Questi
personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà
di sir A.C.Doyle, Moffatt, Gatiss BBC ecc.; questa storia è
stata
scritta senza alcuno scopo di lucro per il mio puro divertimento
IL
MIO URAGANO
Cap.
1 - L'aria è elettrica
Londra, 1856
John Watson aveva 37 anni, era un uomo ordinario della mezza
borghesia.
Una bella moglie, un lavoro come medico, una bella casa e una
cameriera. Una vita perfetta, adeguata allo stile di vita della classe
media.
Niente grilli per la testa, niente serate fuori a far tardi,
niente
assenze ingiustificate dal lavoro. John Watson era un perfetto uomo del
suo tempo.
Ma non era sempre stato così.
Quella mattina stava passeggiando lungo il Tamigi, con al
braccio la
sua elegante moglie. Era una splendida domenica autunnale, non troppo
fredda e soleggiata. Un attimo di respiro dopo lunghi mesi di pioggia
che era caduta incessantemente per tutta l'estate. Gli inglesi
cominciavano a non ricordare più quale fosse il colore del
cielo
senza nuvole.
Il dottor Watson respirava l'aria cristallina attorno a
sé, non
sapeva che un uragano stava nuovamente per travolgere la sua vita.
- Caro, ti va bene se organizzo una cena per la prossima
settimana? -
chiese Mary Morstan, la quale aveva rinunciato al lavoro di infermiera
per ricoprire a tempo pieno quello di moglie.
- Certo, tutto quello che vuoi - rispose il marito, poco
attento alla vita mondana.
Arrivarono in prossimità del porto, quando John
notò una
nave che era appena attraccata. Ebbe un leggero tuffo al cuore,
conosceva quella nave ma soprattutto conosceva i proprietari.
- E' la nave degli Holmes, non è vero? - fece
Mary, notando lo
sguardo del marito, che si limitò ad annuire. Non sapeva se
levarsi velocemente di torno o restare ad aspettare per vedere se
qualcuno degli Holmes, uno in particolare, fosse su quella nave.
- Tu li conosci John? - chiese Mary, un po'
più curiosa.
John sapeva che nulla l'avrebbe fatta più felice di sapere
che
suo marito conosceva una delle famiglie più illustri e
potenti
d'Inghilterra.
Lui non rispose, perché vide un'inconfondibile
chioma nera e
riccia, spuntare da dietro una vela. Sembrava stesse commentando, con
il suo solito atteggiamento scostante e infastidito, che stavano
scaricando i suoi bagagli con poca delicatezza.
John deglutì più volte quando gli
occhi di ghiaccio del
moro incontrarono i profondi occhi blu del biondo. Per un attimo il
più giovane degli Holmes sembrò sorpreso, poi
sorrise e un istante dopo si
ricompose, come se si fosse ricordato che non aveva motivo di
sorridere. Quando poi notò la figura femminile,"agganciata"
al
braccio di John, non poté trattenere uno sguardo di fastidio
e
delusione.
Scese dall'imbarcazione con l'eleganza che si addiceva alle
sue nobili
origini e andò in contro a John. La sua tronfia sicurezza
che
crollava man mano che camminava verso il biondo.
- Sono sorpresa di vederla qui, dottor Watson - fece lui
freddo -
Credevo fosse ripartito con l'esercito, ma immagino che la sua ferita
l'abbia bloccata qui a Londra, assieme agli altri scansafatiche
dell'Impero -
Mary sembrò turbata dalla totale mancanza di
tatto, ma John
conosceva bene l'uomo che aveva di fronte - E io credevo non avrebbe
più fatto ritorno qui a Londra, che si fosse dimenticato di
noi
scansafatiche - ribatté altrettanto rancoroso.
Sherlock sembrò stranito dalla risposta ma
cercò di non darlo a vedere.
- Mary ti presento William Sherlock Scott Holmes - fece
John, rivolto
alla moglie. Sherlock fece per allungare una mano, per stringere quella
dell'insipida bionda.
- William, lei è mia moglie, Mary Watson
- la mano di
Sherlock si bloccò sull'uso del distaccato nome William e
si abbassò sulla parola moglie.
