The Clumsy Orchestra

di Angela Smith
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


Capitolo uno corretto

Salve! Sinceramente ero molto indecisa se scrivere o no questa nota introduttiva (anche perché ne ho scritta una anche alla fine del testo e avevo paura che due fossero troppe...), ma mi sono sentita obbligata a farlo visto che questo sarebbe il primo capitolo della storia e quindi, come tale, necessiterebbe di un'introduzione. Premetto dicendo di non saper assolutamente scrivere le note dell'autrice, quindi se mai doveste trovare la presente (o magari anche quelle che scriverò più avanti nei capitoli) troppo divaganti, strane, o persino insensate, non abbiatene paura, o almeno... non troppa. Sappiate solamente che è normale e che purtroppo non c'è nulla da fare in proposito. Voi comunque avete sempre il magico superpotere che vi permette di saltarle ed andare direttamente al testo (certamente non vi biasimerei per averlo fatto). Spero che la storia vi piaccia (io, personalmente, ci tengo molto) e che il "nuovo personaggio" vi risulti simpatico... (datele tempo, saprà farsi amare...con calma e costanza). Sto cercando di mantenere i personaggi più IC possibile, ma loro, il più delle volte, si divertono a fare di testa loro, quindi chiedo venia per eventuali obbrobri (e se doveste notare che i personaggi siano estremamente ed irrimediabilmente OOC, fatemelo sapere nelle recensioni, così che io possa cambiare la descrizione della storia!)
Spero di riuscire a rendere verosimile il tutto ma, dato che non ho una beta, a volte potrebbe sfuggirmi qualche errore di battitura o di altro genere. Portate pazienza anche per questo.
Non credo ci sia altro da aggiungere... almeno per adesso. Casomai se mi viene in mente qualcosa d'altro la scriverò nella nota a fine capitolo, perché già sento le vostre palpebre chiudersi a leggere questa interminabile nota e la vostra mano scivolare lentamente verso il mouse per scorrere la pagina ed andare al testo.
Spero vi piaccia e fatemi sapere che cosa ne pensate! Le critiche sono più che benaccette! E naturalmente, questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà della BBC e di Steven Moffat e chi ne ha più ne metta. Questa mia storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Buona lettura!

Angela Smith



Capitolo uno


 

Un colpo. Una pallottola. Uno sparo rimbomba fragoroso nella strada deserta.
Non una voce, non un suono.
Una pozza di sangue in mezzo alla strada che non fa che allargarsi. Le tremano le gambe e non riesce a muoversi.
In mano una rivoltella, pesante del delitto appena commesso. Silenzio.
Il respiro dell’uomo è cessato e l’unico suono che si ode è quello di un clacson lontano nella notte.
Ha paura persino di respirare: non si muove, non fiata. Vorrebbe scappare, urlare, fuggire il più lontano possibile, ma non ci riesce: si sente inchiodata al suolo e sente un fuoco dentro, come se stesse bruciando dall’interno, come se il diavolo in persona stesse reclamando la sua anima.
“Non sono un’assassina” dice in un flebile sussurro.
“Non sono un'assassina” ripete, mentre fa cadere a terra la rivoltella.
Chiude gli occhi, respira, valuta e decide. Sa di essere sotto shock e sa anche che se non si controlla per lei sarà la fine.
Questa volta si è spinta troppo oltre.
Respira ed espira controllando ogni singolo movimento del suo corpo, contenendosi, valutandosi. Chiude gli occhi e, quando li riapre dieci secondi dopo, sa perfettamente ciò che deve fare.
Uno sparo. Una pallottola dritta nel cranio, questo è quello che ha fatto, quello che ha ucciso James Moriarty.

 

 

***

 

Samantha si svegliò di soprassalto. Aveva il fiato corto, come se avesse appena corso per chilometri e chilometri. Controllò l’orologio sul comodino accanto al letto: erano le 2:35.
Ogni notte la stessa ora ed ogni notte lo stesso sogno. Chiuse nuovamente gli occhi massaggiandosi le tempie doloranti.
Quanto invidiava le altre persone, quanto avrebbe voluto potersi svegliare nel cuore della notte e poter dire “era solo un incubo” come facevano tutti. Ma non poteva, perché Samantha sapeva che quello era tutto tranne che solo un brutto sogno.
Si sfilò di dosso le coperte ed accese la piccola lampada sul comodino, prendendo tra le mani la scatola dei sonniferi. Non sarebbe riuscita a riaddormentarsi comunque, ma tanto valeva almeno provarci.
Per quanto ancora avrebbe dovuto sopportare quella tortura?
Quanti anni sarebbero dovuti passare prima che lei riuscisse ad andare avanti con la sua vita? Prima di smettere di svegliarsi ogni notte spaventata, tremante e sconvolta come quella stessa sera?
Un rumore interruppe i suoi pensieri. Restò in silenzio, in ascolto per qualche secondo e poi lo sentì nuovamente: erano dei passi e sembravano provenire dalla cucina.
Samantha con una mossa repentina si mise addosso la vestaglia ed estrasse dal secondo cassetto del guardaroba una rivoltella. La infilò velocemente nella tasca della vestaglia ed avvicinandosi cautamente alla porta della camera da letto l’aprì: riusciva a vedere solamente il corridoio di casa sua, immerso nella più totale oscurità. L’unica luce che arrivava era quella flebile della luna, che filtrava dalla finestra aperta.
Era entrato qualcuno.
"Mi ha trovata" pensò, sentendo i battiti del suo cuore accelerare.
Si avviò verso la cucina tastando con la mano la rivoltella nella tasca della vestaglia, avendo l’irrazionale paura di non trovarla più nel momento in cui le fosse occorsa.
Avvicinò la mano all’interruttore della luce cercando di dosare la paura. L’adrenalina le scorreva violenta nelle vene e anche se non l’avrebbe mai ammesso, amava essere in una situazione del genere.
Quando la luce invase la stanza, Samantha non fu affatto sorpresa di vederlo.

"Miss Brooks! Che adorabile sorpresa!"

Samantha fece un profondo respiro, terribilmente angosciata.

"Sarei tentata di dire lo stesso per lei... Moriarty"

Un sorriso quasi impercettibile solcò le labbra del consulente criminale.

"Oh, prego. Chiamami Jim"

Sembrava non essere cambiato di una virgola. Lo stesso sguardo, lo stesso sorriso di due anni prima… non li avrebbe mai potuti cancellare dalla sua memoria, erano incisi in essa indelebilmente.
Era seduto al tavolo in mezzo alla stanza, le gambe rigorosamente sopra di esso ed in mano una tazza bianca contenente probabilmente del tè.
Samantha non poté fare a meno di notare una piccola macchia di rossetto sul colletto della camicia dell'uomo. Era vestito in modo impeccabile mentre lei era in vestaglia, ma quel piccolo particolare la faceva sentire stranamente più sicura di sé. Avrebbe potuto dedurre molto di lui quella sera e la cosa la eccitava.
Beveva lentamente la bevanda, lanciando di tanto in tanto degli sguardi molto più che eloquenti a Samantha. Essa, dal canto suo, si trovava in una situazione alquanto particolare: si sentiva come una ragazzina tornata a casa troppo tardi alla sera, nell’intento di spiegarne al padre il motivo. Nel suo caso il motivo sarebbe stato: ci tenevo alla mia vita.

"Serviti pure, fai come fossi a casa tua"

Disse Samantha ironica, mentre si avvicinava alla credenza.

"Quella rivoltella ti servirà a ben poco, mia cara Samantha"

Lei non gli rivolse lo sguardo e continuò a dargli le spalle.

"Questo lascialo decidere a me, Jim"

Egli finì l’ultimo sorso della sua bevanda e posò la tazza sul tavolo, facendola sbattere rumorosamente. Samantha non riusciva a voltarsi, ma sapeva che anche dandogli le spalle era al sicuro. O almeno, per ora. Lui non l’avrebbe mai uccisa così, sarebbe stata una morte troppo noiosa per gli standard di quell'orribile uomo e sapeva che le morti di questo genere non erano certo nel suo stile, sapeva che a Moriarty piaceva giocare.
Prese dalla credenza una tazza ed estrasse una cialda per fare il caffè dalla sua confezione.

"Ho fatto il tè anche per te, ho pensato che avresti gradito"

Continuò lui nel suo solito tono calmo e controllato.
Lei non sapeva proprio come potesse riuscirci, in fondo stava per ucciderla -in un modo o nell'altro- quindi come poteva tenere quel tono con lei?

"Odio il tè"

Il consulente investigativo scoppiò in una fragorosa risata: si alzò dalla sedia spingendola bruscamente all’indietro e si avvicinò allo stipite della porta sfiorandolo con le dita.

"Sei sempre stata una ragazza alternativa, non è vero? Tutte quelle persone che non capivano il tuo genio… quelle persone così noiose e prive di qualsiasi significato… non ti davano fastidio?"

"Non ho mai pensato che il fatto che non mi piacesse il tè mi rendesse automaticamente un genio, ma certo, è un modo di vedere la faccenda"

Sorrise ed infilò la cialda nella macchinetta del caffè, posizionandoci sotto la tazza.
Il suo cuore non faceva che pulsare sangue e le sembrava che in quel momento le finisse tutto in testa. Le tempie quasi le bruciavano.
Prese la tazza contenente il suo caffè e la portò alle labbra. Sperava che il suo susseguirsi di azioni abituali l’avrebbe portata a pensare inconsciamente che anche quella situazione lo fosse, così da ridurre la sua palese agitazione: ed in parte funzionò.
Fece un bel respiro profondo e si girò verso il suo interlocutore con un’espressione serafica, anche se dentro di sé sentiva un fuoco arderla.
Puntò i suoi occhi su quelli freddi e morti di James Moriarty e con una mossa repentina estrasse la rivoltella dalla tasca della vestaglia, puntandogliela contro.

"Non essere così ovvia Samantha, mi deludi, mi aspettavo molto di più da te"

"Ti ho ucciso una volta, posso farlo di nuovo. Senza rancore, s’intende"

"Ci mancherebbe altro"

Disse, facendo un gesto sbrigativo con la mano.

"Mi duole però contraddirti ma, tecnicamente, quella non era la mia vera morte"

Samantha sorrise leggermente, senza però distogliere il suo sguardo da quello dell'uomo.

"Forse per te, ma dal momento che l’ho vissuta come reale non ho remore a rivivere la stessa esperienza"

Egli si avvicinò alla ragazza, sfregandosi le mani l’una contro l’altra.
Samantha si sentiva in trappola: sapeva che Moriarty non poteva essere arrivato da solo e che una sua parola poteva scatenare l’inferno. Stavano giocando al gatto col topo, lei sapeva che non sarebbe durata a lungo, che prima o poi l’avrebbe trovata. Non era così stupida da pensare che fosse riuscita davvero a sfuggirgli.
La sua morte sembrava ormai qualcosa di inevitabile, ma avrebbe lottato fino all’ultimo.

"Ti dice qualcosa l’indirizzo 221B Baker Street?"

Samantha non riuscì a frenare una lieve espressione di dubbio che le si era ormai dipinta in volto. Non sapeva cosa pensare: sarebbe dovuta essere una cosa a lei familiare? Era una domanda trabocchetto? Era un segnale in codice per i suoi uomini appostati sulla sua porta di casa? Anche se, doveva ammetterlo, non avvertiva nessun’altra presenza se non la sua e quella dell’uomo che a breve l’avrebbe uccisa… o forse no, su questo punto Samantha ci stava ancora lavorando.

"Dovrebbe?"

Sul volto di Moriarty comparve uno sguardo divertito ed allo stesso tempo crudele.
Ovviamente, di qualsiasi cosa stesse parlando, lo coinvolgeva estremamente e purtroppo non in senso buono. "Come avrebbe potuto essere altrimenti?" Pensò distrattamente Samantha.

"Mi sei sempre stata molto cara e mi sono sempre fidato di te e numerose volte hai saputo ricompensarmi felicemente. Eri una delle mie migliori collaboratrici"

"Esattamente, ero, quei tempi sono finiti"

Continuava a stringere nella mano destra la rivoltella, tenendo l’indice poggiato sul grilletto.
La mano le tremava leggermente e dovette rendersi conto che era da due lunghi anni che non sparava e la cosa la turbò alquanto. Non che lei avesse mai prediletto bersagli umani nella sua lunga carriera di ladra, anzi, era riuscita, con suo grande sforzo, a non dover mai versare del sangue innocente, o quasi. E lei sapeva che Moriarty ne era a conoscenza ed era certa che avrebbe sfruttato questa sua debolezza a proprio vantaggio.
Samantha però corresse quasi subito il suo pensiero: non debolezza, bensì umanità.

"Permettimi di dubitarne"

Il criminale fece due passi nella direzione della ragazza, non perdendo mai il contatto visivo.

"Se sei venuto qui per uccidermi, ti prego di procedere nel tuo intento con ritmo sostenuto, perché avrei degli impegni domani e non sono ancora riuscita a chiudere occhio, quindi vediamo di concludere in maniera rapida questa faccenda"

"Ucciderti?"

Moriarty scoppiò a ridere.

"Perché mai dovrei ucciderti? No, no, no, io voglio usarti o, se preferisci un altro termine, ingaggiarti. Ho bisogno dei tuoi servigi, come ai bei vecchi tempi"

A quelle parole Samantha strabuzzò leggermente gli occhi e pregò il cielo che lui non l’avesse notato ma, santo cielo, ovvio che l’aveva fatto.
In quel momento si sentì una vera idiota: in quei due anni si era davvero arrugginita, ma mai avrebbe pensato così tanto. Le sue deduzioni erano diventate davvero così scarse?
Era ovvio che Moriarty non avesse intenzione di ucciderla: era chiaramente disarmato, nessun rigonfiamento all’altezza del petto in corrispondenza della giacca, né la pistola poteva essere nei pantaloni (vista la sua posizione quando lei è entrata nella stanza, cioè era seduto con il busto leggermente reclinato all’indietro). Chiaramente non avrebbe potuto stare seduto in quel modo se avesse avuto una pistola in tasca. Inoltre il rossetto, vogliamo parlare del rossetto sul suo colletto? Rosso, di una tonalità ambrata ma comunque brillante, probabilmente della marca Chanel (l’unica a lasciare una macchia così lieve ma dai bordi delineati).
Sono in poche le donne ad usare quella marca di rossetto, perché costoso, difficile da togliere e veramente scomodo da mettere (questo lo sapeva perché aveva avuto modo di testarlo su se stessa: regalo di compleanno, impossibile da evitare). Moriarty aveva contatti con veramente poche donne che portassero quella marca di rossetto e questo Samantha lo sapeva bene: aveva gestito i suoi affari per lungo tempo, essendo parte attiva della sua “società criminale”, o così  piaceva chiamarla ai giornali. Gestiva praticamente tutti i suoi contatti ed essi non potevano essere cambiati più di tanto. Inoltre, non aveva certo passato quei due anni a stare con le mani in mano: ovviamente si era informata sui suoi traffici, anche se questi si erano inaspettatamente e del tutto misteriosamente interrotti a gennaio dell’anno corrente. Causa: l’apparente morte del più famoso consulente criminale del mondo. Per questo sapeva che prima o poi sarebbe rispuntato fuori, fingere la sua morte era così da lui; ma fino a quel momento lo pensava per il motivo sbagliato. Morale della favola, Samantha conosceva una sola donna che portasse quel rossetto regolarmente e che poteva essersi spinta tanto in là da baciare il collo del consulente criminale. Irene Adler, o meglio conosciuta come La Donna. Ma cosa c’entrava La Donna con il fatto che lui avesse bisogno del suo aiuto? La risposta sembrava essere ovvia, ma proprio per questo estremamente sospetta.
Samantha, in quel momento, si sentiva ferita nell’orgoglio: odiava che qualcuno la contraddicesse.

"Pensavo volessi eliminare l’ultima prova che ti riconduceva  a Martin Arrow"

"Oramai quella è una questione vecchia di secoli... non che io non abbia pensato più volte di ucciderti... ma ogni volta sei stata risparmiata, in un modo o nell'altro. Inoltre è nel mio interesse che tutti sappiano che sono vivo, o quasi..."

"In che senso “o quasi”?"

"Diciamo che ho lasciato loro un piccolo messaggio*… avranno sicuramente qualcosa con cui dilettarsi durante la mia assenza. Ed è qui che subentrerai tu"

"Subentrerò? In che modo? Cerca di essere più chiaro"

"Mi pare di esserlo già stato abbastanza"

Guardò con sguardo malizioso la povera ragazza, che cercava con tutte le sue forze di rimanere lucida abbastanza da poterlo contrastare.

"Poi perché mai dovrei ucciderti quando mi saresti molto più utile da viva? Non credi che sarebbe davvero sciocco? Un po’ come i vostri piccoli cervellini, no?"

"Cosa vuoi da me?"

"Informazioni"

"Informazioni? Non ho nessuna informazione, sono fuori dal giro ormai da anni e…"

"Non informazioni da te, ma da Sherlock Holmes"

Appena ebbe pronunciato quel nome, Samantha finalmente capì dove l'uomo di cui un tempo si fidava volesse arrivare ed in quel momento tutte le tessere del puzzle sembrarono andare al loro posto. “Subentrare” in quel senso.

"E, precisamente, come dovrei fare per ottenere queste informazioni?"

Si maledisse subito per quello che aveva appena detto: sembrava che stesse accettando, ma ciò era proprio il contrario di quello che lei voleva. Aveva deciso di smetterla di vivere in quel modo, di smettere di rubare, correre da un posto all’altro, con la costante paura di poter essere scoperta, rimanendo sempre sul filo del rasoio e poi tutte quelle morti… vittime innocenti… no, non si sarebbe mai venduta a James Moriarty, mai più. Così si affrettò ad aggiungere:

"E soprattutto, cosa succederebbe se decidessi di non ottenere queste informazioni?"

Un sorriso crudele comparve sul volto di Moriarty. Egli fece ancora qualche passo verso Samantha, disintegrandola con lo sguardo. Lei non aveva mai incontrato nessuno capace di trasmetterle una così tale paura. Samantha Brooks spaventata. Già, non era esattamente una cosa che si vedeva tutti i giorni.
Si trovarono faccia a faccia, gli occhi dell’uno piantati su quelli dell’altra.
Samantha aveva paura persino di respirare. Quell’uomo la bloccava, la intimoriva, e vicino a lui si sentiva talmente piccola… ma, tutto sommato, riusciva a nasconderlo bene. Era sempre stata brava ad interpretare la figura della cattiva, anche se il suo aspetto avrebbe fatto sicuramente pensare il contrario.

"Ho sempre amato i tuoi boccoli biondi Sam, davvero. Cadono così morbidi sulle tue spalle, per non parlare del tuo seno…"

"Cosa succederebbe?"

Insistette, usando un tono di voce così sicuro che si meravigliò di se stessa.
Moriarty si avvicinò maggiormente alla ragazza e le fece abbassare il braccio con cui impugnava la rivoltella. Non distogliendo lo sguardo e prendendole di mano l’arma, appoggiò quest'ultima sul piano cottura, avvicinando la sua bocca a quella di lei. Le sfiorò appena le labbra e stringendole l’avambraccio sinistro le sussurrò all’orecchio:

"Sarebbe davvero un peccato se dovesse succedere qualcosa a quell'adorabile coppia in quell'incantevole villetta nel Sussex, giusto? Dicono che perdere i genitori tempri e faccia diventare più saggi, tu che ne pensi?"

Detto questo, guardò gli occhi verdi e completamente terrorizzati della ragazza. Mai l’aveva vista così sconvolta e mai così docile e impaurita. Vero era che prima di allora non aveva mai dovuto minacciarla, perché lei aveva sempre amato essere una criminale.
Doveva ammettere con se stesso che adorava vederla in quelle condizioni e la cosa compiaceva moltissimo il suo ego.

"Would you like to try?"**

 

 

 

* Mi riferisco al messaggio che Moriarty ha fatto proiettare su ogni schermo di Londra alla fine dell'ultimo episodio della terza stagione. "Did you miss me?"

** Mi dispiace, ma non ho proprio resistito! Non posso fare a meno di immaginarmi proprio la voce di Moriarty mentre pronuncia quella frase... una delle tante debolezze della scrittrice. D'altro canto, se doveste pensare che stoni troppo con il resto del testo, non abbiate remore a scrivermelo nelle recensioni, sono aperta a critiche di ogni genere. PS: mi sembra scontato dirlo, ma tanto vale... "Would you like to try?" tradotto in italiano vuol dire "Ti piacerebbe provare?".



