Throwback Thursday

di 23rd_MStreet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Morning. ***
Capitolo 2: *** Flashback. ***
Capitolo 3: *** Flashback in the flashback - part 1. ***



Capitolo 1
*** Morning. ***


Sherlock Holmes lanciò il lungo cappotto sulla sedia su cui John accumulava i giornali e si accasciò sbuffando sul divano. Calciò via le scarpe lucide di pioggia e stiracchiò le membra lunghe e annoiate. Stropicciandosi gli occhi gridò a Mrs Hudson di portargli la colazione, nonostante fossero le undici passate. Era stato fuori tutta la notte, aveva vagato per Londra respirandone l'aria fredda che odorava di traffico e storie invisibili a chi non sapeva osservare. Aveva sperato che quel suo girovagare gli avrebbe dato qualcosa a cui pensare, aveva bisogno di tenere impegnato il cervello. Era così annoiato. Sbuffò e si guardò attorno.
Una frazione di secondo dopo era saltato in piedi. C'era qualcosa di diverso. Watson era in casa, ricordava di aver notato la giacca appesa in ingresso al pianterreno, ma non era in salotto, né in cucina. Quindi doveva essere in camera. Perchè mai avrebbe dovuto a quell'ora? Era malato? Cercò tra i ricordi uno stralcio di conversazione che poteva confermare questa ipotesi, ma non trovò nulla. Probabilmente l'aveva ignorato. Camminando per la stanza con passo nervoso sollevò il libro che John stava leggendo da ormai tre mesi e senza particolari progressi a giudicare dalla piega presa delle pagine che accoglievano il segnalibro. Lanciò il libro sulla scrivania, su cui giaceva spento il suo laptop.
Girò su se stesso un paio di volte e poi si lasciò cadere sulla poltrona nera. John era in camera sua, senza libro né computer, persino le sue pantofole erano abbandonate ai piedi della poltrona. Unì le dita affusolate appoggiandole alle labbra. Poi la vide, una piccola anomalia. Billy era stato spostato. Balzò in piedi e si avvicinò scrutandolo. Sulla mensola sopra il caminetto il teschio volgeva le sue orbite vuote verso il salotto. Mrs Hudson lo trovava ripugnante e quando puliva la stanza si limitava ad aggirarlo con lo straccio per la polvere, inoltre ricordava che il suo coinquilino aveva provato a convincerlo a spostarlo perchè "spaventa le ragazze".
Certo, le ragazze che John era solito portarsi a casa non erano mai dotate di un intelletto particolarmente brillante, ma...Ecco la soluzione, doveva essere in compagnia. Era molto strano che si attardasse a letto fino a quell'ora, le sue abitudini sessuali erano state sempre molto nella norma per uno scapolo della sua età ed estrazione sociale. Una volta a settimana, due se la relazione era un novità, rigorosamente la sera tardi.
C'era qualcos'altro. Qualcosa aveva colpito il suo sguardo quando era entrato nella sala, ma non riusciva a ritrovarlo. Mentre attraversava con grandi falcate il salotto, uno scintillio catturò la sua attenzione, costringendolo a tornare indietro. Sul tavolino accanto alla poltrona di Watson c'era un anello. Lo afferrò e si sedette a terra con le gambe incrociate. L'argento lavorato senza eccessiva perizia tratteneva una goccia d'ambra in una decorazione di dubbia interpretazione. Una piuma? O forse una foglia. No, era una piuma. La donna lo teneva ben pulito, doveva esserci molto affezionata. L'interno era lucido, segno che lo toglieva regolarmente, forse per non rovinarlo facendo lavori manuali o...sotto la doccia.
Un ricordo schiaffeggiò la sua memoria e quando Mrs Hudson entrò con il vassoio della colazione lo trovò seduto sul tappeto davanti al tavolino rotondo, intento a fissare l'anello con eccessivo stupore.
«Sherlock, caro, ti senti bene? Scommetto che non hai cenato ieri sera, sempre il solito! Qui ci sono dei biscotti, una fetta di crostata ed il tè, ovviamente. Sherlock? Caro, cosa sai facendo lì a terra?»
Dovette accontentarsi di un brusco cenno che la invitava ad andarsene, brontolando se ne tornò nel suo appartamento, ma il suo affittuario non se ne accorse nemmeno.
Nella sua testa si stavano susseguendo una serie di ricordi a cui non aveva più pensato negli ultimi dieci anni, non perchè avesse voluto dimenticarli, semplicemente aveva avuto bisogno di "spazio".
 
