When the Darkness come

di Shin4
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Omicidio inaspettato ***
Capitolo 3: *** Un indizio sconvolgente ***
Capitolo 4: *** Primi Passi ***
Capitolo 5: *** Vecchi giocatori entrano in scena ***
Capitolo 6: *** Vetro Infranto ***
Capitolo 7: *** Alla prossima Cool Guy ***
Capitolo 8: *** Quando i pezzi vanno a incastrarsi ***
Capitolo 9: *** L'Ultima Volta ***
Capitolo 10: *** Il buio che oscura ogni speranza ***
Capitolo 11: *** Verità Nascoste ***
Capitolo 12: *** Incontri Indesiderabili ***
Capitolo 13: *** Indagini e Sospetti ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 
Era una di quelle notti in cui tutto tace. La luna nascosta dalle nuvole diffondeva una luce smorzata che non riusciva a trapassare le ombre. Un uomo sostava in piedi nei pressi del ponte centrale di Tokio, scrutando con occhi attenti la città, come se volesse carpirne i segreti. 
Quel silenzio innaturale venne interrotto da un nitido rumore di tacchi che giunse, anche da lontano, alle orecchie allenate dell’uomo. Uno strano sorriso si dipinse sul suo volto mentre una figura sinuosa si avvicinava a lui nel buio.
“Sei venuta” disse lui. Poche parole che risuonavano nell’oscurità.
“Credevi che non lo facessi? Come mai mi trovo qui?”
“Volevo solo avvisarti di starne fuori stavolta, a meno che non ti chieda personalmente di intervenire”
Un sorriso divertito si apri sul volto della donna. “Ti sei insediato da poco e già parti all’attacco?”
“È evidente che da quando manco io vi siete lasciati un po’ andare. Tu per prima ti sei presa un po’ troppe libertà”
La donna espirò piano il fumo della sigaretta appena accesa. Le labbra dipinte di rosso che risaltavano alla fioca luce della luna ripresero la solita espressione maliziosa “Sai benissimo quanto amo giocare, una volta mi apprezzavi per questo”.
L’uomo iniziò a ridere di gusto. “È vero, ora però è il momento di fare sul serio. I rami secchi vanno tagliati o faranno marcire l’intero albero, lo sai”
La donna, come era venuta, si confuse di nuovo fra le ombre, anche se le sue parole risuonarono chiare “Immagino che agirai come al solito nel retroscena, senza sporcarti direttamente le mani, mio caro Rum.”
L’uomo ancora intento a fissare la città si voltò per la prima volta verso quella che ormai era solo una voce dispersa nella notte “Sai bene che non mi scomodo in prima persona per così poco. Solo i più fortunati possono vedere il buio calare su di loro per mezzo delle mie stesse mani. Ma tranquilla avrai presto notizie di me Vermouth.”

 

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Capitolo 2
*** Omicidio inaspettato ***


Omicidio inaspettato

 Due profondi occhi blu si aprirono sul mondo. Un’altra lunga giornata era appena iniziata, un altro giorno in cui si sarebbe dovuto fingere Conan, e non avrebbe potuto essere un liceale 17enne come realmente era.
Il ragazzino si alzò di malavoglia e andò a fare colazione. Ancora mezzo addormentato prese una fetta di pane iniziando a sbocconcellarla mentre in sottofondo la televisione dava le notizie recenti.
<<…un’altra grande perdita per la comunità scientifica. Rokuro Takuya è stato ritrovato morto stamattina nel suo appartamento freddato da un colpo di pistola. Gli inquirenti…>>
Goro intento a leggere il giornale sbuffò sonoramente catturando l’attenzione di Conan “è successo qualcosa zietto?”
“Si una vera tragedia” rispose serio lui “hanno cambiato l’orario dello special di Yoko e ora non potrò più vederlo! Avevo anticipato apposta l’incontro con il cliente” urlò fra lacrime di disperazione.
Conan, che era quasi caduto dalla sedia per lo spavento, rise sommessamente guadagnandosi un’occhiataccia. Quella scenetta fu fortunatamente interrotta da Ran che entrando come un tornado esclamò “Conan è tardissimo se non ti dai una mossa arriveremo tardi a scuola!”
“Arrivo subito Ran-neechan!” disse correndo via a prendere la cartella, sfuggendo alle grinfie dello zietto.
 
I due si avviarono insieme, lei con entrambe le mani sulla cartella tenuta davanti, lui con le mani in tasca perso nei propri pensieri. “Quasi come una volta” si disse lui, già quasi perché lui ora era solo un bambino.
La voce solare di Ran lo riscosse “Ah Conan ieri mi sono dimenticata di chiederti se oggi, dopo la scuola, vuoi venire con me e Sera-chan a trovare un giornalista, mi pare si chiami Tezuya Nabuyama.”
Il bambino la guardò perplesso “Come mai?”
“Sera mi ha detto che è un amico di suo fratello e che ci teneva a incontrarlo perché era da un po’ che non si vedevano, ma non voleva andare sola visto che abita dall’altra parte della città.” Si portò un dito alle labbra pensierosa continuando “Mi ha chiesto di portarti con noi perché voleva chiederti una cosa, ma non ho idea di che cosa si tratti”
“Ah davvero? Si certo che vengo! tanto non ho niente da fare” rispose lui con un grande sorriso alzando le braccia al cielo cercando di fingersi entusiasta. Mentalmente intanto aveva già iniziato a chiedersi quali fossero le reali intenzioni della ragazza. Era da un po’ che aveva il sospetto che lei sapesse la sua vera identità. Tra l’altro, proprio quella mattina, aveva ritrovato fra le sue cose lo strano fazzoletto con ricamato in un angolo il nome ‘Mary’ che aveva preso qualche tempo prima in quel ristorante di Ramen. Voleva assolutamente delle delucidazioni in proposito: quel nome non gli era nuovo e poi la ragazzina che Sera nascondeva nella sua camera, quella che lui sospettava essere questa misteriosa Mary, somigliava così tanto ad Ai. Che ci fosse un legame di parentela fra loro? Era da un po’ che cercava di trovare un modo per estorcerle delle informazioni e chiarire quindi i suoi dubbi. Forse quella era la volta buona per capirci qualcosa.
 
Il pomeriggio arrivò e con lui il caldo che sembrava voler tormentare i ragazzi che si aggiravano fra le strade di Tokio alla ricerca dell’appartamento del giornalista.
“Manca molto?” domandò Conan annoiato
“No dovremmo essere arrivati, eccolo è quello lì” disse Sera indicando un palazzo di fronte a loro.
Quando prima si erano incontrati Conan aveva provato a chiedere subito a Masumi cosa volesse sapere da lui, ma lei con un sorriso noncurante gli aveva risposto che ne avrebbero eventualmente parlato più tardi e che tanto non era importante. Aveva cominciato a parlare con Ran delle lezioni e lui spazientito si era avviato dietro di loro.
Salirono le scale esterne e suonarono il campanello più volte. Nessuno rispose “Che strano, mi aveva assicurato che mi avrebbe aspettata a casa”
“Guarda Sera-neechan la porta non è chiusa a chiave” si intromise il bambino girando la maniglia. Un brutto presentimento lo colse. Spalancò la porta e togliendosi di fretta le scarpe si precipitò in quella casa a lui sconosciuta. Le imposte delle finestre erano aperte e il sole prorompente invadeva quello spazio ordinato in modo quasi maniacale. I rumori del traffico giungevano ovattati alle orecchie dei giovani ma per il resto c’era silenzio, troppo silenzio.
“Conan ma dove stai andando?” Ran lo rincorse preoccupata, seguita da Sera, bloccandosi all’improvviso quando una scena terribile si mostrò davanti ai loro occhi all’ingresso dello studio. Il signor Nabuyama era seduto in modo scomposto sulla sedia vicino alla scrivania con un taglia carte che gli spuntava di poco dal petto. Una mano stringeva ancora l’impugnatura in modo febbrile come se l’uomo avesse fatto un inutile tentativo di estrarla dal proprio corpo prima che fosse troppo tardi. Il sangue che imbrattava la camicia chiara e parte dei pantaloni, era colato sulla sedia e in parte anche sul pavimento. Alcuni schizzi avevano raggiunto il piano della scrivania e le carte ancora aperte su di essa.
Ran lanciò un grido mentre gli altri due accorsero ad esaminare il corpo. Il sangue era secco, la mascella era rigida e cosi le mani. Era morto almeno sei ore prima.
“Sarà meglio chiamare la polizia, tanto per lui non possiamo fare più niente” sospirò Sera sommessamente.
 
Nell’attesa Conan e Sera diedero una rapida occhiata alla scena del crimine alla ricerca di qualche indizio, aggirandosi per la stanza facendo attenzione a non toccare nulla.
Era chiaro che Tezuya era stato colpito alla sprovvista, aveva ancora un’espressione sorpresa sul volto. L’assassino doveva aver agito senza premeditazione altrimenti non avrebbe usato il taglia carte che era stato chiaramente preso dalla scrivania. Inoltre quella camera, nonostante qualcuno avesse provato a mascherarlo era stata velocemente setacciata da cima a fondo. I fogli sulla scrivania erano stati spostati dalla posizione originale, lo si poteva intuire chiaramente dal fatto che gli schizzi di sangue si trovavano in una posizione strana che non potevano essere conseguenza della pugnalata. L’assassino aveva cercato informazioni anche nel computer, la tastiera infatti mostrava tracce sbiadite di sangue.
Perfino nella libreria qualcuno aveva dato rapidamente un’occhiata: i volumi erano stati spostati.
 
“Ehi guarda, ho trovato qualcosa” disse raggiante Sera mostrando a Conan una pietruzza colorata.
“È un brillantino, deve averlo perso l’assassino quando ha pugnalato Nabuyama, era ai piedi della scrivania” lo ripose in tasca con cura per mostrarlo poi alla scientifica.
“Sera-neechan intanto che aspettiamo la polizia, mi sai dire qualcosa di più sul signor Nabuyama? Di che tipo di articoli si occupava per esempio. Vedo molte riviste e libri riguardanti le cose più diverse.” disse il bambino con fare pensieroso avviandosi insieme alla ragazza verso la porta d’ingresso, dove li aspettava Ran.
“Tezuya scriveva per una rivista scientifica, si occupava principalmente di ricerche e lavori nel campo delle nuove tecnologie e nuove scoperte. Era un tipo molto colto è per questo che puoi però trovare libri di ogni genere. Era una brava persona, il suo più grande difetto era la sua mania per l’ordine. Si arrabbiava sempre tantissimo se qualcuno metteva qualcosa fuori posto”.
“Sai su che cosa stesse lavorando ultimamente?”
“Non saprei mi spiace, non lo conoscevo così bene”
I due vennero interrotti dal sopraggiungere dell’ispettore Megure “E voi tre cosa ci fate qui? Non ditemi che siete stati voi a ritrovare il corpo”.
“Proprio così” replicò prontamente Sera “La vittima, il signor Tezuya, era un vecchio amico di mio fratello e mi aveva chiesto di andarlo a trovare”
“Capisco, ditemi per caso con voi c’è anche Goro?” chiese Megure con tono sconsolato
“No signore siamo da soli” disse innocentemente il bambino, alche l’ispettore si assicurò che non avessero toccato nulla e chiese loro di attendere fuori intanto che controllava la scena del crimine insieme agli uomini della scientifica.
 
Tornato dai tre giovani scopritori iniziò a porgere le domande del caso “Ho bisogno delle vostre deposizioni ora, per quale motivo vi trovavate qui?”
“Come le ho già detto ispettore eravamo venuti a fare visita al signore che era un mio conoscente. Quando siamo arrivati abbiamo suonato il campanello ma non rispondeva nessuno così dato che la porta non era chiusa a chiave siamo andati a vedere se fosse successo qualcosa.”
“mm bene, avevate un appuntamento?”
“Si ci eravamo sentiti per telefono questa mattina presto per fissare l’orario, dovevano essere circa le 7 e mezza”
L’ispettore armato di guanti controllò ciò che si era appuntato sul taccuino. “Sul cellulare che abbiamo ritrovato nelle tasche dei pantaloni della vittima, ci sono tre chiamate risalenti a stamattina e un messaggio. La prima risulta essere la tua alle 7.27 e poi le due successive, una alle 7.48 da parte di un certo Rokudo Masaashi e un’altra alle 8.15 della signorina Reika Yotsui. Li conoscete per caso?
I ragazzi negarono in silenzio “Beh poco male, abbiamo già contattato i due per vedere se hanno maggiori informazioni da darci”.
 
Dopo poco sopraggiunsero sulla scena un uomo di mezza età con dei folti baffetti neri, vestito con un elegante completo da lavoro con tanto di giacca verde oliva nonostante il caldo, e una giovane in tayer con le maniche della camicetta arrotolate fino ai gomiti e un brillante cerchietto che tratteneva i capelli castani.
“Voi siete il signor Masaashi e la signorina Yotsui? Mi spiace dovervi comunicare la notizia che il signor Nabuyama è stato ucciso. Siete stati contattati immediatamente perché le vostre sono le ultime telefonate trovate nel cellulare della vittima. L’ora stimata del delitto è da collocarsi fra le 8 e le 10 di questa mattina”
Il signor Masaashi che sconvolto dalla notizia si era appoggiato alla porta prendendosi il viso fra le mani intervenne per primo “avevo telefonato al signor Nabuyama per accordarci sulla consegna del suo nuovo articolo. In teoria sarebbe dovuto venire alla sede della mia rivista poco prima di pranzo. Anche se non si è presentato non mi ero particolarmente preoccupato perché era in anticipo sui tempi previsti e ho pensato che come suo solito si fosse fissato sui particolari. Sapete era un uomo molto preciso. Avevo deciso di passare da lui stasera prima di tornare a casa se non avessi avuto altre notizie nel pomeriggio.”
La donna che era scoppiata in lacrime e si era accasciata sul pavimento, smise di singhiozzare e cercando di ritrovare un po’ di contegno balbettò “Io lo avevo contattato questa mattina per discutere di lavoro. Avrei dovuto intervistare una sua conoscenza e volevo qualche indicazione. Dovevamo incontrarci in teoria prima delle 9 ma ho avuto un contrattempo per cui ho provato a richiamarlo per spostare l’incontro nel pomeriggio, altrimenti sarei arrivata tardi al lavoro. Quando l’ho chiamato poco prima delle 9 non ha risposto quindi gli ho lasciato un messaggio in segreteria.”
“Si, lo ha lasciato alle 8.52”
Sera con un sorriso malizioso interruppe l’ispettore “Beh direi che l’arco di tempo può essere ristretto fra le 8.15 e le 8.52 quando è stato lasciato il messaggio nella segreteria. Il telefono si trovava nella tasca della vittima quindi se non ha risposto è perché probabilmente era già morto non crede?”
“Si certo hai ragione.”
“Allora perché non chiede a questi due signori dove si trovavano a quell’ora?” chiese Conan con fare innocente, guadagnandosi però un’occhiata di rimprovero sia da Ran che dall’ispettore.
“Ragazzini non siete ancora un po’ troppo giovani per intromettervi nelle indagini della polizia? Soprattutto tu piccolo?” si intromise la donna abbassandosi all’altezza di Conan e accarezzandogli la testa.
“La signorina ha ragione” disse con tono burbero l’ispettore “per una volta lasciate fare alla polizia”.
Ma la mente di Conan lavorava già a pieno ritmo e nonostante mancassero ancora dei tasselli si era già fatto un’idea su come si potevano essere svolti i fatti.

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Capitolo 3
*** Un indizio sconvolgente ***


Un indizio sconvolgente
 
Mentre le indagini proseguivano, il sole era calato lasciando la città immersa in un meraviglioso crepuscolo. Una brezza leggera si diffondeva nella stanza dalle finestre ancora aperte.
Nelle tre ore successive al ritrovamento del corpo, la polizia aveva raccolto soltanto poche informazioni riguardanti la vita personale della vittima e per di più nessuno sembrava sapere di che cosa avrebbe dovuto trattare l’articolo del signor Nabuyama. Era nata una piccola speranza quando si era scoperto che, in origine, avrebbe dovuto essere un articolo a quattro mani in collaborazione con la signorina Yotsui che però aveva rivelato di aver lasciato l’incarico al collega più esperto per occuparsi di un’intervista.
“Allora ricapitoliamo” disse l’ispettore Megure un po’ sconsolato dalla mancanza di progressi “per come è stato ritrovato il corpo è probabile che sia stato il signor Nabuyama stesso a far entrare l’assassino e che abbia avuto con lui una discussione di qualche tipo. L’arma del delitto è infatti un tagliacarte che apparteneva alla vittima e su cui sono state ritrovate solo le sue impronte. Abbiamo controllato il computer sulla scrivania e abbiamo constatato che l’intero hard-disk è stato cancellato. Questo ci fa pensare che il movente dell’assassinio sia legato all’articolo che il signor Nabuyama stava scrivendo. Né il signor Masaashi, né la signorina Yotsui qui presenti hanno un alibi valido per l’ora del delitto, però è anche vero che dall’interrogatorio, non è stato riscontrato nessun movente valido. Dovremo quindi allargare la lista dei sospetti a tutti i contatti di lavoro della vittima per avere maggiori informazioni, dato che qui nessuno sembra sapere a che cosa stesse lavorando”
“Mi dispiace ispettore ma, come le ho già detto, il signor Nabuyama godeva di una certa libertà nella scelta delle tematiche da trattare, avrei scoperto anche io tutto al momento della presentazione dell’articolo” disse spazientito il signor Masaashi sentendosi chiamare in causa.
“Quindi adesso noi possiamo andare?” chiese invece la donna stringendosi le spalle “inizia a fare freddo e poi avrei delle cose da sistemare.”
“Dovete attendere ancora qualche minuto per gli ultimi accertamenti” replicò l’ispettore.
 
Conan che aveva prestato attenzione alla conversazione si avvicinò alla signorina Yotsui e le rivolse con tono innocente una domanda che lo assillava da un po’ di tempo “Mi scusi, lei per caso abita vicino all’ufficio?”
La donna guardò il piccolo perplessa da quello strano cambio di argomento “No, devo farmi circa mezz’ora di metropolitana tutti i giorni, perché mi fai questa domanda?”
“In questo periodo le temperature cambiano in fretta quando cala il sole, quindi pensavo che oggi non si fosse portata la giacca perché tanto aveva poco strada da fare”
La donna, colta in fallo, si bloccò un attimo prima di rispondere fingendosi non curante “Non ci ho proprio pensato, stamattina ero un po’ di fretta”
“Se ha freddo perché allora, intanto che aspetta, non srotola almeno le maniche? Avrà un po’ più caldo così” disse Conan sorridente indicando la camicetta leggera della sua interlocutrice.
“Conan-kun lascia stare la signorina!” disse Ran con tono di rimprovero tirandolo indietro per il colletto. Si rivolse poi all’altra chinando il capo “Lo scusi è un bambino molto curioso non ci faccia caso”
Ancora una volta era stato interrotto da Ran, ma non aveva importanza. Aveva già ottenuto le informazioni che lo interessavano: il lampo di paura negli occhi della donna aveva confermato i suoi sospetti ed ora era sicuro di avere anche le prove. Avrebbe risolto il caso e poi con un po’ di fortuna, forse avrebbe scoperto cosa doveva chiedergli Sera.
Ma il sopraggiungere di un uomo della scientifica, che si era avvicinato di corsa all’ispettore Megure, spense sul nascere il suo sorriso malizioso che segnava la risoluzione del caso.
“Ispettore è stato ritrovato un microfono nascosto all’interno del computer”
“Qualcuno stava spiando la vittima?” Esclamò sorpreso Megure dall’improvvisa quanto insolita novità
“Si, controllando gli altri apparecchi all’interno della casa, abbiamo trovato anche un intercettatore di chiamate all’interno del telefono fisso. Entrambe le microspie non hanno i numeri di serie perciò è impossibile risalire alla loro provenienza.”
Conan si bloccò a quelle parole come se del ghiaccio si fosse impossessato dei suoi muscoli, con un brutto presentimento che risaliva per la spina dorsale.
Se i fatti erano andati davvero come pensava allora cosa ci facevano lì delle microspie? Se il colpevole aveva avuto il tempo per cancellare i dati dal pc e controllare la stanza allora per quale motivo non aveva tolto anche i microfoni? Significava che qualcun altro stava spiando la vittima. Entrambe le cose dovevano, però, essere legate a ciò che stava facendo in quei giorni. Doveva cercare di dare un’occhiata agli appunti cartacei della vittima per capirne di più e non trarre conclusioni affrettate.
 
Sera osservava con attenzione l’arguto ragazzino che, alla luce delle nuove informazioni, si era fatto tutto d’un tratto di nuovo pensieroso. Si era afferrato il mento con la mano, prendendo la classica posizione di quando stava riflettendo intensamente. Lei si era fatta un’idea su quello che poteva essere successo ed ora aveva anche le prove. Era certa che quella persona si fosse tradita con le sue stesse parole grazie all’intervento di Conan. Anche lui sapeva, lo aveva capito quando aveva posto quelle domande, ma allora perché aveva quell’espressione? Che fosse per la storia dei microfoni? Era probabile che fossero opera dell’assassino, oppure no? Che a lei fosse sfuggito qualcosa?
 
Conan corse nello studio cercando di non dare nell’occhio. Ora che la scientifica aveva finito avrebbe potuto dare un’occhiata approfondita senza destare sospetti. Lanciò uno sguardo sulla scrivania: ovviamente le carte sporche di sangue erano state portate via come prove, era rimasto solo il blocchetto per gli appunti. C’erano dei segni visibili in contro luce. Con un lieve sorriso, ricorse così al vecchio trucco della matita, sempre cosi utile, e passò la punta di grafite sul foglio senza fare troppa pressione: erano appuntati alcuni nomi abbreviati Y. Ookida, R.Takuya, M. Nishimoto, N. Asai, e poi una sigla SA n°245. Strappò il foglietto e rivolse lo sguardo pensieroso alla libreria. Era probabile che quello fosse un riferimento a una delle tante riviste. Scorse rapidamente con lo sguardo gli scaffali quando finalmente trovò ciò che cercava. Avvicinò la sedia per arrivare al ripiano più alto e prendere il numero 245 dello Scientific American. C’era un piccolo segno in un angolo delle pagine. Aprì la rivista e lesse velocemente l’articolo, con l’ansia che aumentava ad ogni parola.
Trattava di una ricerca sul processo di apoptosi delle cellule, di come questo potesse essere controllato e inibito attraverso certe proteine e di come potesse essere sfruttato in campo medico. Gli tornò in mente come un flash una frase detta dalla piccola Ai molto tempo prima
“Per mezzo degli effetti autodistruttivi sulle cellule tutto il corpo sia la struttura ossea che i muscoli, che gli organi interni e i capelli, tutto, tranne il sistema nervoso regredisce fino allo stato infantile.”
Il processo di apoptosi era alla base della creazione della APTX4869, il veleno che aveva permesso a lui, Shinichi Kudo, e a lei, Shiho Myano, di tornare bambini e vestire rispettivamente i panni di Conan Edogawa e Ai Haibara.
“Non è possibile, non dirmi che…” Conan non sapeva più che pensare, eppure i nomi riportati sul foglietto si trovavano citati anche lì in quelle pagine e fra l’altro il secondo era proprio quello dello scienziato passato al notiziario quella mattina, l’uomo che era stato trovato morto per un colpo di pistola.
“Accidenti!” esclamò fra i denti rimettendo a posto la rivista, dopo aver fotografato ciò che gli interessava e essere sceso velocemente dalla sedia. I suoi neuroni sottopressione stavano lavorando ad un ritmo forsennato cercando di incastrare tutti i pezzi. L’argomento dell’articolo, le microspie, lo inducevano a pensare a una sola cosa: l’Organizzazione degli Uomini in nero. Se davvero quel giornalista, raccogliendo varie informazioni, si stava avvicinando a verità pericolose era logico supporre che avessero deciso di metterlo sotto controllo, ma ancora non capiva cosa centrassero i quattro nomi sul foglietto. Doveva esserci un collegamento, ma se lui rimaneva lì ancora a lungo non avrebbe potuto raccogliere altre informazioni.
Stava per chiamare il dottor Agasa quando si bloccò di nuovo in mezzo alla stanza, dandosi dello stupido e fissando il foglietto con uno sguardo intenso “Le microspie sono loro”. Ciò significava che probabilmente ce ne erano delle altre che non erano ancora state trovate e che ora stavano ascoltando tutto ciò che accadeva in quella casa. Non poteva telefonare e per di più doveva trovare una spiegazione plausibile da rifilare alla polizia per evitare che le indagini si protraessero troppo a lungo. Quegli uomini avrebbero fatto fuori tutti i presenti piuttosto che permettere a qualcuno di venire a sapere della loro esistenza. La sua mente corse subito a Ran e per un attimo la paura si impossessò di lui. Doveva ritrovare il sangue freddo e pensare a una soluzione.
Si impose la calma con un respiro profondo e con il foglietto stretto in tasca ritornò dagli altri dove una Ran preoccupata lo stava aspettando
“Ma dove eri finito? Non puoi andartene in giro da solo sulla scena di un crimine!”
“Scusami Ran-neechan, ero andato un attimo in bagno” rispose lui cercando di dare alla sua voce il solito tono ingenuo e tranquillo. Attirando poi l’attenzione degli altri, che intanto stavano ancora discutendo della presenza delle microspie, ipotizzando le cose più diverse, le si rivolse di nuovo con tono noncurante “Ran-neechan secondo te il signor Nabuyama era una persona importante?”
La ragazza che era ormai abituata alle sue strane domande rispose senza farci troppo caso “da quello che si sa era un giornalista abbastanza conosciuto”
“Doveva avere molti rivali allora nel suo lavoro, persone che avrebbero fatto di tutto pur di sapere cosa stava scrivendo”
Sera colse al volo l’implicito suggerimento del giovane detective “Ispettore secondo me gli apparecchi per l’intercettazione non centrano con l’omicidio”
“Perché dici questo?”
“Se li avesse piazzati il nostro assassino, quando ha perquisito la stanza dopo il delitto si sarebbe preoccupato anche di toglierli, è più probabile che qualche rivista concorrente fosse interessata al lavoro del signor Nabuyama e che quindi avesse iniziato a spiarlo” concluse con un sorriso.
“Si è probabile, rimane però ancora l’incognita di chi ha compiuto il delitto. Sarà meglio andarsene e parlarne con calma domattina” sospirò l’ispettore sistemandosi meglio il cappello sulla testa e facendo per avviarsi.
Conan non poteva permetterlo, quindi manipolò nuovamente la conversazione e fissò Sera con sguardo sicuro “Sera-neechan, prima non hai detto che avevi trovato un brillantino? Lo hai mostrato all’ispettore?
Masumi sorrise, aveva capito che qualsiasi altra cosa avrebbe dovuto aspettare, prima era necessario dare la soluzione a quel semplice caso, occasione che gli veniva offerta su un piatto d’argento “Si ispettore è vero, l’assassino ha lasciato una prova che lo incastra senza dubbio”
“Eh? Ragazzina hai già risolto il caso? Ma se da quando siamo qui non abbiamo avuto che solo poche informazioni” la guardò incredulo Megure.
“Beh non è stato difficile. Tezuya stava ultimando il suo articolo e sono certa che non avesse ulteriori rifiniture da fare e che sarebbe arrivato puntuale all’appuntamento con il signor Masaashi. Io gli avevo telefonato poco prima che si accordasse con il capo: avendomi lui assicurato che sarebbe stato a casa per le 14.30 era ovvio che aveva calcolato il tempo necessario per recarsi in ufficio e poi tornare a casa senza doverci fare aspettare. Prima di consegnare il pezzo aveva, però, probabilmente deciso di farlo leggere alla sua collaboratrice, la signorina Yotsui, che infatti si sarebbe dovuta recare da lui stamani. E vi siete incontrati non è vero? Il suo messaggio in segreteria non è stato altro che una finta per cercare di coprire ciò che aveva fatto con uno scatto di rabbia.”
La signorina colta alla sprovvista urlò di rimando “Ma come puoi dire una cosa del genere! Su quali prove si basano le tue accuse infondate?”
“La prova che lei è stata qui ed ha aggredito la vittima è proprio questo brillantino che manca anche dal suo cerchietto, deve essersi staccato quando ha pugnalato la vittima.”
“Quel brillantino non prova niente, è da molto tempo che ho questo cerchietto e anche se fosse mio potrebbe essersi staccato una delle altre volte che sono venuta qui.” Sorrise malignamente di rimando
“La signorina Yotsui ha ragione non puoi accusarla sulla base di un indizio così circostanziale” asserì l’ispettore.
Sera non si fece intimorire e continuò “Vorrei farvi notare che il signor Nabuyama era un maniaco dell’ordine e che durante le pulizie non avesse notato una cosa così è più che improbabile. Comunque c’è un'altra prova a suo carico di cui non si è potuta liberare. Nella sua deposizione ha affermato che è arrivata in ufficio poco dopo le nove non è così?”
“Sì lo confermo, ma questo cosa centra?”
“Da qui, come da casa sua, ci vuole circa mezz’ora per arrivare in ufficio. Ciò significa che dopo essere stata qui oggi, aver frugato velocemente lo studio e cancellato l’hard disk del computer, per assicurarsi che non ci fossero prove che potessero ricondurre a lei, si è recata direttamente in ufficio per non destare sospetti. Non essendo un delitto premeditato non aveva un cambio d’abiti con sé e non ha nemmeno avuto il tempo per passare da casa. Quando ha pugnalato la vittima alcuni schizzi di sangue devono aver raggiunto il suo braccio, dato che alcuni erano anche sulla scrivania. Lei se ne è accorta e quindi, uscita di qui, si è liberata della giacca e dei guanti che aveva usato. Non ha potuto fare niente per il polsino della camicia quindi ha arrotolato le maniche per non far scorgere le macchie. Tuttora le porta entrambe così, nonostante il sole sia calato e non faccia più così caldo”.
L’ispettore a quelle parole si avvicinò alla donna e le si rivolse con tono professionale “Signorina dovrebbe permetterci di controllare. Non avrà nulla da temere se le accuse dovessero rivelarsi infondate”
Ma la donna spiazzata da quella ricostruzione tanto accurata sorrise amaramente “Non ce ne sarà bisogno, ecco le macchie,” disse srotolandosi la manica destra “è andata proprio come ha detto questa ragazza. Ho gettato i guanti e la giacca nel bidone dei rifiuti poco lontano da qui ma mi sono accorta che si era sporcata un poco anche la camicia solo quando, giunta sotto l’ufficio, ho preso in mano il telefono per fare la chiamata. Non avevo più tempo per tornare a casa, anche perché uno dei dipendenti mi aveva visto, sono quindi salita con lui arrotolando le maniche con la scusa del caldo, cercando di fare come se niente fosse. Ho ucciso quel bastardo perché mi aveva soffiato un articolo che avrebbe potuto far fare alla mia carriera un enorme balzo in avanti. Mi aveva esclusa di proposito dicendomi che non ero ancora abbastanza qualificata, voleva prendersi il merito tutto per sé. Ora nessuno lo potrà più scrivere.” Confessò infine scoppiando in una triste risata.
L’ispettore le pose le manette ai polsi “Ora andiamo, ulteriori spiegazioni le fornirà al comando”.
Il caso era stato chiuso e i giovani erano liberi di andare. Sera fissava pensierosa il ragazzino che si era incamminato davanti a lei. Più ci pensava e più credeva che ci fossero delle imperfezioni nella sua ricostruzione, non tanto per quanto riguardava il delitto, quanto più per la storia delle microspie. Lo aveva visto tirare un sospiro di sollievo quando gli inquirenti avevano accettato quella spiegazione sommaria senza ulteriori domande, quella che lei aveva prontamente sostenuto sull’onda di un suggerimento dato proprio da Conan. Qualcosa le faceva credere che non si fosse trattato della verità, però che lui avesse inventato una bugia, così su due piedi, era strano, non era solito comportarsi così. Voleva saperne di più ma non ne ebbe il tempo perché una vocetta leggera la precedette “Ran-neechan mi sono appena ricordato che il dottor Agasa mi aveva chiesto di passare un attimo da lui oggi perché voleva farmi vedere una nuova invenzione” disse il ragazzino iniziando ad allontanarsi.
“Ma Conan-kun sta già iniziando a fare buio non puoi andare domani?”
“Ci metto poco, torno a casa per cena. Ciao ci vediamo dopo” e corse via.
“Conan-kun io aveva una cosa da chiederti!” gli urlò Sera anche se lui era ormai troppo distante per sentirla. Ma che diavolo gli era preso? Aveva ragione a sospettare che lui avesse scoperto qualcosa che aveva accuratamente cercato di nascondere a tutti. Ma di cosa si poteva trattare per far sì che un ragazzo sempre in cerca della verità dicesse una bugia perfino alla polizia?
 
