OAH: Operation Ancient Heirloom

di NightWatcher96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Quattro Vertici ***
Capitolo 2: *** Quando in Amazzonia... ***
Capitolo 3: *** La Cascata ***



Capitolo 1
*** I Quattro Vertici ***


N/A Nuova storia, anche se già stata creata almeno tre anni fa e completamente modificata, in un molto di T-Cest. Buona Lettura.



New York. La Grande Mela.
Una città con tanti abitanti da ogni parte del mondo. Così caotica, rumorosa, con le sue attrazioni, la Lady della Libertà e... un ricco palazzo a vetrate che rifletteva la calda luce del sole, in un martedì mattina, verso le undici di giugno.
All'ottantesimo piano, in un ricco ufficio con un'ampia veduta sull'immensa Big Apple, un uomo seduto a un'elegante scrivania di pregiato noce era visibilmente infuriato, mentre osservava un energumeno e un altro ragazzo di circa ventiquattro anni.
“Un altro fallimento. L’ennesimo poi, Hun!” mormorò con calma glaciale.
"Maestro... la prego..." farfugliò l’uomo biondo in ginocchio.
"Hai avuto le tue occasioni e hai sempre fallito. Adesso, esci di qui prima che ti licenzi definitivamente. Te e le Guardie Scelte!".
"S... sì, Maestro Shredder" mormorò a voce bassa e uscì dalla porta castana.
L'energumeno dalla treccia bionda, occhi neri come il vestito, più una vecchia cicatrice sulla guancia e un tatuaggio con un drago viola sul braccio se ne andò. Adesso, nella stanza molto illuminata dal sole e refrigerata dall'aria condizionata vi erano solo Saki e il misterioso ragazzo.
Quest'ultimo aveva occhi dorati, una maschera rossa e la forma umanoide di una tartaruga. Indossava un cappello da cow-boy e un soprabito di pelle, tutto rigorosamente beige. Non aveva magliette, ma solo un aderente pantalone marrone infilato in un paio di stivali neri sin sotto al ginocchio. Aveva molto braccialetti d'argento e catenine d'oro al collo. Una cicatrice datata era sul suo pettorale sinistro. Una pistola e due Sai erano infilati nella cintura di cuoio nera che indossava. Un paio di guanti marroni privi di dita completavano il look.
"Ti ho chiamato perché voglio proporti un affare al quale tengo particolarmente" cominciò Saki, alzato per dirigersi alla cristalleria di bottiglie sulla sinistra. "Prendi qualcosa?".
"Un wisky. Con ghiaccio".
Saki servì in due bicchieri il liquido richiesto e tornò seduto, afferrando un logoro libro da uno dei cassetti della sua scrivania. Raph bevve un piccolo sorso, abituato al gusto freddo e forte del liquore e accavallò una gamba sull'altra, dando un'occhiatina alle pareti stranamente grigie dell'ampio ufficio.
E pensare che fino a trenta minuti fa era stato ricompensato dalla polizia per aver arrestato un criminale incallito, amante della tecnologia, chiamato JammerHead.
"Le mie industrie tecnologiche hanno avuto un netto calo in questi ultimi mesi e nonostante rappresenti una potenza miliare in questo campo, non posso contare su un aiuto economico da parte delle altre nazioni, come, per esempio il Giappone" introdusse l’uomo malvagio.
Il ragazzo annuì, sfogliando il libro in caratteri rigorosamente nipponici che, grosso modo, spiegavano la leggenda di un frammento della meteora che distrusse l'era dei dinosauri 65 milioni di anni fa. Si narrava, infatti, che un frammento di quella meteora fosse stata forgiata in un manufatto sconosciuto dalle proprietà mistiche e sconosciute.
"Qual è il tuo nome, ragazzo?".
L'altro sollevò appena gli occhi dal libro e si affrettò a rispondere: "Raphael, signore. Raphael Miyamoto".
Sinceramente non gli piaceva granché questo Saki.
Al cognome, quest’ultimo sollevò leggermente le sopracciglia, fermandosi addirittura dal sorseggiare il drink. Aveva già sentito quel cognome... ma dove? Non ricordava.
Annuendo in silenzio, preferì continuare la spiegazione.
"I miei uomini sono sulle ricerche di questo cimelio che vedi nell'immagine del libro da oltre due mesi e hanno fallito e se c'è una cosa che odio sono i fallimenti. Quindi, cerca di non deludermi anche tu, signor Miyamoto".
Raph restrinse gli occhi, un po’ scottato dalla leggera pronuncia sarcastica del suo cognome.
"Quanto è disposto a pagarmi?" chiese di getto, riponendo il libro da parte.
Saki sorrise, sapendo che il ragazzo aveva accettato di lavorare per lui: "Molto di quanto tu possa immaginare. Per affrettare il tutto, partirai per l'Amazzonia domattina".
"Amazzonia? E’ lontano da qui!" ripeté il rosso, sempre con un ghigno e un fischio.
"Sono disposto ad andare molto lontano per i miei obiettivi, signor Miyamoto".
Il rosso ingurgitò il resto del suo drink e fissò un'ultima volta la pagina con il cimelio: era un ciondolo ottagonale completamente grigio, come la meteora che era un tempo. Non sembrava così "brillante", stando alle descrizioni di Saki. Gli uomini ricchi erano sempre così ambiziosi, però.
E poi, non gli aveva raccontato esattamente le proprietà di quel ciondolo e delle vere carte a cui Saki stava giocando.
"Molto bene. A domani, signor Saki" concluse, stringendo la mano dell'uomo...
 
 
In un segreto laboratorio costeggiato da ampi monitor e persone al lavoro, una figura era appoggiata al parapetto tubolare di un passaggio che affacciava su di esso. Proprio come in un film, quello era la miglior base segreta dell'FBI.
I suoi occhi ramati erano puntati soprattutto sulla traccia audio in verde sullo sfondo nero di un grosso monitor: era una registrazione audio, attuata da un nero furgoncino parcheggiato nell'ampia piazza che sorgeva sotto l'edificio a vetrate della Saki Corp.
La trasmittente che aveva all'orecchio si accese con quel solito scricchiolio ma il ragazzo di ventiquattro anni e mezzo non si scompose dalla sua attuale posizione.
 
