Quince días (Quindici giorni)

di LumLumLove
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. Venerdì 15 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. Sabato 16 - prima parte ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. Sabato 16 - seconda parte ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. Domenica 17 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. Lunedì 18 - prima parte ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. Lunedì 18 - seconda parte ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. Martedì 19 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. Mercoledì 20 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. Giovedì 21 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. Venerdì 22 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11. Sabato 23 - prima parte ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. Sabato 23 - seconda parte ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13. Domenica 24 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. Venerdì 15 ***


Ranma ½ è un'opera di Rumiko Takahashi. Questa fanfiction è stata scritta senza scopo di lucro e con il solo proposito di divertire.
 
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Quince días
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Ranma
 
-Tua sorella mi ha detto che eri qui.- Lascia bruscamente la moneta e la nasconde tra i vestiti. La mia voce la sorprende, non si è accorta della mia presenza nonostante la stia osservando in silenzio da un paio di minuti. A cosa stava pensando? Sarà emozionata per domani? Già, proprio così... per questo è arrossita.
 
-Ranma, mi hai spaventato!- Dice, abbassando lo sguardo... a quanto pare si sente a disagio. All'improvviso, come se le fosse accorta solo ora, porta la mano sulla testa e inizia ad armeggiare con il fermaglio che fissa il velo da sposa ai suoi capelli corti.
Deglutisco a vuoto e avanzo di un paio di passi verso di lei.
Il freddo notturno mi penetra nelle ossa, attraversa i miei muscoli fino a raggiungere il mio cuore... non so neanche cosa vorrei dirle. La osservo mentre stringe il tulle tra le mani e sospiro profondamente.
-Perché l’hai tolto? Ti sta bene.- Prendo il velo con delicatezza e osservo il fermaglio alla luce della luna, con i dentini che brillano in modo sinistro. Con dolcezza le accarezzo i capelli e le poso il velo sulla testa.
È così bella con quegli occhi grandi che hanno il potere di ipnotizzarmi e quelle labbra rosse come fragole, e una luce bianca che la circonda, pura e innocente. Sento qualcosa dentro che si muove agonizzante, si decompone e muore mentre le sistemo il fermaglio tra i capelli e mi riallontano.
-Ascolta, io...- inizia goffamente, riesco a distinguere il rossore delle sue guance dovuto al freddo.
-Sono venuto a salutarti.- la interrompo e sobbalza come se si fosse punta un dito con un ago.
-Cosa?
-Ho firmato i documenti, non avrai alcun problema.
Il suo respiro accelera e diventa affannoso e io mi sento quasi mancare.
-Non andartene!- supplica mentre gli occhi le si riempiono di lacrime. –Resta almeno fino a domani mattina.
Le mie labbra si piegano in un sorriso stentato, cercando di dissimulare il mio dolore, la mia rabbia feroce.
Come può chiedermi una cosa del genere? Come può essere così cieca?
Akane Tendo, la donna più ottusa che io abbia mai conosciuto.
-Vuoi che io resti qui a guardarti mentre sposi quell'imbecille? Un tipo che non sa neanche come ti piace bere il caffè?- sputo rabbioso perdendo le staffe, per poi pentirmi delle mie parole un attimo dopo. Mi mordo la lingua e distolgo lo sguardo mentre mi passo una mano tra i capelli.
Merda. Merda. Merda.
I suoi occhi castani mi scrutano, mi guarda tra la confusione e l'incertezza. Dai Ranma, non complicare le cose, taglia corto: dille addio e sparisci per sempre dalla sua vita. È quello di cui ha bisogno, è la soluzione migliore per tutti.
-A quanto pare certi desideri non si avverano mai.– mormoro, ma non è una domanda, è un'affermazione. Questo è un addio, Akane.
La guardo di sottecchi, sta piangendo. Maledizione Akane, non metterti a piangere, non ora!
-Che vuoi dire?- la sua voce si incrina e il mio cuore si rompe in mille pezzi.
Inspiro profondamente.
-Quella notte, mentre guardavamo le stelle... anche io ho espresso un desiderio.- dico mentre mi appoggio alla ringhiera del balcone di legno e osservo il cielo con aria assorta.
-Un desiderio?
-Ormai non ha più importanza.
-Che desiderio hai espresso?- insiste, mentre le lacrime le si asciugano sulle guance. Non so come dirle che amo e odio le sue lacrime, proprio come le sue labbra, il suo sorriso.
I miei occhi azzurri la fissano esitanti e la vedo tremare. Ragazzina vergine, cinquanta yen, ingenua Akane.
Non rispondo. Se evito di dirlo a voce alta posso sperare che qualche Kami magnanimo esaudisca il mio triste desiderio.
Ci siamo persi tante cose, sei arrivata nella mia vita per sconvolgerla oppure chissà... sei riuscita a fare un po' di ordine e a spazzare via tutto quello che c'era di negativo. E ora mi resti solo tu, non so cosa ne sarà di me senza te. Questa storia non avrà un lieto fine.
C’è una cosa che mi affligge più delle altre. Mi fa una rabbia immensa, mi consuma dentro. Impazzisco all'idea che ti toccherà, vorrà baciarti e tu glielo permetterai, mentre io resterò qui, cercando di raccogliere i pezzi del mio cuore andato in frantumi.
-Il nostro matrimonio non era iniziato bene.- sussurro, tornando a guardarla.
-Non molto.- ammette lei, portandosi una mano sui capelli corti, ora coperti dal velo.
-Dovremmo fare almeno una cosa come si deve.- Mi pianto davanti a lei ergendomi in tutta la mia altezza e mi accorgo che si intimidisce. La intimorisco così tanto? È sempre stato così? Non voglio pensarci. -Allora dimmi.... posso baciare la sposa?-
Trema spaventata, sono davvero rozzo. Né ora né dopo tutto quello che è successo riesco a trovare le parole adatte. È andata sempre così.
Poggio una mano sulla sua guancia fredda e il riflesso della luce nelle sue iridi mi fa dubitare per un attimo. Sai cosa sta succedendo, vero? Sai quello che provo? Per favore, chiudi gli occhi, non voglio che tu veda, non voglio che tu ti accorga della mia effimera volontà, della mia vigliaccheria.
Perché se lo fai, se continui a guardarmi... tutto il mio coraggio svanirà nel nulla come fumo.
Perché ora devo rinunciare a te.
 
Quindici giorni prima...
 
Capitolo 1: Venerdì 15
  
Akane
 
Più ci penso e più me ne rendo conto: la donna che mi guarda dall'altro lato dello specchio non sono io.
 
Ci somigliamo, abbiamo lo stesso viso, lo stesso corpo, ma l'espressione è completamente diversa. I suoi occhi sembrano tristi. Mi chiedono qualcosa.
 
Avvolta in strati di seta plissettata, sembro circondata da un'aura candida, qualcosa di bianco e puro, troppo per me. Fin da piccola mi piaceva immaginare il giorno del mio matrimonio, chi non lo fa? Non pensavo allo sposo, all'uomo della mia vita, no. Mi chiedevo innocentemente come mi sarebbe stato quel vestito da principessa, mentre tutti gli occhi si posavano su di me.
 
Bé, almeno ho risposto a una delle domande.
 
-Come le sta?
 
La commessa compare davanti al camerino, mi giro e sorride quando mi vede. Potrebbe dire di essere soddisfatta del suo lavoro.
 
-Akane, ti sta benissimo.- dice Kasumi, emozionata fino alle lacrime a vedermi vestita così.
 
Prendo con delicatezza il lungo strascico del vestito e lo raccolgo all'altezza dei fianchi, non riesco a camminare.
 
-Ti piace davvero?
 
-È perfetto. Ogni giorno assomigli sempre di più alla mamma.
 
Al suo fianco, Nabiki smette finalmente di guardare lo schermo del cellulare e mi esamina accigliata, mentre io abbasso lo sguardo, nervosa.
 
-Non è un po' largo sul seno?
 
Porto una mano all'altezza del petto e mi accorgo che effettivamente il corsetto si arriccia un po'. Solo lei potrebbe fissarsi su certi dettagli.
 
-Impossibile, due settimane fa le stava bene.- la interrompe la commessa che mi guarda con attenzione. -Mia cara, sei nervosa per il matrimonio? Temo tu stia perdendo peso.
 
-I-io... – non so che dire, nervosa non è la parola giusta... diciamo pure che sono sull'orlo di una crisi isterica.
 
-Non importa, lo sistemeremo ancora e sarà pronto in tempo, ma cerca di non sciuparti.
 
Sospiro sollevata, mancano appena due settimane, non c'è tempo per altre modifiche.
 
Mia sorella Nabiki sembra soddisfatta della rapida risposta, annuisce e inizia a guardarsi intorno.
 
-Quindi mancano solo il velo e le scarpe.
 
-Non voglio portare il velo.- ripeto per l'ennesima volta. L'espressione di Nabiki non cambia di una virgola ma Kasumi fa una smorfia di delusione. –Preferisco portare i capelli sciolti.
 
-Dovresti raccoglierli allora, sono troppo lunghi.-dice Kasumi cercando di farmi cambiare idea. Sembra il suo matrimonio, non il mio.
 
-Il velo è scomodo.
 
-Puoi toglierlo dopo la cerimonia.
 
-Non voglio che mi copra il viso.
 
-Ma starà benissimo se ti copre le spalle.
 
La guardo con aria stanca. Mia sorella maggiore è diventata adulta troppo presto.- Quando nostra madre è morta si è fatta carico della casa senza mostrare mai segni di cedimento. Sembra prendere la vita con molta tranquillità. So che in fondo è Kasumi la più forte di noi tre: ha ben chiaro cosa fare della sua vita, non tentenna mai né mostra timore. Sorride sempre.
 
Per questo, se Kasumi dice che devo portare il velo, non sarò io a contrariarla. Annuisco e il suo sorriso si allarga di appena mezzo centimetro, sufficiente a farmi capire che così va meglio.
 
Io sono la minore, ho appena compiuto 21 anni e sarò la prima a sposarmi. Non c'è da meravigliarsi del fatto che le mie sorelle sembrano quasi ossessionate dal controllo della cerimonia.
 
Kasumi e Nabiki mi stanno aiutando moltissimo, soprattutto quest'ultima, che si è offerta di occuparsi di tutto. In cambio di un lauto compenso, ovviamente.
 
Pagare la propria sorella non è affatto normale, ma questo non vale per la mia famiglia. Da che ho memoria ho sempre pagato Nabiki per ricatti e favori vari. È un'affarista nata e proprio per questo ci ha sorpresi quando ha annunciato di voler diventare un avvocato.
 
Da pochi mesi ha terminato gli studi e ha già trovato un ottimo lavoro, ma già mentre frequentava l'università la contattavano in tanti per sottoporle determinati casi. I divorzi sono la sua specialità, guadagna così tanto denaro che i suoi clienti la adorano e i suoi nemici la temono.
 
Corre voce che una volta abbia fatto piangere il pubblico ministero di Nerima durante un processo... un vero spettacolo!
 
Mia sorella è intelligente, bella e ammirata. Peccato che, nonostante tanti pregi, non si può dire che abbia un cuore. Ogni volta che ci penso mi viene sempre in mente l'immagine dell'uomo di latta del Mago di Oz.
 
Mi guardo per l'ultima volta allo specchio, il mio vestito è quello che ho sempre sognato. Di un bianco naturale, aderisce al seno con un corpetto senza spalline e scende sui miei fianchi come delicati petali di un'enorme rosa, in onde drappeggiate con piccole decorazioni brillanti sparse qua e là. Tocca il pavimento formando delle pieghe, ma senza risultare troppo sfarzoso. È semplice e bello. Assolutamente perfetto.
 
Raccolgo i miei lunghi capelli con le mani e chiedo di aiutarmi a toglierlo dato che ho ancora tante cose da sbrigare.
 
Quando usciamo dal negozio di abiti da sposa Nabiki riceve una telefonata e la cosa strana è che non sia successo mentre eravamo in camerino. Da alcuni giorni vive appiccicata al telefono.
 
-Pronto? Sì... Sì... no, ho chiesto chiaramente azalee bianche, non dei lilium! Cosa?! Io avrei sbagliato? Ricordo perfettamente quello che ho detto!
 
Faccio spallucce e Kasumi ride. Entrambe siamo contente che Nabiki abbia preso le redini di tutto, in fondo sa quello che fa.
 
-Akane, io vado, devo comprare della verdura per la cena.- dice mia sorella maggiore in tono materno, mentre saluta Nabiki con un gesto della mano, rapidamente ricambiato da quest’ultima, e si incammina.
 
Tre minuti dopo Nabiki chiude la chiamata.
 
-Stupidi, adesso devo anche andare in fioreria.
 
-Cos'altro resta da fare?- chiedo, ma in realtà preferisco non conoscere la risposta.
 
-Dopo devo andare in pasticceria, nella sala ricevimenti, all'ufficio anagrafe e ora, per finire, in fioreria.
 
-Che scocciatura...- una parte di me si sente in colpa per tutto il lavoro che sta facendo mia sorella.
 
-Ma no, non preoccuparti, non è niente.-si vanta lei e non ho dubbi sul fatto che dica la verità.
 
-Allora penso che tornerò a casa.
 
Nabiki sospira, poggia le mani sui fianchi e mi guarda. So già quello che vuole dirmi.
 
-Akane, te lo chiederò ancora una volta... sei sicura di quello che stai facendo?
 
Il mio cuore perde un battito, i suoi occhi castani, proprio come i miei, sembra vogliano farmi la stessa domanda della donna riflessa nello specchio poco fa.
 
-Certo che lo sono.
 
-Sei ancora molto giovane.
 
-Hai solo un anno più di me, Nabiki.
 
-Io non voglio saperne niente di uomini.
 
-Per te è sempre stata più importante la carriera.
 
-Non capisco perché per te non sia la stessa cosa, dovresti almeno terminare gli studi all'università.
 
Quest'ultima affermazione mi fa dubitare. La mia parte razionale sa che Nabiki non ha detto un'idiozia, ma ormai ho deciso. Tra due settimane diventerò un'amabile sposa e donna di casa. Mi sono già abituata all'idea ed è quello che voglio.
 
Ovvio che una parte di me avrebbe voluto terminare gli studi di medicina orientale, ma quando ho deciso di sposarmi con lui, tutto il resto ha perso importanza.
 
Questa persona sarà sempre al primo posto per me. Sarò felice solo se starò con lui.
 
-Torno al dojo.- mi volto e considero concluso il discorso. Sento un improvviso bisogno di vederlo, voglio che mi abbracci e che mi dica che andrà tutto bene.
 
Sento mia sorella sospirare prima di andare via nella direzione opposta.
 
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-Papà, sono tornata.- esclamo sulla soglia di casa. Ultimamente nostro padre è di umore davvero pessimo, non è da lui.
 
Ha interrotto le sue riunioni con i vicini e ha persino smesso di giocare a shoji con i suoi amici. Non esce più, resta per ore in giardino, con lo sguardo perso nel vuoto. A volte si alza e vaga senza meta per la casa. Tempo fa l'ho trovato al buio nel dojo e pensavo stesse piangendo.
 
Non voglio dargli troppi pensieri ma so che è colpa mia, dato che il suo comportamento è cambiato radicalmente da quando gli ho detto che avevo deciso di sposarmi.
Avevo pensato che fosse una notizia normale, qualcosa che tutti si aspettavano, invece mio padre è diventato di colpo taciturno.
 
A volte lo sorprendo a fissarmi senza dire una parola, poi si allontana dicendo di sentirsi poco bene.
 
Ho una vaga idea di quello che gli passa per la testa: l'uomo che ho scelto come mio futuro marito secondo lui non va bene per me. La cosa curiosa è che durante i nostri tre anni di fidanzamento non ha mai detto una parola in merito.
 
È vero. Shinnosuke non pratica arti marziali, a parte le basi che gli ha insegnato suo nonno. È un ragazzo un po' smemorato ma con un gran cuore.
 
Non è un artista marziale e lo stile libero di papà, la sua grande eredità, si perderà con la nostra unione. Tutto quello che ha fatto mio padre sarà dimenticato.
 
Io non sarò la sua erede né terminerò gli studi. Subito dopo il matrimonio andrò a vivere con Shinnosuke e mi prenderò cura di lui e di suo nonno. Dirò addio alla mia famiglia, a tutto quello che mi è familiare e me ne andrò lontano.
 
Anche Kasumi si è accorta del comportamento di nostro padre, ma dice sempre che è dovuto al fatto che mi vedrà meno e semplicemente non vuole che la sua amata figlia, sempre più simile alla sua adorata moglie, ogni giorno più bella, se ne vada.
 
-Papà?- mi tolgo le scarpe ed entro in casa, nervosa. Stavolta non so cosa stia facendo, lo trovo nella sala da tè, sta guardando un noioso talk show in televisione e resto di sasso. Mio padre non guarda mai la tv, aveva comprato il televisore solo perché tutti ce l'hanno, come se fosse un obbligo sociale. A lui piace leggere il giornale, passeggiare per il quartiere, essere sempre in movimento. Chiudersi in casa in questo modo non è proprio da lui, sembra profondamente depresso.
 
-Oh, sei tornata. Com'è andata la prova dell'abito?- finge interesse, lo so, ma almeno riesco a parlare quasi normalmente con lui.
 
-Bene, anche se sono dimagrita ancora.
 
-Vedo.
 
Cade un silenzio spesso come una parete che ci divide e all'improvviso mio padre si schiarisce la voce.
 
-Akane...
 
Sobbalzo. Non mi aspettavo che pronunciasse il mio nome. Lo guardo attentamente, come quando da piccola aspettavo impaziente che mi insegnasse qualcosa di nuovo.
 
Il suono del campanello lo interrompe e mi alzo contrariata.
 
Prima di arrivare alla porta, vedo il mio fidanzato prendersi la libertà di entrare fino all'ingresso, togliendosi con cura le scarpe, come fa sempre. Gli sorrido e lui mi risponde contraccambiando il mio gesto.
 
-Sono venuto a trovarti.-dice mentre si avvicina a me e, timidamente sfiora le mie dita con la punta delle sue.
 
-Hai già finito di lavorare?
 
-Sono scappato un minuto.
 
Sempre così premuroso, sembra avere una specie di radar che gli dice ogni volta quello di cui ho bisogno. Shinnosuke è attento e dolce, ma quello che più adoro di lui è la sua innocenza che a volte confondo con sincerità. Dice quello che pensa e questo per me è ammirevole, dal momento che io non ci riuscirei mai. Il mio fidanzato è proprio un bravo ragazzo.
 
-Come sta tuo nonno?
 
-Ultimamente è stabile e la verità è che non smette di parlare di te. Sembra che sia quasi più contento di me che tu venga a vivere con noi.
 
Non posso evitare di arrossire, ciò che implica questa affermazione mi turba davvero.
 
-Forse dovrei iniziare con il trasloco...- mormoro triste. Andare a vivere a Ryugenzawa è doloroso, troppo lontano dalla mia famiglia.
 
-Non sarebbe una cattiva idea iniziare a inscatolare gli oggetti più ingombranti. Altrimenti possiamo chiamare un'impresa di traslochi.
 
-Sì... oggi posso iniziare a mettere via qualcosa.-concludo io, pensierosa. In 21 anni si accumulano davvero tante cose... sembra impossibile, ma è così.
 
-Bene.-mi guarda intensamente prima di stringere la mia mano. –Devo tornare o il capo si arrabbierà.- Si volta e va via, è stata una visita breve.
 
Sospiro, non so se sollevata o delusa. Quando mi guarda intensamente a volte sembra che voglia baciarmi, anche se lo fa davvero di rado. È troppo timido, in realtà è successo solo in un paio di occasioni in tutti questi anni. Non abbiamo mai avuto nessun altro tipo di contatto fisico.
 
Per questo, quando mi ha chiesto di sposarlo non potevo crederci, ma ho accettato, mi sembra ovvio.
 
Ho conosciuto Shinnosuke quando aveva cinque anni, è una lunga storia. Mi ha salvato dall'attacco di un animale. All'epoca lui e suo nonno erano i guardiani di un bosco di animali esotici nel pieno centro del Giappone. Ci siamo salutati e non ho mai saputo più nulla di lui, fino a tre anni fa.
 
L'ho incontrato per caso quando frequentavo il primo anno di medicina orientale, durante la mia pratica in ospedale. Shinnosuke stava entrando perché soffriva di una strana malattia. Sarebbe bello dire che mi aveva riconosciuta subito, invece non è andata così, sono stata io ad accorgermi che si trattava del bambino che mi aveva salvato.
 
Da quel giorno abbiamo iniziato a parlare e andavo a visitarlo tutti i giorni. Era nata una bella amicizia. Quando arrivò il giorno delle dimissioni, con mia enorme sorpresa, mi invitò a uscire.
 
Tutto è iniziato come un normale fidanzamento, lui e suo nonno sono rimasti a Tokyo fino al suo recupero completo. I giorni sono diventati mesi, poi anni. Shinnosuke ha trovato un lavoro in un negozio di frutta e verdura del quartiere e abbiamo continuato a frequentarci. Proprio in quel periodo suo nonno si è ammalato.
 
È anziano e il suo unico desiderio era tornare a casa, a Ryugenzawa, a trascorrere il tempo che gli restava circondato dai suoi amati animali. Shinnosuke non può lasciarlo andare da solo, deve tornare con lui.
 
Forse è successo per il timore di perdermi, forse per la disperazione che sentiva in quel momento, ma il mio timido fidanzato si è dichiarato e io neanche ci ho pensato su, ho accettato a occhi chiusi.
 
Gli voglio bene e ne voglio anche a suo nonno, mi sono abituata alla sua compagnia tanto che non riesco a immaginare la mia vita sapendoli così lontani da me. Suppongo che anche Shinnosuke la pensi allo stesso modo, dato che il suo volto si è illuminato di felicità quando gli ho dato la mia risposta.
 
E ora siamo qui, due giovani inesperti che stanno per sposarsi, senza sapere cosa sia una convivenza o cosa si provi a dividere lo stesso letto. Mi si forma in gola uno strano nodo ogni volta che ci penso.
 
"Mio marito", penso con lo sguardo fisso sulla porta. Mi costa molto assimilare questa parola.
 
Sospiro e torno in sala, il televisore è spento e mio padre non c'è, sicuramente è uscito a passeggiare in giardino. Ultimamente sparisce ogni volta che arriva il mio fidanzato. Salgo in camera mia un po’ contrariata.
 
Guardo uno degli scatoloni per il trasloco che non ho ancora iniziato a riempire. Presto o tardi dovrò farlo, anche se è troppo doloroso iniziare a impacchettare tutto.
 
Prendo alcuni vecchi libri e li metto sul fondo di una grande scatola. Subito dopo averli posati, li riprendo e osservo i titoli. Quasi tutti sono di fantascienza, a parte qualche romanzo romantico, e sorrido pensando al racconto spinto di quella scrittrice giapponese.
 
"Queste storie d'amore non esistono nella vita reale."- penso mentre apro una pagina a caso.
 
-Stai conservando le tue cose?- alzo lo sguardo spaventata e chiudo subito il libro, temendo che mia sorella Kasumi abbia intuito i miei pensieri.
 
Kasumi si avvicina e guarda con curiosità la mia libreria, prende un album di foto e si siede sul pavimento con uno sguardo malinconico.
 
Accarezza la copertina e apre la prima pagina. Dice sempre che assomiglio alla mamma, ma non mi viene in mente nessuna immagine più materna di questa. Kasumi senza dubbio ha un atteggiamento protettivo con me e ai miei occhi è la persona che più assomiglia a nostra madre.
 
-Da piccola portavi sempre i capelli corti.- inizia con un sorriso, mentre osservo le fotografie al di sopra della sua spalla.
 
-Sì, non ricordarmelo! Dato che avevo i capelli corti e praticavo le arti marziali mi scambiavano per un ragazzo.
 
-Certo.- dice divertita mia sorella.- Hai anche interpretato Romeo alla recita scolastica.
 
-Per tre anni di fila!- sbuffo ancora incredula. Era una fase dimenticata della mia vita.
 
-Odiavi essere Romeo.- puntualizza, guardando altri scatti della recita.
 
-Non lo odiavo, semplicemente mi sarebbe piaciuto di più essere Giulietta: indossare un abito stupendo, recitare quei versi, sentirmi come una ragazza...
 
-Ma allora perché non hai mai detto di no?
 
-Non lo so, me lo chiedevano sempre, pensavano che potessi interpretarlo bene, che ero la migliore di tutti per essere Romeo. Forse ho sempre accettato per non deludere nessuno.
 
-Non sei cambiata molto, Akane.- mi guarda e so che i suoi occhi dicono molto più delle sue parole.—Hai sempre voluto essere Giulietta... ma continui a interpretare Romeo.
 
-Kasumi...
 
Il mio cellulare inizia a squillare sonoramente, mia sorella chiude l'album e si alza in piedi.
 
-Vado a finire di preparare la cena.
 
-V-va bene.- dico prima di rispondere al telefono. –Pronto? Nabiki? Che succede, cos'hai da urlare tanto?
 
La chiamata è disturbata, mi sposto da un lato all'altro della camera sperando che il segnale migliori.
 
-Ripeti quello che hai detto, non ho capito niente. –ma è tardi, mia sorella chiude la chiamata e io guardo il cellulare con aria stranita. Sospiro e continuo a impacchettare le mie cose.
 
Un'ora dopo, Kasumi annuncia che la cena è pronta e io ho riempito solo una scatola. Ancora una volta mi faccio prendere dai ricordi...ogni volta che prendo in mano un oggetto dai miei scaffali non posso evitare di rigirarmelo tra le mani e osservarlo mentre un mare di ricordi affiora nella mia mente.
 
Scendo in sala e inizio ad aiutare a preparare la tavola. Mio padre è di nuovo qui, silenzioso e taciturno come sempre in questi giorni. Non si preoccupa neanche di chiedermi di Shinnosuke, nonostante sappia benissimo che questo pomeriggio è stato qui.
 
Kasumi porta il resto dei piatti e io li poggio sul tavolo, quindi comincia a servire le porzioni di riso.
 
-È strano che Nabiki non sia ancora tornata.- commenta mentre guarda l’orologio alla parete, con aria un po’ preoccupata.
 
-Poco fa al telefono era un po’ strana.
 
-Ti ha detto che rientrerà tardi?
 
-Non ho capito, il segnale era davvero pessimo.
 
D’improvviso sentiamo dei passi concitati in corridoio.
 
-Deve essere lei.- afferma Kasumi iniziando a servire la porzione di riso a mia sorella. In effetti, Nabiki compare come un fulmine, con il respiro affannoso e uno sguardo allucinato.
 
-Abbiamo un problema!- dichiara di fronte a tutti, ma mia sorella maggiore non si scompone.
 
-Vieni a cenare, avrai sicuramente molta fame dopo aver lavorato tanto.
 
Nabiki la ignora, infila una mano nella sua borsa da lavoro e iniziare a tirare fuori documenti di ogni tipo che getta sul pavimento senza il minimo riguardo.
 
-All’inizio pensavo che si trattasse di un errore, cioè… com’è possibile?
 
-Ma che ti succede?- mi alzo preoccupata e guardo il mucchio di moduli sparsi, confusa.
 
-Ho discusso con un impiegato dell’ufficio anagrafe, questo tipo di errori di solito è dovuto all’assunzione di incapaci senza esperienza! Gli avevo detto che i documenti mi servivano entro una settimana!
 
-C’è qualche problema?- mi avvicino a lei e prendo uno dei documenti, ma non capisco una parola di gergo giuridico.
 
-Ho controllato centinaia di volte, non c’è alcun errore.- prende uno dei documenti e ricomincia a esaminarlo rapidamente, facendo scorrere lo sguardo furente da un rigo all’altro. -Perciò, spiegamelo tu, Akane… perché qui c’è scritto che sei già sposata?
 
-COSA?!- esclamo strappandole il foglio dalle mani. -Akane… Saotome?- continuo a leggere: "Coniugata con Ranma Saotome da… 5 anni?"
 
-Il tuo stato civile è "coniugata" dall’età di 16 anni e, tecnicamente, avrai fatto qualcosa di illegale dato che ufficialmente il tuo cognome è cambiato da allora.
 
-Deve trattarsi di un errore, io non conosco quest’uomo!- il mio volto sbianca del tutto e riflette il mio terrore assoluto, non capisco niente, che sta succedendo?
-Come può verificarsi un errore del genere? All’improvviso mi sento mancare.
 
-Ho già provato a spiegarlo, ma è stato tutto inutile! Nessuno si sposa per caso!
 
-Ovviamente deve trattarsi di un equivoco.- Anche Kasumi prende il documento. -Akane non è sposata, a quell’età è impossibile, a meno che…
 
-A meno che…-continuo io, con gli occhi spalancati come quelli di un gufo.
 
-A meno che non siano i genitori a dare il proprio consenso.- conclude Nabiki fulminando con uno sguardo eloquente nostro padre, che è rimasto immobile dal momento in cui è arrivata mia sorella.
 
-Non è possibile.- mormoro incrociando gli occhi con quelli di mio padre. Improvvisamente tutto inizia a quadrare: gli sguardi sfuggenti, i musi lunghi, i discorsi lasciati a metà. -Papà, che sta succedendo?
 
Mio padre posa le bacchette sul tavolo e incrocia la braccia. Sembra riflettere per qualche minuto, mentre noi lo osserviamo incredule.
 
-Figlia mia… il fatto è che… speravo che non ti saresti mai sposata e che avrei potuto evitare di dirtelo.
 
Noi tre crolliamo al suolo di colpo.
 
-Ma come si può nascondere una cosa del genere?- urlo isterica, rialzandomi immediatamente.
 
-Papà… dimmi che non sono sposata!- minaccia Nabiki digrignando i denti.
 
-Oh cielo!- sussurra Kasumi portandosi una mano sulla guancia.
 
-No, no, solo Akane è sposata, voi due siete ancora nubili!
 
-E TI SEMBRA POCO?- urlo alzandomi di nuovo, con un unico pensiero in mente: colpirlo fino a sentire male alle mani! Ma mia sorella mi ferma afferrandomi per un braccio.
 
-Calmati, Akane. Adesso ci tranquillizziamo tutti, ok? Papà, vuoi spiegarci cosa sta succedendo?
 
-Parli così solo perché non sei tu quella sposata con un estraneo!- esplodo.
 
-In realtà si tratta di una vecchia promessa che risale a tanto tempo fa, quando voi tre non eravate ancora nate. Ho fatto una specie di giuramento con il mio migliore amico: se avessimo avuto un figlio e una figlia li avremmo fatti convolare a nozze per unire le nostre scuole di arti marziali.
 
-Che assurdità!
 
-Eravamo molto giovani, le nostre strade si separarono e io ho sposato vostra madre. Ho nutrito sempre la segreta speranza di avere un figlio… ma siete arrivate voi tre. Alcuni anni fa ho incontrato di nuovo il mio vecchio amico e abbiamo parlato di quella promessa. Per quanto sembri incredibile, mi disse che aveva avuto un unico figlio maschio: un artista marziale.
 
-Non posso crederci…- e davvero non posso, è un’idea che non riesco ad assimilare.
-Come hai potuto?
 
-Lo abbiamo fatto per il vostro bene! Il ragazzo ha la tua stessa età, a entrambi piacciono le arti marziali, avete molte cose in comune!
 
-Avreste dovuto chiedercelo!
 
-Vi sareste rifiutati!
 
-Questa faccenda non può essere legale…-sussurro allucinata. –Nabiki, deve esserci una soluzione, ci sarà un modo per annullare il matrimonio!
 
-Impossibile, siete sposati da 5 anni, non 5 minuti, un annullamento di questo genere non lo accetterebbe nessun giudice.- dice mia sorella con aria pensierosa, incrociando le braccia all’altezza del seno.
 
-Ma io mi sposo il 30!
 
-Allora dovrai divorziare prima di quel giorno.
 
-No… non sta succedendo a me… non è possibile!... Cosa dovrei dire a Shinnosuke?!
 
-Papà, tutto questo è stato molto irresponsabile da parte tua.- dice Kasumi con aria seria.
-Hai idea della fatica e del denaro che abbiamo investito in questo matrimonio? Se Akane era già sposata avresti dovuto dirlo.
 
-Kasumi, adesso non è importante!- la interrompo sull’orlo di un collasso. Fisso mio padre uno sguardo in grado di congelare l’intero inferno e, per la prima volta, lo vedo vacillare.
 
-Perdonami Akane!- inizia a piangere in stile cascata. –Volevo solo che avessi un buon marito, un uomo forte in grado di proteggerti.
 
-Fandonie! L’unica cosa che ti interessava era un uomo che ereditasse la scuola di arti marziali! Tu e il tuo amico siete due egoisti! Per caso, questo tipo, questo Rombo, sa qualcosa?
 
-Si chiama Ranma.- mi corregge Nabiki.
 
-Non importa!
 
-Neanche Ranma sa nulla.
 
-E quando intendevate avvisarci?
 
-Beh, prima o poi ve ne sareste accorti…
 
Stringo i pugni, sforzandomi di non gonfiare di botte mio padre.
 
-Aahhhhhhhhhhhhh!-urlo frustrata, alzando le braccia e scompigliandomi i lunghi capelli in modo selvaggio.
 
Mia sorella picchia un pugno contro il pavimento.
 
-Smettetela voi due! Adesso dobbiamo fare ordine tra tutte queste carte e siete fortunati perché sono io a occuparmene.
 
Mi volto, rapida come un fulmine.
 
-Nabiki, puoi sistemare tutto?- chiedo, con la speranza che brilla nelle mie pupille.
 
-Conosco uno dei giudici che lavora a Nerima, sì, posso ottenere una richiesta di divorzio e con un po’ di fortuna riuscirò a sistemare tutto prima del matrimonio. Ma non è così facile…
 
-Cosa ti serve?
 
-Mi serve la firma di questo Ranma Saotome.
 
-Ma se sono stati i nostri genitori a farci sposare, non sono sufficienti le loro firme?
 
-Non è tanto semplice, adesso siete entrambi maggiorenni e i vostri tutori legali non hanno alcun potere giuridico su di voi. No, abbiamo davvero bisogno che tuo marito firmi i documenti del divorzio.
 
-Non è mio marito.- affermo digrignando i denti. –Non lo conosco neanche!
 
-Mi dispiace sorellina, ma per la legge è tuo marito.- la guardo con la bocca spalancata prima di vedere il sorrisetto che affiora sulle sue labbra... quella… sta ridendo di me!
 
-Ti sembra divertente?
 
-A dire il vero sì, è la cosa più divertente che mi sia successa ultimamente. –e sorride di nuovo. -Ma ti sto dicendo la verità, devi vedere Ranma Saotome.
 
-E dove diamine potrebbe essere?
 
-Davvero vuoi conoscere Ranma?- chiede mio padre con una leggera emozione nella voce, che mi fa innervosire ancora di più.
 
-Andrò dove è necessario per rompere questo legame insensato sancito da te e quell’uomo. Sai dove abita?
 
-Dunque, un paio di anni fa è venuta a trovarmi sua madre. Stava cercando suo marito e suo figlio, ma anche se le ho spiegato che non vivevano con noi, mi ha lasciato un indirizzo. Mi chiedo se sia riuscita a trovarli…
 
-Oh, era quella signora tanto gentile che indossava un kimono?- chiede Kasumi, ricordando l'episodio in questione.
 
-Bene, potrebbe essere un punto di partenza.- dico frettolosamente.
 
-Non c’è tempo da perdere, preparerò tutti i documenti, temo che lavorerò fino a tardi.
 
-Grazie Nabiki, io andrò a parlare con Shinnosuke, devo spiegargli tutto.
 
-Ma è necessario? –fa notare mia sorella. –Se presentiamo in tempo i documenti non se ne accorgerebbe neanche.
 
-Non dire assurdità, non posso nascondere una cosa del genere al mio futuro marito.
 
-Sì, se avrà ancora voglia di sposarti dopo averlo saputo…
 
Un brivido percorre la mia spina dorsale.
 
-Shinnosuke è un bravo ragazzo.- mi obbligo a puntualizzare.
 
-Non sai ancora che tipo è tuo marito. Se credesse in cose assurde come il destino, direbbe che questo è un segnale.
 
-Non dire idiozie! Tutto questo non è altro che una sciocchezza di due padri egocentrici e irresponsabili! Neanche lui vorrà sapere niente di questa faccenda!
 
-A pensarci bene è la cosa più probabile…- riflette mia sorella, mentre Kasumi mi fissa.
 
-Devo andare!- non sopporto più questa situazione, troppe parole, troppi documenti, troppe rivelazioni, troppi sguardi. Tutto questo è troppo per me. Infilo le scarpe da tennis ed esco di casa senza guardarmi indietro. Corro per strada, è già sera e ormai mi è anche passato l'appetito, il mio stomaco si è chiuso in una morsa dolorosa, sento un nodo impossibile da sciogliere.
 
Arrivo senza fiato a casa di Shinnosuke, un umile appartamento in una serie di edifici a schiera. Busso alla porta invece di suonare il campanello, non mi viene neanche in mente, sono troppo alterata.
 
Cammino nervosamente sul pianerottolo mentre sento le gocce di sudore che mi solcano la fronte e mi cadono sulla spalla. Finalmente la porta si apre lentamente, con una certa prudenza… dovevo aspettarmelo, non è di certo un orario adatto per le visite.
 
-Akane? Entra!- l’anziano nonno di Shinnosuke urla alle sue spalle, per me prova un grande affetto, come se fossi una figlia. Preferisco che non ascolti quello che sto per confessare al mio fidanzato, dal momento che nelle sue condizioni è meglio che non si allarmi.
 
-Shinnosuke, oggi Nabiki è andata all’ufficio anagrafe e…- glielo racconto, glielo spiego nei minimi dettagli anche se non oso guardarlo nei suoi occhi acquamarina. Mi vergogno troppo, ma è il mio futuro marito, ha il diritto di sapere.
 
Quando termino il mio sofferto racconto, continuo a fissarmi i piedi, giocando nervosamente con le mie dita.
 
-…e per questo devo assentarmi da Nerima un giorno, non credo mi ci vorrà molto a fargli firmare i documenti, Nabiki dice che se faccio in tempo non sarà necessario rimandare il matrimonio.
 
In fondo lo so, non esistono uomini al mondo in grado di prendere stoicamente una notizia del genere.
 
Il silenzio della notte ci avvolge entrambi, mi mordo le labbra in un muto gesto di nervosismo.
 
-Beh… ammetto di essere… sorpreso.
 
-Shinnosuke, mi dispiace tanto, io non avevo idea che mio padre…
 
-Akane…
 
-Ti giuro che non sapevo niente, non lo conosco affatto quel tipo! AFFATTO!
 
-Akane…
 
-Non voglio che pensi che io ti stessi ingannando, che io…
 
Il mio fidanzato fa uno di quei gesti per lui molto rari, mi abbraccia in silenzio. Stringe dolcemente il mio corpo contro il suo, come se fosse di cristallo, come se fossi una piccola creatura spaventata.
 
-Io ho fiducia in te.- Deglutisco lottando contro le lacrime che premono per uscire dai miei occhi, tutte le emozioni di oggi cercano di sopraffarmi, penetrando la mia corazza.
 
Mi aggrappo timidamente alla sua vita e annuisco pesantemente: tornerò, tornerò presto. Devo sposarmi con questo meraviglioso ragazzo.
 
 
-Sei sicura di aver preso tutto?- chiede mia sorella, preoccupata.
 
-Trascorrerò lì solo una notte Kasumi, è Aomori, starò bene.
 
-Lo so, ma sono cinque ore di treno, potrebbe essere faticoso.
 
-Non preoccuparti, ho preso l’essenziale.- dico dando un paio di pacche alla cartellina che contiene i documenti su cui Nabiki ha sgobbato tutta la notte: il mio certificato di divorzio.
 
-Ricorda di coprirti bene.
 
-Lo so.
 
-E non parlare con gli sconosciuti.
 
-Sarà complicato dato che non conosco nessuno dei famosi “Saotome”.
 
-Beh, tecnicamente tu sei una Saotome.- puntualizza Nabiki, che arriva al momento giusto, tenendo in mano un bicchiere di carta di una famosa catena di fast-food.
 
-Chiamaci quando arrivi.
 
-Lo farò.
 
Il momento dei saluti si sta prolungando più del necessario, guardo con decisione il treno che è fermo da un paio di minuti in stazione. Sorrido alle mie sorelle e le saluto con un piccolo gesto prima di salire sul vagone.
 
Cerco il mio posto e mi lascio cadere sul sedile, infilo nervosamente una mano nella borsa, che contiene solo un cambio e il necessario per l’igiene personale, l'essenziale per passare una sola notte fuori prima di salire sul mio treno di ritorno la mattina successiva.
 
Finalmente trovo quello che cerco: l’indirizzo di quella donna.
 
-Nodoka Saotome- leggo a voce alta, mia suocera. Una parte di me sembra terrorizzata all’idea. I genitori di Shinnosuke sono morti quando lui era molto piccolo, per questo non ho mai pensato all’idea di una suocera.
 
In realtà non lo è o, per lo meno, non lo sarà ancora per molto.
 
Sospiro mentre il treno parte e lascia dietro di sé le mie sorelle. In quel momento sento un’improvvisa e inspiegabile sensazione di nostalgia. È come se tutto ciò che ho conosciuto finora, tutto il mio mondo, fosse avvolto dalla nebbia. Come se la mia vita restasse indietro, molto indietro, e me la lasciassi alle spalle.
 
 ___________________________________________
 
Note originali dell'autrice
Ciao a tutti!
Ho deciso di pubblicare il primo capitolo di questa fanfiction che sto scrivendo da oltre un anno per vedere la reazione di voi lettori […]
Quince días non è una storia complicata, anzi è tutto il contrario, è la cosa più lineare che io abbia mai scritto, e spero che il risultato sia ugualmente positivo. È una AU narrata in prima persona, in cui prometto principalmente comicità e romanticismo in parti uguali. Come indica il nome stesso, questa storia si svolge nell’arco di quindici giorni, quindi potete farvi un’idea approssimativa di quanto durerà (più o meno, ci saranno capitoli o giorni “doppi” ;) ).
Spero che il mio lavoro vi piaccia, mi piacerebbe ricevere le vostre impressioni. Grazie mille a tutti coloro che decideranno di leggere la mia storia.
Ciao!
Lum
 
Note della traduttrice
Ciao!
Non trovo le parole perché sono emozionata all'idea di proporvi la mia versione tradotta della bellissima e avvincente storia di Lum.
Spero che possiate apprezzarla così come ho fatto io :-) se deciderete di seguirci, non ve ne pentirete, ve lo assicuro!
E se qualcuno vorrà lasciare un commento è il benvenuto, LumLumLove attende con ansia pareri dagli appassionati italiani di Ranma :D
Dedico questa (prima? unica? e che ne so U_U) traduzione alle mie adorate Ladies!
Se ci sono errori, sviste, strafalcioni, ditemi pure e correggerò.

Spirit99_LadyArt

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. Sabato 16 - prima parte ***


Ranma ½ è un'opera di Rumiko Takahashi. Questa fanfiction è stata scritta senza scopo di lucro e con il solo proposito di divertire.

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Quince días
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Capitolo 2: Sabato 16 – prima parte
 
Akane
 
Non pensavo che ad Aomori facesse così freddo... è possibile che in un Paese così piccolo la temperatura cambi in maniera tanto brusca? Beh, ne ho appena avuto conferma.
 
Mi stringo nelle spalle e infilo le mani nelle tasche del mio cappotto troppo leggero, avanzando rapidamente mentre dalla mia bocca fuoriescono nuvolette di fumo dovute al freddo glaciale. Mi sembra davvero assurdo che a Tokyo sia appena arrivato il fresco dell'autunno, mentre qui è già inverno pieno.
 
Appena scesa dal treno mi sono pentita terribilmente di non aver ascoltato Kasumi quando mi ha consigliato di portare qualcosa di più pesante.
 
Nonostante le calze spesse, indossare questa gonna così corta non è stata esattamente un'idea geniale.
 
"Nodoka Saotome, Nodoka Saotome".
 
Mi sforzo di tenere in mano il foglietto.
 
"Nodoka Saotomeeeeeeee".
 
Mi trovo in una strada completamente deserta, cosa abbastanza comprensibile... solo un folle se ne starebbe qui fuori a congelarsi il culo! Avanzo ancora di qualche passo e decido di bussare a quella porta, l'unica senza nome, numero civico o buca delle lettere.
 
Busso con un paio di timidi colpi. Non muoio dalla voglia di conoscere mia suocera ma è l'unico indizio che ho per rintracciare il mio presunto "marito" e chiudere prima possibile questa storia assurda.
 
Riprendo a bussare, spazientita, forse non c'è nessuno.
 
-Ragazzina, che fai davanti alla mia porta?
 
Mi volto all'improvviso al suono di quelle parole e osservo stupita la bellissima donna che le ha pronunciate. Deve avere all'incirca la stessa età di mio padre, porta i capelli raccolti in una crocchia bassa dalla quale sfuggono alcune ciocche ondulate che le cadono sul viso.
Sfoggia un bel kimono invernale di colore viola scuro con ricami azzurri che si intrecciano in linee sinuose. Mi osserva con curiosità e mi accorgo che porta due pesanti borse per la spesa.
 
-Cerco Nodoka Saotome.- rispondo nervosa, sentendo le mie guance andare in fiamme.
 
-Sono io.
 
-È... lei?- sbatto le palpebre, una leggera emozione si insinua dentro di me. -Mi permetta di aiutarla con queste borse.- mi avvicino a lei velocemente, pronta a darle una mano e dimostrarle che ha di fronte una brava ragazza. Un comportamento, d'altronde, del tutto assurdo.
 
Ma la donna non mi sembra infastidita né tanto meno sorpresa: mi ringrazia con un sorriso e mi invita a entrare in casa, cosa che accetto con piacere.
 
Mi fa strada fino alla cucina, dove lascio le borse della spesa e sospiro senza sapere da che parte iniziare.
 
-Dimmi cara, ti andrebbe un tè?
 
-Certo!- una tazza calda e fumante tra le mie mani è proprio quello che ci vuole. La donna mi sorride ancora, fiduciosa.
 
La casa è piccola ma accogliente, in stile antico, con tatami ovunque, ad eccezione della cucina. C'è una piccola sala da tè al piano terra e una stretta scala che immagino porti alle camere da letto.
 
-Il tuo cappotto non è un po' troppo leggero per questo tempo?- mi riscuoto immediatamente dai miei pensieri e la guardo senza dire una parola, stupita.
 
-Ecco... il fatto è che, io non sono di queste parti, sono qui solo di passaggio.
 
-Vieni da molto lontano?
 
-Da Tokyo.
 
-Oh!
 
La donna mette sul fuoco una teiera e inizia a sistemare i suoi acquisti, mentre io mi sento tremendamente a disagio. Inizio a osservare l'ambiente finché il mio sguardo non si posa su un oggetto curioso: una magnifica katana appoggiata contro le pareti della cucina. Alzo un sopracciglio perché non mi sembra che si sposi bene con l'ambiente.
 
-Oh, hai notato la mia katana, che vergogna!- dice lei divertita. -Quando ero giovane la usavo più spesso, nella mia famiglia sono sempre stati tutti dei combattenti.
 
La guardo e, nonostante la sua modestia, il mio istinto di artista marziale mi dice di non fidarmi, questa donna è un nemico temibile anche se ha una certa età.
 
-Signora Saotome...- inizio, dal momento che sento di non poter rimandare il discorso ancora a lungo. -Mi perdoni per essermi presentata a casa sua all'improvviso e mi dispiace di averla disturbata ma ho bisogno del suo aiuto.
 
Smette di trafficare in cucina e, quando l'acqua inizia a bollire, la versa nelle tazze e mi serve il tè verde senza prestare attenzione a quello che dico.
 
-Ho bisogno di vedere suo figlio, Ranma Saotome.
 
La sua espressione tranquilla cambia del tutto in un secondo, prima di tornare a sorridere.
 
-Oh, quindi cerchi Ranma, eh?
 
Annuisco nervosa.
 
-Mio figlio è molto imprevedibile, sai, non smette mai di viaggiare...
 
-Intende dire che non sa dove si trova? -chiedo disperata.
 
-Dipende.- beve un piccolo sorso di tè dalla sua tazza e mi fissa di nuovo con i suoi profondi occhi azzurri. -Chi sei? Fai parte della solita schiera di creditori?
 
-Cosa?- ammutolisco dalla sorpresa.
 
-In effetti devo ammettere che sei troppo carina per dedicarti a una cosa del genere. –dice esaminandomi e poi distogliendo lo sguardo.
 
-Non so di che sta parlando.
 
-Non sei uno di quegli avvocati da strapazzo che è riuscito a trovare il mio indirizzo? Almeno una volta alla settimana ne trovo uno che mi aspetta sulla soglia. Per questo non metto mai il mio nome sulla porta.
 
-N-non sono un avvocato... – mi scuso sorpresa, non sapevo che quel tipo avesse problemi di questo genere.
 
-Allora chi sei?
 
-Mi chiamo Akane... Akane Tendo.
 
-Tendo?- la donna sembra conoscere il mio cognome e si avvicina di più a me, osservandomi attentamente.
 
-Beh, in realtà non è questo il mio vero nome...- dico, deglutendo a vuoto e poi aggiungendo, io stessa incredula per le parole che sto per pronunciare - Sono Akane Saotome.
 
Silenzio. La donna lascia cadere la tazza sul pavimento e io guardo il disastro preoccupata, ma prima che possa chinarmi per raccogliere i cocci, mi ritrovo con il viso schiacciato contro il suo petto, stretta in un abbraccio soffocante.
 
-Figlia mia!
 
-Si...signora Saotome...! - cerco di liberarmi inutilmente.
 
-Alla fine è successo! Genma me l'aveva promesso, aveva detto che avrebbe trovato una moglie degna di nostro figlio!
 
-...non... posso...respirare...
 
-Ma perché non me l'hai detto subito? Ho aspettato tanto questo giorno!
 
-Lei... lo sapeva?- riesco a chiedere allontanandola con fermezza da me.
 
-Sapere cosa?
 
-Che sono sposata con suo figlio da 5 anni.
 
La donna sembra pensarci un attimo, poi si riavvicina, fissandomi.
 
-Davvero sei la figlia di Soun Tendo?
 
Io annuisco mentre penso che questa donna deve avere qualche rotella fuori posto, nonostante l'aspetto elegante.
 
-Ma i dettagli non sono importanti.- replica lei, non dando importanza alla cosa. –Non capisco come il mio Ranma abbia potuto nascondere per tanto tempo una bellezza come te. Deve essere completamente pazzo.
 
-Penso che si stia facendo un'idea sbagliata del mio rapporto con suo figlio.
 
-Non sei sua moglie?
 
-Così pare.
 
-Ah, dannazione! Ci sono tante cose che ho sempre desiderato fare con la mia futura nuora e ora che è qui non me ne viene in mente neanche una!
 
-Non mi sta ascoltando...- inizio a stancarmi davvero di questa conversazione senza capo né coda.
 
-... e dovremo comprare dei mobili, è importante, non potete vivere in quella casa mezzo diroccata, soprattutto se avrete dei bambini...
 
-Signora Saotome...!
 
-Beh, capisco che siete ancora giovani, magari tra un paio d'anni...
 
-Mi ascolti!- mi pianto davanti alla donna con il kimono che ormai ha iniziato a parlare da sola. – Suo marito e mio padre ci hanno fatto sposare senza il nostro consenso. Io mi sposo con un altro ragazzo tra due settimane e non conosco affatto suo figlio! Devo incontrarlo solo perché firmi i documenti del divorzio, poi tornerò a Tokyo! Mi sono spiegata?
 
Nodoka resta scioccata per qualche secondo, le sua labbra formano una "O" perfetta prima di serrarsi immediatamente.
 
-Oh, che peccato.- dice e sembra che sia davvero dispiaciuta, dal momento che glielo si legge in faccia. -E non vuoi proprio ripensarci un attimo? Ranma è così forte e virile che potresti cambiare idea se lo conoscessi e magari decidi di non divorziare più...
 
"Ma neanche morta!" penso. Invece, inclino leggermente la testa in un gesto di rispetto profondo e le chiedo un'altra volta educatamente l'indirizzo di suo figlio.
 
La brava donna mi guarda prima di arrendersi e consegnarmi una piccola busta da lettera con un indirizzo annotato nell'altro verso.
 
-Salutami Soun, è stato sempre un buon amico di famiglia.- dice mentre mi accompagna alla porta con uno sguardo triste. Io mi inchino di nuovo. In fondo alla mia coscienza sento anche io una punta di tristezza... non so perché, ma penso che sarebbe stata una brava suocera.
 ____________________________________________________________________________________________________________________________
 
Non ho il coraggio di pensare a tutte le ore di viaggio che ho accumulato finora... sono stata una vera stupida a credere che mio "marito" abitasse con sua madre! Niente di più lontano dalla realtà.
Tale Ranma Saotome vive in un paesino a oltre 100 km da qui e ho dovuto soffrire le pene dell'inferno per beccare la fermata dell'autobus giusta!
 
Che fa questo tipo rintanato quaggiù? Si nasconde dai suoi presunti debiti? Ma cosa avrà combinato per essere perseguitato da tutti quegli avvocati? Se non fosse per questo freddo glaciale che minaccia di congelarmi il cervello, ci avrei riflettuto sicuramente di più.
 
Ed eccomi di nuovo a correre alla ricerca di un indirizzo, sempre con la mia preziosissima borsa portadocumenti sotto il braccio. Finalmente raggiungo la mia meta. Una casa molto piccola e abbastanza sgangherata alla fine del paese, ancora una volta senza nome né numero civico. Deve essere un'abitudine di famiglia.
 
Busso alla porta con un paio di colpi secchi, tenendomi pronta ad affrontare questo tipo... finalmente tra poco saprò che faccia ha mio marito.
 
Scommetto che è bruttissimo, un uomo corpulento e massiccio, con la pancia e mezzo calvo. Forse anche con mezzo cervello. Il genero ideale per mio padre, che smania per avere un erede maschio in famiglia che stia perennemente in posa da combattimento.
 
Riprendo a bussare alla porta mentre la mia irritazione aumenta.
 
Un gradasso, un idiota, un donnaiolo.
 
Un altro colpo alla porta.
 
Un ubriacone, un sempliciotto, un imbecille.
 
Ancora due colpi.
 
Puzzolente, perdigiorno, ladruncolo, drogato di giochi d'azzardo.
 
-Si può sapere chi diavolo bussa in questo modo?- perdo un battito al suono della voce maschile che mi arriva all'improvviso alle orecchie, richiudo il mio pugno e inspiro mentre la porta si apre di colpo.

Non mi azzardo a guardare, sollevo con timore lo sguardo e mi ritrovo davanti due meravigliosi occhi azzurri dal taglio orientale, incorniciati da un viso dai lineamenti spigolosi, ma perfettamente scolpito. I suoi capelli neri come l'ebano gli arrivano alle spalle e sono intrecciati in un codino lungo e sottile che gli poggia sul petto.
 
Indossa una casacca rossa in stile cinese, con le maniche rimboccate fino ai gomiti e il colletto leggermente aperto che mostra in maniera un po' trasandata il suo collo ben formato e il pomo d'adamo. È alto, almeno un metro e ottanta, con le spalle molto larghe. I muscoli delle braccia si notano anche sotto la camicia, che aderisce perfettamente ai bicipiti e al torace.



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Devo ammettere che non assomiglia per niente all'uomo che avevo immaginato... anzi, non assomiglia a nessuna persona che io abbia mai incontrato fino ad ora.
 
Apro la bocca e mi riscuoto mentalmente: sveglia, Akane!
 
-I-Io... il mio nome è Akane...
 
-Akane...- ripete lui prima di guardare con aria sospettosa da un lato all'altro della porta.
-... un'ottima trovata, la migliore finora! Ma puoi riferire a Kuno che neanche questa funziona. Non so niente di mio padre, quindi non posso dirti qualcosa che non so, è chiaro?
 
-Eh?
 
-Te l'ho già detto, non so quanto ti avrà pagato per mandarti qui a farmi un interrogatorio ma non sono così stupido da cadere nella sua rete. Inoltre, ora che questo posto non è più sicuro, me ne andrò in meno di un paio d'ore, digli anche questo.
 
-Ti stai sbagliando, si tratta di un equivoco, io non so niente di questo Kuno.
 
-Sì, certo, come no.
 
E senza aggiungere altro, mi chiude la porta in faccia. Guardo allibita le assi di legno che ondeggiano al ritmo del vento gelido che mi colora le guance.
 
Digrigno i denti in preda alla rabbia, sono disposta a buttare già questa porta con un calcio!
 
-L'incapacità di ascoltare è un vizio di famiglia?! Maledetto imbecille, apri questa porta!- urlo mentre sferro un calcio alla porta di legno.
 
-Vattene!
 
-Non ci penso neanche! Ho percorso più di 800 chilometri in un solo giorno per arrivare fin qui e non ti permetto di trattarmi in questo modo!
 
-Che razza di scusa da quattro soldi!- dice appoggiato al lato opposto della porta, cercando di trattenere i miei colpi.
 
-Stupido idiota! Il mio nome è Akane Saotome e sono tua moglie!
 
Passano alcuni secondi di angosciante silenzio, finché non sento che trattiene a stento una risata. Bene, non fa che incentivare la mia rabbia!
 
-Stai ridendo di me?
 
-Non credi che se fossi sposato lo saprei? Inventati una scusa migliore!
 
-Sei davvero sicuro che lo sapresti? Perché io l'ho scoperto solo ieri!
 
-Mi pare ovvio, non sono così stupido da non sapere che sono sposato!
 
-Ah sì?- sollevo un sopracciglio in risposta al suo implicito insulto. -Mio padre è Soun Tendo, un artista marziale che si è allenato insieme al tuo da giovane e che sognava di avere un erede maschio. Ma per sua sfortuna una sera si è ubriacato durante un incontro con vecchi amici ed eccomi sposata con un perfetto sconosciuto che erediterà tutto quello che per diritto mi appartiene!
 
-Ohhhh...che storia tragica!- dice ironicamente.
 
-Secondo te come ho fatto ad avere il tuo indirizzo? Sono stata da tua madre, Nodoka Saotome!
 
-Cosa?
 
La porta si apre di nuovo non appena sente nominare sua madre. Evidentemente la cosa gli ha dato fastidio. Mi guarda in preda alla collera.
 
-Stavolta avete oltrepassato il limite.
 
-Come puoi essere così stupido da non capire che ti sto dicendo la verità? Per caso tu non hai un padre mezzo matto come il mio? Sono sicura di sì dato che ci hanno fatto sposare!
 
-Hai una prova?- la sua arroganza mi spingerebbe a fare un'unica cosa: togliermi uno stivale e incastonarglielo in faccia.
 
-Certo che ce l'ho!
 
-Voglio vederla!
 
Sbuffo furiosa, prima di aprire la mia cartellina ed estrarre la copia del nostro presunto certificato di matrimonio. Mi strappa il foglio dalle mani, lo legge attentamente e riprende a sorridere.
 
-Un falso.
 
-Non è un falso!
 
-Senti ragazzina, tornatene da dove sei venuta, non mi interessano minimamente i tuoi giochetti.
 
-Ra-ragazzina? Idiota, abbiamo la stessa età!
 
-Idiota?
 
-Ho pensato le peggiori cose di te prima di conoscerti ma mai avrei creduto che mio padre mi avesse fatto sposare con un cretino tanto testardo!
 
-Io non sono sposato!
 
-Invece lo sei!
 
I suoi occhi azzurri scintillano alla mia affermazione, espira lentamente con il naso e si avvicina un po' di più a me, cosa che mi mette un po' di agitazione.
 
-E dimmi, Akane, se stai dicendo la verità, se per qualche assurda ragione io fossi sposato con una donna che non conosco affatto... che cosa vuoi da me?
 
-Cosa potrei volere?- replico porgendogli i documenti che deve firmare. –Il divorzio!
 
Mi guarda incredulo, prende i documenti che mia sorella Nabiki ha preparato lavorando duro per tutta la notte e li guarda di sfuggita.
 
-Allora è vero?
 
Ha davvero la testa dura come il marmo!
 
-Davvero io e te... siamo sposati?- annuisco di nuovo, pare che inizi a ragionare. -Beh, conoscendo il mio vecchio... -farfuglia mentre non stacca gli occhi dai documenti.
 
-Ho bisogno della tua firma, mi sposo tra meno di due settimane.
 
Alza lo sguardo all'improvviso, i suoi occhi blu come l'acqua del mare mi intimidiscono.
Distoglie lo sguardo, improvvisamente pensieroso.
 
-Devo leggere questa roba con attenzione, non firmerò niente se non sono sicuro che tu non stia cercando di ingannarmi. Inoltre, se cerchi soldi mi dispiace dirti che ti trovi nel posto sbagliato.
 
-Non sto cercando di ingannarti, né cerco denaro! Voglio solo tornare a Tokyo e riprendere i preparativi del mio matrimonio.
 
Sulle sue labbra, carnose e perfette, si forma un sorriso sghembo. Mi fa un gesto invitandomi a entrare, cosa che faccio immediatamente.
 
La sua casa è... beh non sono proprio sicura che sia una casa, sembra più che altro una capanna con l'indispensabile per sopravvivere per un breve periodo.
 
Apre un tavolo pieghevole e mi fa segno di sedermi, non mi offre niente da bere, neanche un bicchiere d'acqua. Si lascia cadere sul tatami proprio di fronte al mio e inizia a esaminare i documenti.
 
-Akane Saotome...- dice ancora pieno di dubbi. -Da quanto tempo usi il mio cognome?
 
-Ah! Come se fosse piacevole! Inoltre, ti ho già detto che l'ho scoperto solo ieri, quando mia sorella è stata all'ufficio anagrafe a ordinare i documenti per il mio matrimonio.
 
-Uhm, così ti sposi un'altra volta... 21 anni e due matrimoni, caspita... che vita la tua!-
cerca di farmi arrabbiare, lo so, il suo sorrisetto sarcastico lo tradisce. Un altro insulto, uno ancora e salto sul tavolo a rivoltargli la faccia a suon di ceffoni.
 
-Non è affar tuo, noi non ci conosciamo, firma solo le carte.
 
-Non così in fretta, non sei la prima che cerca di farmi firmare qualcosa.
 
Torno a guardarlo e per qualche motivo penso che si stia comportando così solo per darsi un tono. Nessun essere umano normale si intende di questi gineprai giuridici.
 
Sospiro e rivolgo la mia attenzione al luogo che mi circonda. Una semplice camera compresa di cucina e una piccola porta laterale, sicuramente apparteneva al lavabo.
 
-Davvero vivi qui?
 
-Hai qualche problema?
 
-No, è solo... un po' piccolo.
 
Smette di guardare i documenti, so che il commento lo ha infastidito.
 
-Ebbene, ragazzina ricca, non tutti siamo fortunati come te.- contrattacca e io arrossisco furiosamente.
 
-Non sono affatto una ragazzina ricca! Stavo solo cercando di fare un po' di conversazione!
 
-Forse è meglio se te ne stai zitta!- dice, poggiando una mano sul tavolo.
 
-Firma e non dirò più una parola, non vedo l'ora di divorziare da un idiota come te!
 
Arriccia le labbra e torna a leggere attentamente i documenti, stavolta più rapidamente. Un paio di volte mi lancia sguardi colmi di ira, oltre i documenti.
 
-Non mi inviti?
 
-Cosa?
 
-Al matrimonio.
 
-Perché mai dovrei fare una cosa del genere?
 
-Non so, alla fine siamo stati sposati cinque anni.- conclude indicando uno dei paragrafi che lo specifica.
 
-Non ho la minima intenzione di presentarti al mio fidanzato, meno ho a che fare con te, meglio è.
 
-Mi fa piacere sapere che su questo siamo d'accordo. –risponde, acido.
 
Gira un'altra pagina e le sue pupille fissano a lungo un punto.
 
-Che diavolo significa questo?- chiede, adirato.
 
-Eh?- rispondo io, sporgendomi leggermente in avanti.
 
-“… e inoltre il coniuge Ranma Saotome si impegna a sostenere le spese di mantenimento e a coprire i costi sostenuti per il divorzio per un periodo di tempo non inferiore a 20 anni con un assegno mensile di…” - alza lo sguardo, perplesso. -200.000 yen?-
 
-Non chiederlo a me, il documento l’ha scritto mia sorella.- mi scuso goffamente, sentendo uno strano tremore che inizia ad attanagliarmi.
 
-E a chi dovrei chiedere se non a te?
 
-Ti chiedo solo di firmare!
 
-Non firmerò mai una cosa del genere! Volevi ingannarmi? Bugiarda, truffatrice… ti presenti qui con quella gonna corta, ancheggiando... pensavi che avrei perso la testa per quelle gambette secche?
 
-Non era mia intenzione…! -esclamo in imbarazzo, un secondo prima di rendermi conto dell’insulto.
-Gambette secche?
 
-Modificalo immediatamente!
 
-Ti ho già detto che non posso, non l’ho fatto io e non ho la più pallida idea di come si scriva un documento di divorzio!
 
-Allora chiama tua sorella e dille di prepararne uno nuovo!
 
-Cosa? Non hai capito che mi sposo tra due settimane? Non riusciranno mai a inviarmi un nuovo documento con le clausole che piacciono a te!
 
-Neanche morto firmerò una cosa tanto assurda! Imbrogliona!
 
-Io non sono una…!
 
Mi alzo dalla tavola, completamente fuori di me… È così difficile quello che sto chiedendo? Questo imbecille non capisce la mia situazione?
 
Gli strappo i documenti dalle mani, furiosa con lui ma soprattutto con me stessa per non essermi accorta subito di quella clausola… la cosa certa è che Nabiki è fuori di testa.
 
Ma che razza di follia le è venuta in mente? L’organizzatrice del mio matrimonio… vuole sabotarmi??
 
“Non sai ancora che tipo è tuo marito. Se credesse in cose assurde come il destino, direbbe che questo è un segnale”. –All’improvviso mi tornano in mente le parole che mia sorella mi ha detto ieri sera. Sì, è così, dannata Nabiki! È stata proprio lei a farmi cadere in questa trappola.
 
È ovvio, è troppo curiosa di conoscerlo e vuole vederlo almeno una volta, oltre al fatto che si diverte a farmi arrabbiare. Per questo ha nascosto così abilmente questo “piccolo dettaglio”… spera che il suo indignato “cognato” vada a conoscerla di persona.
 
Serro la mascella. Non penso di pagarle neanche un misero yen!
 
-Devo fare una telefonata. –affermo, con tutto il contegno possibile, mentre Ranma mi guarda trionfante. –Non credere che sia finita qui, non me ne andrò finché non avrai firmato il divorzio!
 
-Bene, allora muoviti, neanche io sopporto l'idea di essere sposato con te.
 
Ecco la goccia che fa traboccare il vaso: per quanto forte sembri questo tipo, non c'è nulla da fare, è davvero un cretino, un incosciente, un idiota con la lingua troppo lunga!
 
Mi dirigo verso la porta con fare orgoglioso e la apro di colpo. Il freddo investe la minuscola casa e io mi volto di nuovo, con aria altezzosa.
 
-Non provare a muoverti.- lo minaccio. Lui si alza dal tatami e si avvicina a me, muovendosi con l'eleganza di un felino, come una pantera che sta per accerchiare una gazzella.
 
-Non dovresti fare l'antipatica con me, alla fine dei conti sei tu quella che ha tutta questa fretta.
 
Sono sicura che anche lui avverte l'aura rossa che sta avvolgendo il mio corpo in questo momento, ardente e pericolosa. Ma finge di non accorgersene e continua a sorridere con quel fare arrogante che inizio a detestare.
 
-Torno subito.
 
-Bene, allora tanti saluti!
 
Mi volto e avanzo verso la strada, mi sento davvero sconfitta. Alzo nuovamente lo sguardo oltre la mia spalla e osservo questo ragazzo con il codino che mi congeda salutandomi con aria beffarda, fermo sulla soglia.
 
-Sei un perfetto imbecille!- urlo, e le mie parole diventano piccole nuvolette di fumo non appena entrano in contatto con l'aria gelida.
 
Lui sembra trattenere un'altra risata, i suoi misteriosi e magnifici occhi azzurri si curvano allegri e io mi arrabbio ancora di più, tanto che non mi accorgo dell'auto che si è appena fermata alle mie spalle. Neanche il mio istinto di artista marziale mi avverte dell'imminente pericolo.
 
L'espressione del suo viso muta repentinamente: l'ironia che leggevo poco fa nei suoi occhi diventa improvvisamente stupore e, subito dopo, agitazione. Mi volto un secondo troppo tardi: proprio dietro di me un uomo corpulento non perde tempo a tapparmi la bocca con una mano e schiacciarmi contro il suo petto, trascinandomi poi per la strada senza nessun riguardo.
 
Cerco di urlare, nonostante la gola serrata, mi divincolo come posso e, infine, mordo con tutte le mie forze la gigantesca mano che preme sulla mia bocca. Stanno cercando di rapirmi! L'uomo mi lascia andare mentre si tiene la mano dolorante e cado a terra.
 
Vedo chiaramente Ranma che corre verso di me, ma prima che io possa riprendermi o almeno sollevare una mano verso di lui, un altro uomo mi afferra per la vita, mi spinge bruscamente sul sedile posteriore dell'auto, entra sedendosi accanto a me e chiude immediatamente la portiera.
 
