Gelido cuore

di Napee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Sogno o realtà? ***
Capitolo 2: *** 2. Rincontrarsi ***
Capitolo 3: *** 3. Festa ***
Capitolo 4: *** 4. Rivelazioni scomode ***
Capitolo 5: *** 5. Sempre più vicini ***
Capitolo 6: *** 6. Voci e leggende ***
Capitolo 7: *** 7. Consumarsi ***
Capitolo 8: *** 8. Non ti scordar di me ***
Capitolo 9: *** 9. Ancora in vita ***
Capitolo 10: *** 10. Déjà vu ***
Capitolo 11: *** 11. Radure sconfinate ***



Capitolo 1
*** 1. Sogno o realtà? ***





1.Sogno o realtà?

Il sole stava sorgendo dando inizio ad un nuovo giorno, ma l'ennesimo dei tanti al villaggio.
Già si potevano sentire i passi degli uomini che andavano a lavorare i campi, o le voci delle donne che si recavano al fiume per prendere l'acqua o per lavare i panni.
Rin invece sembrava non avere nessuna intenzione di alzarsi, ancora si rigirava nel futon cercando di prolungare il più possibile il suo sonno reso difficile dalla grande calura che incombeva già di prima mattina.
Una leggera brezza le accarezzò i capelli scompigliandoli leggermente ed andando a donarle un po' di refrigerio.
"Dovresti svegliarti" le sussurrò una voce familiare al suo orecchio.
Sembrava proprio la voce di Sesshomaru, ma lei sapeva di stare sbagliando.. lui non la svegliava mai, non si spingeva mai così vicino al villaggio se non di notte, e poi ormai erano anni che lo sognava o sognava la sua voce, quindi non se ne stupì più di tanto.
Era da quando l'aveva lasciata al villaggio che lei lo sognava, ogni notte, ogni singola notte, per 2 anni,lei lo aveva sognato.
Sognava il suo "Signor Sesshomaru"(che di "suo" aveva ben poco) che tornava a prenderla, che le accarezzava il viso come quando era piccola, ed ogni mattino era sempre una tortura doversi svegliare ed interrompere quel dolce idillio.
"Alzati, Rin" disse autoritaria la voce di Sesshomaru.
Era davvero convincente, quasi le sembrava che lui stesse accanto a lei e stesse cercando di svegliarla.. cavoli, quel giorno era davvero convincente.. ma non abbastanza.
Per far tacere quella voce fittizia, Rin si girò nel futon accomodandosi meglio  per riaddormentarsi.
In barba alla sua coscienza con la voce di Sesshomaru!
Ad un tratto percepì qualcosa di soffice sfiorarle una guancia.
Scacciò via quella sensazione strana strusciandosi la parte interessata con la mano, ma le sue dita incontrarono qualcosa prima della sua pelle, qualcosa di soffice, peloso e setoso..inconsciamente pensò subito alla coda del demone che l'aveva cresciuta.
Magari in quel momento era lì con lei e quella voce che sentiva era davvero la sua.
Al sol pensiero, scattò seduta sul futon credendo che lui fosse davvero lì, magari quella "cosa soffice" era davvero la sua coda, magari lui era davvero lì con lei... per lei.
Si guardò intorno con ansia ed aspettativa, magari lui era lì, magari lui era passato a prenderla per portarla via!
Con suo rammarico, però, scoprì di esser sola nella stanza.
La finestra si era aperta all'improvviso e la brezzettina era entrata così, ma quel contatto soffice non se lo spiegava proprio... liquidò comunque la questione credendo di esserselo immaginato, dopotutto era impossibile che il grande Sesshomaru si spingesse fin nel centro del villaggio per poterla vedere.
D'accordo che per lui era un'umana importante, sicuramente l'unica umana di cui gli importasse qualcosa, ma certamente non lo era poi così tanto da farlo entrare in un villaggio di umani.
Sorrise amaramente a quei pensieri, chissà se sarebbe mai stata la cosa più importante per lui, chissà se mai sarebbe tornato a prenderla.
 
 
Sesshomaru se ne stava appollaiato su di un ramo di un albero al limite del villaggio, ma non troppo lontano da impedirgli la vista della sua Rin.
 
Da quando l'aveva lasciata controvoglia al villaggio si sentiva solo, e per lui che era sempre vissuto girovagando solitario era davvero paradossale.
I primi tempi aveva soppresso quella sensazione stranamente nuova  portandole dei doni pregiati come: libri, spilloni per i capelli o gioielli quando raramente passava dal villaggio.
In quel modo poteva avvicinarsi a lei e starle accanto un giorno intero senza mai però sacrificare i suoi piani per l'accrescimento di potere.
Poi, col passare del tempo, quella sensazione aveva iniziato a riproporsi più frequentemente, tanto che spesso rinunciava ai lunghi viaggi per poter tornare indietro e rivederla il prima possibile.
Non capiva di preciso se fosse solo la nostalgia della sua presenza o proprio la voglia di rivederla, a spingerlo ad intrufolarsi nel villaggio la notte di nascosto, solo per starle accanto e guardarla dormire al suo fianco e magari accarezzare la sua pelle nivea.
 Fatto sta che ,dopo un po' di tempo che andava avanti così, si sentiva troppo dipendente da una bimba umana.
Decise quindi di intraprendere un lungo viaggio che lo avrebbe portato lontano da lei per vari anni, ma dopo pochi mesi di cammino, si era reso conto della sua stupidaggine ed era tornato il prima possibile da lei, da un'umana.
Ma non era un'umana qualunque, lei era la sua Rin, quella dolce bimba che  aveva sciolto il suo gelido cuore... ma per quanto ancora sarebbe stata sua?
Presto o tardi, Rin sarebbe cresciuta e si sarebbe trasformata in una donna pronta per andare in sposa ad un uomo.
A quel pensiero, Sesshomaru si era trovato a sopprimere un ringhio gutturale di disapprovazione.
Il solo pensiero che la sua Rin venisse toccata, o ancor peggio, da un vile uomo gli faceva ribollire il sangue.
Lei, così perfetta, così dolce, non doveva finire ad un insulso umano, benché appartenesse anche lei a quella specie, Sesshomaru la considerava come la più pura delle creature, il più bel fiore del Giappone che non meritava di essere contaminato dalla malvagità umana.
Rin meritava di meglio...e forse fu il suo ego a suggerirgli la risposta, ma a Sesshomaru parve la più giusta.
Rin era una creatura sublime bisognosa di protezione,forse l'unica degna della sua protezione, e forse anche di più ,dato che in passato non aveva mai esitato a mettere a rischio la sua vita per lei.
Forse era davvero lui l'unico degno di proteggerla fino alla fine dei suoi giorni.
Spinto dai suoi pensieri egoistici gli aveva donato il primo kimono quando ancora era una bambina.
Col tempo poi l'aveva vista crescere e farsi donna divenendo ancora più bella, e, incurante di tutto, aveva continuato a donarle i kimono più pregiati e ambiti dell'intero Giappone, conscio comunque di ciò che significasse.*
Anche quella mattina, mentre la osservava attentamente attraverso la finestra aperta, ancora si chiedeva come potesse esser così dipendente da lei.
In principio credeva di provare un affetto fraterno nei confronti della piccola, una sorta di strana empatia,ma poi col tempo qualcosa era cambiato.
Inizialmente credeva che avendole donato il primo kimono, il suo gesto non fosse che l'ennesimo tentativo di proteggerla dal mondo, ma poi ,però, col passare del tempo, forse si era abituato all'idea di prenderla in moglie dato che non gli sembrava un'idea poi così assurda,dopotutto era pur sempre la sua Rin e non un'umana qualunque.. ma adesso?
Rin era una giovane donna, pronta per prendere marito e lui aveva già monopolizzato la sua vita senza curarsi minimamente di lei o dei suoi sentimenti.
Aveva accettato il kimono, dunque erano fidanzati fin da quando lei aveva dodici anni, ma a quel tempo forse non sapeva il significato del suo gesto, magari adesso era innamorata di qualche suo coetaneo e stare con lui era l'ultimo dei suoi desideri.
 
Non appena la vide uscire dalla capanna, Sesshomaru spiccò il volo diretto al luogo dove aveva abbandonato il suo fedele Jaken.
Non voleva ancora vederla, non era il momento giusto, prima doveva far chiarezza nella sua mente e nel suo spirito.

 
 
* lo sapranno anche i muri, ma è sempre bene chiarire.
In Giappone, quando un uomo regalava un kimono (o la stoffa per il kimono..momentaneamente non me lo ricordo xD) ad una donna,in verità  la stava chiedendo formalmente in sposa, e se la giovincella accettava il dono, automaticamente accettava anche le nozze.

 
 
Buon salve!!
Lo so, lo so.. sto già scrivendo un sacco di storie, sono sempre in ritardo con gli aggiornamenti e che faccio? ne scrivo una ex novo..
Sono pronta per un'altra fustigazione sulla pubblica piazza T_T
Ma comunque..Vi è piaciuto come inizio? *^*
L'ho scritta di getto, quindi se c'è qualche strafalcione grammaticale vi prego di farmelo notare e provvederò a correggerlo quanto prima :D
Alla prossima..
Un bacio!!


Piccola Anteprima
1 "Non sapevo che saresti tornato... non così presto almeno!"
2 "Prima o poi sarei tornato, qui c'è la mia famiglia"

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Capitolo 2
*** 2. Rincontrarsi ***


2. Rincontrarsi

Rin lavò l'ultimo dei suoi kimono e lo ripose nel cesto insieme agli altri puliti.
Nel villaggio, lei era l'unica a possederne così tanti.
Solitamente le donne ne possedevano due o tre a seconda delle possibilità economiche, ma lei ne aveva addirittura ventitré... E tutti aventi delle stoffe particolarmente elaborate.
Il suo preferito però era un semplice kimono verde acqua ricco di varie sfumature che, nelle maniche e nella parte finale, tendevano al blu scuro.
Come stampa, riportava dei disegni floreali realizzati con dei fili di lamina dorata.
L'obi era semplicemente blu scuro, mentre la fascia in vita era della stessa stoffa del kimono.
Era meraviglioso, le stava divinamente quella volta che lo provò, ma non lo aveva mai indossato.
Si era ripromessa che lo avrebbe indossato solo quando si sarebbe decisa a dichiarare il suo amore al demone che l'aveva cresciuta.
Ma il tempo passava e quel kimono restava ben chiuso nell' armadio senza neppur vedere uno straccio di raggio solare.
Sbuffò un po' scocciata.
Odiava deprimersi così per un nonnulla, ma il ricordo di Sesshomaru diventava sempre più doloroso ogni giorno che passava.
Ormai erano 2 mesi che non lo vedeva, e le mancava terribilmente... Senza contare le varie preoccupazioni che l'assalivano.
Come starà? Sarà ferito? Starà combattendo? Sarà sempre vivo? Quando tornerà? Tornerà?
Mi manca... Mi manca troppo...
Affrettò il passo quando sentì le lacrime pungerle gli occhi.
Considerando che Sesshomaru era, con buona probabilità, il demone più potente delle terre dell'ovest, le sue preoccupazioni non avevano motivo di esistere.
Ma il cuore ed i sentimenti le impedivano di ragionare con lucidità quando ripensava a lui.
Raggiunse la capanna e ci si fiondò dentro per poter dar sfogo liberamente al suo pianto.
Non voleva piangere, lui le aveva sempre detto,quando era bambina, che piangere era disonorevole perché sinonimo di debolezza.
"Debolezza" era il suo secondo nome senza lui...
Sospirò rassegnata poggiando la testa alla parete in legno.
Doveva calmarsi,tranquillizzarsi e smettere al più presto di piangere.
Lui non avrebbe voluto vederla così.
"Mi manchi..." Sussurrò alla stanza vuota.
Inconsciamente sperava di vederlo apparire dall'altra stanza, magari anche arrabbiato con lei, ma avrebbe tanto voluto vederlo...
Passò un po' di tempo a guardare quella soglia che divideva le due stanze mentre i suoi dubbi sulle sue condizioni fisiche tornavano a monopolizzarle la mente.
Era ormai passato troppo tempo dall'ultima volta che lo aveva incontrato.
Quel giorno le aveva regalato l'ennesimo kimono dai colori sgargianti e poi avevano passato tutto il giorno insieme nella radura del pozzo mangia ossa, dove solitamente si ritrovavano, perché non era ne troppo vicino al villaggio, dunque non correvano il rischio che qualche umano li disturbasse, e non era neppure troppo lontano, così Rin poteva tornare a casa senza imbattere in qualche pericolo.
Come sempre, lui le chiedeva come stava, che in realtà, in una sola domanda, ne racchiudeva più di una: come stai? Come ti trovi al villaggio? InuYasha si prende cura di te? Sei felice così?
E lei iniziava a rispondere a tutte quelle domande non poste ma delle quali lui agognava la risposta.
Strategicamente, lei evitava di raccontargli dei ragazzi che la corteggiavano.
Un po' perché non le importava davvero di loro, dopotutto il suo cuore batteva solo per quel demone altezzoso.
L'altro motivo era che lei aveva paura a parlargliene.
Per qualche strana ragione, lei temeva che lui potesse arrabbiarsi o infastidirsi in qualche modo e ridurre i loro incontri già sporadici.
"Stupido demone, dove sei?" Sussurrò nuovamente alla stanza vuota, ma sperava davvero di sentirsi rispondere un "sono qui" leggermente offeso a causa dell'appellativo poco rispettoso.
Già se lo immaginava, con le sopracciglia leggermente incurvate e la bocca stretta in una linea dura creando così un'espressione offesa ed allo stesso tempo impassibile come solo lui sapeva fare.
Sbuffò un sorriso.
Ricordarlo era bello ed allo stesso tempo straziante, ma comunque non poteva fare a meno di pensarlo più volte al giorno.
Una strana agitazione fuori dalla sua capanna attirò la sua attenzione.
Il suo primo pensiero fu lui, come sempre... Magari stavolta si era spinto fin dentro al villaggio per lei?
Era impossibile, lui odiava gli umani e mai si sarebbe spinto fin nel bel mezzo del villaggio ,neppure per lei.
Uscì a controllare spinta dalla curiosità e da un'insana felicità pensando al suo ritorno.
Una Sango che gioiva gridando "fratellinoo!!" le sfrecciò accanto con una velocità degna di una sterminatrice.
La seguì con lo sguardo e vide il suo amico Kohaku che correva incontro alla sorella affiancato da Kirara.
Si raggiunsero e si unirono in un dolce abbraccio fraterno che esprimeva perfettamente tutto il loro amore.
"Non sapevo che saresti tornato... Non così presto almeno" sussurrò Sango all'orecchio del fratello cercando di trattenere le lacrime che le pungevano gli occhi.
"Prima o poi sarei tornato, qui c'è la mia famiglia." Rispose il giovane sterminatore stringendo ancor più la sorella fra le braccia.
Rin osservò quella scena con un dolce sorriso stampato sulle labbra.
Anche a lei sarebbe piaciuto avere qualcuno da stringere fra le braccia in quel modo.
"Non appena lo ha visto arrivare si è fiondata fuori di casa correndo come una pazza." Disse Miroku cullando l'ultimo arrivato nella loro famiglia, mentre si affiancava a Rin.
"Non ne dubito" rispose la giovane ridendo leggermente mentre gli toglieva dalle mani il piccolo.
"Voi uomini non ne siete capaci" giustificò il suo gesto con un sorriso furbo.
"Papà, possiamo andare a salutare lo zio?" Chiese una delle gemelle, mentre l'altra ancora si stava nascondendo dietro il lungo abito del padre.
Per quanto quelle piccole pesti fossero delle grandi combina guai, erano anche terribilmente timide con il loro zio Kohaku, probabilmente perché non lo vedevano quasi mai... Ma era solo apparenza, una volta rotto il ghiaccio, tornavano delle adorabili pesti.
"Certamente piccole." Rispose Miroku e la bimba coraggiosa si avvicinò saltellante verso la madre e lo zio, ma l'altra ancora indugiava dietro l'abito del monaco.
"E tu? Non vai a salutare lo zio?" Chiese lui amorevolmente mentre le accarezzava i capelli color cioccolato.
"Vieni anche tu." Bisbigliò la timidona rintanandosi ancor di più dietro le sue gambe.
"Va bene...Rin, posso affidarti l'uomo di casa?" Chiese Miroku sorridendo cortesemente.
"Si... Non sei affatto bravo a calmarlo, sai?" Ironizzò lei ricevendo una linguaccia in risposta dal monaco prima che lui si allontanasse lasciandola sola con il piccolo urlatore.
Subito si mise all'opera ed iniziò a cullare dolcemente il piccolino canticchiando una canzone di ormai troppi anni fa.
Parlava di un potente demone cane che viaggiava senza sosta per le terre dell'ovest, accompagnato da un verde kappa ed una bambina esuberante.
Subito il piccolo si distrasse dalla sua insensata bizza e si perse ascoltando il racconto cantato della giovane zia.
Rin continuò a canticchiare cullando il pupo e sorridendogli qualche volta, mentre lui la guardava curioso ed affascinato.
"Sei brava con i bambini" constatò Kagome affiancandola e ricevendo un sorriso raggiante da parte di Rin che però non smise di cullare e cantare per paura che il marmocchio riprendesse a piangere.
"Forse perché  anche tu sei poco più che una bambina" constatò InuYasha spettinando la giovane baby sitter.
"InuYasha, non sei gentile!" lo rimproverò Kagome guardandolo male e cercando di punirlo con lo sguardo.
"Non preoccuparti, non mi sono offesa.. Magari poi potrò tenere la vostra piccola peste!" Propose Rin con un sorriso raggiante.
"Si... Magari potremmo lasciartela qualche volta" rispose Kagome carezzandosi il pancione amorevolmente.
"Lasciartelo" bofonchiò InuYasha a mezza voce.
Quei due erano incredibili.
Erano la coppia perfetta, incarnavano alla perfezione la definizione di "anime gemelle" ma su una cosa non si erano trovati affatto d'accordo: il sesso del futuro nascituro.
Kagome voleva una bambina, mentre InuYasha pretendeva un maschio ed ogni giorno non facevano che bisticciare.
Rin sbuffò una risatina cercando di non farsi sentire per evitare di scatenare l'ennesima guerra.
"Scusaa..." Disse Sango togliendo il bimbo dalle braccia di Rin.
"Mi dispiace che te lo abbia lasciato così" aggiunse poi guardando in malo modo il marito che li stava raggiungendo affiancato da Kohaku.
"Ciao Kohaku, come stai?" Chiese Kagome abbracciandolo impacciata a causa del pancione.
"Bene, grazie Kagome.. E tu piuttosto? Sei enorme... Senza offesa!!" Rispose lui arrossendo leggermente per la gaffe.
"Tranquillo, lo so.. Comunque sto bene grazie!!" Lo tranquillizzò lei.
"Ciao InuYasha, tu com..."iniziò Kohaku, ma s'interruppe bruscamente quando i suoi occhi incontrarono l'incantevole figura di Rin.
"Bene e tu? Dove sei stato stavolta?" Rispose il mezzodemone, ma le sue parole si persero nell'aria.
Rin era cresciuta molto dall'ultima volta che era stato al villaggio, era diventata una bella ragazza, bellissima, probabilmente la più bella ragazza che i suoi occhi avessero mai incontrato.
Era alta e magra come un giungo leggiadro, i suoi occhi grandi color nocciola avevano un che di mistico e conferivano un'aria vagamente adulta al suo viso fanciullesco che ,col passare del tempo, era rimasto pressoché immutato.
Certo, i lineamenti si erano assottigliati divenendo più maturi, ma non troppo da conferirle un' aspetto adulto.
Rin aveva la superba capacità di sembrare ancora una bambina in volto, e sicuramente il sul segno caratteristico, la codina di lato, non aiutavano a farla sembrare più grande.
Ma il suo corpo diceva tutt'altro...sebbene il kimono tendesse a non valorizzare le forme femminili, il seno prorompente di Rin spiccava baldanzoso sotto quella stoffa.
Kohaku si perse nell'ammirarla.
Era cambiata parecchio dall' ultima volta che l'aveva vista e ,decisamente, questa nuova e cresciuta Rin gli piaceva di più.
"Ciao Rin..." Si obbligò a dire prima di sembrare un perfetto idiota.. O forse era già tardi! Quanto era rimasto a guardarla con la bocca aperta?
"Ciao Kohaku!" Rispose lei sorridente e solare.
La stessa Rin di sempre, eppure così diversa...
"Oh mamma!! Quanto è tardi!! Noi dobbiamo andare!!" Esordì Sango trascinando via tutti i presenti.
La sterminatrice ci aveva visto lungo ed aveva intuito che suo fratello era rimasto vittima di un bel colpo di fulmine.
Sperava che anche per Rin fosse lo stesso, così avrebbero festeggiato un altro matrimonio molto presto.
"Ma Sango, per cosa saremmo in ritardo?" Chiese InuYasha confuso, eppure era sicuro di non essersi dimenticato niente quel giorno!
"Stai zitto e cammina!!" Borbottò Kagome tirandolo per un orecchio, possibile che suo marito fosse così cieco?
"Ma Sango..." Provò a protestare Kohaku, dopotutto era tornato al villaggio per stare un po' con lei e le sue nipotine!
"Non preoccuparti, a stasera!!" Gridò Miroku ormai lontano mentre portava via le gemelle.
"Sbaglio o volevano lasciarci soli ad ogni costo?" Chiese Rin ridendo divertita, quei quattro non riuscivano a far le cose di nascosto neanche a volerlo.
"Già.. "Commentò lo sterminatore rosso come un peperone. Si vedeva così tanto che gli piaceva?
"Allora, dove sei stato stavolta?" Chiese lei tirandolo per un braccio verso la parte opposta a dove erano andati i loro amici.
"Dove mi stai portando?" Chiese lui ,se possibile, ancor più rosso in volto.
Lei voleva stare da sola con lui...
Sperava davvero che fosse così, dopotutto lui era tornato per stare con sua sorella, ma se avesse creato una famiglia tutta sua? Magari con lei...
Ok, forse stava correndo un po' troppo, prima doveva capire se quel che provava per Rin era solo attrazione o un sentimento più profondo, e poi arrivava la parte difficile, capire se lei ricambiava.
Per ora, però, sembrava di si...
"Nella radura del pozzo. Mi piace qual luogo, c'è sempre pace" snocciolò lei regalandogli un'altro sorriso.
"Va bene. A chi arriva prima?" Sfidò lui e lei furbamente sorrise ed iniziò a correre lasciandolo indietro.
Arrivarono alla radura quasi nello stesso momento ed entrambi si accasciarono sul manto erboso per riprender fiato.
"Hai barato, sei partita prima!" Protestò lui mentre assimilava ossigeno.
"Non ho barato, era una strategia!" Si giustificò lei ridendo della sua stessa risposta.
Aveva barato, eccome se aveva barato.
"Allora, dove sei stato?" Chiese girandosi su un fianco verso di lui e sorreggendosi la testa con la mano.
"Nelle terre del nord al di là del mare."
"E come sono? E i demoni? Sono pericolosi? E le persone? Ne hai trovate?" Lo investì con un fiume di domande senza fine.
"Rin ti prego, una per volta!" Scherzò lui ed entrambi risero a crepapelle di quella piccola scenetta.
Kohaku la incantò per ore con i racconti delle terre che aveva visitato, i demoni che aveva affrontato, le sfide che aveva vinto e le persone che aveva incontrato.
Rin pendeva letteralmente dalle sue labbra e ad ogni descrizione che il giovane le forniva, lei s'immaginava in quei luoghi esotici, magari viaggiando con un certo demone bianco.
Era bello stare con Kohaku.
Per qualche strana ragione, era un po' come quando stava con Sesshonaru e si faceva raccontare i suoi viaggi a monosillabi.
Quei momenti erano troppo sporadici purtroppo...
In men che non si dica, si fece buio e Rin fu costretta ad interrompere il racconto dell'amico.
"Mi dispiace, ma devo andare..." Si scusò lei chinando il capo in segno di scuse.
"Non preoccuparti" rispose Kohaku con un sorriso.
Poi allungò la mano verso il viso di lei e l'accarezzò dolcemente.
Moriva dalla voglia di saggiare la morbidezza di quelle guance rosee e si rendeva conto che il sul gesto era parecchio sfacciato, ma proprio non aveva resistito.
Rin avvampò per quel contato inaspettato.
Era stato un gesto troppo romantico, non sapeva come reagire, così si alzò dal manto erboso e fuggì via.

