Battle Scars.

di peetarms
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cambiamenti. ***
Capitolo 2: *** Attacco. ***
Capitolo 3: *** Lettera. ***
Capitolo 4: *** Litigi. ***
Capitolo 5: *** Ricordi. ***
Capitolo 6: *** Ritorno al passato per una notte. ***
Capitolo 7: *** Connor. ***
Capitolo 8: *** Migliore amico. ***
Capitolo 9: *** Gare clandestine. ***
Capitolo 10: *** Tatuaggio ***
Capitolo 11: *** Lussuria ***



Capitolo 1
*** Cambiamenti. ***


*Attenzione: i comportamenti dei personaggi descritti durante la narrazione della fan fiction non sono assolutamente da imitare: quello che fanno e pensano è spesso sbagliato. Con questo mio scritto pubblicato senza scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in qualche modo. La storia è solo frutto di pura fantasia.*




01.



6 Marzo 2016 ore 8.16PM.

Luci. Flash. Persone che urlano il nome di mio padre. 
La porta della limousine si apre, mio padre scende dopo avermi sorriso, poco dopo mi tende la mano sotto le urla dei fans.
Afferro la sua mano e mi alzo dal sedile. La punta del mio piede destro tocca il tappeto rosso, seguito poco anche dal piede sinistro. Sono in piedi, di fianco a lui, con il mio vestito nero di Chanel deciso da mia madre.
Mio padre sorride dopo aver firmato autografi mentre io cammino al suo fianco sul red carpet, ogni tanto qualche fan mi chiede la foto e io li accontento.
Dopo essere stato intervistato sul red carpet ed aver fatto foto assieme per i giornalisti, finalmente ci incamminiamo dentro al Kodak Theatre, dove si svolgerà questa sera l'88esima edizione degli Oscar.
«Tutto bene Effy?» la voce di mio padre mi arriva come in sussurro con tutto il caos che ci circonda, annuisco dopo aver fatto un respiro profondo «Se dovessi stare male, esci e prendi una boccata d'aria okkei?» mi accarezza la guancia con il pollice
«Okkei, però voglio che tu stia tranquillo, io starò bene» sorrido all'assistente che ci porta ai nostri posti per ringraziarlo
«Va bene piccola» si siede e lo faccio anche io dopo aver letto il biglietto sopra alla poltrona di fianco alla mia. 
Jennifer Lawrence e di fianco a lei, Bradley Cooper. Gli attori con cui ha lavorato mio padre nel suo ultimo film.
«Sul serio sarò di fianco a Jennifer Lawrence?» appoggio la schiena contro lo schienale
«Vedi attori di fama mondiale da quando sei nata e vai ancora in agitazione?» la risata di mio padre mi tranquillizza un po'.
«Simpatico» gli faccio la linguaccia
«Lo so» mi risponde di rimando prima di cominciare a parlare con il regista del film con cui è candidato all'Oscar mentre io prendo il mio i-phone nero dalla pochette per controllare se ho messaggi.
Nessuno. 
Apro Twitter e guardo le notifiche. Dopo aver risposto a qualche tweet ed aver seguito qualcuno rimetto il cellulare nella pochette perché la cerimonia sta per iniziare e solo in quel momento noto che mio padre e Jennifer stanno parlando.
«Jenn ti presento mia figlia, Elizabeth Jensen» mio padre appoggia la mano sulla mia spalla scoperta
«É un piacere conoscerti Elizabeth» Jennifer mi sorride
«Effy, e il piacere è tutto mio, in bocca al lupo per la nomination» gli sorrido anche io. Dopo aver scambiato qualche parola rivolgo lo sguardo verso il palco dove la presentatrice di quest'anno sta salendo la gradinata.
La serata procede tranquilla, tra risate, applausi, e consegna degli oscar. Jenn non ha vinto come miglior attrice non protagonista e mi è dispiaciuto, ma mi ha confidato che lo meritava molto di più l'attrice a cui l'hanno consegnato, infatti ha esultato. Questo mi ha fatto capire che grande donna è.
Dopo aver atteso tutta la serata è arrivato il momento più importante per me, ma soprattutto per mio padre.
«E l'Oscar per il migliore attore protagonista va a... – apre la busta per poi leggere immediatamente –Jeremy Jensen per Old Way» la voce mi arriva immediatamente e mi alzo in piedi prima di mio padre, lo abbraccio sotto al suo sguardo incredulo. 
Dopo di che, cammina fino alla gradinata e prende in mano la statuetta sotto gli applausi della platea.
Alza la statuetta «Grazie. Wow, davvero non me l'aspettavo. Ma mia figlia Effy ha avuto fiducia ed è andata bene. Quindi grazie tesoro questa è anche tua. Poi vorrei ringraziare mia moglie Amanda per il sostegno, il cast di questo meraviglioso film e anche il regista. Lo dedico anche a voi. Ma soprattutto a mio figlio Freddie. Grazie davvero di cuore» i brividi percorrono ancora ogni parte di me, soprattutto al sentir nominare il nome di mio fratello. Sono così orgogliosa di mio padre. Pochi minuti dopo è di nuovo di fianco a me che mi abbraccia.
«Grazie per credere in me» mi scocca un bacio sulla guancia
«É un piacere farlo miglior attore protagonista» rido e lo abbraccio di nuovo.


8 Marzo 2016 ore 9.13AM.

L'aeroporto mi ha sempre affascinato. 
Mi piace l'odore, il rumore, l'atmosfera. La gente che corre qua e là con le valigie, felice di partire, felice di tornare. Mi piace vedere gli abbracci, cogliere la strana commozione dei distacchi e dei ritrovamenti. L'aeroporto – ho sempre pensato fin da piccola – è il posto ideale per osservare le persone.
Porto la mano alla tasca dei jeans per prendere il cellulare quando mio papà mi richiama dicendo di allungare il passo che se no i paparazzi non mi lasceranno più andare.
Mi alzo dalla sedia e li raggiungo.
«Effy so che adori gli aeroporti ma per favore stai vicino a noi» mia madre
«Scusa» chiudo il discorso immediatamente, per evitare una inutile discussione
«Sei pronta a ricominciare?» sento il braccio di mio padre dietro la schiena
«Sì papà, e tu sarai pronto a vivere in una piccola città?» lo guardo curiosa
«Certo, sai ho pensato molto a quello che mi hai detto l'altra notte quando siamo tornati dalla cerimonia degli Oscar» si siede di fianco a mia madre nel sedile
«Che cosa ti ha proposto?» la curiosità di mia madre non smentisce mai
«Gli ho proposto di diventare anche produttore cinematografico\regista» alzo le spalle, mentre infilo le cuffiette nelle orecchie
«Dici?» mi guarda come se avessi appena bestemmiato
«Sì tesoro, è un'ottima idea» come succede la maggior parte delle volte mio padre prende le mie difese
«Ne riparleremo quando ci saremo sistemati okkei?» come sempre quando è in torto vuole cambiare discorso, alzo le spalle e faccio partire Come as You Are dei Nirvana.
Dopo due ore di volo atterriamo all'aeroporto di Louisville. 
Dopo tre ore, una dove abbiamo aspettato le valigie, una di viaggio per arrivare ad Union a casa dei miei zii dove abbiamo mangiato e chiacchierato un po', soprattutto dove abbiamo festeggiato l'Oscar di mio padre, siamo di fronte alla nuova casa.
Dire casa è un eufemismo. 
Viale immenso costeggiato da alberi, giardino con piscina e un gazebo chiuso visto che siamo in pieno inverno, due scalinate che portano all'entrata. Dietro alla casa ancora giardino con il garage dove dentro ci sono le auto dei miei genitori ma non vedo ancora la mia moto.
«Ti piace?» mio padre mi raggiunge in garage
«É bellissima» lo abbraccio «L'avrebbe adorata anche Freddie» sospiro sopra la sua spalla
«Sì, tuo fratello l'avrebbe adorata tesoro» mi scocca un bacio sulla guancia e mi dona un sorriso, decido di cambiare discorso perché non ho voglia di parlare di lui.
«Comunque è più grande della casa di New York» sistemo i capelli dietro le orecchie mentre faccio correre lo sguardo sugli attrezzi che popolano gli scaffali
«Sì. Abbiamo una sorpresa per te» fa cenno di seguirlo in casa. 
Usciamo dal garage passando per la porta che non avevo notato, ci ritroviamo in cucina, già sistemata e con lo chef di mia mamma che prepara la cena. Lo saluto con un cenno della mano poi proseguo con mio padre.
«Ora chiudi gli occhi» si volta verso di me dopo cinque minuti.
«Posso riprendere fiato? Questa casa è immensa cazzo. Spero che non abbiate speso soldi anche per una palestra perché basta fare un paio di giri della casa» lo fulmino con lo sguardo
«Avanti rompiscatole, prendi fiato. Questo poi è solo il piano terra – ride – Ora non odierai più questa casa ne sono più che sicuro. Su' chiudi gli occhi» mi sorride dolcemente
Sbuffo ma poi lo accontento «Ora mi metto dietro di te e ti guido io, Effy stai tranquilla okkei?» sento le sue mani sulla mia vita esile mentre annuisco.
Facciamo un paio di passi e sento qualcosa di morbido sotto i miei piedi.
«Ora puoi guardare» neanche il tempo di finire la frase che ammiro la stanza.
Un cinema. 
UN CINEMA. Con tanto di dieci poltrone, il mega schermo. Mio padre si allontana per un attimo e torna con quello che assomiglia ad un telecomando ma non ha i tasti.
«É touch» mi spiega mio padre «Lo do a te, tanto sei tu che passerai tanto tempo qui dentro» mi sorride mentre mi accarezza la guancia
«Già» sospiro mentre alzo le spalle «Grazie papà. È davvero bellissimo» mi alzo sulle punta delle mie vans disegnate con i fumetti per abbracciarlo.
«Tutto per la mia bimba» mi lascia un bacio sulla guancia. Annuisco mentre sono ancora abbracciata a lui
«Caro dovevi aspettarmi» l'entrata di mia madre mi fa sciogliere l'abbraccio 
«Fa nulla mamma, grazie anche a te» gli sorrido
«Di nulla, è merito di tuo padre che ha contatti con il mondo del cinema» mi prende la mano
«Sì okay però anche tu hai contribuito, quindi grazie» gli sorrido grata
«Lo abbiamo fatto così invece di vederti le tue miliardi di serie tv in camera tua sul pc o nella tv hai una stanza tutta tua con un mega schermo» mi da un bacio sulla fronte
«Grazie ad entrambi ancora» li abbraccio 
«Ah Effy, sono venuta qui anche per avvisarti che la tua moto è arrivata» scatto fuori dalla stanza e corro tra i corridoi senza saper dove andare, dopo poco mio padre mi raggiunge ridendo
«Ti sei persa Effy?» cerca di non ridere 
«Fai il simpatico Jeremy?» sibilo
«Qualcuno ha cambiato già umore» mi guarda attentamente
«Non è colpa mia» alzo le spalle «Voglio andare dalla mia moto, mi accompagni in garage?» incrocio le braccia al petto
«Andiamo lunatica» appoggia il braccio attorno alle mie spalle
«No, io sono mentalmente instabile» cito le parole dello psicologo che mi ha visitata mentre cerco di memorizzare la strada per tornare nella stanza cinema.


22 Marzo 2016 ore 10.39AM.

Union è un paese meraviglioso. Ancora meglio di quello che mi ero immaginata. Gente cordiale, simpatica e generosa. Con voglia di uscire e divertirsi. Il freddo. I residui della neve poi aiutano a migliorare il tutto. Ho sempre amato la neve, fin da quando ho memoria.
«Pensi di venire a fare colazione Effy?» la voce di mio padre mi giunge vicina mentre guardo fuori dalla finestra
«Sì, ora vengo, fammi prendere respiro. Sono appena tornata dalla mia corsa» mi volto verso di lui e lo guardo
«In realtà non sei appena tornata, ti sei già fatta la doccia» ride e lo seguo anche io, ma per poco
«Okkei rompiscatole andiamo a mangiare» mi alzo dalla panca di fianco alla finestra in salotto e mi siedo di fronte a lui nella tavola.
«Effy dobbiamo parlare del college» addenta il suo toast mentre mi guarda
«Dobbiamo parlare del film che dobbiamo cominciare a scrivere» bevo un sorso dalla tazza piena di caffè
«Elizabeth» mi fulmina con lo sguardo 
«Okkei, prima parliamo del college. Ma dobbiamo pensarci ora, mentre mamma è a New York per una sfilata se vuoi diventare produttore\regista» afferro la forchetta che trovo sopra al tovagliolo
«Prima parliamo di te e del college» ripete di nuovo
«Voglio studiare da casa, non ho voglia di trasferirmi in qualche campus come ho fatto a New York. Voglio stare qui» puntualizzo ancora prima di cominciare il discorso
«Quindi vuoi finire di studiare ingegneria meccanica?» si pulisce la bocca col tovagliolo
«Sì, poi se non riesco diventerò un'attrice o una modella come sognate te e mamma» inclino di poco la testa mentre mangio i miei pancakes con lo sciroppo d'acero
«Io ti sostengo in qualsiasi scelta prendi, tranne in una che hai preso – un velo di tristezza di impossessa di lui – ma grazie a Dio siamo riusciti a superare quel momento. Se vuoi finire di studiare ingegneria fallo, lo sai che avrai tante ottime opportunità di lavoro; anche se so bene perché vuoi diventare ingegnere. Ho visto il tuo blocco Effy – mi sorride – Hai progettato un bellissimo parco divertimenti – sul suo volto leggo soddisfazione – Però devi concentrarti se è quello che vuoi fare nella tua vita» 
«Bene problema college risolto, mi iscriverò online poi penseremo ai libri – sorrido – ora parliamo del film che abbiamo da scrivere» 
«Il film che tuo padre ha già scritto dici?» mi sorride divertito
«Ma avevi detto che ti dovevo aiutare» spingo il piatto vuoto verso il centro del tavolo della sala da pranzo
«Effy, ho scritto quel film da tempo ormai. Ho trovato chi mi aiuterà a produrlo. Devo solo trovare gli attori giusti» sorride soddisfatto dalla notizia che mi ha appena dato
«Wow, mi hai tenuto all'oscuro di tutto» mi siedo sul divano e poco dopo mi segue anche lui
«Oscuro di tutto? Effy sei stata tu a darmi l'ispirazione» lo guardo senza capire
«Durante il periodo dopo la morte di tuo fratello dove hai preso una cattiva strada ti vedevo cambiare ogni giorno sempre di più. Non ti riconoscevo. Non eri tu che parlavi, ma le droghe e l'alcool che avevi in corpo. Così quando io e tua madre abbiamo capito che non potevi continuare ad andare avanti così abbiamo cominciato ad aiutarti. Facendoti disintossicare, portandoti dallo psicologo, facendo tutto ciò che era nelle nostre possibilità per non perdere anche te, così mi è venuta in mente di scrivere un copione» mi spiega 
«Hai scritto un film su di me?» lo guardo sconvolta
«No, stai tranquilla Effy – si alza dall'altro divano e si avvicina al mobile da dove prende all'interno un copione – Il protagonista non è una ragazza ma un ragazzo. Tieni, leggilo e dimmi se ti piace» lo prendo dalle sue mani e lo stringo tra le dita.
Sul primo foglio trovo il titolo: Battle Scars.
«Cicatrici di battaglia?» alzo lo sguardo verso mio padre
«Non ti piace come titolo?» mi guarda confuso
Scosso la testa «Credo che non ci sia cosa più azzeccata» sorrido debolmente prima di aprire il copione per cominciare a leggerlo.


6 Aprile 2016 ore 8.13AM.

Dopo un mese dalla vittoria dell'Oscar, mio padre è tornato al lavoro. Anche se lavora a casa.
Stamattina incominciano le prime audizioni per formare il cast del suo film.
«Ancora non capisco perché hai insistito per farle qui a casa, cioè dovevi andare a Los Angeles. Potevo rimanere a casa da sola per un paio di giorni. Tra l'altro mamma torna stasera» sorseggio il mio solito caffè
«Cosa ho comprato a fare una casa grande se poi non la sfrutto? E poi non mi va di lasciarti a casa da sola anche se hai 19 anni Effy. E poi voglio il tuo parere per i provini come avevamo concordato» mio padre alzo lo sguardo dal giornale
«Va bene, va bene. Allora visto che ti devo aiutare, vado a vestirmi e poi esco a prendere le sigarette perché ne ho rimaste due – mi alzo da tavola e gli scocco un bacio sulla guancia – Sarò di ritorno prima che tu te ne accorga» 
Salgo velocemente le scale e percorro il corridoio che porta nella mia camera. Appena sono dentro chiudo la porta per poi entrare nella cabina armadio dove ne esco vestita con ai piedi le mie converse nere borchiate pochi minuti dopo. Prendo la borsa e il casco della moto da sopra la scrivania. Pettino i capelli castani ereditati da mio padre per poi uscire dalla camera con già indosso il giubbotto nero.
«Stai attenta Effy per favore» urla mio padre ancora in sala da pranzo. Esco dalla porta di ingresso e passo di fronte alla finestra dove c'è mio padre e gli alzo il pollice.
Entro in garage, salgo sulla mia bellissima Aprilia RSV4, percorro tutto il vialetto a velocità ridotta, ma appena ho superato il cancello aumento la velocità.
Dopo una decina di minuti, parcheggio la mia moto di fronte al bar – tabaccheria dove ho preso l'abitudine di fermarmi a comprare le sigarette da quando sono arrivata ad Union.
«Giorno Frank» saluto il proprietario che è alla cassa
«Buongiorno Effy, le solite?» si volta dove sono esposte tutte le sigarette
«Sì, le solite» annuisco mentre appoggio la banconota di fianco alla cassa, si volta poco dopo con in mano il mio pacchetto di Lucky Strike rosse. 
«Ecco a te» mi sorride dopo avermi dato il resto 
«Ci vediamo» lo saluto dopo aver preso il pacchetto.
Mi avvio verso l'uscita quando mi scontro con un ragazzo poco più alto di me.
«Scusami, non ti avevo visto» si scusa mentre porto una mano alla tempia
«Tranquillo, neanche io ti ho visto» mi volto verso il ragazzo, e mi sembra di averlo già visto
«Scusami ancora – mi supplica con quei suoi occhi marroni con un tocco di verde vicino alla pupilla – Queste sono tue?» si china a terra e raccoglie il mio pacchetto di sigarette
Annuisco mentre le prendo dalla sua mano. Dopo di che esco e mi avvicino alla mia moto «É tua?» 
Mi volto verso di lui, quando noto che è salito su una Harley Davidson Street.«Sì, è mia» indosso il casco
«Se non mi sbaglio è un'Aprilia RSV4 no?» indossa il casco anche lui
«Se non mi sbaglio è una Harley Davidson Street no?» inclino di poco la testa come faccio sempre quando ho ragione
«Lo prenderò come un sì» accende la moto «Ora devo scappare sono in ritardo – guarda l'orologio sul telefono – É stato un piacere conoscerti e mi dispiace di averti fatto male – fa manovra – Comunque io sono Josh» mi guarda
«Effy» gli rispondo, mentre cerco di capire perché mi sembra di conoscerlo
«Mi piacerebbe rimanere a chiacchierare con te ma sono sempre più in ritardo, magari ci rivedremo» mi fa un cenno con la mano e ho l'impressione che mi sorrida poi sfreccia via.
Durante il viaggio di ritorno non faccio altro che pensare a dove l'ho già visto. Ma la risposta mi arriva naturale quando parcheggio la mia moto nel vialetto di casa ormai pieno di macchine dove trovo una moto con la stessa targa del ragazzo con cui mi sono scontrata nel bar.


6 Aprile 2016 ore 9.58AM.

Salgo la scalinata a due a due, facendo sbattere il casco che ho appoggiato sul braccio contro la coscia.
Cerco le chiavi dentro alla borsa ma qualcuno mi apre.
«Effy, eccoti qui. Santo cielo, tuo padre era preoccupato» alzo di scatto la testa, conosco bene quella voce, l'ho sentita per anni.
«Marshall che ci fai qui?» mi lascio andare in un sorriso sincero poco prima di abbracciarlo
«Non te lo ha detto tuo padre? Sarò io ad aiutarlo con il film» ricambia l'abbraccio mentre mi scocca un bacio sulla testa
«Quindi ti vedrò spesso – sorrido – É da un paio di mesi che non ti vedevo» 
«Sì piccola – ha il vizio di chiamarmi anche lui piccola – Dai andiamo che se no questa volta l'esaurimento nervoso lo avrà lui» mi sorride mentre camminiamo in direzione del salotto
«Ah Effy eccoti qua, dio mi sono preoccupato» mio padre mi viene in contro
«Pà stai tranquillo, non mi succederà nulla – lo rassicuro – Ho solo fatto un giro» 
«Va bene, vieni dai che dobbiamo cominciare» mi trascina in mezzo a più di cento persone sopra ad un piccolo palco che si è fatto montare stamattina presto
«Perfetto ora che ci siamo tutti possiamo cominciare – Marshall alza la voce così da farsi sentire – Ora lascio la parola a Jeremy» indica mio padre
«Buongiorno e benvenuti a tutti – incomincia – Questa mattina faremo una preselezione, io, Marshall e mia figlia Effy vedremo tutti i vostri provini. Uno alla volta in ordine alfabetico. Avrete 5 minuti a testa. Poi vi contatteremo attraverso i vostri agenti o tramite l'indirizzo e-mail che ci avete lasciato nel foglio che avete compilato all'entrata – cerco tra le cento persone che popolano il mio salotto, il viso di Josh ma non lo trovo – Bene, ora entriamo in quella stanza, la mia assistente Zenda – la indica – chiamerà ognuno di voi in ordine alfabetico» detto questo mi trascina giù dal palco per entrare dentro al suo studio.
«Sei pronta? Sarà una giornata lunga» Marshall mi indica la poltrona in mezzo a loro due
«Sì, sono pronta» In realtà sono pronta solo per arrivare alla lettera H per vedere il provino di Josh.
«Tieni tesoro, freschi di stampa» mio padre mi consegna un paio di fogli e una penna
«Che devo fare?» guardo entrambi 
«Devi mettere un voto da 1 a 10 di fianco all'interpretazione dell'attore – mi spiega Marshall – Non mostrare pietà, dobbiamo fare un film» mi sorride
«Sai che non mostro mai pietà Marsh» scocco la lingua sul palato
«Bene allora faccio entrare il primo» si siede di fianco a me e fa un cenno a Zenda.