Angolo della scrittrice complessata: Salve a tutti! Per prima cosa vorrei ringraziare davvero di cuore tutti coloro che si sono fermati a leggere il primo capitolo della storia che sto attualmente cercando di scrivere (con una lentezza da bradipo) e che non so ancora esattamente di quanti capitoli sarà composta... sempre troppi comunque. Mi sono dimenticata di dire all'inizio (sapevo che mi sarei dimenticata qualcosa) che per adesso ho scritto solo i primi sei capitoli e che ne posterò uno alla settimana (molto probabilmente, ma comunque voi non credetemi a prescindere, perchè essendo molto impegnata in questo periodo, non ho davvero idea di come e quando avrò il tempo per rivederli ed eventualmente correggerli). Quando questi saranno finiti, non so esattamente quanto ci metteranno gli altri ad arrivare... spero poco, ma non si sa mai parlando di me...  Portate pazienza. Molta pazienza.
Ci rivediamo al prossimo capitolo! Bye bye :)

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


Capitolo due corretto

Buon dieci di dicembre a tutti! Natale è sempre più vicino ed il mio cuore è sempre più colmo di gioia. Quanto amo il periodo natalizio! Le decorazioni per le strade, le spese folli per i negozi in cerca dei regali, il clima freddo, la cioccolata calda... manca solamente la neve, ecco, far nevicare sarebbe meraviglioso, sarebbe davvero la ciliegina sulla torta. La cosa curiosa, che però succede ogni anno a Natale, è il sentire l'arrivo del periodo natalizio fin dagli inizi di novembre, per poi vederlo improvvisamente scemare all'avvicinarsi del 25. Ma forse sono l'unica a cui succede.
Sento lo spirito natalizio crescere in me sempre più bello e sempre più dolce, fino a che, nel momento in cui dovrei davvero sentirlo, è già finito ed al suo posto è rimasta solo la disperazione. Mi piacerebbe davvero sentire le vostre teorie in merito.
Coooomunque, ecco qui il secondo capitolo! Ve l'avevo detto di non fidarvi di me, sapevo che non sarei riuscita a rispettare la scadenza. Sono passati davvero molti... troppi giorni da quando ho pubblicato il primo capitolo (alla faccia dei 6 giorni) e chiedo davvero venia per essermi presa così tanto tempo.
In questo capitolo nuovi personaggi vengono introdotti e tutto viene spiegato un po' meglio, per la gioia di grandi e piccini. Coloro che hanno letto anche altre mie storie, sanno che l'html rappresenta il mio acerrimo nemico e che ci litigo una volta sì e l'altra pure, quindi, molto probabilmente, deciderà di non pubblicarmi l'immagine che ho intenzione di inserire nel testo. Quindi, se in uno specifico punto della narrazione doveste ritrovarvi confusi, sappiate che è perché manca l'immagine. Io comunque ci provo, poi si vedrà. Buona lettura a tutti :)

Angela Smith




Capitolo due




"Baker Street, che posto incantevole", pensò ironicamente Samantha mentre sfogliava il suo fascicolo.
L’incontro della sera precedente si era concluso in modo tanto originale quanto era cominciato. Ricordava veramente poche cose, un po’ a causa del grande rilascio di adrenalina che aveva offuscato parte dei suoi ricordi, e in parte perché improvvisamente si era sentita cadere, ritrovandosi a terra, accucciata ai piedi del consulente criminale.
Solo la mattina seguente, a mente fresca, aveva avuto modo di capire cosa le fosse successo e il trovare un minuscolo foro nella cialda del caffè che la sera prima aveva utilizzato, confermò la sua ipotesi.
Oh, quanto bene la conosceva Moriarty.
Aveva fatto finta di non ricordare quello stupido e apparentemente inutile particolare su di lei, mentre era quello che gli aveva permesso di farla franca non lasciandole nemmeno la possibilità di ribattere.
Il tè. Lui sapeva che lei non lo avrebbe preso, per questo aveva avvelenato il caffè. Probabilmente aveva iniettato una piccola quantità di qualche sostanza soporifera nella cialda per mezzo di una siringa, ed il rumore che aveva sentito Samantha -e che l’aveva spinta ad andare in cucina a controllare- era stato quello dell’anta del mobile che si richiudeva. Si era inoltre fatto un tè per spingerla inconsciamente a fare altrettanto, sapendo però che lei avrebbe optato per il caffè, odiando il sapore dell’altra bevanda. E tutto questo lui aveva potuto farlo perché la conosceva e lei non poteva fare nulla contro questo. Doveva assolutamente ricordarsi però di buttare tutte le altre cialde, probabilmente anch'esse piene di quella strana sostanza.
Moriarty e lei erano stati colleghi per molti anni e a causa di questa vicinanza lui aveva potuto apprendere più cose su Samantha di quante forse non ne conoscesse lei stessa. Moriarty era un uomo brillante: malvagio, crudele ed un assassino a sangue freddo, certo, ma brillante e questo Samantha lo sapeva bene. Era inoltre conscia del fatto che non avrebbe potuto rifiutarsi di fare quello che lui le aveva “chiesto” la sera prima, sarebbe stato solo inutile opporsi, un inutile spreco di energie, energie che le sarebbero servite per ben altro. Inoltre quella minaccia non faceva che ritornarle in mente: “dicono che perdere i genitori tempri e faccia diventare più saggi…”.
Samantha bevve un altro sorso del suo cappuccino, rovesciandone un po’ sul tavolo nel riappoggiarlo. “Ti piacerebbe provare?”. Chiuse istintivamente gli occhi come una bambina spaventata fa quando pensa di aver visto un’ombra minacciosa apparire sul muro della sua cameretta: si rannicchia sotto la coperta e così pensa di essere al sicuro, di essere protetta da tutti i mali del mondo. Così Samantha faceva lo stesso, chiudeva gli occhi e si rintanava nei suoi pensieri, nella sua mente, che ormai aveva assunto l’aspetto di una vera e propria casa: lì, tenuti in perfetto ordine, giacevano i suoi ricordi e le sue emozioni e solo in quel luogo ormai riusciva a sentirsi al sicuro, protetta. Ma quella bambina ancora non sapeva che rintanarsi sotto le coperte, astratte o non che fossero, non avrebbe cambiato la realtà ed esse non avrebbero fatto fuggire l’ombra che si stagliava minacciosa sul muro della sua cameretta e che sembrava ingrandirsi sempre di più.
Riaprì gli occhi di scatto guardandosi intorno e facendo un profondo respiro, per poi ritornare a posare il suo sguardo sul fascicolo e sfogliarlo nervosamente.
Ormai l’aveva quasi imparato a memoria a furia di leggerlo e rileggerlo.
Era dalle sette di quella mattina che lo aveva tra le mani chiedendosi quale fosse il vero punto della faccenda. Che cosa aveva in mente Moriarty? E poi, cosa c’entrava Irene Adler con tutto ciò? Perché sarebbe dovuta essere interessata a tutta quella faccenda?
Mentre stava lì seduta al tavolo di quel bar vicino a Baker Street, si era trovata a pensare al fatto che non avesse mai visto La Donna di persona. Ovviamente aveva sentito parlare di lei e delle sue… doti, ma non aveva mai avuto il piacere di conoscerla durante la sua carriera di criminale. Che termine volgare “criminale”, più volte si era sorpresa a pensarlo. In fondo era un po’anche lei una consulente criminale, perché escludere completamente quell’aspetto del suo mestiere alludendo solo alla parte più brutale?
Si costrinse a scacciare questi pensieri dalla sua mente. Non erano più affari suoi quelli, se ne era lavata le mani due anni prima ed il fatto che Moriarty fosse ripiombato prepotentemente nella sua vita non avrebbe fatto la benché minima differenza.
Aveva solo paura che quello in cui stava per essere coinvolta fosse qualcosa di più che una semplice vendetta e, forse, non aveva tutti i torti.
Appoggiò il fascicolo sul tavolo per estrarre dalla sua borsa un cellulare, un cellulare che però non era il suo. L’aveva trovato la mattina stessa sulla scrivania della sua camera da letto, appoggiato sopra il fascicolo che ora giaceva sul tavolino di quel bar. Se lo rigirò tra le mani, valutandone il peso e cercando di scorgere qualche dettaglio che poteva esserle sfuggito, ma non ebbe fortuna.
Era nuovo ed avvolto in una cover rosa che Samantha aveva cominciato ad odiare da subito. Si decise ad accenderlo. Probabilmente era con quello che Moriarty o uno dei suoi scagnozzi si sarebbe messo in contatto con lei. Come a conferma di quello che aveva appena pensato, arrivò un messaggio, segnalato da un fastidioso accenno di violino, due stridenti note alquanto inquietanti. Non esitò a leggerlo immediatamente.

 

Da: numero nascosto

2 novembre 2015, ore 10:02

Trovato qualcosa di interessante?

JM

 

Samantha alzò gli occhi al cielo e riprese in mano quello stupidissimo fascicolo. Interessante? Oh, quel fascicolo era tutto meno che interessante. Lo odiava, odiava dover seguire delle istruzioni ed odiava essere comandata a bacchetta.


File di Samantha Brooks di età 27, nazionalità inglese

La vita al 221B di Baker Street


Se sei entrata in possesso di questo file, vuol dire che hai accettato i termini e le condizioni dell'accordo. Non appena avrai letto questo documento esso dovrà essere distrutto.
Dovrai memorizzare i dati necessari e tenere bene a mente le informazioni che ti verranno fornite. Allegato alla presente troverai un cellulare che dovrai utilizzare per riferire i dati raccolti. Potrai usare solo ed esclusivamente il mezzo di comunicazione fornito, essendo protetto da numerose password di sistema che impediranno a qualsiasi hacker di attingere alla memoria interna. Ti sarà fornita un'identità fittizia ed una storia di copertura.
A questi aspetti è già stato provveduto.
Di seguito sono elencati il tuo nuovo nome e tutti i dettagli riguardanti la nuova identità che dovrai assumere.

Nome: Page Lincoln

Età: 27 anni

Data di nascita: 3 febbraio 1988

Impiego: disoccupata

Padre: Josh Lincoln

Madre: Elizabeth White

Stato sentimentale: single

[...]



Samantha staccò per un istante gli occhi dal fascicolo. Non riusciva ancora a capire perché fosse così rilevante specificare il suo stato sentimentale, cioè diamine, Moriarty esattamente cosa si aspettava che facesse? Avrebbe dovuto sedurre Sherlock Holmes? Al solo pensiero le scappò da ridere. Da quanto aveva sentito dire, sembrava che fosse un tipo molto improbabile e, a quanto pareva, i giornali si divertivano a sbizzarrirsi sulle più strampalate teorie a proposito della relazione “molto più che platonica” tra il detective ed il suo assistente John Watson. Anche a questo pensiero non poté trattenersi dal ridere divertita.
Di malavoglia ritornò a concentrarsi su quel maledetto fascicolo.

 

[...] Oltre alle informazioni di base che le sono appena state fornite, nel corso della sua permanenza al 221B di Baker Street le verranno inviati ulteriori aggiornamenti sugli atteggiamenti da tenere in presenza e non del sig. Sherlock Holmes. Nelle pagine che seguono è stata stilata una lista delle principali abitudini del soggetto e parte delle sue peculiarità caratteriali, anche se solo parziale perché si ritiene che l'incaricata della missione debba rimanere principalmente all'oscuro di maggior parte delle informazioni relative al soggetto.



Samantha alzò nuovamente gli occhi al cielo. Ecco un’altra cosa che odiava di quel fascicolo: il fatto che non sapesse a cosa stesse andando incontro. Inoltre, anche se diceva ci fossero informazioni relative a Sherlock Holmes, quel fascicolo ne era oscenamente sprovvisto. In realtà non era estremamente lungo, c’erano solamente le informazioni essenziali e in fin dei conti non la vincolava nemmeno tanto… nel senso che la lasciava abbastanza libera di comportarsi normalmente, senza dover assumere una diversa identità caratteriale. Beh… ovviamente fino ad un certo punto, non doveva certamente mandare a monte la copertura mettendosi troppo a nudo. La cosa però che la incuriosiva maggiormente era stata la frase, inserita in quelle poche pagine, che era stata scelta per descrivere il detective. C’era solamente scritto:

 

 

Sherlock Holmes:

I geni sono i più felici tra i mortali, perché quello che amano fare di più è proprio quello che devono fare.

 

Samantha l’aveva letta e riletta più volte quella frase ed ogni volta che la rileggeva acquistava un significato differente. Sapeva che voleva dire molto di più di quello che lasciasse ad intendere, anche se sinceramente non avrebbe saputo dire esattamente cosa, ma era certa che prima o poi tutto le sarebbe stato più chiaro.
Si era appena rilassata, cercando di finire il suo cappuccino ormai freddo, quando la suoneria del suo nuovo cellulare la fece sobbalzare.
Prese dalla tasca l’ormai odiato oggetto e si accinse a leggere il nuovo messaggio.



 Da: numero nascosto

2 novembre 2015, ore 10:15

Spero tu apprezzerai il piccolo regalo che ti sto facendo. Dormi sonni tranquilli a Baker Street mia cara Sam. Se non sei ancora molto convinta di questo mio piccolo spettacolo, prendilo come un esperimento: dagli esperimenti si impara sempre qualcosa, non credi?

JM



Roteò nuovamente gli occhi, chiedendo al cielo di darle la forza di proseguire.
Strinse ansiosamente tra le mani il cellulare, mettendosi a rispondere al messaggio.

 

Destinatario: numero nascosto

2 novembre 2015, ore 10:16

Page Lincoln? Seriamente?

 

 

Da: numero nascosto

2 novembre 2015, ore 10:16

Non ti facevo così volubile. Vedi di concentrarti, hai un solo tentativo, cerca di non sprecarlo.

JM

 

 

Destinatario: numero nascosto

2 novembre 2015, ore 10:17

Non mi pare di aver mai sprecato le mie occasioni, o sbaglio? Comunque, sinceramente, non ho ancora capito cosa tu voglia da Sherlock Holmes e soprattutto come io possa procurartelo.

 

 

Da: numero nascosto

2 novembre 2015, ore 10:18

Tutto a tempo debito, di questo non devi ancora preoccuparti. Piuttosto, preoccupati delle cose serie.

JM

[Inviando immagine]

 


Destinatario: numero nascosto

2 novembre 2015, ore 10:18

Di lui non mi preoccupo. Non mi ha mai vista in faccia, non potrebbe mai riconoscermi.

 


Da: numero nascosto

2 novembre 2015, ore 10:18

Cerca di fare una buona impressione, non vorrei dovermi sporcare le mani di altro sangue innocente. Sarebbe davvero disdicevole. Guarda alla tua destra, sorridi e per carità, con Sherlock sii te stessa.

JM



                                                                                                                                       

“Sii te stessa”? cosa intendeva dire? Moriarty non era certamente un uomo che si sarebbe perso a fare delle raccomandazioni inutili. Perché mai avrebbe dovuto essere se stessa con Sherlock Holmes?
Samantha guardò alla sua destra un po’ confusa, dal momento che non ne vedeva il motivo, ma il motivo arrivò in tutta la sua magnificenza e pomposità. Il motivo era Mycroft Holmes.
Ed era anche un gran bel motivo per sorridere come si era ritrovata a fare la ragazza, temendo addirittura di non riuscire più a smettere di farlo. Era seguito a ruota da un ometto, abbastanza basso, ma che avanzava con passo deciso stringendo i pugni. Era biondo ed aveva un’espressione evidentemente stanca. Aveva un passo quasi marziale.
“ Mi trovo forse al cospetto di un militare?” pensò Samantha mentre faceva segno con la mano ai due uomini. Solo quando egli le fu ormai a pochi passi di distanza si disse "un militare, ovviamente, sembra avercelo scritto in faccia" e realizzò che si trattasse di John Watson, il fidato collega di Sherlock Holmes.
Il sorriso stampato sulla faccia di Samantha non era dovuto alla simpatia che provava per il maggiore degli Holmes, ma al suo aver notato un cecchino appostato sul tetto dell’edificio dall'altro lato della strada.
"Meglio non fare passi falsi", si era detta.

"Miss Lincoln, suppongo. Piacere di fare la sua conoscenza, sono Mycroft Holmes"

L’uomo fece un sorriso forzato e tese la mano aperta verso quella di Samantha, che prontamente si era curata di stringere calorosamente.

"Anche per me è un piacere fare la sua conoscenza signor Holmes e… presumo che lei invece sia il signor John Watson"

L’uomo rimase un po’ interdetto, ma non esitò a stringere la mano che la ragazza gli stava educatamente porgendo.

"In persona. Piacere"

Si sedettero tutti e tre al tavolino di ferro e rimasero a fissarsi negli occhi per cinque secondi buoni. Samantha sentiva fissi su di sé gli sguardi di entrambi gli uomini: menomale che aveva provveduto a “disfarsi” di qualsiasi dettaglio che avrebbe potuto far dedurre di lei più di quanto lei non avrebbe voluto.
Aveva alterato i suoi dettagli. Si divertiva a farlo con quelli che avrebbero potuto notarlo e sapeva che Mycroft Holmes era un attento osservatore.
Amava mettere gli uomini come lui sulla pista sbagliata.

"Le dispiace se le chiedo una sigaretta, miss Lincoln?"

Samantha sorrise compiaciuta e fu ancora più compiaciuta di rispondere un "temo di non poterla accontentare perché, vede, io non fumo"

L’espressione dell’uomo non sembrò cambiare di un millimetro: si sistemò sulla sedia accarezzando il manico del suo ombrello e ritornò a puntare i suoi occhi su quelli della ragazza.

"Non deve sentirsi in imbarazzo, non ho la tendenza a giudicare i fumatori e non solo perché sono uno di essi"

"Non mentivo quando le dicevo che non fumo"

"Le sue labbra invece dicono tutt’altro"

"Mycroft…"

Disse John intromettendosi, avendo paura di assistere ad una scena a cui fin troppe volte aveva assistito. Sapeva che Mycroft stava per vomitare un fiume di parole davanti a quella ragazza che il medico, erroneamente, considerava ingenua, e non era certamente quello il motivo per cui erano venuti lì, non per dimostrare le capacità deduttive di Mycroft.

"Credo che sia meglio arrivare al punto"

Aggiunse poi, sperando di aver acquietato le acque. Si rivolse a Samantha.

"Perché vede signorina, abbiamo considerato la sua proposta e…"

Lei però non lo stava ascoltando e non aveva smesso neanche per un secondo di fissare gli occhi glaciali di Mycroft Holmes.

"Perché? Cosa dicono le mie labbra, signor Holmes?"

John sospirò e appoggiò il gomito del braccio sul tavolino, così che la sua mano potesse sorreggergli la testa che aveva abbandonato stancamente.
Che quello che doveva accadere accadesse per l’amor del cielo, perché si era stufato di fare da balia ai fratelli Holmes. Mycroft avrebbe parlato, la ragazza sarebbe rimasta a bocca aperta ed avrebbe confermato tutte le deduzioni dell’uomo, al che avrebbe lanciato qualche insulto o qualche complimento o se ne sarebbe semplicemente andata e non avrebbe più accettato di condividere l’appartamento.
Così si mise comodo ed aspettò l’inevitabile.

"Sono curiosa, parli"

Mycroft non si fece certo pregare.

"Oh, ma è molto semplice miss Lincoln. Vede, le sue labbra sono molto secche, ma il punto in cui lo sono maggiormente è al centro del labbro superiore, dove vi è un piccolo foro che non fa combaciare perfettamente il labbro superiore con quello inferiore. Una piccola imperfezione dovuta al fatto di tenere in bocca la sigaretta. E deve fumare anche da abbastanza tempo, perché il buco è abbastanza visibile. Inoltre i suoi abiti sanno di fumo e deve per forza essere il fumo della sua sigaretta perché questo tavolo non è abbastanza vicino agli altri da averle permesso di ricevere il potenziale odore acre della sigaretta di un altro cliente. Poi, non per essere troppo ovvio, ma su questo tavolo è presente un portacenere e si vede chiaramente che in esso c’è una sigaretta fumata da poco, che, tra parentesi, deve per forza essere sua e non di un cliente precedente"

Mycroft annusò il tabacco contenuto nel portacenere.

"Direi… mezz’ora… no, tre quarti d’ora fa ne ha fumata una e per sbaglio ha fatto finire un po’ di cenere sulla manica del suo giubbotto. Ha provato a pulirlo con la mano destra, dal momento che lei è mancina e quindi tiene la sigaretta con la mano con cui scrive, cioè la sinistra, ovvio, ma evidentemente con scarsi successi. Come posso dire che lei è mancina? Beh, il manico della sua tazza è rivolto verso sinistra, inoltre ha un cerotto sul dito medio della sua mano sinistra, callo della scrittura, probabilmente ieri sera o questa mattina si è messa a scrivere ed esso ha cominciato a dolerle. Lei è una scrittrice? Non mi sorprenderebbe. Ama scrivere a mano e non al computer visto il callo. Quindi deve sicuramente avere un pacchetto di sigarette nella sua tasca destra del giubbotto, ne intravedo la forma"

Samantha rimase in silenzio per qualche secondo, si toccò la manica della giacca in questione, guardando prima John Watson, che la guardava con compassione, e poi Mycroft Holmes. Finse smarrimento finché non disse "meraviglioso, davvero fantastico"

John fu sollevato dall'udire quelle parole: evidentemente era più una tipa da complimenti che da insulti.
Forse, in fondo, avevano trovato la perfetta coinquilina per Sherlock.

"Miss Lincoln, mi duole essere stato magari un po’ brusco, le mie deduzioni a volte sono un po’ troppo, ecco… invadenti"

"Oh, non si preoccupi, non mi sono per niente offesa e non mi sento a disagio"

"Ne sono fe…"

"Sarebbero state ancora più incredibili le sue deduzioni, se ne avesse azzeccata almeno una"

Mycroft si fermò di colpo, la mascella mezza aperta a metà di una frase e la mano appesa a mezz’ aria, fermata nel bel mezzo di un discorso. Anche John Watson sembrò risvegliarsi dal suo stato di stanchezza e sgranò gli occhi.

"Oh, non intendevo dire nulla di sconveniente, signori"

Samantha fece finta di niente, mantenendo un atteggiamento disinvolto, anche se dentro di sé sembrava stesse per scoppiare un incendio e si sentiva così viva.

"Non capisco cosa intenda, signorina"

"Esattamente quello che ho detto. È stata solo una serie di equivoci a portarvi all’erronea convinzione a cui siete giunto e cioè che io sia avvezza  a quel fumo mortale"

"Non ci sono altre spiegazioni"

La mascella di Mycroft si irrigidì all’istante, strinse ancora più nel pugno il manico del suo ombrello nero rigorosamente chiuso ed alzò irriverentemente un sopracciglio. Espirò e si ridiede un contegno, mentre il suo compagno non smetteva di fissare allibito quella ragazza dai capelli biondi che aveva appena osato contraddire un Holmes. Avrebbe cancellato tutti i suoi impegni per vedere come sarebbe andata a finire.

"Vede signor Holmes, non sempre ciò che sembra ovvio è la risoluzione al problema, anzi, solitamente, sono le cose più improbabili a rendere un problema degno di essere risolto"

"Temo di non seguirla"

"Lei non ha nemmeno considerato l’idea che potessi essere venuta in questo bar accompagnata. Ha subito cominciato a dedurre ciò che vedeva, senza però pensare all’altra faccia della medaglia. Perché vede, le cose hanno questo brutto vizio di poter essere viste da diverse prospettive e a volte è davvero tediante, lo devo ammettere"

"Accompagnata?"

"Esattamente"

"Scusate, sono io a non seguirvi adesso"

Intervenne Watson più confuso che mai, ma ormai abituato a quella sensazione.

"Quando sono arrivata in questo bar, circa alle 9:15, ho deciso di chiamare una mia amica che abita nei dintorni per venire a farmi un po’ di compagnia, sapete, mi sentivo terribilmente sola"

Samantha si godette lo spettacolo dei due uomini che la fissavano a bocca aperta, ansiosi di venire messi a conoscenza del seguito della sua storia.

"Così è arrivata verso le 9:30 e dopo aver parlato un po’, mi ha chiesto il permesso di fumare una sigaretta, anche se sa che non amo particolarmente l’odore del fumo"

"Questo spiega l’odore di fumo sui suoi vestiti, ma il resto?"

"Con calma, ci sto arrivando. Così poi, mentre ci stavamo salutando, un po’ di cenere della sua sigaretta mi è caduta sulla giacca, ma ho deciso di ignorare l’accaduto per non farla sentire a disagio. Dunque quando se n’è andata ho provato a toglierla, ma come vede, essendo una giacca bianca, non è stato un tentativo molto riuscito"

"Ma non è possibile che lei si sia pulita la manica destra con la mano destra!

"Ovviamente mi sono tolta la giacca per farlo. Comunque, dove ero rimasta? Ah, sì. Così ho continuato a bere il mio caffè in santa pace finché non siete arrivati voi"

"Quindi lei mi vuol far credere di non essere mancina?"

"Non glielo voglio far credere, può constatarlo lei stesso"

Samantha sfilò una penna dalla sua borsa e cominciò a scrivere con la mano destra su una salvietta di carta. La sua scrittura era impeccabile.

"Potrebbe essere ambidestra"

"Le dimostrerò che anche questa sua deduzione è sbagliata"

Prese nuovamente in mano la penna e se la passò nella mano sinistra. Era evidente che non avesse la dimestichezza necessaria per scrivere con quella mano e la sua scrittura irregolare e frammentata lo confermò.

"Vede?"

"Allora come spiega il cerotto sul dito medio della sua mano sinistra? Non può che essere un callo della scrittura"

"Mi dispiace doverla deludere, ma mi sono solamente scottata con il caffè questa mattina. Era nel suo bricco e, non so come mai, mi è scivolato e mi sono scottata"

"Ma perché mai il manico della sua tazza è rivolto verso sinistra se lei è destrorsa?"

"Amo bere il caffè con la mano sinistra"

A quella risposta la faccia di Mycroft Holmes, da distesa, si riempì di grinze e di rughe d’espressione. "Ridicolo" pensò.

"Ma le labbra! Le sue sono labbra da fumatrice!"

"Anche per le mie labbra c’è stato un piccolo incidente con il caffè questa mattina e per questo motivo sono rimaste in questo stato… speravo che non fosse così visibile"

John Watson avrebbe giurato di aver visto Mycroft boccheggiare. Era immobile, i suoi occhi ancora fissi su quelli della ragazza, sembrava non battere nemmeno le palpebre.

"Ah, un’ultima cosa: odio scrivere a mano, ma adoro la tastiera del mio computer e, no, non sono una scrittrice, ahimè!"

