The Clumsy Orchestra di Angela Smith (/viewuser.php?uid=609928)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 1 *** Capitolo uno ***
Capitolo uno corretto
Salve! Sinceramente ero
molto indecisa se scrivere o no questa nota introduttiva (anche perché
ne ho scritta una anche alla fine del testo e avevo paura che due
fossero troppe...), ma mi sono sentita obbligata a farlo visto che
questo sarebbe il primo capitolo della storia e quindi, come tale,
necessiterebbe di un'introduzione. Premetto dicendo di non saper
assolutamente scrivere le note dell'autrice, quindi se mai doveste
trovare la presente (o magari anche quelle che scriverò più avanti nei
capitoli) troppo divaganti, strane, o persino insensate, non abbiatene
paura, o almeno... non troppa. Sappiate solamente che è normale e che
purtroppo non c'è nulla da fare in proposito. Voi comunque avete sempre
il magico superpotere che vi permette di saltarle ed andare
direttamente al testo (certamente non vi biasimerei per averlo fatto).
Spero che la storia vi piaccia (io, personalmente, ci tengo molto) e
che il "nuovo personaggio" vi risulti simpatico... (datele tempo,
saprà farsi amare...con calma e costanza). Sto cercando di mantenere i
personaggi più IC possibile, ma loro, il più delle volte, si divertono
a fare di testa loro, quindi chiedo venia per eventuali obbrobri (e se
doveste notare che i personaggi siano estremamente ed irrimediabilmente
OOC, fatemelo sapere nelle recensioni, così che io possa cambiare la
descrizione della storia!)
Spero
di riuscire a rendere verosimile il tutto ma, dato che non ho una beta,
a volte potrebbe sfuggirmi qualche errore di battitura o di altro
genere. Portate pazienza anche per questo.
Non
credo ci sia altro da aggiungere... almeno per adesso. Casomai se mi
viene in mente qualcosa d'altro la scriverò nella nota a fine capitolo,
perché già sento le vostre palpebre chiudersi a leggere questa
interminabile nota e la vostra mano scivolare lentamente verso il mouse
per scorrere la pagina ed andare al testo.
Spero vi piaccia e fatemi
sapere che cosa ne pensate! Le critiche sono più che benaccette! E
naturalmente, questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà
della BBC e di Steven Moffat e chi ne ha più ne metta. Questa mia
storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Buona lettura!
Angela Smith
Capitolo uno
Un colpo.
Una pallottola. Uno sparo rimbomba fragoroso nella strada deserta.
Non una voce, non un suono.
Una pozza di sangue in mezzo alla strada che non fa che allargarsi. Le tremano
le gambe e non riesce a muoversi.
In mano una rivoltella, pesante del delitto appena commesso. Silenzio.
Il respiro dell’uomo è cessato e l’unico suono che si ode è quello di un
clacson lontano nella notte.
Ha paura persino di respirare: non si muove, non fiata. Vorrebbe scappare,
urlare, fuggire il più lontano possibile, ma non ci riesce: si sente inchiodata
al suolo e sente un fuoco dentro, come se stesse bruciando dall’interno, come
se il diavolo in persona stesse reclamando la sua anima.
“Non sono un’assassina” dice in un flebile sussurro.
“Non sono un'assassina” ripete, mentre fa cadere a terra la rivoltella.
Chiude gli occhi, respira, valuta e decide. Sa di essere sotto shock e sa anche
che se non si controlla per lei sarà la fine.
Questa volta si è spinta troppo oltre.
Respira ed espira controllando ogni singolo movimento del suo corpo,
contenendosi, valutandosi. Chiude gli occhi e, quando li riapre dieci secondi
dopo, sa perfettamente ciò che deve fare.
Uno sparo. Una pallottola dritta nel cranio, questo è quello che ha fatto,
quello che ha ucciso James Moriarty.
***
Samantha si
svegliò di soprassalto. Aveva il fiato corto, come se avesse appena corso per
chilometri e chilometri. Controllò l’orologio sul comodino accanto al letto:
erano le 2:35.
Ogni notte la stessa ora ed ogni notte lo stesso sogno. Chiuse nuovamente gli
occhi massaggiandosi le tempie doloranti.
Quanto invidiava le altre persone, quanto avrebbe voluto potersi svegliare nel
cuore della notte e poter dire “era solo un incubo” come facevano tutti. Ma non
poteva, perché Samantha sapeva che quello era tutto tranne che solo un
brutto sogno.