6 Aprile 2016 ore 2.13PM.

«Ora iniziamo con la lettera H vero?» mangio un pezzo di pizza
«Sì, credo che entro ora di cena dovremmo aver finito» mio padre mi sorride dopo aver bevuto un sorso di birra
«Riprendiamo?» mi pulisco la bocca sul tovagliolo e appoggio il cartone della mia pizza dietro alla poltrona come hanno fatto mio padre e Marshall
«Pensavo volessi fumare prima» parla mio padre ma mi fissano entrambi
«No papà, fumo dopo» alzo le spalle
«Va bene come vuoi» mi scocca un bacio sulla guancia dopo aver fatto un cenno alla sua assistente
Riprendo il foglio e la penna per poi mettermi seduta a gambe incrociate. Prendo fra i denti il cappuccio della Bic leggendo i nomi degli attori che sono rimasti.
Alzo lo sguardo e noto che sta entrando.
Indossa un paio di jeans neri, una felpa grigia con sopra il giubbotto di pelle nero; ai piedi porta un paio di Nike Blazer blu notte.
Mi guarda e sorride, io scuoto la testa.
«Josh Hutcherson – comincio visto che mio padre e Marshall non prendono parola – Quale onore averla tra i candidati per formare il cast – sorrido – Comunque ha 5 minuti di tempo per recitare una parte del copione» inclino di poco la testa e lo osservo
«Con piacere» sorride. Impugno la penna ancora più forte e vivo il suo provino. Assaporo ogni parola che pronuncia. Mi cattura. Mi tiene con il fiato sospeso.
«Complimenti – mio padre sorride – Le faremo sapere entro un paio di giorni» sorride ancora
Josh sorride a mio padre «Grazie a lei signor Jensen» riprende il copione e esce dalla stanza
«É stato bravo» conferma i miei pensieri Marshall
«Sì, lo è stato» mio padre segna un 9½ di fianco al suo nove. Stesso voto che gli ho dato anche io.
Dopo tre provini, lascio soli mio padre e Marshall perché ho bisogno di prendere una boccata d'aria e fumarmi una sigaretta.
Cammino diretta verso l'uscita con il pacchetto e il mio accendino nero in mano. Scendo le scale lentamente dopo aver acceso una sigaretta, cerco la moto di Josh e mi sorprende trovarla.
«Ecco perché avevi un viso familiare» una voce mi fa voltare di scatto
«Ecco perché avevi un viso familiare» inclino di poco la testa e lo guardo
«Mi sbaglio o è la seconda cosa che ripeti da quando ti ho incontrato?» Josh si avvicina e mi sfila la sigaretta dalle dita per portarsela alle labbra e fare un tiro
«Non sapevo che Josh Hutcherson fumasse» mi fingo sorpresa
«Non sapevo che Elizabeth Jensen volesse diventare un'attrice – mi sorride – Non fumo, volevo fare un tiro. Ogni tanto me lo concedo» mi spiega
«Inanzi tutto non voglio diventare attrice – riprendo la sigaretta dalle sue dita – Il nostro incontro guarda è stata magnifico, una tua testata – rido poco e anche lui – Ma soprattutto chi è quello che ripete quello che dice l'altro?» lo fisso divertita
«Una bella tipa sei è» ride
«Mamma e papà mi hanno fatto così» alzo le spalle soffiandogli a dosso il fumo
«Per farmi perdonare la posso invitare a prendere un caffè o un gelato?» fa la voce da galantuomo
«Così da cercare di convincere la figlia del registaproduttore a fargli ottenere la parte?» lo guardo dritto negli occhi
«Non sono così manipolatore, sono più che convinto di aver fatto un ottimo provino» dice fiero di sé
«Sì in effetti lo è stato» ammetto mentre lui scoppia a ridere
«Grazie per avermelo detto» mi mostra il suo meraviglioso sorriso
«Fanculo Hutcherson» sibilo mentre torna a ridere
«Effy tuo padre ha detto che devi tornare dentro» la voce di Zenda mi distoglie dalla vista di Josh
«Digli che finisco di fumare e arrivo» alzo il braccio destro e gli faccio vedere la sigaretta
«Va bene Effy» annuisce prima di tornare dentro
«Sei una giovane donna impegnata» afferma Josh quando torno a guardarlo
«Troppo» scherzo
«Lo immagino deve essere impegnativo avere tante persone che ti dicono cosa devi fare» scherza pure lui, lo capisco dalla sua espressione divertita
«Chi prova a dirmi cosa devo fare si ritrova qualcosa conficcato dentro l'occhio» sorrido mentre spengo con la punta della converse la sigaretta e poi la raccolgo
«Penso sempre di più che tu sia una bella tipa» sorride mentre io mi avvio verso la scalinata
«É stato un piacere Josh Hutcherson le faremo sapere» salgo velocemente i gradini
«E per il caffè?» lo sento urlare
«Sarà per la prossima volta» gli sorrido prima di entrare in casa dove lo vedo scuotere la testa divertito.


6 Aprile 2016 ore 7.54PM.

«Jeremy sono finiti» Zenda ci da finalmente la buona notizia
«Marshall tu ti fermi a cena, io ora vado a fare una doccia» mi alzo dalla sedia lasciandoci sopra i fogli e la penna 
«Tesoro avete finito?» sento la voce di mia madre dall'ingresso
«Sì ora, ti sei divertita con Cantlyn» la raggiungo
«Sì sì, era da tanto che non ci vedevamo – appoggia le borse con i suoi nuovi acquisti a terra – Marshall rimane a cena?» 
«Certo – annuisco – Vado a fare una doccia» prendo la scala che mi porta direttamente nel corridoio dove c'è la mia stanza.
Una volta arrivata in camera mi stendo sul letto. Prendo il mio i-phone dalla tasca anteriore dei jeans per controllare un po' le notifiche su Twitter.
Dopo una decina di minuti sono nuda all'interno del box doccia sotto il getto dell'acqua calda. Dopo venti sono con i capelli asciutti all'interno della cabina armadio. Dopo altri cinque sono vestita con un paio di pantaloni della tuta grigia e una maglietta di mio fratello a maniche corte. Ai piedi un doppio paio di calzini visto che amo camminare scalza per casa.
Mi avvicino al cassetto della mia scrivania per prendere la chiavetta dove la sera precedente ho caricato tutte le puntate delle mie serie tv. Già viste e non.
Metto la chiavetta insieme al cellulare nella tasca dei pantaloni mentre scendo le scale.
Una volta di nuovo all'ingresso sento le voci dei miei e quelle del migliore amico di mio padre dalla sala da pranzo.
«Eccoti finalmente» mia madre mi accoglie
«Scusatemi, ma il dovere mi chiamava» tiro fuori dalla tasca la chiavetta
«Fammi indovinare: episodi di serie tv» Marshall ormai mi conosce troppo bene
«Tu mi conosci troppo» lo guardo male mentre mi siedo di fronte a lui a tavola
«Ti conosco da quando sei nata piccola» scoppia a ridere
«Che si mangia?» guardo mio padre
«Piselli» scherza Marshall
Lo fulmino con lo sguardo «Franky ha cucinato giapponese» una risposta sensata mi arriva da mia madre
«Ma come Amanda, il medico non ha prescritto ad Effy una cura di piselli per riprendersi?» insiste Marshall
«A proposito di cure. Dove sono le tue medicine Effy?» lo sguardo di mio padre è serio quando si parla delle mie medicine
«Nel cassetto delle medicine» sbuffo alzandomi e avvicinandomi al cassetto
«Alla fine si è lasciata convincere» spiega mia mamma a Marshall
«Cosa deve prendere?» questa volta la sua voce è seria
«Xanax per gli attacchi di panico, Paroxetina per la depressione e per il disturbo ossessivo – conpulsivo e ora per fortuna solo queste. Prima dovevo prendere cinque o sei psicofarmaci – lo fisso mentre torno con l'astuccio con dentro le medicine – Insomma ho smesso di prendere pasticche per sballarmi ma ho dovuto ricominciare a prenderne altre per curarmi» ritorno a sedermi
«Però almeno ora riesci a parlarle e soprattutto riesce a dormire» mi fissa mio padre
«Però gli attacchi di panico li ho lo stesso di notte, ma lasciamo stare» alzo le spalle
«E fai ancora sedute dallo psicologo?» Marshall mi guardare
«Ogni tanto, sai che ho sempre odiato i medici – sbuffo – Già devo prendere psicofarmaci immaginati se devo anche andare dagli strizzacervelli» passo un dito sulla cicatrice che ho sul braccio
«Però ti trovo decisamente meglio Effy» mi sorride
«Okay. Adesso cambiamo discorso vi prego» roteo gli occhi al cielo
«Perchè oggi durante il provino di Josh tu e lui continuavate a fissarvi?» mio padre e la sua schiettezza. Cosa che ho ereditato da lui.
«Josh Hutcherson? L'attore?» mia madre mi prende il braccio
«Sì lui mamma. E non è vero che ci fissavamo» guardo mio padre 
«Effy è vero. Vi siete già incontrati?» quando mai mi è venuto in mente di cenare?
«No» alzo le spalle
«Effy tesoro prima di avere un ragazzo dovresti stare meglio» ma perché mia madre si deve fare idee sbagliate?
«Mamma ma che cazzo spari? Non è che perché ci siamo fissati adesso ci sposeremo e avremo ottantacinque bambini» mi volto sconvolta
«Amanda, secondo me, indipendentemente che sia Josh o chiunque altro se si dovesse innamorare sarebbe solo un bene» mio padre mi sorride
«Secondo me invece voi siete troppo precipitosi. Non credo di essere in grado di reggere una relazione! Non con tutti i problemi che ho. E tu mamma – mi volto verso di lei - dovresti imparare a farti gli affari tuoi la maggior parte delle volte. Non è perché ho 19 anni e ho passato tutto quello che ho passato devi decidere tu per me» mi alzo da tavola e esco dalla sala da pranzo, lasciandoli lì da soli.










 

Buon pomeriggio Hutchers.
Sono qui con un'altra storia. Eh sì, la mia mente contorta ne ha elaborata un'altra ahhaha.
Per chi legge anche l'altra mia storia: tranquilli continuerò anche quella.
Ora mi dileguo, però spero di vedere i vostri pareri tramite recensioni.
Al prossimo capitolo,
peetarms.


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Capitolo 2
*** Attacco. ***


*Attenzione: i comportamenti dei personaggi descritti durante la narrazione della fan fiction non sono assolutamente da imitare: quello che fanno e pensano è spesso sbagliato. Con questo mio scritto pubblicato senza scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in qualche modo. La storia è solo frutto di pura fantasia.*






02.



7 Aprile 2016 ore 6.45AM.

Amo il mattino presto. 
Amo il fatto di poter uscire e trovare una cittadina silenziosa dove posso inspirare aria fresca e pulita mentre corro. A New York non era così.
Corro ancora per una decina di minuti fino ad arrivare alla prima panchina dentro al parco di Union. 
Guardo in alto mentre regolarizzo il respiro. Chiudo gli occhi e mi beo di questo silenzio che sogno da sempre.
Ho sempre pensato che la solitudine non esiste. Nel senso che non consiste nello stare soli, ma piuttosto nel non sapersi tenere compagnia. Chi non sa tenere compagnia a se stesso difficilmente la sa tenere ad altri. Quindi ecco spiegato perché si può essere soli in mezzo a mille persone ma anche perché ci si può trovare in compagnia di se stessi ed essere felici, per esempio ascoltando il silenzio. Ma il silenzio vero non esiste, come non esiste la vera solitudine. Basta abbandonarsi alle voci dell'Universo.
La riproduzione casuale del mio cellulare fa partire Live and Let Die dei Guns N'Roses.
Dopo aver fatto qualche minuto di stretching, ricomincio a correre percorrendo la via che mi condurrà a casa.


7 Aprile 2016 ore 7.21AM.

«Buongiorno signorina Jensen» Howard, il nostro giardiniere mi saluta mentre corro lungo il viale costeggiato da ciliegi in fiori
Alzo la mano in segno di saluto prima di salire a due a due gli scalini ancora correndo.
«Buongiorno tesoro» mia madre mi accoglie quando chiudo la porta d'ingresso
«Ciao» la saluto prima di passare il palmo della mano sulla mia fronte imperlata di sudore
«Fatto una buona corsa?» le solite domande senza senso di mia mamma 
«Sì – mi avvio verso il salotto dove trovo mio padre intento a leggere il giornale – Giorno pà» lo saluto con un bacio sulla guancia
«Giorno piccola» mi sorride
«Vado a fare una doccia così poi facciamo colazione» anche mia madre ci ha raggiunto in salotto. Esco dal salotto e mi avvio verso la rampa di scale che mi porta direttamente nel corridoio dove si trova la mia stanza.
Una volta dentro chiudo la porta a chiave e mi ci appoggio con la schiena. Faccio un respiro profondo dopo aver appoggiato la mano destra sopra al cuore. Dopo un paio di minuti quando il mio battito è tornato regolare mi spoglio lasciando i vestiti sudati a terra. Mi dirigo nel bagno di fianco alla cabina armadio, apro la manopola dell'acqua calda e una volta che l'acqua ha raggiunto la temperatura che desidero entro dentro.
Lavo i miei capelli castani scuro con lo shampoo al cocco per poi lasciarli in posa qualche minuto con il balsamo anch'esso al cocco, mentre mi lavo il corpo con il bagnoschiuma alle more.
Una volta eliminati i residui di sudore e di sapone dai miei capelli e dal mio esile corpo esco dalla doccia avvolgendomi in un accappatoio grigio scuro.
Apro il mobiletto per cercare il phon e poco dopo l'aria calda invade i miei capelli.
Qualche minuto dopo sono dentro alla mia cabina armadia mentro mi pettino i capelli con indosso solo l'intimo alla ricerca di qualcosa da indossare. Alla fine opto per un semplice paio di jeans neri e una felpa gigante grigia della mia vecchia università a New York. Lascio i miei capelli mossi ricadermi sulle spalle coperte dal tessuto della felpa. Mi avvio verso l'uscita della cabina armadio dove ho posizionato le mie scarpe. 
Il 90% composto da vans e converse, con qualche Nike qua e là e infine i tacchi che devo indossare per gli eventi dei miei genitori o che indossavo maggiormente nel periodo nero.
Afferro le mie fedeli vans neri ed esco dalla camera dopo aver recuperato il mio cellulare e le sigarette da sopra al letto.


7 Aprile ore 8.35AM

«Finalmente Effy – mia madre mi guarda sollevata mentre mi siedo al mio solito posto – Credevamo che ti fosse successo qualcosa, non tornavi» 
«Tranquilla sto bene – gli sorrido prima di alzarmi per prendere l'astuccio contenenti le mie medicine – Me la sono solo presa con comodo, se avevate fame potevate cominciare a mangiare» appoggio la pastiglia da 1 mg di Xanax di colore azzurrino di fianco alla tazza del caffè, dopo di che lo raggiunge anche quella dorata di Paroxetina
«Sai che facciamo colazione tutti insieme quando siamo tutti a casa» mio padre mi sorride passandomi il cesto con il pane tostato
«Già» prendo una fetta di pane e ci metto sopra la confettura di ciliegia
«Oggi hai qualcosa da fare?» dopo qualche minuto di silenzio mio padre riprende la parola
«Oggi esco con tuo nipote» prendo il telefono visto che sta vibrando.
Chiamata in arrivo da Tommy.
«Buondì nobile cugina» scherza mio cugino appena accetto la chiamata
«Buondì oh cugino idiota» rispondo dopo aver finito di mangiare la mia fetta di pane e marmellata
«Per che ora ti vengo a prendere?» mi chiede dopo aver smesso di ridere
«Voglio uscire in moto – puntualizzo – Quindi o vieni con la tua moto e andiamo là insieme o mi dai l'indirizzo e mi arrangio da sola» 
«Dieci minuti e sono lì» chiude la chiamata
Alzo le spalle per poi appoggiare il telefono di fianco alla tovaglietta della colazione.
«Mamma mi passi le zollette?» gli indico il piattino di fianco a lei
«Tieni – mi allunga il piatto da dove prendo due zollette – Dove andate tu e Tom oggi?»
«Mi vuole presentare i suoi amici» dico prima di appoggiare sulla lingua le due pastiglie e mandarle giù con il caffè
«Mi sembra una cosa bella» mi sorride mio padre mentre io faccio una smorfia 
«Che c'è Effy?» mia madre sospira
«Sono stanca di questi psicofarmaci» li guardo
«Lo sappiamo tesoro» mia madre mi sorride comprensiva
«No, non lo sai. Tu non li prendi» la fisso
«Ne parleremo alla prossima seduta va bene?» mio padre si intromette per evitare una discussione
«Okay. Vado che Tom sarà qui a momenti. Ci vediamo dopo» lascio un bacio ad entrambi sulla guancia dopo aver preso cellulare e sigarette da sopra al tavolo ed averle messe nella tasca della felpa.
Esco dalla porta di ingresso, scendo lentamente le scale e mi avvio verso la mia moto parcheggiata in garage.
Indosso il casco dopo essere salita, accendo il motore ed esco andando a velocità ridotta per il vialetto.
«Esce signorina Jensen?» mi volto e trovo Robert, il figlio di Howard
«Sì – sorrido – Con mio cugino» lo guardo
«Me lo saluti. Eravamo in classe insieme al liceo» mi sorride prima di tornare ad aiutare il padre. Da lontano vedo arrivare la moto di Tommy.
«Comunque dammi del tu, se non mi sento vecchia» rido prima di raggiungere mio cugino in strada.


7 Aprile 2016 ore 9.13AM

«Così continuerai a studiare ingegneria meccanica?» Tom mi osserva mentre accendo una sigaretta
«Esattamente, ultimo anno» sorrido
«Hai fatto tutto in poco tempo – mi guarda – Hai avuto una passione esagerata per quelle cose sin da piccola» sorride
«Cosa ci posso fare, mi ha sempre attratto. Poi sai che non sono quel tipo di ragazza che aspira a fare la segretaria in uno studio per poi provare a portarsi a letto il capo» faccio un tiro
«Lo so bene – annuisce – Mi ricordo quell'anno in cui siamo andati al Walt Disney World o come diavolo si chiama ad Orlando quando avevamo all'incirca 10 anni – sorride leggermente – Dopo essere scesa dalle montagne russe hai affermato che volevi fare quello nella tua vita»
«Sì – allungo la gamba sopra le sue cosce – Ho pensato tutto il tempo come poteva essere possibile una cosa del genere» faccio l'ennesimo tiro
«Mentre Freddie ti diceva di goderti il giro tu blateravi cose che hai letto sui libri di fisica» ride scuotendo la testa
Gli tiro un pugno sulla spalla «Volevi una cugina che appena si scheggiava lo smalto si metteva a fare una scenata isterica?» lo sfido
«No. Mi vai benissimo tu – mi abbraccia – Mi va benissimo la mia pazza Elizabeth» mi lascia un bacio tra i capelli mentre io guardo la moto che sta passando.
Una Harley Davidson. Mi mordo il labbro inferiore per non sorridere mentre il proprietario della moto mi saluta con un cenno della mano.
«Lo conosci?» poggia una mano sulla mia spalla
«Diciamo di sì» affermo sottovoce prima di ritrovarmi sulla spalla di Tom diretta a conoscere i suoi amici.


