Hunger Games: The Tributes's Crusade

di ThoughtlessPansies
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un gioco senza fine- Cree ***
Capitolo 2: *** Un gioco senza fine- Timberly ***
Capitolo 3: *** Un gioco senza fine- Nathaniel ***



Capitolo 1
*** Un gioco senza fine- Cree ***


Il distretto 5 è famoso per l'energia,per essere la fonte di Capitol City. Senza la nostra energia potrebbero andare in rovina, e la tentazione di manomettere un macchinario è sempre forte.
Oggi sarebbe il giorno giusto per farlo,se non fosse per le centinaia di pacificatori appostati lì intorno. Dopo quella rivolta e la morte della Paylor, Panem era tornata indietro di tutti quegli anni di pace e libertà, la battaglia della Ghiandaia Imitatrice era stata inutile. Si sa, le rivolte durano sempre poco.
Era tornato quel giorno, quel maledettissimo giorno che temo da 6 anni,manca poco. Se solo non mi pescassero quest'anno potrei essere libero da preoccupazioni e paura,paura di morire dentro l'arena degli Hunger Games.
Le mie gambe a malapena si muovevano, non avevo la forza di volontà di andare. Ero stanco di subire le torture di Capitol per il loro divertimento. Però sapevo che non andare alla mietitura avrebbe portato a morte certa e,giustamente,non era quella la fine che volevo fare.
Quest'anno mia madre aveva aggiunto delle tessere,adesso ne avevo un totale di 26, non il numero più alto ma comunque 25 possibilità in più di morire fulminato, infilzato, bruciato e via dicendo.
La mia famiglia mi accompagnò alla piazza, mi lasciarono in fila insieme agli altri ragazzi per fare l'impronta, per l'ennesima volta.
Nessuno era felice,dal mio posto riuscivo a vedere delle bambine in lacrime nel loro gruppo,probabilmente era il loro primo anno.
Una musica troppo familiare avvolse come una cupola l'area, le porte che conducevano al palco si aprirono con un tonfo. Era Bryce,col suo solito vestito rosso acceso,le arrivava appena sopra il ginocchio, era attillato come un guanto. Se non fosse che la causa delle mie sofferenze fosse in parte lei ci avrei fatto un pensierino.
-'Buongiorno Distretto 5! Bentornati alla 124esima edizione degli hunger games-Felici Hunger Games,e che la sorte possa essere sempre a vostro favore!'- Urlò con la bocca fin troppo vicina al microfono. -'Come state passando questa giornata? Impazienti per la mietitura?'- Chiedeva speranzosa,ma nessuno rispose. Ricevette solo sguardi ricolmi di odio da tutti i presenti. Rimase in silenzio per qualche secondo,sembrava malinconica.
-'Eh..euh,inutile aspettare oltre,peschiamo! prima le signore.'- Si sbrigò a dire. Era molto un 'togliamoci il dente velocemente'.
Si avvicinava con passo svelto alla boccia contenente i nomi delle ragazze, le sue mani tremavano,riuscivo a vederlo. Sospirò e conficcò la mano nell'ammasso di migliaia foglietti e scavò fino a trovare la vittima,allora tirò velocemente fuori la mano,poi lesse il nome sulla strisciolina di carta. -'Il tributo femmina del distretto 5 è...Abigail Bancroft!'-.
L'aria si fece più pesante, Abigail era amata da tutto il 5, era come una sorella per ognuno. La vidi salire sul palco, quando si girò verso di noi notai il suo sguardo, era come se in quel momento si fosse formata un'immagine fissa .
-'Ora è il turno dei ragazzi!'-
Non capivo come fosse possibile anche solo fingere di essere felice in una situazione simile, mi stava salendo una gran rabbia dentro, ero infuriato per tutte le vittime mietute negli ultimi 49 anni e in quelli ancora prima della rivolta .
-'Perchè Bryce?'- chiesi -'Perchè stai al loro gioco? Sei davvero favorevole a questa carneficina?! Guardati intorno!'- urlai indicando gli abitanti del 5 dai dodici ai diciotto anni -'Tutti loro potrebbero morire se accidentalmente sul foglietto ci fosse scritto il loro nome! Stai uccidendo gli abitanti del tuo stesso distretto!'-
Bryce era un eccezione alla regola,era l'unica accompagnatrice proveniente da un distreto e non direttamente da Capitol City.
Tutti gli sguardi si posarono su di me, il silenzio totale calò, lei era spaventata, i miei compagni tutti a bocca semi-aperta. Mi morsi con violenza la lingua, quella situazione non prometteva niente di buono.
Da quando erano ricominciati gli Hunger Games la tolleranza era passata da uno a zero, ora qualsiasi segno di ribellione, per quanto insignificante, non passava impunito.
Bryce notò i pacificatori che si avvicinavano con aria minacciosa e velocemente prese in mano il microfono. -'Aspettate!'- Girò di scatto la testa verso il capitano e lo guardò con sguardo supplice. -'la prego, troviamo un accordo.'- disse lontana dal microfono. I miei occhi erano fissi su di lei, stava bisbigliando qualcosa all'orecchio del'uomo in uniforme, che annuiva e si toccava la barba con la punta del pollice e dell'indice.
L'uomo fece cenno ai due pacificatori di lasciarmi andare, fu allora che capii. La donna si avvicinò nuovamente al microfono nel silenzio più assoluto ,e con la voce tremolante disse tre sole parole. -'Abbiamo un volontario.'-
Deglutii rumorosamente mentre i soldati si allontanarono leggermente per lasciarmi lo spazio sufficente per passare. Nessuno disse nulla, regnava il silenzio. Avrei preferito morire in quell'istante. 