"Leonardo, hai sentito anche tu, vero?".
"Sì, April. Saki ha deciso di mirare alla collezione di cimeli antichi, adesso" rispose l'altro, con freddo sarcasmo.
"Il misterioso uomo con il cappello si chiama Raphael Miyamoto. Ha un buon repertorio come killer, assassino, sicario e mercenario. Sono sconosciuti il luogo di nascita, l'anno, residenza e famiglia".
"Il nome va più che bene e sappiamo che ha ventiquattro anni. Posso occuparmene tranquillamente".
"Sembrerebbe un tuo omonimo".
"Perché?".
"Semplice: da quello che sto vedendo, è una tartaruga proprio come te. Alta e muscolosa, poi".
 
Leonardo sentì la curiosità salirgli alle stelle; per quanto ne sapeva, di esemplari come lui non ve ne erano. Era unico nella sua specie... molto strano.
"D'accordo, April. Puoi rientrare. Per oggi abbiamo concluso" commentò, infine, mettendosi a braccia conserte.
La comunicazione s'interruppe e il corpo alto e slanciato di Leonardo One, lontano nipote di Ancent One, scese dieci scale di ferro, raggiungendo il centro dell'ampio laboratorio prevalentemente grigio, ancora ripensando a quel Raphael.
Chi era esattamente? Se lavorava per Saki doveva essere fermato!
"Problemi?".
Leonardo sorrise, poi si  rivolse all'uomo dai capelli scuri e occhi cobalto che era seduto a un pc, mentre analizzava una cartina geografica, attorniato da fogli e tazze di caffè vuote.
"No, Casey. C'è un altro bersaglio che dovremmo tener d'occhio".
"Con Saki non c'è mai da annoiarsi, eh?" commentò l'altro, guardandolo.
Leonardo mosse semplicemente le sopracciglia per enfatizzare una risposta accondiscendente.
 "Tu stai bene? Oggi mi sembri più taciturno del solito".
"Non preoccuparti. Capitano giorni in cui mi sento pensieroso".
Casey guardò l'amico. Indossava un giubbotto di pelle nera, simile al pantalone aderente rinfoderato in un paio di stivali a strappo sin sotto al ginocchio. Indossava anche un soprabito lungo e slacciato sul davanti, con una cintura che penzolava liberamente. Aveva dei guanti corvini e due cinture di cuoio che pendevano incrociate sui fianchi, con grosse fibbie di metallo. Sulla schiena, due katana incrociate completavano il tutto.
Leonardo, ventiquattro anni. Il miglior agente dell'FBI, leader dello Squadrone A, indipendente e adibito a missioni come perquisizioni e pedinamenti.
Casey aveva lo stesso abito, tranne per le cinture e il soprabito.
"Pensi che ti affideranno la missione di pedinare il nuovo tartarugo?" domandò Casey.
"Non lo so… ma spero di sì." rispose Leo. " continuando con meno voce.
Fra i due cadde un silenzio alquanto imbarazzante. I due non sapevano più che dirsi per non gelarsi l’animo ma la missione da seguire sembrava aver esaurito i punti di aggrapparsi per continuare il dialogo.
Improvvisamente, con volto triste e voce quasi impercettibile, Leonardo mormorò: “Io... vorrei ricordare davvero gli anni bui della mia vita... capire chi sono".
"Non hai mai provato a chiedere a tuo nonno?".
Leonardo fece un amaro sorriso: "Molte volte. Mi ha raccontato di come fossi giunto dinanzi alle porte della sua casa, misteriosamente, ventiquattro anni fa. Non immagini quanto mi prema sapere chi sia la mia vera famiglia e gran parte della mia pubertà. Capire come sia diventato una spia".
"Informazioni riservate" seguitò un'elegante voce, dalle due porte di metallo che conducevano alle scalette di ferro. "Ma nulla che non possa trovare".
Una donna dai capelli rossi con uno chignon: occhi verdi, fisico da dea, bellissima e prosperosa. Anche lei indossava un'uniforme corvina come i suoi compari. Aveva una cartellina beige sotto il braccio destro che porse a Leonardo, facendo un piccolo occhiolino anche a Casey che sbavava letteralmente per tanta ammaliante bellezza.
"Interessante" commentò Leo, mentre sfogliava le numerose fotografie nella cartellina.
"E' il tuo nuovo bersaglio. Hurricane ti ha affidato la missione senza problemi " rivelò la rossa.
"Non lo deluderò" s'inchinò l'azzurro.
“E quando mai lo hai fatto?” commentò sarcastico Casey.
April dette una piccola pacca sulle chiappe dell’uomo che, colto alla sprovvista, guaì di piacere e sorrise a Leo.
"Buona fortuna" dissero all’unisono.
"Grazie" e detto ciò, Leonardo lasciò il laboratorio...
 