Non le era mai successa una cosa simile, solitamente i ragazzi ci provavano proponendole di uscire o gli offrivano dei fiori, ma mai nessuno si era permesso di accarezzarla.
Arrestò la sua corsa quando raggiunse il limitare del villaggio e poggiò la schiena ad un albero mentre riprendeva fiato.
Si sentiva terribilmente in imbarazzo, non sapeva come comportarsi.
Ripensò alla sua reazione: la fuga senza guardarsi indietro.
Si diede della sciocca mentalmente.
Con quella reazione Kohaku aveva capito che lei non era interessata?
Probabilmente no... Cosa si capisce quando una fugge? Niente, non so capisce niente.
Si sentiva ancora terribilmente accaldata, ma non sapeva se attribuirlo alla carezza o alla corsa.
Si mise le mani sulle gote per cercare di attenuare il rossore con il contatto delle sue mani fredde...
Oh Kami, se Sango l'avesse vista in quelle condizioni chissà cos'avrebbe pensato!
 Perché era fuggita? Perché non era rimasta li ed aveva bloccato il gesto di Kohaku? O, meglio ancora, perché non gli aveva spiegato che non era interessata a lui?
E se magari lui aveva frainteso?
Bhe, lei lo aveva portato nella radura, sembrava un invito a voler star da sola con lui... In effetti voleva stare sola con lui, ma non per quello!
No, decisamente no!! Lei voleva solo sapere dei suoi viaggi senza esser interrotti ogni minuto!
Sbuffò scocciata per la situazione che si era creata.
Come faceva adesso?
E se lei lo rifiutava e lui ci restava male? O ,peggio ancora, se Sango non le avesse più rivolto la parola per aver rifiutato suo fratello?
"Rin!" La voce improvvisa di Sango alle sue spalle la fece sobbalzare per la paura e si ritrovò ad acquietare un gridolino imbarazzante.
"Scusa, non volevo spaventarti!!" Si apprestò ad aggiungere la sterminatrice mentre rideva della reazione dell'amica.
Cosa ci faceva qui? Era venuta a spiarli? Oddio... Come poteva guardarla in faccia dopo quello che era successo con suo fratello?
"Hai visto Kohaku?" Chiese Sango vedendo che Rin seguitava a tacere.
"Si... È al pozzo..." Rispose la giovane distogliendo lo sguardo dal viso della sterminatrice.
Proprio non ce la faceva a parlarle dopo quello che era successo, si vergognava troppo!
"Va bene." Rispose Sango studiando attentamente la sua reazione.
Non era un comportamento normale per Rin, era sicuramente successo qualcosa fra lei e Kohaku... Doveva solo scoprire cosa!
"Vieni a cena da noi domani?festeggeremo il ritorno del mio fratellino, ci saranno anche Kagome ed InuYasha." Aggiunse poi ricevendo un cenno d'assenso da parte di Rin che ancora continuava a guardare il terreno.
Dovevano essere molto interessanti i fili d'erba...
"Allora ci vediamo!" Disse la donna dirigendosi verso la radura del pozzo mangia ossa e così Rin poté tornare a respirare normalmente.
Doveva darsi una calmata ed affrontare la situazione, altrimenti chiunque avrebbe frainteso.

***

Sesshomaru stava camminando verso il villaggio con l'ennesimo dono per Rin fra le mani.
Stavolta si era allontanato per ben due mesi da lei, ma non proprio volontariamente.
Aveva sentito parlare di una sarta cieca delle terre del sud, in grado di cucire utilizzando delle pietre preziose.
Per puro caso, durante il suo viaggio, aveva incontrato un potente demone lucertola che gli aveva dato del filo da torcere e purtroppo aveva ritardato il suo ritorno di qualche settimana.
Giunto al limitare del bosco, ispirò l'aria analizzando le varie fragranze che gli attraversavano le narici, cercando ,fra mille, l'odore della sua Rin.
Mentalmente ne calcolò la distanza e si rese conto di esser più vicino a lei di quanto pensasse.
Camminò ancora fino a che non giunse nella radura del pozzo mangia ossa, e lì ,vide Kohaku che chiacchierava allegramente con lei.
Istantaneamente un'insana gelosia s'impossessò di lui, ma la represse subito.
Rin era una bella ragazza, era normale che qualche ragazzo in preda agli ormoni adolescenziali provasse a conquistarla.
Rimase nel bosco ad osservarli e decise di non farsi notare, per quanto bramasse la compagnia della giovane, prima voleva vedere come sarebbe evoluta quella strana situazione con il giovane sterminatore.
Ad un tratto, lei scattò in piedi dicendo che era tardi e doveva tornare alla capanna prima che facesse buio.
Un moto d'orgoglio lo invase, era contento che lei fosse diventata una donna così responsabile da non girare nel bosco di notte.
Ad un tratto, Kohaku allungò la sua mano verso di lei e l'accarezzò languidamente.
L'orgoglio venne ben presto sostituito con la rabbia.
Come osava uno stolto umano, toccare la sua Rin?
Si costrinse a rimanere nell'ombra ad osservare la situazione, piuttosto che dare retta al suo istinto primario e staccare di netto la mano al ragazzo.
La vide arrossire fino all'inverosimile per quel contatto inaspettato, probabilmente era la prima volta che un uomo osava tanto con lei.
Poi la vide allontanarsi fuggendo a gambe levate.
Una piccola parte di lui, fu felice di quella reazione, significava che la giovane non aveva nessuna esperienza con l'altro sesso se preferiva la fuga alle attenzioni di Kohaku.
Quando Rin fu lontana, Sesshomaru uscì allo scoperto camminando dritto verso il villaggio degli umani per portarle il suo ennesimo dono.
"Signor Sesshomaru!" Lo chiamò Kohaku salutandolo con la mano, ma ricevette come risposta soltanto un fugace sguardo disinteressato.
"Signor Sesshomaru, vorrei parlarle di Rin..." Confessò lo sterminatore,  avvicinandosi al demone che all'udire quelle parole, aveva arrestato il suo cammino ma senza mai degnarlo di uno sguardo.
"Ecco... Io non so se è giusto chiederlo a voi..." Iniziò Kohaku mentre l'aria attorno a loro s'impregnava di timore e vergogna.
Sesshomaru , grazie agli odori che si stavano espandendo nell'aria attorno a loro, intuì cosa volesse chiedergli il giovane umano, ma volle comunque attendere che parlasse.
"Ecco... Voi siete come un padre per Rin..." Continuò Kohaku titubante mentre si grattava la testa nervosamente.
Sesshomaru analizzò attentamente quella frase.
"Voi siete come un padre per Rin."
No. Affatto. Lui non la considerava affatto come una figlia.
Per lui, quella fragile umana era molto di più, quasi come una dea da venerare, ma non sapeva ciò che sentiva lei nei suoi confronti...
"Dunque... Vorrei chiedervi... Il permesso di corteggiarla." Esordì infine inchinandosi rispettosamente.
Sesshomaru soppresse nuovamente un istinto omicida nei confronti di quel ragazzo che, mai come quel giorno, era stato così tante volte vicino alla morte.
Strinse con forza l'involucro di stoffa che conteneva il kimono, quasi come per cercarvi un appiglio per non fargli saltare la testa, poi con la solita voce monocorde diede la sua risposta.
"Non spetta a me darti questo permesso." Gelido, glaciale e conciso, poi spiccò il volo in quell'istante, lasciando Kohaku confuso e solo nella radura.




Buona sera!!
Eccomi tornata con questa romantica storiella :D
Cosa ve ne pare? un po' scialbo, vero? :( bhe, purtroppo i primi capitoli saranno un po' così, mi spiace per le fan di Sesshoumaru, ma prima di vederlo fare scintille con Rin, dovrà passare un po'... e credo che già dal prossimo capitolo capirete perché!
S'intuisce un pochino anche in questo, ma nel prossimo verrà esplicitato ;)
Poi vi prometto la più stucchevole, cariadenti, mielosa, struggente fanfiction che ci sia xD
Intanto, per movimentare le cose, ho aggiunto un corteggiatore temerario: Kohaku, che (addirittura) chiede formalmente il permesso di corteggiare Rin a Sesshomaru.
Allora, alla prossima!! :D
un bacio! <3

 

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Capitolo 3
*** 3. Festa ***


3. La festa

La festa per il ritorno al villaggio di Kohaku si prospettava esemplare.
Sango preparava moltissime portate: dalle più semplici alle più complesse ed, in ogni portata, perse totalmente il senso della misura, che alla fine cucinò per quasi metà villaggio.
A Kagome venne affidato il compito di preparare qualche dolcetto tipico della sua era ed il fabbro le diede la sua fucina da trasformare in forno per dolci... Ed anche lei perse il senso della misura cucinando per l'altra metà del villaggio.
Gli uomini allestivano tutto l'occorrente per l'enorme falò che avrebbe illuminato a giorno la notte, tranne InuYasha che vegliava sulla sua dolce metà sbraitandole ogni volta che poteva di essere una sciocca e di dover stare a riposo.
I bambini furono affidati alla vecchia Kaede che, da brava sacerdotessa, stava avviando le gemelline verso l'arte delle erbe mediche.
Rin invece fu l'unica senza compiti... O meglio, un compito glielo aveva affidato Sango all'ultimo minuto: tenere lontano Kohaku dal villaggio.
Sicuramente la sterminatrice aveva scelto la sua giovane amica per questo incarico solo e solamente per farla stare sola con lo sterminatore... A discapito di Rin che ancora era in difficoltà per l'episodio della carezza del giorno prima e ciò le impediva di adempiere il suo compito alla perfezione.
Aveva portato Kohaku a fare una passeggiata sulle rive del fiume, impiegando tantissima difficoltà  per scegliere le parole giuste ,in modo da non fargli fraintendere il suo gesto, e, adesso che erano da soli, fra loro si era creato un silenzio imbarazzatissimo.
"Allora.. Tu come ti trovi al villaggio?" Fu Kohaku a romperlo con una domanda molto stupida in effetti ,considerando che ormai ci viveva da dieci anni...ma sempre meglio del silenzio!
"Bene. Anche se mi manca girovagare per il mondo con il Signor Sesshomaru." Confessò lei sinceramente, dopotutto era la verità, ma quando pronunciò quel nome, il suo sguardo si rabbuiò all'istante e nella sua mente tornarono a tormentarla i soliti dubbi.
Sesshomaru starà bene?
Quando tornerà?
Tornerà?
"E come mai vorresti viaggiare?"
"Che domande... Per vedere posti nuovi, gente nuova... Nuove avventure ogni giorno!" Rispose lei entusiasmandosi solo a pensarci, ma omettendo comunque che il bello di viaggiare sarebbe stato poter vedere il demone bianco ogni singolo giorno.
"Si? Beh... Potresti viaggiare con me.. almeno vedresti tantissimi posti nuovi al di fuori delle terre dell'ovest!" Propose Kohaku prendendole una mano calamitando così gli occhi neri di lei nei suoi cioccolato.
"Che ne dici, Rin?" La esortò lui con un'espressione gioiosa e carica d'aspettativa che la ragazza proprio non voleva stroncare.
"Non lo so..." Tentennò vaga sfuggendo a quegli occhi dannatamente profondi e ritraendo subito la mano che iniziava a bruciare fra quelle dello sterminatore.
"Perché non lo sai? È quello che vuoi dopotutto." Continuò lui cercando di convincerla e riacchiappando la sua mano, stavolta mantenendo una presa più ferrea.
"Si, ma non me la sento di partire così su due piedi... Insomma, Kagome partorirà a momenti ed io voglio vedere il piccolo... Poi c'è il signor Sesshomaru, dovrei avvisarlo che parto con te altrimenti si offenderebbe..." Accampò qualche scusa a caso, di cui l'ultima decisamente meno credibile.
Sesshomaru non si sarebbe certamente offeso, come minimo non avrebbe battuto ciglio perché non gliene sarebbe importato nulla.
Nella vita del grande demone cane, tutto lo sfiorava ma niente lo scalfiva, e lei non faceva certo eccezione.
"Capisco.. Beh, però Sesshomaru avresti potuto avvisarlo ieri."
La frase dello sterminatore mandò in allerta i sensi di Rin.
Come ieri?
Perchè proprio ieri?
Cosa voleva dire?
Kohaku si accorse del repentino cambio emotivo della ragazza, e lo sguardo allarmato che gli rivolse, lo convinse a continuare a parlare fornendo più dettagli.
"L'ho visto ieri alla radura del pozzo, dopo che sei andata via...credevo che venisse da te." L'allerta si trasformò in panico.
Sesshoumaru era stato qui!
Era tornato! Doveva vederlo prima che ripartisse!
Subito sottrasse la mano dalla morsa di Kohaku ed iniziò una frenetica corsa verso casa sua ripetendo mentalmente una preghiera ai Kami, quasi un mantra.

Fa che sia ancora qui. Fa che sia ancora qui. Fa che sia ancora qui. Fa che sia ancora qui.

In pochissimi minuti raggiunse la sua capanna, quella che condivideva con la vecchia Kaede, ci si fiondò dentro senza badare a togliersi i sandali.
Raggiunse la zona notte, dove c'era il suo futon, e sopra vide un pacchettino incartato con stoffa bianca.
Era un regalo... Un suo regalo... L'ennesimo...
"Rin... Ma che succede?" Sincopò Kohaku una volta raggiunta la ragazza.
Non capiva proprio quello scatto improvviso... O meglio, un'idea ce l'aveva, ma non voleva darvi troppo credito, forse per egoismo, forse per convenienza.
Rin lo ignorò completamente, non aveva nessuna voglia di spiegare all'amico il motivo del suo repentino cambio d'umore, soprattutto perché per lo sterminatore non sarebbe stato affatto bello.
Velocemente pensò a dove potesse essere andato.
Che fosse già ripartito?
Kami, sperava proprio di no...
Che la stesse aspettando nella radura?
Poteva anche essere, ma era passato un po' di tempo... Che ci fosse ancora?
Uscì dalla capanna come un uragano intimando a Kohaku di restare dentro e non uscire per nessun motivo.
Corse. Corse come il vento sperando che non fosse troppo tardi, anche se ad ogni passo una strana angoscia le andava sempre più appesantendo il cuore.
No. C'era! Doveva esserci!!
Intanto le lacrime iniziarono a pizzicarle gli occhi, ogni passo che si avvicinava, aumentava sempre di più la consapevolezza che i suoi timori fossero veri.
Raggiunse la radura e si guardò intorno disperata.
"No... No... No..." Furono le sue ultime e flebili parole, strozzate dalle lacrime che adesso fluivano via dai suoi occhi indisturbate, non vi era più motivo di trattenerle.
Lui non c'era, se n'era già andato...
Si accasciò con la schiena poggiata al pozzo e pianse.
Pianse tutta la sua frustrazione, pianse tutto il suo dolore, pianse tutta la sua solitudine.
Lui non c'era, lui non l'aveva aspettata, lui non era rimasto per lei.. La dura consapevolezza di aver ragione: lei per Sesshomaru non era niente.


***


Contro ogni probabilità, si costrinse ad alzarsi dal freddo terreno ed incamminarsi verso la sua capanna dove, ne era certa, vi era ancora il festeggiato.
Con passo lento e strascicato percorse tutto il bosco che divideva il villaggio dalla radura e quando arrivò alle prime capanne si costrinse ad indossare un sorriso di finta serenità.
Lei non era felice, come si può esser felici quando si vive attendendo un suo ritorno?
Quando ogni giorno senza lui è come un'altro giorno senza ossigeno?
Raggiunse la capanna della vecchia Kaede ed entrò.
Come prevedibile, Kohaku era ancora li che l'aspettava giocando allegramente con la piccola Kirara.
"Hey! Allora com'è andata?" Chiese lo sterminatore scattando in piedi non appena vide entrare la giovane.
"Niente... Non c'era." Confessò con un sorriso tirato.
Mai parole furono più difficili da pronunciare.
Lui non c'era per lei...
"Mi dispiace... Però ti ha portato un nuovo regalo, che ne dici di aprirlo?" Propose Kohaku cercando di tirar su il morale di Rin.
Anche se ostentava quell'ampio sorriso, si vedeva lontano un miglio che fosse triste in verità.
"Si... Buona idea... Vuoi farmi compagnia?"
Ben magra consolazione, un regalo, l'ennesimo regalo... Avrebbe preferito passare un po' di tempo con lui invece di spacchettare l'ennesimo regalo.
"Certo! Così farò finta di non vedere mia sorella che addobba il villaggio!" Scherzò Kohaku riuscendo a strappare alla giovane un piccolo sorriso sincero, forse il primo dei tanti.. Chi poteva dirlo?
Scartarono il regalo insieme, scoprendo un meraviglioso kimono ricamato finemente con pietre preziose direttamente incastonate e cucite nella stoffa.
"Wow..." Fu l'unico commento possibile che uscì all'unisono dalle bocche dei giovani.
"È meraviglioso! Perché non lo indossi per la festa?" Propose Kohaku bonariamente, senza sapere che in verità stava risvegliando quel dolore apparentemente acquietato nell'animo di Rin.
Kimono... Era solo un kimono... Un pezzo di stoffa... Nulla di più.
"Si... Magari potrei..." Acconsentì apatica.
Era solo un kimono, l'ennesimo kimono... Nulla di più.