Con passo lento salii sul palco a mia volta. Mi era appena crollato il mondo addosso. Dentro di me sapevo che era la fine, che chanches avevo di sopravvivere contro 23 tributi lontani dalle loro famiglie col solo scopo di uccidere tutti gli altri? In testa avevo mille domande, domande che sarebbero rimaste senza risposta per molto tempo.
La mietitura era conclusa,Tutti se ne stavano andando, la piazza si svuotava velocemente,lasciandoci immobili a fissare gli abitanti brulicare verso le proprie abitazioni.
Noi non avremmo probabilmente più avuto una casa in cui ritornare.
I pacificatori ci scortarono nelle stanze per gli ultimi saluti. Sembravano delle celle di prigione,era palese che non ci apportavano modifiche da anni. Dicevano che era una sistemazione temporanea,stavano ricostruendo la vera sala dei "ricevimenti". In alto, sulla porta, c'era una piccola finestrella chiusa con delle sbarre d'acciaio. Oltre a quella e ad una lampadina malfunzionante,nessun'altra fonte di luce. I due uomini si erano appostati ai lati della porta per controllare che non scappassi in qualche modo.
Sentii un clack. Alzai lo sguardo e vidi i miei genitori. Mia madre era in lacrime, continuava a singhiozzare. Corse ad abbracciarmi, mugolava parole incomprensibili. Solo dopo la terza volta che ripeteva la stessa frase capii cosa mi stava dicendo. 'perchè l'hai fatto'.
Lo sguardo di mio padre parlava da solo, aveva gli occhi in fiamme, erano rossi e gonfi. Cercava di mostrarsi calmo e distaccato ma non ci riusciva.
Nessuno disse una parola durante i minuti che ci erano concessi,c'era solo un silenzio ricolmo di tristezza mista a paura e delusione,come se già sapessero che la mia vita sarebbe finita dentro quell'arena.
Fuori dalla stanza Bryce ci stava aspettando, accanto a lei c'era un ragazzo, era giovane, forse sui 25 anni. Lo riconobbi subito, era l'unico vincitore del distretto 5 della "nuova generazione" degli Hunger Games.
Ci salutò con un cenno della mano poco entusiasta,non era affatto felice per noi,lui capiva. Ci accompagnarono verso il treno sempre del solito silenzio, ogni tanto la donna cercava di iniziare una conversazione senza successo tirando fuori argomenti tipo "il mogano è un materiale meraviglioso!".
Le porte scorrevoli ultratecnologiche si spalancarono appena oltrepassammo la linea che delimitava la stazione e la scaletta,piuttosto inutile per noi 'agili' tributi.
Era triste accorgersi che mi stavo già abituando all'idea di essere definito un tributo, erano passate a malapena due ore dalla mietitura.
Quando misi piede dentro quell'enorme veicolo rimasi senza parole, anche solo quel vagone era di gran lunga più grande di casa mia.
-'Benvenuti all'inferno'- disse il ragazzo sedendosi su una poltrona imbottita -'Moses, chiamatemi pure Moss.'- .
Mi avvicinai a lui muto,sentivo odore di viola del pensiero, il mio fiore preferito,  provenire da quella direzione. Non provenia da lui,ma da Abigail. Se ne stava seduta vicino al finestrino ad osservare la distanza dal 5 che man mano aumentava. Rimasi con gli occhi puntati sulla sua sagoma finchè non si girò.
I capelli arancioni come il tramondo le coprivano il viso leggermente rotondo, le lentiggini depositate sul naso erano dei piccoli cerchi perfetti e i suoi occhi celesti comunicavano disperazione.
-'Che hai da guardare LinguaLunga?'- disse girando nuovamente la testa verso il finestrino. Riuscii a sentire un tremolio nella sua voce.
Ci misi un po' a capire il riferimento alla mia boccaccia durante la mietitura, a quel punto feci una smorfia. 
-'E chi ti dice che stavo guardando te? Magari la mia attenzione era rivolta verso quella piccola e quasi invisibile ragnatela.'- . La ragazza si girò con un sopracciglio alzato. La raggiunsi e mi accomodai accanto a lei, che si sistemò e mi obbligò involontariamente a sostenere il suo sguardo. A vederli da vicino i suoi occhi erano freddi, occhi vissuti e ormai spenti. Eppure aveva soltanto 15 anni.
-'Smettila di guardarmi senza aprire bocca'- interruppe lei in silenzio -'Mi infastidisce'- continuò -'E poi devi dirmi il tuo nome, non ti hanno chiamato alla mietitura'- .
Accennai un sorriso e la guardai mentre giocavo con la catenina consumata che avevo al collo. -'Cree Bellarmy, piacere di fare la tua conoscenza'- .
Le porsi la mano consumata dal lavoro, lei l'afferrò e la scosse energicamente.
Per la prima volta in quel giorno la vidi sorridere. Aveva delle adorabili fossette nel bel mezzo delle guance.
Dentro quel vagone ormai ri serpirava un'aria tranquilla, come se ci fossimo dimenticati degli Hunger Games. 
-'Mi spiace interrompervi, ma se volete sopravvivere vi dervono i miei consigli. Poi fate voi.' - Disse moss distruggendo l'atmosfera tranquilla.
Abigail lasciò la mia mano ed andò a sedersi sul divano davanti a lui, gli porse mille domande mentre io me ne stavo ad ascoltare davanti al finestrino ,osservavo i distretti che lasciavamo alle nostre spalle con l'amaro in bocca ed un nodo alla gola. Da lì in poi niente sarebbe più stato facile.