-Ma che significa tutto questo?!"- protesto tirando senza successo la maniglia, ma nessuno di loro risponde. Con il respiro corto e il timore che inizia a invadermi fino al midollo, mi accorgo che l'auto accelera a tutto gas, mentre dal lunotto posteriore vedo Ranma correre verso di noi. –Lasciatemi scendere! Voglio scendere immediatamente!
 
Il ragazzo con il codino rimane molto indietro, i miei occhi disperati restano fissi sulla sua figura, finché non capisco che non riuscirà mai a raggiungerci a piedi. Mi volto a guardare gli uomini che mi circondano, silenziosi, tutti con spalle larghe e abiti neri.
 
In che razza di guaio mi sono cacciata?
 
 ___________________________________
 
Note dell'autrice

Ciao!
Ringrazio tutti coloro che stanno leggendo la mia storia!
Questo è un capitolo introduttivo ed è il più corto che ho scritto finora, in pratica stavo scaldando i motori! So che per ora la storia non è andata avanti di molto però finalmente i nostri due protagonisti hanno avuto il loro strano? goffo? breve? incontro. Appunto, si sono appena conosciuti e già litigano... ah! Li adoro! Mi divertono tanto queste scene di malintesi e discussioni!
Grazie e tutti e ci vediamo al prossimo capitolo!
LumLumLove

Piccola nota della traduttrice
Volevo semplicemente ringraziare tutti coloro che hanno letto e soprattutto chi ha recensito il primo capitolo ^^ Spero che anche il secondo sia gradito, anche se è un po' corto. Ma vi assicuro che i successivi saranno mooolto più lunghi e dal prossimo inizia finalmente la storia vera e propria. Questa era solo l'introduzione :D
Se notate errori, ditemi pure!
Alla prossima,
Spirit99

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. Sabato 16 - seconda parte ***


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Quince días
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Capitolo 3: Sabato 16 – Seconda parte
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Ranma
 
 
Quando apro la porta stento a credere ai miei occhi.
 
Non capita tutti i giorni di vedere una donna così, figuriamoci se compare come per magia davanti alla tua porta.
 
I capelli neri, lunghi e lucidi, le arrivano oltre le spalle e sono raccolti in modo perfetto, il rossore delle sue guance, causato dal freddo, le fa risaltare gli zigomi alti. Gli occhi, grandi e castani, sono la definizione perfetta dell'espressione "bellezza orientale".
 
Di statura media e ben proporzionata, sembra snella e atletica. E per chissà quale motivo mi sembra piuttosto agitata.
 
Una ragazza così carina che bussa alla mia porta? Ovviamente non sarà un colpo di fortuna, si tratta sicuramente di una trappola.
 
Kuno dovrebbe iniziare ad agire in maniera un po' meno sfacciata, capisco che non sia circondato da donne che cadono ai suoi piedi, però da qui a pensare che per me sia lo stesso ce ne passa.
 
La sua voce, cristallina e angelica cerca di confondermi. Non mi lascio ingannare, le chiudo immediatamente la porta in faccia. Il miglior modo per non cadere in tentazione è evitare di vederla!
 
Ma sorprendentemente, tutta la sua bellezza esteriore viene eclissata da una furia indescrivibile che arde in maniera minacciosa contro di me. È complicato resistere, ma lo è ancora di più quando dice che siamo sposati... questa sì che è bella! Sposati!
 
Devo trattenermi per non scoppiare in una sonora risata, anche se quello che succede subito dopo mi fa passare del tutto la voglia di ridere. Non so perché, ma capisco che non sta mentendo, che forse, e dico forse, mi sta dicendo la verità.
 
Quando riapro la porta e vedo il suo viso infuriato, mi sembra ancora più bella di prima.
 
Povera ragazza, un'altra vittima di quel folle di mio padre, anche se il suo non deve essere molto diverso dal mio se quello che mi sta raccontando è vero.
 
"Sposati..."
 
Mio padre ha fatto un sacco di cose deplorevoli in tutta la vita: ha rubato, ha mangiato a sbafo, ha fatto false promesse e ha contratto debiti a mio nome, ma farmi sposare a mia insaputa? Questa sì che mi giunge nuova.
 
Anch'io mi sento piuttosto arrabbiato, anzi di più… direi ingannato. L'idea che mi abbiano unito in matrimonio con una persona che non conosco senza neanche chiedermelo è umiliante, anche se lei sembra aver già superato la cosa. Vuole il divorzio, questo sì che sarà un record: ho saputo ufficialmente del mio matrimonio neanche 5 minuti fa e mi ritroverò subito divorziato. Fantastico!
 
Mi porge i documenti e resta seduta, con la schiena diritta, a scrutarmi attenta. Si vede chiaramente che non le sto affatto simpatico.
 
A quanto dice, ha fatto un sacco di strada per incontrarmi e non stento a crederle, dato che sono mesi che mi nascondo. Poi aggiunge che deve sposarsi tra due settimane. La guardo offeso, intuendo che mi considera solo un disturbo, un ostacolo da superare.
 
È una ragazzina benestante, una mocciosa viziata... sicuramente si sposerà con un imbecille che le dirà cosa dire e cosa fare per il resto della sua vita. Sorrido all'idea, immaginandomi le urla quotidiane tra le mura domestiche.
 
Perché mio padre mi ha fatto sposare con una così?
 
Esamino attentamente l'atto di divorzio, non ho mai firmato niente di simile ma grazie, per così dire, ai problemi fiscali di mio padre che purtroppo ho ereditato, sono abituato al gergo degli avvocati.
 
Niente di strano finora, un momento... siamo sposati da 5 anni? Caspita, un rapporto piuttosto lungo per due persone che non si sono viste neanche una volta.
 
Sollevo di nuovo lo sguardo e, con mia stessa sorpresa, mi chiedo come sarà lui, l'uomo che ha rubato il cuore di questa donna.
 
Ma lei non si degna neanche di rispondere, le interessa solo ottenere quello che vuole il prima possibile… beh, comprensibile. Sento un leggero dispiacere all'idea di non rivederla mai più, è troppo divertente discutere con lei, si offende con estrema facilità.
 
Finalmente arrivo all'ultima pagina del contratto e scopro con mio sommo sgomento una riga in cui sono indicate le condizioni del divorzio… ma chi può aver scritto una cosa del genere?
 
Un imbroglio e, a dirla tutta, ordito in modo penoso. Urlo, subito imitato da lei che però non si dà per vinta tanto facilmente, ma non può obbligami, è chiaro che sono io ad avere la meglio. Mi piace vedere il suo viso in preda alla frustrazione, le sue labbra serrate, rosse come ciliegie, le sue sopracciglia aggrottate che esprimono tutto il suo disappunto.
 
Non riesco a fare a meno di sorridere e se vuole ottenere qualcosa, sarà meglio che inizi a comportarsi educatamente. La stuzzicherò un po' finché non mi implorerà "per favore".
 
È stata colpa mia, solo mia. La stavo guardando così intensamente, rapito dalla sua rabbia, che non li ho visti arrivare. Sono comparsi dal nulla, avrei dovuto riconoscere l'auto… mi stavano aspettando.
 
Gli uomini di Kuno mi cercano da settimane e alla fine mi hanno trovato nel momento peggiore. Perfettamente addestrati, l'obiettivo è fin troppo chiaro: vogliono lei. Corro verso di lei ma è troppo tardi, Akane riesce appena a difendersi.
 
Non è giusto, corro a più non posso, me l'hanno portata via da sotto il naso, hanno rapito "mia moglie".
 
Appoggio le mani sulle ginocchia mentre il sudore imperla la mia fronte, nonostante il freddo. Quando alzo di nuovo lo sguardo, mi assale una rabbia incontrollabile. Se Kuno vuole giocare, bene, lo accontenterò!
 
Quell'infame di Tatewaki mi sta facendo impazzire, ma se pensa di poter fare il bello e il cattivo tempo con me solo perché è ricco sfondato si sbaglia di grosso. Gli dimostrerò che neanche tutto l'oro del mondo può averla vinta su Ranma Saotome.
 
Anche se, a quanto pare, il mio nuovamente disperso padre gli ha rubato qualcosa di prezioso, un oggetto antico che ha venduto al mercato nero per una grossa somma di denaro... ma io che c'entro in tutto questo? No, il fatto è che Kuno mi tiene in un angolo molto speciale del suo rancoroso cuore da quando si è autoconvinto del fatto che io gli abbia rubato la ragazza.
 
La sua ragazza, come se fosse davvero così! È talmente ossessionato dalle belle donne che nella sua mente folle, tutte le donne sono completamente pazze di lui.
 
Devo ammettere che sua sorella minore è ancora più inquietante... ogni volta che penso a lei mi vengono i brividi. Kodachi è così concentrata su se stessa che ormai il suo ego avrà raggiunto le dimensioni di un satellite di Giove. Quella ragazza ha un grave problema psichiatrico, ma così grave che secondo me nessun medico si è mai azzardato a diagnosticarlo.
 
Io so solo che mentre suo fratello cerca di spillarmi fino all'ultimo yen, lei ha come unico obiettivo quello di legarmi come un salame e mettermi nel suo letto.
 
Orribile.
 
Bene, non è il momento di pensare ai fratelli Kuno... li sostituisco nella mia mente con gli occhi della ragazza che ho appena conosciuto.
 
Deve essere terrorizzata ed è solo colpa mia. Che impressione deplorevole avrà di suo "marito".
 
"Akane", ripeto nella mia mente. È un bel nome.
 
Corro fino a una delle case più vicine, essendo un paese molto piccolo e avendo trascorso tanti giorni noiosi gironzolando qui intorno, conosco tutti i vicini.
 
Entro come un fulmine in casa dell'anziano che come al solito è impegnato ad innaffiare le sue piante o a lustrare la capote di una vecchia Toyota, un modello particolarmente brutto che tiene con molta cura.
 
-Vecchio!- esclamo, entrando senza chiedere permesso. Ma nessuno risponde e io non ho tempo da perdere. Spalanco le porte che conducono al giardino e mi fiondo nella sua auto, giro la chiave e il rumore tossicchiante di un motore guasto non fa che aumentare la mia rabbia.
 
-Dai, muoviti, dai...- ripeto come un mantra mentre provo a girare più energicamente la chiave, ma niente, nessun contatto.
 
-Ragazzo, hai bisogno di un'auto?- il vecchio si avvicina a me, vedo il suo viso rugoso e affabile, e i suoi occhi guardarmi con curiosità dal finestrino della sua automobile.
 
Deglutisco a vuoto sentendomi preso con le mani nel sacco e, lentamente, annuisco con un gesto. Il vecchio sorride.
 
-Lascia perdere questo catorcio, non lo faccio controllare dal '78, lo tengo come un gioiellino solo per puro diletto.
 
Stringo il volante tra le mani, in preda alla frustrazione, ogni minuto che passa mi allontana sempre di più dagli uomini di Kuno.
 
-Lo metta in moto!- esclamo con un'urgenza che sorprende persino me, ma il vecchio non si scompone affatto.
 
-Questa macchina non partirà mai: le mancano le candele, non ha i freni e la batteria è piena di sabbia, scendi da qui.
 
-Maledizione!
 
-Cosa devi fare di tanto urgente?- chiede l'anziano con voce calma.
 
-Quell'imbecille di Kuno ha rapito mia... -devo pensarci due volte prima di dirlo- ... mia moglie!
 
-Kuno? Il tipo delle società Kuno?
 
-Quel disgraziato ora sta giocando a fare lo yakuza*!
 
Il vecchio mi guarda appena due secondi, prima di voltarsi verso un capanno che ho sempre pensato usasse per conservare gli attrezzi. Incrocia di nuovo gli occhi con i miei e, non so per quale motivo, mi sembra che brillino di un'emozione che non riesce a trattenere. Sorride enigmatico.
 
-Allora è arrivato il momento di farci una passeggiata.
 
Dieci minuti dopo stiamo praticamente volando su una strada secondaria e i 240 cavalli del suo BMW ruggiscono sotto i miei piedi mentre premo sull'acceleratore.
 
Proprio un ruggito soddisfatto di un leone tenuto in gabbia per troppo tempo: questo è il suono che proviene dal motore dell'auto che sto guidando. Non posso evitare di sorridere preso dalla sensazione della velocità, mentre affondo ancora il piede nell'acceleratore che risponde immediatamente, leggero ma selvaggio.
 
-Non è un'autentica meraviglia?- concentrato sulla strada, guardo il vecchio con la coda dell'occhio che ha rifiutato di lasciarmi andare da solo nonostante l'abbia avvertito della situazione pericolosa cui stiamo andando incontro.
 
-Io non posso più guidarla, non ci vedo bene e mi tremano le mani. —confessa con un po' di frustrazione, ma senza perdere il sorriso. –In tutta la mia vita ho sempre seguito due regole: belle donne e automobili tedesche!- ride della sua stessa battuta.
 
Serro le mani sul volante, tesissimo.
 
-Come conosce Kuno?
 
-È famoso in questa zona, possiede quasi tutte le aziende più importanti, dà lavoro a molte famiglie e... è terribilmente corrotto.
 
Sorrido ironico, la fama di quel tipo lo precede.
 
-Non ha paura?
 
-Scherzi? È la cosa più divertente che mi sia capitata negli ultimi anni!- riprende a ridere di cuore e io stringo le mani con più forza sul volante.
 
Quello stupido di Kuno, l'idiota patentato... come gli è venuto in mente di coinvolgere in questo casino una ragazza innocente?
 
"Sarà meglio per lui che non la sfiori neanche con un dito" penso furioso e ansioso di arrivare il prima possibile.
 
La residenza dei Kuno è in una posizione centrale e non è affatto un mistero, l'aspetto pomposo parla da sé: imita alla perfezione un palazzo europeo del XVII secolo, dall'aspetto pacchiano, che si erge su una grande collina in tutta la sua imponenza.
 
Pareti di marmo, colonne greche e statue di angioletti grassocci sono piazzate ovunque, nel peggiore assassinio della storia dell'arte mai visto. Spengo il motore davanti all'enorme valle che circonda la residenza e mi guardo intorno infastidito.
 
-Entriamo dalla porta principale?- chiede il vecchio con interesse, osservando tutti i dettagli.
 
-No, entreremo da quella di servizio.
 
Subito dopo rimetto in moto e inizio a cercare un'entrata secondaria, anche se so che Kuno potrebbe averci già visto da un pezzo tramite le telecamere installate intorno a noi. Finalmente la trovo: una porticina destinata al personale di servizio. Tiro il freno a mano e guardo il vecchio con serietà.
 
-Mi aspetti qui e non provi a fare stupidaggini.- lo avverto e lui mi guarda con gli occhi saggi, ridendo della mia avvertenza.
 
-Resterò qui a guardare l'auto, tu vai dalla ragazza.- risponde sornione, ho quasi l'impressione che mi stia mandando nella gabbia dei leoni. Gli dedico un ultimo sguardo prima di abbandonare l'auto e correre rapidamente verso la porta, l'unica via che può portarmi all'interno della casa.
 
Arrivo in giardino senza problemi, scavalco il recinto con facilità e sgattaiolo tra i cespugli. Bisogna essere davvero dei campioni di eccentricità per averli fatti potare tutti a forma di statue greche nelle pose più disparate, ma se c'è qualcuno che abbonda in stravaganza e pazzia in dosi uguali, quello è Kuno Tatewaki.
 
Sbuco da dietro un adone che solleva pesi, quasi mi sento a disagio guardando come hanno scolpito con tanta pignoleria persino i dettagli della sua anatomia. Cerco di non toccare niente.
 
Il percorso è privo di ostacoli, salto cercando di non essere visto e mi nascondo dietro una donna obesa che sembra si stia tagliando le unghie dei piedi.
 
-Sempre così discreto, Saotome!- conosco questa voce anche troppo per i miei gusti. Mi volto per trovarmi faccia a faccia con il "ninja" della famiglia Kuno, un curioso ometto di poco più di un metro che si crede il migliore del suo campo. Non riesco a nascondere la mia smorfia di disgusto.
 
-Eri tu...- mormoro assottigliando lo sguardo e questo sembra offenderlo.
 
-Sono il tuo peggiore incuboo!- Si lancia contro di me sfoggiando tutto il suo coraggio, a mio parere sprecato, e gli stampo un sonoro calcio in pieno viso, non ho mica tempo per giocare, io.
 
Osservo l'impronta del mio piede sulla sua faccia e lo sollevo bruscamente da terra afferrandolo per la tuta, stropicciandola sotto la mia mano.
 
-Dove diamine si nasconde quel tarato del tuo capo?- dico avvicinando il mio viso al suo, ma l'ho colpito troppo forte. Con lo sguardo perso nel vuoto e un rivolo di sangue che fuoriesce da una narice, lo scagnozzo di Kuno balbetta qualcosa.
 
-Non lo saprai...mai.- Lo lascio cadere al suolo senza alcun riguardo, la prossima volta devo misurare un po' meglio la mia forza.
 
-Ranma caro?- no, questo no, questa voce no, per favore... inizio a sudare freddo allontanandomi molto lentamente e la vedo. È innegabile che Kodachi sia bella. Che sia una squilibrata, anche.
 
-K-Kodachi.- balbetto, cercando di sorridere, ma il massimo che riesco a fare è curvare la bocca in un ghigno come se avessi una paresi.
 
-Ranma, tesoro, hai finalmente accettato il mio invito a cena?
 
Con le mani giunte sul petto e un abito che sembra tirato fuori da "Lady Oscar", Kodachi mi guarda con gli occhi illuminati da un fuoco ardente, come nei vecchi film. Quando cavolo mi ha invitato a cena? Beh, a dire il vero lo fa sempre.
 
-S-sì?!- rispondo, non voglio contraddirla, tutti sanno che è meglio assecondare i malati di mente.
 
-Oh, ma avresti dovuto avvisarmi! Guarda, sono un autentico disastro, ho indossato il primo abito che ho trovato nell'armadio...
 
Una gigantesca goccia mi attraversa la testa (ndt: in stile manga) mentre sbatto le palpebre come un idiota. Sicuro… tutti usano vestiti del XVI secolo per stare in casa.
 
-Ecco... in realtà vorrei parlare con tuo fratello.
 
-Con Tatewaki?- chiede, sorpresa. –Oh, ma io ho preparato la cena solo per due persone. –Afferma con un tono lamentoso, cercando di farmi capire che le mie parole la offendono, ma io non mi lascio ingannare, forse può prendere in giro se stessa, ma non me. Questa matta ha calcolato tutto.
 
Mi prende per un braccio con pericolosa disinvoltura e mi sorride con le sue sottili labbra rosse.
 
-Sono così felice. –dice con gli occhi che le brillano, mentre mi conduce in casa. Beh, in un modo o nell'altro ho raggiunto il mio obiettivo.
 
Trascinato dal suo abbraccio simile a una morsa d'acciaio mi ritrovo davanti a una tavola perfettamente imbandita con ogni sorta di prelibatezza. Guardo i piatti, odiandomi perché non posso negare che abbiano un ottimo aspetto, anche se so benissimo che sono tutti avvelenati.
 
-Ranma caro, ti piace?
 
-C-certo.- rispondo, prendendo posto a tavola sotto il suo sguardo ossessivo. –È fantastico.
 
-Oh, come sono felice di sentirtelo dire! Ho fatto molta pratica, sai, tutti i giorni preparo questi piatti nella speranza di vederti arrivare ma non preoccuparti, lo faccio con piacere! E ora finalmente sei qui.
 
Ho detto che è pazza? No, da sola equivale a un manicomio intero.
 
-Senti, Kodachi, il fatto è che...- mi sforzo di dire qualcosa di carino ma dalla mia bocca non esce niente.
 
-Basta parlare! Mangia qualcosa! Da dove vuoi iniziare? Forse il paté di fegato d'oca? L'abbacchio? Il sushi di tonno? Assaggia i crostini al caviale, ti lasceranno... paralizzato dal piacere.
 
-Ohhh... sembra tutto delizioso ma...
 
-Ma?
 
-Sono abituato a non mangiare niente senza salsa takoyaki.
 
-Salsa... takoyaki? Parli di quella robaccia che usano gli ambulanti per condire le polpette di polpo?
 
-Proprio quella! Un capriccio assurdo, lo so...ma quando ero piccolo io e mio padre non avevamo molto di che sfamarci e a volte ci capitava che i cuochi degli ambulanti ci dessero un po' di salsa per riempire lo stomaco.—dico, fingendo un enorme dispiacere.
 
-Oh Ranma caro, è così triste!- risponde lei con le lacrime agli occhi.
 
-Per me è il miglior cibo del mondo.
 
-Farò in modo che tu possa mangiare la migliore salsa takoyaki della tua vita!- esclama emozionata, mentre solleva leggermente con le mani la gonna del lungo abito e corre fuori dalla sala come se fosse la protagonista di una tragica storia d'amore.
 
Ecco l'opportunità che cercavo. Ignoro il delizioso profumo del cibo e riprendo il mio obiettivo. Dove nasconderebbe una ragazza quel matto di Kuno? Se fossi lui e avessi davanti una bella ragazza che farei con... oh no, maledizione!
 
Corro verso la camera principale completamente fuori di me.
 
Le dimensioni di questa dannata magione sono semplicemente mostruose, ma la camera di Kuno non è difficile da trovare, per fortuna c’è una mappa a metà corridoio.
 
Il sudore mi scivola via dalla fronte quando mi ritrovo davanti alle porte e a due guardie di sicurezza che mi osservano senza alterarsi minimamente. Certo, sapevano che sarei arrivato.
 
Ma questo non basterà di certo a far scemare la mia rabbia! Mi fiondo sul primo e lo metto al tappeto con un unico colpo alla bocca dello stomaco, mentre al secondo assesto un destro sulla mandibola. Mi spolvero le mani senza scompormi e salto oltre i loro corpi distesi sul pavimento prima di aprire la porta.
 
Mi sarei dovuto fermare a riflettere anche un solo secondo. Immediatamente mi cadono addosso una rete e una ventina di mani che cercano di bloccarmi: protesto, mi divincolo, lancio pugni e calci in aria, urlo in preda all’ira.
 
Un minuto dopo tutti i miei sforzi diventano vani, dato che mi bloccano in dieci per poi legarmi mani e piedi. Sanno che sono pericoloso.
 
-Kuno! Io ti…!- urlo prima che uno dei suoi uomini mi infili in bocca un fazzoletto, tappandomela per farmi tacere.
 
-Benvenuto nella mia dimora, Saotome! Finalmente mi hai degnato della tua presenza.- afferma l’idiota pavoneggiandosi come al solito nel suo kendo-gi da allenamento, con un’affilata katana poggiata sulla spalla. Nella sua minuscola mente si sente un tipo importante ma non è nient’altro che un delinquente da quattro soldi.
 
Alzo la testa sforzandomi, dato che sono bloccato al suolo, mentre gli uomini che mi hanno catturato si allontanano soddisfatti, credendo che mai e poi mai potrò sciogliere questi nodi…ma io sono disposto a sorprenderli.
 
-Che ingenuo! Cadere in una trappola tanto banale… beh, per lo meno sei uscito dal tuo nascondiglio… sei peggio di una bestia selvaggia che si rifugia in un buco qualunque per non essere catturato.- dice andando in visibilio. La sua camera è grande, troppo grande per risultare comoda e l’arredamento non è molto migliore dell’esterno: il pavimento è di marmo lucido, intorno vedo una serie di colonne sottili sulle quali spiccano, ancora una volta, figure umane nelle pose e situazioni più strambe. Credo che alla mia destra ci sia un tipo che gioca a bowling.
 
Immagino che da qualche parte ci sia il suo letto, ma non lo vedo dal punto in cui mi trovo e davanti a me ci sono solo le colonne e una sedia, che il suddetto idiota non tarda ad occupare.
 
-Devo ammettere che gli attori che ci procura quell’agenzia sono sempre più bravi.- riprende a parlare e vedo che tra le mani, a parte la katana, ha anche dei documenti che riconosco immediatamente. Il mio presunto atto di divorzio. –Questa ragazza si è presa addirittura il disturbo di ordire un tale inganno. Semplicemente meraviglioso!
 
Stupido, idiota, maledetto Ranma Saotome! Era tutta una farsa, certo che lo era! E come poteva essere altrimenti? Serro i denti sul fazzoletto e inizio a farfugliare… quando la vedo, non appena acciuffo quella maledetta arpia dagli occhi castani la strozzo! Lo giuro a me stesso in modo da non ripetere mai più un errore del genere. Mai fidarsi di una donna, soprattutto quando è così carina e ti dice che è tua moglie! Bisogna essere davvero stupidi per cadere in un tranello del genere.
 
In questo momento sento di avere lo stesso spessore intellettuale di Kuno, che non è superiore a quello di un qualsiasi invertebrato.
 
La rabbia che sento mi acceca, muovo furiosamente le mani sentendo la corda che mi preme contro la pelle, solcandomi i polsi.
 
“Akane”, se è il tuo vero nome, non avresti dovuto scherzare con me, ma soprattutto non avresti dovuto coinvolgere mia madre. Giuro che me la pagherai, tu e il mafioso qui presente.
 
In quel momento entra un uomo da una delle due porte laterali della sala che corre verso Kuno con aria agitata, grondando di sudore. Si china per sussurrargli qualcosa all’orecchio e lo stupido si acciglia, preoccupato.
 
-Che? L’attrice si trova in città? Non siete già andati a prenderla voi?
 
Nuovi bisbigli.
 
-Ha messo KO tre uomini? Non dire assurdità!
 
Altri bisbigli.
 
-Certo che è convincente, è un’attrice!
 
Bisbigli sempre più concitati, accompagnati stavolta da un urlo di dolore proveniente da una camera vicina.
 
-Siete degli incapaci! Portatela qui!
 
L’uomo si alza e si dirige correndo verso l’origine di quell’urlo, mentre Kuno sbuffa e si alza dalla sedia, per poi avvicinarsi e chinarsi verso di me.
 
-Mi devi qualcosa Saotome, qualcosa di un valore inestimabile. Non pensare di riuscire a scappare come al solito, non sono diventato ricco perdonando esseri insignificanti come te.- e termina dandomi un calcio sulle costole. Mi piego in avanti cercando di sopportare il dolore e pensando al momento in cui mi libererò e non lascerò in piedi neanche uno di questi insetti.
 
In quel momento compare lei, legata e imbavagliata, trascinata da due uomini mentre tenta di liberarsi scalciando in aria con la speranza di centrare gli obiettivi. Faticosamente riescono a farla sedere sulla sedia davanti a me.
 
I nostri occhi si incrociano e mi fissa agitata e spaventata, evidentemente continua a seguire il copione alla lettera. Bugiarda... distolgo lo sguardo, infastidito.
 
-Ma che avete fatto?- protesta Kuno.
 
-Signore, continua ad attaccarci, non abbiamo avuto scelta.
 
-Mia povera damigella, perdona i modi quanto mai rozzi di questa banda di zotici.- dice avvicinandosi a lei e togliendole il bavaglio. La osserva un paio di secondi rendendosi conto dell'evidenza e indietreggiando leggermente: -C-che splendore!
 
Alzo gli occhi al cielo... oltre a ingannarmi, imbavagliarmi e minacciarmi, ora hanno deciso di farmi vomitare con la scenetta sdolcinata a cui assisterò.
 
-Che volete da me?- dice lei e Kuno la guarda evidentemente confuso.
 
-Volevo solo onorare il tuo compenso, ma sarebbe un piacere se accettassi di farmi compagnia a cena, stasera.
 
-Compenso? Mi hai rapito, pazzo che non sei altro!
 
Cavolo, almeno il carattere è davvero il suo, non pare stia fingendo!
 
-Rapito? No, no, si tratta di un errore. La tua agenzia ci ha detto che saremmo dovuti passare a prenderti.
 
-Non lavoro per nessuna agenzia!
 
-Allora lavori in proprio, ho sempre ammirato i lavoratori autonomi. Sei una donna ricca di spirito di iniziativa.
 
-Ma che diavolo dici, non sto mica lavorando!
 
-Capisco, lo fai per amore dell'arte. Davvero encomiabile, ma insisto perché tu riceva la giusta ricompensa per i tuoi sforzi. O permettimi almeno di invitarti a cena nel miglior ristorante della città.- dice mentre le si avvicina e le solleva il mento, guardandola bene in viso, attento, come ipnotizzato.
 
Bene, sto per assistere a qualcosa di disgustoso e distolgo lo sguardo dal momento che non ho nessuna voglia di vedere un bacio appassionato tra l'arpia e questa brutta copia di yakuza. Invece lei fa un gesto che nessuno si aspetta, qualcosa che per un secondo mi porta di nuovo a dubitare della sua versione.
 
Ha appena sputato in faccia a Kuno!
 
Se non avessi le mani legate le farei un applauso!
 
Kuno si pulisce il viso dai resti di saliva e li osserva sulla punta delle sue dita come se scottassero. Serra la mascella furioso e mi invade un inspiegabile istinto di protezione, non posso di certo permettergli di farle del male.
 
-'renditea hon me ashtardo!- farfuglio cercando di strisciare verso di lui e ottengo quello che volevo, smette di guardarla per un secondo. Non importa se mi prende a calci, appena mi libero giuro che gli cambio i connotati.
 
-Che significa questo, Saotome? Cos'hai fatto alla mia attrice?- chiede in preda alla collera.
 
-On he ho atto hiente!
 
-Ah, l'hai già sedotta? Maledetto bastardo, non hai perso tempo! Proprio come hai fatto con la mia povera sorella! E con la mia triste Himeko!
 
-U hei huori!
 
-Non penso di restare qui ad ascoltare le tue scuse! Mi devi cinquanta milioni di yen, Saotome, quindi parla una buona volta!
 
-E ahora toiimi huesto!
 
-Ti rifiuti di parlare, eh? Fortunatamente hai commesso un nuovo errore: questa povera ingenua ora è un mio ostaggio.- dichiara con aria solenne e, proprio allora un brivido mi percorre la schiena, dal momento che lo vedo brandire la katana e concentrarsi in qualcosa che gli riesce benissimo: fare lo spaccone in maniera teatrale.
 
Poggia la punta della katana sul collo niveo di lei e mi guarda arrogante, consapevole di essere in vantaggio, mentre io stringo i denti mordendo il fazzoletto che ho in bocca... maledetto psicopatico!
 
-E ora dimmi: dove avete nascosto quello che mi avete rubato?
 
-On ho so!
 
-L'hai voluto tu...- dice e preme più forte la punta della katana. La vedo spostare il collo all'indietro e deglutire a vuoto.
 
-Ashala!
 
-Niente di personale, cara, si tratta di affari.- sussurra mellifluo e vedo in preda al panico una goccia rossa di sangue rotolare lungo il suo bianco collo e fermarsi tra le clavicole.
 
Maledizione, stavolta fa sul serio.
 
-Io... io so dov'è il denaro!- dice lei e non so se sono più sorpreso io o Kuno.
 
-Eh?- ripete lui, allontanando leggermente la spada dalla sua pelle.
-Il mio nome è Akane Saotome e quello lì è mio marito.
 
Sbatto le palpebre, attento.
 
-Cosa? T-tu sei sposata... con lui?- lei annuisce velocemente e Kuno fa una faccia da idiota impagabile, lo vedo tremare, serrare i pugni e, infine, allontanare del tutto la katana.
 
-E nonostante tu sia sposato hai osato sedurre la mia povera Himeko? Disgraziato!- grida dirigendo tutto il suo odio verso di me.
 
-On hho hedotta!
 
-Non mi meraviglia il fatto che questa povera ragazza voglia il divorzio! Donnaiolo! Bastardo fedifrago!- solleva la katana con l'intenzione di affettarmi come se fossi un maki.
 
-Possiedo un dojo!- esclama Akane, attirando di nuovo l'attenzione di Kuno e anche la mia. Un dojo? Questa ragazzina è proprietaria di un dojo?
 
–Vale molto più di cinquanta milioni.
 
E questo sembra dissolvere anche l'ultima briciola di ira di Kuno, che si volta interessato verso di lei.
 
-Stai dicendo che Saotome HA il mio denaro?
 
-No, sto dicendo che IO HO il denaro e la disgrazia di essere sposata con lui.
 
-Feh!- protesto.
 
-E divorzierete a causa dei suoi debiti?
 
-I motivi del nostro divorzio non sono affar tuo!- esclama arrossendo. Mi sento esattamente come uno spettatore principiante di una partita di tennis.
 
-Ma se divorziate lui resta senza denaro.- riflette.
 
-Se mi liberi prometto di trovare un modo di pagarti.
 
-No, ho un'idea migliore.- dice, prendendo i documenti del divorzio dal pavimento e riponendoli ben piegati nel suo hakama**.—Tengo questo come garanzia e se in dieci giorni non riavrò il mio denaro... allora confischerò il tuo dojo.
 
-Wuf?
 
-Non puoi fare questo!
 
-Certo che posso, finché siete sposati tutte le tue proprietà sono anche le sue, "signora Saotome". e sorride, il bastardo sorride a trentadue denti all'idea del suo piano geniale e stavolta sì che sono fregato.- Ma quando divorzi da quello là, chiamami, non immagino un destino peggiore per una dama che essere sposata con Ranma Saotome.
 
-Forse essere sposata con te?- risponde.
 
Wow, deve avergli fatto parecchio male. Devo ammettere che sa dove colpire.
 
L'insulto e lo sputo di prima pare che abbiano portato al limite la pazienza di Kuno, lo conosco abbastanza per sapere che non sta per succedere niente di buono. Recupera subito il sorriso e le gira attorno con la katana in mano, fermandosi dietro di lei. Muovo freneticamente le gambe e le mani, le corde iniziano a cedere. Con uno sforzo immane riesco a sputare il fazzoletto dalla bocca e finalmente riesco a parlare.
 
-Kuno! Toccale anche solo un capello e te la vedrai con me!- lo minaccio.
 
Gli occhi di quel folle si inchiodano nei miei e la cosa peggiore è che sono stato io a dargli l'idea.
Afferra i capelli lunghi e raccolti di lei, che non si lamenta, serra i denti orgogliosa per far sì che le sue corde vocali non producano il minimo suono. La katana traccia una curva verso l'alto e, con estrema precisione, si ferma solo un secondo per tagliare i suoi lunghi capelli scuri, che si spargono nell'aria e le cadono sul viso in una sottile e magnifica cascata.
 
Sono sicuro di essere sbiancato come un lenzuolo, ma mai quanto lei. Akane è così pallida che potrebbe mimetizzarsi con il pavimento e nessuno se ne accorgerebbe. I suoi occhi castani perdono vitalità e si spengono immediatamente.
 
-Me li terrò come ricordo.- dice, afferrando i lunghi capelli e annusandoli con ardore, da vero psicopatico.—Forse la prossima volta che ci vediamo sarai più gentile con me.- conclude e lei trema ancora di autentica paura. Muovo con più insistenza le mani, non posso permettere che le cose finiscano così, con quella poveretta che ho appena conosciuto terrorizzata da un idiota armato di spada.
 
-Kuno!- urlo, trascinandomi faccia a terra, ma lui non mi ascolta, continua a pensare ad Akane, preso dalla sua misera sorte.
 
-Per tua fortuna sono un cavaliere e non ti serberò rancore, dolcezza. -dice, mentre con la stessa lama affilata con cui le ha tagliato tanto crudelmente i capelli la libera dalle corde che la tengono legata.
 
Sorride e fa un gesto ai suoi uomini per dire loro di andare via, pensando che lo spettacolo sia finito, ma non per me. Finisco di liberarmi le mani e mi concentro sull'elaborato nodo della corda che mi blocca i piedi.
 
Né io né lui ce ne accorgiamo, ma lei si alza lentamente, si piazza al centro della stanza e sussurra qualcosa. Alzo la testa e la guardo, sperando che non commetta pazzie.
 
-Come, scusa?- chiede Kuno avvicinandosi alla figura tremante. -Che hai detto?
 
-Ridammeli.—chiede completamente tesa.
 
-Eh?
 
-Ridammeli!
 
Si muove come se non pesasse niente, come se fosse una foglia leggera trasportata dal vento. Sembra più uno spirito che una persona. Sono sicuro che Kuno sia esterrefatto quanto me.
 
Salta e disegna nell'aria una tecnica perfetta, piega una gamba, distende l'altra e lo colpisce sul cranio: il mafioso da quattro soldi cade al suolo svenuto, senza sapere cosa sia successo mentre lei atterra alle sue spalle con una sorprendente capriola.
 
Non riesco a distogliere lo sguardo, sono troppo sorpreso. Si china e raccoglie i suoi capelli con sguardo malinconico.
 
Si volta verso di me e scopro di avere la mandibola pressoché slogata, quindi cerco di ricompormi chiudendo la bocca con tutta la sicurezza che riesco a racimolare.
 
Non è una ragazza come le altre, è come me: è un'artista marziale.
 
Stringe forte i capelli nella mano destra e mi guarda con un disprezzo enorme prima di dirigersi verso l'uscita.
 
-Ehi! Aspetta!- urlo mentre finisco di liberarmi i piedi e mi affretto a raggiungerla. Cammino al suo fianco sentendomi leggermente colpevole e... emozionato? Non riesco a pensare a niente di intelligente da dire e resto semplicemente in silenzio, guidandola verso il giardino e la porta di servizio, dove ci aspetta il vecchio con l'auto.
 
-Se vuoi colpirmi, ne hai tutto il diritto, lo capisco.- dico, mentre camminiamo tra le siepi con forme antropomorfiche oscene, ma lei sembra così abbattuta che non solleva neanche lo sguardo da terra.
 
Maledizione, vorrei tanto sapere cosa le passa per la testa. Di sicuro si sta pentendo dell'istante in cui ha messo piede fuori di casa.
 
Lasciamo la dimora dei Kuno senza altri incidenti, arriviamo all'auto e lei si ferma all'improvviso, guarda il veicolo e diventa seria.
 
-Ho dovuto chiederlo in prestito per venire a cercarti.- le spiego cercando nuovamente di rompere il gelo che si è creato, ma la sua mente sembra essere molto lontana da qui, tanto che mi arrendo e non cerco di indovinare i suoi pensieri.
 
Si precipita in auto e apre la portiera con urgenza: vedo il vecchio che dorme tranquillo o almeno questo è ciò che penso in un primo momento.
 
Akane lascia di colpo i suoi capelli mutilati e controlla frenetica il battito dell'anziano, prima sul polso e poi sul collo. Ed è in quel momento che inizio a innervosirmi.
 
-Ma che fai?!
 
-È tardi, ormai è morto.- dice allontanandosi da lui con tristezza e io sposto lo sguardo freneticamente da lei a lui e viceversa.
 
-Cosa!?
 
-Dal colore della pelle sembra abbia avuto un arresto cardiaco, spero che non abbia sofferto.
 
-Che stai dicendo? Ehi, vecchio, svegliati una buona volta!
 
-Ti ho già detto che è morto!- ripete con voce atona.
 
-E come fai a saperlo? Sei un medico, forse?- non mi rendo conto di quanto io sia insolente, del mio tono disperato.
 
-Sì.- risponde lei e nei suoi occhi vedo una calma che mi riempie di frustrazione e sensi di colpa.
 
È tutta colpa mia, tutto quello che è successo è avvenuto per causa mia. Guardo il tranquillo riposo del vecchio e non posso evitare che i miei occhi si riempiano di lacrime. Serro la mascella con una rabbia incontenibile.
 
-Merda!- esclamo, dando un calcio alla ruota dell'auto, lei continua a guardarmi con una fermezza che mi spaventa.
 
-Avevate un rapporto speciale?
 
-L'avevo appena conosciuto.- rispondo sentendomi idiota.
 
-E piangi per lui?- dice, sorpresa.
 
-Mi ha aiutato... era un tipo in gamba.
 
Mi accorgo che trattiene il fiato alle mie spalle.
 
Sentiamo in lontananza voci e urla che si avvicinano sempre di più a noi, Akane guarda con un certo timore la porta e capisco che non posso restare qui a lamentarmi ancora per molto.
 
-Spero che la passeggiata le sia piaciuta.- mi congedo, mentre il sole cala all'orizzonte e mi incammino in direzione del paese più vicino, in cui iniziano ad accendersi timidamente le prime luci.
 
Con la coda dell'occhio la vedo inchinarsi in segno di rispetto e raggiungermi velocemente.
 
NdT: * Per chi non lo sapesse (cito da Wikipedia) “La yakuza è un'organizzazione criminale giapponese suddivisa in numerose bande. I loro appartenenti a volte le definiscono ninkyō dantai, nome il cui significato è accostabile a quello di "onorata società". La stampa occidentale solitamente vi si riferisce con il termine generico di "mafia giapponese" per alcune caratteristiche comuni.
NdT: ** La hakama è un indumento tradizionale giapponese che somiglia ad una larga gonna-pantalone o una gonna a pieghe (in pratica, quella che indossa sempre Kuno). Originariamente soltanto gli uomini indossavano la hakama, ma oggigiorno viene portata anche dalle donne. Viene legata alla vita ed è lunga approssimativamente fino alle caviglie.
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Nota dell'autrice:
Salve di nuovo!
Sono contenta di sapere che la ff sia di vostro gradimento e spero che continuiate a seguirmi con lo stesso interesse fino alla fine. Arrivati a questo punto, penso siano chiare le basi su cui poggerà la futura relazione di questa coppia... ma siamo solo all'inizio! Sono passati solo due giorni e due completi sconosciuti si impegnano in una missione: uno per onore, ritenendosi responsabile di tutto, l'altro per necessità e per proteggere i suoi interessi.
Ancora non immaginano tutto quello che succederà durante la loro ricerca e io mi sento una strega malvagia che si sfrega le mani e cospira contro di loro, ahahah!
Mi sono divertita molto a scrivere questo capitolo, anche perché è il primo narrato completamente da Ranma. È troppo divertente mettersi nella sua testa, è un bravo ragazzo ma non si apre facilmente. Forse preferisco raccontare la storia tramite il suo punto di vista perché mi permette di essere più ironica, ma ammetto di divertirmi anche quando è il turno di Akane perché lei è più sincera e si arrabbia con molta facilità, mostrando tutta la sua ingenuità! No, che dirvi, li amo entrambi ahahah!
Grazie a tutti per aver letto fin qui e ci vediamo nei prossimi capitoli!
LUM
 
Mini nota della traduttrice:
Concordo con Lum, questo capitolo è stato divertente anche da tradurre, credetemi XD Spero continuiate a seguirci, anche perché il viaggio di questa improvvisata coppia inizia ora, tenetevi pronti!
Ringrazio tutti coloro che stanno seguendo, preferendo e recensendo la storia, compresi i lettori silenziosi ^_^
Mi scuso per eventuali errori, ditemi pure se ne trovate :P
Spirit99

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. Domenica 17 ***


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Quince días
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Capitolo 4: Domenica 17
 
Ranma
 
Faccio due respiri profondi e avvicino di nuovo la mano alla porta, pronto per bussare. È la terza volta che ci provo e gli altri ospiti dell'albergo iniziano a guardarmi come se avessi qualche rotella fuori posto.
 
Niente, resto lì piantato come un idiota senza sapere che dirle quando la vedo. Ieri sera, dopo aver trovato questa pensione dove trascorrere la notte, è rimasta zitta per tutto il tempo e non me ne stupisco affatto. Se fossi in lei, mi odierei.
 
Ma prima di tutto devo mantenere la calma, sì, sono qui per questo, perché voglio che lei sappia che risolverò la questione. Non mi serve il suo denaro e, soprattutto, non voglio che perda il dojo per colpa mia. Ranma Saotome è un uomo d'onore!
 
Deglutisco a vuoto e finalmente riesco a dare due colpi leggeri alla porta. Aspetto impaziente con lo sguardo fisso, ripassando nella mente il discorso che ho preparato. Quando i minuti passano e mi accorgo di non ricevere risposta, busso un po' più forte.
 
Uno strano presentimento mi assale: e se le fosse successo qualcosa? Non sarà mica svenuta? È in pericolo? Immediatamente afferro la maniglia e la giro senza tanti preamboli, apro la porta e guardo all'interno con circospezione ma non c'è traccia di lei. Entro nella camera e inizio a cercarla disperatamente, in preda all'ansia.
 
Se n'è andata! È andata via senza neanche dirmi "addio"! Molto bene, come preferisci, ragazzina viziata, che tu lo voglia o no siamo ancora sposati e tornerai a cercarmi per chiedermi il divorzio.
 
Sto per uscire quando vedo aprirsi la porta del bagno e compare lei, con addosso solo un minuscolo asciugamano che le copre a stento il seno e il punto in cui iniziano le sue gambe slanciate.
 
Mi guarda. La guardo.
 
-Maledetto pervertito!- grida mentre mi lancia l'abat-jour poggiato sul comodino.
-Porco! Disgraziato!
 
-No aspetta, posso spiegarti, si tratta di un errore!
 
-E quale sarebbe l'errore nell'infilarsi nella camera di una ragazza? Eh? Fuori! Sparisci!
 
-Pensavo che ti fosse successo qualcosa! Ahia!- mi lamento quando inizia a colpirmi ripetutamente con uno dei suoi stivali che aveva lasciato accanto al letto.
 
-Vattene!
 
Mi dirigo verso l'uscita e sparisco frettolosamente, poi sospiro e quando richiudo la porta alle mie spalle avverto un colpo fortissimo contro quest'ultima... forse è l'altro stivale.
 
-Non era necessario reagire in questo modo! Ti ho detto che è stato un incidente!- urlo dall'altro lato della porta.
 
-Però la cosa non ti ha impedito di fissarmi per un bel pezzo!
 
-Ti piacerebbe! E se proprio vuoi saperlo, non ho visto niente di interessante!
 
Ascolto attento nell'attesa di una sua risposta al vetriolo, che però non arriva... solo silenzio. Appoggio l'orecchio alla superficie della porta sperando di sentire qualcosa, anche un'imprecazione.
 
Non so che fare, mi gratto la testa a disagio e se ci ripenso, mi sorprendo di essere esploso in questo modo. Ovvio che la sua risposta non si sia fatta attendere. Va bene, devo cercare di essere più maturo, adesso ripesco il mio discorso perfetto che ho studiato nei minimi dettagli.
 
-Volevo parlarti di ieri.- dico, mentre la porta si apre immediatamente. Akane ha indossato uno degli yukata della pensione e mi guarda con una rabbia che non si preoccupa affatto di dissimulare.
 
-Cos'è, vuoi combattere con me per caso?- sputa senza preamboli.
 
-Non riusciresti a tenermi testa neanche per un minuto.- rispondo alla sua provocazione.
 
-Vorrei proprio vederlo.
 
Ci guardiamo con aria di sfida e proprio in quel momento mi rendo conto del disastro che ha in testa: i suoi capelli lunghi e perfetti hanno lasciato il posto a un'accozzaglia di ciocche lunghe e corte che le danno l'aria di una squilibrata.
 
-Se vuoi combattere, bene, ma prima sistemati questo nido di passeri che hai in testa, non voglio che mi vedano con te in queste condizioni.
 
In questo preciso istante mi rendo conto dell'evidente rossore delle sue guance. Forse è dovuto all'improvviso imbarazzo dell'incidente di poco fa che non è ancora sfumato del tutto, dato che è palese sul suo volto. Si porta una mano all'altezza dell'orecchio e tocca una delle ciocche con aria pensierosa. Distoglie lo sguardo e farfuglia qualcosa a denti stretti.
 
-...
 
-Come, scusa?- dico, avvicinandomi. Non ho capito niente.
 
-Ho detto che non ne sono capace, idiota!- esplode, mentre gli occhi le si riempiono di lacrime, lasciandomi spiazzato.
 
Ma certo... i capelli sono importanti per una ragazza, soprattutto se sta per sposarsi, suppongo. Mi mordo la lingua e faccio un passo indietro, incerto, sono sempre stato sensibile alle lacrime di una donna.
 
-M-ma non c'è bisogno di piangere, no?
 
-Non sto piangendo!- risponde, testarda, cercando di trattenere le lacrime nei suoi grandi occhi, ormai lucidi. –Vattene!- cerca di chiudere la porta spingendomi fuori e reagisco subito, lottando per far sì che resti aperta.
 
-Non posso crederci! Davvero te la sei presa così tanto per la storia dei capelli?
 
-Tutto questo è successo per colpa tua!
 
- Non è colpa mia, ma di mio padre, ok?
 
-Ti odio!
 
Bene, ecco il punto di non ritorno, me lo aspettavo. Però non mi ha fatto male... in fondo è solo una povera ragazzina a cui ho rovinato la vita con la mia sola presenza.
 
-Ah sì? Neanche io ti sopporto!
 
-Perfetto! Non ci sarà niente di più piacevole che essere una di quelle divorziate che trascorrono il tempo a parlare male del loro ex-marito!- spinge più forte la porta.
 
-Almeno non potrai dire che vai in giro con un'acconciatura migliore della mia!- rispondo in tono ironico e in quel momento smette di far forza contro la porta, che riesco ad aprire di colpo.
 
Mi guarda con il respiro affannoso, il petto e le spalle si muovono al ritmo della sua agitazione. Guardo dietro di me e mi rendo conto che ci sono varie persone nel corridoio che ci osservano… stiamo dando spettacolo.
 
-Adesso smettila di fare la zuccona, va bene? Sono venuto per sotterrare l'ascia.
 
-Sì, certo. —risponde diffidente e incrociando le braccia.
 
-Hai un paio di forbici?
 
-Per quale cavolo di motivo vorresti delle forbici?
 
-Secondo te?- dico, indicando il disastro che ha in testa.
 
-Che?? Neanche morta!
 
-Andiamo, io mi taglio sempre i capelli da solo!- per tutta risposta, inarca un sopracciglio e accenna un sorriso.
 
-Ogni quanti anni?
 
-Hai un'idea migliore?
 
Due minuti dopo mi ritrovo intento in qualcosa che non avrei mai pensato di fare: tagliare i capelli a una ragazza. Si è seduta sul pavimento dandosi per vinta, mentre io cerco di sistemarle le ciocche, almeno per renderle tutte uguali.

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-Fai attenzione.- ripete per l'ennesima volta.
 
-E allora piantala di muoverti!- dico, tirandole una delle ciocche lunghe, stanco.
 
-Ahi!
 
Tra di noi cala un silenzio imbarazzante, rotto solo dal suono delle forbici che tagliano i suoi capelli umidi. Profumano di shampoo.
 
-Quindi sei un medico.- dico, cercando di rompere un po' il ghiaccio.
 
-Sì... a dire il vero lo sarei diventato se avessi terminato gli studi.
 
-E perché non lo fai?
 
-Perché mi sposo e mi trasferisco in un posto lontano.- risponde a voce bassa, mentre ricompare il lieve rossore delle sue guance che le fa aggrottare le sopracciglia, contrariata.
 
-Cavolo, non pensavo fossi quel tipo di donna.
 
-Che tipo di donna?- risponde, offesa.
 
-Di quelle che si barricano in casa aspettando che il marito torni dal lavoro e dicono cose come "tesoro, il bagno è pronto" o "amore mio, oggi ti ho preparato il tuo piatto preferito per cena".- imito goffamente la sua voce in modo scherzoso.
 
-E tu che ne sai di me?- risponde offesa e girando la testa, che prontamente rigiro senza fatica con due dita, per poi continuare con il mio lavoro mentre abbozzo un sorriso.
 
-Niente, e poi neanche tu conosci me. Sei solo una ragazza sufficientemente stupida da offrire il dojo di famiglia a Kuno per saldare i debiti di un'altra persona.
 
-Quel tipo era un tuo amico?
 
-Ti sembrava un mio amico?
 
-No, sembrava arrabbiato con te.
 
-Lo è, è il tipo di persona capace di portarti un rancore infinito per cose che non ricordi neanche di aver fatto.
 
-Ce l'ha con te perché gli hai rubato la ragazza?- chiede curiosa, e io mi irrigidisco un attimo e penso a come sviare la questione.
 
-La cosa fondamentale è che mio padre gli ha rubato qualcosa di valore.
 
-Cinquanta milioni.
 
-Sì, dobbiamo incontrarlo e fare in modo che gli restituisca il maltolto.
 
-Almeno saprai dove si trova, no?
 
Resto un attimo interdetto e dubito per un momento.
 
-Ehm... sì, conosco qualche posto in cui va di solito in questi casi.
 
-Che? Tutto qui?- mi rimprovera, incredula.
 
-Ehi, meglio di niente! Secondo te perché mi nascondo da settimane? Stavo solo aspettando che passasse un po' la tempesta.
 
-Cioè, che lo beccassero?
 
-Esatto.- rispondo senza titubare, ripassando con cura una delle ciocche più sfregiate.
 
-Che tipo di uomo è tuo padre?
 
Non so cosa rispondere esattamente a questa domanda.
 
-Il tipo di persona che deve soldi a tutto il mondo e non si preoccupa di saldare i suoi debiti, credo. Finora ho scoperto un sacco di false promesse che ha sempre fatto in cambio di denaro o persino cibo. Anche se gli riconosco che mi ha allenato bene: finché non ho compiuto 18 anni abbiamo viaggiato insieme alla ricerca di sfide e nuove tecniche.
 
-Beh, questo mi sembra divertente.
 
Faccio spallucce, meglio non entrare nei dettagli... ci sono tanti di quegli allenamenti che mi ha costretto a fare che preferisco non raccontare a nessuno, tranne a uno psicoterapeuta.
 
-E il tuo?- chiedo – Anche tuo padre ti ha allenato?- non posso fare a meno di chiederglielo, sono troppo curioso di saperne di più, soprattutto sul fatto che sia un'artista marziale. Non riesco a togliermi dalla testa l'immagine di lei che vola in aria e mette al tappeto Kuno con un solo colpo. Credo che mi abbia quasi eccitato... un pochino.
 
-Sì, mi ha allenato finché non mi sono iscritta all'università. Poi abbiamo iniziato ad allontanarci un po’ e ora mi alleno solo per conto mio.
 
-Nel tuo dojo.
 
-Sì, nel mio dojo.- sorride, malinconica.
 
-Quindi il tuo fidanzato non è un artista marziale?- credo di essere a un passo, o meglio, a una domanda dall'essere considerato un ficcanaso.
 
-Oh no, lui... fa il guardaboschi.
 
-Che cosa fa???!!- dico sorpreso, lasciando cadere le forbici.
 
-Il guardaboschi.
 
-Ti sposerai con un tizio che guarda gli alberi per tutto il tempo?
 
-I guardaboschi fanno molto più che guardare gli alberi!
 
-Oh sì, certo, ti aspetta una vita intensa ed entusiasmante.- rispondo, burlandomi di lei.
 
-E a te che importa, idiota!!
 
Niente, a me non cambierebbe niente, ma vedere la sua espressione arrabbiata mi fa sentire davvero fiero delle mie uscite. Prendo mentalmente nota dei soprannomi che mi passano per la testa per quel tipo: "l'innaffiapiante", "l'osservatore di pini", "il babysitter degli orsi". Ah, mi divertirò un mondo!
 
Si gira con l'aria di litigare, ma io nel frattempo ho finito quello che stavo facendo.
 
-Ecco fatto.
 
-Eh, di già?- dice mentre alza entrambe le mani sulla testa e tocca nervosamente le punte della sua corta capigliatura. Si alza di scatto e corre in bagno alla ricerca di uno specchio.
 
Resto immobile, in attesa di un suo gesto di apprezzamento o qualcosa del genere, ma ancora una volta le mie aspettative vengono deluse e non sento altro che silenzio. Sospiro.
 
-... Io vado... prendo le mie cose e poi parliamo di ciò che dobbiamo fare. Ti aspetto al piano di sotto.- Esco dalla camera e chiudo la porta alle mie spalle. Ma che le prende? Le costa tanto dire anche un semplice "grazie"? Guardo la porta scuro in volto e mi dirigo pensieroso verso la mia camera.
 
Mezz'ora dopo sono alla reception della piccola pensione che la aspetto, con nient'altro che uno zaino con le mie poche cose. Incrocio le braccia impaziente, ma che diavolo starà facendo quella stupida? Cammino avanti e indietro come un animale in gabbia. Compare subito dopo con la testa bassa, indossando gli stessi vestiti del giorno prima.
 
-Pensi di poterti permettere di farmi aspettare qui in attesa dei tuoi comodi?- e quando alza lo sguardo per rispondere alla mia accusa noto i suoi occhi rossi e gonfi, chiaro segnale che ha appena smesso di piangere.
 
Non sono un insensibile, almeno non del tutto. Mi mordo la lingua e rifletto... avrò detto qualcosa che l'ha fatta arrabbiare così tanto? Resto lì impalato e confuso mentre lei farfuglia un insulto e mi passa davanti, uscendo dalla pensione senza badare a me.
 
Ecco perché evito di avere relazioni serie con le donne... ma valle a capire! Oggi ti amano con tutta l'anima e domani pensano al modo migliore per farti a pezzi il cuore e darlo in pasto ai maiali.
 
Questa storia deve finire ora, devo rispedirla a casa e fare in modo che riceva il suo denaro. L'unica cosa certa è che non resisterò a lungo prima di sbottare definitivamente. Che donna poco femminile, irascibile e dal carattere impossibile! Esco anche io visibilmente nervoso, sbuffo infastidito quando vedo che incrocia le braccia e mi dà le spalle. Ora che ha i capelli così corti vedo il suo bel collo bianco che spunta dai risvolti del cappotto.
 
-Tornatene a casa, farò in modo che mio padre restituisca il denaro a Kuno e firmerò in tempo i documenti del divorzio.- concludo, conciliante. Lei si volta, sembra sorpresa.
 
-Pensi che io sia stupida?
 
-Eh?
 
-Non mi fido di uno sconosciuto! E tanto meno se è in gioco il mio dojo! Mio padre e le mie sorelle vivono lì, è casa nostra!
 
-Ehi, io mi sono offerto di aiutarti!
 
-Aiutarmi? Aiutarmi?! Sei tu che mi hai trascinato in questa situazione assurda! Famiglia di truffatori!
 
-Nessuno ha chiesto il tuo denaro! Credi che io sia felice di essere sposato con una come te? E chi mai vorrebbe il tuo inutile dojo?!
 
-Oh sì, è molto meglio vivere in quella specie di catapecchia che chiami casa!
 
-Io non vivo là!- rispondo con voce ironica.
 
-Quindi vivi con tua madre?- contrattacca.
 
-Molto meglio che vivere nella capanna di un tizio che fa la guardia agli orsi. Di sicuro ti sposa perché non vede molta differenza tra te e gli animali selvaggi: brutti, scontrosi, sovrappeso, pelosi... ovvio, non deve preoccuparsi di questo.- termino orgoglioso di me stesso e guardandola da vicino con un'indescrivibile sensazione di trionfo.
 
Oh-oh.
 
Mi accorgo che in un millesimo di secondo tutta la sua determinazione si trasforma in incredulità e, infine, in profonda e innegabile tristezza. Mi dà di nuovo le spalle per evitare che io la veda.
 
-Stai piangendo?- chiedo più tremante di un budino, mentre tutta la mia petulanza di un attimo fa mi abbandona di colpo rendendomi un idiota balbuziente e nervoso. –Non piangere!
 
Non risponde.
 
-Piangi perché ti ho detto che sei brutta? Non è vero, in realtà non penso affatto che tu sia...
 
-Sembro un ragazzo!- urla, serrando i denti e trattenendo il pianto.
 
-...brut... un ragazzo?
 
E finalmente tutto mi è chiaro e perdo un battito. Tonto, stupido... come ho fatto a non capirlo subito? Ha perso i suoi magnifici capelli lunghi, non ci avevo proprio pensato. Significavano davvero tanto per lei? Forse al mangiaerba piace con i capelli lunghi? Li stava facendo crescere per sembrare più femminile?
 
-Quando andavo a scuola portavo i capelli corti come li ho ora e tutti mi scambiavano per un ragazzo e lui... lui mi dice sempre che ama i miei capelli lunghi... ora cosa penserà di me?
 
Incrocio le braccia mordendomi la lingua dato che quest'ultima frase mi ha infastidito e non capisco perché.
 
-Se si sposa con te solo per i tuoi capelli stai perdendo tempo e poi le ragazze carine stanno molto meglio con i capelli corti.
 
-Che hai detto?
 
Che diavolo ho detto?! Ripeto mentalmente l'ultima frase che è uscita dalla mia bocca e divento rosso fino alle orecchie. Lei mi guarda e non batte ciglio, i suoi occhi restano fissi nei miei e non posso fare a meno di pensare che sono grandi, di un castano chiaro, così luminosi che sembrano ipnotici.
 
-Che... che... che ti sta molto meglio questo taglio di capelli, ok?– rispondo accigliandomi e ora sono io quello che distoglie lo sguardo. Lei sembra riflettere un attimo e arrivare a una conclusione, poi sorride timidamente.
 
-Grazie.
 
Deglutisco a vuoto mentre la osservo con finta noncuranza con la coda dell'occhio e per un secondo mi sembra di vedere sul suo volto qualcosa che assomiglia a un sorriso... ed è abbagliante. Preferisco non pensarci, ecco.
 
-Ti ringrazio, anche se so che stai mentendo.
 
Ma prima che io possa ribattere allaccia le mani dietro la schiena e si incammina tranquilla per la strada deserta. Si volta un attimo e mi guarda prima di proseguire.
 
Dieci minuti dopo sono poggiato a una cabina telefonica con le braccia incrociate. Lei è dentro e sta componendo un numero con dita tremanti. A quanto pare ha perso il cellulare e quasi tutti i suoi effetti personali dopo il "rapimento". Immagino che non sarà facile spiegare tutto questo.
 
Anche se sono rimasto fuori per darle un po' di privacy non riesco a non ascoltare la conversazione.
 
-Kasumi, sono io... no, sì, ascolta... non torno con il treno delle otto. No, certo che no! Stai tranquilla, sto bene. Che? Non dire stupidaggini... sì, ovvio, mi conosci. Ho avuto qualche problema, ma tornerò sicuramente in tempo, credo tra un paio di giorni. Posso chiederti un favore? Puoi avvisare tu Shinnosuke?
 
Shinnosuke... ecco come si chiama l'addestra-procioni. Un momento... perché non lo chiama direttamente? Non posso fare a meno di pensare che ci sia qualcosa di strano in questo rapporto... se stanno per sposarsi significa che dovrebbero dirsi tutto, no? Quindi perché lo evita?
 
Finalmente conclude la telefonata e arriva il mio turno. Lei resta fuori dalla cabina con aria pensierosa e lo sguardo perso all'orizzonte mentre io compongo il numero di mia madre. Ho bisogno di un'informazione e di sicuro le farà piacere sapere che sto bene.
 
La sento rispondere dopo appena due squilli.
 
-Ranma?
 
Mia madre e il suo istinto: non ho detto una parola e ha già capito che si tratta di suo figlio.
 
-Ciao mamma.
 
-Dove sei? Va tutto bene?
 
-Ehm... non proprio.
 
-È stata da te, vero? Mi riferisco a tua moglie.
 
-Non chiamarla così!- dico guardando le spalle di lei, di nascosto, con timore che lei presti attenzione alla mia conversazione, come ho fatto poco fa con la sua. –La cosa importante ora è sapere dov'è il vecchio.
 
-Tuo padre? Sono settimane che non si fa vedere da queste parti, forse perché non ho più niente di valore che possa vendere.
 
-Sì, certo. E non sai dove potrebbe essere?
 
-Se ha del denaro, di sicuro si starà ubriacando con sake di pessima qualità, ma dato che non avrà un soldo scommetto che sarà impegnato a rubare come al solito.
 
-E se lo avesse già fatto?
 
-Che intendi dire?
 
Mi mordo la lingua, meglio non far preoccupare mia madre più del necessario, quel vecchio ubriacone inutile che ha come marito le ha già provocato troppi grattacapi.
 
-Niente, non pensarci.
 
-Mi hai chiamato solo per parlare di tuo padre? Non hai proprio nient'altro di meglio da raccontarmi?
Sbuffo, consapevole del fatto che questa donna mi legge nel pensiero. Non è giusto.
 
-Sì, è qui con me contro la sua volontà. Resterà qui un paio di giorni per risolvere la questione dei documenti. —tiro fuori questa menzogna pietosa. Passi il fatto che mio padre continui a commettere idiozie una dietro l'altra, ma che anche una donna con cui sono inaspettatamente sposato resti coinvolta in tutto questo è davvero inverosimile. Ed è meglio che lei non sappia.
 
-Oh, Ranma! È così carina! Ed è anche una brava ragazza, educata… in più avete la stessa età! Mi piacerebbe tanto vedervi insieme, sareste di sicuro una coppia fantastica.
 
-Mamma, si sposa tra qualche giorno con un altro, perciò rassegnati.
 
-Beh, ma potrai fare qualcosa, no?
 
-Che?
 
-Devi sedurla, Ranma! Mostrale il tuo lato più virile e cadrà immediatamente ai tuoi piedi!
 
-Ma che diavolo dici!
 
-Se poi restasse anche incinta sarebbe perfetto, non avrà più scuse per annullare il vostro matrimonio!
 
-D-devo andare!- urlo rosso come la mia casacca e riattacco la cornetta con troppa forza, guardandola pieno di collera mentre cerco di calmarmi. Ma che le passa per la testa? Sedurla? Che diamine pensa?
 
Sempre con le stesse storie della "virilità" e sciocchezze del genere. Il fatto che siamo sposati non significa assolutamente nulla, è solo una firma su un documento. Non c'è nient'altro. Né c'è stato né ci sarà.
 
Lascio andare un sospiro ed esco dalla cabina. Lei è ancora lì, in piedi, mentre scruta l'orizzonte come se sperasse di veder comparire da un momento all'altro il suo salvatore, il guardaboschi. Se la mia fidanzata fosse in un angolo sperduto del Giappone in compagnia del suo presunto "marito", mentre insegue un ladro dopo essere stata minacciata da uno pseudo yakuza, io andrei di sicuro a cercarla.
 
-Sarà meglio avviarsi… dico, cercando di distoglierla dai suoi pensieri, di qualsiasi tipo essi siano. Lei si gira e mi guarda un attimo prima di annuire decisa.
 
-Sai già dove si trova tuo padre?- mi chiede, e posso intuire un po' di tensione nelle sue parole. Spero che non sia dovuta ai pezzi sparsi della mia conversazione con mia madre che potrebbe aver ascoltato.
 
-So più o meno da dove iniziare a cercarlo.- rispondo, mantenendomi sul vago.
L'unica cosa che posso fare è iniziare a setacciare tutti i principali mercati neri della zona, perché se ha per le mani qualcosa di valore, sicuramente vorrà venderlo al migliore impostore in circolazione. Di certo non sono posti adatti a lei, ma che ci posso fare se sono costretto a portarla con me? È così testarda che si rifiuterà di lasciarmi andare finché il suo dojo e i suoi documenti, ovvio, non saranno al sicuro.
 
-Cioè?- chiede, impaziente, incrociando le braccia.
 
-Dobbiamo farci un giro in città.- dico, mentre mi dirigo verso l'unica fermata di autobus del paese.
 
-E dove andiamo esattamente?
 
-A parlare con alcuni contrabbandieri di arte rubata.
 
-Tu... conosci gente del genere?
 
-Mi ci ha trascinato mio padre.- alzo le spalle in un gesto di noncuranza, facendole intendere che è la cosa più normale che ci si possa aspettare da me.
 
Sì, lo show sta per iniziare. Camminiamo in silenzio finché non mi accorgo che si ferma, mi giro per vedere il suo volto arrossato e il nervoso giocherellare delle sue dita.
 
-Che succede?
 
-Ho f-fame.- ammette timidamente e io faccio una smorfia perché mi rendo conto che non sono messo molto meglio di lei. –Non mangio nulla da ieri, cioè da quando sono uscita di casa.
 
Caspita, è un miracolo che non sia svenuta. Ok, pensiamo un attimo... se la invito a mangiare qualcosa equivale a chiederle un appuntamento? No, ma che dico... Noi siamo altro, siamo compagni di viaggio, giusto? Sì sì, è così! Non c'è niente di male se le propongo di mangiare qualcosa e poi è stata lei a dirmi di avere fame. Bene. Soddisfatto delle mie conclusioni, mi impettisco orgoglioso e pronto a farle un'offerta che non può rifiutare, quando mi accorgo che non è più accanto a me, ma sta entrando in un piccolo locale sulla destra della strada.
 
-Ehi, aspetta!- dico, raggiungendola all'interno. Quando entro mi investe il delizioso profumo di gyoza* e ramen appena preparati. Devo smetterla di rimuginare tanto… mi vengono in mente cose davvero assurde.
Lei si siede al bancone e mi guarda di sottecchi come se cercasse la mia approvazione. Mi accomodo accanto a lei e ordiniamo… da quanto tempo non mangio in compagnia di qualcuno? Neanche lo ricordo.
 
La vedo divorare un piatto di gyoza, una ciotola di riso e poi ramen. Sorrido e mi fa piacere sapere che non è una di quelle schizzinose con cui sono uscito a volte, che mettono piede solo nei ristoranti dove servono tristi piatti di insalata. Non so quanto tempo sono rimasto così, a osservarla in silenzio mentre lei non mi presta la minima attenzione.
 
Finalmente il mio buon senso mi suggerisce caldamente di dare un’occhiata al mio piatto, ma quando prendo un po’ di ramen con le bacchette mi accorgo che ormai si è raffreddato e incollato tutto.
 