Si sfilò di dosso le coperte ed accese la piccola lampada sul comodino,
prendendo tra le mani la scatola dei sonniferi. Non sarebbe riuscita a
riaddormentarsi comunque, ma tanto valeva almeno provarci.
Per quanto ancora avrebbe dovuto sopportare quella tortura?
Quanti anni sarebbero dovuti passare prima che lei riuscisse ad andare avanti
con la sua vita? Prima di smettere di svegliarsi ogni notte spaventata, tremante
e sconvolta come quella stessa sera?
Un rumore interruppe i suoi pensieri. Restò in silenzio, in ascolto per qualche
secondo e poi lo sentì nuovamente: erano dei passi e sembravano provenire dalla
cucina.
Samantha con una mossa repentina si mise addosso la vestaglia ed estrasse dal
secondo cassetto del guardaroba una rivoltella. La infilò velocemente nella
tasca della vestaglia ed avvicinandosi cautamente alla porta della camera da
letto l’aprì: riusciva a vedere solamente il corridoio di casa sua, immerso
nella più totale oscurità. L’unica luce che arrivava era quella flebile della
luna, che filtrava dalla finestra aperta.
Era entrato qualcuno.
"Mi ha trovata" pensò, sentendo i battiti del suo cuore
accelerare.
Si avviò verso la cucina tastando con la mano la rivoltella nella tasca della
vestaglia, avendo l’irrazionale paura di non trovarla più nel momento in cui le
fosse occorsa.
Avvicinò la mano all’interruttore della luce cercando di dosare la paura.
L’adrenalina le scorreva violenta nelle vene e anche se non l’avrebbe mai
ammesso, amava essere in una situazione del genere.
Quando la luce invase la stanza, Samantha non fu affatto sorpresa di vederlo.
"Miss
Brooks! Che adorabile sorpresa!"
Samantha
fece un profondo respiro, terribilmente angosciata.
"Sarei
tentata di dire lo stesso per lei... Moriarty"
Un sorriso
quasi impercettibile solcò le labbra del consulente criminale.
"Oh,
prego. Chiamami Jim"
Sembrava non
essere cambiato di una virgola. Lo stesso sguardo, lo stesso sorriso di due
anni prima… non li avrebbe mai potuti cancellare dalla sua memoria, erano
incisi in essa indelebilmente.
Era seduto al tavolo in mezzo alla stanza, le gambe rigorosamente sopra di esso
ed in mano una tazza bianca contenente probabilmente del tè.
Samantha non poté fare a meno di notare una piccola macchia di rossetto sul
colletto della camicia dell'uomo. Era vestito in modo impeccabile mentre lei
era in vestaglia, ma quel piccolo particolare la faceva sentire stranamente più
sicura di sé. Avrebbe potuto dedurre molto di lui quella sera e la cosa
la eccitava.
Beveva lentamente la bevanda, lanciando di tanto in tanto degli sguardi molto
più che eloquenti a Samantha. Essa, dal canto suo, si trovava in una situazione
alquanto particolare: si sentiva come una ragazzina tornata a casa troppo tardi
alla sera, nell’intento di spiegarne al padre il motivo. Nel suo caso il motivo
sarebbe stato: ci tenevo alla mia vita.
"Serviti
pure, fai come fossi a casa tua"
Disse
Samantha ironica, mentre si avvicinava alla credenza.
"Quella
rivoltella ti servirà a ben poco, mia cara Samantha"
Lei non gli
rivolse lo sguardo e continuò a dargli le spalle.
"Questo
lascialo decidere a me, Jim"
Egli finì
l’ultimo sorso della sua bevanda e posò la tazza sul tavolo, facendola sbattere
rumorosamente. Samantha non riusciva a voltarsi, ma sapeva che anche dandogli
le spalle era al sicuro. O almeno, per ora. Lui non l’avrebbe mai uccisa così,
sarebbe stata una morte troppo noiosa per gli standard di quell'orribile uomo e
sapeva che le morti di questo genere non erano certo nel suo stile, sapeva che
a Moriarty piaceva giocare.
Prese dalla credenza una tazza ed estrasse una cialda per fare il caffè dalla
sua confezione.
"Ho
fatto il tè anche per te, ho pensato che avresti gradito"
Continuò lui
nel suo solito tono calmo e controllato.