***


Come previsto, la festa per il ritorno di Kohaku ,non fu una festicciola fra soli pochi intimi, ma bensì sfociò in una festa dell'intero villaggio.
Ovunque vi erano persone felici di riaccogliere il giovane sterminatore: C'era chi intonava canzoni popolari, c'era chi brindava alla salute dello sterminatore, c'era chi suonava ,mentre i più giovani si erano dati alle danze più sfrenate intorno all'enorme focolare.
Tutti si stavano divertendo da impazzire, persino InuYasha aveva messo da parte le sue continue paure per l'incolumità della consorte e l'aveva fatta ballare in pace... Impacciata, ma in pace.
Solo Rin se ne stava in disparte, a battere le mani a tempo, cercando di mantenere un'espressione abbastanza felice, anche se lo si poteva vedere benissimo che stesse solo fingendo.
La mente della fanciulla era da tutt'altra parte, era rimasta ancora nella radura del pozzo mangia ossa a fargli rivivere quel momento di sconforto ancora e ancora.
Come poteva continuare così?
"Hey,Rin!!" Trillò un'InuYasha un po' troppo allegro con una giara di sakè vuota sotto braccio... Ed ecco spiegato il motivo della sua poca preoccupazione nei confronti di Kagome! Era troppo impegnato a brindare per prestare attenzione alla moglie...
"InuYasha, puzzi terribilmente d'alcol!" Disse Rin coprendosi il naso.
Certamente quella non era l'unica giara vuota per colpa del mezzodemone.
"Cosa?!" Gridò lui offeso.
"Allora sai che ti dico? Puzzi anche tu e molto più di me!!" Aggiunse poi sedendosi accanto alla giovane amica... O meglio, tentando di farlo, dato che i fumi dell'alcol gli avevano fatto mancare la sedia spedendolo direttamente con il sedere sul terreno.
"Non è vero, io non ho bevuto!" Rispose lei fintamente risentita.
"Invece si, puzzi di Sesshomaru... il che è anche peggio."
Al sol udire quelle parole, Rin arrossì come una bambina.
Era stupido, era insensato, anche perché non era lei a "puzzare" come Sesshomaru, ma bensì la stoffa del kimono, ma nonostante tutto si sentì felice.
Era come avere un po' del demone con lei... Ben magra consolazione, ma sempre meglio di niente!
"Era da una vita che non mi divertivo così!" Esordì Kagome raggiungendo i due e sedendosi accanto ad InuYasha con qualche difficoltà a causa del pancione.
"Tsè! L'altra notte mi sembrava che ti fossi divertita anche tu a letto.." Biascicò InuYasha, evidentemente preda dell'alcol, ma questo non bastò a fargli scampare l'ira funesta della sua compagna che, dopo esser arrossita come un peperone, lo mandò diverse volte a cuccia facendo ridere a crepapelle Rin.. Forse per la prima volta quella sera.
"Hey!! Ma che ho fatto?!" Protestò il mezzodemone, ricevendo in risposta solo l'ennesimo "a cuccia!".
"A...allora Rin, kimono nuovo?" Tentò di cambiare argomento Kagome, ricevendo un segno d'assenso poco convinto in risposta.
"Da parte di Sesshomaru, presumo."
"Già.."
"Che c'è? Non ti piace?" Chiese la miko studiando attentamente la ragazza.
Da quando Rin, la super chiacchierona e sempre allegra Rin, parla a monosillabi con uno sguardo triste negli occhi?
Qualcosa non quadrava, e Kagome era pronta a scoprirlo.
"No no!! È bellissimo!!" Confermò la giovane smentendo subito quella possibilità.
Come poteva non piacere quel meraviglioso kimono?
"Allora cosa c'è? Si vede lontano un miglio che sei triste." Chiese Kagome poggiando una mano sulla spalla di Rin come a volerla rincuorare.
"È solo che..." Iniziò la giovane, ma tacque subito dopo.
Non voleva rivelare i suoi sentimenti per il demone proprio a sua cognata... Però, Kagome era un'amica fidata, dopotutto poteva fidarsi di lei, e lei avrebbe certamente capito.
"Mi manca... E tanto." Confessò infine puntando i suoi occhi in quelli della miko, come se cercasse di farle capire il vero significato di quelle parole.
Non era una mancanza semplice da esprimere, il suo sentimento era una sensazione di vuoto all'altezza del petto che la faceva soffrire terribilmente.
Ma Kagome capì.
Capì perfettamente quello che le stava comunicando con lo sguardo, quello stesso sguardo che aveva avuto lei molto tempo prima quando InuYasha andava da Kikyio.
Rin era innamorata di Sesshomaru, aveva sempre avuto il sospetto e adesso era stato confermato.
Lei lo amava, e stava soffrendo molto per la sua assenza.
Istintivamente le sorrise come a volerla consolare, come se volesse rassicurarla, tirarle un po' su il morale.
"Andrà tutto per il meglio."
"Lo spero..." Sussurrò in risposta Rin sorridendole a sua volta.
"Rin, dimmi una cosa." Esordì InuYasa d'un tratto fattosi serio e tenendo gli occhi puntati su qualcosa al limitare del villaggio.
Magari le botte del "a cuccia" lo avevano fatto rinsavire...
"Dimmi." Rispose lei prestandogli subito attenzione.
"Se il kimono te lo ha regalato Sesshomaru, siete dunque promessi sposi?" Chiese infine voltandosi verso di lei e rivelando alle due donne il suo sguardo appannato dai fumi del sakè.
Rin, udendo quelle parole, assunse diverse tonalità di rosso, dalle più chiare alle più scure, arrivando infine ad un bellissimo bordeaux.
"A cuccia!" Gridò ancora Kagome, andando in aiuto dell'amica, che mai come in quel momento le fu così grata.


La festa si protrasse fino a tarda notte, ma Rin decise di congedarsi da tutti abbastanza presto accampando come scusa quella di esser troppo stanca per continuare a far baldoria, mentre in verità non era proprio dell'umore di festeggiare un bel niente.
Certo, il breve siparietto comico fra InuYasha e Kagome l'aveva decisamente divertita, ma dopo, quando poi se ne erano andati a dormire, la tristezza aveva ripreso il sopravvento e non era proprio il caso di rovinare una così bella festa con il suo malumore.
Salutò tutti, compreso il festeggiato con non poco imbarazzo, e si diresse verso la capanna, dove l'aspettava un comodo futon che avrebbe accolto silenziosamente le lacrime che le avrebbero rigato le guancie per tutta la restante notte.
 
 
***
 
 
Sesshomaru se ne stava su di un ramo di un albero al limitare del villaggio.
Aveva tenuto d'occhio Rin per tutta la sera, aveva colto il suo malumore, aveva percepito le sue lacrime, ma non volle mai muoversi per andare da lei , nonostante lo volesse tremendamente.
Ancora era troppo presto, non era il momento giusto, prima doveva scoprire se le voci che giravano nelle terre dell'ovest erano fondate, non poteva certo allarmarla per niente, e con lei tutto il villaggio.
D'un tratto, il gracchiare della voce di Jaken che lo cercava gli stuprò le orecchie.
Con un agile balzo, scese dall'albero palesandosi agli occhi del suo devoto servitore che subito lo accolse con mille elogi e complimenti.
"Cos'hai scoperto?" chiese il principe dei demoni ignorando gli onorevoli appellativi che gli rivolgeva il piccolo kappa.
"Mio giovane signore, le voci che circolano fra i demoni sembrano essere vere ed il vostro gran vassallo è riuscito persino a trovare un testimone che ha visto la strega che si nutre di sangue." rispose Jaken prostrandosi umilmente ai piedi di Sesshomaru.
Il demone maggiore non rimase affatto contento nell'udire quelle parole ,dopotutto i suoi timori si erano infine rivelati fondati.
"Chi sarebbe il testimone?" chiese con voce autoritaria.
"lo conoscete bene, mio signore, è il demone Royakan della foresta." rispose Jaken soddisfatto.
Sapeva di aver eseguito l'ordine del suo signore alla perfezione, forse anche di più perché aveva persino trovato un testimone oculare che potesse fornire una descrizione della strega.
Lo sentiva, anche se il suo giovane signore non lo esprimeva a causa del suo carattere, era comunque immensamente soddisfatto del suo opetato.
Con ben poca grazia,Sesshomaru calpestò il povero kappa e si incamminò nuovamente verso il fitto bosco, dove sapeva che avrebbe certamente trovato le informazioni che cercava.
 
 
 
Buona seraaaaa!!
Come state?? tutto bene?? io si, sono contenta perché ho finalmente trovato il tempo di aggiornare qualcosa di diverso dall'altra ff :D
Non sono ancora pienamente soddisfatta, avrei preferito riuscire ad aggiornare tutte le mie storie, ma non ho avuto tutto questo tempo a disposizione purtroppo T-T
Ma torniamo a noi,Piaciuto il capitolo? :D
Finalmente si inizia a delineare un possibile antagonista e la storia inizia ad addentrarsi nella trama vera e propria..cioè, dall'ultima parte in poi stiamo iniziando a trattare la storia vera e propria,  capitoli precedenti sono solo serviti a descrivere per bene i due protagonisti.
Allora, nell'altro capitolo vi avevo detto che prima di vedere i due piccioncini fare scintille, avreste dovuto attendere un po' e che la risposta sarebbe stata in questo capitolo... ebbene, Rin ,per quanto cotta a puntino, non riesce a credere di essere un minimo importante per il demone... e certamente il comportamento di lui non l'aiuta affatto..in più, ora ci sarà di mezzo anche questa strega ciuccia sangue..riuscirò mai a non far patire le pene dell'inferno a quei due??
Probabilmente no! >:)
Alla prossima cari lettori!!
un bacio! <3

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Capitolo 4
*** 4. Rivelazioni scomode ***


 4. Rivelazioni scomode

Sesshoumaru camminava nel fitto bosco alla ricerca del demone Royakan o di uno dei suoi lupi.
La voce che gli aveva riferito Jaken aveva purtroppo accertato i suoi dubbi: c’era in giro una yasha che si cibava di sangue umano ed era in cerca di un sangue particolare, il sangue “della fanciulla baciata dai demoni dell’oltretomba.”
Ringhiò sommessamente ripensando a quelle parole.
Era risaputo che questa strega fosse una brutale assassina che si cibava del sangue delle vittime per i suoi strani riti di magia, ma nessuno ne conosceva il motivo.
Ormai erano anni che mieteva vittime senza risparmiare nessuno, indistintamente, bambini, donne o uomini che fossero.
Poi, si era fatta notare per la predilezione verso le giovani fanciulle dotate di particolare bellezza, suscitando clamore soprattutto nei villaggi umani.
Inizialmente non gli aveva dato peso, si sarebbe certamente trattata della solita strega troppo ambiziosa che si poneva un obbiettivo troppo alto e periva nell’impresa di raggiungerlo.
Aveva provato a lasciar perdere quella sua strana preoccupazione, quella singolare apprensione che gli annodava lo stomaco non appena il suo pensiero vagava a Rin.
Ci aveva provato davvero, dopotutto la vita degli umani non gli importava.
Ma quella strana sensazione non lo aveva mai abbandonato.
Spesso si sorprendeva nel trovarsi a pensare che la yasha assetata di sangue stesse cercando Rin, ma poi si dava mentalmente dello stupido per quegli strani ad insensati pensieri.
Eppure, quell’impercettibile dubbio restava...
Finché, purtroppo,  non ebbe la conferma che le sue supposizioni erano fondate.
Si ricordava ancora alla perfezione il giorno in cui l’odore di Rin era mutato.
Certo, ogni ragazza quando diventa fertile cambia odore, ma in Rin era avvenuta una cosa strana, singolare, che mai aveva sentito.
Lei era umana, ne era certo, eppure l’odore della ragazza si era fatto più simile al suo...più demoniaco.
Precisamente, Rin stava acquisendo pian pianino l’odore di quel segugio infernale evocato da sua madre, che la rapì da bambina.
Inizialmente non vi aveva dato peso, quasi non ci credeva ed aveva continuato a viaggiare incontrastato per le terre dell’ovest, ma ogni giorno che passava l’odore della ragazza era sempre più forte ed ancora più diverso... Ancor più demoniaco, ancor più di oltretomba.
Quella nota olfattiva che stonava terribilmente con tutto il suo profumo, si era accresciuta col tempo inesorabilmente, tanto che ormai Rin aveva quasi del tutto l’odore di quel demone.
Sesshoumaru non riusciva a spiegarsi come fosse possibile una cosa simile e le strane voci riguardanti quella strega non lo tenevano affatto tranquillo...
Viaggiare con Rin, esponendola ai pericoli della natura selvaggia, averla a contatto con altri demoni, era un rischio troppo grande da correre.
Se lui si era accorto di quella nota particolare nel suo odore, chiunque avrebbe potuto fare lo stesso, ed era solo questione di tempo prima che la yasha la scoprisse.
In quel momento particolare, un’umana gli offrì il suo aiuto.
Non lo avrebbe mai detto, non avrebbe mai accettato di abbassarsi così tanto da accettare l’aiuto di una sacerdotessa, ma la vecchia Kaede era stata molto chiara e non avrebbe mai accettato un “no” come risposta, neppure dal principe dei demoni.
Si era offerta di occuparsi della piccola Rin mentre lui nel frattempo avrebbe trovato una valida spiegazione al suo strano cambiamento.
“Fra gli umani si mescolerà meglio.”
“Sarà più difficile per lei essere scovata”
“Non sarà comunque sola, InuYasha sarà pronto a difenderla.”
Furono queste le sue parole, le uniche frasi che lo convinsero a fare ciò che avrebbe altrimenti ritenuto contro natura: separarsi da lei.
Ancora gli risuonavano nelle orecchie le sue grida disperate quando gli aveva voltato le spalle addentrandosi nella foresta senza di lei.
Quando tuonava la notte, ancora poteva udire il suo pianto disperato mentre invocava il suo nome, pregandolo di non lasciarla lì da sola, di non abbandonarla in quel villaggio.
Era stato difficile separarsi da lei e tornare a quella solitaria routine scandita solo dal gracchiare di Jaken e non più dal tenero canticchiare della sua voce, ma alla fine era riuscito, in un certo senso, a riabituarcisi.
Ma se la separazione era stata dolorosa per entrambi, vivere senza lei a trotterellare al suo fianco lo era stato ancor di più.
Era straziante non sapere come stesse, cosa facesse o anche solo non sentire la sua voce, soprattutto con il pericolo tangibile che quella yasha la trovasse mentre lui non era lì per proteggerla.
Si diceva che non c’era niente in grado di turbare l’algido Sesshoumaru: tutto lo sfiorava ma niente lo scalfiva.
Eppure, solo quella effimera umana era riuscita ad intaccare impercettibilmente la sua spessa corazza fin quasi a fargli provare dei sentimenti.
Primo fra tutti: la preoccupazione.
Ormai era chiaro, quella strega stava cercando proprio Rin, era lei la fantomatica “fanciulla baciata dai demoni dell’oltretomba”.
Al sol pensare che la sua Rin fosse in pericolo, gli ribolliva il sangue.
Lui costretto a girare il Giappone in cerca di spiegazioni da parte di stregoni o shamani, mentre lei era sola al villaggio Musashi protetta solamente dal quel mezzospettro di suo fratello InuYasha.
Sospirò esausto.
Quella situazione andava avanti ormai da troppo tempo e vivere nel dubbio di un possibile attacco nemico non era affatto nei suoi piani.
Il giorno in cui Rin si era ferita per sbaglio era stato il giorno in cui aveva deciso di dare la caccia a quella yasha, rinunciando così ai suoi viaggi per l’accrescimento del potere demoniaco.
Quel giorno stesso era partito per cacciarla, il giorno in cui aveva avuto la conferma dei suoi dubbi, il giorno in cui aveva scoperto che il sangue di Rin non era affatto umano... Almeno, non più.
L’odore muschiato del demone delle foreste gli arrivò dritto alle narici, poco prima che quest’ultimo facesse la sua comparsa.
“Mio Signore Sesshoumaru, ho sentito che mi stavate cercando.” Esordì Royakan apparendo da dietro un grosso arbusto.
“Parlami della yasha che si nutre di sangue.” Ordinò Sesshoumaru con la sua solita voce indifferente.
“Certamente mio Signore.
Proprio l’altro giorno avevo mandato uno dei miei lupi a divorare un umano che si era perso nel bosco di InuYasha, ma quando è arrivato lì, il corpo era stato dissanguato da una donna con lunghi canini demoniaci.” Raccontò il demone dei boschi con aria assorta, mentre Sesshoumaru già ringhiava sommessamente per quella scomoda scoperta.
La yasha era più vicina di quanto pensasse.
Le sue fonti sui suoi spostamenti erano state solo false piste!
Che lo stesse depistando?
Sapeva di essere seguita da un demone potente come lui?
Era riuscita ad avvicinarsi così tanto... Decisamente troppo.
Bastava che Rin si avventurasse da sola nel bosco e l’avrebbe certamente presa senza che quello stolto mezzodemone fosse in grado di accorgersene.
Senza proferire parola, girò i tacchi e se ne andò per la direzione dalla quale era venuto, lasciando il demone Royakan delle foreste da solo.
Se solo fosse successo qualcosa alla sua Rin, avrebbe fatto saltare la testa a tutti gli abitanti del villaggio, nessuno escluso, partendo dalla vecchia miko che lo aveva convito molti anni prima.
Camminò a lungo ed in silenzio, assorto completamente dai suoi pensieri.
Quella strega non si sarebbe fatta prendere facilmente.
Già una volta aveva provato a tenderle un’imboscata per scongiurare qualsiasi timore, ma la strega era stata abile nel non cadere in trappola e defilarsi senza farsi vedere.
Non sapeva il suo aspetto, non sapeva come catturarla, non sapeva dove trovarla, ma una cosa era certa, lei non si sarebbe mai avvicinata a Rin.






InuYasha vegliava la moglie dall’alto di un albero, mentre questa istruiva Rin sull’arte delle erbe mediche.
Ormai Rin era una donna e presto si sarebbe presentato qualche pretendente chiedendo la sua mano, ammesso e concesso che Kohaku non ci stesse già provando...
Fece una smorfia preoccupata.
Questo pensiero, gli provocava una strana angoscia, una sorta di folle  preoccupazione, dopotutto chi lo avrebbe detto a Sesshoumaru?!
Ma soprattutto, come l’avrebbe presa?
Non aveva idea di cosa lo legasse alla giovane umana,  ma in cuor suo sapeva che suo fratello non avrebbe reagito bene una volta appresa una simile notizia.
Un’odore dolciastro conosciuto gli arrivò alle narici mettendolo in allarme.
Che ci faceva suo fratello da quelle parti?
“Parli del diavolo...” Bisbigliò fra sé e sé riaccomodandosi placidamente sul ramo.
Probabilmente era solo questione di tempo e si sarebbe mostrato per donare l’ennesimo kimono a Rin.
Tsè, chissà perché continuava a donarle dei kimono e sparire invece di parlare chiaro sulle sue intenzioni...
Annusò ancora l’aria arricciando il naso fino e mentalmente calcolò la posizione del demone cane.
All’incirca sarebbe dovuto essere dalle parti del Goshinboku...ma che ci faceva lì?
Non aveva sentito che Rin era nel campo di Jinenji?
Forse voleva che lei andasse da lui...
Forse lui  avrebbe dovuto avvisare Rin...
Bhe, in ogni caso si sarebbe dovuto mostrare!
InuYasha non ci teneva affatto ad impicciarsi dei loro affari!
Un’aumento repentino dell’aura del maggiore fece tremare impercettibilmente gli alberi e di tutto il villaggio.
Ma che diamine faceva quell’imbecille?
Voleva terrorizzare tutti gli abitanti?
“InuYasha!” Lo chiamò Kagome con sguardo allarmato in cui lui vi lesse una muta domanda.
Ormai, dopo tanti anni, lui e sua moglie si capivano al volo, bastava uno sguardo in più  e già intuivano l’uno i pensieri dell’altra.
Kagome, come lui, aveva percepito quell’improvviso aumento dell’aura di Sesshoumaru e la cosa le era risultata alquanto sospetta.
“Lo so... L’ho sentita anche io.” Rispose lui a quella domanda inespressa.
“Cosa? Di che state parlando?” Chiese Rin curiosa, ma vagamente preoccupata dal repentino cambiamento d’umore della miko al suo fianco.
“Vado a vedere!” Esordì InuYasha prima di spiccare un balzo prodigioso verso la fonte di quell’odore che un tempo era stato sinonimo di preoccupazione.
Qualcosa gli suggeriva che c’erano guai in vista e che quella strana improvvisata, da parte di suo fratello, non era affatto un buon segno.
Saltò rapido da un albero all’altro finché non giunse nei pressi del Goshinboku.
A quel punto, spiccò un altro salto finendo dritto sul terreno erboso dinnanzi a suo fratello che lo attendeva leggermente accigliato.
“Ci hai messo un po’ per capire che ti aspettavo.” Commentò atono il principe dei demoni con la sua solita aria di superiorità che tanto lo caratterizzava.
“Tsè, alla fine sono arrivato, accontentati perché non è poco!” Rispose InuYasha con la sua solita spavalderia, provocando un lieve assottigliamento degli occhi di Sesshoumaru.
Il demone completo si appellò a tutto il suo infinito autocontrollo ed accantonò quell’immane voglia si strangolare il suo fratellastro.
“Voglio che segui Rin ovunque vada.”
“Cosa?! Scordatelo! Non so se l’hai notato, ma mia moglie è incinta e presto partorirà! Dovrei pensare a lei!” Sbottò il mezzodemone con cipiglio irato, quasi offeso.
Che diamine andava blaterando suo fratello?
Non poteva accantonare Kagome in un angolo per far da balia ad una ragazzina iperattiva!
“Certo che l’ho notato, la tua donna emana il tuo stesso fetido odore di mezzodemone” Rispose Sesshoumaru arricciando impercettibilmente il naso in segno di sdegno.
“Se hai finito di offendermi, me ne andrei!” Esordì InuYasha scocciato facendo per andarsene, ma un ringhio gutturale lo inchiodò al suo posto.
Che suo fratello non avesse ancora terminato di proferire con lui?
“C’è altro?” Chiese ironico con il suo tipico sorrisetto sprezzante che ebbe la capacità di irritare ancora di più l’imperturbabile principe.
“Non farla avvicinare al bosco. Per nessun motivo.” Concluse l’algido demone dando le spalle al mezzospettro mentre ritornava sui suoi passi, alla ricerca di quella yasha.
“È per via del suo odore?” Si azzardò a chiedere InuYasha quando Sesshoumaru era già abbastanza lontano, ma sapeva benissimo che lo aveva udito senza problemi.
“Sì.” Rispose il maggiore con la sua solita voce gelida, ma solo un orecchio attento avrebbe potuto scorgervi una nota di frustrazione.
Dunque anche InuYasha aveva notato il suo odore?
Quanti demoni lo sapevano?
In quanto tempo sarebbe giunto alle orecchie di quella strega?
“Va bene, le starò vicino.” Concluse infine il mezzodemone per poi spiccare un balzo, lasciando Sesshoumaru da solo in quel piccolo spiazzo di boscaglia che delimitava il villaggio.
Stranamente, l’esistenza di suo fratello non gli stava risultando troppo inutile.






