Il mio uragano

di Lory221B
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'aria è elettrica ***
Capitolo 2: *** La quiete prima della tempesta ***
Capitolo 3: *** Perturbazione ***
Capitolo 4: *** Nell'occhio del ciclone ***
Capitolo 5: *** Fronte temporalesco ***
Capitolo 6: *** La quiete dopo la tempesta ***
Capitolo 7: *** Grandine ***
Capitolo 8: *** Addio John ***
Capitolo 9: *** Si dirada la nebbia ***
Capitolo 10: *** Tempo variabile ***
Capitolo 11: *** L'uragano finale ***



Capitolo 1
*** L'aria è elettrica ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di sir A.C.Doyle, Moffatt, Gatiss BBC ecc.; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro per il mio puro divertimento


IL MIO URAGANO


Cap. 1 - L'aria è elettrica




Londra, 1856


John Watson aveva 37 anni, era un uomo ordinario della mezza borghesia. Una bella moglie, un lavoro come medico, una bella casa e una cameriera. Una vita perfetta, adeguata allo stile di vita della classe media.

Niente grilli per la testa, niente serate fuori a far tardi, niente assenze ingiustificate dal lavoro. John Watson era un perfetto uomo del suo tempo.

Ma non era sempre stato così.

Quella mattina stava passeggiando lungo il Tamigi, con al braccio la sua elegante moglie. Era una splendida domenica autunnale, non troppo fredda e soleggiata. Un attimo di respiro dopo lunghi mesi di pioggia che era caduta incessantemente per tutta l'estate. Gli inglesi cominciavano a non ricordare più quale fosse il colore del cielo senza nuvole.

Il dottor Watson respirava l'aria cristallina attorno a sé, non sapeva che un uragano stava nuovamente per travolgere la sua vita.

- Caro, ti va bene se organizzo una cena per la prossima settimana? - chiese Mary Morstan, la quale aveva rinunciato al lavoro di infermiera per ricoprire a tempo pieno quello di moglie.

- Certo, tutto quello che vuoi - rispose il marito, poco attento alla vita mondana.

Arrivarono in prossimità del porto, quando John notò una nave che era appena attraccata. Ebbe un leggero tuffo al cuore, conosceva quella nave ma soprattutto conosceva i proprietari.

- E' la nave degli Holmes, non è vero? - fece Mary, notando lo sguardo del marito, che si limitò ad annuire. Non sapeva se levarsi velocemente di torno o restare ad aspettare per vedere se qualcuno degli Holmes, uno in particolare, fosse su quella nave.

- Tu li conosci John? - chiese Mary, un po' più  curiosa. John sapeva che nulla l'avrebbe fatta più felice di sapere che suo marito conosceva una delle famiglie più illustri e potenti d'Inghilterra.

Lui non rispose, perché vide un'inconfondibile chioma nera e riccia, spuntare da dietro una vela. Sembrava stesse commentando, con il suo solito atteggiamento scostante e infastidito, che stavano scaricando i suoi bagagli con poca delicatezza.

John deglutì più volte quando gli occhi di ghiaccio del moro incontrarono i profondi occhi blu del biondo. Per un attimo il più giovane degli Holmes sembrò sorpreso, poi sorrise e un istante dopo si ricompose, come se si fosse ricordato che non aveva motivo di sorridere. Quando poi notò la figura femminile,"agganciata" al braccio di John, non poté trattenere uno sguardo di fastidio e delusione.

Scese dall'imbarcazione con l'eleganza che si addiceva alle sue nobili origini e andò in contro a John. La sua tronfia sicurezza che crollava man mano che camminava verso il biondo.

- Sono sorpresa di vederla qui, dottor Watson - fece lui freddo - Credevo fosse ripartito con l'esercito, ma immagino che la sua ferita l'abbia bloccata qui a Londra, assieme agli altri scansafatiche dell'Impero -

Mary sembrò turbata dalla totale mancanza di tatto, ma John conosceva bene l'uomo che aveva di fronte - E io credevo non avrebbe più fatto ritorno qui a Londra, che si fosse dimenticato di noi scansafatiche - ribatté altrettanto rancoroso.

Sherlock sembrò stranito dalla risposta ma cercò di non darlo a vedere.

- Mary ti presento William Sherlock Scott Holmes - fece John, rivolto alla moglie. Sherlock fece per allungare una mano, per stringere quella dell'insipida bionda.

- William, lei è mia moglie, Mary Watson -  la mano di Sherlock si bloccò sull'uso del distaccato nome William e si abbassò sulla parola moglie.

- Scusatemi - fece Sherlock - Mi sono ricordato che mio fratello mi sta aspettando per un affare urgente - fece un mezzo inchino sprezzante e si dileguò con una tempesta negli occhi.

- John, mi sono persa qualcosa? - fece Mary, guardando perplessa il marito. Non conosceva nessuno che si comportasse in maniera così cafona.

- No cara, lui è fatto così -.


***** *****

Quella notte John non riuscì a chiudere occhio, troppo preso dall'incontro della mattina. Continuava a rigirarsi nel letto, al punto che fu costretto ad alzarsi e andare a dormire sul divano per non svegliare continuamente Mary.

"Stronzo bastardo", pensò tra sé.


John non riusciva a credere che fosse riapparso dal nulla e si premettesse anche di fare l'offeso. Il suo atteggiamento era incomprensibile; era sparito, per due interi anni, senza dare sue notizie. Era tornato come nulla fosse e pretendeva anche che John fosse rimasto ad aspettarlo.

Come se la sua improvvisa partenza non lo avesse distrutto e non gli avesse spezzato il cuore.

Niente, nessuna comunicazione. Poteva anche essere morto, se non fosse che la notizia sarebbe arrivata fino a Londra.

John conosceva Mary da molto tempo, era stata la sua prima ragazza finché lei non era partita per le Americhe. Poi aveva incontrato Sherlock e la sua vita era completamente cambiata. Avrebbe rischiato il carcere per stare con lui, ma sapeva che avere una relazione con qualcuno che dichiarava di sopportare a malapena il genere umano e di considerare i sentimenti come debolezze, non era qualcosa che poteva fargli bene.


Sherlock era andato via e John aveva capito che non poteva reggere una relazione in cui dava tutto, avendo in cambio delle briciole. Mary era la scelta adatta, giusta e razionale.

Allora perché non riusciva a dormire e continuava a pensare a lui? Dopo la misteriosa partenza era andato a chiedere alla sua famiglia notizie dei fratelli Holmes, ma il padre lo aveva liquidato sgarbatamente, facendo riferimento ad affari di famiglia e John non era riuscito a scoprire altro.

Più erano passati i giorni, più si era convinto che archiviare il periodo passato con Sherlock sarebbe stata la cosa migliore, non avevano futuro.

L'alba lo colse seduto sul divano, con due notevoli occhiaie. Scontento andò a lavarsi e a prepararsi per la giornata, sperando di non addormentarsi sul lavoro. Al suo ritorno a casa, per cena, ebbe un'orribile sorpresa.

- Tesoro sei tu? - gridò Mary dal salotto. John sentì un brivido, come quando prima di una tempesta l'aria diventa più elettrica.

- Caro, preparati, sta sera usciamo - continuò lei.

- Dove andiamo? -

- Gli Holmes fanno una festa nella loro villa per il ritorno dei figli. E noi siamo stati invitati - cinguettò la moglie.

Il biondo deglutì nervosamente, non era pronto a rivedere Sherlock così presto - Dobbiamo proprio andarci? Sono un po' stanco -

- Tesoro ci vanno tutti, è l'evento dell'anno. I miei genitori saranno qui tra poco con la carrozza. Corri a vestirti -

Come sempre era stato incastrato e tutto era già stato deciso.


***** *****


Sherlock passeggiava nervosamente avanti e indietro, non era da lui partecipare ad un evento mondano, soprattutto se c'era il fondato pericolo di incontrare John e sua moglie, ma il padre aveva lanciato una delle solite minacce di diseredarlo.

Per quanto si limitasse a fare spallucce ogni volta che accadeva, sapeva perfettamente che non poteva vivere solo della sua intelligenza ed era troppo abituato ad occupare il tempo con quello che altre persone avrebbero definito hobby, per cui ogni tanto si sentiva costretto a fare il bravo figlio e accontentare la famiglia.


- Smettila Sherlock - tuonò Mycroft, guardando il fratello sistemarsi il colletto per la decima volta da quando era iniziato il Buffet. Sherlock si limitò a lanciargli uno sguardo infastidito, ma non disse niente.

- Ho saputo del dottor Watson - fece Mycroft più serio - Te l'avevo detto di non farti coinvolgere. Le persone si sposano Sherlock, è così che fa la gente comune - continuò non potendo trattenersi dal fare un'espressione schifata sulla parola "comune".

- Non sono affari tuoi Mycroft - ribatté il fratello.

- Come vuoi - gli rispose e si diresse a salutare i nuovi ospiti.

Sherlock non poté fare a meno di pensare che il fratello aveva ragione, aveva sbagliato e poteva dare la colpa soltanto a sé stesso, non avrebbe dovuto lasciarsi coinvolgere. Appena scorse in lontananza una familiare testa bionda, girò i tacchi e si rifugiò al sicuro in biblioteca, non avrebbe mai più rivolto la parola a John Watson.


Dovette però venir meno a quella promessa soltanto un'ora dopo, quando il dottore entrò nella biblioteca, trovando il moro seduto sulla poltrona, intento a leggere un trattato sulla navigazione, o almeno a far finta di leggere.

- Sapevo di trovarti qui Sherlock - esordì il biondo.

- Sono di nuovo Sherlock? Niente William? -

- Questo comportamento sprezzante è troppo infantile anche per te - John era calmo all'esterno, ma dentro si stava agitando una tempesta  - Non credevo mi avresti invitato, tra l'altro -

- Non c'entro, sono stati i miei genitori. Avranno pensato che almeno un mio amico dovesse essere presente. E come ben sai, non c'è concorrenza per il posto di mio amico -

Sherlock appoggiò il libro con poca grazie e si avvicinò a John per fronteggiarlo - Ero contento di rivederti, non ho aspettato altro per tutto il viaggio. Quella Mary, quando l'ho vista, ho sperato  fosse solo una delle tante sciacquette che sarebbe immediatamente ritornata al suo posto al mio ritorno, invece una moglie è stata una sorpresa! -

- Io amo Mary - gridò John, che non poteva stare lì a sentire quelle parole per definire sua moglie, come se l'avesse sposata in mancanza di altro.

Sherlock incassò il colpo in silenzio, la sua sicurezza vacillò ma riprese stoicamente a parlare - Immagino che lei possa darti le cose che io non potevo. Una relazione alla luce del sole, passeggiate mano nella mano di cui vantarsi nei circoli di bridge, tante smancerie e ovviamente una famiglia. Non credevo fossi così ordinario -

John respirò a fondo, voleva urlargli che non aveva mai chiesto le cose che aveva elencato e aveva già deciso di rinunciarvi anni addietro, quando lui e Sherlock si erano baciati per la prima volta. Ma era troppo furioso e il veleno gli uscì dalla bocca, senza essere in grado di fermarlo - E' vero, lei mi da quello che tu non volevi darmi. Calore, affetto, dolcezza. Una relazione tra persone mature insomma. Non una in cui uno parte per destinazione ignota e lascia solo un biglietto "Scusa John, sono dovuto partire per affari urgenti, ti scrivo appena attracco" e poi non si fa più sentire per due anni -

Il moro lo fissava con la bocca aperta - John io ti ho scritto appena arrivato in India. E ho continuato a farlo ogni settimana nonostante non ricevessi risposta. Dovevo tornare dopo tre mesi, ma poi le cose si sono prolungate. Poi si sono messi in mezzo una serie di uragani che non ci hanno permesso di ripartire -

John cominciò a tremare. Sherlock stava forse mentendo? Perché non aveva ricevuto quelle lettere che lui giurava di aver scritto?

- Comunque - continuò il moro - Mi hai rimpiazzato davvero in fretta. Deduco che non ti sono mancato così tanto -

John non sapeva cosa dire, così il moro decise di mettere immediatamente fine a quella conversazione e se ne andò, lasciando il biondo solo, a fissare la poltrona vuota dove prima era seduto il suo Sherlock.


***** *****

Angolo autrice

La mia prima AU storica..Cosa ne pensate?
Sono più seria del solito, decisamente più angst. Spero vi piaccia comunque.
Grazie a tutti quelli che leggeranno!

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Capitolo 2
*** La quiete prima della tempesta ***



Cap. 2 - La quiete prima della tempesta









Sherlock camminava senza una meta per le vie di Londra.

Amava la sua città, gli odori, il cielo grigio che ogni tanto regalava qualche raggio di sole, gli alberi lungo il Tamigi che perdevano le foglie rosse in attesa dell’inverno, il profumo del tabacco, l’aria densa di farina quando si passava per Baker street.

Non c’era niente di tutto questo in India, dove era rimasto confinato per due anni, bloccato senza la possibilità di andare via e senza notizie da John.

Tre mesi per attraccare, grazie a una delle navi più veloci dell'Impero. Appena arrivato aveva subito spedito una lettera, sapeva che John non l'avrebbe vista prima di altri tre mesi, per cui iniziò a scrivergli ogni settimana, come un diario, per fargli capire quanto tenesse a lui, senza aspettarsi una risposta.

Poi però, tra un problema e l'altro, finirono per passare sette lunghi mesi. A quel punto Sherlock cominciò  a controllare quotidianamente l'arrivo della posta, convinto che almeno una risposta sarebbe arrivata.

I tempi si prolungarono ulteriormente ed era già passato un anno; Sherlock  aveva scritto a John quasi ogni settimana e non aveva mai ricevuto risposta.

All’inizio aveva pensato ad un banale ritardo nelle comunicazione, dopotutto i tempi di consegna erano lunghi e John doveva ricevere e rispondere. Poi però i tempi cominciarono a dilatarsi in maniera sospetta, per cui aveva iniziato a credere che gli fosse successo qualcosa. Sherlock aveva anche scritto ai propri genitori per avere notizie, ma suo padre gli aveva risposto evasivamente che il dottor Watson stava bene, da qual che ne sapeva.

Alla paura subentrò il panico e poi la rabbia. Si convinse che John aveva deciso di non rispondergli; che aveva approfittato della sua assenza per tornare alla vita ordinaria: una relazione con una donna e uno stile di vita più appropriato.

Infine subentrò il dolore, perché riteneva che se John aveva cambiato idea era per colpa sua, non era stato all’altezza di una relazione e John e evidentemente si era accorto che non gli mancava così tanto. Che sarebbe stato meglio senza Sherlock; il moro credeva davvero di non meritarsi una fortuna come John Watson.

Quando poi gli si mise contro anche la natura, scatenando una serie di uragani che non gli avevano concesso di salpare, si era trovato a pensare che quel viaggio era stato il più grande errore della sua vita.

E ci aveva visto giusto, almeno in parte. Le lettere non erano mai arrivate ma  John aveva trovato effettivamente qualcun altro e quella Mary, l’aveva persino sposato.

Il definitivo game over. Sherlock avrebbe rischiato anche l’impiccagione per lui (1), se qualcuno avesse intercettato le lettere avrebbe potuto quantomeno  sospettarlo di qualcosa che andava oltre il consentito. Nelle prime era stato cauto e sembravano solo lettere tra amici, ma poi la ragione era stata zittita dal cuore, quel muscolo che John mostrava a tutti mentre Sherlock mostrava soltanto a lui, e si era lasciato andare alternando preghiere per avere una risposta a lunghe righe colme di gelosia.

 Ma le lettere non erano mai arrivate e John era andato avanti, senza di lui.

Mentre passeggiava vicino a Piccadilly Circus, Sherlock notò sul lato opposto della piazza proprio quel John Watson che voleva evitare, ma che avrebbe riconosciuto anche tra mille. Il biondo stava entrando in un negozio di fiori.

Sherlock pensò subito che stava andando a comprare un regalo per Mary. Forse un anniversario o qualche festa comandata di cui Sherlock beatamente ignorava l’esistenza. O forse doveva farsi perdonare qualcosa? No, era inutile sperare in qualcosa che non sarebbe mai accaduto.

Sherlock non si accorse di aver indugiato troppo nel fissare quel negozio e quando John uscì con un bel mazzo di fiori, lo scorse subito, nonostante fosse al di là della piazza. Anche il dottore avrebbe riconosciuto Holmes tra mille.

Sherlock mantenne lo sguardo, finché una carrozza bloccò la visuale del dottore e Holmes ne approfitto per sparire dalla sua vista.

John rimase con in mano il mazzo di fiori, a fissare il punto dove il suo ex ragazzo si trovava un attimo prima.

Camminando verso casa, John pensò, o almeno cercò di pensare, a come era fortunato ad avere Mary, una donna che lo amava davvero, senza complicazioni e senza causargli una continua altalena emotiva.

Perché stare con Sherlock era proprio così, un continuo passare dalla passione totale all’essere quasi ignorati.

Come quel loro primo incontro.

Tre anni prima

John Watson, medico militare, era in licenza a Londra, in attesa che i suoi superiori decidessero se la ferita che aveva riportato durante l’ultima battaglia fosse così grave da costringerlo al congedo.

John non voleva fermarsi a Londra, ormai non era più la sua città. Ma non aveva dove andare e sua sorella gli aveva offerto un letto nella casa che condivideva con il marito, u uomo più anziano e molto paziente, che Harriet aveva sposato unicamente perché poteva darle sicurezza economica e sociale.

John passò i primi giorni girando per i parchi, in cerca di tranquillità, ma dopo un po’ la vita civile aveva cominciato a stargli stretta e aveva iniziato ad uscire la sera, quando accadevano le cose più rischiose e si incontravano i tipi più particolari. Londra e soprattutto l’east end, non era una zona per gente tranquilla.

Fu così che una sera, mentre si trovava a passare in prossimità di un  famigerato locale, noto per ospitare cocainomani e fumatori d’oppio, si imbatté in Sherlock Holmes, o forse sarebbe meglio dire che venne letteralmente travolto.

Sherlock Holmes era appena uscito dal locale di corsa, all’inseguimento di un uomo che era appena fuggito passando davanti a John. Il medico non fece in tempo a chiedersi cosa stesse accadendo che si trovò steso a terra, travolto appunto dal moro che, a causa dell’abuso di alcune sostanze, non era perfettamente in grado di portare a termine un inseguimento.

- Si sposti, lei è un’idiota totale – gridò il moro, rimettendosi in piedi.

- Lei mi viene addosso e l’idiota sarei io? – fece John, bloccando per una spalla, il ricco snob strafatto, sui trentanni, che aveva davanti.

- Non ho tempo per militari in licenza. O forse dovrei dire in concedo? – rispose il moro, togliendosi di dosso la mano del biondo – Quell’uomo era un ladro e grazie a lei mi è scappato! – sentenziò, un attimo prima che la testa cominciasse a giragli  e letteralmente svenne.

Qualche ora dopo Sherlock Holmes si era ritrovato in un letto di ospedale. Aveva aperto piano gli occhi, temendo di vedere il solito sguardo di rimprovero dal fratello. Invece c’erano occhi più blu e più buoni a fissarlo.

- Si sente bene? - chiese John.

- Non credevo che sarei svenuto. Ma in effetti la corsa non deve aver aiutato –

- Era in overdose – commentò il biondo.

- Già, capita – rispose con una scrollata di spalle.