 
"Grazie. E torni a trovarci!".
Il figlio del brillante farmacista che aveva anche un dojo di arti marziali era da alcuni giorni preoccupato. Donatello, di anni ventidue appena compiuti, sospirò mentre riponeva nella cassa la banconota dell'acquisto appena effettuato da parte di un paziente. Si tirò più giù le maniche del maglione panna che indossava, con tanto di piccolo drago viola sul fianco sinistro. Indossava un pantalone di cotone beige e i piedi erano nudi.
I suoi occhi nocciola puntarono verso la piccola porta coperta da una tendina castana della farmacia, nel piccolo paesino di Ohara, in Giappone.
Sapeva che c'erano abbastanza turisti di questi tempi, attratti dai vari tempi che costeggiavano anche Tokyo, a sette chilometri da Ohara ma, nonostante tutto, le medicine che servivano a suo padre costavano decisamente troppo. Dovevano ancora pagare l'affitto della casa e le varie carte per mantenere la farmacia stessa.
Donnie si addentrò nella porta, dopo aver accuratamente chiuso la porta della farmacia a chiave e in quella stanza molto spoglia, sul pavimento a toghe di legno e mura di cartongesso, vi era un futon con un topo antropomorfo.
"Padre... la tua febbre non è scesa e vorrei fare di più per te… " mormorò il giovane, inginocchiandosi accanto.
Gli occhi castani dell'altro si aprirono, seguiti da uno stanco sorriso: "Stai già facendo tanto per me, Donatello".
Il giovane guardò le crepe nelle mura di un grigio caldo. Era una bettola la loro casa, con tubi in perdita, mura gonfie di umidità e toghe scricchiolanti. Investire denaro per ripararla era un sacrificio inutile oltre che impossibile da realizzare se le entrate erano decisamente misere.
"No, padre. Guarda in che condizioni siamo! Io voglio e devo comprarti quelle medicine! Quelle di cui disponiamo non fanno effetto!" disse, scuotendo il capo.
"Non sprecare i soldi, figliolo. Io sono vecchio e tra non molto-".
"NO! Ho scoperto che potrei realizzare le medicine giuste per te con alcune piante dalle proprietà strepitose e per farlo mi occorre semplicemente andare in Amazzonia! Lì, avendo a disposizione una sterminata botanica, non mi sarebbe per nulla difficile creare ciò che serve per rimetterti in sesto!” sbottò il viola.
Splinter spalancò gli occhi… non voleva che suo figlio partisse per andare così lontano!
"Partirò domattina, sensei. Avevo già acquistato un biglietto con i soldi che mi sono guadagnato facendo il ripara-tutto" commentò con lieve risatina. "Tu aspettami. Non ti deluderò!".
"Ma... Donatello...".
Il figlio lo guardò e inchinò leggermente il capo, sparendo dietro la tendina.
"Bambino mio... tu mi onori, ma..." gemette il padre, tornando coricato dalla posizione seduta qual era stato. "Non posso permetterti qualcosa di così rischioso…”.
 
 
Un cacciatore si aggirava furtivo nella fitta vegetazione dell'America Centrale, con indosso la sua uniforme beige, cappello e stivali verde militare. Era uno degli uomini corrotti che rubava a un villaggio locale in cambio di protezione. Sapeva che c'era un tempio nei dintorni che custodiva un cimelio che venduto, gli avrebbe portato una fortuna inimmaginabile.
"Stupide piante" commentò, continuando ad affettarle con la sua spada. "Una volta che metterò le mani su quel ciondolo, la mia vita passerà dalle stalle alle stelle!".
Quello che non sapeva era che un paio di occhi azzurri lo stavano fissando, su uno dei tanti rami degli alti alberi. L'uomo stava invadendo il sacro territorio e doveva essere punito.
Con un rapido movimento, fece appositamente rumore con alcune foglie e cespugli, causando un leggero stupore nel cacciatore.
"Chi è là?!" inveì, puntando la spada alla cieca. "Esci fuori, chiunque tu sia!".
La figura fece un largo girotondo, nascosto fra i rami e gli arbusti più bassi, prima di comparirgli alle spalle, con un piccolo ghigno. L'uomo cominciò ad avvertire una presenza alle spalle e respirando affannosamente, lentamente si voltò. Il suo grido di terrore si levò nell'aria e fu tale da far scappare alcuni uccelli che gracchiarono sconvolti.
"Mai mettere piede nel mio territorio, cacciatore".
L'uomo fu legato con una corda a un albero e ironicamente dondolava a testa in giù, stordito ancora dalla paura e da un calcio nella sua pancia. Tutto troppo veloce, non avrebbe ricordato nulla! Chiunque fosse l'essere avvolto da un mantello nocciola sfilacciato, era abile come un demonio.
"Chi... sei...?".
Il cappuccio cadde, rivelando una tartaruga di circa diciotto anni, dalla pelle verde mare, tatuata con alcuni segni neri. Sulle guance possedeva tre graffi in nero che sembravano baffi. I suoi occhi erano azzurri e possedeva lunghe unghie affilate, come i canini bianchissimi. Era magrissimo, tanto da contargli le ossa sui pettorali sbiaditi che risaltavano sulla pelle. Indossava alcuni anelli dorati ai bicipiti, polsi e caviglie e due cinture stranamente di cuoio pendevano a "x" sui fianchi, dove sorgevano un kunai e una fionda.
"Il mio nome è Black Fury, ricordalo".
Quello che l'uomo vide prima del buio fu solamente un pugno contro il volto e la tartaruga che scompariva nella vegetazione...
 

 

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Capitolo 2
*** Quando in Amazzonia... ***


N/A Questo capitolo era leggermente più lungo ma ho preferito tagliarlo, oltre che rileggerlo e migliorarlo. Ecco qui, intanto, bello e pronto da leggere! Enjoy!