Rin osservava di sottecchi gli strani comportamenti di Kagome mentre raccoglievano distrattamente qualche bacca curativa.
La miko continuava a torturarsi le mani con evidente nervosismo osservando il cielo con apprensione.
Qualcosa non andava e, per qualche strano motivo, lei ed InuYasha non volevano parlarle a riguardo.
“Kagome, tutto bene?” Chiese Rin fermando la mani della giovane miko che, col loro continuo movimento, stavano innervosendo pure lei.
“Sì, certo.” Rispose la donna frettolosamente, senza neppure guardarla negli occhi.
Brutto segno...
“Kagome, davvero... Con me puoi parlare.
Cosa ti turba? Ho visto come è volato via InuYasha, dimmi che cosa succede. Posso aiutarvi!” La pregò Rin accorata, ma la miko negò con il capo sorridendole grata per tutte quelle premure.
Non poteva parlare, non stava a lei spiegarle cosa stava accadendo.
“Non è niente, una sciocchezza, non angustiarti.” Concluse la donna raccogliendo il suo cestino colmo di erbe mediche, mentre già s’incamminava verso il villaggio per preparare vari infusi curativi che le sarebbero certamente serviti durante il parto.
Rin la raggiunse di fretta portandosi dietro il suo cesto di erbe e fiori vari con i quali avrebbe decorato le pareti della capanna per giorni.
All’improvviso una sferzata di vento gelido le colpì violentemente, tanto forte da provocare un gran polverone che costrinse le due a schermarsi gli occhi con una mano.
“Eccoti!”
Trillò entusiasta una voce femminile sconosciuta che attirò la loro attenzione, costringendole a voltarsi verso la fonte dalla quale proveniva.
Davanti a loro vi era una donna alta ed innaturalmente  magra, quasi come uno scheletro.
La sua pelle era bianchissima, tanto da non sembrare viva ed i suoi capelli corvini le ricadevano disordinatamente sul viso e sul corpo mezzo svestito.
Ma ciò che catturò maggiormente l’attenzione delle due ragazze, furono quei due canini enormi che fuoriuscivano dalla bocca della donna fino a sfiorarle il mento.
Rin sgranò gli occhi indietreggiando spaventata.
Quella donna non era certamente umana, non poteva esserlo... Era una demone!
Una demone che voleva far loro del male ed aveva scelto proprio il momento in cui InuYasha era andato via!
Kagome si frappose fra la nuova arrivata e Rin, in un atto di sconsiderato coraggio.
“Chi sei?” Chiese la miko estraendo lesta arco e freccia e puntando dritto alla testa di quella strega.
“Non importa chi sono adesso, ma che cosa diventerò dopo.” Rispose enigmatica sorridendole maligna e mostrando due file di zanne acuminate.
Rin annaspò aria terrorizzata, mentre Kagome mantenne quell’apparente sangue freddo continuando a tenere la mira puntata sulla demone dinnanzi a loro.
Come aveva fatto a trovarla?
InuYasha e  Sesshoumaru dove erano in un momento come quello?!
Lei non era certamente in grado di combattere e non era affatto certa che qualche freccia sacra avrebbe fatto fuggire la yasha.
“Che vuoi da noi?” Chiese ancora la miko, visibilmente innervosita dalla precedente  risposta apparentemente senza senso.
“Voglio la fanciulla baciata dai demoni dell’oltretom...”
“Qui non c’è ciò che stai cercando.”
“Invece sì!” Rise isterica la demone con la sua voce acuta.
Era un suono sgradevole ed agghiacciante, come milioni di unghie che stridono su una lavagna all’unisono.
Rin ingoiò aria facendo balzare lo sguardo da Kagome a quella demone.
Chi era la fanciulla baciata dai demoni dell’oltretomba?
Era lei?
Una strana sensazione allo stomaco le fece intuire la risposta.
“Kagome...” La chiamò in cerca di un cenno che smentisse i suoi dubbi inespressi, ma purtroppo la miko le rivolse un fugace sguardo di scuse, prima di tornare a puntare lo sguardo sulla demone.
Dunque, era lei!
Che cosa voleva quella donna spaventosa?
Cosa voleva farle?
Si ritrovò ad indietreggiare ancora, finché la sua schiena non incontrò la dura e fredda corteccia di un albero del bosco.
Lesta rivolse nuovamente lo sguardo verso la demone, incontrando i suoi occhi vermigli assetati di sangue che la guardavano costantemente come se fosse un pasto prelibato.
“Vattene!” Tuonò la miko scoccando una freccia d’avvertimento che andò dritta a sfiorare una guancia scarna della strega.
La yasha ignorò bellamente la sacerdotessa, puntando direttamente alla ragazza dietro.
Stava per balzare ed attaccarla, stava per cibarsi col sangue che aveva tanto a lungo cercato, ma l’aura imponente e minacciosa di Sesshoumaru in veloce avvicinamento, la fece desistere dal suo intento e, sorridendo, si dileguò lesta fra gli alberi.
Pochi secondi dopo, nel campo giunsero sia InuYasha che Sesshoumaru con le armi già sfoderate e pronti a dare battaglia.
InuYasha era visibilmente nervoso e la sua Tessaiga pulsava fra le sue mani impaziente, ma non appena i suoi occhi videro quelli di Kagome, subito tutto passò in secondo piano ed andò al fianco della moglie per accertarsi delle sue condizioni.
“Kagome, tutto bene?” Chiese il mezzodemone apprensivo cingendola per le spalle.
“Sì, stiamo bene” rispose lei sorridendogli per rassicurandolo.
Rin aveva gli occhi puntati sul Signor Sesshoumaru appena giunto nel campo di Jinenji per lei, solo per lei, per difenderla da quella demone assetata di sangue.
Il cuore le batteva velocissimo, cozzando violento contro la cassa toracica.
Era tornato, era tornato per lei...
Quella consapevolezza le mozzò il respiro.
Allora, forse, gli importava qualcosa di lei.
Lo scrutò attentamente cogliendo ogni emozione che lesta attraversava fugacemente il volto del signore dell’ovest.
Preoccupazione, apprensione, rabbia, sollievo ed infine frustrazione.
Tutte avevano solcato il viso del suo amato demone, tutte quante per qualche misero secondo, caratterizzate da un impercettibile movimento dei suoi muscoli facciali.
Non appena il demone maggiore si voltò verso di lei, tutte quelle emozioni scomparvero, lasciando il posto al solo rammarico.
Qualcosa non andava e quella leggera rughetta al lato della bocca ne era l’evidente segno.
“Che sta succedendo?” Mormorò più a sé stessa che agli altri, ma Sesshoumaru la udì alla perfezione e con voce atona rispose.
“Dobbiamo parlare.”.



Buongiorno! :)
Come state?  Io tutto bene :)
Capitolo pieno di novità!
Rin e Kagome hanno avuto uno spiacevole incontro, ma per fortuna sono accorsi subito i due bei cagnoloni pronti a combattere!
Che teneri... Lo voglio anche io un prestante Sesshoumaru che corre in mio soccorso *^*  (se se aspetta e spera xD)
Vaneggiamenti a parte xD
In questo capitolo si è finalmente capito che cosa sta cercando questa yasha, ma il perché resta un mistero >:)
Lo so, la descrizione dell’antagonista fa un po' pena, ma più avanti ci sarà una bella descrizione dettagliata... Degna della sua bruttezza xD quindi non mi sono dilungata troppo e vi ho fornito una fugace immagine, giusto per avere un’idea :)
Vi prego di segnalarmi qualsiasi orrore, strafalcione o cavolata grammaticalmente scorretta che ho sicuramente disseminato per il capitolo.
Alla prossima!
Un bacio! <3

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Capitolo 5
*** 5. Sempre più vicini ***


5. Sempre più vicini
 
Camminarono a lungo ed in silenzio insieme, ma senza osare guardarsi l’un l’altra.
C’era imbarazzo fra i due, forse per la prima volta e forse proveniva più da lei che da lui, all’apparenza imperturbabile come sempre e come era sempre stato.
Rin camminava dritta leggermente indietro rispetto al grande demone e talvolta osava alzare fugacemente gli occhi verso di lui, per riempirli con l’immagine del suo amato Sesshoumaru.
Finalmente, dopo tantissimo tempo ormai, erano soli. Solo loro due, senza neppure il vecchio Jaken fra i piedi.
Solo loro... niente di più.
Rin sorrise fugace fra sé e sé ed arrossì vistosamente a quel pensiero sciocco ed infantile, ma che le riempiva il cuore di un bellissimo sentimento provato davvero poche volte... e tutte in Sua presenza.
Sesshoumaru era la perfezione pura ai suoi occhi.
Non solo l’ammaliava fisicamente, ma anche quel suo temperamento freddo e austero, l’attraeva terribilmente come una falena incantata dalla luce di una candela.
Esattamente come l’insetto con la fiamma, lo seguiva fedelmente, cercando di raggiungerlo, cercando di avvicinarsi il più possibile per poter infine godere del calore sprigionato.
E Rin sapeva, purtroppo sapeva, che prima o poi si sarebbe scottata.
Forse per puro masochismo ignorava volutamente quella consapevolezza, o forse era troppo innamorata per vedere realmente le cose come stavano.
Tuttavia, imperterrita non desisteva nei suoi intenti e continuava a trascorrere misere giornate in una buia tristezza attendendo pazientemente il suo ritorno, e gioire di quei pochi attimi felici in cui poteva vederlo.
Sesshoumaru la portò abbastanza lontana dal villaggio e, di conseguenza, lontana anche da eventuali occhi o orecchie indiscrete.
Non che Sesshoumaru si preoccupasse degli altri, certamente no! Lui non si curava affatto di nessuno... eccezione fatta per lei.
Lei era Rin. Lei era l’unica eccezione in quel mondo che lo faceva desistere dal massacrare l’intera specie umana, lei era colei per la quale lui non mangiava più umani.
Lei era tutto quello che di più importante gli restava. Lei era semplicemente la sua Rin, quella bimba dolce che con i suoi sorrisi era riuscita ad entrare nelle grazie di un demone freddo come lui.
E non si poneva neppure il problema di apparire debole agli occhi degli altri demoni maggiori. Non si curava più neppure delle voci che giravano sul fatto che fosse come suo padre... non gli importava più niente se non di Lei.
Non gli importava neppure di quella yasha, prima o poi l’avrebbe uccisa. Non le avrebbe mai permesso di torcere un singolo capello alla sua Rin.
Camminarono ancora finché non giunsero nella radura del pozzo mangia ossa.
Rin era agitatissima, una strana sensazione le aveva attorcigliato lo stomaco, uno strano presentimento che la mise in guardia.
Qualcosa le diceva che le parole di Sesshoumaru non le sarebbero piaciute affatto...
“Sei cambiata.” Proferì il demone arrestandosi nel bel mezzo della radura, ma senza voltarsi verso di lei.
“Effettivamente credo di essere cresciuta molto in questi anni...” Concordò lei titubante sviando lo sguardo da quella chioma argentea tremendamente perfetta.
“Lo vedo.”commentò atono il demone, voltandosi infine nella sua direzione per poterla ammirare.
Era così bella la sua Rin! Così giovane e fresca, così graziosa ed ingenua, come quando era bambina.
Eppure, era cambiata davvero... era cambiata troppo.
Il suo fisico non era più minuto ed acerbo come un tempo, i suoi occhi non erano più grandi ed innocenti, i suoi lineamenti non erano più fanciulleschi come lo  erano stati tanto tempo prima.
Adesso, dinnanzi a lui, vi era una giovane donna. Una splendida donna che lo guardava con una luce particolare negli occhi, una luce che aveva già visto brillare in altre iridi scarlatte.*
Non appena gli occhi ambrati del demone si posarono su di lei, Rin perse il respiro.
Quegli occhi magnetici sembravano leggerle nell’anima, scovando anche i segreti più profondi e portandoli alla luce.
Inconsciamente si ritrovò ad abbassare lo sguardo per celare le sue guance in fiamme alla vista del demone.
Perché ogni volta doveva ritrovarsi ad agire come una ragazzina?!
Si morse il labbro inferiore con i denti e cercò di ignorare quella sensazione di sfarfallio allo stomaco che pareva non volerle dare tregua.
“Ora sei una donna.” Incalzò lui scrutandola attentamente.
Si concesse un’impercettibile inasprimento del tono della voce su quell’ultima parola, racchiudendovi tutto il suo disprezzo per l’inesorabile e crudele tempo che passava.
Rin avvampò ancora di più udendo quelle parole... soprattutto se dette da lui!
Completamente a disagio, si portò una mano fra i capelli e se li scostò su una spalla.
Perché le stava parlando così?
Perché quelle parole equivoche? E quel tono?
Cosa c’entrava con la yasha di poco prima?
Aria fresca. Aveva bisogno di aria fresca!
Come riusciva a farla sentire così a disagio con così poche parole?!
“E con te, è mutato anche il tuo odore.” Sputò lui con frustrazione stringendo un pugno con rabbia sempre più crescente.
“Come sarebbe?” Chiese Rin confusa.
Quella notizia l’aveva spiazzata del tutto, ma sopra ogni cosa, non riusciva a capire quella furia nascosta dietro l’indifferenza della quale erano mascherate le parole del demone.
Lo scrutò attentamente in volto, facendo attenzione ad ogni minimo movimento facciale del demone.
La mascella era squadrata e perfetta come sempre, ma irrimediabilmente serrata... segno inequivocabile della sua furia. E la sua rabbia non prometteva assolutamente niente di buono.
“Il tuo odore è mutato con te. Lentamente è diventato sempre più simile al mio, finché non è diventato completamente demoniaco.”
Rin rimase in silenzio per qualche minuto, cercando di assimilare quanto più velocemente possibile tutte le novità che Sesshomaru le aveva confessato.
Una strana stretta allo stomaco sostituì lo sfarfallio di poco prima, dando origine ad una sensazione di terrore e di amara consapevolezza.
La yasha stava davvero cercando lei...
Perché? Quali erano i suoi piani?
Perché il suo odore era mutato?
Rabbrividì al sol pensiero, ma cercò di calmarsi.
Il suo odore era cambiato drasticamente in quegli anni, ma, a giudicare dall’evidente rabbia che brillava negli occhi di Sesshomaru, ancora non se ne conosceva il motivo... e probabilmente nemmeno le conseguenze.
Che fosse un sortilegio di quella yasha?
In fondo, poco prima aveva rivelato di star cercando “la ragazza baciata dai demoni dell’oltretomba”... ma perché?
Perché avrebbe dovuto maledirla per poi darle la caccia?
Non aveva molto senso...
Probabilmente la yasha non centrava niente con il suo cambiamento, ma, in qualche modo, ne era venuta a conoscenza ed adesso la stava cercando per i suoi scopi ignoti.
Chiuse gli occhi e sospirò profondamente cercando un brandello di coraggio dentro di sé.
“Sono io ‘la ragazza baciata dai demoni dell’oltretomba’?” Chiese atona senza osare posare lo sguardo sul volto del demone.
Non osava tanto, non sapeva se avrebbe retto nel vederlo così infuriato come sembrava.
“Sì.” Sospirò Sesshomaru esausto.
Quella parola, quell’unica sillaba, gli era costata molto di più di qualsiasi altra cosa.
Era solo una parola, ma significava troppo per lui.
Era il simbolo del cambiamento, del tempo che stava passando troppo velocemente, della sua incapacità nel proteggerla, nella sua inettitudine nel capire che diamine stesse accadendo alla sua Rin.
Una sillaba colma di disonore..
Per Rin invece fu come ricevere uno schiaffo in faccia.
Quella consapevolezza che le aveva stretto lo stomaco si era infine concretizzata, dando il permesso alle sue paure di fluire via libere dalla sua mente.
Che cosa succederà adesso?
Sarò in grado di affrontare tutto questo?
La yasha che piani avrà?
Farà del male ai miei amici?
Farà del male a Lui?
Una lacrima corse lungo la sua guancia senza che lei se ne accorgesse.
Sesshomaru, lesto, la raccolse con due dita, sfiorandole delicatamente l’epidermide rosea del viso.
Rin sussultò sorpresa per quel contatto inaspettato.
Alzò subito lo sguardo verso il demone e scioccamente s’immerse in quel mare d’oro fuso che sembrava volerla inghiottire.
Quegli occhi demoniaci trasudavano frustrazione, rabbia e sete di sangue, ma soprattutto un sentimento dolce e caldo che sembrava acquietare gli altri, prendendo il sopravvento.
Sorrise debolmente mentre altre lacrime sgorgarono fuori controllo.
Ormai non riusciva più a smettere, il suo pianto stava diventando un vero e proprio sfogo, e Sesshoumaru sembrò intuirlo.
La lasciò piangere a lungo, osservandola da spettatore silente, attendendo pazientemente che si calmasse.
In quel momento, si sentiva debole come mai prima.
Vederla piangere, sentire l’odore della sua paura, della sua preoccupazione, erano colpi devastanti dai quali  neppure lui sapeva difendersi.
Infine Rin si asciugò anche quell’ultima lacrima, tirò su col naso e sorrise rassicurante al demone in segno di ringraziamento.
Non era una situazione facile da gestire, non vi era niente di certo tranne il pericolo per l’incolumità della sua Rin... eppure, quel sorriso ebbe la capacità di calmare la sua anima demoniaca irrequieta.
 
^^^
 
Trascorsero insieme i brevi attimi di luce che ancora il giorno concedeva, poi, al tramonto, Sesshomaru accompagnò Rin fino al villaggio.
Non era saggio girare di notte, soprattutto adesso che la yasha l’aveva trovata.
Rin questo lo sapeva anche se Sesshomaru non glielo aveva detto, tuttavia si trovava tremendamente a disagio per tutto il fastidio che stava recando ai suoi amici.
Kagome si era presa un bello spavento ed era rimasta a riposo tutto il giorno, dunque, per non farla affaticare,  Sango si era offerta di aiutarla ad adempiere i compiti da sacerdotessa, mentre Miroku si occupava dei bambini ed  InuYasha  perlustrava i dintorni continuamente alla ricerca della strega.
Tutto il villaggio era in allerta e lei si sentiva così colpevole...
Sesshomaru la squadrò attentamente durante il tragitto, cogliendo subito la sua preoccupazione.
Ormai Rin era un libro aperto per lui tanto quanto lui lo era per lei.
“Non devi preoccuparti” le disse cercando di addolcire la voce il più possibile, nel tentativo di assumere un tono quantomeno consolatorio.
“Non sono preoccupata per me, lo sono per gli altri.
Non volevo creare tutto questo trambusto...e tantomeno voglio che qualcuno si faccia male.” Confessò lei sospirando, passandosi una mano tra i capelli per cacciare  indietro alcune ciocche ribelli che le erano scese sul viso.
Sesshomaru restò in silenzio non sapendo bene come rispondere.
Lui non si era mai curato degli altri, non si era mai preoccupato per qualcuno che non fosse lui stesso, quindi non riusciva a comprendere a pieno le parole della ragazza.
Sarebbe stato solo un miracolo se, in un possibile scontro, tutti ne fossero usciti illesi.
“... compreso voi.” Aggiunse lei in un sussurro, arrossendo poco dopo.
Il demone si fermò ad osservarla con malcelato scetticismo.
Si stava preoccupando per lui?
Per la sua incolumità?
Che scempiaggini...
“Rin...” iniziò lui con aria di rimprovero, ma lei alzò le mani in segno di resa interrompendolo.
“Lo so, lo so... voi siete il demone più forte delle terre dell’ovest, non vi accadrà niente, non devo preoccuparmi inutilmente...” disse lei scimmiottandolo.
“Però, non riesco a stare tranquilla.
Ho la brutta sensazione che accadranno solo cose orribili.” Confessò abbassando lo sguardo colpevole.
Non doveva abbattersi così, non era da lei...
Dov’era finita la Rin sempre sorridente e sempre allegra?
La mano del demone che le sfiorò la guancia, la distrasse completamente dai suoi tristi pensieri.
Sesshomaru le carezzò il viso, alzandole lo sguardo per potersi nuovamente specchiare in quegli occhi d’ossidiana.
Com’ bella la sua Rin...
Com’ buona la sua Rin...
“Non devi temere.” Pronunciò solennemente, quasi come una promessa invece di un ordine.
Rin rimase senza fiato e si ritrovò a sorridere felice sperando che lui non udisse il suono del suo cuore che batteva all’impazzata.
 
Ripresero il cammino ed infine giunsero al villaggio, dove ad attenderli vi era InuYasha che avrebbe scortato Rin fino alla sua capanna.
Con celata riluttanza, Sesshomaru era stato costretto a separarsi da lei ed affidarla alla protezione di suo fratello.
Ma quale tortura per il demone...
Lasciare il suo tesoro più prezioso fra le  mani di un inetto mezzospettro!
“Dovremmo accordarci con gli altri per riuscire a non lasciarti mai da sola.” Le disse InuYasha grattandosi il capo con aria pensosa.
Non sarebbe stato facile proteggerla per loro.
Per quanto potessero essere temibili, InuYasha ed il suo gruppo di umani, adesso, avevano altre priorità a cui badare e Rin non rientrava fra queste.
“Kohaku si è offerto di restare a proteggerti stanotte e resterà al villaggio finché sarà necessario...”
Udendo quelle parole, Sesshomaru aggrottò le sopracciglia ed un ringhio sommesso fece vibrare la sua gola.
Quell’umano stava decisamente esagerando...
Per quanto lui ne sapesse, Rin non aveva ancora accettato di essere corteggiata dal giovane sterminatore, altrimenti glielo avrebbe certamente detto!
Con quale sfrontatezza osava proporsi per trascorrere la notte con Rin?!
“... o magari, Sesshomaru, preferisci vegliarla tu.” Ammiccò il mezzodemone rivolgendogli un’occhiata sorniona.
Quello stolto aspirante suicida lo stava deliberatamente provocando!
Ma tutto passò in secondo piano, quando l’odore dell’imbarazzo di Rin appestò l’aria in quel preciso istante.
Sesshomaru si voltò ad osservarla. Quelle guance arrossate, quegli occhi sfuggenti ed irrimediabilmente rivolti verso il basso e quel labbro inferiore sadicamente stretto fra le labbra, furono una visione talmente sublime che la sua indignazione scemò all’istante.
“Rin, la decisione spetta a te. Scegli.” Esordì  il demone senza staccarle gli occhi di dosso.
La ragazza avvampò ancor di più sentendosi chiamata in causa, e lo sguardo divertito di InuYasha non l’aiutò affatto!
“E-ecco... p-per me... n-non ci sono p-preferenze...” mentì spudoratamente.
Certo che c’era differenza!
C’era una differenza abissale!
Lei desiderava ardentemente trascorrere ancora un po' di tempo con Sesshomaru da sola... ma con quale faccia avrebbe potuto palesare quel suo desiderio?
“P-però...n-non v-vorrei che...che...” tentennò ancora cercando di trovare una valida motivazione affinché Sesshomaru restasse ancora con lei.
Ma che poteva inventarsi?
“Che Kohaku si stanchi ulteriormente. Giusto Rin?” Finì per lei InuYasha strizzandole l’occhio con fare complice.
“Sì” concordò la ragazza abbassando la testa, incapace di poter continuare a guardare Sesshomaru in faccia.
“Nonostante la buona volontà, Kohaku ha lavorato nelle risaie  tutto il giorno... non credo reggerebbe una nottata insonne.” Pensò il mezzodemone ghignando divertito.
“Allora per stanotte vi lascio da soli, ma domani dobbiamo organizzarci per bene su come proteggerla ed anche su come acchiappare quella strega.” Aggiunse poi rivolgendosi direttamente al demone bianco.
Sesshomaru alzò un sopracciglio infastidito.
Quell’ultima frase non gli piaceva per niente.
“Non ho bisogno del vostro aiuto per catturare quella strega.” Puntualizzò.
“Ma davvero?! Allora perché non ci sei ancora riuscito?”lo stuzzicò InuYasha divertito.
A quelle parole, Sesshomaru afferrò l’elsa di Bakusaiga pronto ad affrontare il fratello nell’ennesimo duello mortale.
“Vi prego!” Gridò Rin frapponendosi fra i due.
“Non mi sembra il momento adatto per l’ennesima lotta  fra di voi!”
Sesshomaru osservò la ragazza dinnanzi a lui con stupore e curiosità.
Non si sarebbe mai aspettato un simile comportamento da parte sua.
Frapporsi fra lui ed un duello era pressoché un suicidio dopotutto.
Lasciò la presa sull’elsa della katana rivolgendo ad InuYasha uno sguardo eloquente che sembrava dirgli “la prossima volta lei non ci sarà e tu non avrai scampo.”
“Adesso sarei stanca... e vorrei dormire.” Continuò   Rin, conscia che, quella sera, con Sesshomaru accanto, non avrebbe mai e poi mai chiuso occhio.
Ma doveva allontanare quei due prima che ingaggiassero l’ennesimo litigio che sarebbe poi sfociato in chissà quale guerra all’ultimo sangue.
Sesshomaru annuì debolmente e s’incamminò per addentrarsi nel villaggio, verso la capanna della sua protetta.
Era l’ennesima volta che si addentrava in quel  villaggio umano per stare con lei.
Il sé stesso di molto tempo fa, avrebbe trovato tutta quella situazione, altamente improbabile, eppure...
Arrestò il passo e si voltò verso la ragazza, attendendo che lo raggiungesse.
Rin ringraziò InuYasha con un piccolo inchino e corse verso il demone completo.
Il mezzospettro restò qualche minuto ad osservarli curioso.
Lei camminava al suo fianco titubante e timida, mentre lui sembrava indifferente, ma in realtà stava osservando ogni movimento della giovane con estrema attenzione.
Che strano rapporto avevano instaurato...
“Sbrigati a capire che l’ami, stupido fratello...” sospirò esausto InuYasha, tornandosene alla sua capanna.
 