- Il mio amico Mike Stamford mi ha detto che viene spesso ricoverato qui per problemi simili, signor William Holmes –

- Sherlock per favore, odio il mio primo nome. Quindi lei è un medico militare! Interessante –

- E’ interessante che io sia medico? –

- No, che si aggirasse per l’east - end, assieme agli altri scansafatiche dell’Impero –

John rise.

- Allora, visto che per colpa sua ho perso il ladro, mia aiuterà a ritrovarlo signor...? –

- John Watson. Prima mi dica come fa a sapere che sono un medico e un militare in licenza. Come lo ha capito –

- L’ho dedotto – e sorrise.


John, appena arrivato a casa, sistemò i fiori in un bel vaso, in modo che Mary potesse vederli appena  rientrata in casa e salì  in soffitta, dove aveva nascosto in un baule tutti i ricordi di Sherlock. Nemmeno lui sapeva perché non li aveva semplicemente buttati quando si era trasferito nella nuova casa con Mary. Non voleva dimenticare? O era quasi il brivido e la consapevolezza che un segreto potenzialmente devastante era nascosto nella sua soffitta?

Nemmeno John sapeva rispondere a quella domanda. C'erano telegrammi falsamente urgenti e lettere con sentimenti appena accennati. C'erano cose stupide come un fazzoletto su cui Sherlock aveva scritto il suo indirizzo e uno spartito musicale con un valzer che il moro aveva composto per lui.

Watson fissò quelle cose, una parte di lui voleva rimetterle al suo posto, ma quella razionale stranamente prevalse, così decise di liberarsene prima che ricordi e malinconia gli facessero dimenticare che era un uomo diverso, ora. Fece per prendere tutto, quando sentì la cameriera che lo chiamava dal piano di sotto. A quanto sembrava c'era una visita.

John scese le scale perplesso, dato che non aspettava nessuno. Men che meno Sherlock Holmes.

- Ciao John - fece il moro, studiando l'espressione di John. Un misto di stupore, tristezza e forse paura?

- Non credevo che... -

- Dobbiamo parlare - affermò Sherlock.

- E' solo che... -

- E vorrei che tu finissi le frasi  - fece beffardo.

- Non puoi venire qui ad insultarmi Sherlock - gridò John, prima di ricordarsi che la cameriera si trovava nella stanza a fianco.

- John ti ho spiegato che non è colpa mia, non potevo sapere che le lettere non sono mai arrivate - fece Sherlock semplicemente, come se la cosa fosse ovvia.

- Beh, diciamo che il destino ci rema contro da sempre - constatò John, senza guardarlo negli occhi.

- E' così che liquidi la cosa? Cos'è successo al mio John che non aveva paura di niente, soprattutto della società e delle sue assurde regole? -

- Quel John ha atteso invano e si è sposato - ribatté il biondo.

- Basta questo? Una volta eri più appassionato -

John lo fissava allucinato. Non gli era mancata per niente la voglia costante di zittirlo prendendolo a pugni - Perché sei andato via Sherlock? Cosa c'era di così importante? Avevamo dei progetti, stavamo guardando se fosse possibile dividere un appartamento. O se fosse più sensato andare in America, dove potevamo iniziare una nuova vita. Hai idea di come mi sono sentito? Cosa dovevi fare in India di così urgente? -

- Era per un caso John, una questione di una setta e ...-

John si sentì schiaffeggiato, aprì la bocca e poi la richiuse. Strinse forse le mani a pugno e respirò profondamente - Per un caso? Non per affari di famiglia? Per un caso? -

- Erano affari dell'Inghilterra più che altro -

- Come se ti importasse qualcosa. Avevi un puzzle e volevi risolverlo, gli altri non contavano - gridò John, ora infischiandosene di chi poteva sentirlo.

- Non credevo sarei stato via così tanto - gridò Sherlock di rimando.

E senza accorgersene si stavano baciando con foga, in maniera quasi aggressiva per sfogare tutto quello che avevano represso. Poi un barlume di lucidità torno in John, che spinse via l'altro con una tale forza che sbatté contro il muro.

- Non possiamo. Io sono sposato, Mary non si merita questo. E' finita tra noi Sherlock, sono andato avanti. E ora che mi hai detto il perché te ne sei andato, sono più convinto della mia decisione -

Sherlock si sentiva ferito, ma mantenne l'espressione gelida - Bene allora, auguri e figli maschi -

Neanche il tempo di finire la frase, che John gli assestò un pugno in faccia, che lo fece cadere sul pavimento.

- Niente figli, Mary non può più - affermò mesto John.

Una rapida occhiata e Sherlock capì - Per questo l'hai sposata? Era in cinta e poi ha subito un aborto spontaneo? -

- Vattene Holmes! - sentenziò John, indicandogli la porta.

Sherlock se ne andò senza dire niente, ma non poteva smettere di pensare che forse c'era ancora qualche speranza per loro. Perché sotto tutta quella passività c'era ancora il suo uragano Watson.


***** *****


I fratelli Holmes erano seduti sulle poltrone della casa dei genitori. Il padre aveva qualcosa di cui parlargli ed entrambi erano in attesa.

Sherlock stava ancora ripensando alla conversazione del pomeriggio, quando il fratello interruppe il filo dei suoi pensieri - Sherlock, sarebbe opportuno che ogni tanto ti facessi vedere in giro con una ragazza, quella Janine ad esempio -

- Stai dicendo che per evitare che sospettino qualcosa su di me, è meglio che giri con una ragazza? Perché credano che mi interessano le donne? – sbottò Sherlock.

- Solo per sicurezza fratellino -

Sherlock fissò il fratello, uno degli uomini più importanti della Gran Bretagna.

- Mycroft, hai presente le lettere che scrivevo dall’India? A quanto pare alcune non sono state recapitate -

Il fratello non mutò minimamente espressione - Come sai i miei incarichi governativi non riguardano il sistema delle poste. Se c’e stato qualche disservizio, fai un esposto –

- Non sto parlando di due o tre lettere. Parlo di una cosa come quaranta  lettere - continuò il più giovane degli Holmes, alzando leggermente il tono della voce.

-  Sherlock, cosa vuoi sapere esattamente? -

- Le hai intercettate tu? - chiese secco.

- Perché avrei dovuto farlo? - rispose stupito.

- Perché spesso credi di sapere cosa sia meglio per me, sbagliando clamorosamente -

L'interrogatorio di Sherlock fu interrotto dall'arrivo della madre e delle sue amiche, le quali sembravano prese da un qualche nuovo pettegolezzo.

- Abbiamo un nuovo vicino di casa - comunicò la madre.

- Avete vuoi dire. Io torno nel mio appartamento vicino a Regent Park - corresse Sherlock.

- Nel tuo tugurio, vuoi dire - commentò acido Mycroft.

- Chiamalo come vuoi - ribattè il moro.

La madre li raggelò con uno sguardo, non era così che gli aveva insegnato a comportarsi in presenza di ospiti. Sherlock sbuffò, mentre Mycroft cercò di accontentare la madre, dimostrando di conoscere le buone maniere - Chi è il  nuovo vicino dunque ? -

- Un professore molto affascinante - commentò una delle amiche della signora Holmes.

- Un professore che può permettersi una villa? Curioso - commentò annoiato Sherlock.

- Avrà un patrimonio di famiglia. Anche se, a dir la verità, non ho mai sentito nominare la famiglia Moriarty -

Sherlock ebbe un leggero sussulto.




(1)  La legge inglese (la Buggery Act) prevedeva la pena dell'impiccagione per le pratiche di sesso non procreativo, comprendendo in particolare quello omosessuale. Tale pena sarebbe stata abolita solo nel 1861.


***** *****

Angolo autrice:

Ciao a tutti e grazie per aver letto e prontamente recensito :))

Spero che la storia continui a piacervi.

Un abbraccio e alla prossima!!



L'immagine non è di mia proprietà ma è stata reperita in internet.

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Capitolo 3
*** Perturbazione ***


Cap. 3 - Perturbazione


Tre anni prima

- William! - gridò il medico, vedendo il ragazzo conosciuto qualche sera prima, uscire da una biblioteca tenendo pericolosamente in mano una pila di almeno dieci libri.

- Sherlock! -ripeté, ricordando l'avversione del moro per il suo primo nome, "così noioso e banale" aveva detto.

Sentendosi chiamare, Holmes si girò con un mezzo sorrisetto.

- Dottor Watson, scusi se non le dò la mano, ma sono in difficoltà - fece indicando i libri con un cenno del capo.

Il biondo rise - Credevo volesse il mio aiuto per trovare quel ladro, ma poi non mi ha più scritto -

Sherlock sembrò sorpreso. Credeva che quel militare fosse solo molto cortese, ma che non fosse davvero interessato a inseguire dei malviventi in giro per Londra. Mycroft avrebbe commentato che, in realtà, Sherlock aveva solo troppa paura di un rifiuto e per questo non si era fatto più vivo con John. Il Mycroft del suo palazzo mentale era molto fastidioso, come quello originale.

Il moro sorrise a John, da oltre la pila di libri - Purtroppo è già stato assicurato alla giustizia; l'ispettore Lestrade è stato stranamente competente ed è riuscito a prenderlo dopo che ce lo siamo fatti scappare - rispose, non trattenendo una certa insoddisfazione.

- Le capita spesso di aiutare Scotland Yard? - chiese ancora più curioso il biondo.

- Quando mi annoio - rispose Sherlock, facendo sembrare la sua occupazione una cosa di routine.

John gli si fece più vicino e il moro sentì uno strano tepore, una sensazione davvero inconsueta per lui.

- Sono contento di vedere che sta meglio, Sherlock. Vuole una mano a portare questi libri? - fece per appoggiare le mani sui volumi, sfiorando impercettibilmente le dita del moro, che senza rendersi conto lasciò leggermente la presa e fece cadere tutto a terra.

Sherlock si sentì un'idiota, avrebbe voluto apparire sicuro di sé ed elegante, invece era sembrato goffo e imbranato. Il biondo si chinò a terra per aiutarlo, quando buttò meglio l'occhio sui titoli dei libri e notò che buona parte era di anatomia - Si interessa di medicina? -

Il moro cercò di sfoggiare il tono più sicuro e convinto che possedesse, sentiva che doveva stupire il suo interlocutore in qualche modo - E' essenziale per aiutare Scotland Yard - rispose.

John si fermò un attimo per metterlo meglio a fuoco. Era nobile, un aristocratico, una di quelle persone che normalmente non gli rivolgeva nemmeno la parola. Aveva un'aria snob, ma al contempo aveva qualcosa di fragile e indecifrabile. L'aspetto poi, non era di certo ordinario. Alto, carnagione chiarissima e occhi azzurri come John non aveva mai visto e quei capelli ribelli che gli davano un aspetto da poeta romantico. Non era di certo il tipo di persona con cui Watson si fermava a chiacchierare per strada.

Eppure c'era quel qualcosa di misterioso che lo spingeva ardentemente a volerlo conoscere meglio.

- Adesso sto andando alla villa dei miei genitori, abito ancora lì per qualche giorno, finché non finisco il trasloco - fece Sherlock, che aveva trovato un'inaspettata sicurezza dall'occhiata interessata del biondo - La inviterei dai  miei genitori, ma la riempirebbero di domande sulla guerra. Però se le interessa un po' di vita movimentata può venire a trovarmi al mio appartamento. Sono sicuro che Lestrade avrà bisogno di aiuto per qualcosa. Da solo non troverebbe nemmeno la strada per Scotland Yard -

John rise - D'accordo, dove abita? - chiese il medico.

Sherlock, intanto, si era rimesso in piedi, con la pila di libri nuovamente stretta a sé.

- Giusto.  Nella tasca della mia giacca troverà un fazzoletto dove ho scritto il mio indirizzo - rispose sovrappensiero, senza rendersi conto che lo stava invitando a mettergli una mano in tasca. Mentre elaborava questo pensiero, strinse ancora più forte i volumi;  non avrebbe lasciato la presa, nemmeno se fosse stato investito da una carrozza

John sembrò sorpreso, ma infilò comunque la mano nella sua tasca. Per fortuna, o purtroppo per Sherlock, il tocco fu talmente minimo da non sentirlo nemmeno. "Sei così bisognoso di calore umano da dover chiedere a un semi-sconosciuto di metterti le mani in tasca? patetico Sherlock" affermò il solito Mycroft della sua testa.

 - 221b Baker Street? - chiese John stupito. Si aspettava che il moro vivesse in una zona molto più adatta al suo lignaggio - Perché ha scritto il suo indirizzo su un fazzoletto comunque? -

La verità era che lo aveva scritto perché l'addetto della biblioteca potesse copiarlo, per aggiornare la sua scheda per i prestiti. Ma una piccola bugia avrebbe potuto renderlo più imprevedibile e interessante agli occhi di John. Per cui sfoggiò un sorriso e rispose - Nel caso l'avessi incontrata John. Buona giornata - Strizzò l'occhio e si congedò, camminando con la pericolosa pila di libri in mano, alla ricerca di una carrozza.

Watson rimase sul marciapiedi, intento a fissare la schiena dell'uomo più strano che avesse mai incontrato.

Tornato a casa di Harriet, pensò di chiedere a lei e al marito Arthur, se conoscessero la famiglia Holmes. John ovviamente li conosceva di fama, ma non sapeva molto, oltre a quel poco che era apparso sui giornali.

- Gli Holmes sono gente onesta e rispettabile - sentenziò il marito di Harriet - Ma il più giovane dei figli, mi sembra si chiami William, non è come il maggiore. E' una continua delusione per i suoi genitori. -

- Perché? - chiese John.

- Si comporta in modo strano, è una persona solitaria con interessi bizzarri, per lo più esperimenti. E' stato quasi espulso dal College, non  è esattamente il figlio che tutti vorrebbero -

John si accigliò, solo perché era un po' eccentrico non c'era motivo di considerarlo così anormale.

- E poi girano delle voci - continuò Arthur

- Che genere di voci? - intervenne Harriet.

- Non ha nessun interesse per il genere femminile. Non vuole sposarsi e ha rifiutato donne per cui altri uomini pagherebbero una fortuna -

- Magari non gli interessano i legami - fece John.

L'uomo fece spallucce, aveva già emesso una sentenza solo in base alle chiacchiere. John odiava quel modo di vivere; le apparenze, i modi formali per mascherare quello che realmente pensavano. Fatti che non dovevano essere resi pubblici per non creare scandalo.

- E lei John? - chiese Arthur - Pensa di mettere su famiglia, ora che è stato congedato? -

- Sono ancora in licenza a dir la verità e non ci ho ancora pensato -

- Lei è un soldato, le donne ammirano la divisa, ed è un medico. Non le sarà difficile trovare moglie -

Il medico sprofondò nella poltrona; si era arruolato quando la sua ragazza, Mary Morstan, lo aveva lasciato per seguire la famiglia in America e da allora non aveva più pensato alla possibilità di avere una famiglia. Credeva sarebbe morto sul campo di battaglia, lontano da casa, in qualche posto sperduto.

- Esci anche sta sera? - chiese Harriet, con una punta di apprensione.

- No, sta sera no - rispose il biondo. Da quando aveva visto Sherlock quel pomeriggio si sentiva meno insofferente, come se la prospettiva di rivederlo, bastasse per rendere la sua vita più allegra. E davvero non capiva perché quell'aristocratico gli facesse quell'effetto.


***** *****

Londra 1856

Sherlock stava fissando il lento scorrere del fiume. Il Tamigi, che divideva Londra con la sua forma sinuosa, era una delle poche cose che lo calmava. Holmes trovava confortante ammirare la sua città da uno degli innumerevoli ponti che attraversava il fiumo; a volte provava a sporgersi e fissare l'acqua, chiedendosi cosa provassero quelli che si buttavano per farla finita. Quali potevano essere gli ultimi pensieri? Più ci pensava più si chiedeva se sarebbe mancato a qualcuno. Il suicidio non era mai stata considerata un'opzione per Sherlock; anche nei giorni più brutti, quando si sentiva la persona più sola e incompresa al mondo, aveva sempre trovato un modo per andare avanti, che spesso comprendeva l'uso della cocaina.

Poi era arrivato John, il suo raggio di sole in mezzo alla tempesta e per un attimo Sherlock aveva pensato di poter essere felice. Forse, se non avesse mai conosciuto John, avrebbe potuto pensare di continuare la sua vita con la stessa monotonia, intervallata da qualche caso che spezzasse la routine, ma ora non poteva più pensare ad una vita senza il dottore.

Tornò a casa pieno di sconforto, con lo sguardo basso per tutto il tragitto fino a Baker Street. Quando arrivò nell'appartamento trovò una strana sorpresa ad attenderlo. Appoggiata sul tavolino c'era una busta  giallognola, abbastanza rovinata. Sherlock la prese in mano e notò subito la propria scrittura sull'indirizzo del destinatario. La aprì e trovò dentro la prima lettera che aveva scritto a John dall'India.

Ricadde pesantemente sulla sedia, stanco e ancora più addolorato.

Chiunque aveva intercettato le lettere, voleva che lui lo sapesse. Una lenta tortura, dato che Sherlock non aveva idea di chi e perché avrebbe dovuto farlo. Aveva pensato a Mycroft, ma lui non sarebbe mai stato così stupido e crudele da fargliele riavere.

No, era qualcuno di decisamente più sadico.

Sapeva che non avrebbe dovuto, che probabilmente si sarebbe preso di nuovo una porta in faccia, ma non aveva nessun altro con cui parlare e che lo capisse come John. Si rimise il cappotto e ad ampie falcate si avviò verso la casa dei coniugi Watson. Era quasi arrivato, quando vide Mary scendere da una carrozza. Si bloccò sull'angolo del palazzo, a fissare la bionda donna che non conosceva, ma odiava con tutte le sue forze. Cosa aveva di così particolare? Perché John se ne era interessato?

"Lei mi da quello che tu non volevi darmi. Calore, affetto, dolcezza"

Quelle parole, dette in maniera così furente e rancorosa rimbombarono nelle orecchie di Sherlock, mentre sentiva pian piano lo stomaco che si chiudeva. John non gli aveva mai parlato in quel modo, con quella voce e con quel tono. Mai, nemmeno quando lo sgridava perché era arrivato tardi o perché rischiavano di farsi "scoprire" in pubblico.

Continuava a guardarla, chiedendosi se fosse vero quello che aveva detto John; se lei davvero gli desse qualcosa che lui non gli aveva mai dato.

Mary era ancora ferma sul marciapiedi, quando vide arrivare John di corsa con un bel sorriso allegro. La baciò e l'abbracciò, le prese la mano e andarono via assieme.

Un'ora dopo, Sherlock era ancora immobile su quell'angolo della strada, quando ormai il pallidissimo sole del pomeriggio era stato sostituito da una pioggia scrosciante.

- Dovrebbe coprirsi Holmes, o passerà la settimana a casa con l'influenza o peggio - fece una voce, dietro di lui. Sherlock strinse gli occhi, Jim Moriarty non portava mai niente di buono.

- Credevo fosse ancora in giro per la Gran Bretagna, professore - rispose, incurante della pioggia che penetrava anche all'interno del suo colletto.

- Da quando siamo così formali Holmes? - rispose Jim, facendosi più vicino.

- Da sempre - sentenziò Sherlock, guardandolo dritto negli occhi. Non era cambiato, aveva sempre quell'espressione gelida e annoiata, al moro ricordava un serpente  - Ho saputo che ha preso casa a Londra, proprio vicino ai miei genitori -

- Avrebbe preferito venissi a vivere con lei in Baker Street? So che ha tanto spazio in quell'appartamento. Sperava di dividerlo con qualcuno? - chiese Jim sogghignando.