- Scusatemi - fece Sherlock - Mi sono ricordato che mio
fratello mi sta
aspettando per un affare urgente - fece un mezzo inchino sprezzante e
si dileguò con una tempesta negli occhi.
- John, mi sono persa qualcosa? - fece Mary, guardando
perplessa il
marito. Non conosceva nessuno che si comportasse in maniera
così
cafona.
- No cara, lui è fatto così -.
***** *****
Quella notte John non riuscì a chiudere occhio,
troppo preso
dall'incontro della mattina. Continuava a rigirarsi nel letto, al punto
che fu costretto ad alzarsi e andare a dormire sul divano per non
svegliare continuamente Mary.
"Stronzo bastardo", pensò tra
sé.
John non riusciva a credere che fosse riapparso dal nulla e
si
premettesse anche di fare l'offeso. Il suo atteggiamento era
incomprensibile; era sparito, per due interi anni, senza dare sue
notizie. Era tornato come nulla fosse e pretendeva anche che John fosse
rimasto ad aspettarlo.
Come se la sua improvvisa partenza non lo avesse distrutto e
non gli avesse spezzato
il cuore.
Niente, nessuna comunicazione. Poteva anche essere morto, se non
fosse che la notizia sarebbe arrivata fino a Londra.
John conosceva Mary da molto
tempo, era stata la sua prima ragazza finché lei non era
partita
per le Americhe. Poi aveva incontrato Sherlock e la sua vita era
completamente cambiata. Avrebbe rischiato il carcere per stare con lui,
ma sapeva che avere una relazione con qualcuno che dichiarava di
sopportare a malapena il genere umano e di considerare i sentimenti
come debolezze, non era qualcosa che poteva fargli bene.
Sherlock era andato via e John aveva capito che non poteva
reggere una
relazione in cui dava tutto, avendo in cambio delle briciole. Mary era
la scelta adatta, giusta e razionale.
Allora perché non riusciva a dormire e continuava
a pensare a lui? Dopo la misteriosa partenza era andato a chiedere alla
sua famiglia notizie dei fratelli Holmes, ma il padre lo aveva
liquidato sgarbatamente, facendo riferimento ad affari di famiglia e
John non era riuscito a scoprire altro.
Più erano passati i giorni, più si era convinto
che archiviare il periodo passato con Sherlock sarebbe stata la cosa
migliore, non avevano futuro.
L'alba lo colse seduto sul divano, con due notevoli
occhiaie. Scontento
andò a lavarsi e a prepararsi per la giornata, sperando di
non
addormentarsi sul lavoro. Al suo ritorno a casa, per cena, ebbe
un'orribile
sorpresa.
- Tesoro sei tu? - gridò Mary dal salotto. John
sentì un
brivido, come quando prima di una tempesta l'aria diventa
più
elettrica.
- Caro, preparati, sta sera usciamo - continuò
lei.
- Dove andiamo? -
- Gli Holmes fanno una festa nella loro villa per il ritorno
dei figli. E noi siamo stati invitati - cinguettò la moglie.
Il biondo deglutì nervosamente, non era pronto a
rivedere
Sherlock così presto - Dobbiamo proprio andarci? Sono un po'
stanco -
- Tesoro ci vanno tutti, è l'evento dell'anno. I
miei genitori saranno qui tra poco con la carrozza. Corri a vestirti -
Come sempre era stato incastrato e tutto era già
stato deciso.
***** *****
Sherlock passeggiava nervosamente avanti e indietro, non era da lui
partecipare ad un evento mondano, soprattutto se c'era il fondato
pericolo di incontrare John e sua moglie, ma il padre aveva lanciato
una delle solite minacce di diseredarlo.
Per quanto si limitasse a fare
spallucce ogni volta che accadeva, sapeva perfettamente che non poteva
vivere solo della sua intelligenza ed era troppo abituato ad occupare
il tempo con quello che altre persone avrebbero definito hobby, per cui
ogni tanto si sentiva costretto a fare il bravo figlio e accontentare
la famiglia.
- Smettila Sherlock - tuonò Mycroft, guardando il
fratello
sistemarsi il colletto per la decima volta da quando era iniziato il
Buffet. Sherlock si limitò a lanciargli uno sguardo
infastidito,
ma non disse niente.