 

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Capitolo 2
*** Flashback. ***


Sherlock aprì gli occhi, domandandosi per quale motivo si sentisse così intorpidito. Si mise a sedere appoggiandosi alla testiera del letto e, guardandosi attorno, rimase sorpreso nel posare lo sguardo sulla padrona della camera.
La perplessità non derivava dal fatto che la ragazza fosse distesa al contrario sul letto, con le gambe incrociate in alto contro la parete. Tantomeno c'era da rimanere colpiti per il libro pieno di foto di morti preistorici che leggeva con grande interesse. Teneva una matita dall'estremità masticata incastrata nella spallina del reggiseno, la punta era consumata, doveva aver preso appunti o scritto delle note. D'accordo, non si aspettava di vederla indossare un paio dei suoi boxer, ma non era quello il punto. La sorpresa stava, semplicemente, nella sua presenza. Gli accordi non prevedevano, anzi vietavano che dormissero nello stesso letto.
«Finalmente ti sei svegliato!» disse Rachele nel suo leggero accento straniero.
«Non stavo dormendo.» Replicò poco convinto. «Ad ogni modo, che ci fai qui?»
«Ci vivo, Sherlock. Non divagare. Di solito russi quando sei nel tuo palazzo mentale?» replicò lei, riponendo il libro e sedendosi davanti a lui a gambe incrociate.
Sherlock esitò e lei scoppiò a ridere, una risata squillante e un po' sopra le righe. Molto mediterranea. Non senza una punta di fastidio nella voce profonda, le chiese chiarimenti.


Gli ultimi mesi a Cambridge erano diventati piuttosto tollerabili da quando aveva conosciuto Rachele. Se l'era trovata accanto alla prima lezione di sedimentologia del semestre, dopo nemmeno mezz'ora lo aveva salvato dall'espulsione per aver messo pubblicamente in dubbio le capacità intellettive del professore. O quantomeno questo era quello che gli rinfacciava ogni volta che aveva bisogno di un favore. Nel giro di pochi mesi era diventato il rapporto umano più stretto che intratteneva da anni. Talvolta lo accompagnava nelle sue ricerche quando non era impegnata a studiare sepolture preistoriche, oggetto del dottorato che stava svolgendo. Passavano davvero molto tempo insieme, più di quanto Rachele riuscisse a tollerare. Capitava spesso che lo spingesse di peso fuori dalla porta, o che lei stessa se ne andasse lasciandolo solo nella sua stanza.


«Io non russo, comunque.» Ribattè Sherlock scontroso.
«Sì, certo. Doveva esserci un trattore sotto al letto.»
«Questo non è possibile.» sbuffò scocciato.


La camera era stata sin dagli inizi sfruttata da Sherlock per studiare i libri presi in biblioteca, avrebbe potuto studiarli in biblioteca, ma trovava sempre troppi idioti con cui litigare così Rachele lo aveva costretto ad evitare quel luogo. Questo fatto, sommato alla disinvoltura della ragazza e all'inspiegabile equilibrio che si era creato, li aveva portati ad avere nell'arco di pochi mesi una certa confidenza.