Sherlock normalmente non alzava mai le mani, era convinto che le parole potessero bastare e le risse erano cose che lasciava alle persone meno intelligenti. Ma Jim Moriarty gli faceva sempre venir voglia di un combattimento corpo a corpo.

Il professore lo stava ancora fissando, con quegli occhi indagatori e subdoli. Holmes cominciò a sentire freddo, non sapeva dire se fosse per la pioggia che lo aveva inzuppato da capo a piedi o se fosse per la vicinanza di Jim, per cui decise di mettere fine a quella orribile conversazione.

- Buon pomeriggio Moriarty - esclamò soltanto e se ne andò.

Sherlock tornò a casa di corsa, cercando di non pensare a John che sorrideva a qualcuno che non era lui, John che era felice senza di lui, John che prendeva la mano di Mary e passeggiava per le vie della città, come non aveva mai potuto fare con lui.

Arrivò in Baker Street e sbatté la porta talmente forte, che la padrona di casa corse al piano di sopra per chiedere cosa fosse successo.

- Per favore signora Hudson, mi lasci da solo - gridò il moro, facendo sobbalzare la povera donna.

- Volevo dirle solo che è arrivata una lettera per lei - rispose la signora Hudson, passandogli una busta e andando via velocemente.

Non era una delle sue lettere, la busta era bianca ed elegante. Molto costosa. Sherlock la aprì ed impallidì. Sarebbe stato un tipico momento in cui affermare "il gioco è iniziato", ma, questa volta, non ne aveva proprio voglia.



***** *****

Sherlock si chiuse nel suo appartamento per giorni, la signora Hudson cominciò seriamente a preoccuparsi. Aveva provato a contattare il fratello, ma era andato via per degli affari urgenti. I genitori non li conosceva se non di fama e la donna non voleva dare loro altro motivo perché si lamentassero del figlio, così decise di chiamare l'unica persona che aveva visto assieme al moro.

La signora Hudson spedì un telegramma urgente al dottor Watson, chiedendo di passare il prima possibile. Fortunatamente l'uomo la accontentò; nonostante il suo istinto gli dicesse di non andare, John non poteva lasciare Sherlock in difficoltà, soprattutto conoscendo  i suoi trascorsi. Prese il cappotto, la bombetta e corse fuori di casa senza nemmeno avvisare Mary di dove stesse andando.

Se la signora Hudson era preoccupata, c'era davvero qualcosa che non andava.


***** *****

Angolo autrice:

Grazie a tutti i fedeli lettori :)))
Spero sia chiaro quando si passa dal falshback al 1856, ma se qualcosa non fosse chiaro, non esitate e fatemelo sapere.

Alla prossima!!


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Capitolo 4
*** Nell'occhio del ciclone ***



Cap. 4  Nell'occhio del Ciclone



Quindici anni prima

Sherlock era seduto nell’ufficio del Preside. La sua famiglia era troppo importante e il Preside non avrebbe mai osato cacciare il rampollo della famiglia Holmes da Oxford; ma il ragazzo insisteva col metter in dubbio che Carl Powers fosse morto di morte naturale, arrivando addirittura ad accusare uno dei suoi compagni di classe, James Moriarty, della morte dello studente.

Non contento, aveva anche allertato Scotland Yard e un giovanissimo agente gli aveva creduto al punto che aveva iniziato delle indagini, rischiando di far scoppiare uno scandalo nella prestigiosa università.

Il giovane agente Greg Lestrade, si era fatto impressionare dalla perfetta ricostruzione della dinamica dei fatti e soprattutto dell’esistenza di un movente.

Il giovane Moriarty non era di famiglia nobile, eppure con qualche misterioso aiuto esterno era riuscito ad entrare a Oxford. Per mantenersi però, aveva avviato un giro poco pulito all’interno dell’università. Essenzialmente scommesse e sostanze non consentite.

Carl Powers, infastidito dall’intelligenza e dalla genialità del "ragazzo del popolo", così lo aveva definito, aveva minacciato di denunciare i suoi giri.

Come conseguenza, Moriarty sarebbe stato espulso e nessuna Università lo avrebbe più preso e per questo motivo Holmes riteneva fosse stato lui ad uccidere Carl Power, prima che potesse denunciarlo; il fatto era che c’era soltanto la parola di Sherlock a testimonianza e null’altro. Nessuno avrebbe ammesso di essere immischiato in certi giri.

L’agente Lestrade per poco non era stato sbattuto fuori per la sua iniziativa e Sherlock rischiava lo stesso se avesse continuato su quella strada.


Fortunatamente, Moriarty aveva assicurato che non intendeva sporgere denuncia né altro, ma il giovane Holmes non sembrava demordere, così era finito nell’ufficio del preside, con Mycroft che lo rimproverava per le sue inutili indagini.

Alla fine, onde evitare altri problemi, gli Holmes, su suggerimento di Mycroft, fecero trasferire il figlio a Cambridge, evitando così che fosse espulse ma causando loro un certo imbarazzo. Era il primo Holmes a non laurearsi a Oxford.

Sherlock non aveva mai dimenticato quell’episodio ed era sicuro che dietro a tutto ci fosse Moriarty.


***** ******

Londra, 1856

Sherlock era seduto in poltrona, quando John entrò di corsa nel suo appartamento. Il moro aveva già sentito i suoi inconfondibile passi per le scale e se una parte di lui sapeva che doveva immediatamente mandarlo via, l’altra, quella incosciente, aveva tanta voglia di vederlo. La seconda prevalse, solo per pochi secondi.

- Sherlock, cosa succede? – chiese il dottore - Da quanti giorni non mangi? – aggiunse guardandolo meglio.

- John devi andartene, subito - rispose il moro, mettendosi in piedi.

-  Non me ne vado finché non mi dici cosa sta succedendo. La signora Hudson è preoccupata -

Sherlock non sapeva cosa fare. Doveva mandare via John, era troppo pericoloso.

-  John mi sembrava avessi detto che è finita e sei andato avanti –

-  Non significa che non tenga a te – fece Watson, guardandolo fisso negli occhi.

Il cuore di Sherlock mancò un battito, sarebbe stato più difficile del previsto mandarlo via.

- John sono io che non ti voglio vedere, non mi interessa di quello provi, l’hai detto anche tu che alla fine a me non importa di nessuno. È vero, avevi ragione, se mi fosse importato di te non me ne sarei andato. Ora se mi vuoi scusare ho cose più importati da fare -

- Stronzate Sherlock – rispose John, abbastanza sicuro di sapere quando Sherlock mentiva. E questa era una di quelle volte.

- Vattene John, qui non c’e niente che sia affar tuo – rincarò Holmes con una punta di panico nella voce. Doveva mandarlo via velocemente, era troppo rischioso.

- Su questo hai ragione, c’è un problema e non vuoi parlarmene perché pensi di dover fare da solo – ribatté il dottore.

- Mi saresti solo di intrigo – rispose Sherlock, sta volta più duramente.

John abbassò lo sguardo. Era così tipico da parte del moro. Era evidente che c’era un problema, ma non gliene avrebbe parlato. Preferiva tenersi tutto per se. Questa era la fonte di tutte le cose che non andavano fra loro: i fragorosi silenzi.

Sherlock non era abituato a esternare, a condividere i propri pensieri. All’inizio poteva essere interessante avere a che fare con un uomo così misterioso, ma alla lunga era estenuante.

- Sai che ti dico?- sbottò John - Non ho voglia di giocare a questo gioco, quando avrai bisogno di aiuto sai dove trovarmi – Non era lui quello che era andato via e non sarebbe stato lui a strisciare ai suoi piedi. Infilò la porta e se ne andò, con un enorme peso sullo stomaco.

Sherlock ringraziò che John avesse deciso di andarsene, anche se il fatto che si fosse arreso cosi presto, non poté che farlo stare ancora peggio.

Qualche ora dopo la signora Hudson bussò alla sua porta consegnando un’altra lettera. Di nuovo una busta bianca e elegante.

Caro sig. Holmes,
Credevo di essere stato chiaro quando le avevo imposto nessun contatto con John Watson.
Ci saranno delle conseguenze.
Scelga lei a chi farle pagare: Greg Lestrade o Mrs Hudson. Scriva col gesso sulla finestra una L o un a H quando avrà scelto.
Ovviamente se non lo farà entro mezzanotte, deciderò io per lei.

Sherlock si precipitò alla finestra, chiedendosi chi lo tenesse sotto controllo e dove fosse nascosto. Sfortunatamente non vide nulla di particolare.

Doveva ragionare in maniera logica, non aveva senso lasciare al suo aguzzino la scelta, doveva farlo lui in maniera ponderata. La signora Hudson abitava al piano sotto al suo, era decisamente più facile tenerla al sicuro rispetto all’ispettore Lestrade. Quest'ultimo andava in giro per Londra, anche per zone malfamate, sarebbe stato facile farlo fuori e farlo sembrare un incidente. No, la scelta doveva per forza essere la H.

Sherlock eseguì le istruzioni e rimase in attesa alla finestra. Non vide nessuno rivolgere lo sguardo verso la H, ma era sicuro che lo stessero tenendo d’occhio. Scese al piano di sotto e rimase a vigilare la porta della signora Hudson fino alla mattina del giorno dopo. Non era successo niente, forse la minaccia era a vuoto.

La signora Hudson alle 10 decise di uscire per fare le commissioni e Sherlock si offrì di accompagnarla. Cosa che stupì la donna, ma fu contenta di avere compagnia.  

Quando arrivarono all’edicola più vicina, l’orrore si dipinse sul volto di entrambi. In prima pagina su diversi quotidiani capeggiava il titolo “donna irreprensibile o moglie di assassino spacciatore?

Era un articolo di sei colonne che minuziosamente ricostruiva la vita della signora Hudson, coinvolta in vari episodi di dubbia moralità, con un passato di donna di malaffare, sposata con un criminale e dipendente dalle sostanze stupefacienti.

I passanti stavano già occhieggiando la donna, che guardò con occhi terrorizzati Sherlock, prima di correre a rifugiarsi a casa.

Ecco il prezzo di cui parlava il suo ricattatore.

Sherlock si sentiva terribilmente in colpa, l’unico che poteva aiutarlo a questo punto, era il fratello. Gli avrebbe raccontato tutto, non aveva tempo da perdere.

Mycroft era al Diogene's club come sua consuetudine, quando Sherlock fece irruzione ignorando il voto del silenzio e trascinando il fratello nell’unica sala dove era concesso parlare.

- Mi spieghi questa invasione? – fece il maggiore degli Holmes.

- Sono in un pasticcio enorme. Non so come uscirne senza il tuo aiuto – fece Sherlock tutto d’un fiato. Quella confessione gli era costata tanto. Ammettere di avere bisogno di Mycroft era qualcosa che lo infastidiva terribilmente.

- Dimmi - fece Mycroft, con tono quasi comprensivo.

- Ti ricordi le lettere di cui ti parlavo? Erano lettere per John Watson. Se non lo sai già, lui ed io avevamo una storia –

- Lo avevo capito. E immagino il contenuto di quelle lettere - rispose Mycroft, con un certo disappunto per l’ingenuità del fratello.

- Qualcuno le ha prese e me lo ha fatto sapere. Non solo, è anche entrato nel mio appartamento mentre eravamo in India e ha rubato le lettere che John aveva scritto a me mentre stavamo assieme. Ora le usa per ricattarmi, non so a quale scopo. Mi ha scritto che se non la smetto di occuparmi di casi di Scotland Yard e non sto lontano da John, succederà qualcosa alle persone che mi stanno attorno. Ho contravvenuto, mio malgrado,  alla seconda regola, e la signora Hudson ne ha fatto le spese sta mattina sui giornali -

-  Ho visto – rispose il fratello, senza mutare espressione.

-  Perché dovrebbero avercela con me? È ovvio che vogliono arrivare a te o a nostro padre –

Seguì un silenzio, interrotto solo dal ticchettio dell’orologio della sala.

- Sherlock, onestamente non so come aiutarti – fece Mycroft, voltando lo sguardo.

- Scherzi? Sei l’unico che può farlo-

- Non sappiamo con chi abbiamo a che fare, non sappiamo cosa vuole. È troppo presto -

-  E io cosa dovrei fare?- chiese Sherlock esasperato.

- Stare tranquillo finché non farà la sua inevitabile mossa fratellino. Di certo non si accontenterà di sorvegliarti e basta. Se vuole qualcosa da noi, te lo chiederà. Se tu od io agiamo, probabilmente forniremo altre frecce al suo arco –

Sherlock fu preso dallo sconforto. Era davvero convinto che Mycroft avrebbe risolto tutto. 

Tornò a a Baker Street, senza idee. Quando arrivò nel proprio salotto  trovò  un’altra lettera. Con una certa ansia prese la busta, sperando che questa volta, avrebbe fatto delle richieste esplicite. La mossa che Mycroft stava aspettando.

La aprì e lesse velocemente le parole.

Correre a piangere del fratellone è una mossa stupida sig. Holmes.
Chi butta dalla torre ora? Lestrade o Harriet Watson? L o W?


Sherlock tirò un calcio alla sedia, che si infranse contro il muro. Questa volta non avrebbe scelto, qualunque scelta gli si sarebbe ritorna contro. Si sentiva impotente e  inutile.

Perché coinvolgere Harriet? Solo perché era la sorella di John? Lestrade era stato il primo a dimostrarsi gentile con lui, lo aveva aiutato con il caso di Carl Powers. Gli aveva creduto quando nessuno lo aveva fatto. Ma Harriet? Non la conosceva nemmeno.

Non chiuse occhio, in attesa dei giornali del giorno dopo.

All’alba Sherlock corse all’edicola più vicina. Come da copione, i giornali titolavano “Moglie di importante uomo, stimato dalla società e difensore dei valori tradizionali, tradisce il marito con la cameriera”.

A Sherlock venne voglia di vomitare.

- Titoli interessanti non trovate? – fece un’inconfondibile voce accanto a lui. Jim Moriarty fissava Sherlock con fare da predatore.

-  Non ho tempo per voi Moriarty – rispose il moro, troppo preoccupato dal degenerare della situazione.

-  Questo Magnussen si diverte con i pettegolezzi, solo che la sorella di Watson rischia la vita – continuò imperterrito il professore.

- Questi quotidiani sono tutti di sir Charles Augustus Magnussen?- chiese Sherlock, sorpreso.

- Già, il Napoleone del ricatto -

- Come dite? – chiese ancora più stupito. Non si era mai interessato di politica e pettegolezzi.

- Come credete abbia tanto potere? Pubblica queste notizie che rovinano la gente e nessuno l’ha ancora fatto fuori, deve avere più di un asso nella manica. Ci sono persone che non meritano di vivere, Sherlock - fece Jim, parlando più con se stesso che con il moro.

- Nessuno ha il diritto di decidere chi vive e chi muore. E non sono Sherlock per voi, sono il signor Holmes – ripose duramente.

- Come volete. A parer mio però, c’è un’unica soluzione per far tacere un uomo del genere -

- Come con Carl Powers? - chiese il moro a bruciapelo.

- Non fingete che la sua morte non sia stata un bene. Voleva denunciare anche voi per aver comprato da me alcune sostanze e soprattutto per i nostri giri di poker -

- Avrei affrontato le conseguenze - rispose piatto.

- Parlate facile voi, sareste caduto in piedi, nessuno tocca un Holmes. Io sarei finito a chiedere la carità per strada, nessuno mi avrebbe aiutato. Carl era invidioso perché eravamo intelligenti e brillanti e lui aveva solo i soldi. E poi diciamolo Sherlock, quando ha annunciato la Vostra cotta per Victor Trevor a tutta l’università, non ditemi che non avreste voluto appenderlo fuori dalla finestra. Il povero Victor cambiava strada quando vi incontrava nei corridoi, non è stato abbastanza imbarazzante? -

Sherlock ebbe un senso di nausea. Victor Trevor, il primo ragazzo che gli avesse suscita un minimo interesse, ed era stato rifiutato in maniera così patetica.

- Non avrei mai fatto del male a Powers, Mi sarei accontentato di colorargli i capelli di verde. O forse, quest'ultima cosa, l’ho fatta in effetti. - rispose Sherlock, con un leggero sorriso.

E Moriarty rise, avvicinandosi - Già, vi avrebbe denunciato anche per quello -

- Eliminarlo, Jim, è stato più che sbagliato -

-  Finire in prigione e sprecare la mia intelligenza sarebbe stato sbagliato, per cosa poi? Per un bullo invidioso. Vedrete che vi  stuferete di stare dalla parte degli angeli Holmes. Si perde sempre a stare da quella parte e le persone soffrono. A voi non piace soffrire non è vero?  -


***** *****

Anche John aveva visto i titoli dei giornali. Prima la signora Hudson e ora sua sorella. Per fortuna il marito di Harriet aveva liquidato tutto con “sciocchezze da tabloid” e data la sua importanza, le autorità non avrebbero mai proseguito portando la moglie in giudizio, ma John sapeva che c’era un fondo di verità e sua sorella non sarebbe uscita di casa per giorni dalla vergogna.

Quello di cui John era sicuro, era che il denominatore comune fosse Sherlock; troppe erano le coincidenze: lui che si chiudeva in casa e si rifiutava di vederlo, i tabloid scatenati contro persone connesse con Holmes.

John pensò che l’unica soluzione era vederlo lontano da Baker Street.

Gli mandò un telegramma, dicendogli di incontrarsi nel loro posto segreto e "minacciando" che se non si fosse presentato avrebbe fatto nuovamente irruzione in casa

Due ore dopo erano entrambi in un piccolo angolo di Hyde park, nascosto dalla vista dei curiosi

- Cosa succede Sherlock? –  chiese Watson, guardando il suo meraviglioso ex ragazzo, con l'aria sciupata di uno che non mangiava e non dormiva da giorni.

- Niente che possiamo fermare John, questo è il problema - rispose.

-  Spiegami -

Sherlock gli raccontò delle lettere, dei ricatti, di Magnussen e di suo fratello.

- Deve esserci qualcosa che possiamo fare - fece John risoluto.

-  Tipo? - chiese Holmes, sperando davvero che il biondo avesse un'idea che lui non aveva ancora considerato.

-  Non lo so. Sherlock, da quanto  non mangi? - chiese John avvicinandosi.

- Qualcuno prende di mira tutti quelli che conosco e tu ti preoccupi se mangio? -

-  Non voglio che tu stia male - fece Watson.

Sherlock lo fissò negli occhi, quei suoi splendidi occhi blu, così particolari perché al moro ricordavano un mare calmo in cui poteva scatenarsi una tempesta da un momento all'altro.

-  Posso chiederti una cosa? -

John annuì.

- Sei felice? -

John sembrò soppesare la domanda.- È una domanda difficile -

- No, è semplice - ribatté Holmes.

-  Due anni fa ero davvero felice Sherlock, anche se spesso mi sentivo come travolto. Non era così facile stare con te, ci sono tante di quelle cose che non dici. Poi è tornata Mary, il mio primo amore, con lei ...beh è tutto più semplice ma, diciamo che mi accontento di essere abbastanza felice - fece John con la voce leggermente incrinata, come scosso da quella improvvisa presa di coscienza.

Si guardarono e John cominciò ad accarezzare le mani del moro. Senza accorgersene si stavano abbracciando, sempre meno timidamente, finché si stavano baciando. Con estrema passione, quella che non c’era con Mary. John non si rendeva neanche conto che le mani andavano da sole avanti e indietro. I gemiti stavano diventando troppo alti e John si trovò a mettere una mano sulla bocca di Sherlock.