- Ho saputo del dottor Watson - fece Mycroft più
serio - Te
l'avevo detto di non farti coinvolgere. Le persone si sposano Sherlock,
è così che fa la gente comune -
continuò non
potendo trattenersi dal fare un'espressione schifata sulla parola
"comune".
- Non sono affari tuoi Mycroft - ribatté il
fratello.
- Come vuoi - gli rispose e si diresse a salutare i nuovi
ospiti.
Sherlock non poté fare a meno di pensare che il fratello
aveva
ragione, aveva sbagliato e poteva dare la colpa soltanto a
sé
stesso, non avrebbe dovuto lasciarsi coinvolgere. Appena scorse in
lontananza una familiare testa bionda, girò i tacchi e si
rifugiò al sicuro in biblioteca, non avrebbe mai
più
rivolto la parola a John Watson.
Dovette però venir meno a quella promessa
soltanto un'ora dopo,
quando il dottore entrò nella biblioteca, trovando il moro
seduto sulla poltrona, intento a leggere un trattato sulla navigazione,
o almeno a far finta di leggere.
- Sapevo di trovarti qui Sherlock - esordì il
biondo.
- Sono di nuovo Sherlock? Niente William? -
- Questo comportamento sprezzante è troppo
infantile anche per
te - John era calmo all'esterno, ma dentro si stava agitando una
tempesta - Non credevo mi avresti invitato, tra l'altro -
- Non c'entro, sono stati i miei genitori. Avranno pensato
che almeno
un mio amico dovesse essere presente. E come ben sai, non
c'è
concorrenza per il posto di mio amico -
Sherlock appoggiò il libro con poca grazie e si
avvicinò
a John per fronteggiarlo - Ero contento di rivederti, non ho aspettato
altro per tutto il viaggio. Quella Mary, quando l'ho vista, ho
sperato fosse solo una delle tante sciacquette che sarebbe
immediatamente ritornata al suo posto al mio ritorno, invece una moglie
è stata una sorpresa! -
- Io amo Mary - gridò John, che non poteva stare
lì a
sentire quelle parole per definire sua moglie, come se l'avesse sposata
in mancanza di altro.
Sherlock incassò il colpo in silenzio, la sua
sicurezza
vacillò ma riprese stoicamente a parlare - Immagino che lei
possa darti le cose che io non potevo. Una relazione alla luce del
sole, passeggiate mano nella mano di cui vantarsi nei circoli di
bridge, tante smancerie e ovviamente una famiglia. Non credevo fossi
così ordinario -
John respirò a fondo, voleva urlargli che non
aveva mai chiesto
le cose che aveva elencato e aveva già deciso di rinunciarvi
anni addietro, quando lui e Sherlock si erano baciati per la prima
volta. Ma era troppo furioso e il veleno gli uscì dalla
bocca,
senza essere in grado di fermarlo - E' vero, lei mi da quello che tu
non volevi darmi. Calore, affetto, dolcezza. Una relazione tra persone
mature insomma. Non una in cui uno parte per destinazione ignota e
lascia solo un biglietto "Scusa
John, sono dovuto partire per affari urgenti, ti scrivo appena attracco"
e poi non si fa più sentire per due anni -
Il moro lo fissava con la bocca aperta - John io ti ho
scritto appena
arrivato in India. E ho continuato a farlo ogni settimana nonostante
non ricevessi risposta. Dovevo tornare dopo tre mesi, ma poi le cose si
sono prolungate. Poi si sono messi in mezzo una serie di uragani che
non ci hanno permesso di ripartire -
John cominciò a tremare. Sherlock stava forse
mentendo?
Perché non aveva ricevuto quelle lettere che lui giurava di
aver
scritto?
- Comunque - continuò il moro - Mi hai
rimpiazzato davvero in fretta. Deduco che non ti sono mancato
così tanto -
John non sapeva cosa dire, così il moro decise di
mettere
immediatamente fine a quella conversazione e se ne andò,
lasciando il biondo solo, a fissare la poltrona vuota dove prima era
seduto il suo Sherlock.
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Angolo autrice
La mia prima AU
storica..Cosa ne pensate?
Sono più
seria del solito, decisamente più angst. Spero vi piaccia
comunque.
Grazie a tutti quelli
che leggeranno!
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