho e sapeva bene, per sua disgrazia, che quello sguardo era sinceramente preoccupato per lei.
Allora cosa voleva?
Che tornassero insieme? Diavolo, no! L’aveva fatta stare uno schifo per mesi interi, perché mai sarebbe dovuta tornare con un verme che l’aveva piantata per non si sa bene quale motivo?
Anzi, non si sapeva proprio. Il Signor Poche Parole aveva impacchettato le sue cose e aveva levato le tende senza dare spiegazioni.
Fanculo. Fanculo a tutti soprattutto a lui!
Non stava bene, ancora sentiva il cuore stringersi nel petto quando lo vedeva passare nei corridoi.
Ancora doveva trattenere le lacrime per non scoppiare a piangergli in faccia e quel cretino non perdeva occasione per gironzolarle intorno quanto più potesse.
Per non parlare dell’ultima perla di genialità partorita dal suo cervello.
“Vieni via, poi ti spiego” erano state le sue laconiche quanto enigmatiche parole.
E se le sarebbe dovuta andare bene! Eh, certo! Il Signor Poche Parole e Nessuna Spiegazione, mica si dilungava in preamboli con fronzoli per spiegarle perché la stesse letteralmente rapendo in una centrale di polizia in pieno giorno.
Ma che diamine era lei per lui? Una penna che poteva usare finché ne aveva bisogno, poi avrebbe potuto gettarla via quando voleva?!
Ma con che razza di mostro disumano era stata per ben quattro anni?!
“Scricciolo, è un vero e proprio bastardo.” Si intromise Jakotsu con fare risolutivo.
Rin non aveva idea degli impegni del ragazzo, ma gli era segretamente grata per aver mandato tutto a monte ed essergli rimasta accanto dopo quell’episodio traumatico.
Purtroppo neppure Sango e Kagome le erano potute stare vicine. Il lavoro le aveva chiamate: un tizio armato di tanta buona volontà, si era messo in testa di voler derubare la banca dei Tengu di Tokyo ed ogni pattuglia era corsa sul posto per evitare che i demoni – famosi per la loro intransigenza verso gli umani e le loro leggi – facessero polpette del tale.
Nella centrale erano rimasti soltanto lei, il suo colossale giramento di palle, Jakotsu ed il motivo per cui a Rin girassero gli attributi che nemmeno possedeva.
Aveva assistito ad una ridicola quanto commovente scenetta in cui Jakotsu aveva salutato Bankotsu in maniera fin troppo teatrale, alla stregua di una moglie che vede partire il marito per la guerra.
Ed era stata l’unica parentesi divertente della giornata in verità. Bankotsu ed il suo fingere di non conoscere il tizio sui tacchi a spillo (nonostante indossasse la sua giacca di pelle) era una scenetta alla quale non avrebbe mai rinunciato.
Il problema era che, fondamentalmente, aveva sorriso solo per pochi minuti. Giusto il tempo di mangiucchiare quel poco di sushi che Jakotsu aveva comprato per loro al kombini poco lontano.
Poi era tornato il giramento e tanti saluti alla sua voglia di vivere.
La fine del turno era arrivata velocemente per sua fortuna.
Non aveva concluso un bel niente negli archivi comunque. Aveva messo a posto solo la documentazione di una collana di perle antica rubata.
Per il resto del tempo, se ne era stata rinchiusa in quel posto polveroso e buio con Jakotsu a sfogarsi e lamentarsi di quanto potesse essere coglione il suo capo.
“Non capirò mai voi uomini…” aveva sbuffato infine esausta, accasciandosi pigramente sulla poltrona della scrivania e mettendoci i piedi sopra.
“Nemmeno io capirò mai noi uomini…” concordò Jakotsu aggiungendosi al suo lamentio.
“Insomma, Sesshoumaru è un gran pezzo di stronzo, ma anche Bankotsu non è da meno, ti pare?”
“Lui non vuol far sapere che è gay a lavoro… forse il tuo comportamento lo ha infastidito, per questo ha finto di non conoscerti ed è scappato.” Ipotizzò Rin distrattamente, ricevendo in risposta soltanto il viso oltraggiato del ragazzo.
“Che fai, lo difendi? Non dovremmo essere una squadra io e te?”
“No che non lo difendo! È un coglione se si vergogna di te o di quello che è!”
Concordarono insieme consolidando un’alleanza contro l’universo, l’amore e le relazioni amorose, lamentandosi con chissà quale divinità affinché mostrasse loro una sorta di manuale d’uso, bugiardino o foglietto illustrativo.
Rin stava bene con Jakotsu, le sembrava di conoscerlo da una vita e non solo due miseri giorni.
Parlava bene con lui, si divertiva ed era pronto a prendersi carico delle sue sofferenze senza chiedere nulla in cambio.
Jakotsu era un buon amico. Si sentiva fortunata ad averlo.

Kagome rientrò in centrale con qualche minuto di anticipo rispetto ai colleghi.
Il piccolo rapinatore suicida se l’era vista brutta e la polizia era intervenuta appena in tempo.
Lo avevano trovato steso a terra, disarmato, imbavagliato e legato come un salame. Circondato da Tengu famelici che già pregustavano i vari modi in cui avrebbero potuto cucinare il suo cadavere.
Non c’era da stupirsene dopotutto. I Tengu erano famosi per i loro tesori accumulati in anni ed anni di scorribande e saccheggi nei villaggi umani, ma erano anche temutissimi assassini a sangue freddo che a stento sopportavano la presenza e la supremazia degli umani.
Non a caso, erano classificati come demoni di classe B: temuti e da non infastidire, ma se indisturbati, la convivenza era possibile.
Kagome rientrò che la centrale era letteralmente deserta. Si udiva soltanto il furioso ticchettio delle unghie sulla tastiera proveniente dall’ufficio del procuratore.
Si guardò intorno sospettosa: Rin sembrava non esserci. Forse era ancora rintanata negli archivi che ormai erano divenuti il suo bunker personale dove correre al riparo.
Bene, ne avrebbe approfittato.
Senza attendere e dimenticandosi delle buone maniere, Kagome entrò nell’ufficio di Sesshoumaru come se fosse stato il proprio.
Il procuratore alzò il sopracciglio indispettito da tale comportamento, ma non alzò lo sguardo dallo schermo del computer.
Non osò neppure commentare quanto l’influenza di quel balordo di suo fratello stesse annichilendo la proverbiale gentilezza ed educazione che Kagome andava vantando i primi tempi, quando la loro relazione era ancora agli albori.
Non osò commentare soprattutto per il fatto che si era procurato i servigi della cognata, giocando sul fatto che fosse – come tutte le umane – incredibilmente innamorata dell’amore. Mostrandole quell’anello che teneva in serbo per Rin da un numero svariato di anni ormai, l’aveva convinta ad assecondare il suo volere solo per il fatato sogno d’amore che Kagome desiderava per sé e per le sue amiche.
Ovviamente Sesshoumaru si guardava bene dall’essere il principe azzurro che ogni donna sogna, ma aveva scoperto in Rin la sua principessa.
E il tutto era avvenuto per caso, con semplicità: una mattina si era svegliato con lei al suo fianco dopo una notte intera passata a rotolarsi fra le coperte ed aveva capito di non poter vivere un altro giorno senza quel sorriso.
Erano andati a vivere insieme, si amavano immensamente, ma il lavoro di lui era una spada di Damocle che attendeva solamente di cadere e tagliare il loro rapporto.
Troppe convocazioni da parte di sua madre, troppi problemi con i demoni, troppi umani che cercavano di innescare la scintilla che avrebbe portato ad uno scontro demoni-umani.
Anche quel tizio idiota di quel pomeriggio: chi mai avrebbe derubato una banca di famelici Tengu armato solo di un coltello e tanta fantasia?
Il rumore di una porta che si chiudeva attirò la sua attenzione. Fermò le sue dita che picchiettavano forsennatamente suo tasti del pc nel tentativo di compilare quella mail più velocemente possibile e si mise in ascolto.
Due andature differenti. Un tacco a spillo: il tizio che era con Rin.
Un’altra andatura si mescolava alla prima. Più frequente: falcate più corte. Nessun tacco, ma un paio di suole di gomma.
Annusò l’aria arricciando impercettibilmente il naso:  nella centrale c’erano soltanto lui, Kagome, quel tizio con i tacchi e Rin.
Una risata. Il ragazzo la stava facendo ridere.
Sentì la rabbia saligli e stritolargli lo stomaco in una morsa crudele. Chi diamine era quel tizio?
Perché stava uscendo con Rin dalla stanza degli archivi?
Si alzò dalla scrivania pronto per affrontare Rin e tutte le sue rimostranze.
Ne aveva avuto una sgradita anticipazione sentendola lamentarsi con quello lì per tutto il tempo.
“Mi stai ascoltando?” Chiese Kagome avvicinandosi a lui titubante.
Sesshoumaru la guardò solo in quel momento ricordandosi che il fastidioso rumore di sottofondo mentre cercava di ascoltare Rin, era sua cognata che cercava di dirgli qualcosa.
“No. Vado da Rin.”
“Aspetta Sesshoumaru… prima ti stavo parlando di Jakotsu.”
Era così che si chiamava dunque.
Il procuratore arrestò i suoi passi e incrociò le braccia al petto in attesa che la cognata continuasse.
Gli avrebbe sicuramente fornito qualche informazione che lui non possedeva sul conto di tale Jakotsu.
“Non… non credo sia una brava persona. Non mi fa stare tranquilla saperlo con Rin… non so se mi spiego, ma non ho percepito buone sensazioni quando sono stata con lui questa mattina.” Spiegò la ragazza mesta torturandosi i capelli.
Sesshoumaru la squadrò con sufficienza e infine prese la giacca dall’attaccapanni.
“Bene.” Concluse poi chiudendo il discorso.
“Ti sto chiedendo di proteggerla, non di fare altre cazzate.” Precisò la donna fronteggiandolo.
Occhi negli occhi e nessuna traccia di timore sul viso della mortale.
InuYasha le faceva davvero un brutto effetto.
Si morse la lingua evitando di commentare tale scempio ed inforcò la porta senza proferir parola.
Era fortunata Kagome. Non le avrebbe mai fatto del male perché compagna di suo fratello, ma stava giocando con il fuoco mantenendo quel comportamento con lui.
A stento lo tollerava dai demoni suoi pari, figurarsi una stupida umana.
Tranne Rin. Rin poteva tutto con lui e il suo orgoglio era stato messo a tacere, sotterrato sotto montagne di sorrisi felici di lei.
Avrebbe fatto di tutto per quel sorriso.
Scese in strada guardandosi intorno. Di Rin e quel Jakotsu nemmeno l’ombra, ma la traccia olfattiva era fresca e seguirli non sarebbe stato un problema.