-Ahh… avevo davvero fame.- esclama, mentre poggia la ciotola vuota sulla tavola. La zuppa calda le ha colorato le guance, sembrano due mele mature. Io continuo a mangiare. –Ne avevo proprio bisogno.
 
Per un attimo sembra tranquilla, quasi… rilassata? Lascia andare le spalle e chiude gli occhi, si poggia alla tavola posando il mento sul palmo della mano. Sospira soddisfatta e ho la certezza che la vera Akane sia proprio questa, quella che fino a un momento fa non ha mostrato per timore di uno sconosciuto come me. Noto che è davvero esile, le starebbero bene un paio di chili in più, sembra troppo fragile… una ragazzina spaventata che affronta una situazione inaspettata.
 
I suoi capelli corti e scurissimi profumano ancora di shampoo.
 
-Il conto sarà piuttosto salato. –rispondo, terminando il mio piatto e indicando con le bacchette tutti i piatti che ha svuotato. In un solo secondo erige di nuovo la sua infrangibile barriera, alza le mura del forte, compresi i coccodrilli nel fossato, e indossa un’armatura a prova di pallottole e sarcasmo. Mi guarda decisa e sembra che la sua espressione di un attimo fa sia stata solo frutto della mia immaginazione.
 
-Forse ti stai facendo un’idea sbagliata di me.- risponde e io sbatto le palpebre, in attesa. –Non ho tanti soldi come pensi, anzi, il mio conto è in rosso a causa dei preparativi per il matrimonio.
 
La guardo incredulo.
 
-Bene, allora abbiamo un problema.
 
-Che problema?
 
-Come pensi di pagare tutto questo?
 
-Ho più di 20.000 yen in tasca, idiota!- esclama chiaramente imbufalita. Io sorrido, la situazione mi diverte troppo… ma prende sempre tutto sul serio quello che le dico?
 
-Con 20.000 yen possiamo pagare questo pranzo e forse i biglietti che ci servono per andare a Hokkaido… probabilmente avanza qualcosina.
 
-Hokkaido?! Dobbiamo andare a Hokkaido?!- all’improvviso impallidisce, le sue labbra sbiancano di nuovo e si contraggono come se avesse freddo.
 
-Sì, credo che mio padre si trovi proprio là… qualcosa non va?
 
-Che? No, no, è che… niente. È solo che Hokkaido è lontana, tutto qua.
 
Sollevo un sopracciglio, mi nasconde qualcosa… ma figuriamoci se si azzarda a dirmelo. Mi sforzo di ricordare che lei aveva una vita prima di andare a sbattere il naso contro la mia.
 
-Mi dispiace… sai… che sei finita in questo casino.- ma per quale cavolo di motivo devo scusarmi ancora?? La colpa è sua... quando si mostra così indifesa non posso fare a meno di reagire così.
 
-No, non preoccuparti.- nega con la testa e la sua graziosa pettinatura segue il movimento. –Grazie per avermi aiutato con i capelli.- conclude portandosi di nuovo la mano sulla testa.
 
-Immagino che il tuo fidanzato sia preoccupato.
 
-Ah sì, beh, lui… capirà.
 
Wow, quindi deve anche essere il tipo più comprensivo del mondo, faccio una smorfia e la smetto di fare domande su di lui. Non mi interessa quel mangia-erba. Proprio per niente.
Se ci ripenso... Non gliel’hai detto, non ti sei azzardata a raccontargli che ora devi stare con tuo “marito” alla ricerca di tuo “suocero” per far sì che la tua famiglia possa continuare a vivere come ha fatto finora.
 
Questa cosa ti ha fatto diventare un’incosciente o una mezza bugiarda… quale delle due sei diventata? Forse un po’ tutt’e due?
 
-Andiamo?- chiedo mentre pago il conto. Se lei non ha soldi, figuriamoci io… ma oggi non è un problema, la situazione potrebbe peggiorare fra qualche giorno.
 
Si alza e mi segue fuori. Camminiamo per una via molto stretta mentre il sole tramonta lentamente all’orizzonte. La stazione è a quasi tre chilometri e durante il tragitto non diciamo una sola parola. Mi guarda un paio di volte, forse con un po’ di curiosità, ma prosegue in silenzio.
 
E non so perché, non mi sento a disagio, non è come se dovessi riempire per forza questo vuoto. Va bene anche così, semplicemente camminare, accompagnati dai suoni della città al calare del sole.
 
Finalmente si intravede la stazione, dove con un po’ di fortuna beccheremo un treno che ci porterà a destinazione. Questa volta paga lei i biglietti. Quando ci sediamo, ci sentiamo stanchi come se avessimo camminato per tutto il giorno.
 
Siamo seduti uno di fronte all’altra. Presto le luci si accenderanno e l’ambiente perderà questo leggero alone mistico, ma lei nel frattempo chiude gli occhi proprio come ha fatto nel ristorante.
 
Forse perché non ha dormito o per le troppe emozioni in sole 24 ore. O forse ha passato la notte a piangere.
 
Il treno inizia a muoversi e sbadiglio. Credo di aver dormito poco anche io.
 
 __________________________________________________________________________________________
NdT: *involtini di carne giapponesi
 
Note dell’autrice
Rileggendo questo capitolo mi sono resa conto che non è molto lungo… ok, dal prossimo iniziano a essere molto più lunghi, pazienza!
Milioni di ringraziamenti a tutti coloro che leggono, recensiscono e aggiungono questa ff alle preferite/seguite. È il miglior regalo che possiate farmi per ripagare i miei sforzi!
Muchos besos,
LUM
 
Note della traduttrice
Mi scuso per il ritardo con cui pubblico questo capitolo, spero che non mi tiriate chili di pomodori marci :P ma solo ora ho avuto il tempo necessario per rileggerlo bene e non mi va di pubblicare una schifezza o, peggio, che si perda per strada qualche dettaglio dell’originale, per mia distrazione.
Spero che continuiate ad apprezzare il lavoro che stiamo facendo (con immenso piacere e divertimento da parte mia) e ci seguiate fino alla fine.
Per farmi perdonare ho inserito anche una mia fanart semi-comica su un momento di questo capitolo che mi è piaciuto un sacco XD spero vi piaccia!
Ci rileggiamo nel prossimo capitolo!
Grazie a tutti anche da parte mia a chi legge (anche in silenzio) e soprattutto a chi dedica un attimo del suo tempo a lasciare una recensione.
Spirit99

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. Lunedì 18 - prima parte ***


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Quince días
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Capitolo 5: Lunedì 18
Akane
 
Non so se la mente mi gioca brutti scherzi ma mi sembra che faccia sempre più freddo.
Apro gli occhi e mi accorgo che non è stato un incubo, sono proprio a Hokkaido in una camera tradizionale, distesa su uno scomodo futon e con gli stessi vestiti di tre giorni fa. Mi faccio un po' schifo. Ho bisogno di fare un bagno e di indossare abiti puliti, ma soprattutto vorrei tornare a casa.
Chissà cosa staranno pensando in questo momento le mie sorelle, forse che sono diventata matta o che qualcuno mi ha ricattato... in fin dei conti nessuna delle due cose suonerebbe poi così strana. Magari è stato proprio per questo che mi son rifiutata di dare spiegazioni più dettagliate... meno sanno di questa strana situazione in cui sono finita, meglio è.
Lo stesso vale per Shinnosuke. Come se non bastasse il fatto di essere sposata, adesso devo anche trascorrere alcuni giorni in compagnia di mio marito alla ricerca di quel ladro di mio suocero... di certo non migliora la mia già incasinata situazione.
La smetto di arrovellarmi e mi porto una mano sui capelli disordinati. Oddio, come sono corti... non ricordo di averli mai portati così prima d'ora e ancora non riesco ad abituarmi. Mi sento strana... anche se non brutta, almeno non dopo quello che mi ha detto lui.
"...e poi le ragazze carine stanno molto meglio con i capelli corti".
Sicuramente non diceva sul serio, sarà stato un maldestro tentativo per tirarmi su il morale, ma ammetto che mi ha fatto sentire meglio. Mi ha fatto piacere. Era proprio quello di cui avevo bisogno in quel momento e non me l'aspettavo da parte sua, dalla persona che aveva appena finito di tagliarmi i capelli con tanta attenzione. Devo ammettere che se l'è cavata piuttosto bene.
Ok, è ora di piantarla con le lamentele e l'autocompatimento... non servono a nulla! Molto meglio mettersi in marcia, comprare qualche abito a buon prezzo e trovare un bagno pubblico dove potermi rilassare e dimenticare anche solo per un attimo tutti i miei problemi.
Forse con un po' di fortuna riusciremo a trovare quel ladro oggi stesso, chiameremo Kuno e riavrò i documenti del divorzio. Nessuno verrebbe a sapere quello che è successo in questi giorni. Lo ricorderò come uno strano episodio della mia vita, un tragico tiro mancino del destino dal quale mi sono liberata per un pelo... certo che la mia famiglia acquisita è davvero sopra le righe!
Piego il futon e mi stringo nelle braccia per cercare di farmi un po' di calore, mi metto subito il cappotto e prendo la borsa. Non so che darei per fare un bagno, dico davvero.
Apro la porta ancora assonnata e lancio un urlo indietreggiando di un passo, non appena me lo ritrovo davanti, appoggiato alla parete accanto alla mia porta.
-Alla buon'ora! Pensavo che non ti saresti svegliata più.- dice tra uno sbadiglio e l'altro dato che non sono neanche le otto del mattino.
-Mi stavi aspettando?- chiedo, senza poter nascondere il mio stupore. Un attimo dopo, il suo sguardo mi percorre da capo a piedi e mi sento in imbarazzo.
-Hai solo questi vestiti?- dice, accorgendosi per la prima volta del mio disagio e arrossisco di nuovo di pura vergogna, come mi è già successo ieri alla sua domanda... e davanti al suo sguardo quando sono uscita dalla doccia. Maledetto guardone!
-Pensavo di tornare a casa il giorno dopo.- rispondo, come se volessi scusarmi... che situazione penosa.
-Beh... non ho chissà cosa ma potrei prestarti una delle mie camicie.
Lo guardo perplessa, non so se per la sua insolita offerta o per la normalità con cui me l'ha detto. Io non ho mai indossato gli abiti di un ragazzo, cioè, non ho mai usato la roba di Shinnosuke e si tratta di quel genere di cose che si fanno solo tra coppie di sposini. Il problema è che darei qualsiasi cosa per degli abiti puliti ma... non sarebbe strano indossare la mia prima camicia maschile di un uomo che non sia il mio futuro marito?? La mia lotta interiore prosegue finché non sento il disagio causato dalla mia sensazione di disordine.
Va bene, è lo stesso, accetterei persino un sacco di juta.
-Se non è un problema...- dico, mentre abbasso lo sguardo e lui infila una mano nello zaino per porgermi, un attimo dopo, una casacca cinese azzurra.- Grazie.- rispondo, sincera.
-Non c'è di che. Pensavo di buttarla via perché non sono riuscito a togliere del tutto le macchie di sangue del mio ultimo scontro.
Guardo la maglia mentre osservo le macchie sparse intorno al colletto e la stringo tra le mie mani. Oh sì, non c'è niente di meglio che indossare vestiti macchiati di sangue altrui... questo tipo è proprio uno stupido!
-Non ho nessuna intenzione di indossare questa roba!
-Cosa? E io che mi sono anche offerto di prestartela!- risponde, indignato.
-Offri a una ragazza una camicia sporca di sangue? Perché conservi una schifezza del genere?
-Ma che ti prende? Neanche fossi una principessa che veste solo di seta! Mettila una buona volta e smettila di lamentarti!
-Lo farei! Se tutta questa stupida situazione dovesse durare ancora un giorno, ho bisogno di vestiti per vivere come una persona normale e non come una pezzente!- questo qui oltre a essere un cretino è davvero testardo! Non ha mai avuto a che fare con una donna? Come può essere tanto insensibile?
-Stai insinuando che vivo come un vagabondo? Allora restituiscimela subito!
Afferro la casacca con decisione e lo guardo con aria di sfida, sollevo il mento e gli chiudo la porta in faccia. Cinque minuti dopo esco indossando la maledetta casacca con tutta la dignità che sono capace di mostrare e lui mi guarda di nuovo dalla testa ai piedi.
-Però!- esclama, mentre io resto in attesa... chissà che quella sua boccaccia non torni a sorprendermi positivamente? Non so per quale motivo ma questo pensiero mi innervosisce. -Pensavo già che i tuoi abiti non ti valorizzassero molto, ma con questa casacca si nota ancora di più che sei piatta come una tavola. Dovresti usare reggiseni imbottiti, non ci hai mai pensato?
Morirà ora. In maniera lenta e dolorosa. Lo ucciderò con le mie stesse mani!
Inizio a tremare, rossa di pura ira e quando alzo lo sguardo lui non sa che nessuno al mondo potrebbe trattenermi! Per quanto bravo ritenga di essere come artista marziale non mi ha ancora visto lottare e inizia a mettersi in posizione per iniziare a combattere.
-Imbecille!- urlo mentre miro alla sua testa con il pugno destro, ma un secondo prima di colpirlo sparisce e lo ritrovo alle mie spalle con un sorriso di beffa. Mi ricompongo subito e riprovo con un colpo alto, ma di nuovo mi schiva... dove diavolo è finito ora? Si muove alla velocità della luce... lo ritrovo appoggiato alla parete del corridoio con aria divertita.
-Sei lenta.- dice e la mia respirazione agitata non fa che confermare le sue parole.
È tremendamente arrogante, sì, ma è molto bravo. Ma io non mi sono ancora arresa.
Serro la mascella e tutta la mia essenza ruggisce furiosa, urlo prima di sferrare il mio miglior destro sul suo stupido sorriso ma mi ritrovo davanti solo la parete che inevitabilmente si distrugge, lasciandomi completamente perplessa.
Eccolo di nuovo alle mie spalle.
-Sei davvero violenta!
-Ma che sta succedendo qui?- urla la proprietaria dell'albergo.
Due minuti dopo siamo fuori, seduti su un marciapiede. Nessuno mi ha mai cacciato in vita mia, non mi sono mai vergognata tanto! Al fatto di aver perso contro di lui si aggiunge la beffa di aver dovuto usare gli ultimi soldi che avevamo per ripagare i danni. Lo guardo con la coda dell'occhio ancora furiosa, mentre lui ride a crepapelle.
-Che hai da ridere tanto? Tutto questo è successo per colpa tua!- grido, incredula, non è proprio il momento di ridersela in questa maniera!
-Rido perché ripenso alla faccia che hai fatto quando ti hanno cacciato da quel postaccio, sembravi una bambina rimproverata dalla maestra in classe.- continua, mentre io divento rossa.
-La prossima volta combattiamo all'aperto e vedrai che andrà diversamente!- esclamo, mettendomi in piedi e osservandolo mentre si asciuga le lacrime a causa delle risate.
-No grazie, ho già visto il tuo livello.
-Che vuoi dire?- mi guarda e alza un sopracciglio senza perdere quel sorriso sbruffone che vorrei cancellargli a suon di pugni. Si avvicina a me camminando lentamente, si ferma a pochi centimetri da me, invadendo senza ritegno il mio spazio personale.
Deglutisco a vuoto ma non mi sposto di un millimetro, è così alto che mi obbliga a sollevare la testa per continuare a guardarlo con orgoglio negli occhi. Vuole spaventarmi? Così pare.
-Intendo dire che te la cavi molto bene... ma io sono decisamente migliore.
Ah! Se questo tipo sta cercando di umiliarmi ha sbagliato persona.
-Combattiamo seriamente, resterai sorpreso.- rispondo, cercando di imitare il suo tono di superiorità.
-Non combatto con le donne.
-Che cosa?
-Hai capito bene, non penso di battermi con una donna.
-Mi stai sottovalutando.
Si stringe nelle spalle, facendomi capire che per lui la conversazione finisce lì e non gliene importa un emerito cavolo.
-Devo riportarti a casa tutta intera o mio "suocero" e il tuo pescatore di salmoni si arrabbieranno.
Le mie labbra tremano, deve avere un dono naturale per portarmi alla pazzia! Non ho mai conosciuto una persona tanto esasperante!
-So badare a me stessa e se dico che voglio combattere con te lo dico sul serio, non prendermi per una ragazza ingenua e capricciosa!
I suoi occhi azzurri mi esaminano interessati, come se stessero studiando una nuova forma di vita mai catalogata negli libri di biologia. Sono accattivanti, misteriosi... mi fanno uno strano effetto, ma non lo ammetterei neanche morta.
-Non credo che tu sia capricciosa... ingenua sì, però.
Basta! Ce la sta mettendo proprio tutta per farmi arrabbiare e litigare con me!
-Se io sono ingenua tu sei un presuntuoso maleducato!- beccati questa.
-Maschiaccio!- dice, aggrottando le sopracciglia e assottigliando lo sguardo su di me.
-Pervertito!- rispondo di rimando, dato che vorrei ricordargli che non ho dimenticato la lunga occhiata che mi ha dedicato quando mi ha vista seminuda.
-Sai una cosa? Non vedo proprio motivo di continuare questo viaggio insieme a te, perché non sparisci e non mi dimentichi?- dice, ora davvero in preda alla rabbia.
-Bravo, è l'unica cosa coerente uscita dalla tua boccaccia!- rispondo, ardendo di pura ira. Non voglio saperne più nulla di lui. Mai più! Prendo la mia borsa, gli dedico un ultimo e furibondo sguardo e mi incammino incavolata verso l'isolato.
Non so dove andare né cosa fare, però non voglio restare qui impalata e dipendere da un macho imbecille che pensa di essere un dio delle arti marziali. Quando mi accorgo che sto camminando da più di mezz'ora, mi fermo e mi giro con circospezione... forse una piccola e stupida parte di me pensava che mi avrebbe seguito, che quando mi fossi voltata quell'idiota con il codino sarebbe comparso dietro di me. Ma mi sbagliavo.
Sono sola a Hokkaido, la città più grande del nord del Giappone, il luogo in cui vive tutto il ramo materno della mia famiglia, ormai dimenticato. E fa sempre più freddo!
Soffio sulle mie mani nude e mi accorgo che i negozi stanno aprendo proprio ora. Frugo nella borsa e vedo che mi restano a malapena i soldi per un caffè. E ora che faccio? L'unica cosa che mi viene in mente è cercare un mezzo di trasporto per tornare a Tokyo con la coda tra le gambe, sperando che quel tipo mantenga la sua promessa. Troverò qualcuno che mi dia un passaggio? Non mi sono mai fidata degli sconosciuti, questo è più che evidente.
Potrei provare con l'autostop? Nella mia mente iniziano a scorrere vari titoli di quotidiani e mi dico che è davvero il modo migliore per mettersi nei guai, soprattutto per una ragazza.
Mi fermo al centro del marciapiede, con la testa bassa e le pupille fisse sui miei stivali. Non so che fare, non vedo vie d'uscita, forse sono davvero una ragazzina... completamente smarrita.
-Ehi signorina, come mai quel faccino così triste?
Sollevo lo sguardo in tempo per vedere un'amabile vecchietta che mi sorride da un minuscolo chiosco e mi fa segno di avvicinarmi. La guardo con diffidenza. Insiste e stavolta mi incammino fino alla bancarella che ha appena tre sgabelli ed emana un profumo denso e delizioso.
-Vuoi un po' di zuppa di miso?- chiede sorridente e io nego immediatamente con la testa.
-Non potrei pagarla.
-Suvvia, offre la casa! Fa' un po' di compagnia a questa povera vecchia.- sorride e prendo posto timidamente mentre mi serve una zuppa e una scodella di riso con cetriolini.
-Lei è molto gentile...
-Domani compio 70 anni, sono abbastanza esperta di giovani donne tristi con il cuore a pezzi.
-N-no, io...!- protesto, incredula.
-Hai litigato con il tuo ragazzo, vero?
I suoi occhi mi osservano senza esitazioni, tanto interessati che mi sento a disagio. Le rughe che solcano il suo volto non mi impediscono di vedermi riflessa nelle sue iridi marroni, così familiari.
All'improvviso trattiene il fiato.
-Assomigli a...
-Eh?
Nega con la testa e dedica tutta la sua attenzione al delizioso brodo caldo, mescolando un paio di volte.
-Idiozie di una vecchia, lascia perdere. Ma dimmi, cosa è successo con il tuo ragazzo?
-In realtà si tratta di mio marito.
-Così giovane e già sposata!- esclama sempre più interessata, mentre io mi porto alla bocca le bacchette piene di riso e sento il mio stomaco rumoreggiare soddisfatto.
-Sì, è una lunga storia.
-Quindi siete di sicuro molto innamorati.
-Assolutamente no! Lui non fa che insultarmi ed essere scortese, inoltre... non ci siamo sposati per nostra volontà.- dico a voce bassa, guardando altrove.
-Che intendi dire?
-Sono stati i nostri genitori a deciderlo, capisce? Non è una roba da matti?- esclamo, mostrando tutta l'indignazione che mi dilania.
-Beh, prima era una cosa molto frequente.- risponde la vecchietta con un sorriso mentre taglia alcuni ingredienti per la zuppa.
-Sì, lo so. Anche per i miei genitori è andata così, sono stati obbligati a sposarsi e forse per questo lo capisco ancora meno.
-Non andavano d'accordo?
-Oh no, papà e mamma si amavano molto. Le loro famiglie avevano combinato il fidanzamento per lasciare a mio padre le redini dell'impresa di famiglia di mia madre. Però a loro non interessava farsi carico di questa responsabilità, desideravano solo una vita semplice. Ovviamente entrambe le famiglie non erano d'accordo e avrebbero voluto annullare il matrimonio, ma i miei genitori sono scappati a Tokyo dove hanno comprato un vecchio dojo, lontano da tutti i parenti.- concludo, concentrata sul mio racconto, senza accorgermi dello sguardo che la donna mi rivolge.- Mamma è morta quando avevo appena compiuto sette anni, ma ricordo che insieme erano molto, molto felici.
-Quindi le loro famiglie avevano fatto bene a combinare il loro matrimonio?
-Penso di sì... ma il nostro caso è completamente diverso!- protesto di nuovo.
-I figli non capiscono mai quello che provano i genitori...- dice la vecchietta che, per qualche motivo, ha perso il sorriso.- Tuo padre si è preso cura di te e delle tue sorelle per molto tempo, sentendosi solo, con il ricordo di sua moglie sempre presente. Forse quell'amore è ciò che ha desiderato per te, forse ha pensato che se anche lui dovesse mancare tu ne soffriresti più delle tue sorelle. Ha voluto proteggerti e ha scelto una persona che potesse prendersi sempre cura di te se lui non ci fosse stato più. Per questo ha deciso del tuo matrimonio, con la speranza che anche tu incontrassi l'amore che l'ha reso così felice.
La guardo stupita e lei recupera il suo sorriso, mi mette davanti un piatto di pesce e si affretta a servire un nuovo cliente che ha occupato lo sgabello alla mia destra. Rifletto sulle sue parole, sentendomi subito colpevole in mille modi.
Non posso evitare di pensare a mio padre: al suo sguardo malinconico, alla sua apatia e ai suoi silenzi degli ultimi mesi, senza mai mostrare il vero motivo di questo comportamento. Possibile che non abbia agito solo per egoismo? Forse aspettava davvero il giorno in cui io e Ranma ci saremmo conosciuti con tanta ansia?
Ricordo l'emozione dipinta sul suo viso quando ho deciso di imbarcarmi in questa avventura e ricordo anche le sue lacrime, le sue parole di quella sera.
"Volevo solo che avessi un buon marito, un uomo forte in grado di proteggerti".
Che padre stupido. Prendo un pezzo di pesce con le bacchette e subito dopo mi metto in bocca un enorme boccone di riso. La vecchietta sorride e mi guarda commossa, mentre io continuo a mangiare e nel frattempo asciugo le imbarazzanti lacrime che scorrono sulle mie guance.
-Ti piace?
-È uguale a quello che prepara mia sorella.- rispondo, mangiando un altro boccone mentre soffoco un singhiozzo.
-Davvero?- risponde lei avvicinando una mano alla mia guancia e asciugando altre lacrime, in un gesto tenero e materno.– Avanti, su con la vita o tuo marito scapperà via quando ti vede.
-Non tornerà mai.- rispondo, terminando quel che resta nel piatto e posando le bacchette sulle scodelle vuote.– Mi odia. È andato via e sicuramente non si preoccuperebbe se dovesse succedermi qualcosa.
Gli occhi castani della donna smettono di guardarmi e fissano un punto non molto distante, dall'altro lato della strada.
-Beh, qualcosa mi dice che non è poi così lontano.- si ricompone e si schiarisce la gola. –E ora va', il mio chiosco non ha più di tre posti e ho bisogno di clienti.– Quest'ultima cosa la dice con una voce diversa, un po' troppo alta per i miei gusti.
Mi alzo e la guardo, grata, faccio un profondo inchino in segno di rispetto e lei risponde facendomi cenno di andare. Sulle mie labbra si forma un mezzo sorriso perché noto che non si tratta di una donna particolarmente affettuosa ma va bene lo stesso.
Cammino per la strada senza rendermi conto della conversazione che abbiamo appena fatto.
Un momento.
-Ma le ho parlato delle mie sorelle?- mi domando a voce alta, aggrotto le sopracciglia con aria pensierosa, tanto assorta che non mi accorgo dove metto i piedi.
Urto contro qualcuno e lancio un urlo. Mi tocco il naso pensando di aver sbattuto contro un muro di cemento. Quando alzo lo sguardo mi trovo davanti un tipo di quasi due metri. Nonostante la temperatura sia vicino allo zero, indossa solo una maglia a maniche corte che aderisce a ognuno dei suoi mostruosi muscoli.
-Mi scusi!- dico frettolosamente, inclinando leggermente la testa, cosa che ai suoi occhi deve sembrare quasi ridicola.
Dato che non ricevo risposta, sollevo di nuovo la testa rischiando di farmi venire il torcicollo e vedo il suo volto che mi sembra alla stessa distanza del sole. Dal basso sembra che i suoi occhi siano due sassolini neri a chilometri da qui.
Deglutisco a vuoto... non si tratta certamente di un tipo di molte parole.
-Perdona il mio amico, è tailandese ed è esperto solo di lotta ed elefanti.- dice un secondo uomo che compare dal nulla, di altezza normale, anzi un po' basso. È vestito in maniera stramba, con scarpe di pelle di coccodrillo, occhiali da sole con lenti azzurre e un costoso cappotto nero. Mette un braccio intorno alle mie spalle e si abbassa leggermente gli occhiali per guardarmi meglio.– Sei sola?
-N-no, cioè... sì.- Do un'occhiata a entrambi i lati della strada, sperando che qualcuno mi tiri fuori da quel guaio... non mi piace questo tipo. La sua stretta sulla mia spalla aumenta.
-Dimmi, ti interessa guadagnare qualche migliaio di yen?
"Denaro", proprio quello che mi serve per tornare a casa! Lo guardo con maggiore interesse e mi odio perché so di essere un libro aperto. Vedo il suo sorriso allargarsi.
-Allora vieni con noi.- dice, mentre sento la sua mano su di me come se fosse un ragno, che mi cattura e mi trascina in un luogo dove non sono sicura di voler andare.
Ma un attimo prima che io inizi a protestare o cercare di sottrarmi a quella stretta, una mano forte si serra sopra la sua e la allontana da me con una fierezza mai vista. Urla come un maiale al macello quando il ragazzo con il codino gli torce la mano dietro la spalla e con il braccio libero appoggiato al suo collo lo spinge contro la parete del vicolo buio in cui ci siamo incontrati.
Il colpo è stato così violento che gli occhiali del tipo sono volati in aria e ora giacciono per terra, mentre Ranma preme la sua faccia contro la parete lasciandolo senza fiato. Non so cosa mi sorprende di più, che sia qui come sbucato dal nulla o che si sia affrettato a difendermi. Giurerei di aver tirato un sospiro di sollievo dentro di me.
-Dove pensavi di andare, eh?- gli chiede in malo modo, mentre il gigante reagisce in maniera lenta e accorta. Maledizione, si muove come se fosse una montagna ma è travolgente come una valanga!
Prende Ranma dal collo della casacca e lo solleva di mezzo metro da terra. La sua mano è grande quasi quanto la sua testa. Il tipo con le scarpe di pelle giace a terra e capisco che la situazione sta per degenerare.
-No! Lascialo, bestia!- urlo, aggrappandomi al suo muscoloso braccio, lo stesso che mantiene l'artista marziale contro la parete. Do un paio di pugni e quando sto per morderlo, tentando un ultimo, disperato attacco, compare una terza persona da una porta laterale. È anziano ed è così raggrinzito da farlo sembrare piuttosto basso. Tira fuori una pipa, la riempie di tabacco e la accende tranquillamente.
-Sempre nei guai tu, eh?- esordisce e siamo tutti così zitti e immobili che non so a chi si sia rivolto.
-Non sono fatti tuoi, vecchiaccio pervertito!- osservo la rabbia nei profondi occhi azzurri del mio presunto marito, con i capelli neri che gli ricadono sul volto e gli danno l'aria di un animale pericoloso.
-Taro, lascialo. È quello stupido del mio allievo.- dice, dando una lunga boccata alla sua pipa e tornando nel locale. Il gigante libera Ranma e io mi stacco dal suo braccio cercando di recuperare compostezza.
-Ma grazie!— dice lui, riprendendo l'uso della parola e sbattendomi in faccia tutto il suo sarcasmo. Il tipo che sta ancora a terra raccoglie quel che resta dei suoi occhiali e con un gemito di protesta li getta contro la parete, mi guarda senza il sorriso di prima ed entra nel locale varcando la soglia della porta scura laterale, seguito dal gigante.
Non mi sono accorta di aver trattenuto il fiato. Rilascio tutta l'aria contenuta nei miei polmoni e mi porto una mano al petto, sentendo il mio cuore battere all'impazzata.
-Ma che cavolo combini?
-Come?
-Sei stupida o cosa?
-Eh?- rispondo senza capire il suo repentino attacco nei miei confronti.
-Che cosa pensavi di ottenere in un vicolo con quei due?- grida, la sua respirazione è superficiale, se il mio cuore va a mille all'ora, il suo non deve essere da meno. È agitato e forse...
-Eri preoccupato per me?
Sbuffa come se avessi detto un'ovvietà, ma nonostante tutto la sua espressione non cambia.
-Lo vedi che sei una ragazzina ingenua?– sputa con disprezzo e io sento di nuovo la rabbia ardermi dentro, pronta a difendermi dalle sue parole offensive.
-So badare a me stessa!
-Oh sì, sono sicuro che ti saresti liberata in un battibaleno di quel tipo che stenderebbe un orso con un pugno!
-Volevano offrirmi un lavoro! Per colpa tua mi restano pochi spiccioli!
-Vuoi davvero che ti spieghi che tipo di lavoro volevano proporti? O lo immagini da sola?
-E tu che ne sai?
-So che sei un'ingenua che non ha mai messo il naso fuori di casa!
-Smettila di insultarmi! E poi dimmi... che ci fai tu, qui? Non avevi detto che preferivi proseguire da solo?
-Non ti stavo seguendo se è quello che pensi!- e noto che le sue guance si tingono di rosso per un secondo, mentre distoglie lo sguardo, orgoglioso.
-Ne avete ancora per molto con il vostro battibecco da innamorati? Volete entrare una buona volta?– chiede l'uomo basso, chiaramente infastidito.
Quella domanda ci fa zittire una volta per tutte. Ci guardiamo pallidi come fantasmi, come se la parola "innamorati" non facesse parte del nostro vocabolario.
Ranma farfuglia qualcosa che non riesco a capire e si dirige verso la porta, io guardo le sue spalle e decido di seguirlo, non avendo altra scelta. Cerco di non perderlo di vista quando, superata l'entrata, attraversiamo un angusto corridoio, stretto e sempre più inclinato. Ripenso un attimo al gigante che si infila in questo luogo senza problemi.
In fondo intravedo una luce piuttosto intensa e sento molto rumore. Urla di entusiasmo, di incoraggiamento e di resa. Le voci sono così confuse che non riesco a distinguerle chiaramente, accelero il passo cercando di non perdere di vista quella treccia che ondeggia sul tessuto rosso della casacca cinese.
-Ma che...?- ammutolisco di puro stupore quando davanti ai miei occhi si staglia una sala enorme, un seminterrato ricavato nelle viscere della città con un soffitto di almeno venti metri. Resto a bocca aperta perché non riesco a credere di essere scesa così tanto... come può esistere un posto del genere a non più di due isolati da una delle arterie commerciali del paese?
Il soffitto è coperto di enormi lampade che puntano tutte su una specie di palco sopraelevato, grande e circolare, al centro della sala, senza corde né altro. Un ring da combattimento. Sopra c'è un lottatore in piedi, sudato e soddisfatto, mentre l'altro giace a terra svenuto.
Intorno ci sono sedie, tavoli, panche... vari posti per sedersi, alcuni occupati e altri vuoti. C'è persino il bancone di un bar con un paio di cameriere che chiacchierano allegramente con i clienti.
Sono talmente meravigliata che urto contro la spalla di Ranma che si è fermato in quel punto con lo sguardo fisso in un punto preciso. Caspita, anche lui è una maledetta roccia.
-Ahi!- protesto per la seconda volta in un giorno. Lui mi lancia uno sguardo dall'alto della sua spalla con le sopracciglia aggrottate.
-Guarda dove metti i piedi.
-Questo è uno di quei posti, vero?– lui continua a fissarmi come se non capisse a cosa mi riferisco. -Un club illegale.- sussurro e la luce che si accende nei miei occhi mostra l'emozione che sto provando. Finora pensavo che questi posti esistessero solo nei film!
-Ragazzina ingenua...- mormora lui con aria di superiorità, voltandosi di nuovo con quel sorriso sulle labbra che ormai odio con tutto il cuore.
-Come ti permetti!
Ma la mia protesta non ottiene l'effetto sperato, Ranma inizia a camminare, questa volta più lentamente, mentre mi lancia occhiate fugaci. Sarà la sua maniera di essere gentile? Di dirmi "non allontanarti"?
Dopo un minuto ci troviamo davanti al vecchio di prima, che continua a fumare la sua pipa, sdraiato su un sontuoso divano mentre una ragazza molto giovane e vestita in maniera provocante gli fa un delicato massaggio alle spalle. Di fianco a lui ci sono il gigante e il tipo dalle mani grandi.
Assumo un'espressione disgustata e mi accorgo che la mano di Ranma, lungo il suo fianco, tocca delicatamente il mio braccio, indicandomi di rimanere dietro di lui, in un gesto di protezione che di nuovo fa nascere in me sentimenti contraddittori.
-Happosai- dice, senza dissimulare il suo disappunto. –Vedo che continui imperterrito con i tuoi affari.
-Questo povero vecchio deve pur fare qualcosa per tirare su due soldi, non credi? E tu invece, discepolo screanzato? Come mai sei di nuovo qui?- dice e dà un'altra boccata alla sua pipa mentre lascia andare il fumo lentamente.
-Sto cercando mio padre.
-Ah, il buon vecchio Genma... perché lo cerchi?
-E a te che importa?
-Sempre maleducato... non ti ho insegnato proprio niente?
-Oh sì, mi hai insegnato a rubare, a spiare le donne in biancheria intima, a ficcarmi nei guai per debiti di gioco, a imbrogliare...– dice, contando tutte queste cose sulle dita di un mano, mentre alcune persone iniziano ad avvicinarsi a noi, interessati alla conversazione. I suoi occhi si inchiodano nei miei fino a farmi sentire a disagio. Inconsciamente mi aggrappo alla stoffa della casacca di Ranma, cercando riparo. Lo sento sussultare ma, nonostante la sua sorpresa, evita di guardarmi.
-Tra tutti voi, Genma è stato il mio allievo migliore.- i suoi occhi piccoli e saggi fissano un secondo nei miei prima che io torni a nascondermi dietro la spalla di Ranma. —Non me la presenti?
Ranma si acciglia, valutando la situazione. Rimane alcuni secondi in silenzio durante i quali non muove la mano che mi tiene ancora dietro di sé.
-Non vedo perché dovrei farlo.
-Oh andiamo, Ranma, a questo povero vecchio resta solo la consolazione di un abbraccio di qualche bella ragazza, ogni tanto. Non mi resta molto da vivere, non mi concedi un ultimo desiderio?
-Il giorno in cui tirerai le cuoia, forse.- brontola, con astio.
-Non sei per niente divertente.- dice, mettendo il broncio. -Chissà... forse tuo padre è passato di qua... ma non ricordo, l'età mi gioca brutti scherzi.
Ranma sbuffa e alla fine sposta la mano, invitandomi a farmi avanti. Alzo timidamente la testa e faccio un paio di passi mentre gli occhi del vecchio mi guardano dall'alto al basso in maniera libidinosa. Che schifo.
-Devo dire che hai buon gusto! Come hai fatto ad attirare nella tua rete questo bel bocconcino?
-Bada a quello che fai, vecchiaccio!– lo avverte, additandolo, ma il vecchio lo ignora completamente e, purtroppo, concentra tutta la sua attenzione su di me.
-Dimmi bellezza, come ti chiami?
-Akane Tendo.- rispondo insicura e il vecchio solleva le sopracciglia, spalanca gli occhi e la bocca mentre un gigantesco sorriso si forma sul suo volto rugoso.
-Questa sì che è una sorpresa! Tendo, una Tendo! Quel farabutto di Soun deve essersi sposato con una donna davvero bella!
-Lei conosce mio padre?- chiedo sorpresa. L'ultima cosa che mi aspettavo è che un uomo tanto onesto come mio padre avesse a che fare con un tipo come lui.
-Oh mia cara, tuo padre è stato mio allievo... bei tempi! Io, Genma e Soun non facevamo che infrangere cuori ovunque andassimo, le donne ci adoravano, ma per noi le arti marziali erano al primo posto. L'ho sempre detto, prima l'arte poi l'amore.
-Certo.. e invece com'è andata a finire?– chiede Ranma, incrociando le braccia.
-Che fai in compagnia di questo idiota?- dice, ignorando completamente il commento. -Lascialo perdere e resta con me, Akanuccia, ti darò lavoro. Oggi manca una delle nostre cameriere.
Giro lentamente la testa e guardo Ranma con superiorità, con chiaro riferimento alle sue accuse di poco fa, e lui lascia andare un lungo sospiro che mi fa infuriare ancora di più.
-Basta con le chiacchiere e dimmi una buona volta se hai visto mio padre.
Happosai si esamina le unghie di una mano con finto interesse, si gratta un orecchio e sbadiglia.
-E cosa mi offri in cambio?
Ranma non risponde ma noto la tensione aumentare in tutti i suoi muscoli mentre stringe i pugni, trasformandoli in rocce.
-Sono così annoiato, vorrei divertirmi un po'. Prestami Akane-chan un paio di giorni, la tratterò con riguardo, te lo prometto.
In questo momento ho la completa certezza che le domande si siano esaurite, l'artista marziale perde gli ultimi brandelli di pazienza, si gira e mi guarda con determinazione.
-Andiamo via.- dice, allontanandosi e avviandosi verso l'uscita, mentre io apro la bocca, senza parole.
-Eh? E per tuo padre, come facciamo?
-Questo vecchio idiota non sa niente e io non ho tempo da perdere con i suoi giochetti.
-P-però...!- mi volto disperata, cercando nello sguardo dell'anziano qualcosa, un gesto, un semplice cenno che riaccenda la speranza di trovare mio suocero.- Per favore signore, è molto importante!- esclamo, e lui lancia la sua pipa contro un posacenere per poi fissarmi negli occhi.
Il suo sguardo mi attraversa l'anima e io deglutisco a vuoto quando si alza dal suo comodo divano e si avvicina a me.
-Cosa ci fa la figlia di Soun Tendo con il figlio di Genma Saotome?– chiede di nuovo, si nota che sta morendo di curiosità, i suoi gesti ne tradiscono l'impazienza.
-Siamo sposati.— rispondo con completa e autentica franchezza.
Alle mie spalle sento mio marito sbuffare e mormorare un nuovo insulto. Mi volto verso di lui e incrocio il suo sguardo azzurro. Si porta una mano alla testa mentre fa un gesto di negazione. Non mi importa della sua testardaggine o di quello che ha in sospeso con questo Happosai, il suo orgoglio non mi impedirà di trovare quello che stiamo cercando.
-S-sposati?- chiede il vecchio, guardandomi incredulo, per poi spostare lo sguardo su Ranma e fare un gesto di fastidio.
-Sì, è vero, ok? È mia... moglie.- termina a voce bassa, come se pronunciando quella parola avesse compiuto un'impresa titanica.
-Incredibile!! Alla fine ci sono riusciti: hanno realizzato il loro sogno di unire le scuole!
-Si tratta di un matrimonio combinato, dobbiamo divorziare.– chiarisco subito. Non mi interessa rompere l'entusiasmo del vecchio, voglio che la situazione sia chiara.
Ma invece del suo sconforto, incontro il suo volto allegro.
-Questo significa che a breve sarai libera! Akane-chan!- urla, lanciandosi dritto sul mio seno, con le mani aperte e le labbra ansiose.
-Vecchiaccio libidinoso!- esclama Ranma che è tornato davanti a me e riceve il suo avversario con un pugno dritto in faccia. Il vecchio cade al suolo, io guardo la scena stupita. Il ragazzo con il codino mi afferra per il polso, stufo di tutto.
-Andiamo!- ripete senza ammettere repliche e trascinandomi verso l'uscita.
Happosai si rialza, si sistema i vestiti e riprende la sua pipa.
-È davvero un peccato che ve ne andiate già... sono sicuro che stasera riuscirò a ricordare quando ho visto Genma l'ultima volta.
Lo guardo sbalordita ma l'artista marziale non si scompone.
-Che ne dici, Ranma? Non vuoi ricordare i vecchi tempi?
-Crepa una buona volta, Happosai!- risponde lui.
-E se aggiungiamo un po' di pepe a tutto? Ad esempio uno scontro con un KO totale...
-Non mi interessa.
-... e con 500.000 yen come premio.
La presa sul mio polso si allenta leggermente, entrambi ci voltiamo nello stesso momento, il vecchio sorride sapendo di aver centrato il bersaglio: abbiamo bisogno di denaro.
-Allora, hai voglia di combattere?
 ___________________________________________________
 
NdA: Hola lettori!
A poco a poco iniziamo a scaldare i motori... credo e spero che ora le cose inizino a farsi più interessanti!
Anche se l'ho già detto, ringrazio tutti coloro che stanno seguendo la storia e soprattutto chi mi lascia le sue impressioni, sono sempre felice di leggerle!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Alla prossima.
LUM

NdT: Ciao a tutti! Innanzitutto chiedo scusa per il ritardo e spero che nonostante tutto abbiate ancora voglia di continuare a seguire questa avventura appena iniziata! Ovviamente la colpa è solo mia, quindi se dove lanciarmi qualche uovo marcio, mirate a me e non all'autrice :P
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento (personalmente ho apprezzato molto "il vecchiaccio") e anticipo che il prossimo è già in corso di traduzione, quindi prometto di aggiornare molto presto.
Appena possibile LumLumLove risponderà alle nuove recensioni e anche in questo caso la colpa è mia perché ci ho messo un po' a inviargliele tutte (purtroppo capisce poco l'italiano e dato che non voglio si perda neanche una parola dei vostri graditissimi e magnifici commenti gliele traduco tutte nella sua lingua). Chiedo perdono XD Bene, ho finito di prostrarmi e vi saluto.
Ne approfitto per augurare a tutti buone feste e un felice 2016!
Grazie come sempre a chi passa di qui a dare un'occhiata, anche ai lettori silenziosi.
Besos
Spirit99
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. Lunedì 18 - seconda parte ***


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Quince días
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Capitolo 6: Lunedì 18 – seconda parte
Ranma
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—Cosa mi rispondi? Hai voglia di combattere?— chiede Happosai e dalla sua espressione vittoriosa capisco che mi conosce meglio di me stesso.
Maledetto vecchio, sempre un passo avanti, sempre troppo acuto. Un esperto a trovare i punti deboli e io, da stupido, non mi sono accorto di essere così ovvio.
Lo fulmino, provocandolo con lo sguardo, ancora con il sottile polso di Akane stretto forte nella mia mano. Non posso lasciarmi ingannare, non devo cedere ai suoi capricci, devo restare fermo sulla mia decisione, però...
La guardo appena mezzo secondo... sul suo volto vedo dipinto il più totale sconforto, poi mi soffermo sulla casacca che le ho prestato.
Quando poso di nuovo gli occhi su di lui, conosce la mia risposta. Sorride con la sua bocca sdentata.
-Stasera alle 8 il mio locale si riempirà di gente che spera in un nuovo combattimento di Taro e mi piacerebbe che stavolta il suo avversario riuscisse a tenergli testa per più di tre minuti.
Ah, si riferisce alla montagna di muscoli. Non sono idiota, è forte, non devo sottovalutarlo... ma Happosai è stato il mio maestro, sa di cosa sono capace. Forse vuole mettermi alla prova? Sondare in qualche modo la mia forma attuale? Bene, se vuole uno spettacolo coi fiocchi è esattamente quello che vedrà.
-No! Non puoi!- mi sorprende la ragazza con i capelli corti, che si è messa tra me e il vecchiaccio e mi guarda intensamente con i suoi occhi castani, lasciando trapelare l'ansia che avverto nelle sue parole. Forse... si preoccupa per me? –Ti ucciderà!
Un mio sopracciglio inizia a tremare di pura incredulità... forse pensa... che quel tipo sia più forte di me? Bene, allora non è più una mera questione di denaro, qui è in gioco il mio maledetto orgoglio e non ha idea di quanto grande possa diventare!
-Prepara una bara di due metri.- dico sprezzante ad Happosai, sicuro che il mio avversario mi abbia sentito. Ma non me ne importa un corno.
-Ohhhh, questo significa che accetti! Molto bene, molto bene.– si compiace il maestro riprendendo posto sul divano con un bicchiere di sake in mano, mentre la ragazza riprende a massaggiargli le spalle.
-Ma sei matto?!- urla lei, liberandosi dalla mia stretta e guardandomi seria. Io giro la testa riluttante, non ho l'umore giusto per rispondere senza sparare qualche offesa. –Ti farà a pezzi!
-Che cosa?- rispondo, offeso dalla sua mancanza di fiducia. –Ma come, poco fa sostenevi di poterlo affrontare da sola e io invece non ne sarei in grado perché "mi farà a pezzi"?
Lei sbuffa e incrocia le braccia.
-Molto bene, allora va' pure e spero che mi diano i tuoi resti in una scatola di scarpe. Di sicuro mia sorella riuscirà a farmi avere più facilmente un atto di vedovanza anziché uno di divorzio.
-Ti piacerebbe, eh? Molto più comodo avere un marito morto che un "ex"!- rispondo orgoglioso.
Ma Akane non risponde, resta muta dopo il mio ultimo commento e di nuovo mi accorgo troppo tardi di aver passato il limite. Serro la mascella, incapace di formulare nella mia mente qualcosa che assomigli vagamente a delle scuse.
-Imbecille!- risponde prima di darmi uno spintone e uscire, allontanandosi da me. La vedo camminare senza poter fare altro, mentre alle mie spalle ascolto l'acida risata di Happosai.
-Ancora oggi continui a non capire niente di donne- dice, mentre si versa un altro bicchiere di liquore.
Farfuglio mentre affondo le mani in tasca e penso a come trascorrere le ore che mancano all'incontro, come se avessi di meglio da fare che vagare per la città o, di nuovo, pedinare mia "moglie" per evitare che si metta nei guai.
Sembra che abbia una specie di calamita per questi ultimi, un po' come me.
Donne! Avevo giurato e spergiurato a me stesso che per un bel pezzo non ne avrei voluto sapere e... "pum", mi cade dal cielo un maschiaccio con cui sono persino sposato. Che per di più mi dà del filo da torcere.
Non appena passeremo un giorno completamente soli non so cosa succederà dato che a stento possiamo parlarci senza insultarci. Io le ho offerto la mia camicia, mi sono rifiutato di battermi con lei per non farle del male, l'ho salvata da quei lestofanti e cerco di guadagnare un po' di soldi e... sì, è lei che si arrabbia senza motivo. Non è per niente carina!
Cammino pensieroso senza scorgerla da nessuna parte del buio seminterrato. Percorro l'angusto corridoio e riemergo nel buio vicolo che collega una delle strade principali. Ci mancava solo che scappasse di nuovo.
Mi appoggio di spalle alla parete e mi lascio cadere al suolo, chiudo gli occhi e respiro profondamente. Dopo pochi minuti lo stronzo con gli occhiali compare davanti a me, si accende un sigaro e mi guarda con indulgenza. Ho voglia di alzarmi e chiudere la questione iniziata poco fa con lui, oltre a fargli saltare tutti i denti... forse ce l'ho più con lui che con il suo amico.
-Problemi di cuore, eh?- chiede, sbeffeggiandomi.
-Taci.- rispondo immediatamente.
-Tornerà.- dice, in uno strano tentativo di mostrarsi complice, una specie di intesa tra uomini. Una di quelle cose che non ho mai capito.
-Suppongo di sì.- rispondo e di nuovo infilo le mani in tasca, allontanandomi dal vicolo. Tanto vale che mangi qualcosa e mi rimetta in forze per quello che mi aspetta e, soprattutto, devo smetterla di preoccuparmi per quella stupida, adesso devo concentrarmi sullo scontro.
Alcune ore più tardi e dopo aver mangiato in un chiosco all'aperto una tazza di delizioso katsudon*, torno nel vicolo. Non sono davvero preoccupato per questo "Taro", ma per quello stupido del mio maestro.
Sapevo già che fosse immischiato in giri loschi come mio padre, ma che fosse il proprietario di un posto del genere proprio no. Non che non abbia un talento naturale per l'inganno, le estorsioni o i combattimenti clandestini. Quello che mi sorprende è che sia stato abbastanza intraprendente, tra una sbronza e l'altra, da stabilirsi in questa zona e cavare soldi da quella bettola. Il vecchio continua a essere pieno di risorse.
Ricordo gli anni che abbiamo trascorso insieme, proprio dopo il mio ritorno dalla Cina. Che esperienza! Se sopravvivere con mio padre era stato difficile, farlo sotto la tutela di Happosai era paragonabile solo a essere abbandonato nel deserto con un parasole, una borraccia e un cucchiaio. Anche se non posso negare di essere migliorato molto nelle arti marziali, questo devo riconoscerglielo.
Arrivo davanti alla porta scura e busso un paio di volte. Il tipo che sta di guardia la apre e mi lascia passare subito. Ripercorro il corridoio fino ad arrivare alla sala con i soffitti enormi e il tatami al centro.
L'ambiente è decisamente diverso rispetto a qualche ora fa, la gente urla euforica, fuma, beve e ride in maniera sguaiata in attesa del "massacro".
Vedo la montagna ipermuscolosa seduta, attorniata da decine di ammiratori. In un angolo, un tizio che sembra sapere il fatto suo si occupa delle scommesse, per le quali sono sicuro che Happosai abbia partecipato ampiamente, altrimenti non mi avrebbe offerto mezzo milione di yen. Intuisco che il suo campione deve avere vinto parecchie volte, perché gli scommettitori potrebbero perdere somme enormi se dovessi vincere.
Il vecchio non è cambiato per niente, è capace di imbrogliare anche i suoi scugnizzi se sa di poterne trarre vantaggio. I miei occhi scorrono rapidamente fra tutti i presenti, senza ammettere che stanno cercando una persona in particolare. Finalmente individuo quella testona di mia moglie seduta accanto a uno degli angoli del ring, con aria impaziente e contrariata.
Un mezzo sorriso mi increspa le labbra, ora sono molto più tranquillo.
Mi avvicino silenziosamente e riesco ad avvicinarmi alle sue spalle senza essere visto.
-Dove ti eri cacciata?- chiedo con voce neutra, ma la mia irritazione trapela ugualmente perché subito la sua espressione torna furiosa come l'ultima volta che abbiamo discusso.
-Come se ti importasse.- risponde, voltandosi di spalle.
-Sai una cosa? Quando vincerò questi soldi non penso di darti neanche un misero yen.- dico, non so che diavolo mi succede ma quando è così arrabbiata muoio dalla voglia di farla incavolare ancora di più. Lo trovo divertente, MOLTO divertente.
-E chi te l'ha chiesto? Inoltre, non dovresti pensare alla tua ricompensa quando non hai ancora iniziato a dare un misero pugno.- risponde, senza fiducia, sembra che sia ancora arrabbiata ma non come stamattina.
-Guarda e impara, "dottoressina". Ora conoscerai la vera potenza della scuola indiscriminata di arti marziali Saotome.
-Non ti rispondo neanche.- dice, prendendo posto proprio sul bordo del tatami, di nuovo mostrandosi orgogliosa.
Ah certo. Lo capisco, non è che mi piace vederla arrabbiata... è che è così carina quando fa quella faccia, con le sopracciglia sottili aggrottate, le labbra serrate e gli occhi castani che lanciano saette di sfida. Non è un'espressione comune, almeno non l'ho mai vista nelle donne che ho conosciuto finora.
Sorrido di nuovo nel vederla così imbronciata e proprio in quel momento compare davanti a me il mio maestro. Happosai sembra piuttosto soddisfatto, forse pensa a tutto il denaro che intascherà tra poco? Comincio a fare qualche stiramento mentre il vecchio mi si avvicina, osservandomi con occhio esperto.
-Hai cambiato le tue abitudini?
-No, mi alleno sempre come mi hai insegnato.
-Bene, pare che io non sia stato così pessimo come maestro, dopo tutto.
-Cosa stai tramando, vecchio? Sai che quel tipo non è un rivale degno di me.
-Ecco il mio giovane allievo che pecca di orgoglio. Ho allenato Taro per un periodo.
-Però! Esistono altri pazzi oltre a me, in grado di sopportare quelle torture che chiami allenamenti? Sorprendente.- dico, mentre mi slaccio la casacca e resto in canottiera, stiro le braccia facendo delle rotazioni, poi concentro la mia attenzione al riscaldamento delle gambe.
-Ma come, siamo stati così bene insieme.
-Come no... ho anche rischiato di morire!
-Sei diventato davvero noioso, non mi sorprende che una ragazza così carina come Akane voglia divorziare da te.
Mi volto di lato e mi acciglio, sono stanco del fatto che il vecchio ficchi sempre il naso nei miei affari, ma la sua età e la sua totale mancanza di vergogna mi remano contro. I suoi occhi mi fissano allegri, pronti a darmi un'ultima lezione.
-Non dovresti dirle cose tanto dure, le donne che soffrono sono capaci di qualsiasi cosa.
-Sì, grazie.- risponde, cercando di porre fine a quei molesti consigli sulla vita di coppia di cui non ho affatto bisogno... ma cosa vogliono tutti quanti da me?
-Se vinci dovresti regalarle qualcosa di carino.
-Adesso mi interessa solo la sfida.- replico, stanco di queste chiacchiere. Voglio sbrigarmela il prima possibile: battere Taro, trovare mio padre, restituire i soldi a Kuno e lasciare mia "moglie" libera da qualsiasi vincolo perché possa tornare a una vita normale, come se non ci fossimo mai conosciuti.
E all'improvviso mi tornano in mente le sue parole di ieri.
"Ti odio!".
Di solito non sono queste le reazioni che provoco alle donne, anzi, non litigo mai con nessuna. Normalmente sono spensierato e allegro in loro compagnia, non sono offensivo o acido: forse lei riesce a tirare fuori solo il peggio di me?
La guardo con la coda dell'occhio mentre il mio avversario sale sul tatami e le urla diventano così forti che non sento più niente, le luci sono fortissime e mi accecano, ma lei riesco a vederla, si è alzata in piedi e mi osserva attenta... forse ansiosa?
Mi piacerebbe... che mi augurasse buona fortuna.
Le do le spalle e mi concentro sulla montagna che ho davanti, sembra pesantissimo e lento, ma sono sicuro che i suoi colpi sono come palle di cannoni, meglio che non mi raggiunga.
Un altoparlante annuncia i nostri nomi e i timidi applausi dedicati a me non hanno niente a che vedere con l'ovazione che riceve Taro. Sono tutti contro di me? Happosai prende posto nell'area presidenziale e sembra gustarsi lo spettacolo, ma capisco che oltre al divertimento mi guarda con aria critica, sperando di vedere quanto io sia migliorato da quando le nostre strade si sono separate. Molto, molto, moooolto in fondo, il vecchio è un vero portento delle arti marziali.
Assumo una posizione di difesa di base e il mio nemico mi valuta, assumendo più o meno la stessa posa. Inizio a notare l'influenza del vecchio. Se questo essere mastodontico parte in difesa, le cose si mettono male per me. Mi fiondo alla sua sinistra sperando sia destrorso e non gli do neanche il tempo di reagire, ma mi sbaglio, Taro si muove velocemente nonostante la sua gigantesca mole e blocca il mio pugno senza alcuno sforzo. Indietreggio mentre le urla a suo favore mi tolgono il fiato.
Provo di nuovo andando a destra, ma vado a sbattere contro la montagna di muscoli che mi urta da un lato, dal basso le cose non cambiano molto e dal mio punto di vista questo scontro ha una sola via d'uscita, che poi sarebbe la mia specialità.
Il combattimento aereo.
Prendo lo slancio e salto oltre la sua testa, avverto lo stupore trattenuto dei presenti quando allungo una gamba e mi fiondo in picchiata contro la sua testa, ma Taro mi ha visto arrivare, si ripara con un braccio e il mio piede finisce per scontrarsi contro i muscoli del suo avambraccio. Salto di nuovo all'indietro cercando di recuperare la mia posizione precedente, mentre lui tenta inutilmente di afferrarmi mentre atterro, poi sbuffa infastidito.
Asciugo la goccia di sudore che mi attraversa la tempia fino a scivolare sul mento... la cosa si fa interessante. Faccio un paio di passi lateralmente, dandogli spazio mentre si rimette in posizione di difesa.
Forse è la sua strategia, lasciarsi colpire finché il rivale non si stanca così tanto da restare a malapena in piedi e poi... schiacciarlo come un moscerino.
Avanzo ancora cercando un'apertura e proprio allora il gigante reagisce, riversando in un lampo tutta la sua forza bruta contro di me. Io lo schivo come posso ma riesce a colpirmi sul fianco. Stringo con una mano la zona colpita e stringo i denti... se non mi ha rotto una costola è davvero un miracolo.
Como ha potuto giocarmi in questa maniera? Una strategia da degno discepolo del suo maestro.
Mi rialzo prima che il suo pugno opposto si abbatta sulla mia testa minacciando di aprirla come se fosse un cocomero.
Striscio per terra fino ai bordi del tatami e, senza pensarci due volte, lancio un calcio fortissimo contro il suo fianco ma mi accorgo di non avergli fatto neanche il solletico. Taro sorride e intrappola la mia gamba tra il suo braccio e il suo addome, lanciandomi contro il suolo. Incasso il colpo mentre rotolo e le mie estremità iniziano a dolermi all'istante.
Merda, è un osso duro!
Happosai ride e applaude entusiasta al fatto che quello me le stia suonando, maledetto vecchio. Serro la mascella furioso e mi lancio di nuovo contro il mio avversario cercando di mettere a segno un colpo dritto nelle sue budella.
Riesco a raggiungerlo alla bocca dello stomaco e sorrido per il mio piccolo trionfo, ma in un attimo la sua mano mi afferra la testa e mi ritrovo di nuovo a baciare il suolo. Come può essere così rapido nonostante la sua mole?
-Ma che fai, stupido!?- alzo lo sguardo, dolente, per incrociarlo con quello della ragazza che, quasi alla mia stessa altezza, mi urla in faccia in preda all'agitazione. –Non avevi detto di essere bravo a lottare?
Oh sì, lottare, so farlo così bene che potrei lasciarla a bocca aperta, solo che non mi aspettavo che il mio rivale si difendesse così.
-Sei preoccupata?- chiedo, rialzandomi, con una presunzione che neanche io riesco a spiegarmi.
-Neanche nei tuoi migliori sogni! Attento!- esclama mentre mi abbasso e schivo un altro colpo per un soffio... ci è andato vicino. –Pensa a combattere!
-Sei tu che mi distrai!- protesto, evitando un nuovo attacco.
-Devi trovare il suo punto debole!- dice mentre continuo a schivare colpi e ascolto la sua voce alle mie spalle.
-Come se fosse facile! Se ancora non te ne sei accorta è una montagna di muscoli!
-Fallo cadere! Non riuscirà a riprendersi da una bella caduta!
Cadere? Ma certo... cadere!
Sorrido quando alla fine nella mia mente prende finalmente forma una strategia. Devo ammettere che la ragazza se ne intende. Inspiro prima di prendere lo slancio e infilarmi tra le gambe del mio rivale, per trovarmi alle sue spalle neanche un attimo dopo. Mi rimetto in piedi e salto di nuovo, ma questa volta verso l'alto. Lui si gira cercando di afferrarmi mentre sono in aria, ma è inutile, sono completamente concentrato.
Traccio un'ellissi perfetta e, un secondo prima di toccarlo, serro i pugni e gli assesto un paio di colpi ben piazzati sul collo prima di sparire e, strisciando di nuovo come se fossi un serpente, lo colpisco con una gomitata sulla spalla. Infine diventa tutto automatico: calcio sul ginocchio, cazzotto alla bocca dello stomaco, ginocchiata laterale.
Concludo con dei potenti ganci diretti alla mandibola e il tipo a stento si regge in piedi. Il silenzio in sala è surreale e Taro barcolla da un lato all'altro come se stesse cercando il punto più comodo in cui crollare a terra svenuto.
Mi volto cercando gli occhi castani di Akane, forse sperando di trovare un gesto di approvazione. Sorrido compiaciuto e la trovo con un'espressione esterrefatta, di pura meraviglia.
Avanti, ammettilo. Sono un genio.
Ma la sorpresa si tramuta immediatamente in allarme e vedo che mi guarda spaventata prima di lanciare un urlo acuto. Mi volto in tempo per vedere la montagna di muscoli stramazzare... giusto su di me.
-Ranma!
Sicuramente devo avere avuto un'allucinazione per colpa dell'enorme mucchio di carne spropositata che mi ha appena schiacciato a mo' di valanga, altrimenti non mi spiego quello che ho sentito. Ha urlato... il mio nome?!
Cercando di recuperare un po' di forza, spingo il corpo di Taro lontano da me e finalmente riprendo a respirare. Resto steso sul tatami guardando verso il soffitto pieno di luci mentre il pubblico mi inonda di applausi scroscianti... forse hanno appena visto qualcosa di impossibile.
-Ranma!
Ok, stavolta non ho dubbi, non lo sto immaginando: mi sta davvero chiamando preoccupata. Mi volto in tempo per vederla arrampicarsi sul ring e lasciarsi cadere in ginocchio al mio fianco.
Il suo viso si interpone tra la mia vista e le luci, vedo il suo volto scuro con i resti di piccole lacrime ai lati degli occhi e non riesco a immaginarmi il motivo: forse temeva di rimanere sola se mi fosse successo qualcosa? Sì, deve essere per questo, non ha motivo di preoccuparsi per me.
-Tutto bene?— chiede.
-Sì...- riesco a rispondere, mentre mi sollevo e resto di fianco a lei. La verità è che mi fanno male varie parti del corpo.
-Idiota! Se sai combattere così perché hai rischiato tanto all'inizio?
-Stavo cercando di metterlo alla prova.- dico, portandomi una mano sul viso e scoprendo di aver preso una bella botta sul labbro. –Auch...
-E quasi ti uccide!- risponde, prendendo il mio viso ed esaminandolo in maniera critica mentre lo gira da un lato all'altro senza nessun riguardo.