Samantha, dall’alto del suo sadismo, cominciò a scusarsi in modo finto e calcolato, godendosi quel momento come ne aveva goduti pochi nella sua vita. Come colpo finale si era riservata di prelevare dalla tasca destra del suo giubbotto un pacchetto di gomme americane, che aveva dato a Mycroft  l’impressione di essere un pacchetto di sigarette, e lo esibì con fare innocente. Ci fu un breve silenzio.

"L’indirizzo è il 221B di Baker Street, vero?"

Aggiunse la ragazza.

"S..sì, è q…quello"

Riuscì a balbettare John, ancora visibilmente sconcertato.

"A domani mattina, allora"

La ragazza si alzò dalla sedia e lasciò dei soldi sul tavolo, seguiti da una lauta mancia.

"Amo i bar, non trovate che siano così graziosi?"

E detto questo si congedò, uscendo dal giardinetto del locale per scendere giù in strada.
Quando fu certa di essere abbastanza lontana, scoppiò in una fragorosa risata.
Non si divertiva così tanto da molti anni e sperava che quel divertimento non si interrompesse così presto.

"E' stato…fantastico"

Disse John Watson non appena la ragazza ebbe lasciato il locale.

"Si tenga le sue espressioni di stupore per lei, dottor Watson"

"Non ci posso credere, Mycroft Holmes... zittito da una ragazzina"

"Mi pare che nemmeno lei sia rimasto tanto indifferente davanti ai discorsi della ragazza, o sbaglio?"

"Io, fino a prova contraria, non mi chiamo Mycroft Holmes"

"Grazie al cielo, aggiungerei"

John non dette peso alle parole dell’uomo, perché sapeva che egli era stato punto sul vivo.

"Ho solamente sottovalutato la situazione, può succedere"

Detto questo, prese in mano l’ombrello e si incamminò verso l’uscita, seguito da John.

"Non sappiamo niente su quella ragazza e domani si presenterà a Baker Street convinta di poter condividere l’appartamento"

"E così sarà nei fatti, dottore"

A quelle parole sul volto di John si formò un’espressione di incredulità.

"Non credo sia una buona idea, non sappiamo niente di lei e non le abbiamo potuto nemmeno parlare di Sherlock… insomma, non possiamo certo dire che sia un dettaglio da ignorare"

"Domani, quando si presenterà all’appartamento, non esitate a concludere l’affare"

E con questo, Mycroft salì sull’auto nera che si era fermata a pochi centimetri dai due uomini, lasciando John sul marciapiede della via affollata, solo, con i suoi pensieri.
Perché mai Mycroft si era impuntato così tanto? Perché voleva che quella ragazza, che lo aveva quasi umiliato solo qualche minuto prima, condividesse l’appartamento con suo fratello minore? Il medico decise di non pensarci. Aveva molte altre cose di cui curarsi dopo la morte di Magnussen.






Angolo autrice ritardataria: e così si conclude anche il secondo capitolo, sperando che vi sia piaciuto e che non abbiate intenzione di linciarmi. Spero mi facciate sapere che ne pensate con una piccola recensione (che sono sempre più che gradite). Nel frattempo vi auguro un buon fine settimana. A presto! 

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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


Capitolo tre corretto

Salve a tutti! In questo terzo capitolo lo Sherlock che stavate aspettando tutti in trepidante attesa finalmente si degnerà di fare la sua apparizione. Un hip hip urrà per Sherlock! Yeeee.
Anche per questo capitolo c'è stato un po' di ritardo (mi sa che la faccenda continuerà ad andare avanti in questo modo purtroppo) e mi scuso nuovamente.
Sono stata inoltre informata del fatto che l'immagine nel capitolo precedente non si vede. Ho provato a ricaricarla ma l'html mi odia e ovviamente non mi avrebbe mai permesso di portare a termine questo mio compito. Dunque l'ho tolta e finché l'html non tornerà da me strisciando implorandomi di rimetterla la situazione rimarrà invariata.
Mettiamoci il cuore in pace: io l'ho accettato, non c'è altro da fare. Se qualcuno ha qualche prezioso consiglio o trucco da elargirmi in merito, me lo scriva nelle recensioni, che sono disperata.
Samantha è sempre più stufa e l'incontro con Sherlock non farà che peggiorare la situazione. Sguardi di fuoco e frecciatine d'odio assicurate. Sperando che questo capitolo vi piaccia vi auguro una buona lettura!


Angela Smith



Capitolo tre

 



Tre colpi di pistola. Era iniziata così quella strana giornata al 221B.
Cos’altro ci si poteva mai aspettare dal consulente investigativo più annoiato al mondo?
Era da due settimane che non metteva piede fuori dal suo appartamento e la cosa stava cominciando a tediarlo profondamente.
Come si era permesso Mycroft di segregarlo in casa? “Agli arresti domiciliari” aveva detto.
Al solo pensiero Sherlock storse la bocca in un’espressione di disgusto.
Stava quasi quasi rivalutando quella missione che gli era stata assegnata dall’ MI6 come sconto della pena*. Probabilmente sarebbe morto entro sei mesi, ma forse sarebbe stato meglio di tutto ciò che in quel momento era obbligato a subire.
L’inattività lo stava uccidendo e non aveva nulla che potesse, anche solo momentaneamente, ridurre le sue sofferenze. Mrs Hudson gli aveva nuovamente nascosto le sue sigarette.
Poteva mai andare peggio di così?
Si alzò stancamente dal divano per andare ad ammirare da più vicino i fori che le pallottole della sua pistola avevano lasciato sul muro.
Ne sfiorò uno con l’indice della mano destra per poi avviarsi verso la cucina.
Due uomini erano addetti alla sua sicurezza, o meglio, al suo controllo. Due agenti, incaricati da Mycroft, sorvegliavano giorno e notte l’entrata del 221B, evitando che qualcuno entrasse, ma soprattutto, che Sherlock ne uscisse.
Sherlock, come era ovvio, aveva già predisposto la sua fuga e mancavano davvero delle inezie per portare il suo piano alla perfezione.
Tanto per cambiare quegli agenti erano americani. Solo un’altra volta aveva avuto a che fare con loro ed era stata un’esperienza alquanto spiacevole.
Caso aveva voluto che uno degli agenti incaricati di sorvegliarlo fosse proprio quello con cui aveva avuto una piccola…discussione, che si era risolta con un volo dalla finestra del 221B**. Probabilmente l’agente non aveva gradito il gesto.
La cosa più divertente era che erano autorizzati a sparargli non appena lui avesse tentato la fuga. Il primo ministro era stato molto chiaro a riguardo.
Per uscire da quella prigione bastava non farsi ammazzare ed eludere la sicurezza. Un gioco da ragazzi insomma.
Sherlock guardò di sottecchi i biscotti che gli aveva preparato la sera precedente Mrs Hudson, l’unica con cui avesse contatti. Si annoiava così tanto che avrebbe addirittura mangiato per poter far passare più velocemente quell’agonia.
Ma all’udire dei passi concitati provenire dalle scale -passi che non appartenevano né a Mrs Hudson né ai due agenti -decise che forse non ce ne sarebbe stato bisogno.



***



Samantha avrebbe preferito fare qualsiasi altra cosa, qualsiasi, piuttosto che trovarsi lì, in quella strada e soprattutto davanti a quell’appartamento.
I tre numeri attaccati sulla porta d’ingresso troneggiavano al centro di essa ed era ben evidente che non fossero stati lucidati da molto tempo.
"Due, due, uno", disse inconsciamente ad alta voce.
Avrebbe vissuto i mesi successivi all’interno di quell’edificio che ormai percepiva come nemico.
Era sempre stata abituata a vivere da sola, le convivenze non erano proprio nel suo stile, ed ora si sarebbe ritrovata a dover condividere un appartamento mai visto prima con una persona a lei totalmente sconosciuta. La cosa stava cominciando ad irritarla alquanto, ma d’altronde non c’era nulla che lei potesse fare. Moriarty aveva cecchini appostati nelle ville accanto a quelle dei suoi genitori, i quali venivano sorvegliati giorno e notte: ad un minimo passo falso di Samantha, Moriarty avrebbe dato loro ordine di far fuoco.
Non avrebbe permesso che i suoi genitori scontassero il suo passato più che discutibile, quello era un peso che aveva deciso avrebbe dovuto gravare solo ed unicamente sulle sue spalle.
Si sistemò la gonna a vita alta e la sciarpa attorno al collo. Erano le 9:15 ed era in largo anticipo per l'incontro con John Watson. Aveva dovuto dormire in un hotel, dove aveva depositato gran parte dei suoi bagagli, e quella mattina era stata svegliata da un incantevole messaggio, degno delle più struggenti lettere d’amore.

 

Da: numero nascosto

3 novembre 2015, ore 8:03

Svegliati. Fatti trovare davanti al 221B di Baker Street alle nove in punto. Non fare domande, vacci e basta.

JM



Ah, amava i modi gentili la mattina presto.
Non aveva replicato, come aveva inizialmente pensato di fare, ma si era solamente alzata per prepararsi a quella che per lei sarebbe stata una giornata alquanto difficile.
Si era vestita in modo totalmente diverso dal solito: dal momento che doveva fare finta di essere un’altra persona, perché non farlo in tutto e per tutto? Così si era messa quella gonna alta e stretta in vita. Scendeva morbida sui suoi fianchi e non poteva non pensare che le stesse divinamente. Anche quella mattina aveva alterato i suoi dettagli: stava diventando una cosa estremamente divertente ed aveva deciso che l’avrebbe fatto più spesso.
E così si trovava lì, al cospetto della dimora di Sherlock Holmes, un’ora in anticipo rispetto all’orario prestabilito, o meglio, tre quarti d’ora. Diciamo che non era arrivata esattamente alle nove in punto. E poi, ritardare al momento giusto è un’arte e Samantha amava pensarla così. Non sarebbe scesa così in basso da considerarsi una ritardataria.
Stava osservando il grande battente dorato sulla porta di vernice nera: era perfettamente centrato e quella non sembrava affatto la sua posizione abituale.
Ne era la prova il fatto che esso avesse lasciato più di qualche graffio sulla vernice nera ai lati della porta. Samantha si avvicinò ad esso e lo sollevò, constatando che la sua ipotesi non era errata: infatti, avendolo sollevato, poté vedere che il segno sotto di esso, lasciato sulla vernice, non era così evidente come quello ai lati. Guardò per terra e vide un giornale ancora avvolto nella sua confezione. Era completamente bagnato.
Quand’era l’ultima volta che aveva piovuto? Lunedì della settimana scorsa? Comunque quel povero giornale sembrava averne presa più d’una di pioggia.
Rispostò il suo sguardo sul battente, questa volta però decisa ad utilizzarlo per la funzione per cui era stato istituito. Un pensiero però la fermò.
"Staranno ancora dormendo...", pensò, ed un lieve sorriso solcò le sue labbra.
Le piaceva da matti essere inopportuna. Magari era per questo che non suscitava mai molta simpatia nelle persone. Sorrise di nuovo a quel pensiero. Ma d’altronde non era colpa sua se quella mattina era stata svegliata in maniera insopportabilmente sgradevole.
Non ebbe però il tempo di fare ciò che si era predisposta, perché tre spari interruppero il flusso dei suoi pensieri.
"Cosa diavolo sta succedendo?", si chiese, aggrottando leggermente le sopracciglia.
"Moriarty", pensò, avendo persino paura di quel pensiero.
Sentì un lieve pizzicorio alle tempie e lo stomaco contorcersi: un nodo in gola, quasi doloroso, al solo pensare di essere stata ingannata da quell'uomo. E se in realtà il suo piano fosse stato quello fin dall’inizio?
Sparare a Sherlock Holmes e far ricadere tutta la colpa su di lei per vendicarsi di ciò che due anni prima gli aveva fatto?
Le mani della ragazza cominciarono a tremare. Questo avrebbe spiegato la posizione del battente diversa dall’ordinario: uno degli uomini di Moriarty avrebbe potuto facilmente infiltrarsi in quell’appartamento senza essere notato.
Se quello era davvero il piano di Moriarty, Samantha avrebbe dovuto ragionare freddamente e non farsi prendere dalle emozioni.
Fece un profondo respiro e provò ad aprire la porta. Con orrore la porta si spalancò con estrema facilità. Guardò la rampa di scale: anche se Moriarty stava cercando di incastrarla non poteva non salire.
Diamine e se, chiunque ci fosse nell’appartamento in quel momento, fosse stato ancora vivo? Pensò di chiamare un’ambulanza e fuggire, ma non poteva essere certa delle sue supposizioni, anche se sembravano combaciare così bene… il messaggio di quella mattina… il battente…
"No, smettila Samantha, concentrati. Qualsiasi cosa sia successa non puoi tirarti indietro. Se c’è qualcuno al piano di sopra, qualcuno che ha bisogno di aiuto, devi salvarlo, non importa nient’altro in questo momento".
Corse su per le scale con il cuore che sembrava volerle uscire dal petto.
Erano passati troppi anni: due anni prima avrebbe saputo esattamente come reagire in una situazione del genere, senza esitazioni, mantenendo il sangue freddo.
I battiti così accelerati non sarebbero certamente stati compresi nel pacchetto.
Arrivata in cima si precipitò verso la porta chiusa a sinistra. Provò ad aprirla, ma era chiusa a chiave. Si tolse due forcine dai capelli per provare a scassinarla e per fortuna era una serratura semplice da far scattare.
Si fiondò nell’appartamento facendo sbattere la porta sulla parete.
Moderò i suoi respiri decisamente troppo frequenti e si guardò attorno.
Sembrava non esserci nessuno, ma sapeva che ciò non voleva dire assolutamente niente: nel tempo che lei aveva impiegato per salire le scale e scassinare la serratura, il potenziale assassino avrebbe potuto già portare a termine il suo lavoretto e lasciare l'abitazione in completa tranquillità.
Fece un passo e per poco non rischiò di cadere su una pallina di gomma abbandonata sul pavimento.
Setacciò tutto il soggiorno ma non sembravano esserci indizi che facessero pensare ad una colluttazione. Oddio, vero era che sembrava che ci fosse passata una mandria di bufali inferociti in quella stanza, il che rende l’idea di come fosse possibile cercare qualche dettaglio rivelatore in quel disastro.
Un po’ tranquillizzata dal non aver ancora trovato tracce di sangue, Samantha continuò a cercare per l’appartamento, setacciando ogni stanza, ma niente, non c’era nessun corpo e nemmeno del sangue. Eppure era sicura di aver sentito quegli spari, non se li era immaginati.
Fece un bel respiro e si mise le mani fra i capelli. Tutto ciò non aveva alcun senso.
Ma nel girare la testa verso sinistra li vide. Strinse gli occhi a fessura per poter vedere con più chiarezza e si avvicinò al muro che aveva tanto attirato la sua attenzione.
Erano lì, in piena vista. I tre spari.
Sfiorò con l’indice della mano uno di essi, dandosi dell’idiota. Si guardò intorno per cercare di capire da che distanza quei colpi fossero stati sparati.
L’unico punto sembrava poter essere la poltrona che era nell’angolo a destra della stanza.
Dio santo! Come aveva potuto essere così scema?
Ritornò a fissare i tre buchi nel muro continuando a maledirsi mentalmente.
Ora l’unica cosa da fare era sparire senza lasciare nessuna traccia, o almeno... questo era quello che aveva in mente di fare prima che le fosse stata puntata una pistola nella schiena.

"Solo due domande, sarò breve. Chi è lei e come ha fatto ad entrare"

L’uomo che le stava puntando la pistola aveva una voce molto bassa e di lui, per adesso, Samantha poteva solamente dedurre che era... un uomo, ovviamente, e che probabilmente era un fumatore. Utile no?

"Ho sentito degli spari e sono corsa qui"

"Non era questa la mia domanda e non è cortese non rispondere alle domande che vengono poste"

Samantha inspirò profondamente.

"Non è nemmeno molto cortese puntare una pistola contro i propri ospiti, mi pare"

Samantha non poteva vederlo perché era girata di schiena, ma avrebbe giurato che l’uomo avesse sorriso a quella sua risposta.

"Lei non è certamente mia ospite, ma un’infiltrata. Non so come abbia fatto ad eludere gli agenti di sicurezza ma…"

"Agenti? Quali agenti?"

"Gli agenti che sono al... pian terreno"

Notò una nota di incertezza nella sua voce. Doveva essere davvero convinto che ci fossero. Interessante, Sherlock Holmes -perché non poteva che essere lui l'uomo che le stava puntando la pistola in quel modo così poco galante- era controllato. Voleva saperne di più.

"Non c’era nessuno al pian terreno e la porta era aperta. Oh, ho appena risposto alla sua seconda domanda. Me ne manca solo una adesso. Non è meraviglioso?"

Sherlock ancora non sapeva se avrebbe potuto fidarsi di quella ragazza, non aveva idea di cosa ci facesse nel suo appartamento, ma la sua scusa degli spari sembrava credibile…un po’ meno il fatto che non ci fossero stati gli americani ad attenderla al piano di sotto.
Si rimise la pistola nella vestaglia e fece qualche passo indietro, giusto per dare modo alla ragazza di voltarsi.
Non la temeva più di tanto, anche perché non sembrava armata.

"Piacere, sono Sam… ehm… Page, Page Lincoln"

"Il piacere è tutto suo"

"Immaginavo che non fosse una persona cortese, ma mai avrei pensato così tanto. La pistola non era contemplata nemmeno nelle mie ipotesi peggiori"

"Immaginato? Perché?"

"Perché l’avevo immaginata? Oh, lei sa... non credo di essere l'unica ragazza ad aver provato ad immaginare il famoso Sherlock Holmes"

"No, non intendo questo, intendo perché si trova qui"

"Direi che questo interrogatorio non sta venendo gestito in maniera appropriata"

"Forse perché lei continua a non rispondere alla mie domande"

"O magari perché lei continua a non farmi le domande giuste"

Sherlock rise ironicamente.

"E quali sarebbero le domande giuste, secondo lei?"

"Mi sento sotto interrogatorio"

Disse Samantha mentre si sfilava la sciarpa appoggiandola sulla poltrona accanto a lei.

"Lei è sotto interrogatorio, mi sembrava l’avessimo già chiarito"

"Allora mi avvalgo della facoltà di non rispondere"

L’uomo estrasse nuovamente la pistola dalla tasca della sua vestaglia.

"Non mi sembra che lei sia nella posizione di avvalersi di questa facoltà"

"Credo che…"

"Stia zitta! In silenzio! Muta!"

"Era proprio quello che le stavo suggerendo"

Sherlock non poté fare a meno di sbuffare spazientito, ma sempre cercando di mantenere la calma. Quella ragazza, chiunque fosse, stava cominciando a diventare estremamente fastidiosa e voleva liberarsene il prima possibile.
Era alto e molto magro e a Samantha sembrava che i suoi occhi la penetrassero.
Erano di un verde intenso e luminoso, anzi, non avrebbe potuto dire con certezza se fossero azzurri o verdi, sembravano cambiare continuamente colore con il variare della luce.
Si sentiva messa sotto esame da quegli occhi che non si staccavano un secondo dalla sua figura.
La stava osservando con estrema attenzione e lei pregava che lui facesse le sue deduzioni a voce alta, amava vedere la gente sbagliare.
Purtroppo questa volta non avrebbe avuto il fattore sorpresa di cui aveva potuto godere il giorno precedente con Mycroft.
Ma, quegli occhi…le ricordavano quelli di…no, non poteva essere.
Lo sguardo le cadde sui riccioli mori del ragazzo, fuori posto e disordinati e le venne lo strano impulso di accarezzarli, solo per vedere che effetto le avrebbe fatto.
Si risvegliò improvvisamente dai suoi pensieri, ritrovando il sangue freddo che pensava di aver perso due anni prima.
Stranamente si sentiva a suo agio in quella situazione ed era anche segretamente sollevata di non aver trovato nessun cadavere, ma solo un ragazzo evidentemente annoiato che aveva pensato bene di sparare al muro del suo appartamento.
Probabilmente lo avrebbe fatto anche lei se si fosse ritrovata nella sua stessa situazione.

"A giudicare dalle condizioni dell’appartamento direi che è da…due settimane che non esce di qui. Potrebbero essere anche tre, ma forse questo salotto è sempre stato in queste pietose condizioni"

Sherlock sorrise in modo finto e si mise a sedere sulla sua poltrona, sprofondando stancamente in essa. Sapeva che la ragazza aveva ragione, ma non le avrebbe mai dato tanta soddisfazione da ammetterlo.

"Dilettante"

"Come ha detto, scusi?"

Sherlock, non smettendo di sorridere divertito, riprese in mano la sua pistola e sparò un altro colpo sulla parete opposta a lui, proprio vicino a Samantha.
Aveva immaginato che la ragazza si sarebbe spostata di lì spaventata, ma ciò non avvenne. Infatti Samantha rimase immobile a fissarlo con aria offesa.
Non era la prima volta che una pallottola la sfiorava e aveva il presentimento che non sarebbe stata nemmeno l’ultima.
Sherlock non poté nascondere lo stupore, ed il fatto che avesse alzato nuovamente lo sguardo per fissare con sgomento gli occhi di Samantha, confermarono a quest’ultima che aveva finalmente ottenuto l’attenzione di Sherlock Holmes.
Entrambi furono distratti da dei passi provenienti dalle scale.
Fecero il loro ingresso nel 221B un concitato John Watson ed un come sempre impeccabile Mycroft Holmes.

"Sherlock! Oh, grazie al cielo sei qui. La porta era aperta e…"

"John, le avevo già detto che mio fratello non poteva essere uscito ma che, certamente, qualcuno era entrato e come vede avevo ragione. Miss Lincoln, piacere di rivederla"

"Il piacere è tutto mio Mr Holmes"

"Rivederla? Voi vi siete già visti?"

Sherlock Holmes interruppe quell’amabile conversazione per esprimere i suoi dubbi in merito a quello che stava succedendo, fatti di cui evidentemente non era stato messo a conoscenza prima di allora.

"Mycroft, perché conosci questa donna?"

Ora ad essere confusa era Samantha. Guardava ora Sherlock ed ora Mycroft, non riuscendo a capire perché il primo fosse così spaesato e confuso. Insomma, dannazione, possibile che Sherlock non avesse ancora capito chi lei fosse? D’altronde era il diretto interessato.
Un pensiero orribile si fece spazio nella sua mente.
A meno che lui non avesse ancora capito chi lei fosse perché non era stato lui a volere una coinquilina. Samantha si morse il labbro ansiosa. Non vedeva l’ora di vedere come quella faccenda si sarebbe conclusa. Mancavano solamente i pop corn.

 "Avrei voluto che vi conosceste in circostanze…ecco…diverse, ma suppongo che ormai il danno sia fatto"

"Danno, quale danno? Mycroft, di cosa diavolo stai parlando?"

Mycroft fece qualche passo in direzione di suo fratello minore. Aveva un sorriso di circostanza stampato sulla faccia.

"Sei libero, fratello caro"

"Cosa?"

"Intendo dire che potrai uscire di nuovo e ricominciare a crogiolarti beato nella tua fama da consulente investigativo"

"Ma, l’ordine del primo ministro…"

"E' stato revocato, Sherlock. Sapevi benissimo che prima o poi sarebbe successo"

"Perché? Come?"

Mycroft si voltò verso Samantha, la quale stava ascoltando molto interessata i discorsi dei due.

"Le dispiace?"

Che era un modo gentile per dire di andarsene, che parafrasato significava “si tolga dalle scatole”.
Samantha decise di impuntarsi: le mancavano diverse tessere per risolvere quell’immenso puzzle e non si poteva permettere di perderne neanche una.