Lei non sapeva proprio come potesse riuscirci, in fondo stava per ucciderla -in
un modo o nell'altro- quindi come poteva tenere quel tono con lei?
"Odio
il tè"
Il
consulente investigativo scoppiò in una fragorosa risata: si alzò dalla sedia
spingendola bruscamente all’indietro e si avvicinò allo stipite della porta
sfiorandolo con le dita.
"Sei
sempre stata una ragazza alternativa, non è vero? Tutte quelle persone che non
capivano il tuo genio… quelle persone così noiose e prive di qualsiasi
significato… non ti davano fastidio?"
"Non ho
mai pensato che il fatto che non mi piacesse il tè mi rendesse automaticamente
un genio, ma certo, è un modo di vedere la faccenda"
Sorrise ed
infilò la cialda nella macchinetta del caffè, posizionandoci sotto la tazza.
Il suo cuore non faceva che pulsare sangue e le sembrava che in quel momento le
finisse tutto in testa. Le tempie quasi le bruciavano.
Prese la tazza contenente il suo caffè e la portò alle labbra. Sperava che il
suo susseguirsi di azioni abituali l’avrebbe portata a pensare inconsciamente
che anche quella situazione lo fosse, così da ridurre la sua palese agitazione:
ed in parte funzionò.
Fece un bel respiro profondo e si girò verso il suo interlocutore con
un’espressione serafica, anche se dentro di sé sentiva un fuoco arderla.
Puntò i suoi occhi su quelli freddi e morti di James Moriarty e con una mossa
repentina estrasse la rivoltella dalla tasca della vestaglia, puntandogliela
contro.
"Non
essere così ovvia Samantha, mi deludi, mi aspettavo molto di più da te"
"Ti ho
ucciso una volta, posso farlo di nuovo. Senza rancore, s’intende"
"Ci
mancherebbe altro"
Disse,
facendo un gesto sbrigativo con la mano.
"Mi
duole però contraddirti ma, tecnicamente, quella non era la mia vera
morte"
Samantha
sorrise leggermente, senza però distogliere il suo sguardo da quello dell'uomo.
"Forse
per te, ma dal momento che l’ho vissuta come reale non ho remore a rivivere la
stessa esperienza"
Egli si
avvicinò alla ragazza, sfregandosi le mani l’una contro l’altra.
Samantha si sentiva in trappola: sapeva che Moriarty non poteva essere arrivato
da solo e che una sua parola poteva scatenare l’inferno. Stavano giocando al
gatto col topo, lei sapeva che non sarebbe durata a lungo, che prima o poi
l’avrebbe trovata. Non era così stupida da pensare che fosse riuscita davvero a
sfuggirgli.
La sua morte sembrava ormai qualcosa di inevitabile, ma avrebbe lottato fino
all’ultimo.
"Ti
dice qualcosa l’indirizzo 221B Baker Street?"
Samantha non
riuscì a frenare una lieve espressione di dubbio che le si era ormai dipinta in
volto. Non sapeva cosa pensare: sarebbe dovuta essere una cosa a lei familiare?
Era una domanda trabocchetto? Era un segnale in codice per i suoi uomini
appostati sulla sua porta di casa? Anche se, doveva ammetterlo, non avvertiva
nessun’altra presenza se non la sua e quella dell’uomo che a breve l’avrebbe
uccisa… o forse no, su questo punto Samantha ci stava ancora lavorando.
"Dovrebbe?"
Sul volto di
Moriarty comparve uno sguardo divertito ed allo stesso tempo crudele.
Ovviamente, di qualsiasi cosa stesse parlando, lo coinvolgeva estremamente e
purtroppo non in senso buono. "Come avrebbe potuto essere altrimenti?"
Pensò distrattamente Samantha.
"Mi sei
sempre stata molto cara e mi sono sempre fidato di te e numerose volte hai
saputo ricompensarmi felicemente. Eri una delle mie migliori
collaboratrici"
"Esattamente,
ero, quei tempi sono finiti"
Continuava a
stringere nella mano destra la rivoltella, tenendo l’indice poggiato sul
grilletto.
La mano le tremava leggermente e dovette rendersi conto che era da due lunghi
anni che non sparava e la cosa la turbò alquanto. Non che lei avesse mai
prediletto bersagli umani nella sua lunga carriera di ladra, anzi, era
riuscita, con suo grande sforzo, a non dover mai versare del sangue innocente,
o quasi. E lei sapeva che Moriarty ne era a conoscenza ed era certa che avrebbe
sfruttato questa sua debolezza a proprio vantaggio.