------------------Angolo dello scrittore------------------

Prima di tutto,grazie di cuore per aver letto fin qua.
volevo in parte scusarmi per la scarsa qualità del capitolo,vi assicuro che i prossimi saranno molto,MOLTO meglio.
Detto questo,se vi è piaciuto lasciate una recensione,sia io che le altre saremo felici di ricevere critiche costruttive e di rispondervi.
Stay Turned!

-Emma (per chi non ha letto la bio, siamo in tre scrittrici. ogni capitolo sarà scritto da una persona diversa(?))

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Capitolo 2
*** Un gioco senza fine- Timberly ***


Sentii pungere lievemente la punta dell'indice. La donna con la divisa bianca mi prese bruscamente la mano e fece ricadere una goccia di sangue su un foglio dove erano presenti i miei dati:
Timberly Whitewood Ds.7, etá: 16.
Era la prima volta che partecipavo alla mietitura, la prima volta che uscivo in pieno giorno, in un luogo che non fosse il bosco di selci subito dietro casa mia.
Era pieno pomeriggio e il sole risplendeva riflettendosi sul biancore dell'edificio in cui probabilmente sarebbero stati momentaneamente accolti i tributi.
Ero sicura di non aver mai visto così tanta gente tutta insieme, così tanti ragazzi dallo sguardo spaventato, più grandi e più piccoli di me.
Il mio nome ci sarebbe stato 50 volte in più del normale. Sapevo come funzionava la mietitura, sapevo come funzionavano gli Hunger Games.
Quando sono nata mio fratello Morous mi nascose in una stanza segreta sotto il pavimento di casa nostra. Mi faceva uscire solo per andare nel bosco insieme a lui. Mi allenavo ogni giorno di nascosto a sopravvivere e a combattere. Quando compii undici anni capii che quella non era la vita che volevo. Mi allenavo perché volevo scappare.
" solo qualche anno, solo qualche anno in più!"
Continuavo a ripetermi. Una volta compiuti diciannove anni sarei stata libera. Non ci sarebbe stato il pericolo di essere estratta come tributo a gli Hunger Games.
Ma a sedici anni non ne potei più. Non ne potei più delle stanze buie e fredde, non ne potei più del costante odore di legno marcio e muffa. Volevo vedere il sole e non solo al tramonto, volevo che i suoi raggi mi baciassero la pelle.
Così sono scappata. Pensai che durante il giorno della mietitura nessuno si sarebbe mai accorto di me. Ma mi sbagliavo. Pensavo di sapere come fosse il mondo, mio fratello me lo aveva detto tante volte che era brutale e difficile, ma non mi sarei mai aspettata che lo fosse tanto.
-" è completamente folle"
Dissero gli uomini vestiti di bianco mentre mi trascinavano fuori dalla porta di casa e la luce del sole mi faceva bruciare gli occhi. I pacificatori erano più crudeli di come me li immaginavo, senza regole e senza timori.
Io non reagii, non battei ciglio quando mi dissero che avrei dovuto partecipare alla mietitura e che il mio nome sarebbe stato moltiplicato innumerevolmente nelle urne per punirmi della mia effrazione. Non battei ciglio nemmeno quando uccisero i miei genitori di fronte a me. Nonostante mio fratello avesse avuto tutte le buone intenzioni, col rinchiudermi dalla nascita in una cantina, non aveva fatto altro che rendermi folle e indifferente. Era come se non provassi nulla, come se ormai il mio cervello si fosse perso nell'oscurità dell'ombra, come se la muffa se lo fosse mangiato non facendone rimanere più niente.
Gli tagliarono la gola, ai miei genitori ,e il loro sangue mi macchiò i vestiti. Gli unici vestititi che avevo e gli stessi vestiti che indossavo quando mi misi in fila in attesa che il mio nome fosse detto.
Pensavano che fosse loro la colpa, non immaginavano chi invece fosse il mostro.

Erano così dannatamente sicuri che fossi io il tributo femminile di quell'anno.
Sentivo i mietotori parlare tra loro, mentre mi portavano nella piazza dove avveniva la mietitura. Dicevano che avrei pagato, che tanto non sarei riuscita a sopravvivere. Parlavano di me come se fossi già morta, come se avessero già estratto il mio nome dalle urne.

Mi sistemai tra le altre persone in attesa, con la speranza di non sentire il proprio nome pronunciato dall'uomo dai capelli verdi come le foglie dei tigli in primavera. Mi chiesi quanta differenza ci potesse essere nell'uccidere la persona accanto a te e nel desiderare di sentir pronunciare il suo nome invece che il tuo.
Io non avevo alcuna speranza di essere risparmiata, sapevo che avrei dovuto uccidere. Pensavo che uccidere qualcuno per vivere fosse meglio che non vivere e basta. Perché io non avevo mai vissuto, non ero mai esistita.
-" non c'è differenza tra giochi e realtà. In entrambi i casi devi lottare per sopravvivere."
Mi ripeteva mio fratello tutte le volte che gli confidavo di avere paura, di avere paura di morire.
Così quella rimase l'unica cosa di cui non ebbi più timore. La morte, al contrario della vita, non mi spaventava.
Paradossalmente, desideravo ciò che temevo di più e respingevo con tutte le mie forze ciò che consideravo una liberazione.
In quel momento nessuno mi guardava. Nonostante fossi bianca come i petali dei fiori del mughetto e sembrassi altrettanto delicata. Nessuno mi guardava non ostante puzzassi di muffa e i miei vestiti fossero macchiati di rosso scarlatto. Un rosso tanto intenso e unico, quello del sangue, che si ritrova solo nelle rose più rare e belle. Erano tutti troppo preoccupati a sperare di non essere scelti per notarmi.

"Timberly Whitewood"
Sentii dire. Nessuno oltre alla mia famiglia aveva mai pronunciato il mio nome. Alzai la testa verso l'uomo verde: i suoi occhi erano di uno strano colore innaturale e le sue ciglia tinte di un arancione intenso.
Tutti mi guardavano, tutti si erano girati verso la bizzarra ragazza che aveva vissuto probabilmente tutta la sua vita in una cantina.
Sapevo con certezza quello che pensava la gente di me. Sapevo che tutti si chiedevano se anche solo fossi mai potuta arrivare viva a Capitol City. Come poteva sopravvivere una ragazzina magra e dall'aspetto malaticcio a gli Hunger Games? come sarebbe anche solo potuta arrivare a compiere sedici anni?