"Veramente, molto"

Sul volto di Mycroft si dipinse un’espressione di fastidio e la tensione nella stanza si fece palpabile. Samantha aveva paura che Sherlock menzionasse il fatto che lei fosse entrata nel suo appartamento scassinando la serratura ed era dunque anche per questo che non era benché minimamente intenzionata a lasciare quella stanza. Ma il consulente in quel momento era molto lontano dal pensare a quel dettaglio, dato che la sua attenzione era presa da ben altro.
Mycroft non doveva sospettare di Samantha, non poteva perdere tutto subito.

"Vedi Sherlock, lei è la donna con cui, da oggi in poi, dovrai condividere questo appartamento"

"E chi lo avrebbe deciso, di grazia?"

"Il governo, Sherlock. Ed ora smettila di fare il bambino e comportati come un adulto"

"Perché mai il governo dovrebbe volere che io condivida il mio appartamento con questa donna? Cos’è? Una spia? Una guardia? Chi sei Page Lincoln?"

Sherlock oramai stava parlando con Samantha ed i loro sguardi si incrociarono solo per una frazione di secondo, poiché lei distolse il suo subito dopo.

"Lei è solamente una civile, una ragazza che ha risposto all’annuncio sul giornale"

"Oh, fantastico. Quindi mi stai dicendo che dovrò passare il resto della mia permanenza al 221B con questa ragazzina? Non se ne parla"

Incrociò le braccia al petto, distendendosi maggiormente sulla poltrona. Samantha ebbe un moto di disgusto e di rabbia. “Ragazzina”? Come si era permesso di chiamarla così?
Avrebbe voluto strozzarlo, che faccia tosta.
Anche lei avrebbe preferito non condividere quell’appartamento con quel detective da strapazzo, ma hey! Era stata minacciata dall’uomo più pericoloso sulla faccia della terra, quindi non aveva molte altre alternative.

"Sei libero di scegliere: puoi continuare a rimanere chiuso in casa per il resto dei tuoi giorni e marcire qui dentro, oppure avere una coinquilina e ricominciare a vivere la tua vita. Ti consiglierei caldamente di scegliere la seconda"

"Continuo a non capire però come le due cose siano collegate. Perché devo avere una coinquilina?"

"Non credo che sia un’informazione che ti è dato avere, ti basti sapere di avere queste due scelte. Allora, cosa hai deciso?"

Sherlock guardò Samantha con fare sprezzante: la ragazza credeva che lui le avrebbe fatto ricadere addosso tutto il peso di quella situazione veramente sgradevole.
Temeva che l’avrebbe usata come capro espiatorio.
E, forse, aveva anche ragione a temere tutto ciò.

Perché tutto si doveva sempre concludere a suo sfavore?

 

 

 


* Ovviamente si riferisce all'ultima puntata della terza stagione, dove Sherlock avrebbe dovuto venire "esiliato" per aver ucciso Magnussen.

** Riferito all'episodio "A scandal in Belgravia", dove Sherlock getta dalla finestra l'agente americano per aver ferito Mrs Hudson.
"And exactly how many times did he fall out of the window?"
"It's all a bit of a blur detective inspector... I lost count"



Angolo autrice stressata: tadaaaaan! Ed eccoci arrivati alla fine anche di questo terzo capitolo. Spero davvero di essere riuscita a mantenere Sherlock IC, ma soprattutto mi auguro che la sua introduzione nella storia vi sia piaciuta e che l'incontro con Samantha sia risultato interessante. Fatemi sapere cosa ne pensate della storia con una recensioncina: se vi piace, se non vi dispiace, se credete che la narrazione sia troppo lenta, se pensate che sia una schifezza immonda, etc... Insomma, le solite cose. E con questo io vi lascio. Un bacio, Angela Smith



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Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


Capitolo quattro corretto Salve a tutti! Come prima cosa direi di dimenticare tutto ciò che ho detto a proposito del pubblicare un capitolo a settimana... già... direi che è meglio. "Capitolo a settimana? Quale capitolo a settimana?".
Vorrei invece annunciare l'arrivo della mia nuova beta! Yeeee!! Che mi ha aiutata nella revisione dei capitoli e in particolare di quello che vi state apprestando a leggere. Il nome di questa dolce donzella è marthiachan, che ringrazio molto (correte a leggere le sue meravigliose sherlolly!).
Detto questo, siccome oggi non ho molta fantasia per questa nota, cosa che so che vi farà segretamente piacere perché così non sarete obbligati a leggervi uno dei miei interminabili soliloqui, vi lascio direttamente al capitolo, che parla da sé.
Buona lettura!


Angela Smith


Capitolo quattro


“Non abbiate vicini se volete vivere in pace con loro”.
Era una frase che Samantha si ricordava di aver letto da qualche parte, ma in quel momento proprio non riusciva a rammentare dove e forse non avrebbe poi avuto tutta questa importanza. Sapeva solamente che era la frase adatta a descrivere tutti i suoi innumerevoli pensieri di quel periodo.
Ovviamente gran parte di quei pensieri convergevano su Sherlock Holmes e se non lo facevano fin da subito, trovavano sempre una via per sfociare in quel vorticoso flusso, che Samantha percepiva ormai come un’agonia.
Come uscire da quella situazione? Cominciare una convivenza con tutto quell'astio certo non avrebbe giovato alla missione della ragazza.
Come avrebbe mai potuto conquistare la fiducia di quell’uomo, se egli la odiava già così tanto? Samantha non era mai stata brava nei rapporti interpersonali e non contava certamente di diventarlo in quel momento.
L’unica cosa su cui sperava di poter contare era un aiuto esterno e non sarebbe stato facile procurarsi degli alleati.
Sherlock Holmes aveva degli amici? Persone di cui si fidasse? Persone capaci di fargli cambiare idea su una qualsiasi questione? John Watson, in quel momento, sembrava la scelta più consigliata ma, per immensa sfortuna di Samantha, era partito per Parigi: lui, sua moglie e la piccola bambina avuta da poco. Quindi forse avrebbe dovuto trovare qualcun altro che stesse dalla sua parte.
Sherlock, come Samantha aveva potuto notare, non aveva preso molto bene la partenza dell'amico. La ragazza supponeva che il detective si fosse sentito abbandonato in balia del nemico, che in quel caso era proprio lei.
Samantha si distese sul divano, stanca di dover ragionare in piedi.
Si portò le mani alle tempie e chiuse gli occhi.
Era da appena due giorni che si era trasferita in quell’appartamento e la sua vita era stata resa impossibile. Non che fosse riuscita in due sole giornate a traslocare completamente tutte le sue cose all'interno del 221B, ma gran parte di esse era già lì, ammucchiata in vari scatoloni che non sembrava si sarebbero disfatti e sistemati da soli.
Il punto era che finché non fosse riuscita a conquistarsi (anche solo in minima parte) la fiducia e la simpatia di Holmes, le sembrava veramente inopportuno invadere il suo spazio più di quanto non avesse già fatto.
Era come se da quando avesse oltrepassato la soglia del 221B, una maledizione le fosse stata scagliata addosso: una maledizione terribile, che portava appunto il nome di Sherlock Holmes.
Purtroppo, come lei però aveva predetto, le aveva dichiarato guerra fin dal primo momento e sembrava veramente determinato a vincerla e, soprattutto, a non lasciare superstiti.
Dannazione a lei ed allo stupido piano di Moriarty, che, tanto per cambiare, non le aveva ancora comunicato che cosa avrebbe dovuto fare.
Quale sarebbe dovuta essere la sua prossima mossa? Cosa diamine ci faceva ancora chiusa in quell’appartamento?
L’unica cosa che sembrava confortarla era il fatto che Sherlock rimanesse fuori casa per la maggior parte del tempo, assorto in casi misteriosi che sembravano eccitarlo e mandarlo in visibilio.
Samantha proprio non riusciva a capire cosa ci fosse di così elettrizzante in tutto ciò, anzi, sinceramente, la cosa le dava anche abbastanza fastidio.
Dovette però ammettere con se stessa che quel fastidio fosse dovuto al fatto che lei un tempo si fosse trovata dalla parte opposta della scacchiera rispetto a Sherlock e che si fosse sempre dilettata a giocare con i pezzi neri di quella gigantesca "partita" contro il crimine.
Le dette fastidio il fatto di dover correggere il suo pensiero, realizzando che lei si trovava ancora a giocare con i pezzi neri in quell’immensa scacchiera (contro la sua volontà, certo, ma cosa importava?)
Ma se negli scacchi succedeva che alla fine una parte prevaleva sull’altra, nella vita non sarebbe mai stato così. “Patteggiare”, quella era la parola chiave.
La rete di criminali in tutto il mondo era così intricata che neanche il detective più brillante avrebbe potuto smantellarla.
L’unica cosa che si poteva realmente fare era contenere i danni.
Samantha si girò sul fianco per trovare una posizione più confortevole, anche se su quel dannato divano sembrava impossibile trovarla.
Era davvero stanca di rimanere lì ad annoiarsi in quello stupido appartamento.
Da quando ci aveva messo piede non ne era più uscita e certamente non per sua scelta. “Fraternizza con il nemico”, era stato il messaggio che le aveva inviato Moriarty due giorni prima. Ma come fraternizzare con Sherlock se era costantemente fuori casa e con la mente sintonizzata solamente sulla risoluzione dei suoi preziosi casi?
Se sulle prime le era venuto da ridere, ormai si stava dando alla disperazione.
Era oltremodo difficile fraternizzare con un persona che ti ignora completamente considerandoti meno di niente. Ma la cosa che la faceva più arrabbiare non era questa, ma bensì il fatto che lei dovesse sforzarsi di essere simpatica ed accomodante con lui. Che cosa ridicola. Lei? Sembrava tutto essere un gigantesco scherzo.
Moriarty avrebbe potuto spedirla in un covo di contrabbandieri d’armi o meglio, sotto copertura come infiltrata nell’ MI6, quello sarebbe stato pane per i suoi denti.
Ma costringerla a vivere a stretto contatto con un detective che si diverte ad aiutare Scotland Yard, cercando di estorcergli informazioni diventando la sua coinquilina ideale, no, diciamocelo, non era proprio nelle sue corde.
Si ricordò improvvisamente di quella volta in cui aveva dovuto rubare un Van Gogh, oh, quello sì che era stato divertente. Precisamente, il quadro dei girasoli.
Non era stato per niente facile, tutt’altro, però quando aveva finalmente portato a termine il furto era rimasta molto compiaciuta di se stessa e delle sue doti di ladra.
Ma la cosa ancora più divertente era che nessuno si era mai accorto che l’originale fosse stato sostituito con un falso. Un falso molto buono però, doveva ammetterlo: poteva benissimo comprendere che i critici e che i curatori del museo non si fossero accorti di nulla.
Anche lei doveva ammettere che, se non lo avesse saputo, avrebbe potuto scambiarlo per genuino.
Al ricordo di questa sua avventura, le si dipinse un sorriso giocondo sulle labbra.
L’aveva sempre affascinata tutto ciò che c’era di proibito, o meglio dire, l’affascinava tutt’ora. L’unica differenza era che aveva deciso di non farsi più trascinare dall’istinto, ma di ponderare molto sulle sue scelte.
Una delle tante cose che le tormentavano l’animo però, era che non era stata di sua spontanea volontà che aveva lasciato le dipendenze di Moriarty, aveva avuto un piccolo…aiuto esterno, se così si poteva davvero definire.
Il solo ricordo la fece rabbrividire.
Lo sognava già abbastanza la notte, pensarci anche di giorno era masochismo.
Aprì gli occhi di scatto, accartocciando mentalmente quello sgradevole ricordo: sapeva però che con quello sciocco espediente non sarebbe riuscita a liberarsene così facilmente, poiché quella disgraziata disavventura si era guadagnata un posto d’onore nella sua mente, lì dove tutti i suoi pensieri venivano immagazzinati; ogni ricordo, ogni informazione, ogni minimo dettaglio aveva la propria stanza, la sua esatta posizione nello spazio. Samantha aveva imparato quella tecnica di memorizzazione molti anni orsono e nonostante si fosse ripromessa di non far finire nel suo Mind Palace nessun tipo di emozione o ricordo che potesse essere dannoso per la sua salute mentale, quel dannatissimo evento ci si era infilato a forza, eludendo le resistenze della ragazza. E dunque ora era lì, in quella dannatissima stanza, e gli sforzi di Samantha per chiuderla a chiave non erano che vani.
Doveva distrarsi, immediatamente, ne aveva bisogno, aveva bisogno di pensare a qualcos’altro.
Richiuse gli occhi e quasi immediatamente una delle innumerevoli porte del suo Mind Palace si spalancò, inondando la ragazza di nuovi ricordi e nuovi interrogativi a cui doveva ancora trovare risposta.
Primo fra tutti, il perché Sherlock fosse rimasto chiuso in casa per due intere settimane.
Insomma, lo conosceva da soli tre giorni ed aveva condiviso con lui quell’appartamento per due e certo il suo coinquilino non sembrava tipo da rimanere così tanto tempo inattivo senza uscire di casa.
Doveva essere qualcosa di estremamente interessante e deliziosamente grave per avere suscitato l’interesse del primo ministro.
Insomma, era anche controllato da due agenti, come le aveva fatto capire al loro primo incontro, il che spiegava anche il fatto di aver trovato il battente della porta non nella sua posizione abituale.
Sherlock Holmes non aveva sicuramente solo lanciato delle uova sulla casa del primo ministro per meritarsi di essere controllato costantemente, il tutto sotto l’attentissimo occhio vigile di Mycroft, che non era solo il fratello maggiore di Sherlock, ma anche il maggior esponente del governo britannico, o almeno così tutti dicevano.
Samantha pensava solamente che fosse un pallone gonfiato: tutto pieno di sé, sempre impeccabile e mai con un capello fuori posto (non che ci fossero abbastanza capelli sulla sua testa in grado di esserlo...); ma aveva carattere e decisione nell’affermare le proprie idee e Samantha sapeva che quelle prerogative bastavano ed avanzavano per controllare il governo britannico.
“Fratello caro, sei libero” aveva detto al fratello minore con quel suo sguardo glaciale. Libero…ma libero da cosa?
Di qualsiasi cosa si trattasse, Samantha ormai si era messa in testa di scoprirla e Dio solo sa come qualcuno avrebbe potuto farle cambiare idea.
Il fatto divertente era che nemmeno Samantha capiva come il suo arrivo e il rilascio di Sherlock Holmes fossero collegati. Cosa pensavano? Che lei gli avrebbe fatto da baby-sitter? Era una cosa semplicemente ridicola. Ma la cosa più ridicola era che avrebbe dovuto farsi chiamare Page Lincoln. Dannazione, quel nome le andava proprio stretto. Come avrebbe potuto sopportarlo?
Non riusciva a rilassarsi su quel divano (in realtà non riusciva nemmeno a ricordare l’ultima volta in cui si fosse davvero rilassata), così decise che forse, facendosi una buona tazza di caffè, la giornata sarebbe diventata vivibile.
Non riusciva più a combattere la noia, doveva assolutamente trovarsi qualcosa da fare.
Mentre si avviava verso la cucina lo sguardo le cadde su una pila di fascicoli che sbucavano da dietro la scrivania.
Quel soggiorno sembrava aver ospitato una battaglia tra l’esercito degli unni e quello dei vichinghi (sì, navi comprese, e non le pareva per niente di star esagerando), quindi le sembrava strano che quei fogli fossero addirittura impilati e relativamente in ordine.
Diede un veloce sguardo furtivo alla stanza.
Sherlock non sembrava essere in casa, probabilmente era uscito per un caso, Samantha non aveva idea di quale. Già era tanto se si salutavano.
Si avvicinò alla scrivania e prese quanti più fogli poteva e li appoggiò sulla scrivania stessa. C’erano foto, file, documenti, schizzi e traduzioni da lingue arcaiche… una fotografia in particolare attirò la sua attenzione. La prese in mano: era leggermente spiegazzata e rovinata agli angoli; ritraeva una donna mezza nuda di cui non si vedeva chiaramente il volto, i capelli scuri raccolti ordinatamente in un cocon ed una frusta in mano.
Samantha deglutì rumorosamente: a quanto pare Sherlock Holmes forse non era proprio asessuale come tutti dicevano…
Ne trovò un’altra in quell’immensa jungla di fogli, ma questa volta in basso a sinistra troneggiava la scritta “Dominatrix”. In quest’ultima fotografia invece il volto si vedeva molto bene, anche troppo. Samantha strinse il foglio nervosamente: perché Sherlock Holmes era in possesso di queste fotografie di Irene Adler? E soprattutto, com’è che la conosceva? Insieme a queste due foto -che alla fine si rivelarono tre- c’erano numerosi altri fogli e documenti, tutti racchiusi da una cartelletta di carta.
Era infinitamente interessante e Samantha pensò che non si sarebbe più staccata da tutti quei numerosi fascicoli: in essi erano contenuti tutti gli indizi, tutti i dettagli di tutti i casi, risolti e non, di Sherlock Holmes.
Si prospettava davvero una lunga ed estremamente dilettevole serata.



***



La porta si aprì lentamente e Sherlock rimise piede in casa dopo sei ore che era stato fuori nel tentativo di riuscire a risolvere il caso del sig. Double, visto che Scotland Yard continuava a brancolare nel buio.
Comunque, tutta la faccenda si era risolta con un enorme buco nell’acqua.
Non era stata l’amante del sig. Dominic ad uccidere il fratello, come inizialmente aveva supposto. Chiunque fosse stato, era stato estremamente metodico e veramente attento a non lasciare nessuna traccia dietro di sé, ma solo un enorme valanga di falsi indizi e false piste che lo stavano facendo impazzire.
L’unica cosa che aveva in mano in quel momento era il libro che il sig. Double sembrava aver conservato gelosamente per tutti quegli anni e che era stato ritrovato vicino al suo cadavere.
Si sfilò la sciarpa dal collo per appoggiarla sull’appendiabiti in ingresso, seguita subito dopo dal suo Belstaff.
Si tolse distrattamente le scarpe e nell’appoggiarle sul pavimento, notò con fastidio che ce n’era un altro paio. Solo che erano scarpe da donna e precisamente di quella donna.
Roteò gli occhi indispettito e profondamente annoiato.
Stare lontano dal suo appartamento per tutto quel tempo gli aveva fatto dimenticare il motivo per cui ne era uscito, che, in effetti, era il suo obiettivo principale.
Dimenticare l’esistenza di Page Lincoln.
Non aveva deciso lui di avere una coinquilina e soprattutto quale
coinquilina e questi erano due dei principali motivi per cui Sherlock Holmes non poteva sopportare la vista della ragazza.
Un rumore proveniente dalla cucina attirò la sua attenzione.
Si mosse velocemente in quella direzione e nel vedere Samantha in cucina con un’espressione di disappunto stampata in faccia e con gli occhi puntati verso il pavimento, non poté fare a meno di seguire lo sguardo della ragazza.
Per terra era pieno di cocci di ceramica e di un liquido marroncino, che, Sherlock suppose, fosse caffè.

"Secondo te dovrei raccoglierla?"

Chiese Samantha con reale dubbio.

“Spero tu abbia intenzione di farlo”

Samantha spostò il suo sguardo accigliato dalla tazza in frantumi fino a Sherlock.

“Altrimenti?”

Sherlock ignorò la domanda della ragazza, roteando gli occhi infastidito. Girò sui tacchi ed andò a distendersi beatamente sul divano.
Samantha non smetteva di fissare i cocci della sua ormai defunta tazza lì a terra, con espressione annoiata.

"Immagino che la mia idea di rendere questa giornata vivibile sia appena andata in frantumi”

Alzò il piede destro e fece un lungo passo per oltrepassare i cocci ed il lago di caffè che sembrava espandersi a macchia d’olio.
Era sicura che ciò avrebbe irritato Sherlock e che, anche se questo non l'avrebbe aiutata a conquistarsi la sua amicizia, le avrebbe dato una breve soddisfazione, che sicuramente l'avrebbe fatta sentire meglio. Dopotutto mica doveva asservirsi a Sherlock, giusto?
Si diresse verso la poltrona di destra e ci si sedette sopra.
Sherlock, che fino a quel momento non aveva mosso ciglio, si risvegliò dai suoi pensieri.

"Quella è la mia poltrona"

Disse a denti stretti.
Samantha fece finta di non averlo sentito e continuò a leggere il libro che teneva tra le mani.

"Ho detto che quella è la mia poltrona"

Ripeté Sherlock sempre più infastidito.
Samantha a quel punto fu costretta ad alzare lo sguardo.

"Cosa? Intendi questa poltrona? La poltrona dove sono seduta?"

Lo provocò con tono canzonatorio.

"Esattamente. Ti pregherei di spostarti"

La ragazza sorrise leggermente chiudendo il libro e poggiandoselo in grembo.

"Perché mai dovrei farlo? Tanto non ne stai usufruendo e non mi pare che tu ne abbia un immediato bisogno"

"Ciò non toglie il fatto che sia mia e non tua. I tuoi genitori non ti hanno mai insegnato a non appropriarti delle cose altrui?"

"Oh…capisco"

Fece Samantha alzandosi dalla poltrona e poggiando il suo libro sulla scrivania, prendendo un documento dal tavolo.
Sherlock, che non aveva mosso ciglio ed era rimasto perfettamente composto, congiunse le mani ed appoggiò gli indici di quelle alle labbra con fare pensante.
Samantha invece, che era rimasta in piedi, decise che sarebbe stata una vergogna lasciar vincere quel ragazzino petulante e spocchioso che si credeva così grande ed intelligente.
Si diresse verso il divano dove lui era disteso e ci si sedette sopra, spostando con poca grazia i piedi del suo coinquilino, che fu sbalzato praticamente giù dal divano.

"Cosa diavolo…"

Riuscì a dire, cercando di rimettersi composto.

"Hai detto che dovevo spostarmi dalla poltrona"

Rispose Samantha con fare innocente, mettendosi comoda sul lato del divano che si era appena conquistata.
Sherlock stava cominciando a sentirsi innervosito da quella provocazione e non aveva nessuna intenzione di proseguire quello sciocco giochetto.

"È davvero buffa questa foto"

 Disse la ragazza, portandosi più vicino al viso il documento che aveva preso dalla scrivania, nascondendolo alla vista di Sherlock.

"Cosa…di che cosa stai parlando?"

"Non sapevo che ti piacesse indossare questo genere di cappelli…beh, oddio, vero è che ognuno ha diritto di indossare ciò che più gli piace..."

Lo schernì, sorridendo profondamente divertita.
Sherlock le prese di mano la foto e con immenso fastidio vide che lo raffigurava con indosso il cappello che quegli idioti di Scotland Yard gli avevano regalato come “ricompensa” per averli aiutati in numerosi casi... o meglio, tutti i casi.
Quello stupido cappello a due fronti che gli aveva fatto vivere più di una situazione imbarazzante: “il detective dal cappello buffo”, idioti.

"È carino"

Disse Samantha non smettendo di ridere, avendoci ormai preso gusto.

"Smettila"

E detto questo strappò la foto in mille pezzi che ricaddero sul pavimento.

"Ovviamente ne ho fatte delle copie. Non potevo permettere che quell’ immenso patrimonio culturale ed artistico venisse distrutto dalla follia distruttiva di un detective"

"Consulting detective"

Disse a denti stretti rivolgendole uno sguardo in cagnesco. Così si alzò per raggiungere il suo amato violino, l’unica cosa che in quel momento gli avrebbe permesso di mantenere i nervi saldi.

"Oh, ho dato un’occhiata ad uno o due dei tuoi casi. Devo dire che sono veramente molto interessanti"

"Uno o due?"

Rispose Sherlock, accennando con la testa alla pila disordinata di fogli sulla scrivania.