Intanto una porche nera sfrecciava poco lontano sull’interstatale, disperdendosi nel traffico.
L’uomo biondo alla guida emise un lungo sbuffo di fumo e si tolse un auricolare “Quella donna ci ha fatto un favore a togliere di mezzo quel tizio”
“Già non abbiamo nemmeno avuto bisogno di intervenire” ribadì di rimando un uomo tarchiato con due spessi occhiali da sole.
“La polizia si è già occupata del caso e sembra che una giovane detective li abbia aiutati nella soluzione”
“Hanno trovato le microspie?”  
“Solo due, ma le hanno attribuite ad una rivista concorrente e non hanno intenzione di indagare più a fondo, non c’è nulla che possa ricondurre a noi”
Dopo qualche istante di silenzio, in cui si avvertiva solo il rombare del motore, il secondo uomo domandò “Credi che quella detective ci possa creare dei problemi capo?”
“No, era piuttosto sicura della sua versione dei fatti e non ha fatto altre domande” disse il primo con ghigno malvagio che gli compariva sul volto “Comunque se dovesse intralciare i nostri piani si ritroverà con una pallottola in fronte prima ancora di dire una sola parola”
 
 
 
Angolo Autrice
Ringrazio tutti i lettori e mi scuso in anticipo se il prossimo capitolo verrà postato fra un po’ di tempo: vado una settimana in montagna e non ho connessione lì!
Chiedo venia anche per il caso di omicidio, che è di certo banale, ma mi serviva più che altro per inserire un indizio che riportasse il nostro protagonista indiscusso sulle tracce degli Uomini in Nero
p.s. Non mi sono dimenticata di Ran che sembra eclissarsi completamente in questi due capitoli: avrà più di un momento tutto suo nel prossimo aggiornamento  ;)

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Capitolo 4
*** Primi Passi ***


Primi Passi

E anche il caso di oggi era stato risolto. Era incredibile come si ritrovasse sempre in mezzo a queste situazioni. Indipendentemente da con chi stava, riusciva a rimanere coinvolta nelle indagini più disparate. Conosceva troppi detective. Uno in particolare, che le stava molto a cuore, non si era più fatto sentire. Era lontano da molto tempo ormai, mesi e mesi in cui aveva ricevuto solo qualche sporadica visita e telefonata.
Ran osservò assorta Sera e Conan che stavano parlando con la polizia per gli ultimi particolari sul caso appena chiuso. Era incredibile quanto quel bambino le ricordasse lui: sempre così curioso e attento, era a conoscenza delle cose più strane ma soprattutto, la cosa che più i due avevano in comune erano gli occhi. Quegli occhi di un blu profondo che, le poche volte che le capitava di vedere non nascosti dietro lenti, la riportavano indietro nel tempo: si perdeva nella loro profondità e si sentiva osservata da Shinichi, come se fosse lui il suo interlocutore e non Conan.
Sorrise di se stessa avviandosi con gli altri. Sapeva benissimo che Conan e Shinichi non erano la stessa persona, non potevano esserlo. Aveva avuto più volte la dimostrazione che questa sua teoria era assurda e la più eclatante era stata quella della recita scolastica, dove li aveva visti entrambi vicini.
La voce di Conan la scosse dai suoi pensieri “Ran-neechan mi sono appena ricordato che il dottor Agasa mi aveva chiesto di passare un attimo da lui oggi perché voleva farmi vedere una nuova invenzione”
“Ma Conan-kun sta già iniziando a fare buio non puoi andare domani?” chiese lei interdetta
“Ci metto poco, torno a casa per cena. Ciao ci vediamo dopo”
Guardò il bambino correre via e le scappò un sorriso sentendo Sera che cercava di chiamarlo inutilmente, per poi sbuffare al suo fianco “Non prendertela Sera sai che Conan è un bambino molto curioso. Ho visto come ti osservava attento mentre spiegavi a tutti le tue deduzioni. Si è fatto prendere dal caso e si è dimenticato dell’altro impegno. È sempre così anche con mio padre”
“Sarà come dici tu” rispose lei calciando un invisibile sassolino e cominciando a camminare
“Comunque volevo farti i complimenti, sei stata bravissima anche oggi!”
“Grazie ma non è tutta opera mia” disse Sera guardandola di sottecchi “ho ricevuto qualche piccolo aiuto”
“Che intendi dire?” Ran era perplessa, non le sembrava che qualcuno le avesse dato dei suggerimenti. L’unico che aveva posto delle strane domande e aveva curiosato in giro era stato Conan, come sempre. Effettivamente ripensandoci, le sue domande, una volta risolto il caso, sembravano pertinenti. “Che sia possibile che lui abbia…”
Ma i dubbi della ragazza vennero fugati immediatamente, ancora prima che prendessero forma in un pensiero cosciente.
“Beh sì, la polizia ha fatto un ottimo lavoro. Anche se erano pochi, mi ha fornito indizi utili.”
Se Sera che era così brava non aveva notato nulla di strano allora doveva, per forza, essere solo la sua immaginazione. Doveva essere la sua mente che cercava disperatamente quel fanatico di gialli. Era lei che voleva sentirselo vicino ad ogni costo e non lontano chissà dove a risolvere chissà quale caso…
 
Conan che si era allontanato correndo dalle due ragazze per evitare di essere fermato, aveva ora ripreso a camminare normalmente, tenendo la testa bassa e cercando di rielaborare gli indizi ottenuti quel pomeriggio. Più ci pensava e più sentiva che qualcosa gli sfuggiva. Che cosa collegava fra di loro quei quattro nomi a parte l’articolo? Cosa mai poteva esserci dietro?
Stava ancora riflettendo quando giunse davanti alla casa del professore. Suonò il campanello e aspettò con pazienza che qualcuno aprisse.
Il dottor Agasa lo accolse, come al solito, con calore “Ciao Shinichi, che piacere vederti!”
“Come mai qui a quest’ora?” la domanda, posta con un tono indifferente, proveniva invece da una bambina ramata che sfogliava svogliatamente una rivista seduta sul divano.
“Haibara ho alcune domande da farti” disse lui con voce seria fermandosi in piedi di fronte a lei.
“Dimmi pure”
“Ho bisogno di sapere se uno di questi nomi ti dice qualcosa” disse passandole il foglietto.
“Yoriyuki Ookida, Rokuro Takuya, Mieko Nishimoto, Nobuyoki Asai, sono nomi di scienziati e medici importanti credo, perché?” replicò l’altra dopo averci pensato un attimo, il tutto senza alzare mai lo sguardo.
Conan continuava a scrutarla, pronto a cogliere la minima reazione, e con attenzione pose la domanda successiva “Quando eri nell’organizzazione ti è mai capitato di sentirli?”
La ragazza, a quella frase, lo fissò e un lampo di paura le attraversò gli occhi color del ghiaccio “Dove hai trovato questi nomi?”
“Sono stato coinvolto in un indagine oggi...”
“Mi sembrava strano che tu potessi passare una giornata normale” lo interruppe lei fingendo sarcasmo
Conan le lanciò uno sguardo scocciato e continuò come se niente fosse “un giornalista importante è stato ucciso da una collega per colpa di una storia”
“E quindi? Mi pare che non centri nulla” lo interruppe di nuovo Ai, si vedeva però che stava iniziando ad agitarsi.
Lui sbuffò “Quel tizio, Tezuya Masuyama, era stato messo sotto controllo e penso sia opera dell'Organizzazione. La casa era piena di microspie e assomigliavano tanto a quelle che hai aiutato il professore a costruire”
La ragazzina ebbe un brivido e si portò le ginocchia al petto abbracciandole “Ti prego dimmi che non lo hai risolto tu il caso, dimmi che non ti sei esposto”
“Stai tranquilla Ai, se ne è occupata Sera e se anche qualcuno stava ascoltando, ho manipolato la conversazione facendo credere a tutti che le microspie fossero opera di una rivista concorrente. Pare che tutti ci abbiano creduto.” La ragazza sembrò tranquillizzarsi un poco a quelle parole e si risistemò composta sul divano. “Ho trovato un appunto in cui erano citati quei quattro nomi che rimandava ad un articolo sullo Scientist American, credo che sia collegato in qualche modo con il farmaco che ci ha trasformato in bambini. Ecco leggi” continuò lui e le passò il telefono per mostrarle la foto che aveva scattato prima.
La scienziata, ancora un po’ scossa, si concentrò sull’articolo per poi riportare la propria attenzione su Conan “Capisco cosa intendi, alcune di queste cose rimandano alla mia ricerca. Effettivamente, ora che ci penso, quando ho elaborato i primi passi sull’APTX4869 mi erano state fornite delle ricerche fatte da due di questi uomini. Per la precisione Takury e Nishimoto. Ma erano state sottratte senza destare sospetto alcuno. Che cosa ti porta a pensare che quei nomi possano essere una pista?”
“Beh è chiaro che il giornalista fosse stato messo sotto controllo perché stava indagando su qualcosa che li potesse interessare. Ho trovato quello strano appunto che rimandava all’articolo e poi, non so se hai sentito il notiziario ma, il secondo uomo è stato trovato morto stamattina. Ora, potrebbe essere tutto una coincidenza ma il mio istinto mi dice il contrario.”
“E quindi cosa vuoi fare? Buttarti nelel fauci del lupo senza sapere se morderà o meno?” disse lei ironica, dopo aver riacquistato la sua solita indifferenza, alzandosi dal divano e dirigendosi verso il laboratorio
Lui la guardò torvo “Non lo so ancora, per ora ho bisogno di più informazioni. Professore adesso io devo tornare a casa di Ran, potrebbe fare alcune ricerche per me? Non posso controllare io dall’agenzia”
“Certo Shinichi ti farò sapere domani al più presto” rispose allora il dottore sempre pronto a dare una mano. Quando Conan era già quasi fuori dalla porta e fuori portata dalle orecchie di Ai aggiunse “Se pensi che siano davvero loro credi sia stata una buona idea dirlo ad Ai? Lo sai che anche se non lo dà a vedere si preoccupa”
Il piccolo detective si rabbuiò un attimo “Lo so professore, nemmeno io ero entusiasta di parlargliene ma, avevo bisogno di sapere se lei aveva qualche informazione da darmi. Comunque non la coinvolgerò ulteriormente.”
“Shinichi ti prego sta attento, qualsiasi cosa scopri non cacciarti nei guai”
“Non si preoccupi, so prendermi cura di me” disse con uno smagliante sorriso, mostrando più sicurezza di quanto effettivamente avesse, come se non vedesse l’ora di buttarsi nella mischia.

E, mentre il ragazzino si allontanava dalla casa del professore, dalla finestra di villa Kudo l’inquilino provvisorio osservava la scena dalla finestra. “Per ora qui è tutto tranquillo, fatemi sapere se ci sono novità.” e chiuse la comunicazione.
 
Aveva girovagato a lungo prima di rientrare, si era fermata perfino fuori a mangiare. Aveva bisogno di pensare e le riusciva meglio facendo un po’ di attività.
“Non pensavo di trovarti ancora sveglia” disse sorpresa di trovarsi di fronte la sua improbabile compagna di stanza nonostante l’ora tarda.
“Ti stavo aspettando per vedere se avevi novità”
“È stato un buco nell’acqua” sospirò buttandosi sul letto “un caso di omicidio ha fatto volare via tutto il pomeriggio e, risolto questo, non ho avuto il tempo di parlargli”
La ragazzina bionda si avvicinò squadrando Sera attentamente “Se non riuscirai ad avvicinarlo da solo allora dovremo rivolgerci a qualcun altro”
“Non ti preoccupare, lui è la nostra pista migliore. Presto ci sarà un’altra occasione”.
 
La mattinata successiva trascorse tranquilla nella prima elementare della scuola Teitan, fra lezioni di matematica e poesia. I detective boys erano in subbuglio e non stavano più nella pelle all’idea che quel giorno avrebbero provato il nuovo gioco del dottor Agasa.
“Chissà di che cosa si tratta stavolta!” esclamò la dolce Ayumi trotterellando davanti al gruppo
“Magari è una nuova versione del videogioco sui misteri” ipotizzò Mitsuhiko
“No, secondo me stavolta centra la cucina: dovremo preparare dei meravigliosi piatti. Ho già fame solo a pensarci” disse invece quello più grosso massaggiandosi la pancia con l’acquolina in bocca
“Genta sei sempre il solito!” lo ripresero Ayumi e Mitsuhiko in coro.
Andarono avanti così sprizzando gioia da tutti i pori mentre Ai e Conan li seguivano appresso, calmi e composti rimuginando a bassa voce sulla discussione della sera precedente.
Arrivati a casa del professore i primi tre si fiondarono in salotto, troppo curiosi per aspettare ancora. La ragazza ramata li guardò divertita e, lanciando un’occhiata significativa di muto avvertimento al piccolo detective, seguì poi gli altri con passo composto e le mani giunte dietro la schiena.
Il ragazzino stava per dire qualcosa quando venne chiamato dal professore “Shinichi vieni qui un attimo”
“Mi dica dottore, ha trovato qualcosa di interessante?”
“Sono stato sveglio quasi tutta la notte e queste sono le sole informazioni che ho trovato” disse passandogli un plico di fogli
Conan le scorse velocemente e poi disse sconcertato “Ma su due di loro non c’è quasi nulla!”
“E c’è di più, non solo Takuya, ma anche il signor Ookida è stato ucciso. Entrambi per un colpo di pistola ed il tutto è accaduto nell’ultima settimana” precisò allora il dottore.
La faccenda si stava facendo interessante. Dai dati che aveva appena ricevuto sapeva che tutti erano stati scienziati importanti, impegnati nella ricerca, ma sembrava che non avessero molti punti in comune a parte la citazione in quel famoso articolo. Come al solito trovare informazioni quando c’era di mezzo l’Organizzazione era sempre difficile. Ma indagando a fondo sapeva che avrebbe presto trovato qualcosa. Il problema era che non poteva presentarsi davanti a Nishimoto e Asai e fare domande per due motivi: per prima cosa ora lui era solo un bambino e sarebbe sembrato assurdo che si interessasse, e per di più capisse qualcosa delle ricerche avanzate di biologia cellulare, e seconda cosa se fossero stati membri attivi dell’Organizzazione o anche solo sotto controllo, sarebbe stato assai pericoloso.
“Shinici cosa vuoi fare adesso? Avvertirai l’FBI?” chiese il dottore interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
“No non posso farlo, almeno per ora. Per spiegare come ho ricollegato questi scienziati all’Organizzazione dovrei mettere l'FBI al corrente dell’APTX4869 e l’identità mia e di Ai verrebbe svelata.” Non poteva ancora correre questo rischio. Le incognite erano troppe e più gente sapeva più era alta la probabilità che la notizia giungesse alle orecchie sbagliate. Comunque non poteva nemmeno stare lì con le mani in mano, date le scarse informazioni sarebbe dovuto andare alla fonte. Oltretutto non aveva nemmeno tempo da perdere: il dottor Nishimoto era in città per un convegno e sarebbe ripartito il giorno stesso per Osaka. Avrebbe sempre potuto chiedere a Heiji di intervenire e indagare per lui ma preferiva lasciarlo fuori dal confronto diretto, d'altronde questa era la sua battaglia e di nessun altro.
Aveva deciso: sarebbe andato allo Shiodome Center dove si teneva la conferenza da solo a sorvegliare la situazione, magari sarebbe riuscito a sentire qualche conversazione interessante o comunque in altro caso avrebbe sempre potuto piazzare un microfono. Doveva agire subito però, non gli restava molto tempo.
“Grazie di nuovo professore adesso devo andare. Le prometto di fare attenzione” aggiunse all’ultimo notando lo sguardo preoccupato del dottor Agasa. Si diresse poi a passi rapidi verso la porta.
“Conan ma dove vai?” lo fermò Mitsuhiko
“Ragazzi mi sono appena ricordato che dovevo fare una cosa a casa”
“Te ne vai senza nemmeno fare merenda?” intervenne Genta
“Non è che ci lasci qui da soli mentre tu vai ad indagare da qualche parte, vero Conan?” chiese Ayumi che aveva notato Conan e il dottore confabulare
Lui che sperava di uscire di casa indisturbato si volse di nuovo per rispondere e venne bloccato dallo sguardo di ghiaccio di Ai “Già non vuoi cacciarti nei guai da solo vero?”
“State tranquilli ragazzi non è nulla di importante, ci vediamo domani a scuola!” e scappò via fra le proteste dei ragazzini che non erano per nulla soddisfatti delle spiegazioni fornite dal loro amico. Solo la bambina ramata sembrava essersi rassegnata senza fare storie e sedendosi sul divano bisbigliò al vento “Buona fortuna Kudo-kun”
 
Con lo skateboard si diresse a tutta velocità verso lo Shiodome Center. Saettava fra la gente senza curarsi troppo dello scompiglio che provocava, concentrato solo sulla sua destinazione. I pedoni lo guardavano passare perplessi, scansandosi a volte all’ultimo secondo. Non potevano sapere che la sua era una vera e propria corsa contro il tempo. Nemmeno lui ne era a conoscenza.
Era a meno di mezzo isolato, vedeva già stagliarsi sulla sua destra il grattacielo. Alzò un attimo lo sguardo, ma questo errore gli costò caro: qualcosa colpì lo skateboard facendolo sbandare. Venne sbalzato via e rotolando per un paio di metri andò a scontrarsi con una donna facendola cadere.
“Piccolo tutto a posto?” gli chiese lei con una voce affettata
“Si signora, mi scusi per esserle venuta addosso” rispose lui. Fece per rialzarsi e correre via verso l’edificio ma lei lo fermò di nuovo
“Sicuro di non esserti fatto male? Hai preso una botta forte anche perché ti sono praticamente caduta sopra”
“No non si preoccupi, sto bene”
Ma la donna lo tratteneva ancora per un braccio e lo fissava con uno sguardo fra il preoccupato e il divertito “Dovresti fare più attenzione, non sempre andare di fretta può essere un bene”
"Cercherò di fare più attenzione"
Conan convinto che la conversazione fosse chiusa cercò di divincolarsi ma lei non lasciava andare.
Poi all’improvviso un forte boato scosse la strada ed un enorme nuvola di fumo si levo dal decimo piano dello Shiodome Center: la sala dei convegni era appena saltata in aria.



Angolo Autrice
Questo capitolo è fresco fresco, appena battuto.
Scusate per la mia settimana di assenza ma sono andata a schiarirmi le idee sulla neve. Spero che la sciata mi abbia fatto bene, sta voi giudicare comunque!
Continuate a leggere e recensire, è sempre un piacere sapere cosa ne pensate
A presto ^^

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Capitolo 5
*** Vecchi giocatori entrano in scena ***


Vecchi giocatori entrano in scena
 
Tutti i passanti si voltarono a guardare. Nuvole di fumo grigio si levavano dal decimo piano dello Shiodome Center. Ciò che restava della sala convegni non era nulla più di un cumulo di macerie e vetri infranti sparsi per la strada e il marciapiede.
Quando la gente nei dintorni comprese cosa fosse successo si allontanò di corsa per paura di altre esplosioni mentre Conan, finalmente libero dalla morsa della donna misteriosa, tentava di farsi largo fra la folla. Ancora incredulo per ciò che era appena accaduto, si avvicinò all’edificio e tentò di sgattaiolare dentro, sperando di non essere notato fra gli impiegati impazziti che cercavano di guadagnare l’uscita il più rapidamente possibile.
Venne, però, bloccato da una guardia che coordinava l’evacuazione “Piccolo dove stai andando? Devi uscire di qui in fretta!”
“Ma il mio papà era di sopra, dove c’è tutto quel fumo, devo andarlo a prendere.”
“Non ti preoccupare, la conferenza era finita e nella sala era rimasto solo l’oratore e un paio di tecnici. Vedrai che il tuo papà è già fuori che ti sta cercando. Ora vai.” E praticamente lo scaraventò fuori a forza.
Era arrivato tardi. Anche stavolta gli uomini in nero lo avevano preceduto e nonostante le sue ormai abili capacità di attore non poteva introdursi nell’edificio, essendo un bambino. Cercò di ricavare qualche informazione dall’esterno ma dal decimo piano non si vedeva uscire altro che fumo.
Ma perché compiere un atto così plateale? Il dottor Nishimoto era una figura di rilievo certo, ma non aveva al seguito una scorta armata, non c’era motivo per non optare per una soluzione meno invasiva come avevano già fatto in precedenza. Perché attirare così tanto l’attenzione?
L’unica spiegazione probabile era che volessero fare scomparire qualche cos’altro oltre allo scienziato, probabilmente informazioni che non sarebbero riusciti a recuperare in altro modo e che quindi andavano distrutte.
Qualcuno lo afferrò per una spalla facendolo voltare.
“Conan-kun che ci fai qui?” chiese Sera preoccupata fissandolo dritto negli occhi.
Conan non fece fatica a mostrare sorpresa per quell’incontro più che inaspettato. Non rispose immediatamente e ciò le diede l’opportunità di trascinarlo via dalla confusione alla ricerca di un angolino più appartato.
“Sera-neechan cosa ci fai tu qui?”
“La domanda te l’ho fatta prima io” replicò prontamente lei mostrando un sorriso sornione
“Io…Io stavo tornando a casa quando ho visto tutta questa confusione”
“Abiti un po’ lontano da qui, sei sicuro di non essere in giro a ficcare il naso?”
“No io ero in giro con lo skateboard quando…”
Un pensiero attraverso la mente del bambino come un fulmine “Lo skateboard!”
Assunse un’espressione assorta e concentrata, superò Sera e andò alla ricerca del suo mezzo di trasporto potenziato. Ecco che cosa non gli tornava: se non fosse stato per l’improbabile incidente di poco prima, lui a quell’ora sarebbe potuto essere cenere fra le macerie della sala convegni. Ma l’oggetto progettato dal dottor Agasa era resistente, una ruota non poteva saltare via a causa di un semplice urto: sembrava che fosse stata strappata via con un colpo secco.
“Quasi come se fosse stato fatto apposta” disse fra sé e sé il ragazzino osservando con attenzione il punto in cui una volta c’era la ruota.
 
Tornando a casa, era stato scortato rigorosamente da Sera. A quanto detto da lei, voleva che lui arrivasse a casa sano e salvo, senza altri incidenti, ma non ne era tanto sicuro. Sospettava che lei volesse evitare di essere vista e che lui andasse in giro ad indagare, soprattutto dato che lo aveva trascinato via dalla scena del crimine senza nemmeno aspettare l’arrivo della polizia. Era strano. Normalmente Sera si sarebbe fermata, come lui, per dare una mano nelle indagini.
Questo suo insolito comportamento, inclusa, poi, la sua strana apparizione gli facevano pensare che ci fosse qualcosa sotto e così infatti fu. Sulla strada del ritorno, con domande che potevano apparire casuali e di pura curiosità da parte di un normale ascoltatore, Sera aveva tentato di informarsi minuziosamente sulle attività del ragazzino di quel pomeriggio. Conan aveva cercato di liquidarla con delle risposte vaghe e per nulla attinenti con le sue vere intenzioni, ma non era sicuro di essere riuscito nel suo intento. Per di più, era rimasto colpito da alcune parole della ragazza, buttate lì quasi per caso, che non erano per nulla tranquillizzanti per chi, come lui, era almeno in parte al corrente della situazione.
“Mi è parso di scorgere alcuni uomini dell’FBI mentre ci allontanavamo dallo Shiodome Center, li hai visti anche tu?”
“Davvero? Perché dovrebbero essere coinvolti nelle indagini sull’esplosione?” chiese lui di rimando.
“Probabilmente dietro c’è più di quanto sembra. Saranno sulle tracce di qualcuno pericoloso, poi chi lo sa, forse le mie sono speculazioni senza senso.”
Conan era stufo di quel gioco. Era stanco di subire frecciatine e insinuazioni da parte sua: aveva capito infatti che con Sera la miglior difesa era l’attacco.
“Tu mi stai nascondendo qualcosa” le disse allora a bruciapelo, quando ormai erano giunti alle scale dell’Agenzia investigativa Mori.
Sera non sembrò stupirsi tanto di quel rapido cambio di un umore, replicò diretta “Può anche darsi ma ho le mie ragioni per farlo, come tu hai le tue.”
A quanto pareva non era ancora disposta a lasciar cadere il velo di mistero che nascondeva le sue reali intenzioni. Per lui poteva essere pericoloso insistere ulteriormente, senza sapere dove lei volesse arrivare, dato anche la non velata insinuazione che lui celasse qualche segreto. Lasciò quindi cadere l’argomento riproponendosi di indagare più tardi sul possibile coinvolgimento dell’FBI. Avrebbe chiesto un incontro con l’agente Jodie perché infatti, nonostante andasse contro i propositi iniziali di lasciar fuori il Bureau fintanto che non avesse capito ciò che stava succedendo, aveva bisogno di informazioni nel punto morto in cui si trovava. Avrebbe preferito scoprire qualcosa di più da solo sulla scena del crimine, magari ispezionandola personalmente, ma effettivamente a quel punto era impossibile. Si accomiatò quindi da Masumi e salì le scale con passò pesante.
 
Certamente le sorprese non erano ancora finite per quella giornata. Rientrato in casa si accorse che c’era un ospite in più, non previsto per quella che doveva essere una tranquilla cena in famiglia.
Tooru Amuro, alias Bourbon, era seduto sul divano insieme a Kogoro, intento a guardare il servizio sull’esplosione in diretta dalla televisione.
Si voltò al suo ingresso, salutandolo con un sorriso tirato, per poi dedicare nuovamente la sua attenzione allo schermo. Al giovane detective non sfuggì l’espressione cupa del suo volto ma venne distratto da Ran che stava uscendo con passo leggero dalla cucina.
“Bentornato, la cena sarà pronta fra poco. Ho fatto il riso al curry” disse lei sorridendogli sincera.
Conan le fece segno di avvicinarsi e lei si chinò su di lui per sentire cosa il bambino aveva da dire
“Come mai lui è qui?” chiese Conan indicando Amuro con discrezione, per non essere notato.
“Era passato a salutare papà quando hanno trasmesso la notizia dell’esplosione, così si è offerto di dare una mano nel caso in cui l’ispettore Megure avesse chiamato per un supporto. Allora l’ho invitato a fermarsi a cena. Di riso ce né abbastanza per tutti, non ti preoccupare.” concluse lei notando l’espressione comparsa sul volto del fratellino, pensando che il bambino, ghiotto di riso al curry, fosse preoccupato di non avere la solita porzione abbondante del suo piatto preferito.
“Ehi ma sei tutto sporco e pieno di polvere, cosa hai combinato stavolta?” chiese Ran al piccolo Conan mentre si chinava per pulirgli una guancia sporca di nero.
“Oh niente di serio, sono solo caduto dallo skateboard tornando a casa.”
E mentre Kogoro, che non aveva nemmeno salutato il piccolo al suo ingresso, intimò a gesti il silenzio, per una volta ancora concentrato sul notiziario, Amuro lo studiò con attenzione, rabbuiandosi ulteriormente alla vista della ruota saltata.
Conan nascose immediatamente lo skateboard dietro la schiena con il gesto più naturale che potesse imporsi cercando di evitare un contatto visivo diretto con il membro dell’Organizzazione. Non voleva dare nessun ulteriore indizio su dove si trovava prima, soprattutto non con lui presente. Non si fidava ancora abbastanza di lui, nonostante sapesse che fosse un infiltrato della polizia segreta giapponese. Anche se dall’espressione corrucciata poteva ben presumere che non fosse stato avvertito della missione. Beh uno in meno di cui preoccuparsi.
 
Ran era tornata in cucina e Conan era andato a darsi una sistemata in camera quando all’improvviso il suo cellulare squillò.
Un’Ai furiosa lo aggredì dall’altro capo del telefono “Kudo ma che fine hai fatto?”
“Perché?” rispose basito lui che si aspettava di tutto tranne che quella reazione.
“Come perché? Abbiamo visto ai notiziari che il luogo in cui in teoria dovevi trovarti era saltato in aria! Tu non ti sei più fatto vivo, possibile che tu non capisca che eravamo un po’ preoccupati?”
“Sto bene. Era già successo quando sono arrivato sul posto” mentì lui di rimando.
Data la situazione non gli sembrava il caso specificare che era stato un colpo di fortuna. Dall’altro capo del telefono nessun suono gli permetteva di intuire la reazione della ragazzina, quindi pensò di poter continuare.
“Sai se il professore ha trovato qualche altra informazione sul dottore Asai?”
“Vuoi per caso sapere il suo intero itinerario di domani?” chiese lei sarcastica.
“Si, mi farebbe comodo ma come…”
“Come facevo a sapere che l’avresti chiesto? Beh è ovvio è l’ultimo rimasto che puoi controllare. Comunque no.”
“No che cosa?”
“No, il professore non ha trovato altre informazioni. Mi sa che stavolta hai fatto un buco nell’acqua” la senti sorridere attraverso il ricevitore.
Sbuffò indispettito “continua pure a prenderti gioco di me. Non è ancora finita” e riattaccò bruscamente senza darle il tempo di replicare.
 
Ai sapeva di non essersi comportata bene ma quando lui faceva così non lo sopportava. Non poteva sempre escluderla dai suoi piani e tenerla da parte, al sicuro, come se fosse fatta di porcellana.
Benché lo ammirasse per lo zelo e la forza d’animo che dimostrava ogni giorno, sempre convinto che ne sarebbero usciti, che sarebbe riuscito a sconfiggere l’Organizzazione, che lei avrebbe trovato una cura e lo avrebbe finalmente fatto tornare adulto, non avrebbe potuto tenerla da parte per proteggerla, non stavolta. Se davvero erano implicate delle informazioni sull’APTX avrebbe dovuto esporsi anche lei in prima persona e non sapeva se era pronta per questo.
Dopo il mistery train aveva ritrovato un po’ di serenità quando aveva saputo che, nonostante avesse agito alle sue spalle, Conan aveva fatto in modo che la credessero morta. Aveva avuto la possibilità di credere di nuovo, anche se per poco, nel sogno idilliaco di bambina che si era costruita, ma quando lui la sera precedente era entrato in casa e le aveva fatto leggere quell’articolo, la realtà le era ripiombata addosso.
E proprio lui che le aveva donato una nuova vita, aveva infranto in un attimo la sottile barriera fra lei e l’abisso. E il grosso problema era che lei sapeva che stavolta non si sarebbe tirata indietro, non avrebbe potuto farlo perché gli doveva tanto dopo tutti i guai che gli aveva causato e riportarlo adulto era il minimo che potesse fare.
Stavolta, quando sarebbe arrivato il suo momento, non se ne sarebbe rimasta in disparte.
 
Era quasi mezzanotte e non si aspettava una chiamata a quell’ora, tanto meno da lui, ma non aveva potuto resistere. Quando era coinvolto, chissà perché le cose si facevano sempre interessanti. Si era accorta che aveva la capacità di scorgere anche la più piccola luce in mezzo ad un mare di oscurità.
Fermò l’auto nel vicolo vicino al parco come le era stato chiesto e aspettò con ansia il suo interlocutore appoggiata alla portiera del passeggero. La sagoma di un bambino si stagliò sotto la luce del lampione lì vicino.
“Buona sera agente Jodie.”
“Ciao Cool kid, cosa ti porta da queste parti?”
Conan introdusse il discorso senza troppi preamboli “Mi dispiace di averla disturbata a quest’ora ma era importante. Ho dovuto aspettare che gli altri andassero a letto per uscire di nascosto.”
La donna fece segno di continuare. Come aveva previsto la conversazione si faceva intrigante.
“Sa per caso se ultimamente ci sono stati movimenti all’interno dell’Organizzazione?”
“Perché lo chiedi?”
“Ho il sospetto che il signor Yoriyuki Ookida, il signor Rokuro Takuya morti per un colpo di pistola e l’esplosione di oggi allo Shiodome Center siano collegati e che dietro a tutto ci siano loro.” Disse lui in tono serio, poco adatto ad un bambino di sette anni.
Quasi non credette a quelle parole “Come fai tu a saperlo?”
“Solo un’intuizione” replicò lui con una scrollata di spalle.
Jodie tirò un respiro profondo e si preparò a parlare.
Probabilmente quando James l’avrebbe scoperto non avrebbe approvato. Ammiravano entrambi quel bambino, ma come in teoria doveva essere ovvio, lui reputava troppo pericoloso coinvolgerlo. Lei invece, nonostante si preoccupasse, aveva la netta sensazione che quel ragazzino, che aveva più di una volta risolto la situazione a loro favore, fosse misteriosamente legato a loro più di quanto si sapesse.
“Non so come tu faccia a sapere certe cose quasi prima di noi, comunque Kir ci ha contatto dicendoci che era in atto un’operazione di pulizia.”
“Lo sospettavo, sa chi è il prossimo bersaglio?”
“È questo il problema. Kir non ci ha potuto fare nomi e noi non abbiamo indizi.” sospirò di rimando scuotendo la testa.
“Se mi permetterà di entrare in azione in prima persona glielo dirò io.” disse lui con uno sguardo fermo e deciso.
“Che cosa?” era la seconda volta in pochi minuti che il ragazzino le mandava il cuore in fibrillazione. Come faceva a sapere certe cose solo Dio poteva saperlo.
“Secondo me potrebbe essere il dottor Noboyuki Asai, ricercatore alla clinica privata Jikei, e sarebbe bene che si intervenisse domani al più presto perché dato il ritmo delle uccisioni non credo che gli rimanga molto tempo.”
Jodie era basita, non sapeva cosa dire difronte a tanta sicurezza, sembrava quasi che lui avesse un infiltrato personale in mezzo alla banda. Stava per chiedergli spiegazioni a riguardo quando Conan la precedette
“Non mi chieda il perché, non posso spiegarglielo al momento, ma si fidi di me.”
“Non posso prometterti nulla ma se scoprirò qualcosa ti avvertirò.”
Conan fece un segno di assenso e si dileguò, correndo di nuovo verso casa. Jodie rimase ferma, appoggiata all’auto ancora un po’, riflettendo su ciò che aveva appena scoperto.
“Interessante” la voce di Akai non contraffatta interruppe il silenzio, sgusciando fuori dal limitare degli alberi.
“Hai sentito tutto Shu?” chiese lei sorpresa di vederlo lì.
“Sì”
“Cosa ne pensi?”
“Credo che dovresti dal retta a quel ragazzino.” Il tono serio non ammetteva repliche.
“Ma Shu non mi ha dato né prove né dettagli a riguardo! Che sia intelligente lo abbiamo constatato ma come ha fatto a sapere che erano di nuovo in gioco?” chiese Jodie di rimando sempre più perplessa dalla sicurezza mostrata dal suo compagno.
“Questo non lo so ancora, però fino ad ora non si è mai sbagliato. Tutto ciò che ha detto o fatto si è rivelato decisamente utile.”
“Di cosa stai parlando?”
Akai sorrise “Capirai presto
.”