Raphael accettò un bicchiere di wisky da una hostess bionda. Era in un lussuoso jet, della Saki Corp e fra tre ore sarebbe giunto in Amazzonia. Fuori dall’oblò che aveva preferito vicino al suo viso cupo c’era un mare bruno e ammaliante allo stesso tempo e un mare cotonato blu pastello.
Ero uno spettacolo magnifico e accendeva lo spirito selvaggio custodito nell’anima.
Il liquido forte dondolava piano al movimento sicuro della sua mano destra, rispecchiava i suoi occhi dorati, confortava un po’ in un certo senso.
"Certo che avere i bigliettoni che ti escono dappertutto fa proprio comodo!” commentò, dopo un sorso. "E se non ci fosse questo mare di nuvole, si godrebbe un'ottima visuale".    
Raphael sbadigliò senza preoccuparsi di coprirsi la bocca, poi si abbassò il cappello sul viso e agganciando le mani dietro la nuca si mise comodamente. Lentamente, il ghigno che aveva sulle labbra mutò in un'espressione pensierosa. 
Il pensiero volò immancabilmente su Saki. Indubbiamente gli era parso strano che un riccone come Saki lo avesse chiamato per un cimelio insignificante da prendere e che gli avesse offerto così tanti verdoni.
-Non mi dispiace un bel gruzzolo!- pensò la tartaruga.
"Signore" chiamò all’improvviso la stessa hostess precedente.
Raph si rimise il cappello sulla testa e rispose: "Sì, pupa?".
"La informiamo che la sua meta sarà raggiunta in poco più che quarantacinque minuti" rispose arrossendo.
Il rosso fissò il suo grosso seno chiuso in una camicetta bianca, completata da un gilet e gonna blu fino al ginocchio, seguiti da scarpe nere con tacco. Era molto carina con quegli occhi castani ma non era il suo tipo.
"Mi era stato detto che ci sarebbero volute tre ore" replicò Raph, perplesso.
"Il nostro jet può viaggiare molto più veloce rispetto a quelli convenzionali".
Raphael annuì, inghiottì la rimanenza dell’aperitivo e porse il bicchiere alla donna che svanì nella cabina del pilota. Di nuovo da solo, al focoso non rimaneva che farsi una buona dormitina ed essere completamente carico alla meta finale...

"No! Pietà!" implorò JammerHead, bloccato da uno stivale sul suo stomaco.
La sua borsa piena di alcuni chip di ultima generazione di un'industria molto importante giaceva sul marciapiede di un vicolo cieco. Il guerriero mercenario chiamato Raphael ghignava, soddisfatto di vedere una simile paura per la pistola vicino alla sua tempia.
"Tu l'hai avuta per quel bambino? Non credo proprio!" ringhiò Raphael, aumentando la pressione sulla pancia. “Non hai esitato a colpire quel bambino per toglierti di torno la folla!".
JammerHead tremava semplicemente come risposta. Era vero, per sfuggire alle guardie armate di quell'edificio della Saki Corp si era servito della sua pistola per lasciar partire un colpo e ferire un povero bambino di cinque anni, colpevole di raccogliere il suo orsacchiotto caduto, proprio sulla sua traiettoria. C'erano troppe persone e l'unico modo per sbarazzarsi dell'attenzione su di lui era stato lo sparo. Le urla della madre del piccolino non gli fecero né caldo né freddo.
"Razza di bastardo schifoso! E' qui che hai colpito il bambino, no?" tuonò Raph, facendogli correre la pistola alla spalla. “Che ne dici di assaggiare la tua stessa moneta?".
"Pietà!".
Raphael sputò sull'asfalto e si voltò verso sinistra quando le sirene della polizia erano ormai vicine. Ghignò ampiamente, si alzò, si trascinò l'uomo con il mantello azzurro e una tuta viola scuro e con forza bruta lo sbatté contro il muro di un edificio, bloccandolo con i Sai ai polsi.
Raccolse la borsa e ne controllò il contenuto.
"E' a questo che miravi? Potevi scegliere di meglio?" chiese atono.
"Tu non capisci! Questi chip sono inediti!" inveì la voce stridula di JammerHead.
"Così tu li venderesti sul mercato locale?" ghignò Raph.
"Ho i miei metodi!".
Raph s'infilò le mani nelle tasche profonde e si avvicinò al brutto viso pallido dell'uomo: "Grazie per la tua confessione" ghigno, mostrandogli un registratore a cassette.
"COSA?!".
JammerHead era stato incastrato. Le giubbe blu scesero dalle loro bianche auto e ammanettarono l'uomo dopo che Raph si riprese i Sai. 
"Grazie del tuo lavoro, Raphael. Ecco il tuo compenso, ragazzo!" ringraziò uno dei poliziotti, mentre un altro gli consegnò una valigetta nera di pelle.
Raphael intascò il malloppo e fece per andarsene quando dal nulla comparvero quattro ninja vestiti con nere uniformi e rossi mantelli sfilacciati alla fine, con dei larghi cappelli e armi diverse. Sembravano ninja e possedevano un simbolo sulla fibbia della cintura che indossavano alla vita. Era un piede rosso a tre punte.
"Il Maestro è ansioso di offrirti un lavoro" cominciò uno.
"Che tipo di lavoro?".
"Vieni con noi"...