– Ti prego, non ci devono scoprire -

Holmes non stava ascoltando, lo abbracciò più forte e lo trascinò a terra con poca grazie. Si sistemò sopra di lui e col cervello completamente annullato si strusciò avanti e indietro, velocemente e senza far caso al fatto che stava praticamente urlando il nome di John e che erano ancora completamente vestiti.

Vennero insieme, come era sempre stato. Sherlock si trovò con gli occhi lucidi e il viso nascosto nell’incavo del collo di Watson – hey stai bene? – chiese il dottore.

- No, non va bene cosi –

- Lo so-

Sherlock si mise piano in piedi, le gambe che tremavano.

-  Devo andare John, qualcuno potrebbe vederci –

John sembrava ancora in stato di shock.

- Vado e forse è davvero meglio che stai lontano finché non risolvo questa storia  - continuò Holmes.

- E' più facile a dirsi che a farsi -

Sherlock non capì se si riferiva allo stargli lontano o al risolvere la questione. Cosa era difficile da fare?

Holmes corse a casa, evitando di pensare a quello che era appena accaduto. Purtroppo una nuova lettera lo attendeva a Baker Street. Quando Sherlock la vide sul tavolino del salotto, sentì i succhi gastrici che si agitavano nello stomaco.

Mi prende per stupido?
Pensa di poter vedere John Watson senza che io lo sappia?
Sta volta sarà divertente. John o Mary Watson? J o M? A lei la scelta. Tic toc

Era il definitivo Game over. Non avrebbe mai messo John in pericolo. Per cui stava scegliendo Mary. John glielo avrebbe perdonato?

Non si rese nemmeno conto di aver già scritto M sul vetro, era come in trance, quella situazione era completamente assurda.

Non poteva andare avanti così e non poteva coinvolgere un'altra persona; per quanto odiasse Mary  per avergli portato via John, o più che altro per essere quella che ora lo rendeva felice al suo posto, non poteva non sentirsi  in colpa.

Un pensiero gli passò per la testa, Moriarty aveva ragione e Magnussen andava fermato con ogni mezzo, anche a costo di usare la pistola che aveva nel cassetto.


***** *****

Angolo autrice:

So che John e Mycroft sono un po' defilati per il momento... ma avranno il loro ruolo andando avanti.

Grazie a tutti e alla prossima!

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Capitolo 5
*** Fronte temporalesco ***



Cap. 5 - Fronte temporalesco




3 anni prima

John conosceva Sherlock da poche settimane, ma sentiva già di non potergli stare lontano. Cercava sempre qualche scusa per andarlo a trovare, per trascinarlo a teatro o passeggiare vicino al Tamigi. Holmes era decisamente un uomo misterioso, non si lasciava andare facilmente né condivideva i suoi pensieri. Ma c'erano dei momenti in cui i loro silenzi erano più rumorosi delle parole che avrebbero potuto dire.

Una mattina come tante, John era uscito di casa e si era diretto in Baker Street, con l'intento di convincere Sherlock a seguirlo a Candem Town. Quando arrivò nell'appartamento, il moro stava suonando il suo violino. Era di spalle alla porta, concentrato sulla melodia che stava suonando.

John non l'aveva mai sentita prima, sembrava composta apposta per lui, era qualcosa di inebriante e travolgente. Si fermò a guardarlo sulla porta, era come una creatura perfetta e irraggiungibile; il biondo si immaginò di avvicinarsi, iniziare ad accarezzargli piano le braccia e abbracciarlo, baciargli il collo mantenendo una mano sul suo petto e l'altra a cingerli la vita.


Non capì come quei pensieri gli fossero entrati nella testa, John non aveva mai avuto fantasie su di un uomo, non si accorse nemmeno che Sherlock aveva smesso di suonare e lo stava guardando.

- Tutto bene John? - chiese il moro, fissandolo curioso. Si era sempre chiesto se John si fosse mai accorto dell'elettricità che si formava nell'aria quando erano vicini. Gli sembrava di toccare il cielo con un dito, pensiero molto sciocco per la sua mente razionale.

- Volevo ... - iniziò titubante John, non ricordava nemmeno perché fosse andato lì. Continuava a pensare a come sarebbe stato interessante aprire lentamente ogni singolo bottone di quella strettissima camicia che indossava il moro.

Sherlock lo squadrò, lanciandogli uno sguardo leggermente malizioso.

- Vorrei... - cercò di continuare John.

- Io vorrei che tu finissi una frase John - rispose Sherlock, beffardo.

- Era una melodia meravigliosa! - esalò soltanto Watson, con il cervello svuotato.

- Sono contento di sentirtelo dire, l'ho composta per te - fece Holmes, appoggiando il violino e avvicinandosi al biondo.

John sentì che l'aria era sempre più elettrica, se ne era accorto eccome di quello che accadeva quando erano vicini; non riusciva a togliere gli occhi da quelli di Sherlock. Quando il moro fu a un passo da lui, John arretrò e andò a sbattere contro la porta d'ingresso.

- Si può sapere che ti prende? - chiese Sherlock con una finta ingenuità, utilizzando il tono di voce più caldo e profondo che possedesse. Ora la sua bocca era a un centimetro da quella di Watson. Il biondo era incollato alla porta, ma niente lo avrebbe fatto spostare da lì.

Il moro si morse le labbra e aprì gli occhi in un'espressione mista di un finto stupore e di uno sguardo da cucciolo. Watson deglutì nervosamente, mentre Holmes gli stampò un casto bacio sulle labbra.

Solo in quel momento, John capì che William Sherlock Scott Holmes non aveva la benché minima esperienza e scoppiò a ridere, per rilasciare tutta la tensione accumulata fino a quel momento. Sherlock arretrò con un'espressione ferita - Non occorre infierire -

- No, Sherlock scusa - fece Watson, prendendolo per una mano. Si avvicinò piano e gli accarezzò una guancia - Ti rendi conto che sarà tutto dannatamente complicato per noi? -

- Farei di tutto per te - rispose Sherlock, senza alcuna esitazione.


***** *****


Holmes stava uscendo di corsa di casa, quando si trovò davanti una persona inaspettata. Mary Watson era lì, ferma davanti all'ingresso di Baker Street, con la mano alzata come se stesse per bussare alla porta.

- Devo parlarle signor Holmes - fece lei, il tono leggermente disperato.

- Non ho davvero tempo in questo momento - rispose brusco, aveva in mente solo dirigersi da Magnussen e dargli quello che voleva, qualunque cosa fosse.

- Harriet, la sorella di mio marito, ha tentato il suicidio - fece lei piano.

Un brivido percorse Sherlock: non poteva che essere colpa dei titoli dei giornali. Ma era tutto a posto, John gli aveva assicurato che  Harriet non avrebbe avuto problemi. Perché quella scelta così definitiva?

- Ha provato a tagliarsi i polsi, l'hanno trovata nella sua camera - continuò Mary, ora che sembrava avere l'attenzione di Holmes.

- Perché lo state dicendo a me? - chiese Sherlock.

- Perché non trovo John da nessuna parte. Mi ha detto che pomeriggio vi sareste visti, che a volte indagavate assieme -

Sherlock ripensò a quel pomeriggio e a quello che era successo. Tutto era, fuorché del tempo passato ad indagare.

- Avete provato al lavoro? - fece lui, iniziando a preoccuparsi. Se John aveva saputo del tentato suicidio di Harriet, sarebbe corso anche lui da Magnussen per fargliela pagare.

- Si, lì non c'era - rispose lei, visibilmente agitata.

- D'accordo, voi tornate a casa ad aspettarlo, mi occupo io di trovare vostro marito - fece lui, gli ingranaggi del cervello che lavoravano velocemente. L'unico posto dove andare era a casa di Magnussen, lì avrebbe trovato John o avrebbe fermato Magnussen. In ogni caso, nessuno a cui teneva sarebbe più stato in pericolo.

- Grazie signor Holmes - fece Mary con gli occhi lucidi.

Sherlock sentì quel "grazie" come un pugno nello stomaco, assestato bene. Aveva appena scritto l'iniziale di Mary sulla finestra, i giornali del giorno dopo avrebbero rivelato delle notizie su di lei. Harriet aveva tentato il suicidio e in via indiretta era tutta colpa sua.

La cosa doveva finire e subito.


***** *****


James Moriarty era comodamente seduto su una poltrona nella casa della famiglia Holmes, la madre di Sherlock aveva deciso di invitare il loro nuovo vicino per un tè delle 5.


- Ho la sensazione di conoscerla signor Moriarty - fece la signora Holmes.

- Ero ad Oxford con suo figlio - rispose cordialmente.

Mycroft, che stava facendo finta di leggere un quotidiano, lo scrutava dalla propria poltrona - Mia madre non ha buona memoria per i nomi. E tende a rimuovere i dettagli - Avrebbe voluto aggiungere "dettagli dolorosi". I genitori di Sherlock non avevano preso bene quando il figlio era quasi stato sbattuto fuori dall'Università perché aveva accusato di omicidio un altro studente. E Mycroft non aveva nessuna intenzione di rivelare che quello studente era seduto nel loro salotto.

- Nessun problema - rispose Jim, in maniera affabile.

La conversazione proseguì in maniera molto cordiale e Moriarty non poté che esserne soddisfatto. Uscì da casa degli Holmes all'ora di cena; appena fuori si accese una sigaretta, cominciava a sentire un bisogno impellente di nicotina. Prese una boccata come se stesse baciando un tenero amante, finché non vide una testa mora e riccia, camminare velocemente e con aria furtiva. Moriarty sollevò gli occhi al cielo per l'ingenuità dell'uomo. Buttò a terra la sigaretta e seguì il piccolo Holmes, il passo che puntava dritto alla casa di Sir Magnussen.


**** ****


Sherlock aveva appena messo Mary su una carrozza e aveva fatto a piedi tutta la strada fino alla villa di Magnussen. Gli serviva per riflettere e al contempo caricarsi per quello che avrebbe docuto fare; gli avrebbe parlato, lo avrebbe minacciato, sperava davvero di non dover usare quella pistola. Non aveva mai sparato a nessuno né aveva mai avuto intenzione di farlo, ma si sentiva solo e abbandonato da tutti, nemmeno suo fratello gli aveva teso una mano.  

Quella sorta di gioco al massacro doveva finire, nessun altro avrebbe pagato per i vili ricatti di quel sadico.

Soprattutto sperava di trovarlo ancora vivo, non voleva che fosse John a fare il lavoro sporco e finire in prigione, non lo avrebbe mai sopportato.

Holmes scavalcò con facilità il muro esterno della casa e con sorpresa trovò Magnussen in giardino, seduto su una sedia, intento a bere un whisky. Sembrava lo stesse aspettando.

- Buonasera sig. Holmes, notte ideale per una visita. Mi chiedevo quando ci saremmo incontrarsi dal vivo - fece cordiale.  Sherlock lo trovò ancora più viscido.

- Bastava chiederlo, non occorrevano le lettere e i ricatti - rispose guardandosi attorno. Sembrava che in casa non ci fosse nessuno a parte loro.

- Quello era per attirare la vostra attenzione - rispose

- Avete la mia attenzione - affermò.

Magnussen appoggiò il bicchiere e si alzò in piedi, avvicinandosi al moro - Cosa credete che io voglia? -

- Potere? Qualunque cosa sia vi state rivolgendo all'Holmes sbagliato. Perché non avete ricattato direttamente mio fratello? -

- Questa è una domanda interessante, non trovate? Certo, vederla fremere, chiudersi in casa, essere costretto a scegliere, mi ha dato un gran piacere. Pensa che John Watson vi perdonerà? Prima sua sorella e adesso sua moglie! -

- Vi rendete conto che non posso permettervi di continuare? - rispose brusco il moro, la mano che si avvicinava alla pistola che aveva in tasca.

- E cosa pensate di fare? Siete solo un piccolo e insignificante snob che non si è mai sporcato le mani in tutta la sua vita -

Così dicendo Magnussen si girò per riprendere il whisky e gli diede le spalle. Sherlock sospirò e tirò fuori la pistola, mirando dritto alla testa - Addio Magnussen! - affermò con voce incrinata e la mano tremante.

L'uomo si voltò e fissò Holmes premere il grilletto. Dalla pistola non uscì alcun proiettile. Sherlock riprovò ma l'arma doveva essere inceppata.

Magnussen scoppiò a ridere, stranamente non c'era panico nella sua voce - Patetico, vi siete dimenticato di caricare l'arma? Ho altro materiale con cui ricattarvi ora. Tentato omicidio -

Non fece in tempo a finire la frase che un proiettile attraversò il giardino e lo prese dritto al cuore. L'uomo cadde a terra, con un'ombra di stupore sul volto.

Sherlock lo fissava stranito, gli sembrava come di essere in uno strano sogno; si voltò sicuro di sapere chi si sarebbe trovato davanti. La figura che gli apparve però, non era quella di John Watson. Aveva i capelli più scuri e lo guardo più subdolo.

- Benvenuto dall'altra parte Holmes! Ve lo avevo detto che stare dalla parte degli angeli era noioso - fece Moriarty avvicinandosi, la pistola fumante ancora in mano.

Sherlock continuava a passare lo guardo da Moriarty, alla pistola, a Magnussen steso a terra, privo di vita.

- Holmes, avranno sentito lo sparo, è davvero il caso che ci leviamo da qui - continuò il professore, strattonando Sherlock che sembrava ancora in catalessi. Sherlock non fece obiezioni e lasciò che Moriarty lo guidasse fuori dalla proprietà di Magnussen. Uscirono dal retro, in modo che nessuno li vedesse e corsero attraverso i vicoli più nascosti per giungere velocemente in città.

- Cosa ci facevate nella proprietà di Magnussen? - chiese il moro, che sembrava essersi ridestato.

- Vi ho visto e vi ho seguito, non è tanto lontano da casa mia - fece il professore.

- Perché? -

- Ero semplicemente curioso di vedere quale lato avevate scelto. E nel caso dare una mano. Dovreste ringraziarmi, è davvero sciocco andare ad un omicidio con una pistola scarica. -

Sherlock gli lanciò un'occhiata infastidita.

- Non penso avremo bisogno di un alibi ma, sarebbe meglio procurarcene uno. Oggi c'è la prima del Don Giovanni a teatro, conosco un ingresso secondario, non sorvegliato. A quest'ora saranno quasi alla fine del primo atto. Se nella pausa ci facciamo vedere nell'atrio, tutti crederanno che eravamo lì dall'inizio -

- Avete un cervello che lavora velocemente Jim - rispose Sherlock, ammirato e spaventato al tempo stesso.

- Jim? - chiese Moriarty compiaciuto - Come ho già detto, sarebbe uno spreco chiudere il mio cervello in un prigione e penso lo stesso per voi. Il cappio al collo non è per niente sexy -





La meravigliosa immagine non è di mia proprietà ma è stata reperita in internet.




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Capitolo 6
*** La quiete dopo la tempesta ***



Cap. 6 - La quiete dopo la tempesta



John era rimasto seduto per terra, in quell'angolo di Hyde Park, per almeno un'ora. Aveva tradito Mary; per ben due volte aveva baciato Sherlock e aveva avuto un orgasmo, in quell'erba dove era seduto.

Qualcuno ricattava Sherlock, e le persone che gli erano accanto, lui compreso, erano pedine in quel folle gioco.

Aveva voglia di piangere, era così sciocco e infantile ma ne sentiva il bisogno. Aveva appena superato la scomparsa misteriosa di Sherlock ed ecco che era tornato, vivo e vegeto e con un disperato bisogno di aiuto. John voleva proteggerlo ma non sapeva come fare. Il moro, solitamente così brillante, non aveva trovato alcuna soluzione. John che si sentiva così ordinario, in confronto ad Holmes, come poteva trovare una soluzione migliore?

Si sentiva in colpa, Sherlock era solo e stava lottando per tutti e lui non gli era nemmeno corso dietro quando era andato via.

Paura, ecco cos'era. Non voleva soffrire di nuovo.

Era ancora lì seduto, perso nel chiedersi se avrebbe comunque sposato Mary, se lei non fosse rimasta in cinta. Era così felice di poter avere una famiglia, che aveva messo da parte Sherlock e la sua scomparsa, ma poi lei aveva perso il bambino. Non ne era pentito, lui ne era innamorato, ma non avrebbe fatto tutto così in fretta.

La sua mano sfiorò la pistola che aveva in tasca, l'aveva portata per sicurezza, aveva immaginato che Sherlock gli avrebbe raccontato di qualcosa di grave. Il capitano Watson aveva già ucciso delle persone in guerra, ma mai a sangue freddo. Ma non sarebbe rimasto lì inerme, mentre qualcuno rovinava le vite delle persone a lui care.

Si alzò e si diresse verso la casa di Magnussen. Sapeva che l'uomo abitava nella zona residenziale, proprio vicino a dove abitavano i genitori di Sherlock. Non voleva dare nell'occhio per cui  scelse di andare a piedi, nessun cocchiere doveva raccontare di averlo visto in quella zona.

Quando fu a pochi passi dalla casa, cominciò a sentire il cuore che martellava forte. Lo faceva per Sherlock e per Harriet e per tutti quelli che sarebbero stati rovinati da quel vile. Stava valutando se ci fosse un'entrata nascosta ai passanti, quando udì uno sparo. Rimase immobile, il cervello che lavorava velocemente, doveva andarsene via o rischiava di essere sospettato per qualcosa che nemmeno aveva fatto. Si girò e trovò davanti Mycroft Holmes.

- Ha sentito anche lei lo sparo? - chiese il maggiore degli Holmes, con un leggero panico nella voce. Appena percettibile.

- Si, certo che l'ho sentito - rispose il dottore, ringraziando di avere almeno un testimone che gli avrebbe creduto.

Mycroft fissò il cancello e poi esalò soltanto - Chiamo Scotland Yard, se ne vada dottor Watson, o dovrebbe spiegare perché era da queste parti con una pistola in tasca -


***** *****

John rientrò a casa  dopo l'una, stravolto. Sapeva soltanto che qualcuno aveva sparato nella villa di Magnussen e nient'altro.

Mary lo abbracciò in lacrime, lo rimproverò per essere sparito per tante ore e gli raccontò del tentato suicidio di Harriet. John ricambiò l'abbraccio con sguardo vuoto, cosa era successo? Harriet stava bene, sembrava tranquilla, come mai non si era accorto che era così sconvolta da tentare il suicidio? E perché Mycroft aveva avuto tanta fretta di mandarlo via?

Inutile dire che non chiuse occhio tutta la notte, tormentato da quello che era accaduto e quello che aveva quasi fatto.

Il giorno dopo il dottore corse al 221b, tutti i giornali titolavano la morte dell'editore, non c'erano indizi ne sospetti. John lesse i titoli con un sorriso liberatorio, forse tutto era finito, niente più ricatti.

Quando il dottore entrò nell'appartamento, trovo Sherlock seduto sulla sua poltrona, con le consuete mani giunte sotto il mento. Non aveva dato cenno di aver avvertito la sua presenza.

- Sherlock tutto bene? - fece il dottore piano.