 
 
Angolo Autrice
Lo so, lo so questo capitolo non può considerarsi proprio un capolavoro, soprattutto per quanto riguarda i momenti di azione praticamente inesistenti. Ma complicarmi la vita e complicare la storia sembra essere diventato il punto focale della mia esistenza. Prometto solennemente che la prossima volta ne vedrete delle belle e, se tutto va come deve, aggiornerò molto presto.
Finalmente dopo tutte le mie richieste l’Admin ha cambiato il mio nickname quindi se siete un po’ confusi tranquilli sono sempre la solita :)

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Capitolo 6
*** Vetro Infranto ***


Vetro infranto
 
Non aveva dormito molto la sera precedente, troppi pensieri per la testa, e l’essere lì a ripulire l’aula dopo le lezioni pomeridiane non aiutava affatto.
Conan continuava a lanciare occhiate oblique al suo cellulare, aspettando ansiosamente che Jodie lo contattasse. Se c’era una cosa che aveva sempre detestato era l’attesa. Il restare lì con le mani in mano lo snervava immensamente. D’altro canto, non poteva fare niente, perché qualunque idea gli venisse in mente non era attuabile senza sapere con esattezza dove avrebbe trovato la persona chiave in quel momento: Nobuyoki Asai.
Un cancellino volante lo colpì proprio in mezzo alla fronte, riempiendolo di polvere bianca.
“Conan hai sentito quello che ho detto o no?”
“Scusa Genta ma ti sembra il caso di tirare oggetti?” sbuffò lui ripulendosi dal gesso
“È da un quarto d’ora che sei fermo li impalato invece che spazzare per terra, noi ti chiamavamo ma tu non rispondevi” puntualizzò allora Mitsuhiko
La dolce Ayumi, sempre dalla parte del ragazzino con gli occhiali, aggredì gli altri amici “Questo non è un buon motivo per lanciare cancellini in giro per la classe! Avresti anche potuto fargli male”
“Non mi pare che si sia fatto un granché, guardate è già tornato a fissare il vuoto. Sapete che quando fa così nemmeno l’esplosione di una bomba attirerebbe la sua attenzione”.
Ai aveva proprio ragione, era uno di quei giorni in cui nemmeno le sue battutine riuscivano a smuoverlo per più di qualche secondo da quello a cui stava pensando. Quello non era proprio un buon segno. Aveva provato a farsi dare maggiori dettagli sul procedere del caso, ma lui borbottava poco o niente prima di chiudersi di nuovo nel suo silenzio pensieroso.
“Ehi Conan, Conan, Cooooonan!”
“Avete detto qualcosa ragazzi?” se ne uscì lui come se fosse arrivato nella stanza proprio in quel momento.
Gli altri quasi caddero a terra per lo sfinimento di riportarlo alla realtà.
“Adesso non riconosci più nemmeno la suoneria del tuo cellulare?” chiese sarcastica la ragazzina dai capelli ramati.
Conan risvegliatosi dal torpore si affrettò a rispondere, sperando che finalmente fossero arrivate le informazioni che aspettava. Mormorò una o due parole, lanciando una strana occhiata al cancello oltre la finestra e poi riattaccò quasi subito. “Mi dispiace ma devo proprio andare.”
“Ma come” si intromise Genta “ci lasci qui così come ieri?”
“E per lo più con le pulizie da finire?” precisò Mitsuhiko
“Prometto che mi farò perdonare. Ci vediamo domani ragazzi!” disse il detective afferrando al volo la giacca e lanciandosi fuori dalla porta.
Mentre gli altri erano impegnati a discutere su chi doveva fare anche la sua parte, Ai lo seguì, afferrandolo per un braccio poco prima che varcasse la soglia della scuola elementare.
“Stai andando dall’ultimo della lista vero? Aspettami fammi venire con te”
“No, potrebbe essere pericoloso e questo è un rischio che tu non devi correre”
“Ma tu non sai riconoscere quali potrebbero essere i dati utili, io sì!” si imputò la ragazzina stringendolo più forte
“Al telefono prima non era il professore. Era Jodie: ho coinvolto l’FBI” rivelò allora lui.
“Pensavo avessi detto che non potevi permettere che arrivassero a certe informazioni” lo guardò torvo la ragazzina riferendosi ovviamente all’APTX4869 e ai suoi effetti.
“Erano gli unici che potessero rintracciare il dottor Asai in tempo ed è proprio perché non voglio che sappiano ancora di noi che tu andrai a casa mentre io andrò a parlare con lui prima che lo facciano loro”. E detto questo si avviò di corsa al cancello dove ad attenderlo c’era l’auto di Jodie.
 
“Che cosa? Lo avete perso?” disse Conan sgranando gli occhi.
L’agente Jodie, ingranando la marcia, si appresto a rispondere “Sì, dopo la nostra conversazione di ieri sera ci siamo messi in moto immediatamente e dopo aver rintracciato il suo indirizzo abbiamo messo degli uomini di guardia. Stamattina lo abbiamo seguito fino alla clinica Jikei. Dato che non è uscito per pranzare qualcuno è andato a controllare e ha scoperto che aveva lasciato l’edificio già da un paio d’ore”
“Accidenti questo non ci voleva proprio. È possibile che abbia scoperto di essere pedinato”
“Dici che si è accorto degli agenti? Siamo stati molto attenti.” Cercò di schermarsi Jodie, imbarazzata per non aver preso in considerazione quella possibilità
“Si ricordi che stiamo parlando di un probabile collaboratore degli Uomini in nero, e loro non sono degli sprovveduti.”
“Comunque fra poco inizierà una conferenza sulle nuove scienze nella sala convegni vicino all’Ospedale Centrale dove la sua presenza è stata confermata. È proprio lì che stiamo andando ora”
Il ragazzino scosse la testa cupo “Il problema è che adesso sarà sospettoso se vi ha visti e non sarà facile avvicinarlo.”
In più era probabile che, essendo il loro prossimo bersaglio, fosse controllato anche dagli uomini dell’Organizzazione. Se si erano accorti che l’FBI era sulle loro tracce avrebbero sicuramente preso delle precauzioni in merito. L’effetto sorpresa era da escludere e, senza quello, non restava che cercare di prevedere le loro mosse e agire in anticipo.
“Comunque è probabile che colpiranno oggi stesso, dobbiamo essere pronti ad agire” continuò Conan
“Perché ne sei così sicuro?”
“Da quanto mi ha appena riferito il signor Asai è un uomo molto riservato e che non fa spesso apparizioni pubbliche. La casa ha sistemi di controllo all’avanguardia, inoltre è impossibile avvicinarlo con discrezione quando lavora alla clinica poiché l’intera zona è strettamente sorvegliata da guardie armate e telecamere. È logico pensare che questa sia la loro occasione migliore per colpirlo”
Jodie era sconcertata dalla calma con cui il ragazzino stava esponendo i fatti “Pensi che si infiltreranno fra gli invitati?”
“Non lo so, ma sicuramente noi dobbiamo farlo. Lui è l’ultimo della lista: se lo fanno fuori e noi non siamo lì per ifermarli, scompariranno di nuovo nell’ombra senza lasciare tracce”.
 
Quel giorno gli allenamenti di karate erano finiti in anticipo, quindi Ran, passata da casa per lasciare giù le sue cose, aveva pensato di fare un giro al supermercato un po’ più distante per trovare qualcosa di prelibato da cucinare. Non appena scese le scale dell’agenzia, però, si imbatte in Sera che stava scendendo in quel momento dalla sua moto.
“Sera-chan come mai qui?” chiese lei stupita
“Sono appena stata alla centrale di polizia” replicò l’altra togliendosi il casco
“È successo qualcosa di grave?”
Sera le si avvicinò, portandosi a faccia a faccia con lei “Sono andata a chiedere informazioni sull’esplosione di ieri allo Shiodome Center e pare che il caso sia già stato archiviato come incidente. Non mi hanno rivelato nessun dettaglio”
“Se sei venuta per parlare con mio padre, lo puoi trovare di sopra”
Sera sorpresa ribatté “Veramente speravo che fosse Conan a rivelarmi qualcosa di più”
Di fronte alla faccia confusa di Ran allora si spiegò meglio “Non te lo ha raccontato? Ieri l’ho trovato che girovagava nei pressi dell’edificio. Riaccompagnandolo all’agenzia ho provato a farmi spiegare cosa stesse facendo ma non mi ha detto niente.”
“Con me non ne ha parlato e credo nemmeno con mio padre. Sarebbe dovuto essere dal dottore Agasa quindi non avrebbe dovuto passare di lì per tornare a casa” replicò lei scuotendo la testa
“Allora è da escludere che fosse lì per caso.”
Sera stava rimuginando ad alta voce mentre Ran si torceva le mani preoccupata che il fratellino fosse andato a cacciarsi in qualche guaio. E proprio mentre le ragazze stavano riflettendo sul da farsi, videro passare l’auto di Jodie, con Conan a bordo.
“Ehi Ran, ma quello non era lui?” chiese Sera indicando la macchina che si allontanava in mezzo al traffico
“Sì ma che ci faceva con la professoressa Jodie?”
“Quella che è un agente dell’FBI?”
Sera non diede a Ran nemmeno il tempo di rispondere che già le aveva messo in mano il casco di riserva ed era salita sulla moto, rombante e pronta a partire.
“Sera ma cosa vuoi fare?” domandò Ran titubante e perplessa dalla reazione dell’amica
“Seguirli è ovvio. Scommetto che scopriremo qualcosa di interessante”
Ran non ci mise molto a farsi convincere, anche lei curiosa di scoprire che cosa stesse succedendo.
 
Arrivati a destinazione, non ci misero molto ad intrufolarsi all’interno dato che era un evento aperto al pubblico. Già da fuori si poteva notare che l’edificio era di soli tre piani più il seminterrato, scanditi da immense vetrate e dettagli in muratura. Così come le dimensioni erano di molto ridotte rispetto all’ospedale vicino, anche il livello di sicurezza era notevolmente scarso.
Jodie e Conan salirono direttamente all’ultimo piano e si diressero verso la sala d’attesa, dove gli ospiti aspettavano che cominciasse la conferenza. Iniziarono a cercare fra i presenti il proprio obiettivo. Fecero il giro della sala due volte, pronti ad intercettare il Signor Asai nel caso in cui si allontanasse dalla stanza, ma lui non accennò ad andarsene. Si aggirava fra gli ospiti, salutando e intrattenendo conversazioni con diverse persone.
“Non riusciremo mai a parlare in privato con lui prima dell’inizio dell’evento” sbuffò Conan spazientito
“Potremmo provare ad avvicinarlo con una scusa e…”
Ma lui la interruppe ancora prima che esponesse il suo piano “No, attireremmo troppo l’attenzione. Non mi sembra di aver notato nessuno di sospetto fra i presenti ma è meglio non rischiare.”
“Cosa proponi di fare allora?”
“Ha detto che ci sono quattro agenti in borghese che lo tengono d’occhio e altrettanti appostati agli ingressi per controllare chi entra. Suggerirei di studiare meglio la pianta dell’edificio e dare un’occhiata in giro nelle altre sale vuote per vedere se troviamo qualche indizio che ci permetta di capire come l’Organizzazione intende agire”
Jodie assentì e si avviò insieme a Conan verso l’uscita della sala. Lui si voltò un’ultima volta verso il dottor Asai: una donna lo aveva avvicinato e sembrava stesse chiedendo informazioni sul programma, indicando ripetutamente lui e poi l’opuscolo che teneva in mano. Conan non riusciva a scorgere bene il suo viso poiché era parzialmente girata ma aveva la strana sensazione di conoscerla. Poi alcuni ospiti si spostarono oscurando la visuale al giovane detective che si voltò nuovamente e seguì l’agente dell’FBI fuori dalla stanza.
Controllarono scrupolosamente i vari piani, entrando e percorrendo ogni stanza, senza trovare nulla o nessuno di sospetto che si aggirasse per essi a parte loro. Ogni volta che aprivano una porta si trovavano davanti lo stesso spettacolo: le sedie erano accatastate su un lato e il vuoto ruggiva la sua presenza attirando lo sguardo dei due verso le vetrate, che offrivano una meravigliosa vista dell’esterno.
Prestarono ancora una maggiore attenzione nel seminterrato, nel caso in cui gli Uomini in nero avessero deciso di minare l’edificio, cosa che Conan riteneva però più che improbabile. Tornando di sopra si fermarono nell’ingresso davanti alla pianta dell’edificio.
Jodie, che sembrava essersi rassegnata, constatò “Non abbiamo trovato nulla di minimamente sospetto. Abbiamo controllato che la sicurezza fosse nelle postazioni prestabilite, che le telecamere non fossero state oscurate ed anche che il quadro elettrico non fosse stato manomesso. A questo punto mi viene il sospetto che ci siamo sbagliati”
Conan studiava attentamente la disposizione delle stanze e in particolare l’organizzazione della sala conferenze. Non era ancora disposto ad abbandonare l’idea che lì stesse per accadere qualcosa di orribile
“Effettivamente è improbabile che agiscano prima dell’inizio dell’evento, anche perché oramai manca solo qualche minuto, e la confusione è troppa perché possano colpire con discrezione. La stessa cosa vale per la fine. Il momento migliore sarebbe durante la conferenza stessa quando gli oratori sono ben distinti dagli ospiti e possono essere individuati con precisione. Il problema è che data la disposizione dei posti è impossibile intervenire senza essere notati dai presenti.”
Conan si allontanò pensieroso, dirigendosi automaticamente verso le scale quando si sentì chiamare per nome. Ran e Sera lo stavano osservando da poco lontano, la prima preoccupata e la seconda divertita. La situazione si stava facendo a dir poco preoccupante. Cercando di mascherare l’espressione cupa, si avvicinò alle sue inopportune amiche. Cosa diavolo ci facevano quelle due nel luogo in cui di lì a poco avrebbe potuto scoppiare il finimondo?

Quando Ran e Sera erano arrivate di fronte all’Ospedale Centrale avevano pensato per un attimo che le loro congetture fossero del tutto sbagliate. Magari il ragazzino era andato a trovare un amico che era stato ricoverato e non c’era nessun mistero di mezzo. Quando però, videro che lui e Jodie si stavano dirigendo al complesso destinato alle riunioni e alle conferenze, tornarono alla prima ipotesi seppur con qualche riserva. Si erano aspettate, infatti, che i due si sarebbero diretti alla centrale di polizia o sul luogo di qualche incidente e non alla “Conferenza sulle Nuove Scienze”, come recitava il cartellone vicino alla porta dell’edificio.
L’ingresso era libero, quindi scambiandosi un’occhiata d’intesa, si avviarono seguendo le altre persone verso il terzo piano. Si ritrovarono in una saletta gremita di gente, che intratteneva discorsi di genetica e rigenerazione cellulare, e che lasciò le ragazze abbastanza confuse.
“Sera-chan ma sei sicura che siano entrati qui?”
“Sì, ho riconosciuto Conan anche da lontano ed era con una donna bionda.”
Ran che si fidava di lei, rimaneva comunque un po’ incerta sul da farsi “Jodie era una professoressa di inglese, non certo una ricercatrice scientifica. E poi come può un bambino capire certe cose? Nemmeno io so di cosa stanno parlando!”
Sera sorrise divertita per l'ingenuità dell'amica di fianco a lei “C’è la possibilità che stessero seguendo qualcuno che si è diretto qui. Come abbiamo fatto noi con loro”
Le ragazze decisero di fare un giro per la sala ma senza risultato, quando una donna le avvicinò “Ragazze state cercando qualcuno?”
Sera si fece immediatamente guardinga e scrutò la donna con attenzione: era alta, con un caschetto biondo ordinato e due perforanti occhi nocciola. “E se anche fosse?”
“Scusate non volevo essere sgarbata è solo che ho visto che vi guardavate intorno un po’ spaesate” replicò lei dolcemente.
Ran intervenne per chiarire la questione “Stiamo cercando un bambino con gli occhiali, ha sette anni. Lo ha visto per caso?”
“Sì, è uscito poco fa. Forse è andato in bagno. Riportatelo a casa, questo di certo non è il posto per lui”
“Grazie mille signora” disse Ran facendo un inchino e seguì, insieme a Sera, la direzione che le era stata indicata.
Un sorriso comparve sul volto della donna ormai alle loro spalle
“Allora quello di prima eri proprio tu, sapevo che ci avresti trovato di nuovo Cool Guy”
 
Era da quasi mezz’ora che le ragazze cercavano Conan ma sembrava scomparso nel nulla. Erano tornate all’ingresso, decise a tornarsene a casa quando finalmente lo videro.
“Conan-kun! Ti abbiamo trovato finalmente” esclamò Sera raggiante.
Ran stava osservando il faccino pensieroso del ragazzino che sobbalzò al richiamo. Nonostante la distanza, le sembrò che un lampo di paura attraversasse i suoi occhi, ma quando lui si avvicinò notò solamente sorpresa.
“Ran-neechan, Sera-neechan non pensavo di trovarvi qui”
“Eravamo nei paraggi e abbiamo deciso di dare un’occhiata. Ti abbiamo intravisto entrare qui e siamo venute a cercarti” disse Sera prontamente.
Conan le guardò sospettoso, nascondendo l’ansia e dando prova di ottime doti d’attore “Non è che mi avete seguito per caso?”
Fissò lo sguardo su Ran che capitolò immediatamente e confessò la verità “Sì è vero, ma io ero preoccupata. Sera mi ha raccontato che cosa è successo ieri e quando ti abbiamo visto in auto con la professoressa Jodie ci siamo insospettite e abbiamo deciso di seguirti”
Conan incrociò le braccia e abbassò il capo. Stavolta era davvero nei guai, quelle due avevano ragione da vendere e lui non aveva ancora idea di come sistemare la situazione con gli Uomini in Nero. Cercò di trattenere la risata isterica che gli stava per uscire dalla bocca ma non ci riuscì e quindi provò a ribaltare la situazione a suo favore
“Davvero? Mi spiace vi siete sbagliate. Sono venuto qui per fare un favore al dottore Agasa. Aveva promesso ad un suo amico che avrebbe assistito alla conferenza per poi discuterne con lui, ma dato che si è ricordato di avere un altro impegno sono venuto io per registrargliela. Quando l’altro giorno ne stavamo parlando abbiamo incrociato la professoressa Jodie che si è offerta di darmi un passaggio”
Forse stavolta aveva esagerato: le due ragazze lo fissavano quasi come se avesse detto un’assurdità. Poi Ran improvvisamente scoppiò a ridere e si scusò fra i singulti
“Mi dispiace aver pensato il peggio. So che anche se ogni tanto ti metti nei guai sei un bambino coscienzioso” disse lei accarezzandogli amorevolmente la testa ricevendo in cambio un enorme sorriso.
Sera era ancora un po’ sospettosa, ma non disse nulla.
 
Il suono di una campanella annunciò che la conferenza stava per iniziare. Ricongiuntisi con Jodie si avviarono tutti e quattro insieme, poiché Conan non era riuscito a convincere le due ragazze ad andarsene. Nonostante la sala fosse già quasi piena di gente non appariva affollata. Il soffitto, alto e bianco, dava aria alla stanza e rifletteva gli ultimi raggi di sole provenienti dalle grandi vetrate che ricoprivano interamente due delle pareti.
Mentre le ragazze si guardavano attorno, avvicinandosi alle finestre per osservare i giochi di luce, Jodie si abbassò all’altezza del ragazzino e gli bisbigliò all’orecchio “Complimenti, sei davvero bravo a inventare storie Cool Kid” strizzandogli poi anche l’occhio.
Conan fece un sorriso malizioso di rimando “Ha ricevuto aggiornamenti intanto che non c’ero?”
“No, nessuna novità. Sembra proprio che sia tutto tranquillo”.
Conan si diresse allora verso la prima fila di sedie libere verso il fondo e si accomodò, fissando dritto davanti a sé. Il tavolo a cui erano seduti gli oratori era posto su un podio leggermente sopraelevato, per permettere a tutti, anche a quelli delle ultime file, di vedere bene. Un microfono era sistemato al centro, suggerendo chiaramente che chi avrebbe preso la parola si sarebbe alzato in piedi e posto al centro del palco.
Il pomeriggio era quasi passato e l’accensione delle luci al neon segnò che la sera stava scendendo inesorabile. Il vociare delle persone si stava acquietando e un commento di Ran, che si era seduta accanto a Conan, attirò l’attenzione di quest’ultimo
“Hai visto? Adesso non si vede più fuori e l’intera sala viene riflessa dalle vetrate come fossero uno specchio”
“Quelli sono vetri riflettenti?” chiese Conan sconcertato per non averlo notato prima durante la perlustrazione delle altre sale
“Già, sembra quasi che la stanza sia raddoppiata di dimensioni, fa uno strano effetto” continuò Sera senza prestare attenzione all’espressione agitata che era comparsa sul volto del ragazzino.
Conan balzò giù dalla sedia e afferrò una manica dell’agente Jodie, trascinandola verso l’ingresso della sala.
“Conan-kun cosa succede?” chiese lei che aveva capito che la situazione era seria
“Ho capito come agiranno. Non hanno avuto bisogno di infiltrarsi qui, per colpire il bersaglio gli sarà sufficiente sfruttare la proprietà dei vetri riflettenti!”
Jodie lo guardò senza capire “Spiegati meglio”
“Questi vetri particolari servono a dare luce naturale a grandi spazi senza che l’ambiente si scaldi troppo. Grazie ad un sottile strato di ossidi di metallo disposto sulla superficie, circa il trenta percento della luce viene riflessa creando l’effetto specchio e impedendo a chi è fuori di vedere l’interno. Di sera, con l’illuminazione artificiale, l’effetto specchio si rovescia: essendoci più luce all’interno che all’esterno, i vetri diventano specchi per chi è dentro, e trasparenti per chi guarda da fuori, proprio come adesso. Se un cecchino si è appostato sull’edificio di fronte ora ha una visuale perfetta.”
L’agente Jodie, che aveva seguito parola per parola il ragionamento del ragazzino, continuò “Quindi, quando il dottor Asai si alzerà in piedi per parlare e si sistemerà al centro del palco, sarà un obiettivo facilmente individuabile”
“Esattamente! Deve ordinare ad uno dei suoi uomini di andare nel seminterrato e far saltare la corrente così che le condizioni originali vengano ripristinate. Poi dovremo con calma far uscire i presenti e prendere in custodia il dottor Asai”
Jodie si diresse di corsa verso le scale, dando ordini via radio, mentre Conan scrutava con attenzione il tavolo degli oratori per assicurarsi che l'obiettivo degli Uomini in Nero fosse ancora al suo posto. Durante il loro veloce scambio di informazioni, la conferenza era infatti iniziata e lui non poteva intervenire senza rischiare di attirare troppa attenzione.
 
Ran e Sera, incuriosite dal rapido cambio di umore del ragazzino, si avvicinarono a lui con cautela, per non disturbare gli altri partecipanti alla conferenza.
Conan, con lo sguardo fisso sulla vittima designata, non si era accorto di essere quasi stato raggiunto dalle due ragazze. Proseguì la sua lenta avanzata verso il palco, costeggiando il muro laterale, per poter agire non appena le luci si fossero spente. Intanto il primo oratore aveva terminato il suo intervento e il dottor Asai si apprestava a prendere il suo posto al centro del palco.
I battiti ansanti del cuore riempivano le orecchie del ragazzino, rendendolo sordo al richiamo di Ran.
La sala sembrava non avere una fine e il ragazzino era ancora a qualche metro di distanza quando lo scienziato era ormai in piedi davanti al microfono.
Un millesimo di secondo prima che saltassero le luci, un rumore sordo di vetro infranto si propagò per la sala insieme al rantolo dell’uomo che si accasciò al centro del palco.
Il buio improvviso creò un atmosfera surreale, generando ulteriore panico fra il pubblico che non capiva cosa stesse succedendo.
Conan accese l’orologio-torcia e si lanciò di corsa sul palco per andare a soccorrere il dottor Asai, mentre la folla iniziava ad uscire in modo scomposto dalla sala.
Le ragazze lo seguirono e il braccio di Ran venne sfiorato da un secondo colpo esploso dall’invisibile cecchino.
Il ragazzino sentito il secondo sparo, si voltò verso le ragazze e, solo dopo essersi assicurato che stessero entrambe bene, si accovacciò finalmente vicino al corpo dell’uomo ai piedi del microfono. Il proiettile lo aveva colpito a poca distanza dal cuore, non c’era nulla che potesse fare.
Lo scienziato, con l’ultimo grande sforzo, fra i singhiozzi di sangue riuscì a dire “dischetti…Ikuzo…cinquantesimo piano”.

 
 
 
Angolo Autrice
Questo capitolo è decisamente più lungo dei precedenti ma non avrei saputo come dividerlo a metà senza interrompere il clu dell’azione e farmi odiare da voi lettori ^^
Spero che vi sia piaciuta la mia teoria complottista e che continuerete a seguire il succedersi della storia.
Un bacio
Shin4

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Capitolo 7
*** Alla prossima Cool Guy ***


Alla prossima Cool Guy
 
Sera non aveva capito cosa fosse successo. Il tutto era accaduto troppo velocemente.
Quando c’era stato il secondo sparo aveva buttato a terra Ran, per paura che ce ne potessero essere degli altri. Erano rimaste così per un po’, fintanto che non avevano visto Conan passare da parte a loro e sfrecciare giù dal palco.
Lei si era rimessa immediatamente in piedi, voltandosi in direzione della porta, giusto in tempo per vedere il ragazzino sgattaiolare fra le ultime persone che stavano lasciando la sala.
Era inutile tentare di seguirlo, non lo avrebbe trovato facilmente al buio in quella confusione e in più non voleva lasciare da sola Ran. Si era quindi avvicinata con cautela all’uomo steso in modo scomposto poco distante da loro per verificare se fosse morto.
Quella era davvero una situazione assurda: quando si era accorta che all’inizio della conferenza il ragazzino si era alzato e aveva cominciato ad avvicinarsi di soppiatto al palco aveva capito che c’era qualcosa che non andava, ma mai avrebbe immaginato che di lì a poco sarebbe successo tutto quello.
Cercando di ricostruire i fatti a posteriori, realizzò che erano già un paio di giorni che Conan aveva uno strano comportamento. Tutto era cominciato dal caso di omicidio del signor Nabuyama. La storia delle microspie non l’aveva convinta e trovare il ragazzino vicino al luogo dell’esplosione del giorno prima ancora meno. Se si aggiungeva poi anche la sua riluttanza a parlare in quelle occasioni e la sparatoria di poco prima, allora la risposta poteva essere una sola: dietro a tutta quella faccenda ci potevano essere solo loro…quelli che avevano ucciso anche suo fratello. E il ragazzino, come al solito, sapeva molto di più di quanto diceva. Era immerso anche lui in quella storia fino al collo.
Quando tornò dalla sua amica vide che anche lei si era rimessa in piedi e che si teneva il braccio destro “Tutto a posto?”
“Non è nulla di grave” rispose Ran mostrando una lieve ferita “il secondo colpo mi ha solo preso di striscio”
“Sei stata fortunata” le disse Sera prendendole il braccio fra le mani e improvvisando una fasciatura di fortuna con la sciarpa della ragazza.
Questa ringraziò brevemente, senza prestare troppa attenzione, per poi chiedere “Ma dov’è finito Conan?”
 
Conan aveva tentato di tamponare il sangue ma era stato tutto inutile, il dottori Asai era morto.
“No, no, NO!” gridò il ragazzino sbattendo il pugno sul pavimento.
Non era riuscito ad intervenire in tempo, aveva capito troppo tardi il piano di quei folli dell’Organizzazione ed ora l’unico indizio che aveva erano quelle misteriose parole che lo scienziato aveva detto prima di esalare l’ultimo respiro
“Dischetti…Ikuzo…cinquantesimo piano”
Non aveva tempo, però, per rammaricarsi. Si rimise rapidamente in piedi cercando con lo sguardo le ragazze, che si erano rifugiate in un angolino del palco, per poi spostarlo sulle ultime persone che stavano lasciando la sala.
Nessun altro era accorso lì per verificare le condizioni della vittima, si erano tutti diretti verso l’uscita, accalcandosi sulla porta nel tentativo di andarsene il più velocemente possibile.
Aveva le mani e la camicia imbrattate di sangue ma poco importava in quel momento: doveva raggiungere l’agente Jodie il prima possibile.
Si avviò di corsa giù dal palco e, sgattaiolando fra le persone, raggiunse la metà del corridoio prima di realizzare che chiamandola al cellulare avrebbe fatto molto prima.
Si accostò al muro, dando le spalle alle persone nel corridoio, cercando di ripulirsi velocemente le mani prima di prendere il telefono. Aveva già iniziato a digitare il numero quando qualcuno gli si accostò.
Una voce suadente a lui nota gli sussurrò all’orecchio “Alla prossima Cool Guy”
Conan si voltò immediatamente, riconoscendo nella figura che si stava allontanando la donna con il caschetto biondo che meno di un’ora prima aveva visto parlare con il signor Asai, ma soprattutto colei che gli aveva impedito di fare una fine certa, fermandolo prima che entrasse nello Shiodome Center.
Sbiancò. Non aveva dubbi su chi fosse realmente.
 
La donna si allontanò rapidamente dall’edificio. Essendo consapevole della presenza degli agenti dell’FBI sotto copertura, riuscì ad evitarli abilmente senza alcun problema.
Si diresse nella stradina laterale dove c’era una porche nera ad attenderla.
“Sei stata veloce” l’accolse una voce di ghiaccio non appena ebbe chiuso la portiera dietro di sé.
“È stato un gioco da ragazzi”
“Quando Chianti ha saputo che ci saresti stata anche tu è andata su tutte le furie” disse il biondo alla guida, sorridendo malignamente e mettendo in moto la vettura.
“La colpa è solo vostra” replicò la donna strappandosi dal volto la maschera, rivelando una cascata di capelli biondo platino e due penetranti occhi acquamarina.
“Se vi foste accorti prima che l’FBI stava seguendo tutte le vostre mosse Rum non mi avrebbe chiesto di intervenire”
Gin accusò il colpo, senza scomporsi troppo sotto gli occhi del suo sottoposto da parte a lui “Attenta a non esagerare Vermouth. Allora li hai con te?”
“No, quello stupido ha fatto il furbo e non ha portato con sé i dischetti, pensando di avere ancora tempo per trattare con noi. Ma non ti preoccupare, nel giro di un paio di giorni saprò dove si trovano e gli ultimi dati rielaborati sul farmaco creato da Sherry saranno in tuo possesso.” Disse lei sorridendo al buio e guardando la città scorrere sotto i suoi occhi attraverso il finestrino.
“Bene, sarebbe un peccato altrimenti. Sai che odio lavorare con chi non porta a termine il suo incarico” sottolineò lui con una mal celata minaccia.
“A proposito di incompetenti, chi è stato a sparare quel secondo colpo a vuoto?”
A rispondere fu Vodka, che non aveva ancora preso parola fino a quel momento “Quando è saltata la luce abbiamo perso di vista l’obiettivo e Chianti ha sparato di nuovo per sicurezza”
“È stato del tutto inutile. Korn lo aveva già centrato in pieno”
“Porta le tue rimostranze direttamente a Chianti, sarà sicuramente felice di sentirle” rise Gin di rimando.
Vermouth non rispose. Stava ripensando a quanto vicino alla morte fosse stato il suo Silver Bullet. Se lo avessero fatto fuori era probabile che non li avrebbe mai perdonati.
Quando, nascosta fra gli spettatori sotto mentite spoglie, si era accorta della presenza del ragazzino, lo aveva tenuto d’occhio senza farsi notare. Sapeva che se avesse scoperto il piano in anticipo tutto sarebbe andato all’aria. Lo aveva visto parlare con quella fastidiosa agente dell’FBI poco prima che saltassero le luci. Naturalmente si era messo di nuovo in mezzo e aveva rischiato di essere colpito da Chianti e Korn appostati sul tetto dell’edificio di fronte. Forse aveva osato troppo quando gli si era avvicinata nel caos che si era scatenato poco dopo per sussurragli all’orecchio, ma poco importava: lui era salvo. Almeno per ora.
 