«Molto bene, quindi torniamo al punto iniziale. Sempre che tu non voglia dirmi che hai passato la notte a girare per la stanza con una motosega accesa.» rispose candidamente la studentessa.
«Oh, piantala. Tutta la notte? Ma quanto ho dormito?» La ragazza sogghignò per l'ammissione di colpa, ma non rincarò la dose.
«Hai dormito come un sasso dalle due più o meno, ora sono le dieci.»
«Devi studiare oggi?» Domandò stiracchiando le membra lunghe sulle lenzuola sgualcite.
«Lo sto facendo da ore. Ho finito di sottolineare il libro e ora sto rileggendo.»
Sherlock si alzò, si guardò rapidamente allo specchio e decise che non sarebbe uscito con la camicia in quelle condizioni. Si diresse verso l'armadio dove aveva costretto Rachele a conservare un completo ed altri vestiti di ricambio per quando si fermava a dormire lì.
«Non ne capisco lo scopo. E' più che sufficiente leggerlo una volta. Già è strano che tu lo stia leggendo, è un testo piuttosto elementare.» brontolò frugando tra gli scaffali dell'armadio in cerca di una camicia pulita.
«Ne abbiamo parlato mille volte, Sherlock. Ci sono quelli come te e Mycroft e poi noi pesci rossi. Io, in quanto tale, devo leggerlo due volte per saperlo davvero bene. Non è affatto male, tra i pesci rossi.»
«Infatti tu non sei un pesce rosso.» commentò a bassa voce mentre si sbottonava la camicia. Rachele sorrise. Non era stupida, affatto, e sapeva che lui non la reputava tale.
Conosceva Sherlock, ma soprattutto conosceva le persone. Aveva sempre avuto un talento naturale per leggerne le espressioni e interpretarne gli atteggiamenti, capacità molto utile quando incroci la strada di uno come Sherlock.
«Devi proprio fissarmi, Rachele?» disse, voltandosi a guardare la ragazza che lo scrutava ancora seduta sul letto sfatto.
«Sì.»
«Non c'è niente che tu non abbia già visto.» Borbottò lui.
«Ah, non si sa mai. Magari ti sei fatto un tatuaggio sul fondoschiena. Non potrei certo perdermelo.»
«L'ovulazione non dovrebbe indurti un calo del desiderio?»
«Sono sotto stress ultimamente, e quale anti stress migliore del sesso conosci?»
«Ciò non significa che tu possa averlo quando vuoi. Le mie tabelle sono organizzate in modo tale da...»
«Ok, Sherlock, come non detto.» Disse ridendo.
«Però.»
«Però?»
«Però devo ancora raccogliere i dati in relazione a due sessioni in meno di dodici ore.»
Rachele sorrise e si sfilò la canotta da sopra la testa.

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Capitolo 3
*** Flashback in the flashback - part 1. ***