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La lascio fare mentre sento le sue dita sottili sulla mia pelle, cercando di dissimulare il mio rossore... ma che mi succede?
-Non mi aspettavo niente di meno da te, ragazzo!- dice Happosai, che è salito sul tatami e mi guarda soddisfatto mentre aspira fumo dalla sua pipa.
-Avanti vecchio, piantala con queste sviolinate. Dimmi subito dov'è mio padre.
-Genma è passato a trovarmi la settimana scorsa e, a quanto pare, aveva per le mani un oggetto di enorme valore, per questo è venuto da me.
-Un oggetto? Sicuramente è quello che ha rubato a Kuno! Lo hai comprato? Cos'è successo esattamente?- dico impaziente e rimettendomi in piedi, mentre Akane fa altrettanto senza allontanarsi da me.
-No, gli ho detto di portarlo via perché per me era qualcosa di troppo rischioso e vistoso, se così si può dire. Gli ho dato un paio di nomi ed è sparito.
-Chi?- chiedo ancora, perdendo la mia già vacillante pazienza.
-Oh no, non posso fornirti questi dati ma so che è andato verso ovest. Forse puoi trovarlo a Rumoi.
In pratica è come se non mi avesse detto niente! Lo guardo in preda alla collera perché so che Happosai mi sta dicendo di cercare un ago in un pagliaio. Seguire le piste di mio padre è sempre stato estenuante.
Akane si stringe nelle spalle nervosamente... è stato un giorno piuttosto lungo e capisco che la cosa migliore che io possa fare per entrambi sia andare via da questo posto. Il tipo con gli occhiali mi consegna una valigetta da viaggio piena di banconote e mi guarda come se avessi insultato sua madre. Appena la apro mi si prosciuga la salivazione perché mi rendo conto che non mi stavano prendendo in giro quando mi hanno offerto questa cifra. Dovrei partecipare più spesso a questi scontri.
-Akanuccia, torna pure quando vuoi!- grida Happosai muovendo le mani e lanciando baci in aria mentre lei lo guarda con aria disgustata.
-Noi andiamo via, vecchio. Cerca di non morire finché torno!
L'ora di mettersi in marcia è arrivata, così mi carico in spalla la borsa e mi congedo alzando una mano alle mie spalle.
-Ricorda quello che ti ho detto, Ranma!- scatta a tradimento mentre continua ad agitare la mano in aria, affiancato da un paio di ragazze che ridacchiano insieme a lui senza neanche sapere perché. Vecchio pervertito rugoso... affretto il passo per uscire dal locale mentre Akane mi raggiunge.
-Cosa ti aveva detto?- chiede curiosa.
-Niente.- rispondo e non posso fare a meno di arrossire di nuovo.
L'aria notturna della città ci colpisce all'improvviso, la vedo tremare di freddo e mi sento in colpa. La mia casacca non è granché per proteggerla dal clima rigido.
-Sarà meglio cercare un posto in cui passare la notte.- dico, incamminandomi verso una delle strade principali, mentre lei mi segue senza smettere di abbracciarsi per proteggersi dal freddo.
Mi fermo e sospiro.
Prendo una delle grosse mazzette di banconote dalla valigetta e glieli porgo senza dire nulla.
-Tieni, comprati qualcosa e smettila di tremare.- dico, scontroso, mentre Akane sbatte le palpebre, incredula.
-Mi innervosisce vederti così a disagio, ok?- cerco di spiegarmi, ma l'unico risultato che ottengo è fare la figura dell'idiota. Akane muove leggermente i piedi, a disagio, e io le metto sotto il naso il denaro senza aggiungere altro. Poi le do le spalle.
-Prenoterò due camere in quell'albergo, non metterci troppo.- concludo, indicando il piccolo ma elegante hotel che si trova a uno dei lati della strada. Non voglio girarmi e guardarla, vorrei già sprofondare per la vergogna dopo quello che ho fatto. Faccio esattamente quello che ho appena detto, entro nella mia camera e vado subito a farmi un bagno.
Quasi due ore dopo e quando sto per addormentarmi sento qualcuno chiamarmi dietro la porta. Apro un occhio e accendo la luce.
-Chi è?- chiedo irritato. La timida risposta tarda qualche secondo.
-Sono io, Akane.
Non so che ora è ma so che è la prima volta che viene a chiamarmi nella mia camera e non il contrario. Mi alzo dal letto e apro la porta, trovandomela davanti.
Indossa un cappotto grigio, morbido e caldo, e pare che tutti i suoi vestiti siano nuovi. Guarda timidamente verso il basso mentre mi mostra quello che ha in mano.
-Ho portato il necessario per... curarti.- esordisce, distogliendo lo sguardo e sollevando una minuscola cassetta del pronto soccorso che pare abbia comprato per il viaggio.
La faccia da idiota che ho in questo momento meriterebbe di essere immortalata. Chiudo la bocca prima che ne esca qualche idiozia e resto in silenzio mentre entra in camera.
-Stavi dormendo?- chiede, quando guarda il letto e io nego scuotendo la testa.
-No, facevo un giro qua attorno.
-Non volevo disturbarti, è solo che... non potevo dormire tranquilla.- dice, togliendosi il cappotto e sedendosi sul mio letto. Poi mi guarda attentamente. Io sollevo un sopracciglio in attesa e non mi muovo, poi lei alza gli occhi al cielo. –Avanti, vieni qui una buona volta. -ordina, autoritaria. Io non ho le forze per replicare e mi siedo di fronte a lei mentre apre la sua cassetta e inizia a tirare fuori quello che serve.
-Non è necessario, ho già pulito le mie ferite.- rispondo, ma lei non mi presta la minima attenzione, estrae un rotolo di benda, tende la mano e torna a guardarmi impaziente.
-Beh?
-Il tuo piede, è slogato.
-Come fai a saperlo?- senza darmi il tempo di continuare, solleva il mio piede ed esamina la mia caviglia, poggiando le dita proprio sul punto che mi fa male. -Aaaaaaaahhhh!
-Ti stavo guardando durante tutto il combattimento, non ricordi? Hai poggiato male il piede durante una caduta e poi per strada, mentre andavamo via, ho visto che zoppicavi un po'.
La guardo stupito mentre comincia a bendarmi con cura, prestando attenzione alla piccola lesione cui non avevo dato alcuna importanza. Non si tratta solo di questo dettaglio, durante lo scontro non mi ha perso di vista un attimo, lo so, è stata attenta a tutti i miei colpi e l'ha seguito come solo un esperto potrebbe fare.
-Se il bendaggio è ben fatto, in un paio di giorni passerà del tutto.- dice, mentre continua ad avvolgere la benda intorno alla caviglia. Non sono abituata a tanta gentilezza, men che meno quando si tratta della mia salute.
Forse quella cariatide del vecchio non ha tutti i torti.
-Quindi... non mi odi?
Akane resta immobile per un momento, distoglie lo sguardo da quello che sta facendo e i suoi occhi castani si incrociano con i miei. Non so perché l'ho detto, se fa parte semplicemente del mucchio di scemenze che sparo tutto il giorno o una parte di me, una piccola parte di me che viene messa puntualmente a tacere, ha bisogno di saperlo.
Interrompe il contatto visivo e prosegue con il bendaggio.
-Non ti odio.
-Per questo ti sei arrabbiata tanto stasera?- chiedo di nuovo. Akane termina il suo lavoro e inizia a mettere via le bende.
-Sono un medico, non permetterei che tu resti ferito in mia presenza e, per inciso, non ci tengo affatto a diventare "vedova". Che stupidaggine.
Prende una garza e ci versa sopra del disinfettante, alza lo sguardo color cioccolato e mi fa un certo effetto vedere in lei tanta serietà. L'ho fatta davvero incavolare, non avrei dovuto dirle quella cosa.
Aggrotto le sopracciglia, pentito, tentando di mettere insieme qualche parola di scusa, ma vengo distratto dal bruciore delle ferite quando inizia a passarci sopra la garza. Inizio a lamentarmi ma Akane prosegue imperterrita con le sue cure e finalmente resto zitto mentre ripenso al momento in cui l'ho vista correre verso di me, urlando il mio nome. Chissà se anche io riuscirò a chiamarla con il suo.
Termina soddisfatta di esaminare le ferite sul mio viso ma prima di mettere a posto tutti gli utensili nella cassetta, mi guarda un'ultima volta.
-Senti dolore da qualche altra parte?- chiede, con interesse sincero.
Io resto in silenzio, spero tra un battito e l'altro di trovare la risposta corretta a una domanda tanto semplice. Sì, mi fa male qualcos'altro, in questo esatto momento sento un dolore qui nel cuore che a malapena mi fa respirare. Sto quasi per sollevare un dito e indicare il mio petto ma mi fermo in tempo.
Scuoto la testa in segno di negazione e lei chiude la cassetta, si alza immediatamente e si avvia verso l'uscio. Si ferma un paio di secondi, poi si congeda con un adorabile "buonanotte". Quando va via io le rispondo in silenzio.
-Buonanotte.
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NdT:
*Il katsudon è un piatto tipico della cucina giapponese, è una delle forme più famose di donburi costituito da una cotoletta di maiale impanata e fritta (ovvero il tonkatsu), uova che generalmente vengono versate sul piatto da sbattute e crude (tuorlo e albume mescolati si cuociono grazie al calore del piatto) e condimenti vari da versare sul riso caldo. Si tratta di un piatto molto sostanzioso. Per via del nome (katsu ricorda 勝つ katsu ovvero vincere), la consumazione di tale piatto la sera prima di un importante esame è diventato un rituale nella cultura giapponese. (fonte: wikipedia).
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Solo ora mi rendo conto che questo capitolo non è particolarmente lungo. La verità è che, a parte lo scontro, non succede molto... però dai, qualcosa accade tra questi due testoni eheh, almeno quel tonto di Ranma sembra che inizi a rendersi conto di qualcosa.
Grazie mille a tutti coloro che leggono, grazie, grazie ancora! E anche per i vostri commenti, mi riempiono di gioia e sono la migliore ricompensa per lo sforzo di un fanwriter.
Vi ringrazio di nuovo e vi aspetto al capitolo 7.
Baci,
LUM
 
Vero, vero, questo capitolo è un po' corto e tutto sommato è piuttosto tranquillo, ma il settimo è lungo praticamente il doppio e prometto di pubblicarlo presto! Nel frattempo, spero che la versione italiana dello scontro con il gigante Taro vi sia piaciuta e che la fan art di Ranma stordito sia gradita anche se l'ho colorata con i piedi come sempre ahah XD
Vi aspettiamo al prossimo capitolo!
E spero continuiate a seguirci con entusiasmo :-)
Auguro di nuovo a tutti un fantastico 2016 e lascio un saluto speciale alle mie care Ladies: vi adoro con todo mi corazón :P
A presto,
Spirit99

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. Martedì 19 ***


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Quince días
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Capitolo 7: Martedì 19
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Akane
Ancora non riesco a crederci e mi sembra un sogno: ho dormito in un letto, mi sono fatta un bagno lungo e rilassante, indosso vestiti puliti e ho persino comprato una borsa da viaggio con tutto il necessario. Il mio nuovo shampoo profuma di fragole e mi sono concessa persino il lusso di comprare un profumo costoso, che se avessi acquistato a Nerima mi avrebbe dilapidato le finanze: ninfee bianche e germogli di bambù.
 
Continua a fare freddo ma oggi il mio umore è decisamente migliore. Salto giù dal letto, mi guardo allo specchio e finisco di mettere via le mie cose, pensando alla prossima tappa che ci aspetta, Rumoi, dove continueremo a cercare quel ladro di mio suocero in luoghi poco raccomandabili.
 
Per quanto imbarazzante, l'esperienza di ieri è stata una delle più sconvolgenti della mia vita. Trovarsi in un posto del genere, assistere come muti testimoni a un combattimento del genere... è stato allucinante. Non pensavo che Ranma combattesse così, anzi, non ho mai conosciuto nessuno migliore di lui nelle arti marziali.
 
È davvero bravo, incredibilmente forte, ma non lo ammetterei mai davanti a lui. Né questo né il fatto che ha un corpo da infarto.
 
Bene, sarà meglio togliermi dalla testa questi pensieri! Infatti la scuoto un paio di volte in segno di negazione, come se così potessi liberarmi dall'immagine del ragazzo con il codino sul ring, mentre il sudore bagna la sua maglia e la determinazione brilla selvaggia nei suoi occhi azzurri.
 
Ah, merda.
 
No, basta, via da qui! Sono fidanzata! Ecco, meglio pensare a Shinnosuke... ma dai, ma chi voglio prendere in giro? Fisicamente non può competere con lui.
 
Ah, merda.
 
E poi c'è la ciliegina sulla torta. Che vergogna aver urlato il suo nome in quel modo, come se fossi una fidanzata preoccupata! Spero solo che il brusio del pubblico fosse abbastanza forte da coprire la mia voce e che non l'abbia sentito.
 
Comunque sia, questa avventura finirà presto anche se non oggi… sono via già da quattro giorni e se richiamo senza dare notizie del mio ritorno la mia famiglia inizierà a preoccuparsi sul serio.
Inspiro profondamente ed esco dalla camera, poi guardo contrariata il corridoio vuoto: senza dubbio mi aspettavo di trovarmi di fronte il ragazzo con il codino... forse è ancora provato dall’incontro di ieri sera?
Mi dirigo verso la sua camera e busso alla porta ma non ottengo risposta. Poggio l'orecchio alla superficie di quest'ultima ma non riesco a sentire niente. Busso ancora, questa volta più forte.
 
-Ehi, sei sveglio?- chiedo mentre giro il pomo, in fondo ho provato a bussare.
-S-sto entrando.- mi annuncio tra il nervosismo e l'impazienza… e poi sarei io la dormigliona?
 
Proprio quando sto aprendo la porta una voce mi sorprende alle spalle.
 
-BUUU!- esclama l'idiota patentato nel mio orecchio mentre io salto spaventata.
 
-Ah! Avresti dovuto vedere la tua faccia!- dice tra le risate mentre io faccio uno sforzo immane per riportare il battito cardiaco a un ritmo normale.
 
-Ma cosa sei, un ragazzino? Non puoi spaventare così la gente!- dico imbarazzata, mentre cerco di tenere in piedi la mia dignità.
 
-Ma dai, se hai voglia di farmela pagare così tanto non dividerò con te la colazione.- dice mentre solleva una borsa davanti al mio naso. In questo momento i miei occhi seguono attentamente il cibo come se fossi un cagnolino e lui comincia a sorridere di nuovo dei miei comportamenti.
 
-Allora, che mi dici?
 
Io gli strappo di mano la borsa, stanca di tutte queste prese in giro.
 
-Che sei un idiota!- rispondo con aria di sfida, anche se il fatto che io sia in posa di combattimento non significa che abbia voglia di iniziare a litigare di nuovo.
 
Ranma fa un gesto verso la sua camera invitandomi a entrare e io accetto, affamata, in fondo non vedo l'ora che questa giornata inizi.
 
-Come va con la caviglia?- chiedo curiosa mentre tiro fuori dalla borsa un melonpan* e lo divoro, sedendomi sul letto, poi do un altro morso sentendo il mio stomaco brontolare soddisfatto.
Cavolo, sembra che io sia sempre affamata.
 
-Meglio, grazie.- risponde lui sedendosi accanto a me ed estraendo dalla borsa un panino uguale al mio.
 
-E quali sono i piani di oggi?- chiedo distrattamente mentre cerco da bere. -Hai portato solo del tè?
 
-Dobbiamo prendere l'autobus per Rumoi, è una città della costa e in genere ci sono solo turisti e pescatori. Bevilo e non protestare.
 
-E pensi che tuo padre sia là?
 
-Chi lo sa, forse ci sarà qualche acquirente. Inoltre, proprio in quella zona si è insediato di recente un clan della yakuza.
 
Smetto di masticare e lo guardo scioccata. Continua a sorprendermi il fatto che parli tanto tranquillamente di combattimenti illegali, mercato nero o persino la yakuza, sembra che per lui sia qualcosa di normale e la cosa non smette di spaventarmi.
 
-Non fai parte di una famiglia di mafiosi, vero?- chiedo, mentre lui prende una ciambella e tira un morso enorme.
 
-Che? Certo che no. Il fatto è che mio padre è molto bravo a mettersi nei guai, ti sorprenderebbe.
 
-A questo punto mi aspetto qualsiasi cosa.- rispondo sgomenta. Lui mi guarda fisso con un certo interesse, io arrossisco e volto la testa. –B-beh?- chiedo, nervosa.
 
-Non finisci di mangiare questa roba?- chiede il ragazzo con il codino indicando il resto della mia colazione. Per tutta risposta, rischiando di soffocare, butto tutto giù in un solo boccone.
 
Un attimo dopo siamo di nuovo in marcia, salto fuori pronta ad affrontare tutto e tutti e sentendo che forse ora avremo fortuna. Mio suocero non può nascondersi per sempre, inoltre il Giappone è un'isola, non può passare da un Paese all'altro come se niente fosse.
 
Mi volto e incontro l'artista marziale alle mie spalle, già con lo zaino in spalla, che mi guarda con la stessa aria interrogativa che aveva quando mi ha chiesto se volessi dargli la mia colazione, ma ora non credo di avere niente che possa interessargli. Distoglie lo sguardo, improvvisamente accigliato, e questa volta sono io a sentirmi confusa.
 
Riprende a camminare senza rivolgermi la parola e, senza poterne fare a meno, metto su il muso anche io. Pensavo che avessimo iniziato bene la giornata.
 
-E ora che ti succede?- chiedo, intromettendomi nel suo evidente malumore.
 
-Niente.- risponde, scuro in volto. Nonostante tutto vedo che inizia ad alzare il passo e faccio un po' fatica a stargli dietro, devo quasi correre.
 
Arriviamo alla stazione degli autobus e lo guardo esausta, dato che sono stata costretta a percorrere mezza città a passo militare, mentre lui si volta e mi osserva impaziente.
 
-Non mi hai restituito i soldi che ti ho dato ieri.
 
-Eh?
 
Tende una mano facendomi capire che vuole indietro i soldi che ho speso per comprarmi vestiti e prodotti per l'igiene personale. Sgrano gli occhi, incredula, non so se sia un taccagno o semplicemente vuole controllare quanto ho speso e cosa ho comprato, ma alla fine il denaro l'ha guadagnato lui e non mi sembra del tutto sbagliato. Gli allungo i cinquemila yen che mi restano e lui li osserva a bocca aperta.
 
-Solo questo?
 
-Mi hai detto di comprare quello che di cui avevo bisogno.- rispondo sulla difensiva, incrociando le braccia.
 
-E quanta roba ti serviva?
 
-Tutto! Non avevo neanche più mutande!- urlo, indignata, per poi tapparmi la bocca due secondi dopo e guardandomi intorno: diversi viaggiatori mi guardano stupefatti. Sorrido in maniera forzata e guardo l'ostinato artista marziale sentendo la mia faccia andare a fuoco, di sicuro lui non si trova in una situazione migliore.
 
-Puoi tenerli.- dice, voltandosi di nuovo, ovviamente morto di vergogna anche lui, con le guance incendiate.
 
-Ma io non li voglio!- replico orgogliosa, restituendogli i soldi.
 
-Neanche io!
 
-E allora perché me li chiedi?
 
Mi risponde con un grugnito e riprende a ignorarmi. Davvero, ma che gli prende? Perché stamattina era di buonumore e ora torna a comportarsi come un cretino? Ok, in fondo non devo preoccuparmi troppo, alla fin fine le nostre strade si divideranno, ma il fatto è che non sopporto la sua maleducazione.
 
-Sai una cosa? Se continui a comportarti così nessuna ragazza vorrà sposarti.- gli dico camminando dietro di lui e, sorprendentemente, sussulta e mi guarda al di sopra della sua spalla.
 
-E chi diavolo vuole sposarsi?- risponde sulla difensiva.
 
Lo guardo senza scompormi e penso che se noi donne siamo complicate, gli uomini sono senza dubbio dei cretini.
 
-Shinnosuke è molto più gentile di te.- penso a voce alta.
 
-Come se mi importi qualcosa dell'allevatore di scimmie che hai per fidanzato.- sbuffa sprezzante. Non mi piace che insulti in questa maniera il mio futuro marito e, ora che ci penso, lo sta facendo praticamente da quando ci siamo conosciuti. Sempre sgarbato.
 
-Ascolta sempre quello che ho da dire e non abbiamo mai litigato. Neanche una volta.
 
-Stupendo...- risponde con voce roca.
 
-Lui... – resto ammutolita davanti alla visione di un piccolo bar a un angolo della stazione degli autobus e il ragazzo con il codino continua a camminare finché non si accorge che non lo seguo più. Quindi torna sui suoi passi e mi guarda in preda alla collera e all'impazienza.
 
-Allora? Sei già stanca di parlare dell'innaffia-piante?
 
-Caffè... mormoro mentre cammino verso il bar, seguendo il delizioso profumo. Sono giorni che non ne bevo uno e che faccio colazione con quello che capita. Non che il tè che mi ha portato Ranma non mi sia piaciuto ma non c'è paragone con una deliziosa tazza di buon caffè.
 
-Hai già fatto colazione.- protesta lui, seguendomi e appoggiandosi alla panca del chiosco, mentre io lo ignoro completamente. –Diventerai grassa e non entrerai più nel tuo ridicolo vestito da sposa.
 
-Solo un caffè.
 
-Subito signorina.- risponde il gentile cameriere mentre prepara un espresso e lo versa in un bicchiere di carta.
 
Finalmente! Quando lo prendo tra le mani provo la stessa sensazione di quando ieri ho potuto fare un bagno. Un'incredibile pace scorre nel mio corpo.
 
-Lo prendi senza aggiungere niente?- chiede l'artista marziale che mi guarda di nuovo con curiosità, dimenticando l'arrabbiatura di poco fa.
 
-Sì, da solo e senza zucchero.- rispondo, bevendo il primo sorso e sentendo il calore invadere il mio corpo.
 
-Ci avrei giurato, poco femminile come al solito.- dice, cercando di nuovo di colpirmi con le parole. E la cosa peggiore e che stavolta purtroppo ci è riuscito.
 
Guardo con rammarico il mio adorato caffè e sospiro con tristezza. È vero, non è per niente femminile.
 
-Il primo appuntamento con Shinnosuke è stato in ospedale.- dico, ricordando quel momento, quando io ero una studentessa del primo anno. Ranma mi guarda con le sopracciglia aggrottate, ma non si muove e ascolta attentamente. -Era ricoverato da tanto tempo e si annoiava. Alla fine di ogni corridoio c'era una sala d'attesa piena di panchine e alcuni distributori di bibite. Io stavo facendo il tirocinio lì ed ero sempre molto occupata, ma dovevo visitarlo e non lo trovavo. Stavo diventando matta mentre lo cercavo per tutto il piano, finché non uscii dal corridoio e lo vidi proprio davanti al distributore del caffè. Mi sorrise e mi offrì la bibita che aveva appena preso, un caffè macchiato, con molto zucchero. Mi era sembrato così gentile che lo ringraziai e accettai quello che mi aveva offerto.
 
-Bene!- esclama spalancando gli occhi come un gufo. –Così il tuo fidanzato è un pervertito a cui piace giocare al paziente e all'infermiera.
 
Gli do una gomitata nelle costole, arrabbiata per la sua maledetta mancanza di tatto. Ma è davvero impossibile parlare seriamente con lui? Deve sempre fare ironia su tutto? Cammino per la stazione con aria adirata, ancora con il mio caffè in mano che sorseggio lentamente.
 
-E poi cos'è successo?- chiede dopo avermi raggiunto. Io giro la testa, non penso proprio di aggiungere altro. –Oh, andiamo, è un sogno erotico molto ricorrente.- dice con aria maliziosa.
 
Io mi volto di nuovo e lui riprende a camminare alla mia andatura, incrociando le mani dietro la testa.
 
-Fammi indovinare, da allora quell'idiota ti porta sempre lo stesso caffè e tu non hai mai avuto il coraggio di dirgli che lo preferisci senza latte. Non è vero?
 
Rallento all'improvviso perché è esattamente quello che è successo. Serro la mascella, frustrata, e lui mi guarda sprezzante, soddisfatto della sua perspicacia.
 
-Che idiota.
 
-Non è un idiota! È gentile e premuroso!- protesto, stanca del suo disprezzo.
 
-Stai per sposarti con un tipo a cui non hai neanche il coraggio di dire come ti piace bere il caffè!- ribadisce, aspettando attento la mia reazione.
 
-Non voglio ferire i suoi sentimenti.- dico e le mie mani stringono il bicchiere ormai mezzo vuoto.
 
-Quindi... deve importarti molto.
 
-Come?- alzo lo sguardo mentre Ranma si gira e si dirige come un treno verso la biglietteria.
 
Per qualche motivo quelle parole mi hanno fatto accelerare il battito e non so spiegarmi perché. Importarmi? Certo che mi importa di Shinnosuke, sto per sposarmi con lui. È un bravo ragazzo, dolce, tenero, generoso e a volte goffo. Non ho mai avuto dubbi sulla sua gentilezza, né l'ho contraddetto, la nostra relazione è sempre stata così serena che l'idea di sposarci ci è venuta in modo naturale.
 
A pensarci bene… Shinnosuke sta a Ranma come il succo di mela al sake.
 
-L'autobus parte tra meno di cinque minuti.- mi informa il ragazzo con il codino quando si riavvicina a me, anche se noto che i suoi occhi cercano di schivare i miei.
 
Sentendomi terribilmente a disagio, lo seguo fino al nostro mezzo di trasporto, per fortuna ancora vuoto, e ci sediamo in posti lontani, anche se non troppo.
 
Sbuffo infastidita senza riuscire a capire cosa frulla nella testa di quell'idiota bipolare.
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Quando il veicolo si ferma, apro gli occhi… ma come ho fatto ad addormentarmi? Mi stiracchio pigramente sentendo il dolore al collo a causa della postura scorretta e non posso evitare di cercare mio "marito".
 
Lo trovo seduto molto più vicino a me. Quando ha cambiato posto? Comunque sia mi alzo e prendo le mie cose mentre osservo lui fare la stessa cosa.
 
-Siamo già arrivati a Rumoi?- chiedo, cercando di rompere il silenzio che, senza un motivo apparente, è caduto tra noi.
 
-Sì, hai dormito per tutto il tempo.- risponde con disinteresse, iniziando a muoversi nell'angusto spazio.
 
-Forse ho del sonno arretrato.- rifletto, mentre il bus riprende la marcia per poi fare una frenata brusca.
 
Perdo completamente l'equilibrio e cado in avanti, cerco di ammortizzare il colpo allungando le braccia davanti a me, ma il ragazzo con il codino mi raggiunge in due sole falcate e invece di andare a sbattere contro il pavimento, urto contro il suo petto, duro come una maledetta roccia.
 
Si aggrappa a uno dei sedili per evitare che entrambi cadiamo a terra e io afferro la sua casacca cercando di recuperare l'equilibrio.
 
Entrambi restiamo un attimo fermi, cercando di capire se gli scossoni siano finiti.
 
-Grazie.- dico mentre sollevo lo sguardo, ancora timidamente aggrappata alla sua maglietta, ma lui non risponde, distoglie lo sguardo come se temesse con tutta l'anima di guardarmi negli occhi.
 
-Cos'è ‘sto profumo?- chiede con aria infastidita, mentre io sbatto le palpebre senza capire.
 
-Ho comprato un profumo alle ninfee bianche e...
 
-Non metterlo più.
 
-Perché?
 
-Non mi piace.
 
-Stai dicendo che ho un brutto odore?—chiedo indignata, poi mi stacco da lui bruscamente, poggio le mani contro il suo addome e lo spingo con violenza.
 
Per tutta risposta ricevo solo un grugnito.
 
-Sei insopportabile!- sbraito, lasciandolo lì e scendendo dall’autobus a grandi passi.
 
Quando metto piede a Rumoi, il paesaggio mi sorprende. La fermata dell'autobus non è altro che una panchina circondata da una collina piena di verde. Mi guardo attorno contemplando la bellezza del luogo e poi lo vedo.
 
Il mare... mi sorprende l'azzurro profondo dell'acqua, il luccichio della schiuma bianca delle onde che si riflette sotto il sole.
 
Da quanto tempo non vedo il mare? Da quanto non metto i piedi in acqua o cammino scalza sulla sabbia? All’improvviso nella mia mente riaffiora un vecchio ricordo di quando ero piccola, di me che corro e rido con le mie sorelle in una spiaggia lontana, il forte brusio, il calore del sole estivo che bacia la mia pelle e anche il ricordo del caldo sorriso di mia madre che vegliava su di noi.
 
-È una città turistica.- dice il ragazzo al mio fianco, ma io non lo guardo neanche dato che è colpevole di aver interrotto i miei pensieri.
 
-Sì, ok ok.- rispondo con la rabbia ancora percettibile nel mio tono di voce. Metto un piede sulla strada e sento la presa fortissima di Ranma sul mio braccio. Mi tira come se fossi una corda e mi fossi appena lanciata di testa da un ponte. La sua mano mi opprime e mi ritrovo inevitabilmente a urtare contro di lui, ma stavolta non ci sono sedili a cui aggrapparsi quindi roviniamo al suolo praticamente intrecciati mentre sento la frenata sulla carreggiata e alle mie spalle passa un'auto a tutto gas proprio nel punto in cui mi trovavo un secondo fa.
 
-Sei impazzita? Guarda dove vai!- esclama isterico mentre io sollevo lo sguardo, dolorante, trovandomi a pochi centimetri dal suo visto e con il corpo completamente appiccicato al suo.
 
-Non l'ho visto! E poi sei stato tu a farmi arrabbiare, è colpa tua!
 
-Io non ho fatto niente per farti arrabbiare!
 
-Hai detto che non ti piace il mio profumo!
 
-Non ho detto questo!- con la respirazione agitata guardo i suoi occhi azzurri e le mie sopracciglia si irrigidiscono a causa della frustrazione che provo. Davvero non ho idea di quello che gli stia passando per la testa né di quello che dice per la metà del tempo. So solo che non si stanca mai di insultarmi, sembra che sia diventato il suo passatempo preferito.
 
Basta. Mi appoggio goffamente su di lui e mi alzo, lisciando i miei vestiti sgualciti e lui fa altrettanto, togliendosi la polvere di dosso.
 
-A meno che non pretendi di buttarmi a mare, continuerò ad avere lo stesso odore per il resto del giorno.- dico, cocciuta, e lo sento mormorare alle mie spalle qualcosa di incomprensibile.
 
-Che hai detto?
 
-Niente, cerca solo di stare attenta a dove metti i piedi.- risponde scontroso e passandomi accanto, prendendo poi il lato destro della carreggiata. Non mi resta che seguirlo come al solito. Un'altra camminata silenziosa? Oh sì, Ranma Saotome è esperto in materia.
 
-E... sai da dove iniziare a cercare?- chiedo con timore. Gli costa tanto tenere una conversazione da adulti?
 
-Sto andando verso il porto, lì di sicuro sapranno darmi qualche pista sul vecchio.
 
-Forse vuoi dire "stiamo andando".- chiarisco, per capire se continuerà a soffrire la mia presenza.
 
-Non ne hai avuto abbastanza ieri? Ti assicuro che gli amici di Happosai ti sembreranno studenti delle elementari rispetto a questa gente.- replica, è chiaro che non vuole che lo segua, sta cercando di nuovo di liberarsi di me.
 
-Per me è lo stesso, ci sono in gioco la mia casa e il mio dojo, non pensare che ti lasci da solo.- termino in maniera ferma. Innanzitutto devo mettere in chiaro le cose, perché se sto scorrazzando per il nord del Giappone a pochi giorni dal mio matrimonio non è per diletto ma per necessità, non ho tempo per giocare.
 
-Come vuoi.- dice, mentre ci avviciniamo alla zona più popolata del luogo per poi iniziare a percorrere strade affollate e piene di negozi di souvenir. Sono decisamente sorpresa dai tanti turisti che vedo in giro nonostante il freddo. –Ci sono delle terme molto famose.- spiega Ranma, vedendo la mia espressione sconcertata.
 
-Wow, mi piacerebbe restare qui a riposare un paio di giorni!
 
-Avrai tempo di riposare durante la tua luna di miele.- dice con aria scherzosa.
 
-In realtà... –nego timidamente- ... non abbiamo i soldi per un viaggio di nozze e subito dopo il matrimonio ci trasferiremo a Ryugenzawa con il nonno di Shinnosuke.
 
Ranma si ferma e mi guarda incredulo.
 
-Ti trasferisci a casa sua per curare suo nonno? Stai scherzando?
 
-È molto malato.- spiego.
 
-Il tuo acchiappa-scoiattoli sì che è un esperto di romanticismo.- ride di me e inizio a essere davvero stanca delle sue stupidaggini.
 
-Sì certo, tu di sicuro saresti molto più romantico!- gli dico camminando alla sua andatura.
 
-Certo che sì.- dice, incrociando le mani dietro la nuca in un gesto che, ormai mi è chiaro, fa molto spesso. Soprattutto quando cerca di fare il saccente.
 
-E tu dove vorresti andare in viaggio di nozze?- chiedo con curiosità.
 
-Non è ovvio? In un posto dove possiamo stare soli.- mi guarda con la coda dell'occhio. -M-mi riferisco a mia moglie ed io! Cioè... alla donna che sceglierò… insomma alla mia futura moglie!
 
-Oh!- rispondo, guardandolo interessata. -E c’è già una candidata? O al resto del genere femminile risulti insofferente come succede a me?
 
-Per tua informazione ne ho varie: tutte carine, di buon carattere, con seno prosperoso e pronte a soddisfare tutti i miei capricci. Proprio il tipo di donna che piace a me.- dice, elencando tutti questi pregi con il chiaro scopo di irritarmi.
 
-Quindi vuoi una donna che somigli a tua madre.
 
-Ehi!- salta su offeso e io trattengo una risata, ho toccato proprio il tasto dolente.
 
-Allora hai una ragazza?- chiedo, riprendendo il discorso e questa volta trattengo un secondo il fiato, aspettando la sua risposta.
 
-Ehm... no, io... diciamo che non mi piacciono le relazioni stabili.- dice visibilmente a disagio. Quando si tratta della mia vita privata non gli importa minimamente fare commenti ma quando si parla della sua le risposte diventano confuse e vaghe.
 
-Donnaiolo.- sospiro, sicura di dire un'ovvietà. Ranma è quel tipo di ragazzo con cui non vorrei mai avere a che fare. Almeno ora ho la risposta certa a una delle mie supposizioni iniziali.
 
-Non sono un donnaiolo!- protesta offeso.—Che colpa ne ho se mi ronzano attorno un sacco di donne? Non le cerco io, semplicemente compaiono da sole.
 
-Già...- rispondo, guardandolo con gli occhi ridotti a due fessure. –In tal caso, temo che non avrai mai una luna di miele da goderti.
 
-Come ho detto prima non mi interessa minimamente sposarmi.
 
-Mai?
 
-Al momento lo sono già e lasciami dire che non mi sembra un grande affare.- afferma mentre di nuovo sorride in quel modo che odio tanto.
 
-Suppongo che sia piacevole solo quando hai sposato la persona giusta.- sospiro, reggendogli il gioco. Se crede di potermi colpire con le parole e zittirmi, si sbaglia di grosso.
 
-Come se esistesse una cosa del genere.
 
Lo guardo con curiosità, non sono molto sicura di ciò che voglia dire ma parlando parlando siamo arrivati al porto. Ai nostri piedi si estende un frangiflutti, invece a destra decine di pescherecci e imbarcazioni da diporto si avvicinano con l'ancora a mare, senza il minimo ordine.
 
-Non è male.- sospiro, mentre l'aria fredda mi colpisce in pieno viso, portando con sé il profumo di salnitro e alghe marine.
 
Al mio fianco sento che Ranma si irrigidisce e si volta.
 
-Andiamo una buona volta, il posto non è lontano.- dice, mentre si incammina con aria pensierosa.
 
Annuisco in silenzio e mi ritrovo davanti le sue spalle e la sua treccia, oltre al suo zaino in disordine e mezzo aperto.
 
Dopo neanche cinque minuti ci ritroviamo in un ristorante in apparenza normale, abbastanza umile a dire la verità, pieno di tavolini e sgabelli, un pavimento rotto e riparato chissà quante volte e luci tenui che sicuramente avranno visto tempi migliori. La cosa strana è che non appena entriamo nel locale, il vociare dei clienti cessa all'istante, il fracasso degli uomini riuniti attorno ai tavoli diventa rapidamente un sussurro e tutti gli sguardi si posano su di noi.
 
Mi sento ridicola e torno a nascondermi dietro la spalla dell'artista marziale... non ho paura ma questi tipi non mi piacciono per niente.
 
Ranma prende l'iniziativa e passa davanti a loro, schivando persone e tavoli e io lo seguo a piccoli passi, intimidita.
 
Immediatamente uno di quegli uomini si alza e lo osservo. Sembrerebbe un tipo normale se non fosse per la lunga cicatrice che gli solca il viso e gli occhi piccoli e minacciosi. Ha i capelli pieni di gel, è vestito alla meno peggio e mastica in modo grottesco uno stuzzicadenti, passandoselo da un lato all'altro della bocca.
 
-Tu non sei il figlio di Saotome?- chiede e Ranma lo guarda con interesse, ispezionandolo con i suoi occhi azzurri.
 
-Ah... lo zio Masato!- dice, ricordando improvvisamente di chi si tratta.
 
-Ragazzo! Che gioia vederti! Come sei cresciuto!
 
-Ah ah, sì, non passo da queste parti da molto tempo.- ride lui, apparentemente tranquillo.
 
-Sei qui per qualche affare?- chiede e i suoi occhi si inchiodano ai miei. Io distolgo lo sguardo mentre stringo timidamente la casacca dell'artista marziale. –Hai portato anche la tua ragazza!- esclama platealmente, fissandomi ancora più intensamente, ma Ranma si schiarisce la gola e decide di andare dritto al sodo.
 
-Sono venuto a cercare mio padre.
 
-Genma? Oh, se n'è andato proprio ieri. È rimasto qui un paio di giorni e, a dire il vero, non ha voluto dirmi cosa diavolo avesse per le mani.
 
Lui non cede, resta fermo e mi dà l'impressione che questo discorso vada molto oltre le parole appena pronunciate, è come se si stessero sondando.
 
-Andiamo, non fare quella faccia così seria! Bevete qualcosa? Offro io.
 
Ranma fa una smorfia, gli passa oltre e si addentra nel ristorante, mentre io lo seguo appiccicata alla sua spalla, senza sapere bene cosa stia succedendo.
 
-Ho detto che non c'è!- protesta l'uomo dietro di noi.
 
-Come se la tua parola valesse qualcosa.- replica lui arrivando fino alla porta che reca il cartello "Riservato al personale".
 
Afferra la maniglia senza esitazione e apre la porta di colpo, ma la sua decisione si trasforma in stupore appena vede che, anziché un magazzino, ci troviamo davanti un ristorante molto più grande di quello che ci siamo appena lasciati alle spalle. I tavoli sono più grandi, la gente è vestita meglio e il fumo delle sigarette è così denso che a malapena si intuisce che le luci sono accese.
 
-Vecchio!- esclama Ranma e il tale di prima, Masato, lo afferra per una spalla, impedendogli di proseguire oltre.
 
-Non puoi entrare qui.
 
-Prova a impedirmelo.- lo sfida, avanzando di un passo nella sala. Per un attimo quasi mi pento di aver insistito per accompagnarlo. Tutta colpa della mia testardaggine!
 
-Su ragazzo, tuo padre è un buon amico, non costringermi ad avvisare quelli della "sicurezza".
 
In quel momento Ranma sembra valutare la situazione. Per un secondo i suoi occhi si spostano da Masato a me e poi alla sala.
 
-Voglio solo parlare.- spiega, un po' più conciliante.
 
-Non credo che qualcuno dei nostri clienti voglia parlare con te.
 
-A chi ha venduto la merce?
 
Masato lo guarda interrogativo e i suoi occhi, piccoli e neri, fissano nuovamente i miei.
 
-Possiamo parlare se vuoi... ma da soli.
 
Come? Che sta insinuando? Il mio animo inizia ad infiammarsi davanti alla certezza di avere a che fare con un porco maschilista, un vecchio che pensa che io abbia mezzo cervello e la lingua troppo lunga. Apro la bocca con tutta l'intenzione di fargli rimangiare quello che ha detto quando Ranma mi interrompe.
 
-D'accordo.- accetta senza aggiungere altro.
 
-Come??- mi lamento e lui si volta, mostrandosi rassegnato.
 
-Aspetta solo cinque minuti, non ci metterò molto.- si scusa, io incrocio le braccia assolutamente contrariata.
 
-E perché non posso ascoltare?
 
-Questi tipi si dedicano alla compravendita di oggetti del mercato nero e non ti conoscono. Per una volta resta tranquilla e non cacciarti nei guai.- dice, cercando di farmi capire come stanno le cose. Beh, a volte riesce a essere davvero persuasivo.
 
-So cavarmela da sola.- ribatto e lui fa un sorrisetto, come se non credesse affatto alle mie parole.
 
-Sarà meglio che aspetti fuori, non mi piace che resti qui dentro.
 
-E perché? Cosa potrebbe mai succedermi?- chiedo contrariata.
 
-Cosa potreb... cioè...- si avvicina al mio orecchio, cercando di parlarmi a voce bassa per evitare che qualcuno lo senta. –Non dico che sei carina o qualcosa del genere, ma questi criminali non sono abituati a vedere ragazze.
 
Serro la mascella e per la seconda volta in un giorno gli incastono il gomito nelle costole.
 
-Auch! Sei sempre violenta!
 
-Non preoccuparti per me, mi congelerò in quella dannata strada aspettando che concludi i tuoi "affari da uomini"!- sbotto mentre mi stringo nel cappotto ed esco dal ristorante del porto sbattendo sonoramente la porta. Sono sicura che tutti i commensali siano sobbalzati prima di voltarsi con sguardo accusatore verso quel presuntuoso che mi ritrovo come marito. -Ahhhhhhhhhh!- grido esasperata, mi fa innervosire.
 
Passeggio spazientita per il porto, con passi fermi, cercando di scaldarmi o di far sbollire la rabbia ma è impossibile, non ci riesco proprio. Arrivo fino al molo, il cui braccio costruito con dure rocce si addentra di qualche centinaio di metri nel mare, che in lontananza diventa sempre più scuro.
 
-Sei un idiota!- urlo all'oceano senza contenermi. –Un prepotente, donnaiolo e stupido artista marziale!
 
Respiro con agitazione mentre stringo i pugni, osservando la mareggiata che mi risponde come se sussurrasse, chiedendomi di calmarmi.
 
Fa davvero freddo.
 
Mi avvolgo meglio nel cappotto e do un calcio a una pietra sul bordo del frangiflutti che cade in mare senza fare il minimo rumore.
 
Vedo sorgere la luna all'orizzonte, le mie guance e il mio naso si arrossano a causa del vento gelato e solo allora mi rendo conto che è passata un'eternità e sono stanca di aspettare. Torno indietro sentendo che la rabbia è scemata un po', anche se non tutta. Forse quello stupido ha terminato le sue "chiacchiere riservate" o forse mi lasciano entrare in quella specie di ristorante mossi a pietà, per non lasciarmi morire qui fuori, trasformata in una statua di sale e corallo.
 
Quando mancano pochi metri all'edificio, una persona urta la mia spalla facendomi cadere per terra. Si tratta di un uomo corpulento, avvolto in un grosso cappotto nero e con un berretto di lana che gli copre la testa.
 
-Mi scusi signorina, non l'ho vista!- dice, mentre mi tende una mano e mi aiuta ad alzarmi. Porta un curioso paio di occhiali rotondi e invece di un paio di scarpe indossa dei sandali di legno ai piedi nudi.
 
-Non importa.- rispondo, un po' stranita. Ma non ha freddo? Proprio in quel momento mi rendo conto che in testa non ha un berretto ma un fazzoletto annodato che gli serve per coprire la calvizie.
 
-Non sarai per caso la ragazza che è venuta insieme a Ranma, vero?
 
-Lo conosce?- chiedo curiosa.
 
-Ecco, io...- dubita un attimo. –Devo andare, è stato un piacere e... perdonami.
 
-Oh no, non si preoccupi non è successo niente.- nego con la testa, per fargli capire che non mi sono fatta niente né sono arrabbiata per lo spintone.
 
L'uomo mi dedica un sorriso triste che gli fa accentuare le rughe attorno agli occhi. Lo vedo allontanarsi in fretta e sparire nell'oscurità della sera.
 
Neanche un minuto dopo, Ranma esce dal ristorante con aria contrariata e si guarda intorno, voltando la testa a destra e a sinistra. Mi dirigo verso di lui, impaziente.
 
-Allora?
 
-Niente.- risponde, mentre finisce di abbottonarsi il cappotto ed evita di guardarmi negli occhi.
 
-Niente?- ripeto desolata, perché speravo davvero che il nostro viaggio finisse qui.
 
-Almeno ora sappiamo che non ha incontrato nessun acquirente, non so che diavolo abbia rubato a Kuno, ma è qualcosa di troppo scottante anche per i trafficanti. Presto si dispererà e commetterà un errore... allora lo beccheremo.- dice, mentre stringe un pugno. Sembra più preso di me.
 
-Che vuoi dire? Non sai altro?
 
-Pare che sia andato via... quel maledetto vecchio fiuta il pericolo. La cosa certa è che sta cercando qualcuno che sia interessato alla merce. Si sposterà in una grande città, i tizi del ristorante pensano che possa fuggire fino a Tokyo.
 
-Tokyo?!- urlo, slogandomi la mandibola. -Ma è dall'altra dannata parte del paese!
 
-Non urlare! Pensi che non lo sappia?!
 
-E che diamine dovremmo fare ora?
 
Ranma grugnisce e distoglie lo sguardo, infilando le mani in tasca.
 
-Cenare.
 
-Cenare? Non ti viene in mente proprio nient'altro???- dico, agitandomi come non mai. Quello che sta succedendo ha davvero dell'incredibile, siamo tornati quasi al punto di partenza, anzi, pare che stiamo tornando indietro!
 
-Ho fame e quindi non posso pensare, ok?- replica, iniziando ad allontanarsi dal porto, sembra che sia più arrabbiato di me per l’ennesimo buco nell’acqua.
 
Sospiro e faccio l'unica cosa possibile, cioè seguirlo. Mi stringo le braccia attorno al corpo cercando di proteggermi dal freddo e fisso lo guardo sulla sua figura scura a causa del malumore. Non so che gli succede, più tempo passa e meno lo capisco. Fame? Anche io ho fame, ma dedicarci al turismo gastronomico passando da un lato all'altro del Giappone non è di certo la soluzione migliore. Ogni volta mi sento sempre più lontana da casa e più vicina al giorno del mio matrimonio.
 
Mi si forma un nodo allo stomaco al solo pensiero e mi fermo.
 
-Che succede?- chiede, mentre arriva a quella che sembra una piccola izakaya**.
 
Sollevo lo sguardo e mi sorprende intravedere il suo volto accigliato e la sua preoccupazione sotto la luce fioca del locale che illumina il suo profilo.
 
Nego scuotendo la testa e mi affretto a entrare sperando di scaldarmi un po'.
 
Ranma mi aspetta, apre la porta e mi fa cenno di entrare proprio come farebbe un cavaliere ma senza perdere il suo classico stile narcisista. È strano ma gli angoli della mia bocca si piegano spontaneamente in un piccolo sorriso.
 
Un attimo dopo siamo seduti uno di fronte all'altra a un tavolo di legno robusto, dopo esserci tolti scarpe e cappotti. Il denso fumo proveniente dai barbecue riempie l'ambiente che sembra quasi "ubriaco”.
 
Di solito non frequento posti tanto... caratteristici. I miei compagni di università mi invitavano spesso negli izakaya vicino all'università, ma davanti ai miei insistenti "no", presto hanno smesso di propormelo.
 
Ranma guarda appena lo scarno menù e chiede dei piatti da dividere ma prima che la cameriera vada via, ci ripensa e la richiama.
 
-E anche del sake caldo.- chiede come se niente fosse.
 
-Sake?- mi domando a disagio e lui mi osserva tra il curioso e il sorpreso.
 
-Non ti piace?- chiede con la solita aria sarcastica, mentre arriva la nostra bevanda e la cameriera va via lasciando sul tavolo una bottiglietta di ceramica bianca e due piattini minuscoli.
 
-N-non è questo.- nego, mentre lui si serve un primo sorso. -Di solito non bevo.
 
-Ah, sei astemia?
 
-Non esattamente... non ho mai assaggiato un alcolico.
 
Alza un sopracciglio come se non credesse affatto a quello che ha appena sentito ma proprio in quel momento la cameriera irrompe nella nostra silenziosa impasse e lascia sul tavolo un paio di piatti dal contenuto appetitoso.
 
Mi schiarisco la gola e prendo le mie bacchette per assaggiare un boccone di pollo. Quando il ragazzo con il codino finalmente torna in sé e reagisce, versa il liquore nel piattino di fronte a me e mi guarda con aria impaziente.
 
-Vuoi farmi ubriacare?- dico con timore, mentre mastico il miglior pollo croccante che abbia mai assaggiato in vita mia. Devo dire a Kasumi di cercare la ricetta.
 
-Ma davvero non hai mai bevuto? Pensavo che studiassi all'università.
 
-Idiota! Pensi che tutti gli studenti siano una massa di irresponsabili che passano di festa in festa?
 
Sembra pensarci su un attimo, poi risponde.
 
-Sì.- annuisce, portandosi alla bocca un pezzo enorme di carne.
 
-Uhmpf!- faccio una smorfia ed evito di guardarlo, non sono disposta a fare il suo gioco.
 
-Forse non ti invitano alle feste? Sei così poco famosa?
 
-Smettila una buona volta!- esclamo, iniziando ad essere davvero stanca di questa sua curiosa abilità di ficcare il naso nei fatti miei. La cosa peggiore di tutte è che ha fatto centro anche stavolta.
 
-Ah... allora è così?- sottolinea con aria intrigante e io lo guardo furiosa, prendo il bicchiere di liquore e lo butto giù in un unico sorso per poi sbatterlo con un colpo secco sul tavolo.
 
-Soddisfatto?
 
-Non devi bere per impressionarmi.- dice mentre anche lui si porta il piattino di liquore alle labbra e ne beve un piccolo sorso.
 
-Non voglio impressionarti, voglio che chiudi quella boccaccia e la smetti di mettere il naso nelle mie faccende. Non fai altro che chiedere e offendere, mentre io non so quasi niente di te.
 
Mi vergogno tremendamente del mio improvviso discorso e non posso fare altro che fissare l'okonomiyaki che ci hanno appena servito. Ne assaggio un boccone e lo mastico automaticamente, poi afferro la piccola brocca piena di sake caldo cercando di ritrovare un po' del mio coraggio andato in fumo.
 
Ranma si schiarisce la gola e io sollevo lo sguardo, attenta.
 
-Mi ha cresciuto mio padre.- dice, mentre un leggero rossore colora le sue guance, poi prende fiato e continua a raccontare. –Quando avevo appena un anno ha fatto una strana promessa a mia madre, cioè che saremmo tornati a casa solo quando avrebbe fatto di me un vero uomo. Così iniziammo a viaggiare, girando in lungo e in largo tutta l'Asia, sempre allenandoci, cercando sfide e apprendendo nuove tecniche... così sono diventato un artista marziale. Ma durante il nostro ultimo viaggio in Cina... -mi guarda con diffidenza e scuote la testa. -... abbiamo avuto un "incidente" che ha complicato tutto. In breve, ho conosciuto mia madre solo un paio di anni fa, quando siamo riusciti a risolvere questo problema.
 
-Problema?- ripeto, curiosa.
 
-È una storia troppo lunga e assurda da raccontare, non ci crederesti mai.
 
-Quindi anche tu hai sentito molto la sua mancanza.- rifletto senza poter evitare di commuovermi. Ranma si sta sforzando molto per aprirsi un po'. L'egocentrico, lo spaccone e il presuntuoso mi sta parlando della sua vita, una vita non di certo facile.
 
-Sì, ma ancora oggi siamo un po' distanti, lei cerca di proteggermi sempre dai problemi in cui mi ficca mio padre e io... ecco, io cerco di non coinvolgerla in tutti i miei casini.
 
-Penso che sappia difendersi da sola.- sorrido al ricordo della magnifica katana appoggiata alla parete della cucina.
 
-Discende da un'antica famiglia di samurai.
 
-Deve essere stato strano incontrare tua madre dopo tanti anni.
 
-Non dire così, è imbarazzante.- risponde, finendo l'ultimo sorso di sake e riempiendo di nuovo i bicchieri vuoti. Io sorrido e sento il piacevole calore del liquore che inizia a farmi effetto. Mi sento rilassata, sono tranquilla... da quanto tempo non mi sento così? Senza quello strano peso alla bocca dello stomaco? Senza l'incertezza del domani che mi impedisce di dormire o mangiare?
 
-Io darei qualsiasi cosa per rivedere la mia, per poter parlare con lei e raccontarle che sto per sposarmi, che lascio gli studi e che andrò a vivere lontano da casa. Mi piacerebbe tanto sapere quello che pensa... se è... orgogliosa di me.
 
Cerco di trattenere le lacrime, davvero ci provo, non so come diavolo siamo arrivati a questo punto. Forse la colpa è di tutti i ricordi di quella spiaggia dove per tanti anni abbiamo trascorso l'estate o la zona in cui abita la mia famiglia materna, non lo so, so solo che ho bisogno di lei, che per la prima volta in tanti anni l'angoscia per la sua perdita mi opprime il cuore.
 
Ranma spinge il piattino pieno di sake verso di me.
 
-Bevi.- dice con disarmante semplicità. –Forse gli studenti universitari lo fanno per divertirsi ma il sake serve anche a scacciare la tristezza.
 
-Non hai proprio nient'altro da suggerirmi?- gli rispondo stizzita, portandomi di nuovo il liquore alle labbra. Anche lui solleva il suo ed entrambi lo buttiamo giù tutto d'un fiato.
 
Un'ora dopo mi sento così stordita che a stento riesco a mettere in fila qualche parola di senso compiuto. Ranma si alza per andare a pagare il conto ma io mi rimetto in piedi barcollando e lo blocco. Devo restare ferma alcuni secondi perché il pavimento smetta di muoversi.
 
-Pago iooh, ti devvo ancora 5000 yeeeen.- dico stendendo tutte le dita di una mano e se non ho sbagliato a contare, devo dire che sì, ho cinque dita, quindi sono lucida. Lui mi guarda dalla sua altezza e sorride leggermente.
 
-Lascia stare, è meglio che sia io a pagare e andiamo a cercare un albergo.- risponde e io mi arrabbio perché sono consapevole del fatto che lui non abbia la bocca impastata come la mia, maledetto disgraziato!
 
-Noooo, paggo ioooo.- ribatto, cocciuta, iniziando a cercare il mio portafoglio, nascosto in qualche angolo sconosciuto di questa gigantesca borsa. Tocco nervosamente le tasche del mio cappotto quando finalmente mi invade una certezza. –Non ssccc'èèè!
 
-Ci penso io.- insiste, spostandomi delicatamente a un lato e finendo di pagare il conto.
 
-Non capissshii, non riesshco a trovarlo nella mia borsha! Me l’hanno rubatoo!
 
-Non l'avrai mica perso?- dice, tornando accanto a me e facendomi uscire dal locale. Il freddo mi colpisce immediatamente e rinsavisco un po', tirando le somme del mio ragionamento contorto.
 
-È shtato quell'uomo! Il tipo del rishtorante di maffioshi!
 
-Ti hanno rubato là il portafoglio? Di certo non me ne stupirei...
 
-Noooo, è shtato l'uomo calvo con gli occhiali... lui mi ha borssheggiato.- termino prima che un'idea improvvisa attraversi la mia mente. Appena qualche metro più avanti si estende la spiaggia e il mare oscuro mi aspetta in lontananza.
 
-Che cosa hai detto?- chiede alterato, ma per chissà quale motivo la sua voce mi arriva da molto lontano.
 
Non sento più freddo, anzi, il cappotto sembra soffocarmi.
 
-Vieni, andiamo a camminareee sshulla sshaabbia!- esclamo mentre corro in direzione della spiaggia e, a metà percorso, abbandono i miei stivali e sento finalmente la sabbia fresca sulle dita dei piedi.
 
-Sei impazzita?- urla Ranma correndo dietro di me e io rido sentendomi inafferrabile, così felice di stare qui che non riesco a pensare a nient'altro.
 
La luna illumina il mare scuro e io traccio cerchi sulla sabbia come se ballassi sulla riva, tanto allegra e spensierata che non mi accorgo affatto di essere troppo vicina all'acqua.
 
-Aaaaaaahhhhhhhhh!- urlo lamentandomi quando sento un'onda che mi colpisce, bagnandomi fino alla vita e lasciandomi gelata e paralizzata un attimo prima che una seconda onda mi colpisca nuovamente.
 
-Ma sei scema?!- esclama il ragazzo con il codino raggiungendomi visibilmente furioso e prendendomi in braccio. Istintivamente mi aggrappo al suo collo.
 
-Cazzo!- Ecco, anche lui si è bagnato, io inizio a ridere più forte guardando la sua faccia arrabbiata e lui mi risponde infuriato.
 
-Non ci trovo un bel niente da ridere!- dice e con movimenti esperti mi solleva senza il minimo sforzo e mi sistema sulla sua spalla come se fossi un sacco di patate.
 
Torna sui suoi passi e recupera i miei stivali abbandonati accanto alla mia borsa, che mette sull'altra spalla.

-Adesso so perché non bevi! Non reggi per niente l'alcol!


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-Lassshaamiii, posshho camminareee!
 
-No! Non riesci neanche a rimanere asciutta, figuriamoci se puoi camminare!
 
Vedo l'edificio avvicinarsi a tutta velocità sopra la mia testa mentre i vestiti inzuppati mi si incollano addosso e sento la dura spalla dell'artista marziale conficcata nel mio stomaco.
 
Sono vagamente cosciente di quello che accade intorno a me, però riesco a rendermi conto che entriamo in un luogo comodo e caldo. Finalmente non avverto più la pressione sullo stomaco e sento le sue mani grandi che mi poggiano su una superficie morbida.
 
Lui continua a parlare, sembra molto arrabbiato, ma io riesco a malapena a tenere gli occhi aperti.
 
Alla fine mi lascio vincere dal sonno.

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Note

* Tipico prodotto dolciario da forno giapponese.
** Izakaya (居酒屋) è un termine giapponese composto dalle parole "i" (sedersi), saka (sake) e ya (negozio) è un tipico locale giapponese, che vende bevande accompagnate da cibo.
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NdA: Ciao a tutti!
Questo capitolo lo vedo un po’ come l’inizio vero e proprio della fan fiction perché è proprio adesso che il loro rapporto inizia a farsi un po’ più profondo e rappresenta le fondamenta delle vicende successive. Ringrazio come al solito tutti coloro che seguono la mia storia!
 
LUM
 
NdT: Ciao anche da parte mia! Spero di non aver tardato troppo con la pubblicazione di questo capitolo e che l’abbiate apprezzato. Ringrazio anche io i lettori, i lettori silenziosi, chi mette la storia tra le seguite e le preferite e soprattutto chi lascia una recensione. L’autrice è sempre felice di riceverne (ovvio eheh)!
Un saluto e ringraziamento particolare va a LadyChiara93 che è stata così gentile da darmi una mano a tradurre dall'italiano le recensioni da inviare a Lum. Grazie carissima, anche per tutti i complimenti (troppi!) che fai anche a me oltre alla bravissima LumLum. La fanart tragicomica di questo capitolo la dedico a te!
Un abbraccio circolare anche alle mie amate Ladies <3
Al prossimo capitolo!
Spirit99
 
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Capitolo 8
*** Capitolo 8. Mercoledì 20 ***


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Quince días
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Capitolo 8: Mercoledì 20
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Ranma
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La testa mi fa malissimo e sembra scoppiarmi.
Mi sveglio e apro gli occhi, la luce del sole mi fa contrarre le pupille e ripenso a quello che è successo ieri sera... ho bevuto così tanto? Non mi ricordo affatto, inoltre di solito riesco a controllarmi molto bene quando bevo.
Ricordo di essermi caricato in spalla quella stupida di Akane tutta inzuppata e di essere arrivato con lei fino alla camera e dopo... cosa è successo dopo? Ah sì, le ho detto di togliersi la roba bagnata e quell'ingenua si è addormentata... come un sasso! Ma quanto dorme questa donna!!
-Mmmhh.
Un momento, che diavolo è stato? Mi muovo nel futon e mi accorgo di essermi sdraiato a torso nudo, con addosso solo un paio di boxer... mi gratto la testa cercando di capire da dove arrivi quel suono ma non vedo niente, no, sono solo nella stanza.
Lascio andare il fiato che stavo trattenendo e mi do del paranoico, finché non sento qualcosa che si muove sotto la coperta pesante.
Ok, questo non posso averlo immaginato. Nella maniera più assoluta.
Lentamente e sentendomi invadere dal terrore, sollevo del tutto la coperta e scorgo la sagoma di una ragazza, che dico... di mia moglie.