Ran era stesa nel suo letto al buio. Al caldo sotto le coperte, stava ripensando a quella movimentata giornata. La ferita non era stata nulla di grave e il braccio le doleva ben poco. Era stato il vedere il suo fratellino ridotto in quello stato a spaventarla di più.
Dopo gli spari lei e Sera avevano deciso di seguire gli altri di sotto e lo avevano trovato che discuteva animatamente con la professoressa Jodie. La luce era stata ripristinata e quando lui si era voltato per andarle incontro era rimasta sconvolta nel vederlo avvicinarsi noncurante ricoperto di sangue. Conan l’aveva tranquillizzata immediatamente, spiegando che si era sporcato quando aveva tentato di soccorrere l’uomo che era stato colpito, ma lei scossa dal susseguirsi di quegli orribili fatti non era riuscita a trattenersi e qualche lacrima aveva iniziato a scorrerle sul viso.
Si ricordava bene l’espressione del ragazzino che, di fronte a quello sfogo, si era messo a osservarla meglio e aveva notato la fasciatura: era sbiancato e aveva mostrato un enorme preoccupazione nei suoi confronti.
Sotto lo sguardò perplesso dei presenti aveva insistito per accompagnarla al pronto soccorso e solamente quando lei gli aveva mostrato che era stata colpita solo di striscio aveva desistito.
Come poteva dimenticare l’espressione seria, che di certo non sarebbe dovuta appartenere ad un bambino di sette anni, quando le aveva preso con mani tremanti il braccio per osservarlo più da vicino e le aveva sussurrato “Mi dispiace Ran-neechan, è colpa mia”.
Anche il rientro a casa non era stato affatto piacevole, quando, presentandosi insieme a Conan in quelle condizioni, aveva dovuto sottostare all’interrogatorio del padre, che non si era fiondato alla sala convegni solamente perché l’ispettore Megure lo aveva più volte rassicurato per telefono che lei stava bene. Il peggio lo aveva però passato nuovamente Conan, che era stato largamente sgridato da Kogoro per aver indirettamente causato la ferita della figlia. Alla fine anche suo padre però, dopo varie insistenze da parte della ragazza, aveva dovuto ammettere che la colpa non era sua. Ran infatti, si era davvero preoccupata nel vedere il volto contrito e triste del ragazzino e aveva aggredito il padre di rimando. Non era bene che il bambino si sentisse in colpa per qualcosa che non dipendeva da lui.
Il ronzio del cellulare la riscosse dai suoi pensieri cupi e, nonostante l’ora tarda, un sorriso le si delineò in volto quando vide il nome che compariva sul display
“Shinichi!”
“Ciao Ran, ho saputo cosa ti è successo oggi. Stai bene?” chiese lui con voce cupa.
“È solo un graffio, nulla di che. Ma tu come hai fatto a saperlo? È stato Conan, non è vero?”
“Sì. Spero che tu non stia minimizzando come tuo solito” rispose il ragazzo, mostrandosi però più tranquillo.
“Sto bene, davvero. Mi auguro, però, che tu lo abbia trattato con gentilezza perché lui si sentiva già inutilmente in colpa.”
Dall’altro capo del telefono si sentì uno sbuffò seccato “Si sente in colpa perché sapeva che ti trovavi lì solamente per controllare lui. Mi sembra normale.”
Ran si alzò a sedere per uno scatto di rabbia e dovette costringersi a tenere basso il tono di voce per non svegliare gli altri “Come puoi dire questo? Lui è solo un bambino e non stava facendo nulla di male. Sono io che ho deciso di seguirlo e di salire poi su quel palco.”
 “Va bene, va bene. Gli manderò un messaggio per scusarmi. E adesso calmati, non ho voglia di litigare.”
La ragazza tornò a sorridere di nuovo, contenta che per una volta lui si arrendesse facilmente. Parlarono per un po’ del più e del meno e degli ultimi fatti accaduti nelle rispettive vite, perché era da tanto che non si sentivano.
La voce calda di Shinichi era come un balsamo che leniva le sue ferite e colmava il vuoto che si portava appresso da parecchio tempo. E nonostante non avessero più parlato della dichiarazione che lui le aveva fatto a Londra, e del fatto che lei non gli avesse ancora risposto, si sentiva rassicurata nel sapere che lui teneva ancora a lei, che si preoccupava per lei.
Quando infatti lui si scusò perché, per l’ennesima volta, non poteva andarla a trovare, la reazione di Ran non fu affatto brusca.
“Dove sei adesso? Che intricato caso sta risolvendo il nostro detective?” chiese divertita
Lui rispose come sempre senza dare particolari in merito “Sono oltreoceano al momento, impegnato in un indagine abbastanza complicata e con pochi indizi. Non sarà affatto facile.”
“Sono sicura che ce la farai”
Di lì a poco si salutarono perché, dopo essere stati al telefono per quasi un’ora, si era fatto davvero tardi. Ran, che si era seduta sul davanzale della finestra per ammirare la luna nel corso della conversazione, ritornò a letto e si sdraiò abbracciando il cuscino, perdendosi in un lungo sonno ristoratore con ancora il sorriso sulle labbra.
 
C’era chi, però, nonostante fosse notte fonda continuava a lavorare.
Quando l’agente Jodie si era recata di sotto per avvertire i suoi uomini di far saltare la corrente e tenersi pronti per agire, aveva di fatto perso il momento cruciale tanto atteso. Aveva capito che il suo intervento repentino era stato del tutto inutile quando aveva visto la folla che si radunava al piano terra.
Conan le era corso incontro trafelato, pieno di sangue, cercando di spiegargli ciò che era successo. Fra una boccata di ossigeno e l’altra, le aveva intimato di mandare immediatamente qualcuno a controllare l’edificio di fronte, prima dell’arrivo della polizia, e di non permettere a nessun altro di uscire, poiché nascosta fra gli ospiti della conferenza c’era anche Vermouth.
Ovviamente la ricerca era stata vana, lei era già riuscita a dileguarsi e anche nella probabile postazione dei cecchini non era stato ritrovato nessun indizio.
Jodie aveva in seguito dovuto sottostare all’interrogatorio della polizia giapponese, fornendo una versione dei fatti ovviamente ravveduta e corretta, per giustificare la sua presenza sulla scena del crimine. La scusa che il ragazzino aveva inventato per le ragazze era tornata utile anche a lei dopotutto, ma restava il fatto che, nonostante le dovute precauzioni, il piano contro l’Organizzazione era fallito.
Non rimaneva altro che lavorare sulle ultime parole della vittima, che Conan le aveva rivelato poco prima di tornare a casa insieme a Ran scortato dall’agente Takagi, cercando di dar loro un senso compiuto.
Il telefono vibrò e, leggendo il messaggio di risposta di Akai, un sorriso si aprì sul volto stremato della donna.
Non ne potevano essere ancora certi ma era probabile che alcuni dati riguardanti un progetto dell’Organizzazione si trovassero al momento in un luogo non protetto e che sarebbero stati recuperati di lì a pochi giorni.
Non restava che scoprire dove fossero, facendo un controllo incrociato fra la vittima, i suoi collaboratori e i luoghi di lavoro, ed agire tempestivamente per entrarne in possesso per primi. Quelle informazioni avrebbero potuto essere cruciali, se non per la disfatta, almeno per comprendere qualcosa di più sulle loro attività segrete.
Forse alla fine la disfatta di quella giornata non era stata poi così totale.

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Capitolo 8
*** Quando i pezzi vanno a incastrarsi ***


Quando i pezzi vanno a incastrarsi
 
Non aveva affatto dormito bene quella notte. Sogni inquieti e pullulanti di oscure figure lo avevano assillato per tutto il tempo.
Nonostante si sentisse tutt’altro che riposato, scalciò via le lenzuola, tentando, con scarsi risultati, di allontanare allo stesso modo anche i cattivi pensieri.
La sera precedente, dopo il caos che si era creato in seguito agli spari, aveva dovuto dare non poche spiegazioni alla polizia su come si fosse ridotto in quello stato e non solo a loro. Era stata una fortuna che nessuno avesse indagato a fondo su suoi tempi di reazione che, ad un accurato osservatore, sarebbero sembrati più che mai paradossali.
Sia Sera che Ran, le uniche due che si erano accorte che lui aveva cominciato ad avvicinarsi al palco ancor prima che i fatti si verificassero, non avevano smontato le sue bugie, seppur per ragioni diverse. Era convinto che la prima avesse, infatti, capito che sotto si stava muovendo qualcosa di molto più grande, mentre Ran, scossa dagli eventi, non aveva probabilmente dato peso alla cosa.
Già Ran. Quando aveva notato che era stata ferita aveva dato di matto e aveva perso tutta la sua lucidità, proprio come l’ultima volta quando lei era entrata al Beika Tower Mansion per salvare l’uomo rapito.
Una volta riacquistata la calma si era sentito tremendamente in colpa. Quella ragazza, sempre premurosa e preoccupata per le sorti degli altri, lo aveva seguito, incalzata da Sera, ed aveva rischiato di finire proprio in mezzo a tutto ciò da cui lui, da quasi un anno, aveva cercato disperatamente di tenerla fuori.
Solamente dopo essere entrato in cucina e aver notato il sorriso sincero di Ran riuscì di nuovo a quietarsi. Evidentemente la tempestiva telefonata di Shinichi aveva sortito l’effetto voluto. Malgrado ciò a cui aveva assistito, Ran era serena, addirittura più di quanto fosse stata negli ultimi tempi.
Lei gli si avvicinò e facendo attenzione che il padre non sentisse gli disse “Grazie”
Conan, colto alla sprovvista, rispose sorpreso “Di cosa?”
“Ieri sera Shinichi mi ha chiamato ed era stranamente al corrente di tutto. So che il merito è stato tuo.”
Lui ricambiò il suo sorriso con uno sguardo mesto “Era il minimo che potessi fare”
Ran, colpita da quelle semplici parole, non poté fare altro se non cercare di confortare quel bambino che in quel momento sembrava portare il peso del mondo addosso “Sei stato davvero premuroso ma non era necessario. Te l’ho già detto: tu non hai colpe per quello che è successo.”
Lui la scrutò con attenzione ancora per qualche istante, per assicurarsi che la calma non fosse solo apparenza, e notando nei suoi occhi la solita allegria e spensieratezza, finalmente si aprì in un sorriso sincero. Al di sotto della superficie, però, persistevano ancora in lui la rabbia e il senso di colpa.
 
Nonostante i fatti della serata precedente nessuno dei due ragazzi rimase a casa quel giorno.
Si avviarono insieme a scuola e, mentre Ran chiacchierava placidamente con Sonoko, Conan, camminando davanti a loro, continuava ad essere immerso in ben più cupi pensieri e non prestava loro molta attenzione.
Messa da parte la preoccupazione per Ran, gli affollavano ora la mente le ultime parole del dottor Asai, cui era certo di aver quasi dato la corretta interpretazione. Quell’uomo era effettivamente affiliato all’Organizzazione e probabilmente era in possesso di informazioni riservate che, tirando ad indovinare, dovevano essere conservate da qualche parte al cinquantesimo piano di un incognito edificio. Questo avrebbe spiegato anche la presenza di Vermouth alla conferenza, il cui compito era stato indubbiamente quello di recuperarle. L’impellenza che quell’uomo, in punto di morte, aveva avuto nel dire quelle cose alla prima persona che lo aveva soccorso, perfino essendosi trattato di un bambino, gli suggeriva che però non era riuscita nel suo scopo. E se come sospettava, quei dischetti contenevano nuovi studi e dati sugli effetti dell’APTX4869, allora andavano recuperati immediatamente prima che finissero nelle mani sbagliate.
 
Nel frattempo il dialogo fra le ragazze, superati i pettegolezzi iniziali, stava prendendo un’altra piega.
“Ran dopo tutto quello che ti è successo ultimamente hai proprio bisogno di un po’ di svago. Venerdì sera sono stata invitata alla festa di inaugurazione di quel nuovo ristorante in centro, ti andrebbe di venire con me?”
“Quale ristorante, Sonoko?”
“Dai, ma te ne ho parlato giusto l’altro giorno” rispose scocciata la ragazza “quello al 48esimo piano del grattacielo Ikuzo, qui a Beika”
“Ah sì! Quel posto splendido da cui si può ammirare buona parte della città. Ma per l’apertura non è stata invitata solo una cerchia ristretta, per lo più rappresentata da esponenti elevati della società?” si accertò Ran
“Certo” assentì Sonoko, felice che l’amica avesse colto a pieno il punto della situazione “infatti la famiglia Suzuki ha ricevuto un invito scritto. Sai, dato che Makoto non potrà accompagnarmi ho pensato di chiederlo a te. Dai ti farà bene”
“Beh ne sarei davvero onorata. Accetto volentieri.”
Sonoko era davvero elettrizzata all’idea e stava già per lanciarsi nell’esposizione dettagliata dei particolari dell’evento quando il suo sguardo cadde sulla figurina davanti a lei.
“Ah, e giusto per puntualizzare” disse alzando da terra Conan per il colletto che, colto di sorpresa, quasi non si prendeva un bello spavento, “i marmocchi non sono invitati!"
“Eh? Ma di cosa stai parlando Sonoko?” chiese lui perplesso.
“Mh, mh” annuiva seriamente lei, mentre Ran la guardava quasi scoppiando a ridere, “domani sera niente bambini fra i piedi, ho un programma speciale per te Ran” le disse facendole l’occhiolino
L’altra, che iniziava a preoccuparsi, tornò seria e chiese di rimando “Ma che vuoi fare?”
“Beh mia cara, dato che quel tuo detective da strapazzo non si è più fatto vedere, e si concede solo una telefonata ogni tanto, mi pare più che giusto che tu ti diverta un po’, no? Ci saranno così tanti bei giovani alla festa” esclamò con gli occhi che le brillavano.
Ran, mettendo le mani avanti imbarazzata rispose in segno di diniego “Sonoko calmati non esagerare come tuo solito, e poi non posso mica lasciare Conan da solo con mio padre. Lui lo lascerebbe di sicuro morire di fame!”
E mentre le due continuavano a battibeccare, Conan che aveva finalmente riacquistato la terra sotto i propri piedi pensava tristemente “Ran io sono qui, sono sempre al tuo fianco, non sai quanto mi dispiaccia che tu non possa saperlo…”
La giornata trascorse lenta come al solito e l’unico momento di vera spensieratezza per il piccolo detective fu quando, dopo le lezioni, si recò al parco per giocare con i propri amici.
La punizione scelta dai Detective Boys per averli abbandonati in quei due giorni, si era rivelata infatti, essere un’intensa partita di calcio.
La palla correva veloce sull’erba, portata avanti con abilità dal bambino con gli occhiali, che scartava con facilità gli avversari. Ai e Mitsuhiko avevano ben poche possibilità di sopraffarlo se lui si metteva di impegno.
E difatti, con un ultimo rapido balzo, dopo aver superato anche l’ultima difesa, diede un preciso colpo al pallone che finì in rete proprio nell’angolo sotto la traversa.
“Ed è Goal!” Urlò Ayumi saltellando dall’altro lato del campo.
“Abbiamo perso di nuovo” mormorò Genta sconfortato, che seppur fosse stato tutto intento nel suo ruolo di portiere non era riuscito a parare il colpo.
Il calcio era stato di una potenza tale da far rimbalzare la palla sulla parete dietro la rete e farla tornare indietro, colpendo forte Conan in pieno viso. Colto ancora in volo dal pallone, non era infatti riuscito ad evitarlo.
“Ahi” si lamentò il bambino caduto a terra massaggiandosi la fronte.
“Pur essendo due contro uno riesci sempre a batterci” constatò Mitsuhiko, porgendogli una mano per aiutarlo a rialzarsi.
“Sarà, ma stavolta ho rotto anche gli occhiali” disse il ragazzino osservando la lente crepata in seguito all’urto.
 “Così impari a tirare più piano la prossima volta” lo riprese l’altro scoppiando a ridere.
 “Sai” disse Ai, avvicinandosi a lui, contagiata dalla risata “quando giochi a calcio sembri davvero un bambino di 7 anni!”
“Haibara guarda che non sono l’unico” la rimbeccò Conan con tono falsamente risentito per poi sciogliersi anche lui in un sorriso.
 
Dopo essersi congedati dagli altri, Ai e Conan si diressero insieme verso la casa del professore.
La ragazzina ramata era tornata ad essere seria e distaccata. Osservava attenta l’amico che, una volta rimasti soli, l’aveva messa al corrente della situazione.
E nonostante lui avesse tenuto per sé l’incontro con Vermouth e, soprattutto, l’esistenza dei dischetti e il loro probabile contenuto, lei venne invasa da uno strano senso di inquietudine.
“Non sei riuscito a parlare con quell’uomo prima che morisse quindi?”
“No, purtroppo non ne ho avuta l’occasione”
“Allora mi puoi spiegare ancora una volta, per quale stupido motivo non dovrei essere preoccupata che loro sappiano della nostra doppia identità?”
Non si era infatti scordata il motivo per cui lui qualche giorno prima aveva deciso di controllare minuziosamente quei quattro scienziati e il loro lavoro.
“Perché sono convinto che quegli uomini siano stati uccisi poiché avevano esaurito la loro utilità” rispose lui semplicemente
“E questo per te implica che loro non siano venuti a conoscenza dei possibili effetti dell’APTX4869?”
Conan sbuffò e ancora una volta fu lui a metterle davanti la realtà dei fatti “Credi davvero che in quel caso io e te saremmo ancora qui a discuterne tranquillamente?”
Effettivamente lui aveva ragione, ma la paura le aveva attanagliato lo stomaco e si era insinuata pesante sul suo cuore. Le sembrava che il detective avesse preso sottogamba i suoi avvertimenti e quindi, non era disposta a lasciar cadere l’argomento tanto facilmente.
“Sei sicuro che non ci sia sotto dell’altro?”
Le iridi blu del ragazzo la fissarono intensamente per qualche secondo cercando di infonderle tutta la loro sicurezza “Stai tranquilla Ai, noi siamo ancora al sicuro”
Nonostante la persistenza dei suoi dubbi, decise di credergli.
Decise di credergli perché, malgrado lui avesse cercato di nasconderlo, gli aveva letto negli occhi tutto il suo senso di colpa e la rabbia per non essere riuscito nel suo intento. Perfino la paura che lo aveva colto nel momento in cui aveva realizzato che la sua amata ragazza dell’agenzia era rimasta ferita. E lo aveva compreso più profondamente di quanto lui potesse mai immaginare perché lei provava esattamente gli stessi sentimenti. Provava rabbia contro se stessa e quello che l’Organizzazione l’aveva costretta a fare. Non sopportava l’idea che se lei non avesse mai portato a termine quel farmaco tutto ciò non sarebbe mai successo. E al contempo si sentiva in colpa perché, sapeva bene, che era solo grazie all’APTX4869 che aveva incontrato lui. Quel ragazzo che poteva sembrare saccente e arrogante a chi non lo conosceva, ma che in realtà aveva un gran cuore e l’aveva sempre protetta e tenuta al sicuro. Aveva fatto più lui per lei che chiunque altro nella sua vita.
 
L’imprevista deviazione a casa del dottor Agasa si rivelò poi molto interessante. Una volta sostituiti gli occhiali da inseguimento, il ragazzino si congedò rapidamente poiché aveva deciso di approfittare dell’occasione per fare una fugace visita all’inquilino di villa Kudo.
Passando davanti al cancello, che fino a non molto tempo prima attraversava tutti i giorni, notò parcheggiata a poca distanza l’auto dell’agente Jodie.
Non avendo più ricevuto notizie da lei si insospettì immediatamente e, nonostante fosse un po’ riluttante nell’attuare un piano così subdolo, si introdusse nella sua vecchia casa dalla porta sul retro, attento a non produrre il benché minimo rumore.
Conoscendo quelle mura come le sue tasche, non gli fu affatto difficile evitare i punti scricchiolanti del pavimento per andare ad appostarsi in un angolo nascosto della biblioteca, da dove poteva osservare comodamente ciò che stava accadendo in salotto.
“Quindi la missione di ieri non è andata completamente a buon fine”
“Già, Reina Mizunashi mi ha confermato che, per ovviare al problema, domani sera alle 23 si incontrerà con un collaboratore del dottor Asai per portare a termine lo scambio di informazioni.”
"Dove avverrà l'incontro, è un luogo che possiamo monitorare?"
"Avverrà nei pressi del grattacielo Ikuzo, a Beika."
Al giovane detective non poté che scappare un sorriso malizioso per aver trovato conferma ai propri sospetti.
“Ti ha fornito altri particolari a riguardo?” si informò Jodie che, pur essendo parzialmente girata nella giusta direzione, non aveva notato il sopraggiungere di un nuovo ascoltatore, intenta com’era nella discussione.
Akai, ancora accuratamente travestito da Subaru Okiya, scosse la testa in segno di diniego “Se ti riferisci al contenuto dei dischetti non posso fare altro che ipotesi.”
“Sarà sicuramente qualcosa di importante però se si danno tanta pena per recuperarli.”
“Probabile, ma ricorda che loro sono noti proprio per non lasciare traccia alcuna del loro passaggio.”
Il dialogo si spense per qualche istante, mentre entrambi erano persi nelle proprie riflessioni.
“Kir riuscirà a farne una copia?” chiese poi Jodie interrompendo il silenzio.
“È possibile ma non so se vorrà rischiare. Gin la accompagnerà, quel bastardo non si fida ancora completamente di lei” replicò Akai impassibile.
Un sorriso in risposta si aprì sul volto della donna “E a ragione direi”.
 
 
 
Nota d’Autrice
Avrei così tante cose da dire!
Ammetto che questo capitolo non è poi un granchè, mi sarebbe potuto riuscire meglio ma l'ho scritto di getto perchè sono ansiosa di pubblicare il prossimo, che in realtà è proprio il primo che ho scritto in assoluto.
Mi sembra sempre che l’azione proceda troppo lentamente all’interno della storia e che d’altra parte, io non riesca a mostrare a pieno il turbinio di emozioni che avvolge i miei personaggi.
Un vero e proprio dilemma.
Comunque, mettendo da parte l’autocritica (di cui sono una fervida sostenitrice se non si era capito) spero che l’aggiornamento soddisfi voi lettori.
Le recensioni non sono tante ma io non mi abbatto e spero che siate semplicemente restii a mostrarmi il vostro parere.
Con tanto affetto
Shin4

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Capitolo 9
*** L'Ultima Volta ***


Nota d’Autrice
Anche se all’inizio manca un po’ di particolari, non me la sono sentita di modificarlo più di tanto. Ha ceduto all’edonismo della prima stesura.
Per la verità ho preferito concentrarmi sulla seconda parte, decisamente più interessante e coinvolgente,
piuttosto che propinarvi due capitoli separati, che a mio avviso, non avrebbero fatto altro che prolungare troppo l’attesa.
Questo brano l’ho scritto cercando di infondervi tutte le mie emozioni.
Adesso vi lascio alla lettura sperando che un po’ della mi anima possa raggiungere anche i vostri cuori.
 

L’Ultima Volta
 
Era stata una vera ordalia convincere Ran e Sonoko a portarlo con loro, ma alla fine era riuscito nel suo intento.
La sera precedente, dopo aver spiato i due ignari agenti dell’FBI, aveva girovagato a lungo per elaborare un piano d’attacco. L’aria pungente del crepuscolo lo aveva colto ancora in mezze maniche dopo la partita di calcio, ma non era di certo bastato a fermarlo.
Conan non aveva potuto fare a meno di chiedersi se non ci fosse una strategia migliore di quella che sarebbe stata adottata dall’FBI. Loro, costretti dalle circostanze, non avrebbero potuto intervenire direttamente senza rivelare la fuga di informazioni e il conseguente coinvolgimento dell’agente della CIA, Hidemi Hondo alias Reina Mizunashi, infiltrata di nuovo tra i ranghi di quei maledetti con tanta fatica. Si sarebbero quindi limitati a controllare i computer, nella vana speranza di poter ricostruire i dati, che sarebbero sicuramente stati accuratamente cancellati, mentre Kir avrebbe cercato, se possibile, di farne una copia.
No, non ci si poteva limitare ad un’azione cosi marginale. Era di estrema importanza entrare in possesso di quelle ricerche.
Lui per primo doveva agire: non poteva permettere che l’Organizzazione continuasse i suoi studi e ottenesse nuove risposte sull’APTX4869, altrimenti avrebbero potuto scoprire che né lui né Shiho erano effettivamente morti.
E allo stesso modo, purtroppo, se erano davvero quelli i dati contenuti nei dischetti, nemmeno l’FBI avrebbe dovuto analizzarli: nemmeno loro dovevano ancora venire a conoscenza della sua reale identità, perché, più persone l’avessero saputo, più grande sarebbe stato il rischio che la notizia giungesse alle orecchie sbagliate.
E così, camminando per le strade di Beika, scosso dal freddo e dagli starnuti, era finalmente giunto ad una soluzione.
Gli era improvvisamente tornato in mente l’invito alla festa di inaugurazione del nuovo ristorante e non aveva trovato soluzione migliore per entrare indisturbato in quell’edificio, in cui erano temporaneamente custodite le informazioni a cui tanto anelava.
Quando arrivò all'ingresso del grattacielo Ikuzo insieme alla sua amica di infanzia, rimase però parecchio stupito nel ritrovarsi davanti, oltre alla ricca ereditiera, anche Sera.
“Ciao ragazzi!” li accolse quest’ultima sorridendo.
“Quando oggi ha saputo che avresti portato anche quel marmocchio è voluta venire a tutti i costi!” spiegò Sonoko rivolgendosi direttamente a Ran.
“Oh no” pensò il ragazzino. Non poteva allontanarsi come previsto se anche Sera gli avesse tenuto gli occhi addosso per tutto il tempo. Con un meraviglioso, quanto finto sorriso, salutò comunque le altre ragazze, rimuginando, intanto, ad una soluzione.
 
Il locale che si presentò loro davanti era bello da togliere il fiato.
Lo stile occidentale ultramoderno regnava incontrastato: le linee morbide e ricercate avvolgevano tutto l’arredamento, regalando una forte sensazione di continuità all’intera sala. Il bianco candido dei tavoli risaltava in contrasto alle rifiniture in oro e nero delle pareti. La luce calda e soffusa delle candele si rifletteva sulle posate d’argento, creando eccentrici giochi di luce. Delle immense vetrate si aprivano sullo sfondo su una vasta terrazza, permettendo una meravigliosa vista della città notturna illuminata. E infine, una musica dolce permeava l’ambiente, dando un ulteriore tocco di classe all’intera atmosfera.
“Ohh” mormorò Ran estasiata non appena fece il suo ingresso nella sala.
La stessa espressione rapita si rispecchiava nei volti dei due detective.
“Eh già, puoi ben dirlo” sogghignò Sonoko mentre con una mano richiamava l’attenzione di un cameriere.
Furono accompagnati ad uno dei tavoli di fianco alla vetrata, proprio vicino al palchetto dove, più tardi, una giovane cantante avrebbe intrattenuto gli ospiti per il resto della serata. Si sedettero smarriti, lanciando sguardi attoniti agli altri presenti nella sala, ancora sorpresi da tanta magnificenza.
 
La cena proseguì in modo piacevole fra le chiacchiere delle ragazze, che finalmente si erano lasciate andare, riacquistando un po’ di sicurezza.
E mentre si avvicinava l’ora in cui Conan avrebbe dovuto inevitabilmente lasciare il tavolo per andare a controllare il piano superiore, diverse portate si susseguirono l’una all’altra fino ad arrivare ad una fantastica torta al liquore e panna.
“Wow che mangiata ragazzi” esclamò Sera sospirando sonoramente.
“Già, grazie davvero Sonoko per averci invitate qui” sorrise Ran sincera all’amica, che liquidò il tutto con un gesto della mano.
Il tintinnio delle posate si stava quietando e mentre gli ospiti più lontani si alzavano dai rispettivi tavoli per sistemarsi attorno al palco, una ormai nota quanto fastidiosa sensazione di calore e vertigine si stava impossessando del ragazzino, che era rimasto zitto per la maggior parte del tempo.
“Ma che diavolo succede, perché sento così caldo?”
I primi sospetti si stavano insinuando nella sua mente e non erano certo confortanti.
“Sonoko-neechan sai per caso dirmi che cosa c’era nella torta che abbiamo assaggiato per ultimo?”
“Se non ricordo male era un pan di spagna alla panna e fragole imbevuto in tre liquori diversi” rispose lei pensierosa.
“Non sarai mica ubriaco Cona-kun?” domandò Sera, trattenendo a stento una risata.
Un’occhiata preoccupata di Ran lo raggiunse all’istante.
“No, no, era solo che era davvero buona!” replicò lui cercando di non far trasparire i primi segni del malessere.
Se come sospettava fra quelli c’era anche il Paikal si potevano spiegare molte cose. Ma continuava a non capire come avesse potuto attivare la trasformazione, poiché era certo che, come gli aveva spiegato il professore, e in seguito anche Ai, non avrebbe più dovuto fare effetto dopo la prima volta che l’aveva bevuto per colpa di Heiji.
Eppure un forte dolore al petto gli tolse il fiato, levandogli al contempo ogni dubbio.
“Ran-neechan io devo andare un attimo al bagno” si affrettò quindi a dire lui, alzandosi bruscamente dalla sedia.
“Che c’è Conan-kun, forse non ti senti bene?”
“No è tutto a posto. Torno presto” rispose lui con un sorrisino tirato per poi allontanarsi di corsa, cercando di districarsi fra la folla verso l’uscita della sala.
 
Sera, non appena era venuta a conoscenza della festa, aveva fatto di tutto pur di partecipare.
Il suo istinto da detective le aveva suggerito che, se il ragazzino con gli occhiali si era dato tanta pena pur di convincere l’eccentrica ereditiera, allora era davvero un’occasione da non perdere. Sospettava che le risposte che da tempo cercava si nascondesseroo in qualche modo all’interno di quell’edificio.
E quando aveva visto l’espressione stupita e contrariata del ragazzino non aveva potuto non gioire: anche se non sapeva ancora come, era certa che avrebbe presto ottenuto le conferme che da tempo aspettava.
L’aveva osservato con circospezione per tutta la sera. Aveva sempre mantenuto il classico atteggiamento innocente e rilassato per quasi tutta la durata della cena, intervenendo nella conversazione con qualche commento curioso, e al contempo sagace, solo ogni tanto, giusto il necessario per ricreare un’interpretazione perfetta, degna di un ottimo attore.
Si era, quindi, immediatamente accorta, verso la fine, che c’era qualcosa di strano: il suo comportamento era mutato improvvisamente, come se qualcuno lo avesse pungolato sulla sedia. I lineamenti dolci del viso si erano fatti tirati e il corpo aveva acquisito una rigidità innaturale.
“Ran, non credo che Conan-kun stesse molto bene” commentò una volta che il ragazzino si fu dileguato fra la folla.
“Dici che dovrei andare a controllare?” rispose l’altra preoccupata.
“Forse è meglio”
“Ma no, probabilmente avrà semplicemente mangiato un po’ troppo. Non hai visto come si è fiondato sulla torta il moccioso?” replicò Sonoko, fermando sul nascere il tentativo delle ragazze di seguire il bambino.
Quelle parole però non fugarono del tutto i dubbi di Ran e tanto meno quelli di Masumi.
“Dai ragazze lo spettacolo sta per cominciare, non possiamo allontanarci proprio adesso”
“E se avesse bisogno di aiuto?” domandò Ran in risposta.
Sera sostenne il suo sguardò solidale, non tanto preoccupata per come potesse stare, quanto per quello che potesse fare.
“Ran facciamo cosi” disse allora Sonoko per tranquillizzare l’amica “Se non torna entro poco andremo a cercarlo, ok?”
Solo un lieve “Va bene” fece capolino dalle labbra di Ran, mentre quelle di Sera si stiravano in una chiara espressione di scontento.
Avrebbe seriamente voluto seguire il ragazzino, ma non poteva allontanarsi anche lei senza far insospettire ulteriormente la mora. Una sensazione non ben identificabile sconfisse anche il suo ultimo tentativo di resistenza.
Rimase seduta al tavolo contemplando la sala, sperando con tutto il cuore che i suoi sospetti fossero infondati.
 