L’appartamento di Rin non distava poi molto dalla centrale.
Era facile anche arrivarci, bastava svoltare a sinistra al primo incrocio e poi tutto dritto fino al palazzo in mattoni rossi.
Jakotsu si guardò intorno controllando la zona.
Sembrava deserta, ma sapeva che in realtà quel Sesshoumaru li stava seguendo.
Era già stato un vero miracolo averlo evitato all’uscita dalla centrale.
Sospirò scocciato. Il lavoro per cui lo stavano pagando era troppo pericoloso per quel misero compenso che gli davano. Per esempio, non avevano affatto accennato al demone cane agguerritissimo e deciso a riprendersi la donzella.
Che poi, Rin gli stava pure simpatica! Grazie a lei aveva conosciuto quel grandissimo gnocco di Bankotsu!
Estrasse un po’ di polvere di ossidiana e la lasciò cadere dinanzi al portone del palazzo senza che Rin se ne accorgesse.
Salirono le scale e Jakotsu la squadrò con la tristezza a dipingergli lo sguardo.
Era così dolce e ingenua che gli sembrava quasi di aver a che fare con una bambina… una triste piccola finita per sbaglio nelle mire di potenti che giocavano ad un livello troppo alto rispetto a lei.
Quasi le dispiaceva… se solo fosse stata un po’ meno con la testa fra le nuvole, avrebbe certamente notato il marcio nel suo cuore e non lo avrebbe mai fatto avvicinare così tanto.
Fece spallucce ai suoi pensieri e rispose a Rin.
Era lavoro dopotutto e lei glielo stava rendendo fin troppo facile.
“Oh no Scricciolo! Ci vuole un aperitivo prima!” Trillò entusiasta destreggiandosi nella cucina di Rin come se la conoscesse da una vita.
Come se non avesse studiato quell’appartamento per mesi interi.
Se solo Rin fosse stata un po’ più sveglia…
“Hai del vino, cara?” Certo che lo aveva. Glielo aveva visto comprare a litri in quei mesi.
“Sì, in frigo… aspetta che lo prendo.” Rispose Rin smettendo di tagliuzzare verdure.
“Non preoccuparti, ci penso io! Tu continua pure a preparare la cena!”
Ed ecco che gli forniva un’occasione d’oro.
Povera piccola ingenua Rin…
Jakotsu versò il vino in due bicchieri dando le spalle alla giovane.
Lasciò scivolare una pillola in quello di sinistra e poi lo porse a Rin con un sorriso a distendergli le labbra.
Un sorso e la piccola umana finita in un gioco di potenti demoni, cadde in un sonno profondo.

Sesshoumaru seguì la scia olfattiva fino al loro vecchio appartamento.
Il profumo di lei ancora era chiaro nell’aria e sovrastava qualsiasi altro odore.
Aveva sempre adorato il profumo di Rin. Non quello artificiale che si spruzzava sul collo ogni mattino, bensì quello naturale, della sua pelle.
Era sempre stato dolce e delicato, come quello di un fiore appena sbocciato in primavera.
Non era prepotente, appena percettibile fra gli odori della città. Delicato, timido, proprio come lei.
Fece per entrare nel portone del palazzo, ma qualcosa gli bruciò l’epidermide della mano facendolo desistere.
Ritrasse l’arto ingiuriato e lo esaminò: la pelle delle dita e le unghie erano divampate, arrossate e sanguinavano copiosamente.
Aggrottò le sopracciglia confuso e si guardò intorno.
Conosceva bene quella reazione. Una barriera magica era stata eretta intorno al palazzo affinché non potessero entrare demoni.
Ma chi mai avrebbe potuto fare una cosa del genere?
Rin non ne era in grado. Sapeva benissimo che la ragazza non possedeva alcuna conoscenza in fatto di magia. Neppure qualche labile rudimento.
Eppure una barriera era stata eretta e sicuramente era per tenere lui fuori dai piedi.
Soffocò un’imprecazione fra i denti e si leccò le dita ingiuriate per innescare così la guarigione.
Osservò il palazzo cercando la finestra di quello che era stato il loro appartamento.
La luce era accesa, Rin era in casa… ma per quanto ci sarebbe rimasta ancora?
Avrebbe scommesso che quella barriera era sicuramente opera di quel Jakotsu.
Non gli piaceva. Era sospetto. 
Fece un passo indietro e scrutò ancora nei dintorni del portone imponente di ferro e legno e, infine, i suoi occhi individuarono una labile polvere nera sparsa intorno al palazzo.
“Povere di ossidiana…” sibilò fra sé e sé ingoiando la rabbia che già gli montava in petto.
Non solo quel Jakotsu non voleva che lui entrasse, ma si era assicurato che non potesse nemmeno raggiungerla entrando dalla finestra.
Non gli piaceva… tutta quella situazione non gli piaceva e lo conviveva anche meno.
Rin non avrebbe mai chiesto una cosa del genere, non era da lei ricorrere a espedienti di questo tipo.
Gli stava sfuggendo qualcosa, gli mancava un indizio per capire bene il quadro generale degli accadimenti che li avevano visti protagonisti in quelle settimane.
“Fanculo.” Mormorò fra sé e sé facendo per tornare verso la centrale.
I piedi non toccavano il terreno ed il suo volo fu rapidissimo. Non aveva tempo e sperava soltanto che andasse tutto bene per Rin.
Entrò alla centrale senza troppi preamboli e si fiondò dentro cercando sua cognata.
La diretta discendente delle miko più potenti dell’Oriente avrebbe certamente abbattuto una barriera sacra. Almeno questo era quello che sperava.

Arrivarono qualche manciata di minuti più tardi. Fiato corto e battito a mille.
L’ansia riempiva l’aria attorno a loro, satura di tensione e paura.
Il portone del palazzo era spalancato.
La polvere di ossidiana giaceva sparsa su tutto il marciapiede.
La barriera era infranta già prima che Kagome arrivasse.
Annusò l’aria, Sesshoumaru, ed il suo naso fino gli confermò l’amara consapevolezza di essere infine giunto troppo tardi.

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Capitolo 8
*** 8. Tutto secondo i piani ***