"Uno studio in rosa... immagino che non sia stata tua l’idea di dare dei nomi ai casi"

"Infatti"

"John Watson deve essere davvero un uomo simpatico, leale, perbene…"

E mentre diceva tutto ciò, guardava il viso di Sherlock per cercare di dedurre qualcosa da una sua possibile reazione o espressione ma, più di continuare a suonare il suo violino, il ragazzo non sembrava reagire in nessun modo.

"Solo platonico, eh?"

"Non capisco cosa lei intenda"

"È bello vedere come siamo già diventati così amici, continui a darmi del "lei" mentre io sto disperatamente cercando di stabilire un contatto"

"Disperatamente?"

Samantha si rese subito conto del suo errore e si apprestò ad assestare il colpo.

"Ovviamente…ho detto “ovviamente”…non “disperatamente”"

"A me è sembrato di sentire “disperatamente”"

"Beh, immagino che suonare il violino ti abbia confuso, perché non è quello che ho detto... o almeno, non certamente quello che intendevo"

Samantha si rannicchiò sul divano, portandosi le ginocchia al petto e sbuffando.
Le sembrava che la conversazione fosse conclusa e purtroppo non con la sua vittoria.
Avrebbe dovuto inventarsi qualcosa e alla svelta.
Ma, con sua grande sorpresa, non ce ne fu bisogno, perché Sherlock smise improvvisamente di suonare ed estrasse dalla tasca della sua vestaglia un oggetto, purtroppo ben noto a Samantha.

"Oh, adesso ti metti pure a rubare le mie cose? Chi è il bambino disobbediente adesso?"

Sherlock rise a labbra strette, lanciando il cellulare dalla cover rosa in aria per riprenderlo subito dopo, facendolo cadere nel palmo della sua mano.
Quelle dita affusolate da musicista stringevano possessivamente l’oggetto e Samantha realizzò che non sarebbe stato facile riappropriarsene.

"Se vuoi giocare Page Lincoln, giochiamo"

Samantha sorrise maliziosamente distendendo nuovamente le gambe e toccando terra con i suoi piedini.
Si strinse maggiormente nel maglione caldo che stava indossando e studiò l’espressione di Sherlock.
Quegli occhi…stava forse cercando di ipnotizzarla? Incantarla? Perché sembrava che stesse facendo proprio quello, con un attento ed elaborato gioco di sguardi.

"Che gioco proporresti, Sherlock Holmes?"

Il pronunciare il nome dell’uno e dell’altra suonava come un avvertimento, come qualcosa che preannunciasse l’inizio di una battaglia.

"Saresti la mia compagna di giochi?"

"Solo perché sono sicura di vincere"

Sherlock rise di gusto facendo scivolare il cellulare sul tavolo che si frapponeva tra lui e Samantha.
Entrambi lo fissarono come un animale fissa la sua preda, ma sia Sherlock che Samantha però sapevano che avrebbero dovuto lottare per ottenerla.

"Tieni delle cose molto interessanti là dentro"

Disse Sherlock con sguardo eloquente, accennando con la testa al cellulare, mentre si sedeva sulla sua poltrona.

"Non mentire, con me non attacca. È protetto da password"

"Le password sono solo una serie prevedibile di lettere e numeri. Per indovinarla mi ci sono voluti meno di quattro minuti"

Sherlock studiava lo sguardo della ragazza, ma quella non sembrava né stupita né sconvolta dal venire a sapere che lui aveva spiato il contenuto del suo cellulare e non era sicuro che fosse perché non avesse niente da nascondere al suo interno.

"Oh, andiamo. Ti ho detto che con me non attacca. Se sapessi già che cosa c’è al suo interno, perché avresti tenuto a farmelo sapere? Avresti potuto leggere tutto ciò che volevi -anche se sinceramente non so cosa potrebbe importartene di quattro messaggi in croce scambiati con le mie amiche- e poi rimetterlo al suo posto e non sarei mai venuta a sapere nulla. La mossa del “io so già che tu sai” non funziona ormai da anni"

"Valeva la pena tentare"

Samantha buttò la testa all’indietro sorridendo sorniona e portandosi le mani in grembo.

"Raccontami un po’ di questo gioco. Mi interessa estremamente"

"Cominciamo a dedurre allora"

Samantha inspirò profondamente, ricacciando dietro l’orecchio una ciocca di capelli fuori posto.
Quello era per lei un gioco pericoloso: non avrebbe potuto parteciparvi come “Samantha Brooks”, bensì come “Page Lincoln” ed era lì che stava tutta la difficoltà.
Non avrebbe dovuto dedurre troppo, ma nemmeno troppo poco, altrimenti non avrebbe più potuto riappropriarsi del cellulare.
Doveva svuotare la mente e ragionare come una giovane ragazza, fresca di università ed ancora ingenua e ignara di tutti i mali del mondo.
Realizzò che fingersi Page sarebbe stata una grande sfida.

"Fammi vedere se ho capito bene"

Iniziò Samantha.

"Se vinco io a questo strano gioco, riavrò il mio cellulare. Ma se vinci tu…"

"Mi dovrai rivelare la password per sbloccarlo"

Completò lui.

"E deve essere anche una password abbastanza elaborata, perché non ne sono venuto a capo ed è raro che accada... il fatto che sia molto complicata potrebbe voler dire che nascondi ben più di qualche messaggio innocente"

Samantha sorrise compiaciuta.

"Perché ti interessa così tanto quel cellulare? Davvero vorresti leggere tutti gli sdolcinati messaggi tra me ed il mio ragazzo?"

Disse con fare innocente e mieloso.

"Non è a me che interessa così tanto…è a te"

"Solo perché sono una ragazza molto possessiva"

"Mhm, sai, non credo che sia per questo che tu sia così attaccata a quel cellulare"

Sì alzò in piedi di scatto e si avvicinò alla ragazza che si finse leggermente intimorita e per questo ritrasse le gambe verso di sé.

"Page Lincoln…"

Sussurrò a fior di labbra con quella sua voce bassa che fece rabbrividire ogni fibra del corpo della ragazza. Osservò attentamente la sua figura, squadrandola da capo a piedi.

"Se Mycroft ti ha mandata qui, ci deve essere un motivo. Non avrebbe certamente fatto entrare chiunque a Baker Street"

"Il fatto che tu stia ammettendo che io non sia chiunque, mi lusinga"

Ci fu un momento di silenzio.

"Vedo che hai trovato le mie sigarette. Ne gradirei una in questo momento"

Samantha lo guardò confusa.

"Le tue… sigarette?"

"Sì. Una, grazie"

Samantha tirò di mala voglia fuori dalla tasca dei pantaloni la sigaretta e gliela porse.

"I tuoi polmoni devono essere in condizioni pietose. Qui tutti sembrano cercare disperatamente di non farti fumare. Chiunque abbia nascosto quel pacchetto di sigarette, l’aveva fatto proprio bene. Mi ci sono voluti almeno venti minuti per trovarlo"

"Non in condizioni così pietose, dopo tutto. Difatti solitamente prediligo i cerotti alla nicotina"

Sherlock si sporse per raggiungere la sigaretta e questo provocò un curioso contatto di mani che fece tremare leggermente la mano di Samantha.
Stupido Detective da quattro soldi, riusciva a metterla in soggezione solo perché doveva controllarsi dall’essere se stessa.
Page Lincoln era una ragazzina e lui doveva crederlo fino alla fine.

"Noto che hai scritto molto questo pomeriggio a giudicare dalle condizioni dei tuoi avambracci e delle tue mani, pieni di inchiostro.
Posso dirti con esattezza tutto ciò che hai toccato in questo appartamento durante la mia assenza e so esattamente cosa hai spostato e cosa hai nascosto, molto più interessante oserei dire. Ma cominciamo parlando della ferita che hai sul piede, che è molto più intrigante.
Perché hai preferito uscire dalla finestra piuttosto che dalla porta? Questo è insolito.
Non volevi che qualcuno ti vedesse? Che Mrs Hudson mi avvertisse che tu fossi uscita questo pomeriggio?
Evidentemente dovevi andare da qualche parte e qualsiasi posto fosse, non volevi essere seguita.
Cosa c’entra con tutto questo la ferita che hai al piede? Semplice, nell’uscire dalla finestra ti sei tagliata sul muro nel ridiscenderlo, probabilmente sei scivolata perché dovevi tenere in mano le scarpe e quindi non sei riuscita a fermare la caduta.
Le scarpe, ovviamente, le tenevi in mano per non graffiarle e così non far notare che le avevi indossate e graffiate calandoti dal muro e, per la cronaca, sapevi che l’avrei potuto notare visto che sono in ingresso a portata di vista.
Non ti sei ferita le mani però, il che vuol dire che non era la prima volta che facevi quel genere di cosa, ridiscendere da un muro, senza l’aiuto di corde o ausili. Sei una scalatrice? Un’arrampicatrice? Avrai praticato questo sport all’età di…quattordici? Sedici anni? A giudicare dalle cicatrici sulle mani direi più probabilmente la seconda.
Hai fumato una sigaretta e a giudicare dalla tua bocca e dalla tua pelle, non direi esattamente che tu sia una fumatrice, probabilmente fumi solamente in determinate occasioni.
Le occhiaie sul tuo viso sono relativamente visibili, anche se hai cercato di nasconderle con un correttore.
Dormito poco ieri notte? Qualche incubo è venuto a disturbare il tuo sonno?"

Rise sommessamente infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni, visibilmente compiaciuto delle sue deduzioni.
Samantha doveva dargli atto di essere davvero un uomo brillante: stava deducendo tutto perfettamente, suo malgrado, anche se sulla parte della scalatrice era un po’ calante.
Insomma, era ovvio che non avesse praticato quello sport! Andiamo!
La cosa che però la tirava su di morale era il fatto che la considerasse così innocente da essere uscita dalla finestra solo per necessità.
Se solo avesse dovuto contare tutte le volte in cui era stata costretta ad usare quell’uscita!
Era una ladra in fin dei conti e una ladra deve saper essere molto sciolta ed agile e il saper uscire o entrare da una finestra era uno dei prerequisiti.

"Inoltre hai usato lo stesso nascondiglio delle sigarette per nascondere qualcos’altro…ma cosa? Perché avresti dovuto nascondere qualcosa qui? Il tuo cellulare non ha smesso un secondo di suonare, il tuo fidanzato deve essere un uomo davvero possessivo e geloso"

“Non immagini quanto”, pensò Samantha, maledicendosi per non aver trovato ancora un piano per salvare i suoi genitori, ammesso che fosse possibile trovarne uno.

"E anche se continui a dire di avere molte amiche, il telefono di Baker Street non ha suonato nemmeno una volta e tu non hai parlato con nessuno da quando hai messo piede qua dentro, ma comunque il tuo cellulare continua a ricevere messaggi… come mai?"

"Oltre al fatto che potrei non aver ancora comunicato il mio nuovo numero di casa alle mie amiche..."

Sherlock sollevò leggermente un sopracciglio guardando Samantha con sguardo indagatore.

"Comunque... potrei dire la stessa cosa di te Sherlock, dal momento che le chiamate non sono arrivate né per me né tantomeno per te. L’unica volta che si è sentito squillare il telefono è stato questa mattina quando hai risposto e sei uscito di casa. Scotland Yard…dico bene? Siamo due persone sole, prima lo accettiamo, meglio è"

Sherlock distolse lo sguardo per qualche secondo e Samantha non avrebbe saputo dire perché l’avesse fatto.
Stava andando così bene, aveva la situazione sotto controllo e che fa? Perde il contatto visivo? Così era troppo facile vincere, le sembrava quasi di star imbrogliando.

"Adesso tocca a me, se non ti dispiace"

Rivolse un sorriso finto in direzione di Sherlock, che nel frattempo si era messo a cercare il nascondiglio.

"Non lo troverai mai, Sherlock. È a prova di idiota"

Lui girò la testa e fece un’espressione di disgusto all’indirizzo di Samantha.

"Allora mi meraviglio che tu l’abbia trovato"

Samantha rise, anche se forse non avrebbe dovuto, poiché quell’irriverente detective l’aveva appena insultata, eppure non riusciva a contenere le risa.
Parlare con lui a quel modo, botta e risposta, questo veloce scambio di deduzioni e frecciatine era come fare sesso per lei. E nello stesso momento in cui se ne rese conto, si meravigliò non poco di questa sua considerazione.
Del sesso mentale, neuronale, forse molto meglio di quello fisico.
Non l’avrebbe stupita se alla fine di quella serata, alla vera fine di quella discussione, si fosse sentita soddisfatta e appagata come dopo un orgasmo.

"In realtà non ho molto da dedurre di te, Sherlock Holmes"

Sherlock la guardò non cercando per niente di nascondere il suo sguardo compiaciuto e trionfante.

"Non ho bisogno di dedurre niente perché…ecco… perché sei un libro aperto"

Sherlock si bloccò: teneva in una mano un’arancia e nell’altra un libro di chimica ed era in una posizione così innaturale che a Samantha sembrò fosse un fotogramma di una scena comica uscita da una delle migliori commedie teatrali.

"Devo darti ragione però: ho guardato e curiosato praticamente dappertutto qui in casa e devo dire che ho trovato cose molto interessanti…ah, a proposito…la mano nel congelatore è tua?"

"È un esperimento"

Borbottò Sherlock, gettando in mezzo alla stanza l’arancia, per liberarsene.

"Oh, menomale. Pensavo che fosse un messaggio d’avvertimento da parte di qualche serial killer determinato a vendicarsi di te e a tagliarti le mani"

"Hai una fervida immaginazione"

Disse girandosi a guardare la ragazza che non smetteva di avere un’espressione serena e che si vedeva si sentisse a suo agio in quella situazione.

"Me lo dicevano sempre a scuola"

"Tanti amici anche lì?"

Le chiese ironico Sherlock, cercando di rigirare il coltello nella piaga in modo tale da individuare un possibile punto debole della ragazza.

"Non molti in realtà, anche se non credo che tu sia la persona più adatta a schernire la mia mancanza di amici d’infanzia"

Sospirò sbrigativa, ansiosa di cambiare argomento.

"Voglio dire… rimanere chiuso in casa per due settimane, controllato giorno e notte da due agenti, Mycroft che ti scarcera solo qualche giorno fa dicendoti di essere “libero”, il primo ministro che balza nella conversazione come un uovo di pasqua… chi non sarebbe curioso di sapere il motivo scatenante di tutta questa fibrillazione?"

"Mi sembra strano che tu non l'abbia ancora capito"

"Perché dovrei averlo già capito? Non sono così intelligente"

Sherlock si bloccò per guardare Samantha dritto negli occhi: lui sapeva qualcosa sul suo conto, ne era sicura, non poteva essere altrimenti. Perché riservarle quello sguardo altrimenti? Non lo sapeva e lei odiava non sapere. Sherlock sospirò prima di parlare nuovamente.

"Ho ucciso un uomo"

La risposta arrivò così improvvisa e così secca che Samantha non poté fare a meno di sbarrare gli occhi per qualche secondo e subito dopo di ringraziare il cielo che Sherlock si fosse rigirato dall’altra parte e perciò non l’avesse vista.
Non pensava che le avrebbe davvero risposto.
Sherlock Holmes che uccide un uomo. Chissà perché, ma proprio non ce lo vedeva.

"Un buon uomo?*"

"Il peggiore che abbia mai incontrato"

Sherlock si girò e si avviò verso la camera da letto.

"Non mi puoi lasciare così"

"Hai vinto, tieni il tuo cellulare"

Lo raccolse dal tavolo e lo lanciò a Samantha, che lo prese prontamente al volo.
Impugnò la maniglia della porta della sua camera da letto, ma prima che lui potesse fare altro Samantha lo afferrò per la manica della vestaglia.

"Qual era il suo nome?"

Gli chiese, guardandolo dritto negli occhi.
L’uno poteva sentire il respiro dell’altra sulla propria pelle ed il cuore di Samantha aveva improvvisamente cominciato a battere più forte.
Perché poteva essere attratta solo dal pericolo?
Sherlock sospirò rumorosamente districandosi dalla presa della ragazza.
Pensò che quegli occhi verdi non potevano che nascondere un terribile segreto e che sotto l’apparenza di quel bel visino angelico e di quei boccolosi capelli biondi, si nascondesse una vita piena di emozioni pericolose.

"Charles Augustus Magnussen"

Samantha si morse il labbro inferiore cercando di contenersi: Charles Augustus Magnussen… ora tutto le sembrava chiaro; il primo ministro, l’isolamento di Sherlock, lo sguardo sfuggente di poco prima… Non riusciva a credere che Sherlock avesse ucciso quell’uomo. Anche solo il “come” fosse riuscito ad ucciderlo era inspiegabile per lei. Ma perché l’aveva fatto? Che motivazioni c’erano dietro a questa sua scelta? Sherlock Holmes non era di certo un assassino… oppure sì?

Lui si districò dalla presa di Samantha ed aprì la porta della camera per poi richiuderla rumorosamente dietro di sé.

"Buonanotte anche a te"

Disse Samantha ironica, ma ancora leggermente scossa, mentre si avviava verso la sua camera da letto.
Era ritornata in possesso del suo cellulare troppo in fretta, qualcosa non quadrava.
Insomma, non aveva assolutamente alcun senso! Se Sherlock avesse voluto davvero scoprire la sua password, avrebbe potuto farlo egregiamente ed in tutta tranquillità, ma aveva deciso di dare forfait.
Samantha immaginò che fosse perché quell’omicidio si fosse svolto in condizioni traumatizzanti, ma sapeva che Sherlock non era tipo da farsi “traumatizzare”, o almeno, non dopo aver letto tutti i file dei suoi casi...
Un pensiero sgradevole le attraversò la mente: e se lui avesse inscenato tutta quella manfrina solo per vedere la sua reazione? Non era certamente un’ipotesi da escludere.

"C’è sempre qualcosa che mi sfugge"

Sussurrò Samantha tra sé e sé mentre si rannicchiava stancamente sotto le coperte e spegneva la luce.

 

 

* Semi-citazione della puntata di Doctor Who "Flesh and stone":
Eleven: "Octavian said you killed a man" (Ottaviano ha detto che hai ucciso un uomo) ((Nella serie l'avevano tradotto con "Ottaviano"? Non ricordo, ma facciamo finta di sì))
River: "Yes, I did" (sì, è vero)
Eleven: "A good man?" (un buon uomo?)
River: "A very good man. The best I have ever known" (un uomo molto buono. Il migliore che abbia mai conosciuto)
(In questo caso ho ribaltato la risposta di Sherlock facendogli dire che era il peggiore che avesse mai conosciuto, perché effettivamente l'uomo che gli ha urinato nel caminetto non verrà di certo ricordato in modo positivo, no?)




Angolo autrice assonnata: Ma io mi chiedo, si può mai essere assonnati alle due del pomeriggio? Non credo sia una cosa possibile, eppure eccomi qua, esausta ed assonnata più che mai. Comunque, evitando di parlare della mia evidente scarsezza di ore spese a dormire, spero che il quarto capitolo vi sia piaciuto e che il rapporto tra Samantha e Sherlock si stia sviluppando bene nella narrazione. E' così difficile riuscire a mantenere Sherlock IC, ogni santissima parola che faccio uscire dalle labbra di quell'uomo è come un parto.
Inoltre -ma con questo non vorrei allarmarvi-  sono leggermente... perplessa, diciamo così; non so che svolta far prendere alla storia... e questa cosa mi sta portando alla follia. Ma sto davvero cercando di porvi rimedio, quindi donut worry, be tasty! (Ok... no, lasciamo perdere, dormire poco non mi fa bene). Prima dunque che scriva qualche altra sciocchezza, vi lascio e vi auguro un buon fine settimana! Alla prossima!!



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Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


Capitolo cinque correttoE dopo un'altra interminabile assenza, eccomi di nuovo qui a rompervi le scatole con un nuovo capitolo.
Il rapporto tra Samantha e Sherlock continua ad essere conflittuale e, non posso nasconderlo, la cosa mi diverte molto. Spero che sia altrettanto per voi. Ma bando alle ciance! Vi lascio al quinto capitolo. Buona lettura!
Angela Smith



Capitolo cinque


 

"Offerta di pace", pensava fra sé e sé Samantha mentre preparava il tè.

"Non è una resa, è un’offerta di pace"

Continuava a ripeterselo per autoconvincersi che fosse così.
Non aveva nessuna intenzione di arrendersi, ma continuare a vivere nella stessa casa con Sherlock Holmes e non riuscire nemmeno a parlarci non era il massimo.
Non che lei preferisse parlarci. Insomma, era complicato.
Fatto sta che quel tè era un’offerta di pace che avrebbe educatamente porto al consulente investigativo (come aveva precisato lui di essere la sera precedente).
Che strana serata, i ricordi di Samantha erano confusi e non si ricordava bene che cosa avesse pensato di tutta quella faccenda.
Aveva già tratto le sue conclusioni? Non le risultava, altrimenti a quel punto non si sarebbe ritrovata così confusa.
Cercò di riordinare le idee:

- Sherlock Holmes ha ucciso un uomo (ricordarsi di chiedere delucidazioni in merito, possibilmente senza far scoppiare la terza guerra mondiale)

- L'uomo che ha ucciso è Charles Augustus Magnussen (vedere file)

- Sherlock evidentemente conosce Irene Adler, altrimenti nota come La Donna o Dominatrix (approfondire, estremamente importante)

- Ancora più evidentemente hanno avuto una specie di flirt


Samantha si bloccò pensierosa, lasciando a metà il suo pensiero.
“Flirt”, che parola poco elegante… ma d’altronde era quella giusta per descrivere il loro rapporto passato, no?

- Sherlock si è permesso di chiamarla "ragazzina"

- Sherlock non le ha estorto la password del cellulare (anche se avrebbe potuto)

Il ricordare che Sherlock l’avesse definita “ragazzina” la prima volta che si erano incontrati le faceva saltare i nervi.
Cominciò a mescolare più velocemente il tè contenuto nella tazzina.
Non aveva idea di quante zollette avrebbe dovuto metterci e se magari Sherlock avrebbe gradito anche del latte.
Si diede della sciocca. A chi importava quante zollette ci fossero dentro? L’importante era il gesto. Se poi Sherlock fosse stato obbligato a bere il tè in modo differente da come lo prendeva di solito per pura cortesia, tanto di guadagnato.
Non sapeva come avrebbe dovuto approcciarsi. Dargli del “tu” sarebbe sicuramente stato il primo passo. Poi…ehm…salutarlo? Dargli il buon giorno? Come avrebbe dovuto interagire con lui? Fingendosi la sua più cara amica o mantenendo una certa distanza? Avrebbe dovuto abbracciarlo in segno di amicizia oppure fare finta di niente, facendosi bastare un’amichevole stretta di mano?
Era in panico.
Samantha Brooks era in panico a causa di Sherlock Holmes.
Possibile che una pistola puntata alla tempia non le causasse il minimo scompenso, mentre cercare di risultare simpatica a quell'uomo la facesse impazzire? Era una cosa semplicemente assurda.
Aveva affrontato situazioni ben più pericolose e complicate di quella, anche con il rischio di perdere la vita, eppure in quel momento le sembrava che il minimo passo falso l’avrebbe fatta cadere nell’angolo delle “persone che Sherlock Holmes disprezza” che a quanto pare erano un gran bel numero.
Cercò di ricomporsi e fece un bel respiro profondo.
Si accorse che stava mescolando quella povera tazza di tè da fin troppo tempo, quindi lasciò cadere il cucchiaino, appoggiando il manico sul bordo di essa.
Si voltò verso la dispensa, fissandola attentamente.
Avrebbe dovuto aggiungerci anche dei biscotti?