7 Aprile 2016 ore 9.56AM

«Così tu sei la sua ragazza» squadro la bambola rifatta che ho di fronte.
Capelli biondi tinti, occhi verdi, corporatura perfetta. Indossa un vestitino rosa e un paio di tacchi neri lucidi.
«Sì e tu sei sua cugina» mi squadra anche lei.
Capelli castani mossi, occhi azzurri-grigi, corporatura esile. Indosso un paio di jeans neri e la felpa del college, con ai piedi un paio di vans nere.
«Esattamente. Elizabeth Jensen – allungo la mano – Ma credo che saprai benissimo chi sono» gli sorrido sorniona
«Sì, ne ho sentito parlare» mi squadra ancora una volta
«Vi siete presentate – Tom ci raggiunge e abbraccia entrambe – Spero che andrete d'accordo» guarda prima me e poi la sua ragazza
«Ma certo tesoro – risponde falsamente – Io e Effy andiamo già d'amore e d'accordo» altro sorriso falso
Tom si gira sorpreso verso di me «Ascolta Tom, lo sai che sono una che dice le cose come stanno – incrocio le braccia al petto – Non so che carattere lei abbia o come si comporti quando ha conosciuto meglio l'altra persona ma a me non sta bene. Mi squadra da quando siamo arrivati – la fisso – Crede perché sia figlia di una modella e di un attore di fama mondiale debba vestirmi firmata tutti i giorni. Ma tu sai benissimo che io sono una ragazza che si veste semplicemente – sospiro – Quindi mi dispiace Debora, ma io e te non andremo d'accordo. Sei partita con il piede sbagliato e difficilmente potrai recuperare. Soprattutto se ti comporti da ragazzina viziata e altezzosa» mi lascio cadere nella panchina del parco in cui ci troviamo
«Sai Effy – comincia mio cugino guardandomi – Lei non sarà perfetta. Ma neanche tu lo sei. Dici che non deve squadrarti ma lo stai facendo anche tu no? Devi piantarla di stare sulla difensiva. Non sei l'unica persona che ha sofferto nella vita, non sei l'unica persona che ha perso una persona importante. Devi piantarla di fare la parte della forte anche se non lo sei. Lascia cadere quelle pareti che ti sei costruita e sii più vulnerabile. L'Elizabeth acida e scontrosa non piace a nessuno, rimarrai da sola se continuerai a comportarti così» mi urla contra
Il panico mi assale. Raccolgo le forze che mi sono rimaste e mi alzo dalla panchina mentre mi infilo il casco. Cammino fino alla panchina ancora facendo fatica a respirare, anche colpa del casco. Salgo sulla moto e me ne vado. Lontana da mio cugino e dalle sue parole. La vista comincia a diventare offuscata come se tanti pallini neri si divertissero ad impedirmi di vedere perfettamente. 
Tra tutti i pensieri che invadono la mia mente in questa momento mi viene in mente quando lo psicologo mi ha fatto descrivere me stessa con un parola.
Avevo immediatamente detto disastro ma lui me l'ha fatta cambiare. Le parole non potevano essere: disastro, nullità, delusione, schifo.
Inaspettata ho detto dopo qualche minuto di silenzio.
Non c'era altra parola per descrivermi: sia nella buona che nella cattiva sorte. Sono qualcosa di non previsto, qualcosa di così sicuro ma al contempo così incerto. Un qualcosa che non c'è mai ma che in realtà c’è sempre.
Inaspettata come qualcosa che compare nella tua vita all’improvviso, che magari è sempre stata lì ma a cui tu non l'hai mai notata; perché era sempre così, con me. Credevo che nessuno mi notasse prima di cadere nel buco nero della mia vita. Era come se passassi veloce nella mente delle persone senza mai rimanerci a lungo, come se sgattaiolassi nei loro sogni o saltellassi tra i loro pensieri. Ero qualcosa che c’era, ma che non era fondamentale: qualcosa di cui la presenza era scontata, e la cui assenza era sì sentita, ma non come avevo bisogno io.
Ciò che mancava alle persone di me, credo, era il mio semplice essere lì come la semplice e brava ragazza che ero. A dire qualche parola ogni tanto che non veniva mai realmente ascoltata; qualcosa di marginale, che ha poco valore, di cui tutti hanno bisogno ma da cui nessuno dipende. 
Un’abitudine, quasi.
Avevo sentito dire che le abitudini ci mancano solo quando esse vengono a mancare, si sentono solo quando se le si scrolla di dosso: molte notti non riuscivo a dormire pensando a questo, pensando a cosa avrebbe comportato la mia assenza.
Magari, se me ne fossi andata, le persone avrebbero capito quanto fossi importante. Ma sarebbe stato comunque troppo tardi.
Per le persone, una volta che te ne vai, non puoi più tornare. Non come prima. Ed è stato quello che ho fatto, me ne sono andata per poi tornare in peggio.
Spengo il motore della moto quando sono giunta sul vialetto di casa. Mi lascio cadere sulla ghiaia. Un senso di impotenza, terrore, devastazione, ma soprattutto di vuoto mi aspetta da affrontare. Cavo il casco mentre le lacrime di rabbia scorrono lungo le mie guance. Lancio il casco contro il garage urlando con tutta la rabbia che ho in corpo.
Sono come un treno in discesa coi freni rotti. Senza via di scampo. Tutte le frasi che ho sentito dagli psicologi e dai miei genitori non erano vere. 
Tutte le loro parole di conforto e la speranza che un giorno sarei stata meglio erano false.
Se no non sarei qui in preda ad un attacco di panico mentre urlo come una pazza per cercare di fermare le voci dentro alla mia testa. Per cercare di riempire il vuoto che ho dentro.
Due possenti braccia mi bloccano. Non sento neanche quello che dice, vedo sempre più nero.
Pian piano smetto di urlare così posso sentire da chi proviene la voce.
«Stai calma Effy, calma» non riconosco la voce, cioè l'ho già sentita ma non so collegarla a chi
«Chi sei?» ansimo con la poca voce che mi rimane
«Effy ora chiamo tuo padre okay, tu stai tranquilla qui» sento la mia schiena a contatto con l'umida ghiaia del vialetto
«No – cerco di urlare – Non mi lasciare» comincio a tremare
Sento i passi più vicini a me. Poco dopo sono di nuovo a contatto con un corpo caldo.
«Effy che ti prende? Che ti sta succedendo?» mi accarezza i capelli mentre io continuo a tremare. Non rispondo. Non ho la forza. Il peso del dolore ha vinto anche questa volta.
«Ora ti prendo in braccio ed entriamo dentro va bene?» non controbatto, non rispondo, non faccio nulla.
Mi sento solo sollevare, appoggio la fronte contro la sua spalla mentre sale le scale.
«Josh che cosa gli è successo?» la voce sconvolta e preoccupata di mio padre mi arriva come una doccia fredda, cerco di aprire gli occhi ma inutilmente
«Jeremy non lo so. Quando stavo per rientrare l'ho trovata ad urlare e piangere come una pazza sul vialetto. Non sapevo cosa fare» Josh mi appoggia su un qualcosa di comodo, sicuramente il divano.
«Josh per favore, vai in cucina da mia moglie e fatti dare il Rescue Remedy dei fiori di Bach, veloce» non sentivo mio padre così preoccupato da tantissimo tempo.
Dopo qualche minuto sento mio padre aprirmi la bocca e cinque gocce cadono sopra la mia lingua.
«Ora si riprende» lo dice sicuramente rivolto a Josh
«Jeremy che cos'ha Effy?» anche la voce di Josh è preoccupata
«Non te lo posso dire io» riesco ad aprire gli occhi ed anche a vedere decisamente meglio «Te lo dirà lei se gli sembrerà il caso» mi passa una mano sulla guancia mentre io mi sento un po' meglio.
Dopo una decina di minuti sono seduta sul divano con la gola in fiamma a causa degli urli con stretta tra le mani una tazza bollente di thè.
«Effy che cos'è successo?» Josh anticipa mio padre
«Nulla» evito il suo sguardo. L'ultima persona che avrei voluto che mi vedesse così era lui.
«So che non ci conosciamo per niente, ma vederti così è stato orribile» so per certo che cerca il mio sguardo
«Visto che passeremo decisamente più tempo insieme visto che mio padre ti ha preso per il suo film – comincio con la voce rauca e graffiata che mi ritrovo in questo momento mentre guardo mio padre che annuisce – Era un attacco di panico»
«Soffri anche di attacchi d'ansia?» mi guarda comprensivo
«Sì» sospiro
«La causa dell'attacco di panico» questa volta è mio padre a parlare
«Sarà stato sicuramente il ragazzo con cui l'ho vista mentre venivo da lei» Josh mi anticipa 
Ma a questo ragazzo gli piace anticipare le persone?
«Tom? Non credo che suo cugino l'avrebbe fatta stare male – mi guarda in cerca di una risposta – Sa che soffre di queste cose»
«In realtà ha ragione Josh – porto una mano alla gola – Abbiamo avuto una discussione»
«Per cosa?»
«La sua altezzosa ragazza» stringo un cuscino al petto
«Così ti ha urlato contro cosa?» mi chiede ancora
«Solo la verità» sussurro
«La verità è come il collirio, brucia un po’, ma ti farà vedere meglio» mi ricorda mio padre
«In questo caso gli ha scatenato un attacco di panico, credo che come verità l'abbia colpita profondamente» mi guarda e io ricambio lo sguardo
«L'importante ora è che stia meglio mia figlia – mio padre guarda Josh – Vado a tranquillizzare tua madre» si alza e mi lascia un bacio sulla fronte
Annuisco e lo guardo uscire dal salotto dopo essersi raccomandato con Josh.
«Scusa» mi volto verso di lui
«Non ti devi scusare – mi sorride – Non è colpa tua» appoggia una mano sulla mia coscia
«In un certo senso sì» sussurro
«In che senso?» mi guarda
«Lasciamo stare. É troppo complicato da spiegare» lo guardo
«Mi piacciono le cose complicate» si siede di fianco a me
«Io sono più che complicata» rido poco
«Ho notato. Sei una bella sfida» ride anche lui
«Hai notato cosa?» inclino di poco la testa e lo guardo
«É il dramma delle persone forti» mi accarezza una guancia 
«Ma di che stai parlando Josh?» gli blocco la mano e lo fisso attentamente negli occhi
«É il dramma delle persone forti accollarsi il dolore degli altri. Fare finta che tutto vada per il meglio, tenersi tutto dentro fino a scoppiare. Fino a soffrire nella maniera in cui stai facendo tu» 
«Non è vero» mento spudoratamente
«Avanti andiamo, ho visto i tuoi occhi Effy, sono pieni di dolore, un dolore che ti perseguita ogni giorno della tua vita» insiste Josh
«Hai ragione – affermo dopo un po' – Non so come hai fatto ma hai ragione» socchiudo gli occhi
«Bene, per festeggiare che ho indovinato ti va se questa sera usciamo a fare una passeggiata? Ho sentito dire che l'aria fresca della sera è miracolosa, soprattutto quella del Kentucky» mi sorride divertito
«Ci devo pensare» lo guardo
«E perché mai?» ride
«Uscire con una famosa star di Hollywood per una passeggiata, chi sa che cosa mi aspetta» scherzo mentre ci alziamo entrambi dal divano
«Facciamo che ti aspetto nella prima panchina del parco di Union alle 9pm» si appoggia allo stipite della porta d'ingresso
«E chi lo sa se verrò» lo guardo
«Io sono convinto che verrai» si avvicina di più a me
Sento le sue labbra morbide posarsi sulla mia pallida e fredda guancia.
«Lo scopriremo Hutcherson» dico mentre scende la scalinata 
«Allora ci vediamo questa sera così posso scoprire di più sulla ragazza complicata» si infila il casco dopo avermi sorriso
Lo vedo uscire dal vialetto mentre io rimango mi siedo sui gradini della scala. Prendo una sigaretta dal pacchetto che ho in tasca assieme all'accendino. 
Non credo Hutcherson affermo spegnendo la sigaretta dopo un paio di minuti con la punta delle mie vans.





















 

BUON POMERIGGIO GENTE.
QUESTO CAPITOLO É PIÚ CORTO RISPETTO ALL'ALTRO MA É DECISAMENTE PESANTE: VISTO CHE EFFY HA AVUTO UNO DEI SUOI ATTACCHI, ED ABBIAMO ANCHE SCOPERTO QUALCOSA IN PIU DEL SUO PASSATO.
BEH, RINGRAZIO LE DIECI MERAVIGLIOSE PERSONE CHE L'HANNO RECENSITA E ANCHE LE ALTRE MERAVIGLIOSE PERSONE CHE L'HANNO MESSA TRA LE PREFERITE E RICORDATE, MA ANCHE I LETTORI SILENZIOSI, I QUALI SPERO CHE PRIMA O POI MI LASCINO UNA RECENSIONE.
AL PROSSIMO CAPITOLO ALLORA,
PEETARMS.

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Capitolo 3
*** Lettera. ***


*Attenzione: i comportamenti dei personaggi descritti durante la narrazione della fan fiction non sono assolutamente da imitare: quello che fanno e pensano è spesso sbagliato. Con questo mio scritto pubblicato senza scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in qualche modo. La storia è solo frutto di pura fantasia.*






03.


10 Aprile 2016 ore 4.02 AM.

Stringo la sigaretta tra le dita mentre rileggo per la decima volta la lettera che ho in mano.

 
A te sorellina che stai leggendo prova ad ascoltarmi. Un momento, mica chiedo di più.
Credi che io ti stia per dire una cosa uguale a tante altre vero? Bene, perchè lo farò. Te le voglio dire come te le direbbe il tuo fratellone, che guarda caso sono io.
Sei triste, ora? Mi auguro di no. Se non lo sei: chiudi questo foglio, apri quella porta e vivi la tua vita.
Se lo sei: leggimi.
Guardi questa lettera con occhi asciutti, o stai piangendo?
Non ti vergognare di piangere, se ne hai bisogno. Non sai quanto mi piacerebbe esser fatto di carta, solo per bagnarmi delle tue lacrime: piangere su un foglio bianco è come scrivere delle emozioni più forti. Invece, mi accontento di essere ciò che sono, sapendo che foglio non sarò mai.
Spesso va così, non trovi? Voglio dire: spesso bisogna accontentarsi di ciò che si è.
Credi che tu non sia abbastanza non è vero? Ma chi lo dice, poi, che tu non sia abbastanza?
Oppure credi che tu non sia bella? Ma chi lo dice? Il tuo specchio, magari. Che poi, gli specchi mica parlano. O pensano. Affidarsi ad un oggetto? Non si può di certo.
Affidati piuttosto agli occhi di chi ti ama, i quali ti vedranno sempre bella. Ti vedranno come realmente sei. Chiedi a mamma o a papà, per loro sei sempre stata il loro fiore e lo sarai sempre. Chiedi ai tuoi amici o a chi vuoi tu. Insomma, chiudi un attimo i tuoi occhi e apri quelle delle persone che ti stanno accanto.
Provaci.
Ti vedi? Mio dio, sei bellissima. Lo giuro, e non lo dico perché sono tuo fratello.
Parlerei per ore riguardo i tuoi occhi o del tuo sorriso. Sono dettagli mi dicevi tu. Ma ho sempre pensato che bisogna innamorarsi dei dettagli. Sono quelli che rendono uniche le persone. Anche tu sei unica.
Ma il tuoi dettagli - quelle labbra, quel sorriso, quelle mani, quel tatuaggio, quel pensiero, quella cicatrice, quel modo di impugnare la penna, quell’unghia morsicchiata, quel tuo gesticolare - ti rende irripetibile.
Lo sai che cosa è successo a ciò che è stato irripetibile Effy? É stato ricordato e tramandato. E amato terribilmente. Ed è arrivato a te. Come tu arriverai agli altri, ne sono sicuro.
Davvero vorresti perdere questa occasione? Certe volte vorresti solo farla finita, io lo so, se no non sarei un buon fratello.
Sentivo i tuoi pianti in camera, i tuoi gridi soffocati. Il tuo sgattaiolare nella mia camera in piena notte per dormire con me per starmi vicino.
Ma ora pensa, ti prego: il presente, che cos’è poi? Un momento così flebile e breve da non esistere perlopiù. Questa frase è già passata, nel momento in cui la scrivo. E ciò che penso è già futuro. Il presente dov’è? Si trova in mezzo, questo è certo, fin dalle elementari te lo hanno insegnato, ma pende tremendamente tra passato e futuro e ne è pienamente influenzato; però non influenza.
Mi correggo: influenza, sì. Perché se nel presente ti metti una coperta, nel futuro starai al caldo.
Ma ciò che voglio realmente dire è che, ciò che vivi nel tuo presente, non per forza perdurerà nel tuo futuro.
Nessuno può decidere, tranne te; tu puoi decidere come essere domani. E quel che, invece, posso fare io da bravo fratello è dirti di decidere di essere come davvero vuoi essere.
Vuoi essere felice, domani? Ma certo che lo vuoi. E allora tirati su. No, non tutto in una volta Effy. Sarebbe impossibile per chiunque. Ma domani fai un passo in più. Tira su una spalla, magari. O una mano. Così poi qualcuno te la stringe forte, e ti aiuta a tirarti su più velocemente.
E se questa mano mai arrivasse, dunque che dovrebbe importare? Dovrai essere in grado di alzarti da sola.
E ce la farai: gli umani sono nati per reggersi in piedi.
E se oggi non ti ami, prova ad innamorarti domani.
Ma non pensare più che sia la fine, capito? Non pensarlo più.
Perché la fine arriva solo per chi non ha possibilità. E invece tu ne hai, ne hai tante Effy.
Non mi credi?
Dunque, vorresti davvero dirmi che, se non ti ami, allora non può amarti nessun altro?
Datti tempo.
L’amore è un po’ lento, sai. Non ha ancora trovato benzina per la macchina, quindi si muove a piedi. 
Quindi bisogna aspettarlo. Bisogna aspettarlo e un po’ soffrirlo, ecco. Perché tutte le cose belle nascono da cose brutte. Che poi non sono brutte. Sono solo meno belle di quelle che anticipano.
E il tuo sorriso, vorresti davvero tenerlo sempre al buio? Eppure sei così bella quando sorridi. Forse per sbaglio o per poco, chi lo sa. Però succede; ed è il giorno che aspetto con più gioia da quassù. La cosa bella è che non sono l’unico a farlo, ne sono sicuro. C’è qualcuno, lontano dai tuoi occhi ma così vicino al tuo cuore, che aspetta insieme a me. Perché l’amore sta arrivando, te l’ho detto. Ti prego di guardare ciò che hai intorno, un giorno. Domani sarebbe perfetto. Abbiamo parlato così tanto del domani, tanto da renderlo il giorno perfetto per iniziare non è vero? Così magari stasera ti addormenti un po’ più serena, sapendo che domani sarà meglio. Ti affido un compito Effy, prima di segnarmi con le ultime parole: vivi.
E, quando ti sembra finita torna a questa lettera scritta dal tuo fratellone, usami.
Bagnami con le tue lacrime.
Rovinami.
Stropicciami.
Uccidimi, piuttosto che uccidere te stessa. 
Okay sorellina? Ti amo tanto e non voglio che ti accada nulla, questa è l'unica cosa che può rimanerti di me.
Con amore sincero,
Freddie.

Le lacrime scorrono sulle mie guancie troppo velocemente. Mi tiro su dagli scalini e ripiego la lettera riponendola nella tasca dei jeans. Spengo il mozzicone ormai finito e lo getto nel bidone appena rientro in casa. Una volta asciugata le lacrime salgo le scale e poco dopo sono stesa sul letto di camera mia, mentre guardo una foto mia e di mio fratello con un grandissimo vuoto nel petto.


10 Aprile 2016 ore 9.13AM

«Effy» la voce di mio padre mi strappa dal mondo dei sogni. Mugugno qualcosa per fargli capire che sono sveglia «Oggi io e tua madre andiamo a fare una gita con i tuoi zii vuoi venire?» spalanco subito gli occhi
«No» sibilo
«Non ci sarà Tom» mi toglie dalle mani la foto
«Sono stanca. Rimarrò a letto» lo guardo
«Ieri sera sei andata a fare un giro in moto?» mi accarezza la guancia in modo premuroso
«No, ho letto fino a tardi» sbadiglio
«Okay – si alza dal letto – Se dovessi stare male o per qualsiasi cosa chiama senza esitare, va bene Effy?» mi guarda serio
«Stai tranquillo papà, saluta mamma e passate una buona giornata; ci vediamo stasera» gli sorrido prima di seppellire la testa di nuovo sotto le coperte intenta a recuperare un po' di sonno.


10 Aprile 2016 ore 1.23PM

Scendo le scale ancora assonnata mentre mi stropiccio l'occhio destro.
«Effy ben svegliata» mi accoglie sorridendo Marshall appena entro in salotto
«Giorno» mugugno tentando di nascondere uno sbadiglio
«Ti va di andare a mangiare fuori?» mi sorridendo
«Non hai ancora pranzato?» mi siedo di fianco a lui
«No. Sono stato impegnato fino a dieci minuti fa ad organizzare il provino finale per il film di tuo papà con coloro che hanno ottenuto un voto da 7 a 10» mi spiegare
«Accetto solo se usciamo in moto» gli sorrido leggermente
«Vuol dire che tuo papà mi presterà la sua moto» ride mentre mi scocca un bacio sulla guancia
«Allora dammi dieci minuti che mi cambio» esclamo prima di risalire le scale percorse pochi minuti prima.
Indosso un semplice paio di jeans chiari strappati sul ginocchio sinistro e una felpa monocolore nera, lego i capelli in una coda alta e copro le occhiaie con il correttore, almeno ci provo.
Recupero da sopra la mia scrivania il casco, le chiavi: sia di casa sia quelle della moto e il portafoglio. Infilo tutto insieme al cellulare nella borsa che mia mamma mi ha comprato durante una sfilata ad Amsterdam.
Scendo di nuovo le scale tenendo il casco nel braccio sinistro mentre la borsa sulla spalla destra.
«Eccomi» sorrido a Marshall mentre infilo il giubbotto di fronte alla porta d'ingresso
«Andiamo allora» indossa anche lui il suo giubbotto mentre io esco di casa andando scontrandomi con qualcuno.
«Ma dobbiamo incontrarci in questo modo?» la risata di Josh mi fa sorridere leggermente
«A quanto pare sì» incrocio le braccia al petto
«Dove stai andando?» mi chiede sorridendo
«A pranzo con me» Marshall arriva in mio aiuto
«Ciao Marshall» gli sorride Josh mentre i due danno vita ad una sorta di stretta di mano amichevole
«Che ci fai qui?» gli chiede poco dopo il migliore amico di mio padre
«Dovevo parlare con Effy, ma se dovete pranzare sarà per un'altra volta» sento il suo sguardo su di me mentre io fisso le punte delle mie converse nere borchiate
«Allora vieni a pranzo con noi, ovviamente se non hai già pranzato. Effy?» 
«Ehm.. Cosa?» lo guardo
«Terra chiama Elizabeth ci sei?» ride Marshall
«Scusa ero sovrappensiero, comunque sì, non c'è problema visto che mi deve parlare» questa volta fisso io Josh
«Okay, allora deciso. Josh preferenze?» lo guarda una volta arrivati di fronte al garage
«Vi va cinese? É da tanto che non lo mangio» sorride. 
«Una delle cucine preferite di Effy» Marshall mi guarda 
«Okay allora andiamo» indosso il casco dopo aver messo in moto la mia moto.


10 Aprile ore 1.53PM

«Perchè non sei venuta l'altra sera?» Josh mi trattiene per il braccio mentre camminiamo verso il ristorante
«Non stavo bene» mento
«Effy» mi guarda serio
«Non sto mentendo, sul serio Josh. Non mi sentivo bene, sai dopo un'attacco di panico non avevo forze per uscire» evito il contatto visivo con lui
«Okay» cava la mano dal braccio così da permettermi di raggiungere Marshall
Poco dopo siamo seduti in un tavolo per tre all'interno del ristorante cinese di Union «Vado in bagno – esclamo dopo aver sopportato abbastanza lo sguardo di Josh su di me – Marshall ordina anche per me, sai che cosa preferisco» mi alzo andando in direzione del bagno, liberandomi così dello sguardo di Josh.

POV Josh Hutcherson.