"Signor Miyamoto?".
Il rosso si svegliò un po' di soprassalto, alzando il cappello con il pollice. La bionda hostess gli era vicino, cordiale e solare come in precedenza. Ma cos’era un deja-vu? O aveva fatto colpo sulla donna?
"Il suo viaggio è terminato. E' appena giunto in Amazzonia" continuò. "Spero che abbia trovato la nostra compagnia di suo gradimento".
"Direi... sublime" commentò il rosso, stiracchiandosi alla meglio.
Si alzò e attraversò il corpo dell'aereo, scendendo la scaletta per poi prendere una jeep guidata da un uomo di colore con addosso un'uniforme beige, con cappello, cinturone e stivali verde militare. Lasciando lo spiazzale erboso che funse praticamente da parcheggio, presto s'inoltrarono nei fitti sentieri della vegetazione più selvaggia.
"Donde ir, amigos?" chiese il tizio.
"Dove cazzo vuoi tu" rispose Raphael.
"Ah, bien! Amazzonia es grande para ti" rispose ancora l'uomo spagnolo, che sapeva di questa grande radura naturale parecchio.
Raph sollevò un sopracciglio: "Lasciami pure qui, va bene?".
"Bien!" e con una brusca frenata la gialla jeep si fermò all'istante, causando un leggero sbalzo al focoso, che saltò fuori con un salto agile: "Yo, amigo! Hasta la vista!".
Raph gli mise in mano alcune monete che aveva con sé e infilandosi le mani nelle tasche si guardò intorno: gli alberi s'intrecciavano fittamente, causando una leggera ombra che non guastava, considerando che il sole delle undici e trenta scottava non poco. Si tolse quindi la giacca e la piegò accuratamente, mettendosela nello zaino nero che portava su una sola spalla. 
"Molto meglio così" commentò.
I suoi muscoli smeraldo spiccavano nel verde che lo seguiva passo passo, il sudore brillava sulla sua pelle muscolosa, donandogli un aspetto ancora più macho di quanto non fosse già e con tutte le catenine, beh... chiunque femmina in calore avrebbe sbavato per un fisico tanto palestrato, muscoloso, alto e slanciato.
Mentre camminava con nonchalance, udì un leggero fruscio innaturale nella vegetazione che lo accerchiava ad anello anche alle spalle. Si fermò, modificando il sorrisetto in un'espressione attenta e le sue mani volarono sui manici dei Sai che teneva infilati nella cintura. Non c'era vento. Molto probabilmente, lo stava osservando.
Eppure un movimento alle sue spalle lo costrinse nuovamente a ghignare. Un fiato caldo si abbatté contro il suo viso e una katana comparve puntata trasversalmente alla gola. 
"Sei una guida turistica del luogo? Ed è così che trattate noi turisti?" commentò Raph, divertito.
Non una risposta.
" Di un po'... chi ti manda?” chiese ancora il rosso, ora freddo e serio.
"Le domande le faccio io" rispose l'altro, mostrandosi nel suo aderente vestito corvino. "Raphael Miyamoto. Ventiquattro anni. Cacciatore di taglie".
Lo sguardo del focoso squadrò il corpo tonico e perfetto dell'altra tartaruga che gli era dinanzi senza profferire nulla. Leonardo invece era freddo, impavido e soprattutto intenzionato a carpire intenzioni.
"Non sapevo di essere così famoso" ghignò il rosso.
Leo non si scompose.
"Con chi ho l'onore di parlare?" seguitò Raphael, mentre si accendeva una sigaretta e gli sbuffava un anello di fumo sul viso.
"Il mio nome è Leonardo".
“Ah, interessante. Non sono l’unico ad avere un nome italianizzato e rinascimentale!” sogghignò, spostandosi dolcemente la katana dal suo viso.
 Leonardo era totalmente sconcertato. La sua espressione fra seria e corrucciata risaltava i suoi bellissimi occhi scuri, profondi come la terra che inghiottiva senza pietà.
-Pensavo che l’FBI avesse dei cessi come agenti… ma questo fa eccezione!- pensò Raphael, aggiustandosi meglio il cappello intento a squadrare il corpo dell’altro.
Era tonico, agile, nero come un corvo, astuto come un'aquila. Non aveva mai visto tipi così.
“Non ho mai visto tartarughe come me. Né sentito nomi inusuali come il mio e il tuo e con questo penso che iniziamo già con il piede giusto. A quanto pare, abbiamo qualcosa in comune" spiegò Raph.
L'azzurro lo fissò indispettito e rinfoderò la katana, mettendosi a braccia conserte.
“Sono qui per arrestarti!”.
“Con quali prove?” sbuffò Raph, meno divertito.
"Cos'è che Saki vuole da te?".
"Cosa te ne importa?" ringhiò freddamente il rosso, spezzando la sigaretta. "Non pretenderai mica che risponda alle domande di uno sconosciuto, vero?!".
Leonardo sapeva che non aveva tutti i torti, ma doveva scoprire per avere informazioni utili nella sua missione. Si mise a guardare Raphael che si era voltato vero un grosso appiglio di un'alta parete rocciosa, ricoperta di muschio, dove una strana ombra si muoveva.
"L'Amazzonia è la nuova meta turistica di tutti quanti?" commentò il rosso, fissandolo.
"Non ne ho idea".
"Pensi che ci stiano spiando, Man in Black?".
Leonardo strinse gli occhi, offeso: "Ti ripeto che il mio nome è Leonardo e se vuoi ti faccio anche uno spelling".
"Non ne ho bisogno, celestino".
Leonardo sbuffò, fissando la fitta vegetazione, ma un piccolo sorriso non poté che svilupparsi sulle sue labbra. "Celestino" non suonava così male... e poi, questo buffo Raphael lo stava trattando alla pari. Non come un agente, non come un capo bensì un semplice ragazzo. Un coetaneo. Una "normale" persona. Oh, beh... tartaruga, in questo caso.
"Ehi, hai visto anche tu?" richiamò il rosso, completamente a fissare la sporgenza dell'alto appiglio roccioso. "La figura è scomparsa".
"Probabilmente devono essere indigeni. Siamo pur sempre in un paese non proprio al massimo della civilizzazione".
"No, non credo. Qualcuno ci spiava!" rispose il rosso, truce. "Tu che sembri sapere tutto, ti risultano, che so, shamani, sacerdoti, druidi o altro del posto?".
Leonardo si massaggiò il mento e annuì lentamente, con lo sguardo più oscuro: "Sì. C'è un antico tempio qui. Non localizzato, spiacente".
"Al diavolo le coordinate!".
Rimasero per qualche secondo in silenzio, fatto di sguardi prolungati e intensi di Leo, pronto a puntargli nuovamente la katana e piccoli ghigni da parte di Raphael, che infilandosi le mani in tasca, decise di far la cosa più ovvia del momento.
"Quindi tu sei il mio pedinatore. Mi spierai ventiquattr'ore su ventiquattro fino a quando non azzarderò l'impossibile per farmi arrestare, no?" commentò con sarcasmo.
Leonardo fece una smorfia buffa, sollevando un sopracciglio per annuire.
“Sì. Non male davvero come inizio” fece ancora il rosso, sospirando pesantemente. “Intanto ci conviene trovare un accampamento per passare la notte. Non so se lo sai, ma qui...".
"... siamo in mezzo a una jungla sperduta infestata da animali feroci" tagliò corto Leo, con voce atona. "Sì, lo so. Non sono certamente un novellino in campo di..."
Leonardo non terminò la frase: non esattamente sicuro che nominare il suo vero lavoro sarebbe stata una mossa giusta.
"Spia?".
Leonardo si voltò verso nord, dove la vegetazione sembrava una sorte di portone naturale, tutto intrecciato di arbusti, foglie e radici sottili. Un filo di vento scosse le loro bandane ma non dando un po' di refrigerio. Senza rispondere, perché tanto si era capito, Leo afferrò una delle sue katana e affettò un quarto di quello sbarramento naturale, creandosi un varco che sarebbe continuato sino nella parte più oscura, pericolosa e silenziosa della foresta.
"Questo tizio mi sta simpatico" commentò divertito Raphael, seguendolo, per poi osservare un'ultima volta la sporgenza con la figura svanita...