Ma la giovane detective aveva ragione, Conan che si era rinchiuso in uno degli stanzini dei bagni, stava soffrendo enormemente a causa dell’imminente trasformazione. Teneva i denti digrignati, cercando di non lasciarsi sfuggire nessun suono, per evitare di attirare l’attenzione di qualcuno che, al posto di un bambino, avrebbe presto ritrovato un giovane diciassettenne seminudo rannicchiato sul pavimento.
Un ultima scossa, più forte delle altre, fece tremare il suo corpo e il piccolo non riuscì più a trattenersi dal gridare.
Si ritrovò steso sul marmo freddo, con i vestiti di Conan, che non era riuscito a togliersi in tempo, fatti a pezzi attorno. Fortunatamente il suo urlo era stato coperto dall’acuto della giovane solista che, a chiusura della prima canzone, aveva suscitato uno scroscio di applausi.
Shinichi si osservò allo specchio: aveva riacquistato il suo corpo da liceale nel momento meno opportuno e soprattutto senza capire bene come. Inutile farsi domande di cui non aveva la risposta, meglio sfruttare l’opportunità fintanto che l’effetto temporaneo del liquore persisteva.
Il problema successivo era trovare dei vestiti che scovò però, senza troppe difficoltà, nella stanza accanto riservata al personale: una divisa da cameriere con giacca e pantaloni neri accompagnata dall’immancabile camicia bianca. Prese anche un cappellino con visiera, dimenticato lì, con ogni probabilità, da qualche inserviente. Gli sarebbe tornato utile per nascondere almeno parzialmente il volto, nel caso in cui ci fossero state delle telecamere al piano superiore che, a causa di Masumi, non era ancora riuscito a controllare.
Dopo aver buttato i resti dei suoi vestiti ed aver recuperato il farfallino cambiavoce e l’orologio anestetizzante, mandò rapidamente un messaggio a Ran in cui diceva che, sentendosi poco bene a causa di una probabile indigestione, aveva chiamato il dottor Agasa per farsi venire a prendere e avrebbe passato la notte da lui.
In teoria se si fosse ripetuta la scena della prima volta, l’effetto del Paikal non sarebbe durato per più di una mezz’ora circa, ma dato il risvolto inaspettato della serata era meglio prendere le adeguate precauzioni, anche perché non poteva rimanere chiuso in bagno aspettando che l’effetto passasse. Doveva approfittare di quel poco tempo guadagnato per fermare lo scienziato e recuperare i dischetti prima del fatidico incontro.
E cosi mentre la festa proseguiva immutata di sotto, Shinichi, salite le scale di servizio, iniziò ad avventurarsi con cautela per i corridoi del 50-esimo piano.
Fortunatamente di telecamere in vista non ce ne erano. Evidentemente quegli uomini tenevano a tal punto al proprio anonimato da peccare in sicurezza. Meglio per lui.
Un lieve bagliore spiccava da sotto la porta dell’ultima stanza in fondo, e mentre si avvicinava con cautela riuscì a captare anche qualche parola. Si infilò nella stanza attigua, cercando di fare meno rumore possibile. Se la struttura era identica, come sembrava, a quella dei piani inferiori allora i muri divisori sarebbero stati abbastanza sottili da permettergli di capire, almeno un minimo, ciò che stava avvenendo nell’altra stanza. Il suono ovattato di una conversazione giunse alle sue orecchie e anche se, non coglieva del tutto il senso delle parole, almeno poteva dedurre dalle voci che fossero solo in due.
“Hai finito di copiare i dati?” chiese uno con tono burbero.
“Fatto, fatto! Non mi resta che eliminare ogni documento dal computer” disse l’altro con voce stridula e allarmata.
“Muoviti, il nostro incontro è fissato per le 23 precise e sai che a Gin non piace aspettare.”
“S-si si certo, faccio in fretta.”
Dal tono della conversazione sembrava proprio che le informazioni dell’FBI fossero corrette. Il primo uomo doveva essere quello assoldato dall’Organizzazione come guardia del corpo, quanto al secondo, era indubbiamente il giovane scienziato che si era trovato implicato per caso in quella brutta situazione.
Che grave errore non voler dare assolutamente nell’occhio. Dovevano pensare che nessuno sarebbe potuto venire a conoscenza dello scambio, altrimenti non sarebbero stati così incauti.
Shinichi sorrise tra sé e sé: era certo che quei dati fossero importanti se si premuravano di rimuoverli non appena il flusso normale e controllato all’interno dell’edificio veniva alterato e se per di più Gin si era scomodato per ricevere i file in prima persona.
Il detective si apposto dietro la porta pronto ad intervenire.
Il ronzio di sottofondo era cessato, chiaro segno che il computer fosse finalmente stato spento e che gli uomini si apprestassero a lasciare la stanza.
Non appena quei due uscirono in corridoio, avviandosi nella sua direzione, lui aprì di colpo la porta, mandandola a sbattere contro l’uomo più grosso. A giudicare dal rigonfiamento della giacca, quella doveva essere la guardia armata.
L’ingresso in scena del ragazzo li prese entrambi di sorpresa e ciò permise a Shinichi di mettere fuori gioco il primo con un calcio allo stomaco ben assestato.
Lo scienziato, che si era fatto prendere dal panico, si riprese in fretta e, raccogliendo da terra la pistola estratta per metà dal suo collega, si diede alla fuga.
Shinichi, impegnato con l’uomo che era svenuto cadendogli sopra, lo vide passargli da parte con ancora il camice bianco stampato addosso.
Controllò rapidamente le tasche del primo, assicurandosi che non fosse in possesso dei dischetti incriminanti e poi seguì il secondo, che intanto aveva raggiunto le scale.

 
Due piani più sotto le ragazze si erano allontanate dalla sala, per andare in cerca del ragazzino con gli occhiali che non era più tornato. Ran non aveva più avuto sue notizie ed ora, visibilmente preoccupata, si aggirava per i corridoi cercandolo, ovviamente senza particolare successo.
“Ma dove si sarà cacciata quella peste? Mi sto perdendo tutto il concerto per colpa sua” brontolò Sonoko, che sarebbe volentieri rimasta alla festa.
“Ran prova a vedere se ti ha inviato qualche messaggio” provò a suggerire Masumi, l’unica delle tre che manteneva la calma.
“Aspetta” replicò lei fermandosi davanti alle scale principali e frugando vigorosamente nelle tasche della borsa alla ricerca del cellulare.
“Oh sì, c’è un messaggio di Conan! Dice che ha avuto un indigestione e si è fatto venire a prendere dal dottore.” Si scusò la ragazza dispiaciuta di aver creato scompiglio.
“Visto? Cosa ti avevo detto io?” ribadì l’ereditiera.
“Ma non poteva chiamarmi o venire a dirmelo di persona?” continuò Ran
Sera si fece scura in volto ma rispose con calma “Probabilmente se stava male non avrà voluto venire a cercarti in mezzo alla calca di gente e sapendo che non avresti sentito l’avviso di chiamata avrà optato per il messaggio”
“Già può darsi, beh speriamo che non sia nulla di grave.”
Il gruppo venne interrotto bruscamente dal rumore dello sbattere di una porta.
Le tre, voltandosi simultaneamente, videro un uomo correre verso la loro direzione. Aveva il volto pietrificato dal terrore e gridava “Lasciami stare, non ho fatto nulla di male!” come se un mostro inumano fosse proprio dietro di lui.
“Ma che diavolo…” tentò di dire Sonoko, chiaramente confusa a quella vista.
“Attente ragazze quel tizio non mi piace, in più sembra avere qualcosa di strano in mano” precisò Sera, parandosi davanti alle altre due e disponendosi in posizione da attacco.
All’improvviso un’altra figura comparve in fondo al corridoio, alle spalle del primo uomo, del tutto impegnato nell’inseguimento.
“Toglietevi di lì! Quel tizio è armato e pericoloso!”
Il cuore di Ran mancò un battito. Quella voce l’avrebbe riconosciuta d’ovunque possibile che…
Lo scienziato si scaraventò giù dalle scale, passando loro da parte senza degnarle nemmeno di uno sguardo, mentre l’altro stava chiaramente recuperando terreno.
“Andate immediatamente via di qui e chiamate la polizia. Al piano superiore in fondo al corridoio c’è un uomo svenuto che va preso immediatamente in custodia”
Mentre Masumi e Sonoko, perplesse da quelle parole, stavano ancora tentando di capire che cosa stava succedendo, il cuore di Ran si arrestò per la seconda volta.
Il ragazzo le sorpassò a sua volta e si lanciò per le scale lasciandosi scivolare sul corrimano.
Un colpo di pistola squarciò il silenzio e gli fece volare via il cappello dalla testa.
“SHINICHI!” urlò Ran sconvolta per l’improvvisa apparizione del ragazzo che era sempre nei suoi pensieri.
“Ehhh! Ma non è possibile!” articolò Sera del tutto colta di sorpresa.
“Oh mio Dio” le fece eco la terza incapace di mormorare qualcosa di più.
Il ragazzo atterrò sullo scienziato dando un calcio alla pistola che volò lontano sul pianerottolo. Si accasciarono momentaneamente entrambi per la botta ricevuta.
Lo scienziato si districò per primo da quella mischia di gambe e di braccia. Si lanciò giù dall’altra rampa di scale, cercando di guadagnare sul poco vantaggio ricevuto.
Nel frattempo anche Shinichi si era ripreso, e con un sorriso malizioso stampato in volto, raccolse uno dei due dischetti che l’uomo aveva evidentemente lasciato cadere per sbaglio. Si rialzò in piedi e, senza curarsi degli sguardi sbalorditi delle ragazze, rincorse il suo uomo fino a giungere davanti le porte dell’ascensore del piano inferiore, che si chiusero però davanti a lui.
“Accidenti, se non mi dò una mossa lo perderò” pensò prendendo il secondo ascensore e pregando che questi si sbrigasse a scendere.
Intanto la giovane bruna si riscosse dal torpore quando una grande rabbia, mista ad apprensione, iniziò ad affacciarsi nel suo cuore. Cosa diavolo stava succedendo? Perché l’aveva degnata a malapena di uno sguardo, senza curarsi affatto di lanciarsi nel mezzo del pericolo? Soprattutto quando in teoria LUI doveva trovarsi dall’altra parte del mondo?
Non aveva intenzione di lasciarlo andare questa volta.
Si lanciò nell’inseguimento mentre Sera tentava inutilmente di fermarla afferrandole una spalla. “Aspetta Ran!”
Ma la prima dirigendosi di fretta giù per le scale replicò “Ragazze io lo inseguo, intanto voi chiamate la polizia”
“No Ran fermati, potrebbe essere pericoloso!” gridò Sonoko rivolta, ormai, ad una scala vuota.
“Lascia perdere, avvisiamo la polizia e cerchiamo di capire cosa sta succedendo qui” disse decisa Sera prendendo in mano la situazione.
La gente, intanto, che aveva sentito lo sparo, iniziava ad affacciarsi sul corridoio basita e ad accorrere per capire l’origine di tutto quel trambusto.
 
Gli altri due nel frattempo avevano raggiunto l’uscita. Lo scienziato tentava di dileguarsi zizzagando in mezzo gente. Shinichi gli stava alle calcagna, seguito a ruota da Ran che, intanto, aveva iniziato ad urlare il suo nome.
Il ragazzo fece uno scatto per aumentare la distanza da lei e impedire che lo raggiungesse.
Si fermò un momento per scrutare la folla e cercare di capire quale direzione avesse preso il malvivente, riuscendo ad intravedere un camice bianco che scompariva all’interno di un vicolo.
Raggiunto però l’ingresso notò che non si vedeva più nessuno.
Avanzò correndo, ma quelle viette tortuose, che si dipanavano davanti a lui come un labirinto, l’avevano messo in scacco. L’aveva perso.
Una nuova fitta al petto lo scosse all’improvviso mozzandogli il respiro. Si appoggio con una mano al muro respirando forte. Per la corsa e l’adrenalina si era scordato che l’effetto temporaneo del Paikal sarebbe durato poco ed ora il tempo stava per scadere.
Un flash lo colse all’improvviso: Ran lo aveva seguito fra la folla. Era abbastanza sicuro di averla seminata ma se per caso avesse deciso di avventurarsi fra i vicoli l’avrebbe scoperto. Non poteva tornare bambino davanti ai suoi occhi, non adesso! E peggio ancora, dato che lo scienziato era fuggito a piedi, probabilmente il luogo d’incontro non era lontano, e lei rischiava di fare una brutta fine. Doveva fare qualcosa.
Tentò un passo, ma un’altra fitta dolorosa lo travolse, costringendolo a rimanere dov’era, stringendosi il petto per il dolore.
Molto probabilmente non sarebbe riuscito comunque ad allontanarsi di lì, ma una vibrazione alla gamba bloccò qualsiasi altra sua mossa. Qualcuno che ben conosceva lo stava chiamando al cellulare e lui le doveva almeno delle spiegazioni.
“Pronto, Ran?” rispose con voce calda e affannata per l’imminente trasformazione e la corsa.
“Shinichi dove diavolo sei? Cosa sta succedendo?”
“Ran non ho tempo adesso”
Ma la ragazza lo interruppe bruscamente “Mi avevi detto di essere all’estero e poi sbuchi così all’improvviso e sparisci nello stesso modo, inseguendo un tizio che per poco non ti sparava. Voglio sapere cosa succede!”
Sentì la rabbia e la preoccupazione trasparirle nella voce.
Cosa poteva dirle? Aveva così poco tempo. Perché doveva andare sempre così?
“Sono stato ingaggiato per un incarico per cui mi è stata chiesta la massima riservatezza. Mi spiace ma non ti posso fornire maggiori dettagli. È stata una richiesta esplicita del mio cliente ecco perché nessuno doveva sapere che mi trovavo in città”
“Bugie, bugie, sono tutte bugie!” Urlò la ragazza dentro il ricevitore.
“Ma…”
“Non c’era bisogno che mi spiegassi i dettagli, sai bene che se mi avessi chiesto di non farlo io non avrei detto niente a nessuno. Potevi avvertirmi, potevi venire a trovarmi, non ci vediamo da un secolo e sono convinta che adesso te ne andrai di nuovo come se nulla fosse successo. Non mi avresti mai detto di essere stato qui se non ci fossimo incontrati, vero?”
La ragazza attese, ma nessuna risposta arrivò dall’altro capo del telefono, soltanto respiri affannosi di un ragazzo che lei, non poteva sapere, stava soffrendo terribilmente sia nel fisico che nel cuore.
“Beh allora, rispondimi Shinichi! Io sono qui che non faccio altro che aspettare perché mi hai promesso che saresti tornato, ma tu sembri non curartene affatto. Non te ne importa nulla. Ti prendi gioco di me ed io come una sciocca sono qui ad aspettare.” Disse con il tono di voce che si affievoliva, riducendosi ad un sussurro.
Shinichi si accasciò contro il muro trafitto da mille invisibili lame. Non sapeva cosa replicare.
La ragazza che più amava e mai avrebbe voluto ferire distava solo pochi metri da lui e non poteva raggiungerla. Non poteva abbracciarla, non poteva guardarla, non poteva confortarla in nessun modo.
Anche il cielo sembrava provare dolore e le prime gocce di pioggia iniziarono a scendere sulla città, mentre le accuse di Ran gli scavavano un grosso solco nel cuore.
Oramai il tempo era quasi scaduto, fra poco non sarebbe più riuscito a parlare, doveva chiudere in fretta la chiamata, ma la lingua si era bloccata, conscio di essere davanti ad un momento decisivo per la sua vita.
Con un sorriso triste ed amareggiato rispose, rivolgendo il viso al cielo per accogliere le lacrime che il mondo aveva deciso di piangere per lui.
“Hai ragione, non è giusto che io ti faccia soffrire così. Vai avanti con la tua vita e dimenticati di me. Non aspettarmi più Ran”
Parole che gli uscirono di bocca pesanti come macigni mentre una lacrima solitaria si affacciava sul suo volto, accolta dalle guance già rigate di pioggia.
Non aggiunse altro perché un dolore insopportabile gli stava lacerando il petto costringendolo a richiudersi su se stesso scosso dagli spasmi.
Così mentre un urlo di dolore si scagliava nel cielo soffocato dal ticchettio dell’acqua e dai rumori della città, dall’altro capo del telefono una ragazza cadeva in ginocchio colpita da quelle parole.
“Non aspettarmi più Ran”
Una semplice frase che aveva la capacità di far crollare ogni sua certezza, più della sua mancanza, più della sua assenza, più delle sue sparizioni improvvise.
E allora non importava più se si trovava fradicia accasciata su un sordido marciapiede, perché tutto il suo mondo era appena andato in frantumi per colpa di quelle poche parole.

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Capitolo 10
*** Il buio che oscura ogni speranza ***


Il buio che oscura ogni speranza
 
L’aveva fatto.
Aveva detto quelle parole che mai avrebbe voluto sentire.
“Hai ragione, non è giusto che io ti faccia soffrire così. Vai avanti con la tua vita e dimenticati di me. Non aspettarmi più Ran”
L’aveva abbandonata.
Perse la presa sul telefono, che cadde insieme a lei sul marciapiede.
Le aveva dato ragione.
Aveva finalmente riconosciuto di averla fatta soffrire in tutto quel tempo che aveva passato lontano da lei, a risolvere casi sconosciuti.
Aveva capito che il cuore di una persona, per quanto forte e pieno del più sincero desiderio, non poteva continuare a battere all’infinito, mostrandosi sicuro senza avere altro che un’esigua speranza a cui aggrapparsi.
Le aveva chiesto di dimenticarsi di lui.
Avrebbe dovuto scordarsi il suo volto che le regalava timidi sorrisi, riservati a nessun altro tranne che a lei.
Avrebbe dovuto cancellare dai ricordi quei lineamenti perfetti, incorniciati dai ribelli capelli corvini, che mai sarebbero dovuti appartenere ad un essere mortale.
Avrebbe dovuto estirpare dalla sua mente quei profondi occhi blu oceano che la scrutavano fin negli abissi dell’anima, come se nulla potesse opporsi a quella dirompente fiamma che era il suo sguardo.
Le aveva detto di smettere di aspettarlo.
Come avrebbe potuto credere anche per un solo istante che sarebbe andata avanti con la sua vita se ogni sua minima certezza, ogni sua minima speranza, era appena crollata in risposta a quelle parole?
Il suo futuro si era sgretolato fra le sue mani, fuggendo al vento come un pugno di sabbia.
Un nero baratro l’aveva accolta offuscando i suoi sensi.
I suoi occhi non vedevano più la gente passarle accanto.
Le sue orecchie non sentivano più i rumori della città, lo strombazzare dei taxi e il vociare delle persone.
Il suo corpo non percepiva più il freddo dell’asfalto sotto le sue ginocchia e il peso dei vestiti che si erano appiccicati addosso per la pioggia battente.
Era rimasta sconvolta quando l’aveva visto apparire sulle scale, bellissimo in quel completo nero.
Una rabbia travolgente aveva preso poi il posto del più semplice stupore, spingendola a rincorrerlo per potergli finalmente parlare faccia a faccia e cercare di leggere tutte le spiegazioni nei suoi occhi.
Ma era stato del tutto inutile costringere le sue gambe a seguirlo, fino ad avere il fiato corto per la corsa e la gola in fiamme per aver gridato il suo nome: l’aveva perso fra la folla.
Era rimasta ferma, in piedi sul marciapiede, non sapendo dove andare. La borsa l’aveva lasciata cadere al 48esimo piano, ma in mano stringeva ancora il cellulare, estratto poco prima per leggere il messaggio di Conan. Invece che prendere una direzione a caso, aveva tentato come ultima speranza di chiamarlo per capire dove fosse e raggiungerlo.
Quando Shinichi aveva risposto, malgrado fosse ancora schiumante di rabbia, il suo cuore aveva reagito prima della mente, mandandole un brivido in tutto il corpo.
Perché, nonostante anche lui avesse il respiro rotto per la corsa, la sua voce calda e roca aveva pronunciato il suo nome con delicatezza, come se la lingua ne accarezzasse gli spigoli e lo arrotondasse.
Come al solito però, non aveva trovato risposta alle sue domande e, quando si era accorta che lui non provava nemmeno più a propinarle qualche inutile scusa, una sensazione di gelo si era fatta largo dentro di lei.
Ogni gioia, tranquillità e sicurezza provata giusto qualche sera prima, aveva lasciato il posto al terrore che le sue paure più grandi fossero vere: che a lui non importasse di lei quanto i suoi casi, che la dichiarazione di Londra non fosse stata altro che una mera costrizione, un cumulo di parole vuote per farla stare buona, che lui non avesse fatto altro che prenderla in giro.
Quindi, quando ne aveva trovato conferma nella sua ultima frase d’addio, non sarebbe bastata nessuna diga per arginare il mare di lacrime che le aveva inondato il viso.
Nessuna parola, nessuna carezza, le avrebbe mai più dato pace in un mondo in cui lui era scomparso per sempre.
 
Anche soltanto l’immagine evocata dalla sua mente di quei grandi occhi azzurro-lillà, pieni di dolore e mille domande, era stata impossibile da sopportare.
Si era illuso anche troppo a lungo che quell’apparenza di vita potesse durare in eterno.
Aveva finalmente dovuto accettare l’inevitabile.
Ran era sempre stata una ragazza forte, solare, che cercava il buono nelle persone. Aveva un animo sensibile che la portava ad addossarsi il peso e le colpe di chi le stava attorno, incurante di ciò che comportava per lei.
Meritava molto di più di quanto lui ora potesse offrirle.
Non avrebbe potuto dirle altre bugie per giustificare la sua assenza, consapevole che queste non avrebbero portato nulla se non altra sofferenza.
E se, per non metterla in pericolo, non poteva raccontarle la verità sulla sua condizione, allora non poteva fare altro che allontanarla da sé.
Le aveva quindi disintegrato il cuore e calpestato l’anima per portarla ad odiarlo con tutta se stessa, perché sperava che, una volta superato il dolore, avrebbe trovato qualcun altro che potesse starle accanto e dimostrarle il suo amore ogni giorno, come lui non poteva fare.
Non importava come le conseguenze di quelle azioni si ripercuotessero su di lui.
Se questo lo avesse lacerato più di ogni altra cosa.
Se ogni singola parola detta lo avesse trafitto mille volte al cuore.
Se rinunciare a lei significava rinunciare a vivere.
Aveva preservato il suo unico sole, con tutta la sua luce e la sua purezza, che prima o poi si sarebbe levato di nuovo alto nel cielo, lasciando lui affondare sempre di più nelle tenebre.
Ora si sentiva vuoto e perso, ogni sua emozione era stata lavata via dalla pioggia.
Shinichi Kudo era morto: anche l’ultimo legame con la vita era stato tranciato di netto.
Non ci sarebbero state più visite, né telefonate, sarebbe rimasta soltanto l’ombra di ciò che era stato.
La maschera di Conan Edogawa era l’unica cosa che d’ora in avanti la gente avrebbe visto di lui.
Ma avrebbe sopportato qualsiasi dolore, qualsiasi tortura, qualsiasi ingiustizia che il destino crudele e impietoso gli offriva, sapendo che Ran sarebbe stata al sicuro.
Quella sera infatti, lasciandosi sfuggire lo scienziato e recuperando un solo dischetto, aveva lasciato che l’Organizzazione scoprisse che c’era qualcun altro, oltre all’FBI, sulle loro tracce. Avrebbero fatto di tutto per scovarlo ed ucciderlo.
In più, se per puro caso, quello nelle sue mani fosse stato il dischetto sbagliato, loro avrebbero capito anche che Shinichi Kudo non era morto quel fatidico giorno a Tropical Land, ma era tornato bambino, e gli avrebbero dato la caccia, eliminando sistematicamente ogni persona che gli era accanto, solamente per farlo venire allo scoperto.
Non avrebbe mai potuto permettere che Ran andasse a fondo con lui, quindi la scelta era stata facile: non importava ciò che fosse meglio per lui, lasciarla andare era stato l’unico modo per poter preservare ancora una volta la sua sicurezza.
Cercò di riscuotersi dalla situazione in cui si trovava. Per quanto avrebbe voluto rimanere lì da solo, nascosto agli occhi del mondo, non poteva concedersi altro tempo.
Rannicchiandosi contro al muro per ripararsi un minimo dalla pioggia, iniziò a comporre il numero del dottor Agasa che rispose al terzo squillo
“Shinichi come mai mi chiami a quest’ora? Non dovevi essere al ristorante con Ran?”
“Professore ho bisogno che lei mi venga a prendere immediatamente. Mi trovo nelle vicinanze del grattacielo Ikuzo ma non posso muovermi di qui. Chieda ad Haibara di accompagnarla con il secondo paio di occhiali da inseguimento. Porti anche un cambio di vestiti. A fra poco.”
Chiuse bruscamente la conversazione. Aveva esaurito le forze e ora non poteva fare altro che aspettare.
Lasciò che il freddo e l’acqua lo invadessero completamente, trascinandolo a fondo nel vortice del suo dolore.
 
In un vicolo buio, poco lontano dal dramma dei due giovani, un uomo fumava nervosamente aspettando sotto una tettoia coperta, appoggiato ad un porche nera 356A.
“Ci stanno mettendo troppo”
“Tranquillo Gin, sono passati solo 5 minuti dall’orario previsto, arriveranno” cercò di rassicurarlo la donna, che aveva notato la tensione e la rabbia che già si stavano affacciando sul suo volto.
“Sai che non mi piace aspettare Kir” replicò infatti l’uomo bruscamente, trafiggendola con due verdi occhi freddi.
Una figura sfocata apparve improvvisamente davanti a loro, facendosi via via sempre più nitida. Si avvicinò correndo in modo scomposto, fino a fermarsi a qualche metro di distanza sotto la pioggia battente.
“Perché sei da solo? Dov’è Fernet?” chiese Gin gettando via la sigaretta.
Il giovane scienziato rispose tremante più per la paura che per il freddo “C’è stato…un imprevisto.”
“Che cosa diavolo intendi dire?”
“Qualcuno sapeva del nostro incontro e ci ha intercettato. Io sono riuscito a fuggire ma credo che Fernet si trovi ancora svenuto all’interno del palazzo.”
“Cosa? Com’è possibile?” domandò Kir agitata, pregando che l’FBI non avesse tentato qualche cosa di stupido ed avventato.
Gin lo fissava con occhi di ghiaccio “Prima i dischetti” disse solamente.
Lo scienziato si frugò nelle tasche e con lo sguardo pieno di terrore replicò “Ne ho uno solo, l‘altro devo averlo perso quando sono caduto.”
Gin era letteralmente furioso. Chi diavolo aveva osato mettersi in mezzo e rovinare i suoi piani?
Estrasse rapidamente la pistola e la puntò alla testa dell’uomo.
“Vi siete fatti beccare dalla polizia? Dall’FBI? Chi è che vi ha seguiti? Rispondi!”
“N-non lo so” balbettò a malapena questo “Sembrava solo un ragazzo ma non l’ho visto bene in volto, non saprei dire se fosse...”
Il colpo partì e prima ancora che l’uomo potesse finire di parlare, si ritrovò accasciato a terra morto con un foro sanguinante in mezzo alla fronte.
Kir fissava attonita il corpo e, cercando di recuperare il proprio autocontrollo e non mostrarsi scossa da quell’azione brutale, disse parlando fra i denti
“Non sei stato un po’ precipitoso? Forse avrebbe potuto darci qualche informazione in più su chi ha intercettato i nostri dati.”
“Sarebbe stato inutile, era chiaro che non sapesse niente. Per di più è probabile invece che quel tizio ficcanaso abbia visto bene il nostro uomo e non potevamo permettere che tramite lui risalisse anche a noi.”
“Ma Rum…”
“Rum non è qui ora”
La donna non osò replicare. Non era facile trattare con Gin già normalmente, ora stava pericolosamente camminando sul filo del rasoio.
Lo guardò accovacciarsi accanto al corpo, per frugare nelle tasche e verificare che davvero il secondo dischetto non ci fosse.
“Questo imprevisto non mi piace, assolutamente non mi piace”
“Non riesco a capire se si sia trattato di un puro caso oppure se qualcuno ci stia dando la caccia.” asserì la donna, pensando a come la sua contromissione fosse appena andata in fumo.
“Beh, in ogni caso lo scoveremo presto” ribatté l’altro, con un sorriso sadico che si era impossessato del suo volto “e ci riprenderemo quello che è nostro.”
“Bourbon?”
Un’implicita domanda che nascondeva molte cose. Sapeva bene quanto poco Gin sopportasse quell’uomo, ma ciò non gli impediva di usarlo quando era strettamente necessario.
Lui accennò a un rapido cenno del capo.
“Adesso andiamo, dobbiamo allontanarci in fretta da qui” e risali in macchina senza proferire ulteriore parola.
Quella faccenda non piaceva proprio nemmeno a lei. Era abbastanza certa che questa intromissione non fosse dovuta all’FBI. Evidentemente una terza parte era entrata in gioco sconvolgendo i piani. Ma di chi poteva trattarsi?
 
La telefonata l’aveva decisamente disturbata.
Non che avesse particolarmente sonno, era abituata a fare tardi lavorando nel suo piccolo laboratorio, ma era insolito riceverne a quell’ora.
Si avvicinò incuriosita al dottor Agasa, ancora intento a fissare preoccupato la cornetta. C’era una sola persona che poteva destare quel genere di reazioni.
“Cos’ha combinato stavolta quell’irresponsabile di Kudo?” lo precedette ancor prima che aprisse bocca.
“Non lo so Ai. Ha riattaccato subito”
“Cosa le ha detto?”
“Mi ha chiesto di andarlo a prendere, specificando che dovevi venire anche tu con gli occhiali da inseguimento e…” esitò un attimo prima di continuare “un cambio d’abiti.”
La ragazzina lo guardò perplessa, rivolgendo poi lo sguardo alla finestra. Aveva da poco iniziato a piovere forte.
“Ma non doveva essere ad una tranquilla cenetta stasera?”
Quella mattina aveva assistito allo spettacolino di lui che cercava a tutti i costi di convincere Sonoko a portarlo alla festa. Quando l’aveva raggiunta, tutto soddisfatto, aveva chiesto spiegazioni ricevendo in risposta un imbarazzato “Non è nulla”.
Notando il lieve rossore sulle guance e le battutine sagaci che l’ereditiera lanciava in continuazione alla ragazza dell’agenzia, riguardo alle incredibili conoscenze che avrebbe potuto fare quella sera, aveva sorriso divertita di rimando. Aveva creduto infatti, che il ragazzino innamorato avesse deciso di partecipare per tenere sotto controllo la sua bella.
Ma adesso, ripensando al suo ostinato silenzio, una nuova interpretazione dei fatti solleticava la sua mente. Le si era chiuso lo stomaco.
Vedendo la sua espressione farsi improvvisamente allarmata il professore aveva cercato di sdrammatizzare
“Probabilmente sarà rimasto bloccato sotto la pioggia”
L’unico risultato fu un’occhiata piuttosto eloquente da parte della piccola scienziata. Shinichi non era affatto il tipo da farsi fermare da un piccolo inconveniente come un rovesciamento atmosferico.
Non avendo ottenuto miglioramenti, il dottor Agasa si affrettò poi nella ricerca delle chiavi dell’auto “Ti aspetto qui fuori Ai”.
La ragazza fece un cenno d’assenso. Recuperati i vestiti puliti, scese in laboratorio per prendere anche gli occhiali speciali. Prima di uscire, non riuscì però a trattenersi dal guardare in direzione del cassetto della scrivania. Lo aprì e controllò con cura che nulla fosse stato toccato.
Era ancora tutto al suo posto, scatola delle medicine compresa.
Effettivamente, se lui avesse preso uno dei suoi antidoti, l’effetto sarebbe durato per 24 ore e non sarebbe sicuramente potuto entrare nel maglioncino blu per bambini che teneva, al momento, sotto al braccio.
Questa considerazione non bastò comunque a tranquillizzarla.
Risalì le scale e raggiunse rapidamente l’uomo baffuto.
Chiudendo la portiera dell’auto dietro di sé, affermò “Credo che sia più grave di quanto pensi. Ho un brutto presentimento professore, sbrighiamoci.”
 