«Ehi Josh tutto bene?» mi richiama Marshall mentre mantengo lo sguardo fisso sul corridoio che ha portato via Effy dalla mia visuale
«Sì – mento – Tutto bene, tu invece?» prendo tra le mani il bicchiere 
«Tutto perfetto, grazie. Comunque Jeremy mi ha raccontanto che hai trovato tu Effy in preda ad un attacco di panico» mi guarda mentre io bevo un sorso d'acqua
«Sì, non ne ho mai visto uno, e per fortuna – lo guardo – Non è stato bello vedere Effy in quello stato»
«Effy è decisamente molto complicata» sorride leggermente
«Sì, ho notato – appoggio il bicchiere sul tavolo – Quella ragazza è tempesta. Tuoni. Freddo. Nuvole grigie. Tristezza. Sangue ghiacciato nelle vene. É debole, anzi, è fragile, ma al contempo è forte come un uragano» lascio scivolare le parole fuori dalla mia bocca mentre la vedo tornare
«Sì, l'hai descritta alla perfezione Josh» Marshall appoggia una mano sulla mia spalla mentre io guardo attentamente Effy.
Passiamo l'ora successiva a mangiare cinese mentre cerco di cavare dalla bocca la vera motivazione per cui Effy non è venuta l'altra sera, cosa inutile perchè evita di rispondermi ponendo altre domande.
«Devi tornare a casa?» la guardo finire il suo gelato fritto mentre Marshall è andato a pagare il pranzo
«I miei non sono a casa quindi ho libertà di scelta più del solito» alza le spalle mentre si porta il cucchiaino alla bocca
«Allora che ne dici di fare una passeggiata? Visto che l'altra sera mi hai dato buca» gli sorrido appena finisco di bere il contenuto del mio bicchiere
«Non mi va di passeggiare» asserisce dopo qualche attimo
«Effy ma perché mi respingi?» sospiro guardandola
«Non mi hai fatto finire Josh – mi guarda – Ho detto che non mi va di passeggiare»
«Ho capito, lasciamo stare» sposto lo sguardo verso la cassa
«E mi hai interrotto di nuovo – sorride leggermente – Ho detto che non mi va di passeggiare, ma un giro in moto lo farei più che volentieri» lo dice tutto d'un fiato.
Il sorriso mi compare in volto.
«Scusami per averti interrotto allora» gli sorrido
«Tranquillo» finisce il suo dolce
«Eccomi – arriva Marshall – Effy torni a casa ora?» la guarda
«No – sorrido – Viene a fare un giro in moto con il sottoscritto» mi alzo indossando il mio giubbotto nero
«Esatto, poi tranquillo torno a casa» si alza e gli scocca un bacio sulla guancia prima di infilarsi anche lei il giubbotto
«Okay, ma se fai tardi chiama tuo padre così se dovesso tornare a casa prima di te non si preoccupano e non mi chiama in preda al panico» l'abbraccia forte
«Stai tranquillo Marsh, andrà tutto bene. Massimo sapete a chi dare la colpa» mi indica ridendo
«Ma che premurosa» esclamo sarcastico
«Abituati Josh, lei è così» gli lascia un'ultimo bacio prima che tutti e tre usciamo dal ristorante cinese, salendo ognuno sulla propria moto.
Marshall va in direzione casa Jensen mentre io e Effy ci dirigiamo a nord verso i monti Appalachi.












 
 

BUONDI' HUTCHERS, COME VI VA LA VITA?
QUESTO CAPITOLO E' UN PO' IMPORTANTE PERCHE' C'E' LA LETTERA CHE FREDDIE HA LASCIATO A EFFY, PIU' AVANTI SCOPRIRETE MEGLIO CHE COSA E' SUCCESSO.
ASPETTO LE VOSTRE MERAVIGLIOSE RECENSIONI, RINGRAZIO CHIUNQUE LEGGA QUESTA STORIA E ANCHE L'ALTRA.
AL PROSSIMO CAPITOLO ALLORA,
PEETARMS.

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Capitolo 4
*** Litigi. ***


*Attenzione: i comportamenti dei personaggi descritti durante la narrazione della fan fiction non sono assolutamente da imitare: quello che fanno e pensano è spesso sbagliato. Con questo mio scritto pubblicato senza scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in qualche modo. La storia è solo frutto di pura fantasia.*




04.



12 Aprile 2016 ore 4.54pm.

Sono stesa sul letto a leggere il libro preferito di Freddie quando mia nonna entra. In questi ultimi giorni è stata a casa con me per assicurarsi che prenda le medicine e che io stia bene. Mia madre è a New York, mentre mio papà sarà di ritorno questa sera da Los Angeles.
«Effy, perchè non vieni a stare un po’ di là con me?» mi propone sorridendo
Non rispondo, ritorno con lo sguardo sulle pagine del libro per prepararmi alla sua ramanzina.
«Cosa credi, che leggendo e guardando serie tv tu risolva i tuoi problemi? Che quello che fai riesca a distruggere il mattone che hai dentro? Perchè non ne parli con me? Perchè non mi urli contro la tua rabbia? Una volta avevo una nipote che da piccola veniva da me, si sfogava e io le davo consigli. Dov’è finita ora quella ragazza? Devi parlarne con qualcuno, se no non ne esci, non riuscirai mai ad essere felice» ha la voce spezzata, prossima al pianto.
Non rispondo ancora, tengo lo sguardo sul libro e aumento la presa.
«Mi fa male vederti così, perchè non parli? Perchè ci odi così tanto? Cosa ti abbiamo fatto?» sento il suo sguardo fisso su di me
«Cosa vuoi che dica nonna? Lo hanno capito tutti quanti che non sto bene visto che mi riempono di medicine per provare a farmi stare meglio. Ma nessuno può aiutarmi e io mi sono stancata di spiegare quello che sento a persone che non capiscono o che non ascoltano – alzo lo sguardo dal libro -  Tu dici che è da stupidi perdersi nei libri invece che uscire con gli amici, ma tu non sai che i miei ‘stupidi libri’ c’erano quando tutti i miei amici mi hanno lasciato sola quando Freddie si è ammalato. Tu non sai cosa vuol dire essere soli, essere rifiutati, sentirsi sempre giudicata perché sei figlia di due persone famose. Cosa dovrei urlarti? Che faccio finta di stare meglio per non far preoccupare mamma e papà? Che non penso a Freddie ogni secondo della mia giornata? Che ancora oggi faccio fatica ad addormentarmi perchè ho in mente le urla e i pianti di mamma dopo la morte di Freddie? Che sono dovuta crescere in fretta? Ma tu non sai niente? Non sai quello che ho passato ma soprattutto non sai come sto in questo momento» riprendo fiato mentre mantengo lo sguardo su di lei «Dov’eri quando avevamo bisogno di te? Quando tuo figlio aveva bisogno di sua madre. Quando ormai le speranze erano svanite? Dove cazzo eri eh? Dov’eri quando mi chiudevo in camera a piangere perchè non sapevo quanto tempo mi rimaneva da passare con mio fratello? Quando cercavo di soffocare i singhiozzi e cercavo di farmi forza, tu dov’eri? Sai cosa mi fa davvero arrabbiare?  Non hai mai capito i miei occhi, i miei: “sto bene”, “non ho fame” e quei dannati sorrisi finti. E ora mi viene a dire che tu stai male? Tu? Io convivo con il dolore. Io sono il dolore.» la fisso con un'espressione fredda, distante «Ti sei mai chiesta perchè preferisco stare a casa piuttosto che uscire a conoscere nuove persone? Ma soprattutto, che cosa faccio a casa quando sono da sola? Piango. Urlo. Mi distruggo. Non mangio. Tanto nessuno mi vede, basta che dico che ho mangiato qualcosa e loro manco se ne accorgono. Tu dici che avevi una nipotina che sorrideva sempre, che rideva, che era felice – faccio una pausa – Mi dispiace dirti questo nonna: quella nipotina è cresciuta, ed ha fatto i conti con la realtà, con il mondo, con la società. Ha capito che le persone che fanno del male possono essere quelle a cui tiene di più, e non più l’uomo nero. Ha capito che l’amore non è come nelle favole, che il più delle volte il principe azzurro ti dice cattiverie e ti abbandona. Ha capito che non basta più giocare con gli altri bambini per essere “amici”, ma che quest’ultimi vorranno sempre di più e la maggior parte delle volte ti fanno stare più male che bene. Tu non puoi nemmeno immaginare cosa mi tengo dentro. Non sai quanti pianti, urla, ricordi, emozioni represse conservo. Non sai quanto l’odio per me stessa mi stia consumando. Non sai quanto vorrei davvero dirti queste cose come facevo un tempo, ma non ci riesco nonna. Perchè non ci riesco? Perchè non riesco ad aprire bocca e sfogarmi invece che stare qui a piangermi addosso? Cos’ho che non va? Cosa mi sta succedendo? Perchè sono così?» riprendo a leggere, non la guardo negli occhi non ne avrei il coraggio 
«Ricordati che non starai mai bene così. Devi farti aiutare. E non è digiunando o stare da sola che troverai la soluzione» la sento parlare dopo minuti di silenzio.
Esce dalla stanza chiudendo la porta. Sono di nuovo sola. Sola con i miei pensieri e i miei mostri, ma consapevole che questa volta mi divoreranno senza problemi.
Perchè la verità è, nonna, che la tua piccola nipotina non vuole più combattere. Non senza qualcuno accanto.
Mi sto lasciando andare, mi sto gretolando. Me ne sto andando e nessuno mi tende la mano.
Non c’è più nessuno per me e, io non sono più in grado di chiedere aiuto dopo tutti gli schiaffi presi.
Scusa nonna. Scusa se sono una delusione.


12 Aprile 2016 ore 6.08pm.

Scendo le scale a due a due, diretta nella sala cinema. Ho bisogno di distrarmi dopo quello che è successo.
Il telefono comincia a vibrare nella tasca dei miei pantaloni della tuta neri. Accetto la chiamata senza guardare da chi proviene.
«Il fatto che hai risposto alla mia telefonata al primo tentativo è un'enorme passo avanti» la voce di Josh mi fa sussultare
«Ehì» mi lascio sfuggire
«Ehì» mi copia lui
«Come mai mi hai chiamato?» chiedo dopo qualche secondo dove mi ero persa a ricordare il pomeriggio passato insieme due giorni prima.
«Ti chiedere se ti va di fare qualcosa» la sua richiesta è diretta, un punto a suo favore
«No. Mi dispiace ma non mi sento bene» mento, non sono in grado di sopportare la vista di qualcuno. Non dopo il confronto con mia nonna.
«Neanche un film?» la sua voce è meno entusiasta, ma percepisco un filo di speranza. 
Il fatto che Josh sta provando a conoscermi meglio ed io cerco di allontanarlo sempre di più mi fa sentire ancora peggio.
Ripenso ancora una volta al pomeriggio passato in sua compagnia e alle risate vere che sono uscite dalla mia bocca, così prendo una decisione.
«Okay. Ci sto. Vieni da me, ho una chiavetta piena di film quindi troveremo qualcosa da vedere» esclamo prima di chiudere la chiamata.
Faccio una deviazione in cucina per informare Ian – lo chef di famiglia, oltre che quello di mia madre – che deve prepare la cena per due e portarla nel cinema.
Mentre rispondo ad un messaggio di mio papà suona il campanello.
«Ciao» saluto Josh dopo avergli aperto la porta ancora con lo sguardo sul telefono
«Ciao Effy» mi saluta appena infilo l'i-phone nella tasca
«Va bene un hamburger con patatine per cena?» gli chiedo mentre appendo il suo giubbotto
«Perfetto» mi sorride lui
«Bene, andiamo che dobbiamo trovare un film da vedere» comincio a camminare verso il cinema con Josh dietro di me.


12 Aprile 2016 ore 6.48pm

«Hai sentito tuo padre oggi?» mi chiede Josh mentre prendo tra le mani il telecomando 
«Sì, poco fa quando ho aperto te. Mi ha mandato un messaggio, fra un paio d'ore sarà qui» annuisco mentre apro la cartella dei film
«Ma quanti ne hai?» Josh spalanca la bocca scioccato
«Io ti avevo avvisato» alzo le spalle «Facciamo così scegli una lettera» mi volto verso di lui con una sopracciglia inarcata 
«T, ma perché?» mi guarda in cerca di risposte
«Io e papà quando dobbiamo vedere un film scegliamo una lettera, e all'iniziale scegliamo il film» spiego mentre faccio scorrere il dito sul telecomando arrivando alla lettera scelta da Josh «Hai mai visto tre uomini e una capra?» appoggio il viso sul palmo della mano
«No, è bello?» appoggia le braccia sui braccioli
«Sì, assolutamente sì. Fa morire dal ridere» la mia voce è entusiasta, cosa che accade ultimamente quando sono in compagnia di Josh 
«Allora visto che ti è piaciuto così tanto, guardiamolo» mi sorride dolcemente
«Ottima scelta Hutcherson» annuisco divertita
«Me ne rendo conto Jensen» esclama sorridendomi
«Ora silenzio che inizia il film» mi siedo più comodamente sulla poltrona.


12 Aprile ore 7.36pm

Ian apre la porta trascinando dentro un carellino con sopra la cena mentre Josh ride per l'ennesima scena divertente del film.
Faccio cenno ad Ian di lasciare tutto lui e lo ringrazio con un sorriso prima che esca dalla sala.
«Josh» lo richiamo appena smette di ridere
«Ascolta devo andare un'attimo di là. Lì c'è la cena se intanto tu vuoi cominciare a mangiare mentre guardi il film fai pure» mi alzo dalla poltroncina passandomi le mani sulle braccia fredde
«Intanto che ci sei indossa anche una felpa» mi sorride 
«Lo farò» chinandomi in avanti e scoccandogli istintivamente un bacio sulla guancia «Grazie»
Il sorriso sul viso di Josh si espande «Di niente» 
Esco velocemente dalla stanza cercando di capire il perché del mio gesto. Ma ogni singola possibile risposta mi sembra insulsa e scontata, o semplicemente una bugia. Apro il cassetto delle mie medicine e prendo le pillole dai barattoli e le infilo nella tasca sinista della felpa che ho appena finito di indossare.
«Effy ti stavo venendo a portare le medicine» la voce di mia nonna arriva da dietro le mie spalle.
Non rispondo. Mi volto e comincio a camminare nel corridoio che mi riporta al cinema.
«Effy mi dispiace per prima» le sue scuse ora come ora non mi servono a niente.
«Dimmi cosa me ne faccio delle tue scusa ora? Dimmi che senso ha scusarmi quando il danno è fatto?» sibilo a denti stretti 
«Effy»
«Effy cosa? Effy non fare così? Effy non mi parlarmi in questa maniera? Effy smettila di dire la verità? Effy, Effy, Effy sempre a dirmi quello che devo o non devo fare» urlo esasperata
«Chi si è scavata la fossa da sola?» mi risponde urlando
«Okay questo non è giusto» punto il dito contro di lei urlando
«Effy che succede?» la voce di Josh sovrasta gli urli provenienti da me e da mia nonna
«Niente Josh, non succede proprio niente, a parte che a qualcuno piace puntare il dito contro gli altri e rinfacciargli le cose» la mia voce è piatta, vuota e distante mentre mi riferisco alla donna che ho davanti «Torniamo a vedere il film?» mi volto verso di lui, con espressione totalmente diversa
«Sì andiamo» noto che il suo sguardo è fisso su mia nonna
«Dai entriamo allora» appoggio una mano sulla sua schiena e rientriamo dentro alla sala.
«Dimmi che non è solo una mia impressione: tutte le persone della tua famiglia ti fanno perdere le staffe – prende la mia mano e la stringe tra le sue – É come se ti vogliano vedere crollare un'altra volta» il suo sguardo è strano. Leggo preoccupazione.
«Gli piace rinfacciare le cose te l'ho appena detto» prendo il bicchiere d'acqua sopra il carellino
«E tu scatti. Questo non va bene» mi dice mentre appoggio le pillole sopra la mia lingua seguite subito dopo da un bel sorso d'acqua
«Sono le medicine che devi prendere?» mi chiedere
«Li puoi anche chiamare con il loro nome. Psicofarmaci, non muore nessuno Josh» asserisco piatta mentre fisso il cibo sopra al carellino dopo aver tolto la mano da sopra quella di Josh
«Non te la prendere con me ora però» sento il suo sguardo a dosso
«Scusa, è solo che sono così dopo una lite» mi volto verso di lui
«Tranquilla, non deve essere facile. Posso sapere che psicofarmaci devi prendere?» prende il suo hamburger prima di chiedermelo
«Xanax e Paroxetina. Perchè?» lo guardo dopo aver preso una patatina 
«Curiosità» mi sorride, ma capisco che non sta dicendo la verità
«Stai mentendo!» affermo incrociando le braccia al petto
«Non è vero» si volta verso di me
«Sì invece. Dimmi la verità Josh» lo fisso 
«Okay ho mentito – sospira – Volevo vedere se i psicofarmaci che assumi sono gli stessi che assumerà Thomas alla fine del film, e infatti sono quelli» mi spiega
«Avati fammi la domanda che desideri tanto farmi» sospiro chiudendo gli occhi
«La sceneggiatura scritta da tuo padre parla di te vero Effy?» la domanda arriva pochi secondi dopo
«Sì. É la mia vita da quando Freddie è morto» riapro gli occhi e lo fisso attentamente
«Tu hai passato tutto quello? Tu Effy? Eri ridotta così..» lo interrompo
«Sì – sospiro – Ero ridotta così male. Sono caduta così in basso. Sì ero come Thomas. Thomas in realtà sono io» ammetto
Josh è l'unica persona oltre ai miei genitori e a Marshall al corrente che il film parla di me.
«Puoi non parlarne in giro? I giornalisti non sanno nulla di quello che mi è successo» alzo gli occhi al cielo
«Come? I tuoi sono riusciti a tenere 
segreta questa storia?» lo sguardo di Josh è sorpreso
«Sì» annuisco dopo qualche minuto
«Effy – Josh mi guarda riprendendo la mano – Nessuno saprà niente okay? Te lo giuro» mi sorride
«Okay» accenno un piccolo sorriso
«Comunque questo è un punto a mio favore» ride
«Perchè?» mi volto verso di lui mentre mangio un'altra patatina
«Ti voglio sul set del film. Se non sono in grado di interpretare perfettamente una scena so da chi andare» mi accarezza con l'indice il palmo della mano
«Non credo che mio papà mi vorrà sul set» porto le ginocchia al petto dopo aver lasciato la mano di Josh
«Perchè non ti vorrebbe volere sul set?» ha lo sguardo di uno che vuole sapere conoscere tutta la verità, ma è presto. É ancora troppo presto. Per ora sa anche troppo.
«Crede che possa avere una ricaduta» rispondo guardando un punto fisso nello schermo attaccato al muro
«Ma tu vuoi essere presente mentre giriamo?» 
«Sì. Sono l'unica che sa com'è realmente stato, sono io colei che ha dato vita a questo film» mi volto di scatto verso di lui
«Allora parlerò con tuo padre – mi sorride – Gli dirò che ho bisogno di te sul set. Per aiutarmi con le riprese. Va bene?» la sua voce è dolce ed io non posso fare a meno di sorridere
«Okay Josh. Grazie, sul serio» resoingo l'istinto di lasciargli un altro bacio sulla guancia
«Non mangi?» mi indica il mio hamburger qualche minuto dopo aver fatto ripartire il film
«Non ho poi così tanta fame» alzo le spalle
«Devo prendere appunti?» mi guarda divertito
«No così no però – scatto – Non puoi collegare tutto al film Josh. Sei qui per il film o per passare del tempo con me?» mi alzo tenendo lo sguardo fisso su di lui
«Effy no. Non è per quello» la sua voce è tranquilla
«Beh, mi dispiace dirtelo allora, perché mi è sembrato proprio così» urlo
«Che succede qui? - la voce di mio padre interrompe il silenzio creatosi poco dopo – Josh credo che tu debba andare ora» lo guardo
«Sì – si alza – Mi dispiace Effy. Sono sincero» mi guarda negli occhi prima di superarmi.
«Effy» esclama mio papà appena sentiamo la porta chiudersi
«Non ne voglio parlare. Non voglio parlare di niente. Buonanotte» affermo con voce piatta uscendo dalla seconda porta. Quella che porta in giardino, dove poco dopo stretta tra le mie labbra finisce una sigaretta che viene fumata avidamente.

 








 

BUONASERA HUTCHERS, UN PUNTO A FAVORE DELLA FEBBRE E' CHE MI DA TEMPO DI SCRIVERE.
TUTTO SOMMATO SONO ABBASTANZA SODDISFATTA DI QUESTO CAPITOLO.
ASPETTO I VOSTRI COMMENTI ATTRAVERSO LE RECENSIONI,

AL PROSSIMO CAPITOLO ALLORA,
PEETARMS.


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Capitolo 5
*** Ricordi. ***


*Attenzione: i comportamenti dei personaggi descritti durante la narrazione della fan fiction non sono assolutamente da imitare: quello che fanno e pensano è spesso sbagliato. Con questo mio scritto pubblicato senza scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in qualche modo. La storia è solo frutto di pura fantasia.*






 05.




30 Aprile 2016 ore 4.43pm.


Blocco l'iphone dopo aver cambiato canzone. Mi distendo sul divano del salotto mentre le note di In Bloom dei Nirvana mi estraniano dalla realtà. Chiudo gli occhi tenendo il tempo della canzone con le mani. Una sensazione di pace – seppure piccola – si insidia dentro di me e non ne potrei essere più contenta. 
Sensazione di equilibrio che viene interrotta da mio papà. Il quale alza le mie esili gambe ricoperte da jeans scuri strappati sul ginocchio destro sedendosi di fianco a me.
Allunga le braccia per tirarmi su vicino a lui, e una volta fatto prende la mia cuffietta e la porta al suo orecchio.
«Ho sempre detto che hai buon gusto per la musica» mi sorride mentre allungo le gambe nel tavolino da caffè.
«Ho preso da qualcuno» rispondo divertita. Sin da quando sono piccola mi ha fatto ascoltare la musica dei Nirvana, e me ne sono perdutamente innamorata.
«Appena conoscerò quel qualcuno lo ringrazierò» passa un braccio dietro la schiena tirandomi a sè dove mi lascia un bacio tra i capelli.
«Mamma?» chiedo cambiando discorso dopo aver stoppato la musica alla fine della canzone.
«Quando ero al telefono con Josh era in palestra» Josh. Non lo doveva nominare.
Non rispondo, mi libero dalla sua presa e quando sto per alzarmi mi ritira giù.
«Non vai da nessuna parte Effy, non fin quando non abbiamo finito di parlare» la sua voce è seria. E so perfettamente che quando usa quel tono non c'è via di scampo. Bisogna stare a sentirlo.



[...] Mi reggo a malapena sui tacchi alti che ho ai piedi. Mi trascino barcollando su per gli scalini di casa. Un senso di nausea mi tiene stretto a lei e il mal di testa è diventato il mio miglior compagno di viaggio. 
Il vestito succinto che ho indosso – nero, di pizzo – è un misto di fumo, alcool e sesso – si alza ad ogni scalino percorso.  A metà scala un conato di vomito mi coglie all'improvviso, mi chino in avanti per vomitare tutto l'alcool all'interno del mio stomaco vuoto, privo di cibo da non so quanto tempo. Ora anche i capelli sono sporchi e non odorano più solo di fumo. Mi appoggio alla parete e mi lascio scivolare piano piano a terra mentre passo le dita sugli occhi rossi e irritati. Chiudo gli occhi, sono stremata, vuota. Vuota come il mio stomaco, vuota come il mio cuore e qualsiasi sentimento dentro di me si è spento da tempo ormai. Tengo ancora gli occhi chiusi e mi lascio scivolare in un sonno privo di sogni. Un sonno che non sarà mai rigenerante. Un sonno dal quale mi riprenderò ancora più stanca di quando mi sono addormentata. Un sonno al freddo e con dolori in tutto il corpo.