 
 
  • Le iridi scarlatte a cui pensa Sesshomaru, sono quelle di Kagura morente.

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Capitolo 6
*** 6. Voci e leggende ***


6. Voci e leggende
 
Le mani ossute dalle unghie nere scorrevano lente e precise sul frammento tagliente di specchio. Con movimenti circolari, carezzava quella superficie fredda con maestria, infrangendola come se stesse carezzando il pelo dell’acqua.
Il suo riflesso mutò, cambiando colori ed immagini sbiadite finché una giovane ragazza non si palesò ai suoi occhi.
Era bella, in salute, tutta una florida vita davanti costellata di gioie e felicità.
Insopportabile.
Osservò i suoi movimenti nervosi, mentre si preparava per coricarsi ed andare a dormire nella sua capanna gelida. Lo sdegno e la rabbia presero possesso del suo viso ormai ridotto ad una ragnatela informe di rughe.
Un verso di stizza le forzò le labbra non appena scorse il demone bianco alle sue spalle.
Con un gesto frettoloso della mano, strisciò l’indice sulla superficie dello specchio e magicamente il riflesso tornò a mostrarle il suo orrido viso.
“Tsè… dovevo immaginarlo che  non si sarebbe allontanato più da lei…” bisbigliò fra sé e sé, abbandonando lo specchio magico sui morbidi cuscini al suo fianco.
Si alzò in un fruscio di vesti scure, mentre si dirigeva pigramente verso una giara ricolma di liquido vermiglio. Movimenti fluidi, i suoi, talmente aggraziati che pareva quasi che piedi non toccassero terra.
Versò il liquido denso in una coppa e ne bevve con ingordigia, non curandosi delle gocce che le scendevano ai lati delle labbra, lasciando una scia rossa fra rughe del collo.
Pian piano, la pelle del viso tornò a distendersi, elastica, inspiegabilmente giovane. Le mani si fecero più delicate, più femminili, così come il fisico che mutò in quello di una donna nel fiore degli anni.
Scrutò il proprio riflesso nel vetro della coppa, compiacendosi della riacquisita apparente giovinezza.
Gli angoli della bocca le sfregiavano le guance fin quasi alle orecchie e dalle labbra fuoriuscivano aguzzi canini che le sfioravano il mento con la punta.
Si carezzò una gota, scendendo languidamente fino al collo, testando l’elasticità e la tonicità di quella nuova pelle che l’avrebbe accolta come un involucro fino al suo sfiorirsi.
“Durerà poco questa volta… la ragazza era spaventata ed il suo sangue era fin troppo acido.” Commentò fra sé e sé storgendo le labbra in un ghigno di disgusto.
Ogni giorno era costretta a cibarsi con il sangue di giovani contadine per riuscire a riacquistare la sua ormai passata bellezza.
Ma per quanto tempo avrebbe continuato?
Ormai gli umani si erano fatti furbi e non lasciavano più uscire da sole le figlie o le mogli.
Sollevò la giara, controllando quanto sangue le restava prima di appassire piano piano e diventare cenere.
“Mezza brocca soltanto…” commentò con stizza, irata.
Se solo quella dannata ragazzina si fosse esposta abbastanza da farsi catturare…
Strinse la mano a pugno attorno al calice fino ad incrinarne il vetro.
Era solo questione di tempo, prima o poi quella stolta si sarebbe allontanata dal demone bianco. Doveva solo attendere pazientemente nell’ombra, osservando ed aspettando quel momento.
E quando fosse infine giunto, non avrebbe esitato un attimo nel ghermirla e cibarsi con ingordigia del suo sangue.
Si carezzò le labbra con la lingua, pregustando quel momento futuro.
Chissà che sapore avrebbe avuto…
Qualcosa le diceva che quel sangue sarebbe stato il più buono ed il più dolce che avrebbe mai assaggiato. E, infine, sarebbe stato anche l’ultimo.
Diversi anni prima, il suo ormai defunto marito, le parlò della ragazza baciata dai demoni dell’oltretomba: l’unica umana ad essere tornata illesa dal mondo dei morti e, per questo motivo, gli shinigami avevano deciso di benedirla donandole la vita eterna.
Una leggenda, vocerie del popolo, ma c’era sempre più gente che ci credeva e, spesso, i viandanti andavano raccontando di una bambina protetta dal principe dei demoni.
Che fosse lei?
Iniziarono a circolare sempre più voci riguardo alla giovane pupilla del demone bianco e, alla fine, si scoprì sempre più ossessionata da questa leggenda.
Giorno dopo giorno vedeva la sua immagine mutare dinnanzi ai suoi occhi, la pelle farsi più grinzosa ed i capelli sempre più candidi.
A niente servivano ormai i numerosi complimenti dello stuolo di amanti con il quale era solita sollazzarsi in assenza del marito.
Vedeva chiaramente la sua giovinezza sfuggirle dalle dita giorno dopo giorno.
Ore, minuti, secondi la separavano dalla tanto temuta vecchiaia e spesso si scopriva a pensare a quella fanciulla.
Lei non sarebbe mai sfiorita, non sarebbe mai mutata, restando giovane e bella per sempre.
Fu quasi per caso che consultò il primo tomo di magia nera, restandone innegabilmente affascinata.
I primi su cui sperimentò quell’arte oscura, furono i suoi numerosi amanti. Meri oggetti del piacere che ormai andavano buttati e cambiati.
Una sera, mentre si rotolava fra le lenzuola del suo sontuoso talamo, suo marito rincasò prima e scoprì una delle sue tante tresche.
Senza ascoltare spiegazioni di sorta, l’uomo aveva impugnato la sua katana e l’aveva sfigurata in volto per sempre.
Portò una mano sulla sua guancia, carezzando quella cicatrice con un sorriso nostalgico sulle labbra.
Fu proprio grazie a quello sfregio se si dedicò anima e corpo nelle arti oscure.
Pian pianino si era fatta più abile, imparando incantesimi e pozioni che la rendessero sempre giovane.
Ma non bastavano mai.
Sempre più in fretta, la sua bellezza riacquisita sfioriva rapidamente, sciogliendosi come neve al sole.
Fu quasi per caso che incappò in una delle maledizioni del sangue.
Ciò che toglieva alle sue vittime, lo avrebbe acquisito lei.
Semplice.
Lei toglieva la vita, la giovinezza e la bellezza, donando in cambio solo il gelido abbraccio della morte.
Era stato facile, finché anche quell’espediente non aveva iniziato a darle problemi.
La bellezza rubata durava sempre meno tempo e già sentiva la mano fredda della morte tendersi verso di lei per ghermirla.
Fu in quel momento, mentre cacciava una delle sue prede, che udì nuovamente la leggenda della giovane baciata dai demoni dell’oltretomba.
Un sorriso maligno le distese le labbra innaturalmente larghe sul viso.
Era solo questione di tempo e, prima o poi, avrebbe rubato a lei l’immortalità e l’eterna giovinezza, donandole in cambio solo l’oblio della morte.
 
^^^
 
Rin si coricò nel futon con il cuore che le batteva a mille nel petto, minacciandola di sfondarle la cassa toracica da un momento all’altro.
Aveva lo stomaco talmente pieno di svolazzanti farfalle che non aveva neppure toccato la cena che la vecchia Kaede le aveva lasciato.
Un sorriso radioso le distese le labbra non appena sentì dei passi lenti alle sue spalle.
Non ci credeva ancora, non poteva davvero credere che una così grande fortuna fosse capitata proprio a lei!
Finalmente, dopo anni ed anni, il suo amato Sesshoumaru era lì con lei, per lei! E domani sarebbe stato ancora lì, pure il giorno seguente!
Se possibile, il suo cuore aumentò ancora il battito.
Rin premette il palmo sul suo petto nel vano tentativo di soffocare quel rumore che -ne era certa- Sesshoumaru aveva già udito.
Tirò a sé le coperte, abbracciandole forte come per sincerarsi che non stesse sognando, ma era tutto reale.
Il suo primo amore, il principe dell’ovest, che le resta al fianco per proteggerla per chissà quanto tempo.
Già pregustava il risveglio, il mattino seguente, uscendo dalla capanna, vederlo lì, sulla collinetta più lontana dagli uomini, mentre la scruta attentamente.
Un altro sorriso nacque istantaneamente sulle sue labbra.
Ovunque fosse andata, lui ci sarebbe stato anche solo per vegliarla. Finalmente erano finiti gli anni di solitudine in cui riusciva ad incontrarlo solo nei suoi sogni.
“Sarò qui fuori a controllare la zona.” La informò il demone con la sua solita voce atona.
“Certo, va bene… ma non stancatevi troppo, vi prego!” Rispose lei apprensiva, ricevendo in risposta soltanto un’occhiata indignata.
Giusto, lui non è un debole essere inferiore che soffre la stanchezza, penso fra sé e sé sorridendo imbarazzata.
“Dormi, adesso.” Le ordinò perentorio uscendo dalla stanza.
Rin sorrise ancora, toccandosi le guance infuocate con le mani fredde.
No, non era un sogno, era tutto vero quello che stava accadendo e quasi non le importava più di quella strega che voleva farle del male.
Anzi, grazie a lei era riuscita a rivedere il demone che tanto la faceva sospirare!
Ma quanto ancora sarebbe durato?
Con il villaggio in allerta e ben due demoni a darle la caccia, era solo questione di tempo prima che venisse scovata ed annientata.
E a quel punto?
Sesshoumaru sarebbe sparito ancora.
I battiti frenetici del suo cuore si arrestarono di colpo ed un dolore lancinante le squarciò il petto.
No, non poteva permettere che lui sparisse di nuovo.
L’aveva atteso, sognato, bramato, desiderato per anni ed ora che finalmente lo aveva rivisto, rischiava che sparisse da un momento all’altro in una nuvola di fumo.
Voltò lo sguardo verso l’armadio chiuso, dove dentro giaceva il suo abito preferito: quello verde acqua.
Lo avrebbe mai indossato?
Avrebbe mai avuto l’occasione ed il coraggio di confessargli il suo amore?
Si morse il labbro inferiore a disagio, mentre una risposta troppo scomoda si faceva largo nella sua mente.
No, non ne avrebbe mai avuto il coraggio. Ma doveva trovarlo!
Doveva dare il tutto per tutto, non lasciare niente in sospeso, tentare e sperare che i suoi sentimenti fossero ricambiati.
Tacere ancora l’amore che provava per lui, l’avrebbe solo condotta su una strada di rimpianti e desolazione.
Fu con quei pensieri che Rin scivolò lentamente nel sonno più profondo.
 
^^^
 
Quando il respiro di Rin si fece lento e cadenzato oltre il muro di legno, Sesshoumaru sgattaiolò dalla finestra ed entrò nella stanza della giovane.
I capelli d’ebano le  ricadevano placidamente sul cuscino e qualche ciocca le carezzava blandamente una guancia. Le coperte erano ammassate sul fondo del futon e solo lo yukata estivo le copriva il corpo snello ma formoso.
Le palpebre celavano al demone quei bellissimi occhi espressivi che tanto lo facevano sospirare, mentre le labbra, rosee ed invitanti, erano schiuse verso di lui in un accenno di sorriso.
Almeno i suoi sogni erano sereni…
Silenziosamente, prese posto al suo fianco, sedendosi sul gelido pavimento. La sua mano si mosse da sola, ancor prima che potesse davvero rendersi conto di quel che stava facendo.
Una carezza.
Lenta, delicata, sfacciata. Le lambì la gota con calma estenuante, scacciando le i capelli dal viso e saggiando la morbidezza della sua pelle nivea e perfetta.
Un gesto semplice. Debole, ma che aveva compiuto innumerevoli volte fino a qualche anno prima, quando una Rin più giovane era solita zampettargli dietro nei suoi infiniti viaggi.
Come se la sua coscienza fosse ancora sveglia, la giovane si sospinse maggiormente verso di lui, intensificando quel contatto finché il demone non ritrasse la mano.
Sospirò piano, stanco.
Perché la sua dolce Rin doveva subire tutto questo strano cambiamento?
Odiava sentirsi impotente e non riuscire a fare nulla per mutare un destino che pareva già scritto, ma del quale non avevano alcuna spiegazione certa.
Il rumore strascicato dei passi della vecchia miko lo distrasse dai suoi pensieri, costringendolo ad alzare lo sguardo sulla soglia della stanza.
La vecchia Kaede si ergeva in piedi con qualche difficoltà, il bastone prontamente stretto nella mano sinistra ed una ragnatela di rughe ad incresparle il viso.
“Sai già che dobbiamo parlare, vero Sesshoumaru?” Domandò retoricamente lei, mentre un sorriso enigmatico andò a distenderle le labbra raggrinzite.
Il demone annuì in silenzio e si alzò dal suo posto ponendo la massima attenzione per non turbare in alcun modo i sogni della fanciulla al suo fianco.
Senza fiatare, uscì dalla stanza seguendo la vecchia miko nel soggiorno dove un calderone di zuppa di miso scoppiettava ancora sul fuoco.
La donna prese goffamente posto dinnanzi al fuoco, in ginocchio su un morbido cuscino, ed iniziò a mescolare la brodaglia.
Prese una ciottola e se ne versò un po’ per sé, poi fece lo stesso offrendola al demone.
Sesshoumaru prese posto dinnanzi a lei, in ginocchio sul pavimento ed accettò la zuppa tiepida sorseggiandone un pochina pigramente.
“Scommetto che le avrai udite perfino tu quelle voci sulla fanciulla baciata dai demoni dell’oltretomba.” Iniziò la vecchia miko, ricevendo in risposta un silenzioso cenno d’assenso.
“Sai anche che quella fanciulla è Rin, vero?”
“Vieni al dunque, donna” la interruppe bruscamente, già stanco di quella scomoda conversazione che gli provocava uno strano quanto molesto bruciore al petto.
La miko sorrise gentile nonostante le maniere brusche de demone.
“Chiaro e conciso. Non sei affatto cambiato affatto in questi anni.” Commentò fra sé e sé e sorseggiò nuovamente un po’ della sua zuppa.
“Temo che le sia successo qualcosa, molti anni fa, quando venne trascinata nell’oltretomba da quel segugio infernale. Precisamente, quando è tornata morta, nonostante Kohaku invece non avesse riportato alcun cambiamento. È come se quel segugio infernale le avesse rubato la vita e, quando l’avete riportata indietro con il gioiello di vostra madre, quella stessa vita le fosse stata restituita diversa. Mutata.”
“Non ha senso ciò che dici.”  Ringhiò il demone già sentendo la pazienza scorrergli via dalle mani.
“In verità sì. Molti tomi di magia nera si basano sulla trasmutazione della vita. Che poi, è la stessa cosa che fa quella strega che le da la caccia.”
Sesshoumaru corrugò le sopracciglia astioso, sentendo ribollirgli dentro la rabbia.
Che diamine era successo quando erano andati nell’oltretomba?
Era colpa sua?
Aveva sbagliato qualcosa?
Eppure non si era accorto di niente…
“Spiegati.” Ordinò infine stringendo i pugni.
Perché qualcosa dentro la sua testa continuava a ripetergli che era tutta colpa sua?
“Pensa alla vita mortale come ad un fiume d’acqua dolce: nasce dalle montagne, scorre per chilometri fra le valli ed infine muore sfociando nel mare salato. Per tutto il corso, la sua acqua resta buona e dolce, ma quando si mescola con quella del mare, cambia irrimediabilmente divenendo salata. Supponiamo che, ad un certo punto, molto vicino alla sorgente, il fiume cambi letto improvvisamente e sfoci nel mare prima del previsto ed il letto che lo accoglieva fino a valle venga pian piano prosciugato. Ma mettiamo che qualcuno volesse impedirlo e riprendesse quella stessa acqua sfociata in mare e la riportasse con la forza verso il letto che scorreva a valle. Quell’acqua, nonostante scorra nello stesso posto, non è come quella precedente. La strega che continua a darle la caccia, non sta facendo altro che rubare acqua da altri fiumi e farli sfociare in mare al posto suo.Credo pensi che prendendo la vita di Rin, il suo fiume cambi direzione allontanandosi dal mare.”
La vecchia Kaede fece una pausa scrutando il suo interlocutore che si ostinava a rimanere in silenzio.
Bevve ancora un po’ della sua zuppa e sorrise tristemente al demone.
Quasi riusciva a sentirlo, chiaro e tangibile, quel senso di colpa con il quale Sesshoumaru voleva soffocarsi.
“Rin è sempre la stessa gioiosa bambina di un tempo, ma la sua anima è cambiata irrimediabilmente e non vi è modo di farla tornare come prima.” Aggiunse infine aggrappandosi tremolante al suo bastone per rimettersi in piedi.
Fece qualche passo incerto verso la sua camera e quando fu sulla soglia, si voltò ad osservare il demone.
Sesshoumaru la scrutò con attenzione, ma la sua mente era altrove, già all’opera per riuscire a trovare una soluzione per Rin.
“Non puoi farci niente, Sesshoumaru. Rinuncia ed attendi con lei ciò che verrà, anche se non puoi né prevederlo né contrastarlo.”
“Troverò un modo” rispose d’impeto il demone ormai scuro in volto, tormentato da molteplici emozioni sgradevoli che mai aveva provato.
La vecchia miko sorrise. Un sorriso triste ed amaro che sapeva di rassegnazione.
“Non so se questa mutazione sia, come dicono le voci, una benedizione e che vivrà in eterno. Potrebbe anche morire precocemente, lo sai vero?”
Il demone strinse i pugni ancora di più, sofficcandosi le unghie acuminate nei palmi.
“Non accadrà. Non finché ci sarò io a proteggerla.” Dichiarò solenne prima di alzarsi e raggiungere la camera della sua Rin per vegliare segretamente il suo sonno.