Un cordone di luci lampeggianti rosso e blu circondava l’ingresso del grattacielo.
Due persone osservavano con aria afflitta la scena, nascoste fra le ombre dall’altro lato della strada.
“Hai chiamato tu la polizia?”
“No, non so nemmeno come abbia fatto ad arrivare qui prima di noi”
“Ma Jodie come è possibile che i nostri infiltrati non si siano accorti di nulla?” chiese sconcertato l’agente in capo all’FBI.
La donna emise un grosso sospiro. Non che il piano che avevano ideato fosse stato perfetto, tutt’altro, ma non si aspettava un risvolto così negativo.
“L’ordine era di tenersi a distanza e aspettare che lo scambio fosse concluso prima di controllare il 50-esimo piano e così hanno fatto”
“Ritrovandosi davanti un cadavere e un computer ormai inutilizzabile” concluse per lei James Black.
La tensione era palpabile. I loro sforzi per distruggere l’Organizzazione, che aveva ucciso suo padre e sua madre, costringendola ad una vita dura e piena di sacrifici, sembravano tutti vani. C’era sempre qualche dettaglio che sfuggiva alla loro comprensione e impediva loro di avere una vittoria schiacciante e definitiva.
Se andava bene avanzavano non più che di pochi passi, ma questa volta sembrava che fossero addirittura retrocessi.
“Abbiamo qualcosa in mano?”
“Neanche un indizio. Speriamo che Kir abbia avuto più fortuna”.
 
Il viaggio non durò molto, ma per tutto il tempo sul vecchio maggiolino giallo regnò il silenzio. I due rimasero immersi ognuno nei propri pensieri fino a che una minuscola figurina venne improvvisamente illuminata dai fari. Conan era rannicchiato in un angolo del vicolo completamente fradicio. Non appena la macchina si fermò, si alzò in piedi liberandosi dei pantaloni ormai troppo grandi per lui. Rimase solo con la camicia bianca che, appesantita dalla pioggia, gli scendeva oltre le ginocchia.
Salì in auto a testa bassa senza mostrare il minimo segno della sua solita baldanza. Evitò di proposito di incontrare gli occhi indagatori della ragazzina ramata che gli passava gli abiti puliti.
“Cos’è successo Shinichi?” chiese il dottore, lanciandogli un’occhiata piena d’ansia attraverso lo specchietto retrovisore mentre ripartiva.
Conan non rispose e iniziò a cambiarsi, nascondendo la testa nel maglione finalmente caldo e asciutto.
Ai, rivolgendo lo sguardo davanti a sé, per concedergli un minimo di privacy, ribadì
“Avanti Kudo ci devi delle spiegazioni.”
Dai sedili posteriori giunse solo il tonfo del cotone zuppo, lasciato cadere in malo modo.
“Perché indossi quei vestiti?”
Attese qualche secondo ma non ottenne alcuna risposta.
“Perché ti abbiamo ritrovato bagnato fradicio in un vicolo buio, con addosso una camicia che avresti potuto mettere solo con il tuo reale aspetto?”
Ma il bambino continuava a fissarsi le mani con insistenza, senza dire una parola.
“Adesso basta Ai, lascialo stare.” S’intromise Agasa per interrompere quella raffica di domande.
“No professore, non ci può chiedere di venire qui di corsa pretendendo anche che noi rispettiamo il suo improvviso mutismo!”
Ai in realtà, sotto la solita freddezza e indifferenza, era tremendamente spaventata dal comportamento del suo amico. Non era da lui non reagire alle provocazioni.
Cercò di scuoterlo voltandosi di nuovo verso di lui e gridandogli contro
“Mi hai per caso sottratto di nascosto un antidoto per far felice quella stupida ragazzina dell’agenzia?”
Sobbalzò bruscamente quando venne trafitta da due occhi blu freddi e distanti. Le aveva riservato una volta sola quello sguardo carico d’odio, al loro primo incontro, e le era bastato.
“Ran non è una stupida ragazzina” replicò scandendo chiaramente ogni sillaba per poi rivolgere la sua attenzione fuori dal finestrino.
La ragazza studiò il suo profilo alla luce intermittente della città. Era rigido e impostato, una linea dura marcava i lati della bocca, sottolineando il cipiglio scuro dello sguardo. Era chiaro che qualcosa non andava.
In quel momento passarono davanti all’ingresso principale del grattacielo, dove si erano fermate quattro auto della polizia.
“Prima che si divulghi qualunque tipo di notizia è meglio che sistemi le cose” disse in modo atono il bambino tirando fuori dalla tasca il telefono e il papillon cambia voce.
“Pronto, ispettore Megure? Si sono io, Shinichi Kudo”
Nell’udire quelle parole Ai chiuse gli occhi per assorbire l’impatto dell’ondata di terrore che l’aveva travolta.
Indipendentemente dalla ragione per cui fosse temporaneamente ritornato adulto, non era Ran il fulcro della questione.
Erano di nuovo nei guai.
 
Non appena saputo ciò che era successo, si era precipitato sul posto con gli uomini più fidati.
Ultimamente era difficile che quel ragazzo rimanesse coinvolto in qualche caso, ma quando capitava era sempre per qualcosa di strano. Si ricordava bene quando, fino a qualche mese prima, se lo ritrovava invece un giorno sì e un no su qualche scena del crimine. Come il padre prima di lui, Shinichi Kudo lo aveva aiutato a districarsi fra i casi più difficili. Nonostante la giovane età, grazie alla sua curiosità smodata e il suo intuito geniale era già un ottimo detective.
Ed ecco perché lui, che era l’ispettore di polizia, aveva prestato anche la più piccola attenzione alla ricostruzione che il ragazzo gli aveva appena fatto telefonicamente.
“…e questo è quanto.”
“Capisco. Giusto per informarti sappi che al nostro arrivo il primo uomo stava rinvenendo, ma quando ci ha scorti, si è sparato.”
Un sospiro rassegnato si udì dall’altro lato del telefono “Deve averlo fatto per non dare informazioni alla polizia.”
“Già è quello che ho pensato anch’io” rispose Megure, annuendo col capo anche se il suo interlocutore non poteva vederlo.
“Mi dispiace ispettore, deve essersi suicidato con una seconda pistola. L’ho lasciato lì senza controllare troppo bene le tasche per inseguire l’altro uomo.” Il tono era più serio e distaccato del solito.
“Non rimproverarti, non è stata colpa tua. Ci hai fornito molti dettagli utili, se non ci fossi stato tu probabilmente nessuno si sarebbe accorto di niente. Manderò una pattuglia a controllare la zona alla ricerca del secondo uomo.” Disse facendo cenno a Takagi di avvicinarsi.
“Adesso devo andare, ma prima avrei un favore da chiederle. Sarebbe possibile non fare il mio nome nel rapporto?  Vorrei che il mio coinvolgimento non venisse rivelato nemmeno fra le alte sfere della polizia.”
L’ispettore rimase sorpreso da quella richiesta, già le ultime volte gli aveva chiesto di mantenere segreta la sua collaborazione, ma mai fino a questo punto. Era molto più di un favore: si trattava di omettere un’informazione chiave, falsificando in un certo senso il resoconto della polizia, e Shinichi ne era sicuramente consapevole. Dopo qualche esitazione, più per l’affetto che provava per quel ragazzo, che per altri validi motivi, accettò
“Già, forse è meglio che il testimone rimanga anonimo dato come si sono svolti i fatti.”
“Grazie e un’ultima cosa. Si assicuri che le ragazze tornino a casa sane e salve.”
La voce si era incrinata un poco sulle ultime parole. Megure lanciò un’occhiata alla figlia di Kogoro, che era entrata in quel momento nella hall del palazzo, sembrava decisamente provata. Comunque questa volta non stava a lui fare domande.
“Va bene Kudo-kun, me ne occuperò io.”
 
Né prima né dopo il breve interrogatorio, le era stato permesso di conoscere alcun ulteriore dettaglio sugli avvenimenti della serata. Dopo la chiamata di Kudo, l’ispettore Megure le aveva congedate a forza e messe su un taxi, con la raccomandazione di tenere per loro l’accaduto.
Da allora Sera si era fatta cupa e lanciava in continuazione delle occhiate di sfuggita a Ran. Lei era sempre rimasta in silenzio da quando era tornata da loro con passo pesante, fradicia ed emotivamente distrutta. Sembrava quasi che non avvertisse lo scorrere del mondo attorno a lei. Solamente al nome di Shinichi aveva avuto qualche reazione, aveva sgranato e sbattuto le palpebre come se cercasse di trattenersi dal piangere, cosa che aveva chiaramente già ampiamente fatto, dato gli occhi rossi. Perfino Sonoko, nonostante le insistenti domande, non era riuscita a farsi dare spiegazioni.
“Ci vuoi dire come mai sei cosi sconvolta? Hai per caso assistito ad un altro crimine?” sbottò infine Masumi guadagnandosi un’occhiataccia da Sonoko. Ma lei non ne poteva più di quel silenzio assordante, non le piaceva non avere il controllo della situazione.
Ran sospirò vistosamente cercando un certo contegno “No no, niente di tutto ciò. Ho semplicemente avuto una conversazione spiacevole.”
“Centra quell’idiota di un detective, vero?” disse Sonoko, comprendendo al volo la causa dell’umore della sua amica.
Ran annuendo continuò, un sorriso tirato in volto “Si beh ecco…diciamo che non credo che lo rivedrò”
“Cosa significa questo?” chiese Masumi perplessa.
“Avevo evidentemente frainteso la situazione e lui ha messo le cose in chiaro. Mi ha detto di non aspettarlo più.”
Sonoko era sbalordita. Una vena iniziò a pulsarle sulla tempia “Se trovo quell’idiota mi sente”
“Lascia perdere, non ne vale la pena” concluse Ran chiudendosi nuovamente nel suo silenzio cupo e rivolgendo lo sguardo spento sulla città.
Sera era sempre più perplessa e preoccupata, anche la rabbia stava iniziando ad affacciarsi fra gli altri sentimenti. Ma cosa diavolo stava combinando Kudo? Era impazzito tutto d’un tratto?
 
“Sei consapevole del fatto che se questo è quello sbagliato…”
“Siamo in un mare di guai? Sì, lo so.”
Erano in piedi davanti al computer acceso. Ai teneva in mano il dischetto incriminato quasi come se si aspettasse da un momento all’altro di venire bruciata.
Alla fine Conan li aveva messi al corrente della situazione delicata in cui si trovavano. Arrivati a casa, il dottor Agasa aveva quindi lasciato soli i due ragazzi, percependo l’aria tetra e carica di tensione che aleggiava su di loro.
Dopo un ultimo attimo di esitazione, lei infilò con mani tremanti il dischetto nella porta del computer, avviando il programma di lettura.
“Fai attenzione per favore. Dopo tutto quello che ho passato non vorrei che i dati venissero cancellati come l’ultima volta” disse lui cupo.
“Ho preso tutte le precauzioni. Il programma di decriptazione è avviato. Ci vorrà qualche ora prima che decodifichi tutti i dati.”
Il ragazzino sospirò e si sedette sul pavimento freddo in attesa “Vai pure a dormire se vuoi. Io aspetto qui”
Ai alzò un sopracciglio perplessa “Credi che ti lascerò qui da solo fra le mie cose? Mai”
In risposta non aveva ricevuto il minimo accenno ad un sorriso. Tutte le volte che si trovavano in una situazione critica e dovevano affrontare l’Organizzazione, lui era quello che le aveva sempre dato forza, mostrandosi sicuro di sé senza mai vacillare. Adesso invece la sua armatura si era incrinata: appariva stanco e vulnerabile ai suoi occhi. Addolcì un poco il tono
“Mi vuoi spiegare come hai fatto a tornare ad essere Shinichi Kudo per quasi un’ora? Se non hai preso l’antidoto, com’è successo?”
“Questo dovresti spiegarmelo tu” la rimbeccò lui secco “ho mangiato una fetta di torta al liquore e mi sono ritrovato così.”
“Mmm, è probabile che, nonostante il tuo corpo avesse ormai sviluppato gli anticorpi al Paikal, in qualche modo la composizione di liquori abbia aggirato momentaneamente il problema risultando lievemente diversa.” disse la bambina pensando a voce alta “non credo comunque che potremo mai saperlo con sicurezza non avendo un campione da analizzare.”
“Già lo pensavo anche io” annuì lui sbuffando
“Sarebbe stato meglio che non fosse mai successo.”
Ai lo fissò attonita. Era la prima volta che lui non fosse felice di aver riacquistato le proprie sembianze anche solo per qualche tempo. I suoi sospetti iniziarono a farsi più chiari.
“Cos’è successo veramente in quell’edificio?”
Conan la guardò senza capire.
“È accaduto qualcos’altro, magari con la signorina dell’agenzia che non mi hai detto?”
Lui si rabbuiò e abbassò lo sguardo. Rispose solo dopo qualche istante sospirando “Questa sera ho tagliato i ponti con lei come Shinichi Kudo una volta per tutte.”
Ne rimase sorpresa. Non credeva che, nonostante fosse così pericoloso mantenere i contatti, sarebbe mai davvero riuscito a staccarsi definitivamente da lei.
“Ma perché ora? Dopo tutto questo tempo?”
La bocca si era incurvata in un sorriso amaro “Ora come ora siamo sulla cima di uno strapiombo in attesa di sapere se una folata di vento ci farà cadere o meno. Non potevo lasciare che lei mi seguisse e cadesse con me.”
Non indagò oltre, intuendo che quello non era né il luogo, né il momento adatto per parlarne. Sapeva già con quanta fatica lui nascondesse e dissimulasse il vero se stesso dietro quegli occhiali, nonostante non ci fosse giorno in cui avrebbe voluto rivelarle la sua vera identità. Doveva essere stato uno sforzo immane decidere di lasciarla andare. Non sarebbe servito a nulla cercare di confortarlo e dirgli che aveva fatto la cosa giusta.
Rimasero così in silenzio, seduti vicini senza toccarsi.
All’improvviso venne scossa da una mano che le aveva afferrato la spalla. Si era appisolata con la testa sulle ginocchia, con il ronzio del computer in sottofondo.
Un segnale sonoro aveva avvertito che il programma di decriptazione era terminato.
Si alzarono in piedi avvicinandosi cauti.
Due paia di occhi si fissarono contemporaneamente sullo schermo.
I cuori smisero di battere per qualche secondo.
Le mani erano chiuse a pugno talmente strette da avere le nocche bianche.
Il momento della verità era arrivato.
 
 
 
Nota D’Autrice
Capitolo un po’ introspettivo all’inizio, lo ammetto.
Ma non potevo non sguazzare un po’ nel dolore della mia coppia preferita.
Non ho molti commenti da fare, a parte il fatto che l’ultima parte non mi convince molto. Forse potevo scriverla meglio.
Beh mi farete sapere!
Ringrazio chi si prende dieci minuti del suo tempo per leggere la mia storia, chi gentilmente recensisce, e chi l’ha messa fra le seguite o i preferiti.
Con Affetto
Shin4

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Capitolo 11
*** Verità Nascoste ***


Verità Nascoste
 
“Non ci credo…”
“Fallo invece perché ti aspettano ore ed ore di lavoro adesso!”
I suoi occhi guizzavano ininterrottamente da una parte all’altra dello schermo quasi a volersi sincerare che non fosse un sogno.
Quasi tutte le sue ricerche, i suoi esperimenti, gli studi ed anche gli accertamenti fatti dagli scienziati dopo di lei erano su quel maledetto dischetto. Finalmente ogni informazione disponibile sull’APTX4869 era nelle loro mani, e soprattutto non in quelle degli Uomini in Nero.
“Nonostante ora abbia tutti i dati e i componenti necessari, non credere che sarà così facile creare l’antidoto definitivo.” Replicò seria Ai, precedendo qualsiasi domanda a riguardo e riacquistando la sua solita freddezza.
Conan sbuffò risentito “Però questo è un notevole passo avanti, non credi?”
Non voleva smorzare il suo entusiasmo ma non voleva nemmeno dargli false speranze, o meglio, non voleva che lui si imputasse sul riavere indietro il proprio corpo fino a che l’Organizzazione non fosse stata definitivamente distrutta.
Ma non era facile resistere al suo sguardo implorante e all’accenno di sorriso che, dopo molte ore, aveva finalmente riacceso il suo volto. Quegli occhioni blu erano sempre stati uno dei suoi punti deboli.
“Sì è vero” concesse infine la ragazzina “Ma ricordati che i nostri problemi non sono finiti qui.”
“So anche io che adesso loro sanno che c’è qualcuno a dargli la caccia, ma non potevi proprio lasciarmi godere di questa piccola vittoria almeno un poco, vero?” chiese lui sarcastico di rimando.
Ai lo fissò intensamente per qualche secondo, combattuta se mantenere quella linea dura e cinica che la caratterizzava o se, per una volta, lasciarsi andare un poco anche lei all’ottimismo.
Optò per la prima.
“No, perché se non ci sono io a tenerti con i piedi per terra, rischi di far saltare la nostra copertura per la tua troppa esuberanza.”
“Haibara! Sai bene quanto ogni singola mossa che faccio sia sempre accuratamente studiata e calcolata.” Replicò lui punto sul vivo.
“Quasi sempre” sottolineò lei, ripensando alle tante volte che aveva agito d’impulso per colpa della ragazza dell’agenzia.
Lui sospirò ma non rispose. Si vedeva che era stanco e non aveva le forze per ribattere. A differenza sua, lui non aveva chiuso occhio quella notte.
Ai si concentrò nuovamente sulle sue ricerche, facendo scorrere velocemente il cursore sullo schermo, per assicurarsi di nuovo che fosse veramente tutto lì, quando lo sentì ridere sommessamente.
“E adesso che c’è?” domandò voltandosi nella sua direzione.
Conan stava tentando inutilmente di trattenere una risata isterica, dovuta probabilmente alla mancanza di sonno e allo sconvolgimento emotivo della sera precedente.
“Che faccia pensi abbia fatto Gin, quando ha scoperto che il suo dischetto era del tutto inutile?”
 
“Ma qui non c’è niente” disse l’uomo in tono seccato “assolutamente niente che possa rivelarsi minimamente utile.”
Lo sguardo che scorreva fra una sfilza di conti bancari, dati di accesso e mail scambiate fra diverse aziende farmaceutiche.
“Lo so, credi che altrimenti Gin ti avrebbe permesso di controllare?” rispose la donna con evidente divertimento nella voce.
L’uomo biondo smise di battere ripetutamente il dito sul mouse e allontanò un poco la sedia dalla scrivania. Uno dei primi deboli raggi di sole filtrava dalle imposte abbassate, illuminando un tratto della pelle abbronzata.
Un pensiero inespresso delineò un sorriso beffardo sul suo volto “Deve essere stato proprio alle strette per aver chiesto il mio intervento.”
“Diciamo che era piuttosto seccato, ma non credere di essere l’unico incaricato di indagare. Anche Rum sta muovendo in prima persona i suoi fili.” Rivelò Vermouth con tono affabile, espirando piano il fumo dalle labbra rosse vermiglio. “E non è una cosa che accade molto spesso” avrebbe voluto aggiungere.
Bourbon si aprì in un’espressione incredula “Devono ritenerlo veramente pericoloso questo ficcanaso allora.”
“Non è facile farla sotto al naso di Gin, per di più senza lasciare tracce.”
“E come pensate che io possa trovarlo questo ragazzo, senza avere la benché minima descrizione o indizio?” chiese lui di rimando, evidentemente scocciato.
“Potrebbe essere uno qualsiasi fra le centinaia di migliaia di persone a Tokio.”
Non aveva tempo da perdere per queste cose. Non credeva possibile che un semplice ragazzino potesse rivelarsi effettivamente in grado di minare i piani di quell’Organizzazione, a cui nemmeno diverse agenzie governative riuscivano ad arrivare. Perfino Akai, l’uomo più temuto dell’FBI, aveva dovuto fingere la sua morte per continuare ad operare indisturbato nel buio.
“Uno qualsiasi? Io non direi” disse Vermouth appoggiando delicatamente un plico di fogli sulla scrivania.
“Ma questa è una copia del rapporto di polizia della notte scorsa, come hai fatto ad averlo così presto?”
“Ho i miei mezzi” replicò lei seducente accavallando le gambe.
Bourbon iniziò a sfogliare il fascicolo con attenzione fino a leggere ad alta voce
“Un testimone anonimo rivela che due uomini sospetti sono stati visti allontanarsi da un ufficio al 50esimo piano…”
Alzò di scatto la testa, cogliendo finalmente ciò che Vermouth intendeva dire “Chi ha tanta influenza da far manipolare un rapporto di polizia?”
La donna sorrise maliziosamente “È proprio questo che devi scoprire.”
“La cosa ti sta divertendo molto, non è vero?”
“Oh sì enormemente”
La osservò socchiudendo gli occhi con uno sguardo indagatore “Tu hai già qualche sospetto, avanti parla.”
Non era una domanda, ma una fondata insinuazione.
Lei continuò a sorridere, i denti bianchi che si stagliavano nella semioscurità
“Oh my darling, ma quando imparerai? A secret makes a woman woman.”
 
Aveva trascorso l’intera giornata sul divano o girovagando per la casa del professore. Di solito non amava l’inattività ma non si sentiva ancora pronto per rituffarsi nel ritmo frenetico della città e soprattutto, per far ritorno stabilmente a casa Mori. Così aveva cercato di tenere la mente sgombra, perdendosi nella lettura o tenendo il corpo impegnato in qualche banale occupazione che però gli impediva di pensare.
“Ci sono novità?” chiese ad Ai, vedendola riemergere dalla scala del laboratorio.
Era almeno la decima volta che le rivolgeva quella domanda nell’arco di un giorno e mezzo.
“Kudo” ingiunse lei, in un tono che non ammetteva repliche “non puoi chiedermi ogni volta che mi vedi se ho fatto dei progressi. Sto ancora esaminando e catalogando le informazioni raccolte. Ci vuole tempo.”
Lui rassegnato ricacciò la testa fra le pagine de ‘Il segno dei quattro’ che stava rileggendo, di nuovo.
Quando aveva qualche problema, o anche voleva semplicemente distrarsi, i libri del suo mito Holmes erano sempre la soluzione migliore.
“Tu piuttosto, intendi passare lì tutto il giorno anche oggi?”
Il tono sarcastico di Ai lo costrinse a mettersi sull’attenti.
“Non ho molto da fare” commentò poi con un’alzata di spalle, ma sapeva di non averla data a bere a quella ragazzina.
“La verità è che non te la senti di tornare all’agenzia.”
Lui abbassò gli occhi colpevole ma mantenne la linea difensiva “No ma che dici, sto controllando che qui proceda tutto come deve.”
Ma lei non aveva torto. Ora come ora non credeva che sarebbe riuscito a sorridere e a parlare ingenuamente come il bambino che tutti pensavano che fosse, non davanti a Ran almeno. Ed era lei quella che doveva convincere più di tutti.
Ai surclassò la bugia, continuando ininterrottamente per la sua strada, mettendolo davanti alla nuda e cruda realtà che gli trapassò lo stomaco.
“Non potrai ignorarla per sempre.”
“Lo so, ma mi piace pensarlo ogni tanto.”
“Ma perché le hai detto quelle cose allora?”
Lui puntò lo sguardo davanti a sé senza soffermarsi su nulla in particolare, alla ricerca delle parole per definire il turbinio di emozioni che lo avvolgeva.
I perché erano tanti. Perché non voleva più mentirle in continuazione al telefono, anche se così le aveva scaraventato addosso la bugia più grande che avesse mai detto. Perché sapeva che da quella sera gli Uomini in Nero gli avrebbero dato la caccia e, indipendentemente dal fatto che fossero a conoscenza della sua identità o meno, prima o poi era certo lo avrebbero trovato. Perché non voleva che Ran finisse in mezzo a quella storia e potesse farsi male. Ma soprattutto perché, anche se lui era sempre al suo fianco, non voleva più vederla piangere per una persona che lei credeva non ci fosse, anche se questo significava non avere più un posto nel suo cuore.
Ma non avrebbe mai ammesso nessuna di quelle cose ad alta voce con Ai, non si sarebbe mai scoperto vulnerabile fino a quel punto, per cui disse solamente
“Perché era giusto così”
La ragazzina ramata lo fissò, non sapendo bene come replicare a quella frase che racchiudeva tutto e niente.
Vennero entrambi distratti da una leggera vibrazione. Uno strano messaggio, decisamente un po’ criptico era arrivato sul cellulare di Conan.
“Passa da me appena puoi. Ho un bisogno urgente di parlarti.”
Lui perplesso, rispose senza troppa enfasi e poi riportò la sua attenzione su Ai che lo stava ancora fissando, come se in questo modo potesse carpirgli ciò che non le aveva rivelato.
“Comunque hai ragione” continuò lui, interrompendo il silenzio e il contatto visivo “è tempo che Conan rimedi per l’ennesima volta ai danni che Shinichi ha provocato.”
Ai lo guardò alzarsi dal divano e avvicinarsi alla porta
“Non puoi sempre accusarti in questo modo, tutto quello che fai, lo fai per il suo bene.”
Lui le rivolse un ultimo triste sorriso prima di uscire “Cosa importa se tanto lei non lo sa?”
 
“Come fai ad essere così tranquillo dopo quello che ti ho detto?”
“Perdere la calma servirebbe forse a qualcosa?”
“No, ma sarebbe comunque una reazione di qualche tipo, cosa che tu non hai avuto a quanto pare!” esclamò Jodie seccata, sbattendo le mani sul tavolo della cucina di Villa Kudo.
Da quando due notti prima si era allontanata dal grattacielo Ikuzo, aveva passato ogni istante alla ricerca di un qualsiasi indizio che la portasse a ricostruire quanto successo. Invano.
Dopo aver seguito tutte le tracce possibili si era rivolta a Shuichi in cerca di qualche idea, ma sembrava che non avesse fatto altro che sbattere la testa contro un muro. Ormai aveva i nervi a fior di pelle.
“L’unica cosa che sappiamo è che qualcuno si è messo in mezzo e ha impedito allo scambio di andare come doveva.” ripeté nuovamente, come se quell’affermazione fosse di un’importanza fondamentale e le desse la forza di calmarsi.
“Beh ma questo torna utile anche a noi, no?” asserì Akai, senza scomporsi.
“E come?” Jodie lo guardava sconsolata “Non sappiamo cosa contenessero quei dischetti perché uno è disperso e l’altro è nelle mani dell’Organizzazione. E ti ricordo che Kir non è riuscita a fare una copia nemmeno di quello in loro possesso.”
Lui rispose in tono conciliante “Sappiamo che questo ragazzo è abbastanza in gamba da non farsi trovare e, sono certo, che sarà un ottimo alleato quando verrà il momento opportuno di uscire allo scoperto.”
La donna non rispose e si limitò a scuotere la testa.
Come poteva fare un’affermazione del genere senza sapere nemmeno chi fosse?
Aveva cieca fiducia nei confronti di Shuichi, ma da un po’ di tempo a quella parte, ovvero da quando si celava sotto l’identità di Subaru Okiya, le sembrava di non riuscire più a comprendere appieno le sue intenzioni.  Non che prima tutto ciò che faceva risultasse ovvio nell’immediato, anzi spesso era il contrario, ma almeno in un modo o nell’altro ne capiva la necessità.
Era sempre stato bravo a progettare e a prevedere le azioni a lungo termine, cosa che gli era tornata estremamente utile durante i tre anni sotto copertura nell’Organizzazione, ma riteneva che adesso, oltre ad essersi eclissato alla vista dei nemici, avesse anche qualcos’altro da nascondere.
“E per di più” disse Akai, distogliendola dalle sue elucubrazioni “sono convinto che quel dischetto scomparso sia in mani migliori delle nostre.”
Non c’era la minima traccia di insicurezza nella sua voce, ma Jodie non poteva fare a meno di fissarlo attonita come se avesse detto un’ulteriore assurdità.
“Io proprio non capisco. Perché ne sei così sicuro?”
Lui si avvicinò alla finestra, come fosse un gesto sovrappensiero, e lasciò che lo sguardo vagasse fuori qualche istante prima di voltarsi verso di lei e sorridere
“Perché, paradossalmente, da quando sono lontano dalla prima linea, il disegno generale si è fatto molto più chiaro.”
 
Stava aspettando immobile davanti alla finestra, lo sguardo pigro che inseguiva il procedere lento dei mezzi nel traffico cittadino. Unico segno della sua impazienza era il tamburellare ritmico delle dita, che inondava la stanza da alcuni minuti.
La risposta era stata un secco “Arrivo fra poco” che era stata inviata più di mezz’ora prima.
L’attesa stava iniziando a farsi snervante, soprattutto pensando alla conversazione che doveva affrontare, che non la rendeva certo più serena.
Aveva quasi rinunciato quando finalmente sentì bussare alla porta.
“Entra pure, è aperto.”
Una piccola figura apparì sulla soglia.
“Ce ne hai messo di tempo.”
“Scusami Sera-neechan, ma ero dal Dottor Agasa. Ho fatto il prima possibile” dichiarò Conan chiudendosi la porta alle spalle “Cosa c’è di così urgente che dovevi dirmi?”
Lei si voltò a guardarlo. Tutto il discorso che si era preparata era sfumato con il suo ingresso, non sapeva da dove cominciare.
“Perché l’hai fatto?” si sentì dire. Non era certo il modo migliore per iniziare, ma ormai era fatta.
Lui la guardò senza capire con la testa un po’ inclinata di lato. Sembrava proprio un tenero bambino innocente con degli occhiali troppo grandi per lui.
Sera tirò un sospiro e attaccò di nuovo “Perché hai fatto questo a Ran?”
“Non riesco a capire di cosa tu stia parlando” replicò lui con tono argentino.
O era veramente un ottimo attore o era diventato improvvisamente stupido.
“La smettiamo di prenderci in giro per favore? Io so chi sei” lo aggredì lei.
Un’ombra improvvisa passò sul volto di Conan, ma fu tanto veloce che quasi Masumi non se ne accorse.
“E chi sarei scusa?”
“Vuoi proprio sentirtelo dire? Tu sei Shinichi Kudo.”
“Senti lo so che ci assomigliamo, ma non ti sembra di esagerare? Io sono solo un bambino.” Tentò di difendersi inutilmente lui.
Le parole si susseguivano ancora con una cadenza tranquilla e squillante, ma la postura si era fatta impercettibilmente più rigida.
Sera sorrise raggiante “La tua parte la reciti bene senza dubbio, ma appena si scava un po’ sotto la superficie, si scopre che non esiste nessun Conan Edogawa fra i documenti ufficiali. Quando Shinichi è scomparso sei apparso stranamente tu e poi non si è mai visto un bambino di sette anni così acuto e intelligente che risolve dei casi da solo. Devo continuare?”
La scrutò per un momento prima di replicare “No non credo sia necessario, sospettavo già che tu fossi a conoscenza della mia doppia identità. Che cosa vuoi da me?”
La sua voce, che aveva perso qualsiasi inflessione ingenua o fanciullesca, si era fatta improvvisamente seria e tagliente. Era strano sapere che proveniva da quello che, fino a poco prima, si era comportato proprio come un bambino.
“Voglio delle spiegazioni e non ammetto risposte evasive.”
Lui incrociò le braccia e alzò un sopracciglio, senza mostrarsi minimamente intimidito dal tono veemente usato da Sera.
“Voglio sapere” ripeté lei per la terza volta “perché hai trattato Ran in quel modo.”
“Non credo proprio che questi siano affari tuoi.”
Come l’altra sera sul taxi, la rabbia iniziò ad affiorare lenta in Sera come lo sgorgare dell’acqua da una fonte.
“Sì che lo sono. Ran è una mia amica e tu la stai facendo soffrire inutilmente. Si capisce che ci tieni a lei allora perché le fai questo ogni singola volta, quando potresti tornare definitivamente da lei o dirle semplicemente la verità?”
“Tu non sai proprio quello che dici” affermò Conan scuotendo la testa.
Mostrava una calma innaturale e rigida, preludio di uno scoppio d’ira, che però non era altro che benzina sul fuoco per lei.
“Un attimo prima sei un bambino, dopo compari con il tuo vero aspetto. Se hai un modo per tornare adulto perché non lo usi, invece che comportarti da stupido egoista standotene nascosto a casa sua?”
“Non accetto di essere insultato da qualcuno che non ha la minima idea di quello che succede!” sbottò lui furioso, fissandola duramente con occhi di un blu cupo ardente, che riflettevano il tumulto interiore.
“Se mi dici queste cose significa che non sai niente, NIENTE!”
“Mio fratello è morto per colpa di quelli che ti hanno ridotto così, cosa credi di…”
“No ascolta tu” la interruppe lui con la voce che si alzava di tono e incatenandola con lo sguardo “Tu non hai la minima idea di quello di cui questi uomini sono capaci. Ti stai per buttare a testa bassa in una vendetta che ti ucciderà, ci ucciderà tutti.”
La situazione si era repentinamente ribaltata, rendendo l’accusato accusatore.
“Lo so che sono pericolosi ma…” provò a difendersi lei.
“No, non lo sai è questo il punto. Loro ti sono vicini più di quanto tu creda e nemmeno te ne accorgi!”
La forza del suo improvviso scatto d’ira la travolse come un’onda costringendola a fare un passo indietro e lasciandola interdetta
“Ma cosa stai dicendo?”
“Ti ricordi quando un po’ di tempo fa girava per le vie di Beika un uomo che assomigliava ad Akai con una cicatrice da ustione sul volto? L’hai incontrato anche sul mistery train…”
La voce di Conan si era fatta inaspettatamente priva di colore e di calore inchiodandola sul posto. Non riuscì nemmeno a chiedersi come facesse a saperlo.
“Quello non era tuo fratello, era uno degli uomini dell’Organizzazione che se andava in giro travestito per verificare che Shuichi Akai fosse realmente morto. E questo è solo un esempio.”
Sera sbiancò completamente, senza sapere che cosa replicare.
La rabbia si era dissolta come una nuvola di fumo e mille crepe si erano aperte sul muro delle sue convinzioni.
“Tu non hai alcun diritto di giudicare le mie scelte e criticarmi per le mie decisioni quando non sai assolutamente niente.” ribadì lui approfittando del suo momento di debolezza.
“Allora spiegami. Hai l’obbligo di farlo.” Lo supplicò lei in un sussurro.
“Io non ti devo proprio nulla quando, tu per prima, nascondi nella tua camera d’albergo una bambina che ha assunto, se non lo stesso veleno, uno simile al mio.” Ribatté lui lanciando sul tavolino un piccolo fazzoletto, con il nome ‘Mary’ ricamato in un angolo.
“E adesso scusa ma ho di meglio da fare che stare qui a farmi urlare addosso da te.” concluse lui dandole le spalle.
Sera lo guardò uscire e sbattere forte la porta dietro di sé.
Anche dopo che se ne era andato, continuò a fissare l’imposta di legno cercando di rielaborare la catastrofe che aveva appena combinato.
Perché invece che aggredirlo a quel modo, non gli aveva chiesto quello che realmente voleva sapere?
Per colpa del suo temperamento impulsivo aveva probabilmente perso, nel giro di pochi minuti, la fiducia e l’aiuto del detective che lei stimava quasi quanto suo fratello.
E ne aveva davvero bisogno quanto prima.
Doveva assolutamente trovare un modo per rimediare.
 