Mi sveglio quando vengo sollevata da mio padre. Appoggio la testa sulla sua spalla cercando di reprimere il dolore martellante dentro alla mia testa. Mugugno qualcosa di insensato mentre mio padre mi appoggia sul divano dell'enorme salotto bianco. Mi copre con una coperta nera pesante dopo avermi tolto i tacchi. Dopo di che non ricordo nient'altro perché vengo inghiottita di nuovo dal nero.

Quando riapro gli occhi è tutto buio. Rimango sotto la coperta beneficiandomi del calore che emana. Pochi minuti dopo però mi alzo e mi segue il mio solito capogiro. Cammino trascinando i miei piedi scalzi verso l'interruttore della luce e lo premo. Il mio sguardo va diretto all'orologio sopra al camino che segna le 5.12pm. Spengo di nuovo la luce e mi dirigo in cucina per bere un bicchiere d'acqua. Ho la gola secca e asciutta.
Dopo aver preso un bicchiere dalla credenza della cucina apro il frigorifero per prendere la bottiglia di acqua fresca e ne bevo un'abbondante sorsata dalla bottiglia, dopo di che riempo il bicchiere e la ripongo al suo posto. Mi siedo sullo sgabello dopo aver fatto qualche smorfia di dolore per lo sforzo, il mio corpo è debole e dipendente dalla droga e dall'alcool che ormai non ho più in circolo visto che ho dormito per quasi dodici ore. Solo ora mi accorgo di un post-it giallo attaccato sul piano. Riconosco la scrittura di mio papà.
“Appena torno a casa questa sera dobbiamo parlare. Torna anche tua madre quindi faremo una riunione di famiglia. In frigorifero c'è la cena, devi solo riscaldarla. Ti voglio bene, papà.”
Appallottolo il post-it e lo butto dall'altra parte della cucina. Tracanno avidamente l'acqua dal bicchiere che ripongo nel lavabo. Apro il frigorifero per prendere il contenitore dove mio padre ha lasciato la cena. 
Mi dirigo lentamente verso il bagno del piano di sotto, rovescio il contenuto nel water e tiro lo sciacquone. 
Apro il cassetto popolato dalle mie cose, estraggo una lametta e una bustina bianca dal beauty case. Dispongo la cocaina in strisce, prendo anche una banconota arrotolata. L'appoggio sopra alla polvere e inspiro le tre strisce predisposte da me poco prima. 
Ripongo la bustina dentro al beauty case, nascondendola bene sotto i trucchi. Mi prendo un attimo – mentre la cocaina agisce dentro di me – per osservarmi allo specchio. 
Matita e mascara colati, rossetto rosso accesso sbavato. Vestito che non lascia all'immaginazione. Sfilo il vestito nero di pizzo da sopra la testa con una lentezza disarmante, rimango in intimo, anch'esso nero. Le mie braccia sono segnate da tagli rossi ancora freschi, che bruciano quando ci penso. Prendo tra le dita la lametta che viene appoggiata sul braccio sinistro e premuta profondamente. Il sangue sgorga immediatamente. Una lacrima scende dal mio occhio sinistro. Un altro taglio, poco più sopra: più lungo e più profondo.
Quando oramai il bruciore è diventato insopportabile ripongo la lametta al suo posto e entro in doccia ancora vestita con l'intimo. Mi siedo a terra dopo aver regolato la temperatura dell'acqua e rimango così, a non pensare a nulla per non so quanto tempo, fino a quando il sangue non smette di uscire dai tagli. 
Chiudo l'acqua e mi lavo accuratamente i capelli e il corpo dopo essermi tolta gli indumenti ancora indosso.
Una ventina di minuti dopo sono fuori dal bagno con indosso l'accappatoio e i capelli neri lunghi asciutti, morbidi e profumati. Il viso struccato ma con la cocaina in circolo nel mio esile corpo, corpo che ha perso all'incirca una decina di chili negli ultimi sei mesi.
Salgo le scale che portano al secondo piano, piano dove ci sono le camere da letto e due bagni. Entro nella mia camera e la prima cosa che noto è il disordine, alzo le spalle mentre apro le ante dell'armadio dove tiro fuori un paio di leggins e una canottiera scollata sul davanti bianca, e una giacca rossa. Indosso tutto con cura, e finisco con uno spruzzo di profumo. Cerco la borsa che trovo sotto al letto, mi accerto di avere all'interno le sigarette e l'accendino. Esco dalla camera e scendo le scale. Appoggio la borsa sul divano dopo aver preso dalla pochette il portafoglio, mi dirigo in bagno dove mi dedico al make up. Metto un sottile strato di fondotinta e nascondo le occhiaie con il correttore. Metto la matita all'interno dei miei occhi e l'eyeliner. Per finire il rossetto rosso. Mi guardo allo specchio dopo aver pettinato nuovamente i miei capelli. Spengo la luce e ritorno in salotto dove prendo la borsa, il cellulare e le chiavi della macchina. Apro la porta ma la figura di mio padre mi ostacola il passaggio. Guardo l'orologio nel cellulare. Segna le 8.43pm.
«Vai da qualche parte Effy?» la voce di mio papà è stanca e affaticata. Le borse sotto agli occhi gli danno qualche anno in più, anni che invece gli hanno sempre tolto. La morte di Freddie ha distrutto anche lui.
«Stavo andando da Rachel» mento. Non la vedo e non la sento da settimane.
«Chiamala e digli che per questa sera non vi vedrete, abbiamo in programma una riunione familiare» anche la figura stanca di mia mamma compare sulle scale. Rientro in casa appoggiando il telefono e il resto sulla mensola e mi avvio verso il salotto dove mi stendo sul divano.
«Hai cenato tesoro?» mia mamma mi si avvicina e mi scocca un bacio sulla fronte
Annuisco distratta, il mio sguardo è posato su mio padre.
«Come mai questa riunione di famiglia?» gli chiedo piatta.
«Dobbiamo parlare seriamente di te Effy» il suo tono di voce è serio, non ammette repliche.
«Di cosa? Io sto benissimo papà»  mi siedo a gambe incrociate cercando di mantenere una voce indifferente
«Non stai bene tesoro» mia mamma, la sua voce è ancora più stanca di quanto non avessi mai sentito ed è preoccupata. Mio padre si siede nella poltrona di fronte al divano dove siamo sedute io e mia mamma.
«Effy parla con noi. Siamo i tuoi genitori, gli unici a cui puoi dire tutto» questa volta è mio padre a parlare, con un tono meno serio perché la serietà viene sostituita con una preoccupazione che non gli ho mai visto manifestare così apertamente.
Non rispondo per non so quanto tempo, poi le parole escono da sole, come se fossero stanche di essere represse ogni giorno sempre più in fondo dentro di me. «Ho paura. Paura perché non mi riconosco più. Non so chi sono, ne dov'è finita la vecchia me. Parlo come una sconosciuta, reagisco come non avrei mai fatto, e non mi importa più di nulla. Sono distante. Distante da tutto e tutti. Dai sentimenti, dalle parole e dalle persone. Non provo niente. Ogni tanto il dolore viene a bussare alla porta, ma dopo un paio di minuti lo mando via con una sigaretta, con qualche tipo di droga ogni giorno diversa e con un bicchiere di qualche superalcolico. Non piango più dal dolore, no. Non piango più in generale. Piango raramente. Solo di notte però e solamente per paura. Quando mi guardo allo specchio, quando penso a quello che faccio, quello che non mi sarei mai aspettata di fare. Allora lì sprofondo e una lacrima scende involontariamente. Continuo a guardare l'immagine riflessa allo specchio che appartiene ad una sconosciuta, non sono io quella ma non so come liberarmene, perché io sto diventando lei. Non so più chi sono. No, davvero, non lo so. Ma ora so che è vero: il dolore ti cambia dentro.» scoppio in un pianto isterico. Tutte le emozioni represse vengono fuori come un'improvviso temporale in piena estate. Il mio corpo è percorso da tremiti, la testa pulsa ancora di più e la vista si fa sempre più annebbiata fino a che diventa piano piano tutto nero. Le ultime parole che riesco a captare provengono da mio padre: «Dobbiamo aiutarla Amanda, ha bisogno di un centro di recupero. Ha bisogno di aiuto serio.»
«Solo un taglio. Solo un graffio. “Cos'è quel segno”. “È solo il gatto”. Solo una scusa. Solo un'altra bugia. “Cosa sono tutti quei braccialetti?”. “Solo moda, perché?”. Solo una lacrima. Solo un urlo. “Perché piangevi?”. “Solo un brutto ricordo”.  Ma non era solo un taglio, o una lacrima o una bugia. È sempre stato “un altro solo” fino alla massima distruzione.» 
Canticchio mentre mi faccio risucchiare dal nero.




«Effy. Effy» mio padre mi scossa per riportarmi alla realtà.
«Papà» sbatto più volte le palpebre mentre cerco di calmarmi. Il battito cardiaco è aumentato.
«Stai bene tesoro?» mi guarda visibilmente preoccupato
«Sì – annuisco – Ho avuto un flashback»
«Anche io ne ho avuto uno mentre ti ho visto in trance in questi dieci minuti» sospira appoggiandosi allo schienale
«Quale?» chiedo titubante per la risposta che arriverà successivamente
«Entrai nell'ospedale e camminai lungo il corridoio per arrivare alla tua stanza. Ti vidi distesa lì, dormendo pacificamente, sembravi felice. Ma poi notai i tuoi polsi e come le bende fossero macchiate di rosso. Mi sedetti affianco a te, osservai tutte le cicatrici che coprivano le tue braccia e capii quante volte avevi avuto bisogno di qualcuno, e quante volte, io non ero lì.» per un momento penso che stia leggendo da qualche parte visto che sembra una frase scritta, ma quando mi volto verso di lui noto che non sta leggendo. Quella scena è talmente impressa nella sua mente che niente e nessuno potrà mai togliergliela. Una morsa allo stomaco mi toglie il fiato. Una lacrima, un'altra e un'altra ancora scendono dai miei occhi. Lui mi stringe forte a sé, cullandomi come quando ero bambina ed avevo fatto un brutto sogno. E così mi addormento tra le sue braccia mentre lui mi sussurra che andrà tutto bene.














 


Buonasera Hutchers, devo ammettere che ci ho messo tempo ad aggiornare. Però con tre storie in corso e la scuola di mezzo non è facile.
IO AMO QUESTO CAPITOLO, GIURO LO AMO. 
Forse è uno dei più bei capitoli che abbia mai scritto ahah.
Bene, ora sapete un po' di più sul passato di Effy.. Ora voglio sapere i vostri commenti e quello che pensate sul capitolo. Quindi mie care recensite perchè sono davvero curiosa.
Un bacio, spero a presto.
-peetarms.



 

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Capitolo 6
*** Ritorno al passato per una notte. ***


*Attenzione: i comportamenti dei personaggi descritti durante la narrazione della fan fiction non sono assolutamente da imitare: quello che fanno e pensano è spesso sbagliato. Con questo mio scritto pubblicato senza scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in qualche modo. La storia è solo frutto di pura fantasia.*





06.



15 Maggio 2016, 5.45am.


[...]La stazione è buia, vuota, siamo rimasti solo noi due lì dentro. In lontananza si comincia a sentire il rumore dei binari calpestati.
“Dai, vado via. Altrimenti perderai il treno.”
“Che importa? Quello più importante l’ho già perso.”
“E’ colpa tua.”
“E’ colpa di questa fottuta situazione”
Attacco le mie labbra al suo orecchio sinistro e gli sussurro piano.
“Ma adesso siamo vicini.”
“Si. Siamo vicinissimi.”
“Dimentica, ricordati delle emozioni.”
“Il treno su cui non vorrei mai salire sta per arrivare. Non c'è più tempo per ricordarmi delle emozioni.”
“Allora ricordati di me quando guarderai fuori dal finestrino.”
“Se ti bacio ricordo meglio.”
E le nostre guance si sfiorano con le lacrime incastrate fra le ciglia,  le sue mani tremano nei miei capelli come quando si raccoglie un oggetto prezioso caduto a terra che non si è rotto. La sua fronte preme forte sulla mia come per schiacciarmi i pensieri mentre il rumore del treno si fa sempre più intenso.
“Eccolo lì. Mi sa che devo..”
“Si. Devi.”
Raccoglie lo zaino a terra.
“Non mi ricorderò di te quando guarderò fuori dal finestrino. Mi ricorderò di te quanto ti volterò le spalle e ti lascerò qui e starò in pensiero perché non potrò seguirti con lo sguardo mentre mi allontano. Mi ricorderò di te quando in treno ci saranno altri cento posti liberi e a me basterebbe la tua presenza per riempirlo. Mi ricorderò di te quando prenderò la bottiglia d’acqua, e l’altra mano non sarà legata alla tua. E mi ricorderò di te quando…”
“Il treno è qui…” Gli dico con un filo di voce. Lui corre verso le porte che si stanno per chiudere, mi guarda ancora una volta. Dietro quei vetri trasparenti lo vedo sedersi, incrociare le gambe e abbassare la schiena. Il treno è partito. Si allontana velocissimo, e in questo momento lo invidio così tanto, perché sta portando con sé la cosa più cara che ho, avevo. Raccolgo anch’io la borsa a terra, a fianco ad essa trovo un bigliettino. Deve essergli caduto dallo zaino. Lo apro.
“…E mi ricorderò di te quando tornerò a casa, e non mi sentirò più a casa senza di te.”



Mi sveglio di colpo, ansimando. Ogni centimetro del mio corpo è sudato, scendo velocemente dal letto, apro il cassetto del comodino da dove tiro fuori una bottiglietta con un contagocce. Prendo il bicchiere di fianco alla finestra e faccio cadere quattro gocce nell'acqua avanzata dalla sera precedente. Lo porto alle labbra e bevo velocemente il contenuto, con la consapevolezza che tra pochi minuti mi calmerò.
Mi accascio alle gambe del letto, stremata e stanca. Sospiro ogni tanto mentre osservo le prime luci del mattino fare capolino dentro alla mia stanza.



[…] Stringo tra le mani le foto che avevo poco prima davanti.
Fotografie nitide di assenze massacranti, alla fine ci resterà solo questo, la consapevolezza di poter essere, ma di non essere stati nulla per la troppa paura.
Le butto a terra in un momento di completa rabbia dopo di che prendo il mio cellulare sopra al comodino.
Scorro la rubrica del telefono e vedo solo un’infinità di nomi. 
Ho bisogno di sentire vicino qualcuno, ma non so a chi chiedere aiuto.
Continuo a leggere tutti quei nomi, ma alla fino spengo lo schermo e rimango da sola con i miei pensieri, come sempre.
Ma io li capisco cazzo. Capisco perché se ne sono andati tutti. Sono un'insopportabile acida, mi faccio un sacco di paranoie e cambio umore spesso, è normale che tutti se ne vadano. Anche io me ne andrei da me stessa.
Scendo dal letto e mi addentro all'interno della camera di mio fratello. É vuota, è uscito. Mi avvicino al suo letto, per poi infilarmi sotto alla ricerca del contenuto dentro alla botola segreta dove sono sicura di trovare due bustine: una con dentro le pastiglie di Ecstasy e nell'altra la cocaina.
Apro quella contenete l'Ecstasy e ne prendo una, mi lecco il dito per poi immergerlo in quella contenente la cocaina dopo di che lo porto all'interno della mia bocca facendo sparire la sostanza bianca lungo il mio dito giù per il mio corpo vuoto e stanco. Rimetto le due bustine nel loro posto e inghiottisco la pastiglia dopo aver bevuto un sorso di vodka dalla bottiglia di mio fratello.
Rientro in camera mia dove mi dedico a vestirmi. Un top e una minigonna. I tacchi neri lucidi che mi ha regalato mamma per Natale. Indosso tutto con cura.
Ripasso i miei occhi con abbondante matita nera e finisco il tutto con il rossetto rosso.
Prendo il portafoglio e la borsa. Esco dalla casa vuota con in circolo l'Ecstasy e la Cocaina. 
La prima volta che mi sono drogata, la prima volta in discoteca da sola. La prima volta nel vero e senso della parola me la sono fatta portare via da un lurido maiale quando ero troppo impasticcata e troppo ubriaca per ribellarmi.



Mi sveglio nuovamente percorsa da tremiti e con le lacrime agli occhi.
Mio padre mi sta osservando in cerca di una risposta.
«Papà» la mia voce è roca, allungo le mani e lui mi solleva rimettendomi sul letto e coprendomi con la trapunta nera del mio letto.
«Effy che ti sta succedendo?» mi guarda negli occhi, è spaventato.
«Non lo so, sono settimane che ho continui flashback. Sembrano reali. Mi sembra di tornare in quei momenti papà» una lacrima scende involontariamente. Lacrima che mio padre raccoglie subito con il suo pollice.
«Stai tranquilla. Ora chiamo il dottor Bren» si alza dopo avermi lasciato un bacio tra i capelli. Compone il numero del dottor Bren e porta il telefono all'orecchio. «Salve dottore, sono Jeremy Jensen, il padre di Elizabeth Jensen, volevo chiederle una cosa. Mia figlia da settimane ha continui flashback, flashback che la riportano indietro nel tempo...Sì esattamente in quel periodo... Okay, va bene... Grazie mille, le farò sapere» chiude la telefonata e mi guarda attentamente.
«Che c'è?» chiedo con voce stanca
«Sei in queste condizione da quando hai litigato con Josh? Da quando lui si è comportato in quel modo quella sera?» mi chiede sedendosi di fianco a me
«Sì» sospiro pesantemente
«Come pensava il dottor Bren – lo guardo senza capire – Mi ha spiegato che se qualcuno attacca quel periodo della tua vita, il tuo organismo reagisce portando la tua mente in quei momenti cercando di manipolarti facendoti credere che quello che hai fatto non era sbagliato ma giusto. Tutto questo in quanto la tua mente non ancora del tutto guarita»
«Smettila. Sai che non guarirà mai. Sai che sarò sempre tentata dalle droghe e dall'alcool» 
«Lo so» replica lui stancamente «Devi chiarire con Josh, e il più presto possibile – lo guardo in malo modo – A meno che tu non ci tenga a rivivere i mostri del tuo passato costantemente» e quella è l'ultima cosa che gli sento dire per quella giornata. 



18 Maggio 2015, 1.27am.


Barcollo per la strada principale di Union. In cerca di un equilibrio inesistente sui tacchi vertiginosi indossati. A causa della bottiglia di vodka alla pesca che tengo stretta nella mano destra e allo spinello nella mano sinistra. So che c'è un solo modo per capire i sentimenti che provo verso Josh, cresciuti in questi pochi mesi. Nonostante le divergenze, nonostante i contrasti e nonostante le litigate. E di certo non era ritornare ai miei vecchi vizi. No, ma ci sono caduta.
Mando un giù un'abbondante sorsata di vodka alla pesca che mi fa bruciare la gola dopo aver buttato la cicca dello spinello pochi metri più indietro di me.
Giro per la via della casa di Josh e la percorro dopo aver lasciato la bottiglia ormai vuota all'angolo della strada. Una volta arrivata di fronte a casa sua, mi attacco al campanello noncurante dell'ora.
Pochi minuti dopo la porta principale si apre e un Josh assonnato con indosso un paio di pantaloni della tuta e una maglietta nera mi si para davanti. Spalanca gli occhi alla mia vista. E allo stato in cui sono.


POV Josh Hutcherson.


«Effy che diavolo ci fai qui?» la prendo per un braccio e la faccio entrare.
«Ciao Josh» il suo viso è così rilassato, credo di non averla mai vista così. 
«Effy che cosa ci-» mi interrompe in un modo che non mi sarei mai aspettato. Le sue labbra fredde e secche incontrano le mie calde e morbide. Mi appoggia alla parete mentre chiede accesso alla mia bocca. Accesso che gli concedo. Il suo alito sa di fumo e alcool, una morsa allo stomaco mi invade ma la caccio via appena si stacca da me sorridendomi.
«Sai caro Josh, sei riuscito a mandarmi a puttane tutto il lavoro fatto» la sua voce è amara, mentre mi da le spalle. Continua a parlare ma non riesco ad ascoltare, sono troppo concentrato su quello che sta facendo. Lascia scivolare il tessuto nero che copriva il suo corpo a terra. L'intimo, anch'esso nero che indossa invita i miei muscoli vogliosi ad avvicinarmi, ma farlo di mia spontanea volontà mi sembra quasi una violazione di quella tela bianca macchiata d'inchiostro nero. Soltanto quando mi invita posso toccare con la mia pelle la sua, posso gioire di quel tocco tanto atteso. Le sue labbra cercano nuovamente le mie e mi lascio baciare, con tanta foga che il mio corpo è percorso da tremiti.
Accarezzo il pizzo del reggiseno con l'indice, insinuandomi sotto al tessuto prima di sganciare la chiusura. Con un tocco delicato, nonostante questa lentezza mi lega i nervi.
Non faccio altro, lei si stacca dalle mie labbra dopo avermi morso il labbro inferiore. Mi chiude gli occhi, e accarezza il collo con le dita mi bacia di nuovo con lo stesso trasporto con il quale l'oceano accarezza la riva rocciosa delle coste nordiche, mi perdo per poi ritrovarmi in quelle labbra rosse, sospiro per poi respirare la sua materia tossica.
Mi sfila la maglietta nera, l'indumento cade indisturbato sul pavimento della stanza. Mi stacco dalla sua presa per trascinarla lungo la scala. Una volta chiusa la porta della mia camera inizia a baciare ogni lembo di pelle del mio petto facendomi sospirare come probabilmente nessuna è mai riuscita a fare. Termina la sua sensuale tortura facendomi sedere sul letto, e sedendosi al cavalcioni sopra di me per concedermi altri baci, altri gemiti.
La mia eccitazione è ormai evidente, provo dolore fisico nel trattenerla, e come se mi avesse letto nella mente, decide di liberarmi dai miei vicoli, lasciandomi libero di ricambiarle il favore.
La blocco sotto il mio corpo, il mio tocco perverso accarezza le sue zone sensibili mentre bacio i suoi seni. Effy si dimena sospirando animatamente sotto la mia presenza, mi innamoro di quella visuale, della sua nudità vagamente rinascimentale estasiata dal mio merito.
«Sei sicura?» dico con la voce rotta dal piacere.
Poco dopo finisco sotto di lei, estasiato e volenteroso mentre cautamente mi riempo di un sentimento incerto che stento ad ammettere.
«Sì. Ne sono sicura»  la sua voce trema così come il suo corpo freddo.
I nostri movimenti coordinati riempono le mura della mia stanza, i suoi sospiri stanchi si frantumano nei miei. Bacio le sue labbra ancora una volta prima che il piacere raggiunga l'apice costringendomi a stringerla ancora più stretta a me. Respiro ancora affannatamente, ma necessito comunque di parlare.
«Non andartene. Non lasciarmi tagliato fuori dalla tua vita ancora una volta» la stringo nuovamente.
«Non farlo succedere. Comportarti bene e questo non succederà più» i suoi occhi sono sinceri questa volta, i suoi meravigliosi occhi azzurri mi stanno dicendo la verità.
La tiro sopra di me e la intrappolo in un bacio voglioso, voglioso di lei anche se è appena diventata mia.
Le sue mani fredde vagano lungo il mio petto provocandomi centinaia di migliaia di brividi.
In questo momento è viva, come mai l'avevo vista.