8. Tutto secondo i piani 



Il demone giunse a casa di suo fratello in pochi minuti. Sentiva il sangue ribollirgli nelle vene, la mente annebbiata da mille dubbi e domande che convergevano tutti sull’incolumità di Rin.
Le mani gli tremavano e a stento riusciva a contenere la sua aura in tumulto.
Non fece in tempo neppure a suonare il campanello della casa di InuYasha che la porta si aprì all’improvviso.
Suo fratello e Kagome lo accolsero preoccupati con uno sguardo scuro ad adombrargli i volti.
“Abbiamo sentito la tua aura piena di rabbia, che succede?” Chiese Kagome stringendosi nella vestaglia. Il tremore del suo corpo non passò inosservato all’occhio demoniaco di Sesshomaru.
“Rin. C’è una barriera intorno al suo palazzo che mi impedisce di entrare.”
“Se fosse stata lei, forse non vuole averti intono, no?!” Chiese InuYasha confuso.
“No, Rin non ne sa niente di magia, non poteva erigere una barriera, tantomeno una tanto alta da ricoprire l’intero palazzo…” rispose Kagome ragionando fra sé e sé.
“Forse Jakotsu però…” suggerì piano, guardando Sesshomaru spaventata.
Un brivido freddo le scosse la schiena appena pronunciò quel nome. Qualcosa stava succedendo alla sua amica e quel Jakotsu ne era l’artefice.
Adesso si spiegava quel senso di inquietudine e paura che l’aveva torturata per tutto il giorno.
“Portami con te, Sesshomaru.” Decretò infine Kagome, acciuffando il giaccone dall’attaccapanni ed infilandoselo al volo.
“Vengo con voi.” Si Aggiunse InuYasha facendo per imitarla, ma lei poggiò una mano sulla sua facendolo desistere.
“Resta qui con Hoshi, non sa gestire il suo lato demoniaco ed è molto agitato adesso. Avrà bisogno dell’aiuto del suo papà.”
“Non esiste, Kagome!” Ribatté arrabbiato InuYasha.
“Lo porterò da Sango e Miroku, loro sapranno gestirlo e poi con le bambine intorno si calmerà di certo.”
“Siamo umani, non possiamo capire la potenza del sangue demoniaco quando si risveglia… non quanto un mezzo demone come te. Resta con nostro figlio, ti prego.”
Si guardarono a lungo, scambiandosi silenziosamente tutto l’amore che provavano l’uno per l’altra. I loro occhi parevano parlare, le loro anime erano connesse indissolubilmente da un sentimento che non si sarebbe mai estinto.
Un sentimento tanto forte da cui era nato un bambino.
Sesshomaru si sentì a disagio per la prima volta in tutta la sua esistenza.
A contrario di quanto appariva, molte emozioni avevano scosso l’animo austero e imperturbabile del grande Sesshomaru. Molte volte era stato mosso dalla rabbia, dal bisogno di vendetta, dall’orgoglio e dalla lealtà verso il suo branco. In quei secoli di gioventù che gli umani chiamavano medioevo, aveva compiuto stermini di intere popolazioni e atti di indicibile crudeltà.
Poi era venuta Rin.
Aveva cambiato tutto, era riuscita a trasformare un assassino in un uomo innamorato soltanto avvalendosi del suo carattere solare e di quel sorriso in grado di oscurare persino il sole.
Poi aveva rovinato tutto. Certo, l’aveva fatto per proteggerla e l’aveva allontanata solo per la sua incolumità… ma a quale prezzo?
Spiò ancora suo fratello e sua cognata. Si scambiarono un bacio frettoloso e lui la stringeva come se fosse la cosa più preziosa al mondo.
Anche Rin era preziosa… lo era sempre stata. La perla più preziosa del suo mondo, il sole intorno al quale lui girava. Tutto verteva intorno a lei perché lei era il suo tutto.
Inspirò a fondo l’aria fresca della notte e scacciò via quel piccolo momento di sconforto e invidia prima ancora che suo fratello potesse percepire l’odore della sua tristezza.
Attese che Kagome lo raggiungesse, la prese in braccio assicurandosi che anche lei si stesse tenendo saldamente al suo collo e volò via.
In pochi secondi furono al l’appartamento di Rin.
Raggiunsero il portone con foga crescente soltanto per trovarlo aperto.
Si guardarono intorno confusi, la linea di polvere d’ossidiana era rotta. La barriera era stata tolta.
Un brivido freddo corse lungo la schiena di Kagome. Brutti pensieri si concretizzarono nella sua mente e un’angoscia incontenibile la lasciò senza fiato.
“È successo qualcosa… la barriera è stata rotta da chi l’aveva creata, ma perché?”
“Perché non era più necessaria. Quello che doveva fare era tenermi lontano finché fosse stato necessario, ed è quello che è successo.” Rispose il demone a denti stretti. La rabbia più nera lo sconvolgeva e la voglia di radere al suolo ogni cosa sul suo cammino iniziò ad essere un’allettante via di sfogo.
Era stato preso in giro per tutto il tempo, era caduto in un inganno tanto banale… si domandava che fine avesse fatto quell’abile stratega e condottiero che era stato un tempo.
Strinse le mani a pugno per impedirgli di tremare e salì le scale velocemente.
Non si stupì di trovare la porta aperta e l’appartamento deserto. Quel bastardo aveva rapito la sua Rin proprio sotto al suo naso e lui era stato così cretino da lasciarglielo fare.
Annusò in giro nella ricerca di una scia olfattiva da poter seguire. Non era un segugio, non era abile a seguire gli odori, ma poteva provarci per lei. In quella situazione disperata avrebbe fatto di tutto pur di ritrovarla.
Ovviamente percepì Rin. Il delizioso profumo di lei aleggiava per tutto l’apparta come se fosse stata sola e senza ospiti.
Dopotutto, se Jakotsu sapeva erigere una barriera, cosa gli impediva di usare un medaglione mascherante? O una barriera attorno a sé stesso? O un incantesimo? Le vie percorribili erano innumerevoli. Il suo avversario lo conosceva meglio di quanto pensasse. Aveva preso tutte le precauzioni del caso per fargliela sotto al naso.
Si avvicinò al bancone della cucina. Sopra vi erano due calici di vino, ma uno di questi aveva un odore strano.
Lo prese in mano e ne annusò il contenuto. C’era vino, ma anche uno strano odore di erba medica.
Nell’altro invece, solo vino. Non ci volle molto per capire che l’aveva drogata prima di portarla via chissà dove.
Sbatté un pugno sul bancone e questo si frantumò in mille pezzi, cadendo a terra come fosse un castello di carte.
L’aveva allontanata solo per proteggerla, ma forse la cosa più giusta che poteva fare era starle vicino.



La testa le faceva un male cane e intorno le appariva tutto confuso e sfocato.
Era scomoda, aveva freddo. Quando si era addormentata?
Ricordava di star preparando la cena, ricordava di aver bevuto il vino, ma i crampi che sentiva allo stomaco le suggerivano che non doveva aver consumato il pasto.
E da quando il divano era così scomodo?
Allungò la mano per cercare una coperta, ma le sue dita toccarono solo il freddo pavimento.
Fantastico.
Adesso si sbronzava e si addormentava pure per terra. Sempre meglio, la sua vita non poteva che migliorare.
Mugolò qualcosa come un lamentio a mezza bocca e poi aprì gli occhi.
La fitta alla tempia che ne conseguì la fece gemere di dolore. Quando cavolo aveva bevuto?!
Portò una mano a schermarsi dalla luce ronzante dei neon e cercò di mettere a fuoco il soffitto.
Quello non era decisamente il soffitto di casa sua.
Scattò seduta all’istante, allarmata e impaurita, scontrandosi con un senso di nausea e vertigine che la costrinsero a piantonare ben bene le mani a terra per impedire al pavimento di ruotare con così tanta enfasi.
Si guardò intorno appena la testa smise di girarle. Una stanza bianca, asettica, con un solo neon malandato che andava ad intermittenza l’accolse. Non v’era alcun segno d’arredamento o che ve ne fosse stato alcuno in precedenza.
Le piastrelle bianche circondavano quell’abitacolo claustrofobico su tutte le pareti compreso il soffitto. Le sembrò strana come cosa.
Chi mai avrebbe messo delle piastrelle sul soffitto? E perché poi?
Un pensiero d’allarme le si insinuò nella testa alla velocità della luce e vi si soffermò abbastanza affinché acquisisse credibilità e plausibilità.
Le piastrelle sono facili e veloci da pulire. Quella stanza veniva sporcata spesso con qualcosa che arrivava fino al soffitto e che ipoteticamente poteva arrivare ovunque.
L’unico pensiero che le venne in mente furono gli schizzi di sangue durante una tortura.
“Cazzo…” sibilò a denti stretti issandosi in piedi e poggiandosi al muro per non cadere.
Come diavolo era finita in un posto del genere?
Perché soprattutto?
Il primo viso che le si affacciò alla mente fu quello dell’ultima persona vista, l’ultima di cui aveva memoria: Jakotsu.
“Figlio di…” l’aveva fregata.
Si era approfittato di lei, del suo carattere socievole e sbadato, del suo buon cuore e delle sue fragilità.
E adesso si ritrovava invischiata in un qualcosa decisamente più grande di lei.
E davanti a lei solo una porta come unica via di fuga.
Ovviamente chiusa. Provò una volta a spingere la maniglia, ma questa non scattò per aprirsi.
Smanettare all’impazzata non avrebbe aiutato, anzi poteva allarmare qualcuno dall’alto lato e fargli balenare in testa la fantastica idea di andarla a trovare dato che si era svegliata.
No, no… meglio che credessero che stesse ancora dormendo.
Iniziò a pensare a qualche via di fuga, un modo per scappare, magari qualche indizio che aveva colto mentre la trasportavano lì anche se incosciente… ma chi voleva prendere in giro?
Non ricordava assolutamente nulla e non aveva idea di come uscire da lì.
“Pensavi che fosse quello vero?”
“Immaginavo fosse un falso, ma valeva la pena tentare.”
Due voci maschili provenivano dall’altro lato della porta.
Una non l’aveva mai sentita, sicuramente si trattava di uno sconosciuto. L’altra voce era di Jakotsu, ne era certa.
Quindi la sua idea era vera: Jakotsu l’aveva fregata alla grande. Strinse i pugni con rabbia trattenendosi dal prendere a sberle la porta e tentare di buttarla giù solo per poter dare un pugno a quel bastardo.
Acquietò la sua voglia di prenderlo a calci in favore di una strategia più funzionale: ascoltare il più possibile e carpire informazioni.
Dopotutto, loro non sapevano che lei era sveglia. Questo era una qualche specie di vantaggio… no?!
“E credevi che avrebbero venduto la porta per l’inferno ad una gioielleria? Ce l’hanno da generazioni…”
“Ho fatto un errore, il capo mi ha già cazziato a dovere non ti ci mettere pure tu.”
“Oh sia mai! Dico solo che potevi rubare qualcos’altro già che c’eri!”
“Stavo lavorando, non ero in gita di piacere. Cos’hai nel borsone?”
“Sono i vestiti della ragazzina, dove li devo mettere?”
“Nel furgone. Prima però prendila e dalle un’altra dose. Meglio non rischiare che si svegli.”
Poi la serratura scattò all’improvviso e Rin si scostò dal muro per appiccicarsi alla parete opposta.
Che diamine volevano da lei?
Cosa volevano farle?
Dalla porta spuntò Jakotsu, vestito di nero, scuro e molto aderente, armato con coltelli e pistole fino ai denti, un borsone a tracolla e con una strana fiala fra le mani.
Rin gli rivolse lo sguardo più cattivo e astioso del suo repertorio.
“Oh! Buongiorno principessa, non mi aspettavo di trovarti già sveglia.” Trillò amichevole il ragazzo, trotterellando all’interno di quell’angusto abitacolo con i suoi anfibi ricoperti di borchie acuminate.
“Che cosa mi hai fatto, bastardo?”
“Ti ho drogata per farti dormire almeno sei ore, ma ti sei svegliata un po’ prima… hai un metabolismo veloce, vero? Suppongo di sì, altrimenti non avremmo questa conversazione adesso.” Rispose il ragazzo tranquillamente, rigirandosi la fialetta fra le dita come se stesse giocherellando con una matita.
Rin non riusciva a staccare gli occhi da essa. Era terrorizzata, impietrita e schiacciata contro il muro.
Si sentiva esattamente come un topo braccato da un gatto.
“Perché… almeno dimmi perché mi fai questo!” Chiese con un filo di voce, quasi sull’orlo di un pianto imminente.
Jakotsu parve fermarsi per un secondo con un’espressione confusa sul viso. La guardò lungamente prima di sorriderle comprensivo.
“Per soldi, scricciolo. Lo faccio solo per i soldi.” Confessò infine stappando la fiala e avvicinandosi a lei finché solo pochi centimetri non li dividevano.
Lei provò a scacciarlo via, ad allontanarlo, a difendersi, ma Jakotsu la costrinse velocemente con la faccia contro il muro ed il corpo imprigionato fra quello di lui e la parete, mentre con la mano libera le faceva aprire la bocca.
“Niente di personale, mi stavi pure simpatica, ma gli affari sono affari!” Furono le ultime parole che udì prima che il sapore aspro della polverina non frizzò sulla sua lingua, prima che la mente iniziasse ad annebbiarsi piano piano, prima che i suoni e i colori diventassero confusi e caotici, prima che si addormentasse ancora.
E stavolta per chissà quanto tempo e per svegliarsi chissà dove.