Tutta la rabbia che era rimasta sopita in lui in quei giorni, era esplosa in un attimo.
Ora camminava veloce cercando di soffocare l’incendio che divampava e lo consumava interiormente.
Rimproverò se stesso per aver perso così maldestramente la lucidità.
Sapeva che prima o poi Sera lo avrebbe affrontato, mettendo le carte in tavola. Si era preparato a quel momento, anche se non si era di certo aspettato che agisse così.
Avrebbe dovuto chiederle chiarimenti su quella bambina misteriosa e sulla sua venuta in Giappone, ma non era riuscito a rimanere freddo e distaccato di fronte alle sue provocazioni.
A posteriori gli dispiaceva anche un poco per come l’aveva assalita, annientandole le speranze che il fratello fosse vivo. Inutilmente per di più, dato che Akai era effettivamente vivo e nascosto a casa sua.
Si sfregò il volto fra le mani cercando di imporsi la calma: non poteva presentarsi così scombussolato all’agenzia.
Doveva recuperare l’autocontrollo e indossare nuovamente la maschera che gli era stata strappata via poco prima con la forza.
Fece alcuni respiri profondi, concentrandosi sul pensiero di Ran e di come avrebbe potuto trovarla dopo due giorni. Ma questo sembrava agitarlo più di tutto il resto.
Si ritrovò ai piedi dell’agenzia Mori prima ancora di accorgersene. Salì irrequieto le scale fermandosi un attimo sull’ultimo gradino.
Aveva appena appoggiato la mano sulla maniglia, girandola leggermente, quando sentì delle voci familiari provenire da dietro la porta.
“Cosa siete venuti a fare qui? Non ho tempo per altri due rompiscatole come voi.”
“Ma come? È da così tanto che non ci vediamo, e non ci fa nemmeno un saluto Mori-san?”
“Beh effettivamente ha ragione, ci siamo presentati così all’improvviso.”
“Ma se sei stata tu a voler venire a tutti i costi!”
Purtroppo aveva già sbilanciato il peso in avanti e non riuscì a fermarsi, ruzzolando praticamente oltre la soglia.
Tutti i presenti si voltarono verso di lui attirati dal rumore, ricevendo in cambio un’espressione stupita e confusa da parte di Conan.
Fece a malapena in tempo ad alzarsi in piedi, che una figura sfocata si gettò su di lui, stringendolo in un forte abbraccio e sussurrandogli poche parole, che lo raggelarono all’istante.
“Sei tornato finalmente, pensavo mi avessi abbandonato anche tu.”
 
 
 
Angolo d’Autrice
Buona sera a tutti!
Ho deviato un po’ dal mio stile facendo un capitolo più dialogato…ma è uscito così!
Rileggendolo mi sono anche accorta che forse la time-line non è molto chiara, quindi volevo fare una piccola precisazione: i primi due paragrafi sono ambientati la stessa notte della festa, diciamo poco prima e dopo l’alba, mentre dal terzo in poi c’è uno stacco di due giorni.
Diciamo che se l’evento al grattacielo avviene di venerdì allora poi si passa direttamente a domenica (non che i giorni della settimana siano importanti era solo per fare capire.)
Allora cosa ne pensate della discussione giusto un po’ animata fra Sera e Conan?
E avete capito chi sono i nuovi arrivati? ^^
Fatemi sapere!
Baci
Shin4

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Capitolo 12
*** Incontri Indesiderabili ***


Incontri indesiderabili
 
Erano passati due giorni da quella maledetta telefonata.
Aveva rivissuto all’infinito quei pochi minuti, cercando anche un solo indizio, parola o sospiro per dare un altro senso a quelle parole che le tormentavano i pensieri, come un tarlo fa con il legno.
Se le era ripetute talmente tante volte che ormai avevano perso di significato.
Non era nemmeno più riuscita a piangere. Tutte le lacrime che aveva, le aveva versate su quel freddo marciapiede e lì vi aveva lasciato anche metà della sua anima.
Il padre non le aveva mai fatto domande, non si era accorto di nulla, e a lei andava bene così.
Non era sua intenzione pesare su nessuno, perciò era andata avanti fingendo che tutto andasse bene. Ma niente andava bene.
Anche quel giorno aveva fatto le solite commissioni, la spesa, le pulizie, i compiti, ma non c’era più nulla che la raggiungesse, che la colpisse, che riempisse il vuoto che aveva dentro.
Non sentiva più nulla, e tutto ciò che faceva, lo faceva meccanicamente come se il corpo ricordasse come muoversi e dove andare senza che ci fosse effettivamente qualcuno a guidarlo.
Il mondo scorreva davanti a lei senza suscitarle la più piccola emozione.
Anche la gioia che aveva sempre provato per le piccole cose, come per un profumo buono o per i caldi raggi del sole che le baciavano la pelle, era sparita.
Tutto la lasciava tremendamente indifferente.
Perfino quando andò alla porta e si ritrovò davanti i due inaspettati amici del Kansai, non riuscì a rimanere sorpresa. Ma la buona educazione non l’aveva mai abbandonata, nemmeno in quel momento.
“Hattori-kun, Kazuha-chan, che bello vedervi!” Esclamò Ran con la maschera di un finto sorriso.
Kazuha la salutò calorosamente e anche Heiji, giusto poco prima di mettersi a scrutare ogni angolo della casa come se fosse alla ricerca di qualcuno di assente.
“Mori-kun dov’è il piccoletto?” chiese infatti curioso.
“Chi?” domandò lei confusa.
“Come chi? Il moccioso con gli occhiali, Conan. Ti sei forse dimenticata di lui?” replicò Heiji con uno strano sorriso, che non riuscì bene a definire.
“Ah sì, Conan” rispose lei sovrappensiero.
Dove era finito? Non lo sapeva. Non l’aveva più visto dopo che se ne era andato dalla festa.
Inspiegabilmente la sensazione di abbandono l’assalì nuovamente, come quella sera, bloccandole la gola.
Riuscì solo a balbettare “Io…Io non lo so.”
“Come?”
“Il moccioso si è fermato dal quel dottore suo amico, non te lo ricordi?” disse Kogoro, che era sopraggiunto in quel momento nella stanza.
No, non se lo ricordava. Ecco perché in quei giorni avanzava sempre del cibo durante i pasti, aveva per abitudine preparato da mangiare per tre, senza accorgersi che mancava qualcuno all’appello.
Ma come aveva fatto a non notare che Conan mancava da due giorni?
Sentì gli occhi del ragazzo del Kansai posarsi indagatori su di lei, ma qualsiasi domanda avesse voluto rivolgerle andò persa, dato che Kogoro aveva finalmente registrato la presenza dei due ospiti inattesi.
“Cosa siete venuti a fare qui? Non ho tempo per altri due rompiscatole come voi.”
“Ma come? È da così tanto che non ci vediamo, e non ci fa nemmeno un saluto Mori-san?” Cercò di rabbonirlo Heiji.
“Beh effettivamente ha ragione, ci siamo presentati così all’improvviso.” S’intromise Kazuha un po’ titubante.
“Ma se sei stata tu a voler venire a tutti i costi!” Replicò l’altro scontroso voltandosi verso l’amica.
Kazuha stava per rispondergli per le rime, scatenando così uno dei loro soliti battibecchi, quando un rumore sordo di qualcosa, o qualcuno, che cadeva attirò l’attenzione verso l’ingresso, facendo voltare tutti simultaneamente.
Il piccolo Conan era seduto scomposto appena oltre la soglia, i capelli corvini scompigliati e un’espressione confusa e stupita dipinta sul volto.
A quella vista, Ran sentì qualcosa sciogliersi dentro di lei, come se il nodo della tensione che si era portata dietro inconsapevole fino a quel momento, si fosse finalmente dissolto, e un’ondata di sollievo l’avesse travolta.
Sembrava che il flusso delle sue emozioni avesse deciso di riprendere a scorrere.
Venne assalita all’improvviso dalla tristezza e dalla consapevolezza della solitudine. Non riuscì a trattenersi e si gettò su di lui stringendolo in un abbraccio.
Un fiotto di parole le uscirono di bocca, e anche se sussurrate, riuscirono per la prima volta da due giorni a lasciar trapelare tutta la sua disperazione e il suo dolore.
“Sei tornato finalmente, pensavo mi avessi abbandonato anche tu.”
Lo sentì irrigidirsi fra le sue braccia, mentre alle sue spalle lo sguardo di Kazuha si puntava inquieto su di lei, e quello di Heiji su Conan.
L’unico che sembrava non aver percepito che qualcosa non andava, era come sempre Kogoro che affermò sorpreso e un po’ indispettito
“È stato via solo due giorni Ran, non è che non lo vedi da una vita. Non ti sembra di esagerare?”
In risposta lei si scostò un po’ dal bambino, comprendendo che, con quel gesto, aveva messo in allarme le persone a lei vicine.
Puntualmente infatti la voce incerta di Conan le arrivò all’orecchio
“Ran-neechan tutto…tutto bene?”
Sentiva gli occhi pizzicare, ma si sforzò di non piangere e provare a sorridere “Sì, è solo che mi sei mancato tanto.”
Se quelle parole per lei dovevano essere una rassicurazione, non sembravano sortire lo stesso effetto sul suo fratellino, che la guardò con due grandi occhi blu venati di tristezza e preoccupazione, possibile ci fosse anche una nota di senso di colpa?
Non avrebbe saputo dirlo perché vi si sottrasse bruscamente rimettendosi in piedi.
Un’altra immagine si era sovrapposta alla sua vista ed era stato come tentare di respirare acqua mentre si affoga.
“Quegli occhi sono troppo simili ai suoi…”
A nessuno passò inosservato quello scatto, men che mai al ragazzino che, anche se lei non se ne accorse perché gli aveva dato le spalle, si era rabbuiato ulteriormente.
“Kazuha-chan verresti con me a fare la spesa? Se vi fermate a cena ho bisogno di andare a prendere alcune cose” disse Ran velocemente accavallando le parole.
“Certo, ti accompagno subito” rispose l’aikidoka lanciando uno sguardo preoccupato ad Heiji.
Ma lui sembrò non notarlo concentrato com’era su Conan, con lo sguardo che si faceva sempre più cupo.
Ran afferrò al volo la giacca e la borsa e, pronunciando un “Ci vediamo fra poco”, si lanciò fuori dalla porta.
Solo dopo aver sceso i gradini ed essersi appoggiata con la schiena al muro, ricominciò a respirare.
Le lacrime trattenute iniziarono a scendere sul suo viso, mentre l’amica la fissava in cerca di spiegazioni.
 
Non appena le due ragazze erano uscite di corsa, si era diretto in camera consapevole che l’amico avrebbe voluto delle risposte. Se gli fosse passato inosservato lo strano comportamento di Ran, come a Kogoro, non avrebbe certo meritato di essere definito il detective dell’Ovest.
Si mise seduto sul letto, e mentre armeggiava con il secondo cellulare, quello di Shinichi, decise di parlare per primo per prendere un po’ di tempo.
“Allora Hattori cosa ci fai qui a Tokio? Hai per le mani un caso così difficile che non riesci a risolvere da solo?”
“No, sono venuto a trovare un amico che dovrebbe decidersi a dirmi cosa c’è che non va.”
Conan non poté fare a meno di sorridere a quella risposta diretta, era sicuro se ne fosse accorto.
“Non c’è niente che non va, nulla di rilevante perlomeno.” Replicò mentendo spudoratamente.
“Sì come no. Quindi quando Kazuha rientrerà con Mori, non mi dirà che Kudo ha combinato qualche guaio, giusto?" chiese Heiji, con l’accento del Kansai che si faceva pesante come quando sapeva di essere preso in giro.
Conan sbuffò e gli lanciò uno sguardo risentito.
Non è che non voleva raccontargli come stavano le cose, era solo che si era ripromesso di non coinvolgerlo mai direttamente contro gli Uomini in Nero, e raccontare tutto significava proprio quello. D’altro canto non appena avesse parlato con Kazuha, avrebbe sicuramente scoperto che cosa era successo con Ran e sarebbe corso da lui in cerca di una spiegazione: Heiji sapeva benissimo quanto lui tenesse a quella ragazza e che soltanto un più che fondato motivo, chiamato Organizzazione, poteva costringerlo a ingannarla facendola soffrire così.
“È coinvolta anche l’Organizzazione, vero?” lo incalzò nuovamente il ragazzo dalla pelle scura leggendogli il pensiero.
Il telefono che Conan teneva fra le mani, iniziò a squillare prima che fosse costretto a rispondere. Lanciando uno sguardo al numero capì che era inutile tergiversare oramai.
“Hattori controlla che non entri nessuno” ordinò quindi con tono perentorio.
Sentì uno sbuffo seccato mentre prendeva il suo papillon e sintonizzava la voce sulla propria da adulto.
“Pronto. Ispettore è lei?”
“Oh Shinichi, finalmente! Sono quasi due giorni che provo a chiamarti!”
“Mi scusi. Sono stato un po’ impegnato.” Mentì lanciando un’occhiata di sottecchi all’amico del Kansai, che si era appoggiato al muro e lo fissava senza battere ciglio.
Ormai Heiji era abituato a vederlo parlare con la sua vera voce, nonostante stando sul letto in quelle condizioni i suoi piedi non toccassero nemmeno terra.
“Ma stai bene vero? Sai mi sono molto preoccupato dopo quello che è successo l’altra sera.” Lo richiamò Megure, facendolo tornare presente alla telefonata.
“Sì sto perfettamente, perché c’è qualche problema?”
“Volevo informarti che abbiamo ritrovato l’uomo che avevi inseguito, nel quarto vicolo dietro il grattacielo Ikuzo.”
“Era morto vero?” chiese Conan, anche se era certo che la risposta sarebbe stata affermativa.
“Sì, per un colpo di arma da fuoco. Il suo nome era Masaki Nejishi. 28 anni. Lavorava come ricercatore scientifico.” Rispose schiettamente l’ispettore, la voce resa metallica dal ripetitore.
“Capisco.”
“Le nostre indagini sono ad un punto morto. Sei sicuro di non sapere nient’altro su quello che stavano facendo quegli uomini?”
“No mi spiace vi ho già detto tutto quello che so.” Replicò Conan prontamente, con un sorriso malizioso che si allargava sul volto.
Sentì Megure sospirare rumorosamente.
Gli dispiaceva non poterlo aiutare, ma le informazioni che aveva dovevano rimanere celate e confidenziali. Tornò serio e pose la domanda che più gli premeva
“Ispettore, qualcuno ha fatto domande per la storia del testimone anonimo?”
“Effettivamente sì. Ho ricevuto molte pressioni in ufficio, soprattutto dal sovrintendente Kuroda.”
Il ragazzino si mise a sedere dritto di scatto: quella del sovrintende era stata eccessiva diligenza o un tentativo di carpire informazioni?
“Davvero? È saltato fuori il mio nome in qualche modo?”
Sentì lo sguardo di Heiji trapassargli un fianco a quelle parole. Stava decisamente fremendo per l’impazienza. Se non avesse concluso in fretta la telefonata gli sarebbe probabilmente saltato al collo in cerca di risposte.
“No ho celato a tutti il tuo coinvolgimento come mi avevi chiesto. Kudo sei per caso nei guai?”
“No stia tranquillo ispettore va tutto bene. Grazie per il suo aiuto. Ci risentiremo.”
Fece appena in tempo a interrompere la chiamata che Heiji lo aggredì
“Allora adesso ti decidi a sputare il rospo Kudo o vuoi continuare a farmi credere che va tutto bene? Cos’hai combinato?”
 
“Ma io non capisco. Pensavo che lui a Londra si fosse dichiarato.” Disse Kazuha soffiando sulla sua tazza.
Erano rimaste sedute sull’ultimo gradino dell’agenzia per una buona mezz’ora, mentre Ran raccontava, fra un singhiozzo e l’altro, gli insoliti avvenimenti degli ultimi giorni.
Il freddo aveva iniziato a penetrare nelle ossa e, per far calmare un poco l’amica e non rientrare subito a casa, le aveva proposto di andare a scaldarsi con un the nel bar vicino, cosicché avesse il tempo di riprendersi.
Non l’aveva mai vista così sconvolta ed era seriamente preoccupata per lei.
"Già lo pensavo anche io. Però è anche vero che io non gli ho mai risposto.” Mormorò Ran con gli occhi bassi, stringendo forte la tazza con due mani in cerca di un po’ di calore.
“Forse si è stancato di aspettare e…”
“No Ran è assurdo! Sei tu quella che è qui e lo sta aspettando, non il contrario!” esclamò Kazuha un po’ troppo forte, tanto da far girare gli altri clienti del bar.
Si risedette composta e, anche se un po’ imbarazzata, era felice di vedere finalmente un sorriso fare capolino sulle labbra dell’amica.
Abbassò il tono di voce pima di continuare “E poi è più che giusto che tu abbia voluto aspettare per dirgli quello che provi. Lui non c’è mai e questa è una cosa che va fatta guardandosi negli occhi.”
Un forte rossore era dilagato sulle sue guance mentre sussurrava quella frase, d’altronde non aveva potuto fare a meno di pensare al suo di amico di infanzia e alla loro di questione in sospeso.
“Ma forse, proprio perché sono stata riluttante a confidarmi per telefono, durante i suoi viaggi ha incontrato qualcun’altra che…che lo interessava e lo ricambiava.” Palesò i suoi dubbi la karateka.
“Però quando ti aveva chiamata qualche giorno prima sembrava tutto a posto, no?”
“Sì, ed è questo che non riesco a capire.” concluse Ran con un sospiro.
Kazuha scosse forte la testa, la coda di cavallo fermata dal solito fiocco ciliegia che ondeggiava a sua volta.
L’idea positiva che aveva sempre avuto di Kudo era andata scemando di minuto in minuto, sostituita da un forte astio crescente.
L’unica volta che lo aveva incontrato, in occasione del caso dello Shiragami, era rimasta affascinata da quel ragazzo: bello, con un sorriso disarmante e uno sguardo magnetico, dai modi di fare sicuri ma non sprezzanti, con una forza d’animo invidiabile e un altissimo senso della giustizia, ma soprattutto un grande cuore. Aveva capito perché perfino Heiji, che non aveva mai stretto legami di amicizia profondi con altri ragazzi, provasse una così grande ammirazione per lui, tanto da definirlo il suo migliore amico.
Adesso però non riusciva più a far collimare quell’impressione positiva con il comportamento scostante che l’amica le aveva riferito.
“Non lo so. C’è qualcosa che non mi torna. Si sta comportando in modo strano.”
“Lo dici con me? Dovevi vederlo quella sera. Mi è passato da parte senza degnarmi di uno sguardo. Tutto sorridente ha raccolto qualcosa da terra ed è corso dietro a quell’uomo come se nulla fosse. Non sono riuscita a riconoscerlo, non sembrava più lui.”
“Ran-san!”        
Le due giovani si voltarono verso il bancone, mentre un ragazzo alto con la carnagione scura si stava avvicinando a loro vestito da cameriere. Sorrise a entrambe, sembrava molto gentile.
“Amuro-san non ti avevo visto prima” lo accolse Ran sorpresa.
“Ho iniziato il turno adesso. C’è qualcosa che non va?” chiese lui fermandosi davanti al loro tavolo, dopo aver notato gli occhi rossi e lucidi della ragazza.
“No, no sto bene grazie.” Replicò lei con un sorriso tirato, poi voltandosi verso Kazuha continuò “Non credo che voi vi siate mai incontrati. Lei è una mia amica, viene da Osaka.”
“Piacere sono Kazuha Toyama”
“Piacere mio. Mi chiamo Tooru Amuro.” Si presentò l’altro rivolgendole un sorriso e un piccolo inchino, prima di riportare la propria attenzione sulla ragazza dell’agenzia.
“Ho saputo quello che è successo l’altra sera. Va tutto bene adesso?”
Ran sobbalzò lievemente “Hai…hai saputo?”
“Non pensare male. Ho un amico che è in polizia e mi ha detto che hai assistito in parte a un crimine.”
“Ah sì. Sulle scale del 48esimo piano del grattacielo Ikuzo.” Riferì la ragazza.
“Per fortuna che quel ragazzo è intervenuto altrimenti quell’uomo avrebbe potuto farvi del male.”
“Già” confermò amaramente Ran ricevendo un’occhiata eloquente da Kazuha.
Quel cameriere sembrava davvero gentile a preoccuparsi, però l’aikidoka sapeva che con la sua involontaria insistenza stava scatenando in Ran dolorosi ricordi non ancora sopiti.
“È stato un vero peccato che nessuno lo abbia visto bene. Mi hanno detto che non hanno nemmeno una descrizione di quel tipo.” Rivelò lui con tono apparentemente indifferente.
“È successo tutto così in fretta. Mi sembra normale che nessuno si sia preoccupato di osservarlo.” Commentò l’Aikidoka pensando che il giovane cameriere si riferisse allo scienziato.
Per un attimo ebbe l’impressione che Amuro non avesse gradito l’intromissione, ma quando il suo sguardo si posò su di lei era ancora cordiale, e mostrava solo preoccupazione.
“Credo tu abbia ragione, però se qualcuno lo avesse riconosciuto sarebbe stato tutto più facile.” Sostenne lui con fare non curante.
Kazuha stava per replicare ma venne interrotta da Ran, che sotto lo sguardo attonito dell’amica, dichiarò decisa
“No, quel ragazzo non l’avevo mai visto prima in vita mia.”
Lesse dolore e rabbia trattenuta nei suoi occhi e capì che lei non si stava affatto riferendo al criminale, bensì al detective liceale suo amico d'infanzia, Shinichi Kudo.
 
“Quindi fammi capire bene” disse Heiji “Hai trovato per puro caso una pista sull’Organizzazione, gli uomini che cercavi sono tutti morti prima che potessi parlarci, ma sei riuscito comunque a recuperare un dischetto con delle importanti informazioni sul farmaco che ti ha rimpicciolito. Al momento la piccola scienziata lo sta accuratamente esaminando per poter creare finalmente l’antidoto definitivo. Durante il tuo ultimo scontro però, hai incontrato Ran, e dato che non sapevi ancora se quello fosse il dischetto giusto fra i due, le hai detto un sacco di cose stupide per allontanarla da te e per evitare che, nel caso in cui quelli dell’Organizzazione ti avessero scoperto, andassero a cercarla. E poi, per di più, ti sei dovuto subire una ramanzina anche da quella strana detective?”
“Wow Hattori, facciamo progressi. Ti ci è voluta solo una notte per afferrare così brillantemente il concetto.” Replicò Conan acido.
Stavano camminando spediti verso quello che era stato il luogo dello scambio, dietro al grattacielo Ikuzo. La sera prima, conclusa la telefonata con l’Ispettore Megure, Conan gli aveva finalmente raccontato tutto. In quel momento non aveva potuto fare a meno di ringraziare mentalmente Kazuha e il fatto che lo avesse trascinato a Tokio: era certo che se non si fosse presentato lì per caso, quel testardo di Kudo non lo avrebbe informato di nulla. Quello stupido non voleva mai coinvolgerlo quando doveva affrontare quegli Uomini e la situazione si faceva grave e pericolosa.
“Basta che ti lasci da solo un po’ di tempo e combini un disastro Kudo.” Lo prese in giro bonariamente Heiji “E se non fosse per la grazia con cui mi sei caduto addosso stamattina, sono sicuro che non mi avresti nemmeno svegliato.”
“Non è colpa mia se hai il sonno pesante e ti apri a stella sul pavimento quando dormi” replicò Conan con un’alzata di spalle.
Anche quella mattina infatti, il ragazzino aveva tentato di lasciarlo indietro, cercando di uscire di soppiatto di casa, fallendo miseramente.
“Quanto hai detto che intendi rimanere? Una settimana?” chiese il detective dell’Est fingendo un’aria scocciata.
Heiji sapeva che in realtà era felice che lui si fosse offerto di dargli una mano. La situazione era complicata e difficile da gestire: una mente e un parere in più non avrebbero guastato. Kudo non lo avrebbe mai ammesso ma era così, perciò decise di non infierire ulteriormente.
“Sì, dato che non c’è scuola pensavo di approfittarne e fermarmi fino a sabato per partecipare anche alla riunione annuale della polizia, che quest’anno si tiene a Tokio. Essendo mio padre il questore di Osaka siamo stati come al solito invitati.”
“Non gongolare troppo Hattori. Se non fosse che sono intrappolato in questo corpo ci sarei stato anche io.” Ribatté prontamente l’altro.
Arrivati nel vicolo in cui si era compiuto il tragico fatto, iniziarono a perlustrarlo con cura alla ricerca di qualche indizio. Scandagliarono anche il più piccolo angolo buio senza, però, scovare nulla.
“Non c’è niente, come mi aspettavo.” affermò infatti Conan, senza essere troppo stupito.
“Ma se sapevi che non avremmo trovato nulla, allora perché sei voluto venire qui?” chiese Hattori di rimando.
Kudo era sempre stato un detective estremamente attento e meticoloso, però quando si trattava di quegli Uomini, credeva che addirittura esagerasse nell’estrema scrupolosità e nell’esagerata cautela che mostrava.
“Perché è l’ultimo luogo dove sono stati quelli dell’Organizzazione prima di tornare nell’ombra e cercava una traccia che li riconducesse a loro.” Sostenne una voce femminile, proveniente dalle loro spalle.
Un’espressione sorpresa apparì sui volti dei due ragazzi non appena si voltarono.
Una donna alta e bionda, con indosso un semplice tailleur grigio, se ne stava dritta in piedi con le braccia incrociate.
“A-agente Jodie?” disse il ragazzino, chiedendosi come avesse fatto a non sentirla arrivare.
“Vedo che non fa più finta di non saper parlare bene il giapponese.” L’accolse invece Heiji, recuperando il suo solito comportamento beffardo.
“Buongiorno Cool Kid. È un piacere rivedere anche te, detective di Osaka” li salutò cordialmente lei, anche se evidentemente non era poi molto felice di vederli lì.
“Allora mi dite come siete venuti a conoscenza di questo posto?”
“Anche se lei non mi ha tenuto informato” spiegò il piccolo detective con un ingenuo sorriso sulle labbra, che nascondeva il suo disappunto “c’ero anche io l’altra sera all’interno del palazzo.”
“Che cosa?” chiese sconcertata l’agente dell’FBI
“Eh già, ero lì per l’inaugurazione del ristorante.”
“Quindi hai assistito alla scena? Hai per caso visto il misterioso ragazzo che è intervenuto?”
Heiji lanciò un’occhiata divertita al collega. Voleva proprio vedere come si traeva dall’impiccio stavolta.
“No mi spiace, me ne sono andato prima perché non stavo bene.” Rispose Conan prontamente.
Era incredibile come quel piccoletto avesse imparato a recitare bene, i geni d’attrice della madre dovevano avere decisamente aiutato.
“Allora come hai fatto a sapere del fatto?” domandò Jodie che iniziava a essere sospettosa.
“Me lo ha riferito Ran. C’era anche lei quella sera, insieme a due sue amiche. Mi ha anche detto che quel ragazzo indossava un cappello che gli copriva buona parte del volto, e che quindi era impossibile distinguerne i connotati.” Aggiunse il ragazzino, per evitare ulteriori domande.
“Allora sono al punto di partenza.” ammise Jodie abbattuta “Non abbiamo altri indizi per scoprire chi fosse.”
La donna aveva evidentemente sperato di estorcere loro qualche nuovo dettaglio, ma non aveva fatto i conti con chi aveva davanti.
“Beh l’importante è sapere che siamo tutti dalla stessa parte, no?” s’intromise Heiji, guadagnandosi un’occhiata incredula da parte di Jodie.
“Quello che intendeva dire Heiji-niichan è che chiunque intralci i piani di quegli uomini può essere un potenziale alleato.” Tentò di rimediare Conan, dopo aver assestato una gomitata al ginocchio dell’amico per ingiungergli di tacere.
“Non è possibile, anche voi la pensate allo stesso modo.” Sospirò la donna affranta.
“Come?” chiesero in coro i due detective.
“Avete fatto esattamente le stesse considerazioni di Akai.” Rivelò ancora incredula l’agente Jodie.
E mentre i due giovani si guardavano fra di loro perplessi, nessuno notò la figura scura celata fra le ombre, allontanarsi silenziosa dopo aver origliato la loro conversazione.
 