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Capitolo 7
*** 7. Consumarsi ***





7. Consumarsi





Un timido raggio di sole le illuminò il viso. Il tepore le scaldò la pelle come una dolce carezza.
La giovane iniziò a stropicciarsi gli occhi assonnata. Ormai era sveglia ed il profumo della colazione già aleggiava nella capanna facendo risvegliare anche il suo stomaco.
Stiracchiò le membra stanche ed intorpidite, mugolando un lamento incomprensibile alle orecchie degli altri.
“È giorno inoltrato, Rin.” E riecco la sua coscienza con la voce di Sesshoumaru a darle il consueto buongiorno.
Un sorriso divertito le sfuggì dalle labbra. La sera precedente si era addormentata con la consapevolezza che lui vegliasse sul suo sonno e quella mattina aveva trovato solo un triste ricordo proiettato dal suo subconscio.
Tristemente divertente, ma pur sempre divertente.
Si rotolò nel futon ancora qualche minuto buono, cercando di prolungare il dolce oblio della mente dovuto al sonno, finché un tocco fresco sull’epidermide accaldata della guancia non la destò completamente dal suo sonno.
Spalancò gli occhi all’istante e, davanti a lei, Sesshoumaru la squadrava con curiosità in silenzio.
“S-Sesshoumaru!” Balzò seduta sorpresa, stupita, sconvolta.
Quante volte lo aveva sognato in quegli anni?
Quante volte aveva sognato di svegliarsi e trovarlo al suo fianco come quando era bambina?
Ma quello non era un sogno, non poteva esserlo, quella carezza l’aveva sentita chiaramente nonostante non fosse ancora completamente sveglia.
Allungò la mano verso di lui, titubante, incerta. Non sapeva se quell’immagine fosse frutto di una sua fervida quanto vivida fantasia o se fosse la realtà.
Ma doveva avere una risposta, anche a costo di sembrare pazza.
Sesshoumaru alzò un sopracciglio incuriosito da quel comportamento inusuale, ma rimase in silenzio studiando il comportamento della sua Rin.
Non ricordava che i suoi risvegli fossero così particolari quando era piccola, ma attribuì la sua stranezza all’influenza umana che l’aveva forgiata e cresciuta in quegli anni.
La manina della giovane raggiunse l’epidermide della sua guancia pallida e Rin sobbalzò sorpresa.
“Sei qui!” Gioì sorridendo. Un sorriso dolce, amorevole e serenamente felice. Era una delle espressioni di Rin che Sesshoumaru prediligeva.
Non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma il sorriso di Rin aveva un qualcosa di magico. Una specie di strano incantesimo che gli faceva battere il cuore in modo molto strano.
Era sempre stato così, fin da quando era una bambina ed era segretamente contento che l’influenza umana e la lontananza non avessero alterato questa magia.
Seguitarono secondi interminabili scanditi soltanto dal suono del battito impazzito di Rin, secondi che divennero minuti interi in cui i due si scambiarono uno sguardo lungo e pieno di parole non espresse. Forse per timore di un rifiuto da parte dell’altro, forse per orgoglio e forse per timidezza, ma qualcosa fra i due era già nato nei loro cuori e chiedeva garbatamente soltanto di poter sbocciare.
Il demone sospirò distogliendo lo sguardo verso la finestra dalla quale ormai entrava prepotentemente la luce di quel giorno.
Interruppe quella magia di sguardi di proposito, sopraffatto, codardo, timoroso di essere sempre più simile a suo padre nonostante tutti i suoi sforzi in quei secoli.
L’aveva abbandonata al villaggio anni fa, sperando silenziosamente che il suo animo irrequieto in sua presenza si acquietasse con il tempo, che quel sentimento che iniziava a nascere in lui si estinguesse silenziosamente, ma così non era stato.
E Rin era sempre lì, bella come un fiore e preziosa al suo cuore come mai avrebbe voluto ammettere.
“È giorno inoltrato, dovresti alzarti. Kohaku ha già chiesto di te.” Proferì atono, studiando come quel sorriso entusiasta svanisse piano dal suo bel volto.
“Giusto… certo…” rispose lei scuotendo il capo, come se cercasse di svegliarsi da un sogno.
“M-ma quando potrò rivedervi?” Chiese poi incerta, incespicando sulle parole con le guance in fiamme.
Sesshoumaru pensò che fosse divertente vederla così timida e vergognosa per una semplice domanda. E quell’impaziente voglia che aveva lei di sapere se e quando si sarebbero rincontrati, era la stessa che scaldava il cuore di lui.
“Questa notte tornerò per il mio turno di guardia.” Spiegò lui, beandosi del viso di Rin che si rilassava inevitabilmente dopo le sue parole.
Un giorno intero e poi avrebbero potuto incontrarsi ancora.
Un giorno di inevitabile lavoro per lei e di sfrenata caccia a quella strega per lui.
Un giorno di impervia, dolorosa e silenziosa lontananza prima di potersi vedere ancora.
Prima che i loro cuori battessero ancora insieme come fossero uno.


I turni di guardia per Rin erano ferrei ed estremamente scrupolosi.
Sesshoumaru vegliava su di lei la notte, assicurandosi che nessuno si avvicinasse a quella capanna un po’ più lontana dal resto del villaggio.
Kohaku stava con lei per tutto il mattino fino all’ora del pranzo, affiancato dalla fedele demone gatta che perlustrava implacabile la zona senza sosta.
Nella mattina, Rin ne approfittava per svolgere qualche lavoretto al villaggio per non allontanarsi troppo dal resto degli umani.
Non avrebbe mai sopportato che qualcuno venisse ucciso al posto suo da quella strega .
Nel pomeriggio fino a sera, Rin aiutava Kagome a raccogliere le erbe mediche per i suoi filtri.
Inevitabilmente erano costrette ad allontanarsi dal villaggio per diverse ore, ma InuYasha vegliava su di loro con estrema attenzione senza mai perderle di vista e con la mano sempre ancorata all’elsa di Tessaiga.
E mentre uno dei tre era di turno, gli altri due ne approfittavano per riposarsi. Tranne Sesshoumaru che, instancabile, continuava a cercare la strega con l’intento di neutralizzare quella possibile quanto incombente minaccia.
Era una routine intensa, sfiancante, che scandiva le giornate di Rin sempre piene di impegni.
L’ansia di essere cacciata da una strega implacabile la sfiniva, il terrore che qualcuno potesse restare ucciso al posto suo la consumava dentro giorno per giorno e la notte crollava esausta sul futon appena i suoi occhi stanchi incontravano la figura del demone bianco.
Era dimagrita molto nel giro di poco tempo e Sesshoumaru glielo aveva fatto prontamente notare con una sfumatura di sdegno nella vice sempre atona.
Allora Rin si era costretta a mangiare di più, ma il continuo stress dell’essere braccata non le permetteva di prendere peso.
Ben presto le giornate divennero settimane e, dopo un mese e mezzo di controllo assiduo, Kagome fu costretta a letto, ormai troppo stanca per potersi trascinare in giro con quel pancione immenso.
Quindi Rin si era prontamente offerta di continuare la raccolta delle erbe al campo di Jinenji per Kagome, passando interi pomeriggi ad esaminare pianta per pianta per essere sicura che alla sacerdotessa non mancasse niente.
InuYasha, dal canto suo, ogni ora lontana da sua moglie si sentiva morire minuto per minuto, dilaniato, straziato, all’Idea che Kagome potesse partorire senza lui o che avesse bisogno del suo aiuto.
Rin se ne era accorta e, inevitabilmente, si sentiva in colpa. La vita di molte persone era stata stravolta per lei. E questa sensazione di impotenza e colpevolezza si andò a sommare al perenne stress che ormai l’accompagnava dal mattino fino alla sera.
Un pugno nello stomaco, un grumo denso di sentimenti dolorosi che non vanno né su e né giù.
E con questi pensieri per la mente, scosse la testa cercando di concentrarsi sulle erbe mediche da raccogliere per Kagome.
Ricontrollò la lista: le serviva la radice di zenzero che proprio non riusciva a trovare, eppure si ricordava che Jinenji le avesse piantate proprio in quel luogo.
Volse per un secondo lo sguardo verso InuYasha sentendosi immensamente colpevole. Più lei impiegava tempo a cercare quel dannato zenzero e più lui se ne stava lontano da Kagome.
“InuYasha! InuYasha!” Rin voltò lo sguardo verso la ragazzina che correva a perdifiato verso di loro e subito si sentì morire.
Che diamine era successo?
“Haru-chan, dannata mocciosa, lo sai che non devi allontanarti da sola dal villaggio in questi giorni!” Lo sentì brontolare la ragazzina mentre scendeva dal solito albero sul quale era solito appollaiarsi.
“La divina Kagome sta partorendo! Presto! Corri!” E udendo quelle parole, Rin si sentì morire.
Il figlio di InuYasha stava nascendo e lei lo aveva costretto in una sorveglianza forzata tenendolo lontano da sua moglie.
Acciuffò la cesta di erbe ed iniziò a correre verso il mezzodemone. Si scambiarono uno sguardo silenzioso in cui era raccolta un dialogo fatto di intesa e silenzio.
Devo andare.
Ti seguo.
Corsero a perdifiato per tutta la valle fino alle prime casette del villaggio Musashi.
InuYasha allungò il passo d’istinto lasciando Rin e Haru più indietro e si fiondò nella sua capanna al capezzale di sua moglie, dove l’odore di sangue e paura la faceva da padrone.


Sesshoumaru raggiunse il villggio Misashi trovandolo quasi del tutto deserto. Il fetore di sangue misto ad ansia e preoccupazione impregnava l’aria rendendola quasi irrespirabile.
Quasi pensò al peggio, che la strega fosse giunta e fosse stata troppo forte per il suo fratellastro, ma la vita scorreva in quel luogo, la sentiva pulsante attraverso il terreno, dunque s’incamminò verso la fonte di quegli odori sgradevoli.
Non ci volle molto per individuare il capannello di persone intorno alla dimora di suo fratello.
C’era chi portava via stracci insanguinati, chi portava acqua calda e chi si limitava a pregare bisbigliando parole estranee alle sue orecchie di demone.
Immaginò che Rin fosse lì dentro, ad aiutare come poteva la sacerdotessa e la levatrice.
Poi un pianto ruppe il silenzio e mille grida gioiose riempirono il silenzio.
Mille lacrime di sollievo solcarono le guance dei più, e, quando le persone iniziarono a diradarsi, Sesshoumaru si avvicinò cercando la sua piccola Rin.
Entrò nella capanna e la cercò con lo sguardo, ma senza successo.
I suoi occhi videro la sacerdotessa che cullava un piccolo neonato dai capelli candidi e gli occhi molto scuri, con un sorriso innamorato sulle labbra.
InuYasha al suo fianco la stringeva a sé, carezzando le manine non artigliate dell’infante.
“Sesshoumaru…?” Chiese confuso il monaco, più distante dalla coppia di genitori ed intento a consolare la sterminatrice piangente.
“Dov’è Rin?” Chiese il demone maggiore con voce cupa.
I presenti si scambiarono sguardo confusi e poi tutto fu chiaro agli occhi di InuYasha.
Era stato così preso dalla notizia del parto che neppure si era accertato di compiere fino in fondo il suo lavoro di guardia su Rin.
E realizzò in quell’esatto momento che sia Rin che Haru-chan non erano mai arrivata al villaggio.

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Capitolo 8
*** 8. Non ti scordar di me ***


8. Non ti scordar di me



Le fiaccole illuminano l’oscurità che dimora nel bosco con violenza e rabbia.
I passi pesanti e stanchi degli uomini echeggiano sul terreno fertile, sulle foglie morte e sui rami secchi.
Le loro voci, grida piene di speranza, attendono una risposta diversa dal solito silenzio mortale.
Sesshoumaru si è lasciato quei rumori alle spalle molto tempo prima, abbandonando al monaco il compito di dirigere la squadra di umani alla ricerca delle due ragazze.
Lui non ha bisogno di loro.
Lui è abbastanza forte e potente da poterla trovare da solo.
Sfreccia fra gli alberi con velocità. Un sibilo leggero, il vento che viene tagliato, è l’unico indizio del suo passaggio.
Le mani gli tremano in quel momento. Ha perso la sua solita calma e compostezza.
Sentimenti tumultuosi, difficili da contenere, gli incendiano il cuore che corre forsennatamente nel petto.
La spada sguainata lamenta il suo strazio con lampi di luce che fendono l’oscura notte.
E la luna, unica testimone, tace silente e continua a fare da spettatrice, dilettandosi di come l’immutabile demone si sia infine sottomesso al tormento e al supplizio dell’angoscia.
Un sentimento così difficile, così umano, che quasi sente la nausea salirgli fino in gola.
Perlustra la boscaglia con solerzia e minuzia, senza mai diminuire la frenetica corsa.
Cerca e spera di trovare presto una scia olfattiva, un segno, una mancanza, una pista, ma la natura vuol prendersi gioco di lui e nasconde ogni via sotto al suo manto avvolgente.
È frustrato, il demone bianco.
Affonda gli artigli nella corteccia di un’arbusto e questo si liquefà a contatto con il potente veleno che gli scorre nelle vene.
È furioso, il demone bianco. Ammazzerebbe ogni essere vivente sul pianeta pur di trovarla.
Inspira bosco, espira furia.
Metabolizza rabbia e angoscia, si nutre di quei sentimenti dominanti e si lascia sconvolgere da essi senza remore.
Non ha la freddezza di contenersi, non ha il distacco necessario che gli serve per capire che si sta lasciando sconvolgere come un vile umano.
Raggiunge una radura di giunchiglie e violette. Il profumo dei fiori gli ricorda di lei, del suo sorriso, del suo profumo, del suo calore.
Deve ritrovarla. Deve farlo, così infine la sua anima potrà darsi pace.
Il sole sta sorgendo. Timidi raggi caldi iniziano ad irradiare il terreno e scaldare i corpi di chi è riuscito a sopravvivere anche a quella notte.
Una brezza tiepida porta alle sue fini narici il profumo di primavera, di bosco e di morte.
Avanza fra i fiori, calpestando i figli della terra con il suo incedere funesto.
Un corpo giace a terra.
Scarno, nudo. Derubato della linfa, con le pupille spiritate e la bocca spalancata di chi ha subito una morte orribile.
I capelli tenebra sono dispersi fra il colorato prato che accoglie il suo sonno mortale.
Riconosce i brandelli del kimono, Sesshoumaru. Quello rosa e viola che Rin adorava indossare nelle giornate di sole.
È un demone forte, Sesshoumaru, ma a cosa gli è servito tutto quel suo potere?
Raggiunge il corpo grigio abbandonato a terra. S’inginocchia sopraffatto e carezza per l’ultima volta la sua guancia.
Non è come sempre…
La sua mano non riceve più il morbido tepore della sua pelle chiara. Stavolta solo un ruvido e freddo brivido gli scorre sul palmo.
Sente l’angoscia abbandonarlo.
Sente la rabbia abbandonarlo.
Sente ogni sentimento che gli ha animato il petto fuggire via.
Percepisce il vuoto, un senso di niente nel petto.
Sconfinato.
Probabilmente gli umani avrebbero un nome per quello… probabilmente lei avrebbe saputo dirgli quel nome.
Lo sguardo si sposta sulle sue labbra quasi in attesa che si muovono pronunciando quella parola.
Ma altro non sono che una grigia linea sottile. Spalancate per sempre in un urlo silenzioso.
Si alza in piedi, il demone bianco.
Volge lo sguardo al sole appena nato. Ascolta la natura risvegliarsi dal tepore della notte.
Osserva come la vita inizi a scorrere in quel luogo dove lei è morta.
Dove anche lui è morto.
Non sa quanto tempo sia passato. Il sole ormai sparisce fra le fronde degli alberi quando gli umani del villaggio lo raggiungono.
Sente chi piange sommessamente. Qualche ragazza che grida il suo nome.
InuYasha gli si affianca silenzioso.
Il demone bianco non ha neppure la voglia di accanirsi su di lui. Le sue pupille vegliano costantemente il corpo di quella che fu la sua Rin.
Le lacrime del fratellastro grondano dalle sue guance anche per lui. Per lui che non ne ha da versare.
“M-mi dispiace…” è il lamento strozzato che forza le labbra del mezzosangue dopo attimi interminabili di un infinito silenzio.
Gli umani lo circondano.
La gente di InuYasha, le persone del villaggio, si stringono intorno a lui piangendo il loro dolore per quella perdita.
Il sole inizia a tingere il cielo di rosso quando spostano il suo corpo su una portantina di bambù.
Una donna la copre con un telo bianco. Le nasconde il viso per sempre immortalato in un’espressione sofferente e poi si allontana asciugandosi le lacrime.
A turno, ogni persona poggia sulla portantina un fiore della radura.
Una corolla profumata di colori brillanti la circonda come un morbido abbraccio.
Una corona maestosa di calendule topazio la incorona per sempre.
Due uomini si dispongono ai lati della portantina. Con il dolore a segnargli il viso, trasportano il corpo scarno fino ad una pira di legna accatastate disposta poco lontana da loro.
Il demone bianco non allontana mai lo sguardo dalla sua Rin.
Un po’ come quando era bambina ed amava correre in giro sotto al suo sguardo sempre attento.
Gli umani si stringono intorno alla pira funebre piangendo ancora.
Lo sterminatore tiene una torcia fra le mani egli occhi colmi di dolore.
InuYasha stringe sua moglie e suo figlio.
Il monaco abbraccia le sue figlie. La sterminatrice tiene al petto il figlio e incrocia la mano con quella del fratello.
Sesshoumaru si avvicina alla pira. Non sa il motivo dietro le sue azioni. Non conosce ciò che la sua mente ha in serbo per lui.
I suoi occhi incontrano un piccolo fiore blu, fitto di petali con il centro nero come la notte.
Ricorda quel fiore… a lei piaceva tanto.
Ricorda anche il nome singolare che gli umani gli aveva assegnato: non ti scordar di me.
E gli pare più che una supplica, una dolce richiesta, in quel momento.
Non ti scordar di me.
Come mai avrebbe potuto scordarsi di lei?
Gli torna in mente di quando era bambina, accovacciata accanto ad una lapide a chiedergli se mai l’avrebbe dimenticata.
Ricorda il suo sorriso sereno nel fargli quella domanda. Come se non fosse stata soltanto una bambina, come se già sapesse che l’incedere del tempo sarebbe stato funesto e brutale con lei.
Deposita il fiore sulla sua fronte e si allontana.
Le fiamme avvolgono il legname, lambiscono il suo corpo che ben presto diviene cenere sotto ai suoi occhi.
La notte avvolge la radura, cala sulla terra come un mantello scuro e funesto. Le stelle sono scappate via, si nascondono dietro una coltre di nubi pesanti.
Neppure la luna osa mostrare la sua presenza.
Il cumulo di cenere e legna ardenti giace immobile ai suoi piedi.
Immutabile, fermo.
Accanto ad esso, un masso liscio e levigato è stato portato in quella terra.
Un umano ci ha scritto sopra il suo nome.
Il demone bianco ne carezza la ferma e dura roccia prima di abbandonare quei luoghi portatori di dolore.

Carezza lo specchio freddo con lentezza.
Le sue unghie stridono sulla superficie liscia.
L’oggetto torna a restituirgli la sua immagine, sostituendola a quella dei ricordi che custodisce e che il demone bianco vi ha imprigionato al suo interno.
Il silenzio avvolgente del castello è la sua unica compagnia. Il dolore che si porta dentro, la pena alla quale si è condannato per l’eternità.
Gira per i corridoi in solitaria. Soltanto il fruscio delle sue vesti riempie le stanze.
I lunghi capelli candidi coprono la sua figura per l’intera lunghezza, carezzando il pavimento in lussuoso legno scuro con le punte.
È come un fantasma, il demone bianco. La pallida ombra della creatura leggendaria che era un tempo.
Raggiunge la finestra e osserva distrattamente il paesaggio. Sotto ai suoi occhi, nei secoli, è cambiato radicalmente.
Ora, macchine volanti contenenti umani volano a grandi altezze, dove prima dominavano incontrastati i demoni più forti.
Gli umani hanno preso il sopravvento ormai. La loro tossica presenza ha ucciso la natura in favore delle giungle di cemento e riempito l’aria pulita con miasma invisibile.
Esce nel giardino, il demone, passeggiando distrattamente su quel terreno ancora incontaminato che appartiene ancora ai demoni.
La natura è rigogliosa sotto ai suoi piedi. Forte. Imponente.
Profuma di vita, di speranza, è calda, gioiosa, festosa.
La sente vibrare in lui, la sente mentre penetra nelle sue ossa per nutrire un’esistenza millenaria ormai annichilita.
Volge lo sguardo in lontananza. Sua madre cura il suo angolo di fiori colorati. Indossa abiti umani, nuovi. Non ricorda ormai da quanto tempo abbia abbandonato i regali kimoni in favore di quell’abbigliamento bizzarro.
Le nuvole chiare circondano il limitare dei loro possedimenti segnando un confine magico e invalicabile.
Una silente fortezza che può contenere il suo dolore.
Avanza di qualche passo, esce dall’ombra del castello e lascia che il sole baci la sua pelle pallida e smunta.
I suoi occhi non perdono il sorriso lieto che distende le labbra di sua madre.
C’è silenzio nella loro terra. Un silenzio pesante, un silenzio che gli ricorda costantemente la sua solitudine.
La sua condanna.
Un pesce nel laghetto salta fuori dall’acqua. I suoi occhi catturano anche quell’immagine e un dettaglio piccolo ed insignificante attrae la sua attenzione.
Raggiunge il limitare dello specchio d’acqua e osserva il terreno dinanzi a lui.
Un piccolo groviglio di fili d’erba e foglie è spuntato dal terreno.
Qualche bocciolo ne decora la sommità. Uno di questi è in anticipo e, coraggioso, si è schiuso prima del tempo per godere del sole più degli altri.
I petali blu spiccano in mezzo a quel verde. Sesshoumaru riconoscerebbe quel fiore ovunque.
No, non si è ancora scordato di lei.