“Davvero ti stava simpatica?” La voce melodiosa di Byakuya lo sorprese alle spalle. Jakotsu si voltò con un sorrisetto derisorio come risposta, mentre con le braccia forti e muscolose sorreggeva il corpo incosciente di Rin.
Byakuya lo squadrò in attesa di una risposta con le braccia incrociate, con quell’unico occhio nero non celato dalla benda che pareva scavare dentro di lui tanto era penetrante quello sguardo.
“Non era male… è bizzarra come ragazza. Capisco come possa aver attirato l’interesse di un demone vecchio quanto il mondo.” Confessò infine alzando le spalle con aria innocente.
“Se lo dici tu…” tagliò corto il demone delle illusioni, concludendo l’argomento con un gesto annoiato della mano.
“Aspetta a portarla nel furgone, il capo vuole sincerarsi che vada tutto secondo i piani.” Disse infine, poi si scostò la benda rivelando l’iride scarlatta dell’occhio sempre celato.
Jakotsu rabbrividì e distolse lo sguardo a disagio. Odiava che il suo collega e il capo comunicassero segretamente cavandosi un’occhio per impiantarlo nel cranio dell’altro.
Lo trovava raccapricciante e schifoso… una di quelle cose da demoni che lo avrebbero sempre nauseato.

La luce all’interno della cella era fioca e a stento riusciva a vedere a qualche metro di distanza. Chiuse gli occhi, Naraku. Per vedere ciò che il suo fidato sicario aveva da mostrargli, non aveva certo bisogno di una grande luminosità.
La ragazzina giaceva dormiente fra le braccia del mercenario umano. Tutto filava secondo i piani.
Presto il suo esercito sarebbe risorto dalle viscere della terra e avrebbe spazzato via quel disgustoso mondo plasmato dagli umani.
Un sorriso maligno gli distese le labbra.
Finalmente, dopo secoli, i demoni sarebbero tornati a dominare su tutte le altre specie.

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Capitolo 9
*** 9. Ragnatela ***


9. Ragnatela



La notta era ormai calata e la città si era popolata di giovani festaioli in cerca di divertimento.
Le luci dei locali illuminavano le vie con le loro insegne al neon colorate.
Dalla finestra del soggiorno di InuYasha, sembrava un giorno come un altro.
Una notte come un’altra. Come tante altre e altre ancora che sarebbero arrivate.
Nessuno sapeva, nessuno poteva sapere quanto l’animo del grande Sesshomaru potesse essere dilaniato da sentimenti così forti e violenti ai quali neppure era abituato.
Seduto sulla poltrona in pelle di fianco alla finestra, Sesshomaru scrutava fuori dal vetro con la mente assorta e piena di mille dubbi e domande che giravano tutte intorno a lei.
Dov’era?
Come stava?
Era ferita?
L’aura enorme e pregna di apprensione rendeva l’abitacolo teso e cupo.
Persino il piccolo Hoshi era riuscito a percepire l’aura dello zio e, spaventato da essa, aveva iniziato a piangere senza sosta. Neppure i genitori erano stati in grado di calmarlo del tutto.
InuYasha aveva prontamente avvertito le autorità asserendo che il rapitore potesse essere armato, pericoloso e in grado di potersi difendere con la magia.
Era certo che gli agenti avrebbero setacciato ogni vicolo della città e che i demoni che nutrivano ancora rispetto per ciò che la famiglia No Taisho era stata un tempo, avrebbero cercato quel bastardo e ne avrebbero fatto coriandoli, portando poi la testa in regalo a Sesshomaru.
Dal canto suo, il demone bianco se ne stava su quella dannata poltrona a ribollire di rabbia e frustrazione.
InuYasha lo aveva allontanato dal caso di Rin perché era troppo emotivamente coinvolto. Aveva ragione, dannazione, non era mai stato così emotivamente coinvolto in qualcosa in vita sua e con così tanto impeto.
Ma proprio per questo, starsene con le mani in mano ad attendere gli sviluppi di qualcosa che non poteva controllare, lo stava dilaniando dentro.
Kagome gli aveva preparato un decotto rilassante, mettendoci dentro praticamente tutte le scorte di erbe mediche che aveva a disposizione a giudicare dall’odore.
Aveva spiegato che serviva un gran numero di foglie e erbe per calmare un demone, figurarsi un demone maggiore con l’aura talmente instabile che avrebbe potuto radere al suolo l’intera città con uno starnuto.
E aveva senso, per un po’ era anche riuscito a stordirlo quando bastava per permettere ad InuYasha di convincerlo a restare lì seduto nel suo soggiorno.
In quel momento di apparente calma, Sesshomaru aveva avuto modo di pensare a lungo e esplorare quella vasta gamma di sensazioni che lo scombussolavano.
Erano potenti e devastanti, come una maledizione. Quelle emozioni così forti, così cariche erano ciò di più devastante avesse mai provato. E Rin ne era la causa. Lei era dappertutto.
Era la sua benedizione e la sua maledizione. Ringraziava gli Dei per avergliela messa sul suo cammino millenario, ma malediceva quel giorno imputandolo come il primo del suo declino da grande demone.
La verità era che lei non aveva fatto altro che renderlo umano. Terreno. Grazie a lei aveva imparato lo scorrere del tempo e la sua importanza, le piccole cose per farla sorridere, quelle attenzioni in più che non aveva riservato mai a nessuno nemmeno a sé stesso.
Lei lo aveva reso debole con gli anni, ma era anche la sua forza. Sentiva il suo potere demoniaco ribollire di rabbia e impazienza, sentiva di poter distruggere qualsiasi cosa sul suo passaggio. Sentiva che il demone selvaggio che mieteva vittime solo per il gusto di farlo, era ancora dentro di lui.
Solo lei era riuscita a farlo acquietare, come solo la sua scomparsa era riuscita a farlo risvegliare.
Il problema era subentrato dopo, quando il suo metabolismo aveva smaltito le tossine del decotto e la sua aura era esplosa con la stessa intensità di una bomba atomica mescolandosi alla rabbia e la voglia di vendicarsi. E restarsene seduto lì era diventato impensabile.
Quindi si era alzato e se ne era andato, spiccando il volo verso il polo nord e incurante delle proteste della cognata che gli urlava dietro di non fare pazzie.
Non avrebbe commesso stupidaggini, lui non ne faceva mai. Ma qualcosa dentro di lui parlava. Una sorta di voce bisbigliante, un sesto senso che gli suggeriva che tutto quello che stava capitando a Rin altro non era che una ritorsione del suo ultimo lavoro.
Una specie di effetto collaterale.
Volare al carcere gli era sembrata la cosa più sensata. Dare retta al suo istinto demoniaco, seguire la pista che più gli sembrava plausibile, era il suo lavoro dopotutto.
Interrogare Naraku, il demone che aveva fatto arrestare quando aveva lasciato Rin, sarebbe stato il primo passo.