"Sei proprio una persona ridicola"

Disse ad alta voce, prendendosi la testa fra le mani con fare disperato.

"Stai parlando con me?"

Disse una voce bassa e profonda alle sue spalle.
Chiuse gli occhi stringendoli in modo nervoso e si morse la lingua maledicendosi mentalmente.

"No!"

Si affrettò a rispondere mentre si girava nella direzione dell’uomo, sfoderando il suo miglior sorriso.
Come diamine aveva fatto a non sentirlo arrivare?
Il consulente investigativo rispose con uno sguardo confuso e leggermente annoiato. Aveva indosso una vestaglia blu elettrico tenuta aperta, la quale faceva intravedere quello che lui probabilmente considerava il suo pigiama.
Samantha invece si era vestita indossando un maglione e dei jeans, onde evitare l’imbarazzo che le sarebbe derivato dal farsi vedere dal suo nuovo coinquilino in pigiama.

"Non stavo parlando con nessuno, era una stupida considerazione"

"In merito a chi?"

Chiese Sherlock, non essendo interessato più di tanto alla possibile risposta della sua coinquilina, dato che gli sembrava davvero scontata.

"Non è davvero importante"

Concluse sbrigativamente lei, cercando di togliersi da quell’impiccio.
Improvvisamente fu risvegliata dalla sua trance nel vedere la tazza di tè appoggiata sul tavolo.

"Ho fatto il tè"

Disse, indicando la tazza in questione.

"Lo vedo"

Fu ciò che ebbe in risposta dall’uomo, il quale si stava avviando nuovamente verso la sua stanza.

"No, aspetta!"

Fu ciò che uscì dalle labbra della ragazza. Sherlock si girò interdetto.
Dal tono che aveva usato, sembrava alla disperata ricerca della sua compagnia e non era certamente il tono che avrebbe dovuto utilizzare né quello che avrebbe voluto utilizzare Samantha.

"E' per te"

Disse in modo secco.

"Il tè intendo"

Aggiunse poi, appoggiandosi le mani sui fianchi.

"Perché?"

Samantha lo guardò alzando un sopracciglio, non sapendo bene come rispondergli.

"Beh, ecco, non lo so, prova a fare le tue deduzioni"

Rispose accigliata e lievemente imbarazzata dallo sguardo che le stava riservando il detective.

"Non faresti prima a berlo invece che farmi sciocche domande?"

Samantha prese in mano la tazza e gliela porse in modo spazientito.

"Non bevo tè alla mattina"

Sherlock degnò per qualche secondo del suo sguardo la tazza che la ragazza gli stava porgendo, non avendo evidentemente nessuna intenzione di prenderla dalle sue mani. Samantha sapeva che Mrs Hudson, la padrona di casa, gliene portasse ogni mattina una tazza e che  Sherlock lo stava rifiutando solamente per darle fastidio.*
Quanto lo odiava.

"Sei inglese, certo che bevi tè alla mattina"

Si limitò a dire lei, avvicinando maggiormente la tazza alla figura di lui.

"E questo cosa vorrebbe dire? Il tuo rifarti a questo genere di stereotipi denota una certa vena..."

Samantha alzò il dito indice con l'intento di poggiarlo sulle labbra di Sherlock e così zittirlo, ma si trattenne, limitandosi a tenerlo a mezz'aria in modo provocatorio.

"Ti fermo prima che tu possa dire qualcosa di cui poi potresti pentirti"

"Oh grazie infinite, avevo davvero paura di offenderti o di ferire i tuoi sentimenti"

"Perché non puoi semplicemente bere quel dannato tè e farla finita? Così da finalmente poter continuare le nostre vite in maniera civile e adulta?"

"Pensi che prendere insieme il tè alla mattina ci renderà amici per la pelle?"

"Ma perché devi interpretare ogni mio gesto come un misero tentativo di conquistarti?"

"Non è forse ciò a cui miri?"

Samantha gli lanciò uno sguardo gelido.

"Sei solo un grandissimo str..."

Sherlock alzò un dito in aria, similmente a come aveva fatto Samantha poco prima, poggiandolo veramente vicino alle labbra della ragazza, a cui fu impedito di formulare l'insulto che si era tenuta dentro fin dal primo momento in cui aveva visto il detective.

"Ti fermo prima che tu possa dire qualcosa di cui in futuro potresti pentirti"

Sherlock le lanciò uno sguardo ironico prima di aprire l'anta del frigorifero e compiacersi silenziosamente della sua piccola frecciatina. Ricominciò subito dopo ad ignorare del tutto la ragazza, continuando ad indossare quel suo sguardo a metà tra l'annoiato e l'infastidito. Stava per ritornarsene direttamente in camera sua, ma qualcosa lo trattenne. Che fosse la sua celata voglia di concludere quella conversazione atipica o il desiderio di infastidire la ragazza, questo nessuno può saperlo.

“Bevi sempre il tè alla mattina?"

"Come?"

Rispose Samantha, che era già pronta a contrattaccare con una nuova frecciata, e perciò confusa da quella singolare uscita di Sherlock.

"Il tè. Cosa ne pensi del tè?"

Ripeté il detective, roteando gli occhi.

"Il tè non mi piace e dunque non lo bevo alla mattina, se è qui dove vuoi andare a parare, ma sono sicura che se mi piacesse..."

"Dunque non lo bevi, no?"

La guardava ansioso che lei gli desse ragione.

"No, non lo bevo, è vero... ma voi inglesi non potreste vivere senza il tè, è praticamente l’unica cosa che vi manda avanti. Il pranzo, la cena, la colazione e perfino lo spuntino di mezzanotte traboccano di tè e biscotti"

"Beh, la mia alimentazione non trabocca di tè e biscotti"

Prese in mano una delle strane fialette lasciate incustodite sulla mensola e fece come per voltarsi.

"Ed ora, se non ti dispiace, ho cose molto più interessanti da fare che disquisire a proposito di tè con te. Buona giornata"

Le rivolse uno sguardo di disappunto ed irritazione prima di proseguire per la sua strada.
Aprì la porta della sua camera e ci si richiuse dentro, lasciando Samantha nel bel mezzo della cucina, con la tazza di tè ancora in mano.



***



"Va bene, esperimento due"

Si disse la ragazza mentre si infilava il trench blu.
Se non riusciva ad attirare l’interesse di Sherlock Holmes con la conversazione e con le gentilezze mattutine, allora avrebbe dovuto cambiare strategia di gioco.
Sentì l’aprirsi della porta della camera del detective e lo vide uscire da essa pronto e vestito per uscire.
Il punto è che anche lei lo era. Pronta per uscire con lui.
Le rivolse uno sguardo glaciale quando gli si avvicinò porgendogli il libro che lui aveva lasciato sul tavolo la sera prima (ovviamente non le era sfuggito).
L’aveva aperto e sfogliato distrattamente quella mattina e l’unica cosa che era sembrata interessarle era stato il fatto che sulla prima pagina del libro fosse stato scritto il nome ed il cognome del proprietario: “James Double xxx”**.
Tre baci? A meno che non se li fosse scritti da solo, dubitava che il libro fosse suo... un regalo forse? Aveva subito pensato però che “Double” fosse uno strano cognome.

"Cosa pensi di fare?"

Le chiese l’uomo passandole oltre per andare a prendere il suo Belstaff.

"Venire con te, mi sembrava ovvio"

"Cosa?"

A quelle parole si girò di scatto, sfoderando lo sguardo più minaccioso ed allo stesso tempo turbato che possedesse.

"No"

"Perché?"

Chiese immediatamente la ragazza, infilandosi il piccolo libro nella tasca del trench.

"Perché no. Mi saresti solo di intralcio"

"Ma per favore. Io di intralcio a te? Semmai il contrario. Mi sembra che tu sia ad un punto morto con quest’indagine"

"Punto morto?"

Ripeté Sherlock visibilmente scocciato, infilandosi i guanti.

"Già"

"Non sai nemmeno di che cosa tu stia parlando. Non ne hai la più pallida idea"

"Allora avrai sicuramente già capito che cos’è questo libro"

"Chiaramente"

I due si scambiarono uno sguardo di sfida ed in quel preciso momento Sherlock rimpianse di non aver preso il libro quando Page gliene aveva data l'occasione.
Un osservatore qualunque avrebbe detto che Sherlock fosse sincero, che avesse già la risoluzione del caso in pugno, ma Samantha notò che non era per niente così e che l’uomo che aveva davanti stava mentendo spudoratamente.

"Allora non ti servirà questo libro suppongo…visto che hai già capito di che cosa si tratti…"

Sherlock strinse gli occhi a fessura quando realizzò che non avrebbe davvero potuto andare avanti nelle indagini senza quel libro perché no, non aveva ancora capito come fosse collegato alla morte del sig. Double.
Quella ragazza lo avrebbe fatto impazzire e questa era una delle poche cose di cui era sicuro in quel momento.

"E' comunque una prova che devo restituire a Scotland Yard, non la puoi tenere"

Disse, cercando di persuadere la ragazza a ridargli il libro.
Tese la mano verso di lei per farle capire le sue intenzioni e molto probabilmente si aspettava che quella gli mettesse il libro in mano, abbandonando ogni speranza di venire con lui e decidendosi a farsi gli affari suoi. Ma l’idea di arrendersi al detective non passò nemmeno per l’anticamera del cervello della ragazza.

"Andiamo?"

Disse in risposta la ragazza, precedendolo ed aprendo la porta davanti a sé.
Sherlock si voltò nuovamente infastidito.
Non la voleva portare con sé, gli sarebbe solamente stata di intralcio e lo avrebbe infastidito fino a fargli perdere la ragione.
Pensò che con una mossa repentina avrebbe potuto ricacciarla dentro l’appartamento e chiuderla a chiave, in modo tale da poterla seminare prima che lei uscisse dalla finestra.

"Oh Sherlock, non è gentile quello che stai pensando"

Disse Samantha stringendosi nelle spalle e dandogli la schiena.

"La chiave che stai cercando l’ho presa dal tuo cappotto prima che tu lo indossassi. Chiudermi dentro non sarebbe un gesto molto galante, non trovi?"

E detto questo si incamminò giù per le scale senza nemmeno degnarlo di uno sguardo. Sherlock sbuffò infastidito e si arrese all’idea che quella giornata sarebbe stata ancora più difficile di quanto non avesse immaginato.
Il viaggio in taxi fu estremamente silenzioso perché né Sherlock né Samantha avevano la benché minima intenzione di parlare con l’altro.
Lui non capiva perché Samantha fosse così interessata alla sua compagnia e lei non capiva perché lui dovesse essere così freddo e scontroso.
Entrambi insomma non capivano i punti di vista dell’altro e Samantha non sapeva come risolvere la faccenda.
Più che altro avrebbe voluto fare al suo nuovo coinquilino molte domande a cui attualmente non trovava risposta, ma decise di tenersele per sé, anche perché lui probabilmente non le avrebbe risposto o avrebbe sbuffato e si sarebbe inabissato ancora di più nel suo silenzio.
Samantha aveva capito quale fosse lo sporco gioco di Holmes e non aveva intenzione di caderci vittima.
Poteva quasi sentire i suoi pensieri, che dovevano essere all'incirca quelli che avrebbe avuto un bambino di dieci anni costretto dalla madre a socializzare con gli altri bambini: “se la ignoro e la allontano non avrò bisogno di interagire con lei” oppure “ vorrei sapere di più su di lei ma non ho intenzione di parlarle perché ha invaso la mia casa”.
Questi dovevano essere i suoi pensieri predominanti e la ragazza aveva già deciso che avrebbero dovuto cambiare. Dopotutto sarebbero anche potuti andare d’accordo se solo ci fosse stato dell’impegno da entrambe le parti.
Doveva fare in modo di guadagnarsi l’interesse di Sherlock ed aiutarlo a risolvere un caso era proprio quello che faceva al caso suo.
La cosa che però doveva continuamente ricordare a se stessa era che lei non era Samantha Brooks, ma Page Lincoln e come tale avrebbe dovuto comportarsi in un modo ben specifico.
Ad attenderli in Broadwick Street c’era un intera squadra di Scotland Yard che non aveva tardato a delimitare il perimetro con i suoi scoccianti nastri gialli.
Un uomo alto e con i capelli brizzolati aprì la portiera del loro taxi e quando ne vide uscire Samantha rimase leggermente spiazzato.

"Signorina, lei non può stare qui, la polizia sta…"

"Lascia perdere la solita manfrina Graham, lei è con me"

Disse Sherlock uscendo dall’altra portiera e raggiungendo il primo uomo.

"Greg"

Lo corresse quello, roteando gli occhi indispettito.
Sherlock non sembrò badarci più di tanto.

"Ce n’è stato un altro, vero?"

"Temo di sì. È per questo che ti ho chiamato questa mattina, abbiamo bisogno di…"

Ma non finì la frase, perché non poté fare a meno di guardare Samantha con fare confuso.

"Lei chi è Sherlock?"

"È la mia coinquilina"

Disse Sherlock a fior di labbra, evitando accuratamente lo sguardo della ragazza che, ne era sicuro, sarebbe stata alquanto compiaciuta di vederlo ammettere che lei fosse la sua coinquilina.

"Oh, non sapevo ne avessi una"

Si limitò a dire l’uomo, guardando attentamente la ragazza.

"Piacere, sono Page Lincoln"

Gli tese la mano amichevolmente.

"Greg, Greg Lestrade"

Rispose il Detective Ispettore, allungando la mano a sua volta per incontrare quella di lei.

"Bene, ora che le presentazioni sono finalmente state fatte, datti da fare e mostrami il cadavere"

Lestrade, ancora un po’confuso dalla presenza della ragazza e soprattutto sul perché Sherlock se la fosse portata dietro, guidò i due dentro l’abitazione mandando uno sguardo di scuse per i modi bruschi del detective all’indirizzo di Samantha, che rispose con un lieve sorriso.
D’altronde non era la prima volta che Sherlock portava sulla scena di un crimine un assistente. Prima John, poi Molly… magari quella ragazza sarebbe stata la prossima.

"La vittima si chiama Louise Shepard, quarant’anni, sposata da due anni con il signor Victor Russel. Avevano deciso di fare una vacanza a Parigi, sarebbero dovuti partire oggi, ma questa mattina il marito ci ha chiamati dicendo di essere tornato dal lavoro e di aver trovato sua moglie... beh, ecco... insomma... morta"

Erano ormai di fronte alla porta del salotto, dove alcuni della scientifica si erano riuniti per discutere.

"Non sembra avere alcun senso…"

Diceva uno, guardando gli altri con fare preoccupato.

"Cosa non sembra avere alcun senso?"

Chiese Lestrade, raggiungendo il piccolo gruppetto e mettendosi in mezzo a loro.

"Ecco…"

Iniziò l’uomo, togliendosi i guanti di lattice.

"La donna è morta… di morte naturale"

"E perché non dovrebbe avere senso?"

Rispose Sherlock unendosi alla compagnia, ridendo divertito.
L’uomo della scientifica fece qualche passo nella direzione del detective, guardandolo sinistramente.

"Perché è stata accoltellata"

"Deciditi, o è stata accoltellata o è morta di morte naturale"

"Entrambe"

Disse l’uomo senza battere ciglio.

"Anderson, di' agli altri di lasciare la casa"

L’uomo si voltò verso l’ispettore.

"Non vorrà mica lasciarlo ispezionare il cadavere! Non voglio correre il rischio che la scena del crimine venga contaminata"

Sherlock alzò gli occhi al cielo.

"È già stata contaminata dai tuoi stupidi uomini della scientifica, nessuno potrebbe fare di peggio a questo punto. E adesso, se non ti dispiace..."

Sherlock lo scansò malamente in parte ed entrò direttamente nel salotto, mettendosi subito ad osservare la stanza, facendo correre il suo sguardo dappertutto.

"Con permesso…"

Fece Samantha mentre sorpassava anche lei Anderson.

"Aspetta, aspetta"

Le disse quello, prendendole il braccio e trascinandola indietro.

"E tu chi saresti?"

L'uomo le stringeva saldamente il braccio impedendole di proseguire. Samantha stava perciò per dire qualcosa, quando Sherlock uscì come una furia dal soggiorno.

"Non volevi risolvere un caso Page? Beh, allora sbrigati perché non c’è un minuto da perdere"

Così Anderson la lasciò andare alzando le mani in segno di resa.

"Questa non è una scena del crimine, è un circo"

Borbottò, mentre usciva dalla casa.
Lestrade si appoggiò sullo stipite della porta del soggiorno, osservando attentamente i movimenti del consulente investigativo. Samantha fece lo stesso, ma non tralasciando di fare le sue deduzioni.
Avrebbe potuto difendersi anche da sola da quell’inetto della scientifica (che tra l’altro sapeva di alcol) senza l’aiuto di Sherlock. Non avrebbe saputo però interpretare il gesto del detective... perché l'aveva aiutata? Probabilmente non era nemmeno consapevole di averla tirata fuori da una situazione sgradevole, altrimenti, ne era sicura, ce l'avrebbe lasciata, cercando di peggiorarla ulteriormente.
La vittima era distesa al centro del salotto con la schiena rivolta verso l’alto ed aveva gli occhi aperti pieni di terrore. Non doveva essere stata una morte piacevole, doveva aver sofferto molto.
Samantha si avvicinò cautamente ad essa, attenta a non intralciare i movimenti del consulente investigativo, ed osservò attentamente le pugnalate lasciate sulla schiena.
Prima di fare alcunché cercò di intercettare lo sguardo di Lestrade, come a chiedergliene il permesso.
L’ispettore assentì con un lieve moto del capo, sospirando leggermente.
I fori lasciati dalle pugnalate non sembravano essere stati inflitti a caso, parevano seguire uno schema.
Samantha si allontanò leggermente dal cadavere, facendo qualche passo indietro per vedere la stanza nel suo insieme. Si guardò attorno girandosi e provando a guardare la scena da una differente angolazione. Fece un giro su se stessa per cercare di capire da dove la donna potesse essere stata aggredita o se, come sospettava, fosse stata portata nel salotto solamente dopo. Non era molto pratica di come si risolvesse un omicidio o un caso di quel genere, dato che lei si era sempre ritrovata nella situazione opposta, ovvero in quella di nascondere le tracce o comunque farne il meno possibile depistando le autorità. Sapeva qualche trucchetto o due sui principali modi per nascondere delle tracce ed in quel momento stava cercando di ragionare con la mente dell’assassino.
Se lei si fosse trovata in una situazione del genere, da dove sarebbe fuggita? Chi avrebbe cercato di incolpare? Le informazioni a disposizione sulla donna erano ancora troppo poche per poter fare una supposizione.
Si spostò di qualche passo a destra, rimanendo con lo sguardo fisso sul cadavere, mentre Sherlock si era alzato dalla sua posizione supina e si era spostato alla sua destra osservando anche lui le pugnalate sulla schiena della donna.
Inevitabilmente si scontrarono.
Samantha si riscosse dai suoi pensieri e dal suo tentativo di sintonizzarsi con i pensieri dell’assassino e Sherlock venne distratto dalla sua deduzione.
Si guardarono, uno sguardo veloce, per poi ritornare a fissare la donna sul pavimento. Entrambi capirono di aver visto la medesima cosa.

"M"

Disse Samantha, congiungendo nell’aria con il dito indice le pugnalate, come se fossero state dei puntini.

"Esattamente, M"

Ripeté Sherlock pensieroso, portandosi le mani alla bocca e congiungendole, allontanandosi dalla scomoda vicinanza con la ragazza.
Samantha non perse un secondo e si fiondò sulla scrivania della stanza. Doveva esserci, andiamo, doveva!
Lestrade era ancora appoggiato allo stipite della porta e gli sembrava di star guardando una specie di coreografia: entrambi si muovevano nella stanza sicuri dei loro movimenti, non lasciando trasparire nessun’emozione o sentimento. Analizzavano qualsiasi cosa arrivasse alla portata della loro vista e sembravano non lasciarsi sfuggire nemmeno un dettaglio. Non era mai stato più curioso di sapere chi fosse quella ragazza e perché si trovasse lì con Sherlock in quel momento. Poteva essere sua sorella? Poteva essere un’ipotesi, anche se l’ispettore non capiva perché allora Sherlock avrebbe dovuto mentirgli dicendo che fosse la sua coinquilina. Eppure, si muovevano in maniera così simile ed i loro sguardi erano gli stessi.
Quegli occhi vivi ed indagatori, bramosi di conoscenza, ma anche spauriti ed indifesi che aveva visto in Sherlock, quel giorno li aveva rivisti anche in Page Lincoln e la cosa non poteva che affascinarlo e spaventarlo nel medesimo momento.

"Trovato!"

Urlò Samantha febbricitante con gli occhi che quasi le brillavano.
Estrasse dalla tasca del suo trench il libro che Sherlock aveva trovato sull’altra scena del crimine ed andò a pagina undici. Lo lasciò aperto sulla scrivania tenendolo con la mano destra mentre ne apriva un altro a pagina ventidue tenendolo aperto con l’altra mano. Sherlock alzò lo sguardo e si avvicinò velocemente a Samantha che aveva un sorriso soddisfatto stampato in volto.

"Lo sapevo! Non poteva essere altrimenti!"

"Che cosa non poteva essere altrimenti?"

Chiese l’ispettore, avvicinandosi ai due con fare confuso.
Il suo sguardò passò da un libro all’altro senza capire però di che cosa la ragazza stesse parlando.
Sherlock prese in mano il primo libro discorrendo la pagina indicatagli da Samantha ed un’espressione dubbiosa gli apparve sul volto.

"La rosa e l’usignolo?"

Disse rivolto a Samantha.

"A quanto pare. È un racconto di Oscar Wilde "

"No, no, fermi voi due. Che cosa diamine sta succedendo?"

Chiese un alquanto confuso ed irritato Lestrade.

"Emme!"

Rispose Sherlock prendendo in mano anche il secondo libro.
Samantha si morse il labbro pensierosa e fece qualche passo indietro.

"Sulla schiena della vittima sono presenti delle coltellate, ma non sono state quelle ad uccidere la donna, dato che lei è morta poiché le è stato fatto ingerire a forza del veleno, un particolare tipo di veleno che non viene rintracciato facendo gli esami post-mortem e che viene comunemente scambiato per morte naturale"

Disse Samantha staccandosi dai due e togliendosi i guanti.

"L’unico segno che lascia è quello del colorito giallognolo delle unghie delle mani"

Concluse Sherlock sorridendo mestamente.

"Ma cosa significano i due libri allora?"

"Se le pugnalate non sono state fatte per uccidere la vittima, allora per cosa? Le guardi ispettore, non le sembra che siano disposte in una maniera ben precisa?"

Continuò Samantha, indicando il corpo a Lestrade e guardandolo con occhi di fuoco.

"Oh… sembra… una emme"

"L’assassino ha voluto lasciarci un messaggio, un modo per decifrare i due libri"

Disse Sherlock mentre raggiungeva la ragazza e le porgeva uno dei libri.
Lei lo guardò confusa. Glielo stava affidando? Aveva superato una specie di prova? L’unica cosa che fece, fu quella di sorridergli appena, discorrendo la pagina alla ricerca di qualche altro dettaglio che poteva esserle sfuggito.

"Ed esattamente, come avete “decifrato” i due libri?"

"In un modo oltraggiosamente semplice, forse fin troppo. Chiunque abbia deciso di lasciarci questo segno doveva volere davvero che noi capissimo quello che voleva dirci. Voleva che noi comprendessimo come decifrarli e a che pagina guardare"

Gli disse Samantha chiudendo il libro ed infilandoselo nel trench.

"La emme è l’undicesima lettera dell’alfabeto, così mi è bastato aprire il secondo libro e…"

"Come potevi sapere che era quello il libro a cui l’assassino si riferiva?"