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Akane dorme tranquilla, così placidamente che non sembra sapere dove si trovi o meglio, con chi. Anche lei ha addosso solo indumenti intimi e il calore del futon (oltre all'eccesso di sake di ieri sera) sembra cullarla così bene che sarebbe un peccato svegliarla.
Che diavolo ho fatto?
Pensa Ranma Saotome, pensa! Cosa è successo ieri sera?
Si è addormentata con i vestiti bagnati e io... io ho pensato che si sarebbe raffreddata e l'ho aiutata a spogliarsi, non è andata così? E allora che diavolo ci faccio nel suo letto?
Un momento, ricordo che siamo arrivati piuttosto tardi ed era rimasta solo una camera libera, sì, ecco com'è andata! Anche io mi sono svestito e mi sono addormentato di sasso, devo aver bevuto più di quanto pensassi.
La guardo fugacemente un'altra volta. Dorme su un fianco e i suoi seni premono l'uno contro l'altro a causa della forza di gravità, tanto che sembrano straripare dal reggiseno. Dovrei smetterla di dirle che è piatta... arrossisco e scuoto la testa, lascio ricadere la coperta mentre mi do un paio di schiaffi in faccia, cercando di allontanare pensieri proibiti dalla mia mente.
Riprende a muoversi e questa volta urta contro il mio torace, si rannicchia su di me in maniera adorabile e sento che la mia testa va in fumo come una teiera in ebollizione.
Devo. Uscire. Da. Qui.
Ora.
La allontano da me senza pensare a dove metto le mani, perché se si sveglia sono morto. Quando mi è venuta in mente la malsana idea di dormire insieme a lei nello stesso futon? Stanotte sono impazzito del tutto? Immediatamente mi balza in testa un altro timore più preoccupante.
Non è successo niente tra noi... vero? No! Certo che no! Se così fosse lo ricorderei di sicuro, abbiamo solo dormito. Nient'altro! Cerco di tranquillizzarmi mentre cerco di allontanarmi silenziosamente dalla morbida superficie ma quando Akane non avverte più il mio calore, reagisce.
Proprio come nei film dell'orrore, quando gli zombie emergono dritti dalla tomba, si solleva di colpo, con i bei capelli in disordine, e resta ferma. Poi apre gli occhi a poco a poco, gira la testa e mi vede.
Deglutisco pesantemente a vuoto.
-Bu-buongiorno!- dico, incapace di fare altro.
Sbatte le palpebre, poi spalanca gli occhi come se avesse ricevuto un ceffone. Guarda il mio petto nudo con aria incredula, ma la sua espressione peggiora decisamente quando nota che anche lei non indossa nient'altro che un reggiseno e un paio di minuscoli slip bianchi con disegnini di fragole.
Immediatamente si copre il petto scoperto con il futon e le sue labbra iniziano a muoversi come se fosse terrorizzata dall'idea di mettere insieme le parole giuste, proprio come sta succedendo a me. Quando i suoi occhi si riempiono di lacrime inizio a spaventarmi.
-N-non mi sono approfittato di te se è quello che stai pensando!- mi scuso, leggendole il pensiero. –Si tratta di un malinteso!
Ma i suoi occhi vitrei e fissi nei miei, uniti al suo silenzio, non fanno che alimentare il mio disagio.
-Era rimasta solo una camera e tu eri così ubriaca che non ti sei tolta neanche i vestiti bagnati, così io...
Mi guarda spaventata. Dì qualcosa per favore, qualsiasi cosa, non sopporto il tuo silenzio.
-Ahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh!
Dopo essere diventato mezzo sordo, mi alzo in fretta e furia e riesco a stento a raccogliere la mia roba e uscire dalla stanza.
Sbuffo affannato mentre l'urlo disumano prosegue alle mie spalle.
Una coppia di anziani nella camera accanto si affaccia alla porta. Io sorrido e li saluto con la mano, ancora in mutande.
-S-siamo sposati da poco...- dico, a mo' di scusa.
Gli anziani sorridono, annuiscono e richiudono la porta. Mi appoggio alla parete e mi lascio cadere al suolo. Ma che mi succede? Cos'è questa "sensazione" che mi serra la gola?
Mi infilo i pantaloni ormai asciutti nel bel mezzo del corridoio, davanti a tutti i curiosi presenti nell'albergo, e finisco di vestirmi. Poi mi volto e guardo la porta con aria pensierosa... per lo meno ha smesso di urlare.
La cosa migliore che possa fare è cercare un bagno pubblico per liberarmi dai resti di sabbia della spiaggia e poi comprare qualcosa per fare colazione. Per ora sarà meglio lasciarla da sola.
Più di un'ora dopo rientro in albergo e noto che entro pochi minuti dobbiamo lasciare la camera. Mi avvicino alla porta e la guardo con la stessa convinzione che avevo il primo giorno, cioè nessuna.
Busso timidamente con una mano mentre con l'altra mantengo le uniche cose che sono riuscito a trovare per scusarmi: un paio di brioche e un caffè nero. Senza zucchero. Proprio come piace a lei.
Il cuore mi va a mille all'ora e sono un fascio di nervi. Non è la prima volta che mi trovo nella scomoda situazione di svegliarmi con una sconosciuta, ma lei non è proprio una sconosciuta...
Senza pensare ad altro, attendo impaziente che decida di aprire la porta. Non ottengo risposta, così giro la maniglia pensando di entrare, ma ricordo la vertiginosa immagine di Akane che esce dalla doccia con il suo striminzito asciugamano annodato al petto e ci ripenso. Non voglio morire così giovane.
Insisto di nuovo e proprio allora la porta si apre quel tanto che basta per scorgere i suoi occhi castani accusatori dall'altro lato.
-Ho p-portato il caffè.- balbetto come un emerito idiota, in un attimo catapultato indietro nel tempo alla mia prima adolescenza.
Lei mi guarda sospettosa, apre del tutto la porta e vedo l'adorabile colore roseo che ricopre il suo volto, non mi guarda negli occhi, prende il caffè e mi dà le spalle. Entro nella camera e chiudo la porta alle mie spalle.
Il silenzio è così teso che mi costa fatica persino respirare. Cerco un argomento di conservazione neutro che non mi faccia pensare più all'immagine di lei seminuda, del suo viso arrossato, della maledetta e deliziosa fragranza di quel profumo che minaccia di farmi impazzire.
All'improvviso, un ricordo della sera prima si fa spazio nella mia mente.
-Ieri sera...- inizio e lei sussulta mentre stringe il bicchiere di carta con mani tremanti, mi guarda con un'aria così spaventata che non ho mai visto prima in una donna -... hai detto che un uomo ti ha rubato il portafogli.- concludo e posso vedere il sollievo e un po' di delusione sul suo volto... forse si aspettava altre scuse? Come se dovessi fargliele io dopo essere stato cacciato a calci dalla camera!
-Sì.- pronuncia in maniera appena percettibile. –Credo sia stato un tipo che mi ha urtato per strada.
-Potresti descriverlo?- chiedo, temendo la conferma dei miei sospetti.
-Era... robusto, con spalle larghe e braccia forti, anche se non molto alto. Aveva gli occhiali e una specie di fazzoletto in testa, forse perché era calvo.
Chiudo gli occhi sentendomi invadere da una furia immensa, perché le sue parole confermano tutto. Digrigno i denti sapendo già che l'unica cosa che otterrò sarà un grande mal di testa.
-Era mio padre.- dico senza ombra di dubbio e lei alza lo sguardo incrociando gli occhi con i miei, stupita.
-Come?
-Non ho dubbi, era lui. Quel maledetto mi ha intrattenuto quanto basta per scappare sotto il nostro naso!
-Non può essere! Davvero quel tipo era tuo padre? Dobbiamo andare a cercarlo!- esclama con urgenza mentre io incrocio le braccia, pensieroso.
-Se ieri era in città non può essere andato molto lontano... però quello che più mi preoccupa non è questo.- penso a voce alta e lei mi osserva con curiosità. -La cosa strana è che ti ha rubato il portafogli. Pensaci, perché l'avrebbe fatto? Non sei di certo uno dei suoi soliti obiettivi, chiunque guardandoti direbbe che non hai con te molto denaro.
-Ehi!- risponde chiaramente offesa, ma io sorrido internamente mentre continuo a riflettere.
-Ti ha borseggiato sicuramente perché è disperato, cioè non ha niente. Quindi possiamo dedurre che neanche qui ha trovato qualcuno disposto a comprare la sua merce e dobbiamo sperare che abbia ancora con sé quello che ha rubato a Kuno.
-Vuoi dire che cercherà di venderlo altrove?
-Voglio dire che sta facendo molta fatica a trovare qualcuno che lo voglia.
-E che significa?- chiede di nuovo, sembra che abbia dimenticato momentaneamente i suoi timori iniziali ed è completamente presa dalle mie parole, pende da ogni mio gesto.
-Niente di particolare.- rispondo, facendo spallucce -Però dobbiamo seguirlo.
-Dobbiamo spostarci ancora? –ammette con un tono leggermente stanco.
-Che ti aspettavi che fosse tutto questo? Un'escursione di piacere con tappe in hotel a 5 stelle?
-Speravo di risolvere la questione con tuo padre in meno di un paio di giorni.—dice, mentre incrocia le braccia. Ecco, questo piglio mi piace di più. Da guerriera. Sollevo un sopracciglio cercando di non far trapelare neanche un briciolo dell'emozione che provo nel discutere con lei.
-Mio padre è un furfante navigato, da anni riesce a farla franca con investigatori privati, polizia e creditori. Non spererai mica che un'ingenua come te riesca a metterlo nel sacco tanto facilmente!
-Ingenua?
-Non ti sei neanche accorta che ti ha rubato il portafogli.
Arde di pura ira e il suo leggero rossore diventa un rosso violento che nasce dal suo orgoglio ferito.
-Non sono affatto un'ingenua!- urla e si alza in piedi cercando di colpirmi, ma io mi piego su un fianco schivando il pugno. Un secondo colpo parte dal suo braccio sinistro e ripeto il movimento nell'altro senso. -E stai fermo!- urla furiosa, lanciando un calcio in aria mentre salto contro una delle pareti, è troppo facile...
-Così puoi colpirmi? Preferisco di no.- dico mentre le faccio la linguaccia, cosa che la fa infuriare ancora di più.
-Stupido! Pervertito!
-Non sono affatto un pervertito!- ribatto piantandomi di fronte a lei, decisamente contrariato. Akane risponde stringendo i pugni e noto la furia selvaggia che brilla nei suoi occhi castani, minacciando di piangere di rabbia.
-Quanto hai visto?- attacca, ma questa volta solo verbalmente.
-Q-quanto dici...?- rispondo nervoso, giocherellando con le dita.
-Ti sto chiedendo se stavi guardando!- urla rossa di vergogna e le mie guance non tardano a diventare dello stesso colore.
-Guardare cosa?
-Me, idiota!
-E chi mai vorrebbe guardare un seno così piccolo? Piantala di essere così presuntuosa e inizia ad allenarti di più! Hai le gambe mosce e il sedere flaccido!- mi accorgo troppo tardi delle parole che sono uscite dalla mia bocca. -Ops...
La vedo tremare dalla testa ai piedi.
Qualche istante dopo sono all'ingresso dell'albergo con cinque dita stampate sulla faccia che bruciano come le fiamme dell'inferno.
Stupido maschiaccio...
Akane finalmente esce con la sua borsa in spalla e stirando le braccia, come se il colpo avesse fatto più male a lei che a me. La guardo offeso e lei si volta, anche se sembra essere di umore migliore nonostante tutto. Forse aveva solo bisogno di sfogarsi?
-Dove andiamo stavolta?- chiede senza guardarmi, posando gli occhi in un punto molto lontano.
-Dovremmo spostarci verso sud, perché se mio padre ha ancora quello che ha rubato a Kuno è chiaro che solo in grandi città può sperare di venderlo. Penso che si sia diretto a Tokyo.
-Tokyo...- ripete perdendo la sicurezza che sembrava avere solo un attimo fa. Certo, lei abita a Tokyo, forse non vuole tornare a casa finché non è sicura di aver risolto tutto, forse... non vuole che io incroci, neanche per sbaglio, il suo custode di pini.
-Sai già che non è necessario che tu venga con me.- replico, sentendo qualcosa di strano dentro di me, una punta di frustrazione o non so cosa.
-Non penso di lasciarti solo, di sicuro fuggiresti con il denaro e non verrei a sapere più niente di te.
-Oh, per chi mi hai preso? Io non sono come mio padre!
-Davvero? Non ne sono tanto sicura... sai che la calvizie è ereditaria?
-Cosa?!- urlo toccando la mia adorata e lunga treccia nera. In quel momento lei tira fuori la lingua per prendermi in giro. Maledetta...
Borbotto da solo e inizio a camminare. Alcuni minuti dopo ci ritroviamo alla stessa fermata degli autobus di ieri.
Il ricordo di quell'auto che si avvicina a lei a tutta velocità mi fa rabbrividire... come può essere così distratta da non vedere dove mette i piedi? La guardo di traverso mentre lei è tutta presa dal mare, lo osserva come se volesse salutarlo.
Finalmente arriva il nostro autobus. Un nuovo viaggio, lungo e scomodo, alla ricerca di quel fuggitivo di mio padre. Sospiro pesantemente e riluttante, anche se non più di lei. Non so chi dei due sia più stanco di dormire male sugli autobus e arrivare a destinazione con il torcicollo.
Sale per prima e mi guarda frettolosamente, io intuisco subito quello che vuole dirmi, cioè che non ha in tasca un misero yen neanche per pagarsi il biglietto.
-Ci penso io.- dico, mentre lei mi guarda un po' colpevole e un po' grata. Stupida, qui l'unico colpevole delle tue disgrazie sono io, non fare quella faccia.
Prende posto in una delle file finali e io mi sposto un po' più dietro. Non è che non voglia sedermi accanto a lei... è solo che continuo a sentirmi a disagio e quello che è successo stamattina non mi aiuta affatto. Ho bisogno semplicemente di un po' di tempo per pensare con chiarezza e stare accanto a lei non mi aiuta per niente. Inoltre, non ci sediamo mai tanto vicini.
Incrocio le braccia mentre la tengo d'occhio dalla mia posizione. Un attimo dopo vedo un completo sconosciuto occupare il posto accanto a lei, anche se l'autobus è praticamente vuoto.
Sollevo un sopracciglio. Qualcosa dentro di me prende fuoco, come se mi avessero appena colpito con un cocktail di molotov. Stringo i pugni e sprofondo nel mio sedile, senza perderli d'occhio. Vedo chiaramente che iniziano a parlare, lei che annuisce ad alcune parole di lui, il braccio di questo tizio che si poggia strategicamente sul poggiatesta aspettando il momento giusto per lasciarlo cadere sulle sue spalle delicate.
-Levati da qui.- non mi sono neanche reso conto di essermi alzato e avvicinato a loro, so solo che ora sono qui piantato con una rabbia addosso che non riesco a spiegare.
Entrambi mi guardano, Akane con gli occhi spalancati, incredula proprio come me. Ma tutta la mia attenzione è concentrata sul tipo molesto che sta seduto accanto a lei e che, a quanto pare, ho interrotto mentre stava per sfoggiare tutte le sue scarse doti di gran seduttore.
-Qualcosa non va?-dice con una tranquillità che non fa che aumentare la mia rabbia.
-Sì, stai importunando mia moglie.
Ehi, ma sono stato io a dirlo? Akane è impallidita, il tipo inizia a balbettare delle scuse prima di alzarsi velocemente e sedersi dall'altro lato dell'autobus.
Lo guardo scappare con la coda tra le gambe, orgoglioso di me stesso, ma non so che ora mi aspetta la parte più difficile. Mi schiarisco la voce prima di sedermi accanto a lei (non voglio che la cosa si ripeta) e il suo sguardo fisso inizia a innervosirmi.
-Perché l'hai fatto?- chiede, io guardo da un'altra parte, schivo.
-Non mi piacciono i tipi viscidi.
-Ed era necessario dirlo?
-Dire cosa?
-Che sono tua... cioè che noi s-siamo...
-Era la cosa più semplice.- rispondo incrociando le braccia e guardando davanti a me. Poi fingo di avere sonno e chiudo gli occhi.
-Oh sì, beato te che riesci a dormire, io ho un mal di testa tremendo.
-Si chiamano "postumi della sbornia".- apro un occhio e guardo di nuovo il suo volto. Si vede che non sta molto bene, ha anche un po' di occhiaie.
-Grandioso, i miei primi "postumi della sbornia" con tutte le ore di viaggio che mi aspettano.- si stringe su se stessa e un pensiero repentino mi passa per la mente.
-Se vuoi, puoi... sai... appoggiarti alla mia spalla per dormire.
-Come?
Lo ammetto, anche io sono sorpreso quanto te per quello che è appena uscito dalla mia bocca.
-E come mai tanta gentilezza? Hai battuto la testa per caso?
-Sì, penso che devi avermi dato un colpo in testa mentre dormivi, ti muovi come un gorilla nel letto.
-Ritira quello che hai detto!
-Altrimenti? Mi picchi ancora?
-Sssshhhh!- Un uomo di mezza età che si trova alcuni posti più avanti ci zittisce scocciato e la vedo mordersi la lingua e sforzarsi come può per restare zitta al suo posto.
-Avanti, dormi e fai la brava bambina per una volta.—le dico con aria ironica, avvertendo di nuovo quel formicolio così familiare quando vedo la sua faccia arrabbiata.
-Quando scendiamo da questo rottame ti faccio vedere io.- sussurra, dandosi per vinta e appoggiandosi allo schienale del suo sedile, mentre io faccio un sorrisetto e recupero il buonumore.
Quando l'autobus si ferma del tutto mi rendo conto di avere fame. Akane si sveglia dal suo lungo pisolino e sbadiglia assonnata... ha passato la metà del viaggio lottando nel dormiveglia per non cedere ma alla fine si è poggiata proprio sulla mia spalla sinistra.
Beh, non posso dire che mi dia fastidio dato che sono stato io a dirle che poteva appoggiarsi.
-Siamo già arrivati?
-Così pare, eccoci a Tokyo.
-Che strano essere di nuovo a casa e non poter neanche rivedere le mie sorelle.- riflette, e io non posso fare a meno di pensare che dovrebbe essere più ansiosa di rivedere il cerca-funghi invece della sua famiglia... ma da quando sono così contorto?
-Hai fame? Conosco un posticino vicino alla stazione.
Quello che ho appena detto pare attirare la sua attenzione e devo dire che non pensavo che le ragazze mangiassero tanto. Faccio un sorrisetto, per fortuna ho molte conoscenze nella capitale e conosco un posto in cui non devo pagare mai quello che mangio.
-Davvero è questo il posto di cui parlavi?- dice davanti alla porta, guardando la famosa insegna azzurra con lettere bianche. -I ristoranti Kuonji sono conosciuti in tutto il mondo! Sono una catena di livello nazionale se per caso non lo sapessi.-dice guadandomi con aria ironica, forse pensa che io sia un provinciale.
-Tsk, guarda e impara.- rispondo, disposto a darle una grande lezione di umiltà.
Entriamo nel locale e subito ci fanno sedere a tavolo vicino a una grande finestra da dove possiamo ammirare un bel parco con tanti alberi e panchine.
Akane si ferma a guardare un punto fisso fuori dal locale.
-Hai visto quel cane? Che carino!- dice mentre l'animale la guarda con la lingua penzoloni e gli occhi spalancati dall'altro lato del vetro, seduto con fare obbediente.
-Quel cane...- rifletto pensieroso, sono sicuro di averlo già visto da qualche parte.
-Buonasera, cosa desiderate ordinare?- mi giro come un fulmine perché questa voce è inconfondibile.
-Ryoga!- esclamo alla vista del mio amico/nemico agghindato con maglia e grembiule da cameriere e un taccuino per annotare le ordinazioni.
-Ranma! Che fai qui?-dice, sembra persino più sorpreso di me.
-Stavo per farti la stessa domanda... stai ancora lavorando qui?
Akane ci guarda entrambi, attenta alla conversazione.
Ryoga sospira infastidito.
-Il fatto è che devo ancora dei soldi a Ukyo per quello che è successo l'altra volta.
-Non è possibile, è passato più di un anno! Io l'ho ripagata dopo neanche due mesi di lavoro.
-Sì beh... è che ci sono stati degli inconvenienti.- dice grattandosi la testa con la penna per appuntare le ordinazioni.
-Ti sei perso,vero?
Cade il silenzio e Ryoga inizia a tremare di pura ira e spezza in due la penna.
-Chi aveva avuto la magnifica idea di mandarmi a fare la spesa?
-Sempre senza alcun senso dell'orientamento! La povera U-chan non riavrà mai il suo denaro anche se dovessi lavorare vent'anni, a meno che non ti leghi con una corda alla porta del ristorante.
-Ranma!- urla afferrandomi per il collo della camicia e iniziando a scuotermi. –Tutto questo è successo per colpa tua! Avevi iniziato tu a provocarmi e se non fosse stato per te ora non sarei bloccato qui!
-Invece eri stato tu a iniziare!- dico prendendolo per la pettorina del grembiule e alzandomi, più che disposto a tenergli testa.
-E-ehm...
Entrambi ci voltiamo appena sentiamo Akane schiarirsi la voce. Molti dei commensali ci stanno guardando ed è chiaro che stiamo dando spettacolo.
Proprio in quel momento gli occhi di Ryoga si posano su di lei per la prima volta.
Ci lasciamo nello stesso istante e Ryoga si risistema il grembiule mentre io faccio altrettanto con la casacca e lo guardo con diffidenza mentre sorride come un idiota e si presenta.
-Ryoga Hibiki, lieto di conoscerti.- dice, inchinandosi educatamente.
-Akane Tendo.- risponde lei immediatamente e non mi passa inosservata la sua voce diventata più acuta di un'ottava, quasi dolce. Sarà questo il tono di voce che usa quando parla con qualcuno che non sia io?
Dopo pochi minuti stiamo divorando un paio di okonomiyaki e chissà come mai Akane ha una razione doppia di gamberetti. Mastica lentamente mentre Ryoga passa da un lato all'altro del locale per accogliere i clienti e si avvicina troppo spesso al nostro tavolo.
-E... chi è questa U-chan?- chiede come se la cosa non le interessi, guardando di nuovo il cane oltre la finestra che continua ad annusare qualsiasi cosa nel parco.
-La proprietaria.
-La proprietaria di questo ristorante?- chiede sorpresa.
-No, la proprietaria della catena, Ukyo Kuonji.
La sua faccia sorpresa non ha prezzo, dovrei dirle di chiudere la bocca perché da qui vedo ancora i resti dell'okonomiyaki mezzo masticato. Non riesco a trattenere una grossa risata che la fa arrossire di pura vergogna.
-Conosci Ukyo Kuonji? E come?- non so se continuare a ridere o sentirmi offeso per tutta questa sorpresa che dimostra.
-Io e U-chan siamo amici di infanzia, la conosco da quando viaggiava insieme a suo padre con un carretto di okonomiyaki. Entrambi abbiamo due padri abbastanza irresponsabili.
-Ah.- dice mentre posa le bacchette sul piatto e all'improvviso mi sembra un po' indifferente a quello che sto raccontando. -Potrebbe essere una buona candidata.
-Per cosa?- chiedo, bevendo un po' d'acqua.
-Per sposarsi con te.
Sputo immediatamente tutto il liquido e la guardo scioccato.
-Ma come ti viene in mente una cosa del genere?- dico, mentre mi asciugo la bocca e lei guarda il panorama dalla finestra.
-Ha molto denaro e potrebbe saldare i tuoi debiti.
-Neanche un tesoro basterebbe a saziare l'avarizia di mio padre! Inoltre, sposarsi per soldi è... quanto meno deplorevole.
-L'ho vista in foto, è carina.- insiste, sto iniziando a perdere la pazienza con questa ragazza.
-Sì che lo è ma non vuol dire che mi interessi in quel senso.
-"U-chan" è una forma molto confidenziale per chiamare una persona che non ti interessa.
Sollevo un sopracciglio, non so dove voglia andare a parare con questa assurda conversazione... perché sembra così irritata? Che ho fatto stavolta?
-Va tutto bene Akane-san?- l'inopportuno Ryoga compare proprio nel momento meno indicato e lo guardo furioso, ma Akane non si muove neanche, lo sguardo fisso sulla finestra. –Ah, stai guardando Biancanera?
-Biancanera?- dice, voltandosi interessata.
-Sì, è la mia cagnolina, è l'unica in grado di riaccompagnarmi a casa ed evitare che io mi perda. Sta aspettando fuori che io finisca il turno di lavoro.
-Allora è tua?- chiede senza nascondere l'emozione nella sua voce. -Posso accarezzarla?
-Certo, le fa piacere che qualcuno giochi con lei dato che resta qui molte ore in attesa.
Akane si alza da tavola senza neanche rivolgermi mezzo sguardo né dire una parola. Mi fa davvero diventare matto.
-Ehi!- la chiamo prima che si allontani abbastanza da non sentirmi. Per qualche strano motivo sento che abbiamo discusso peggio del solito anche se nessuno dei due ha alzato la voce.
Lei si gira e i suoi occhi castani sembrano quasi in grado di fulminarmi e incenerirmi in un millesimo di secondo.
-Non paghi questa roba?- è la prima stupidaggine che mi viene in mente per far sì che mi dia un po' di attenzione. Ovvio che non pagherà niente, mio padre le ha rubato anche gli ultimi yen.
Lei arriccia le labbra e sento la sua ira che inizia a crescere a dismisura, tanto che anche Ryoga è rimasto zitto e fermo, in attesa come me. Fruga nelle tasche e, avvicinandosi a grandi falcate, torna al tavolo a cui sono ancora seduto. Mi guarda offesa un secondo prima di sbattere sul tavolo una moneta, che resta schiacciata sotto il suo sottile indice.
-Cinquanta yen, è tutto quello che ho in tasca. Se hai dubbi puoi controllare tu stesso.- dice lapidaria prima di dirigersi nuovamente verso l'uscita.
-Ehi, a-aspetta...-dico alzandomi in piedi, forse stavolta ho davvero oltrepassato ogni limite.
Quell'ultimo gesto sembra averla offesa del tutto, infila l'uscio ed esce arrabbiata come non l'ho mai vista. Mi lascio cadere sulla sedia e mi porto le dita sulle tempie... chi la capisce è bravo.
-Che le hai fatto?- chiede Ryoga.
-Cosa vuoi che ne sappia?
-Confessa, da dove l'hai tirata fuori?- dice, prendendo posto di fronte a me con impazienza, in questo momento sembra una portinaia pettegola invece di un esperto artista marziale.
-Da quando sei un ficcanaso?- sospiro, guardando la finestra e osservandola mentre accarezza felice la cagnolina, ignara di tutto. -A quanto pare siamo sposati.
Il silenzio è così lungo che riporto lo sguardo sull'eterno disperso che è in stato di shock.
-Stai scherzando!
-Magari!
-Ma... come...?
-Mio padre.- dico, stringendomi nelle spalle, con queste due parole non servono altre spiegazioni.
-E... cioè...
-È venuta a cercarmi perché si sposa con un tipo tra neanche due settimane. Divorzieremo ma prima bisogna risolvere un paio di questioni. Questo è tutto.
-"Questo" è tutto? Maledetto fortunato! È una meraviglia!- dice indicandola verso la finestra.
-Non hai sentito che ho detto? È fidanzata!
-E quindi? Fidanzata non vuol dire sposata.
-Andiamo, non hai niente di meglio da fare che rompermi? Preferisco combattere piuttosto che parlare di queste cose. Ho già un sacco di problemi.- dico con aria annoiata, ma a quanto pare la mia espressione deve essere davvero divertente per l'aspirante cameriere che ho davanti.
Ryoga sorride così tanto che posso vedere i suoi affilati canini sporgere dalle sue labbra.
-Ti piace.- afferma e sento come se un fulmine mi colpisse in pieno.
-Che dici! Neanche morto!- grido mentre colpisco con un pugno il tavolo, ma il sorriso idiota di Ryoga non si muove di un millimetro.

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-Ah no? Allora se non ti dispiace...- afferma mentre si alza e non posso evitare di afferrarlo per la spalla e bloccarlo.
-Dove credi di andare?
-Vado a invitare Akane a casa mia per una chiacchierata dopo il mio turno, di sicuro è stanca di star dietro a uno come te.
-Non pensarci neanche.
-Non posso? E che ti importa se non ti piace?- chiede e io, rendendomi conto della trappola in cui sono appena caduto, serro la mascella e faccio quello che mi riesce meglio: l'arrogante.
-Non puoi perché al momento è ancora mia moglie.
-La stai prendendo troppo sul serio per un matrimonio di facciata, non ti sembra?
*GUAU**GUAOFF**GGGRRRR**GUAUFF*
I latrati della cagnolina di Ryoga ci distraggono immediatamente dalla nostra piccola disputa. Guardo rapidamente attraverso il vetro e osservo un tipo poco raccomandabile che si avvicina ad Akane e all'animale. A quanto pare la sua calamita per i problemi ha ripreso a funzionare.
-E ora che altro sta succedendo?- chiedo a voce alta, prendo la moneta dalla tavola conservandola in tasca. –Ryoga metti tutto sul mio conto.
-Che conto? Lo sai che tu non paghi in nessun Kuonji, sono ordini del capo.
Entrambi ci sorridiamo complici, mi dirigo verso l'uscita quando almeno cinque uomini si alzano in piedi contemporaneamente. Guardo al di sopra della mia spalla e mi accorgo che sono circondato... ma che significa? All'improvviso mi assale un terribile presentimento... sento un urlo acuto e non ho dubbi sul fatto che si tratti di Akane.
Ryoga reagisce prima di me.
-Akane-san!- esclama mentre tenta di arrivare alla porta, ma questi tipi non sembrano avere alcuna intenzione di lasciarci andare tanto facilmente.
-Fate i bravi o la ragazza se la vedrà brutta.- dice uno di loro, il più giovane. Non so come non me ne sia accorto prima ma ha un aspetto molto fragile ed è anche un po' basso. Chiunque direbbe che sembra un ragazzino, ma questa impressione svanirebbe immediatamente osservando la sua testa rasata, gli enormi dilatatori alle orecchie e un tatuaggio gigantesco che parte dal collo e arriva fino alle sopracciglia.
Gli altri vestono in modo normale e si confondono con gli altri commensali.
Non mi piace per niente.
-Chi siete?
Nessuno risponde ma quello con il tatuaggio sorride.
-Vieni con noi e nessuno si farà male.
Non mi servono altre spiegazioni per avere conferma dell'ennesimo guaio in cui mi trovo. Ascolto Biancanera che abbaia e ringhia e il mio autocontrollo svanisce nel nulla mentre mi invade una preoccupazione irrazionale per Akane.
Devo uscire immediatamente da questo ristorante, adesso. Alle mie spalle avverto l'aura di Ryoga crescere allo stesso ritmo della mia.
-Allora, ci segui, sì?- chiede di nuovo e i miei occhi si incatenano ai suoi.
-Proprio per un cazzo!
Due di loro mi si gettano addosso contemporaneamente, schivo un pugno mentre salto all'indietro facendo una piroetta nell'aria. Per fortuna ho quel bruto di Ryoga dalla mia parte. Un tavolo salta in aria mentre i commensali urlano e si nascondono in fondo al locale.
Tutto diventa un caos assoluto quando io e il mio miglior rivale ci impegniamo in quello che sappiamo fare meglio: combattere. Ma per una volta non sarà una lotta tra noi.
Il tipo dei tatuaggi resta tranquillo e si gode lo spettacolo di pugni, grugniti e urla, tenendosi pronto per il gran finale.
Sollevo con il dorso del piede una bottiglia di vetro che si è avvicinata a me rotolando e la lancio in aria in tempo per afferrarla per il collo e sfasciarla in testa a uno di quei tipi. Mi volto attento e colpisco un altro con un calcio nel petto. Eh sì, anche io mi sto risparmiando.
Concentro tutta la mia attenzione sullo stronzo tatuato mentre Ryoga finisce di occuparsi di quei rifiuti umani. Faccio schioccare le mie dita per fargli intendere che non uscirà inerme da qui.
Mi fiondo su di lui sentendo la furia che mi scorre nelle vene e non avverto più le urla di Akane e i latrati di Biancanera. Sento il cuore stretto in una morsa mentre la paura che le succeda qualcosa di male mi colpisce in pieno. Sollevo il pugno disposto a rivoltargli quella testa piena di orrendi disegni.
Ma lui è veloce, mi schiva e tira fuori da una tasca un coltello affilato, rigirandoselo un paio di volte in mano. Abbiamo iniziato a fare sul serio.
Ci studiamo per qualche secondo e all'improvviso la porta del locale si apre e compare Akane, con il respiro agitato e i capelli corti tutti scompigliati. Un muto sospiro di sollievo sfugge dalla mia bocca appena vedo che sta bene e il mio avversario non perde tempo per approfittarsi della mia distrazione.
Indietreggia di un passo e con un abile movimento la circonda con un braccio e le punta il coltello al collo. Resto di sasso mentre lei lascia andare un gemito e trattiene il respiro.
-Adesso basta con i giochetti! Dovete seguirmi!- dice minaccioso, ma io riesco a guardare solo lei e i suoi occhi... spaventati? L'espressione di Akane è fiera e capisco che sta per fare una sciocchezza.
-Non pensarci neanche!- urlo disperato e lei si blocca prima di mettere in pratica ciò che stava pianificando.
-Non rendiamo le cose più difficili.—risponde il tatuato, senza rendersi conto che le mie parole non erano rivolte a lui.
-Pensi che non ne sia capace?- dice Akane con voce un po' nervosa e acuta. -So difendermi da sola!
-Non voglio che ti faccia del male, stupida!
Le sue labbra si dischiudono, non so se per lo stupore o per la sua risposta impulsiva e in quel preciso istante la porta del ristorante distrutto si spalanca di nuovo e compare Biancanera, i cui occhi ingenui hanno lasciato il posto alla determinazione istintiva dell'animale che assiste all'aggressione di uno dei membri del suo branco.
Non ci pensa due volte e morde ferocemente la gamba del tipo che lancia un urlo di dolore, momento in cui Akane approfitta per dargli una fortissima gomitata nelle costole (la sua specialità). Per un momento il tipo mi fa pena.
Allungo in avanti le braccia mosso da un'ansia incontenibile, un istinto di protezione che non ho mai provato prima. Lei corre verso di me e la stringo tra le braccia prima di nasconderla dietro le mie spalle.
So che è un'artista marziale, so che è indubbiamente coraggiosa e si riprenderà subito, ma quello che ha fatto quel tipo... non posso perdonarlo.
-Biancanera, qui!- ordina Ryoga e il cane gli si avvicina tra latrati e ringhi.
L'aggressore morso si rimette dritto respirando con difficoltà, guarda i suoi uomini e capisce che ha perso la battaglia. Fa un fischio ed esce dal locale con quelli che ancora possono reggersi sulle gambe, lasciando dietro di sé innumerevoli danni e un paio di corpi incoscienti a terra.
-Ukyo mi ucciderà.—sospira Ryoga guardando quello sfacelo, mentre accarezza una felice Biancanera.
-Ci credi che ha steso quel tipo nel parco da sola?- chiede Ryoga stupito mentre si siede sul divano. Ci ha offerto di passare la notte a casa sua e abbiamo accettato, soprattutto per sicurezza.
-Ha una forza bruta incredibile, il primo giorno che l'ho vista posso giurarti che ha messo KO Kuno con un solo calcio.- rispondo stiracchiandomi e sedendomi anche io.
-Kuno? Quel pazzo demente? Secondo te ha a che fare con il casino di questo pomeriggio?
-No, quei tizi non erano gli uomini di Kuno. Penso proprio che fossero yakuza.
-Sì, in effetti lo penso anche io.- annuisce.
Biancanera riposa tranquilla nella sua cuccia e, a guardarla ora, nessuno giurerebbe che sia in grado di attaccare qualcuno con il coraggio che ha mostrato oggi, aiutando Akane a difendersi. La accarezzo dietro le orecchie come per ringraziarla.
-Non so cosa stia combinando mio padre ma qualcosa mi dice che stavolta è diverso.
-Pensi che… siete in pericolo?
-Penso che chiunque abbia a che fare con lui sia sempre in pericolo.- dico, e immediatamente mi assale un brutto presentimento. –Ryoga, posso fare una telefonata?
-Certo, il telefono è in fondo al corridoio.
Mi alzo alla velocità della luce e mi lancio sul telefono, compongo un numero che conosco bene e inizio a contare gli squilli con impazienza, pregando che risponda qualcuno. Sono disposto a uccidere chiunque si sia azzardato a farle qualcosa. Sto per chiudere la chiamata in preda alla tensione quando sento la voce conosciuta in linea.
-Mamma!- esclamo con un sollievo indescrivibile.
-Ranma! Sono contenta di sentirti, questo pomeriggio ci sono stati alcuni incidenti qui.
-Mamma, sei in pericolo! Esci da casa e nasconditi in un posto sicuro.
-Stavo terminando la mia valigia, pensi che io non intuisca quando i problemi stanno per bussare alla mia porta? Ricorda che sono sposata con tuo padre.
-Non so che diavolo stia combinando stavolta ma la faccenda è seria! Hai un posto sicuro dove andare?
-Non preoccuparti figliolo, c’è un amico che mi ospita volentieri.
Sospiro sollevato, so che mia madre sa cavarsela da sola dato che lo fa da una vita intera ma non posso fare a meno di preoccuparmi.
-Per caso… non saprai qualcosa di questa storia, vero?- chiedo, cercando di non sembrare troppo sospettoso… non è corretto non fidarsi della propria madre.
Attendo tre secondi mentre lei sembra soppesare una risposta adeguata.
-Ranma, sappi che tutto quello che ho fatto nella mia vita l’ho fatto sempre pensando a te e a proteggerti.
-Che vuoi dire?
-Devo andare, la linea potrebbe non essere sicura. Stai attento, figlio mio.- e senza aggiungere altro, interrompe la comunicazione. Io resto immobile come un idiota, con troppi dubbi che mi frullano in testa.
Torno in soggiorno dove mi aspetta Ryoga e mi lascio cadere su una poltrona… devo riconoscere che i mobili in stile occidentale sono piuttosto comodi.
In quel momento la porta del bagno si apre e Akane esce indossando il suo pigiama rosa e un asciugamano in testa, osservandoci un po’ a disagio.
-Io vado a dormire, grazie per avermi offerto la tua camera Ryoga.- dice, inchinandosi educatamente prima di sparire nel corridoio.
La vedo allontanarsi e sento il solito formicolio, poi mi alzo e la seguo.
-Ehi- mi chiama il padrone di casa. – Cerca di non fare il pervertito con Akane-san.
-Devo solo restituirle una cosa.- mi giustifico senza ignorare il suo sguardo complice.
-Sì, chiamalo come vuoi.- sorride, mentre accende la televisione.
Maledetto Ryoga… faccio una smorfia e mi dirigo verso il corridoio. Quando arrivo davanti alla porta, mi schiarisco la voce e la chiamo, dando un paio di colpi sulla superficie.
-Ryoga?- chiede la sua voce dall’interno.
-Non sono Ryoga.- rispondo serrando la mascella. Come può avere tanta confidenza con un tipo che ha appena conosciuto?
Cala il silenzio e decido di prenderlo come un “sì, entra”, apro piano la porta e la trovo seduta sul letto, mentre mi fissa riluttante.
-Mi dispiace molto non essere quell’idiota.- dico mentre chiudo la porta dietro di me e lei distoglie lo sguardo, a quanto pare infastidita dalle mie parole. –Non voglio importunarti, sono venuto solo a restituirti questa.- Mi avvicino alla scrivania e poggio la moneta da cinquanta yen che mi ha dato questo pomeriggio, in modo da concludere quella stupida discussione.
Akane si alza dal letto in un lampo e prende la moneta.
-Non la voglio.- dice, lanciandola verso di me. La prendo al volo senza problemi.
-Ascolta, non so cosa ti ho fatto ma se c’è qualcosa che ti ha infastidito non hai che da dirlo.
La vedo arrossire violentemente mentre incrocia le braccia.
-Davvero non lo sai?
-Come faccio a saperlo?
-Se non te ne sei neanche accorto perché dovrei spiegartelo?!- mi urla contro mentre torna a sedersi sul letto e io mi gratto la testa.
-Ehi…
In quel momento gira il collo così rapidamente che mi spaventa. Se fosse una persona normale senza dubbio si sarebbe fatta male.
-Non sono “ehi!” né “Ascolta”, ok? Sono stufa!- esplode in preda alla collera facendo il verso alle mie parole, colpendomi in pieno. Finalmente me ne rendo conto all’improvviso.
-Ti sei arrabbiata per questo?!
Abbassa la testa a disagio, come se le fosse sfuggito un terribile segreto che avrebbe voluto portarsi nella tomba.
-Non hai pronunciato neanche una volta il mio nome.- sussurra così piano che a stento riesco a sentirla.
La osservo confuso, non lo stavo facendo per prenderla in giro o importunarla. No, è qualcosa di diverso. L’ho evitato in maniera consapevole ed egoista, cercando di mantenere una distanza invisibile, una barriera che mi proteggesse dall’autentico terrore di chiamarla senza formalità.
Anche io distolgo lo sguardo, sento le guance andarmi a fuoco.
-Quindi devo chiamarti Tendo?- chiedo, sapendo che non è questa la risposta che si aspetta, ma è quella che in questo momento mi fa comodo darle.
-Lo preferisco.- risponde, tesa.
Non mi piace, odio queste convenzioni, questa oppressione ingiustificata.
-O forse dovrei darti io stesso un nome grazioso.- aggiungo sorridente, sperando senza dubbio in una reazione energica da parte sua. Mi guarda sconvolta, la sua faccia è la rappresentazione vivente dell’indignazione.
-Non azzardarti!- mi minaccia. Bene, ho premuto il tasto giusto.
-Che ne dici di “futura consorte del guardiano di scoiattoli”?
-Sei un…- inizia a tremare mentre il mio sorriso si allarga sempre di più.
-No, troppo lungo.- rifletto a voce alta. –“ingenua violenta”?, “maschiaccio senza tette”?, “calamita per i problemi”?
-Ti uccido!- urla, alzandosi in piedi e lanciandomi il cuscino in pieno volto che non scalfisce minimamente il mio buonumore.
-Ci sono!- prendo la moneta e guardo attraverso il foro centrale il suo adorabile volto rosso di rabbia. –Da adesso sarai “Cinquanta yen”.
-Cinquanta…?- casca nello scherzo che le sto facendo.
-Non ti piace?- dico con falsa innocenza, so che la sto facendo uscire dai gangheri.
-Sei insopportabile!- esclama stringendo i pugni e io rido mentre apro la porta.
-Buonanotte, Akane.- concludo, dirigendole uno sguardo oltre la mia spalla, senza voltarmi, mentre chiudo la porta dietro di me e il silenzio ci avvolge di nuovo.
Lancio la moneta in aria e la riafferro al volo, fischietto un motivo mentre torno a far compagnia a Ryoga.
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Nota dell’autrice:
Cinquanta yen: si tratta di una moneta di poco valore (meno di 50 centesimi di dollaro). La cosa “divertente” di questa moneta è che ha un foro al centro ed è per questo che l’ho scelta. Prima dell’euro, in Spagna avevamo le pesetas e c’era una moneta da 25 pesetas con un foro centrale, molto utile soprattutto per i bambini perché potevano infilarla ai braccialetti, ai lacci delle scarpe, alle collane… in questo modo avevano sempre soldi per le gomme da masticare!
Inoltre, la moneta da cinquanta yen ha un’altra particolarità: nell’altro verso è inciso il fiore tipico del Giappone, indovinate qual è? Sì, proprio un crisantemo, ahaha! Mi sa che diventerò una feticista delle mie ff! (Nota della traduttrice: l’autrice ha scritto altre ff tra cui una intitolata “Crisantemo”).
LUM

NdT
Ciao a tutti! Mi dispiace aver tardato un po' questa volta però il capitolo è un po' più lungo (ma d'ora in avanti saranno sempre così) quindi spero sia stato gradito :-)
Ringrazio come sempre, anche a nome di Lum, chi continua a seguirci, chi ha iniziato a seguirci da poco e soprattutto chi ci onora di una recensione. Ma anche i lettori silenziosi e chi ha messo la storia tra le seguite e le preferite. Grazie di cuore!
Un ringraziamento particolare va alla dolce LadyChiara93 che mi aiuta a tradurre le recensioni. Come farei senza di te? :D Adesso ti tocca sopportarmi sempre!
Un abbraccio come al solito alle mie care Ladies che fanno parte da tempo della mia quotidianità <3 Non ringrazierò mai abbastanza questo fandom per averci fatto conoscere tutte!
Al prossimo capitolo,
Spirit99
Ps: se ci sono errori mi scuso e provvederò a correggere in seguito!

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Capitolo 9
*** Capitolo 9. Giovedì 21 ***


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Quince días
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Capitolo 9: Giovedì 21
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Akane
Proprio non ricordo il momento in cui mi sono addormentata come un sasso, anche se sono assolutamente sicura di aver sentito le voci di quei due là che hanno ciarlato fino all'alba... ma che avevano in mente? Pensavano di essere a un pigiama party?
 
Beh, di sicuro mi fa piacere sapere che Ranma può fare affidamento su amici come Ryoga, che è un ragazzo davvero speciale, educato e cortese.
 
Se quello stupido di mio marito fosse gentile almeno la metà di quanto lo sia Ryoga...
 
Mi stiracchio e mi vesto in fretta. Per fortuna ieri ho potuto lavare un po' della mia roba... è un sollievo tornare a dormire in una casa e non in un albergo di passaggio.
 
Esco dalla camera senza fare rumore e cammino in punta di piedi per la casa, per non svegliare i due addormentati. Nel soggiorno scorgo il divano e una coperta sotto la quale si intravede una sagoma voluminosa, da cui sbuca una lunga treccia che mi fa allargare le labbra in un sorriso.
 
"Buonanotte, Akane".
 
Le sue parole della sera prima mi rimbombano in testa come un tuono e non so proprio perché... ce le ho fisse nel cervello! E perché sono diventata rossa mentre il cuore mi batteva all'impazzata?
 
L'adrenalina, senza dubbio. Tante emozioni iniziano a presentarmi il conto.
 
Forse lui è abituato a tentati rapimenti o agguati improvvisi per strada... ma per me no, non è affatto normale! Tremo ancora all'idea di ricordare il tipo del parco e ora più che mai vorrei ringraziare mio padre per avermi allenato in maniera così dura.
 
Ma chi erano? E che volevano da noi? Forse erano della yakuza... e chi, altrimenti? Ricordo quello strano ragazzo con i tatuaggi e le spalle di Ranma, grandi, forti e rassicuranti...
 
Scuoto la testa in segno di diniego un paio di volte per cercare di scacciare questi pensieri dalla testa. È ora di mettersi in marcia e per ringraziare tutti preparerò un'ottima colazione.
 
Trovo la cucina e mi rimbocco le maniche, poi adocchio un grembiule e me lo lego subito in vita. Apro il frigorifero e non credo ai miei occhi: c'è solo un po' di verdura che ha visto sicuramente tempi migliori, uova scadute da settimane e un piatto che non riesco a identificare, con su un bigliettino.
 
Lo prendo con attenzione.
"Ryoga, mamma ha preparato un po' di curry. Mangialo il prima possibile".
 
Di quanti mesi fa sarà? Lascio andare un lungo sospiro... non saranno questi piccoli inconvenienti a impedirmi di preparare la migliore colazione mai vista.
 
Trovo il cuociriso, metto a scaldare l'acqua, prendo il miso, un po' di vino, poi zucchero, aceto, sale, cioccolato, alghe wakame... sì, dovrebbe bastare.
 
Inizio a darmi da fare e, concentrata come sono, non mi accorgo che il tempo passa in fretta.
 
-E questo che diavolo sarebbe?- mi volto spaventata e scopro che Ranma si è appena svegliato e sta esaminando uno dei miei piatti, ma io lo raggiungo all'istante e glielo strappo di mano.
 
-Devi aspettare un po', la colazione non è ancora pronta.
 
-Stai cucinando?- chiede, sorpreso.
 
-Sì, per ringraziare Ryoga di averci ospitato a casa sua.
 
-Beh, allora dovresti tenere d'occhio quello che stai facendo, non ti pare?- dice, indicando la pentola che bolle sul fuoco, da cui inizia a fuoriuscire parte del contenuto.
 
-Oh no! Smettila di distrarmi ed esci subito dalla cucina!- gli ordino con fermezza mentre corro verso la mia zuppa di miso e abbasso la fiamma.
 
-Va bene, va bene, come vuoi... Cinquanta yen.- conclude lui con aria di scherno mentre si allontana.
 
Sempre la stessa storia... sembra che viva per infastidirmi. A quanto pare prova una soddisfazione unica e impagabile a farmi arrabbiare. Gli faccio una linguaccia mentre è ormai di spalle, ma immaginando il suo sorriso di superiorità che odio a morte.
 
Sicuramente ieri sera mi avrà chiamato per nome solo per prendermi in giro.
 
Guardo il ripiano della cucina e finalmente il cuociriso emette il fischio caratteristico che indica il termine della cottura.
 
-Idiota- sussurro, mentre prendo un po' di verdura e inizio ad affettarla con tutte le mie forze.
 
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-Non avresti dovuto disturbarti!- dice Ryoga mentre guarda l'enorme quantità di portate sulla tavola del soggiorno. Al suo fianco, Ranma osserva un piatto di uova fritte con aria decisamente scortese.
 
-È il minimo che potessi fare per ricambiare.- rispondo con un sorriso, mentre con la coda dell'occhio fulmino con un solo sguardo il cretino con il codino.
 
-Sembra tutto molto appetitoso... da tanto tempo non mangio qualcosa di preparato in casa.- prosegue lusinghiero e io sorrido ancora, con sincerità.
 
-Dai Ryoga, sono sicura che presto incontrerai una brava ragazza che cucini per te.- rispondo, di buon umore.
 
-Beh, oggi ne ho una proprio di fronte a me.- risponde, dandomi corda con un sorriso accattivante. È indubbiamente un ragazzo adorabile.
 
-A-ehm- si schiarisce la gola Ranma, che ha smesso di analizzare meticolosamente il piatto. -Quando avete finito di flirtare potremmo parlare di cose importanti?
 
-Sei il solito idiota, stiamo solo parlando, vero Ryoga?
 
-Sì, certo...- dice con un sospiro.
 
-Inoltre, cosa hai da dire di tanto urgente? La colazione si fredda.
 
-Ieri siamo stati quasi rapiti dalla yakuza se non te ne fossi accorta. - mi risponde con aria sarcastica.
 
-Certo che me ne sono accorta, quel tipo mi ha puntato un coltello alla gola!- gli dico, iniziando ad alterarmi.
 
-Quindi avrai capito che siamo in pericolo.
 
-E tu avrai capito che in soli cinque giorni, cioè da quando ti conosco, hanno cercato di rapirmi due volte e il primo tentativo è anche andato a segno!
 
-Ti rapiscono perché non ti conoscono davvero, altrimenti ti lascerebbero in pace, stanne certa!
 
-Ragazzi...- Ryoga cerca di interromperci con un gesto della mano, nel tentativo di calmare le acque.
 
-I problemi che ho con la mia famiglia non ti riguardano!
 
-Invece sì, se mi costringi a fare il giro del paese, perseguitata da delinquenti di ogni sorta!
 
-Rag...
 
-Bene, sai già cosa potresti fare! È molto semplice, muoviti e vattene a casa, frignona!
 
-Basta!- urla Ryoga facendoci ammutolire e mi rendo conto troppo tardi di essermi comportata come una ragazzina capricciosa. –Akane-san si è impegnata molto per preparare questa deliziosa colazione, quindi parleremo dopo.- afferma prendendo un po' di riso dalla sua ciotola e mettendolo in bocca.
 
-Sì sì, va bene...- protesta Ranma, imitandolo.
 
Entrambi zittiscono per alcuni secondi e restano immobili.
 
-Che vi prende?- chiedo, preoccupata.
 
Ryoga si muove al rallentatore e le bacchette gli scivolano di mano, finendo sulla tavola.
 
-È... È...
 
-È tossico!- esclama Ranma tornando in sé, dopo alcuni secondi di shock. -Stai cercando di avvelenarci?
 
-Non è buono?- mi stupisco, aggrottando le sopracciglia.
 
-Ma non l'hai assaggiato?
 
-Non permetterò che insulti la cucina casalinga di Akane-san!- dice Ryoga sollevando a fatica lo sguardo.
 
-Nelle verdure saltate ci sono pezzi di legno del tagliere!- continua Ranma inorridito e io arrossisco di ira e frustrazione contemporaneamente.
 
Non sono mai stata un granché in cucina ed è quasi un miracolo che io riesca a miscelare bene erbe e medicine tradizionali. Ma deridermi in questa maniera dopo essermi sforzata tanto... imbecille!
 
Mi alzo dalla tavola e prendo il suo piatto.
 
-Non mangiarlo allora!- dico, mentre lui guarda la sua ciotola di riso tra le mie mani.
 
-Cosa? Ho mangiato di peggio e il cibo non si spreca.- ribatte, togliendomi la ciotola di mano e mangiando un altro boccone. -Puah!
 
-Ho detto di non mangiarlo!
 
-E io ho detto che voglio mangiare questa schifezza, ok? Almeno smettila di infastidirmi!- e prosegue inghiottendo riso e mangiando alcuni pezzi di verdura che separa accuratamente dai frammenti di tagliere. Ma come diavolo sono finiti in pentola?
 
Lo guardo per alcuni istanti e nonostante l'offesa per il sapore della mia pietanza non posso fare a meno di sorridere (ma solo un poco) mentre lo osservo mangiare in maniera compulsiva.
 
-E... qual è il piano?- chiedo mentre entrambi i ragazzi si guardano di sottecchi. Anche Ryoga inizia a ingoiare rapidamente tutto mentre si lanciano occhiate di sfida. Giurerei che stiano combattendo una stupida disputa silenziosa.
 
-Il piano non è cambiato, dobbiamo trovare mio padre per sapere che cosa sta succedendo.
 
-Pensi che riusciremo a trovarlo qui a Tokyo?
 
-Sì, se sappiamo dove cercare.
 
-Dobbiamo entrare ancora in bettole piene di delinquenti?- sospiro, pensando a tutto quello che sto passando in così pochi giorni rispetto alla mia vita tranquilla, al sicuro con la mia famiglia.
 
-Mio padre non è l'unico che ha contatti in città, questa volta non ci scapperà.- entrambi terminano la colazione nello stesso tempo, posando le ciotole sulla tavola con un colpo secco. Si guardano assottigliando gli occhi e Ranma fa schioccare la lingua.
 
-Allora usciamo immediatamente.- dico mentre il mio sguardo si posa prima su uno poi sull'altro, senza capirci niente.
 
-Questa è l'unica cosa su cui siamo d'accordo. —risponde il codinato alzandosi in piedi per andare a prendere il suo zaino.
 
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-Grazie mille per la tua ospitalità.- dico facendo un inchino. Ryoga si gratta la testa, imbarazzato.
 
-Figurati.
 
-Mi dispiace per il casino nel ristorante, dì a Ucchan che lavorerò per ripagare i danni appena risolvo... beh lo sai già.- dice Ranma, indicandomi sfacciatamente.
 
-Di sicuro non vede l'ora di avervi di nuovo ai suoi ordini.
 
-Stanne certa- risponde, ridendo.—A proposito... ma dov'è?
 
-Non lo sai? È andata a casa sua a Osaka, ci sarà una grande festa perché il ristorante è stato quotato in borsa per la prima volta.
 
Ranma fa un fischio, stupito.
 
-Ucchan sì che è riuscita a far fruttare come si deve la sua attività.
 
-Sai com'è fatta, non fa altro che lavorare.
 
Entrambi si guardano un'ultima volta e poi si danno il cinque, lasciandomi esterrefatta. Un gesto complice, rodato da anni, si nota subito. Anche se non fanno altro che discutere, si intuisce che sono davvero buoni amici.
 
Ranma si incammina con la sua solita andatura e io mi volto di nuovo verso Ryoga, facendo un altro inchino. Spero davvero di rivederlo, un giorno.
 
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-Prima le signore.- dice il ragazzo con il codino aprendo la porta di un sudicio locale da dove fuoriesce una nuvola di fumo che mi irrita gli occhi. Con una mano gli faccio cenno di spostarsi e Ranma mi guarda con un sorriso divertito.
 
-Grazie- rispondo, calcando la parola che spero vivamente suoni come un insulto.
 
Metto un piede nel locale e, con stupore, scopro che non si tratta di un altro posto di dubbia fama, ma di un piccolo ristorante che ha solo un bancone e un unico commensale. In questo locale non entrano più di quattro persone.
 
-Cosa prendete?- chiede il cuoco, che armeggia su un barbecue con carbone su cui vedo yakitori e gyoza. Ma mio marito non lo ascolta. Avanza bruscamente fin dove si trova l'unico cliente del locale e gira violentemente lo sgabello su cui è seduto.
 
-Non sei riuscito a resistere, vero? Sapevo di trovarti qui.
 
-Ra-Ranma?- dice meravigliato un tipo grassoccio e con grandi occhiali che riconosco come il tipo che mi ha rubato il portafoglio.
 
-Non è possibile!- esclamo, avvicinandomi a lui per poterlo guardare bene. -Ranma, è tuo padre!
 
-Come hai fatto a sapere che ero qui?- dice lui, finendo di masticare il boccone.
 
-Quando sei in città vieni sempre in posti come questo a mangiare 'sta roba. Ti conosco bene, vecchio. Ragioni con lo stomaco!
 
-Come ti permetti di...!
 
-La sua quarta porzione di frittura, signore.- dice il cuoco lasciando davanti a noi un piatto pieno di gyoza.
 
Ranma lo guarda soddisfatto e prende la sua roba senza pensarci, avvicinando il volto a quello di suo padre.
 
-E ora facciamo quattro chiacchiere.
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-Così tu sei la piccola Akane.- dice l'uomo, sistemandosi gli occhiali e guardandomi attentamente. –Devo dire che la nostra idea non è stata poi così male... non è vero, Ranma?
 
Il ragazzo sbuffa sdegnato. Ci troviamo in un bar del centro, seduti a un tavolo mentre io bevo distrattamente una bibita e lancio timide occhiate a mio suocero.
 
-A chi mai verrebbe in mente un'idea così assurda di un matrimonio combinato tra due persone che neanche si conoscono, a loro insaputa?- dice Ranma, al mio fianco, dando un piccolo colpo sul tavolo.
 
-All'epoca era complicato, pensavamo fosse il modo migliore per unire le nostre scuole e poi...
 
-Eri ubriaco.
 
-Già, ero molto ubriaco.
 
Distoglie lo sguardo e io mi schiarisco la gola. Per fortuna o purtroppo ho già fatto questo discorso.
 
-Signor Saotome, ora la cosa importante è sapere che ha fatto di così tremendo da metterci alle calcagna persino la yakuza.
 
-Che hai rubato questa volta?- chiede l'artista marziale molto seriamente, sembra abituato a una situazione del genere.
 
L'uomo incrocia le braccia con aria riflessiva.
 
-In realtà stavolta non ho rubato niente.- dice, contrariato.
 
-Bugiardo! Hai sottratto qualcosa a quel delinquente di Kuno!
 
-Non era sua! Me l'ha rubata lui molto tempo fa!
 
Entrambi solleviamo un sopracciglio e incrociamo le braccia mentre dal viso di mio suocero scivola un'enorme goccia di sudore.
 
-E va bene, vi dirò tutto. Più di vent'anni fa, quando Ranma era appena nato... avevamo bisogno di denaro.
 
-Certo, come no.- replica il moro coprendosi il viso con una mano.
 
-La famiglia di tua madre discende da tempo da una grande stirpe di samurai che hanno servito il paese con onore e per questo tua madre ha eredito una discreta collezione di katana. Io volevo solo un po' di soldi per sfamare il mio figlioletto, chi può incolparmi per quello che ho fatto?- dice, mentre grosse lacrime gli rotolano al di sotto degli occhiali.
 
-Sicuramente li hai spesi in sake.- risponde lui, scettico.
 
-Non avevamo niente di valore a parte quelle vecchie katana. Le ho vendute tutte al padre di Kuno per appena un milione di yen. All'epoca ero davvero disperato.
 
-Hai venduto tutta l'eredità della mamma?
 
-Non sapevo che altro fare, Ranma!
 
-Cercare un lavoro, forse?
 
-Sono un artista marziale!
 
-Sei un ladro!
 
Entrambi si sono alzati e tutto il bar, inclusi i camerieri, ci stanno guardando con interesse. Io tiro leggermente la manica della casacca di Ranma, invitandolo a calmarsi e rimettersi seduto. Genma non tarda a imitarlo.
 
Si schiarisce la voce e incrocia di nuovo le braccia.
 
-Dopo averle vendute, tua madre si arrabbiò molto con me e per alcuni giorni non mi rivolse la parola. Accettò di parlarmi quando le raccontai del mio progetto di portarti con me in un viaggio di addestramento per farti diventare un vero uomo. E quello del tuo futuro matrimonio, ovvio. Sono trascorsi tanti anni e quell'incidente sembrava essere stato dimenticato del tutto... finché alcuni mesi fa ho saputo che alcune di quelle katana potrebbero avere un valore inestimabile.
 
-Inestimabile?- chiedo interessata, l'uomo annuisce con aria grave.
 
-Avete mai sentito parlare del tesoro nascosto di Yamashita?
 
-Il che?- chiede Ranma con sospetto, ma io trattengo il fiato.
 
-Parla di Tomoyuki Yamashita?- chiedo perplessa e lui tace.
 
-Mi vuoi spiegare chi è questo tipo?- mi chiede di nuovo con impazienza e io mi preparo a sfoggiare una delle mie passioni, senza ombra di dubbio, cioè la storia.
 
-Il generale Yamashita era uno dei soldati che hanno combattuto al fronte durante la Seconda guerra mondiale. Si dice che, con la scusa di essere in guerra, commise crimini orribili, mise a ferro e fuoco villaggi, templi, città e uccise centinaia di persone sfruttando il suo esercito. Finì i suoi giorni nelle Filippine, dove si dice che abbia nascosto dell'oro in tutti i templi, paesi e villaggi saccheggiati in tutto Oriente. Il valore è davvero incalcolabile.
 
-Interessante.-annuisce Genma, soddisfatto della spiegazione.
 
-Andiamo vecchio... vuoi dirmi che proprio tu, in tutto il mondo, sai dov'è il tesoro di questo delinquente?
 
-Ancora no, ma lo saprò presto.
 
-Sì? E come?
 
-Ingenuamente ho venduto al padre di Kuno, per un pugno di yen, l'unico oggetto in grado di decifrare il mistero.
 
-Una delle spade di mamma è la chiave per trovare il tesoro di Yamashita? Dai, papà, inventati una palla migliore.
 
-Ranma! Sai qual è il cognome da nubile di tua madre?- chiede, osservandoci attentamente. Il ragazzo con il codino non risponde e diventa pensieroso, cercando di ricordare qualcosa che sicuramente non troverà mai nella sua memoria. -A quei tempi io ero giovane e aitante e appena conobbi tua madre me ne innamorai perdutamente. Mi offrii di portare il suo cognome ed entrare a far parte della sua famiglia ma rifiutò e non so perché. In quel momento pensai che mi amasse così tanto da essere disposta a portare il cognome di un artista marziale importante come me, ma con il passare degli anni... con il passare degli anni ho iniziato a pensare che mi nascondesse qualcosa.
 
-Dove vuoi arrivare?
 
Per tutta risposta mio suocero prende l'enorme zaino che ha poggiato accanto a sé, tira fuori un pacchetto voluminoso che mette sotto il nostro naso e ne scopre solo una parte: l'impugnatura di una magnifica katana samurai.
 
-Questa è la katana di Tomoyuki Yamashita.
 
-Non è possibile!- esclamo esterrefatta. -Yamashita fu catturato dalle truppe americane alla fine della guerra e consegnò la sua katana proprio a loro! La katana di Yamashita è in un museo di New York!
 
-No! Yamashita diede agli americani una katana ma non era altro che una pietosa imitazione di questa. Credi che un guerriero, un samurai, darebbe una spada di oltre 400 anni a quattro americani ignoranti? Mai!
 
-Yamashita è stato un genocida ed è morto impiccato.- spiego a mio suocero, che sembra aver dimenticato il punto principale della storia.
 
-Sì, è morto per i suoi crimini ma ha fatto anche grandi cose.
 
-Papà... mi stai dicendo che la mamma aveva una katana che indica la mappa di un tesoro e tu l'hai rubata per andare a cercarlo? Ma hai una vaga idea di quanto sia assurda tutta questa storia?
 
-Ranma, il cognome da nubile di tua madre è Yamashita.- risponde, facendo una pausa teatrale, poi prosegue. -All'epoca pensai che fosse un cognome comune e che lei, dopo avervi rinunciato, stesse cercando di liberarsene, ma mi sbagliavo. In realtà tua madre è l'unica nipote in vita di Yamashita e sposando me in fretta e furia sperava di nascondere le sue origini, di sfuggire al passato.
 
-Non può essere!- dico sempre più allucinata. Ranma resta immobile accanto a me, teso e con le braccia incrociate sul petto.
 
-Sai cosa significa per te, Ranma? Sei il pronipote di Tomoyuki Yamashita e il legittimo erede del suo tesoro. Questa katana ti appartiene.
 
Entrambi lo guardiamo senza battere ciglio, osservo di sottecchi oltre la mia spalla il ragazzo con il codino e noto che gli tremano un po' le mani.
 
-Anche se così fosse, anche se fossi l'erede di una montagna di tesori... credi che io voglia il denaro di un ladro? L'eredità di un assassino?
 
Genma lo guarda indignato.
 
-L'oro non ha colpa dei crimini del tuo bisnonno!
 
-Se questa katana mi appartiene, allora so perfettamente cosa farne.- dice afferrando l'impugnatura, ma suo padre è più rapido e poggia la sua mano prima di lui, cercando di dissuaderlo da qualsiasi idea che non coincida con i propri piani. –Vado a restituirla a quello stupido di Kuno, che con un po' di fortuna la conserverà in qualche cantina in cui sarà dimenticata per sempre.
 
-Quel tipo non ha idea di quello che ha tra le mani! E quando lo scoprirà andrà alla ricerca del tesoro. Ranma, vuoi forse negare ai tuoi genitori una vecchiaia tranquilla?
 
-Penso di restituirgliela e di chiudere questa storia.- dichiara con voce così forte che persino io mi intimidisco.
 
-Vedo che non ti rendi conto della situazione. Ho visto alcuni "amici" in cerca di informazioni e finanziamenti per i miei progetti, ma temo proprio di non aver fatto altro che spargere questa voce: "Chiunque possieda la katana avrà la chiave per il tesoro di Yamashita".
 
-Per questo la yakuza ci perseguita?- chiede Ranma cercando di trattenersi. Ho l'impressione che esploderà da un momento all'altro.
 
-Non so proprio come possano essersene accorti...
 
-Sei stato proprio tu a diffondere la voce, vecchio psicopatico! Per colpa tua la mamma è in pericolo!
 
-È colpa sua! Avrebbe dovuto dirmelo anni fa! Sono solo un povero marito ingannato!
 
-Ora calmatevi!- esclamo, cercando di rasserenare un po' gli animi. -Quello che dobbiamo fare è chiamare la polizia, sapranno di sicuro cosa fare con la katana e Kuno dovrà rinunciare al debito quando si accorge che non può più recuperare la sua merce.
 
Entrambi mi fissano accigliati e capisco che le mie parole non hanno ottenuto l'effetto sperato.
 
-Che ingenua- dice Ranma. -Kuno non si fermerà neanche davanti alla polizia, la cosa migliore è dargli quello che cerca e tappargli la bocca.
 
-M-ma quella spada dovrebbe stare in un museo!
 
-Neanche per idea! Questa spada è la mia garanzia per la pensione!- Ci interrompe Genma, che sotto il nostro sguardo attento ha ripreso l'arma per rimetterla nel suo zaino da viaggio. -Se non volete collaborare dovrò cercare qualcun altro che lo faccia.
 
-Dove credi di andare con quel coso, vecchio!- dice Ranma, alzandosi in piedi e affrontandolo infuriato. -Dammi la katana.
 
-Su, figliolo, non sta bene discutere con il tuo anziano padre.
 
-Hai idea di tutti i problemi che ci hai causato? Non rendere le cose ancora più difficili.
 
-Allora aiutami a decifrare il messaggio, ti darò la metà di quello che troveremo.
 
-Non hai sentito che non voglio quello schifo di tesoro?! Ridammela e chiudiamo la questione una volta per tutte!
 
-Se è questo che vuoi... prendila tu stesso.- dice, mentre muove rapidamente le dita.
 
-No!- esclama Ranma un secondo dopo che suo padre getta per terra una bomba fumogena, che sprigiona una densa cortina di fumo bianco e ci impedisce di vedere.
 
Tossisco forte come tutti gli altri clienti e dipendenti del locale, che fuggono verso l'uscita. Non vedo niente e nessuno. Riesco a stento a uscire dal bar, poggiarmi a una parete di un edificio e respirare aria pura, cercando di riprendermi.
 
Giro la testa nervosamente rendendomi conto di essere rimasta sola.
 
-Ranma?- dico, con molta riluttanza, mentre smetto di asciugarmi le lacrime causatemi dal fumo. Ma di Ranma e di suo padre non c'è neanche l'ombra e capisco troppo tardi che l'animata discussione è finita di sicuro in un combattimento... e mi hanno lasciato sola. Come se fossi un peso inutile, un maledetto incomodo.
 
Serro i denti, frustrata per essere stata lasciata ancora una volta al di fuori di qualsiasi decisione... già, devo essere proprio questo per lui, un dannatissimo peso.
 
Trattengo le lacrime ripetendo nella mia mente che sono una donna adulta, che queste cose non mi importano... che di sicuro Ranma tornerà a cercarmi, devo solo aspettare.
 
Il fumo si è dissolto e i clienti spaventati si allontanano, forse temendo un nuovo attacco. Una delle cameriere sposta lo sguardo su di me, sembra arrabbiata, mi si avvicina con passo nervoso e intuisco che si lamenterà con me dell'incidente dato che mi ha visto in compagnia di quei due.
 
Metto su la mia migliore faccia di bronzo mentre si piazza davanti a me.
 
-Allora, paghi tu il conto per tutte queste persone?- chiede, infuriata... come darle torto?
 
Deglutisco a vuoto dato che in tasca non ho neanche un misero yen. Che vergogna, non mi sono mai sentita così in imbarazzo in vita mia!
 
-Ehm... non ho soldi.- sussurro, sentendo le mie guance tingersi di rosso. Appena rivedo quei due giuro che li ammazzo.
 
-Non hai soldi?- ripete urlando e attirando l'attenzione di varie persone su di noi. -Quindi sono costretta a chiamare la polizia.
 
Corrugo le sopracciglia sentendomi in trappola, no, questo no! Concludere questa assurda avventura con precedenti penali è proprio quello che mi manca! Inspiro profondamente e mi inchino per scusarmi prima di scappare correndo a gambe levate.
 
-Non scappare, ladruncola!- sento alle mie spalle. Ma io salto su un tetto basso e subito dopo mi arrampico su un altro tetto un po' più in alto. Arrivo con difficoltà su una terrazza dalla quale intravedo alcuni dei tetti dei negozi circostanti.
 
-Merda- mastico tra i denti senza fiato, mentre mi appoggio sulle ginocchia, sentendo il sudore scorrere dalla mia fronte e rotolare fino al mento. Lo asciugo con il dorso della mano e guardo di nuovo in alto.
 
Ora sì che mi sono persa.
 
L'ultima volta in cui è successo avevo appena cinque anni, quando fui attaccata da un animale selvaggio e Shinnosuke mi salvò. Non ricordo per quanto tempo vagai nel bosco, ma quelle sensazioni sono ancora piuttosto vivide nella mia memoria: l'angoscia, la disperazione, la paura...
 
Non so perché questo ricordo mi riaffiora alla mente proprio ora dato che sono a Tokyo e non in un bosco e, soprattutto, non sono una bambina piccola. Posso cavarmela da sola, che diamine, potrei persino tornare a casa e dimenticarmi di questa situazione assurda.
 
Posso dimenticare gli attacchi, gli scontri, le notti in cui ho dormito male, il freddo e gli autobus.
Posso dimenticarmi di lui.
 
Mi stringo nel cappotto, in preda ai brividi. Posso davvero riuscirci?
 
-Akane Saotome?- mi volto spaventata, poiché dovrei essere sola in questa terrazza e, soprattutto, nessuno dovrebbe sapere il mio nome. Per non parlare del mio cognome.
 
Sollevo lo sguardo trovandomi faccia a faccia con un uomo non molto più alto di me, di corporatura esile e con un sorriso perfido. Ha la carnagione chiarissima e la testa coperta da un cappuccio.
 
-Sì, sei tu.- risponde a se stesso.
 
Non sono codarda ma nonostante tutto mi sento paralizzata dalla paura. Impiego alcuni secondi a rendermi conto che si tratta del tipo di ieri che ci ha attaccato nel locale e che non ha esitato un attimo a puntarmi un coltello al collo e minacciare di tagliarmi la gola.
 
Faccio un passo indietro, tremante, perché so che vuole usarmi solo per arrivare a mio suocero e ora più che mai ne comprendo il motivo. Capisco che per la yakuza valgo molto più che il mio peso corrispondente in oro. Sono la vittima perfetta, un ottimo riscatto.
 
Quello stupido si pentirà di avermi lasciato sola.
 
-Non avvicinarti.- riesco a dire con la gola secca. Retrocedo di un altro passo e le mie gambe urtano contro il basso cornicione del tetto, dal quale do un'occhiata al di sopra della mia spalla per avere conferma di quello che avevo già intuito. Sono in trappola. Deglutisco mentre lui mi guarda senza cambiare espressione.
 
-Non ti farò del male.
 
Sì, come no! Sono un'artista marziale, stavolta non mi prenderà alla sprovvista, ma in un batter d'occhio si è già lanciato contro di me. Maledizione, è velocissimo!
 
Mi afferra per un braccio con fermezza e io cerco di liberarmi dalla presa mentre tenta di gettarmi per terra per facilitare le cose. Lo guardo concentrata mentre il sudore mi scivola via dalle tempie, il freddo dell'ambiente trasforma il mio fiato in nuvolette bianche di vapore. Il tipo non sa che la mia specialità è il judo.
 
Mi lascio mettere un braccio dietro la schiena di proposito, si mette alle mie spalle e cerca di colpirmi le gambe per gettarmi a terra, una tipica mossa di difesa che conosco alla perfezione.
Alzo la gamba destra mentre mi volto, con la sua mano che continua a stringermi il braccio contro la spalla. Quando mi trovo di fronte a lui e alzo l'altro braccio per assestargli un colpo mi lascia andare perché probabilmente ha intuito le mie intenzioni.
 
Mi contempla dubbioso, mi scruta e io lo imito.
 
-Va bene, l'hai voluto tu...- dice tranquillo mentre armeggia nel suo cappotto con una mano e tira fuori un coltello affilato che muove con destrezza prima di mostrarmi la lama lucida.
 
-Codardo- farfuglio mentre i miei piedi urtano ancora una volta contro il cornicione... penso proprio che farò una pazzia.
 
-Devi solo seguirmi, nient'altro.
 
-Perché? Mi ha lasciato sola, non vedi? Non sono abbastanza importante per lui! Non otterrai niente da me!
 
-Questo lascialo decidere a noi!
 
Serro i denti disperata e non penso, agisco e basta. Lo spingo bruscamente e corro verso l'altro lato dell'edificio, sentendomi senza vie d'uscita, lui mi afferra per un polso e me lo torce, urlo cercando di liberarmi e subito dopo punta il coltello contro di me. Sento il sangue scorrere dalla mia guancia ma sopporto il dolore, riesco a liberarmi dalla presa e continuo a correre finché non raggiungo il cornicione e, infine, salto.
 
Vedo tutta la mia vita scorrermi davanti agli occhi in un solo secondo... da dove ho tirato fuori tutto questo coraggio, questa audacia? Dalla paura? Dalla disperazione?
Posso farcela. Sotto di me vedo il tetto successivo e rotolo giù finché tutto non termina. Sollevo la testa, stupita di me stessa, mentre l'adrenalina invade il mio corpo e mi fa sentire più viva che mai. Il tipo mi guarda con la bocca spalancata dall'altro lato, la sua espressione cambia e si indurisce, poi lo vedo sparire... qualcosa mi dice che non si è ancora arreso.
 
Mi rialzo a una velocità che non sapevo di avere e mi accorgo di essere finita in un'altra terrazza, al centro della quale scorgo una porta. Corro e afferro la maniglia, davanti a me compare una lunghissima rampa di scale che mi porterà di nuovo in strada, ne sono sicura. Ma se quello lì è più veloce di me e mi prende prima che io riesca a scendere?
 
Non ho tempo di restare imbambolata a farmi domande, ogni secondo è prezioso. Scendo dalle scale facendo due gradini per volta e guardandomi costantemente alle spalle, anche se sono certa che dietro di me non ci sia nessuno... ormai sto diventando paranoica.
 
Non so più quanti gradini ho fatto, di quanti piani sono scesa finché non si apre un'altra porta, entro in un lungo corridoio e mi sembra di trovarmi in un albergo. Continuo a correre fino agli ascensori e premo il pulsante più volte, ormai sull'orlo dell'isterismo.
 
-Dai, dai, apriti una buona volta!- e proprio in quel momento le porte dell'ascensore si aprono davanti a me. Dentro c'è una coppia che mi osserva con timore, cosa che mi sembra strana finché non osservo la mia immagine riflessa nello specchio del piccolo abitacolo.
 
Faccio un piccolo inchino prima di farmi piccola contro un angolo dell'ascensore e cerco di sistemare la mia roba sporca di polvere, asciugo goffamente il piccolo rivolo di sangue dal mio viso e mi rendo conto, con mio enorme sollievo, che la ferita è superficiale.
 
La coppia mi guarda di traverso e io la ignoro, sono troppo nervosa per stamparmi in faccia un sorriso di circostanza. Quando finalmente arriviamo al piano terra, esco mettendomi al lato della coppia in modo da nascondermi a qualsiasi sguardo, dato che non posso fidarmi di nessuno.
 
Attraverso le porte e finalmente mi trovo all'esterno. Sento un sollievo incredibile appena mi incammino in strada e vedo che nessuno mi presta attenzione. Proseguo con passi nervosi, sempre più rapidi, perdendomi tra la folla, senza smettere di guardarmi alle spalle, una, due, più volte, finché non lo incontro di nuovo.
 
Lo yakuza con il cappuccio mi segue, è a pochi metri da me. Le mie pulsazioni aumentano rapidamente, sento il cuore che mi palpita in gola e riprendo a calpestare il suolo, per fuggire ancora. Urto contro alcune persone che trovo sul mio percorso, non chiedo neanche scusa per le gomitate che assesto involontariamente a destra e a manca, corro tra la folla eppure mi sento sola.
 
All'improvviso mi sembra di sentire solo un silenzio assordante attorno a me, percepisco solo l'eco minacciosa dei suoi passi dietro i miei, mentre immagino l'arma lucida pronta a colpirmi.
 
Non so dove nascondermi, non so dove andare, riesco solo a correre disperata mentre prego che le mie gambe siano più rapide delle sue e mi salvino dalle sue intenzioni.
 
Sento le lacrime accumularsi nei miei occhi, no, se inizio a piangere le cose peggioreranno, tutta la mia forza svanirà nel nulla, tornerò a sentirmi vulnerabile e lui mi avrà in pugno. Prendo rapidamente varie boccate d'aria mentre tutto inizia a vorticarmi attorno... dov'è? L'ho seminato o si è nascosto nell'ombra pronto ad attaccarmi?
 
I volti della gente si mescolano tra loro e mi ruotano attorno, giro su me stessa rendendomi conto di aver perso definitivamente il controllo.
 
All'improvviso vedo spuntare una mano tra i volti e tutto torna normale intorno a me. La osservo atterrita mentre mi afferra il polso e urlo cercando di liberarmi. Ma mi tira verso di sé, è troppo forte.
 
-No! No, per favore!- supplico tra i singhiozzi, senza poter più trattenere le lacrime, nonostante tutta la fatica fatta finora.
 
-Ma che dici!
 
-Lasciami!- continuo a urlare isterica, afferrando le dita strette sulla mia pelle.
 
-Che ti succede? Sono io, Ranma!- sollevo lo sguardo e incrocio un paio di occhi azzurri familiari. Le lacrime non smettono di scorrere e sento che qualcosa dentro di me si rompe.
 
-Ran...?- cerco di dire, incerta, mentre la paura si dissolve e le gambe mi tremano.
 
-Ma dove eri andata a finire?- chiede. I suoi occhi mi guardano contrariati e le sue parole mi accarezzano dolcemente. Sollievo, ecco quello che sento, capisco di essere in salvo.
 
-Ranma!
 
Non penso neanche per un attimo, non ci riesco. Tutta la paura mi ha svuotato l'anima e l'unica cosa che voglio è sentirmi scorrere nelle vene questa sensazione di tranquillità che lui riesce a trasmettermi. Affondo il viso nel suo petto, trovando riparo nel suo calore, e gli avvolgo la vita con le braccia. Mi sento così piccola mentre piango senza sosta. Non ho mai avuto così tanta paura in tutta la mia vita.
 
Lui resta immobile come una statua, tanto che inizio a sentirmi a disagio, fino a quando non lo sento rilassare i muscoli e posare una mano sulla mia testa.
 
-Stupida! Cosa ti è successo?- chiede con voce timorosa e io mi allontano da lui di qualche centimetro sentendomi un'idiota per aver avuto una reazione così infantile.
 
-Il ragazzo di ieri mi sta inseguendo e...
 
I suoi occhi fissano un attimo il mio viso prima di alzarsi nervosi e spostarsi sulla folla, cercando di scorgere qualcosa. Siamo in una via centrale e le persone camminano attorno a noi mentre il sole inizia a tramontare.
 
Sembra un animale selvaggio che annusa l'aria, pericoloso e pronto a scattare. L'ha individuato, lo so, me ne accorgo perché trattiene il fiato e le sue pupille si contraggono.
Apre il suo cappotto e mi sento una bambina quando mi copre con uno dei risvolti, stringendomi contro di lui e nascondendomi a qualsiasi sguardo.
 
Mi trascina praticamente alla sua andatura e, con passi rapidi, corriamo e ci rifugiamo in un vicolo stretto, buio e silenzioso. Ranma mi tiene tra la parete e il suo corpo, mi nasconde completamente dietro le sue spalle larghe e poggia una mano accanto alla mia testa. Guarda al di sopra della sua spalla assottigliando gli occhi azzurri, in attesa.
 