Il Polo Nord era quella fredda landa desolata cosparsa di neve che era sempre stata. Dall’arrivo del demone furioso, i ghiacci iniziarono ad incrinarsi con rumori secchi sotto al peso dei suoi passi.
La poca fauna si dileguò velocemente percependo la pericolosità di quell’animale che era Sesshomaru.
Nemmeno le guardie all’ingresso poterono nulla contro la sua aura nera. I sigilli s’incendiarono, i rosari magici esplosero in mille pezzi e l’aura devastante del demone costrinse i sacerdoti a terra incoscienti, schiacciati da una forza così potente e millenaria in grado di annichilire anche i loro poteri purificatori.
Fu il direttore del carcere l’unico essere che osò impedire l’avanzata del figlio.
Sesshomaru lo scrutò a lungo e in silenzio, caricando nello sguardo tutto il suo sdegno per quel tentativo di ostacolarlo.
“Non posso farti passare, disintegrerai il carcere se non ti calmi!” Gli aveva urlato contro Inu, sfoderando Tessaiga: la spada che teneva sempre in vita in segno di difesa.
Sesshomaru guardò quel gesto con estremo biasimo.
“Che razza di genitore leva l’arma contro al figlio?” Chiese retoricamente prima di estrarre anche la sua fedele Bakusaiga dal suo corpo. La katana fuoriuscì dal suo braccio con un sibilo sinistro, raggiante di una strana luce verde acido che splendeva sulla lama stessa come la livrea di un rettile.
“Non voglio farti del male, figliolo.” Precisò Inu cercando un dialogo, cercando di farlo ragionare e calmare, mentre i ghiacciai intorno a loro andavano frantumandosi con una semplicità disarmante. Le onde si innalzavano minacciose appena i cumulo di ghiaccio precipitavano in mare. La marea andava alzandosi sempre di più, gorgogliando instancabile come il lamento di un bambino spaventato.
“Come se ne fossi in grado!” Lo schernì Sesshomaru con tracotanza e sprezzo, prima di attaccarlo con un balzo frontale.
Un lampo verdastro derivante dall’impatto delle due spade illuminò la zona a giorno.
Sesshomaru attaccò frontalmente, cercando di penetrare la difesa del genitore con la mera forza bruta.
Inu resisteva con orgoglio, affondando nella neve umidiccia ogni secondo di più.
I muscoli delle braccia erano esausti e gridavano sofferenza tanto più a lungo Inu cercasse di contrastare il figlio. I bicipiti erano ormai in fiamme e si era visto costretto ad afferrare la lama della sua spada con una mano per non desistere.
Quel segno di debolezza aveva gonfiato a dismisura l’ego di Sesshomaru.
Per lui, dopo anni di silenzioso rancore verso il genitore messi a tacere dalla quotidianità, prendersi quella rivincita era come un’elogio impagabile.
Riuscire a surclassare colui che aveva sempre ammirato e che poi lo aveva deluso e umiliato, altri non era che la ricompensa che il suo orgoglio andava cercando da troppi secoli ormai.
Poi fu inatteso quanto inspiegabile: una nuova aura giunse nelle vicinanze. Un’aura familiare, conosciuta, altezzosa e fiera, ma tanto antica e potente.
Che diamine ci faceva sua madre?
“L’hai chiamata tu, vigliacco?” Chiese ringhiando Sesshomaru, con il volto a pochi centimetri dalla lama di Bakusaiga.
“Non è un piacere nemmeno per me rivederla.” Replicò il genitore giustificandosi con un sorrisetto.
Poco prima, quando ancora era nel suo ufficio a compilare le scartoffie, aveva percepito l’aura distruttiva di Sesshomaru in veloce avvicinamento. Aveva mandato subito i sacerdoti a contrastarlo sui ghiacci, sperando che loro potessero fermare la sua avanzata prima che giungesse al carcere dato che, con la sua aura impazzita, avrebbe rischiato di far vacillare la barriera sacra e i detenuti non ci avrebbero messo molto a tentare una fuga. Era stata Izayoi a suggerirgli di avvisare Inukimi.
In un primo momento gli era parsa una vera follia, ma aveva scelto comunque di fidarsi di sua moglie e telefonare velocemente alla madre di Sesshomaru prima di scendere sui ghiacci in aperto scontro con suo figlio.
Ma così non era stato. I monaci giacevano a terra svenuti intorno a loro e Inu si rendeva conto solo in quel momento di quanto potere potesse avere Sesshomaru se nutrito di rabbia e rancore.
Affondò ancora nella neve che ormai gli arrivava fino a metà polpaccio, quando Sesshomaru si allontanò da lui improvvisamente.
La sua aura ancora chiamava sangue e vendetta, ma il rispetto verso sua madre lo aveva portato ad esibire un comportamento composto.
Scivolò in ginocchio, Inu, ormai stanco e stremato da quello scontro dal sapore di vecchi rancori mai dimenticati.
Il frammento del medaglione blu che teneva stretto al collo come protezione contro la barriera sacra, scivolò in avanti fuoriuscendo dalla camicia chiara.
Quel particolare attirò lo sguardo di Sesshomaru e una sorta di pessima sensazione andò concretizzandosi nel suo animo.
Un brivido gelido gli corse lungo la schiena. La voce del suo sesto senso parlava chiaro, parlava ancora e gli diceva che il medaglione di sua madre centrava con tutta quella storia e con Rin.
Naraku era ossessionato da quel gioiello magico, progettava di uccidere tutti gli umani e donare nuovamente il mondo in mano ai demoni grazie a quel medaglione. E proprio per questo che Sesshomaru era stato chiamato come agente speciale per aiutare ad arrestare e imprigionare quel pazzo.
E Sesshomaru era certo che quella situazione, quello che era successo a Rin, fosse solo una diretta conseguenza del suo lavoro e dell’arresto di Naraku. Quel bastardo glielo aveva detto chiaramente.
Vedeva gli elementi davanti a sé, capiva che Naraku stava solo manovrando i fili dietro le quinte, ma il come e il perché erano oscuri a lui.
Inukimi si palesò dinanzi ai due demoni con il suo incedere elegante e raffinato. Sfrontata e altezzosa, esibiva il suo garbato sorriso come un trofeo prestigioso.
Sesshomaru digrignò i denti appena la donna gli fu vicina. Inu si rimise in piedi e si scrollò la neve dai pantaloni. Mascherava a stento l’affanno, un po’ per orgoglio e un po’ per vergogna nel farsi scoprire così fuori forma.
“È un evento più unico che raro il fatto che tu mi contatti per qualcosa che non riguarda il lavoro, Inu.” Esordì pacata, lisciando il cappotto elegante che copriva la sua figura con un gesto lento della mano.
“Abbiamo un figlio insieme, mi pare giusto avvisarti delle sue follie.” Rispose tenendole testa con un sorrisetto sfrontato pronto a mascherare quanto quella rimpatriata lo turbasse nel profondo.
Vedere Inukimi non era mai una bella esperienza per lui. Il loro era stato un matrimonio triste, infelice, di mera convenienza.
Non si amavano neppure e fino al giorno delle nozze non si erano nemmeno mai visti in faccia. Le loro famiglie avevano organizzato le nozze unendo i clan più prestigiosi di demoni cane sotto un unico nome che sarebbe stato ricordato nei secoli.
Nessuno però aveva posto attenzione ai due sposi e quanto quell’unione forzata avesse creato un cratere fra i due sconosciuti.
La loro unica unione fu meccanica e doverosa e da essa nacque presto Sesshomaru. Grazie a quel cucciolo erano riusciti a tollerarsi diversi secoli, nascondendo l’odio che provavano l’uno nei confronti dell’altra sotto strati e strati di indifferenza.
Poi erano subentrati i loro ruoli importanti come protagonisti del mondo nuovo dopo la grande guerra contro gli umani.
Inukimi rappresentava l’intera popolazione demoniaca al cospetto dei grandi capi mondiali. Era sempre stata un’abile stratega e non aveva avuto problemi a scalare la tortuosa e insidiosa scala della politica fino alla vetta.
Inu invece era un guerriero dentro e non aveva avuto problemi ad assumere il comando delle armate di demoni e riconvertirle in squadroni per il pattugliamento ed il controllo della nuova alleanza. Era un incarico più umile, il suo, grazie al quale era riuscito ad incontrare Izayoi e innamorarsene.
Quando poi era nato InuYasha, la storia con Inukimi era già morta da tempo, ma il secondo genito vi aveva messo un punto fermo che Sesshomaru invece non aveva potuto ignorare.
C’erano voluti anni prima che accettasse la realtà dei fatti e forse ancora non lo aveva fatto davvero.
D’istinto, Inu voltò lo sguardo su di lui. Ribolliva di rabbia. La sua aura era un continuo espandersi minacciosa e poi crollare su sé stessa per impedire di arrecare ulteriori danni. Poi di nuovo eccola guizzare impazzita e poi venire repressa. Una continua altalena sfiancante che lo avrebbe portato fino al collasso.
In risposta allo sguardo del genitore, Sesshomaru mostrò i denti ringhiando feroce.
Inukimi in risposta ampliò il suo sorriso vittorioso vedendo che il suo erede odiava suo padre quasi quanto lo odiava lei stessa.
“Potevate scegliere un luogo più confortevole per questa bizzarra riunione di famiglia.” Constatò la donna incrociando le braccia al petto e squadrando il figlio gelidamente.
Sesshomaru percepì in quello sguardo tutta l’insofferenza che la sua sola presenza provocava alla sua stessa genitrice. Non era un mistero che lei non lo amasse.
Non si era risparmiata nel ricordargli quando poteva che la sua sola vista la disgustasse perché gli riportava alla mente suo padre.
Digrignò i denti ancora di più, Sesshomaru, percependo la sua aura impazzire provocata da quello sguardo indifferente.
“Voglio vedere quel bastardo, non ho tempo per questo teatrino del cazzo.” Sibilò furente il demone bianco, rinfoderando la spada con un gesto meccanico del braccio.
Inukimi sorrise ironica.
“Questo linguaggio lo ha ereditato da te, immagino.”
Inu in risposta roteò gli occhi al cielo e la ignorò.
“Naraku è un prigioniero politico, non posso permettere che tu lo infastidisca come l’altra volta.”
Al sol udire quel nome, Inukimi sgranò gli occhi esterrefatta.
“Onigumo?” Chiese per sicurezza e quando Inu fece un cenno d’assenso con la testa, la donna azzerò la distanza che la separava dal figlio e gli lanciò uno schiaffo sulla guancia.
Il rumore dello schiocco echeggiò nel silenzio della vallata di neve. Si propagò nello spazio come un’onda, infrangendosi contro gli ostacoli naturali che quel territorio inospitale aveva da offrire.
Sesshomaru rimase immobile. Impassibile.
Sentiva la sua rabbia esplodere in lui come un’onda e anch’essa si andava espandendo sempre di più, come il suono devastante di un’esplosione.
Guardò la madre con lo stesso sguardo gelido che lei prima gli aveva riservato.
“Non osare toccarmi mai più.” Sibilò micidiale, racchiudendo in quelle poche parole tutto l’odio e il rancore che aveva accumulato nei secoli verso di lei.
“E tu allora smettila di importunare quel demone!” Rispose allora lei piccata.
“Ha agganci con i potenti di tutto il mondo e solo il cielo sa quanto ho dovuto faticare per farlo rinchiudere dove sapevo che sarebbe rimasto per molto tempo!”
“È un pazzoide, come può avere tanti agganci?” S’intromise Inu fra i due separandoli con il suo corpo. Era certo che Sesshomaru non avrebbe mai levato la mano contro sua madre, nutriva troppo rispetto per l’unica persona che lo aveva cresciuto nonostante avesse scandito i suoi giorni con la fredda distanza. Tuttavia non si fidava poi molto di quell’aura instabile e pericolosa che puzzava di rabbia e vendetta.
Sesshomaru calmo era una cosa, ma soggiogato dalla voglia di sangue, non era lo stesso. E quello schiaffo non era stato un gesto troppo saggio da parte di Inukimi. Inu non si sarebbe stupito di vederla senza una mano se avesse ritentato il gesto.
“Sono tutti politici corrotti, non mi stupirei se avesse promesso loro qualche vantaggio economico.”
“Sarebbe plausibile che lo abbiano finanziato invece.” Ragionò Sesshomaru facendo mente locale sul caso di Naraku.
In effetti c’era sempre stato qualcosa che non gli tornava…
“Che vuoi dire?” Chiese suo padre facendosi attento.
“L’organizzazione di Naraku aveva solo pochi membri che si sporcavano le mani e Naraku stesso come cervello a dirigere tutti dietro le quinte. Ma erano solo briganti da strada o ragazzini alle prime armi… pesci piccoli che sono stati subito catturati e hanno collaborato in cambio di una riduzione della pena.” Spiegò inizialmente Sesshomaru, illustrando l’organizzazione che aveva sventato nei mesi in cui era stato lontano da Rin.
“Però Naraku mirava a stravolgere la società per come la conosciamo e riportare i demoni sul trono del mondo, come avrebbe potuto farlo con dei ragazzini?” Constatò Inukimi e gli altri demoni rimasero in silenzio senza riuscire a darle alcuna risposta.
“Una volta incarcerato, il caso è stato archiviato e le domande senza risposta sono rimaste tali.” Concluse infine Sesshomaru, incrociando le braccia al petto e squadrando i due genitori freddamente.
“Per questo devo parlare con quel bastardo e capire cosa vuole da Rin.” Non ebbe neppure il tempo di terminare la frase che il suo telefono vibrò due volte nella sua tasca.
Il demone lo prese al volo e controllò lo schermo. C’erano due sms arrivati a distanza di pochi secondi l’uno dall’altro provenienti dallo stesso numero sconosciuto.
Inizialmente aveva sperato in qualche svolta positiva sul caso di Rin… una volta ogni tanto suo fratello gli avrebbe fornito un motivo vero per gioire della sua esistenza.
Aprì i messaggi e lesse:

“Lux e co. Porta il medaglione blu. La tua bella ti aspetta.”

Il secondo era una foto di Rin incosciente su un materasso sporgo e logoro.
La rabbia di Sesshomaru esplose in un boato assordante.
Il ghiaccio di spaccò a metà con un rumore sinistro che non lasciava affatto buon presagire.
Strinse il pugno attorno al telefono e questo si fracassò fra le sue mani scivolandogli via dalle dita come fosse sabbia.
“Sesshomaru!” Lo richiamò sua madre, afferrandogli il pugno rimasto a mezz’aria ormai vuoto.
Sesshomaru alzò lo sguardo per osservarla, ma un peculiare bagliore rossastro gli annebbiava la vista come non gli accadeva ormai da tempo.
“Non puoi trasformarti, sai che è illegale!” Lo redarguì all’istante, pensando già allo scandaloso equivoco su cui i media avrebbero banchettato. E già si figurava i titoli sgargianti in cui annunciavano che il figlio della diplomatica No Taisho infrangeva la legge senza pudore.
Ma Sesshomaru si voltò invece verso suo padre ignorandola.
Non chiese aiuto, non gli passò neppure per la mente una cosa del genere. Semplicemente racchiuse una serie di emozioni in poche parole. Nascose il tutto dietro un muro altissimo di gelida indifferenza e lasciò che fosse Inu a leggerlo dentro.
“Hanno Rin. Vogliono che li incontri al Lux e co.” 
Aiutami.
“La vecchia fabbrica di vernici?”
“Penso di sì.”
“È una trappola.” S’intromise Inukimi.
“L’odore della vernice nasconderà quello dell’umana, non è un caso che abbiano scelto quel luogo.”
“Vogliono il medaglione blu.” Aggiunse Sesshomaru rivolgendosi direttamente alla proprietaria del gioiello.
Inukimi sobbalzò stupita, ma si riebbe all’istante e si slacciò il giaccone quel tanto che bastava per sfilarsi il medaglione dal collo.
Senza esitare lo consegnò al figlio con un mesto sorriso sulle labbra.
“Non permettergli di ricongiungerlo al frammento che ha tuo padre.” Aggiunse infine come monito, guardandolo severamente negli occhi finché Sesshomaru non le rivolse un cenno d’assenso.
“Succedono cose orribili quando il potere del medaglione si trova in mani sbagliate.”
“Allora tienilo tu il frammento.” Si aggiunse Inu, sfilandosi la sua collana e consegnandola alla ex compagna.
“Io vado con lui e non sarebbe saggio portare entrambi i pezzi nello stesso posto, non ti pare?”
“Va bene. Io resterò qui nel carcere a fare amicizia con tua moglie.” Gli rispose antipatica, stuzzicandolo giocosamente con un sorrisetto insopportabile.
Inu sorrise di rimando.
“So che sarà in mani sicure.” Aggiunse infine come ultime parole di congedo.
I due demoni si alzarono in volo come due nuvole bianche e si mescolarono al buio della notte perdendosi nel firmamento.
Inukimi restò immobile finché non li vide sparire lontano. Un senso di inquietudine le attagliò il petto, ma cercò di non darvi peso alcuno.
Erano secoli che i suoi poteri di chiaroveggenza non tornavano a farle sbirciare gli esiti delle sorti incerte, perché sarebbero dovuti tornare proprio in quel momento?
Era una sciocchezza, una mera stupidaggine…
Aveva perduto la sua Vista dopo aver perso la sua purezza con Inu e da quel momento mai più era stata in grado di percepire gli intrecci del tempo. I suoi occhi non avevano mai scrutato la forma del futuro, ma il suo corpo poteva sentirlo chiaramente.
Ogni emozione, ogni sensazione che le avvolgeva il corpo era un frammento di un futuro prossimo che le si annunciava mesto.
Cercò di lasciarsi alle spalle quella sensazione scomoda, cercò di lasciarsela scivolare addosso come la neve fresca sul suo cappotto.
Ma allora perché mentre si appropinquava per entrare nel carcere, sentiva sempre più opprimente la sensazione di essere appena caduta in trappola?