Salii gli scalini tenendo perennemente lo sguardo fisso davanti a me, senza guardare niente in particolare.
L'uomo, che ormai non ero più tanto sicura fosse un uomo, con la parrucca verde mi prese una mano. Era calda e morbida, diversa dalle mani di mio fratello piene di calli e dalla perenne tensione dei nervi.
Da quell'altezza vedevo i volti delle ragazze che prima mi circondavano. Si erano stranamente illuminati di un sollievo che volevano nascondere a tutti i costi.
' siete felici che i vostri genitori per ora non debbano prepararvi il funerale? siete felici che L'uomo verde abbia scelto la povera pazza ragazzina ?'
Disse una voce nella mia testa che non riuscii a far stare zitta.
-" ed ecco a voi la ragazza dello scantinato! La misteriosa ragazza che ha voluto sfidare Capitol adesso lotterà per diventarne il precario simbolo."
Disse sempre l'uomo accanto a me.
-" e adesso vediamo chi sarà il fortunato Giovane uomo che parteciperà ai giochi."
Continuò usando un tono di voce fin troppo acuto e spavaldo per la situazione, risultando fuoriluogo e ridicolo. Esattamente come sembravano fuoriluogo e ridicoli i suoi vestiti color pastello in confronto a quelli da boscaiolo di ogni altra persona presente nel distretto.
Mia madre diceva che il nostro, il sette, era il distretto dei forti d'animo e dei coraggiosi, ma anche degli uomini orgogliosi e delle donne imprudenti. Ovunque ti girassi nel distretto sette, vedevi uomini e donne dalle possenti muscolature, dagli occhi seri e precisi e dalle mascelle tese in un perenne grugno di disapprovazione.
Ecco perché era strano vedere una come me, ecco perché risultavo tanto diversa da gli altri, ecco perché in quel momento mi sembrava che l'unica persona che mi potesse capire fosse l'uomo verde accanto a me.
Si avvicinò lentamente all'urna e ne estrasse un biglietto. Lo aprì con le unghie smaltate di arancione fluorescente e ne lesse il contenuto.
"Darcy OakHeart"
Disse. E subito notai la testa di un ragazzo alzarsi di scatto e puntare i suoi occhi neri ,come il bosco di notte, sull'uomo verde.
Mi sembrò eterno l'attimo che impiegò il ragazzo a salire sulla struttura in muratura e raggiungere il mio fianco.
Era l'unico ragazzo che vedevo da vicino che non fosse mio fratello e non potei fare altro che notare quanto fossero diversi.
-" perfetto. Adesso abbiamo entrambi i tributi del distretto sette. Timberly Whitewood e Darcy Oakheart. Coraggio datevi la mano...."
Il ragazzo si voltò verso di me e allungò la mano in modo brusco e deciso. Io esitai a stringerla, ma lentamente mi sforzai e sentii il calore di una stretta forte, la stretta di una persona che stringe il suo unico appiglio per evitare di precipitare nel vuoto.
-" E che la sorte possa essere sempre a vostro favore!"
Disse l'uomo verde in fine. Subito dopo sentii una mano inguantata stringermi il braccio e trascinarmi nell' edificio retrostante.

Le pareti della stanza erano completamente ricoperte con assi di quercia. Sopra di esse era stato passata in modo grossolano la vernice protettiva. I nodi nel legno sembravano volti disperati o occhi che ti scrutano l'anima.
Mi alzai dalla sedia imbottita e ricoperta da una stoffa di ciniglia rossa. Mi avvicinai all'unica finestra della stanza. Le persiane erano aperte e riuscivo a vedere l'esterno. Scostai le tende bianche con un gesto della mano. Tremava, tutto il mio corpo tremava. Ogni nervo del mio corpo era attraversato da spasmi: Forse per il freddo, forse per la debolezza o per la paura.....
No. No, io non avevo paura. Strinsi con tutte le mie forze i merletti che bordavano le candide tende. Rischiai di strappare la stoffa. Mollai la presa e feci ricadere in grembo le mani. Erano ruvide e graffiate, le unghie mangiate e spezzate...Alzai lo sguardo sul paesaggio: L'edificio era rialzato e si vedeva l'immensità dei boschi, I colori sgargianti delle folte chiome, le zone di radura più chiare....
Il mio sguardo si perse all'orizzonte. L'infinitá si sciolse nei colori azzurri del cielo e là, oltre il confine del distretto, dove il verde intenso degli alberi si unisce ai colori pastello del cielo, là ci sarebbe stata casa mia. Io sarei stata finalmente libera.
Dovevo solo partecipare agli Hunger Games, dovevo solo sopravvivere. Vincere e andarmene oltre i confini, là dove la gente pensa che vivano solo le bestie. Ma la verità è che è qui che vivono le bestie, Panem è il grande zoo e io sono un animale che non riesce più a vivere dietro le sbarre.
Ma forse era vero che non sapevo nulla del mondo.
-" Non Sapresti sopravvivere là fuori Timber!, non senza di me. Tu non sai nulla di com'è il mondo. Tu sarai la prima a morire, e guarda poi cosa hai fatto! Hai fatto uccidere i nostri genitori. proprio non riuscivi a reggerli un altro paio di anni vero? Ti dava così fastidio essere al sicuro?"
Disse mio fratello, quando mi venne a salutare. Era triste, anche se voleva sembrare arrabbiato, era soltanto immensamente disperato. Lui mi urlava contro e io ascoltavo ma non reagivo, nemmeno lo guardavo.
Vorrei averlo fatto perché ormai ero diventata apatica. Ma se c'era una persona sulla terra per cui provavo affetto, quella era mio fratello.
Non l'ho guardato, perché non riuscivo nemmeno a immaginare il dolore rinchiuso nei suoi occhi color nocciola. Non sarei mai riuscita a vederlo piangere.
Così lui aspettò un po' e poi uscì dalla stanza. Così, senza dirsi ciao, senza dirsi addio.
Non avrei mai più rivisto mio fratello, che vincessi o perdessi gli Hunger Games era uguale. Non avrei più avuto la fortuna di poter guardare il suo amore per me nei suoi occhi.

I miei pensieri furono interrotti dal rumore dei cardini della porta che si stava aprendo. Era un fastidioso cigolio, come lo stridore di un passero morente.
Da dietro la porta comparve una testa dai capelli castano chiaro, quasi biondo. Le ciocche erano spettinate sulla fronte del ragazzo, alcune raggiungevano gli occhi di quel colore così incredibilmente inesistente da far pensare che quel corpo fosse solo un involucro vuoto, il corpo di una bambola senz'anima. Invece l'anima l'aveva, era riflessa nel sorriso storto che in quel momento mi rivolgeva. Un sorriso imbarazzato e sincero.
-" non è venuto nessuno neanche da te?"
Chiese il ragazzo entrando nella stanza e chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo.
-" mio fratello."
Risposi in modo brusco e imbarazzante. Non sapevo come si parlasse alle persone.
-" bhe almeno tu una famiglia ce l'hai..."
Rispose lui in modo tranquillo.
-" sei...allegro!"
dissi, senza sapere bene se fosse una domanda.
-" e perché non dovrei esserlo! mi mancavano solo pochi mesi per scampare agli Hunger Games!"
Disse lui in modo sarcastico avvicinandosi sempre di più a me.
-" hai diciotto anni..."
Bisbigliai tra me e me.
-" e tu sei perspicace Timberly, complimenti!"
-" perché non è venuto nessuno a salutarti?"
Chiesi incuriosita dal motivo per cui un ragazzo come lui non avesse nessuno che lo amasse.
-" i miei genitori mi hanno abbandonato, o sono morti...non lo so, non li ho mai conosciuti. Mi ha cresciuto una vicina di casa che mi trovò sulla soglia della sua porta. Zia Maple è morta due settimane fa...e io ho venduto il mio nome per comprarle medicine che non le sono servite a nulla..."
Cominciò a raccontare appoggiandosi con la schiena al muro accanto alla finestra.
-" io non ho mai visto il sole, non davvero. Non ho mai sentito il vento sulla pelle, mai stata sotto la pioggia...."
Dissi io mentre fissavo la finestra, quasi assorta nei miei pensieri.
-" Bhe tranquilla, farò in modo che tu viva al meglio prima di morire."