Il moro riaprì gli occhi e lo fissò intensamente, anche lui non aveva dormito ed era più stanco che mai  - Sei allegro, direi che hai visto i giornali -

John si accomodò di fronte a lui, sulla poltrona rossa, teatro di tante conversazioni - Scotland Yard ti ha già chiesto aiuto? -

- Non ancora, ma spero lo faccia presto. Almeno avrei un pretesto per perquisire la casa e recuperare le nostre lettere -

John non sapeva se dirgli che durante l'omicidio era nei pressi della villa, che stava per eliminare Magnussen. Non sapeva come avrebbe giudicato il moro, questa sua azione.

- Chi pensi sia stato? - chiese il dottore, immaginando che Sherlock avesse già una qualche teoria.

- Non lo so John, credo avesse molti nemici - mentì Holmes.

- Ho pensato che magari tuo fratello avesse ingaggiato qualcuno - continuò incoraggiante il dottore. Sapeva che Mycroft Holmes aveva contatti con tutta la Gran Bretagna e gli sembrava davvero strano che avesse lasciato il fratello in difficoltà.

- Può essere - commentò stancamente il moro.

John notò che Holmes era più monosillabico del solito. - Sherlock stai bene? - chiese per la seconda volta.

- Credo di si, Harriet? - rispose, deviando il discorso.

- Devo andare da lei, adesso -

John davvero non capiva, gli sembrava di essere sprofondato di nuovo in uno di quei momenti di quando stavano insieme e Sherlock si rifugiava nel mutismo più totale. Non era un cosa che Watson  riusciva a capire, lui era abituato a parlare dei problemi, non a isolarsi in un inutile silenzio.

Non poteva sapere che Sherlock aveva il cervello in corto circuito per aver provato a sparare a Magnussen e che stava cominciando a pensare che Moriarty avesse ragione, che ogni tanto occorreva passare dall'altra parte e fare tutto quello che era necessario fare.

- D'accordo John, buona giornata - rispose soltanto Sherlock, alzandosi dalla poltrona e dirigendosi verso la sua camera, senza guardarlo in faccia.

Il dottore lo fissò turbato, ma lo conosceva abbastanza da sapere che non avrebbe detto altro.


***** *****

Qualche ora più tardi, anche il maggiore degli Holmes si diresse a casa di Sherlock.

A differenza del dottore, temeva che Sherlock fosse coinvolto in quello che era successo e che anzi avesse avuto un ruolo fondamentale.

Per quel motivo aveva contattato personalmente Scotland Yard e aveva richiesto l'ispettore Lestrade, che ancora gli doveva un favore per non essere stato licenziato quando aveva aiutato Sherlock nella sua indagine ad Oxford.

Mycroft sapeva che l'ispettore lo avrebbe lasciato entrare nella villa assieme a lui, così avrebbe potuto constatare cosa era successo e se c'era qualche indizio da nascondere. Fortunatamente, quando fece irruzione nella villa assieme agli agenti, notò che tutto era pulito e sapeva che a Scotland yard nessuno sarebbe stato così sveglio da unire i puntini.

Quando arrivò a Baker Street, trovò Sherlock nuovamente seduto in poltrona, in attesa del presunto arrivo dell'ispettore Lestrade.

- Sherlock, hai saputo di Magnussen? - chiese il fratello, senza salutare.

Sherlock gli lanciò uno sguardo gelido - Occorre che menta Mycroft? -

Il fratello lanciò sul tavolino una serie di lettere, recuperate a casa di Magnussen mentre gli altri agenti perquisivano le altre stanze. Non erano ben nascoste e per Mycroft era stato molto facile trovarle. Quasi troppo facile.

Sherlock fissò le lettere, indeciso se provare gratitudine per il fratello che le aveva recuperate o fastidio per avere di nuovo quelle parole a tormentarlo. Odiava ogni singolo "ti amo" che aveva scritto e aveva ricevuto.

- Come hai potuto farlo Sherlock? - chiese il fratello, con una leggera morsa nello stomaco.

- Tutto il  mio mondo era crollato, stava crollando... cosa potevo fare? - chiese il moro, con un leggero panico nella voce ma anche un profonda rabbia.

- Cosa intendi? -

- Cosa intendo? Scherzi? Ho vissuto tutta la vita da escluso, sono sempre stato solo. Anche i nostri genitori non mi sopportano -

- Non è vero - ribatté Mycroft.

- Ma per favore, non ci credi nemmeno tu. Sono delusi, non sanno cosa farsene di me. Ma non è nemmeno colpa loro, è solo colpa mia se tutto è andato in malora. Non avrei dovuto seguirti, non avrei dovuto aiutarti in India. Mi avevi detto che era una cosa di qualche mese e siamo stati lì due anni -

- Vuoi darmi la colpa per gli uragani, Sherlock? - rispose Mycroft, alzando leggermente il tono della voce. Il fratello era davvero così fragile? Come aveva potuto non rendersene conto?

- Avevo solo John, mi ero illuso di poter essere felice. Non c'è niente di peggio di scoprire cosa sia la felicità e poi vederla sparire. Avevo John e ora non non più. Non c'è altro da dire. Avrei fatto qualunque cosa per tenerlo al sicuro, mi stupisce che tu non mi ritenessi capace di uccidere qualcuno - rispose pacatamente Sherlock, che dalla rabbia era passato ad una sorta di rassegnazione.

- No, ho sottovalutato la cosa, è vero - fece Mycroft - Brucia le lettere prima che diventino di nuovo un problema - continuò, sentendosi terribilmente in colpa.


***** *****
 
Mycroft  uscì da Baker Street profondamente turbato, non credeva che le cose sarebbero andate in quel modo. Salì sulla propria carrozza, giusto in tempo per vedere che qualcun altro stava andando a trovare il fratello. Non poteva più scendere a patti con sé stesso, doveva risolvere la faccenda.

Sherlock stava cercando di mettersi a suonare, per evadere un po' da quel mondo che non lo voleva, quando sentì altri passi per le scale.

- E' la giornata delle visite allora - commentò soltanto, guardando Jim Moriarty sul suo uscio.

- Nervoso? Perché? Tutti i problemi sono risolti, avevo ragione io, non credete? A volte è necessario un taglio netto - rispose Jim entrando, senza attendere che fosse invitato ad accomodarsi.

Sherlock lo fissava con sguardo assente.

- Tutti abbiamo delle ombre, dei lati oscuri. Non occorre sentirsi dispiaciuti, abbiamo fatto quello che doveva essere fatto - continuò il professore.

- Lo so. Avrebbe distrutto il mio mondo -

- Ma non hai sparato, non c'è sangue sulle tue mani - rispose Jim, con tono lieve.

- Caso fortuito. Anche se non sono l'autore materiale del fatto, avrei comunque sparato. Ho fatto una scelta. - constatò Sherlock,  cercando di non dare a vedere che ne era comunque turbato - Come fai a conviverci? - chiese poi, sollevando uno sguardo innocente.

Moriarty sorrise, per  essere finalmente passati dal formale "voi" al colloquiale e più intimo "tu" - Parli di Magnussen o di Carl Powers? -

- Entrambi - 

- Carl avrebbe distrutto il mio, di mondo. Come ti dicevo, alcune persone meritano di morire. E Magnussen, bè non avrei lasciato un damigello in difficoltà - sogghignò.

Moriarty uscì da Baker Street poco dopo, lasciando uno Sherlock stranito e più convinto che non provare niente fosse molto più salutare che preoccuparsi. I sentimenti erano davvero devastanti.


***** *****

Harriet era distesa a letto, le bende attorno ai polsi, inequivocabile testimonianza di quello che aveva fatto.

- John non chiedermi niente, mi sembra di essere pazza. Io non so come sia successo - affermò tristemente Harriet.

- Cosa intendi? - chiese John accarezzandole il viso.

- Ho cenato, poi sono andata in camera mia e mi sono svegliata con Arthur che mi stringeva. Dopo mi hanno portata in ospedale. Non ricordo di essermi tagliata i polsi John, io non so come sia accaduto -

John non sapeva cosa risponderle. Aveva ragione, era una cosa strana. Sua sorella non era la persona più equilibrata che conoscesse, ma non sembrava intenzionata a togliersi la vita. Rimase a parlarle ancora un po', cercando di non affaticarla, finché Harriet sembrò piuttosto provata e John ritenne fosse tempo di congedarsi. Salutò lei e Arthur e si incamminò verso casa.

Arrivato all'altezza di Hyde Park, sentì una voce che lo chiamava da dentro una carrozza. Si avvicinò e vide Mycroft Holmes, più pallido del solito.

- Dottor Watson, salga, dobbiamo urgentemente parlare - fece l'uomo, con tono perentorio che non ammetteva repliche.

- Di che cosa? -

- Di chi. Il professor James Moriarty. Ho fatto un gravissimo errore e non posso rimediare senza il suo aiuto -



***** *****

Angolo autrice

Grazie a tutti quelli che stanno leggendo. Spero che la storia resti all'altezza delle aspettative.

Alla prossima

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Capitolo 7
*** Grandine ***


Cap. 7 Grandine


15 anni prima

Sherlock era seduto da solo, ad un tavolo della mensa universitaria. Mangiava quasi sempre da solo e la cosa non lo stupiva, spesso aveva messo in fuga gli altri studenti deducendo ogni cosa di loro, compreso con chi avessero dormito la sera prima. Non era sua intenzione apparire scontroso o saccente ma finiva sempre per sembrare entrambe le cose.

In quel preciso momento stava riguardando gli appunti di matematica, quando Jim Moriarty si sedette accanto a lui.

- Hey Holmes, poker sta sera? – chiese il ragazzo, certo che Sherlock non avesse altro da fare.

- No, vado alla partita di rugby –  rispose, senza alzare gli occhi dagli appunti.

Jim lo guardò credendo ad una battuta, il sarcasmo del moro era difficile da cogliere a volte.

- Mi prendi in giro? Non capisci niente di Rugby. Senza contare che quelli della squadra ti hanno usato come sacco di boxe, molte volte - ribatté Moriarty.

Sherlock alzò per un attimo lo sguardo, come per cercare qualcuno tra i tavoli.

- Ah, ho capito, Victor Trevor - fece Jim seccato - Si è messo in mezzo l’ultima volta, ha evitato che ti menassero. Non avevo capito ti piacesse Lancillotto, Sherlock. –

Sherlock non disse niente, così Jim continuò - Potresti almeno scegliere uno che sa che la Terra è rotonda –

Sherlock rise, mettendo da parte gli appunti - Victor studia lettere, ma non è un’idiota totale –

Era vero, Victor era stato buono e gentile, non lo aveva trattato come un essere strano. E non era stupido, non era brillante come loro due ma era in gamba e a Sherlock bastava.

- Almeno uno a cui piacciono gli uomini allora – aggiunse Moriarty e Sherlock non poté che rabbuiarsi. Victor poteva anche adorare la poesia e il suono del violino, ma non per questo si sarebbe innamorato di lui.

Sherlock stava ancora pensando a quanto fosse solo, quando comparve alle loro spalle uno della squadra di Rugby, l'unico che sembrava avere come missione nella vita quella di tormentarli  - Cosa ho sentito? Di cosa stanno parlando il ragazzo del popolo e lo strambo? –

- Vattene Carl – fecero in coro Sherlock e Jim.

- E' vero strambo? Sei innamorato di Victor? Trevor hai sentito? Hai un ricco spasimante – urlò Carl Powers, mentre tutti i ragazzi presenti in mensa si giravano in attesa della rissa.

Sherlock sbiancò, paralizzato dall'imbarazzo. Cercò nuovamente Victor tra i tavoli e vide che gli ricambiava un'espressione gelida. Il moro sentì una leggera fitta allo stomaco.

Moriarty intanto rimase impassibile - Carl, mi chiedevo, come fai a sapere quanto sei ricco se non sai nemmeno contare? -
 
Holmes a fianco rise, contento che almeno Jim avesse avuto una reazione all'attacco immotivato del loro compagni di università.

- Cosa hai detto? - ribatté Powers fronteggiando Moriarty - È vero che i tuoi erano talmente poveri che ti hanno venduto? Vivevate in uno scatolone vero? Probabilmente avrete mangiato i miei rifiuti qualche volta –

Jim non aspettò nemmeno un secondo prima di scavalcare il tavolo e saltare addosso a Carl, ma il ragazzo era il doppio di lui e riuscì facilmente ad atterrarlo. Sherlock intervenne per evitare che Moriarty continuasse la rissa, il ragazzo stava già sanguinando dal naso e anche altri studenti si misero in mezzo per bloccare Carl.

Powers lo guardava con disprezzo, non avrebbe mai messo le mani addosso a Holmes, sapeva che la sua famiglia era importante e sarebbe stato espulso. Ma con Moriarty era diverso,  nessuno se ne sarebbe curato e non perdeva occasione per cercare di umiliarlo.

- Stupido, cosa credi di fare? - chiese Carl, torreggiando su Jim - Posso farti sbattere fuori quando voglio –

Sherlock e Jim si guardarono, lo sguardo assassino del secondo che elaborava l’ultima minaccia ricevuta.

Due sere dopo, Sherlock era chiuso nella sua stanza, seduto a terra con lo sguardo triste. Davvero non riusciva a capire come potesse essere successa una cosa del genere. Inoltre, sapeva che i suoi genitori avrebbero preso male la sua iniziativa di rivolgersi a Scotland Yard e questo lo rendeva ancora più malinconico. Possibile che non gli credessero mai? Perché doveva essere solo un fastidio per loro?

Improvvisamente sentì qualcuno bussare alla porta; quando aprì si trovò davanti un furente Jim Morarty, Sherlock non lo aveva mai visto così adirato.

-  Mi hai denunciato? Tu più di tutti avresti dovuto capirmi! - urlò lo studente.

Sherlock lo fissò impassibile, non si era mai reso conto di quanto poco lo conoscesse. Era stato ingenuo, solo perché avevano delle affinità intellettuali, credeva di sapere chi avesse davanti. Aveva pensato che erano entrambi degli outsider, ma Moriarty era qualcosa di molto più oscuro.

 -  Io non sono un assassino - ribatté Holmes - E non avrei mai ucciso Carl. Era uno stronzo ma nessuno può decidere chi vive e chi muore. Non sono come te -


- No, tu stai dalla parte degli angeli, ma sei come me, disposto a tutto - continuò facendosi sempre più vicino, Sherlock poteva sentire il suo cuore battere velocemente.

- Cosa vuoi fare Jim, annegare anche me?- chiese Holmes con sfrontatezza. Non riusciva ancora a credere che l'unica persona che avesse mai potuto definire amico, avesse ucciso una persona per vendetta.

Jim parve rifletterci un attimo ma poi affermò soltanto
- No, non tu. Per te ho in serbo qualcosa di meglio. Buona serata - Uscì sbattendo la porta e Sherlock si chiese cosa potesse avere in mente.

Il successivo cambio di Università gli impedì di scoprire se fosse stata una minaccia a vuoto o meno.


***** *****

- Dove stiamo andando?  - chiese John Watson, accomodandosi nella carrozza accanto a Mycroft.

- La accompagno a casa, non possiamo farci vedere assieme a lungo, mi tengono d’occhio, probabilmente controllano anche lei. Non 24 ore su 24 ma, non possiamo rischiare – rispose l'uomo.

- Mycroft di cosa stiamo parlando? Magnussen è morto – rispose il dottore.

Mycroft sospirò, pensando alla fine che aveva fatto Magnussen e cercò di archiviare momentaneamente tutti gli errori che aveva commesso - John, non era lui il vero problema, abbiamo a che fare con qualcuno di più subdolo. La prego deve tenere al sicuro mio fratello –

 - Chi è questo Moriarty? -

- Sherlock non ne ha mai parlato? Un suo compagno di scuola, mio fratello lo aveva accusato di omicidio - rispose Mycroft.

- Quindi? Cosa c’e che non mi dice? - sbottò John, notando che Mycroft sembrava sul punto di confessare qualcosa ma poi tratteneva la lingua tra i denti.

- Tutto quello che non dico è per la sua sicurezza, per il momento ho solo bisogno che tenga d’occhio Sherlock. Moriarty è pericoloso. Sono sicuro che se lei ne parlerà con Sherlock, lui capirà, tiene molto a lei e alla sua opinione -

John sorrise in maniera triste - Non così tanto, altrimenti mi direbbe cosa gli passa per la testa -

- Questo è proprio l’atteggiamento sbagliato, lasciarlo solo con i suoi pensieri. - l'unica certezza di Mycroft era che Sherlock non doveva restare da solo a rimuginare, la sua mente così perfetta e brillante sembrava avere poche difese dagli attacchi esterni. Come un sasso gettato nello stagno così un pensiero che penetrava nella sua testa, per quanto piccolo, poteva espandersi in maniera distruttiva.

- Mycroft, o mi dite tutto o tanto vale farmi scendere dalla carrozza. -

- D’accordo,  ma è una storia lunga. Circa 20 anni fa  lavoravo per un ministro, avevo appena iniziato la carriera politica. Successe che la mia famiglia era sull’orlo del fallimento, per degli investimenti sbagliati. Dovevo fare qualcosa e lo feci. Speculazione, sapevo come sarebbe stata votata una legge prima che questa fosse approvata e lo sfruttai per guadagnarci. Non fui il solo, anche il ragazzo che lavorava come cameriere per il ministro, un brillante ragazzo di nome James Moriarty.

Io misi a posto la mia famiglia e lui ebbe i soldi per andare all’università. Eravamo d’accordo, nessuno dei due avrebbe parlato o saremmo finiti nei problemi entrambi. Quello di cui non mi ero reso conto era che non c'erano prove contro il ragazzo. Nessuno avrebbe creduto che il ministro si era fatto raggirare da un ragazzino e soprattutto che avesse i soldi per fare un investimento del genere. A quanto pare la sua rete di ricatti era iniziata molto presto. 

All’università conobbe Sherlock, andavano stranamente d’accordo, forse perché erano entrambi degli emarginati. Poi ci fu il problema dell’omicidio e da allora non lo vidi più. Ovviamente fui io a scoraggiare le indagini nei suoi confronti, se accusato di omicidio non si sarebbe fatto problemi a vendere me per la speculazione.

Passarono gli anni e io cercai di tenerlo d'occhio, ma il professor Moriarty, genio com’era, riuscì a mettere insieme una fortuna con i suoi traffici. È molto ricco e i soldi comprano molte cose. Anche cecchini senza scrupoli. Ho provato a bloccarlo, ho cercato tramite altre persone di incriminarlo, ma ha capito che c'ero io dietro.

Qualche anno fa mi disse che dovevo fare quello che mi chiedeva o tutte le prove che aveva conservato della mia speculazione sarebbero finite in prima pagina sui giornali trascinando nel fango la mia famiglia; saremmo finiti in carcere sia io che mio padre, non potevo permetterlo. Avremmo perso tutto, mia madre e Sherlock sarebbero finiti a mendicare agli angoli delle strade.

Mi disse che se gli fosse successo qualcosa, qualcuno avrebbe eliminato Sherlock, per cui di non considerare idee alternative. Non potevo dire niente a mio fratello, è troppo impetuoso e avrebbe reagito, non si sarebbe piegato, anche a costo di morire. Ero in trappola, così quando mi disse di trascinare Sherlock in India  io lo feci. Non potevo sapere che avrebbe trovato il modo di intercettare le sue lettere -

John era rimasto a fissare incredulo il fratello di Sherlock per tutto il tempo, sentendo una rabbia montargli dentro. Non sapeva se era più adirato con quel Moriarty o con Mycroft che aveva permesso tutto questo - Qual è lo scopo? Vendicarsi? -

- Ho una mia teoria, ma non ne sono del tutto sicuro. E fare congetture adesso potrebbe essere pericoloso. Forse vuole vendicarsi di Sherlock che l'ha denunciato e di me perché ho provato a fermarlo E' uno psicopatico. Il problema è che ora Sherlock sembra fidarsi di lui -

- Cosa? - chiese John, improvvisamente gli mancava la terra sotto ai piedi.