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Capitolo 9
*** 9. Ancora in vita ***


9. Ancora in vita



Il sole le riempie la camera da letto con i suoi raggi brillanti e caldi.
La ragazza si stropiccia gli occhi pigramente e sbadiglia assonnata.
Guarda la sveglia sul comodino. Ancora non è suonata, manca più di un’ora in verità, ma non ha più sonno ormai.
Esce dal letto e dal suo groviglio di coperte con lentezza. Poggia i piedi a terra e rabbrividisce sentendo le fredde mattonelle.
Mister Pelosetto – il suo adorato gatto – le si struscia fra le gambe intonando una supplica di miagolii che avrebbe intenerito qualsiasi cuore, anche se fosse stato di pietra.
Sorride fra sé e sé e lo saluta con una carezza amorevole.
Cosa non fa quel gatto in sovrappeso per i suoi adorati croccantini!
Si alza dal letto e lo nutre subito, prima che svegli tutto il condominio con il suo canto supplichevole.
Si trascina in bagno e sbadiglia stancamente davanti allo specchio.
Le occhiaie scure spiccano a contrasto con la sua pelle bianchissima. Ha il viso smunto e scarno, più del solito.
Quella notte non è riuscita a riposare degnamente e i segni dell’insonnia si proiettano chiaramente sul suo fisico stanco e affaticato.
Sospira chiudendo gli occhi. Li riapre con lentezza e prova a sfoggiare un sorriso sereno.
Da brava attrice, lo avrebbe indossato per tutto il giorno.
Si leva la maglia che usa come pigiama, si toglie anche le mutande e abbandona il tutto a terra.
Si infila nella doccia e si lava velocemente.
La caldaia scassata non fa arrivare l’acqua ad una temperatura umanamente sopportabile. L’acqua che esce dalla doccia, mantiene la temperatura desiderata per circa quaranta secondi. Poi oscilla continuamente fra il gelido ghiaccio del polo nord alla lava di un vulcano che sta per eruttare.
E la ragazza, ormai forgiata da anni di docce bollenti o ghiacciate, ha imparato sapientemente a giocare con la manopola, girandola di continuo, per riuscire ad ottenere una temperatura quantomeno accettabile.
Esce dalla doccia e si avvolge nell’asciugamano azzurro. L’unico abbastanza grande da fasciarle tutto il corpo e, purtroppo, anche il più consumato e liso.
Avvolge i capelli in un altro asciugamano e si dirige in cucina per fare colazione.
Apre il frigo e la desolazione del niente che vi è dentro la investe completamente.
Sospira stanca appuntandosi mentalmente di dover fare la spesa dopo il lavoro.
Prende la bottiglia del latte ormai praticamente finito. Versa il contenuto in una tazza che si riempie per quasi metà.
La scalda un po’ al microonde, ma il liquido diviene appena tiepido.
Beve tutto d’un fiato e lascia la tazza nell’acquaio prima di tornare in camera per vestirsi.
Indossa un paio di jeans comodi e una felpa larga con il logo di una band ormai passata di moda.
Guarda fuori dalla finestra. Il cielo limpido e privo di nuvole le regala una sfumatura d’azzurro meravigliosa.
Pettina i capelli alla veloce e li asciuga a testa in giù per fare prima. Spegne la sveglia che aveva iniziato a suonare con prepotenza e sistema i capelli in modo che non le ricadano sul viso. Tira le ciocche sopra le orecchie indietro e ferma il tutto con un fermaglio.
Il collo le resta scoperto per qualche secondo e gli occhi le corrono sulla cicatrice che spunta dalla sinistra, proprio sotto l’orecchio.
Le fa male vederla. Si morde il labbro inferiore e porta i capelli a coprirla.
Se non la vede, può sempre illudersi che non ci sia.
Che non esista.
Che non sia mai esistito e che non le abbiano mai fatto del male.
Chiude gli occhi mentre un brivido gelido le accappona la pelle.
Se chiude gli occhi e si concentra, riesce quasi a sentire ancora la lama che si fa strada nella sua gola e taglia.
Toglie.
Elimina ciò che mai più le tornerà indietro.
Lascia il lavandino che neppure si era resa conto di aver stretto fra le mani.
Le dita sono indolenzite, le nocche acquistano di nuovo colorito pian piano.
Non osa guardarsi allo specchio. Sa già che si troverebbe con gli occhi umidi e non vuole vedersi così.
Non vuole vedersi debole e indifesa.
Non può.
Non può permetterselo.
Indossa le scarpe, prende la borsa e il cappotto ed esce di casa.
Mister Pelosetto alza la testa giusto per salutarla prima di rituffare il muso nella ciotola di croccantini.

Cammina a passo svelto sul marciapiede, mantenendo la testa bassa per cercare di non incontrare gli occhi di nessuno.
Non le piacciono le persone. Non le sono mai piaciute e non le è mai piaciuto trovarsi in mezzo ad una folla.
Non si sente a suo agio, non ci si è mai sentita.
Tira su il colletto del giaccone e passa distrattamente una mano sulla cicatrice scura che deturpa la pelle proprio sotto all’orecchio.
Un senso di malessere l’assale, un vuoto allo stomaco che le toglie il respiro e presto si trasforma in dolorosi ricordi.
Gira l’angolo e inforca la via della caffetteria dove lavora.
La tenda verde scuro con il girasole – logo del locale – è già stata tirata giù, sinonimo che il suo capo è arrivato prima di lei.
Affretta il passo fin quasi a correre e, quando giunge dinanzi alla porta di vetro, il Signor Okonimura ed i suoi folti baffoni bianchi le danno un buongiorno caloroso e amorevole.
Gli sorride di rimando cercando di ingoiare quel fastidio che sente crescere in lei ogni volta che l’uomo le si rivolge con troppa confidenza.
Fila dentro a testa bassa e lancia letteralmente la borsa ed il giaccone nel suo armadietto. Indossa il grembiule in fretta e furia, sistema i capelli nella retina e corre in cucina.
La lista dei dolci da preparare per quel giorno non è poi molto lunga, ma presto si sommano a questi anche gli ordini dei clienti venuti a far colazione.
Riemerge dalla cucina stanca e accaldata quando ormai è l’ora di pranzo.
Si avvia all’armadietto per bere un sorso d’acqua, quando il capo la richiama subito per un nuovo ordine da preparare e consegnare a domicilio.

Riesce ad avere un po’ di respiro soltanto quando il cielo inizia a sostituire l’azzurro chiaro con i colori del fuoco.
Si sente stanca. Stremata.
Non ha avuto neppure il tempo per pranzare. La pasticceria l’ha assorbita con forza e violenza come non le succedeva da tempo.
Con l’arrivo della primavera i clienti si facevano più estrosi e pretendevano dolci e leccornie sempre più complesse e elaborate senza fornire alcun preavviso se non un paio d’ore.
Trova il tempo per sedersi qualche minuto giusto prima di iniziare le pulizie del negozio e della cucina con il capo.
Esce finalmente dal negozio che la sera è già calata.
Indossa il giaccone nonostante non senta freddo, ma anzi è accaldata dalla continua e frenetica giornata lavorativa.
Il Signor Okonimura le si palesa davanti con i suoi baffoni folti ed un sorriso fin troppo aperto a disegnargli le labbra.
“Grazie per l’ottimo lavoro!” Inizia entusiasta mentre chiude il negozio con la saracinesca.
La ragazza annuisce e sorride timidamente abbassando lo sguardo.
Le crea un certo fastidio restare sola con lui. Sente l’ansia crescere nel suo stomaco, il respiro si fa via via più affannoso e la voglia di scappare via diventa quasi irresistibile.
Il capo le poggia una mano sulla spalla con fare fin troppo amichevole e lei gli restituisce un sorriso tirato in risposta.
Si sente soffocare.
Si sente in trappola.
La mano del capo scivola piano dalla spalla al braccio. Il pollice inizia a carezzarla piano, con lentezza, mentre l’uomo le sorride sotto ai folti beffi.
La nausea le chiude lo stomaco e quella voragine che aveva allo stomaco le si chiude in breve tempo.
“Lascia che ti accompagni a casa.” Gli propone il capo con voce più bassa. Roca.
Sente le lacrime salirgli agli occhi, il panico invaderle le membra stanche e provate.
Vorrebbe gridare.
Lo vorrebbe tanto.
Sorride visibilmente a disagio e fa segno di no con la testa prima di esibirsi in un profondo inchino e sottrarsi alla presa del capo.
Si rialza in breve tempo, lo sente dirgli qualcosa con in tono un po’ infastidito, ma lei sta già camminando a grandi falcate lontano da lui.
Soltanto quando gira l’angolo e imbocca un vicolo stretto e buio si lascia andare e piange un po’.

Arriva alla clinica che già la luna è alta.
Le è sempre piaciuta la notte. Si è sempre sentita più a suo agio con il buio piuttosto che con la luce.
Di notte si sente protetta, serena, al sicuro, cosa che durante il giorno, con mille persone intorno, non è così.
La guardia all’ingresso la saluta con un sorriso bonario, come si saluta una vecchia amica, e la lascia passare.
Sale le sontuose scale di pietra e apre il portone in legno imponente.
Qualche suora si gira a guardarla con sguardo scocciato, come se non si aspettassero visite a quell’ora inusuale, ma quando la riconoscono, i loro visi mutano divenendo colmi di una pietà che la ragazza non desidera.
Segue il corridoio, sale le scale e saluta con la mano l’infermiera addetta all’accoglienza.
Ormai sa la strada a memoria.
Cerca con lo sguardo il numero della stanza corrispondente e bussa garbatamente.
Fra le mani stringe una confezione di dolcetti al cioccolato comprati in un negozio lungo la strada.
Una voce le dice di entrare e lei esegue.
Sua madre sta leggendo sulla poltrona accanto alla finestra. Gli occhiali fini inforcati sul naso, le mani elegantemente congiunte in grembo poggiate sulla copertina rigida del manoscritto.
Il volto è liscio nonostante l’età. I capelli acconciati, l’abbigliamento elegante e il portamento impeccabile ricordano quasi un quadro antico di un museo.
Perennemente immobile, per sempre identico.
La ragazza entra timidamente con un sorriso verso la madre e un inchino di cortesia.
La donna le sorride di rimando e le fa cenno di sedersi sulla poltrona difronte a lei.
La ragazza esegue e le porge il dono portato in omaggio.
La donna ringrazia con un sorriso più ampio e gliene offre qualcuno educatamente.
“Come si chiama signorina? E a che cosa devo questo piacere?” Chiede la donna e la ragazza sente una ferita lacerarsi nel petto.
Il sorriso sulle sue labbra si spegne per un secondo, poi viene subito sostituito dal suo solito e fintissimo.
Con un altro inchino si congeda e scappa via da quella stanza trattenendo le lacrime a stento.
Corre fuori, dove la notte fredda l’accoglie a braccia aperte e dove può piangere liberamente, consolata dall’avvolgente silenzio che quella clinica fuori città può offrirle.




Cammina con lentezza strascicando le gambe sul lussuoso parquet antico.
Nella sua mano svetta una bottiglia di vetro contenente un liquore abbastanza forte da stordirlo. Con l’altra mano, si tiene al muro per evitare di rovinare a terra.
Uno spettro.
Un fantasma che si aggira per i sontuosi corridoi di quel vecchio castello che è la sua dimora.
Si rende conto di quanto si stia mettendo in ridicolo. La mente è ancora lucida e sveglia nonostante l’alcolica nebbia che la confonde.
Sente gli occhi sprezzanti di sua madre addosso. Un giudizio severo e silenzioso che non ha bisogno di udire per comprendere.
Ma lei non capisce.
Non capirebbe mai.
Nessuno potrà mai capire il dolore che lo accompagna e lo consuma da secoli interi.
Raggiunge la sua stanza barcollante con difficoltà.
È buia. Polverosa. Vecchia. Come la sua anima.
Rispecchia esattamente il suo umore.
Posa la bottiglia sul tavolo da the e si avvia verso lo specchio che contiene i suoi ricordi, dove la superficie chiara risplenderà del sorriso splendido di Lei, dove i suoi occhi potranno bearsi ancora della sua figura.
Dove il suo cuore batterà ancora un po’ ricordandogli che è ancora vivo.



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Capitolo 10
*** 10. Déjà vu ***


10. Déjà vu




Il cielo inizia a tingersi di rosso, il sole sta pian piano sorgendo. I primi timidi raggi fanno capolino e bucano la scura notte.
Un nuovo giorno si affaccia in quel mondo vuoto e senza senso alcuno. Un nuovo giorno senza di lei a riempire le sue giornate, un nuovo giorno senza il suo sorriso ad oscurare il sole, la luna e tutte le stelle del firmamento che sanno di non poter eguagliare quello splendore.
Il demone bianco si trascina nel giardino. Lo specchio che custodisce il ricordo di quel giorno lontano gli ha tenuto compagnia per tutta la notte.
È stanco, il demone. Un guscio vuoto privato della voglia di vivere.
Solo l’emanazione dell’imponente figura che un tempo vagava sulla terra è rimasta a fargli compagnia.
L’erba fresca, pregna di rugiada, sotto ai piedi nudi gli provoca un brivido lungo la schiena.
Un soffio di vento scuote le fronde del susino accanto al laghetto e tutt’intorno s’innalza il profumo aspro dei fiori non ancora sbocciati.
Si avvicina allo specchio d’acqua e i suoi occhi vengono catturati dal piccolo fiore blu che si erge vittorioso sopra a tutti gli altri.
È in anticipo. Non è ancora primavera.
Il ticchettio dei tacchi di sua madre alle sue spalle attira la sua attenzione.
Percepisce la donna sulla soglia della portafinestra che lo scruta con attenzione.
Riesce quasi a sentire la sua smorfia piena di rabbia e disprezzo per il demone forte e potente che non è più voluto essere.
Ma Sesshoumaru non si cura del suo pensiero, non si cura della sua presenza e continua a fissare il piccolo fiore che pare quasi conversare con lui.
“Lo piantai secoli fa, quando tornasti al castello con quell’espressione vuota che ormai indossi da sempre.” Inizia la donna con un sospiro. Un fruscio di vesti gli fa intuire che si sta spostando, il rumore sordo e ovattato dei piedi che incontrano il manto erboso è sinonimo del suo avvicinarsi.
Sesshomaru rimane in silenzio, gli occhi fissi su quel fiore così caro al suo ricordo.
“L’ho piantato nel medaglione che tuo padre mi lasciò in dono.” Un’altra interruzione. Stavolta Sesshomaru scorge un sorriso sincero su quelle labbra che da sempre erano state false.
“Pensa, figlio mio, il piccolo e fragile fiore è sbocciato dopo tutto questo tempo, tornando dal mondo dei morti e affrontando le difficoltà di questo mondo terreno. È persino riuscito a spaccare il mistico vetro del medaglione e la magia di cui è imbevuto pur di tornare a vivere. Mi domando perché questa vita sia voluta nascere nonostante i mille ostacoli… o forse aveva qualcuno in questo mondo da cui tornare e un legame così forte non può essere contrastato con alcun mezzo.” Una risatina che sa fin troppo di scherno.
Parole enigmatiche, finanche troppo allusive. Non potevano essere state pronunciate così per caso con leggerezza.
Volta lo sguardo su di lei che già lo guarda a sua volta in attesa.
“Non può essere una coincidenza che sia sbocciato solo adesso, non trovi?”
Un ultimo sussurro. Un bisbiglio ammiccante prima di voltare i tacchi e tornare dentro l’imponente castello.
Sesshomaru sgrana gli occhi stupito e sconcertato.
Un guizzo di speranza gli incendia lo sguardo ambrato.
Che sia finalmente tornata in vita?


La sveglia suona fastidiosa con il suo gracchiare noioso e cacofonico. La ragazza non lo ha mai sopportato, soprattutto se deve alzarsi a quell’orario improponibile del mattino in cui il sole ancora fatica a farsi vedere.
L’incontro con sua madre la sera precedente non ha migliorato il suo umore. Non migliora il suo umore da molto tempo ormai…
Era poco più di una ragazzina quando sua madre perse il senno del tutto. La malattia era riuscita a farle dimenticare il viso della sua stessa figlia e l’aggressione era stata improvvisa quanto crudele.
Ricorda ancora con estrema precisione le sue grida da pazza in cui le chiedeva chi fosse e come era entrata in casa. Ricorda perfettamente anche il momento esatto in cui aveva preso il coltello dalla cucina e le si era scagliata contro pronta a tagliarle la gola.
Un brivido freddo le corre lungo la schiena al sol pensiero.
Sua madre era riuscita a toglierle una parte importante di lei e neppure lo sapeva. Le aveva tolto un qualcosa che non avrebbe mai più riacquisito e lo aveva fatto con una semplicità disarmante.
Con gli occhi lucidi di dolore, alza lo sguardo verso la finestra e guarda con un sorriso triste la luna che ancora non è scomparsa del tutto, inghiottita nei raggi del sole nascente.
La vista dell’astro ha un potere calmante sul suo animo e non sa spiegarsi perché.
È sempre stato così, fin da piccola, quando non riusciva a dormire e gli incubi la tormentavano, volgeva lo sguardo alla luna e la paura andava via.
Dissipata con una semplicità disarmante, in un batter d’occhio si sentiva protetta e al sicuro.
Scuote la testa e l’ammasso di capelli senza senso segue i suoi movimenti oscillando. Si sente nostalgica quel giorno e non ne capisce neppure il motivo.
Ripensare al suo passato, a sua madre, a tutto quello che ha passato non è piacevole. Affatto.
Ma la sua mente continua a richiamarla indietro, ancora più indietro, verso ricordi confusi e sfocati che le sembrano quasi estranei.
Scende dal letto senza pensarci troppo e cerca di accantonare quel suo strano umore mattutino in un angolo della sua testa.
Sta già perdendo tempo e ha molto da fare prima di andare a lavoro.
Nutre il gatto che la supplica con incessanti miagolii, si infila una maglietta scura con il collo alto, una felpa al volo e un paio di jeans.
Sistema i capelli con una coda disordinata ma funzionale e indossa gli stivaletti. Acciuffa la borsa e il giaccone e esce di casa.
Cammina abbastanza velocemente sul marciapiede. Ignora con un certo timore nascosto i tizi appoggiati al muro che la squadrano come se fosse fatta di cioccolato, e si fionda dentro al kombini per fare la spesa. Il giorno prima era troppo in ritardo per la visita a sua madre e non ne ha avuto il tempo.
Anche se la guardia all’ingresso ormai la conosce da anni e sa i suoi orari strani e sconclusionati, non le pare giusto approfittare della sua gentilezza e cerca sempre di rientrare nell’orario delle visite.
Il piccolo supermercato all’angolo della via dove abita è sempre ben fornito e a prezzi modici. In più è aperto sempre e per lei è un grande vantaggio.
L’unico lato negativo è che si affaccia su una via non proprio ben frequentata e spesso la ragazza si ritrova ad affrettare il passo il più possibile per non incappare in qualche spiacevole inconveniente.
Raggiunge la cassa con il cestino di plastica stracolmo di oggetti. Il cassiere la guarda assonnato non senza nascondere la sua sorpresa per quella spesa mastodontica che a stento riesce a trasportare.
La ragazza gli rivolge un sorriso divertito in risposta e il ragazzo inizia a battere i prodotti alla cassa.
Paga e riesce ad incastrarsi le buste in modo che non le pesino troppo e la bilancino abbastanza dignitosamente prima di uscire dal kombini e recarsi verso casa a passo spedito.
La sveglia sul cellulare inizia a suonare quando è a pochi metri dal portone di casa.
È in ritardo. Si morde il labbro inferiore e impreca mentalmente ad occhi chiusi.
Perfetto. Le ci mancava solo una corsa sfrenata verso il lavoro.
Non ha neppure il tempo di mettere a posto I suoi acquisti – ammucchia alla rinfusa I prodotti nel congelatore e lascia il resto sul piccolo tavolo in cucina – e si lancia fuori di casa correndo.
Giunge a lavoro appena in tempo per subire l’ennesimo sorriso malizioso e il solito buongiorno fastidiosamente smielato da parte del proprio capo, e fila in cucina a preparare i dolci per la caffetteria.

La mattinata scorre abbastanza in fretta. Il lavoro frenetico la coinvolge a pieno senza neppure darle modo di riposarsi.
Appena scorge qualche secondo di respiro e si concede un sorso d’acqua, ecco che la sua mente torna indietro, proiettandole immagini di un passato lontano che neppure la pare familiare.
Vede alberi, sole, un cielo insolitamente limpido e non oscurato dallo smog della città.
Sta bene. Quel luogo estraneo ma conosciuto, le rimanda una sensazione inspiegabile di benessere e libertà.
Di protezione e serenità.
È come se in quel luogo fosse stata immensamente felice, ma non ricorda di aver mai provato un sentimento tanto intenso e bello in vita sua.
Sente il profumo dell’erba solleticarle le narici, fiori, frutti, i caldi raggi solari che le riscaldano la pelle e non può non chiedersi come sia possibile che ricordi simili momenti quando lei è sempre stata in città.
Neppure da piccola, quando sua madre stava bene, non l’ha mai portata a fare una vacanza in campagna.
Ha voglia di parlare, di raccontare a tutti quanto stia bene e quanto sia felice, ma il Signor Okonimura torna da lei in cucina con dei nuovi ordini da cucinare e la ragazza torna prepotentemente alla realtà.
La sua piccola pausa è già conclusa, ma non riesce a non pensare a quel luogo. Non riesce a darsi pace e continua a cercare di capire dove può aver visto un posto simile, così bello e incontaminato che quasi non le sembra vero.
L’ordine dei croissant ripieni torna da lei quasi subito dopo essere uscito.
Il Signor Okonimura tiene il vassoio fra le mani con le nocche sbiancate e tremanti di rabbia. Il sorriso sereno e quella sensazione di benessere che l’hanno accompagnata insieme al ricordo, svaniscono in un secondo vedendo il suo capo furente che la squadra come se volesse stritolarla in due.
La sfuriata che ne segue la lascia senza fiato e con tanta voglia di piangere.
Ha sbagliato il ripieno dei cornetti e la signora cliente non li ha voluti acquistare. Il capo le fa pesare quell’unico errore con estrema cattiveria e l’accusa di avere la testa fra le nuvole come tutte le sciocche ragazzine della sua età.
La ragazza incassa la testa fra le spalle e s’inchina chiedendo scusa per il suo errore.
È vero, quel giorno ha la testa fra le nuvole e si è distratta durante il lavoro. Non ha scusanti e spera soltanto che il capo non decida di licenziarla.