Il treno scorreva silenzioso verso Capitol. Le immagini fuori dal finestrino scorrevano senza sosta. Ero seduta su una poltrona rivestita di una stoffa liscia e di un azzurro tenue. Stavo immobile a fissare l'esterno, come se le pareti mi sopprimessero e io avessi un continuo bisogno di stare all'aperto. Come se agognassi quella tanta attesa libertà ogni volta che mi ritrovavo rinchiusa in una stanza.
Di fronte a me era seduto Darcy. Era un nome elegante se pur facesse trapelare crudeltà nei suoni delle sue lettere. La D come il colpo di un'ascia sul legno, La R come il rumore della sega a mano usata per tagliare gli alberi, l'accostamento della C con la Y ricordava il suono del vento fra le foglie. Non che io avessi mai sentito bene almeno uno di questi suoni.
Ogni tanto mio fratello Morous mi portava nel boschetto dietro casa, alla sera, quando il cielo è tinto dal caldo arancione e l'aria comincia a pizzicare di freschezza. Mi faceva sedere su il ceppo di un vecchio albero, e mentre lavorava mi parlava di quanto fosse bello il bosco al mattino, di come si illuminano le foglie quando i teneri raggi le colpiscono, dell'odore della terra umida e dello scrocchiare delle foglie sotto ai passi che infrangono il silenzio.
Era così che sentivo i suoni. Sentivo i suoni che producevano gli attrezzi di mio fratello all'impatto con i tronchi degli alberi, sentivo la lieve brezza scuotere leggermente le foglie dei faggi. Ma ogni volta che rientravo nella mia gabbia, i suoni scomparivano, rimaneva solo il silenzio e nemmeno il ricordo di ciò che avevo sentito mi tranquillizzava. Odiavo il silenzio. Temevo il silenzio come temevo quel momento.
La porta che separava i vagoni si aprì, e il silenzio cessò. Il sollievo mi invase i polmoni sotto forma di un respiro profondo che trattenevo da troppo tempo.
Dalla porta entrò un uomo, non avrà avuto più di venticinque anni; portava i capelli lunghi e castani, quasi neri legati in un basso codino dietro la nuca. I suoi occhi erano particolarmente brillanti, verdi, come immaginavo potessero esserlo solo i germogli di un albero poco prima della primavera. Il volto era stanco e ricoperto da una corta barba scura lasciata crescere per noncuranza. I suoi vestiti parevano l'incrocio tra quelli dell'uomo verde e quelli di qualsiasi persona del distretto sette: stravaganti ma sobri.
Si sedette accanto a Darcy, ma nessuno parlò, nessuno si presentò.
-" Che dici Darcy, riuscirebbe a batterti?"
Il ragazzo conosceva Darcy Oakheart. Sembrava conoscerlo da tempo e sembrava che chiedesse informazioni su di me, che in quel momento li stavo guardando con gli occhi sgranati.
-" Non saprei, sembra magra e malaticcia, ma ha un non so che nello sguardo...come se fosse vuoto...e si sa che le persone vuote non hanno problemi ha uccidere."
Rispose Darcy tirandosi sù dalla posizione strabaccata con cui si era sistemato sulla poltrona di fronte alla mia.
-" Lo sai che non si vincono gli Hunger Games solo con gli occhi."
Rispose il ragazzo da gli occhi verdi girandosi verso l'amico e rivolgendogli un sorriso a metà tra il dubbioso, il dispiaciuto e il divertito.
-" Ah no? credevo fosse per quello che tu gli hai vinti invece!"
Rispose il ragazzo più giovane rispondendo all'altro con un sorriso identico, come se si fosse allenato anni per imitarlo al meglio.
-" Diciamo che lo considererò un complimento Darcy Oakheart!"
Rispose tornando a studiarmi con lo sguardo.
-" sono sicuro che ti batterebbe...con un po' di allenamento certo...ma ti batterebbe..."
Continuò.
-" potete smetterla di parlare di me come se non ci fossi?"
Chiesi stizzita sotto un incontrollabile impulso di farli tacere.
-" Scusami, io sono William Willow e sono il vostro mentore. Tu devi essere Timberly,Giusto? Bhe io e Darcy ci conosciamo da tempo ormai...ci siamo visti due settimane fa al funerale di Zia Maple no?"
Disse cominciando rivolgendosi a me e finendo tornando a rivolgersi a Darcy.
-"Già... Io e Will siamo praticamente fratelli...siamo cresciuti insieme, due case separate, ma pur sempre vicine."
Mi disse Darcy. In quel momento capii che probabilmente William, prima di diventare vincitore, abitava in una casa vicina a quella di Darcy e che così erano diventati amici.
-" Io...Io posso batterlo."
Dissi.
-" ottimo, almeno crede in se stessa."
Rispose il mentore ma rivolgendosi sempre all'amico, come se non riuscisse a rivolgersi direttamente a me.
-" è cresciuta in una cantina. È stata la sua prima mietitura. Ne ha scampate quattro...La vogliono morta, Capitol la vuole morta, anche se riuscisse a battermi non sopravviverebbe allo stratega."
Disse Darcy.
-" Allora faremo in modo che la gente tifi per lei e che gli sponsor le diano tutto il loro sostegno. Se il popolo la ama, Capitol non può ucciderla."
Disse William.
-" Non sarà facile farla piacere al pubblico... non ha mai interagito con nessuno che non fosse suo fratello... La gente la reputa folle..."
A quelle parole venni colta da una fitta al cuore. La gente mi reputava folle, pazza... e magari lo ero davvero. Abbassai lo sguardo sulle mani rovinate e poi sulle macchie di sangue sui pantaloni.
-" non devi preoccuparti di essere folle Timberly. In questo mondo se non lo sei già prima, lo diventi dopo aver partecipato a gli Hunger Games. Sempre che tu riesca a sopravvivere."