Tremo. Non so se di freddo o di paura. Non so se è a causa dell'adrenalina dovuta al salto e all'inseguimento, so solo che le ginocchia minacciano di non reggere più il mio peso.
 
Il suo calore è soffocante, alzo timidamente lo sguardo e osservo il suo mento perfetto e il pomo d'Adamo che spunta dal colletto della casacca cinese che indossa sempre. Riabbasso gli occhi in preda alla vergogna per i miei stupidi pensieri e, come se li avessi formulati ad alta voce, si gira e mi prende il mento tra le dita. Resto ferma, mentre i nostri occhi si incrociano e mi sento inondata da qualcosa senza nome e logica.
 
-Ti sta cercando, fingi.- sussurra lentamente e io arrossisco così violentemente che sono sicura di brillare nell'oscurità.
 
-C-che cosa hai intenzione di...?- spiccico a malapena parola, mentre avvicina le labbra alle mie, oltrepassando tutti i limiti della ragione.
 
-È imbarazzante guardare una coppia che si bacia, andrà via e inizierà a cercare da un'altra parte.- dice come se niente fosse e il mio rossore si tramuta in pallore in pochi istanti.
 
-C-c-che si b-b-ba...cia?- l'ultima sillaba sfugge alla mia gola con un'ottava più alta del normale.
 
-Ssshhhh!- sibila mentre rimane immobile. Non posso muovermi, mi sento come un innocuo insetto intrappolato in una ragnatela, chiudo gli occhi e stringo forte le palpebre, desiderando con tutta me stessa che questo momento finisca, che lo yakuza la smetta di cercarmi e che io possa riprendere a respirare.
 
Le sue dita lasciano il mio mento e accarezzano con delicatezza la mia guancia... sento una fitta di dolore quando toccano la mia ferita.
 
-Auch!- protesto, riaprendo gli occhi controvoglia.
 
-È stato lui?- chiede cercando di contenersi, mentre le dita gli si increspano contro la parete trasformandosi in un pugno d'acciaio.
 
-Ti preoccupi di questo? Ho rischiato di ammazzarmi!- mi lascio sfuggire a pochi centimetri dal suo volto e lo vedo sbattere le palpebre senza capire.
 
-Cosa?
 
-Ho dovuto saltare giù da un tetto per evitare che mi rapisse.
 
-Sei... tutto questo non sarebbe successo se fossi rimasta accanto a me!
 
-Io non mi sono allontanata! Sei stato tu a lasciarmi!
 
-No! Io ti ho presa per mano e sono uscito correndo dietro mio padre... dopo un po' mi sono reso conto che non eri tu.
 
-Mi hai confuso con un'estranea?- chiedo, incredula.
 
-Urlava come te.- si scusa, arrossendo lievemente. La cosa strana è che stiamo discutendo ma non si è ancora separato da me di un solo centimetro e non so come dirglielo senza che la situazione degeneri più di quanto non lo sia già.
 
-Io non urlo!
 
-Sì che urli!- ascoltiamo una voce sconosciuta ed entrambi ci voltiamo nello stesso istante, scorgendo all'ingresso del vicolo il tipo di ieri, accompagnato da un altro paio di ceffi. Ranma non tarda neanche un decimo di secondo a spostarmi al suo fianco e affrontarli.
 
-Pensi di fare il duro lottando contro le donne?- chiede, e posso notare la rabbia nella sua voce. Trattengo il fiato, non è la prima volta che reagisce così ma è la prima volta che mi accorgo che la sua rabbia è dovuta all'iperprotezione nei miei confronti.
 
Si comporterà sempre così? Con tutte? Mi mordo il labbro inferiore lottando con tutte le mie forze per tornare in me, non è il momento né il luogo giusto per porsi certe domande.
 
-Sa cavarsela da sola.- risponde lo yakuza. -Ma la lascerei in pace se decidessi di venire con noi.
 
È chiaramente una sfida, no, peggio: gli sta tendendo una pericolosa trappola per spingerlo a consegnarsi a loro in cambio della mia incolumità ed è un colpo decisamente basso. Afferro il braccio di Ranma e lui mi guarda con la coda dell'occhio, io nego energicamente con la testa cercando di fargli capire che non deve neanche pensare a un'eventualità simile.
 
-Non so niente di questa storia, mio padre mi ha incastrato come sempre. Invece di perdere tempo con noi, dovreste cercare lui.
 
-Ci stiamo provando ma ci sfugge sempre... proprio come tua madre.
 
_Mi...?- trattiene il fiato prima di esplodere. –Se osi metterle un dito addosso ti ammazzo!
 
-Io non voglio fare del male a nessuno, eseguo solo degli ordini.
 
-Lei non ha niente a che fare con tutto questo!
 
-Questo è quello che ha fatto credere a tutti.
 
In questo momento inizio a sentire l'aura di Ranma risvegliarsi dal suo breve letargo e sollevarsi ferocemente. È disposto a tutto per difendere le persone a cui tiene, su questo non ho dubbi.
 
Lo yakuza fa un gesto con la testa rivolto ai suoi uomini che iniziano ad avanzare verso di noi. Ranma indietreggia tenendomi dietro una spalla senza smettere di guardarli, ma siamo in un vicolo cieco, non ci resta che combattere ancora.
 
Proprio allora avverto il rumore di un coperchio di uno dei bidoni della spazzatura lì vicino che cade per terra ed entrambi ci voltiamo con il cuore a mille, ma si tratta solo di un gatto randagio. Mi concentro nuovamente sugli uomini che si avvicinano a noi sempre di più ma Ranma non reagisce. Il suo sguardo si è fissato sul piccolo animale che, sornione, inizia a fare le fusa contento di ricevere quelli che ai suoi occhi sono semplici ospiti.
 
-Un ga-ga-ga-tto!- balbetta e io giro il collo rapidamente per osservarlo.
 
-Ma che diamine ti prende?- chiedo, cosciente del fatto che il codinato non sta per niente bene. Chiunque direbbe che sia uscito di senno.
 
-È un gatto!!- urla senza perdere d'occhio il felino che si avvicina a noi e inizia a strofinarsi contro la sua gamba.
 
-Embè? Quelli invece sono yakuza!!- esclamo indicando il nostro problema principale, ma i miei sforzi non producono alcun risultato. Ranma urla isterico e si nasconde dietro di me, dando le spalle ai nostri inseguitori mentre con le mani tremanti mi afferra per le spalle e si nasconde dall'innocente felino che sembra piuttosto divertito dalla situazione.
 
-Prendeteli!- sento la voce del ragazzo con il cappuccio e ho appena il tempo di reagire. I due uomini si fiondano su Ranma e io mi sforzo di staccarmi da lui. Il gatto rizza il pelo e inizia a soffiare, salta e si unisce allo scontro con morsi e graffi affilati.
 
Non so cosa sta succedendo ma mi sembra che tutto vada a rotoli.
 
Sento mio marito che inizia a ridere come un folle. Uno degli uomini approfitta della situazione per piegarmi un braccio dietro la schiena e urlo di dolore. Mi separa da lui e mi getta per terra. Sono in trappola, non riesco a pensare e mi divincolo cercando una via d'uscita.
 
-Miiiiiiaaaaaaauuuuuuu- con la mia guancia spiaccicata contro il suolo e quel tipaccio su di me non riesco a capire da dove arrivi questo suono inquietante. Se non fosse impossibile, giurerei che in questo vicolo ci sia una pantera in agguato tra i bidoni della spazzatura. Cerco di sollevare lo sguardo e intravedo Ranma in una posizione strana... non mi pare di conoscere questo tipo di tecnica, sembra... sembra...
 
Prima che la mia mente abbia formulato l'idea, l'artista marziale riprende a miagolare e io sento il sangue congelarsi nelle vene... che succede? Che gli prende?
 
È così rapido che neanche riesco a vederlo: a quattro zampe getta a terra l'uomo che mi ha attaccato e lo fa volare per aria, mentre io mi giro a bocca aperta e lui si mette davanti a me come ha fatto prima, ma stavolta non è in sé, sembra che un gatto si sia impossessato del suo corpo.
 
Gli altri due yakuza si guardano esitanti e io mi alzo con gambe tremanti.
 
-Ranma?- chiedo spaventata, ma lui non risponde, non sembra più lo stesso.
 
Soffia e inizia a correre a quattro zampe per tutto il vicolo, stringe la mano destra a mo' di zampa e colpisce il suolo, creando un enorme solco nel cemento. È semplicemente impossibile.
 
Deglutisco a vuoto e osservo la scena come se non la stessi vivendo davvero ma fossi una semplice spettatrice: Ranma salta e graffia, i nostri inseguitori non tardano a rendersi conto di essere in netto svantaggio e se la danno a gambe ma, con mia sorpresa, lui li insegue.
 
Non posso crederci!
 
Non so che fare. Esco nella via principale e vedo il ragazzo con il codino che salta da tutte le parti.
 
-Ranma!- urlo mentre mi faccio di nuovo largo tra la gente. In un attimo la situazione si è ribaltata, ora sono io quella che insegue tutti, questa situazione è terribilmente assurda. La testa mi gira se penso all'immediato cambiamento dell'artista marziale mentre le gambe si affrettano per raggiungerlo, dato che in questo stato sembra capace di fare qualsiasi cosa.
 
Lo vedo saltare sulla testa delle persone, seminando il panico e lasciando dietro di sé sguardi increduli. Davvero si è trasformato in gatto? Ma com'è possibile?
 
Continuo a correre finché non lo perdo di vista, non vedo nessuno intorno a me, né gli yakuza né il ragazzo-gatto. Ruoto su me stessa mentre il sudore mi bagna la fronte e i vestiti, sono esausta e sull'orlo di un collasso. Mi sono allontanata parecchio dalla via centrale e davanti a me c'è l'ingresso di uno dei parchi più grandi di Tokyo.
 
Sarà forse là? Mi addentro con cautela nel lungo viale e mi dirigo verso una zona più boscosa. Se si è trasformato in gatto, allora deve pensare come un gatto.
 
-Ranma? Dove sei? Micio, micio, micio...- provo a chiamarlo sentendomi stupida, spostando con attenzione rami ed erba.
 
Cammino senza fare rumore, guardando bene dove metto i piedi. Mi fermo quando sento che mi cade qualcosa su una spalla: lo prendo con le dita e mi accorgo che si tratta di un truciolo di corteccia di albero, alzo la testa e lì, sul ramo più alto, vedo il ragazzo con il codino.
 
Una parte di me sospira di sollievo ma l'altra è troppo spaventata per sapere cosa fare.
 
-Scendi immediatamente!- esclamo, ma lui non mi degna di uno sguardo, sembra si stia affilando le unghie sul povero tronco dal quale cadono sottili e perfetti trucioli di legno. -Gatto cattivo!-
 
Questa esclamazione pare distoglierlo da quello che sta facendo, punta gli occhi su di me e mi guarda con interesse, appollaiandosi sul ramo.
 
-Non vuoi scendere?- chiedo, anche se sono cosciente che la mia voce suona più come la minaccia di una padrona arrabbiata che rimprovera il suo animale domestico.
 
Volta la testa con una lentezza esasperante e mi sorprende saltando su un albero vicino, poi su un altro ancora e prosegue di albero in albero, scendendo poco per volta e a quattro zampe. Quando atterra e avanza verso di me mi sento stupida. Non è stata un'idea geniale rimproverarlo così! Si è trasformato in una dannata bestia e non capisce quello che dico!
 
Sembra posseduto, da solo ha seminato il panico nelle strade e ha messo in fuga gli yakuza in un battibaleno.
 
I suoi pugni sono in grado di spaccare pietre, le sue gambe riescono a saltare così in alto... e io ho pensato anche solo per un secondo di essere in grado di affrontarlo? Deglutisco a vuoto e indietreggio di un passo, mi sento come se fossi accerchiata da una pantera.
 
In questo stato potrebbe farmi fuori.
 
-Ranma, torna in te.- lo supplico, sentendomi per la prima volta spaventata da lui. I suoi occhi azzurri sono più allungati e mi fissano mentre avanza minaccioso. – Gattino, sta' buono... – non posso dire nient'altro, continuo a indietreggiare con passi incerti finché non urto contro una radice e cado sbattendo il fondoschiena. Quando rialzo lo sguardo, lo vedo lanciarsi su di me.
 
Ranma emette un piccolo ruggito con la gola, poggia le mani sui miei fianchi e... si accoccola sulle mie gambe.
 
Sono così sorpresa che non riesco a dire una parola, si acciambella su di me come se fosse davvero un gatto. Pesa. Arrossisco furiosamente mentre poggia una guancia sulle mie cosce e inizia a fare le fusa sonoramente.
 
-E-ehi, spostati!- gli chiedo, anche se ammetto che il suo calore è piacevole con questo freddo. Presa da mille dubbi e poche certezze, poggio la mano sui suoi capelli e lo accarezzo come farei con qualsiasi altro animale da compagnia. -Andiamo, pesi molto.- dico, più conciliante, ma le mie carezze sembrano averlo reso ancora più felice. Apre di nuovo gli occhi felini e mi guarda attentamente, mentre io non oso neanche sbattere le palpebre.
 
Si avvicina a me e inaspettatamente lecca la ferita sulla mia guancia. In maniera delicata e precisa fa scorrere la punta della lingua sul taglio, eliminando i resti di sangue e lasciandomi paralizzata. Tremo dalla testa ai piedi, spalanco la bocca attonita, un attimo prima che ripeta il gesto.

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-No! Gatto cattivo!- esclamo, cercando di allontanarlo da me, ma non si muove di un millimetro, è troppo forte per me. –Levati di dosso e torna in te una buona volta!- gli chiedo di nuovo, ma lui sembra troppo concentrato su quello che sta facendo per prestarmi attenzione.
 
Poggio le mani sul suo petto e giro la testa, no, non va bene per niente che continui...
 
-Ti ho detto che...!- allontana la lingua dalla mia guancia e allunga un po' il collo per sfiorare le mie labbra. Le mie mani iniziano a tremare e sento la forza abbandonarmi, come se tutti i muscoli si fossero trasformati in gelatina. Che curioso, appena qualche minuto fa morivo di paura all'idea di averlo così vicino e ora sono incapace di allontanarlo.
 
Cattura le mie labbra e mi spinge facendo sdraiare al suolo, tra l'erba fresca e le foglie cadute.
 
Le nostre labbra non si muovono ma non si separano. Per lui sembra piacevole sfiorare continuamente la bocca con la mia in un eterno bacio "in iato". Sento il suo fiato contro la mia pelle che mi riscalda dal freddo, facendomi perdere la nozione del tempo... mi perdo in me stessa finché non sento un grugnito gutturale, come delle fusa più energiche che sembrano preludere a qualcosa di molto più profondo.
 
-No!- le mie mani ritrovano la forza che mi mancava, lo spingo su un fianco e mi rimetto seduta per poi coprirmi la bocca con la mano tremante. Ma che è successo? Cosa è stato? Che ho fatto? I miei occhi si riempiono di lacrime e mi sento scossa e indignata, mentre Ranma si riavvicina a me, annusa i miei vestiti e inizia a strofinare il petto contro la mia spalla.
 
Mi allontano come se scottasse, i suoi occhi azzurri sembrano preoccupati dal mio comportamento. Alzo la mano pronta a colpirlo, per fargli pagare la sua offesa, ma lo vedo raggomitolarsi su se stesso e chiudere gli occhi, spaventato.
 
Resto ferma con la mano ancora sollevata e capisco che non sono davanti a Ranma, ma a un gatto impaurito. È un animale che si lascia guidare dall'istinto, che appena risponde al proprio nome, figuriamoci se comprende la logica umana.
Ma allora... perché l'ha fatto? Da quando i gatti baciano così?
 
Sento di essere giunta al limite. Voglio picchiarlo, voglio rovesciargli addosso la mia rabbia, ma non posso farlo finché ha le sembianze di una creatura spaventata.
 
Serro il pugno e ingoio la mia rabbia, mi alzo e tolgo le foglie attaccate al mio cappotto. Asciugo la lacrima che mi scorre sulla guancia e internamente mi scuso un milione di volte con Shinnosuke. Non potrà mai saperlo. Non saprà mai niente di questi giorni strani lontano da lui.
 
Ranma saltella intorno a me e quando inizio ad allontanarmi mi segue trotterellando a quattro zampe. Troppe emozioni in un solo giorno. La cosa migliore ora è cercare una stanza di un albergo economico e pregare che questo stupido recuperi il lume della ragione. E sarà meglio per lui che accada il prima possibile.
 
-Andiamo, micetto.- gli dico in maniera scherzosa, che a lui passa completamente inosservata.
 
Dovrò dargli una ciotola di latte per cena.
 
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NdA
Salve cari lettori!
Ecco qui il nuovo capitolo! Ci ho messo un po' a scriverlo e credo di non sbagliarmi se dico che ogni volta le cose si complicano sempre di più per i due protagonisti.
Mi è piaciuto molto scrivere questo capitolo, succedono cose moooolto interessanti che avranno conseguenze in futuro! E infine incontrano Genma. E che casino ha creato!
Per quanto riguarda il tesoro occulto di Yamashita, volevo solo dire che quello che ho scritto è accaduto vero, tranne ovviamente la storia della katana. L'originale è davvero esposta al museo militare di West Point e, che io sappia, non è mai uscita da lì ahah! Questa storia mi ha ispirato quando ho fatto un po' di ricerche sui misteri irrisolti e mi sembrava adatta per la mia fan fiction. Insomma, senza volerlo si impara sempre qualcosa.
Grazie davvero di cuore a tutti quelli che mi seguono e che continuano a leggere e a lasciarmi recensioni.
A presto!
LUM
 
NdT
Mi dispiace aver tardato così tanto con l'aggiornamento ma ho avuto diversi intoppi! Quindi, se dovete tirare qualche pomodoro marcio, puntate alla traduttrice ritardataria non all'autrice, mi raccomando!
Spero comunque che continuiate a seguire questa versione italiana della ff e che continui a piacervi. Per farmi perdonare ho tardato ancora un pochino l'aggiornamento per dedicare a chi continua a seguirci questo disegnino su Ranma-gatto che qui ho trovato particolarmente adorabile XD A prestissimo (è una promessa) con il 10° capitolo.
Grazie come sempre anche da parte mia a chi continua a leggere, anche in silenzio, e soprattutto a recensire!
Spirit99

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Capitolo 10
*** Capitolo 10. Venerdì 22 ***


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Quince días
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Capitolo 10: Venerdì 22
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Ranma
 
Accidenti... perché sto in questa posizione scomoda!? Apro gli occhi e non vedo niente, è tutto buio. Cerco di muovere i piedi ma mi rendo conto che qualcosa non va.
-Ma cosa...?- mi giro e mi accorgo di avere mani e piedi legati e sono sdraiato su una superficie comoda e imbottita... un letto? All'improvviso il ricordo di quella pazza di Kodachi mi invade completamente e inizio a sudare freddo... no, non può essere vero!
Mi giro su me stesso cercando di liberarmi da questa prigione di lenzuola e coperte in cui sicuramente qualcuno mi ha fatto entrare con la forza e finalmente intravedo uno spiraglio. Riesco a tirare un po' il fiato senza la coperta di mezzo. Vedo che è giorno e mi trovo in un luogo sconosciuto... ma non so neanche come diamine io sia finito qui.
Mentre cerco di sollevarmi sulle ginocchia sul bordo del letto perdo l'equilibrio e cado a terra aggrovigliato nelle coperte, restando penosamente arrotolato tra queste ultime come se fossi il ripieno di un maki. Con le mani e i piedi bloccati non posso fare granché, quindi inizio a strisciare come un verme cercando di liberarmi da quello che sembra nastro adesivo.
Allontanandomi dalle coperte e da un altro letto uguale al mio, percorro un corto corridoio finché non mi trovo davanti a una porta. Bene, ora devo solo alzarmi in piedi, uscire da qui e sperare che qualcuno mi spieghi quello che è successo.
E ora che ci penso... dov'è quella testona di Akane? Mi sforzo di ricordare gli avvenimenti del giorno prima e tutto è nitido fino all'incontro con mio padre, poi ci siamo separati e l'ho ritrovata per strada spaventata, mi ha abbracciato e...
Improvvisamente mi tornano in mente tutti insieme diversi ricordi imbarazzanti e non posso smettere di pensare al momento in cui le mie labbra avevano iniziato ad avvicinarsi pericolosamente alle sue in quel vicolo. Qualcuno dovrebbe dire a quella stupida che non si possono chiudere gli occhi in certe situazioni. È pericoloso. Per tutti e due.
Guardo la porta dal pavimento e mi ci appoggio contro. Per fortuna sono un esperto a scappare dai luoghi più inverosimili. Sto per muovere i piedi per alzarmi quando avverto un suono.
Qualcuno sta canticchiando.
Giro la testa verso destra e scorgo un'altra porta che non avevo notato in un primo momento. È socchiusa e una voce femminile si diffonde nell'aria intonando una lenta melodia. Con la punta delle dita spingo piano la superficie in legno e, involontariamente, mi trovo a vestire i panni del perfetto guardone.
Lei è di spalle, seduta su un piccolo sgabello di plastica mentre insapona scrupolosamente il suo corpo nudo. Seguo ipnotizzato il percorso della spugna sul suo braccio, poi fino alla nuca... infine fisso l'acqua che scorre lungo la linea della spalla.
Deglutisco a vuoto, con la bocca completamente secca. Chiudo lentamente la porta, lasciandola com'era prima, e cerco di recuperare la calma. Iniziare la giornata legato mani e piedi e con un'erezione potrebbe sembrare un po' compromettente, ma nel mio caso lo è senza ombra di dubbio.
Poggio la testa contro la porta alle mie spalle e la lascio cadere all'indietro, inspiro ed espiro lentamente, più e più volte. La colpa è di quel maledetto di Ryoga, tutto era perfetto finché non ha aperto la sua boccaccia.
"Ti piace".
Quelle parole mi riecheggiano nella testa. E quasi come se fosse una dannata sfida, ho cercato di dimostrare il contrario... altrimenti come mi sarebbe venuta in mente la stupida idea di trascinarla in quel vicolo?
Il vicolo... il vicolo! Spalanco di colpo gli occhi ripensando al momento in cui i miei ricordi si interrompono. È stato proprio in quel vicolo... qualcosa che si muoveva nella penombra... un gatto!
Al solo pensiero mi sento come se mi avessero gettato addosso un secchio d'acqua fredda, un brivido mi attraversa dalla testa ai piedi e spegne definitivamente i miei bollenti spiriti.
In quello stesso istante avverto i passi dall'altro lato della porta e il mio nervosismo per non essere beccato mi tradisce, quindi cerco goffamente di mettermi in piedi dimenticando di essere legato e cado a faccia in giù. I passi si fermano per un secondo e io striscio disperato sul pavimento cercando di tornare vicino al letto e mettere su la migliore faccia da bravo ragazzo.
La porta si apre proprio mentre mi trovo di nuovo aggrovigliato tra lenzuola e coperte e cerco di raggiungere il bordo del materasso.
Akane esce dal bagno già vestita e con un asciugamano sulla testa.
-Ah, sei già sveglio.- dice e posso intuire il suo tono arrabbiato.
-S-sì.- cerco di rispondere, temendo abbia capito quello che stavo facendo qualche secondo fa.
Cammina per la camera terminando di asciugarsi i capelli, si siede sul letto (abbiamo dormito di nuovo nella stessa stanza?) e mi guarda accigliata incrociando le braccia.
Restiamo in un silenzio teso e opprimente, poi mi schiarisco la gola.
-Ehm... eccooo... perché sono legato?- chiedo dal pavimento mostrandole le mani.
-Sei legato perché avevi iniziato a miagolare all'alba, hai distrutto una parete e una porta e ti sei infilato nel mio letto.- risponde senza battere ciglio.
-Cosa?!
-A quanto pare sei uno di quei gatti che non amano dormire soli.
-Gatto?- la parola mi causa un altro brivido. -Oh, non mi dire che... -non ho il coraggio di terminare la frase, è chiaro che i miei peggiori timori si siano avverati.
L'ha visto.
-Mi spieghi che diamine è successo ieri?- la sua voce ha un tono normale ma mi accorgo che si sta sforzando all'inverosimile per non iniziare a urlare.
-Non lo so.- rispondo, sincero. -Quando mi trasformo in gatto non ricordo niente di quello che faccio.
-Quando ti trasformi in gatto?- dice alzando la voce, incredula.
-È una storia un po' lunga.
-Non ho intenzione di muovermi da qui né di liberarti finché non mi spieghi tutto.
-Andiamo, non sarà successo niente di tragico! Vedo che stai bene e a quanto pare sono riuscito a liberarmi di quei due, no?- rifletto, con prudenza.
-No! Non sto bene!- esclama lasciandomi a bocca aperta. –Non sto affatto bene!
Si è alzata in piedi e mi guarda con gli occhi spalancati e i capelli umidi spettinati, io deglutisco dalla mia posizione di tremendo svantaggio.
-Va bene, calmati, ora ti racconto.- accetto, mentre mi chiedo quanti danni agli arredi urbani avrò fatto stavolta. –Esiste un'antica tecnica di combattimento chiamata "Neko-ken".
-Neko-ken?- ripete, aggrottando le sopracciglia.
-Sì, consiste nell'apprendere le capacità e l'istinto di un ga... ga... – non riesco a completare la parola, che resta sulla punta della mia lingua, impedendomi di continuare.
-Un gatto.- finisce lei per me.
-Sì, quello. Mio padre pensava che avrei dovuto apprenderla e per questo...- ingoio saliva ricordando l'orrore, la paura atroce che ho sentito in quei momenti mentre gli artigli e i denti affondavano nel mio corpo tenero -... mi ha gettato in un pozzo pieno di ga-ga-gatti affamati con un collare fatto di sardine essiccate.
Akane apre gli occhi e noto la tensione delle sue spalle allentarsi un po' mentre mi guarda attonita.
-E dato che non ebbe alcun risultato, ripeté l'esperimento con bastoncini di pesce.
-Che?
-E poi di nuovo con strisce di surimi...
Si alza in piedi perplessa e mi guarda dall'alto.
-Tuo padre ti ha fatto questo?
-E perché? Pensi che non ne sia capace? Dici così perché non lo conosci ancora abbastanza.- rispondo con sarcasmo.
-Quanti anni avevi?
-Sette, credo.- ricordo senza dare troppa importanza alla cosa. In quel momento il suo sguardo cambia, passa dal rimprovero alla comprensione.
Troppo tardi mi accorgo che i suoi occhi riflettono dispiacere, sente dispiacere per me. Serro i denti scocciato e inizio a muovere mani e piedi. Non voglio. Quegli occhi che mostrano la pietà che prova per me non voglio vederli. Non ho bisogno della sua compassione, non sono una persona così patetica della quale provare pena.
-E ora che lo sai, liberami, dannazione!
Si risveglia appena alzo la voce e il suo sguardo ora riflette di nuovo quella rabbia che mi piace tanto.
-Non parlarmi così! Ho dovuto prendermi cura di te tutta la notte! E mi hanno anche cacciato da un albergo a causa del tuo comportamento! Quindi sono stata costretta a cercarne un altro all'alba! Dovresti ringraziarmi, invece.- conclude, incrociando le braccia.
-E allora? Non sono me stesso quando mi trasformo in gatto! Non ricordo assolutamente niente!
Serra la mascella e anche i pugni, qualcosa cambia in lei, avverto che le succede qualcosa di strano quando i suoi occhi mi attraversano e un secondo dopo distoglie lo sguardo, sprezzante.
-Niente?- chiede, tesa.
Nego lentamente con la testa, sentendomi in trappola. Qualcosa non torna... cosa mi nasconde? Non so cosa mi succede quando il panico per i gatti si impossessa di me, so che mi sento solo e avvolto dall'oscurità, proprio come in quel profondo pozzo.
E so anche che di solito mi risveglio acciambellato in un angolo caldo, un luogo in cui mi sento protetto, sui rami alti di un albero o sul grembo di mia madre. Sono come un animale randagio alla costante ricerca di un luogo in cui poter tornare.
Akane cerca qualcosa nel suo zaino e tira fuori la cassetta del pronto soccorso dalla quale estrae un paio di forbici. Si avvicina senza azzardarsi a guardarmi in faccia e taglia bruscamente il nastro adesivo che mi lega mani e piedi.
Separo finalmente le gambe e le mani, staccando i resti di nastro appiccicati alla pelle, mentre lei si mette lo zaino in spalla e si avvia verso la porta senza proferire parola.
-Ti aspetto al piano terra.- dice senza aggiungere altro e sbattendo furiosamente la porta.
Sbatto le palpebre fissando la porta.
-Chi la capisce...- protesto, stiracchiandomi per terra sulle coperte arrotolate.
________________________________________________________________________________________
 
Dopo aver impiegato neanche mezz'ora per prepararmi, lascio l'albergo e la trovo ad aspettarmi in strada. Si abbraccia da sola con lo zaino poggiato accanto ai piedi che saltellano per cercare di scaldarsi.
Che stupida... avrebbe potuto aspettarmi dentro.
Quando mi avvicino a lei, mi schiarisco la gola e guardo il cielo, per fortuna oggi pare che sia una bella giornata senza pioggia, nonostante il freddo.
-Hai fatto colazione?- chiedo, sentendo il mio stomaco vuoto, mentre infilo le mani nelle tasche della mia giacca e continuo a guardare in alto.
-Tu che dici?- risponde, ostile.
-Perché sei così nervosa, Cinquanta yen?- dico di proposito, con l'unico obiettivo di farla arrabbiare un po' di più.
-Perché non mi sono ancora liberata di te.
-Oh, hai bisogno urgentemente di un caffè!- rifletto, ignorando completamente i suoi inutili tentativi di offendermi, mentre lei fa una smorfia e gira la testa. Osservo di lato il suo profilo e un lieve e orgoglioso sorriso affiora sulle mie labbra, ma subito dopo mi accorgo del piccolo cerotto che ha sullo zigomo.
Le prendo il mento senza alcuno sforzo e la faccio voltare verso di me. Apre gli occhi sorpresa davanti alla mia determinazione mentre sollevo un bordo del cerotto dalla sua pelle in un solo gesto.
-Che diamine stai facendo?- protesta alzando il braccio e cercando di rimetterlo a posto... potrebbe starsene ferma e facilitarmi le cose. Le giro nuovamente il viso, esaminando il graffio con attenzione, dato che non ho potuto farlo ieri.
Non sembra profondo e mi auguro che non le resti una cicatrice. Già così sarebbe imperdonabile... sfregiare il viso a una donna! Quel disgraziato pagherà caro il momento in cui ha sentito il mio nome per la prima volta.
-Hai finito?- replica impaziente, ma per qualche motivo la sua voce suona meno contrariata, quasi dolce.
-Per te è un problema?
-Eh?
-Nessuna sposa dovrebbe essere in queste condizioni il giorno del suo matrimonio.
I suoi occhi castani mi attraversano, sono così grandi, così belli. Sento la mia volontà vacillare mentre allontana il volto, frustrata. Prima i capelli, ora il viso, quale sarà il prossimo guaio che patirà per colpa mia? In questo momento quasi dubito di riportarla a casa tutta intera.
Tutto questo sta diventando pericoloso, però... però non voglio che se ne vada, almeno non finché non riesco a dimostrare di essere in grado di risolvere tutto, di non essere una persona inutile ma qualcuno su cui si può contare.
Sospiro, spostandomi davanti a lei e rimettendole a posto il cerotto, ripasso la mano sulla zona a contatto con la pelle un paio di volte, assicurandomi che sia attaccato bene.
-Gliela farò pagare.- dico e capisco immediatamente che si tratta di una dichiarazione di intenti. Lo farò davvero... un po' di pazienza e poi vedrà.
Akane annuisce lievemente e io tossicchio, improvvisamente a disagio.
-E dove andiamo ora?- chiede cercando di rompere l'imbarazzo, cosa che apprezzo molto.
-Ehhh... a dire il vero non ci ho pensato.- ammetto, non è che posso tirare fuori un piano B ogni volta che succede qualcosa.
-Quindi?- la guardo pieno di dubbi.
-Prima il caffè.
Un attimo dopo entrambi ci troviamo seduti su una panchina del parco, con due bevande calde e alcuni panini al vapore acquistati in un posto qui vicino. Akane gusta il suo caffè e io mastico lentamente.
-Tua madre non sa niente?- chiede, riprendendo il filo del nostro ultimo discorso, ma io mi stringo nelle spalle.
-Anche se lo sapessi, ora è impossibile sapere dov'è, credimi, sa nascondersi davvero bene.
-E pensi che... abbiano catturato tuo padre?
-Ma neanche per sogno, il vecchio uscirebbe illeso persino da una catastrofe nucleare.
-C'è una cosa che non mi quadra.- dice con aria riflessiva mentre dà un morso alla sua colazione. –Se quella katana è così importante perché te l'ha raccontato? Avrebbe potuto mentirti e basta, tuo padre non aveva motivo di svelarti questo segreto.
-Sì, è vero, ma non si può dire che quel vecchio agisca sempre secondo una logica.
-E se invece avesse un motivo nascosto?
-Che motivo?
-E se in realtà te l'ha raccontato perché ha bisogno di te?
-Di me? Impossibile, non l'ho mai aiutato con i suoi affari loschi, figuriamoci per una roba così assurda.
-Non so... tua madre non sembra una donna qualunque, forse aveva un piano.
-Un piano?
-Pensaci.- dice, mentre alza il dito indice con fare solenne. –Sicuramente sa che la katana che ha venduto tuo padre era di suo nonno.
-Sì ma questo non vuol dire che sappia qualcosa del tesoro. –la contraddico, non mi piace che insinui qualcosa su possibili doppi fini di mia madre.
-Come potrebbe non saperlo? Ne è a conoscenza persino tuo padre.
-Perché mio padre è pazzo! Non esiste nessun tesoro! Dobbiamo prenderlo prima che continui a seminare il caos con quell'arma rubata.
-Ti ha chiesto di aiutarlo, te ne sei forse dimenticato? Ha un senso, in fin dei conti sei il legittimo erede e forse l'unica persona in grado di decifrare il mistero della spada.
La guardo incredulo... cosa pensa che sia tutto questo? Una serie poliziesca di second'ordine?
-Ho saputo solo ieri della sua esistenza.- chiarisco per fugare ogni dubbio.
-Forse non è qualcosa di cui sei cosciente, magari è un ricordo d'infanzia, qualcosa che ti ricordi tua madre...
Termino la mia lattina di tè caldo e la schiaccio nella mano, trasformandola in una pallina, prima di lanciarlo verso un cestino della spazzatura a più di dieci metri di distanza, facendo un centro perfetto.
-Basta con le cospirazioni, ok?- incrocio le braccia, infastidito da tante supposizioni.
-Ora l'unica cosa che possiamo fare è cercare di nuovo il vecchio e sottrargli la katana.
-Se sta cercando davvero di decifrare il messaggio avrà bisogno di aiuto, non credi che possa tornare?
-No, sa che con me perderebbe solo tempo.
-Allora se non può contare né su di te né su tua madre cercherà l'aiuto di un'altra persona cara che abbia informazioni utili.
Quasi scoppio a ridere... persona cara? Nella mia vita non c'è mai stato niente di simile... sempre in viaggio, sempre nuove conoscenze e posti diversi. A malapena ho un'amica di infanzia.
Un momento!
Il sangue mi si gela dalla testa ai piedi, mi alzo all'improvviso mentre una certezza mi colpisce in pieno.
-Ucchan!- mormoro a voce alta, Akane mi guarda ancora seduta sulla panchina. Le sopracciglia le si increspano.
-Credi che... sia andato a cercarla?
-È mia amica, se è messo alle strette potrebbe farlo.- mi volto velocemente, sono cosciente del cambiamento della mia espressione, ora di pura preoccupazione. –Dobbiamo raggiungerla prima di lui, quello stupido potrebbe metterla in pericolo!
Akane annuisce mentre mi guarda attentamente, si alza e sembra dirmi con lo sguardo che è d'accordo, pronta per proseguire fino in fondo in questa follia.
Mi sento così abbattuto... vorrei dirle di resistere ancora un po', anche un solo giorno in più basterebbe, riuscirei a risolvere tutto. Alla fine ne uscirà sana e salva.
Iniziamo a camminare fino alla stazione degli autobus, se quello stupido di Ryoga non si è sbagliato, Ucchan dovrebbe essere a Osaka a occuparsi dei suoi affari, con un grande evento da organizzare che la metterà di sicuro al centro dell'attenzione di chiunque.
Il nostro autobus passerà a mezzogiorno. Con il treno arriveremmo in meno di tre ore ma costa troppo e non sono sicuro di poter arrivare alla fine di questa avventura senza debiti. Prendo posto al suo fianco, questa volta non voglio correre rischi.
Osservo il suo sguardo perdersi nel paesaggio urbano che scorre rapidamente oltre il finestrino... perché sembra così assente?
-Qualcosa non va?- chiedo guardandola, gesto che non ricambia.
-No, niente.- risponde senza spostare gli occhi dal finestrino.
Oh-oh. Persino io so che quando una donna dice "niente" in realtà significa "tutto".
Raddrizzo la schiena e guardo di fronte a me, di certo non le mancano i motivi per essere arrabbiata ma il problema è capire quali sono.
Presto o tardi mi farà uscire di senno.
-Si tratta di quello che è successo ieri?- chiedo ancora una volta. Deve mancarmi sul serio qualche rotella se insisto per iniziare una discussione con lei sapendo che passeremo diverse ore chiusi qui dentro.
Akane gira la testa e i suoi occhi marroni si posano nei miei, in attesa.
-Perché se vuoi delle scuse, allora puoi scordartele.- rispondo con orgoglio, o forse è l'unica risposta che mi suscitano i suoi occhi accusatori, ma non sono disposto a piegarmi a tanto né a chiederle scusa.
-Non voglio le tue scuse, che senso avrebbero se neanche ti ricordi?
-E cosa dovrei ricordare?
-Niente!- dice, voltandosi un'altra volta e appoggiando il gomito sul piccolo supporto del finestrino, guardando fuori. -Suppongo che per te sia una cosa normale.
-Ma di che diavolo stai parlando?
-Tanto non cambia niente, taci.- chiede, accavallando le gambe e dandomi completamente le spalle.
-Sei davvero cocciuta! Forse è perché mi sono infilato nel tuo letto? Ah! Se non lo sapessi, i gatti cercano calore, non l'ho fatto con secondi fini, quindi puoi anche smetterla di fare l'offesa.
-Non sono arrabbiata per questo, pezzo di idiota.- risponde, mentre osservo la sua schiena e il collo bianco che sostiene la sua testa contro lo schienale.
-E allora? Forse non mi sono liberato dei "cattivi"?
-Dimmi una cosa.- dice all'improvviso, girandosi verso di me, cosa che mi fa indietreggiare istintivamente. Annuisco senza troppa convinzione mentre il suo viso si avvicina al mio. -Quante ragazze hai baciato?
Impallidisco e subito dopo sono certo che la mia faccia abbia assunto una tonalità bluastra. La guardo senza capire né la domanda né che caspita le passi per la testa per chiedermi una cosa del genere.
Attende un paio di secondi mentre io resto immerso in un silenzio sepolcrale, poi curva leggermente gli angoli delle labbra in una smorfia.
-Non lo sai neanche.- dice, girandosi di nuovo.
-M-ma cosa c'entra questo?
-Lasciami in pace, cercati un altro posto.- si stringe su se stessa, io la guardo a bocca aperta e capisco sempre meno quello che sta succedendo.
-Che ti importa? Andiamo, nessuno tiene il conto di queste cose, per caso tu ricordi quanti uomini hai baciato?
-Certo che lo ricordo.- risponde altezzosa, senza voltarsi.
-E quanti erano? Otto? Dieci?- chiedo, la verità è che non mi piace per niente la piega che sta prendendo questa conversazione.
-...
-Cinquanta yen, non sei un granché con gli indovinelli.- appoggio le braccia sulla mia testa mentre la guardo di traverso, non si muove ma le sue labbra sì, e confessano qualcosa di sorprendente.
-Tre.- dice fermamente e io mi giro interessato, sto per parlare, quando lei si volta di nuovo e scopro i suoi occhi castani inondati di lacrime. -Ti ho detto di lasciarmi sola!- grida mentre mi spinge cercando di allontanarmi, mi tira fuori dal sedile e mi fa schiantare contro la fila del lato opposto.
Resto mezzo sdraiato su entrambi i sedili, con le gambe sopra la testa mentre sbatto le palpebre senza capire come sono arrivato qui.
-Ma che ti prende?- mi alzo in un salto e mantengo l'equilibrio nello stretto corridoio mentre il veicolo attraversa una piccola strada di montagna.
-Dimenticami!
-Credimi, lo farei se potessi, quale individuo sano di mente vorrebbe avere a che fare con un maschiaccio violento come te?- le urlo furioso.
La vedo cercare con affanno qualcosa nel suo zaino, forse con l'intenzione di trovare oggetti da lanciarmi addosso come fa sempre quando si arrabbia. Afferra quello che sembra un flacone di shampoo e lo solleva al di sopra della sua testa ma prima di poterlo lanciare, l'autobus frena bruscamente.
Urta contro i sedili anteriori e io rotolo per il corridoio fino a sbattere contro l'autista.
Quando sollevo lo sguardo, mi trovo davanti un uomo di mezza età, in uniforme, con un'espressione decisamente infuriata.
-Fuori!- ordina, indicando la porta.—Tutti e due!
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Il nostro mezzo di trasporto si allontana per la strada, lasciandoci a piedi. Al centro di non so dove, osservo impotente la lunghissima strada asfaltata, circondata da alberi sempreverdi. Akane invece è sul marciapiede, si è seduta sul suo zaino e non mi rivolge la parola.
Ok... stavamo discutendo un po' animatamente ma non così tanto da essere buttati fuori.
-Due alberghi, un bar e un autobus.- conta lei, aprendo bocca per la prima volta dopo un bel pezzo. –Di questo passo diventerò un pericolo pubblico entro la fine della settimana.
E si prende anche il lusso di lamentarsi! Siamo stati cacciati per colpa sua!
-Stavolta te la sei cercata da sola.- le dico, incrociando le braccia davanti a lei, che resta seduta, accigliata.
-Stai insinuando che è stata colpa mia?- chiede sdegnata.
-E di chi, sennò?- rispondo, non sono disposto ad assumermi la responsabilità di tutto quello che ci succede, se mi distraggo un attimo rischio di diventare colpevole di crimini contro l'umanità.
-Se ti fossi scusato non sarebbe successo niente.
-Eh? Deciditi una buona volta! Hai detto che dato che non so cosa ho fatto non avrebbe senso scusarmi!- ripeto le sue parole ricordando perfettamente la nostra discussione, cosa che sembra infastidirla parecchio. Si alza e prende il suo zaino senza dire una parola e inizia a camminare in salita, in direzione del punto in cui si è ormai allontanato l'autobus.
-Non è di là.- la correggo alzando la voce e senza muovermi di un millimetro. –Un quarto d'ora fa siamo passati accanto a un paese.
-Ma tu vuoi andare a Osaka, no?- chiede dal punto in cui si trova, ossia più di venti metri.
-Sei matta se pensi di arrivare in tempo a piedi, è molto meglio andare in paese e cercare un nuovo mezzo pubblico.
La vedo sbuffare, le spalle sembrano incurvarsi, poi si rimette in marcia e si avvicina a me.
-Come vuoi.- dice iniziando a camminare per la carreggiata. Se i miei calcoli sono giusti, il paese non può essere più lontano di quindici chilometri, dunque ci aspettano un paio d'ore di silenzio e risposte vaghe.
Proprio non capisco... perché è tanto arrabbiata? Non l'ho vista così neanche quando l'altro giorno ci siamo svegliati nello stesso letto seminudi... scuoto la testa mentre osservo i suoi capelli corti che ondeggiano, devo smetterla con questi pensieri poco casti, ma non sono mica di pietra!
Maledizione, lei fa l'offesa e io non la smetto di scervellarmi... perché ha tirato fuori questa storia dei baci? Davvero ha baciato solo tre ragazzi in tutta la sua vita? Non posso fare a meno di provare una certa amarezza... cosa sarebbe successo se l'avessi conosciuta prima? E perché mai mi sto facendo una domanda del genere?
Ahh, mi esploderà la testa!
-Quindi...- abbozzo, sapendo già che ignorerà completamente le mie domande -...tre?
-Ti sembrano pochi?- risponde immediatamente e io sospiro compiaciuto, preferisco discutere con lei piuttosto che sopportare i suoi silenzi.
-Al contrario, mi sorprende che esistano tre folli con il coraggio necessario per baciare una belva come te.
-Non ci crederai, ma ce n'è uno che si è comportato da codardo.
-Ah sì?- chiedo interessato mentre lei accelera il passo. –Per caso ti hanno rubato il primo bacio?
-No, il mio primo bacio è stato con Yoichi Tsuda al liceo.
Faccio un fischio di ammirazione.
-Lasciami indovinare, gli avevi tirato un pugno.- dico mentre anche io accelero e mi adeguo alla sua andatura, contemplando le sue adorabili guance arrossate.
-Mi ha baciato il giorno del diploma e dopo non l'ho più visto.
-Eri un tipo popolare?
-Qualcosa del genere. Non so come iniziò a correre la stupida voce che chiunque fosse riuscito a battermi sarebbe potuto uscire con me.
-Batterti?- chiedo sorpreso. Bene, a quanto pare non sono l'unico ad aver avuto un'adolescenza complicata.
-Per tanto tempo ho dovuto lottare con i ragazzi e ho finito per odiarli tutti.
-Tranne Yoichi.- chiarisco, sorridendole maliziosamente.
-Non avevamo una storia né nient'altro, solo... è successo.- dice, abbassando lo sguardo senza smettere di camminare.
-E il secondo?- incalzo, ammirando il rossore che inonda il suo viso.
-Shinnosuke.
Sollevo un sopracciglio.
-Il caccia-orsi?- qualcosa non quadra.
-Shinnosuke è molto timido per quanto riguarda il contatto fisico, ci ha messo più di un anno per prendermi per mano.
-Scherzi!?- rispondo automaticamente. Che tipo lento.
-Ci siamo baciati la prima volta solo l'anno scorso.
-Che?- smetto di camminare. Dice sul serio? Ma dove l'ha trovato un imbecille del genere?
-Perché sei così sorpreso?- dice girandosi come se niente fosse. Io mi obbligo a muovere di nuovo i piedi per non sembrare un cretino, ma soprattutto cerco di mantenere la mia abituale maschera di indifferenza.
-Però... voglio dire...- mi schiarisco la gola, nervoso. -E il terzo? Per caso tu...?
-Il terzo è stato un errore.
-L'hai tradito?- non posso fare a meno di chiederlo, spalanco così tanto la bocca che rischio di slogarmi una mascella. La piccola Akane è un vulcano di sorprese!
-No!- urla infuriata e trafiggendomi con uno sguardo carico d'ira. –Un codardo che mi bacia contro la mia volontà non fa di me una traditrice!
Cavolo! Sembra che la sua calamita per i guai funzioni in più di un senso.
-E lui lo sa?- tento, non so perché ma immagino la risposta. Una parte di me gioisce al solo pensiero.
-Come vuoi che gli dica una cosa del genere? Mi odierebbe...
-Ma se state per sposarvi dovresti dirglielo, almeno perché dia una bella lezione al tipo.- stringo il pugno in un gesto piuttosto chiaro, senza dubbio è quello che farei io. Farei saltare tutti i denti a chiunque osasse avvicinarsi a lei.
-Certo, come no, ma Shinnosuke non è per niente aggressivo. Di sicuro mi sorriderebbe e direbbe qualcosa come "non importa".- risponde e, non so se è la mia immaginazione, ma mi sembra di avvertire tristezza e solitudine nelle sue parole.
-Mi sembra chiaro che non conosci bene gli uomini. Per quanto pacifico possa essere, di sicuro reagirebbe diversamente a una cosa del genere.
-Non lo conosci.
-E a quanto pare neanche tu.
Si ferma, il vento soffia scompigliandole i capelli e io mi mordo la lingua. Ho davvero la lingua lunga, non ho potuto trattenere ancora questo tarlo che mi sta consumando da giorni: la sensazione che conosca davvero poco l'acchiappainsetti. E lo stesso vale per lui.
-Ti sbagli.- conclude, e ho la certezza assoluta che la nostra piccola disputa termini qui. La lascio avanzare e resto indietro appena un paio di metri, intuendo che probabilmente voglia stare un po' sola con i suoi pensieri. Forse stavolta ho esagerato.
In fondo è libera di fare quello che vuole, per me è lo stesso chiunque decida di sposare. Potrebbe essere il peggiore dei delinquenti o un ricco principe di un Paese europeo. Non mi importa che sia felice o no, che rida o pianga, che si senta sola...
Non me ne importa niente.
-Ad ogni modo neanche io ho baciato tante ragazze.- mormoro più a me stesso che mosso dall'intenzione di farla parlare. –Non so quante fossero, ma non è che ho perso il conto, semplicemente non mi importava molto.
Noto i suoi passi vacillanti e approfitto per accorciare la distanza tra noi, mentre continuiamo a scendere per la strada da cui si inizia a intravedere il paese in lontananza e, più in fondo, il mare.
-Non gioca molto a tuo favore.- risponde, evasiva. Con una falcata la raggiungo di nuovo senza alcuno sforzo.
-Ma è la verità.- e lo è, non so perché le sto dicendo i fatti miei ma non voglio vedere quel viso così triste.
-Davvero non ti sei mai innamorato?- però! Neanche lei scherza quando vuole ficcanasare!
-C'era una ragazza che mi piaceva molto ma non posso dire che ne fossi innamorato...
-Ucchan?
-Giro il collo fino a farmi male e la guardo con quella che deve essere la migliore faccia da idiota della storia.
-Che?!? No, no, ti sbagli di grosso con Ucchan, io non l'ho mai vista in quel senso, lei è sempre stata il mio amico!
-"Amico"?- arriccia il naso.
-Beh, è complicato, ma io non l'ho mai vista come se fosse una ragazza.- mi gratto nervosamente una guancia mentre sento i suoi occhi castani che mi trapassano la testa. -E comunque che noia, sempre con questa storia dell'amore! Come se fosse chissà cosa! Per caso si può provare che uno è innamorato? Come ti accorgi di esserlo?
Akane non mi guarda, sembra che si nasconde ancora di più dentro il colletto del cappotto.
-Penso che non si possa sapere, ma solo sentire.- risponde un po' triste. È proprio quello che pensavo.
Mi schiarisco la gola un paio di volte e sollevo le braccia sopra la testa, per dare l'impressione di essere rilassato.
-E se... e se quell'idiota che diventerà tuo marito non vuole dare una lezione al tipo che ti ha baciato senza permesso, allora lo farò io.- e da quando sono capace di dire cose tanto sdolcinate? Avverto un certo calore sul viso, apro timidamente un occhio e non posso fare a meno di allarmarmi quando vedo un'espressione divertita sul suo volto.
-Davvero?- chiede e io deglutisco a vuoto, non so come uscirne stavolta. -Però devi dargli davvero una bella lezione perché è quello che si merita.
-C-certo.- annuisco e le sue labbra si curvano in un sorriso maligno. –Devi solo dirmi chi è e io...
Si ferma e la sua espressione cambia, vedo il suo dito indice sollevarsi e posarsi davanti al mio naso. Non so che stia facendo ma non capisco. Resta lì ferma in questa posizione mentre le sue iridi lanciano saette e subito dopo ritira velocemente la mano e riprende a camminare con passi rapidi.
Increspo le sopracciglia mentre la osservo allontanarsi in tutta fretta. Che diamine è successo? Mi gratto la testa pensieroso e la mia mano, distrattamente e contro la mia volontà, imita il suo gesto. Mi ritrovo a indicare me stesso con un dito. I miei occhi osservano il ciglio della strada, cercando di trovare la soluzione al problema.
Lentamente le mie sopracciglia si rilassano, apro gli occhi e spalanco la bocca quando l'unica spiegazione possibile al suo comportamento mi colpisce in pieno come una martellata.
-Eh??- dico mentre indietreggio di un passo, cercando di superare lo shock e non cadere per terra. -EEEEEEHHHHHHH??
Sono così scioccato che divento di pietra. Sento le gambe tremarmi, arrossisco come non mi è mai successo in vita mia e inizio a balbettare da solo cose senza senso.
Non capisco! Come? Quando? Perché? Ma solo una persona può togliermi tutti i dubbi.
Corro per la strada a tutta velocità, tanto che mi si surriscaldano i piedi e non riesco a frenare in tempo la mia corsa, dato che ho superato Akane di una decina di metri. Finalmente mi fermo piantando le mie scarpe sull'asfalto, mentre intorno a me si sollevano nuvoloni di polvere, alzo lo sguardo sentendo il sudore scorrermi lungo la schiena.
Akane si è fermata e mi guarda con diffidenza.
Apro la bocca, devo dire qualcosa, cerco di pronunciare qualche parola coerente ma inizio a balbettare penosamente ancora una volta.
Inspiro, cerco di tranquillizzarmi. Devo farlo.
-Ti ho baciato?- sputo come una mitragliatrice, facendo tutto il possibile per tenere a bada i miei nervi, sono sicuro di essere arrossito così tanto che potrei andare a fuoco spontaneamente.
Lei distoglie gli occhi dai miei, a disagio.
-Non importa, so che non eri in te.
-Ti ho baciato in stato di neko-ken?- ripeto, non mi pare di aver mai fatto una cosa del genere prima d'ora. E il fatto che sia successo con lei mi sembra surreale. –Ascolta, io...
-Lo so che non ricordi niente.- mi interrompe con impazienza, iniziando ad avanzare verso di me, come se all'improvviso avesse fretta di arrivare a destinazione. –Non pretendo di essere più importante di tutte le altre.
Auch. Questo mi ha fatto davvero male. Perché mi dice parole tanto velenose? Finirà per mandarmi del tutto fuori di testa.
-Se vuoi delle scuse te le farò.- cammino alle sue spalle, senza azzardarmi a sorpassarla. –Però cerca di capire che non posso prendermi la responsabilità di quello che faccio quando divento un gatto!
-Lo so, me l'hai già spiegato!- urla, senza preoccuparsi di dissimulare la sua rabbia.
-Allora cosa dovrei fare?
Si ferma, tende il braccio destro e lo fa indietreggiare prima di allungarlo verso la mia faccia, ma io lo schivo di pochi millimetri. Era così forte che avrebbe potuto rompermi il naso.
Giro di novanta gradi per allontanarmi dalla sua zona di impatto ma lei non si ferma e cerca di assestarmi un altro colpo che stavolta evito senza alcuna fatica.
-Hai detto che avresti colpito il tipo che mi ha baciato!
-L'ho detto prima di sapere che il colpevole fossi io!
-Bugiardo! Almeno resta fermo!
-E aspettare che tu mi faccia fuori? Neanche per sogno!
Respira agitata con le mani ancora strette a pugno, serra i denti e recuperando la sua dignità, per un attimo perduta, si sistema i capelli e riprende a camminare.
Sospiro, questa storia mi ha sconvolto.
-Le vuoi queste scuse o no?
-No!
Faccio una smorfia e infilo le mani in tasca. Che stupida, lei almeno può ricordarlo, per me tutto quello che è successo ieri non è altro che un buco nero nella mia memoria.
Senza accorgermene arriviamo in paese, si tratta di una zona costiera e, a causa della stagione invernale, quasi tutte le attività commerciali sono chiuse. Almeno sembra che faccia meno freddo. Cammino dietro di lei in silenzio, mentre le sue parole mi rimbombano in testa.
"Non pretendo di essere più importante di tutte le altre".
Siamo sposati. D'accordo, si tratta di un matrimonio imposto dai nostri padri ubriachi, ma è reale. Solo per questo lei è importante e con quel documento, in un modo o nell'altro, sarà sempre presente nella mia vita.
Akane sarà sempre la mia ex-moglie.
Serro i denti frustrato, forse per il silenzio.
-Potremmo cenare con ostriche alla griglia.- propongo mentre ci addentriamo in una stradina stretta e, davanti alla sua muta risposta, sbuffo infastidito. –Sai una cosa? Non so perché fai tante storie per un semplice bacio!
Sono sicuro che ora si arrabbierà, ma devo dire che sta mantenendo bene la calma, più delle altre volte. Chiaro che sto cercando di metterla alla prova.
-Beh? Forse ti è piaciuto più dei baci del tuo mangia-rane?
-Ritira quello che hai detto!- alla fine quelle guance rosse sono il segnale più evidente della sua rabbia sempre più nera e ottengo di nuovo tutta la sua attenzione.
-Di sicuro quello stupido non sa neanche usare la lingua.- infierisco offensivo, divertendomi più che mai dei miei pensieri. Lo noto, ormai ho perso le staffe e la mia boccaccia parla da sola, alimentata dall'incosciente desiderio che qualsiasi cosa io spari corrisponda a verità.—E di sicuro non è neanche capace di farti urlare di piacere a letto.
Sento un colpo, anche se non lo vedo. La sua mano fende l'aria e mi colpisce in pieno viso.
Bene, stavolta ne avevo bisogno. Entrambi avevamo bisogno di una bella dose di realtà.
Sono andato troppo oltre, qualcuno doveva mettere fine a tutto questo. Mi sforzo di ricordare che non posso parlare così, non so quando ho iniziato anche io ad arrabbiarmi fino al punto di perdere il controllo. Cosa mi ha spinto a sfidare mentalmente il suo futuro marito?
Era... gelosia?
-Quello che faccio con Shinnosuke non è affar tuo!
Mi passo la mano sulla parte colpita, risentito.
-O forse non ha avuto neanche il coraggio di farti perdere la verginità!
Non so che cazzo mi stia succedendo ma di sicuro sto accumulando molti punti per il secondo schiaffo.
Resto in attesa alcuni secondi serrando i denti, ma non arriva. Apro un occhio con timore, sollevo perplesso la testa per poter vedere un po' più in là dei capelli che mi ricadono sulla fronte.
Akane trema ed è arrossita fino all'estremo. Le labbra tremano come le mani, che serra in un muto gesto contro il suo petto. Perché all'improvviso sembra tanto indifesa davanti a me? No... per caso...? Forse...?
-Sei... vergine?- la mia faccia da idiota deve essere sicuramente da incorniciare. Resto a dir poco perplesso, le mie palpebre sono così sbarrate che in qualunque momento potrebbero fuoriuscirmi i bulbi oculari. Non posso evitarlo, sono sicuro di aver iniziato a sorridere, ma stavolta non si tratta di un gesto di superiorità o arroganza, di ironia o finta sicurezza: sorrido davvero. Ma è ovvio che lei lo interpreta in altro modo.
-E perché fai quella faccia?- urla, offesa.
-Sei ver...!- mi tappa la bocca con entrambe le mani e mi guarda fuori di sé.
-Non ti azzardare a ripeterlo!
Quando toglie i suoi palmi sottili dalle mie labbra sento un formicolio ma lei è così indignata a causa mia che non si rende conto di quanto sia meravigliosa ora, con gli zigomi alti arrossati e la sua espressione infuriata.
Riprendo a sorridere come un autentico idiota, lei mi volta le spalle e si allontana dalla stradina, cammina senza meta proseguendo in discesa, senza accorgersi che più scendiamo più ci avviciniamo al mare. Sembra che l'idea di cercare un altro autobus sia finita da un pezzo nel dimenticatoio e, di fatto, ora non ho più nessuna fretta di andare a Osaka.
Mi sento euforico, no, di più: sono felice. L'emozione mi avvolge in una maniera che non riesco a spiegare, ma non posso smettere di sorridere come un deficiente. Forse perché ho trovato un nuovo punto debole da usare contro di lei? O sono felice del fatto che il suo fidanzato sia tanto stupido?
Non so a che gioco stia giocando quello là, io al suo posto non riuscirei a toglierle le mani di dosso.
Ah, perfetto, ecco altri pensieri da vero pervertito.
Però proprio non riesco a capire.
-È gay?- interrompo il nostro silenzio con l'unico motivo che mi ronza in testa e lei mi guarda con la bocca aperta, spalancata.
-Cosa?!
-Non lo so, siete fidanzati da tanti anni... cioè... lui... tu...
-Nessuno di noi due è gay!- esplode, perdendo le staffe. –Shinnosuke è timido e ha avuto molti problemi di salute, non ha niente a che fare con quello che stai pensando.
Sbuffo. A me sembra solo una scusa o sarà il fatto che io al posto dello strappa-erba non ci penserei due volte neanche se fossi in fin di vita, a costo di morire nel momento clou.
Ok, devo smetterla con questi pensieri. Il fatto che sia vergine non significa che sia meno impegnata.
Alla fine quello stupido di Ryoga aveva ragione: mi piace.
Merda. Proprio ora, proprio lei, sembro davvero uno scemo.
E quando è successo? Comunque sia, devo trattenermi, non posso permettere che diventi un semplice capriccio. Già, dev'essere proprio per questo, mi piace perché non posso averla. Sono così contraddittorio, appena mi dicono "vietato toccare" mi fisso proprio sul proibito.
Senza volerlo, ci siamo quasi allontanati dal paese e siamo di fronte alla costa. Il sole inizia a calare lentamente e in uno dei lati del porto si avverte un inaspettato brusio di persone.
-Uh?- la particella scappa dalle sue labbra, indicando interesse.
Ci avviciniamo mentre continuo a crogiolarmi nel mio malessere per scoprire che si tratta di un piccolo mercato di beneficenza.
Dozzine di bancarelle artigianali si estendono davanti a noi, tutte disposte per tipi di articoli. Akane le guarda con distrazione e interesse allo stesso tempo e io la seguo rassegnato.
Perfetto, ora la sto anche accompagnando a fare shopping.
Si ferma davanti a una delle bancarelle ma non guarda gli oggetti in vendita, bensì un'anziana che consola un bambino piccolo dall'altro lato del banchetto. La vedo scambiare qualche parola prima di togliersi lo zaino dalle spalle e tirare fuori la sua cassetta del pronto soccorso.
Si arma di bende e iodio per iniziare a curare con tutta la pazienza e l'amore del mondo il ginocchio graffiato del piccolo.
Mi riempie di tenerezza e tristezza. Alla sciocca piace molto il suo lavoro.
Mi guardo intorno, sapendo che ne avrà per un po' e mi imbatto in qualcosa che attira la mia attenzione. Mi avvicino a un uomo anziano che espone le sue creazioni su un semplice telo poggiato sul marciapiede e mi chino per prendere un ciondolo. Sorrido se penso alla nostra diatriba personale sui nomignoli e lo rigiro tra le dita in controluce. È perfetto.
-Lo vuoi?- chiede con un sorriso. Io lo guardo con timidezza e mi vergogno di essere un libro aperto. –Si tratta di un'edizione commemorativa degli anni settanta realizzata in argento, compresa la catenina, te lo cedo a un buon prezzo.
Distolgo lo sguardo per osservare con la coda dell'occhio Akane che prosegue con il suo lavoro. Prendo l'estremità della catenina osservando che è lunga e lucida e di sicuro starebbe benissimo in contrasto con il suo collo bianco.
In fondo... che c'è di male a essere gentili ogni tanto? Passiamo tutto il maledetto giorno a discutere, non ha voluto le mie scuse e io non faccio altro che attirare le sue ire ed essere malmenato... un regalo non mi ucciderà.
Prendo il ciondolo e tiro fuori il portafogli, non vedo l'ora di vedere che faccia farà.
Mi allontano dall'anziano mentre si inchina ringraziandomi per l'acquisto. Arrossisco leggermente quando mi riavvicino ad Akane che ha finito di curare il bambino e si congeda da quest'ultimo e dall'anziana con un sorriso.
Mi tremano le mani, il cuore mi batte furiosamente.
-Sta meglio?
-Sì, era una ferita superficiale ma sanguinava un po', si riprenderà in fretta. -risponde felice, e ci allontaniamo dalla folla per incamminarci lentamente sul lungomare. Sembra di umore decisamente migliore, come se il semplice fatto di aiutare qualcuno l'abbia riappacificata con il mondo. All'improvviso noto il cappello di lana bianca con un grazioso ponpon che porta in testa, non gliel'ho mai visto finora.
-E questo?- lo indico, e lei arrossisce leggermente, portandosi le mani sulla testa e sistemandolo meglio.
-Me l'ha regalato la signora di prima per ringraziarmi, l'ha fatto lei, ti piace?
Deglutisco a vuoto, sì che mi piace. Anzi, credo che mi piaccia fin troppo.
-Ti sta malissimo!- rispondo mentre le tiro giù il bordo del cappellino per coprirle gli occhi.
Akane brontola scocciata mentre tocca il cappellino con entrambe le mani per sollevarlo e recuperare la vista.
-Sei l'uomo più odioso che...!- si blocca immediatamente nel momento in cui rimette a posto il bordo del berretto, scoprendosi gli occhi. Le sue pupille fissano l'oggetto che ho in mano davanti a lei.
Apre le labbra piccole e rosate in un gesto di stupore, solleva la mano e tocca con la punta delle dita la moneta argentata da cinquanta yen attraversata dalla catenina sottile.
Io mi schiarisco la gola e poso il ciondolo nel palmo della sua mano, fingendo indifferenza e sicurezza.
-L'ho visto e ho pensato che fosse perfetto per te, sai... così non dimentichi il tuo soprannome.
Resto in attesa per qualche secondo ma vedo che non mi risponde e inizio ad andare in paranoia.
-Davvero... è per me?- chiede commossa.
Annuisco una volta, così rapidamente e nervosamente che a stento si intuisce che la mia risposta è affermativa.
La osservo come se i suoi gesti fossero riprodotti al rallentatore. Prende la catenina e la mette al collo, forse è un po' lunga ma non sembra importarle. La moneta si poggia sul suo cappotto, qualche centimetro oltre il petto.
La osserva con gli stessi occhi pieni di tenerezza che aveva un attimo fa, mentre curava il bambino.

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Il sole cala del tutto dietro le onde del mare e l'orizzonte si tinge di rosa e indaco. Akane mi guarda senza timore né risentimento, senza rimprovero. I suoi occhi castani sembrano scrutarmi dentro e per un attimo temo indovinino quello che provo davvero.
Le sue labbra si curvano e si aprono, mostrandomi per la prima volta il suo meraviglioso sorriso.
-Grazie.
Ho la sensazione di sprofondare e il mio stomaco si riempie di farfalle che mi intossicano e mi stordiscono.
Quanto mi sbagliavo finora. La sua espressione corrucciata non può competere affatto con quello che ho appena visto, in alcun modo.
Mi sorride sincera, attraversando tutte le mie barriere, intuendo forse che tutta la rudezza che emerge dalle mie parole non è altro che una copertura bella e buona. Mi guarda davvero, come non l'ha mai fatto nessuno, guarda me.
E sono convinto, anzi assolutamente certo, che finora ho mentito a me stesso. Ora più che mai so che la mia durezza nasce da un desiderio egoista.
No, questo sorriso non voglio dividerlo con nessuno, non voglio che sia rivolto a qualcun altro: lo voglio solo per me.
Mi porto una mano sul volto e distolgo lo sguardo, prima che il cuore mi arrivi in gola.
Sono fregato.
 ___________________________________________________________________________________________
 
NdA: Ciao di nuovo!
Non esagero se dico che quando ho terminato questo capitolo avevo un terribile mal di testa. Vi giuro che ho spento il pc, ho preso un antidolorifico e mi sono messa a letto. Ancora oggi quando lo rileggo mi gira la testa per tutte le parole e gli andirivieni. Potrei dire che sia un lunga conversazione a pezzi, oltre a scoprire molte carte in più di un senso!
Ma passiamo ai ringraziamenti! Grazie a tutti coloro che leggono queste righe! Senza di voi non sarebbe lo stesso.
Ci leggiamo presto!
Lum

NdT
Salve! Stavolta ho fatto la brava e ho sfornato subito il 10! Spero sia stata cosa gradita da chi segue la storia ^.^ Presto arriverà anche l’11, non cambiate canale mi raccomando!
Ringrazio anche io chi segue e continua a seguire nonostante il ritardo dell’altra volta, e ringrazio anche chi mi ha fatto i complimenti per la traduzione. *Inchino*!
Un super grazie alla mia cara LadyChiara93 che mi aiuta tantissimo a tradurre le recensioni per LumLumLove!
E un saluto speciale alle mie Ladies adorate <3
Spirit99

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Capitolo 11
*** Capitolo 11. Sabato 23 - prima parte ***


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Quince días
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Capitolo 11: Sabato 23 – Prima parte
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Akane
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Sta albeggiando e io sono qui da un po' che osservo il sole fare capolino sul mare. Apro completamente la finestra e resto seduta sul comodo tatami della mia camera, godendomi il profumo del mare trasportato dal vento invernale.
 
Sento uno strano dolorino allo stomaco se penso che tra soli sette giorni si celebrerà il mio matrimonio. All'improvviso quel momento mi sembra vicino ma allo stesso tempo molto lontano.
 
Non parlo con Shinnosuke e le mie sorelle da una settimana. Poggio la testa sulle braccia e socchiudo gli occhi per evitare che il sole sempre più alto mi abbagli.
 
Dovrei farmi viva con una telefonata, ma più il tempo passa e più mi pesa. Lascio cadere distrattamente una mano che sfiora per caso la sottile collana che ho al collo, prendo la moneta d'argento tra le dita e ci giocherello... chiedo troppo se resto così un altro po'?
 