Il resto della giornata scorre velocemente e la ragazza cerca di concentrarsi sul lavoro accantonando quel piacevole ricordo.
Quando è circa a metà delle pulizie e le manca solo mezz’ora prima di uscire dal lavoro, il Signor Okonimura la chiama dal suo ufficio della contabilità squadrandola in un modo che non riesce a definire.
Spera in cuor suo che non la licenzi, ma la sua espressione è greve e pare quasi rammaricato. Sente il cuore stringersi e gli occhi inumidirsi velocemente.
Ingoia la voglia di piangere e si reca nell’ufficio chiudendosi la porta alle spalle.
Il Signor Okonimura la fa accomodare sulla sedia di plastica scricchiolante e lui si siede sulla scrivania invasa di documenti proprio davanti a lei.
La ragazza percepisce una strana sensazione invaderle il corpo. Un senso di panico si impossessa di lei e inizia a pensare di essere in trappola.
Non capisce il motivo, dovrebbe sentirsi triste ed abbattuta per il suo errore, ma invece il suo corpo si tende all’erta impaurito.
“Dobbiamo parlare del tuo errore di oggi, ragazzina…” inizia l’uomo con voce profonda, roca, insolita rispetto alle parole che sta usando.
Tutto ciò risuona come un allarme nella sua testa e la ragazza si agita nervosamente sulla sedia.
Abbassa lo sguardo e fa un piccolo inchino per scusarsi.
Il Signor Okonimura prende posto accanto a lei, sulla sedia rimasta libera, dicendole con tono amichevole che non c’è bisogno di tanta formalità fra loro perché dopotutto si conoscono da anni.
Un brivido le corre lungo la schiena e vorrebbe urlargli in faccia che invece sì, che c’è bisogno di una certa distanza formale fra loro perché non sono amici e lei odia che lui si prenda tante libertà.
Ma sorride nervosamente e quando lui si sporge verso di lei per parlare, si allontana con il busto appiccicandosi allo schienale fino a farlo scricchiolare.
“Non mi aspettavo un errore simile da te, piccola…”
Ha la nausea, la ragazza, e vorrebbe urlare e scappare da quella stanza che somiglia attimo dopo attimo sempre più ad una trappola per topi.
E lei si sente tanto come il topo che ci è appena finito dentro.
“Potrei licenziarti subito e assumere un’altra, il tuo comportamento di oggi mi ha fatto capire che non sei portata per questo lavoro.” Continua l’uomo, allungando una mano verso la sua gamba fino a poggiarla sul suo ginocchio.
Lei lo guarda attenta, pronta a scattare come una molla e fuggire. Lui le risponde con un sorriso amichevole fin troppo confidenziale.
“Ma ho deciso di tenerti con me, dopotutto ti sei sempre rivelata all’altezza e ormai fra noi c’è una certa sintonia, no?” Le chiede bonario, mentre il sorriso sulle sue labbra si fa sempre più fine e la mano sul suo ginocchio si muove con apparente casualità verso la sua coscia.
La ragazza si sente morire dentro, ma fa violenza su di sé e si sforza di sorridergli più amichevole possibile.
Vorrebbe urlargli in faccia, vorrebbe scappare via, vorrebbe piangere e disperarsi per quello che è costretta a subire ogni giorno, ma la realtà è un’altra e non può che essere accondiscendente nei confronti di quel maniaco del suo capo.
Dopotutto la retta dell’istituto dove vive sua madre deve essere pagata ogni mese.
“Quindi spero che non farai più errori di questo tipo…” continua l’uomo. Stavolta la sua voce si fa più scura, roca, profonda.
Alla ragazza sembra che provenga direttamente dalla bocca dell’inferno.
Sente il suo corpo tendersi all’erta appena la mano del capo si ferma sul suo inguine.
Lo guarda spaventata, sgranando gli occhi e pregando ogni Dio in cielo che non succeda quello che teme stia per succederle.
Lui le si avvicina maggiormente. Il suo respiro caldo le carezza la pelle della guancia e la ragazza si ritrova a sopprimere un conato di vomito.
“E credo che sarai più amichevole nei miei confronti d’ora in poi… se ci tieni a lavorare ancora qui dentro ovviamente.” Le sussurra all’orecchio quello che suona esattamente come un ricatto.
La ragazza strizza gli occhi per impedire alle lacrime di  scendere, stringe i pugni conficcandosi le unghie nella carne e si violenta ancora costringendosi ad annuire.
L’uomo sorride vittorioso e tronfio prima di lasciarla andare a finire il suo lavoro.
La ragazza finisce le pulizie velocemente. Vuole scappare da lì. Sente che è in pericolo, si sente in trappola e non sa come uscirne.
Vuole soltanto correre a casa e lavarsi via quella viscida sensazione della mano del capo sul suo corpo.
Esce dal locale qualche secondo prima del Signor Okonimura e gli fa un cenno con la mano.
Scappa letteralmente, correndo a perdifiato verso casa che mai le era sembrata così lontano.
Si scontra con uno sconosciuto tanto è presa dalla sua corsa e la disperazione rompe gli argini dei suoi occhi.
Qualche lacrima le scende involontariamente mentre si rialza alla svelta.
Si volta verso lo sconosciuto e s’inchina velocemente per scusarsi.
Il loro sguardo s’incontra solo per pochi secondi.
La radura dei suoi ricordi torna alla sua mente proiettandole immagini di pomeriggi assolati, lunghi viaggi verso l’ignoto seguendo una figura bianca dallo sguardo dorato.
Un senso di protezione le scalda le membra impaurite.
È come un abbraccio quando si è tristi. È come tornare a casa dopo anni di lontananza.
È una carezza dolce. Un sentimento delicato e prezioso che non ha mai avuto il privilegio di provare prima.
L’uomo la guarda con stupore, immobile. I capelli scuri gli ricadono sulla fronte e non fa caso ai vestiti scomodamente attillati che si sono stropicciati.
Pare una statua di sale e non riesce a staccare lo sguardo dalla figura minuta della ragazza spettinata e con gli occhi lucidi che lo guarda confusa a sua volta.
È strano, quell’incontro. Complicato, frenetico, ma allo stesso tempo familiare.
È denso di sentimenti stranamente contrastanti. Esattamente come tanti anni fa, quando lui era ferito e lei si era messa in testa di volerlo aiutare nonostante fosse poco più di una cucciola d’uomo.
La vede allontanarsi di gran lena. Il suo passo è svelto ma incerto. Sembra che stia scappando da qualcosa, ma la sua presenza la sta trattenendo.
Non riesce a non chiedersi se lo abbia riconosciuto esattamente come lui ha fatto con lei.
Nonostante i poteri demoniaci sigillati con un cristallo incantato, non ha avuto dubbi sulla sua identità. I secoli non hanno intaccato la sua bellezza genuina, o i suoi occhi curiosi, o quello sguardo interrogativo che l’ha accompagnato per anni.
Si volta di quando in quando con un’espressione curiosa e pensosa verso di lui. Sembra combattuta. Come se volesse tornare a chiedergli qualcosa.
E lui vorrebbe tanto che lei tornasse, che macinasse quei pochi metri che li separano e che si tuffasse fra le sue braccia come era solita fare tanti anni fa, quando ancora era una bambina e lui tornava a salutarla al villaggio.
Pare chiedergli qualcosa con gli occhi, una silenziosa domanda alla quale lui non vede l’ora di rispondere. Ma ci sarà un tempo per tutto.
Vorrebbe davvero che si riavvicinassero velocemente, ma sua madre è stata categorica e lui non può fare niente per accelerare le cose fra loro.

“Il sentimento sboccerà di nuovo in lei e a quel punto potrai rivelarle la verità.”

Respira davvero per la prima volta dopo secoli.
L’ha ritrovata. Finalmente la sua Rin è tornata da lui.



Una luce si sprigiona dalla sfera abbandonata sul morbido cuscino. Una mano delicata dalle unghie scarlatte acuminate ne carezza soavemente la superficie liscia e fredda.
Una ragazza s’intravede fra il bagliore fioco della sfera. Solo pochi attimi, uno sguardo smarrito, qualche lacrima a rigarle la pelle diafana, capelli scuri e spettinati.
Una bellezza selvaggia e genuina che ricorda molto bene.
Un sorriso vittorioso si distende sulle sue labbra carnose ed invitanti.
È tornata. Finalmente la ragazza baciata dai demoni dell’oltretomba era tornata a nuova vita.

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Capitolo 11
*** 11. Radure sconfinate ***





11. Radure sconfinate 



Il sole sorge sotto al suo sguardo pregno d’angoscia e disperazione.
Un altro giorno è tramontato e uno nuovo è nato su quel mondo.
Le parole enigmatiche di sua madre gli risuonano in testa come una canzone di sirena.
Che siano un presagio? Una predizione?
Come può essere tornata a camminare su quella terra dopo tanto tempo?
E come farà per trovarla?
Mille ostacoli si dipingono dinanzi ai suoi occhi stanchi. Si sente sconfitto prima ancora di aver iniziato a combattere.
Sente il suo orgoglio demoniaco vacillare dopo tanti anni di tormento. Non è più il demone di un tempo, non è più la creatura maestosa che dominava il cielo e la terra.
È debole adesso. Spaventato e impaurito solo all’idea di rivederla ancora.
Ha imparato così bene a vivere nel dolore che l’idea di liberarsene lo turba.
Sente i passi di sua madre alle sue spalle, ma non si volta.
Lascia che lo raggiunga in silenzio e che esso parli per loro.
L’aria è elettrica fra loro, pregna di odori e sensazione chiare che dialogano e combattono silenti.
“Non è più il mondo che ricordi, è normale esserne spaventati.” Esordisce infine, riempiendosi la bocca con una saccenza e un arroganza che meriterebbero una punizione.
Sesshomaru le rivolge un muto sguardo d’avvertimento che s’infrange sgretolandosi contro il suo sorriso scarlatto.
“Io non ho mai paura.” Risponde meccanicamente più per abitudine che altro. La sua mente e il suo cuore tremano al pensiero di lei, di rivederla, di scoprire che il suo riflesso in quegli occhi nocciola non ha subito alterazioni ed è sempre accompagnato dallo stupore e dalla meraviglia.
Trema per lei di paura, ma anche di attesa. Vuole vederla, vuole farlo subito.
Le sue mani fremono per sentire di nuovo la consistenza tiepida delle sue guance.
“Ti ho fatto preparare degli abiti più consoni a quest’epoca e le dame ti attendono per un bagno caldo.” Lo avvisa la donna seguitando ad osservare il sole issarsi oltre la coltre di nuvole chiare ed illuminare il giardino.
I fiori blu si ergono diritti come spilli, salutando l’astro con la baldanzosa arroganza di chi non teme l’inverno.
“Poi vieni da me.” Aggiunge dopo qualche attimo di silenzio.
“Incanterò la tua figura affinché non crei scompiglio fra i mortali e poi ti condurrò da lei.”

L’incantesimo con il quale sua madre aveva coperto il suo aspetto puzzava di bruciato e terra. Il potere del cristallo che teneva al collo lo avrebbe mascherato agli occhi degli umani, così gli aveva rivelato sua madre.
Lo avrebbe dovuto indossare sempre, come un collare… come InuYasha indossava il rosario magico che la sacerdotessa gli aveva messo al collo.
Solo facendo quella semplice analogia, il suo orgoglio gorgoglia bruciando. Ma per il momento ha ben altri problemi fra le mani. Primo fra tutti: i vestiti moderni consoni per quell’epoca.
Scomodi e stretti, tiravano il cavallo dei pantaloni e la cosiddetta “camicia” era stretta come una seconda pelle.
L’unico indumento che aveva trovato decente era il cosiddetto “cappotto” che avrebbe dovuto proteggerlo da quel freddo che neppure sentiva.
“L’incanto durerà finché lo vorrai e avrà effetto sugli occhi di chi guarda.” Spiega brevemente rivolgendogli un sorriso sereno.
“Anche Rin vedrà la tua figura incantata.” Aggiunge in seguito rivolgendogli uno sguardo serio.
“Come potrà riconoscermi allora?”
“Non lo farà.” Risponde lesta la donna abbandonando gli attrezzi da strega sul tavolo del laboratorio e voltandosi a fronteggiare il figlio.
“La magia non può essere piegata per assecondare i tuoi capricci, Sesshomaru. Ha bisogno di fare il suo corso e l’anima di Rin deve congiungersi con quella che alberga nel suo corpo adesso prima che si ricordi di te.” Una pausa. Un sospiro.
“Non sarà facile, soprattutto per te. Devi entrare nella sua vita di adesso piano e lasciare che l’incantesimo faccia il suo corso senza affrettare le cose.” Conclude infine, tornando a sminuzzare le erbe mediche nel mortaio.
Sesshomaru si sofferma a guardarla per qualche secondo, mentre pesta in un qualche erba dall’odore nauseante.
“Come saprò quando l’incantesimo è terminato?”
“La congiunzione delle anime richiede tempo, figlio mio. Tanto più è forte l’anima, tanto più sono diverse, tanto più tempo occorrerà.” Spiega con una strana espressione contrita sul viso. Sesshomaru non osa chiedere oltre, ma nota la tremenda somiglianza con la solita espressione che assume sua madre quando parlano di suo padre.
“Quindi non ricorda della sua vita passata.” Conclude infine il demone tornando al discorso principale senza lasciare che la conversazione muoia. È affamato di risposte, Sesshomaru. Pieno di domande che necessitano risposte il prima possibile se vuole riuscire a trovarla.
“In parte.” Risponde enigmatica la donna e Sesshomaru resta in attesa silente.
“Ricorderà qualcosa, forse inizierà dai ricordi o dalle emozioni… non è sempre uguale per tutti.
Puoi stare certo però che il sentimento che vi lega sboccerà di nuovo in lei e a quel punto potrai rivelarle la verità”.
“Perché mi aiuti a ritrovarla?” La domanda forza le sue labbra senza che lui se ne accorga. Se lo stava chiedendo ormai da un po’ di tempo, precisamente da quando gli aveva rivelato che i fiori blu in giardino erano legati all’anima della sua Rin.
La donna smette di pestare le erbe e si ferma per un secondo. Guarda dritto dinanzi a sé con un sorriso nostalgico sulle labbra scarlatte.
“Mi piaceva quella cucciola d’uomo. Piansi la sua dipartita come piangerei quella di mio figlio.” Confessa infine sospirando.
“Ti aveva trasformato in una creatura migliore.”freccia.
Sesshomaru non risponde, ma le va vicino e poggia i palmi grandi sul tavolo di legno scuro del laboratorio di sua madre.
Non nega le sue parole. Non era stato mai un ipocrita, anzi, era ben a conoscenza che Rin lo avesse mutato piano piano.
Era divenuto un altro demone, diverso, più consapevole. Aveva acquisito la capacità di vedere ciò che era invisibile ai più solo perché Rin era in grado di mostrarglielo.
Aveva saputo attirare la sua attenzione e fargli scoprire la bellezza nascosta che giaceva in una goccia d’acqua piovana.
Era speciale. Era sempre stata una ragazzina speciale la sua Rin.
Lo aveva cambiato tanto, in meglio, ma il suo orgoglio a quel tempo era rimasto intonso e l’idea che una stupida strega potesse portargliela via era stata pura blasfemia alle sue orecchie.
Aveva sottovalutato il nemico, la sua pericolosità e la sua scaltrezza. 
Era vero, Rin lo aveva cambiato, ma aveva alterato anche le sue capacità strategiche? Aveva mutato e plasmato anche il suo spirito guerriero? 
In quei secoli, una delle domande divenute tormento era proprio quella: se fosse stato sempre lo spietato principe dei demoni, l’avrebbe salvata?
Ritorna in sé, lontano dai suoi funesti pensieri solo quando sua madre estrae dalla tasca il piccolo fiore blu. Segue i suoi movimenti lenti con lo sguardo senza fiatare.
La donna deposita il piccolo fiore nel mortaio e pesta pure quello mescolandolo alle erbe già tritate.
Prende l’impasto con un cucchiaio e lo trasferisce in una piccola bottiglietta di vetro.
All’impasto di erbe aggiunge l’intero contenuto di una fialetta che tiene legata al collo e poi sorride soddisfatta.
Il composto inizia a bollire e da esso si leva un fumo chiaro e denso.
Non ha alcun dubbio Sesshomaru. Appena respira quel fumo, riconosce immediatamente in esso il profumo della sua Rin.
È il suo, dolce e amabile, delicato, selvaggio, sa di fiori, di frutta fresca, di oceano, di bosco, di neve e di sole.
Poi si fa via via più lieve, appena accennato, quasi labile.
Compie un passo, poi un altro ricercando quel profumo e cercando di non farlo andare via.
Lo ritrova per qualche secondo, poi svanisce ancora quando Sesshomaru si ritrova a pochi centimetri dalla porta del laboratorio.
Si volta verso sua madre con una muta domanda sulle labbra.
“Segui il profumo, ti condurrà da lei.”




La sveglia suona sempre con il solito gracchiare fastidioso. La ragazza la spegne subito e balza giù dal letto piena di energie.
Mister Pelosetto le si struscia alle caviglie nude con un tripudio di fusa a darle il buongiorno. Ricambia con una carezza e una grattatina sotto al mento proprio come piace a lui.
Non sa spiegarsi il perché, ma quel giorno si è svegliata stranamente di buon umore. Ricorda ancora il sogno di quella notte, quei campi che si estendevano a perdita d’occhio, quei boschi scuri che profumavano di terra e pioggia, quelle valli fiorite che le facevano arricciare il naso per la diversità di profumi che sentiva.
E lei camminava su quelle terre prima come una bambina, poi come una ragazza, con una leggerezza ed una spensieratezza che non aveva mai avuto il piacere di conoscere.
Si sentiva protetta anche se non conosceva quei luoghi. Era come se una piccola parte di sé sapesse che qualcuno vegliava su di lei.
Forse una buona stella o un angelo custode.
Il suo umore è così radioso che il sorriso spensierato e leggere che lo specchio le rimanda, non sembrava neppure suo. Quando mai aveva sorriso così?
Quando mai era stata così di buon umore?
Sente di poter camminare a tre metri da terra… il che è tutto dire, dato che il giorno prima sarebbe stato possibile classificarlo come il peggiore della sua intera esistenza.
Il Signor Okonimura non aveva mai osato tanto, non aveva mai scavalcato quella sottile linea che li teneva distanti.
Ci aveva provato molte volte a parole, con qualche battutaccia di cattivo gusto, ma mai aveva osato sfiorarla in maniera così intima e maliziosa.
Ricorda ancora con fin troppa chiarezza la schifosa sensazione della sua mano fra le cosce strette. Era stato orribile. Si era sentita derubata per tutto il tempo che era stata chiusa in quella stanzina angusta con il capo.
Il solo pensiero di dover tornare in quella fogna con quel maiale depravato, la nausea.
Preferirebbe qualsiasi altra cosa al mondo, qualsiasi altra tortura, anche la più crudele, ma essere costretta a subire molestie su molestie ogni giorno è diventato troppo anche per lei.
Sospira un sorrisetto e il primo pensiero della giornata le carezza la mente come una soave melodia.
Magari quel giorno sarebbe andata meglio. Magari il suo capo non l’avrebbe importunata.
Magari sarebbero stati talmente indaffarati che a stento avrebbero avuto il tempo di salutarsi.
In cuor suo, ci spera davvero. Spera che i suoi pensieri si concretizzino in una giornata vera e piena e spera di poter accantonare quell’episodio spiacevole e lasciarselo alle spalle.
E spera anche che quei buoni desideri non restino tali.
Non sa proprio da dove le arrivi tutto questo buon umore e tutta questa speranza. Non riesce a spiegarsi molte cose di sé quel giorno.

A lavoro la giornata scorre intensa e frenetica come aveva previsto. La ragazza è sollevata però perché per tutto il giorno, il capo non ha trovato il tempo di andare ad importunarla.
Il sorriso che adorna le sue labbra è luminoso. Pensa di non aver mai sorriso così. Anzi, erano anni interi che ormai le era passato il buon umore e la spensieratezza tipica di un’età più giovane e infantile, dove il mondo sembra tutto da scoprire e ha in serbo solo cose belle.

La sera piove lesta sulla città e l’avvolge con il suo gelido freddo. Esce dal locale del lavoro dal retro e getta l’immondizia fischiettando un motivetto strano. Non lo ha mai sentito, è una canzone totalmente nuova per le sue orecchie, ma qualcosa in lei le sussurra che non è così, che ha già sentito quella melodia lontana molto molto tempo prima.
Rientra nel locale con un sospiro. È stanca, ma ciò non ha intaccato il suo buonumore.
È così raggiante che non riesce a smettere di sorridere. E si sente stupida, pensa che non dovrebbe sentirsi così, ma non riesce a farsi inghiottire dal solito malumore come sempre.
E come potrebbe se ogni volta che chiude gli occhi le si apre una visione del genere?
Prati incontaminati grandi come oceani, boschi così fitti e profumati che le sembrano veri.
Poi ancora, risaie nelle quali affondare con i piedi nel fango, la sensazione dell’erba che le solletica fra le dita, il profumo della natura, il calore del fuoco e la cenere che vola ovunque.
Si sente leggera. Il suo corpo è come addormentato, completamente in estasi.
Rotola nell’erba reda fredda dalla rugiada. Ride con una voce squillante che ormai non ricorda più di avere.
Sente qualcosa. Una sensazione strana alle spalle. Qualcuno la guarda, ma non le crea fastidio.
È uno sguardo insistente, ma gentile al tempo stesso. Non è in allarme, non è spaventata… è serena.
Quegli occhi la scrutano da lontano, da dentro al bosco e non la perdono di vista neppure per un secondo.
E lei si sente protetta e tranquilla. Una sensazione di benessere che non ha mai avuto la fortuna di provare.
Poi la figura in lontananza fa un passo in avanti. I raggi della luna la illuminano di bianco candore.
Sente il suo cuore accelerare. È un ragazzo che non conosce… non lo ha mai visto prima eppure le sembra incredibilmente familiare.
Non riesce a vederlo bene da lontano, ma sente che di lui può fidarsi.
Apre gli occhi di scatto e si ritrova da sola nella cucina con il cuore a mille e tutta sudata.
Le orecchie le fischiano forte e la testa gira parecchio.
La vista inizia a farsi via via più sfocata ed è costretta ad afferrare il bancone di metallo per impedirsi di cadere a terra.
Il Signor Okonimura decide di entrare in quel momento nella cucina e le rivolge uno sguardo strano che la fa rabbrividire.
È il suo stesso corpo che la mette in allarme. È il suo istinto a gridarle ad alta voce che, anche se non si sente bene, deve andarsene da lì prima che sia troppo tardi.
“Stai bene?” Le chiede il capo con un tono fin troppo preoccupato. La ragazza ansima senza fiato e si sforza di annuire.
Prende le sue cose velocemente e saluta con un inchino prima di uscire dalla cucina.
Si chiude la porta alle spalle con un sospiro ed è costretta a tenersi al muro mentre cammina verso casa.
La strada non è lunga, ma le sembra infinita. Qualche passante la guarda con gli occhi colmi di un giudizio non richiesto.
Sta male, si sente svenire eppure riesce a sentirsi felice.
Sorride accasciandosi sulla porta di casa e se la chiude alle spalle.
Mister Pelosetto le va incontro salutandola con un tripudio di fusa e un miagolio disperato alla ricerca della sua cena.
La ragazza sorride e chiude gli occhi abbandonando la mano sul pavimento e lasciando che il gatto ci si strusci contro.












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