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Capitolo 10
*** 10. Vendetta ***


10. Vendetta


Le macerie erano pesanti e unte del sangue di quei monaci fastidiosi che, tanto tempo fa, aveva giurato di ammazzare una volta che gli fosse stato possibile. Scostò un macigno più pesante che gli ostruiva il passaggio ed infine il freddo vento del nord gli sferzò la pelle chiara.
Naraku respirò a pieni polmoni assaporando quella libertà che gli era stata negata per così tanto tempo.
Le sue vespe demoniache gli furono al fianco in breve tempo e Naraku carezzò distrattamente il dorso di una di esse. Erano bestie fedeli e intelligenti, più di quanto si sarebbe mai aspettato.
Avevano raso al suolo il carcere senza battere ciglio, sterminando i monaci e chiunque si fosse trovato all’interno di quelle mura. Avevano atteso il momento giusto, avevano saputo aspettare nonostante fosse stato Byakuya a fornirgli le istruzioni e non lui stesso.
Notevole, doveva ammetterlo. Anche per delle schifose e stupide bestiacce come loro.
Il sibilo del vento lo costrinse a spostarsi di lato ed evitare per miracolo il fendente che gli avrebbe certamente tagliato la testa.
Una demone si stagliava forte e vigorosa dinanzi a lui. Aveva capelli candidi e lunghi fino alla vita, macchiati qua e là dal sangue che le colava dalla tempia e dalla coscia.
I suoi occhi dorati e quello sguardo severo non lasciavano dubbio alcuno sulla sua identità. Le sorrise garbato inscenando anche un lieve inchino.
“Inukimi, cara. Quanto tempo.” Esordì schernendola. Le labbra scarlatte della donna si stesero in un sorriso dal gusto maligno. Il disgusto nel rivedere quell’essere trasudava dalla sua espressione di stizza e rancore.
“Il piacere è tutto tuo, Onigumo.” Rispose serafica. Attese qualche secondo e attaccò ancora, stavolta frontalmente con la sua katana demoniaca che emanava bagliori bluastri.
Naraku fu sorpreso dalla velocità della donna, ma schivò ogni suo attacco per un pelo, lasciando che si stancasse fino a che i suoi movimenti non divennero lenti e goffi.
A quel punto gli bastò schivare anche l’ultimo patetico tentativo di attacco, colpirla sul polso per farle perdere la presa sull’elsa e prenderla da un fianco intrappolandola con la schiena contro il suo petto.
La teneva saldamente per il collo con una mano, mentre con l’altra era riuscito a intrappolarle entrambe le braccia. Era stato più facile del previsto, doveva concederselo.
“Ti ricordavo più abile con la spada.”
“A me piace ricordare di quando ti trafissi con quella stessa spada.” Rispose lei piccata cercando di divincolarsi dalla presa del demone, ma la sua forza era imparagonabile rispetto a quella di lei.
Inoltre non si allenava da diversi secoli, era divenuta debole più di quanto non lo fosse mai stata. Aveva lasciato da parte gli anni di duro addestramento al quale il suo clan l’aveva sottoposta in favore di un mondo in cui non vi fosse bisogno di farsi giustizia con il sangue. Aveva lavorato duro per cercare di ottenerlo e raggiungere quel sogno e Naraku non glielo avrebbe portato via.
La risata piena di Naraku le fece venire i brividi. Era maligna e oscura proprio come se la ricordava.
“Eri una giovane guerriera al tempo, prima che Inu ti strappasse dalle mie braccia.” Le sibilò piano all’orecchio, carezzando ogni parola suadentemente e inspirando il profumo di lei fino a riempirsi i polmoni. Per secoli era stato attratto dalla giovane discepola del clan dei demoni cane del nord. Per secoli si era permesso di corteggiarla spudoratamente senza tregua alcuna nonostante gli innumerevoli rifiuti da parte di lei. Poi, un giorno, aveva tentato di prendere da lei con la forza ciò che le aveva sempre negato. Non era andata come aveva previsto. La guerriera non si era lasciata sottomettere facilmente e Naraku si era ritrovato a fuggire via inseguito dai guerrieri fedeli al clan alle calcagna e con un fianco completamente maciullato dalla katana di Inukimi.
Alla demone venne la nausea sentendolo così vicino al suo corpo come non lo era mai stato. Nonostante i secoli passati fossero innumerevoli, Naraku era rimasto lo sporco viscido serpente che era sempre stato.
“Non sono mai voluta stare fra le tue braccia, eri tu che volevi prendermi con la forza.”
“Ero un ragazzo innamorato ignorato dalla ragazza che amava, che vuoi farci?”
Un dolore immenso le trafisse la spalla. Inukimi strinse i denti e ringhiò forte per impedirsi di piangere e gridare.
Quel bastardo di Naraku l’aveva colpita a tradimento, trafiggendole la spalla da parte a parte con uno dei suoi schifosi tentacoli.
Prima non era stato così. Quella sua forma ultima, composta dall’assemblaggio di più parti di demoni con il suo corpo, era la cosa più schifosa e raccapricciante che avesse mai visto.
A questo si era ridotto per il potere? Ad uccidere demoni per potersi appropriare dei loro arti ed impiantarseli indosso?
“Potrei prendere ora da te ciò che non mi hai voluto concedere secoli fa…” sibilò al suo orecchio in modo lascivo, carezzandole l’epidermide della guancia con le sue labbra.
In quel momento però, anche Naraku urlò il suo dolore e lasciò andare di colpo Inukimi, quando uno dei suoi tentacoli cadde a terra contorcendosi e sgorgando sangue scuro sulla neve candida.
Izayoi tremava con la spada della demone fra le mani e i suoi occhi volavano da lei dolorante a terra a Naraku, instancabili.
La donna tremava come una foglia sia per il freddo che per la tensione. I suoi occhi erano già pieni di lacrime.
Era una situazione di stallo, si guardarono tutti e tre per secondi interminabili densi di sorpresa.
“Un’umana può impugnare la tua spada? Da quando, Inukimi?” Chiese Naraku con la voce spezzata dal dolore. Con una mano cercava di toccarsi sulla schiena per capire l’effettivo danno subito. A terra, a pochi metri da loro, vi era un solo tentacolo, ma il dolore andava ancora propagandosi sulla sua schiena come un’onda infinita invece che diminuire fino a cessare.
Gli sembrò strano e degno di allarmismo, soprattutto quando iniziò a sentire il corpo farsi sempre più rigido e mortale. Guardò la spada fra le mani dell’umana e solo in quel momento notò lo sfrigolio del veleno corrosivo che mangiava le macchie del suo sangue che bagnavano la lama lucida.
I suoi occhi incontrarono quelli della demone che sorrideva trionfante. Si era fatta astuta e furba. Sapeva di non poter vincere con lui e per questo aveva inscenato quel teatrino solo per attirare la sua attenzione e non fargli accorgere dell’umana. Digrignò i denti capendo di essere caduto vittima di una trappola. Un piano fin troppo semplice, ma efficace.
“Dannate…” sibilò fra sé e sé e poi, con un gesto lesto della mano, scagliò contro di loro le sue vespe demoniache che, fino a quel momento, erano rimaste solo silenti spettatrici.
Come previsto, Inukimi si era scagliata contro l’umana per proteggerla dalle punture pregne di veleno delle vespe. 
E fu in quel momento, quando, nello slancio del salto, il ciondolo con il frammento di pietra azzurro le uscì dal maglione sporco di sangue e terra che gli occhi di Naraku lo catturarono. Non ci volle molto per capire a quale pietra appartenesse quel frammento. Sorrise ancora. Poveri stupidi… pensavano davvero di cavarsela con questi trucchetti dozzinali?
La spada aveva eretto una barriera immediatamente, ma qualche vespa all’interno era riuscita a penetrare e Inukimi combatteva contro di esse cercando di proteggere Izayoi.
Fu colpita ancora, più volte. I pungiglioni le trapassarono una coscia ed il fianco prima che lei soccombesse al veleno in circolo nel suo sangue e svenisse.
La barriera cadde. Le vespe al suo interno erano state maciullate, ma adesso Izayoi e Inukimi erano esposte a tutte le altre.
La donna cercava di prendersi cura della demone esortandola a restare sveglia e cosciente in ogni modo. Aveva paura, Izayoi. Aveva tanta paura per sé e per Inukimi e temeva che se non fossero morte per mano di Naraku, il gelo del Polo Nord avrebbe concesso loro una morte pregna di agonia.
I passi di Naraku si fecero vividi alle sue spalle in quel momento e la donna rabbrividì percependolo vicino.
Tese la schiena come se fosse stata punta in quel momento ed alzò il mento solo per poter incrociare lo sguardo trionfante del demone che si scontrava con il suo pieno di risentimento.
Ma Naraku era goffo e stanco. Il veleno non lo avrebbe ucciso, ma sicuramente lo aveva danneggiato.
Il demone si chinò al loro fianco e strappò il frammento del medaglione dal collo di Inukimi semi cosciente e ringraziò con un sorriso smagliante incrinato soltanto dal bruciore alla schiena.
Se ne andò lasciandole sole in mezzo al freddo e alla gelida neve del Polo Nord. Le sue vespe demoniache lo trasportarono in volo via da quel posto che puzzava di morte.
 