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Capitolo 3
*** Un gioco senza fine- Nathaniel ***


Oggi era il giorno della mietitura. Mi svegliai per il fragore della pioggia,che batteva instancabilmente sulle strade del distretto 12. La giornata non poteva essere peggiore. Mi alzai lentamente dal letto, volevo gustarmi ogni singolo momento della mattinata, poiché poteva essere l’ultima che passavo a casa. Mi recai nella saletta principale di essa, un luogo angusto tormentato dalle percussioni dei pacificatori. I miei genitori stavano preparando la colazione: due fette di pane leggermente abbrustolite e aromatizzate con le erbe del bosco, una prelibatezza. Mi accolsero con un sonoro : “ Buon giorno Nath !” cercavano di sdrammatizzare la serietà della giornata. Ci sedemmo nel piccolo tavolo che dominava la stanza. Iniziammo a parlare come se fosse un giorno come altri: del crescente costo del pane, della malattia della povera sign. Raymond, la nostra vicina. Ma purtroppo era inevitabile che non trapelasse qualche parola, qualche domanda, o una semplice affermazione sulla mietitura. Avevo già notato da un po' della fremente voglia di mia madre di chiedermi qualcosa :”Nath, so che forse non ti piace parlare della mietitura, o che semplicemente non ti piace pensarci, ma com…”; fu interrotta da mio padre: “ Mary…basta…sai che a Nath non piace parlarne, cerchiamo di passare questa giornata come meglio possiamo” disse, a mia madre scese qualche lacrima, era una persona molto sensibile: “cerca di controllarti!” le ordinò a gran voce.
Iniziarono a litigare, come ogni mattina. Non ci facevo mai caso, ma questa volta era inevitabile. Non potevano smettere di battibeccare per stare con me, per tranquillizzarmi…no. 
Restai fermo immobile davanti ai miei genitori, li guardavo negli occhi,sentii piano piano il mio corpo pervadere di calore e sentii bruciare gli occhi e le guance…ero sul punto di piangere; affondai le unghie nel legno di quercia del tavolo ed alzai subito il volto verso il soffitto per non far scendere le lacrime, mi concentrai su una piccola crepatura per distogliere il pensiero. Dopo qualche secondo, istintivamente, mi alzai rumorosamente dalla sedia e mi diressi in camera : “ voglio stare un po' da solo con Poacher”. Poacher era il mio gatto, è lui che mi sosteneva quando ero sul punto di crollare, quando penso che per scappare da tutto questo basterebbe prendere un coltello e… . Poacher, con qualche piccolo miagolio dal tono acuto a apparentemente dolce mi rammentava che i miei erano pensieri superficiali. Pensare di togliersi la vita per sfuggire agli hunger games, a quell’ansia che ti perseguita, che ti affligge, tormentandoti ogni notte, ma tutto ciò solo per qualche giorno. Sono fortunato ad avere solo queste preoccupazioni. Restai a coccolare Poacher per qualche minuto, poi dovetti uscire, per il mio appuntamento con Mark. Mark è definibile mio amico, o almeno è l’unico ragazzo che destava qualche interessi nei miei confronti, o che semplicemente stava con me.
Erano le 8:50 di mattina, dovevo incontrarmi con lui nei sobborghi del distretto, per poi rifugiarci da qualche parte per uscire dal caos della giornata; dovevo essere là alle 9 in punto, Mark odiava i ritardi. Smise di piovere violentemente, quando iniziarono a scendere delicatamente minuscole gocce d’acqua, le nuvole iniziarono a scostarsi lentamente per permettere al sole di destarsi e rendere più piacevole la giornata. Mark stese un telo sfilacciato e malandato sul terreno ancora umido, sotto una quercia. Ci sedemmo sotto l'arbusto, situato sul culmine della collina; narrano che l’ultima vincitrice del distretto 12, Katniss Everdeen, si rifugiasse anche lei qua prima della mietitura, ma si dice anche che sia solo una supposizione o un racconto paesano. Io e Mark non ci eravamo ancora rivolti una sola parola, volevamo solo stare insieme, in silenzio. Quell’interminabile silenzio raccontava più di mille parole. Dopo svariato tempo Mark concentrò il suo sguardo su una foglia, era malandata e distrutta alle sue estremità, ma all’interno era perfetta, possedeva ancora il suo color verde chiaro variegato : “ questa foglia mi ricorda te Nath. Come lei sembri debole, e ridotto male, vestiti sgualciti viso sporco, sembri sul punto di cadere …ma in qualche modo resisti determinatamente”. Era tipico per lui iniziare un discorso dopo lunghi periodi di silenzio, spesso anche su argomenti causali, che però trovavo persuasivi. Tutte le volte che faceva questi discorsi seri meditavo sulla profondità delle sue frasi, poi finivo per corrugare la fronte e dirli scherzosamente :“ ohh ma quanto siamo poetici quest’oggi Sir. Markintosh”. Lui mi assecondava con una profonda risata, e mi tirava un sonoro schiaffo dietro la nuca. Iniziammo a rammentare tutti i momenti spensierati che ci sono capitati in questi ultimi anni.
Dopo quelle ore di leggerezza con lui era quasi giunto il momento.
Prima di recarmi in piazza andai a casa, salutai amorevolmente Poacher, e lui mi assecondò strusciandosi sulla mia felpa. Abbracciai i miei genitori… avrei voluto spiegare la mia scenata di stamattina..ma non vi fu il tempo, un pacificatore spalancò la porta di casa e mi ordinò di recarmi in piazza. Dopo la rivolta erano molto più brutali e fiscali. La mietitura si svolgeva nella piazza del distretto 12 , un vero peccato, prima dell’”ammutinamento” del nuovo presidente, con la conseguente distruzione di molti luoghi, la piazza del distretto 12 risultava uno dei pochi posti rimasti piacevoli . La piazza era attorniata di negozi, dai quali i proprietari erano costretti ad uscire per assistere alla mietitura dei giovani. Malgrado avesse finito di piovere torrenzialmente, e il sole fosse uscito, vi era un’aria particolarmente umida, e il terreno era sporco ed infangato. Quest’anno erano state previste molte più precauzioni, recinzioni alte due metri intorno alla piazza, e usate come divisorio tra i ragazzi, i genitori e le persone adulte.
Mentre andavo a registrarmi vidi i miei genitori, non sembravano particolarmente preoccupati; fortunatamente il mio nome era ripetuto solo 16 volte, dato che mia madre è una farmacista e siamo solo in tre in famiglia, più uno Poacher che si guadagna il cibo da solo, non eravamo in una situazione di crisi come gli altri abitanti. So che Mark ha 30 tessere, e alcuni ragazzi il doppio, se non di più. Quando toccò a me una donna in uniforme bianca mi prese la mano, mi punse violentemente il dito e lo scagliò sul foglio con i miei dati : Nathaniel Ross — anni 16—distretto 12. Successivamente mi recai nella zona adibita ai ragazzi della mia età: i ragazzi dai 12 ai 18 anni vennero radunati all’interno di zone delimitate da basse recinzioni, i più grandi davanti, e i più piccoli dietro. I pacificatori radunarono gli ultimi arrivati, e iniziarono un’ispezione finale per tutte le case. 
Dopo svariati minuti irromperono nella piazza due pacificatori, i quali tenevano saldamente una ragazzina di 12 anni, facendola strusciare violentemente a terra. La bambina piangeva disperata, dalla sua bocca uscivano grida dilanianti, così come dalle bocche dei genitori, che cercavano di superare le recinzioni di ferro per raggiungerla. I pacificatori provvidero subito: i genitori furono scaraventati a terra, vennero incappucciati, e portati via…chissà dove. La bambina venne portata sotto al palco, sempre salda tra i due pacificatori, e le fu legata la bocca. Nessuno poteva sapere quello che le sarebbe successo. Giravano vari mormorii, chi diceva che l’avrebbero uccisa, altri che l’avrebbero torturata pubblicamente.
Scoccarono le due in punto nell’orologio cittadino, situato sulla cima del palazzo di giustizia; le telecamere situate sui tetti delle case iniziarono a riprendere . Dalle tre sedie situate al centro del palco si alzò il sindaco del distretto, il quale fece un breve discorso, schietto, ed enunciò il trattato di tradimento. Dopo che tornò al suo posto, si alzò una donna curiosa, schiava delle ricche usanze di Capitol City: Noomi. Noomi si avvicinò al microfono con piccoli passi saltellanti, che riecheggiavano sul legno, nel silenzio totale. Toccò due volte il microfono e iniziò a parlare : “ Benvenuti ai 124esimi Hunger Games! E che la sorte possa sempre essere al vostro fianco! E’ ora del sorteggio della fortunata che parteciperà ai giochi.” Infilò la sua minuta mano, rivestita con un guanto in raso bianco, nella boccia di vetro, e mescolò lentamente le tessere, mentre sembrava pronta a tirare su una tessera venne raggiunta da un pacificatore. Rimasero a parlare per molto poco, Noomi aveva un’aria seria. Il pacificatore se ne andò, Noomi rivelò uno dei miglior sorrisi del suo repertorio : “ mi è appena stato riferito che la candidata per gli Hunger games sarà la furbattola Prue Barker!”. Venne portata sul palco la bambina che aveva cercato di nascondersi, era palesemente lei. Si elevarono tumulti di dissenso, per gli adulti era inammissibile far partecipare ragazzi così giovani agli hunger games, ma per noi tributi erano altre possibilità di non essere pescati. I pacificatori cercarono di far cessare i clamori invano, perciò fu portato il padre di Prue sul palco, e gli puntarono una pistola sul volto ancora incappucciato. I tumulti finirono subito. Negli ultimi tempi non si scherzava. Dalle labbra di Noomi uscì un gemito di stupore, ma riprese subito a parlare:“ ebbene sì abbiamo il nostro tributo femmina, ma rinfrancate lo spirito, è ora di estrarre il nome del fortunato!” Noomi si diresse con altri passati verso la boccia contenenti i nomi dei ragazzi, riprodusse lo stesso gesto, ma molto più velocemente, evidentemente anche lei voleva che tutto questo finisse al più presto. Estrasse la strisciolina di carta, la aprì e lesse il nome: “ il fortunato è …Nathaniel Ross!”