Uno squarcio nel tempo. Una pausa in cui nessuno parla, nessuno si muove. Un momento in cui tutte le voci tacciono e mi permettono, finalmente, di pensare.
 
Chiudo la finestra, sento freddo.
 
Inevitabilmente il tempo riprende a scorrere e sono costretta a tornare alla realtà. Oggi dobbiamo incontrare "l'amichetta" di mio marito e metterla in guardia su un'eventuale incursione di mio suocero o qualche yakuza. Devo dire che non ho molta voglia di vedere che faccia abbia... no, decisamente no.
 
La moneta è ancora nella mia mano destra, non so quando né perché ho iniziato a stringerla con tanta forza.
 
Sorrido se ripenso a quello stupido che me l'ha regalata, in maniera timida e goffa, senza dare troppa importanza al gesto.
 
A me sì che importa! Questa monetina è il primo regalo che ricevo da parte sua. Il primo "gioiello" regalatomi da un ragazzo. È triste, ma non ho neanche un anello di fidanzamento, la mia fede nuziale sarà il primo anello per me. Non che Shinnosuke non badi ai dettagli, ma non ha molti soldi dato che tutto quello che guadagna lo spende per curare il nonno malato.
 
È ingiusto paragonarlo a una persona capace di guadagnare mezzo milione in una sola sera e inoltre... una cosa così banale come una moneta mi fa sorridere davvero. Sono proprio banale... e anche stupida.
 
La lascio andare bruscamente obbligandomi a tornare in me... devo smetterla di pensarci, devo tornare alla mia vita quotidiana e svegliarmi da questo assurdo e ridicolo sogno. Mi do un paio di schiaffi in faccia come per ricordarmelo. Devo tornare a casa, è lì la mia vita reale.
 
Mi vesto in fretta, spazzolo i miei capelli corti e mi metto qualche goccia di profumo sul collo e sui polsi. Per fortuna ieri sera abbiamo trovato un albergo con un magnifico onsen e mi sono rilassata là per un paio d'ore. Infatti avverto ancora la pelle morbida e una calma interiore, grazie all'ottima cena e a una meritata notte di riposo.
 
Preparo le mie cose e mi metto lo zaino in spalla... è ora di andare. Apro la porta e noto sul pavimento un pacchetto in una busta di carta. Mi chino piano e la apro: al suo interno trovo un caffè e, mi sembra, una fetta di torta al tè matcha.
 
Sorrido come una scema pensando all'autore di questa sorpresa. Prendo la busta e noto anche un foglietto con due righe scritte in una calligrafia orribile: "Sono andato a comprare i biglietti dell'autobus, fai colazione". Sembra più un ordine che un invito, ma lui è così, rozzo, brusco e sgarbato... timido, protettivo, premuroso.
 
Chiudo la porta alle mie spalle e lascio lo zaino sul pavimento. Torno alla finestra mentre il sole minaccia di squarciare le prime nubi e mi gusto il caffè caldo con un sospiro di piacere.
_____________________________________________________________________________________________________
 
La faccia dell'autista la dice lunga. Sicuramente fa tutti i giorni la tratta Tokyo-Osaka durante la sua giornata lavorativa.
 
Ranma gli allunga i nostri biglietti e lui li accetta riluttante, osservandoci attentamente entrambi e spostando gli occhi da me a Ranma e viceversa come per avvertirci: niente chiasso.

Il codinato sembra molto più tranquillo di me, lo ignora e, accorgendosi del mio disagio, decide di prendere l'iniziativa. Mi prende per mano senza chiedere il permesso e si incammina, costringendomi a seguirlo, come per dimostrare che almeno per oggi abbiamo fatto la pace.
 
Quando si ferma davanti agli stessi posti del giorno prima, mi tolgo lo zaino e occupo il sedile accanto al finestrino, mentre lui si lascia cadere al mio fianco proprio nel momento in cui il vecchio autobus ingrana la marcia. Su di noi regna ancora lo strano silenzio che ci avvolge da ieri sera come un'ombra, una minacciosa e opprimente nube di timidezza che ha a che fare con l'inaspettato regalo.
 
Non posso evitare di portarmi la mano al petto e toccare attraverso il cappotto la presenza dell'oggetto in questione, poi sorrido in maniera impercettibile.
 
Ranma tossicchia e si accomoda sul sedile in una posizione che pretende di far passare per rilassata, ma la tensione della sua schiena lo tradisce.
 
-Sei mai stata a Osaka?- chiede, cercando di iniziare una conversazione qualunque.
 
Io lo guardo con interesse, è così carino quando cerca di dissimulare la sua gentilezza... con la stessa goffaggine e innocenza di un bambino.
 
-No.- rispondo, negando con la testa. –Però ho sempre desiderato visitarla, con tutte quelle luci notturne e i ristoranti di pesce... E poi l'okonomiyaki di Osaka è molto famoso.
 
-Il migliore okonomiyaki che esiste lo cucina Ucchan.- risponde gonfiando il petto, orgoglioso, e io continuo ad avvertire un po' di fastidio, come una piccola fitta alla testa che mi ricorda le mie scarse abilità di cuoca.
 
-Imprenditrice, cuoca, carina... la ragazza perfetta.- sospiro, non volevo parlare di lei, almeno non ancora... è già sufficiente il fatto che stiamo andando dritti là a incontrarla.
 
-Sì che lo è.- concorda lui. –Ryoga dovrebbe chiarirsi con lei una volta per tutte, non capisco cosa stia aspettando.
 
Questa sì che mi coglie di sorpresa, sbatto rapidamente le palpebre e apro la bocca per l'inaspettata notizia.
 
-A Ryoga piace?
 
-Non me l'ha detto chiaro e tondo però... non so, è qualcosa che si nota quando stanno insieme. Lui la guarda in modo diverso dalle altre.
 
-Ehh??- chiedo alzando troppo la voce. -Quindi pensi che sia innamorato di lei.
 
-Può darsi.- risponde, evasivo.
 
Curioso... dice di non sapere cosa significhi innamorarsi però riesce a intuirlo se si tratta degli altri. Forse la mancanza di amore in tutta la sua vita l'ha reso la persona che ho davanti a me in questo momento? Un solitario? Uno che non è disposto a mettersi a nudo davanti a nessuno?
 
Forse è il suo modo di sopravvivere, di apparire forte davanti a tutti... ma penso che questa mancanza di sentimento che cela dietro l'orgoglio non sia nient'altro che insicurezza. L'ho ascoltato parlare con sua madre e so che le vuole bene. L'ho visto mentre diceva a suo padre cose poco piacevoli, però limitandosi a trattarlo male solo a parole. Ma nonostante tutto quello che gli ha fatto passare vedo che ha ugualmente bisogno di lui, proprio come tutti i figli hanno bisogno dei genitori.
 
Ranma ha avuto una vita difficile.
 
Mi piacerebbe se un giorno incontrasse qualcuno con cui si senta libero di togliersi quest'armatura così pesante e così simile alla mia. Qualcuno di cui innamorarsi.
 
Mi piacerebbe... che fosse felice.
 
Ecco di nuovo quella piccola fitta... ma questa volta la sento nel petto, lacerante. Che strano, eppure ho dormito così bene! Mi obbligo a inspirare profondamente un paio di volte, finché il mio battito cardiaco non torna normale e incrocio il suo sguardo ipnotico su di me. Mi sta osservando preoccupato.
 
-Ti senti bene?- chiede con le sopracciglia aggrottate, beh, potrei quasi abituarmi alla sua gentilezza.
 
-S-sì, io...- le mie guance arrossiscono senza motivo e giro la testa a disagio, sforzandomi di continuare la conversazione come se niente fosse. –Mi fa molto piacere per Ryoga, voler bene a qualcuno è una cosa davvero meravigliosa.
 
L'artista marziale sbuffa con l'aria del bastian contrario, infatti so che non ama le romanticherie.
 
-Ovvio che non mi aspetto che tu capisca.-mi affretto ad aggiungere, tornando alla mia posa fiera e sentendo di nuovo alta e solida la mia impenetrabile muraglia.
 
Aspetto la sua risposta pungente tra il nervosismo e l'incertezza ma stranamente non arriva. Giro appena la testa di un centimetro e lo vedo in una posizione inaspettata, con il braccio sullo schienale del sedile, la testa poggiata sulla mano chiusa a pugno e mi guarda fisso.
 
Ma non come le altre volte, con orgoglio e arroganza, no, stavolta vedo solo determinazione nei suoi occhi azzurri che mi osservano determinati.
 
Sento un brivido correre lungo la mia spina dorsale, interrompo il contatto visivo e fisso il mio grembo.
 
-Svegliami quando arriviamo.- dice, e io mi tormento le mani perché sicuramente per colpa sua non riuscirò a schiacciare neanche mezzo pisolino per tutto il viaggio.
_________________________________________________________________________________________

Quando arriviamo a Osaka il sole è alto nel cielo e sicuramente sarà una bella giornata invernale, senza neanche una nuvola che minaccia pioggia o neve.
 
Ranma scende dall'autobus dopo di me, si stiracchia e sbadiglia. Sarà... ha dormito per tutto il viaggio e a un certo punto si è anche azzardato a poggiare la testa sulla mia e io, in un impeto di generosità, gliel'ho lasciato fare. Qualsiasi cosa pur di non sentirlo lamentarsi sul torcicollo dovuto a una postura sbagliata.
 
Sono consapevole di quello che ci attende e mi dà fastidio ammettere che la cosa mi rende leggermente nervosa.
 
-Andiamo, ci aspetta una bella passeggiata.- si affretta lui e io mi incammino, seguendolo a malincuore.
 
Che mi succede? Io non mi comporto mai così. A me piace fare nuove conoscenze, soprattutto se si tratta di ragazze della mia età con cui di sicuro mi trovo meglio. Ma adesso sento un nodo allo stomaco e mi rendo conto di essere piena di timori.
 
Sì, ho paura di conoscere la famosissima "Ucchan" e scoprire che è così fantastica come sembra, proprio come non lo sarò mai io. Una mia coetanea, vincente, indipendente... il suo nome brilla nel firmamento come una stella mentre io vedo il mio futuro spegnersi inesorabilmente.
 
Scuoto la testa. Sono ingiusta con me stessa e, cosa più importante, con Shinnosuke. Non devo sentirmi intimidita dalla sua presenza, siamo qui solo per avvertirla del pericolo che corre e se nel frattempo riusciamo anche a beccare mio suocero, tanto meglio.
 
Mi armo di determinazione, pronta a scacciare via questi pensieri così banali.
 
Cammino dietro il codinato che sembra stia cercando di ricordare a memoria la strada. Davanti a noi scorrono strade movimentate e piene di negozi, chioschetti da cui provengono deliziosi profumi, negozi di elettronica con centinaia di colori brillanti che si intravedono dall'esterno.
 
Mi guardo intorno trattenendo il fiato, con una voglia matta di esplorare il posto o almeno fermarmi per mangiare un boccone, ma Ranma continua ad avanzare senza sosta e io lo seguo, finché non mi accorgo che ci stiamo lasciando il brusio cittadino alle spalle. Stiamo camminando da più di due ore.
 
-Dove diamine stiamo andando?- protesto per la prima volta da quando siamo arrivati, adesso sono davvero affamata.
 
-Sono sicuro che sia da queste parti...
 
-Cosa? Ormai siamo lontani chilometri dal centro!
 
Lui si gira e mi guarda con aria compiaciuta come al solito, solleva il mento così tanto che a stento riesco a vedere i suoi occhi.
 
-Ora mangerai come non ti è mai capitato in tutta la vita.
 
-Succederà solo se nei paraggi ci sono dei ristoranti.
 
Ma la sua espressione orgogliosa è ancora là e si limita a indicare qualcosa con il pollice oltre la sua spalla destra.
 
-Siamo arrivati.- guardo alle sue spalle e vedo solo un gigantesco e infinito muro che si staglia lungo tutta la strada, perdendosi in lontananza.
 
-Arrivati? Ma dove?- incrocio le braccia, scettica.
 
-A casa di Ucchan! Dove, altrimenti?
 
Guardo di nuovo la parete e avanzo di un passo. Sollevo la testa per contemplare il tetto di quella che sembra una villa moderna e immensa.
 
Ranma sorride emozionato accanto a me.
 
-Andiamo, di sicuro gradirà la sorpresa.- dice, afferrandomi per un polso senza nessun riguardo e trascinandomi fino al cancello che delimita l'entrata.
Io resto a bocca aperta, tanto da temere di non riuscire a chiuderla per il resto della mia vita. Che fosse una persona di successo mi era chiaro... ma non sapevo che fosse spaventosamente ricca! Il ragazzo accanto a me preme un pulsante e si limita a identificarsi. Subito dopo la porta si apre davanti a noi, Ranma lascia andare il mio polso e mi indica di seguirlo. Certo, arrivati a questo punto non posso mica tirarmi indietro!
 
Attraversiamo dei giardini immensi e arriviamo finalmente all'entrata principale. Una gentile ragazza in kimono ci riceve e ci invita a entrare in una strana sala. Mio marito sembra trovarsi a suo agio come un pesce nell'acqua, mentre io a stento riesco a capire dove mettere le mani e come comportarmi.
 
Ci troviamo in una specie di sala da pranzo mista a cucina. Il pavimento in parquet lucidissimo brilla come nuovo. A metà della stanza si apre una specie di rientranza rettangolare in cui si trova un'enorme piastra di cottura quadrata per più di quindici commensali. Dietro quest'ultima c'è una specie di sottopalco di forma circolare, cuscini e schienali rovesciabili. Qua e là vedo tavoli bassi con cuscini di tutte le forme.
 
Mi sembra tutto assurdo e giurerei di essere appena entrata in un ristorante quanto meno inquietante.
 
Osservo le pareti su cui sono affissi dei piccoli quadri con varie fotografie, raffiguranti i luoghi più disparati. In alcune di esse mi sembra di riconoscere un luogo molto simile a questo ma più tradizionale e spartano, un piccolo locale con una grande piastra e, dal lato opposto, una ragazza che cucina con grande abilità. Accanto a lei c'è anche la ragazza che ci ha ricevuto all'entrata, mentre serve ai tavoli.
 
Cammino guardando una per una le foto, quando mi imbatto in qualcosa che mi lascia senza fiato. Sorrido alla vista di un Ranma Saotome decisamente più piccolo, diciamo pure un moccioso, vestito con un gi da allenamento che gli sta troppo largo e al suo fianco la ragazza di prima, con una fascia annodata sulla fronte e un'uniforme da cuoca con le maniche rimboccate.
 
Allora è vero che si conoscono da molto tempo, penso mentre osservo con una certa invidia i ricordi di quella che deve essere senza dubbio una lunga e solida amicizia.
 
All'improvviso avverto dei passi che si avvicinano a noi. Sembrano rapidi, al ritmo del respiro agitato che li accompagna.
 
Sulla soglia compare in un batter d'occhio una ragazza con lunghi capelli legati in una coda di cavallo che indossa un kimono tradizionale. Di sicuro dovrebbe impedirle di muoversi alla velocità con cui è arrivata, invece no. I suoi occhi si posano su di me, mi guarda dall'alto al basso per poi spostarsi sull'artista marziale, che le sorride con aria accattivante.
 
-Ran-chan!- esclama con voce squillante.
 
-Scusa per la visita improvvisa.- dice, ma lei non risponde, corre verso di lui e non esita neanche un secondo a gettarsi tra le sue braccia.
 
Si abbracciano entusiasti, mentre io mi sento così a disagio che vorrei che sul pavimento si aprisse una voragine e mi inghiottisse immediatamente. Che ci faccio davanti a questa scena romantica? Il terzo incomodo che interrompe con la mia presenza il loro incontro? Mi sento un'ingrata, una ficcanaso che sbircia i suoi vicini da una finestra lontana.
 
Mi volto, consapevole di essere arrossita leggermente, ma loro ancora non si separano nonostante siano trascorsi alcuni secondi. Finalmente Ranma interrompe il contatto e continua a sorridere mentre poggia le sue grandi mani sulle braccia di lei.
 
-Dai, non è passato tanto tempo dall'ultima volta in cui ci siamo visti.
 
-Che dici? Ma se è passata un'eternità!- protesta lei, mettendo il broncio.
 
-Avevo interrotto qualcosa di importante?- chiede con un po' di preoccupazione.
 
-No, mi avevi salvato da una noiosa discussione con mio padre. Compari sempre al momento giusto.
 
Non sopporto più la situazione, così mi schiarisco la gola richiamando immediatamente la loro attenzione ed entrambi posano gli occhi su di me nello stesso momento, quasi sorpresi. Si era davvero dimenticato che fossi qui?
 
-Ah, Ucchan, lascia che ti presenti... – dice, separandosi del tutto da lei. Faccio un passo avanti intimorita e inclino leggermente la testa in segno di rispetto.
 
-Sono Akane Tendo, piacere di conoscerti.
 
Il silenzio che cala dopo essermi presentata non è solo imbarazzante, ma talmente soffocante che posso avvertire la tensione dei suoi occhi sulla mia nuca.
 
Quando sollevo timidamente la testa la vedo come se fosse in attesa di non so cosa e riluttante allo stesso tempo, ma alla fine cede e le sue labbra si incurvano verso l'alto.
 
-Io sono Ukyo Kuonji, il piacere è mio.- anche lei inclina la testa, sembra una ragazza gentile. –Bene, di sicuro avrete fame!- esclama rimboccandosi le maniche del suo bellissimo kimono in maniera energica, corre verso la piastra e, premendo un paio di pulsanti, la mette in funzione. –Ranma, sto per prepararti il miglior okonomiyaki che tu abbia mai assaggiato in tutta la tua vita.
 
Lui si siede comodamente nella specie di sottopalco che circonda la tavola e a me non resta che imitarlo. Osservo imbambolata il modo in cui Ukyo sembra essersi isolata dal mondo. Più che cucinare pare che ripeta una danza sperimentata un milione di volte.
 
Rompe un paio di uova, aggiunge farina, sale, acqua e mescola con decisione. Tagliuzza alcuni ingredienti e tira fuori spaghetti freddi da un frigorifero vicino.
 
Continua a lavorare mentre io praticamente muoio di fame e di invidia, non so quale delle due prevalga sull'altra.
 
Il codinato la osserva con nostalgia, come se fosse abituato ai suoi movimenti, tanto da risultare naturali ai suoi occhi proprio come respirare.
 
L'irresistibile profumo dell'impasto sulla piastra si mescola con il resto degli ingredienti, ossia noodle, gamberi e un po' di polpa di granchio sfilettata, gira tutto in un unico gesto e prima che l'okonomiyaki tocchi di nuovo la superficie calda, Ukyo lo prende al volo a mezz'aria e lo serve in un piatto. Con un pennello distribuisce una salsa densa e osserva il piatto con decisione prima di aggiungere una spruzzata di maionese e tonno secco in fiocchi.
 
Ci porge il piatto e sorride.
 
-Wow!- esclamo sincera, completamente rapita dalla sua abilità e lei sorride grata.
 
-Akane, ne vuoi uno speciale?- chiede, mentre versa un'altra porzione di impasto sulla piastra.
 
-No, questo è perfetto.- le rispondo al sorriso. –Ti stiamo già disturbando abbastanza.
 
-Sciocchezze.- risponde aggiungendo il resto degli ingredienti. –Se non fosse per i miei okonomiyaki, Ran-chan non verrebbe mai a trovarmi.
 
-Ehi!- protesta l'interessato con la bocca piena, non ha neanche aspettato che io prendessi la mia porzione. –Non è affatto vero, lo sai bene!
 
E lei sorride enigmatica, senza dire una parola. Capisco che è un gesto di profonda tristezza.
 
-Tieni.- dice con gentilezza, allungandomi un okonomiyaki. Io la guardo con riconoscenza e prendo un paio di bacchette. Al primo morso mi rendo conto che Ranma non esagerava affatto: è indubbiamente il migliore che io abbia mai provato.
 
Sollevo lo sguardo e incontro i suoi occhi verdi impazienti, sono belli, grandi e adornati da spesse ciglia.
 
-Delizioso.- ammetto sinceramente, è davvero insuperabile. Lei sospira soddisfatta.
 
-Grazie.- mi sorride, mentre inizia a preparare un terzo okonomiyaki in maniera diligente.
 
-Che ti avevo detto? Ucchan è la migliore!- sorride Ranma, mentre io prendo un altro boccone dal mio piatto. -Dovresti chiederle lezioni di cucina o finirai per avvelenare il tuo cercatore di seta.- afferma con l'intenzione di farmi arrabbiare. Gli lancio un'occhiata che potrebbe gelare l'intero inferno e lui approfitta del momento di distrazione per rubarmi un pezzo di okonomiyaki dal piatto.
 
Protesto contrariata e, presi come siamo dalla nostra disputa per il piatto, non ci accorgiamo che la cuoca ci guarda con aria perplessa, finché non avvertiamo un fracasso assurdo quando una delle scodelle che tiene sul tavolo cade per terra, rompendosi all'istante.
 
Anche lei pare alterarsi e osserva dispiaciuta gli ingredienti sprecati.
 
-Uffa, che imbranata.- sospira, chinandosi per raccogliere tutto.
 
-Tutto bene?- Ranma si alza e le si avvicina per aiutarla. Non so perché, ma ho la sensazione di essere di troppo in questo momento.
 
-Io... eh... vado alla toilette.- dico, alzandomi e dirigendomi verso la direzione da cui siamo arrivati. Se voleva parlare da sola con lui non doveva di certo ricorrere a una sciocchezza del genere, avrebbe potuto chiederlo e basta.
 
Cammino nel corridoio con mille pensieri in testa, quando incontro la donna che ci ha accolto, la stessa che ho visto nelle fotografie. Lei e Ukyo devono essere amiche da anni.
 
-Cerco il bagno.- le dico timidamente.
 
-Certo, ti accompagno.- si offre lei con aria gentile, per poi congedarsi con un inchino una volta giunte a destinazione. Io mi affretto a sparire nella stanza da bagno.
 
Il bagno è più grande della sala di casa mia. Tutto è arredato in stile orientale, semplice e funzionale. Apro il rubinetto e mi sciacquo il viso. Cerco un asciugamano allungando goffamente una mano nell'aria e quando lo trovo mi asciugo e mi rendo conto di essere di fronte a uno specchio enorme.
 
Sospiro davanti alla mia immagine riflessa e penso che è davvero evidente che sia innamorata di Ranma... che stupido... parla sempre senza pensare, dicendo cose che possono farle male come pugnalate. Poveretta... da quanto tempo soffre per colpa di quell'insensibile? Nonostante sia così ricca non può ottenere tutto.
 
Senza rendermene conto, stringo di nuovo la moneta poggiata sulla mia maglia, la guardo contrariata ricordando ancora una volta quel magico momento.
 
Scuoto la testa e con lei i miei corti capelli, è ora di tornare indietro, ho lasciato loro abbastanza tempo per parlare e se tardo ancora inizieranno a preoccuparsi... almeno è quello che spero.
 
Esco mentre inspiro profondamente. Con un po' di fortuna questa incresciosa situazione finirà non appena Ranma la informerà sulle intenzioni di suo padre e potremo continuare con la nostra ricerca.
 
Torno sui miei passi e quando entro nella sala li vedo bisbigliare dall'altro lato della piastra. Beh, a quanto pare serviva parecchio tempo per aggiornarsi sulle ultime novità.
 
Entrambi si accorgono della mia presenza e tacciono immediatamente. Non è necessario essere dei geni per capire che stavano parlando della sottoscritta.
 
Mi schiarisco la gola fingendo di non aver ascoltato niente, cosa peraltro vera, e con il mio miglior sorriso di plastica riprendo a occupare il posto di prima. Bevo un po' d'acqua e, come se me ne infischiassi di tutto ciò che stavano facendo, continuo a mangiare il mio okonomiyaki prima che si raffreddi del tutto.
 
Quanto mi piacerebbe saper cucinare così.
 
-Ho raccontato a Ukyo la questione con mio padre.- mi interrompe il codinato, ma io neanche lo guardo e fingo di essere più interessata a finire il mio piatto piuttosto che ascoltare ciò che esce dalla sua bocca. Non mi passa inosservato il fatto che si trovi ancora dietro la piastra con lei.
 
Finisco di mangiare e lascio le mie bacchette al lato del piatto. Santo cielo, da quando mi comporto come una ragazzina?
 
-Sei in pericolo.- dico finalmente, armandomi di coraggio e superando le mie paure. Devo essere corretta con questa ragazza, in fondo non mi ha fatto niente. –Mio suocero è imbattibile in fatto di guai.
 
-Il tuo che?- aggrotta le sopracciglia e mi guarda con aria diversa. Io guardo Ranma, mi porto una mano tremante davanti alla bocca, rendendomi improvvisamente conto di aver fatto una gaffe.
Non volevo, mi è scappato, non ci ho neanche riflettuto un attimo.
 
-Pensavo che le avessi detto di tuo padre.- mi scuso timorosa, perché l'ultima cosa che voglio è che litighino per colpa mia.
 
-Le ho detto di mio padre! Non di noi due!- esclama contrariato, si porta una mano alla fronte e serra i denti.
 
Ukyo è ancora immobile con la stessa espressione di prima, ma stavolta i suoi occhi fissano il codinato.
 
-Non è possibile... non può essere... voi due...
 
Deglutisco a vuoto.
 
-L'hai messa incinta?!- urla mentre alza le mani e inizia a colpirlo con i pugni chiusi, mentre lui si copre come può con le mani. –Animale! Irresponsabile!
 
-Ma perché dicono tutti la stessa cosa?!- si difende lui sotto i colpi e io, ancora una volta, vorrei solo che si aprisse il solito varco nel pavimento in cui sprofondare il più possibile.
 
-Ukyo, ti sbagli! Siamo sposati contro la nostra volontà, non abbiamo nessun tipo di rapporto!- esclamo, alzandomi e appoggiando entrambe le mani sul bancone, cercando di farla smettere. Le mie guance sono rosse come mele mature e mi sento invadere da un calore immenso.
 
La ragazza smette di picchiare l'artista marziale ma tiene ancora i pugni serrati in aria, minacciando di colpirlo ancora.
 
-È vero?- chiede, e gli occhi azzurri di Ranma si aprono poco per volta, con timore.
 
-Posso spiegare tutto.
 
Un'ora dopo siamo seduti tutti e tre ad uno dei tavoli bassi che circondando il bancone, ognuno con davanti una tazza di tè verde, immersi in un profondo silenzio.
 
Le spiegazioni si sono prolungate più del previsto.
 
-Vediamo se ho capito.- afferma la cuoca schiarendosi la gola, sollevando lo sguardo e fissando le sue pupille nelle mie. –State per divorziare.
 
-Sì, esatto.- annuisco rapidamente, non voglio ammetterlo ma mi intimidisce un po'.
 
-Ma potrete farlo solo quando recupererete la katana che ha rubato Genma.- prosegue, riflettendo sulla cosa, ed entrambi annuiamo contemporaneamente.
 
-Più o meno.
 
-Capisco.- dice, mentre prende la sua tazza e dà una lunga sorsata al suo tè. –Vi aiuterò.- conclude, posandola sul tavolo, molto più tranquilla.
 
-Non devi preoccuparti, Ucchan, ti abbiamo già disturbato troppo.- dice Ranma, appoggiando i gomiti sulla superficie, colpito dal comportamento di lei.
 
-Siamo venuti solo per avvertirti.—lo appoggio, annuendo con la testa. Ho la sensazione che quello che all'inizio sembrava un semplice viaggio stia diventando una gigantesca palla di neve che rotola verso un burrone e diventa sempre più grande man mano che va giù.
 
-Se Genma dovesse venire a cercarmi, non posso fare altro che affrontarlo.- dice tranquilla mentre si stringe nelle spalle.
 
-Non è così semplice.- la interrompe Ranma, di nuovo con quell'espressione preoccupata. -C'è di mezzo la yakuza e sono sicuro che torneranno con i rinforzi. Dovresti nasconderti finché non si risolve tutto.
 
-Nascondermi?- chiede contrariata. –Io non ho fatto niente di male e inoltre ho molti affari di cui occuparmi, stasera devo anche incontrare dei clienti.
 
-Non puoi rimandare la riunione?- tenta di nuovo lui e Ukyo lo guarda un secondo e scoppia a ridere.
 
-Ah Ran-chan, davvero non leggi mai i giornali, eh? Ho più di cinquecento invitati.
 
-Cinquecento?!- gridiamo insieme per l'incredibile numero, ma lei non sembra per niente impressionata dalla cosa.
 
-Cercate di capire... non posso rimandare il più grande evento sociale della mia impresa a poche ore dall'inizio solo perché tuo padre pensa che io possa aiutarlo con i suoi piani strampalati... questo mai!
 
-Ma Ucchan...- tenta di farla ragionare Ranma, cercando di modulare la voce in un tono più sexy e persuasivo.
 
Cavolo... ho appena pensato che ha una voce sexy? Mi porto una mano sui miei corti capelli mentre mi immergo nei miei problemi, del tutto estranea alla conversazione, autocastigandomi per questi maledetti pensieri che mi assaltano costantemente.
 
-Avete visto che ora è?- dice lei alzandosi in piedi. –Gli invitati inizieranno ad arrivare alle otto e io non sono ancora pronta! E poi per arrivare al porto impiegheremo almeno un'ora, dobbiamo sbrigarci.
 
Si porta l'indice e il pollice alla bocca in un gesto sicuramente appreso durante il suo duro debutto nel mondo degli affari e fa un fischio fortissimo, tanto che mi tappo un orecchio. La ragazza che ci ha accolto compare solo pochi secondi dopo.
 
-Konatsu, occupati di Ranma.- ordina con un tono che non ammette repliche.
 
La ragazza si inchina davanti all'artista marziale e lo invita a seguirla fuori, mentre io resto preda dei dubbi, che aumentano quando Ukyo inizia a prendersi troppa confidenza con me. Mi afferra un polso e mi avvicina a lei facendomi alzare di colpo.
 
Guardo verso mio marito, che non sembra trovarsi in una situazione migliore della mia e, quando mi volto verso l'imprenditrice, scorgo sul suo bel volto un perfido sorriso. Mi trascina con sé mentre sussurra emozionata e capisco che ogni mia resistenza sarebbe del tutto inutile.
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Chiude la porta alla mie spalle e resto in silenzio non appena mi rendo conto di essere nella sua camera.

-Wow!- sospiro, non potendo fare a meno di ammirare estasiata quanto sia grande la stanza, con le pareti decorate con carta da parati e mobili in stile occidentale. Osservo un letto gigantesco adornato da un grande baldacchino bianco, uno dei tavoli pieno di cosmetici e un grande specchio circondato da luci. Sugli scaffali troneggiano orsetti di peluche e libri con rilegatura colorata. Mi sembra che tutto abbia quasi un gusto pacchiano, eccessivo, con colori pastello... opposto all'Ukyo che ho conosciuto. Questa camera è completamente estranea a lei, sembra qualcosa che ha estirpato alla radice come un tumore e che ha lasciato in questa specie di contenitore. Sembrerebbe che tutta la sua femminilità sia concentrata in questo luogo, assumendo quasi dei contorni sinistri.
 
Ma mi rendo conto che è meglio non indagare sui traumi infantili degli altri, ho già abbastanza grattacapi.
 
Ukyo mi osserva sorridente.
 
-Ti piace?- dice senza perdere il sorriso e io annuisco nervosamente. Non so ancora perché siamo qui. –Dai, sono sicura che troveremo qualcosa che ti stia bene.
 
-Eh? Di che parli?
 
-Di un abito, no?- risponde mentre apre le ante a scomparsa di un armadio che è così grande da sembrare un'altra camera da letto.
 
-Abito?
 
-Non vorrai mica presentarti così alla festa!
 
Questa è matta! La osservo sconcertata mentre mi spinge verso quello che deve essere l'armadio più grande che io abbia visto in tutta la mia vita.
 
-Non essere timida, le amiche di Ran-chan sono anche mie amiche.- sembra riflettere un attimo su quello che ha appena detto. –O sua moglie... quello che è.- si schiarisce la voce e le sue mani iniziano a muoversi freneticamente tra grucce e abiti di seta, mentre io resto immobile senza sapere cosa fare.
 
-Io... non sapevo che tu e lui...- mi sto scusando e non so neanche perché, torcendomi le mani e fissandomi le scarpe.
 
Ukyo mi guarda di sottecchi e le sue labbra si allargano in un sorriso.
 
-Tra noi non ci sarà mai niente.- risponde tagliando corto, prende un vestito, lo poggia su un braccio e continua a cercare.-Siamo amici e ho imparato che va bene così. Anzi, è meglio. Io sarò sempre qui per lui e lui lo sarà per me. Il nostro legame è molto più importante di una storiella d'amore.
 
-Ma lui ti p...-sono una grande pettegola, mi porto la mano alla bocca troppo rapidamente. Ukyo prende un altro vestito e prosegue con la sua ricerca.
 
-Sì, ma mi sono imposta di innamorarmi di qualcun altro.-prende una terza gruccia e mi osserva come per valutarmi, cercando di capire se ha scelto la taglia giusta.
 
-Così, come se niente fosse?
 
Mi guarda e sbatte le palpebre.
 
-E che altro posso fare? Non sono in competizione con un'altra donna, altrimenti sarebbe tutto più semplice.
 
Il mio cuore inizia a battere più forte, sento la bocca secca e le mie labbra tremano. So che il mio viso riflette tutto quello che ho dentro, ossia imbarazzo e disagio.
 
-Se ti riferisci a me, io ho già una persona che...- mi sento in obbligo di chiarire le cose con questa povera ragazza, anche se non ho alcun motivo per farlo.
 
-Non è per te.- risponde seccamente. –Non ha niente a che vedere con te. Anche se devo confessarti che mi incuriosisci.
 
-Io?- sono sempre più stupita dalla piega che sta prendendo questa conversazione.
 
-Sì, è la prima volta che Ran-chan mi presenta una ragazza.
 
-M-ma solo perché è stato costretto dalle circostanze! Sono sicura che lui non voleva che succedesse!
 
-Però è andata così e se ora dovessi competere con te per conquistarlo, di sicuro ne uscirei con le ossa rotte.
 
-Che intendi dire?- inconsciamente afferro di nuovo la catenina con la moneta che adorna il mio collo, la stringo forte nel palmo della mano come se così potessi ritrovare la calma.
 
-Con te si comporta in maniera diversa, è scortese, evita di guardarti direttamente, sembra che tema persino di pronunciare il tuo nome.
 
-E che ha di positivo tutto questo? Con te è gentile, ti riempie di complimenti e si rivolge a te con confidenza, invece per quanto riguarda me non smette mai di farmi arrabbiare!
 
Ukyo sorride mestamente e posa i vestiti sul letto.
 
-Dai, provali, abbiamo ancora molte cose da fare.
 
-Ma...-non posso replicare, la padrona di casa si dirige di nuovo verso il suo gigantesco armadio e inizia a esaminare un paio di scarpe.
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-Ero sicura che il tuo colore fosse il bianco!- dice sorridente mentre io contemplo a bocca aperta il mio riflesso nel gigantesco specchio poggiato a una delle pareti.
 
Un abito bianco molto semplice senza troppi fronzoli, a parte la leggera e luminosa scollatura in pizzo che mi stringe il seno grazie al sostegno interno. Devo ammettere che il risultato è favoloso, non mi sembra neanche di essere me stessa. Una sottile striscia di stoffa passa attorno al collo per evitare possibili incidenti. È lungo fino ai piedi e si apre con uno spacco laterale... temo di non riuscire a camminare infagottata in questa meravigliosa creazione. Infine, si stringe in vita e mi lascia la schiena scoperta più di quanto io abbia mai osato. Mi calza come un guanto, sembra davvero fatto su misura per me.
 
Giro su me stessa e mi costa ammettere che è molto più bello del mio abito da sposa.
 
-Come mai hai questo abito? Non sembra la tua taglia.- chiedo, cercando di non risultare troppo impicciona. Ukyo si stringe nelle spalle.
 
-A volte quando mi annoio compro un paio di cataloghi di moda.
 
-Intendi dire vestiti.- la correggo, ma lei ride e un brivido mi percorre la schiena quando mi rendo conto che non si è confusa. Che diamine... quanti soldi ha questa ragazza?
 
Ukyo indossa un vestito meraviglioso, color blu notte che le fa risaltare la carnagione chiara, in netto contrasto con la stoffa luminosa. Il suo abito è molto più vistoso, in mussola e decorato con perline e la scollatura è decisamente più generosa, tanto che per un attimo mi vergogno di aver pensato che il mio stesse così bene.
 
-Sembri una sposa!- dice senza perdere il sorriso, mentre il mio mi muore sulle labbra.
 
Certo, sì che lo sembro, ma perché tra tutti gli abiti di quel mostruoso armadio ha scelto proprio questo? In più si è presa la briga di truccarmi e ha completato l'opera con un piccolo fermaglio di brillanti tra i miei capelli corti.
 
Al collo c'è ancora la collana che mi ha regalato Ranma ieri pomeriggio, con la moneta nascosta nella scollatura.
 
Per un attimo un piccolo dubbio si insinua nella mie mente: per caso l'ha fatto di proposito? E se sì, che cosa vorrebbe dimostrare? Ah, questa sì che è bella... io vestita di seta e pronta per partecipare a un ricevimento dell'alta società, mentre il resto della mia vita va praticamente a rotoli.
 
Un senso di colpa mi assale, mi mordo le labbra rosse, truccate per l'occasione, e cerco di nascondere questo sentimento in un angolino della mia mente per evitare che mi tormenti... che mi ricordi che tra poco meno di una settimana devo indossare un abito completamente diverso.
 
-Akane, stai bene?- chiede Ukyo guardandomi con serietà, ma io nego immediatamente e i miei corti capelli mi sfiorano le guance a quel gesto.
 
-No... è solo che mi sento strana, non vado mai alle feste, tanto meno di questo genere... e poi non ho mai indossato un vestito così bello.
 
-Che stupidaggini! Sei molto carina, sono sicura che persino Genma sbucherebbe dal suo nascondiglio per invitarti a ballare.- mi fa l'occhiolino con malizia. –Andiamo, non posso far tardi.
 
Si muove sui tacchi con una leggerezza e una rapidità che vorrei tanto avere anche io, dato che le mie scarpe sono così alte che a stento riesco a stare con la schiena diritta! Nonostante tutto, cerco sempre di mantenere intatta la mia dignità. Se la maggior parte della popolazione femminile (e anche quella maschile) può portare queste maledette scarpe, allora ci riuscirò anche io!
 
La castana si gira verso la porta e il suo sguardo mostra tutta la sua approvazione quando inizio a camminare più lentamente, facendo risuonare i miei passi sul pavimento e lasciando che l'orlo del vestito si muova al ritmo dei miei piedi.
 
Annuisce e sorride... tutto questo mi insospettisce.
 
-Ehi, che stai tramando?- chiedo senza mezzi termini, ma lei si limita a sistemarsi i capelli.
 
-Voglio solo che Genma esca allo scoperto, anche se...  mi piacerebbe dimostrare una cosa a un vecchio amico testardo.- termina, allontanandosi nel corridoio.
 
-Che?- chiedo, raccogliendo con le mani la gonna dell'abito per sollevarla e correndole dietro. –Ukyo, aspetta!
 
Scendiamo da una lunga scala e arriviamo all'entrata, dove ci attende la ragazza del kimono.
 
-La limousine è all'ingresso signora Ukyo.- dice mentre ci offre una stola che poggio in fretta e furia sulle spalle cercando di ignorare il freddo che è aumentato con il calare della sera. Cavoli, spero solo che si tratti di pelliccia sintetica.
 
-Grazie mille Konatsu, ti faccio sapere quando dovrai venire a prenderci.
 
-Certo.- dice mentre si china in segno di rispetto. Sollevo un sopracciglio quando, per un attimo, mi è sembrato che la sua voce fosse un'ottava più bassa del normale... troppo per una donna.
 
Usciamo e mi stringo nel mio striminzito cappotto.
 
-Questa festa è all'aperto?- chiedo, temendo una risposta affermativa.
 
-Ma no, cosa vai a pensare, è in barca.
 
-Hai una barca? Una barca per cinquecento persone?- non so che altro potrebbe ancora sorprendermi, ormai sono sull'orlo di una crisi.
 
-Diciamo che è una nave da crociera.- risponde senza dare troppa importanza alla cosa e infilando l'uscita.
 
I nostri passi ci portano fino all'entrata, dove ci attende una luccicante e gigantesca auto bianca.
 
-Perché avete tardato tanto?- riconosco questa voce, nell'ombra intravedo Ranma che intercetta Ukyo prima che quest'ultima raggiunga la macchina.
 
-Per noi non è così facile, non basta indossare un abito e via.- dice lei, e lentamente passa le mani sul suo petto, accarezzando i risvolti dell'elegante giacca nera che indossa, facendo scorrere le dita fino al nodo della cravatta per stringerlo meglio. –Sei davvero uno schianto.- gli strizza l'occhio, poi apre la portiera ed entra nella limousine.
 
Io resto a metà strada come una stupida, i miei piedi non si muovono, no, non posso... sono incollati al suolo come se fossero immersi nel cemento. Perché? Come mai all'improvviso mi sento così umiliata, indignata, arrabbiata per questa confidenza, per come comunicano senza la necessità di usare le parole?
 
Deglutisco a vuoto, serro i denti e sollevo il mento. Non lascerò che lo noti, non permetterò a quello stupido di capire quanto mi faccia star male con i suoi comportamenti.
 
Passo davanti a lui ignorandolo del tutto, cercando di muovere i piedi più velocemente dei miei pensieri, veloce, veloce. Ho bisogno di nascondermi dalla mia stessa confusione mentale.
 
Ma i miei passi goffi si ingarbugliano nel vestito, sto per rovinare a terra quando sento la sua mano forte serrarsi sul mio braccio e afferrarmi come se fossi una piuma. Mi rimette in piedi senza alcuna delicatezza e io riprendo a reggermi sui miei tacchi lasciando andare un lungo sospiro di sollievo. La mia stola è finita per terra.
 
Che imbranata! Arrossisco mentre Ranma si china e la raccoglie.
 
Mi guarda e all'improvviso si blocca, resta immobile con la stola in mano e le pupille fisse. Rabbrividisco, non so se sia colpa del freddo, i secondi passano e lui è ancora lì imbambolato nella stessa posizione, mentre io mi abbraccio da sola cercando di farmi calore.
 
-Non dici niente?- sento il vento gelato penetrarmi nelle ossa ma il viso mi arde. Il perfetto idiota sembra essere diventato di pietra, non so perché sia tanto sorpreso.
 
Lo vedo deglutire a vuoto, fermo come una statua e l'unica cosa che si muove è il suo pomo d'Adamo che va su e giù dietro il colletto della camicia.
 
Si avvicina a me di un passo e io istintivamente indietreggio. Si blocca, avanza ancora e stavolta sono io a restare ferma. Guardo le mie scarpe e sento la stola avvolgermi le spalle con una delicatezza che non mi aspettavo.
 
La incrocia sul mio petto e io la afferro per evitare che cada di nuovo. Sollevo lo sguardo timorosa e noto che è ancora lì, con quegli occhi azzurri enigmatici, vestito con il suo abito impeccabile.
 
Sembra un inaspettato dongiovanni, un principe azzurro uscito da una fiaba e, per un attimo, davanti ai miei occhi increduli si trasforma in Romeo.
 
-Allora, vogliamo andare o no?- urla Ukyo, sbucando dal tetto della limousine.
 
Alla fine ci svegliamo dall'attimo di trance, mi avvicino tremante e finalmente mi sento avvolgere dal gradevole calore della limousine, mentre Ranma chiude la porta dietro di sé e la padrona di casa ci osserva attentamente. Il codinato si siede di malumore, incrocia le braccia e Ukyo ride apertamente.
 
Ho l'impressione di avere davanti a me una lunga notte.
 
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NdA: Ciao a tutti!
Bene, sembra che Akane stia iniziando ad accorgersi di qualcosa, almeno a livello inconscio. Alla fine Ukuo non le risulta così antipatica come si aspettava... di cosa confabulava con Ranma? Eheheh! In realtà in questo capitolo non succede granché, ma è il trampolino di lancio di quello che sta per arrivare, il mio amato/odiato capitolo 12! Spero di avervi incuriosito e ringrazio tutti i lettori che mi seguono.
A presto e un bacio!
LUM
 
NdT: Mi prostro ai piedi dei lettori che seguono questa storia per il ritardo immenso ma negli ultimi due mesi ho avuto diversi intoppi :( In realtà il capitolo 11 era pronto da un pezzo ma il tempo era davvero pari a 0, anzi sotto 0! Eccolo qui finalmente! Sperando non ci siano troppi errori che, eventualmente, provvederò a correggere in seguito. Che ne dite della comparsa di Ukyo? :P Non temete, la seconda parte è in dirittura d'arrivo e decisamente più movimentata, ma prima spero possiate apprezzare la prima.
Grazie a tutti tutti per la pazienza e un saluto speciale speciale alle mie Ladies <3
Spirit99

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Capitolo 12
*** Capitolo 12. Sabato 23 - seconda parte ***


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Quince días
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Capitolo 12: Sabato 23 – seconda parte
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Ranma
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-E allora?
 
-Eh?
 
-Non mi inviti a ballare?- stringo forte le palpebre e mi obbligo a tornare con i piedi per terra.
 
Davanti a me c'è una ragazza che neanche conosco e che mi guarda impaziente. Ha i capelli tinti di un orribile rosso che non rende giustizia alla sua pelle candida e, cosa più importante, non so di che diavolo stia parlando.
 
Ma quand'è che ho iniziato a chiacchierare con lei? O, per meglio dire, è lei che ha iniziato a parlare con me e a pensare che io fossi interessato a lei! Da un pezzo non faccio altro che rispondere a tutte le sue domande annuendo automaticamente o spiccicando qualche monosillabo e potrei aver detto di sì a richieste come "balliamo"? "mi presenti ai tuoi genitori?" e "mi porti in vacanza in Europa?" senza neanche aprire bocca.
 
-No.- rispondo controvoglia, dando per conclusa la "conversazione".
 
-Che maleducato!- dice lei stizzita e sicuramente offesa dal mio evidente disinteresse.
 
Infatti non mi accorgo neanche quando va via, sono troppo assorto nei miei pensieri. Appoggiato ad uno degli innumerevoli banconi di questa gigantesca sala galleggiante, osservo la gente cercando di individuare il mio obiettivo.
 
Maledizione, sono stato io a proporre questo stupido piano.
 
Separarci per controllare meglio la situazione e scovare mio padre non sembrava affatto una cattiva idea all'inizio, dato che tre persone vedono meglio di una, ma non avevo considerato che la nostra momentanea separazione mi avrebbe causato tanta ansia.
 
Il nodo della cravatta mi fa soffocare... lo allento leggermente e slaccio il primo bottone della camicia. Approfitto di uno dei camerieri che passa davanti a me e prendo dal vassoio che ha in mano quello che spero sia un semplice bicchiere d'acqua. Ho la gola secca.
 
Ma a chi voglio darla a bere? Non sto cercando mio padre né gli yakuza. Ormai sono passati tutti in secondo piano nel mio elenco di priorità. Muovo rapidamente gli occhi tra la folla con l'intenzione di cercare Akane, per sapere solo se sta bene (e non sia in compagnia), nient'altro.
 
È come rinunciare a una caramella come premio all'uscita da scuola.
 
Quello che ha fatto Ucchan è un colpo basso. Bassissimo. Quando siamo rimasti soli ho cercato di rimediare al fatto di averle portato in casa una ragazza, ma a quanto pare non ha funzionato. Mi ha estorto tutte le informazioni possibili e, a mio avviso, le mancavano solo una luce da interrogatorio accecante, una corda per legarmi e delle tenaglie per farmi confessare.
 
"È molto carina—mi aveva detto, osservando la mia reazione e io avevo negato fermamente, come se fossi un adolescente timido. Forse è colpa del karma, ma la mia amica Ucchan ha trovato un modo migliore per farmi rimangiare le mie parole: vestire Akane in quel modo.
 
Il mio cervello è andato letteralmente in tilt davanti all'immagine che gli rimandavano i miei occhi. La sua pelle candida, i suoi capelli neri come la notte, il suo seno rigoglioso messo in evidenza dalla scollatura di quell'abito bianco che le dà l'aria di una ninfa uscita da una favola.
Una meravigliosa sposa.
 
Al diavolo la mia fottuta sorte! Sono così furioso che sarei capace di distruggere lo scafo di questa nave con un solo pugno.
 
Mi sento un grandissimo idiota.
 
Il cuore non smette di martellarmi nel petto, i miei pugni si aprono e si chiudono nervosamente e mi si spezza il respiro. Mi sembra di aver contratto una malattia, un morbo contro cui lottare per evitare che mi consumi l'anima. Anche se temo che la convalescenza non mi servirebbe a un bel niente.
 
Provo di nuovo ad allontanarla dai miei pensieri e mi concentro per cercare quel disgraziato di mio padre. Tutta colpa sua, è solo colpa sua se l'ho conosciuta, se sto diventando mentalmente instabile.
 
-Balliamo?- una voce femminile mi sorprende alle spalle, mi giro scocciato pronto a rifiutare senza sembrare troppo scortese, ma a lei non posso negare niente.
 
-Ucchan?
 
-Devo liberarmi di alcuni fornitori piuttosto noiosi, tu muovi i piedi e basta.- dice, mentre poggia tranquillamente le mani sulle mie spalle e io mi limito a obbedire.
 
-L'hai visto?- chiedo con un certo nervosismo, scrutando oltre la sua testa.
 
-Genma? Se viene dovrà prima liberarsi della mia squadra di sicurezza, non credo sia semplice.
 
-Non per sminuire i tuoi uomini ma temo che non possano fare niente contro di lui dato che è un ladro che sa il fatto suo e ha sempre un asso nella manica.
 
-Eh sì, come il tuo matrimonio.- dice con una punta di rancore. Smetto di cercare mio padre tra la gente e la guardo accigliato.
 
-Non sarai arrabbiata per questo, vero?- chiedo, attento alla sua espressione.
 
-Avresti dovuto dirmelo fin dall'inizio.-risponde, ferita.
 
-Non volevo nasconderlo.- mi scuso goffamente e sento le sue mani scivolare sui miei avambracci.
 
-Sì che volevi, forse lei riesci a ingannarla, me no.
 
-Ucchan, non ho voglia di parlarne.-e dico sul serio, qualcosa nella mia testa ha iniziato a rimbombare forte e ritmicamente, come l'allarme di un sottomarino nucleare.
 
-Lo dici perché sta per sposarsi?- chiede, continuando a ficcare il naso nella questione e io sento come se mi avessero appena infilzato il petto.
 
-Non è questo.- dico, evitando i suoi occhi verdi che mi conoscono tanto bene.
 
-Beeene, interessante.- sorride maliziosa. -Pensavo che non avrei vissuto abbastanza per vederlo.
 
-Per vedere cosa?- mi difendo, infastidito da questa imbarazzante conversazione.
 
Lei mi guarda con complicità e continua a muoversi al ritmo della melodia dolce e monotona.
 
-Ti abituerai.- sussurra con lo sguardo perso nel vuoto e io la guardo senza capire. Poi solleva la testa lentamente e mi sorride con i suoi bellissimi occhi verdi che diventano lucidi. -Il dolore diventerà normale come respirare e anche se pensi di morire, continuerai a vivere. Alla fine scoprirai che, nonostante tutto, si può tornare ad amare anche con il cuore spezzato.
 
Una lacrima rotola sulla sua guancia.
 
-Ucchan?!- chiedo preoccupato, lei schiva il mio sguardo e si stacca bruscamente da me. La frangetta le copre gli occhi per un istante, mettendo in ombra la sua espressione finché la luce della sala torna a illuminarle il viso, ora privo di ogni traccia di pianto.
 
-Non essere stupido, a lei non sei indifferente. Tu hai ancora un'opportunità.-dice, dandomi una piccola spinta. Io sbatto le palpebre confuso dal suo comportamento ma ancora di più dalle sue parole.
 
Non le sono indifferente? Che intende dire? Ma mentre continuo a crogiolarmi nei miei dubbi, la mia partner di ballo prende un bicchiere dal vassoio di un cameriere e dopo un primo sorso qualcuno la interrompe.
 
Alla fine Ucchan è la protagonista della festa, devo ritenermi fortunato se ha avuto un po' di tempo per parlare cinque minuti con me. Un nutrito gruppo di persone ronza attorno alla mia amica, circondata da risate e complimenti, e io mi allontano lentamente verso un angolo un po' più isolato per proseguire con la mia ricerca.
 
Cammino piano tra la gente, osservo con attenzione, do un'occhiata al freddo ponte esterno da cui siamo protetti grazie a una gigantesca e magnifica cupola di cristallo dalla quale penetra la luce delle stelle.
 
Sbuffo annoiato per poi scorgere un'ombra con la coda dell'occhio che si muove rapida e silenziosa. Fin troppo. Cammino in fretta evitando di urtare persone, facendomi largo tra la folla per non perderla di vista. Sono sicuro di averlo visto: era quello scriteriato di mio padre.
 
Mi fermo mentre cerco di rimettermi sulle sue tracce. Cerco che è davvero inafferrabile ma mi azzarderei a dire che io lo sono di più. Con gli anni ho imparato a conoscerlo, intuisco quello che gli passa per la testa proprio come un ispettore di polizia riconosce un delinquente.
 
So che mi sta cercando, so che ha bisogno di qualcosa che può ottenere solo grazie a me... forse vuole contattare mia madre? Estorcermi informazioni? Cammino attentamente, sapendo che se mi allontano abbastanza, se mi perdo tra la gente, forse non avrò neanche bisogno di seguirlo perché potrebbe essere lui a incontrare me.
 
I miei pensieri si moltiplicano e si intrecciano assumendo le forme più disparate, celando cospirazioni e inganni. Sento il mio rancore crescere a dismisura, serro la mandibola inconsciamente, digrignando i denti.
 
La musica risuona lenta e diverse coppie ballano in pista, mentre il vecchio è sparito come al solito senza lasciare tracce.
Sono sul punto di voltarmi quando un'altra cosa attira la mia attenzione: la vedo e mi blocco proprio come ho fatto davanti alla casa di Ucchan.
 
L'orlo del suo vestito si muove al ritmo dei suoi passi lenti, le sue mani sono posate sulle braccia di uno sconosciuto, che la guida nel ballo e le stringe la vita con una mano.
 
Li vedo chiacchierare e forse parlano di qualcosa di interessante, altrimenti non saprei spiegarmi il suo sorriso accennato, i suoi occhi attenti. Tutto il rancore accumulato contro mio padre si dissolve all'istante, trasformandosi in un altro tipo di sentimento, oscuro e potente, che mi pervade fino ai muscoli, fino a schiacciarmi il cuore.
 
È un mostro gigantesco che divora in un battito di ciglia la mia razionalità.
 
I miei piedi si muovono automaticamente verso di loro, stringo i pugni pronto a imporre la mia volontà a costo di usare la forza. Ecco cosa sto diventando... qualcuno che non conosco, un delinquente peggiore di mio padre stesso.
 
Capisco troppo tardi di essere geloso.
 
Quando la mia respirazione si interpone tra me e le mie parole, sono già troppo vicino alla coppia per fingere di trovarmi là per caso.
 
Picchietto delicatamente la spalla dello sconosciuto, che si volta sorpreso.
 
-Tocca a me.- dico piano, al ritmo dei miei gesti. Non sto chiedendo il permesso, non voglio dare spiegazioni. Quando lui si volta del tutto, lo allontano da lei e prendo il suo posto.
 
-Ranma?!- esclama arrossendo e muovendo le mani a disagio, come se con me non sapesse dove posarle.
 
Il tipo resta fermo con una faccia da imbecille nel bel mezzo della pista, tossicchia e si allontana dopo aver compreso.
Bene, sorrido malignamente mentre vedo la minaccia allontanarsi.
 
Sapevo che sarebbe successa una cosa del genere, fin da quando ci siamo separati. È troppo carina, troppo bella. Ovvio che ci sarebbe stata una fila di ragazzi pronti a portarla via.
 
-Cosa pensi di fare?- protesta, e io smetto di guardare con attenzione la sala per concentrarmi solo su di lei.
 
-Non dirmi che ho interrotto qualcosa.—rispondo, trattenendo il fiato. Le sue mani si chiudono a pugno contro i miei avambracci.
 
-No! Cosa vai a pensare?!
 
-Allora perché stavi ballando anziché vigilando?- riprendo, cercando in tutti i modi di disfarmi di quel mostro che minaccia di divorare tutta la mia ragione.
 
-Ah! Senti chi parla...!
 
Sollevo un sopracciglio, comprendendo immediatamente.
 
-Mi hai visto ballare con Ucchan?
 
Lei distoglie lo sguardo orgogliosa, non può essere arrabbiata per questo, non avrebbe alcun senso. Mi accorgo che mentre tutti si muovono attorno a noi, restiamo fermi senza fare altro, tranne discutere, ovvio.
 
Con un gesto coraggioso, sfioro la sua schiena con la punta delle dita. Il contatto mi elettrizza, un milione di volt corrono lungo la mia colonna vertebrale mentre cerco di non farmi tradire dalla mia espressione. Con l'altra mano mi affretto a prendere la sua e muovo appena i piedi cercando di confondermi nell'ambiente, incitandola a fare altrettanto.
 
La mia mano scende lentamente fino alla sua vita, scivolando su tutta la pelle nuda, e durante questo piacevole percorso mi rendo conto di un dettaglio importante.
 
-Non indossi il reggiseno!- sussurro stupito, mentre i suoi occhi castani mi guardano carichi di indignazione.
 
-Non trovi proprio niente di meglio da dire?! Non so, forse che sto bene vestita così, invece di fare commenti sul fatto che non porto il reggiseno?!- cerca di spingermi via ma io la stringo ancora di più a me. La sua vita è davvero sottile, così fragile che temo di spezzarla in due se stringessi troppo.
 
-Stai attirando l'attenzione degli altri.- sussurro di nuovo, ma i suoi selvaggi occhi castani mi fissano carichi di un rancore difficile da dissimulare.
 
-Sei un pervertito!- cerca di allontanarsi di nuovo da me e io la stringo ancora più forte, abbastanza da sollevarla da terra e metterla alla mia mercé.
-Ho visto mio padre.- dico, interrompendo le sue proteste e lei mi osserva ancora piena di rabbia ma con un certo interesse. Poi rilassa le braccia e prosegue ostinata. -E allora che facciamo qui anziché seguirlo?- insiste, le sue parole mi fanno dubitare, so che ha ragione.
 
-Ricomparirà e questo è un ottimo punto per osservare tutta la sala.- dico, facendole poggiare di nuovo i piedi per terra con le sue scarpe dal tacco alto. Noto che evita di guardarmi, con un lieve rossore sulle guance, e io ne approfitto per godermi rapidamente lo spettacolo che ho di fronte, cioè la scollatura che le avvolge così meravigliosamente il seno da farmi salire la temperatura.
 
-Cosa stai guardando?- chiede alzando il mento e io distolgo lo sguardo, rosso di pura vergogna.
 
-Non sei così piatta come credevo.- sorrido sghembo, cercando di riprendere le redini della situazione, ma non ottengo altro che farla arrabbiare ancora di più.
 
-Sei...!
 
-Sei molto carina.- le parole escono dalla mia bocca prima che io possa rendermene conto, lasciando esterrefatti entrambi. Mi guarda a bocca aperta mentre la musica cambia, le sue braccia si rilassano e le sue gambe iniziano a muoversi guidando automaticamente le mie.
 
Timidamente distoglie gli occhi dai miei.
 
-Grazie, anche... anche tu.- dice con una vocina bassa e finalmente sento le sue mani arrendersi e poggiarsi sulle mie spalle.
 
Il silenzio ci avvolge all'improvviso, nonostante il frastuono che ci circonda, e decido di non fermarmi. Le sue dita sfiorano timidamente il mio collo mentre le mie mani si mostrano più sicure nel momento in cui stringo di nuovo la sua vita e mi sento in paradiso, esattamente un attimo prima che una gigantesca crepa si apra sotto i miei piedi e mi trascini nel peggiore degli inferni, proprio come la realtà.
 
Devo distrarmi con qualcosa, qualsiasi tema di conversazione può andare bene.
 
-Quindi sei... vergine.- mi prenderei a schiaffi seduta stante, evidentemente il mio cervello mi trascina in un'unica direzione.
 
-E che t'importa?- contrattacca disorientata, stringendo le dita sulle mie spalle.
 
-Niente, in realtà non mi interessa molto.- mi stringo nelle spalle cercando di non dare troppo importanza alla cosa. -Anche se potrebbe essere un bel nome.
 
-Nome?
 
-"Verginella" è più divertente di "Cinquanta yen".- sorrido mentre la vedo indignarsi, so che sto per guadagnarmi una sberla ma non posso farne a meno. Mi piace troppo quando tutta la sua mente è concentrata su di me fino al punto di esplodere. Mi procura un piacere morboso possedere per un istante tutta la sua attenzione.
 
Non sono molto diverso da un ragazzino.
 
-Non mi disturba affatto esserlo.- dice, cercando di dimostrare che le mie parole non la colpiscono più di tanto, dandomi così una lezione di maturità.
 
-Suppongo solo che quindi risulterà... un problema.
 
-Problema?! Perché dovrebbe essere un problema?
 
-Stai per sposarti e non sai neanche se farai del buon sesso.- Questa cosa la destabilizza, suppongo che parlare di dettagli così intimi non sia il suo forte, ma neanche per me lo è.
 
Si imbarazza e la trovo adorabile mentre i suoi piedi seguono i miei in pista, in un movimento così lento che anziché ballare sembra che stiamo oscillando al ritmo di una barca in acqua.
 
-Il sesso non è così importante.
 
-Questo è esattamente ciò che direbbe una ragazza che non l'ha ancora provato.
 
-Ora capisco perché tutte le tue relazioni sono finite male.
 
-Forse il sesso non è la cosa principale in una relazione, però è importante.- la correggo di nuovo.
 
-Povere ragazze, soffrendo le più terribili pene d'amore mentre il tuo unico pensiero era la taglia del loro reggiseno.
 
-Ehi! Io non sono così!
 
-Invece sei esattamente così. Sono molto più importanti cose come la sincerità o la fiducia reciproca.
 
-Sincerità? Cosa sai tu di sincerità se non ti azzardi neanche a raccontargli qualcosa di te?
 
Mi spinge via e mi guarda con le sue iridi che si fanno sempre più lucide, poi raccoglie l'orlo del vestito e mi pianta in asso. La nostra separazione mi provoca un dolore fisico. Non voglio che si allontani, mi affretto ad afferrare la sua mano e, prima che possa girarsi per urlarmi contro, le dico l'unica cosa che mi viene in mente.
 
-Scusami.- respiro come se avessi il fiatone mentre si volta e mi guarda con aria severa. –Non volevo importunarti.
 
Akane abbassa lo sguardo e io mi riavvicino lentamente, temendo che fugga spaventata come un gatto randagio.
 
Poso con delicatezza la mia mano sulla sua schiena e con movimenti leggeri riprendiamo a ballare. Non posso fare a meno di respirare il profumo dei suoi capelli, di perdermi nel suo calore anche solo per pochi secondi mentre torniamo nel punto in cui eravamo poco fa. Mi passa le mani attorno al collo e sfiora con la punta delle dita la base della mia treccia. Avverto un brivido scorrermi sulla pelle e sento la testa come se fosse immersa in una nuvola.
 
-Hai ragione.- ammette con un tono triste. -Ho paura di dirgli le cose come stanno perché temo che si accorga che non sono quella che crede e che l'abbia ingannato per tutto questo tempo.
 
-E non è così?- chiedo, interessato. Ma lei tace e nasconde il viso sulla mia spalla come se fosse stanca di tutte queste chiacchiere. –Non so com'è l'altra Akane ma io preferisco questa.
 
Solleva il volto lentamente e mi guarda stupita attraverso le lunghe ciglia che disegnano ombre leggere sulle sue guance rosse. Però nei suoi occhi noto anche qualcos'altro, sembra gratitudine, un silenzio assenso.
 
Non mi ringrazia ma non ne ho bisogno.
 
-Quando sto con Shinnosuke ho sempre paura di dire qualcosa di sbagliato. Sono sempre tesa, sarà per questo che per lui è così faticoso avvicinarsi a me.-
 
Deglutisco a vuoto e ho la gola secca, mi è sempre più chiaro che questo tipo dev'essere davvero un folle. Sento la sua pelle sottile sul palmo della mano e raccolgo tutto il coraggio che mi resta.
 
-Posso chiederti una cosa?- dico, mentre mi perdo consapevolmente nelle sue pupille e la vedo annuire timidamente. –Fin dove...? Cioè... quanto... a che punto? Sai, voi...
 
-Vuoi sapere fino a che punto siamo arrivati?- chiede incredula, meno male che è stata lei a dirlo perché io non avrei saputo come continuare senza apparire un ficcanaso o, peggio, un depravato. Le sue guance si fanno incandescenti e si morde il labbro inferiore, pensierosa, mentre io la osservo con impazienza.
 
Ma non sono io a tenere le redini della situazione, è il combattente che è in me a prendere la parola. Si sta preparando per quello che sta per ascoltare, lo sento, è disposto a lottare e per questo ha bisogno del maggior numero di informazioni possibili sul suo nemico: deve conoscere il suo avversario.
 
Indipendentemente da come si rivelerà quest'ultimo, uno scontro è uno scontro.
 
Attendo con ansia mentre lei sembra pentirsi di aver accettato di rispondere alla mia domanda.
 
-Ci siamo solo baciati.- confessa con tutto il disagio che potrebbe mai concentrarsi in una sola persona.
 
-Soltanto?- il combattente che è in me si sta sbellicando dalle risate.
 
-L'ultima volta è stata durante un appuntamento, la scorsa primavera.
 
-Ma è inverno!- le rispondo, facendole presente una cosa ovvia.
 
-L'altro bacio ce lo siamo scambiati molto tempo fa.
 
-Come "l'altro"? Mi stai dicendo che vi siete baciati... due volte?
 
Annuisce imbarazzata e io ascolto il mio grido di battaglia feroce, così forte che se non sapessi che è solo nella mia testa sarei stramazzato al suolo. Questo significa che al momento perdo solo due a uno. Il suo vantaggio è davvero minimo.
 
-No sa fare l'amore, non sa baciare... povera "verginella".-la prendo in giro di proposito, con la ferma intenzione di spostare la conversazione a mio vantaggio.
 
-Sì che sa baciare.- si difende, con orgoglio.
 
-Non ci credo, scommetto che nessuno ti ha mai baciato sul serio.
 
-Forse abbiamo un concetto differente su cosa significhi un bacio.- dice stando al gioco e senza farsi intimorire.
 
-Può darsi... però ti assicuro che se ti baciassi io cambieresti idea.-
I miei occhi sono fissi sulle sue labbra truccate di rosa, che si aprono e si chiudono nascondendo la sua lingua biforcuta. Sento che ho appena perso il controllo delle mie azioni e delle mie parole e sono completamente perso in questo minuscolo spazio in cui stiamo fingendo di ballare, sondandoci alla ricerca della più minuscola scintilla che ci faccia mandare tutto al diavolo. Sono chiuso in questa gabbia formata dalle sue braccia intorno al mio collo e non ho scampo.
 
-Ti ricordo che mi hai già baciato una volta e non è stato un granché.-dice tra lo scettico e il divertito. Sta giocando con me, sta ridendo di me. Se non fa attenzione sarò costretto a farle rimangiare quello che ha detto.
 
-Non mi ricordo, quindi non conta.
 
-Io penso di sì.- sento che prende delicatamente la mia treccia tra le dita.
 
-Hai paura di scoprire che finora ti sei sbagliata di grosso?
 
-Ti ritieni tanto bravo?
 
-Vuoi una dimostrazione pratica?- chiedo trattenendo il fiato, le mie mani sono ancorate all'inizio dei suoi fianchi, appoggio il palmo destro sulla sua schiena, attirandola e annullando quasi del tutto la distanza che ci separa, tanto che avverto il suo seno premermi contro il petto. Il mio cuore batte all'impazzata, contro di lui non posso lottare.
 
-Lo fai solo per dimostrare qualcosa?- la tensione che avverto nella sua voce non mi stupisce affatto ma è stata lei a infilarsi in questa situazione. Ora non ho nessuna intenzione di tornare indietro.
 
-C'è una cosa che devi sapere di me.- rispondo, mentre il mio cervello, ormai preda dell'adrenalina, mette il turbo e i miei desideri e le mie inquietudini si concentrano sulle sue labbra. Non credo di aver mai desiderato una bocca come in questo momento. Abbasso la testa e avverto il suo fiato, socchiudo gli occhi concentrandomi sul mio obiettivo e lei mi imita, stringendo i suoi occhi castani davanti alla mia sfacciata vicinanza.
 
-Odio perdere.
 
Chiude gli occhi, si lascia guidare da me o forse dal momento, non mi importa, non penso di buttare all'aria questa opportunità. Mi avvicino ancora e mi inumidisco le labbra preparandomi a impossessarmi delle sue, quando all'improvviso tutte le luci in sala si spengono e la gente inizia a urlare.
 