Samantha però corresse quasi subito il suo pensiero: non debolezza, bensì umanità.
"Permettimi
di dubitarne"
Il criminale
fece due passi nella direzione della ragazza, non perdendo mai il contatto
visivo.
"Se sei
venuto qui per uccidermi, ti prego di procedere nel tuo intento con ritmo
sostenuto, perché avrei degli impegni domani e non sono ancora riuscita a
chiudere occhio, quindi vediamo di concludere in maniera rapida questa
faccenda"
"Ucciderti?"
Moriarty
scoppiò a ridere.
"Perché
mai dovrei ucciderti? No, no, no, io voglio usarti o, se preferisci un altro
termine, ingaggiarti. Ho bisogno dei tuoi servigi, come ai bei vecchi
tempi"
A quelle
parole Samantha strabuzzò leggermente gli occhi e pregò il cielo che lui non
l’avesse notato ma, santo cielo, ovvio che l’aveva fatto.
In quel momento si sentì una vera idiota: in quei due anni si era davvero
arrugginita, ma mai avrebbe pensato così tanto. Le sue deduzioni erano
diventate davvero così scarse?
Era ovvio che Moriarty non avesse intenzione di ucciderla: era chiaramente
disarmato, nessun rigonfiamento all’altezza del petto in corrispondenza della
giacca, né la pistola poteva essere nei pantaloni (vista la sua posizione
quando lei è entrata nella stanza, cioè era seduto con il busto leggermente
reclinato all’indietro). Chiaramente non avrebbe potuto stare seduto in quel
modo se avesse avuto una pistola in tasca. Inoltre il rossetto, vogliamo
parlare del rossetto sul suo colletto? Rosso, di una tonalità ambrata ma
comunque brillante, probabilmente della marca Chanel (l’unica a lasciare una
macchia così lieve ma dai bordi delineati).
Sono in poche le donne ad usare quella marca di rossetto, perché costoso,
difficile da togliere e veramente scomodo da mettere (questo lo sapeva perché
aveva avuto modo di testarlo su se stessa: regalo di compleanno, impossibile da
evitare). Moriarty aveva contatti con veramente poche donne che portassero
quella marca di rossetto e questo Samantha lo sapeva bene: aveva gestito i suoi
affari per lungo tempo, essendo parte attiva della sua “società criminale”, o
così piaceva chiamarla ai giornali. Gestiva praticamente tutti i suoi
contatti ed essi non potevano essere cambiati più di tanto. Inoltre, non aveva
certo passato quei due anni a stare con le mani in mano: ovviamente si era
informata sui suoi traffici, anche se questi si erano inaspettatamente e del
tutto misteriosamente interrotti a gennaio dell’anno corrente. Causa:
l’apparente morte del più famoso consulente criminale del mondo. Per questo
sapeva che prima o poi sarebbe rispuntato fuori, fingere la sua morte era così
da lui; ma fino a quel momento lo pensava per il motivo sbagliato. Morale della
favola, Samantha conosceva una sola donna che portasse quel rossetto
regolarmente e che poteva essersi spinta tanto in là da baciare il collo del
consulente criminale. Irene Adler, o meglio conosciuta come La Donna. Ma cosa c’entrava
La Donna con il fatto che lui avesse bisogno del suo aiuto? La risposta
sembrava essere ovvia, ma proprio per questo estremamente sospetta.
Samantha, in quel momento, si sentiva ferita nell’orgoglio: odiava che qualcuno
la contraddicesse.
"Pensavo
volessi eliminare l’ultima prova che ti riconduceva a Martin Arrow"
"Oramai
quella è una questione vecchia di secoli... non che io non abbia pensato più
volte di ucciderti... ma ogni volta sei stata risparmiata, in un modo o
nell'altro. Inoltre è nel mio interesse che tutti sappiano che sono vivo, o
quasi..."
"In che
senso “o quasi”?"
"Diciamo
che ho lasciato loro un piccolo messaggio*… avranno sicuramente qualcosa con
cui dilettarsi durante la mia assenza. Ed è qui che subentrerai tu"
"Subentrerò?