Rimasi fermo qualche istante, non riuscivo ad elaborare la cosa…no…non era stato veramente chiamato il mio nome, vero? Ero tormentato di domande, quando Mark poggiò la sua mano sulla mia spalla, mi riportò alla realtà. Mi girai lentamente verso di lui…era pallido, anche lui incredulo. Cercavo di auto-convincermi che tutto ciò in qualche modo fosse uno scherzo, ma purtroppo non era così. 
Mi ritrovai davanti un pacificatore:” Devi andare sul palco” mi disse. Io procedetti a passi lenti, anche se il pacificatore mi dava qualche spinta per velocizzare il passo; cercavo disperatamente lo sguardo dei miei genitori. E’ difficile quando hai gli occhi di tutti puntati su di te; finché non scorsi una donna, singhiozzante, che abbracciava un uomo, che mi fissava ardentemente mentre le lacrime segnavano il suo volto vissuto.
 Come a casa, quella mattina, sentii il mio corpo pervadersi di calore, e bruciare occhi e guance. Alzai gli occhi al cielo, e mi concentrai su qualche nuvola, canticchiando una canzoncina che spesso cantavo a Poacher… Poacher, avrei tanto voluto vederlo in quel momento.
Non potevo lasciarmi trasportare dalle emozioni, piangere è un segno di debolezza, già data la mia corporatura esile e l’aspetto bambinesco, non potevo peggiorare la situazione e diventare il primo bersaglio dei miei avversari; per di più, proprio una delle poche persone con cui mi sarei potuto alleare più facilmente, Prue, era una ragazzina di 12 anni. Merda. Noomi fece un breve discorso di chiusura, il sindaco ci strinse le mani, riluttante, ci abbracciò : “ siate l’orgoglio del distretto 12, fate del vostro meglio”, anche per lui eravamo palesemente spacciati.
Noomi ci accompagnò dentro il palazzo di giustizia, nella piazza non volava una mosca, nessun applauso, nessun gemito. Mentre mi recarono nella stanza per vedere i miei genitori intravidi il padre di Prue, sembrava torturato, ma non potevo preoccuparmene, avevo altri pensieri per la testa. Aspettai per un paio di minuti su un prezioso divanetto in velluto rosso, era da molto tempo che le mie mani toccavano un tessuto del genere. Ripassai e ripassai le mani su quel tessuto prezioso e morbido al tatto, fino a quando non sentii girare la maniglia; mi ricomposi subito.
 