Questa volta era Sherlock a fare la domanda e non mancò di essere leggermente inquisitorio nel porgergliela.

"Perché erano amanti"

"A questo ci ero arrivato anche io. Ma  perché quel libro?"

"Chi era l’amante di chi?!"

Chiese Lestrade, evidentemente al limite della sopportazione.
Sherlock era già abbastanza di suo senza che si aggiungesse quella Page a rendere le cose ancora più confuse e complesse.

"Mrs Shepard era l’amante del sig. Double, mi sembra ovvio"

Rispose la ragazza, ansiosa di rispondere invece alla domanda di Sherlock.

"Quei due libri erano il segno del loro amore. Se li erano scambiati ed entrambi li custodivano gelosamente, probabilmente in riferimento a qualche ricordo comune che li legava sentimentalmente. L’assassino lo sapeva, doveva conoscere bene entrambi, il che restringe un po' il campo delle ricerche"

“Quindi lei intende…”

Cominciò Lestrade sfregandosi il mento con fare pensieroso.

“Intende dire che ha cercato a pagina ventidue del secondo libro perché il cognome dell’uomo glielo ha suggerito?”

“Esattamente Lestrade, ovvio. “Double”, significa “doppio”, quindi non poteva che essere quello”

Era stato Sherlock a rispondere alla domanda dell’ispettore e a Samantha dette non poco fastidio.

“Credevo lo stesse domandando a me, Sherlock”

Lo rimproverò, puntando i suoi profondi occhi verdi su quelli del detective.

“È irrilevante”

Rispose quello con un alzata di spalle.
Samantha sospirò per poi continuare la sua spiegazione.

“Quello che voglio dire è… perché lasciarci degli indizi? Che senso avrebbe avuto? La cosa più importante da fare adesso è analizzare i due libri e capire quale sia il  messaggio nascosto”

"Se è davvero presente un messaggio nascosto”

Samantha si girò nella direzione di Sherlock con aria confusa.

“In che senso “Se” è davvero presente? È ovvio che ci sia! Deve esserci!”

Sherlock sbuffò leggermente, assumendo un tono di voce simile a quello che avrebbe avuto un insegnante che cerca di spiegare un’ovvietà ai suoi studenti più duri di comprendonio.

“Potrebbe essere solamente una falsa pista, qualcosa studiato apposta per farci perdere tempo mentre l’assassino circola liberamente per le strade di Londra. Ho un po' più esperienza di te in questo campo”

“Oh, per favore, non essere così scettico! Gli omicidi, quello di Mr Double e quello di Mrs Russel sono chiaramente collegati e non vedo davvero perché l’assassino avrebbe dovuto mettere in scena tutta questa manfrina… no, c’è qualcosa di più sotto…”

A quel punto l’atteggiamento di Sherlock si fece più stizzito che mai: non era abituato ad essere contraddetto -come d’altra parte non lo era Samantha- ed il solo fatto di star facendo una conversazione di quel genere lo avrebbe infastidito, se in più ci si aggiungeva il fatto che non gli piaceva la persona con la quale stava discutendo, certo non si avrebbe potuto prevedere come tutto ciò avrebbe potuto trovare risoluzione.
L’aiuto di Lestrade per acquietare le acque fu, oserei dire, indispensabile.
Un “faremo analizzare i libri dalla scientifica” ed un “manderemo il corpo di Mrs Russel all’obitorio dove Molly potrà confrontarlo con quello di Mr Double” fecero rilassare Samantha da una parte e sparire l’imminente collera di Sherlock dall’altra.
Lestrade pensò che se non avesse avuto fortuna come Detective Ispettore, avrebbe certamente trovato un futuro come mediatore.

 

 

 

* Dall'episodio "His last vow", quando Mrs Hudson sorprende Sherlock a ballare sulla musica che lui stesso ha composto per il matrimonio di John e Mary e lui "confessa" di non aver mai capito che il tè che ogni mattina ritrova nel suo appartamento sia preparato dalla sua padrona di casa (non so quale sia esattamente la traduzione di landlady... chiedo perdono). What a rubbish detective <3

** Gli inglesi utilizzano questo simbolo "x" per indicare un bacio. Solitamente vengono aggiunti nei messaggi informali in maniera affettuosa. L'ho voluto scrivere perché, quando ero ancora all'oscuro del loro significato, mi dava estremamente fastidio il non capire che diamine ci stessero a fare in un determinato contesto. Probabilmente lo sapevate già tutti il suo significato, ma non si sa mai.



Angolo autrice confusa: Salve a tutti! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che mi facciate sapere che cosa ne pensate con una piccola recensioncina (il mio angolo recensioni piange e si dispera). Non ho altri importanti annunci da fare, quindi vi lascio. Andate in pace cari lettori! (Lasciatemi perdere, sono un caso disperato). Buona continuazione di serata. Un bacio, Angela Smith

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Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


Capitolo sei corretto

Salve a tutti cari lettori! Sono finalmente tornata dal mio infinito letargo per pubblicare il sesto capitolo! (una frase che molto probabilmente avevate perso le speranze di leggere).
Even Sherlock series four came after that!
Sì, perché per quelli di voi che non lo sapessero già (lo so, sono una sprovveduta a pensare che non siate già informati di tutti i minimi dettagli di questa cosa, ma lasciatemelo credere) Moffat e Gatiss si sono finalmente decisi a girare la quarta serie di Sherlock!!!! Ed il super richiesto ed occupato mister Cumberbatch finalmente veste di nuovo i panni del nostro amato consulente investigativo!! (e questa volta con i riccioli, non poteva reggere a lungo la storia dei capelli tirati indietro nello speciale di Natale, chi pensano di prendere in giro).
Qualche giorno fa ho visto su tumblr un video delle riprese del set in cui si vedeva John che teneva in braccio una bambina! Sono così felice!! La piccola Watson è finalmente arrivata!
Ma, ricomponendoci, ritorniamo a parlare della miracolosa apparizione del nuovo capitolo che se no poi divento troppo prolissa e mi saltate completamente la nota dell’autrice (quanto vi capisco):
La vera verità è che questo non è il capitolo originale, infatti la prima versione che avevo scritto era davvero molto diversa.
È semplicemente successo che mentre stavo rileggendo la versione precedente mi sono resa conto del fatto che non mi piacesse, che risultasse troppo noiosa ed inconcludente ed ho pensato “se non piace a me, come potrebbe piacere a loro?”. Così mi sono messa al computer, affiancata dalla mia fedele tazza di caffè, ed ho cominciato a scrivere, presa dalla follia di un'ispirazione momentanea.
Qualche spoiler in anteprima (non sono davvero spoiler, abbassate quei mitra):
questo capitolo è un salto nel tempo; il salto temporale è di un giorno e grazie a questa escamotage si scopre che cosa abbia fatto la nostra cara Samantha durante l’assenza di Sherlock. Ricordate che Sherlock stava indagando sul caso di Mr Double e che dunque era stato tenuto lontano dal 221B per un po' di tempo? E ricordate che, mentre stava deducendo Sam, si è accorto del fatto che lei fosse uscita? Ma uscita dove? E perché?
Oltre a rispondere a tutte queste domande, in questo capitolo si riuscirà anche ad intravedere un nuovo pezzetto della vita della ragazza, che sarà costretta ad affrontare una situazione alquanto spinosa...
La piccola ormai "aiutante detective" inoltre si sbizzarrisce per suo puro diletto a formulare curiose e (forse) fondate teorie su un particolare caso di Sherlock che ha attirato la sua attenzione.
Ora vi lascio davvero al capitolo. Spero davvero che vi piaccia!

Buona lettura a tutti.

 Angela Smith



Capitolo sei



 (Il giorno precedente...)

Ferirsi sul piede era stata una complicazione, certo, ma niente che potesse impedirle di camminare come un comune essere umano. Beh… ecco… il piede di Samantha poteva non essere della stessa opinione.
In realtà la ferita aveva cominciato a bruciarle… ed anche parecchio.
Cosa poteva fare? Nulla, solo sopportare.
D’altra parte però non era certo colpa sua se era da due lunghi anni che non era stata obbligata ad uscire da nessuna finestra in nessun’occasione.
Ne era davvero valsa la pena? Uscire dalla finestra dell’appartamento solo per non essere vista da Mrs Hudson? Sperava almeno che in questo modo Sherlock non venisse a sapere che lei fosse uscita… anche se probabilmente lo avrebbe dedotto lo stesso.
Quel ragazzo era troppo sveglio per i suoi gusti e notava fin troppe cose…
Ma la vera complicazione in quel momento era il fatto che non avesse ben capito dove dovesse farsi trovare e perché fosse proprio necessario vedersi di persona.
Moriarty le aveva mandato un messaggio dicendole di presentarsi ad uno strano indirizzo, aggiungendo che lui sarebbe stato lì ad aspettarla.
Samantha non ci aveva creduto nemmeno per un istante.
Certamente avrebbe mandato uno dei suoi collaboratori, il quale le avrebbe riferito le direttive del "capo". Molto meglio per lei dato che non ci teneva per niente ad incontrare il consulting criminal.
Era ad almeno un isolato di distanza dall’indirizzo datole e non riusciva a togliersi dalla mente i casi che Sherlock Holmes si era ritrovato tra le mani in tanti anni di carriera.
Quello però che più di tutti stuzzicava la sua curiosità era quello intitolato “Uno studio in rosa”.
Sapeva che fosse stato uno dei tanti crimini organizzati da Moriarty, ne poteva quasi riconoscere la firma.
Due fialette, una contenente la pillola con il veleno, l’altra completamente innocua… Nel resoconto del caso c’era scritto che il tassista sapesse esattamente quale delle due fialette fosse quella innocua e quale quella col veleno e che potesse anticipare le mosse della sua sventurata vittima.
Il documento che Samantha aveva letto riportava inoltre i nomi delle quattro vittime… Quel tassista era riuscito ad uccidere quattro persone con il suo piccolo “gioco” ed era (quasi inspiegabilmente) riuscito a sopravvivere… ma come? Come era stato possibile? Come poteva prevedere che fialetta avrebbero scelto quelle quattro persone?
Non era una cosa umanamente fattibile e Samantha si rifiutava di credere che ci fosse un intricato ragionamento dietro le mosse dell’uomo.
“Solo fortuna” non faceva che ripetere a sé stessa mentre camminava per le affollate strade di Londra.
O almeno, questo era un lato della medaglia.
L’altro, che rappresentava anche la parte razionale della ragazza, non riusciva ad escludere così a cuor leggero l’ipotesi che il tassista sapesse esattamente cosa stesse facendo e che prima di scegliere le sue vittime le studiasse in modo tale da capirne i ragionamenti e la mentalità, così da coglierli in fallo e far cadere loro in mano la pillola mortale ancor prima che loro se ne rendessero conto.
Sembrava una teoria così irreale… ma ovviamente nulla poteva essere escluso.
La prima cosa che Samantha aveva pensato leggendo il resoconto del caso era che il veleno doveva essere certamente contenuto nell’acqua che il serial killer porgeva alle sue vittime per ingerire la pillola, ma quando era venuta a sapere, continuando la sua lettura, che nessun bicchiere d’acqua era mai stato offerto a quelle quattro persone, si era decisamente incuriosita.
A metà del suo tragitto si era definitivamente decisa a pensare che ci fosse un trucco, uno sporco trucco, sicuramente degno di Moriarty.
Certo, non l’avrebbe mai davvero scoperto, a meno che non l’avesse chiesto di persona al criminale, ma non aveva nessuna intenzione di farlo, il pensiero non la sfiorava nemmeno.
La sete di conoscenza che in quel momento la invadeva aveva fatto così cadere in secondo piano tutti i suoi altri pensieri: non riusciva a smettere di scervellarsi per cercare di capire la mentalità di quel serial killer tanto insolito quanto (forse) geniale.
Provò ad immaginare se stessa nella situazione in cui si era trovato Sherlock numerosi anni prima: quale delle due pillole avrebbe scelto? Quella che il tassista le porgeva o l’altra? Probabilmente l’altra, la stessa che, come diceva il resoconto, aveva scelto Sherlock.
Samantha sospirò leggermente irritata. Tanto alla fine nessuno aveva mai scoperto quale fosse quella avvelenata e quale quella innocua, quindi qualsiasi ipotesi potesse avanzare sarebbe stata completamente inutile e non confermabile.
Beh, diciamo che era la cosa più divertente che potesse occuparle la mente durante quel noiosissimo tragitto, che l’avrebbe portata sicuramente davanti ad un mare di altre complicazioni e guai.
Quindi, cosa aveva da perdere?
Ammettendo che il tassista studiasse davvero i profili psicologici delle sue vittime, in qualche modo, anche se molto contorto, sarebbe comunque riuscito a comprendere, sebbene in parte, le loro tendenze ed il loro carattere. Ora, supponendo nuovamente che le scelte di ognuno di noi vengano fatte sulla base di uno schema, come se ci fosse un numero prestabilito di “cause ed effetti” ed essi si ripetessero ciclicamente, il serial killer avrebbe potuto, inserendo le due variabili (cioè le due pillole), calcolarne la probabilità. Anche se ciò, appunto basandosi sulle probabilità, non sarebbe certamente stato un calcolo sicuro al 100%. Che alla probabilità si sia aggiunta anche la fortuna? Quattro casi non sono poi così tanti dopotutto e sopravvivere a tutti non poi così impossibile…
La seconda ipotesi di Samantha era sicuramente meno scientifica e razionale, anche se certamente anch’essa avesse una sua logica. Probabilmente sarebbe stato il metodo a cui lei si sarebbe affidata se fosse stata il serial killer.
Più volte nella sua vita si era resa conto che calcoli e probabilità non valevano certo per qualunque cosa, non potevano ovviamente potersi applicare a tutte le situazioni e a tutti i contesti.
Non si poteva sempre fare affidamento solo e soltanto sulla propria parte razionale, perché sicuramente, prima o poi, questa avrebbe fallito miseramente e ti avrebbe trascinato sul fondo.
Samantha credeva di sapere perché Sherlock non avesse scelto la pillola che il serial killer gli aveva offerto.
Conosceva molto poco Sherlock Holmes e certamente la fama che lo precedeva non aiutava molto a capire il vero animo del Consulting Detective. Quello che però poteva dire di sapere per certo, era che non fosse una persona che si facesse guidare facilmente: non si sarebbe certamente piegato al volere del primo venuto, figuriamoci a quello di un serial killer o pseudo tassista che si diverte ad avvelenare i propri clienti.
Sherlock deve aver capito il suo gioco e così, quando egli gli ha offerto la pillola innocua, il detective ha preso l'altra, attuando il ragionamento del "quinto bluff". Era un ragionamento astuto e Samantha si compiacque di averci pensato. Sarebbe stato esattamente il ragionamento che avrebbe messo in atto lei, qualcosa che mescola psicologia e probabilità insieme, un vero capolavoro. Il trucco era molto semplice: conosci Moriarty e conoscerai la risoluzione al puzzle. A Moriarty era sempre piaciuto giocare con le sue vittime, pressappoco come fa il gatto con la sua preda prima di mangiarsela: la tormenta, sfinendola, per poi darle il colpo di grazia. Il ragionamento era molto interessante e consisteva nel attuare un numero di bluff pari al numero di vittime uccise; in parole povere si sceglie come pillola di riferimento -cioè quella benevola- quella che non viene offerta al soggetto, dopodiché si attua un doppio bluff se è il secondo soggetto su cui si applica quella strategia, un triplo bluff se è il terzo soggetto e così via. Sherlock sarebbe stato il quinto soggetto e quindi, facendo i conti, la pillola benevola sarebbe stata quella non offertagli, esattamente quella che il detective aveva scelto. Bravo Sherlock Holmes, il caro ragazzo sarebbe sopravvissuto alle insidie di Moriarty. Samantha non sapeva se stesse sopravvalutandolo attribuendogli la consapevolezza di aver scelto la pillola innoqua; poteva anche essere che ne fosse ignaro, che avesse solo avuto fortuna. Certo, poteva anche essere che il ragionamento di Samantha non fosse corretto, ma lo riteneva davvero improbabile, anche perché alla fin fine tutto sembrava quadrare. Infatti il buon tassista aveva insistito nell'ingerire la propria pillola, sfidando Sherlock a fare altrettanto. Perché avrebbe dovuto volerlo, se non per togliersi la vita? Ormai a quel punto aveva capito che a breve sarebbe stato accerchiato dalla polizia e che sarebbe finito in prigione per il resto della sua breve vita, dunque deve aver preferito andarsene da questo mondo in maniera dignitosa, diventando da carnefice la vittima della sua stessa trappola, ingerendo la pillola mortale. Samantha non poteva certo biasimarlo, probabilmente avrebbe fatto lo stesso: quale modo migliore di andarsene che avvelenati dalla propria velenosità? D'altronde era la fine che Samantha da sempre si aspettava di fare, era sicura che non sarebbe potuta andare diversamente la sua morte.

Stava ancora camminando mentre faceva queste considerazioni e lo scorgere la cabina telefonica accennata nel messaggio di Moriarty le fece capire che era quasi arrivata alla sua meta.
Si avvicinò ad essa per controllare se fosse effettivamente quella indicata: la grande “M” pitturata su di essa con una bomboletta spray glielo confermò. Che esibizionista.
Si guardò attorno per vedere se ci fossero suoi scagnozzi nelle vicinanze, ma le sembrava che fosse tutto estremamente tranquillo, forse anche troppo.
Guardando alla sua destra notò un ragazzino che avrà avuto sì e no nove anni, il quale stava attraversando la strada tenendo stretta la mano di sua madre.
Era un bambino dai capelli ricci e folti che stringeva possessivamente nella sua manina una lente di ingrandimento. Samantha involontariamente sorrise: non avrebbe saputo dire esattamente che sensazioni le fece provare vedere quella scena… pensieri felici senza dubbio, ma comunque… strani e diversi. Le ricordò i suoi genitori e la piccola lente di ingrandimento che le avevano regalato a cinque anni: quanto amava quella lente da bambina, per lei era stato il regalo più bello del mondo. Si ricordava esattamente la sua felicità nello scoprire che sotto la carta dorata del pacchetto si celava una bellissima e lucidissima lente. Qualsiasi altro bambino avrebbe preferito una macchinina, una bambola o un animaletto di pezza, ma tutte quelle cose non l'avevano mai interessata; lei era curiosa, amava le scoperte e voleva analizzare anche i più piccoli dettagli e credeva, nella sua mente di bambina, che possedere una lente l'avrebbe resa la più brillante investigatrice del mondo e che avrebbe potuto scoprire tutte le verità più nascoste. Doveva avercela ancora da qualche parte, di sicuro non l'aveva buttata via: non si sarebbe mai separata da un ricordo così prezioso per lei. Ma questo ricordo, evocato così all'improvviso, portò con sé un retrogusto amaro, una punta di turbamento: le riportò alla mente il fatto che i suoi genitori non fossero con lei, ma in pericolo sotto le grinfie di Moriarty e sapeva che era tutta colpa sua; era stata lei che invece di utilizzare il suo talento per il bene aveva preferito fidarsi dell' uomo più pericoloso che avesse mai conosciuto... e perché? Perché era ingenua e desiderosa di contravvenire alle regole. Perché smaniava di conoscere il lato oscuro dell'uomo, ciò che lo rende crudele e assassino. Sospirò pesantemente. Non poteva permettere che quei ricordi la rendessero debole, doveva resistere, solo così avrebbe potuto salvare i suoi genitori da morte certa.
Stava per proseguire lungo la via quando, ancora prima che se ne rendesse conto, si ritrovò una mano davanti alla bocca, mentre possenti braccia la stringevano da dietro. L’odore del cloroformio era nauseante e per quanto cercasse di divincolarsi era comunque molto più debole del suo aggressore. Il panno imbevuto le veniva pressato contro la bocca ed il naso ed improvvisamente si sentì mancare. Non fu abbastanza svelta da reagire o da guardare in faccia chi fosse l’uomo, che era già sprofondata in un sonno profondo.

 

***

 

Al suo risveglio ci fu un doloroso mal di testa ad accoglierla ed una residua sensazione di nausea che sembrava non volerla lasciare. Aprì lentamente gli occhi, redendosi conto di trovarsi completamente distesa a terra, su un pavimento freddo e duro. Cercò di capire dove fosse, senza ancora però trovare la forza di alzarsi; intravide da distesa delle ruote di una grande auto nera a circa otto metri di distanza da lei. Provò a muoversi, ma sentì una resistenza al polso sinistro. Spalancò gli occhi, alzandosi in piedi con un movimento brusco, tanto che la vista le si offuscò brevemente a causa del movimento repentino. Si guardò il polso sinistro: era ammanettata ad un tubo verticale scoperto. Si guardò intorno e vide per intero la berlina nera in mezzo a quello che sembrava essere un grande parcheggio, sfortunatamente per lei interamente vuoto, eccetto per quell’auto nera parcheggiata proprio al centro.

 “Sveglia sveglia mia piccola addormentata”

Samantha si irrigidì: si girò verso la voce alle sue spalle per riconoscere il volto del ben noto consulente criminale. Indossava un completo grigio ed una cravatta bianca a cui era attaccata una spilla a forma di volpe. Era incredibile come quell’uomo potesse risultare minaccioso anche indossando un colore diverso dal nero. Era impeccabile come sempre, ma non per questo privo di dettagli rivelatori: dei piccoli residui di cenere sui pantaloni indicavano che avesse fumato una sigaretta da poco e che quindi fosse stato sottoposto ad una situazione stressante (Samantha sapeva che fosse solito fumare soprattutto per rilassarsi dopo una situazione particolarmente difficile), le piccole occhiaie sotto agli occhi mostravano che non avesse dormito regolarmente da almeno due giorni, se non tre; stranamente le date sembravano combaciare con il loro ultimo incontro. Quella situazione doveva davvero renderlo parecchio nervoso per riuscire a togliergli il sonno. Che cosa mai avrebbe potuto volere da Sherlock Holmes? Ma soprattutto, cosa che lei potesse procurargli?
Osservandolo ancora notò anche, dettaglio molto più interessante, che sulle sue scarpe nere c’erano residui di fango fresco; quindi, probabilmente il giorno stesso, il caro consulente criminale si era concesso una piccola gita in campagna. Qual era l’unico luogo abbastanza vicino da poter essere raggiunto in giornata e che a Moriarty sarebbe importato di visitare personalmente? Era ovvio. La villa dei genitori di Samantha. Ebbe l’impellente desiderio di saltargli al collo.
Si scambiarono uno sguardo gelido e penetrante, che sembrava dire “so che tu sai, te lo posso leggere negli occhi”. Moriarty sorrise serafico.

 “Grazie per avermi drogata nuovamente e portata in un luogo ancora più buio del precedente. Stai davvero cominciando a viziarmi”

 Moriarty distorse il suo sorriso in un ghigno, avvicinandosi di qualche passo alla ragazza.

 “Anche tu mi sei mancata”

 Rispose languido.

 “Scusami per quella precauzione

 Disse indicando le manette al polso di Samantha.

 “Ma mi mancava vederti così docile e soprattutto vincolata al mio cospetto”

 Samantha sorrise, portandosi indietro i capelli.

 “Deve sempre finire così tra noi due? Io, te… e le manette”*

Dette uno strattone al palo a cui era legata con il braccio sinistro, facendo tentennare le manette, che fecero risuonare il loro eco metallico per tutto il parcheggio.

"Vedo che ti sei ferita. Cerchi di modulare il peso per non farlo gravare sul piede sinistro. Problemi ad evadere dal 221B? Sherlock ti tiene al guinzaglio per caso?"