 

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Capitolo 3
*** La Cascata ***


N/A Ringrazio di tutto cuore la cara TMNTSuperFun12 per l'ispirazione. Questo capitolo è completamente revisionato. Abbraccio LadyZaphira e TianLong e soprattutto tutte le care lettrici che mi seguono sempre! Alla prossima e soprattutto enjoy!

 
“Sì. Non male davvero come inizio” fece ancora il rosso, sospirando pesantemente. “Intanto ci conviene trovare un accampamento per passare la notte. Non so se lo sai, ma qui...".
"... siamo in mezzo a una jungla sperduta infestata da animali feroci" tagliò corto Leo, con voce atona. "Sì, lo so. Non sono certamente un novellino in campo di..."
Leonardo non terminò la frase: non esattamente sicuro che nominare il suo vero lavoro sarebbe stata una mossa giusta.
"Spia?".
Leonardo si voltò verso nord, dove la vegetazione sembrava una sorte di portone naturale, tutto intrecciato di arbusti, foglie e radici sottili. Un filo di vento scosse le loro bandane ma non dando un po' di refrigerio. Senza rispondere, perché tanto si era capito, Leo afferrò una delle sue katana e affettò un quarto di quello sbarramento naturale, creandosi un varco che sarebbe continuato sino nella parte più oscura, pericolosa e silenziosa della foresta.
"Questo tizio mi sta simpatico" commentò divertito Raphael, seguendolo, per poi osservare un'ultima volta la sporgenza con la figura svanita...
 