La carrozza frenò bruscamente e Mycroft aprì lo sportello per far scendere Watson - Siamo arrivati dottore, la prego, non lasci solo mio fratello - fece congedandosi.

John avrebbe avuto ancora molte domande ma capì dala faccia impassibile dell'uomo, che la conversazione era finita.

Scese dalla carrozza e si preparò ad affrontare nuovamente Mary, sapendo di non poterle raccontare niente.


***** *****

Quella sera Sherlock era incastrato all'ennesima festa a casa Holmes. Nonostante non avesse voglia di vedere nessuno, era una buona occasione per parlare con Mycroft e avere un alibi per quello che stava per fare.

Guardò fuori dalla finestra, le ore di luce erano sempre più brevi. La pioggia incessante del pomeriggio si era trasformata in un grandinata molto forte che aveva fermato molti degli invitati dall'avventurarsi per Londra per raggiungere la residenza degli Holmes. Sherlock temeva che sarebbero intervenuti solo i familiari e i vicini e non era molto felice di rivedere il suo compagno di omicidi James Moriarty.

Dovette evitare diverse conversazioni con diverse ragazze, in attesa che Mycroft si liberasse, per potergli parlare in confidenza.

Appena notò il fratello da solo si avvicinò e lo trascinò in disparte per non farsi sentire - Mycroft devo entrare in casa di Magnussen, non hai recuperato tutte le lettere - esalò velocemente. Se ne era accorto nel pomeriggio, mancavano tutte quelle più compromettenti.

L'altro alzò gli occhi al cielo - Saranno nascoste fratellino, non c’è motivo di rischiare, la proprietà è sigillata e Scotland Yard sta svolgendo le indagini -

- Non mi hanno chiamato, altrimenti le avrei recuperate io. È strano, brancolano nel buio e non mi chiamano  - rispose Sherlock, frustrato.

- Ho detto io a Lestrade di non chiamarti, che ti ho visto stanco. Direi che è meglio che tu stia lontano dalla scena del crimine -

- Mycroft  se le trovano ...-

- Cosa? So che di te non te ne frega niente, visto che eri disposto a rischiare l’impiccagione per omicidio, per cui lo fai per John? - sbottò infastidito - O vuoi essere beccato? Spiegami questa tua tendenza autolesionista -

- Se non vuoi aiutarmi, farò da solo - ribatté senza scomporsi.

Mycroft si morse le labbra e lo trattenne per un braccio - Aspetta. Sherlock devo dirti delle cose -

Il fratello cercò le parole giuste, un modo per frenare quella spirale autodistruttiva in cui Sherlock si stava cacciando. Non fece in tempo a dire niente perché vennero raggiunti dalla persona meno gradita in quel momento, il professor Moriarty - Tutto bene qui? Litigio tra fratelli? Ho sentito che suo padre la stava cercando Mycroft Holmes-

Mycroft glì lanciò uno sguardo di disprezzo ma non si mosse, non avrebbe lasciato da solo il fratello.

Sherlock, intanto, aveva sollevato lo sguardo oltre Jim, con un leggero sorriso, estremamente triste. Moriarty intercettò la faccia e si voltò a guardare chi o cosa avesse catturato l'attenzione del moro.

- Oh, John Watson, il tuo nuovo Lancillotto - fece Jim, sprezzante.

Mycroft fissò Jim, come se improvvisamente avesse una conferma di un precedente pensiero.

John vide Sherlock e Mycroft e abbandonò la moglie per dirigersi verso di loro. Man mano che si avvicinava avvertiva la tensione tra Mycroft e lo sconosciuto che stava parlando con loro, e a quel punto capì che era il misterioso Moriarty.

Quando fu a un passo da loro, assunse l'espressione più glaciale che possedesse e allungò una mano verso l'estraneo - Credo che nessuno ci abbia presentati -

Jim fu sorpreso dal tono dell'uomo - Professor James Moriarty - rispose affabile ma con una punta di disprezzo.

- Dottor John Watson - fece serio e poi si rivolse al moro, ignorando completamente il fastidio che trapelava dal professore - Sherlock posso parlarti in privato? –

Sherlock sorrise e fece per rispondere, ma poi vide Mary che fissava lui e John con un'espressione preoccupata  - Non mi sembra il momento -

- Dottor Watson, come sta sua sorella? - chiese Jim con uno strano luccichio negli occhi.

John non trattenne uno sguardo di odio profondo, che fu immediatamente notato da Sherlock. Sentì lo stomaco contrarsi, com'era successo che si era spinto così in là, cos'era diventato? Era un uomo che John avrebbe odiato. Il suo dottor Watson non lo avrebbe mai capito, non lo avrebbe più amato. Non un assassino.

Non disse niente e si dileguò in giardino a fissare la grandine che ricopriva i tetti. Niente aveva davvero più senso.



***** ****
Angolo autrice

Grazie a tutti come sempre. Capitolo un po' di transizione, ma forse alcune cose sono un po' più chiare adesso...spero.  
Alla prossima!!

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Capitolo 8
*** Addio John ***


Angolo autrice:
Devo fare una premessa ai lettori, ma se qualcuno odiasse gli spoiler di qualunque  tipo, gli consiglio di saltare questa premessa e andare direttamente al capitolo.

Posso solo dire, fedeli lettori, di avere fiducia nel mio amore per i lieti fine e non mandarmi a quel paese a metà capitolo. Sappiate che mancano ancora almeno due capitoli. Il ché vuol dire che supererò i soliti 8, cosa che non accadeva da "Gli abissi della mente".

Un abbraccio e alla prossima!



Cap. 8 - Addio John



Per un attimo sembrò che Jim volesse seguire Sherlock in giardino, ma John fu più veloce e Moriarty non poté far altro che occhieggiare infastidito in direzione della schiena del dottore.

Ricordandosi che comunque lui era Jim Moriarty, riprese il solito contegno e si rivolse all’altro Holmes   - Avete detto qualcosa a vostro fratello?  -

Mycroft mantenne un’espressione gelida.
 
-  Devo ricordarvi la minaccia? Quello che potrebbe accadere la vostra famiglia? Ma soprattutto siete disposto a sacrificare vostro fratello? - continuò Jim.

Mycroft non disse niente niente, ma stava già elaborando un piano, non poteva continuare ad essere ricattato da Jim.

Sherlock era in giardino, affranto e distrutto come non era mai stato. Si sedette su un gradino e scoppiò a piangere. Non riusciva a fermare i singhiozzi. Pianse davvero, per la prima volta dopo tanto tempo, per aver perso John, per la felicità che non avrebbe più ritrovato, per aver provato ad uccidere un uomo, per essersi fidato di Moriarty, l’emblema di quello che non voleva diventare, per essere la causa indiretta di molti problemi.

Non vedeva soluzione ai suoi problemi, ma poi la soluzione arrivò da lui, sedendosi accanto e abbracciandolo. Sherlock appoggiò il viso sulla sua spalla e lo strinse forte a propria volta.

John prese ad accarezzargli i capelli dolcemente - Povero amore mio, cosa ti  succede Sherlock?

- È troppo tardi John, per me, per noi. Non sai cosa ho fatto non hai idea. Non.. -

- Sherlock di cosa stai parlando? - fece John, interrompendolo.

- Magnussen  - affermò freddo Sherlock, un nome che racchiudeva tutto.

- Sei stato tu? - chiese John stupito. La mente che pian piano elaborava i pezzi.

- La mia pistola non ha sparato, ma è come se lo avessi fatto - rispose mesto.

Gli occhi di Watson si rabbuiarono - Non dirmi, guarda caso è stato Moriarty a sparare? -

Il moro si staccò da John. Lo fissava come se lo avesse appena messo a fuoco - Come fai a saperlo? -

- Dobbiamo parlare Sherlock, ma devi promettermi che non farai niente di stupido -

- John hai capito cosa ho detto? ho sparato ad un uomo a sangue freddo - ribatté Sherlock, come una condanna.

- Io stavo per fare la stessa cosa, ero lì quella sera, non ci siamo incrociati per pochissimo. Ho sentito lo sparo. -

A Holmes venne da vomitare, aveva sconvolto la vita di John, la persona a cui più teneva al Mondo. Avrebbe preferito rimanere in India, piuttosto che creare tanti problemi.

John passò le dita sulle lacrime che rigavano il volto del suo amato.

- Fidati di me,vai a casa, non aprire a nessuno e aspetta il mio arrivo ok? -

- D’accordo - rispose Sherlock, con poca convinzione.


****** *****


John era seduto nella carrozza a fianco di sua moglie, stava meditando come iniziare la conversazione con Mary. Le voleva bene, ci teneva a lei, ma alla fine non era Sherlock.

La moglie sospirò, più forte, e John si voltò a fissarla.

- Tutto bene? - chiese il dottore.

- John. Non stai davvero pensando di lasciarmi vero? - rispose la moglie.

John la fissò sbigottito

- Credi che sia una povera ingenua? So tutto di te e Sherlock. Ma non capisco come tu possa pensare di divorziare da me per avere una storia che non ti porterà mai a niente! -

- Come fai a sapere di me e Sherlock? - chiese perplesso.

- Non hai nemmeno il coraggio di negare? John pensaci, con me puoi essere felice e al sicuro - affermò la bionda decisa, senza incertezze nella voce.

- Al sicuro? - chiese Watson, fissando la moglie con fare indagatore.

Mary sembrò colta alla sprovvista, come se avesse parlato troppo.

- Mary di cosa stai parlando? -

- John, tu non potrai mai stare con Sherlock. Non lo permetterà. Pubblicherà le tue lettere e finirai impiccato. Solo le tue, solo quelle che compromettono te, ma non Sherlock. E se farai qualcosa per opporti, magari lo ucciderà. Ma non lascerà mai che qualcuno stia con Sherlock -

- Stai parlando di Jim Moriarty? Ti prego dimmi di no.  -

Mary deglutì e prese a torturarsi le mani.

- Mi stai dicendo che tu sei d’accordo con lui? - continuò John.

- Io ti amo John e avrei fatto qualunque cosa per riconquistarti. Quando sono tornata non mi calcolavi più di tanto e poi ho capito il perché, Jim Moriarty me l’ha detto. Ma mi ha detto anche di portare pazienza, che Holmes sarebbe stato presto fuori gioco e potevo farmi avanti, avrei riempito un vuoto -

John si passò una mano sulla fronte - Non ci credo. Eri davvero in cinta almeno? E hai fatto finta per tutto il tempo? Di non sapere chi fosse e tutto il resto?-

Mary boccheggiò ma non osò negare.

- Sono proprio un’idiota - affemò il biondo, distogliendo lo sguardo.

- Avrei fatto qualunque cosa per te - ribatté la moglie, cercando la mano del marito.

- Come puoi essere d’accordo con lui? Uno psicopatico che... -

- Io lo capisco - affermò lei, seriamente.

- Cosa? -

- John, lui è innamorato di Sherlock e anche lui farebbe qualunque cosa! -

A John venne un brivido, ora tutto aveva un senso. Moriarty non voleva vendicarsi. Voleva trasformare Sherlock nel suo fidanzato psicopatico. Spingerlo a uccidere per dimostrargli che era come lui, fargli credere che non avesse nessun altro, che fosse solo.

Non poteva lasciare che Jim rovinasse la persona migliore che avesse mai incontrato. Quel gioco perverso doveva finire subito.


***** *****


2 giorni dopo

Sherlock era seduto nel solito angolo di Hyde Park, dove si era incontrato con John solo qualche giorno prima. Stava aspettando il dottore ed era leggermente nervoso; non riusciva a stare tranquillo dopo l’ultima conversazione che avevano avuto subito dopo la festa a casa dei genitori.

John come promesso era andato da lui in Baker Street e all’apparenza sembrava tutto chiaro.  Ma Sherlock non era tanto fiducioso, non quando avevano a che fare con Moriarty.

Watson arrivò alle sue spalle, le mani dietro la schiena - Ciao Sherlock -

Sherlock alzò lo sguardo, stranito dal tono di voce - John. Tutto bene? -

- Non proprio -

 - Cosa succede? -

John si sedette e fissò il moro a lungo - Lo so che avevamo detto che avremmo trovato un modo, ma ci ho pensato tanto, era come dicevo all’inizio, come posso fidarmi che questa volta sarò al primo posto? Che non sparirai, non deciderai che sono troppo noioso che.. -

- John, perché questi dubbi? - chiese Sherlock, agitandosi.

- Ho pensato a lungo. Io amo l’adrenalina, le situazione complicate, la damigella in pericolo. Ma finito tutto questo, cosa resta? Con Mary è tutto normale, posso avere un futuro. Con te, no - fece tutto ad un fiato, come se dovesse levarsi un peso.

- Qualcuno ti sta minacciando John? - chiese Sherlock, facendosi serio.

Watson sembrò stupito – No Sherlock, non mi farei impaurire da una minaccia. È solo che ho capito che non amo te, ma come mi fai sentire. Ma questo è passeggero, non durerà - concluse tristemente.

Sherlock cercò di ricacciare alcune lacrime e prese a fissare a terra.

- Sherlock, io mi sento malissimo per quello che ti sto facendo, ma capirai anche tu che è la cosa migliore - fece il dottore, senza il coraggio di guardarlo.

Il moro mantenne lo sguardo più duro e freddo che avesse mai avuto e fulminò il dottore - Vattene John, per favore! -

Fu il turno di John di guardare a terra; non disse niente ma prese e se ne andò, lasciando Sherlock seduto sulla panchina, presumibilmente a chiedersi cosa fare.

Rimase lì alcune ore, finché non apparve Jim Moriarty - Sherlock, davvero dovresti avere più cura di te stesso. Sta piovendo a dirotto e sei fermo lì da un un bel po', a giudicare da quanto sei zuppo. -

- Due ore e 15 minuti esatti - da quando il suo cuore si era fermato.

- Hai intenzione di rimanere lì? - chiese Jim, avvicinandosi.

- No, tra poco mi alzerò e mi ricorderò come si cammina. Forse. - fece Holmes con voce piatta.

- Qualunque cosa ti sia accaduta, non essere così drammatico. La vita continua, le cose cambiano - rispose Jim, improvvisamente più allegro.

- Hai ragione, le cose cambiano -  E fece un tiratissimo sorriso.


***** *****


Una settimana  dopo

John era in fila davanti al teatro dell'Opera assieme a Mary. C’era l’anteprima di un nuovo spettacolo e Mary teneva particolarmente ad essere presente. Buona parte della gente importante era accorsa da tutta Londra per partecipare all’evento.

Mary stringeva forte la mano del marito, contenta che alla fine l’uomo fosse rimasto con lei.

-  John, non reagire male ma c’e il professor Moriarty - fece la moglie, addocchiando Jim tra la folla. Anche lui li vide e non potrè trattenere una certa soddisfazione.

- Tranquilla Mary, avevi ragione tu, non potrei avere una vita normale. -

La bionda sorrise, felice di quanto amava il suo John.

Moriarty si avvicinò, con passo sicuro - Dottor Watson, che piacere venderla con sua moglie -

- Professore, è qui da solo? - chiese Mary.

- No, sto aspettando Holmes in effetti. - rispose con un ghigno.

Mary temette una reazione violenta  del marito che non arrivò. Si limitò a stringere i pugni e guardarlo male.

John si congedò trascinando via Mary e non toccarono più l’argomento per l’intero spettacolo. Ogni tanto il dottore cercava tra il pubblico se riusciva a vedere una testa riccia, ma non lo vide da nessuna parte.

Uscì dal teatro alla fine dello spettacolo, ma si accorse subito che qualcosa non andava. C’era un gran vociferare e parecchie persone che parlottavano fra loro, scuotendo la testa. Si fece largo nella calca, quando vide la carrozza di Mycroft.

Il maggiore degli Holmes scese, mentre tutta la folla lo fissava e si diresse verso Watson.

Anche Moriarty si fece largo. Mary notò subito che Sherlock non era con lui.

- Mycroft dov'è suo fratello? - Chiese il professore in maniera brusca.

L'uomo di ghiaccio, con voce leggermente incrinata, si rivolse al dottore – Complimenti John, le avevo solo chiesto di non lasciarlo da solo. Non pensavo potesse fare addirittura peggio -

- Di cosa sta parlando? - chiese Watson, con una punta di panico.

- Mio fratello ha lasciato questo biglietto  - fece Mycroft, togliendo dalla tasca una lettera ed esibendola ai suoi interlocutori.

A John stava battendo il cuore all’impazzata, al punto che gli sembrò di non avere la forza di alzare la mano e prendere il pezzo di carta.

- Date qua! – esclamò Jim, strappandolo dalla mano di Mycroft

Caro John,
Grazie per essere stato mio amico,
Grazie per essere stato al mio fianco,
Grazie per avermi fatto sentire un essere umano,
Grazie per essere stato tutto il mio Mondo.
Scusa per tutto. Ti auguro ogni felicità, te la meriti, sei la persona migliore che abbia mai conosciuto.
Per me non è più tempo, non mi interessa più.
Addio John.
Per sempre tuo,
Sherlock

A John mancò la terra sotto i piedi e anche Jim sembrò sconvolto.

- Non ci credo che si è suicidato, non farebbe una cosa del genere – gemette John, prendendo Mycroft per la giacca e fissandolo intensamente, come a sperare che fosse uno scherzo.


- Se non lo crede possibile, venga lei stesso a identificare il corpo. Io non ho intenzione di rivedere mio fratello - fece Mycroft, la voce quasi un sussurro.

John si sentì svenire, cercò di tenersi su Mary ma finì a terra, con la moglie che cercava di sorreggerlo.

Moriarty fissò la scena impotente, non capendo come poteva essere successo. Questa ipotesi non era contemplata, non aveva pensato che il suo gioco l’avrebbe spinto a quel gesto.

John Watson non riusciva a respirare, non riusciva ad alzarsi. John Watson era stato un uomo ordinario della mezza borghesia. Ma non era sempre stato così e non avrebbe più potuto esserlo, mai più. Non ora che aveva perso il suo Sherlock. Aveva sbagliato tutto.

Tornò a casa con la morte nel cuore; Mary  non ebbe il coraggio di aprire bocca.

John entrò nella loro camera e si chiuse dentro. La moglie sapeva che il marito doveva riprendersi per cui si diresse in cucina a preparare un té. Aveva appena preso in mano una tazzina, quando sentì quel rumore sordo.

Uno sparo e un tonfo. Prese a respirare più velocemente, corse verso la loro camera, ma era chiusa a chiave. Batté forte sulla porta, chiamò John, ma non ebbe alcuna risposta.

Stava ancora urlando, quando Lestrade e un altro agente che avevano sentito lo sparo, fecero irruzione in casa. Mary li guardò annaspando

- Proveniva da qui? - gridò Lestrade, lei annuì ma non riusciva a muoversi. L'ispettore la spostò e buttò giù la porta della camera.


Mary vide con la coda dell'occhio, il marito a terra e il sangue attorno. Si portò le mani sulla bocca e svenne.


****** *****

Una figura alta stava fumando una sigaretta. Era appoggiato al muro, guardando le navi in partenza.

- Le sigarette la uccideranno - affermò una voce.

L'altro uomo gettò la sigaretta a terra e sorrise al nuovo arrivato.