Per un secondo resto fermo senza sapere che fare. Muoio dalla voglia di annullare la ridicola distanza che ci separa, di assaggiare le sue labbra almeno una volta e capire se posso tornare indietro o devo abbandonarmi del tutto a quello che provo.
 
Ma non ho tempo di continuare a riflettere, sono così vicino a lei che sento le sue palpebre aprirsi nell'oscurità e le sue pupille fissare le mie.
 
-Che sta succedendo?- chiede, allontanandosi di un palmo.
 
Serro i denti così tanto che potrebbero sanguinarmi le gengive. Molto riluttante, la lascio andare.
 
E purtroppo ho una vaga idea di quello che sta succedendo.
 
Farò fuori il vecchio appena mi capita tra le mani.
 
-Presto! Ukyo è in pericolo!–urla lei, raccogliendo la parte inferiore dell'abito e scivolando via tra la folla come un serpente in acqua.
 
-Aspetta!- grido, cercando di afferrarla per un polso, ma per pochi centimetri non riesco a bloccarla. Akane corre sorprendentemente veloce sui tacchi alti e schiva persone con tanta abilità che chiunque direbbe che più che cercare Ukyo stia facendo di tutto per allontanarsi da me.
 
La perdo per colpa di due tizi in tiro che mi intralciano il percorso. Mi accorgo di correre verso una delle pareti del salone, dritto verso una delle porte laterali che si aprono sul ponte.
 
-Suocero!- la ascolto urlare mentre il freddo mi colpisce il viso e la notte stellata mi avvolge sul mare aperto. Giro su me stesso mentre vedo sparire la sua sagoma alla fine della prua.
 
-Akane!- esclamo a pieni polmoni.
 
Le sue scarpe risuonano ritmicamente sull'imbarcazione, corro a più non posso sapendo che ha trovato mio padre prima di me... Forse perché lei lo stava cercando davvero.
 
Interrompo bruscamente la mia corsa quando raggiungo la prua e mi accorgo di essere solo. Guardo alle mie spalle e vedo che quella stupida ha appena terminato la sua discesa sulla scaletta fino ad arrivare al ponte sottostante.
 
-Torna qui immediatamente!- dico con un tono di legittima preoccupazione, ma lei finge di non sentire.
 
Mi sporgo sulla scala pronto ad acciuffarla, poi penserò al vecchio.
 
Sento un altro urlo che non fa che aumentare il mio nervosismo. Non capisco quello che dice, sento solo l'eco della sua voce trascinata via dal vento. La sottocoperta è un lunghissimo corridoio con decine di piccole porte su un lato, mentre sull'altro c'è un parapetto che impedisce di cadere in mare. La rincorro nella direzione che le ho visto prendere mentre ero di sopra. Non so che stia succedendo, non capisco quand'è che ho perso il controllo.
 
Corro verso la parte inferiore della nave, l'acqua fa ondeggiare l'imbarcazione e il pavimento diventa instabile.
 
-Akane!-urlo disperato, ormai fuori di me. Alla fine del corridoio c'è un enorme spazio in cui il delicato pavimento in legno viene sostituito da uno un po' meno raffinato, in cui sono ammucchiati oggetti come corde e strane ancore avvolte attorno a enormi bastoni di acciaio forgiato che servono per attraccare l'imbarcazione al porto.
 
I miei passi accelerano il ritmo, distinguo due figure che discutono vicino al parapetto, nascoste nell'oscurità.
 
-Dammela, ho detto!- dice lei, sforzandosi.
 
-Questa faccenda non ti riguarda!- l'inconfondibile voce del vecchio riecheggia nella notte. I miei timori diventano realtà quando li vedo litigare a pochi metri da me.
 
Entrambi stanno lottando per la katana, Akane l'ha afferrata da un lato e il vecchio dall'altro, e ognuno tira verso di sé con determinazione.
 
Corro verso di loro pronto a mediare, ma una repentina raffica di vento scombina le carte in tavola.
 
Avverto l'eco lontana di un tuono e capisco che sta per avvicinarsi una tormenta.
 
Un'onda si abbatte sulla coperta, bagnandomi i piedi e spingendomi contro una delle giganti bobine di corda. Appoggio le mani a terra e mi sollevo come posso, mentre la barca torna stabile per un attimo. Ma sono sicuro che la mareggiata sia appena iniziata.
 
Quando sollevo lo sguardo non vedo più le due sagome, ma avverto solo silenzio. Un brivido corre lungo la mia colonna vertebrale quando mi sovviene una terribile idea di ciò che può essere successo.
 
Erano troppo vicini al parapetto, troppo per mantenere l'equilibrio.
 
-Akane!- la mia preoccupazione mi manda nel panico e quasi cado in avanti quando le mie mani raggiungono la fredda ringhiera di metallo. I miei occhi osservano isterici il mare scuro, l'immensa distesa d'acqua che si staglia davanti a me a soli tre metri di altezza.
 
-Ranma!- la sua voce... è la sua voce! La cerco e finalmente la trovo aggrappata debolmente a una delle ultime barre che formano la protezione della coperta. Le sue gambe sfiorano l'acqua nella parte inferiore della nave, si regge con una sola mano mentre con l'altra stringe forte un enorme fagotto contro il suo petto.
 
Non impiego molto a individuare mio padre, che a qualche metro di distanza, è aggrappato come una zecca alla balaustra per non cadere.
 
Corro verso di lei e le tendo la mano, ma per pochi centimetri non riesco a raggiungerla, è troppo in basso.
 
-Stupida! Lascia quella roba e aggrappati!- dico mentre mi allungo oltre l'impossibile per cercare di sfiorare le sue dita.
 
-Non posso, è quello che stavamo cercando!
 
-Così cadrai! Afferra la mia mano!

-Ma...!
 
-Ma chi diavolo se ne importa di quella maledetta katana?! La tua incolumità è mille volte più...!- non termino la frase perché una nuova onda si infrange su di noi. La vedo cadere come in un'immagine al rallentatore, le sue dita si staccano dalla superficie cui era aggrappata e i suoi occhi spalancati mi fissano colmi di terrore.
 
-No!!
 
L'impotenza invade ogni fibra del mio essere, un urlo sfugge dalla mia bocca mentre mi tolgo frettolosamente la giacca e, senza pensarci un attimo, mi lancio dietro di lei tuffandomi nel mare gelido.
 
L'acqua mi inghiotte, il freddo è così intenso che per un attimo mi sembra di essere stato investito da un camion. Il mio cervello si annebbia, non riesco a respirare. Risalgo in superficie e prendo una boccata d'aria, lancio una rapidissima occhiata solo per avere conferma che Akane non è qui, quindi questo significa...
 
-Non farmi scherzi!- mi fiondo in acqua e i miei occhi riescono a stento a intravedere qualcosa nell'oscurità ma so che devo trovarla, devo, sarà sicuramente sul fondo perché altrimenti... no, non voglio pensare a cosa potrebbe succedere se non ci riesco.
 
Con il fiato sospeso, sul punto di perdere la ragione e di affondare io stesso nell'acqua ghiacciata della costa di Osaka, allargo le braccia e nuoto a più non posso, ancora e ancora, proseguendo con la mia angosciante ricerca.
 
I polmoni mi bruciano a causa della mancanza di ossigeno, i muscoli si muovono sempre più lentamente, paralizzati dal freddo atroce. Solo i miei occhi continuano a funzionare perfettamente, ormai abituati all'oscurità, e proseguono nella ricerca frenetica di ciò che mi sta a cuore.
 
La cosa più importante. La donna che io...
 
È come un'illuminazione, come se la mia stessa rivelazione acquatica mi mostrasse la via. L'acqua diventa più chiara, la luce della luna penetra come se fosse un potente riflettore, un raggio che punta dritto sulla sua delicata figura. La sua pelle candida splende ancora di più, accarezzata dalla vaporosa stoffa del vestito, che fluttua dietro di lei con la trasparenza di una medusa, dandole l'aspetto di una meravigliosa creatura marina.
 
La afferro per la vita e le sollevo il volto per unire le sue pallide labbra alle mie, cercando di dividere con lei l'ultimo refolo d'aria che mi resta nei polmoni. Apre appena gli occhi prima che io afferri la sua mano per trascinarla verso la superficie. Più velocemente che posso, spingendo forte con le gambe contro il mare che ci avvolge.
 
Quando raggiungiamo la superficie prendo fiato e respiro in maniera isterica, mentre lei fa altrettanto tirandomi per un braccio, come se non riuscisse a stare a galla. Si sbraccia inutilmente e affonda di nuovo, mi immergo di nuovo per riprenderla e con un gesto sicuro passo un braccio sul suo torace, la afferro sul petto senza esitazione e inizio a nuotare verso la costa, dove intravedo delle luci in lontananza. La nave ormai ci ha lasciati indietro.
 
Non so di quanti chilometri ci siamo allontanati né dove ci troviamo ma cerco di orientarmi con le luci lontane e giallastre che restano accese nella notte e spero solo che non siano così lontane come sembrano da questo freddo oceano.
 
Il silenzio ci avvolge. Avverto la sua respirazione affannata, le sue braccia tremanti e agitate da spasmi causati dall'ipotermia.
 
-Non provare a svenire!- dico cercando di essere deciso, ma il freddo mi prende la gola e le onde colpiscono il mio viso, soffocando in parte la mia frase.
 
Sono al limite delle forze, all'improvviso sento molto caldo nonostante faccia freddissimo. Non so più da quanto tempo io stia nuotando, trascinando il suo corpo delicato che sento sempre più pesante. Le mie gambe scalciano stancamente in acqua, i miei movimenti diventano man mano più lenti.
 
So che non reggerò ancora a lungo. Avverto appena la sua respirazione leggera, la sua pelle così fredda che mi sembra di abbracciare un blocco di ghiaccio.
 
"Resisti".
 
E non so se lo dico a lei o a me, la testa mi gira, ho solo voglia di riposare, fermarmi solo un attimo per recuperare le forze. Ma una vocina interna non smette di urlarmi che se mi fermo tutto è perduto.
 
Continuo a muovere le mie estremità esauste come un automa, ma alla fine le mie gambe smettono di agitarsi in acqua. I vestiti sono sempre più pesanti, lei è pesante, tutto è pesante, tranne l'acqua che mi attira verso il fondo con la forza di gravità. Infine affondo.
 
Per un secondo il mio corpo cede al dolce tepore dell'incoscienza, finché i piedi non toccano la morbida sabbia del fondo marino. Sento le ginocchia urtarvi contro e i miei occhi si spalancano di colpo davanti alla ragazza che galleggia in acqua svenuta a pochi centimetri da me. Sollevo le mani per stringerla tra le mie braccia, quando mi accorgo dell'aria che accarezza la punta delle mie dita.
 
Possibile che...? Calpesto la terraferma e mi alzo in piedi scoprendo che l'acqua mi arriva appena a metà del petto. Respiro famelico... ce l'ho fatta, ho raggiunto la costa. Sollevo Akane per le ascelle e, raccogliendo le mie ultime forze, la trascino fuori dall'acqua.
 
Crollo sulla riva. L'acqua gelata continua a colpirci ma ormai non può farci più niente perché siamo in salvo.
 
Mi chino su di lei per accertarmi che respiri e noto che è più bianca della morte in persona, le labbra sono violacee e ha gli occhi chiusi, ma la sua espressione non ricorda minimamente la dolcezza che emana mentre dorme.
 
-Ehi!- la scuoto senza riguardo, muovendola bruscamente per le spalle. –Ehi, apri gli occhi! Maledizione, Akane, rispondi!
 
Ma le mie urla e gli scossoni non sortiscono alcun effetto. Il cuore mi batte furioso nel petto, riesco a malapena ad avvertire la sensibilità delle mani a causa del freddo terribile. La luna fa risplendere ancora di più la sua pelle bianca e umida e i miei capelli inzuppati gocciolano sul suo viso immobile. Le do un paio di colpi sulla guancia con il palmo della mano, deve respirare! Deve, o io stesso smetterò di farlo in questo stesso istante.
 
Le sollevo il mento, non me ne intendo molto di pronto soccorso, ma almeno conosco le basi. Estendo bene il suo collo per facilitare l'entrata dell'aria, inspiro profondamente per riempire i miei polmoni e chiudo la sua bocca con la mia espirando con disperazione, pregando che questo bacio vitale me la restituisca. Mi allontano e prendo fiato, pronto a ripetere la manovra, quando la vedo muoversi sotto di me e girarsi sul fianco sinistro per tossire violentemente, sputando acqua salata e respirando in maniera agonizzante.
 
-Akane!- e in questo istante mi accorgo di respirare davvero per la prima volta da quando sono risalito in superficie. Si stringe su se stessa, le sue gambe nude si piegano sul petto e noto che ha perso le scarpe.
 
Trema ma non emette alcun suono, quindi capisco che è sotto shock.
 
-Ti porterò via da qui.- e più che un'affermazione mi sembra di aver fatto una promessa. Sono esausto ma riesco a raccogliere le ultime forze per prenderla in braccio, sollevarla e stringerla al mio petto.
 
Solo allora mi accorgo del pesante oggetto legato alla sua mano sinistra. Il braccio pende mollemente, si aggrappa disperatamente al mio collo con il braccio destro e affonda il volto nella mia spalla, mentre la sua mano sinistra resta inerte, con la katana saldamente legata. Come se non avesse la forza di sollevarla.
 
Non riesco a staccare gli occhi dalla spada e sento una collera improvvisa montarmi dentro. Akane ha rischiato la vita per quella roba, è quasi morta per recuperarla. La stupida ha preferito cadere in fondo al mare piuttosto che lasciarla.
 
Vorrei urlare, dirle quanto sia stupida, vorrei che vedesse la mia ira incontrollata che minaccia di farmi impazzire.
 
Scema. Stupida. Irresponsabile.
 
Che ne sarebbe stato di te? E della tua famiglia? E del tuo fidanzato? Che ne sarebbe stato di me se ti avessi perso?
 
Mi mordo la lingua, cerco di resistere come posso mentre i miei piedi mi allontanano dalla riva con lei in braccio. Non è il momento, però dopo mi sentirà. Cavolo se mi sentirà! Urlerò finché non avrò più fiato.
 
Mi allontano dalla spiaggia e calpesto il suolo con i piedi nudi, i miei vestiti grondano acqua lungo la fredda strada che porta al paesino. Akane trema contro il mio petto e sento il suo corpo sempre più pesante.
 
Se non avessi nuotato per tutti quei chilometri, se non fossimo rimasti tanto a lungo nell'acqua gelida, se non fossi così stanco, se sentissi ancora le dita dei miei piedi... non sarebbe così difficile portarla in braccio. Potrei portarla per ore senza battere ciglio, ma ora... anche io mi sento mancare.
 
Un passo dietro l'altro, uno per volta. Avverto un ronzio nelle orecchie e sento i muscoli in preda a spasmi, come se urlassero al limite delle forze.
 
Mi trascino fino a delle porte chiuse, barcollo finché non compare una luce davanti ai miei occhi. Vedo un piccolo cartello ma non mi disturbo a leggerlo. Si tratta di una casa tradizionale con porte scorrevoli ed entro senza chiedere permesso, camminando sulle mie gambe fino a un piccolo ingresso. Finalmente un po' di calore.
 
Poggio Akane sul pavimento di legno, che continua a tremare, e crollo a terra al suo fianco perché mi rendo conto di non essere in condizioni molto migliori delle sue.
 
Avverto dei passi e sollevo la testa, un'anziana corre verso di noi spaventata.
 
-Tesoro, sveglia, ci sono dei clienti!- Urla mentre si avvicina a noi. –Oddio, sta piovendo?- chiede ingenuamente, io mi appoggio al suolo con le mani e riesco a sollevarmi e mettermi seduto.
 
-No... siamo caduti in mare da una barca.
 
Mi guarda incredula mentre dietro di lei compare un vecchio che ci guarda con apprensione.
 
-Preparerò un bagno caldo, tu pensa alla camera.- dice, mentre si allontana nel corridoio. Lei annuisce e guarda preoccupata Akane.
 
-Sarà meglio che stiate al caldo, muoviti, è gelata!- si affretta in uno stretto corridoio indicandomi di seguirla. Sollevo Akane che, completamente indifesa, si lascia trasportare come se fosse una bambola di pezza. È davvero gelida. Sollevo le sue gambe e stringo ancora una volta il suo corpo minuto contro il mio, mentre afferra la katana e la stringe a sé, come se non volesse separarsene per niente al mondo.
 
Grugnisco in maniera impercettibile e senza accorgermene mi ritrovo nel bagno. Una stanza con un'unica finestrella nell'angolo superiore destro e, davanti a noi, il pavimento in legno e una grande vasca da bagno di quasi tre metri di lunghezza. Il vapore mi dà un po' di sollievo.
 
-Venite, toglietevi questa roba bagnata mentre preparo il letto.- mi incita la signora mettendo una mano nella vasca per controllare la temperatura. Impiego un secondo di troppo a capire ciò che mi sta dicendo.
 
-No! Cioè... io non posso...
 
La donna mi fissa contrariata, non mi passa inosservato il modo in cui mi guarda, con Akane stretta tra le mie braccia... pare non capire. Ai suoi occhi sembriamo di sicuro una giovane coppia.
 
-Entrate nella vasca o la ragazza non vedrà la luce del sole.- dice mentre si alza e mi passa accanto. Sento un brivido che non ha nulla a che vedere con l'ipotermia. -Non siate timidi.- e, senza aggiungere altro, chiude la porta dietro di sé.
 
Sento uno goccia d'acqua cadere dal rubinetto alla vasca, avverto la respirazione debole di Akane, che continua a tremare con violenza tra le mie braccia, preda degli spasmi con cui cerca di lottare abbracciandosi con disperazione.
 
Va bene, in fondo non è la prima volta che la spoglio. Solo che stavolta temo di non essere abbastanza ubriaco.
 
Deglutisco e capisco di non avere scelta. Maledizione.
 
La poggio a terra per metterla seduta, lei non dice una parola e non so se sia a causa dello shock o perché davvero non si rende conto di ciò che succede. Ma un attimo fa non respirava neanche, non posso pretendere molto.
 
Mi avvicino a lei con mani tremanti e a malapena sento la punta delle dita, cosa che in questo momento mi sembra una benedizione.
 
Trovo la piccola cerniera sul fianco e con uno sforzo la abbasso lungo la stoffa spiegazzata e bagnata. Lei resta rannicchiata su se stessa e tremante, le tolgo la katana di mano e la poggio in un angolo mentre continuo con quello che sto facendo. Mi sposto alle sue spalle, rispettando nel limite del possibile la sua intimità, e finisco di abbassare la cerniera del vestito finché quest'ultimo non cade, arricciandosi al suolo.
 
Akane non reagisce neanche, resta nella stessa posizione, ora nuda fino alla vita. Quella stupida avrebbe dovuto scegliere un abito con un maledetto reggiseno.
 
Senza pensare oltre, la sollevo dal pavimento e noto che indossa solo un minuscolo paio di mutandine che non mi azzardo a togliere per evitare di perdere del tutto il raziocinio, quindi la prendo in braccio e con attenzione la metto in acqua. Quando è immersa fino al collo spalanca di colpo gli occhi, come se il calore immediato le bruciasse.
 
Urla. Si aggrappa al bordo della vasca respirando affannosamente come se avesse appena corso una maratona.
 
Le do le spalle e mi tolgo la cravatta, lascio cadere a terra la camicia e, a petto nudo, finisco di sbottonare i pantaloni. Quando resto solo in boxer, giro leggermente la testa verso di lei.
 
Akane non mi guarda, distoglie il volto timidamente. Le sue mani continuano a tremare aggrappate al bordo della vasca, anche se un po' meno rispetto a prima.
 
Finisco di spogliarmi del tutto, dato che non ho niente da nascondere e non amo immergermi nella vasca vestito. Per un attimo, la mia mente anchilosata non è per niente dispiaciuta dalla situazione.
 
Quando metto un piede in acqua capisco perché Akane ha gridato. Le mie estremità congelate fanno malissimo a causa del tremendo sbalzo di temperatura. Mi immergo fino al torace e mi lascio sfuggire un lamento di dolore quando mi sento andare in fiamme. Sono tentato di uscire dall'acqua a gambe levate.
 
Improvvisamente sento una risatina, guardo accigliato la ragazza che condivide la vasca con me, ancora con lo sguardo fisso sulla parete opposta.
 
-C-che c'è?- chiedo arrabbiato, accorgendomi di tremare.
 
-N-nessuno t-ti ha spiegato che n-non si può i-immergere una persona g-gelata in a-acqua così calda?- dice girando la testa poco per volta, fino a guardarmi con la coda dell'occhio.
 
-C-certo che no.- rispondo orgoglioso.
 
-P-può subire uno shock.- dice lei sospirando, lasciando che l'acqua calda inizi a dare gli effetti sperati.
 
-Tu eri già sotto shock.- rispondo con un ringhio. Non è proprio il momento di darmi lezioni di medicina.
 
Restiamo in silenzio, rotto solo da qualche goccia d'acqua che colpisce la superficie.
 
Sospiro sentendomi cullare dal calore, mi appoggio al bordo della vasca e chiudo gli occhi.
 
-Grazie.- dice la sua voce vellutata. Mi volto e apro un po' gli occhi trovandomi davanti il suo viso arrossato e le labbra rosee che stanno recuperando il colore originale. -Mi hai salvato la vita.
 
Faccio una smorfia e il ricordo della tragedia sfiorata riaccende la mia rabbia.
 
-Non penso di rifarlo.- dico, rendendomi conto che la lingua ha agito prima del cervello, e una furia mi invade. –Quindi la prossima volta che ti comporti tanto stupidamente da rischiare la vita per... –indico la spada abbandonata sul pavimento del bagno- ... quella, non contare su di me.-
 
-Capisco.- risponde, abbassando lo sguardo. –Mi dispiace molto che...
 
-Cosa ti dispiace?!- urlo. -Che cosa? Aver rischiato la tua vita? Aver rischiato la mia?
 
-I-io...- balbetta sull'orlo delle lacrime. Mi sposto nella vasca per affrontarla e la vedo coprirsi il seno nell'acqua, come se non l'avessi già visto.
 
-Questa è l'ultima volta.- la minaccio, consapevole che le mie parole sono cariche di pura frustrazione piuttosto che rancore. -Se hai così tanta voglia di divorziare e gettarti in missioni suicide, troverò il modo di firmare quei fottuti documenti! Pensi che voglia sopportare ancora a lungo una pazza come te?
 
Vedo le sue lacrime cadere, grosse e cristalline. Si confondono con l'acqua della vasca quando terminano il percorso sulle sue guance.
 
Apre e chiude la bocca come un pesce che ha abboccato all'amo.
 
-Ho dimenticato di lasciarvi degli asciugamani.- l'anziana apre la porta nel momento meno opportuno e io mi allontano di un metro da Akane in meno di mezzo secondo.
 
La porta si richiude e tra noi cala uno scomodo silenzio. Non la guardo, non posso dopo le barbarie che le ho appena rovesciato addosso.
 
Sono ostaggio della mia gelosia, come sempre capisco un minuto troppo tardi che quella katana rappresenta molto più che un debito o un tesoro.
 
Il modo in cui la stringeva, il fatto che non l'abbia lasciata a costo di morire annegata... tutto mostra la sua ferma convinzione. La sua irremovibile volontà di sbarazzarsi di me e continuare con la sua vita.
 
La spada le importa più della sua stessa vita. O, in altre parole, le importa più del suo fidanzato che di me.
 
Non che non lo sapessi, ma la prova concreta davanti ai miei occhi mi fa sentire un miserabile.
 
La ascolto singhiozzare ancora ma non mi giro per consolarla.
 

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Infine si alza ed esce dalla vasca mentre io, testardo, continuo a fissare imperterrito la porta.
 
Vedo la sua schiena nuda, le natiche incollate sugli slip bagnati. Mi consolo ammirando da lontano la sua perfetta silhouette mentre si avvolge in un asciugamano ed esce dal bagno senza voltarsi.

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Una camera. Nonostante l'abbia detto più volte all'anziana, pare non capisca. Ha solo una camera.
 
Se almeno ci fosse un divano o qualcosa di simile non mi sarei preoccupato. Potrei dormire anche nel corridoio.
 
Invece no, hanno solo una camera. Ovviamente con un solo futon matrimoniale.
 
Una situazione che qualche ora fa mi sarebbe sembrata interessante ora diventa il mio peggior castigo.
 
Scivolo piano nella camera, immersa nella più cupa oscurità. Indosso solo uno yukata e nient'altro dato che il resto della mia roba è stesa ad asciugare, insieme a quella di Akane. Incluse le mutandine minuscole.
 
Sdraiarmi accanto a lei sotto le coperte è un'idea pessima di per sé. Farlo quando so che non indossa neanche biancheria intima è un'autentica tortura.
 
Sarà un miracolo se non mi lancia fuori dal letto con un pugno.
Il futon si trova al centro della stanza, noto il punto in cui è sdraiata lei e mi dirigo verso il lato opposto con prudenza. Mi sdraio piano dandole le spalle, senza tentare troppo la sorte.
 
Forse si è già addormentata, forse ha continuato a piangere per le mie parole finché non si è arresa tra le braccia di Morfeo.
 
Inutile girarci attorno... chiudo gli occhi e cerco di dormire dato che sono esausto.
 
Poi mi accorgo di un leggero rumore che proviene proprio dall'altro lato del letto. Mi giro piano su me stesso e noto il tremore della sua schiena.
 
-Hai ancora freddo?- chiedo, mio malgrado. In fondo io sono rimasto più a lungo nella vasca e mi sento un po' in colpa.
 
La vedo rannicchiarsi e assumere una posizione fetale.
 
-No.- risponde orgogliosa, ancora ferita.
 
Sospiro. Neanche io sono disposto a cedere.
 
-Se batti i denti per tutta la notte non riuscirò a dormire!- rispondo con un tono lamentoso, consapevole di provocarla.
 
-Lasciami in pace.-ribatte lei.
 
Il mio orgoglio e la mia razionalità mi impongono di lasciarla perdere e cercare di dormire, ma il mio cuore sembra avere tutt'altra opinione.
 
-Vieni.- una parola così semplice ma nel contempo carica di significato. Akane si gira per guardarmi negli occhi, con le sopracciglia aggrottate e le palpebre gonfie, segno di altre lacrime versate di recente.
 
-Cosa?- chiede confusa.
 
-Vieni qui.- ripeto, con fare sicuro quanto nervoso, pregando che non avverta l'ombra del dubbio che alberga nella mia voce. –Puoi avvicinarti finché non ti scaldi un po'.
 
Mi osserva riluttante finché non viene scossa da un nuovo brivido. A dire il vero non si può dire che la camera sia isolata bene.
 
-E perché dovrei farlo?- ringhia mentre le sue iridi brillano e il suo orgoglio si erge in difesa.
 
-Hai un'idea migliore?- chiedo sentendomi stupido, perché è chiaro che dormire insieme è stato un grandissimo errore. Le do le spalle e sospiro, stringo gli occhi cercando di concentrarmi su qualsiasi cosa che mi permetta di non pensare al luogo in cui mi trovo, finché non sento la sua guancia poggiarsi sulla mia schiena, le sue dita sottili aggrapparsi a me e le sue gambe nude che spuntano tra le pieghe dello yukata sfiorare le mie.
 
Mi sorprende sentire quanto sia fredda la sua pelle e il cuore mi batte un po' più forte a sentirla così vicina ma nel contempo così lontana.
 
Mando al diavolo quella vocina dentro di me che continua a dirmi che mi pentirò di tutto questo, che mi consiglia di mantenere le distanze e di continuare a tenere su la mia maschera di tipo duro. La mia sicura e inespugnabile muraglia.
 
Mi volto e le cingo la vita con un braccio, invitandola a poggiare la testa sulla mia spalla, abbracciandola senza timori e intrecciando le nostre gambe in un contatto intimo, di solito concesso solo agli amanti.
 
E con lei tra le mie braccia sento per la prima volta che va tutto bene, i miei problemi non sono poi così gravi e le ferite non fanno male. Tutto diventa più bello, l'aria stessa che respiro mi sembra più profumata.
 
-Mi dispiace.- mi scuso per le mie parole di prima, ben consapevole che non se le meriti dato che non ha colpa dei sentimenti che provo per lei. Arrossisco e deglutisco a vuoto, armandomi di coraggio. –Non volevo parlarti in quel modo, so che eri spaventata. Anche io ho avuto paura quando ho visto che eri in pericolo... io... –ma non sento altro che il suo respiro regolare e impiego un secondo di troppo a capire che si è addormentata.
 
La mia espressione si rilassa e sorrido come un autentico idiota. Il calore del mio corpo ha agito come un balsamo... non appena l'ho stretta tra le mie braccia ha ceduto, esausta.
 
Non ho bisogno di nient'altro. Solo per questa notte, solo per un momento finché non spunta l'alba. Chiudo gli occhi cercando di aggrapparmi il più possibile a questa momentanea felicità, cullato dal fatto che le conseguenze non mi tormenteranno almeno fino a domani.

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NdA: Hola! Questo capitolo sembrava non finire mai eh? Però sono stata fiera di me quando l'ho terminato! E sono soddisfatta della tensione che sono riuscita a creare tra loro, dato che solo pochi giorni prima sembrava una missione quasi impossibile. Invece qui nasce ed esplode senza pietà e, sì sì, avrà delle conseguenze, eheh.
Come sempre, grazie mille a tutti per la pazienza e soprattutto a chi lascia una recensione!
LUM
 
NdT: ok ok, ho tardato un pochino ma solo un poco, vero? Spero di sì! Mea culpa, ho staccato un po' e mi sono fiondata in ferie XD Comunque ecco la seconda parte di questo sabato 23 :D Spero vi sia piaciuto così com'è piaciuto a me la prima volta che l'ho letto... è uno dei miei preferiti!
Spero sia gradita anche la fanart, stavolta ho cercato di impegnarmi con effetti speciali (seee, vabè) al pc e mi auguro che il risultato sia credibile ahah!
Ringrazio tutti i lettori fedeli e soprattutto chi lascia una recensione, sempre graditissime (le risposte che mancano arrivano presto!).
Un ringraziamento doppio va alla mia cara LadyChiara93 che mi dà sempre una mano enorme con le traduzioni delle recensioni anche se il tempo scarseggia! Mi raccomando, "descansa" un po' sennò mi arrabbio XD Scherzo, un abbraccio :)
Infine, saluto tutte le mie adorate Ladies che mi accompagnano ogni giorno... e come farei ormai senza di voi??
Ci leggiamo presto prestissimo.
Grazie a tutti,
Spirit99

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Capitolo 13
*** Capitolo 13. Domenica 24 ***


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Quince días
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Capitolo 13: Domenica 24
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Akane
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Apro gli occhi controvoglia, sapendo che il sole è già alto nel cielo. Ma è più forte di me, mi sento chiusa in una meravigliosa nuvola di tepore e mi stupisco del fatto che io mi senta a mio agio in un letto sconosciuto.
 
Lo osservo mentre dorme e mi rendo conto che finora non mi sono mai soffermata a guardarlo da vicino. Il suo respiro è regolare, dalle labbra entra e fuoriesce aria che mi solletica il volto. Le sopracciglia sono folte e scure, sempre nascoste sotto i capelli neri ribelli. Li sposto delicatamente e poggio il palmo della mano sulla sua fronte.
 
Lo immaginavo, ha un po' di febbre. Ieri deve aver fatto uno sforzo sovrumano. Lui, che si sveglia sempre all'alba, che sorprendo sempre dietro la mia porta con la colazione in mano, ancora non è riuscito ad aprire gli occhi.
 
Si è ammalato ed è tutta colpa mia.
 
Mi mordo il labbro inferiore, preoccupata, ricordando che ieri sera sembrava davvero esausto. Io ho perso conoscenza e non ho idea di ciò che sia successo davvero. Ricordo il mare gelido, il peso della spada che tirava dal mio polso, poi le sue braccia forti, le onde che ci colpivano, la fatica immensa che facevo per cercare di respirare...
 
Sposto la mano dalla sua fronte e mi accorgo che ora è ricoperta da un velo di sudore freddo. È chiaro che il mio calore non gli fa affatto bene ora.
 
Sospiro piano, con la testa poggiata sul suo petto. È questo che si prova quando si dorme con un uomo? Il suo profumo mi inebria i sensi, quasi come fosse ipnotico. Potrei quasi farci l'abitudine.
 
Sollevo la testa, rompo il nostro contatto con più riluttanza del necessario e resto un attimo seduta sul futon, osservando l'unica finestra della camera.
 
Non posso chiudere gli occhi davanti alle domande che cercavo di respingere e che ora mi stanno letteralmente assalendo. Sono come aghi che si conficcano nella pelle, che mi pugnalano mille volte fino a lasciarmi senza fiato.
 
Cosa sto facendo? Cosa mi sta succedendo?
 
Se solo una settimana fa qualcuno mi avesse detto che sarei finita nello stesso letto del mio presunto marito gli avrei riso in faccia e ora... ora...
 
Ranma si agita nel sonno e mi fa tornare alla realtà. Ma tutto questo non importa, non ora per lo meno. Mi alzo in piedi e sistemo il mio yukata, che si è spiegazzato un po' durante la notte.
 
Lo sistemo bene in vita e apro la porta della camera, ma nel corridoio non vedo nessuno, che strano. Cammino scalza sulla superficie liscia del tatami della casa tradizionale finché non arrivo a quella che dovrebbe essere la reception, anche se nemmeno qui c'è anima viva.
 
Mi guardo intorno fino a che non avverto un tocco sulla schiena che mi sorprende a tal punto da farmi sobbalzare in aria di mezzo metro. Mi giro con il cuore in gola e mi trovo faccia a faccia con il volto gentile dell'anziana di ieri sera.
 
-Avete dormito bene?- chiede tranquilla e io cerco di recuperare un po' di contegno.
 
-Sì, grazie per tutto l'aiuto che ci ha dato.- mi inchino per ringraziarla e lei muove la mano, come a voler minimizzare la cosa.
 
-Sciocchezze, siamo in bassa stagione e i clienti sono pochissimi. Dal momento che abbiamo solo una camera, più che un albergo siamo una seconda casa sulla spiaggia. È sempre un piacere accogliere giovani coppie.
 
-Già...—per qualche istante ho la tentazione di dirle che io e Ranma non siamo una coppia ma in realtà non ho voglia di dare più spiegazioni del necessario. Abbiamo già abbastanza guai. -Vede, temo di aver perso i miei bagagli e ho bisogno di alcune cose.
 
-Certo, dimmi cosa posso fare per voi. –si offre lei, disponibile.
 
-Ranma ha un po' di febbre e mi chiedevo se...
 
La donna mi guarda preoccupata e non mi permette di aggiungere altro. Mi prende per mano e mi trascina per un altro corridoio e, ancora prima di rendermene conto, mi ritrovo in un'enorme cucina dove un anziano sta mescolando lentamente una zuppa in un pentolone sul fuoco mentre legge un giornale.
 
-Tesoro, servi la colazione ai clienti e smettila di far venire i capogiri a quel miso!- dice frettolosamente mentre apre un grande armadio e, con l'aiuto di un vassoio, inizia a tirare fuori tutti i tipi di medicine, sciroppi e borse del ghiaccio. Prende anche una brocca d'acqua e un paio di bicchieri.
 
-Tieni, dovrebbe bastare.- dice, consegnandomi tutta quella roba. –Presto, va', tra un po' vi serviamo anche la colazione in camera.- guardo impacciata l'arsenale di farmaci sparso sul vassoio e non mi resta altro che obbedire. Esco dalla cucina, ma appena prima di imboccare il corridoio ascolto inavvertitamente la conversazione dei due anziani.
 
-Non mi sorprende che si sia ammalato.- dice la voce rauca di lui. Io resto pietrificata, incapace di muovere i piedi. –Se quel ragazzo dice la verità dovrebbero essere caduti dalla nave salpata dal porto di Osaka, cioè più di dieci chilometri di mare aperto.
 
-Ma è impossibile, tesoro!- lo corregge lei. –Come avrebbe potuto nuotare per tutti quei chilometri con lei in braccio? E poi portarla fino alla riva... sono altri quattro chilometri!
 
-Non sembra umano, una persona normale sarebbe morta.
 
-Beh, sai com'è... l'amore può tutto.
 
Le mie mani tremano e rischio quasi di rovesciare il vassoio per terra. Cerco di calmarmi mentre sento il cuore salirmi in gola.
 
Amore? Ha detto amore? La conversazione comincia ad arrivarmi alle orecchie più ovattata mentre i miei piedi si muovono automaticamente verso la camera.
 
Si sbagliano di grosso, non si sono accorti che il rapporto tra me e Ranma non potrebbe essere peggiore di così? Discutiamo sempre, tranne in quei pochi casi in cui lui cerca di provocarmi, proprio come ieri sera. I miei piedi si fermano. Sì, è così, non so come non me ne sia accorta prima.
 
Ero così presa dai miei sentimenti che non mi sono soffermata a pensare ai suoi. Alla fine che cosa sono per lui se non un peso? Sua moglie, la sua consorte, una ragazza con cui è obbligato ad avere a che fare.
 
Qualcuno da prendere in giro, la stupida, l'ingenua, l'innocente verginella.
 
Mi sento un peso addosso mentre mi sforzo di ricacciare indietro le lacrime di pura umiliazione. Mi obbligo a muovermi e torno da lui.
 
Entro e poggio il vassoio sul pavimento. Quando lo guardo sento un macigno sul petto che mi opprime. Ha il sonno agitato, il sudore gli imperla il volto ma persino ora lo trovo incredibilmente attraente.
 
Prendo una salvietta e gli asciugo il sudore, poi sposto la coperta per cercare di alleviare la febbre e gli sistemo in fronte una borsa del ghiaccio. Distolgo lo sguardo dal suo petto nudo per colpa dello yukata aperto, prendo un paio di pillole e riempio un bicchiere d'acqua.
 
Non posso permetterlo, non posso lasciare che si avvicini a me perché alla fine... tra pochi giorni andrà via, si congederà con il suo sorriso arrogante e io non sarò nient'altro che un'altra donna in più da dimenticare.
 
Deglutisco mentre le sue parole mi colpiscono ancora e ancora.
 
"Odio perdere".
 
Se non mi fosse ancora sufficientemente chiaro, quella affermazione fuga ogni mio dubbio: sta giocando con me. Lo trova divertente come un gatto che insegue un topo. Per qualche sadico motivo deve trovare piuttosto stimolante farmi sentire in imbarazzo, osservarmi mentre mi arrendo senza scampo alla sua presenza.
 
Stupida. Stai per sposarti, cosa stai combinando? Ti stai facendo coinvolgere, sedurre da un uomo che domani non ricorderà neanche il tuo nome? Voglio che finisca tutto, che questa stramba avventura termini una volta per tutte per tornare a casa, tra le braccia di Shinnosuke. Per recuperare la razionalità.
 
Forse per questo mi sono lanciata all'inseguimento di mio suocero, forse per questo ieri sera ho fatto una pazzia che mi ha fatto quasi morire annegata. Guardo di sottecchi il bottino che sono riuscita a vincere: la katana sul tatami ancora avvolta in un'umida custodia che nessuno si è disturbato a togliere.
 
La mia speranza di poter tornare.
 
Ranma respira affannosamente, gli sollevo la testa e gli metto in bocca due pillole prima di avvicinargli il bicchiere con l'acqua e fargliele mandare giù. Protesta debolmente nel sonno, si rimette a dormire e lo osservo in silenzio. Mi piacerebbe poterlo odiare.
 
In quel momento sento una terribile necessità, cerco tra i miei vestiti temendo di averla persa, dato che la catenina è troppo grande e potrebbe essere finita tranquillamente in fondo al mare.
 
Con un sospiro di sollievo trovo la moneta proprio dove dovrebbe essere, cioè attorno al mio collo. La stringo nel pugno consapevole che non esiste una donna più stupida di me.
_____________________

L'anziano apre la porta senza chiedere permesso o fare cerimonie, lascia due vassoi con la colazione tradizionale e richiude la porta dietro di sé.
 
-Aspetti!- dico, alzandomi in piedi e uscendo a cercarlo.
 
Lo incontro nel corridoio che mi guarda alterato.
 
-Posso usare il suo telefono?
 
Mi conduce in un angolo della casa dove un vecchio telefono con tastiera a toni è poggiato su un tavolino apposito.
 
Mi tremano le mani, so che dovrei chiamarlo, so che ho bisogno di ascoltare la sua voce.
 
Sgancio la cornetta e compongo un numero corto.
 
-Vorrei parlare con Ukyo Kuonji, per favore.- chiedo alla persona che mi risponde al numero verde e, mentre ascolto il bip di attesa, una vocina nella mia testa non smette di ripetermi all'infinito: vigliacca.
 
Ho paura, sono così spaventata da tutto quello che mi sta succedendo che semplicemente non posso... non trovo le parole, non sono in grado di digitare il suo numero e raccontargli tutto.
 
Non so cosa stia diventando, se la menzogna che è stata la mia vita finora abbia finito per consumarmi o non mi restino più forze per continuare a indossare questa pesante maschera. Ho troppa paura di rendermene conto.
 
Ascolto la voce preoccupata di Ukyo dall'altro lato della linea e mi sforzo di tranquillizzarla, era morta di paura. Promette di raggiungerci entro un'ora. Ripongo la cornetta e mi allontano dal telefono.
 
Forse domani troverò il coraggio che mi manca oggi.
 ________________________________________
 
-Meno male!- Ukyo entra in camera come un fulmine, si toglie le scarpe strada facendo e mi si getta addosso, abbracciandomi proprio come ha fatto ieri con Ranma. Sembra davvero sollevata. Mi stringe tra le sue braccia e divento inevitabilmente rossa davanti a questa dimostrazione di affetto sincero.
 
-Quando la luce è andata via siete spariti! Mi sono spaventata moltissimo e pensavo che foste caduti in mare!
 
-Infatti è andata così.- chiarisco, mentre allenta la stretta dietro il mio collo e mi guarda con la bocca aperta.
 
-Non è possibile! Come avete fatto ad arrivare fin qui?! Sai a quanti chilometri siamo da Osaka?
 
-Ranma mi ha salvato, mi ha trovato in fondo al mare e mi ha portato qui.
 
I suoi occhi verdi mi trapassano, sembrano guardarmi dentro, attraversando i miei pregi e le mie debolezze, poi distoglie lo sguardo e si concentra sul ragazzo che giace nel futon a meno di un metro da noi. Lo osserva con aria severa e aggrotta le sopracciglia, sicura che qualcosa non torni.
 
-Che idiota.- mormora allontanandosi da me e avvicinandosi a lui. Posa una mano sulla sua guancia per controllare la temperatura.
 
-Gli ho dato dei farmaci, credo sia solo senza forze.
 
-Sei fortunata.- dice Ukyo, chiudendo la mano a pugno mentre lo osserva dormire. –È forte, non morirà per questo, ma... –solleva gli occhi, puntandoli su di me e per un attimo mi stringo nelle spalle mentre mi osserva con sguardo accusatorio. -...avreste dovuto chiedere aiuto! Non ti rendi conto che avete rischiato grosso? Se fosse successo qualcosa a Ranma, io... io non te l'avrei mai perdonato!
 
Vedo lacrime di rabbia agli angoli dei suoi occhi che cercano di non scivolare via davanti a una sconosciuta. Io stessa sento i miei che si inumidiscono, non mi trovo di certo in una situazione migliore.
 
-M-mi dispiace, non volevo...- nego con la testa e dai suoi occhi verdi cadono finalmente quelle stille, mentre la vedo gettarsi di nuovo su di me, tanto che per un attimo temo voglia attaccarmi. Sento che mi circonda il collo con le braccia, nasconde il viso sulla mia spalla e inizia a piangere disperata.
 
Impiego un attimo di troppo a capire quello che succede. Ukyo era terribilmente preoccupata, forse non avrà neanche dormito per l'ansia.
 
La abbraccio mentre mi rendo conto di aver iniziato a piangere anche io. Sono stata davvero una stupida, una vera e propria stupida. Mi dispiace, mi dispiace moltissimo.
 
Entrambe restiamo abbracciate, mentre il codinato riposa al nostro fianco.
 
Infine le lacrime si asciugano, lasciando spazio all'imbarazzo. Ci separiamo, lei si liscia i capelli mentre io mi schiarisco la gola.
 
-Possiamo parlare da un'altra parte?
 __________________________________

Ed eccoci qui a camminare lentamente lungo il corridoio della proprietà. Ukyo è stata così gentile che ci ha persino riportato i nostri zaini e mi sono finalmente potuta vestire come al solito.
 
-Ieri ho affrontato Genma.- chiarisco per farle capire la situazione. –Sono riuscita a sottrargli la katana e ora andrà tutto bene.- Ukyo mi guarda riluttante e sembra riflettere sulla risposta da darmi.
 
-Credi che sia così facile?- chiede, con aria pensierosa.
 
-Non capisco quale sia il problema, dobbiamo solo chiamare la polizia e...
 
-La polizia? Ma non dovresti restituirla a Kuno?
 
-Mi sembra ovvio che Kuno non sia più nella condizione di reclamare il suo denaro dato che ormai ci è sfuggito tutto di mano. Non so neanche se siamo salvi o se abbiamo la yakuza alle costole.
 
-E tu invece?- dice, aggrottando le sopracciglia.
 
-Io?- ripeto, senza capire.
 
-Ti sposi sabato prossimo, mancano solo cinque giorni... credi davvero che bastino per risolvere tutto? Pensi che Kuno rinunci ai suoi soldi? Forse tirare in ballo la polizia può causare ancora più problemi.
 
-E quindi cosa dovremmo fare secondo te?- dico, sentendomi con le spalle al muro.
 
-Forse dovresti... beh, rimandare il tuo matrimonio.
 
Smetto di camminare, i miei occhi si inchiodano nei suoi senza capire ciò che mi sta dicendo o forse non voglio capirlo.
 
-No!- esclamo, fuori di me. -Questo mai! Non potrei perdonarmelo, non riuscirei neanche a guardare in faccia Shinnosuke. –Devo tornare in tempo, devo farcela!
 
-E Ranma?- chiede con una calma che mi spaventa.
 
-Che c'entra Ranma?
 
Ci guardiamo in silenzio, come se ci stessimo valutando. So che perderò questa battaglia senza neanche iniziare a combattere... Ukyo è troppo intelligente.
 
-Vuoi forse negare che non stia succedendo niente tra voi?
 
-Queste sono solo tue supposizioni.
 
Ride, ma non sinceramente, sembra una risata sarcastica carica di incredulità.
 
-Chi vuoi prendere in giro? Può negare tutto quello che vuoi ma io vi ho visti ballare ieri notte, o meglio, vi hanno visti tutti in barca. Eravate così appiccicati che neanche l'orchestra si sarebbe azzardata a smettere di suonare.
 
Le mie guance si infiammano di pura vergogna, mi porto le mani al volto per coprirle ma è del tutto inutile davanti al suo giudizio. So che ha ragione e la cosa mi fa morire.
 
-È stato solo un errore, un momento di debolezza.- mormoro più a me stessa che a lei. Ukyo si volta e si avvicina così tanto che ci separano pochi centimetri.
 
-Le persone innamorate non commettono errori.
 
-No Ukyo! Tu non capisci! Lui sta solo giocando con me, si diverte senza pensare alle conseguenze, come fa con tutte le donne, come fa con te!
 
Mi mordo la lingua un attimo troppo tardi... la sua espressione non cambia ma i suoi occhi non mentono. Mi guarda con le pupille fisse, mentre le sue iridi si accendono indignate.
 
-Ranma non ha mai giocato con me, sono stata io a innamorarmi ingenuamente di lui. Ha sicuramente una miriade di difetti ma è pur sempre il mio migliore amico.
 
-È solo uno sciupafemmine.- rispondo senza intenzione di ascoltare una parola di più, ormai niente potrebbe farmi cambiare idea su di lui.
 
-Può darsi.- risponde lei – ma questo non significa che non sia sincero.
 
-Basta! Non lo permetterò, non gli permetterò di avvicinarsi a me.- afferro il bordo della porta scorrevole e guardo Ukyo per farle capire tutta la mia convinzione, la mia volontà ferrea. -Il mio fidanzato mi aspetta a Tokyo e sono assolutamente certa di volerlo sposare. Voglio bene a Shinnosuke e nessuno mi impedirà di tornare al suo fianco.
 
Il discorso mi lascia senza fiato, lei mi guarda con gli occhi sgranati e io sollevo il mento con tutto l'orgoglio che riesco a mostrare in quel momento. In fondo non è molto diverso da quello che faccio sempre, cioè camuffare la realtà, nasconderla dietro parole che io stessa finisco per ritenere vere. Ingoiare tutti i miei sentimenti.
 
Apro la porta adirata e quello che mi trovo davanti mi lascia a bocca aperta. Non mi aspettavo che fosse sveglio e si fosse alzato, né tanto meno che si trovasse proprio dietro la porta.
 
Le mie labbra tremano, è impossibile che a questa distanza non mi abbia sentito e la sua espressione pare confermare la mia ipotesi. I suoi occhi azzurri mi fissano un istante prima di schivarmi e nascondersi dietro i capelli.
 
-Devo andare al bagno.- dice, con la gola secca.
 
Mi passa accanto freddo come il tempo là fuori, come il mare dal quale mi ha salvato ieri, strappandomi dalle grinfie della morte.
 
-Ranma... –ma non vedo altro che la sua schiena sparire per il corridoio e sento che mi tremano le gambe, mentre avverto Ukyo sospirare contrariata dietro di me.
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-Stai già meglio?- chiedo quando lo vedo tornare in camera e spero che la mia voce non suoni tremante come sembra a me.
 
Ranma passa tra noi e si siede sul futon in cui abbiamo dormito stanotte, prende una delle ciotole ormai fredde che ci ha lasciato l'anziano e inizia a mangiare senza dire una parola. Mi agito a disagio nel punto in cui sono seduta.
 
Ukyo si schiarisce la gola.
 
-Per fortuna stai meglio, ero preoccupata.- dice, cercando di rompere l'opprimente silenzio che si è creato tra noi e il codinato le sorride come al solito.
 
-Sto bene, Ucchan.- le risponde continuando a mangiare, poi fa fuori anche la mia zuppa e prende una ciotola di riso.
 
-Lo so, Akane si è presa cura di te.- ecco, un'altra volta il dito nella piaga. Le rivolgo uno sguardo accusatore mentre lei fa un gesto di pura soddisfazione.
 
-Hai notizie di mio padre?- chiede lui, ignorando completamente l'affermazione precedente. Mi fa un po' male, lo ammetto.
 
-So che non è qui, né lui né la yakuza anche se non so quanto tempo impiegheranno a scovarvi. Soprattutto ora che avete un "bagaglio" così prezioso.- dice, indicando la katana, che è ancora là dove l'ho lasciata stamattina: al centro della stanza, poggiata sul pavimento come se fosse roba vecchia da gettare.
 
Il codinato la osserva e si alza lentamente, la prende con la mano destra ed estrae la katana dalla custodia che la riveste. Sgrano gli occhi mentre contemplo la bellissima impugnatura e la fondina lavorata come un'opera d'arte del diciassettesimo secolo. Deve essere di pelle di manta, come si facevano una volta, dipinta con vari strati di meravigliosi pigmenti estratti da fiori e pesci marini.
 
Ranma la muove nella sua mano e, aiutandosi con la sinistra, sfila del tutto la custodia, che cade al suolo mostrando l'affilatura della lama. È così bella che sento l'impulso di prenderla tra le mie mani anche solo per un istante per comprovarne il peso, valutarne l'antichità e anche la pericolosità.
Il ragazzo la soppesa, stringe la lama con entrambe le mani e, con un colpo secco, la lancia contro la parete, che riceve un forte contraccolpo.
 
-Ma che fai?!- esclama Ukyo portandosi le mani alla testa, mentre io sono troppo sorpresa per dire qualcosa.
 
Lui ripete il gesto senza cambiare di una virgola la sua espressione gelida e l'impugnatura emette un lieve scricchiolio prima di spezzarsi in due e lasciare in bella vista la parte finale della katana su cui è montato il manico.
 
L'impugnatura cade al suolo in mille pezzi e tutti ammiriamo il metallo nudo, proprio come è uscito dalla fucina. Ranma si sposta verso la finestra e osserva la luce del sole, Ukyo si muove rapidamente per avvicinarsi a lui ma io non sono capace di imitarla.
 
Mi sento fuori luogo, con troppa paura di leggere il rifiuto nei suoi occhi, forse lo stesso che ha visto lui nei miei.
 
Sta diventando tutto assurdo e contraddittorio.
 
-C'è scritto qualcosa!- esclama lei mentre avvicina la testa a Ranma, ansiosa per la scoperta. Mi alzo e mi obbligo ad avvicinarmi a loro per osservare la scritta sulla lama, fino a quel momento nascosta, e il riflesso della stessa mi mostra un luccichio azzurro. Ci guardiamo attraverso la superficie e io, troppo a disagio, abbasso la testa.
 
-Sembra cinese.- cerco di dire la mia.
 
-È cinese.- mi corregge Ranma senza un briciolo di emozione nella voce.
 
-Sai leggerlo?- chiedo curiosa.
 
-No... i simboli non sono normali, potrebbero essere una variante, forse un dialetto della zona più occidentale.
 
-Avrebbe senso.- interviene Ukyo –Se è una pista per trovare il tesoro, forse il generale Yamashita l'ha fatto incidere durante una delle sue incursioni in Cina.
 
-Vuoi dire aggressioni.- risponde lui mentre si acciglia. La sua serietà è talmente palpabile che mi fa quasi paura. Non l'ho mai visto così di malumore.
 
-Quindi... cerchiamo di decifrarlo per scoprire dove si trova il tesoro?- è assurdo che io sia l'unica a farsi questa domanda dato che non pensavo fosse il nostro obiettivo. Pensavo che dovessimo solo recuperare la katana. Non può essere tanto complicato, no?
 
-E cosa proponi?- chiede lui inchiodando i suoi occhi furiosi nei miei. Si sposta e si avvicina a me sovrastandomi con la sua imponenza, con lo yukata mezzo aperto che lascia in bella vista i suoi pettorali perfetti. Si avvicina a me fino al limite del pudore, lasciando Ukyo a bocca aperta in disparte e facendomi sentire in trappola. –Di avviarci verso la più vicina stazione di polizia e lasciare la katana impacchettata con tanto di nastro come se fosse un regalo? Credi che non ci farebbero domande? Secondo te non ci sarebbe alcun problema?
 
-Io...
 
-È una cosa troppo grande per te, tornatene a casa, è meglio.- sbotta senza pietà. Lo guardo in preda a una muta frustrazione, intimidita dalla sua statura e dalla sua determinazione. Nessun dubbio, nessun tentennamento, resta impassibile mentre io mi sento sempre più piccola.
 
Questo è Ranma? Lo stesso Ranma che conosco? Non lo so, non so più niente, quest'uomo che ho di fronte ora mi fa paura, mi provoca un immenso disagio.
 
Mi obbligo a tenergli testa, a tirare fuori la furiosa tempesta di rabbia e impotenza. Il mio orgoglio non mi permette di chinare la testa davanti a lui.
 
-Penso di andare fino in fondo, che ti piaccia o no.
 
Lo sento quasi ringhiare, lo vedo serrare la mascella, poi tendere le labbra, così diverse rispetto a ieri, quando stavano per rubare le mie. Sbuffa e distoglie lo sguardo con disappunto.
 
-Fai come ti pare.
 
Ukyo, ormai ridotta a tappezzeria, cerca di alleggerire un po' la tensione.
 
-Cosa ne dite se pensiamo a un piano?
 
Ranma si volta e si allontana e solo in quel momento mi accorgo di aver ripreso a respirare. Prendo un'enorme boccata d'aria per recuperare la calma.
 
Il codinato inizia a girare in tondo per la camera come un animale in gabbia, immerso nei suoi pensieri. Lo guardo e mi rendo conto che tra di noi si è appena alzata un'inespugnabile muraglia alla velocità della luce, spazzando via per sempre la confidenza che si era creata tra noi, come se non fosse mai esistita.
 
Immediatamente, l'idea di restare sola con lui mi inquieta come non è mai successo in questi giorni, dal momento che si è trasformato in uno sconosciuto.
 
La cuoca ci rivolge sguardi indiscreti come se stesse guardando una partita di tennis.
 
-Credo che andrò a prendere una boccata d'aria.– dice, con una punta di frustrazione e, senza tante cerimonie, infila l'uscio e richiude la porta, lasciandoci soli nella camera tradizionale giapponese.
 
Perfetto. Se lei è uscita dalla porta io potrei fare lo stesso usando la finestra.
 
Il silenzio ci riavvolge e non oso muovere un muscolo. Lo guardo di sottecchi mentre si risiede sul futon disfatto e poggia la lama della katana accanto a sé.
 
-Quindi... che facciamo?- chiedo, cercando di andargli incontro, verso qualsiasi strada.
 
-Andremo a trovare una persona che sa leggere quello che c'è scritto qui e poi decideremo.- risponde controvoglia.
 
-Ed è lontano?
 
-Non è lontano da casa tua.- dice, lasciandomi di sasso. Deglutisco a vuoto mentre cerco di seguire il filo dei suoi pensieri.
 
-Riguardo quello che ho detto prima...
 
-Ero serio, quando torniamo a Tokyo ti riporto a casa, mi scuserò con la tua famiglia e farò tutto il possibile per sparire per sempre dalla tua vita.
 
Non mi guarda e spero non lo faccia perché i miei occhi iniziano a riempirsi di lacrime che non sono disposta a versare. Le sue parole mi fanno male, mi lacerano l'anima. Se vuole ferirmi, devo dire che ci sta riuscendo benissimo.
 
Ma il mio orgoglio riaffiora nuovamente, la fiera guerriera che alberga in me non permetterà alla sua crudeltà di schiacciarmi. Anche io me la cavo bene con questo gioco.
 
-Non tornerò a casa finché non sono sicura che nessuno mi cerchi.
 
-Io mi occuperò di Kuno.- risponde serio, così tanto che non posso dubitare della sua parola ma, nonostante tutto, mi azzardo a fargli una domanda.
 
-E che succede con il divorzio? Non posso sposarmi finché non firmi i documenti.
 
-Allora dì a tua sorella di preparare un altro contratto. Se le condizioni mi convincono, firmo senza problemi.
 
Perché all'improvviso sembra tutto così semplice? Dov'è finita l'insopportabile realtà di una settimana fa? Ranma non mi guarda, attende solo la mia conferma per potersi liberare di me.
 
L'ira mi sta consumando.
 
-Sono già coinvolta in tutto questo e non metterò in pericolo anche la mia famiglia.
 
-E il guardaboschi che ne pensa?
 
Il fatto che menzioni Shinnosuke mi fa abbassare immediatamente le difese, lo guardo e stringo i pugni mentre lui continua a sforzarsi di ignorarmi, senza muoversi da lì.
 
-Ti sposi questo sabato, dovresti stare al suo fianco e non qui, perdendo il tuo tempo.
 
-Non sto perdendo tempo, cerco di tirarmi fuori da questa situazione in cui mi hai infilato!
 
-Io?!- esclama indignato, finalmente guardandomi e alzandosi in piedi. -Sei tu quella che non fa altro che causarmi problemi, se non fosse stato per te avrei già risolto tutto!
 
-Ti saresti nascosto come un topo di fogna! Come quando ti ho incontrato!- esclamo senza controllo. Lo vedo serrare i pugni furioso.
 
-Sei solo un peso! Un fastidio! Tornatene dal tuo stupido fidanzato e dimenticami una volta per tutte!
 
Ci guardiamo, respirando affannati, cerco di trattenere l'impulso di picchiarlo fino a sentire le mani bruciare, fino a non poterne più. E ho voglia di piangere.
 
Non posso fare un passo indietro, ma non posso neanche ignorare tutto il disprezzo che mi ha rovesciato addosso.
 
-Non mi importa affatto se mi consideri un fastidio e se la mia presenza ti fa così schifo allora non parlarmi, non guardarmi.
 
-Sì, è ciò che avrei dovuto fare fin dall'inizio.
 
Quand'è che ci siamo allontanati così tanto? Che ne è stato di noi? Voglio tornare a ieri, quando Ranma mi stringeva forte cingendomi i fianchi e io mi perdevo nei suoi occhi blu, lontana da tutti i miei problemi.
 
La voglia di urlare è così forte che mi fa male la gola. Voglio fuggire, voglio uscire da qui correndo ma le mie gambe non si muovono. No, non voglio stare qui.
 
Neanche Ranma sembra trovarsi in una situazione migliore. Avverto il suo respiro affannoso, vedo la sua pelle scurita dal sole di nuovo ricoperta da un velo di sudore che la fa brillare leggermente. Socchiude gli occhi, fa un passo indietro in maniera un po' instabile e lo vedo barcollare in preda a un improvviso capogiro.
 
Corro accanto a lui, ma è troppo grande, troppo forte, tanto che quasi dimentico che è malato. Sembra che la sua forza sovrumana possa difenderlo da qualunque nemico, ma non è così. Arrivo giusto in tempo per afferrare con forza un suo braccio, ora i suoi occhi blu mi guardano indifesi, annebbiati dalla febbre. Forse anche le sue parole di un minuto fa erano dette in preda al malessere che lo sta consumando.
 
-Scotti!- sussurro sorpresa quando gli porto una mano sul viso, gli sfioro la guancia con il dorso ma non reagisce affatto. -Andiamo, sdraiati, meglio che tu non ti muova da qui, oggi.- lo porto vicino al futon e riprende a barcollare. Crolliamo irrimediabilmente sulla coperta morbida e sento il suo corpo enorme schiacciare il mio: sono in trappola tra lui e il pavimento. -Ranma, pesi...- mi lamento e lui, facendo uno sforzo al di là delle sue possibilità, fa forza sulle mani e si solleva, permettendomi di respirare.
 
Lo yukata lascia scoperta una sua spalla e quasi tutto il torace.
Vedo il suo viso a pochi centimetri dal mio, la sua lunga treccia che cade a un lato della testa e il suo sguardo perso, proprio come i suoi pensieri alterati dalla febbre.
 
Il mio cuore ha un'impennata e inizia a battere furiosamente, non posso muovere neanche un muscolo, proprio come ieri, è troppo travolgente, tutto di lui mi ipnotizza. Mi arrendo di nuovo alla sua vicinanza, a quella meravigliosa debolezza che esercita la sua presenza su di me.
 
Lo sento borbottare, le sue mani stringono la coperta in un gesto furioso. Ci guardiamo e il tempo si ferma, tutto intorno a me scompare, tranne lui.
 
-Smettila di farmi questo.- dice, sforzandosi, sento il suo fiato contro il mio, così vicino che penso di morire di puro desiderio.
 
-Questo cosa?- chiedo senza distogliere lo sguardo dalle sue labbra.
 
-Questo...- e senza riuscire a dire altro sviene su di me, mi schiaccia il petto e mi lascia senza fiato. La sua testa è poggiata all'altezza della mia spalla e non posso fare altro che tremare con lo sguardo fisso sul soffitto.
 
-Oh no, Ranma, spostati...- mi divincolo cercando di togliermelo di dosso, a disagio.- pesi molto... Ranma... ah... ti prego... Ranmaaaaaa!
 
È una montagna di muscoli, metto le mani sulle sue spalle e spingo cercando di ritrovare lo spazio sufficiente per prendere aria. Proprio allora sento la porta aprirsi: Ukyo ci guarda e resta ammutolita.
 
Lancia un urletto e richiude di nuovo frettolosamente.
 
-No! Ukyo, aiutami! Non è come sembra!
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Non so più come nascondere la mia faccia ormai in fiamme dalla vergogna. Ukyo alla fine mi ha aiutato a mettere a letto l'artista marziale svenuto e poi ci siamo sedute accanto al futon in assoluto silenzio.
 
-Preferisco non sapere come siete finiti in quella situazione.- dice e la mia testa si incassa ancora di più nelle spalle tanto che penso di morire di umiliazione.
 
-È stato un incidente.
 
Mi guarda con aria seria e so che sta per dirmi qualcosa che non voglio ascoltare.
 
-Akane, posso chiederti un favore?
 
Io annuisco leggermente, non mi sento nelle condizioni di poterle negare qualcosa.
 
-Non farlo soffrire.
 
-E perché dovrebbe soffrire a causa mia?- rispondo automaticamente, ma i suoi occhi verdi mi schivano e anche lei china la testa.
 
-È inutile, siete tali e quali: due perfetti idioti.- dice parlando tra sé e sé. Infine si alza, considerando conclusa la conversazione. –Saluta Ranma da parte mia, immagino che domani partirete presto.
 
-Sì, ammesso che stia bene.
 
-Si riprenderà del tutto, è molto forte. Con una notte di riposo sarà come nuovo.
 
-Lo conosci molto bene.- mormoro con un piccolo gesto di resa.
 
-Non lo so, forse non lo conosco più così tanto.- continua a parlare mentre si dirige verso la porta, la apre e si gira. -Ultimamente trovo che sia molto cambiato. Stammi bene.- si congeda infine, mentre io resto a fissare stordita il punto da cui è sparita.
 
Non posso fare molto qui. Vedo il giorno che poco per volta diventa notte, con il trascorrere delle ore. Disfo i bagagli e li rifaccio, poi ripongo la katana nella custodia e la metto via.
 
Do a Ranma altre medicine e chiedo all'anziana coppia un po' di cibo.
 
Controllo gli orari e i percorsi degli autobus per il giorno dopo cercando di riorganizzare il viaggio.
 
Non mi resta molto tempo... sento che scorre inesorabile, che scappa tra le mie dita senza poterci fare niente.
 
Mi faccio un bagno, asciugo i miei capelli corti e li pettino. È ormai notte e lui continua a dormire. Mi avvicino alla finestra osservando il panorama e sospiro, sapendo che questa specie di pace o tregua non tornerà. Mi sento immersa in una specie di avventura irreale, di sogno stravagante dietro il quale mi attende solo la realtà.
 
E che cos'ha di buono la realtà? La realtà è piena di doveri, di viaggi lontani da casa mia... la realtà è un luogo dove non potrò dormire mai più al suo fianco.
 
Ma per fortuna è anche un'enorme coperta che mi avvolge e mi ricorda che i sogni possono diventare incubi. Che continuo a essere un'innocente stupida alla mercé di desideri incerti.
 
Potrei fare la stessa fine di Ukyo, con il cuore a pezzi, sanguinante e in agonia mentre lui sorride imperterrito. Sì, potrei finire anche peggio.
 
Tremante a causa del freddo invernale, guardo il futon e mi avvicino a lui con un nodo nello stomaco. Mi sdraio su uno dei due lati, sotto la coperta, cercando di non sfiorarlo, di non finire in preda alla disperazione per un po' di calore e gettare all'aria il mio buon senso, proprio come ho fatto ieri notte.
 
Dorme su un fianco, osservo la sua schiena, grande e rassicurante. Lo cerco, non ce la faccio a resistere, anche se si tratta solo di un istante, anche se me ne pentirò per il resto dei miei giorni... ma ora ho bisogno di averlo accanto.
 
Mi accoccolo al suo fianco lasciandomi avvolgere dal suo calore, che allevia i miei pensieri e mi fa sentire protetta. Si muove nel sonno e mi avvolge con le sue braccia, lo sento bofonchiare qualcosa e non so se stia dormendo o no, ma non mi importa.
 
Questo piccolo momento, questo triste e amaro sentimento può aspettare. Sarò forte, farò in modo che il mio cuore torni di ghiaccio, che le mie parole diventino lame e i miei sguardi affilati come pugnali, ma qui e ora la verità non è nient'altro che questa, senza maschere e menzogne.
 
Sono solo una ragazza impaurita che non vuole che domani sorga il sole.
 
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NdA:
Ciao a tutti! Questo capitolo è un po' corto rispetto agli altri, lo so, e mi dispiace... però è una specie di fase di transizione e fa prendere un po' di fiato per quello che succederà dopo, quindi inspirate bene, mi raccomando ahah!
 
Mi è piaciuto scriverlo soprattutto perché iniziamo a vedere il modo in cui Akane, sempre restia, inizia a rendersi conto dei suoi sentimenti, che è un grande risultato per il personaggio ma anche una specie di tortura. Risulterà più chiaro nel capitolo seguente. Mille grazie a tutti per le recensioni, sono contentissima e mi sorprende riceverne così tante, non ho parole sufficienti!
 
Baci.
 
LUM

NdT:

Ciao a tutti! Attendo il lancio di uova marce che so di meritarmi al 100% ma finalmente ce l'ho fatta a riprendere in mano tutto! Chiedo scusa a tutti i lettori che stavano seguendo la storia di LumLum, o meglio la mia umile versione italiana, ma il tempo libero mi si era ridotto al minimo ç.ç
Spero che vogliate ancora seguirci, prometto che riprenderò a pubblicare regolarmente e appena possibile invierò all'autrice le ultimissime recensioni ricevute. Ringrazio chi continua ad attendere gli aggiornamenti di questa - a mio parere - storia avvincente e soprattutto chi continua a recensire nonostante siano passati mesi dall'ultimo capitolo. Di cuore, grazie!
E se ci sono errori e sviste mi scuso in anticipo ma non ho potuto rileggere come avrei voluto e non volevo attendere ancora.
Alla prossima e un abbraccio virtuale a tutti, in particolare alle mie Ladies adorate.
Spirit99

 
 
 
 
 

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