 

Ciao bella gente. Scusate il mio tremendo ritardo (per qualsiasi delle tre storie in corso) ma l'ispirazione mi aveva abbandonato completamente.
Ma fortunatamente è tornata, sono abbastanza soddisfatta di questo capitolo.
Attendo le vostre recensioni, vi scongiuro.
Bene, ora vado a cercare di scrivere altri due capitoli: uno di Winter e uno di Explosions ahah.
ANYWAY AUGURI DI BUON NATALE ANCHE SE IN RITARDO.

un bacio;
-peetarms.

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Capitolo 7
*** Connor. ***


*Attenzione: i comportamenti dei personaggi descritti durante la narrazione della fan fiction non sono assolutamente da imitare: quello che fanno e pensano è spesso sbagliato. Con questo mio scritto pubblicato senza scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in qualche modo. La storia è solo frutto di pura fantasia.* 






07.



18 Maggio 2016, 8.54am.

La luce del sole interrompe il mio sonno tranquillo, il primo dopo settimane.
Mi volto lentamente mentre faccio abituare gli occhi alla luce.
Josh è addormentato al mio fianco, ha una mano sul petto mentre l'altra è posata sopra alla mia coscia.
Sorrido. La sposto senza svegliarlo. Mi alzo dopo avergli lasciato un bacio a stampo e prendo la prima maglietta del ragazzo che trovo in stanza. Infilo i miei slip e esco dalla porta scomparendo giù per le scale.
Raccolgo la pochette di fianco al vestito, prendo il pacchetto di sigarette e l'accendino.
Cerco la cucina per qualche minuto, dopo di che mi appoggio alla finestra aperta con la sigaretta accesa tra le labbra.
«Ci avete dato dentro è?» mi volto di scatto, portando una mano al petto.
Un ragazzo con qualche anno in meno di Josh è di fronte a me. Ha i capelli castani corti e gli occhi vispi mentre mi squadra da capo a piedi.
«Scusa?» chiedo fulminandolo con lo sguardo.
«Scusa che maleducato – si avvicina a me – Piacere, Connor Hutcherson. Il fratello di Josh» mi sorride mentre mi porge la mano.
«Piacere – gliela stringo – Io sono Eliza-» 
«Sì so benissimo chi sei, e a dir la verità sei più carina di persona. Josh non scherzava» mi sorride.
«Grazie – rispondo sarcastica – Facile a dirlo quando ho indosso soltanto una maglietta e un paio di slip»
«Appunto» alza le sopracciglia divertito mentre accende la macchina del caffè.
«Assurdo» cerco di sopprimere una risata.
«Puoi ridere, non è vietato» mi lancia un pacco di biscotti.
«Non mi piacciono» glieli rilancio, ma poco dopo tornano a me.
«Chi ha mai detto che erano per te?» mi guarda.
«Ho l'impressione che io e te andremo molto d'accordo» sorrido rilanciandoglieli così da farlo scoppiare in una risata.
«Sì credo anche io» 
Mi siedo al tavolo dopo aver chiuso la finestra.
«Allora com'è mio fratello a letto?» mi chiede porgendomi una tazza di caffè.
«Non ti risponderò mai Connor Hutcherson»
«E perché mai? È mio fratello»
«Motivo numero uno: ci conosciamo da dieci minuti» giro lentamente il mio caffè.
«Dio, non è che ti ho chiesto di prestarmi diecimila euro – sbuffa lui – Sentiamo il secondo motivo»
«Motivo numero due: sei suo fratello, diamine, che ti frega di com'è a letto?» rido leggermente dopo aver bevuto un sorso di caffè.
«Oh avanti, chi se ne frega se è mio fratello – mi risponde lui mentre ha in bocca un biscotto – Comunque ti scongiuro, la prossima volta non ti attaccare al campanello all'una e mezzo del mattino» mi sorride.
«Verrò alle due e mezza allora» dico divertita, e lui scoppia a ridere.
«Non ci provare» risponde infine.
«Alle tre?» chiedo speranzosa.
«Ho un fucile ad aria a compressa nella mia stanza. Sei così carina non costringermi ad utilizzarlo contro di te» 
«Va bene, va bene. In definitiva verrò alle quattro» 
«Ti uccido direttamente con le mie mani» punta il dito contro di me.
«È una minaccia?»
«Interpretala come vuoi» alza le spalle «Certo che lo hai davvero stancato – indica l'ora – Dorme ancora, fantastico» scoppia a ridere mentre io gli tiro un calcio.
«Ahio» urla.
«Madonna se sei delicato» mi alzo per appoggiare la tazza vuota nel lavandino. Poi mi avvio verso le scale.
«Belle gambe Effy» urla lui ridendo, in mia risposta riceve il dito medio alzato, cosa che alimenta le sue risate.


18 Maggio 2016, ore 8.32pm.

Corro per le vie di Union, con i Nirvana nelle orecchie mentre ripenso a tutto quello che è successo nelle ultime dodici ore inizialmente, e poi da quando mi sono trasferita.
Mi siedo con il fiato affaticato in una panchina del parco, e mi perdo ad osservare i bambini che implorano le madri di rimanere altri cinque minuti ma loro replicano dicendo che domani c'è scuola. Sorrido leggermente mentre sfilo le cuffie dalle orecchie dopo aver fatto stretching.
«Effy» mi volto di scatto e il sorriso compare sul mio volto.
«Nonna» esclamo con un tono più alto del solito «Che ci fai qui? Quando sei arrivata?»
«Tesoro della nonna» mi abbraccia lei ridendo «Sono stata in Brasile da tua zia per un paio di mesi ma mi mancavi quindi ho preso il primo aereo per il Kentucky» mi invita a sedermi mentre mi asciugo con il palmo della mano il sudore sulla fronte.
«Mamma mi ha detto che arrivavi la settimana prossima».
«Ho fatto una sorpresa a tutti» mi sorride.
Gemma Cortese. Madre di mia madre. Donna meravigliosa, nonostante la sua età. Grande viaggiatrice e grande cuoca. 
«Una meravigliosa sorpresa» rispondo io mentre mi alzo «Andiamo? Sto morendo di fame» lei si alza annuendo e insieme, parlando raggiungiamo casa. E lì, trovo la moto di Josh. Soffoco un sorriso, quando noto mio padre e Josh nel gazebo di fianco alla piscina.
«Effy» mi chiama mio padre.
«Sì?» rispondo.
«Muoviti a fare la doccia, che ormai è pronta la cena. Si mangia fuori questa sera» mi sorride lui.
Io e mia nonna ci separiamo, lei raggiunge mia madre in salotto mentre io salgo le scale che mi porteranno in camera mia. 
Poco prima di raggiungere la porta di camera mia, il mio corpo è bloccato da quello di Josh.
«Ciao» mi soffia lui sulle labbra.
«Ciao» replico io sfuggendogli da sotto il braccio, ma mi solleva mettendomi sulla sua spalla «Josh mettimi giù, ora» urlo cercando di non ridere.
«No» mi risponde lui.
«Dai Josh, puzzo e sono sudata» sbuffo dopo una paio di secondi.
«Solo perché puzzi e sei sudata» dice poco prima di mettermi a terra.
«Ti sei meritato questo» lo prendo per la t-shirt blu che indossa e gli stampo un bacio e poco dopo un morso.
«Effy» mi rimprovera lui.
«Scusa è più forte di me» gli rispondo prima di chiudere a chiave la porta di camera mia.


18 Maggio 2016, ore 9.45pm.

Quando raggiungo il tavolo in giardino mancano pochi minuti alle dieci di sera. Trovo mio padre, mia madre e mia nonna occupati in un'animata conversazione con Josh.
«Allora non ti hanno rapito gli alieni» mi accoglie simpaticamente mio padre.
«No papà, anche questa volta ti è andata male» gli scocco un bacio sulla guancia prima di sedermi nell'unico posto libero. Di fianco a Josh.
«Stavamo parlando delle riprese del film» mi dice mia mamma appena tutti hanno il piatto davanti. Fiorentina con patate arrosto.
«Sì? Quando cominciano?» mi volto verso mio padre.
«No Effy, non verrai sul set» mi dice lui categoricamente. Mi volto verso Josh e gli sussurro: “Te lo avevo detto”.
Poggia la sua mano sulla mia coscia nuda in quanto indosso un paio di pantaloncini di jeans e una canottiera. È insolito, che sia già così caldo in Kentucky.
«Perchè no Jeremy?» chiede Josh.
«Josh, so che sai che il film è ispirato al passato di Effy, ed è proprio per questo motivo che non voglio che lei stia sul set».
«Jeremy, credo che se Effy dovesse ritornare ai suoi vecchi vizi – stringe la coscia, si riferisce alla notte precedente – Lo possa fare nonostante tutto, e non perché passa del tempo sul set. Anzi credo che questo la possa motivare a non cadere di nuovo nello stesso errore» la presa si allenta ma rimane comunque ferrea.
«Ci penserò» dice infine mio padre guardandomi.
«Effy come vanno le lezioni online?» mi chiede mia nonna cambiando discorso.
«Lezioni online?» chiede Josh.
«Sì. Effy frequenta il college via internet quest'anno. Ingegneria meccanica» sorride fiera la mia nonnina.
«Ma davvero?» il ragazzo alla mia destra si volta verso di me sorridendo.
«Eh sì. Davvero» rispondo prima di riempirmi la bocca di patate.
«Dovresti vedere i disegni del parco divertimenti che Effy ha progettato» interviene mia mamma. La fulmino con lo sguardo.
«Sì, dopo vorrei vederli Effy» Josh sposta la mano più in alto, verso la vita.
«Solo se fai il bravo» rispondo a denti stretti. Lui intuisce subito e sposta la mano.
Il resto della cena la passo in silenzio, costringendomi a mangiare mentre ascolto le conversazioni tra i miei genitori e Josh, dove gli chiedono tutti gli aneddoti delle riprese di Hunger Games, il pallino fisso della nostra famiglia, al pari con Harry Potter.
«Ci fu un periodo dove Effy era talmente innamorata dei libri che se le rileggeva continuamente» la risata di mio padre mi fa sorridere.
«Scusa se la Collins ha scritto una storia meravigliosa» sbuffo io cercando di fare l'offesa.
«Invece quando era piccola ogni volta che Jeremy era a casa voleva passare tutta la giornata a leggere il libri di Harry Potter con lui in salotto» questa volta è mia madre quella a ridere mentre parla con Josh. Lui scoppia in una fragorosa risata mentre io mangio una cucchiaiata di gelato al limone.
Il telefono al mio fianco suona, mi alzo e mi avvio verso la piscina.
«Da quanto tempo» rispondo alla persona dall'altro capo del telefono.
«Scusami Effy, ma sono stato davvero impegnato con le ultime riprese» la sua voce è stanca e lo capisco. Lo capisco davvero, perché vedo mio padre quando torna a casa dai set durante le pause o alla fine, ed è veramente stanco.
«Colin, stavo scherzando» rido, mentre mi siedo sul bordo piscina.
«Come stai Effy?» si lascia cadere sul letto, lo sento dal rumore.
«Sopravvivo. Te invece? Come sono andate le riprese della quarta stagione di Under the dome*?».
«Sono stanco, ma mi sono divertito tantissimo come sempre. Ti sei divertita quel giorno che sei venuta sul set?» mi chiede ridendo.
«Sì – urlo entusiasta – È stato stupendo».
«Allora verrai anche durante le prossime riprese se si farà la quinta stagione» mi propone lui entusiasta quanto me.
«Va benissimo» sorrido anche se non mi può vedere «Quando vieni qui? Mi manchi» dico dopo un po'.
«Settimana prossima va bene? - mi chiede – Perché vorrei passare un po' di tempo in famiglia prima di venire da te»
«Certo Col – rispondo contenta – Poi deciderai quanto vuoi rimanere, sai che per me è solo un piacere averti con me e anche mamma e papà saranno contenti»
«Anche io sono contento di venire da te per un po'. Ora ti lascio che sono davvero stanco, a domani Effy. Buona notte» 
«A domani» chiudo la chiamata tutta contenta. 
Mi alzo dal bordo piscina e saltello tutta contenta verso il tavolo dove interrompo la conversazione in atto.
«Colin verrà qui settimana prossima» urlo ancora più entusiasta di prima. Sul volto dei miei genitori si dipinge un sorriso e anche quello di mia nonna, mentre su quello di Josh noto confusione.
«Colin è il migliore amico di Effy» spiega mia mamma a Josh.
«È un attore» aggiunge mio padre 
«Aspetta, Colin Ford? Me ne avevi parlato quando abbiamo fatto quella gita in moto» sorride Josh.
«Sì lui – annuisco energicamente – Ha appena finito le riprese della quarta stagione di Under the dome e visto che non ci vediamo da un paio di mesi dopo aver passato un paio di giorni con la sua famiglia mi raggiungerà» mi risiedo di fianco a lui e finisco di mangiare il gelato.
«Una bimba felice sei» ride Josh.
«Sì» faccio la voce tipica da bambina mentre mi sporco con il gelato la canottiera, cosa che causa risate generali.
Tra una settimana sarò di nuovo tra le braccia del mio migliore amico.






*Under the dome, serie tv giunta alla seconda stagione, mi sono immaginata (anzi spero vivamente) che arrivi alla quarta stagione anzi che prosegua anche oltre.


 
Buon pomeriggio Hutchers, eccomi dopo un mese e qualche giorno. Perdonate il mio ritardo, ma l'arena mi sta distruggendo non ho altro che tempo per studiare, studiare e ancora studiare.
Spero che il capitolo vi piaccia, perchè a me piace (strano ma vero) ed entra nelle vicende della storia anche Connor, e dal prossimo capitolo anche il migliore amico di Effy, Colin.
Bene, ora vi lascio, vado a ripassare diritto che domani ho l'interrogazione [che possa la buona sorte essere sempre a mio favore; che pietà me lo dico anche da sola].
Un bacio, al prossimo capitolo,
-peetarms.

 

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Capitolo 8
*** Migliore amico. ***


*Attenzione: i comportamenti dei personaggi descritti durante la narrazione della fan fiction non sono assolutamente da imitare: quello che fanno e pensano è spesso sbagliato. Con questo mio scritto pubblicato senza scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in qualche modo. La storia è solo frutto di pura fantasia.*



08.



31 Maggio 2016, 8.01pm.


Le risate riempono la stanza. Mi mancava ridere così tanto, mi mancava il mio migliore amico. Rido per l'ennesima cavolata che fuoriesce dalla sua bocca mentre mi riempo la bocca di french-fries.
«Mi mancavi Col» lo abbraccio di slancio e lui mi stringe a se.
«Mancavi anche a me Effy» mi sorride lui prima di baciarmi i capelli.
«Ti va di uscire a fare una passeggiata?» chiedo quando abbiamo finito entrambi di cenare.
Sono passati tre giorni dall'arrivo di Colin e non abbiamo messo piede fuori dal cancello della villa. Abbiamo passato tutto il tempo a fare tutte le cose che ci piacciono e che non facevamo da tempo. Come la maratona dei film di Harry Potter questa notte.
«Così mi fai conoscere questo famoso Josh» mi prende in giro lui. Abbiamo parlato poco di lui ma bastava la mia faccia per fargli capire che qualcosa di diverso nella mia vita c'era.
«Va bene, va bene» mi arrendo dopo dieci minuti passati a supplicarmi. Prendo il cellulare dalla tasca dei miei shorts e scorro i miei contatti fino ad arrivare a "Josh Hutcherson".
«Effy, ciao» mi risponde immediatamente lui.
«Josh, senti stasera io e Colin stavamo pensando di fare un giro in moto – cambio totalmente i piani – Ti va di unirti a noi? Così te lo presento» mi mordo la pellicina del pollice della mano libera.
«Certo, fra un'ora davanti a casa tua?» mi chiede lui entusiasta.
«Sì, a dopo» chiudo la chiamata e osservo il sorriso del mio migliore amico.
«Sei proprio cotta cara la mia Effy» mi passa un braccio sulle spalle e mi incita a camminare.
«Non è vero» ribatto io cominciando a salire le scale.
«Sì, va bene Eff Eff» usa quel terribile nomignolo affidatomi dalla migliore amica di mia mamma.
«Qualcuno questa sera vuole dormire in giardino» lo fulmino con lo sguardo mentre entriamo in camera mia.
«Parli di te?» mi chiede mentre prende una maglia pulita dalla valigia.
«Idiota» dico prima di sparire per una decina di minuti nella mia cabina armadio.
«Sono pronta» esclamo dopo essermi sistemata i capelli davanti allo specchio. Indosso un semplice paio di jeans neri a vita alta, con una canottiera rossa infilata dentro e un giubbotto di pelle e a completare il tutto ci pensano le mie vans nere.
«Andiamo dai» mi incita con una pacca sul sedere.
«Colin» urlo.
«Scusa, è vero. Ora è solo di proprietà Hutcherson» scherza lui mordendomi la mano.
«Ti ho già detto che sei un idiota?» chiedo mentre entriamo in salotto.
«Ti ho già detto che ti voglio un bene dell'anima?» mi sorride lui.
«Non vale, uffa» sospiro sedendomi di fianco a mio papà.
«Uscite?» chiede mia mamma.
«Sì, facciamo un giro in moto e viene anche Josh» rispondo mentre digito velocemente sulla tastiera del mio Iphone.
«Devo prestare la mia moto a Colin allora» adoro mio papà quando mi capisce al volo. Annuisco e dopo aver lasciato un bacio sulla guancia di mia mamma ci avviamo verso il garage. Dopo aver fatto le solite raccomandazioni al mio migliore amico mio papà lo lascia salire sulla sua moto.
«Stai tranquillo Jeremy, andrà tutto bene. Sai che l'ho sempre tenuta d'occhio» mi fulmina lui con sguardo e io rispondo con una linguaccia prima di indossare il mio casco nero.
«Lo so Col – gli sorride mio padre – Buona serata, divertitevi» sorride ad entrambi.
«Grazie papà» alzo il pollice mentre esco lentamente dal garage con la mia moto.



31 Maggio 2016, 10.00pm.

«Ho sentito tanto parlare di te» sorride Josh dopo aver bevuto un lungo sorso dalla sua pinta di birra.
«Ti ha davvero parlato di me?» gli chiede sorpreso mentre mi indica. Non posso fare a meno di scoppiare a ridere.
«So che non ti dimostro molto il mio affetto Col, ma ti voglio davvero tanto tanto bene» la mia voce è quella di una bambina mentre mi avvicino a lui e gli scocco un bacio sulla guancia.
«Dovrò provare a dire quella frase anche io» l'affermazione di Josh fa scoppiare a ridere il mio migliore amico e non posso a fare meno di esserne contenta. Siamo seduti in uno dei pub di Union da circa un ora e i due ragazzi in mia compagnia vanno d'amore e d'accordo.
«Io ho fame» esclamo toccandomi la pancia.
«Fammi indovinare» mi sorride divertito il mio migliore amico dopo aver guardato l'orario sul suo cellulare. Le 10.06pm.
«Nachos» diciamo all'unisono prima di scoppiare a ridere.
«Devi sapere Josh – comincia lui voltandosi verso di lui– Effy ha gli orari per i cibi. La mattina vuole solo il caffè e i pancakes, nel pomeriggio vuole caramelle, cioccolato e altro cibo spazzatura. Mentre quando si fanno le dieci di sera ha sempre voglia di nachos. È peggio di una donna incinta» dice prima di scoppiare a ridere. Risate a cui si unisce ancora una volta Josh. Io incrocio le braccia al petto e metto il broncio.
«Non fai tenerezza a nessuno» mi fa la lingua Colin mentre finisce la sua birra.
«Okay» gli mostro il dito medio, che non fa altro che alimentare le sue risate mentre io fermo la cameriera ordinando una porzione di nachos.
«Visto che mi prendete tanto in giro non toccherete i nachos. Sono i miei tessssori» imito la voce di Gollum per poi bere un sorso della mia pinta.
«Non li voglio a quest'ora. Sai che dopo mi rimangono sullo stomaco e vago per casa come un anima in pena» Colin si volta verso di me con un dito puntato.
«Farei la crocerossina, sai che faccio fatica ad addormentarmi. Almeno farei qualcosa di utile per qualcuno» alzo le spalle mostrando il mio migliore sorriso.
«Voi due insieme mi fate morire giuro» Josh trattiene a stento le risate mentre si tiene la pancia con un braccio.
«Lo so. Ce lo dicono in tanto» gli rispondo dopo aver ringraziato la cameriera che ha portato finalmente la porzione ordinata.
«Pensa che un paio di anni fa, quando ho incontrato Colin non ero così. La mia stupidità è colpa sua» sorrido al mio migliore amico dopo aver mangiato un nachos.
«Non trovi che sia sempre più simpatica?» chiede a Josh ed io li fulmino entrambi con lo sguardo.
«A me piace così com'è» sorride lui ridendo mentre mi guarda.
«Bravo, bravo. Tieni ti sei meritato un nachos» gli passo il piatto da dove ne prende uno «A te niente» mi volto verso il mio migliore amico guardandolo male «E se continui ancora un po' a trattarmi male – metto il broncio – Ti faccio dormire in giardino sul serio» la mia voce inizialmente seria lascia spazio alle risate.
«È pazza» afferma Colin guardando Josh, tutti e tre scoppiamo in una risata.

