***
 
Indubbiamente era uno spettacolo l'Amazzonia, eppure Leonardo non poteva fare a meno di pensare di quanto angusta ed enorme sarebbe diventata al calar delle tenebre. Il pensiero, di per sé, non lo sconvolgeva. Era solo che non si fidava per niente del mercenario che continuava a camminargli davanti alla cieca da quasi un'oretta.
Lo indispettiva in tutto e per tutto. Con questo tizio non poteva mantenere la calma e il sangue freddo che lo avevano sempre contraddistinto nel suo Squadrone. E beh... non che gli dispiacesse ma aveva un contegno da mantenere, dopotutto!
D'un tratto, Leo si ritrovò a urtare specialmente con il naso contro la schiena dell'altra tartaruga. Non gli venne in mente di chiederne il motivo, per cui preferì semplicemente affacciarsi su una delle spalle imponenti di Raph e osservare.
Un vero spettacolo.
In un anello di vegetazione fitta e maestosa, una cascata naturale sgorgava spumosa e indisturbata, continuando a versarsi in un lago dall'acqua purissima quanto fresca.
"Che bella..." mormorò sottovoce la spia, stupita.
Raph si stiracchiò, si scrocchiò rumorosamente il collo, poi cominciò a sbottonarsi il cinturone e a lasciarlo cadere dolcemente sull'erba tenera. C'erano così tanti fiorellini colorati lì intorno che sembrava un paradiso. La cascata era molto alta e chissà se dietro quella porta d'acqua violenta non si nascondesse un'entrata nella roccia. Come nei film.
Raphael calciò via gli stivali, i calzini, poi passò agli indumenti superiori.
"Che cosa stai facendo?" domandò Leo con grande disappunto.
Con un mezzo ghigno, l'altro lo fissò e rispose: "Credevo fosse ovvio. Mi faccio un bagno. Non capiterà un'altra occasione di una vasca gratis!".
"Ma... non puoi!".
"E perché? Sei forse un ambientalista o cosa?".
Leo scosse il capo con rabbia. Questo tipo era davvero nato per il sarcasmo! Però, il suo corpo era anche così scolpito che era difficile, se non impossibile, non rimanerne ammaliati. La spia scosse nervosamente il capo. Troppe, troppe strane idee!
"Guarda che non è giusto inquinare una fonte d'acqua pura come questa sorgente" precisò Leonardo.
"Ah, sì. Ma non è nemmeno giusto fare creste e pidocchi, no?" commentò Raph, totalmente nudo e di guscio.
Leo preferì non guardarlo, già fin troppo imbarazzato e con le guance rosee era carino. Tutta la sua fierezza crollava sotto un faccino imbronciato così.
Raphael sghignazzò e si tuffò. Inutile dire che Leonardo ricevette un'intera ondata di spumeggiante acqua gelata su tutto il corpo, con il risultato di abiti bagnati e aderenti come guanti di lattice.
"Lo hai fatto apposta!" scattò Leo.
"Sei tu che non saresti dovuto restare lì!" riprese Raph, riemergendo e passandosi una mano sul viso grondante d'acqua. "Muoviti, spia! E gettati in acqua che è una meraviglia!".
"Primo. No grazie. E secondo. Non chiamarmi spia!".
"Perché? Ti offendi? Non è forse il tuo mestiere?".
Leonardo mugugnò qualcosa di incomprensibile prima di ergersi fieramente davanti all'altro con le braccia ben conserte.
"Le tue mansioni richiedono di guardarmi mentre mi lavo, per caso?" domandò Raph.
"Potresti sfuggirmi. L'Amazzonia è grande, anche se non sarebbe francamente un problema la tua coordinata, sarebbe lungo e anche una perdita inutile di tempo riacciuffarti" spiegò Leonardo, fissando il cielo spennellato di nubi grigie.
Raph rise una seconda volta. Certo che la spia sapeva proprio il fatto suo! Lo incuriosiva oltre che far sbellicare dalle risate.
"Non ti conviene fare un bel bagno prima che ci pensi la pioggia?" stuzzicò per l'ennesima volta il rosso.
"Non è che vuoi vedermi nudo?" ringhiò Leonardo, al limite della pazienza.
"E anche se fosse? Cos'è? Hai forse la ciccia al posto della pancia che non vuoi mostrarmi o in realtà sei una donna con le fattezze maschili?".
In fretta e furia Leonardo si spogliò e si tuffò ma anziché nuotare via, più vicino alle sponde, s’immerse per afferrare violentemente una delle caviglie di Raphael e tirarselo sott'acqua.
La prossima cosa che a malapena vedeva il focoso era il braccio della spia avvolgersi come un serpente intorno alla sua gola. Voleva strangolarlo?
Rimasero sott'acqua fino a quando Raph non cominciò a dibattersi violentemente per la mancanza d'ossigeno. Poi riemersero.
"Ma sei scemo o cosa? Potevo rimetterci il guscio così!" scattò Raph.
In pochi attimi Leo gli fu talmente vicino che i fiati delle rispettive bocche accarezzavano entrambe le coppie di labbra.
"Mai darmi della donnicciola. Posso essere letale quando voglio".
Gli occhi di Raph ricaddero sul corpo della spia. Leo era la perfezione in persona. Ogni singolo muscolo era ben definito, tonico, anche se non eccessivamente sviluppato come i suoi. Era slanciato, i piastroni perfettamente scolpiti, di un gradevole giallo spiga. La sua pelle verde foresta era talmente invitante e così liscia, senza la minima macchia.
Le gambe che si muovevano di tanto in tanto per restare a galla richiamavano fortemente il predatore. Succulenta carne, regina dei sogni più erotici.
Leonardo s’imbronciò all'assenza totale di Raph e pensò bene di risvegliarlo con una spruzzatina d'acqua in pieno viso.
"Basta fissarmi. Abbiamo nuotato abbastanza. Prima ci accamperemo, meglio sarà" rimproverò piano l'azzurro, nuotando verso la riva.
Improvvisamente, gridò in preda al dolore. Leo si arricciò a pallina, tenendo la gamba destra.
"EHI!" esclamò il focoso, preoccupato.
"Qualcosa mi ha morso...!" pigolò l'altro.
Raph si tuffò in un batter d'occhio. Effettivamente, qualcosa era aggrappato saldamente al polpaccio di Leonardo e da come mordeva non aveva la benché minima intenzione di lasciarlo andare.
Era un piranha a tutti gli effetti. Raph ruggì e a nude mani lo tirò e lo sbatté contro lo spuntone acuminato del fondale, infilzandolo senza pietà. Il pesce carnivoro si dibatté per l'ultima volta, poi fu avvolto dal suo stesso sangue. Morto.
Il focoso riemerse e accompagnò Leo alla riva, agganciandogli un braccio intorno al guscio. Quando risalirono, però, la spia debole perse l'equilibrio. Veloce come non mai, Raphael arrestò la sua caduta con le forti braccia smeraldo e lo issò in stile sposa.
Leo lo fissò fra lo stupito e il grato ma di nuovo arrossì imbarazzato. Non gli era mai accaduta una cosa del genere.
Amorevolmente, Raphie lo depositò in terra, con il guscio contro una roccia e cominciava ad analizzargli il morso. Era abbastanza profondo, rosso e caldo. Probabilmente doveva essere velenoso quel pesce schiattato.
"E' una fortuna che siamo capitati in questo posto. La sorgente ha fatto sì che crescessero piante per i morsi dei piranha velenosi. E sei anche fin troppo fortunato che io mi diletto a curare queste cose, visto che ho alle spalle una tale esperienza che sarebbe inutile e noiosa da raccontare. Quindi, mettiti comodo, non parlare e lascia fare a me" specificò Raphael, dirigendosi verso i cespugli per cercare erbe medicinali.
Era la prima volta che si sentiva tanto stordito da non capire effettivamente il senso dei discorsi. Certo, questa era la prima volta che veniva azzannato da un pesce carnivoro per giunta velenoso. Forse poteva farsi una piccola nota mentale e archiviare l'evento doloroso nel baule dei ricordi più importanti.
"Vorrei ricordare..." sillabò, mentre i suoi occhi si appannavano sempre di più.
"Ricordare che cosa?" domandò Raph, sedutogli vicino.
"Tutto...".
Il rosso non sapeva se era il delirio o davvero la lucidità mentale. Non che gli importasse molto. In quel momento, la sua priorità era aiutare quel poveretto prima di una morte lunga e dolorosa. Per fortuna aveva trovato immediatamente alcune foglie nerastre lanciformi da poter strofinare con un po' di saliva sul morso per eliminare il veleno nel corpo.
Sì, però qualche effetto indesiderato ci sarebbe comunque stato, come sonnolenza, stordimento e torpore. Probabilmente, la sua gamba sarebbe stata fuori uso per un paio di giorni.
-Perché lo sto aiutando?- pensò Raph, mentre strofinava le foglie sul morso.
Leonardo guaì, mentre ritirava la gamba.
"Shhh. Va tutto bene. Va tutto bene..." appianò Raph, battendogli una mano affettuosamente sul ginocchio. "Dannazione... si sta raffreddando!".
I suoi vestiti non erano bagnati. In fretta, afferrò camicia e pantalone e alla meglio avvolse la spia. Con la cintura nera dell'altro, fece, invece, un bendaggio per tenere premute le foglie contro la ferita.
"Dovrebbe andare bene" mormorò Raphael.
D'un tratto, un tuono all'orizzonte rimbombò. Dovevano sbrigarsi a schiodare da lì se non volevano bagnarsi ancora e inutilmente poi. Sì, ma dove avrebbero potuto accamparsi?
Raphael imprecò sottovoce mentre afferrava una pietra nella mano per pensare meglio. Colto, però, da un impulso di rabbia per la situazione, la scagliò con tutta la forza possibile contro la cascata. Si sarebbe aspettato di vederla ricomparire nella sorgente: al contrario, sentì un rotolare proprio dietro lo specchio d'acqua.
Raph spalancò gli occhi d'oro. Forse c'era davvero una grotta? Pieno di speranza andò a controllare, stando attento a non fracassarsi le caviglie sul rialzo del sentiero cosparso di minute rocce taglienti.
Dietro la cascata c'era davvero ciò che aveva sperato. Una grotta!
"Perfetto!" esclamò il rosso.
In pochi secondi trasportò prima il resto degli abiti poi cautamente raccolse Leo tra le braccia e lo condusse nel riparo.
"Sei un tesoro...".
Raph sollevò un sopracciglio. Che fosse il delirio o meno, un sorriso genuino fu la sua risposta. Forse sarebbe stato l'inizio di un duraturo legame...
 