 
 
Angolo d’Autrice
Eccomi tornata dopo una settimana ad annoiarvi con la mia storia che procede a rilento.
Effettivamente sembra che non accada un granché in questo capitolo…
In realtà ho posto le basi per una spietata caccia all’uomo! ;)
Per chi avesse avuto un momentaneo buco di memoria, il caso dello Shiragami citato da Kazuha è quello in cui Shinichi torna inavvertitamente adulto e si traveste appunto da demone della foresta per incastrare il ragazzo che aveva preso il suo posto.
(Gli episodi corrispondenti sono quelli dal 521 al 524 della numerazione giapponese “Tutti contro Shinichi”)
L’affermazione di Heiji “Vedo che non fa più finta di non saper parlare bene il giapponese” è invece riferita al primo e unico incontro fra il detective del Kansai e l’agente Jodie, che a quel tempo era ancora sospettata di essere Vermouth.
(Episodi 277 e 278 della numerazione giapponese “Insegnante d’Inglese contro famoso detective”)
Cari lettori vi ringrazio per continuare a seguirmi!
A presto
Shin4

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Capitolo 13
*** Indagini e Sospetti ***


Indagini e Sospetti
 
Quello era un classico caotico e rumoroso lunedì mattina a Tokio.
Le strade erano bloccate per l’intenso traffico dell’ora di punta e i marciapiedi affollati brulicavano di persone frettolose, di nuovo immerse nella routine settimanale, fatta di lavoro, affanni e piaceri più diversi.
C’era fra di loro però, anche chi camminava a testa china pensieroso, con le mani affondate nelle tasche, senza preoccuparsi di poter venire calpestato per la piccola statura.
Da quando avevano salutato l’agente Jodie infatti, Conan, assorto nei suoi pensieri, non aveva più spiaccicato parola.
“Credi che quell’Akai abbia capito chi sei?” Chiese Heiji irrequieto, interrompendo il silenzio dell’amico.
“È possibile.” Rispose laconico il piccolo detective.
D’altronde era qualche mese che viveva a Villa Kudo e, nonostante gli accorgimenti e le precauzioni prese, l’agente dell’FBI aveva sicuramente avuto più di un’occasione per raccogliere piccoli indizi che lo portassero a capire la sua vera identità. Si doveva essere chiesto più di una volta quale potesse essere il collegamento fra un bambino delle elementari, particolarmente sveglio e intelligente, e il detective liceale, figlio del padrone di casa, assente da quasi un anno. Inoltre, considerando che, pur non avendone mai parlato apertamente, era molto probabile che Akai avesse riconosciuto Ai per ciò che era, ovvero l’ex scienziata dell’Organizzazione Shiho Miyano, non ci doveva aver messo molto ad arrivare alla verità.
Comunque quando lo aveva invitato a restare a casa sua, aveva preso atto di questa eventualità.
“E pensi che possa essere un problema?”
“No, se continua a tenere per sé i suoi sospetti.”
“Allora cos’è che ti preoccupa?” Incalzò nuovamente Heiji, che non capiva quale fosse il punto della questione.
Conan gli lanciò una rapida occhiata corrucciata “Hai sentito no? A parte Akai, gli altri dell’FBI non hanno idea di chi sia intervenuto l’altra sera e di ciò che è successo.”
“Ciò vuol dire che sei stato bravo e non hai lasciato indizi che riconducessero a te.” Sostenne il detective dell’Ovest, rilassandosi in un sorriso e osservandolo dall’alto con le mani dietro la nuca.
“Ma significa anche che non sanno come l’Organizzazione intenda agire” precisò il ragazzino, rimanendo serio “e quindi io non posso fare altro che fidarmi del mio istinto per cercare di prevedere le loro mosse.”
Il problema più impellente infatti, era capire chi dell’Organizzazione stava indagando su di lui e come avrebbe potuto ostacolarli, se non contrastarli, nella loro ricerca. Cosa non facile da fare rimanendo nell’ombra.
“Se mi dici questo significa però, che hai già in mente un’idea per contrattaccare o almeno per evitare che vengano a conoscenza della tua identità.” Replicò prontamente Heiji, sorridendo beffardo e sicuro di sé.
“A quest’ora avranno già iniziato a muoversi. È probabile che Bourbon sia stato incaricato di eseguire le ricerche.” Rivelò Conan senza scomporsi, d’altronde reperire informazioni e indagare era sempre stato il suo ruolo.
“Avrà già avuto per le mani il rapporto di polizia e sarà a conoscenza della presenza delle tre testimoni, Ran, Sonoko e Sera. Cercherà di capire se e cosa hanno visto…”
“Quindi dobbiamo impedire a tutti i costi che Amuro si avvicini e che, parlando con loro, scopra il tuo coinvolgimento: se le ragazze dovessero, anche solo involontariamente, fare il nome di Shinichi Kudo, sarebbero grossi guai per te.” Concluse l’altro per lui.
“Esatto, ed è per questo che tu adesso tornerai immediatamente all’agenzia e starai appresso a Kazuha e Ran, senza lasciarle un attimo. Lei è la prima e la più facile con cui può venire a contatto.” Asserì deciso.
Inoltre era anche quella più coinvolta emotivamente, e la più probabile che si facesse scappare il suo nome anche solo per inveirgli contro.
Heiji si fermò di botto, guardandolo storto “E perché solo io devo fare da balia a quelle due?”
“Non mi pare che controllare Kazuha e starle vicino sia mai stato un problema per te.” Ribatté Conan con un’espressione divertita.
“Non intendevo questo” dichiarò Heiji arrossendo “Volevo sapere cosa farai tu nel frattempo.”
“Io andrò dal Dottor Agasa per fare qualche ricerca sullo scienziato morto, Masaki Nejishi.”
Era probabile che anche quello fosse un buco nell’acqua ma valeva almeno la pena di tentare.
“Mi raccomando Hattori fai attenzione. Amuro è scaltro, manipolativo e nonostante sia abituato ad estorcere informazioni con l’inganno, rimane un ottimo detective.”
“Anche io lo sono. Non ti preoccupare, le ragazze sono in buone mani.” affermò deciso il ragazzo del Kansai, afferrando la visiera del cappello, girandolo e calandolo poi sul viso, in segno che le indagini erano ufficialmente aperte.
Conan lo guardò dileguarsi fra la folla prima di dirigersi nella direzione opposta.
Aveva fiducia nelle capacità di Heiji, sapeva che se si fosse scontrato con Bourbon gli avrebbe coperto le spalle, come sempre, e avrebbe addirittura approfittato della situazione per capire di quanto effettivamente fosse a conoscenza.
Non era questo che lo turbava.
Aveva saputo che il sovrintende di polizia, Hyoue Kuroda, aveva fatto alcune pressioni all’Ispettore Megure per  scoprire l’identità del testimone anonimo. Poteva essere dovuto all’eccessivo zelo e alla necessità che le indagini procedessero al meglio a causa del ruolo che ricopriva, ma poteva anche darsi che il suo fine fosse un altro.
Non aveva detto nulla ad Hattori dei suoi dubbi proprio per evitare che si esponesse e si offrisse di indagare al posto suo, tramite i suoi contatti nella polizia di Osaka.
Se Kuroda era davvero Rum come sospettava, allora significava che anche il secondo uomo più importante dell’Organizzazione era sulle sue tracce ed era necessaria una certa cautela, non lo si poteva affrontare a viso aperto.
Era possibile che un pezzo grosso avesse cominciato a muoversi sulla scacchiera e lui al momento non poteva fare alcuna mossa senza rischiare di uscire allo scoperto.
 
“Non possiamo andare direttamente a casa?”
“Insomma Heiji mi vuoi dire che cos’hai contro questo bar?” esclamò Kazuha indispettita, indicando il Poirot “anche prima non hai voluto saperne di fermarti qui!”
“Ma nulla, è solo che ormai siamo arrivati.” ribadì il ragazzo, cercando inutilmente di costringere l’aikidoka a salire le scale dell’agenzia.
“Io e Ran andiamo a bere qualcosa di fresco. Tu fai quello che vuoi.” dichiarò Kazuha irritata, sfuggendo alla presa dell’amico ed entrando nel bar.
L’altra ragazza, sentendosi presa in causa, cercò di smorzare l’aria tesa dalla piccola lite.
“Hattori-kun se sei stanco, puoi andare da solo in agenzia e aspettarci lì. Tanto mio padre non c’è e, a meno che non torni Conan, nessuno ti disturberà.”
“No, vengo con voi.” replicò lui con uno sbuffo seccato, seguendo la ragazza con la coda di cavallo nel locale.
“Accidenti a Kudo e alle sue idee.” Imprecò poi mentalmente il detective.
Quelle due ragazze lo avevano trascinato in giro per la città per tutto il giorno. Con la scusa che era da un po’ che non andavano a Tokio, Kazuha aveva voluto fare un tour turistico completo: erano passati dal Palazzo Imperiale al Parco Ueno, nonostante non fosse la stagione di fioritura dei ciliegi, dal Santuario Meiji alla Torre di Tokio, salendo fino all’osservatorio, per non parlare poi degli infiniti negozietti di amuleti che aveva osservato con occhi adoranti.
Dopo tutto questo aveva voluto andare anche in quel maledetto bar, dove lavorava Bourbon sotto copertura.
Perché Kazuha non capiva che avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei, ma che semplicemente quello era il posto sbagliato per fermarsi a riprendere fiato?
Scosse la testa con lo sguardo basso mentre prendeva posto a uno dei tavoli, senza notare l’occhiata d’intesa che si lanciavano le due ragazze e il sorriso che faceva capolino sul viso dell’aikidoka.
Osservò però con cura il ragazzo biondo che aveva segnato le loro ordinazioni.
Dalla prima impressione non aveva proprio l’aria di essere un agente segreto, men che mai un criminale. Effettivamente Kudo lo aveva messo in guardia sul fatto che fosse bravo.
I tre giovani passarono tranquilli la prima mezz’ora, continuando a chiacchierare del più e del meno, fino a che non rimase altro che il ghiaccio nei loro bicchieri e allora Amuro si avvicinò nuovamente come un perfetto cameriere, domandando loro
“Posso portarvi qualcos’altro?”
“No” rispose secco il ragazzo del Kansai, di nuovo desideroso di andarsene al più presto.
“Non essere scortese Heiji!” lo riprese Kazuha.
“Siamo a posto così, grazie.” completò Ran con un sorriso.
“Vedo che ti sei ripresa, ieri sembravi piuttosto scossa.” continuò poi il cameriere, ignorando completamente gli altri due e rivolgendo tutta la sua attenzione a Ran.
La ragazza arrossì un poco imbarazzata “Sì beh, ecco…diciamo che non è stata la mia serata migliore.”
Heiji si fece immediatamente attento a quello scambio di frasi. Significava forse che quei due avevano già discusso di quell’argomento spinoso?
“Capita a tutti una giornata no. Ma volevo scusarmi con te se per caso ho detto qualcosa di inopportuno, tirando fuori quella storia.” Replicò il primo con tono mortificato.
“No, no, non è stata colpa tua.” bofonchiò di rimando la karateka, che non aveva molta voglia di affrontare quella conversazione in presenza del miglior amico di Shinichi.
Amuro le sorrise “Sono contento di vedere che una sparatoria e l’improvviso incontro con due uomini sconosciuti non ha minato il tuo morale.”
La ragazza si fece scura in volto ma Heiji si intromise prima che potesse rispondere.
“Non ti sembra di star dicendo qualcosa di inopportuno, adesso?” affermò marcando la voce sulle ultime parole, come chiaro riferimento a ciò che aveva detto lui stesso poco prima.
“Heiji si può sapere che cosa ti prende oggi?” si insinuò Kazuha sconcertata.
Amuro si concentrò su di lui, con lo sguardo che si faceva impercettibilmente più affilato “No ha ragione, sono stato di nuovo scortese. Permettetemi di offrirvi in cambio le vostre consumazioni.”
“Non ce né bisogno!” esclamò Ran, tirando un sospiro di sollievo per aver evitato una situazione che poteva rivelarsi spiacevole sotto molti punti di vista, più di quanti lei potesse immaginare.
I ragazzi avevano pagato il conto e si stavano poi avviando fuori dal locale, quando Heiji venne casualmente urtato da Amuro, mentre si voltava dopo aver preso un’ordinazione.
“Mi dispiace” si scusò subito il cameriere.
“Dovresti prestare più attenzione a chi si muove attorno a te.” replicò brusco il ragazzo del Kansai, prima di seguire le altre che avevano osservato la scena dall’ingresso.
“Anche tu” pensò Amuro trattenendo un sorriso malizioso.
 
“Ma invece che stare qui tutto il pomeriggio a cercare informazioni, non sarebbe stato più facile chiedere direttamente alla polizia?” domandò il professore mentre portava in salotto tre calde tazze di caffè.
“Non poteva farlo.” Replicò bruscamente Ai, afferrando la sua.
“Se Shinichi Kudo si fosse interessato ulteriormente al caso, l’Ispettore si sarebbe insospettito e poi sarebbe stato troppo pericoloso esporsi così, per una pista che non ci sta conducendo da nessuna parte.” Spiegò meglio Conan, smettendo finalmente di digitare sul computer.
Nel momento in cui Ai aveva aperto la porta e se lo era ritrovato davanti, aveva pensato seccata che fosse tornato per aggiornarsi sui suoi progressi con il farmaco, ma aveva dovuto ricredersi immediatamente.
Aveva un’espressione decisa e assorta come quando si apprestava a indagare, e così infatti era stato: aveva passato quattro ore seduto sulla sedia, alternando minuti di sfrenati battiti sui tasti a momenti di silenziosa riflessione, in cui segnava qualche appunto sui fogli da parte per poi riprendere a fissare insistentemente lo schermo.
“Secondo me Nejishi era stato contattato solo come sostituto del Dottor Asai, per fare le sue veci nello scambio.” Commentò la piccola scienziata inghiottendo un sorso del liquido bollente, che l’aiutava a tenere i nervi saldi in attesa del verdetto definitivo del detective.
“Lo credo anche io. Ho controllato e ricontrollato ogni dettaglio, non ho trovato nulla più di quanto già sapessimo.” Confermò il ragazzino con un sospiro rassegnato.
Per quanto lui potesse essere contrariato per il punto morto a cui erano giunte le indagini, lei invece non poteva che esserne felice: si era già esposto troppo per impossessarsi di quel dischetto, non occorreva correre altri insulsi rischi.
“Non varrebbe la pena di dare almeno un’occhiata al suo appartamento?” suggerì il Dottor Agasa, prendendo posto sul divano.
Ai scosse la testa “Sarebbe inutile. La polizia l’avrà sicuramente già perquisito, e se anche ci fosse stato qualcosa di rilevante gli Uomini in Nero avrebbero fatto sparire ogni traccia riconducibile a loro.”
“Per di più” continuò il ragazzino con un tono basso, quasi parlasse tra sé e sé e non volesse farsi sentire “potrebbe darsi che lo tengano sotto controllo nel caso in cui, chi ha compromesso lo scambio, decidesse stupidamente di farsi vivo.”
Il Dottor Agasa strabuzzò gli occhi prendendo atto della minaccia inespressa racchiusa in quelle parole, mentre Ai venne percorsa da un brivido che intaccò la sua finta imperturbabilità.
L’ansia e la paura, che da alcuni giorni tentava di reprimere, iniziarono a insinuarsi prepotenti: sentiva l’ombra nera dell’Organizzazione allungarsi su di lei e il fiato di Gin, pronto ad afferrarla, sul suo collo.
Finalmente pose a Conan la domanda che non aveva ancora avuto il coraggio di fare in modo così diretto
“Sei sicuro che non ci sia modo di risalire a te?”
Un rapido guizzo di incertezza oscurò per un attimo il blu intenso dei suoi occhi, prima che vincolasse lo sguardo limpido e deciso al suo e la tranquillizzasse con un sorriso.
“Ne sono sicuro.”
Ma lei lo aveva colto quel breve momento di esitazione, così quando lui di lì a poco se ne andò, si avviò silenziosa verso le scale del laboratorio.
“Ai-kun non vorrai rimetterti subito al lavoro, vero? Dovresti riposare” le disse preoccupato il dottor Agasa, ancora un po’ scosso dalla precedente conversazione.
“Devo approfittare del tempo libero di questi giorni.” replicò la piccola scienziata senza voltarsi.
Ma in realtà non era per quello che stava per rimmergersi fra le sue provette e i suoi calcoli complicati.
Aveva la brutta sensazione che presto o tardi Kudo sarebbe entrato trafelato da quella porta per chiederle nuovamente un antidoto e che lei quella volta non avrebbe potuto rifiutare.
 
Non aveva fatto che pochi passi fuori dal locale che aveva già in mano il cellulare.
“Ragazze andate avanti, devo fare una telefonata e vi raggiungo.” annunciò Heiji con un tono deciso.
Kazuha anche se perplessa annuì, e segui la karateka su per le scale dell’agenzia.
Selezionando il numero dalla rubrica, continuò ad osservare Amuro di sottecchi, attraverso la vetrina del bar, mentre si destreggiava tranquillo fra i tavoli.
“Puoi parlare?” disse a bassa voce, voltandosi e allontanandosi da occhi indiscreti.
“Sì, sono solo, perché cos’è successo?”
“Lo abbiamo incontrato. Avevi ragione sta raccogliendo informazioni.”
“Ha scoperto qualcosa?” chiese Conan con la voce leggermente agitata.
“Ha parlato con Mori già l’altra sera. Probabilmente quando le due ragazze sono uscite, sono venute qui. Però tranquillo, non sa nulla di compromettente.” Replicò il detective dell’Ovest, lasciandosi sfuggire un sorriso.
“MALEDIZIONE HATTORI NON POTEVI DIRLO SUBITO?”
Scostò un attimo il telefono dall’orecchio per riprendersi dalle grida del ragazzino che gli avevano forato un timpano. Era il solito esagerato, se la prendeva sempre per nulla.
“Ehi, ehi non urlare, non sono mica sordo!”
Percepì uno buffo seccato dall’altro lato del ricevitore “Siete a casa adesso?”
“Sì, le ragazze sono già salite. Io prima ti ho chiamato.” Rispose lasciando scorrere lo sguardo verso l’alto, fino alle scritte sui vetri del primo piano.
“Sono appena uscito dalla casa del dottore, sarò lì fra poco.”
“Va bene, ne riparleremo dopo allora.” concluse prima di riattaccare.
Avviandosi su per le scale, ripercorse mentalmente la conversazione di poco prima. Forse Kudo stavolta si era sbagliato, a lui quell’uomo non era sembrato poi così scaltro.
Ripensò alla scarsa sottigliezza con cui Bourbon aveva fatto le domande e all’ingenuità con cui aveva chiaramente mostrato il suo interesse verso l’accaduto di quella infausta sera.
Però c’era qualcosa che non lo convinceva, un particolare che non riusciva a metter bene a fuoco.
Se in quel momento avesse visto il sorriso malizioso e lo strano luccichio che pervadeva gli occhi del soggetto dei suoi pensieri, probabilmente avrebbe capito.
 
Nonostante fosse stanca e abbattuta, aveva deciso che quella sera avrebbe preparato una cenetta speciale per i suoi ospiti, soprattutto per ringraziare Kazuha, che quel giorno con la sua allegria e leggerezza aveva fatto di tutto per cercare di tenerle alto il morale e farla sorridere.
Anche perché Ran era effettivamente riuscita a distrarsi: lui non aveva mai abbandonato del tutto i suoi pensieri, però era rimasto confinato in un angolino nascosto della sua mente, almeno fino a quando Amuro non glielo aveva bruscamente ricordato.
Erano bastati due minuti per sprofondare di nuovo nel baratro della tristezza e dello sconforto, un baratro nero che sentiva allargarsi sempre di più sotto i suoi piedi, oscurandole la vista e appannandole i sensi.
Si perse, affondando fra i suoi pensieri cupi, finché una voce sottile di bambino la riportò a galla, ancorandola alla realtà.
“Ciao, sono a casa!” annunciò Conan con tono leggero.
“Era ora che tornassi, pensavo di dover fare tutto da solo.” borbottò Heiji, seduto a braccia incrociate sul divano, guadagnandosi un’occhiataccia da parte del piccoletto.
“Conan-kun finalmente! Ma cosa hai fatto dal Dottor Agasa fino ad ora?” chiese Ran affacciandosi dalla porta della cucina.
Lo vide avvicinarsi cauto, mentre osservava attento la reazione di lei a ogni suo movimento, memore della freddezza che gli aveva riservato dopo l’irruente accoglienza della sera prima.
“Il dottore era dovuto uscire e Ai non stava molto bene, così sono rimasto a farle compagnia.” Spiegò con voce un po’ incerta, come se si aspettasse che quella spiegazione non venisse ritenuta sufficiente.
Si sentì in colpa: doveva averlo scosso parecchio se si comportava così nei suoi confronti.
Cercò di rimediare mostrandosi il più gentile possibile “Sei stato carino a preoccuparti per lei. Sta meglio adesso?”
Una risata sommessa provenne dalla direzione del divano, ma venne coperta dalle parole del bambino
“Sì, si è già un po’ ripresa.”
Soddisfatta della risposta, Ran ricominciò ad affaccendarsi ai fornelli.
Non si accorse subito che il ragazzino l’aveva seguita in cucina e stava adocchiando affamato la torta sul tavolo.
Mentre si girava per prendere alcuni ingredienti dalla dispensa, lo colse in fragrante mentre cercava di assaggiare un po’ di panna con un dito.
“CONAN!”
Il piccolo ebbe un brivido: anche se lei non poteva saperlo, aveva usato esattamente lo stesso tono con cui lo riprendeva nelle vesti da liceale e in genere, se non correva subito ai ripari, questo non preannunciava mai nulla di buono.
Ran lo vide voltarsi lentamente, ma non sembrava particolarmente pentito.
“Era così invitante che non ho saputo resistere” si scusò lui leccandosi il dito “e poi dai, non si nota nemmeno che ne ho assaggiato un pezzettino.”
In viso uno sguardo impertinente e un mezzo sorriso, come se volesse sfidarla a dire il contrario.
Era la stessa espressione che le rivolgeva sempre Shinichi tutte le volte che lo aveva beccato a fare qualcosa di male.
“Va bene, passi per questa volta, ma non farlo più.” Lo rimproverò lei, senza però essere in grado di trattenere un sorriso.
Non riusciva ad arrabbiarsi seriamente con lui, non se la guardava così.
Venne travolta da un’ondata di malinconia e si lasciò andare ai ricordi. La cosa che più le mancava erano proprio i momenti come quelli, dove colui che era stato il suo appassionato di gialli era capace di farla ridere anche solo con un piccolo gesto o poche parole.
“Che c’è?” si sentì chiedere, mentre una mano le afferrava la manica per richiamare la sua attenzione.
Perché si dimenticava sempre che quel ragazzino riusciva a leggerle dentro con la stessa facilità con cui solo un’altra persona riusciva a fare?
“Niente, va tutto bene.”
Lui la scrutò pensieroso negli occhi per qualche secondo, prima di pronunciare una frase che la spiazzò completamente
“Io non ti ho abbandonato, né lo farò mai Ran…neechan.”
Il tono troppo serio, che cozzava inevitabilmente con la voce fanciullesca.
Lo osservò stupita per un attimo, prima di ricordare le parole con cui lo aveva accolto la sera prima e comprendendo ciò a cui si riferiva
“Sei tornato finalmente, pensavo mi avessi abbandonato anche tu.”
Un sincero e caloroso sorriso, che venne immediatamente ricambiato, le illuminò il volto “Grazie di cuore Conan-kun”
In quel momento, i due sentirono qualcuno schiarirsi la voce alle loro spalle, e Conan, riconoscendone il proprietario, si fece subito rosso in volto.
“Se avete finito” disse Heiji con un’espressione divertita “avrei bisogno di parlare un attimo con il piccoletto.”
“Oh, sì certo” replicò Ran, inspiegabilmente imbarazzata.
Kazuha, che aveva anche lei assistito alla scena da dietro la porta, s’intromise rimbeccando, per l’ennesima volta in quella giornata, il giovane dalla pelle scura
“Heiji ma è possibile che tu non abbia mai un po’ di tatto?”
“È questo cosa vorrebbe dire?” domandò il diretto interessato.
“Sei sempre scortese e invadente con tutti!”
“Questo non è vero.”
“Sì invece.” Affermò decisa l’aikidoka “Anche oggi ti sei comportato malissimo con quel gentile cameriere del Poirot”
“Ma se è stato lui il primo a essere scortese e invadente con Mori-kun” ribatté Heiji facendo il verso alle parole dell’amica.
“Lui si è dimostrato sensibile e comprensivo, mentre tu non ti sei nemmeno scusato quando l’hai urtato prima di uscire!” continuò imperterrita Kazuha, senza che Ran avesse il coraggio di intromettersi per porre fine a quell’inutile discussione.
“Ti sei scontrato con Amuro-san?” chiese Conan perplesso, pensando che quel ragazzo non era mai stato una persona goffa.
“Ma se è stato lui ad urtare me e infatti è sempre stato lui a scusarsi.” replicò Heiji seccato, credendo che anche l’amico fosse contro di lui.
Prima che Kazuha avesse il tempo di riaprire bocca, Conan si intromise di nuovo richiamandolo con tono allarmato “Heiji-niichan!”
 
Era stato facile, fin troppo facile fregare quel detective di Osaka.
Era bastato esporsi un pochino più del dovuto, mostrarsi risentito per essere stato interrotto e, quando lo aveva volutamente urtato per mettergli la cimice addosso, non si era accorto di nulla, non si era nemmeno insospettito.
Era caduto nella sua trappola come un ragazzino alle prime armi.
Non appena lo aveva visto comparire al fianco di quel bambino con gli occhiali, si era immediatamente informato su di lui: Heiji Hattori, figlio del capo della polizia di Osaka Heizo Hattori, un brillante e giovane detective, conosciuto soprattutto nella zona Ovest del Giappone.
Quando aveva seguito lui e Conan, e li aveva visti parlare con quell’agente dell’FBI aveva perfino valutato, per un momento, la possibilità che fosse proprio lui il ragazzo che stava cercando.
Hattori era acuto, agile e scattante di mente e aveva già molti casi al suo attivo, non era assurdo pensare che in qualche modo fosse rimasto invischiato in quella faccenda.
Ma aveva un difetto, che gli aveva permesso, quel pomeriggio stesso, di escluderlo come sospettato non appena era uscito dal bar: era troppo impulsivo.
Amuro sorrise ripensandoci.
Non appena aveva messo piede fuori dal locale, istigato dalle parole che aveva rivolto alla figlia del detective Mori, aveva fatto una telefonata per informare qualcuno dell’accaduto.
Aveva potuto sentire solo ciò che aveva detto Hattori e non il suo interlocutore. Quest’ultimo rimaneva ancora un sconosciuto poiché non era mai stato chiamato per nome, però c’era la possibilità, non molto remota, che si fosse trattato proprio di quel ragazzo che aveva messo i bastoni fra le ruote all’Organizzazione.
Ad ogni modo, anche se non fosse stato lui, poteva comunque presumere che quel detective dal forte accento del Kansai sapesse più di quanto dava a vedere, come quel moccioso con gli occhiali.
“Se avete finito, avrei bisogno di parlare un attimo con il piccoletto.”
“Oh sì, certo”
Eccolo il momento che tanto aspettava e in cui non aveva osato sperare: finalmente avrebbe scoperto di più non solo sul suo obiettivo, ma anche su quel ragazzino ficcanaso.
“Heiji ma è possibile che tu non abbia mai un po’ di tatto?”
Di nuovo quella ragazza impicciona, era già la terza volta che si metteva in mezzo.
Se quei due perdevano tempo a litigare, c’era il rischio che tutto andasse a monte.
“Sì invece. Anche oggi ti sei comportato malissimo con quel gentile cameriere del Poirot”
“Ma se è stato lui il primo a essere scortese e invadente con Mori-kun”
“Lui si è dimostrato sensibile e comprensivo, mentre tu non ti sei nemmeno scusato quando l’hai urtato prima di uscire!”
“Ti sei scontrato con Amuro-san?”
Ehi, cosa stava succedendo, perché Conan si era intromesso?
“Ma se è stato lui ad urtare me e infatti è sempre stato lui a scusarsi.”
“Heiji-niichan!”
Amuro si bloccò mentre stava riponendo le tazzine sopra la macchina per l’espresso: il tono di quel bambino era troppo allarmato.
“C-che c’è?”
“Puoi venire di là un attimo con me?”
Un terribile dubbio si insinuò nella sua mente.
Si portò una mano all’auricolare, per escludere il vociferare di sottofondo del bar, che aveva iniziato ad essere affollato, prestando la massima attenzione al dialogo spiato che stava avvenendo qualche metro sopra di lui.
Udì per qualche secondo solo un fruscio di abiti e il tonfo leggero dei passi, prima che i due ricominciassero a parlare.
“Si può sapere che accidenti ti è preso C…”
“NON CHIAMARMI PER NOME!”
Era davvero possibile che fosse bastato un rapido scambio di frasi perché quel ragazzino avesse capito tutto?
Adesso c’era silenzio, solo il rumore di una porta sbattuta con forza.
“Togliti la giacca. Controlla le tasche, i risvolti delle maniche e sotto al colletto.”
“Ma che diavolo…”
E poi un forte fischio gli trapassò l’orecchio, costringendolo ad un gesto convulso.
“Accidenti!” esclamò con uno scatto di rabbia.
“Tutto bene Amuro-san?” chiese Azusa preoccupata, non lo aveva mai visto reagire così.
“Sì scusa, mi sono solo scottato inavvertitamente con il caffè” replicò lui, riprendendo immediatamente il controllo di sé “vado di là un attimo per prendere la cassetta del pronto soccorso.”
Avevano trovato e distrutto la cimice.
No, non loro. Era stato lui a farlo. Conan.
Amuro sbatté forte il pugno contro il muro e vi appoggiò la testa bionda, fissando lo sguardò atterrito e sgomento al pavimento.
Come era possibile che nell’arco di soli due minuti quel bambino avesse intuito, accertato e reso vano il suo piano?
Nessuno si era accorto di nulla tranne lui.
“Chi sei veramente ragazzino?”
 
“Heiji-niichan!”
Le parole gli uscirono di bocca senza che ne fosse certo al cento per cento. Ma poteva forse rischiare e non controllare? Assolutamente no. 
Tutti si girarono e abbassarono il capo verso di lui. 
“C-Che c’è?” chiese Heiji preoccupato, d’altronde non poteva essere un caso se aveva deciso di pronunciare quel suffisso che odiava. Doveva esserci qualcosa che non andava, poteva averlo fatto solo per non destare sospetti.
“Puoi venire di là un attimo con me?”
Conan non attese nemmeno la risposta e iniziò a trascinarlo per la manica, lasciando le ragazze stranite da sole in cucina.
“Ma che cosa gli è preso?” domandò Kazuha perplessa.
“Lo sai che quei due ogni tanto si comportano in modo strano.” replicò Ran con un alzata di spalle, confusa quanto lei.
Gli altri due intanto arrancavano per il corridoio, con Heiji che sembrava non volersi decidere a darsi una mossa per seguire il piccolo detective, anzi cercava di impuntarsi per risolvere immediatamente la questione.
“Si può sapere che accidenti ti è preso K…”
“NON CHIAMARMI PER NOME!” lo aggredì Conan, interrompendolo appena in tempo prima che pronunciasse il nome Kudo.
Heiji smise di fare resistenza e lesse negli occhi dell’amico l’urgenza di fare in silenzio ciò che diceva.
Raggiunta la camera che condivideva con Kogoro, il ragazzino chiuse rapidamente la porta alle sue spalle e poi gli ordinò in tono serio e deciso
“Togliti la giacca. Controlla le tasche, i risvolti delle maniche e sotto al colletto.”
Il ragazzo dalla pelle ambrata seguì alla lettera le istruzioni senza fiatare, fino a che non trovò un piccolo oggetto dalle linee smussate in una delle pieghe del polsino.
“Ma che diavolo è questo coso?”
Non fece in tempo a finire la frase che l’altro l’aveva già distrutto.
Conan tirò un sospiro di sollievo per il disastro appena sventato “Era una cimice.”
“Che cosa?”
“Deve avertela messa addosso Amuro quando vi siete scontrati.”
“E pensava che non me ne sarei accorto prima o poi?” disse Heiji adirato, più con sé stesso, per essersi fatto ingannare, che con altri.
“Credo fosse uno di quei modelli che si dissolvono in poche ore, lì usano soprattutto per monitorare le nuove reclute.” Replicò il piccolo, ricordando di come allo stesso modo era saltata la copertura di Ethan Hondo, agente della CIA e padre di Hidemi, alias Kir.
“Non prendertela con te stesso” continuò poi vedendo la reazione dell’amico “era la prima volta che ti scontravi con Bourbon, avrei dovuto darti maggiori dettagli sul suo conto e allora avresti saputo che non è da lui compiere involontariamente un’azione così goffa come urtare qualcuno. Ma non avevo pensato che avrebbe osato tanto.”
Rimasero in silenzio qualche minuto ripercorrendo mentalmente tutto ciò che era stato detto, o anche solo sussurrato, da quando il detective del Kansai aveva lasciato il locale, per capire di quanto si fossero esposti e contemplando i possibili negativi risvolti di quella spiacevole situazione.
“Fortunatamente non ha avuto il tuo nome.” asserì alla fine Heiji con un sospiro.
“Però adesso sa che sappiamo, dovremo stare ancora più attenti.”
  
Stava sorseggiando con calma un bicchiere di scotch, mentre faceva scorrere lentamente gli occhi sui dieci nomi della lista che teneva in mano.
Fra quelli era certo ci fosse anche quello del ragazzo che lo stava facendo tanto divertire.
Non doveva fare altro che controllarli uno per uno.
Un ghigno sadico si delineò sul suo volto alla prospettiva di ciò che lo aspettava.
Nonostante tutto non poteva non ammirare un poco quel ragazzo, che come lui si destreggiava agendo nell’ombra, mandando avanti gli altri al suo posto.
Ma proprio perché lui era il supremo maestro burattinaio, che eccelleva nell’arte del travestimento e della manipolazione, sapeva bene che, per colpire chi si celava, bastava seguire attentamente i quasi invisibili fili che dipartivano dalle marionette: partendo dall’Ispettore Megure, e controllando fra i suoi contatti più fidati, sarebbe presto arrivato a chi cercava. Non poteva fallire.
D’altronde lui era l’ombra nera in piena luce.
Lui era Rum.
 
 
 
Angolo D’Autrice
Salve!
Ringraziò chiunque sia arrivato fin qui e abbia letto queste 5000 deliranti parole (Già perché sono proprio 5000).
Inizialmente non volevo investirvi con un capitolo così lungo, ma purtroppo mi sono fatta prendere un po' troppo la mano -.-‘
Quindi vi prego fatemi sapere cosa ne pensate e se ho effettivamente esagerato.
Ho cercato di alleggerire il tono un po’ cupo e molto investigativo inserendo un piccolo dolce momento fra Conan e Ran, e quella scena è l’idea migliore che mi sia venuta in mente.
E voi mi direte anche stavolta torta con panna (tranquilli niente sorprese sotto quel punto di vista stavolta! ^^)
Solo un’ultimissima piccola precisazione e poi vi lascio andare:
le ultime tre scene sono un po’ ripetitive lo so, ma volevo sottolineare bene le reazioni dei diversi personaggi e soprattutto che mentre Amuro ha capito Conan, Heiji intendeva Kudo… ;)
Baci e ancora mille grazie
Shin4

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