 
Quella non era stata la prima opzione suggerita da Sherlock, nel sentirsi mitragliare fino allo sfinimento della necessità di Rachele di soddisfare i suoi impulsi, tanto da distrarla talvolta dallo studio e dalle conversazioni, persino portandola ad interrompere il filo dei suoi pensieri con esclamazioni fuori luogo. Sherlock non aveva preso in considerazione quella possibilità nemmeno quando la ragazza gli aveva tirato un pugno "amichevole" dopo che si era esibito in una delle sue brillanti deduzioni a raffica sul ragazzo che lei puntava da settimane.
Il motivo che aveva portato Sherlock ad elaborare quella soluzione era, in sostanza, l'orgoglio. Rachele aveva un certo talento nel leggere le persone, per il semplice fatto che prestava molta attenzione alle loro espressioni e ai loro atteggiamenti.
Una sera lo aveva trascinato al pub in quanto bisognosa di "una birra colossale", Sherlock se ne stava seduto sullo sgabello con l'espressione altezzosa mista a disgusto che aveva quando era costretto a stare in mezzo alla gente. Aspettava impaziente che lei finisse di sorseggiare con aria compiaciuta la sua pinta quando Rachele gli lanciò una sfida.
«Quei due si sono appena messi insieme.» Aveva buttato lì la ragazza, indicando con un cenno del capo una coppia che sedeva ad un tavolo poco distante. Per un attimo fu tentato di scrollare le spalle, poi si era reso conto di una cosa. Non coglieva gli indicatori da cui avrebbe dovuto giungere, o meno, alla conclusione che per Rachele era così ovvia.
«Da cosa lo deduci?»
«Il modo in cui si guardano, la posizione del corpo proteso oltre il tavolo, il modo in cui si sorridono senza neanche aver parlato.» Sherlock sosteneva che dietro la sua deduzione non ci fosse un approcio particolarmente scientifico, ma si sentiva punto sul vivo. Quella sua mancata competenza nell'interpretazione dei comportamenti umani era una carenza. Avevano cominciato a discutere animamente, ma quando lei aveva cominciato a sparare sentenze sulle relazioni di coloro che li circondavano ne aveva avuto abbastanza.
«Quei due stanno andando a fare sesso.»
«Oh, no. Questo è troppo, Rachele.»
«Scommettiamo una birra?» Sherlock alzò un sopracciglio, scese dallo sgabello e si aggiustò la giacca elegante.
Rachele si avviò decisa seguita a ruota dal ragazzo che svettava sulla maggior parte dei presenti di tutta la testa. Raggiunsero i due che si apprestavano ad uscire, Rachele aveva estratto un quadernino, una penna e aveva indossato gli occhiali. Assunse un'aria composta e professionale e li fermò.
«Buonasera ragazzi, mi dispiace disturbarvi, ma se me lo consentirete vi ruberò solamente un paio di minuti. Il mio nome è Maria Solero e lavoro per il Cambridge News, la rivista ha avviato una ricerca riguardo le abitudini sessuali degli studenti dell'università. Posso farvi solo qualche domanda? E' una raccolta dati assolutamente anonima.» I due risularono molto disponibili, forse vagamente incentivati dalla discreta quantità di alcolici che avevano ingerito. Rachele gli pose alcune domande generiche riguardo età, provenienza, corso di studi. Poi aveva inventato una serie di quesiti più specifici fino ad ottenere la conferma che quei due si erano appena conosciuti e se ne stavano andando a casa di lui con il preciso scopo di fare sesso.
Pochi minuti dopo la ragazza sorseggiava entusiasta la seconda birra della serata, offerta da Sherlock, il quale era tutt'altro che entusiasta.
«Ma come hai fatto a capirlo?»
«Quando conosci bene le dinamiche che portano al sesso e gli effetti che ne conseguono è facile.» Rispose ostentando sicurezza. «In realtà, perchè è esattamente quello che farei io se potessi!» Concluse scoppiando a ridere.
Sherlock alzò instintivamente gli occhi al cielo. La ragazza però lo osservò farsi più serio, congiungere le dita affusolate e portarsele alle labbra. Era un'abitudine di recente acquisizione che, come diceva sempre lei per infastidirlo, lo faceva sentire figo. Doveva aver avuto una delle sue brillanti intuizioni, ma si trattenne senza fatica dal chiedergli di cosa si trattasse. Voleva solo godersi la sua birra e osservare di sottecchi il rugbista che sedeva dalla parte opposta della sala.
Non era stato difficile ambientarsi a Cambridge, nei primi sei mesi aveva socializzato con un gruppo di studenti straniera come lei e si erano divertiti moltissimo, ma molti di loro si erano fermati per un breve periodo, ora le rimaneva solo un amico. Simpatico, intelligente ma sociopatico. Inoltre, il fatto che abusasse della sua ospitalità aveva fatto circolare voci che abbattevano brutalmente le sue possibibilità di trovarsi qualcuno con cui, beh, con cui passare il suo tempo.
La serata non era andata per le lunghe, Sherlock era rimasto perso tra i suoi pensieri e Rachele, dopo essersi goduta un paio di shottini con una compagna di corso che non vedeva da tempo, era stata costretta a trascinarlo a casa.
«Che razza di amico sei, cadere così in catalessi quando sono io quella ubriaca!» Brontolò inciampando nei jeans che si era sfilata frettolosamente per poi lasciarsi cadere sul letto. Quando si svegliò la mattina successiva, Sherlock se n'era andato.

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