...
 
Donatello si sentiva un po' male all'idea di aver finalmente preso la decisione di partire. Aveva dimostrato a suo padre di essere cresciuto e di saper pensare razionalmente, senza bisogno di continui imboccamenti. Sì, certo... però, mentre si ritrovava a stringere una borsa beige di stoffa a bordo di un aereo di una compagnia molto economica, il suo cuore piangeva.
Splinter avrebbe resistito senza di lui?
Si sarebbe lasciato trasportare dalla nostalgia?
Attraverso l'oblò poteva già constatare di aver lasciato l'aeroporto di Tokyo da ore, ormai e la distesa cotonata di nubi bianche splendeva nel cielo pulito e cristallino. Era stato fortunato ad avere un posto accanto al finestrino e nessuno vicino di seggiolino. Del resto, considerando i numerosi posti vuoti dell'aereo, nessuno volava con una compagna economica del genere.
Low Cost non era preferita da tutti.
Il genio si strinse meglio nel cappotto nero con strie viola che indossava sul jeans, gli mancava suo padre.
"Troverò quelle piante, sensei. Starai meglio, te lo prometto" sussurrò sottovoce.
Aveva studiato a lungo le proprietà delle piante che aveva ben scolpite nella mente e non avrebbe fallito!
La lacrima che colò lungo la sua guancia non era affatto d'accordo. La bocca era un bello strumento. A volte così inutile...
La distesa cotonata aveva lasciato spazio a una distesa infinita di oceano blu.
Il genio dimenticò per un istante la malinconia e osservò il panorama visto tante volte sui libri che custodiva gelosamente nella sua bicocca. Era qualcosa di mozzafiato e adesso, una macchia verde stava avvicinandosi.
"Probabilmente sto raggiungendo l'Amazzonia" commentò, schiacciandosi all'oblò, con l'alito che solleticava le sue labbra. "Sono così eccitato! Studierò tante cose nuove!".
 
Allacciare le cinture di sicurezza. La Cloud Air Line informa che stiamo atterrando.
 
Il genio sorrise ampiamente e seguì praticamente tutta la fase finale dell'atterraggio dell'aereo. Si sporse nuovamente nell'oblò, osservando il mare diventare più ampio e le coste dell'Amazzonia molto più vicine, di un verde smeraldo e non l'azzurrato della foschia vista dall'alto. Si rammaricò anche nel ritrovare veri e propri buchi dovuti all'abbattimento ingente di numerosi ettari.
L'aereo si abbassava lentamente, mentre il genio si teneva attaccato alle cinture di sicurezza, sperando, davvero, di non terminare così la sua vita, magari morendo affogato nell'oceano.
Ben presto si raggiunse lo stesso spazio erboso dove Raphael era atterrato nel jet di Saki e con estrema precisione l'uccello di metallo arrivò alla sua destinazione finale.
"Beh... è l'Amazzonia, in fondo! Non mi aspetto mica hotel di lusso, grattacieli e aeroporti come si deve!" mormorò Donnie, slacciandosi le cinture.
Si mise a tracolla la borsa e camminò lungo il corridoio dell'aereo, scendendo la scaletta e ritrovandosi in un enorme e sterminato posto verde. Espirò e senza staccare gli occhi dalla bellezza di un cielo pulito, si sfilò la giacca, rimanendo solo a torso nudo e un jeans.
"Sorprendente... mi domando solo come farò a tornare a casa, poi..." mormorò, iniziando a vagare senza una meta precisa. "Forse ho esagerato un po' le cose. Non so praticamente nulla di questo posto! E se mi perdo?! Oh, no!".
Nel pieno sconforto, Donatello raggelò. Si guardò alle spalle, dove qualcosa sembrava fissarlo truce, indignato della sua presenza. Deglutendo, il genio raggiunse un piccolo kunai con una cordicella provvista di una perla viola e una piuma bianca e nera, regalo portafortuna di Splinter e lo impugnò.
"L'Amazzonia mi da il benvenuto" esclamò sarcastico.
Affinando meglio l'udito, Donnie riuscì a percepire una piccola risatina e poi più niente.
"E questo cos'è?".
Lì, davanti ai suoi piedi nudi giaceva un elmetto tipicamente da militare. Confuso e sconvolto per non averlo notato prima, Don lo prese, studiandolo. Si accorse di alcuni piccoli oggetti sparsi sul terreno, come qualche moneta, una penna e un taccuino.
"Questo non è un ordine casuale. Sembra come la favola di Hansel e Gretel" mormorò. "Un percorso da seguire, forse?".
Don spalancò gli occhi: e se qualcuno... no, quella presenza che aveva percepito nell'oscurità della vegetazione lo avesse udito? Gli aveva costruito un percorso verso qualcosa?
"Non essere fantasioso, Donatello! Sicuramente qualcuno deve essersi perso e avrà lasciato cadere queste cose per ritrovare la strada!" si rimproverò anche se alla fine la sua determinazione vacillò. "Almeno credo..."...
Tuttavia, non si era sbagliato prima. Qualcuno lo aveva curiosamente osservato.
"Quanto saprai resistere nel villaggio, se la tua punizione per esserti spinto qui per il ciondolo ti si aggraverà?".
Furia Nera era intenzionato a giocare un po' con le tre nuove tartarughe nel suo regno.

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