Aperte le porte mia madre si scaraventò sul mio fragile corpo, e mi strinse a se. Stava singhiozzando violentemente, e il suo corpo tremava; non l’avevo mai vista in quelle condizioni. Lentamente vidi mio padre che si avvicinava, i suoi occhi erano lividi, e il suo viso solcato da molte lacrime. Non avevo mai visto i miei genitori in quel condizioni, non pensavo di poter essere importante per loro. Restammo in silenzio per molto tempo, avrei voluto che Mark fosse qui, per rompere il ghiaccio con un suo eloquente discorso, avrei voluto sentire il miagolio di Poacher per riportarci alla realtà. 
Vidi il volto di mia madre scostarsi dalla mia felpa, rigata dalle sue lacrime, ed alzò i suoi occhi verso di me. Erano gonfi, contornati da un esteso alone rosso vermiglio. Dalla sua bocca non uscirono parole, ma solo gemiti di lamento. Non potevo assistere a quella straziante scena, mi voltai verso mio padre, come durante la mietitura mi guardava fisso negli occhi. Ebbe il coraggio di parlarmi.
 : “ Figliolo…ti ricordi quando ti insegnavo a cacciare con l’arco nel bosco? A far finta di fare imboscate, a creare trappole…ricordi?”
: “ si…” risposi
-: “ ricorda quei momenti, ti saranno utili..”. Iniziò a gesticolare e farfugliare parole. Non sapeva che dire. Il pacificatore fuori dalla stanza aprì la porta: “ avete solo 10 minuti” Cosa avremmo potuto dirci in quei 10 minuti, gli ultimi minuti che avrei potuto passare con la mia famiglia. Come quella mattina mia madre incominciò a parlare della nostra vicina, di Poacher, tutto ciò che non riguardasse quel momento. Passammo così i nostri ultimi 10 minuti insieme. Quando il pacificatore disse che il tempo era scaduto ci
abbracciammo ci salutammo. Dopo che uscirono entrò Mark, di corsa; aveva con se uno zainetto.
 Appena si accertò che il pacificatore fosse uscito appoggiò lo zaino per terra, e vi tirò fuori Poacher.
: “ POACHER!” esclamai, : “ Mark, come hai fatto a …”
- : “ non importa” mi disse, io annuii e mi concessi qualche minuto con Poacher., poi lo cinsi tra le mie braccia, e concentrai la mia attenzione su Mark, che si mise ad accarezzare delicatamente Poacher. Iniziò a parlarmi delle particolarità della sua razza, le qualità, gli aneddoti. Mark pose Poache nello zaino con un movimento serpentino, Mi abbracciò e fu condotto fuori dal pacificatore. 

Appena usciti dal municipio ci accompagnarono su un veicolo oscurato fino alla stazione del distretto. 
Ci mettemmo ad aspettare, finché non scorsi una figura longilinea che si avvicinava molto velocemente, non avevo mai visto un treno di persona, solo in foto nel libro di storia, tutte sgualcite o spesso illeggibili. Per quanto inappropriato provai un senso di gioia a salirvi. Dopo qualche minuto si fermò davanti a Noomi, la quale, spalancate le porte d’ingresso, ci invitò ad entrare. Riuscivo a percepire tutta la sua emozione nel vederci salire per la prima volta : “ Salite pure, che ne pensate?” Io annuii semplicemente, cercando di reprimere un sorrido, Prue spalancò i suoi grandi occhioni e fece un sorriso a trentadue denti. 
Il salone principale del mezzo era dominato da preziosi mobili in mogano, decorati con fastose composizioni floreali, posate in argento e bicchieri in cristallo, divani in velluto e tessuti preziosi, tutto ciò circondato da grandi vetrate. Prue si scaraventò sui vassoi contenenti pasticcini e dolci di ogni tipo, io, sebbene tentato come Prue mi limitai a sedermi su una poltrona, osservando il paesaggio che scorreva velocemente sotto i miei occhi. Mi incantai per vari minuti, fino a quando non sentii Noomi che ripeteva svariate volte il mio nome, invitandomi a tavola. Mi alzai senza dire una parola. Noomi ci presento nei dettagli Alosyos. Egli era il solo ed unico vincitore degli hunger games del distretto 12, dopo la rivolta. La sua figura era intramontabile, fredda, cupa, il suo sguardo era a dir poco agghiacciante, di sicuro non deve aver vinto i giochi con la gentilezza. Alosyos ci parlò molto schiettamente : “ gli hunger games sono un’esperienza che vivi al momento, non è possibile ricreare le sensazioni, le difficoltà momentanee, come affronterete le difficoltà, dipende da voi.”Dopo che le parole di Alosyos rimbombarono nel salone, prese dominio il silenzio.Poco dopo riprese a parlare : “ durante le valutazioni individuali sarete tenuti a cimentarvi a dimostrare le vostre capacità, gli uomini di Capitol sono molto esigenti, dovrete farvi notare, inventate qualche piccolo spettacolo, potete organizzare qualche alleanza, ma non puntate troppo in alto… .” Parlammo per altro poco tempo, per quanto sembrassero miseri dovevo far tesoro di ogni consiglio, a differenza di Prue, che sembrava più concentrata sul cibo.

----------------------------------------angolo dello scrittore----------------------------
Grazie per essere arrivati fin qua,apprezziamo tutti le views e le stelline che ci lasciate!
sono la terza scrittrice del gruppo,giulia,e spero che il capitolo vi sia piaciuto
è la prima volta che scrivo seriamente una storia
(per chi non l'avesse capito,ognuno dei capitoli dei personaggi (Cree,Timberly e Nathaniel) sono scritti da una persona diversa,seguendo l'ordine
emma->martina->giulia
quindi il prossimo(cree) sarà di emma,mentre il prossimo ancora sarò di martina e via dicendo
grazie mille,il prossimo capitolo uscirà mercoledì!

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