L’aria del Giappone era fredda, ma niente in confronto a quella del Polo Nord. Inu assaporò l’aria di quella che un tempo aveva chiamato casa con nostalgia ed un peso sul petto. Aveva dovuto lasciare il Giappone per il lavoro al carcere, dove serviva che un demone forte dall’aura spaventosa tenesse in riga i criminali rinchiusi all’interno.
I primi tempi era stato straziando doversi separare da Izayoi. Non passava minuto che la sua mente non pensasse a lei e questo rendeva debole e fragile la sua aura. Un cane depresso e solo era fin troppo facile da abbattere e questo lo sapeva bene.
Aveva cercato di trovare un modo per adempiere ad suo lavoro senza sradicare la sua amata dal luogo in cui viveva, ma proprio quando la separazione era divenuta insostenibile, proprio quando Inu stava per rinunciare, Izayoi lo aveva supplicato di portarla con sé al Polo Nord perché senza di lui le era impossibile continuare a vivere in Giappone come se niente fosse.
La pena da pagare era un’infinita distanza che la separava dal suo unico figlio e da quel nipotino che cresceva fin troppo in fretta, ma la moderna tecnologia era corsa in loro soccorso con una mano aperta e tesa che profumava d’aiuto.
Quando i piedi toccarono l’asfalto scuro e sconnesso della periferia di Tokyo, Inu riuscì a percepire quanto quel posto fosse mutato radicalmente durante i suoi anni di assenza. La natura non regnava più sovrana da molti anni, questa non era una novità, ma la giungla cittadina si era estesa talmente tanto che l’influenza umana aveva compromesso ogni cosa nei dintorni.
Che fossero alberi, laghi o fiumi, Inu sentiva la terra morire piano piano avvelenata dai suoi stessi figli. Gli spezzò il cuore vedere come il mondo andava spegnendosi secondo dopo secondo.
Un tempo lontano, la terra donava ai demoni forza ed energia. Sfidavano la natura per ribellione, cercando di porsi come unici oppositori ai grandi cataclismi che incombevano di ere in ere, ma niente avevano mai potuto contro la loro madre genitrice. Gli umani invece erano riusciti dove loro non avevano neppure mai sognato di poter arrivare: uccidere la loro stessa terra senza nemmeno rendersene conto.
“Dobbiamo andare.” La voce di Sesshoumaru lo riscosse da quel sentimento di agonia che sentiva crescergli dentro al petto.
Alzò lo sguardo verso il figlio ed annuì come stordito dalle grida d’aiuto che la natura gli mandava.
“Il Lux e co è dietro l’angolo.” Lo informò il figlio con tono greve. Volse lo sguardo oltre l’incrocio che si stagliava dinanzi a loro. Rin era lì dentro. Chissà dove e in quali condizioni, ma era lì dentro viva e aspettava soltanto di essere tirata fuori. La frustrazione di non riuscire a sentire il suo profumo era snervante. Avevano immaginato bene, il luogo non era stato scelto a caso: l’odore della vernice nascondeva qualunque traccia e trovarla non sarebbe stato semplice.
“Avranno disseminato l’edificio di trappole e agguati.” Constatò Inu avvicinandosi al figlio e ragionando sul modo migliore per entrare. Sicuramente un’attacco frontale sarebbe stata la scelta più logica perché, dopotutto, era quello che anche loro volevano e assecondarli per poi sorprenderli all’ultimo era da sempre una strategia vincente.
Tuttavia non sapevano a che cosa stessero andando incontro e l’ago della bilancia si sarebbe potuto spostare in loro sfavore con un battito di ciglia.
Poi d’un tratto un’odore tremendamente familiare bucò le narici di Sesshoumaru. Con una smorfia esternò il suo disgusto e roteò gli occhi al cielo mentre suo padre si aprì in un sorriso fiero e contento.
La moto di InuYasha rombò per la strada, stridendo in frenata a pochi metri da loro.
InuYasha la spense e si sfilò il casco scendendo con una mossa fluida della gamba. Rivolse un sorriso pregno di sentimenti a suo padre ed un cenno della testa a suo fratello.
“Hai appena mandato in frantumi la possibilità di un attacco a sorpresa.” Gli fece notare il maggiore e suo padre, suo malgrado, fu costretto ad annuire serio nonostante la gioia nel rivedere suo figlio dopo tanto tempo.
“Sei talmente incazzato che ogni demone della città sa dove ti trovi.” La risposta irriverente del minore non si fece attendere oltre e Sesshoumaru digrignò i denti seccato da quel tono.
“Hai qualche idea, figliolo?”
“Certamente, per questo sono venuto qui a salvargli che chiappe chiare.” L’ennesima battutaccia e Sesshoumaru si ritrovò a pensare che se da tutta quella situazione ne fosse uscito come figlio unico, non gli sarebbe piaciuto poi così tanto.
“Ho allertato le forze speciali, dovrebbero essere qui a momenti. Circonderanno il perimetro e ho dato loro istruzioni di sparare a vista con proiettili purificati.” Illustrò InuYasha facendosi serio.
Inu e Sesshoumaru annuirono all’unisono. Almeno non avrebbero fatto prigionieri questa volta.
“Proporrei di dividerci.” Esordì Inu ad un tratto.
“Si aspettano solo me, ma immaginano che non verrò da solo.” Lo corresse Sesshoumaru facendosi attento. Lo sguardo che saltava dai suoi interlocutori all’edificio con la scritta Lux e co pericolante e danneggiata. Rin era lì dentro e lui sentiva di star perdendo tempo ogni secondo in più.
“Saremo furtivi e attaccheremo di lato. Starti accanto sarebbe inutile, l’unica cosa che possiamo fare è cercare di tirare fuori Rin da quel posto più velocemente possibile.” Aggiunse Inu, cercando un cenno di assenso per il suo piano abbozzato.
“Tu farai da esca, Sesshoumaru, mentre io e papà cercheremo Rin. Appena trovata la porteremo fuori” concordarono infine sulla strategia migliore e annuirono convinti.
“State attenti.” Li pregò Inu serio. La priorità era Rin, ma se avesse percepito uno dei suoi figli in pericolo, non ci avrebbe pensato due volte a correre in loro soccorso.
“Dillo al bastardo mezzo e mezzo.” Rispose Sesshoumaru prima di avviarsi a passo svelto verso l’entrata.
InuYasha ghignò strafottente.
“Non vedo l’ora di sentire il tonfo che farai quando cadrai da quel piedistallo, dannato montato!”
Inu, suo malgrado, ruotò gli occhi esasperato. Era una situazione disperata ma quei due non perdevano occasione per litigare come bambini.
 
Jakotsu si infilò l’ultimo coltello nelle cinture che gli fasciavano l’addome e sospirò con fare melodrammatico.
“È tutto pronto, vado a mettermi in posizione.” Informò Byakuya premendo sull’auricolare ed uscì dalla stanza dove avevano rinchiuso Rin ancora incosciente.
“La ragazza è sistemata?”
“Sì, come concordato.” Rispose il mercenario chiudendo la porta a chiave e cospargendo la serratura con una polvere scura. Non era certo che una porta in legno e quell’incantesimo bastassero per tenere a freno un demone millenario, ma le istruzioni erano quelle e lui non era pagato per fare domande.
Rovesciò la tanica di varichina che aveva appositamente preparato proprio dinanzi alla porta e si avviò a grandi falcate verso la posizione che gli era stata assegnata.
“Non voglio feriti alla fine, solo cadaveri.” Aggiunse Byakuya con tono autoritario e Jakotsu si ritrovò a ruotare gli occhi per l’ennesima volta in quella serata. Sarà stata la milionesima volta che glielo ripeteva.
“Avevo capito anche dopo la seconda volta, grazie.” Rispose piccato sbuffando dalle narici.
“Ti abbiamo pagato profumatamente, non farcene pentire.” Lo informò il demone prima di chiudere la comunicazione.
Byakuya stava seduto comodamente sul parapetto di una delle vasche di contenimento della vernice. Guardò oltre il bordo, dove il liquido verde, sporco e denso sembrava una brodaglia radioattiva.
Immaginò di vederci affogare dentro il demone bianco che aveva sventato i loro piani e sorrise entusiasta all’idea.
La porta principale venne aperta con un cigolio inquietante. Il demone volse lo sguardo pronto a dare il benvenuto al suo ospite con un sorriso maligno a distendergli le labbra.
La loro vendetta era appena iniziata.

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