- Tutto è andato come previsto, ispettore Lestrade? -

- Si signor Holmes -


***** *****

Angolo autrice:
Ho optato per una narrazione più veloce, visto il susseguirsi di eventi.
Grazie a tutti quelli che sono arrivati fino a qui
Alla prossima!


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Capitolo 9
*** Si dirada la nebbia ***


Cap. 9 Si dirada la nebbia




Torniamo alla sera della festa a casa Holmes...


John si alzò dal gradino, passando un'ultima volta la mano tra i capelli del moro e ritornò in casa Holmes. Sherlock decise di fidarsi di John, della sua unica fonte di luce nella nebbia che lo aveva circondato e senza aspettare ulteriormente lasciò la casa, passando dal giardino e si diresse in Baker Street.

Watson rientrò nella sala cercando di mantenere un'espressione normale, non di un predatore che stava puntando la preda, nella fattispecie James Moriarty. Fece per andare da Mary e portarla a casa, in modo da avere il tempo di tornare da Sherlock ed elaborare un piano, ma venne bloccato da Mycroft, che gli si piantò davanti con aria fintamente cortese

- Dottor Watson, non vada via così velocemente, vorrei presentarle una persona - così dicendo fece un gesto verso l'ispettore Lestrade.

- Ovviamente ci conosciamo già, aiutavo Sherlock e Scotland yard  fino a qualche anno fa - rispose con una punta di rammarico.

Mycroft sorrise - Era solo per dire che l'ispettore è una persona molto fidata. E sarebbe anche un ottimo ambasciatore, se per caso dovessimo comunicare senza che qualcuno sospetti un collegamento -

Watson capì il gioco di Mycroft, sarebbe stato molto più facile parlare attraverso Lestrade, per non attirare l'attenzione di Moriarty, che a quanto sembrava controllava ogni loro mossa.

- Perfetto signor Holmes, avrà presto mie notizie - rispose il biondo e si diresse verso Mary.


***** *****

Sherlock passeggiava avanti e indietro per Baker Street. L'abbraccio e la vicinanza di John erano stati quasi un toccasana, sembrava che la nebbia che gli aveva affollato la mente per giorni, si stesse leggermente diradando.

Si sedette per terra e cercò di estraniare ogni emozione, per rimettere assieme tutti i pezzi. Si era lasciato sopraffare e questo aveva intaccato le sue capacità logiche. Così rischiava di commettere altri errori e non poteva permetterlo.

Cosa sapeva?

Magnussen aveva intercettato le sue lettere e lo aveva ricattato, senza però dare alcuna spiegazione del perché.

Gli aveva imposto di stare lontano da Scotland Yard e da John Watson.

Harriet aveva misteriosamente tentato il suicidio, ma nemmeno lei se lo ricordava.

La sua pistola, normalmente carica e funzionante, non aveva sparato.

Moriarty, casualmente, era venuto in suo soccorso.

Quest'ultima affermazione lo riportò all'inizio. Era davvero sicuro che fosse stato Magnussen a intercettare le lettere? Non era stato proprio Moriarty a suggerirglielo? ...il Napoleone del ricatto... Come credete abbia tanto potere? Pubblica queste notizie che rovinano la gente e nessuno l’ha ancora fatto fuori, deve aver più di un asso nella manica. Ci sono persone che non meritano di vivere Sherlock ..A parer mio però c’è un’unica soluzione per far tacere un uomo del genere

Jim gli aveva praticamente suggerito che eliminarlo era l'unica cosa da fare e lui lo aveva ascoltato. Lo aveva fatto perché si sentiva solo, perché nemmeno Mycroft lo aveva aiutato. Altro fattore curioso, perché suo fratello si era dimostrato così distaccato?

Stava ancora passeggiando avanti e indietro, quando sentì gli inconfondibili passi di John, salire le scale del suo appartamento. Corse ad aprire la porta e venne travolto da un abbraccio che lo fece impattare contro il muro.

- Sherlock mi dispiace, scusa. Scusami per tutto - ripeteva il dottore, stringendolo sempre più forte, al punto che Holmes faceva quasi difficoltà a respirare. Ma forse, quello era dovuto alla vicinanza del dottore.

Il moro non capiva il perché delle scuse, ma era davvero felice di sentirlo parlare con quella voce dolce e innamorata, non più il tono duro di quando era ritornato.

Sherlock si staccò leggermente, in modo da guardare il biondo negli occhi - John di cosa stai parlando? -

- E' meglio che ci sediamo, devo raccontarti quello che mi hanno detto Mycroft e Mary -

Mezz'ora dopo...

Sherlock aveva ascoltato ogni parola, era saltato in piedi quando aveva appreso che Mycroft era coinvolto nelle sue disavventure. Un tradimento del genere da parte del fratello non era contemplato. John aveva cercato di calmarlo, di fargli capire che nonostante tutto, lo aveva fatto per la famiglia e che non poteva prevedere tutte le conseguenze, ma che ora li avrebbe aiutati.

Quando John ebbe finito di raccontare, Sherlock si sentì ancora più debole e ingenuo. Lo avevano manovrato come una marionetta e lui si era limitato a danzare a tempo.

- Quindi Moriarty controllava Magnussen, magari era un suo dipendente. Forse Moriarty gli ha dato i capitali per comprare i quotidiani e poi gli ha chiesto di prestarsi al gioco delle lettere e dei pettegolezzi. Ecco perché mi aspettava in giardino. E non sembrava sorpreso quando la pistola non ha sparato, capisci? - chiese Sherlock, seduto sulla sua poltrona, le mani giunte sotto il mento e la posizione di uno pronto a scattare nuovamente in piedi.

- Non del tutto - rispose John.

- La mia pistola deve essere stata manomessa - constatò Sherlock, infastidito da non averlo capito subito.

- Ma Moriarty come poteva essere sicuro che saresti andato a sparare a Magnussen proprio quella sera? -

- Ha manovrato tutto fin troppo bene. La terza lettera mi chiedeva di scegliere tra te e Mary. Mi aveva esasperato. E per essere sicuro che mi recassi da Magnussen, Moriarty ha mandato Mary ad informarmi del suicidio di Harriet -

- Aspetta, stai dicendo che qualcuno ha tagliato i polsi di mia sorella per farci credere a un tentativo di suicidio? - impallidì John.

- Ha senso, le danno un sonnifero e poi inscenano il tentativo. Forse la cameriera o il giardiniere. Il marito di tua sorella è famoso per non badare molto alla "servitù", troppo snob per considerarli persone - rispose il moro.

- Quindi Moriarty manomette la tua pistola e poi viene in tuo soccorso e spara al tuo posto? - chiese il dottore, ancora più confuso.

- Perfetto no? Così in un colpo solo mi ha dimostrato che avrei sparato, rendendomi simile a lui e mi ha salvato, fungendo da Lancillotto, come gli piace definire te e Victor -

- Victor? - chiese John, infastidito.

- Non è il momento di essere gelosi John, posso ricordarti che sei sposato con un'altra? - sbottò Sherlock.

John si rabbuiò, ora era davvero felice di non aver avuto figli da Mary.

- Comunque ha commesso un errore, a me piacciono gli uomini buoni, onesti e coraggiosi. Quello che lui non sarà mai - fece il moro, gli occhi cristallini e dolci che guardavano John. Al biondo venne voglia di alzarsi e baciarlo, ma si trattenne a fatica. Dovevano prima risolvere il loro problema.

- Mi preoccupa cosa farà Moriarty,  quando capirà che non lo vorrai mai -

Sherlock tacque, aveva un'idea su come liberarsi di Jim senza conseguenze, ma non era sicuro che John avrebbe approvato.

- Sherlock, vedo gli ingranaggi della tua testa che lavorano. A cosa stai pensando? -

- Moriarty non mi lascerà mai in pace - affermò stancamente il moro.

- Lo so -

- Ma se io fossi morto, perderebbe inevitabilmente interesse - disse sorridendo.

- Sherlock cosa stai dicendo? -

Holmes si alzò in piedi  
- Ho un'idea John, un finto suicidio. Dovremo giustificarlo però, se tu mi lasciassi ad esempio, se mi sentissi abbandonato, sarebbe credibile -

- Sherlock respira - fece il dottore, vedendo quanto Sherlock era concitato.

- No, è perfetto. Sappiamo che ci tiene d'occhio, ci ha visti anche ad Hyde Park. Potremmo incontrarci lì e recitare la scena. Tu vieni, dici delle cose come "amo Mary, vita normale e bla bla bla..", quello che mi hai detto quando sono tornato. Io mi dispero e torno a casa. Il resto lo concorderò con quell'idiota di mio fratello -

- Ok, ma io? - fece Watson, aggrappandosi ai braccioli della poltrona e sollevando gli occhi verso il suo bellissimo Sherlock.

Il moro deglutì e distolse lo sguardo  
- Tu continui la tua vita John, finché non staniamo Moriarty e tutti quelli che lavorano per lui -

- Lavorerai sotto copertura? Così dovrò stare senza di te altri due anni, se tutto va bene? - sbottò il dottore, alzandosi in piedi e prendendo le mani di Sherlock.

- Non piace neanche a me, ma tu vedi altre soluzioni? -


***** *****

Tre giorni dopo...ovvero dopo la recita ad Hyde Park

John passò a Scotland yard e venne ricevuto dall'ispettore Lestrade con il pretesto di parlare di una rissa avvenuta nei pressi della sua abitazione.

- Immagino non voglia parlarmi di questo, ma del piano di Sherlock - fece Lestrade, chiudendosi la porta alle spalle.

- Sì e ho bisogno del suo aiuto e di Mycroft. Se Sherlock sapesse quello che voglio fare non approverebbe, non mi permetterebbe di abbandonare la mia vita e unirmi a lui -

- Di cosa stiamo parlando? - chiese l'ispettore.

- Di un doppio finto suicidio, che renderà anche più credibile quello di Sherlock, così eviteremo che Moriarty pretenda di vedere il corpo. So che il funerale si celebrerà presto e a bara chiusa, proprio per non dare la possibilità a Jim di constatare che non c'è nessun corpo. Ma potrebbe comunque insospettirsi -

- E lei come vorrebbe uscire di scena? -

- Non sarebbe tanto strano se mi sparassi, dopo aver appreso della morte di Sherlock - rispose John con semplicità.


***** *****

L'east-end non era un posto per gente tranquilla e perbene. L'area del porto era sempre frequentata da persone poco raccomandabili. Mycroft Holmes era vestito in maniera irriconoscibile, nessuno avrebbe detto che un gentiluomo si nascondeva sotto quegli indumenti.

Accanto a lui, spettinato ad arte e coperto da un lungo cappotto, il fratello stava trascinando con sé una sacca, le uniche cose che lo avrebbero accompagnato nel suo viaggio.

- Sherlock, vorrei che stessi nascosto per un po'. Mi occuperò io della rete di Moriarty, tu riposati e sii felice - affermò Mycroft.

- Riposarmi, ti sembro il tipo? E comunque, non posso essere felice lontano da qui - rispose tristemente. Senza John, niente aveva senso. Ma lo stava tenendo al sicuro, era l'unica cosa importante.

- Io credo di si. Sali sulla nave, il capitano ti aspetta -

Mycroft gli sorrise ma il fratello ricambiò il saluto a stento, per niente contento di abbandonare nuovamente John.

Il maggiore degli Holmes si appoggiò al muro e accese una sigaretta.

Le sigarette la uccideranno - affermò una voce.

Mycroft gettò la sigaretta a terra e sorrise al nuovo arrivato.

- Tutto è andato come previsto, ispettore Lestrade? -

- Si, signor Holmes - affermò l'uomo.

- Quindi John Watson è già sulla nave - continuò Mycroft.

- E' in cabina, aspetta solo che Sherlock lo raggiunga. -

- Ottimo -

- Dove andranno dopo essere sbarcati a Calè? - chiese curioso l'ispettore.

- Meiringen. Si trova a Berna, in Svizzera. Posto tranquillo e isolato. Non credo che una capra potrà andare in giro a dire di averli visti -


***** *****

Angolo autrice:

In effetti mi sentivo troppo Moffat a lasciarvi con il precedente capitolo ad attendere un'intera settimana. Per cui ecco un capitolo denso di spiegazioni.
Spero non vi siate persi nei flashback
Alla prossima e buon week-end!!!

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Capitolo 10
*** Tempo variabile ***


Cap. 10 - Tempo variabile


Qualche mese prima

Magnussen era seduto nella sua elegante poltrona nera, intento a studiare il suo interlocutore. Moriarty era venuto a fargli visita e l’editore non ne era del tutto contento. Gli doveva molto, se non fosse stato per il suo contributo, non sarebbe mai riuscito a comprare i quotidiani e a pubblicare storie così interessanti e compromettenti, che gli avevano dato una certa rilevanza e influenza in Inghilterra. Ma lui puntava ad altro. Il potere era il suo scopo finale e Mycroft Holmes il suo obiettivo.

Sapeva però che i suoi interessi non coincidevano con quelli del professore.

- Devo chiederle di eseguire un nuovo ordine, Charles – fece Jim, annoiato.

Magnussen lo immaginava. Non sopportava di essere trattato come un cagnolino ma al momento non vedeva altra soluzione che fare buon viso a cattivo gioco. Sapeva che Moriarty era uno psicopatico e presto o tardi avrebbe  fatto qualcosa di stupido che lo avrebbe messo fuori gioco, doveva solo aspettare.

- Mi dica – rispose con finta cordialità Charles, incrociando le gambe.

- Le darò degli articoli scandalistici da pubblicare. Le verranno recapitati dopo mezzanotte e lei li pubblicherà senza fare storie, in prima pagina. Li firmerò io stesso, come Richard Brook -

- Perché? – chiede semplicemente Magnussen.

- Non le deve interessare il perché – rispose infastidito Jim; l’editore non doveva permettersi di sindacare i suoi voleri - Ma sappia che questo la aiuterà ad arrivare a Mycroft. So che è a lui che punta. - aggiunse

- In che modo? – ribatté Charles senza scomporsi.

Jim sembrò ancora più contrariato dalla risposta di Magnussen, sembrava si stesse ribellando, ma continuò – un giorno o più probabilmente una sera, Sherlock Holmes entrerà in casa sua, deve lasciarglielo fare. Stia tranquillo. Ci saranno i miei uomini a controllare la situazione. Sherlock avrà presumibilmente con sé una pistola.

- Mi ucciderà? – chiese Magnussen , quasi preoccupato della risposta.

 - La pistola sarà manomessa ovviamente, mi basta che prenda coscienza che avrebbe sparato. Se lei fa questo per me, le consegnerò Mycroft su un piatto d’argento - Una volta incriminato, tutta la famiglia Holmes andrà in rovina e Sherlock non avrà nessuno su cui fare affidamento pensò tra sé.

- Devo essere onesto prof. Moriarty,  voglio poter ricattare l’uomo più influente della gran Bretagna, sapere  che si piegherà a ogni mia richiesta. Non capisco questo infantile gioco che porta avanti con il piccolo Holmes -

Moriarty lo fissò, un leggero sguardo omicida – Le ho detto che raggiungerà i suoi scopi e questo deve bastarle. Non l’avrei messa alla direzione dei giornali più influenti dell’Inghilterra   se non la ritenessi intelligente Magnussen – rispose dandogli una parvenza di vittoria. Ora era certo che lo avrebbe eliminato. Poteva farlo personalmente, nessun testimone e Sherlock avrebbe visto in lui un alleato. Il piano diventava sempre più interessante.


***** *****


Sherlock si trascinò pigramente sulla nave, in direzione della cabina. Non era per niente una vittoria, era una sconfitta. Teneva al sicuro John, ma lui era di nuovo solo come non mai.

Nella sacca che portava con se, aveva avuto cura di riporre una foto di John, non aveva avuto modo di salutarlo per bene, ma voleva avere almeno un ricordo.

Non lo aveva più visto dalla recita a Hyde Park, non era nemmeno riuscito a dargli un vero e proprio addio e sta volta non aveva idea se e quando avrebbe potuto fare ritorno.

Aprì controvoglia la porta della sua cabina e per poco non inciampò nella sacca che trascinava con sé.

Seduto sul letto della piccolissima stanza, c’era John, gambe incrociate e sorriso beffardo di uno che era riuscito a sorprendere la persona più imprevedibile che conoscesse.

- L’abbigliamento da lupo di mare ti dona Sherlock -

- Cosa ci fai qui? Sei impazzito? - Fece il moro, prendendo il dottore per un braccio per farlo alzare e uscire dalla cabina. Il biondo si liberò velocemente dalla presa, dopotutto era un ex militare e fece cadere  Sherlock disteso sul letto.

- John, cosa stai facendo?- chiese terrorizzato che tutta la recita non fosse servita a niente.

- La mia idea era di saltarti addosso e farti urlare ripetutamente il mio nome. Ma se vuoi perdiamo tempo in spiegazioni. – rispose, iniziando  a togliersi la giacca.

- John?!? – urlò Holmes, cercando di mettersi seduto e pretendendo una spiegazione.

- Già urli il mio nome? Bravo, vedo che hai capito lo spirito – fece il dottore, spingendolo nuovamente disteso.

Sherlock aveva la bocca aperta, indeciso se assecondare le mosse di John o aspettare una risposta.

Il biondo rise e iniziò a spogliarlo con una certa urgenza   – Hai ragione, possiamo fare le due cose insieme – gli  sussurrò all’orecchio.

In lontananza sentirono il rumore delle onde che sbattevano contro lo scafo:  la nave aveva iniziato a procedere lentamente in mare aperto.

- Ho pensato che la tua idea era idiota! lasciarmi, di nuovo, intendo – fece Watson, liberandolo della camicia e dei pantaloni. Sherlock non sapeva se era più annebbiato dal desiderio o dalla follia di trovare John nella sua cabina.

- Così con l’aiuto di Lestrade e tuo fratello ho inscenato la mia morte – continuò prendendo a baciarlo sul collo, mentre l’altro cercava di mantenere qualche neurone acceso.

- Lasciarti andare sarebbe stato come darla vinta a Jim – continuo scendendo sui capezzoli, provocando il primo gemito per niente silenzioso del moro.

- Vedo che i tuoi punti caldi sono sempre gli stessi - sogghignò reclamando la sua bocca. Finalmente Sherlock reagì al calore inaspettato e prese a baciarlo a sua volta. Dopo tanto tempo avevamo  un bacio romantico e vivo, pieno di felicità e passione.

John lo abbracciò stretto e appoggiò la fronte sulla sua – Non ti lascerò mai più andare via, chiaro? Siamo sempre noi due contro il resto del mondo! –



****** ******

Mycroft si stava preparando a organizzare il funerale di Sherlock e doveva essere certo che Mary non indagasse sulla morte di John; sembrava se la fosse bevuta ed era talmente sconvolta da non volere vedere  il marito, con il cervello presumibilmente spappolato.

Quello che lo preoccupava era Moriarty, il piano era ingegnoso ma Jim non era un’idiota. Era credibile che Sherlock, solo e abbandonato, potesse optare per il suicidio, ma il professore era sempre stato un passo avanti a loro.

Lestrade bussò improvvisamente  alla porta del suo studio – Scusi se la interrompo – fece con una certa reverenza.

- Si accomodi ispettore. Non so dirle quanto le sono riconoscente per quello che ha fatto per mio fratello. Lei è stato il primo vero amico che abbia mai avuto –

- Non è mai stato un peso. Sono ancora convinto di quello che ho fatto a Oxford. Moriarty era colpevole, mi spiace solo di non essere riuscito a fermarlo all’epoca. Ma ora possiamo rifarci – fece mettendosi a sedere.