 
E dopo otto miliardi di anni arrivo io con il mio triciclo ad aggiornare. Faccio estremamente pena, ne sono pienamente consapevole *si asciuga le lacrime*.

Come avrete capito il rapporto tra Effy e Colin si può descrivere come fraterno e sinceramente era così che li volevo, aw. E Josh ne è testimone, doppio aw.
Ora lascio spazio a voi e ad i vostri commenti attraverso le recensioni.
A presto (spero),

-peetarms.

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Capitolo 9
*** Gare clandestine. ***


*Attenzione: i comportamenti dei personaggi descritti durante la narrazione della fan fiction non sono assolutamente da imitare: quello che fanno e pensano è spesso sbagliato. Con questo mio scritto pubblicato senza scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in qualche modo. La storia è solo frutto di pura fantasia.*





 

 

09.





 

1 Giugno 2016, 09.01am.
 

 

Un cuscino tirato in faccia è la causa del mio risveglio. Scattò in piedi, sapendo già chi è stato.

«Colin» urlo infuriata rincorrendolo fuori dalla stanza.

Nonostante le innumerevoli camere nella villa dei miei genitori, io e Colin dormiamo nella stessa stanza. Anzi, precisamente lui dorme con me nel mio letto matrimoniale. Lo ha sempre fatto da quando è venuto a conoscenza dei miei incubi. Mi tiene strette a se, e in un certo senso mi sento protetta e dormo più serena.

«Dimmi luce dei miei occhi» scherza lui saltando sul divano. Prendo un cuscino e glielo tiro in piena faccia facendolo scoppiare a ridere più forte.

«Ti odio» sbuffo lasciandomi cadere sull'altro divano mentre lo fulmino con lo sguardo.

«Non è vero, tu mi vuoi tanto bene» sorride lui mentre fa l'ingresso in salotto mio padre sorridendoci.

«Buongiorno Col, buongiorno tesoro» si avvicina e mi lascia un bacio tra i capelli.

«Se Colin mi avesse lasciato dormire ancora un po' sarebbe stato un buon giorno» sbraito alzandomi dal divano e dirigendomi in sala da pranzo. La tavola è apparecchiata di tutto punto per la colazione.

«Buongiorno Effy» mi sorride mia madre uscendo dalla cucina.

Vendono sorrisi per le strade di Union? No perché ne ho assolutamente bisogno visto il mio livello di rabbia.

«Giorno» mugugno prendendo un biscotto dal contenitore ma mia madre mi ammonisce con lo sguardo. Sbuffo e lo lascio ricadere dentro. Esco anche dalla sala da pranzo e salgo le scale intenta a recuperare il mio cellulare nei jeans in camera.

 

Da: Josh.
Buongiorno, piccola :)

 

Anche lui? Sbuffo e dopo avergli risposto un misero "Giorno" sento la voce di mio padre chiamarmi per la colazione. Scendo velocemente e poco dopo sono seduta a tavola con un piatto di pancakes con le more e una tazza di caffè fumante.

«Vi siete divertiti ieri sera?» chiede mia madre mentre facciamo colazione. Io alzo il pollice mentre il mio migliore amico apre bocca.

«Sì, Josh è un tipo simpatico»

«Sì lo credo anche io» risponde mio padre, alzo gli occhi al cielo e continuo a mangiare affamata i miei pancakes.

«Tesoro sembra che non mangi da giorni» scherza mio padre guardandomi.

«Non può nutrirsi dei baci di Josh quindi si deve accontentare dei pancakes» mi deride il mio migliore amico ridendo e in risposta riceve uno schiaffo sul testa e un'occhiataccia.

«Quindi tu e Josh state insieme?» mi chiede sorpresa mia mamma.

«Dio, no» rido.

«Come no?» è ancora più confusa.

«Siamo amici» alzo le spalle per poi bere un sorso della mia bevanda preferita.

«Amici con benefici» di nuovo Colin. Si diverte da morire. Gli tiro un calcio e lui per poco non si soffoca con il pane tostato.

«Ascoltate, io e Josh non stiamo insieme. Siamo buoni amici, non ascoltate questa testa di cazzo di fianco a me» lo indico mentre lui continua a ridere.

«Elizabeth, le parole» mia madre e la sua educazione.

«Perdonami Amanda» mi scuso solo per evitare altre discussioni.

«Effy hai mangiato pane e acidità come spuntino di mezzanotte?» fa il suo ingresso Marshall.

«Marshall non ti ci mettere anche tu per favore» sbuffo sonoramente. Cos'è? Ce l'hanno tutti con me oggi?

«Buongiorno anche a te dolcezza» risponde sarcastico.

«Dite tanto che io sono quella acida, ma voi sprizzate gioia da tutti i pori. Vendono felicità per le strade di Union?» domando sbuffando, di nuovo.

«No, se no ti avremmo informata già da tempo» mi prende in giro il mio migliore amico. Gli tiro un altro schiaffo, questa volta sul braccio prima di uscire inviperita dalla stanza. Vaffanculo al loro buon'umore.

 

 

Dopo due ore passate sul lettino in giardino, sperando di far diventare la mia pelle bianca come il latte di un colore un po' più scuro mi raggiunge mio padre.

«Passata l'acidità?» mi chiede divertito. Gli alzo il dito medio, avrei voglia di buttarlo in piscina. Completamente vestito.

«No» ringhiò rimettendomi i miei occhiali da sole.

«Effy, non hai preso le tue medicine» non avevo neanche notato che mio padre ha tra le mani un bicchiere d'acqua e l'astuccio con i miei psicofarmaci.

Alzo gli occhi al cielo e prendo quelle dannate medicine. «Ha chiamato il dottor Bren» comincia mio padre. Mi giro sul fianco e mi infilo le cuffiette. Non ho voglia di sentire.

«Effy» mi rimprovera lui togliendomi gli auricolari e prendendo anche il mio cellulare.

«Che vuoi?» oggi non è giornata. Quindi è inutile che continuino a parlarmi. Sanno che in giornate come queste è meglio lasciarmi per i fatti miei. Colin lo sa. Infatti non l'ho più visto da colazione.

«Dobbiamo seriamente parlare» il suo sguardo è serio così come la sua voce.

MI alzo dal lettino ignorandolo e mi tuffo in acqua.

«Elizabeth Alexis Jensen» tuona mio padre incrociando le braccia.

Quando usa il mio nome intero è davvero infuriato, ma io lo sono di più. Continuo ad ignorarlo e mi immergo rimanendo in apnea.

«Ci rinuncio» urla appena riemergo. Sorrido vittoriosa mentre lo vedo allontanarsi per rientrare in casa.

 

 

Evitare il pranzo non è mai stato così semplice. Mia madre è rinchiusa nella sala fitness intenta in una conversazione al telefono con la sua migliore amica. Mio padre e Marshall sono rinchiusi nell'ufficio di mio padre a discutere i dettagli del film. Mentre Colin si è addormentato davanti alla tv. Salgo velocemente le scale che portano in camera mia e mi tolgo il costume a due pezzi nero. Entro nella doccia, mi lavo velocemente per poi indossare un intimo di pizzo e shorts chiari strappati con una canotta blu notte. Fa decisamente caldo nonostante siamo in Kentucky.
Infilo le mie vecchie ma fedeli vans nere consumate, dopo di che prendo una felpa nera dalla cabina armadio e recupero il casco insieme alle chiavi della mia moto. Veloce come sono entrata, esco. La voglia di stare in quella casa quando sono giornate no, diminuisce drasticamente. Salgo in sella alla moto e parto veloce ignorando persino il saluto del nostro giardiniere, Howard.
Appena esco dal cancello aumento la velocità, l'adrenalina scorre nelle mie vene e un sorriso torna sul mio viso. Ripensando ad una delle cose che mi faceva eccitare del mio periodo buio. Le gare clandestine. Pericolo, pazzia, adrenalina. Sqe hai queste caratteristiche sono gare che fanno per te. Ero una delle migliori a New York. Vincevo quasi sempre il primo posto, denaro. Denaro che depositavo sul mio conto corrente bancario visto che di soldi ne avevo già, e anche troppi.

[...] Mi sveglio di soprassalto, con il battito veloce. Guardo l'ora sul display del mio telefono. 00.42am. Devo iniziare a prepararmi.

Scendo velocemente dal letto e indosso un paio di jeans neri e una felpa nera larga con un capellino di Adam. Infilo le mie vans nere e lascio i capelli sciolti. Recupero il cellulare, le sigarette con l'accendino e il portafoglio. Esco velocemente di casa facendo il minimo rumore per evitare di svegliare i miei genitori.

Ad aspettarmi al cancello c'è Adam. Sorride. Mi avvicino a lui e gli lascio un bacio casto. Ma lui mi tira se dandomi un bacio che di casto non ha nulla. Le mie mani affondano nei suoi capelli neri scompigliati mentre le sue sono posizionate sul mio fondoschiena.
Gli mordo il labbro tirandogli delicatamente anche il piercing.

«Mi farai impazzire uno di questi giorni» mormora lui sulle mie labbra prima di riprenderle a baciarle con foga. Mi liberp dalla sua presa e lui ringhia ontrariato.

«Faremo tardi» incrocio le braccia al petto mentre lui mi guarda malizioso.

«Più tardi» asserisco prima di infilarmi il casco. In venti minuti siamo al punto di raccolta fuori New York. C'è già una grande folla nonostante le gare inizino alle due e mezza. Veniamo accolti da una piccola folla, Chris, Mark, Luke, Rick, Travis, Charlie, Christine e Marika. La nostra compagnia. Sorrido mentre vedo gente seduta a chiacchierare sul cofano della propria auto o appoggiata alla propria moto. Chi beve, chi fuma e chi ingoia qualche pasticca o acido. Gente che si accoppia ignorando il fatto che sono in mezzo alla folla. I soldi che girano e le urla che aumentano ogni minuto sempre di più. Sorrido mentre faccio un tiro dalla canna passatami da Chris.. 
Mi circonda le spalle con un braccio e ci allontaniamo leggermente dalla compagnia.

«Prima correranno le auto e poi le moto» mi spiega guardandomi intensamente negli occhi vuoti.

«Contro chi gareggio questa sera?» domando mentre gli sfioro il pomo d'Adamo.

«Handy, Cruch e Sammy» me li elenca. Sorrido, un gioco da ragazzi.

«Quanto c'è in palio questa sera?» urlo sovrastando la musica e le urla.

«Diecimila il primo posto, settemila il secondo» mi sorride sapendo che vincerò quei dieci mila anche correndo ad occhi chiusi.

«Effy» la voce roca di Adam mi fa girare. Non faccio in tempo a replicare che si è già impossessato delle mie labbra. Lo faccio indietreggiare fino a farlo scontrare contro la prima auto per lasciargli le labbra e passare al collo. Glielo torturo, mordendo, leccando e succhiando. Lasciandogli un bel marchio.

«Finiamo dopo» disse mordendomi forte il labbro e stringendomi una natica.

«Non vedo l'ora» sussurrò al suo orecchio maliziosa per poi mordergli il lobo.

«Ti farei mia anche qui, adesso» i suoi neri brillavano dalla lussuria. Sorrisi perché tutto questo era a causa mia.

«Se tu non dovessi gareggiare» mi strinse forte a se per poi coccolarmi per qualche minuto. Il nostro rapporto è malato. Ci facciamo del male ma allo stesso tempo del bene.

«Pronta a spaccare i culi a tutti anche questa sera?» urlò Charlie rovinando i pochi momenti di dolcezza tra me e Adam.

«Ci puoi scommettere rossa» urlo eccitata dopo aver lasciato un ultimo bacio a stampo al mio ragazzo.

«Sono partite le auto. Cinque minuti e tocca a te» dice Mark avvicinandosi.

«Andiamo piccola» Adam mi carica sulla sua spalla mentre io rido per poi ritrovarmi davanti alla sua moto.

«Stai attenta» ecco che ricomincia con la sua solita preoccupazione mentre mi passa il casco.

«Stai tranquillo. Questa sera sarà un gioco da ragazzi» lo rassicuro con un ultimo bacio prima di infilarmi il casco e dirigermi di fianco ai miei tre avversari.

Tre. Due. Uno. La bandiera cade e io parto accelerando. L'adrenalina comincia subito a scorrere tra le mie vene e aumento ancora di più la velocità. Rido divertita quando taglio il traguardo e vengo travolta dai miei amici, prima di ritrovarmi tra le sue braccia e sentire il profumo di menta, alcool, fumo. Profumo di Adam. [...]

Appena mi riprendo dallo stato di trance in cui sono caduta mentre guido noto la moto di Josh dietro di me. Rallento fino a fermarmi vicino ad un bosco. Smonto e mi tolgo il casco. Lui fa lo stesso. Il suo viso è furioso.

«Cosa credevi di fare? Volevi ammazzarti Effy? Stavi andando minimo ai 150 chilometri orari» urla lui in preda alla rabbia. Apro la bocca più volte in cerca di una risposta sensata, ma non la trovo. Così rimaniamo lì: lui che mi guarda torvo e io che cerco in tutti i modi di trovare una risposta soddisfacente. Ma so che non la troverò perché sono in torto.

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Capitolo 10
*** Tatuaggio ***


*Attenzione: i comportamenti dei personaggi descritti durante la narrazione della fan fiction non sono assolutamente da imitare: quello che fanno e pensano è spesso sbagliato. Con questo mio scritto pubblicato senza scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in qualche modo. La storia è solo frutto di pura fantasia.*

 

 

Capitolo 10.

 

 

1 Giugno 2016, 2.14pm.

 

«Effy, diavolo ti fermi?» mi urla per la milionesima volta Josh mentre io mi addentro sempre di più nel bosco.

«Cosa vuoi?» mi volto verso di lui arrabbiata, neanche io so per quale motivo.

«Cosa ti succede?» domanda una volta che mi sono fermata.

«Non ti hanno insegnato che non si risponde ad una domanda con un'altra domanda?» urlo acida.

«Smettila di fare la stronza e rispondimi» Josh è davvero infuriato, solo quando è arrabbiato usa quel determinato linguaggio.

«Non mi succede nulla, proprio nulla» mi appoggio alla corteccia dell'albero dietro di me.

«Infatti, tutti corrono a quella velocità normalmente» incrocia le braccia al petto e comincia a battere nervosamente il piede sul terreno.

«Ricordi, flashback chiamali come cavolo ti pare, quelli mi hanno spinto a correre a quella velocità» ammetto dopo minuti esasperata visto che il suo sguardo è fisso su di me.

«Ricordi di cosa?» si avvicina titubante a me ma lo allontano con la mano.

«Non ti avvicinare» sibilo «Non ne voglio parlare» con uno scatto comincio a correre lontano da lui diretta alla mia moto.

 

 

6 Giugno 2016, 4.32pm.

 

«Allora Elizabeth, come mai sei qui di nuovo?» la voce del mio psicologo rompe il silenzio calato nel suo studio da oramai quasi dieci minuti.

«Effy non Elizabeth» rispondo immediatamente acida.

«Ti hanno costretto a venire?» finge indifferenza al mio tono di voce e continua.

«Sì» stringo le mani un pugno per contenere la rabbia.

«È tornata la rabbia?» mi indica le mie mani.

«No» lascio subito la presa.

«Lo sai che riesco a capire quando menti, vero?» quelle dannate parole che mi ripeteva ad ogni seduta.

«Allora, mi racconti come mai i tuoi genitori mi hanno chiamato preoccupati?» mi domanda con tono gentile.

«No» il mio tono è perentorio e non ammette repliche.

«Effy» mi riprende immediatamente lui come fa un padre con il proprio figlio.

«Non voglio parlare perché non è successo niente, sono esattamente la stessa persona dell'ultima seduta» scatto in piedi.

«No, non è vero» esclama mentre mi avvicino alla finestra.

«Come volete voi» alzo le spalle esausta.

«Ti devo aumentare le dosi dei medicinali, Effy» esclama dopo parecchi minuti di silenzio dove fisso le vie trafficate di New York.

«Non li voglio più prendere» mi volto verso di lui arrabbiata.

«Effy, invece dovrai continuare a prenderli e aumenteranno anche» si passa una mano sul viso.

Odio. L'odio è l'unico sentimento che riesco a provare in questo momento. Odio puro verso mio padre, verso mia madre, verso Colin ma soprattutto verso Josh che ha raccontato tutto ai miei genitori. Appena hanno saputo hanno fatto irruzione nella sala del cinema dove mi trovavo a vedere un film con il mio migliore amico ed hanno spento puntandomi un dito contro con quello sguardo. Lo sguardo di quando hanno scoperto la verità, di quando hanno saputo della droga, dell'autolesionismo, delle gare clandestine e di tutto quello accaduto dopo la morte di Freddie. Non mi hanno neanche voluto ascoltare, avevano già deciso di farmi tornare a New York per riprendere le sedute con il dottor Bren. Mi hanno prenotato il primo volo per la mia città natale e chiamato subito dopo i miei zii domandandogli se potessi rimanere da loro per un po' di tempo.

Colin non ha fatto nulla, non ha cercato di parlarmi o provare a capire cosa stesse succedendo. Niente, ha preso il volo per tornare a casa lo stesso giorno della mia partenza.

Sto evitando tutte le chiamate e i messaggi provenienti da Josh, sto facendo anche un pensiero di bloccare il suo numero. Ed ora sono in questo studio, in questa stanza dove ho affrontato tutti i miei demoni con l'uomo seduto sulla poltrona di pelle, per la quarta volta in quattro giorni.

«Effy, ne eri uscita... Eri riuscita a risollevarti cosa ti sta facendo sprofondare nell'abisso di nuovo?» il dottor Bren è alle mie spalle.

Non rispondo. Perché non voglio e perché non saprei neanche cosa rispondere.

«Per oggi direi che è abbastanza anche se non hai parlato per niente» sospira risedendosi alla sua scrivania dove scrive qualcosa nella mia cartella.

Mi dirigo velocemente alla porta ma la sua voce mi ferma «Domani alle cinque, Effy» esclama prima che io esca definitivamente da quella porta.

Scendo a due a due le scale dell'edificio e poco dopo mi ritrovo a contatto con l'aria di New York, la mia città. Dio quanto mi era mancata. Estraggo una sigaretta dal pacchetto e prendo l'accendino che subito dopo scatta accendendo la paglia. Comincio a camminare per le caotiche vie, mi fermo a prendere un caffè da Starbucks. Due ore dopo mi ritrovo davanti alla villetta di proprietà dei miei zii.

«Effy» mi saluta mio zio appena mi chiudo la porta alle spalle.

«Ciao» dico freddamente prima di salire le scale e chiudermi in camera.

 

 

7 Giugno 2016, 4.05pm.

 

Mancano cinquantacinque minuti alla prossima seduta con il Dottor Bren, e la mia voglia di andare è inesistente. Cammino in una delle vie vicino all'edificio dove si trova il suo studio e decido di togliermi uno sfizio che mi sono tenuta dentro da troppo tempo. Varco la soglia del negozio di tatuaggi e una ragazza bionda ossigenata piena di piercing e tatuaggi mi accoglie con un sorriso.

«Benvenuta» esclama mentre mi avvicino a lei.

«Ciao, vorrei farmi un tatuaggio» i miei occhi grigi-azzurri entrano in contatto con quelli marroni della ragazza.

«Certamente, puoi accomodarti nella seconda stanza a destra e ti mando subito qualcuno» mi dice prima di scomparire dietro ad una porta socchiusa che non avevo notato. Mi volto e imbocco il corridoio per poi entrare nella stanza dettami. 
L'ambiente è esattamente come me lo aspettavo. Un lettino nero al centro della stanza con di fianco la macchina per fare i tatuaggi con i vari disinfettanti e prodotti, le pareti sono di color bordeaux in contrasto con i disegni sui fogli bianchi attaccati e infine vicino alla porta è posizionata una poltrona di pelle nera. Scrollo le spalle e mi siedo sul lettino aspettando il tatuatore. Il cellulare cominciare a suonare, lo estraggo dalla borsa e leggo il nome sul display "Josh". Sbuffo sonoramente e rifiuto la chiamata quando la porta si apre. Alzo lo sguardo dal telefono e i miei occhi entrano subito in contatto con un paio di iridi grigie che conosco anche troppo bene.

«Effy» la sua voce è sorpresa e indietreggia toccando la schiena con la porta.

«Cosa ci fai tu qui?» la mia voce di alza di un decibel.

«Ci lavoro?» chiede ironico.

«Bene» scrollo le spalle. Scendo dal lettino per appoggiare la mia borsa sulla poltrona dove poco dopo ci finisce anche la mia maglietta a maniche corte nera.

«Cosa fai?» si avvicina a me.

«Mi sono tolta la maglietta?» uso il tono utilizzato poco prima da lui.

«Per quale motivo?» sbuffo, odio quando qualcuno risponde ad una domanda con un'altra domanda e lui lo sa bene.

«Scusa» non se lo è scordato.

«Il tatuaggio lo voglio sulla schiena» spiego velocemente stendendomi sul lettino. Lo sento deglutire rumorosamente prima di sedersi sullo sgabello.

«Come stai?» mi chiede indossando dei guanti di lattice.

«Vorrei un Sakura» evito la domanda.

«Effy»

«Dal fianco destro fino a metà schiena, colorato» aggiungo.

Lo sento sbuffare «Perché?»

«Lo sai benissimo» rispondo acida.

Rimane zitto e comincia a lavorare. La mano libera appoggiata sulla mia pelle nuda mi causa brividi e ricordi per tutto il tempo. Trenta minuti più tardi dopo aver pulito, sterilizzato e aver applicato una pellicola protettiva trasparente sul tatuaggio mi porge la sua mano per farmi scendere dal lettino a causa del dolore.

«Sei talmente magra che avrai sentito tanto di quel dolore» mormora quando mi avvicino alla poltrona per indossare di nuovo la mia maglietta.

«Ho sopportato dolori ben peggiori, e lo sai» lo guardo intensamente.

«Lo so, Effy ma-»

«Devo andare» lo blocco immediatamente, non voglio sentire altre scuse o spiegazioni.