Samantha non rispose e Moriarty colse l'occasione per avvicinarsi ulteriormente, stringendole con le lunghe dita il braccio destro. Studiò l’espressione della ragazza e vedendo che essa non sembrava spaventata, ma al contrario, completamente rilassata, colse l’occasione per avvicinarsi al suo orecchio e succhiarle il lobo sinistro.

 “Ti sono mancato, non è vero?”

 Samantha si sentì in trappola, come sempre con lui.
Continuava a chiedersi se le fosse mancato, se davvero Moriarty avrebbe potuto mancarle in quei due lunghi anni. Non poteva… giusto?
Il consulente criminale passò a baciarle il collo, con baci leggeri e ravvicinati, scostandole prima la manica della maglia per poterle baciare la spalla e poi la spallina del reggiseno.
Samantha a quel punto si divincolò, allontanandosi di un passo da lui.
Moriarty non disse niente, si limitò a sorridere maligno, squadrando la ragazza da capo a piedi.

 “Perché rapirmi? Potevi chiamarmi per riferirmi le tue informazioni”

 “Che cosa impersonale le chiamate da cellulare, preferisco molto di più il contatto diretto”

 Calcò molto sulla parola “contatto”, cominciando a camminare avanti a sé con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni.

 “Volevo vederti dato che l’ultimo nostro incontro non si è concluso nel migliore dei modi…”

 “Si è concluso esattamente come questo è iniziato, cioè con me drogata e trascinata in luoghi dove non avrei ragione di stare”

 “Ma come, pensavo gradissi la mia compagnia”

 Sorrise nuovamente, portandosi due dita alle labbra.

 “La gradirei molto di più se fossi lucida e soprattutto non legata”

 Si avvicinò a grandi passi a Samantha, cingendola violentemente da dietro, stringendole possessivamente i fianchi e poggiando la testa sulla sua spalla, facendole sentire il suo respiro affannato.

 “Ma è proprio questo il bello Samantha”

 La baciò nuovamente sul collo, due soli baci, dolci, morbidi come le sue labbra e passionali come lo era lui.

"Ricordami perché non ti ho ancora scopata Sam, muoio dalla voglia di farlo"

"Forse eri troppo impegnato a cercare un modo per uccidermi"

"Ah già, quasi lo dimenticavo"

"Eppure non ci sei mai riuscito"

"Forse non ci ho mai davvero provato"

Un brivido le percorse la schiena.
Perché non riusciva a rifiutare quei baci? Perché non si divincolava, perché non urlava in preda al panico? Pensava che avrebbe dovuto, che la cosa giusta da fare sarebbe stata quella di allontanarsi da lui, cercando una via di fuga… ma quei baci, quella voce… si sentiva completamente nelle sue mani, vincolata non solo dalle manette al polso, ma anche dalla sua personalità magnetica. Quei baci la irretivano, le impedivano di ragionare razionalmente, non riusciva a rendersi conto che fosse l’uomo più pericoloso della terra a cingerle i fianchi e a baciarla vogliosamente. O forse era proprio la consapevolezza che lo fosse ad impedirle di rifiutarlo; dopotutto il pericolo l'aveva sempre attirata, no? E magari il sapere che fosse pericoloso la spingeva inconsciamente a fare proprio la cosa sbagliata.
Voleva solamente rimanere lì, congelata in quell’istante di tempo, cancellare tutte le vittime innocenti del consulente criminale, denudandolo di tutti i suoi misfatti per potersi sentire nel giusto a voler prolungare quei baci. Ma non esisteva un modo per fare tutto ciò, i morti non sarebbero risorti ed i suoi crimini non sarebbero stati ripagati e di conseguenza non sarebbe mai potuta essere nel giusto nel lasciarsi baciare da quell’uomo.
Lo odiava e lo desiderava allo stesso tempo ed era sicura che lui provasse lo stesso nei suoi confronti.
Pensò ai suoi genitori e a quello che Moriarty minacciava di fare loro; pensò anche al rossetto di Irene Adler sul suo colletto e a quello che la stava costringendo a fare. Si divincolò una seconda volta dalla sua stretta da serpente, questa volta però con il cuore che le batteva all’impazzata e non riuscendo a mantenersi calma.

 “Hai ragione, avremo molto tempo per parlare di questo in futuro. Concentriamoci su Sherlock adesso”

 Il nome del detective la fece sussultare visibilmente: con quella conversazione era come se fosse precipitata improvvisamente in un'altra dimensione, dimenticando completamente la realtà. Per un attimo si era dimenticata di Sherlock Holmes e del 221B, come se fossero spariti nel nulla, in una realtà non  facente parte della sua vita, come un debole ricordo lontano.
Fece un profondo respiro stringendo i pugni.

 “Ho toccato forse una nota dolente?”

 Samantha distolse lo sguardo, sistemandosi la spallina del reggiseno e la manica della maglietta.

 “Hai sussultato quando ho pronunciato il suo nome. Ti piace, vero?”

 Lei lo guardò sconvolta, facendo una smorfia disgustata.

 “No! Certo che no! E’ solo un pallone gonfiato!"

 “Ma è intelligente e questo ti piace”

 “Sarà anche intelligente, ma sicuramente non sa niente della natura umana”

 “Mi ricorda qualcuno di mia conoscenza, non credi anche tu Sam?”

 La ragazza lo guardò di sbieco, facendo una smorfia disgustata. Dannazione a lui.

 “Mi piace quanto a te piace la cara Irene Adler. Non vorrei essere io ad informarti di ciò, ma lo sai vero che lei e Sherlock hanno avuto un flirt?”

 “Se toccarsi a vicenda il polso vuol dire avere un flirt, allora io e te siamo sposati Samantha”

 La ragazza tremò alla sola idea.

 “A me pareva molto di più di una toccatina di polso, sai? A lei piaceva e lui, anche se a modo suo, la ricambiava. Ho trovato... per caso naturalmente, la trascrizione di alcuni messaggi che si sono spediti. Lei non faceva altro che invitarlo "a cena".  Ma quella donna smette mai di  pensare al sesso?"

 “Irene è una donna affascinante, riuscirebbe a conquistare tutti, uomini e donne”

 “Io la trovo abbastanza bruttina a dire la verità”

 Moriarty puntò i suoi occhi su quelli di Samantha, sorridendole maliziosamente.

 “Gelosa?”

 “Di Sherlock?! Assolutamente no!”

 “Lo capisco quando menti”

 “Ma per favore”

 “Ne sei attratta, è ovvio. Ma d’altronde l’avevo previsto”

 “Questa volta le tue predizioni non si sono avverate Jim, perché non sono attratta da Sherlock Holmes, non lo sono e non lo sarò mai”

 “Staremo a vedere”

Ci fu una pausa, durante la quale si sentì un rumore metallico, come di un attrezzo che fosse caduto, che allertò immediatamente Moriarty.

“Forse il motivo per cui non vuoi ammettere che Sherlock abbia avuto un flirt con La donna è perché la vorresti tutta per te e non certamente nel letto del tuo acerrimo nemico, dico bene? Comunque non credere che sia così sciocca da non aver notato la macchia di rossetto sulla tua camicia l’ultima volta che ci siamo visti”

 Moriarty strinse il pugno della mano destra, chiaro segno che non fosse preparato ad una frecciata del genere. Samantha si sentì soddisfatta di se stessa.

 “So che ti sarebbe piaciuto che quel segno di rossetto fosse il tuo”

 Ribatté immediatamente, ritrovando subito la sua precedente calma.

“Siete andati a letto?”

 Non le interessava davvero saperlo, ma sembrava che avesse scoperto una nota dolente e le piaceva mettere il dito nella piaga. Ora era il suo turno di tormentarlo.

 “Ho fatto ciò che Sherlock Holmes il verginello non era riuscito a fare”

 “Sarà anche un “verginello” come dici tu, ma secondo me ci saprebbe fare a letto. Saprebbe come far godere una donna.** I musicisti sanno fare cose incredibili con le loro dita…”

 “E scommetto che ti piacerebbe davvero molto testare quelle dita su di te, dico bene?”

 “Sto solo facendo un’ osservazione”

 “Nulla di quello che dici è mai solo un'osservazione

 Samantha ingoiò rumorosamente. Quella conversazione si stava trasformando in qualcosa di ridicolo ed aveva intenzione di porci la parola fine il prima possibile:
era da quando avevano iniziato a parlare che stava armeggiando con la chiusura delle manette e finalmente era riuscita a farla scattare. Jim avrebbe dovuto sapere che nessuna serratura sarebbe rimasta a lungo chiusa essendoci lei nei paraggi.
Samantha non perse un attimo: si liberò definitivamente delle manette e saltò addosso al consulente criminale.
In breve si ritrovarono entrambi a terra, coinvolti in una lotta senza esclusione di colpi. Era riuscita per un attimo a bloccarlo a terra, guadagnandosi così l’occasione di prendergli dalla tasca della giacca la pistola, ma lui fu più veloce di lei ad atterrarla nuovamente e a posizionarsi sopra di lei, lanciando l’arma lontano dalla portata della ragazza.
Samantha lottò con tutte le sue forze per contrastare Moriarty, ma lui conosceva i suoi punti deboli ed in breve riuscì a bloccarle le braccia a terra, tenendola strettamente per i polsi.
Avevano entrambi il respiro affannato per lo sforzo e Samantha sentiva che il cuore stava per esploderle nel petto. Non sapeva esattamente perché l’avesse fatto: in che altro modo si sarebbe potuta concludere quella lotta se non con la sua sconfitta? Non gli avrebbe mai davvero sparato e sapeva di non aver provato fino in fondo a vincere. Gli aveva lasciato la vittoria in previsione della sua futura vincita. Che gioisse finché poteva, perché sarebbe stata lei a ridere per ultima.

 “Mi chiedevi perché dovesse sempre finire con le manette tra di noi. Beh, adesso hai avuto la tua risposta”

 “Non fare finta che non ti piaccia stare sopra di me”

 “Infatti non mi piace… lo adoro. Dovremmo farlo più spesso, magari però coinvolti in attività più... stimolanti"

 Si avvicinò al viso della ragazza baciandole l’angolo della bocca e leccandole sensualmente il labbro inferiore.

 “Dimmi che cosa dovevi dirmi e falla finita Jim! Basta con questi trucchetti”

 Disse lei, mentre cercava di liberarsi i polsi dalla sua salda presa.

 “Non sei cambiata per niente, sei sempre stata selvaggia, uno spirito libero. Ricordo ancora quando eri solo una ragazzina ed io ti insegnai l’arte del crimine. Eri meravigliosa sin d’allora ed imparavi così in fretta. A quel tempo credevo davvero che un giorno avremmo potuto lavorare insieme, fianco a fianco, come una vera squadra vincente”

 “Sai benissimo che quei tempi sono finiti e sai meglio di me che non ritorneranno mai più! Ma su una cosa hai ragione: allora ero solo una ragazzina, ma ora sono cresciuta e lotterò fino al mio ultimo respiro per contrastarti!”

 “Samantha, ma non capisci che ti desidero? Ho bisogno di te, ora più che mai. Ho bisogno che tu sia dalla mia parte in questa battaglia, devo sapere di potermi fidare di te”

 Le si avvicinò pericolosamente al viso, sfiorandole le labbra e facendole sentire il suo respiro sulla sua pelle.

 “Per favore basta! Per favore…”

 Non aveva mai chiesto pietà a Moriarty, ma non riusciva davvero più a sopportare tutta quella situazione. Lui poteva pretendere che lei lo aiutasse, che ingannasse Mycroft Holmes, che imbrogliasse Sherlock… ma non poteva chiederle di tornare indietro… non poteva.
Fu tutto molto veloce: in un attimo Samantha riuscì a liberare il polso sinistro dalla stretta di Moriarty e a sfuggire dalla sua presa. Si alzò, correndo affannosamente verso la pistola che era stata lanciata precedentemente: sentiva che lui le era alle spalle, ma sembrava non importarle. Voleva solamente finirla lì, desiderava che tutto si concludesse quel pomeriggio.
Arrivò alla pistola, la prese in mano: tremava tutta e James Moriarty era a meno di un passo da lei; la canna della pistola praticamente toccava il petto dell’uomo, proprio all’altezza del cuore.
Lui non fece niente, era perfettamente calmo, con appena un accenno di fiatone.
Fissava Samantha dritto negli occhi senza tentennamenti.

 “Sparami Samantha. Adesso o mai più, giusto? I tuoi genitori sarebbero salvi, anche Sherlock Holmes sarebbe salvo… sarebbero tutti salvi.
Ma tu Samantha? Saresti salva anche tu? Pensaci bene. In questo garage saranno presenti come minimo cinque telecamere di sicurezza. Secondo te quanto ci metterebbero a capire che sei stata tu ad uccidermi? Dieci? Quindici minuti? Con la lentezza con cui opera Scotland Yard magari anche venti”

 “Ti ricordo, nel caso te lo fossi dimenticato, che sono un’hacker, posso tranquillamente eliminare il contenuto dei nastri di sicurezza e nessuno saprebbe mai che sono stata io a commettere il tuo omicidio. Ma sai la cosa più bella? Nessuno si scomoderebbe ad indagare sulla tua morte, caro consulente criminale, e se anche lo facessero non mi vedrebbero certo come un'assassina, ma come una salvatrice"

"Ne sei davvero così sicura? Secondo te John Watson ti vedrebbe come una salvatrice? Un medico che ha salvato centinaia di vite umane durante la guerra? E Sherlock? Sul serio credi che ti sarebbe riconoscente per aver ucciso il suo acerrimo nemico? Perché credi che non l'abbia ancora fatto lui? Perché si diverte, ama questo nostro piccolo gioco.
Inoltre lo sai che non faresti altro che ricordargli se stesso: presto comincerebbe ad odiarti, molto di più di quanto non lo faccia già adesso. Un odio viscerale, che crescerebbe in lui di giorno in giorno, sempre più cattivo e sempre più nero. Un odio inconscio che il buon consulente investigativo non potrebbe riuscire a contrastare neanche se lo volesse"

"Stai zitto! Non è vero! Smettila!"

"Credi che ti mentirei? Suvvia Sam, non fare la bambina. Guarda in faccia alla realtà. Senza di me saresti sola, completamente. Mi sono sempre preso cura di te, fin da quando eri una ragazzina sprovveduta e adesso guardati! Sei una donna forte, capace di impugnare un arma ed uccidere a sangue freddo! Ti ho resa meravigliosa!"

"Tu mi hai resa un mostro! Non vorrei essere così, non dovrei essere così... tu mi hai resa ciò che sono, una criminale, un'assassina, e non posso cambiare il mio passato, ma posso provare a cambiare il mio futuro, e quello di cui sono certa è che non ti ci voglio!"

"Non avresti nessun altro! Hai solo me!"

"Tu non sai niente! Smettila!"

Una lacrima minacciava di scendere lungo la sua guancia, ma la ricacciò indietro: doveva mantenere la calma, non poteva perdere il controllo adesso. Moriarty stava premendo apposta sui suoi sentimenti più celati per farla cedere, per distruggerla pezzo dopo pezzo, ma non doveva permetterglielo.

"Ma davvero Sam, quante vittime innocenti saresti disposta a sacrificare? Non siamo soli in questo garage, per precauzione mi sono portato dietro qualche amico. Civili, persone totalmente innocenti, che non farebbero del male neanche ad una mosca,  legate e controllate da miei uomini che hanno l'ordine preciso di ucciderle al mio comando"

 “Stai bluffando, non può essere”

 “Correresti davvero il rischio Sam? Sul serio?”

 Avrebbe voluto premere il grilletto, farla semplicemente finita. Sembrava tutto così semplice: se avesse premuto il grilletto tutto sarebbe finito e James Moriarty sarebbe morto. Mille altre potenziali vittime innocenti sarebbero state salvate: che cos'era la vita di quelle due persone rispetto a quella di centinaia?
Si bloccò improvvisamente, spaventata dai suoi stessi pensieri: davvero stava facendo questo calcolo? Che diritto aveva lei di decidere della vita di altre persone? E se quelle persone avessero avuto una famiglia? Magari dei figli...
Il mondo sembrò fermarsi per un istante: sentiva solamente i battiti forsennati del suo cuore ed il suo respiro pesante, nulla più. Le bruciava la testa, l'adrenalina e la paura si erano unite in lei creando una tempesta terribile, una di quelle in grado di radere al suolo intere città, quelle che sembra impossibile che si concludano.
Ma davvero sarebbe stata in grado di ucciderlo a sangue freddo? Davvero sarebbe riuscita a comandare alla sua mano di premere il grilletto? Sul serio sarebbe riuscita a sopravvivere alla vista del suo sangue che gli scorre sulla camicia e davvero sarebbe riuscita a guardare la luce nei suoi occhi che piano piano si spegne? Vedere le sue labbra che esalano l'ultimo respiro ed il suo corpo esanime accasciato per terra?
Solo un’altra volta nella sua vita era stata obbligata a commettere un atto così osceno e disumano, un fatto che l'aveva segnata dolorosamente e che e si era ripromessa di non fare mai più. Il ricordo di quella fatale notte non faceva che tormentarla sia di giorno che nei sogni; come avrebbe potuto sopportare anche la morte di Moriarty, operata dalle sue stesse mani? No, non si sarebbe abbassata al suo livello, non lo avrebbe fatto vincere così.
Lei voleva la vittoria, ma sicuramente non le interessava ottenerla in quel modo.
Con un movimento improvviso lanciò la pistola lontano, sentendo tutto il rimbombo provocato dal suo tonfo sul duro cemento. Aveva intenzione di barattare , offrirgli un'alternativa alla sua morte; si rese conto che l'unica cosa che voleva in quel momento era proteggere le persone che Moriarty le chiedeva di ingannare, non voleva che soffrissero come aveva fatto lei e soprattutto non intendeva assolutamente essere la responsabile di altre morti. Perché per quanto Sherlock Holmes fosse un pallone gonfiato pieno di sé, insopportabile, pretenzioso, egocentrico e senza un briciolo di sentimento, Samantha sapeva che fosse un buon uomo, in fondo, e che non si meritasse di essere ingannato a quel modo. Non da lei almeno, non da Moriarty.

 “Promettimi solo una cosa Moriarty, solo una. Non uccidere Sherlock Holmes. Nessuna persona a lui cara. Promettimi che le risparmierai, che loro vivranno e che le lascerai in pace. Finirò il lavoro, ti darò ciò che vorrai, ma tu me lo devi promettere”

Moriarty la guardò con i suoi occhi neri e morti, profondi come una gola abissale, scuri come il più nero dei segreti. La fissò ancora per qualche secondo, in silenzio, osservandola attentamente, come se quella fosse per lui la prima volta: sembrava volesse imprimersi nella memoria l'immagine di Samantha, la figura della persona che era diventata.
Ma non le rispose.
Distese la sua espressione in un ghigno malvagio; si girò, dandole le spalle, e si mise le mani nelle tasche dei pantaloni, avviandosi verso la berlina nera. Camminava come se nulla fosse successo, come se Samantha non gli avesse appena puntato una pistola al petto minacciandolo di premere il grilletto. Canticchiava fra sé e sé una cantilena, di cui Samantha sentì solo alcune parole. La sua voce rimbombava nel garage vuoto, risuonando inquietantemente nella testa della ragazza:

 “Tick tock, goes the clock

You’ll be the death of Sherlock

Oh, sleep well my gentle lady

Your kiss is fake already

May God rest his soul

For I still owe him a fall”






 “Tick tock, fa l’orologio

Porterai Sherlock alla sua tomba

Oh, dormi bene gentile fanciulla

Il tuo bacio è già così artefatto

Che Dio abbia pietà della sua anima

Poiché gli devo ancora una caduta”


***



Era distesa sul divano del 221B, massaggiandosi le tempie e guardando insistentemente il soffitto, come se lì avesse potuto trovare la risposta a tutti i suoi problemi. Era come se non si fosse mai mossa da quel punto, come se non avesse mai lasciato il 221B. Tutto ciò che le era accaduto nel giro di quelle poche ore era stato accantonato, quasi rimosso, i ricordi soffocati da altri ricordi, rinchiusi tutti in una stanza del suo Mind Palace. Aveva chiuso la porta a chiave e non l’avrebbe riaperta più, a meno che non fosse stato strettamente necessario.
Per lei era meglio così. In questo modo si sentiva più al sicuro, più serena e meno spaventata dal futuro orribile che sapeva attenderla.
Chiuse gli occhi. Quella canzoncina non faceva che risuonarle nella mente, uccidendola, facendola sentire sola più che mai.
Sola ed in balia di se stessa.
Non ci sarebbe potuta essere cosa peggiore.
Si alzò bruscamente dal divano, scostando un ciuffo di capelli che le era finito davanti agli occhi. Fece un profondo respiro ed estrasse dalla tasca della vestaglia una spilla. Sorrise.
Samantha non era una sciocca; non era certo saltata addosso a Moriarty per rabbia o per vendetta o per cercare di fuggire. Certo che no. Perché avrebbe dovuto? Non avrebbe avuto alcuna possibilità di riuscita un piano del genere e sicuramente non avrebbe giovato alla sua situazione.
L'aveva fatto apposta. Prendi in contropiede il tuo nemico, fai ciò che meno si aspetta. Sorprendilo.
Si rigirò quella spilla argentata a forma di volpe tra le mani, osservandone ogni minimo dettaglio, ogni scalfittura, ogni segno lasciato dal tempo.
Quanto era stata brava, davvero impeccabile. Era riuscita a prendergliela poco prima che lui le bloccasse i polsi a terra ed il bello era non si era accorto di nulla.
Era dunque riuscita a mettersela nella tasca dei pantaloni, senza destare alcun sospetto.
Sorrise nuovamente guardando la piccola spilla ormai in suo possesso. Si sorprese nel constatarlo definitivamente: lei aveva un piano, o almeno, stava cominciando ad averne uno.
Ora doveva solamente trovare un nascondiglio per la spilla.
Sapeva che Sherlock fumasse, così si mise a cercare il suo pacchetto di sigarette e stranamente le ci volle più del previsto. Qualcuno doveva avergliele nascoste, non poteva essere altrimenti.
Quando lo ebbe finalmente trovato, lo tolse dal nascondiglio mettendo al suo posto la spilla.
Sorrise euforica mentre raggiungeva la cucina con l’intento di prepararsi una buona tazza di caffè.
In fin dei conti se l’era meritata.

 

 


*Un'altra citazione di River Song... scusate, ma non riesco a resistere!

**Benedict Cumberbatch docet. Frase detta proprio da lui in un'intervista. Se non l'avete ancora letta, vi consiglio caldamente di farlo. Qui c'è il link: http://www.elleuk.com/now-trending/benedict-cumberbatch-talks-sherlock-and-sex (sì, dovete copiarlo e incollarlo nella barra delle ricerche... abbiate pietà della mia anima, sono una vecchina a cui è stato affidato un computer. Ho problemi a mettere delle immagini nei capitoli, figuriamoci ad aggiungerci dei link!)


Angolo autrice inquietata: Riciao cari lettori. Spero di non avervi inquietato troppo con questo capitolo. Mi auguro che vi sia piaciuto almeno la metà di quanto mi sia divertita a scriverlo. Sto passando un periodo un po' stressante e mettermi a scrivere al computer, riuscendo finalmente a mettere per iscritto qualcosa, mi ha fatto sentire veramente soddisfatta di me stessa ed in un certo senso mi ha aiutata a rilassarmi. Voglio ringraziare davvero di cuore tutti quelli che hanno messo tra le preferite/seguite/ricordate la mia storia, mi date la forza di andare avanti! Grazie, grazie, grazie! Auguro a tutti una buona giornata. Alla prossima!

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