Mycroft sollevò lo sguardo dalle sue carte per guardare meglio l’ispettore. Era stato davvero un prezioso alleato e soprattutto fedele. Senza il suoi aiuto, nulla sarebbe stato possibile.

- La morte di Sherlock potrebbe indurre Jim a fare qualcosa di irresponsabile – constatò Mycroft. Sperava che la troppa sicurezza, unita alla follia, gli facesse fare un passo falso.

- A dir la verità, io avrei un’idea sig. Holmes – fece Lestrade.

Mycroft rifletté sul da farsi. – Anch’io, ma prima devo introdurmi a casa del professore. Devo recuperare del materiale. E non so nemmeno se lo tiene a casa sua -

- Il professore mi sembra di capire che sottovaluta gli altri, si crede più intelligente e intoccabile. Non vedo perché non dovrebbe tenere con se materiale compromettente. – rispose l’ispettore.

Mycroft fece una pausa, indeciso se potesse davvero raccontare tutto a Lestrade, ma decise di provare a fidarsi - Non voglio recuperare soltanto le lettere di John Watson -

- Lo avevo capito sig. Holmes, ma qualunque cosa sia non mi importa. Credo che ci siano cose che possono rimanere sepolte nel passato -



***** ******

Tre anni prima
 
Mycroft stava osservando il fratello; da quando aveva cominciato a subire i ricatti del professor Moriarty, era sempre più preoccupato per Sherlock e lo stile di vita solitario non era di aiuto per tenerlo al sicuro

Il fratello stava cercando di defilarsi dalla solita festa snob di casa Holmes, così Mycroft lo seguì in giardino per fumare una sigaretta, nella speranza di riuscire a scambiare qualche parola.

- Sherlock, perché non socializzi ogni tanto? – chiese avvicinandosi.

- Chi sei e cosa hai fatto di mio fratello? – rispose ironicamente.

- Noi non siamo uguali, come all’apparenza potrebbe sembrare. A me piace stare da solo, è la vita che mi si adatta. Tu invece ti sei adeguato alla solitudine, perché credi ti protegga -

- Non è così Mycroft – ribatté, non del tutto convinto.

- No? Puoi far credere agli altri quello che vuoi, ma non a me. Credo ti manchi terribilmente il calore umano fratellino – constatò Mycroft, sperando di stimolare in lui almeno una presa di coscienza.

- Di cosa stai parlando? -

- Non ti è mai capitato di incontrare qualcuno di interessante? -

- Lo sai benissimo che non provo niente -

- Non è vero, sei solo in attesa di qualcuno che ti travolga. Perché le tue conoscenze in materia si fermano a quello che hai letto sui libri. Ma non capita così, non succederà che un giorno ti troverai a sbattere contro qualcuno e ti innamorerai. Devi andare in giro, conoscere persone... -

- Come devo dirtelo che trovo tremendamente noioso e inutile quello che stai dicendo?  - lo interruppe Sherlock - Anzi, basta con questa festa. Lestrade sta cercando un ladro e io credo si trovi in qualche covo dell’East End. Potrei farci un salto proprio adesso. Magari socializzo Mycroft, come vuoi tu -

- Si e magari approfitti per farti qualche dose – rispose gravemente.

- Buona serata fratellone – gettò la sigaretta a terra e si diresse in contro al suo destino.


***** ******


John era disteso sul letto con Sherlock a fianco. Era piuttosto stanco e aveva una grande voglia di dormire. Ma il moro non era d’accordo, voleva parlare e recuperare tutto il tempo perso.

- Ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrati? – chiese improvvisamente il moro.

- Dici quando mi sei sbattuto contro, insultandomi, poi sei andato in overdose, hai promesso di contattarmi e poi sei sparito? Quella volta? – rispose John sbadigliando.

- Messa così perde tutta la poesia – fece Sherlock piccato.

- È stato molto romantico, hai ragione – rispose ridendo.

- Ti sei mai pentito, di esserti trovato a passare nell’east end in quel momento? – chiese il moro facendosi serio.

- No mai, ero un uomo che girava per Londra in cerca di risse, non mi sarei mai abituato a una vita ordinaria – rispose altrettanto seriamente.

Sherlock alzò la testa per guardarlo intensamente e perdersi nei suoi profondi occhi blu; poi riappoggiò la testa sul cuscino - Credevo di non poterti interessare, per questo non ti ho cercato, non volevo stare male –

- Io non sono quel Victor, chiunque lui sia – ribatté John, sperando di avere qualche notizia sul misterioso ragazzo che avrebbe attirato la sua attenzione prima di lui.

Il moro sorrise – No, non lo sei – e non  aggiunse altri dettagli, non aveva voglia di parlare di Victor e dell’Università.

- Quindi Svizzera, sarà interessante – fece John, pensando alla destinazione finale. Non che gli importasse più di tanto il luogo. Gli bastava solo essere con Sherlock.

- Dici che sarà interessante? Erba, cioccolata, orologi, pecore, cascate... -

- Dai, smettila – lo interruppe John -  Sarà un angolo di Paradiso, il nostro angolo  –





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Capitolo 11
*** L'uragano finale ***


Cap. 11 - L'uragano finale





- John, mi annoio - ripeté Sherlock, guardando il verde panorama fuori dalla finestra.

Il dottore si avvicinò e lo abbracciò stretto. Non passava momento che non reclamasse un contatto con Sherlock, non lo avrebbe mai più lasciato andare.

- Resisti, appena tuo fratello ci scriverà per informarci che è andato tutto bene, ci sposteremo in qualche città. Fino ad allora respiriamo l'aria salutare e godiamoci queste passeggiate -

Alloggiavano in un piccolo albergo nel villaggio di Meiringen, non c'erano grandi cose da fare, se non camminare nel verde ed ammirare la maestosità delle cascate Reichenbach. Per Watson era un luogo che incuteva un certo timore; il torrente, gonfio per la neve che si scioglieva, precipitava in un abisso spaventoso, da cui si alzava una nebbia di minuscoli spruzzi d'acqua simile al fumo che si leva su una casa in fiamme (1).

Eppure ne erano irresistibilmente attratti, al punto che Sherlock aveva affermato che se fossero rimasti ancora qualche mese lì, avrebbe scelto le cascate come soggetto per un quadro.

Erano già passati due mesi, da quando avevano lasciato Londra, con un doppio suicidio a far parlare di loro. Naturalmente i giornali avevano riempito di parole vuote le loro prime pagine, immaginando le teorie più assurde dietro quel gesto. Soltanto i quotidiano che una volta erano diretti da Magnussen e ora erano proprietà del misterioso Richard Brook, avevano sorvolato sulle speculazioni giornalistiche e avevano riportato i fatti nudi e crudi. Tra le righe si poteva cogliere un certo biasimo nei confronti della famiglia Holmes, per il suicidio di Sherlock, ma nulla di più.

Non avrebbero più potuto far ritorno a Londra, spiegare un doppio finto suicidio sarebbe stato troppo complicato e avrebbero finito per essere accusati di qualcosa, giusto per sedare l'opinione pubblica. Inoltre, John era sposato, mentre l'attuale condizione di "defunto" gli dava la possibilità di lasciarsi il matrimonio con Mary alle spalle, senza clamore.

Nel mentre, Mycroft e Lestrade non erano di certo rimasti ad attendere gli sviluppi; aspettavano solo di avere l'occasione di entrare a casa del professore e perquisirla. Lestrade non aveva nemmeno provato a chiedere l'autorizzazione al suo superiore, sapeva che Moriarty aveva amici nelle alte sfere a cui sarebbe subito arrivata la notizia. Dovevano agire alle spalle di tutti e se necessario, Mycroft era disposto a spingersi anche molto oltre la legalità; ora che non incombeva più la minaccia sulla testa del fratello, non correva più nessun pericolo nell'agire.

L'occasione finalmente si presentò un sabato, quando il professore era  andato ad Oxford per una conferenza; Oxford, o "il luogo del delitto", come lo aveva definito l'ispettore, che mai aveva digerito essere stato quasi radiato dalla polizia, per aver accusato il colpevole dell'omicidio di Carl Powers. Ma, quella sera, avrebbe pareggiato i conti.

La sorveglianza sulla casa era notevolmente diminuita, dopo la finta morte di Sherlock. Gli uomini di Jim, oltretutto si erano spostati con lui, pertanto quella sera non c'era nessuno di guardia.

Mycroft e Greg, aspettarono il favore dell'oscurità e verso mezzanotte entrarono scavalcando il muretto posteriore. La casa era più spoglia di quanto uno si sarebbe aspettato. Non c'erano ricchi mobili e suppellettili, ma l'essenziale. Come se fosse solo una residenza di passaggio, prima di trasferirsi altrove.

I due si aggirarono per la casa furtivi, pensando ad un posto dove avrebbe potuto nascondere dei documenti. Lestrade osservò la vasta biblioteca, ma con un sospiro di insoddisfazione, si rivolse all'altro - Pensa dovremo controllare dentro ogni libro? -

- Non credo, a volte il miglior modo per nascondere qualcosa è lasciarlo in bella evidenza - rispose il maggiore degli Holmes, avvicinandosi a una cartella portadocumenti, appoggiata sulla scrivania.

- Non le sembra fin troppo evidente? - chiese l'ispettore.

Mycroft alzò lo sguardo verso di lui, quando uno scricchiolio all'ingresso fece voltare entrambi.

- Come prendere due piccioni con una fava! - esclamò Moriarty - Vediamo, cos'è successo? Sono rientrato, era buio, c'erano due uomini in casa mia e ho sparato - fece estraendo la pistola - Secondo voi è convincente? -

- Non potrà giustificare la morte di un ispettore di Scotland Yard! - affermò Lestrade.

- Un ispettore che mi ha preso di mira da quando andavo all'Università. Secondo me sarà credibile -

Jim fece un sorriso sprezzante e sembrò che fosse pronto a premere il grilletto, ma in quel momento la squadra di Scotland Yard fece irruzione nella stanza. Il rumore fece voltare il professore, che fu velocemente disarmato dagli uomini di Lestrade.

- Avrai anche amici ai piani alti, ma i miei uomini sono fedeli, Moriarty - affermò l'ispettore, mentre Jim veniva bloccato a terra - Anderson, prendi la pistola del professore, sono sicuro che analizzando i proiettili  troveremo una corrispondenza con quella che ha sparato a sir Magnussen! -

Il professore alzò uno sguardo stupito, in tempo per vedere un leggero sorriso spuntare sulle labbra di Mycroft, che teneva stretta con sé la cartella portadocumenti. Ogni atto incriminante nei suoi confronti era contenuto lì.

Gli agenti trascinarono fuori Moriarty, seguiti dall'ispettore e Mycroft, quando improvvisamente
quest'ultimo si bloccò  e prese per una manica la giacca di Lestrade - Quanti uomini ha chiamato? -

- Otto - rispose l'ispettore senza capire.

- E perché sono nove? - ribatté, contando i  Bobbies davanti a lui.

 Il tempo di formulare questo pensiero che Sebastian Moran, fedele cecchino di Moriarty, abilmente infiltratosi, sparò agli agenti che trattenevano Jim; il professore aveva preso le sue precauzioni.

Moriarty approfittò dello scompiglio per defilarsi nella notte, mentre gli altri agenti cercavano di disarmare Moran. Altri due degli uomini furono colpiti in maniera grave, finendo riversi a terra, finché un proiettile sparato dalla pistola di Lestrade raggiunse il cecchino.

L'ispettore si voltò e vide che anche Mycroft sanguinava da un fianco - Signor Holmes! - gridò premendo la mano sulla ferita.

- Non è grave ispettore, non pensi a me, corra al porto - fece, sofferente.

- Al porto? Andiamo in ospedale -

Mycrof cercò di ribattere, voleva fargli capire che Moriarty si aspettava la loro incursione, che probabilmente si stava dirigendo in Svizzera, ma svenne e non fu in grado di parlare per le successive ventiquattro ore.


****** *****


Sherlock si era addormentato a metà pomeriggio, la calma e la tranquillità di quel posto erano particolarmente concilianti. Forse si sentiva al sicuro e protetto con John, che non mancava mai di far sentire tutto il suo amore.


Si svegliò di soprassalto verso l'ora di cena, come un brutto presentimento, come un rumore di sottofondo che improvvisamente copriva una perfetta melodia. Aprì gli occhi e notò che John non era nella stanza. Spesso si assentava per qualche passeggiata; delle volte aveva anche aiutato il medico del villaggio, non particolarmente ferrato come lo era lui. Di solito, però, non aveva mai mancato di fare ritorno prima di cena.

Holmes uscì dalla camera e scese le scale; non sapeva perché, ma sentiva che qualcosa non andava. Andò dritto dal proprietario dell'albergo per chiedere se avesse visto John, ma fu informato che il dottore era stato chiamato per un malato grave qualche ora prima e non aveva più fatto ritorno.

Pensò si trattasse di un caso talmente grave che lo aveva costretto ad attardarsi più del solito, ma poi si girò e vide sul bancone d'ingresso una busta. Una busta molto familiare, ingiallita dal tempo e con la sua scrittura sull'indirizzo del destinatario. Si avvicinò, cercando stoicamente di mantenere una certa freddezza e la aprì, certo che non vi avrebbe trovato dentro soltanto la sua lettera, ma qualcos'altro.

"Vieni e gioca Sherlock o il tuo cucciolo finirà affogato"
J.M.

***** *****


John era disteso a terra; stava pian piano riprendendo i sensi. Percepì che era disteso sulla nuda roccia e sentì forte lo scroscio dell'acqua, che riconobbe essere quello di una cascata, dell'unica cascata vicina al loro villaggio. Qualcuno lo aveva colpito in testa e trasportato fino a lì, sentiva il sangue che colava dalla ferita vicino alla tempia sinistra.


- Dottor Watson - esclamò la voce di Jim Moriarty, il suo rapitore - Coraggio apra gli occhi, vedo che è sveglio -

John cercò di ragionare, come avrebbe fatto Sherlock. Moriarty non era particolarmente grosso, anzi, in un corpo a corpo sarebbe riuscito sicuramente ad avere la meglio. Doveva sperare che fosse disarmato e tentare di bloccarlo. Doveva liberarsi di lui definitivamente, non avrebbe vissuto tutta la vita con l'ansia di doversi sempre guardare le spalle.

Si rimise in piedi, con espressione furente.

Jim, invece, manteneva la solita espressione sprezzante, da sadico pazzo - Non è carino qui? Mi sembra un bel scenario per morire -

- Solo uno di noi morirà e non sarò io Moriarty - fece Watson duro.

- Sherlock e il suo amore per i cavalieri indomiti. Veramente credevate che mi sarei bevuto il vostro doppio suicidio? -

- Come mai non sei venuto subito a cercarci allora? - rispose, prendendo tempo.

- Non sapevo dove eravate, ci ho messo un po' per trovare tutte le persone che vi hanno dato un "passaggio" fino a questo luogo bucolico. E poi, volevo anche approfittare della sicurezza di Mycroft e dell'ispettore per mandarli all'inferno con lei dottore. Peccato che siamo stati interrotti -

John sussultò, forse Mycroft aveva già allertato qualcuno e stavano venendo a cercarli.

- Tranquillo Johnny boy, finché non arriva Sherlock non succederà niente. Non voglio che si perda lo spettacolo -

Watson non voleva che arrivasse, non voleva che fosse coinvolto in quello che aveva in mente Jim; la questione doveva finire in quel momento. John strinse i pugni e ringraziò di aver passato gli ultimi mesi con Sherlock; aveva sopportato troppo, non avrebbe aspettato che Moriarty estraesse la pistola che notò avere in tasca. Si gettò su di lui, mentre l'uomo non trattenne un'espressione di pura sorpresa.

Si rotolarono sul ciglio del precipizio, l'acqua che scorreva forte e rumorosa accanto a loro. Durante la lotta a John sembrò di sentire qualcuno che gridava il suo nome, ma sembrava una voce lontana. Non riusciva a vederlo, ma Sherlock stava correndo lungo il sentiero che portava al luogo dove il dottore si era svegliato. Anche Moriarty lo sentì e decise che se doveva uscire di scena, avrebbe fatto più male possibile a Sherlock. Con mossa repentina fece inciampare Watson e lo trascinò giù per cascate.

Holmes, che aveva intuito le intenzioni di Jim, si lanciò con più slancio possibile per poter aggrappare al volo la mano di John, prima che il piano di Moriarty rovinasse definitivamente la sua vita, e ci riuscì. La sua mano prese stretta quella del biondo, mentre Moriarty precipitava nel calderone del Reichenbach.

Lo trascinò al sicuro e si sedette, in attesa che il sangue smettesse di pulsargli forte in testa.

- E' finita - fece piano John, accarezzandogli una guancia.

- Già, finalmente possiamo andare via da tutta questa erba e questo sole - rispose ridendo.

Il biondo lo guardò e sorrise, perché quando riusciva a scherzare sull'orlo di un baratro, dopo aver lottato tra la vita e la morte, allora era sicuro che il suo Sherlock era  tornato quello di un tempo. Si sedette accanto a lui e appoggiò la testa sulla sua spalla.

- Si, possiamo andare dove vogliamo adesso -


***** *****


Due mesi dopo


 - Mycroft ha minacciato di passare a trovarci il prossimo mese - gridò Sherlock.

John entrò in casa ridendo, aveva con sé un cestino con latte e uova; i nuovi vicini di casa erano davvero gentili, nonostante il caratteraccio di Holmes.

Ovviamente avevano dovuto cambiare identità per sicurezza, per tutti erano Hamish Doyle e William Poe, coltivatori di viti e a tempo perso, medico il primo e filosofo il secondo. Mycroft aveva provveduto a comprare per loro un cottage in Provenza, abbastanza vicino per poter far visita ogni tanto al fratello, ma abbastanza lontano perché nessuno di passaggio da Londra potesse incontrarli e riconoscerli.

Sherlock ovviamente si interessava spesso dei misteri che accadevano nei villaggi vicini e se poteva non mancava mai di dare una mano, giusto per "non far impigrire il cervello", ripeteva a John.

Avevano paesaggi stupendi, tanto sole e tanta erba, nonostante le perplessità di Sherlock rispetto allo stare lontano dalla città, ed erano finalmente felici.

John Watson ora aveva 38 anni e all'apparenza era un uomo ordinario,  proveniente dalla classe media inglese. Ma non era così: amava l'avventura, amava combattere per quello a cui teneva e soprattutto amava il suo William Sherlock Scott Holmes.

The End



(1) Vorrei fossero parole mie, ma è tratto proprio da "Il problema finale" - A. C. Doyle

Angolo autrice:
inizio scusandomi per la quantità imbarazzante di errori grammaticali presenti nel capitolo precedente e man mano corretti...non mi ero accorta che il correttore automatico avesse fatto tanti danni.

Che dire...mi ripeto, ma per me scrivere il capitolo finale è sempre un trauma: andrà bene? avrò spiegato tutto? Spero proprio di si.
Un sentito grazie a Evola_Love_Beatles, CreepyDoll, Atena_Laufeyson, mikimac, Kejeli per aver recensito e avermi riempito di tanta felicità.
Un grazie a tutti quelli che hanno letto e aggiunto la storia in qualche categoria, spero vi sia piaciuto fino alla fine.
Alla prossima, non vi libererete facilmente di me :-P

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