«Okay, non togliere la benda per le prossime due\tre ore. Potrai lavare il tatuaggio dopo tre ore con acqua tiepida e sapone neutro. Devi comprare "Tattoodrome Aftercare" che dovrai applicare leggermente due volte al giorno, avendo l'accortezza di lavarti sempre bene le mani. Prima della doccia applica uno strato più consistente di crema in modo da impermeabilizzare il tatuaggio.
È comunque meglio tenere il tatuaggio il più asciutto possibile. Evita per i prossimi cinque giorni sforzi fisici, palestra, corsa, che ti causerebbero sbalzi di pressione dannosi per la tenuta del colore.
Non grattare o togliere prematuramente le crosticine. Fai attenzione ad eventuali elastici, spalline o etichette degli indumenti che sfregano sulla parte tatuata. Se il tessuto dovesse attaccarsi al tatuaggio non strappare: bagna il tessuto con acqua calda e rimuovilo delicatamente. Evita assolutamente il sole o le lampade abbronzanti fino a guarigione ultimata, in seguito è preferibile applicare una protezione a schermo totale. Dopo due settimane devi tornare a farti controllare il tatuaggio» non l'ho mai sentito parlare con professionale. Deglutisco e annuisco prima di recuperare la borsa. Mi avvicino alla porta ma la sua voce mi blocca.

«Effy» non mi volto, non voglio incontrare di nuovo i suoi occhi.

«Dimmi»

«Sei ancora più bella» il suo tono è sincero.

«Grazie» mormoro aprendo la porta.

«Ciao Effy» dice con voce triste.

«Ciao Adam» mi dirigo verso la cassa e dopo aver pagato esco velocemente dallo studio. Mille emozioni, ricordi e sensazioni fanno a gara dentro di me. Guardo l'ora sul display. 4.57pm. Comincio a camminare verso l'edificio con talmente tanti pensieri che non mi accorgo che sono già davanti alla porta dello studio del dottor Bren.

«Effy» sorride, mi mette una mano dietro la schiena invitandomi ad entrare ma sussulto.

«Cos'hai fatto?» mi domanda immediatamente.

«Nulla, solo un tatuaggio» alzo le spalle dopo aver appoggiato la borsa sulla poltrona.

«Posso vederlo?» mi chiede titubante.

Non rispondo, mi limito a voltarmi di spalle ed alzare la maglietta fino alla fine del tatuaggio.

«Sakura, il ciliegio» esclama appena mi risistemo.

«Già» incrocio le braccia al petto.

«I fiori di ciliegio rappresentano la fugacità della bellezza e la morte delle persone giovani. L'hai fatto per tuo fratello vero?» si siede nella poltrona e poco dopo lo seguo mentre annuisco.

«È un bel gesto» mi sorride debolmente.

«Lo so» mi metto in una posizione comoda senza appoggiare la schiena.

«Ho incontrato Adam allo studio di tatuaggi, è stato lui a farmelo» sospiro dopo minuti di silenzio dove ho riflettuto se dirglielo o meno.

«E come è stato rivederlo?» accavalla le gambe mentre mi osserva in attesa di risposte.

«Un turbine di emozioni. Sono ancora sconvolta» abbasso lo sguardo sulle mie vans nere rovinate.

«Ne avete passate tante insieme, è normale» mi rassicura lui «Quanti anni ha ora?» chiede subito dopo.

«Ventuno, è più grande di me di due anni» sospiro mentre sento gli occhi inumidirsi.

«Lo ami ancora?» domanda diretta.

«Non lo so, non credo. Il nostro amore è sempre stato sbagliato, era un amore malato. Stavamo insieme solo perché entrambi dovevamo riempire il vuoto che avevamo dentro» alzo lo sguardo su di lui prima che un ricordo mi offuschi la mente.
 

[...] Cammino imperterrita tra i corridoi della scuola non curante delle occhiate e dei commenti sul mio conto. Essere la figlia di una modella e di un attore di fama mondiale era da sempre stato complicato: le amicizie che si rivelavano soltanto rapporti convenzionali per la scala sociale, il voler arrivare soltanto ai miei soldi o a visitare la villa di proprietà dei miei genitori a Manhattan, il prendere parte ad eventi esclusivi, conoscere persone famose e potrei andare avanti per ore intere ma il cellulare nella tasca della felpa di Adam vibra, segno di un nuovo messaggio. Lo estraggo dopo aver inserito la combinazione dell'armadietto.

Da: Adam.
Vengo io a prenderti all'uscita, dobbiamo passare un po' di tempo insieme visto che non sarai mia per questo fine settimana.

 

A: Adam.
Grazie per avermelo ricordato.

Sbuffo e premo invio. Prendo il libro di storia e sbatto l'armadietto mentre il suono della campanella irrompe nei corridoi.

Ripongo il cellulare nella felpa e mi avvio all'aula dove mi attendono le ultime due ore del venerdì: storia.

La campanella di fine giornata è un piacere per le mie orecchie. Infilo il quaderno con gli appunti e il libro evidenziato nello zaino, dove li raggiunge poco dopo l'astuccio.

Esco velocemente dall'aula, ignorando chiunque voglia cominciare una conversazione con la sottoscritta. Sorpasso l'ingresso principale e cammino spedita per il parcheggio dove noto immediatamente Adam appoggiato alla sua moto intento a fumare una sigaretta. I jeans chiari strappati sul ginocchio e la felpa nera che si intravede da sotto il giubbotto blu non rendono giustizia al suo meraviglioso corpo. Appena si accorge della mia presenza lancia lontano la sigaretta per poi avvicinarsi a me. Mi cinge con violenza la vita e si appropria delle mie labbra con avidità e passione.

«Se ti comporti così ogni volta che mia madre mi costringe a presenziare ad una delle sue sfilate, accetterò più spesso» mormoro tirandogli i suoi capelli neri.

«Non è per quello. Ma per gli sguardi dei ragazzi su di te» sbuffa allontanandosi da me.

«Sei geloso, Adam?» domando incredula.

«No» esclama immediatamente «Mi da solo fastidio che ti fissino» contrae la mascella.

«Peccato che a me non interessino minimamente» alzo le spalle sfilandogli la sua sigaretta appena accesa.

«Effy, diavolo, lo so. Ma mi infastidisce comunque» ringhia riappropriandosi della sua sigaretta.

«E ritorniamo alla gelosia» incrocio le braccia.

«Non sono geloso» afferma guardandomi duramente.

«Va bene. Allora andiamo da te o dobbiamo rimanere a dare spettacolo nel parcheggio della scuola?» mi avvicino sensualmente a lui.

«Assolutamente da me» mi risponde dopo avermi morso il labbro.

Dieci minuti dopo siamo sotto il condominio di Adam. Mentre saliamo le scale il cellulare comincia a suonare e mi costringe a staccarmi dalle labbra del ragazzo con i capelli neri.

«Che vuoi mamma?» sbuffo mentre mi scosta i capelli per incominciare a lasciarmi baci e morsi lungo il collo.

«Ti ricordi che alle otto abbiamo l'aereo, vero Effy?» mi domanda.

«Sì, ti raggiungo direttamente in aeroporto ora sono da amici. La valigia è pronta, è sul mio letto. Ciao» chiudo la chiamata e mi avvento sulle sue labbra con disperazione.

«Effy» urla Christian appena chiudiamo la porta alle nostre spalle. Mi stacco nuovamente dalle labbra di Adam per rivolgere la mia attenzione al ragazzo biondo.

«Chris» gli salto in braccio. Lui ed Adam condividono un appartamento da qualche mese visto che sono diventati entrambi maggiorenni.

«Come stai?» mi scompiglia i capelli mentre io rido.

«Tutto bene» mento spudoratamente «Tu?»

«Bene» mi lascia un bacio sulla guancia e mi rimette a terra.

«Andiamo?» mi domanda Adam abbracciandomi da dietro.

«Andiamo» rispondo ricominciando a baciarlo. Arranchiamo con fatica alla sua camera e dopo averla chiusa mi sbatte contro di essa.

«Piccola, per quanto mi piaccia vederti con la mia felpa ora come ora ti preferirei senza» sussurra contro le mie labbra mentre mi alza lentamente la felpa lasciandomi con il reggiseno nero di pizzo.

«Così non vale, se io sono senza felpa anche tu lo devi essere» gli sfilo di scatto la felpa, e mi perdo per un attimo a ripassare con le dita le linee dei suoi numerosi tatuaggi.

«Ti ho mai detto che sei così sexy quando ripassi con le tue piccole dita i miei tatuaggi?» soffia al mio orecchio.

«Me lo dici ogni volta che finiamo a letto» gli mordo il lobo dell'orecchio e poco dopo mi ritrovo sollevata da terra. La mia schiena nuda si ritrova a contatto con il muro freddo mentre le labbra di Adam sono sul mio collo.

Dopo cinque minuti di baci roventi e passionali mi ritrovo sul suo letto privata del reggiseno e dei jeans stretti. Armeggio con la sua cintura e poco dopo mi ritrovo di fronte alla sua erezione, gli calo i boxer e comincio a dargli piacere. Sorrido soddisfatta per poi alzarmi di scatto spingendolo contro il muro dopo aver incollato le nostre labbra. E' un bacio disperato, passionale, pieno di eccitazione.

«Effy» ansima sulle mie labbra.

«Dimmi» gli mordo il labbro inferiore causandogli un gemito.

«Ti voglio, ora» dice disperato. Sorrido, non mi stancherà mai vedere l'effetto che gli faccio. Mi allontano da lui facendo marcia in dietro per poi lasciarmi cadere sul letto. Adam mi raggiunge in pochissimi secondi e mi sfila gli slip di pizzo coordinati con il reggiseno che è finito sul pavimento minuti prima. Rido divertita ed eccitata mentre lui mi lascia baci in ogni parte del corpo.

Appena incrocio i suoi occhi la risata mi muore in gola. Noi due con gli occhi uguali, rossi a causa della droga e lucidi per l'eccitazione. Mi ruba un bacio veloce prima di entrare dentro me. Le spinte sono sempre più veloce e i gemiti riempono la stanza. Vengo poco prima di lui, e ringrazio la pillola anticoncezionale per permettermi di sentire Adam in tutto e per tutto. Si accascia ansimante di fianco a me sul letto e mi tira a se.

«Adam» lo richiamo con fiato ancora pesante.

«Dimmi mia piccola Effy» mi accarezza i capelli.

«Non mi lasciare anche tu» mormoro con voce spezzata.

«Non lo farei mai, sei la mia piccolina» mi bacia la fronte prima di stringermi a se, e io mi godo uno dei pochi momenti dove Adam è dolce. [...]

«Non piangere» la voce del dottor Bren mi riporta alla realtà. Lacrime salate e amare scorrono sul mio viso. Mi aveva promesso che non mi avrebbe lasciata, ma lo ha fatto.

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Capitolo 11
*** Lussuria ***


*Attenzione: i comportamenti dei personaggi descritti durante la narrazione della fan fiction non sono assolutamente da imitare: quello che fanno e pensano è spesso sbagliato. Con questo mio scritto pubblicato senza scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in qualche modo. La storia è solo frutto di pura fantasia.*

 

 

Capitolo 11.

 

10 Giugno 2016, 5.34pm.

 

«Effy devi collaborare o tutte queste sedute saranno inutili» strilla esasperato il dottor Bren.

Porto le gambe al petto ignorando il mal di testa martellante e le sue parole.

«Elizabeth, non costringermi a ricoverarti di nuovo. Non ti voglio vedere di nuovo su un lettino d'ospedale ma i fatti parlano chiaro: il tuo peso è calato, i tuoi occhi sono rossi, le occhiaie più marcate, e non riesci a nascondere il mal di testa. Le tue vecchie e cattive abitudini sono tornate» mi fissa negli occhi.

«Cazzate» urlo.

«Smettila di mentire a te stessa Effy. Sei tornata da Adam, vero? Il tuo legame con lui non si è mai spezzato e quando lo hai rivisto non ha più lasciato la tua mente, giusto?»

Taccio mentre so che quella è la verità «A Josh non ci pensi? A tua madre? A tuo padre? A Colin?» domanda arrabbiato.

«Non gli importa se no non mi avrebbero messo sul primo aereo per New York senza discuterne» scrollo le spalle.

«Parli di te come se fossi un pacco postale»

«Lo sono. Lo sono sempre stata. La mia infanzia si è svolta tra set cinematografici, passerelle, mostre cinematografiche, galà e settimane della moda» urlo arrabbiata.

«Hai ricominciato a bere?»

«Sì» la mia voce è fredda.

«Hai ricominciato ad assumere droghe?»

«No» mento.

«Elizabeth» mi rimprovera.

«Cocaina ed ecstasy» sospiro.

«Per quale motivo?»

«Mi mancava l'effetto di leggerezza che provavo quando le assumevo, mi mancava la droga in generale» faccio spallucce.

«Sai che è grave quello che mi hai appena detto, vero?»

«Può darsi» mi alzo diretta alla finestra.

«Sei andata a letto con Adam?» domanda dopo un po'.

«Forse sì, forse no, chi lo sa» rispondo mantenendo lo sguardo sulle vie trafficate della grande mela.

«Rispondi alla domanda»

«Non mi va» sbuffo.

«Hai ricominciato ad odiarti?»

«Forse»

«Elizabeth»

«Effy» urlo esasperata mentre guardo l'orologio sulla parete.

«Hai rovinato tutto, lo sai questo?» scrollo le spalle indifferente «Hai un ragazzo che ti ama, una famiglia che farebbe di tutto per te, ma tu invece ti rovini la vita con un ragazzo che si diverte con il tuo corpo e assumendo droghe» la sua voce è arrabbiata.

«Josh non mi ama, e io non lo amo. La mia famiglia è distrutta, mio fratello è morto, glielo devo ricordare dottor Bren? Mia madre è sempre in viaggio e mio padre è impegnato con il ragazzo che lei dice che mi ama nel set del suo primo film da produttore. A nessuno importa, ma a quanto pare ad Adam si» mi siedo di nuovo sulla poltrona accavallando le gambe coperte da delle calze a rete abbinate con una maglia a maniche corte non troppo lunga nera.

«Sei arrabbiata e questo lo capisco, ma sfogarti con i rapporti sessuali e la droga non ti farà stare meglio, quante volte te lo devo ripetere? Ci sono altri metodi per far uscire la rabbia»

«Ma non sono divertenti e non ti appagano così tanto» sorrido maliziosa.

«La vecchia Effy è tornata a quanto pare» si stropiccia gli occhi dopo essersi tolto gli occhiali.

«Non se ne è mai andata, era in stand by per far contenta i suoi genitori» sputo acida.

«Per quale motivo hai finto allora?»

«Perché non ne potevo più delle loro moine, e visto che hanno ripreso a trattarmi come come mi trattavano prima ho deciso di smettere di fingere»

«E i tuoi progetti riguardo al futuro? Non volevi diventare un ingegnere?»

«Non mi importa più così tanto, era per tenere buono mio padre»

«Effy, sai che dovrò mettere al corrente i tuoi genitori della tua situazione vero?»

«Lo faccia pure, non mi importa» mi alzo dopo aver recuperato la borsa «L'ora è finita, ci vediamo dottor Bren»

 

13 Giugno 2016, 11.39pm.

Guardo Adam appoggiato alla parete della sua camera mentre io sono stesa sul suo letto.
Indossa un semplice paio di jeans corti chiari e una canottiera larga nera. I suoi occhi sono fissi sul mio corpo coperto - per modo di dire - da un paio di short neri piú corti del normale e un top nero che mostra il tatuaggio dedicato a mio fratello e da cui si intravede il reggiseno in pizzo rosso. Il suo colore preferito, mi ritrovo a pensare.
"Hai intenzione di fissarmi ancora per molto?" sbuffo spazientita.
"Non è colpa mia se sei così sexy. Lo sei diventata ancora di più" sposta le sue iridi dal mio corpo ai miei occhi con un ghigno divertito.
"Tu sei sempre uguale" mento guardandolo.
Adam scoppia in una fragorosa risata prima di posizionarsi davanti a me.
"Sai che non é così piccola" afferra il mio viso prepotentemente con due dita dopo essersi leggermente abbassato e baciare più violentemente del normale le mie labbra.
"Allora? Sono sempre uguale?" inarca il sopracciglio destro dopo essersi staccato dalla mia bocca.
"Sì" mento, di nuovo.
"Effy, Effy.. non ti conviene provocare il diavolo, potrebbe non rispondere delle sue azioni" mi guarda severo ma con una luce maliziosa nei suoi occhi.
"Mi piace provocare il diavolo" mi alzo dopo essermi sfilata il top, incollando il mio petto al suo "E mi piacciono ancora di più le sue conseguenze" soffio sul suo orecchio mentre percorro il suo petto lentamente con un dito.
"Quanto ti dona il rosso" mormora quando scendo a sfiorargli con il dito il cavallo dei pantaloni.
"Lo so. Me lo hai sempre detto" gli mordo lentamente il labbro inferiore prima di tirarmi indietro leccandomi le labbra soddisfatta.
"Dove credi di scappare?" ringhia prendendomi il polso e avvicinarmi a lui.
Sorrido soddisfatta "Pensavo di andare di là da Chris magari ha più voglia di te" al sentire quelle parole mi spinge contro il muro premendo la sua erezione prima contro la mia coscia scoperta dagli short e poi contro la mia intimità.
"Stavi dicendo, Elizabeth?" mi deride.
"Chiamami ancora una volta con il nome intero e le palle te le ritrovi appese al soffitto, ci siamo capiti?" ringhio arrabbiata.
"La mia Effy è tornata finalmente" sorride circondando con le sue mani il mio viso "Non sopportavo l'Effy brava, pulita e perfettina che eri diventata"
"Ma se mi avevi lasciata prima che diventassi cosí" mi libero della sua presa.
"E ora sai il motivo per cui l'ho ho dovuto farlo. Ma io restavo sempre aggiornato sul tuo conto attraverso i tuoi genitori. E diavolo Effy, ti eri trasformata in una principessina del cazzo" mi prende entrambi i polsi.
"Ti sbagli Adam" sorrido "Era tutta finzione"
"Hai il talento di tuo padre allora" sorride rincuorato dalle mie parole.
"Sì, anche la sensualità di mia madre" sibilo "Lasciamelo dimostrare" gli bacio lentamente le labbra prima di farlo cadere sul letto disfatto.
"Sono tutto tuo. Sai che lo sono sempre stato, come tu sei mia e lo sei sempre stata" il suo tono non ammette repliche, e io mi ritrovo a sorridere.
"Ce la fai a tacere?" domando incrociando le braccia sotto al seno.
Lui deglutisce a fatica osservando il seno che negli ultimi anni è aumentato di una, due taglie e annuisce passivo.
Sorrido perché per una volta sarò padrona della situazione e gli piacerà così tanto che lascierà d'ora in avanti le redini a me in camera da letto.
Mi sfilo il più lentamente possibile gli short dopo essermi distanziata da lui di qualche passo.
"Effy cazzo" si lamenta poco prima che io li lanci dietro dietro di me.
"Sh" porto un dito sulle labbra mentre lui osserva la mia figura coperta da un completino sexy di pizzo rosso e i tacchi dello stesso colore.
Sorrido quando lo vedo deglutire più e più volte. Ma questo è solo l'inizio caro Adam, penso.
Mi avvicino a lui e prima che possa toccarmi parlo "Vietato toccare fino a quando non lo farò io" dico seria prima di cominciare a ballare sensualmente davanti a lui, mi volto dandogli le spalle e faccio scorrere il mio profilo B proprio su di lui che sento respirare affannosamente.
"Non mi venire così" sorrido maliziosa dopo essere tornata di fronte a lui.
"Effy sto impazzendo" abbasso gli occhi sui suoi jeans che potrebbero scoppiare da un momento all'altro e sorrido nuovamente vittoriosa.
"Alzati" ordino, appena si mette in piedi le mie labbra cercano disperatamente le sue che non si tirano indietro anzi chiedono di più. Mi spinge contro il muro e ho la sua erezione a contatto con la mia intimità.
"Senti l'effetto che mi fai, Effy" mormora con voce roca mentre gli sfilo da canotta dopo avergli lasciato un succhiotto sul collo.
"Adam, sul letto" ordino di nuovo dopo avergli tolto i jeans corti.
Non se lo fa ripetere due volte, e io lo raggiungo dopo essermi tolta i tacchi lucidi rossi.
Appena mi avvicino al letto mi ritrovo intrappolata sotto il suo corpo tatuato e muscoloso.
"Ora gioco io" ride guardandomi.
"Stronzo" urlo appena comincia la sua discesa di caldi e umidi baci dal mio collo alla coppa del reggiseno dopo aver fatto cadere le due spalline. Con un rapido gesto sgancia la chiusura e il tessuto in pizzo rosso cade sul letto. Le sue labbra vogliose si impossessano subito dei miei capezzoli mentre con la mano destra stuzzica la mia intimità da sopra gli slip semi-trasparenti.
Dei gemiti escono dalla mia bocca e lui fiero di se lascia una scia di succhiotti prima di togliermi l'ultimo indumento che ho indosso e di affondare dentro di me con la sua lingua.
"Adam" mormoro eccitata tra un gemito e l'altro.
"Dimmi piccola" si lecca le labbra appena si allontana dalla mia femminilità "Hai un buon sapore" infila due dita e dopo avermi strappato qualche altro gemito le toglie e le porta alle mie labbra "Prova tu stessa" i suoi occhi sono così lucidi dalla lussuria, desiderio ed eccitazione che non ci penso un secondo a leccare le sue due dita che poco fa affondavano in me.
"Allora?" chiede mentre si siede appoggiando la schiena alla testiera del letto.
Gattono fino a lui dove mi posizione con la mia intimità contro la sua ancora ricoperta dai boxer neri e mi muovo velocemente facendolo ansimare. Porto le braccia dietro il suo collo e lo bacio disperatamente "Buonissimo" gli lecco le labbra dopo essermi staccata da quel bacio. Mi volto dandogli la visuale del mio lato B mentre gli sfilo i boxer per poi prenderlo in bocca. Inizio a leccare, a succhiare dandogli un piacere che sento dai suoi gemiti e dal suo respiro affannoso.
"Adam" urlo divertita ed eccitata quando sento la sua lingua di nuovo sulla mia intimità mentre gli dono ancora piacere.
"Effy mi hai tentato tu, mettendoti in questa posizione"
"E chi si lamenta" lecco e succhio più forte.
Continuiamo cosí ancora per qualche minuto fino a quando Adam mi solleva e mi mette nella parte opposta del letto.
"Prendi ancora la pillola, vero?" domanda posizionandosi davanti a me.
"Ovvio" ridacchio.
La risata mi muore in gola quando entra in me, comincia a spingere velocemente e poi sempre ancora di più. Invertiamo le posizioni, io sopra e lui sotto. Poi in piedi e infine contro alla parete. Fino a quando crolliamo esausti alle due e mezza sul letto.

 

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