In che modo? Cerca di essere più chiaro"
"Mi
pare di esserlo già stato abbastanza"
Guardò con
sguardo malizioso la povera ragazza, che cercava con tutte le sue forze di
rimanere lucida abbastanza da poterlo contrastare.
"Poi
perché mai dovrei ucciderti quando mi saresti molto più utile da viva? Non
credi che sarebbe davvero sciocco? Un po’ come i vostri piccoli cervellini,
no?"
"Cosa
vuoi da me?"
"Informazioni"
"Informazioni?
Non ho nessuna informazione, sono fuori dal giro ormai da anni e…"
"Non
informazioni da te, ma da Sherlock Holmes"
Appena ebbe
pronunciato quel nome, Samantha finalmente capì dove l'uomo di cui un tempo si
fidava volesse arrivare ed in quel momento tutte le tessere del puzzle
sembrarono andare al loro posto. “Subentrare” in quel senso.
"E, precisamente,
come dovrei fare per ottenere queste informazioni?"
Si maledisse
subito per quello che aveva appena detto: sembrava che stesse accettando, ma
ciò era proprio il contrario di quello che lei voleva. Aveva deciso di
smetterla di vivere in quel modo, di smettere di rubare, correre da un posto
all’altro, con la costante paura di poter essere scoperta, rimanendo sempre sul
filo del rasoio e poi tutte quelle morti… vittime innocenti… no, non si sarebbe
mai venduta a James Moriarty, mai più. Così si affrettò ad aggiungere:
"E
soprattutto, cosa succederebbe se decidessi di non ottenere queste
informazioni?"
Un sorriso
crudele comparve sul volto di Moriarty. Egli fece ancora qualche passo verso
Samantha, disintegrandola con lo sguardo. Lei non aveva mai incontrato nessuno
capace di trasmetterle una così tale paura. Samantha Brooks spaventata.
Già, non era esattamente una cosa che si vedeva tutti i giorni.
Si trovarono faccia a faccia, gli occhi dell’uno piantati su quelli dell’altra.
Samantha aveva paura persino di respirare. Quell’uomo la bloccava, la
intimoriva, e vicino a lui si sentiva talmente piccola… ma, tutto sommato,
riusciva a nasconderlo bene. Era sempre stata brava ad interpretare la figura
della cattiva, anche se il suo aspetto avrebbe fatto sicuramente pensare il
contrario.
"Ho
sempre amato i tuoi boccoli biondi Sam, davvero. Cadono così morbidi sulle tue
spalle, per non parlare del tuo seno…"
"Cosa
succederebbe?"
Insistette,
usando un tono di voce così sicuro che si meravigliò di se stessa.
Moriarty si avvicinò maggiormente alla ragazza e le fece abbassare il braccio
con cui impugnava la rivoltella. Non distogliendo lo sguardo e prendendole di
mano l’arma, appoggiò quest'ultima sul piano cottura, avvicinando la sua bocca
a quella di lei. Le sfiorò appena le labbra e stringendole l’avambraccio
sinistro le sussurrò all’orecchio:
"Sarebbe
davvero un peccato se dovesse succedere qualcosa a quell'adorabile
coppia in quell'incantevole villetta nel Sussex, giusto? Dicono che
perdere i genitori tempri e faccia diventare più saggi, tu che ne pensi?"
Detto
questo, guardò gli occhi verdi e completamente terrorizzati della ragazza. Mai
l’aveva vista così sconvolta e mai così docile e impaurita. Vero era che prima
di allora non aveva mai dovuto minacciarla, perché lei aveva sempre amato
essere una criminale.
Doveva ammettere con se stesso che adorava vederla in quelle condizioni e la
cosa compiaceva moltissimo il suo ego.
"Would
you like to try?"**
* Mi
riferisco al messaggio che Moriarty ha fatto proiettare su ogni schermo di
Londra alla fine dell'ultimo episodio della terza stagione. "Did you miss
me?"
** Mi dispiace, ma non ho proprio resistito! Non posso fare a meno di
immaginarmi proprio la voce di Moriarty mentre pronuncia quella frase... una delle
tante debolezze della scrittrice. D'altro canto, se doveste pensare che stoni
troppo con il resto del testo, non abbiate remore a scrivermelo nelle
recensioni, sono aperta a critiche di ogni genere. PS: mi sembra scontato
dirlo, ma tanto vale... "Would you like to try?" tradotto in italiano
vuol dire "Ti piacerebbe provare?".
Angolo della scrittrice complessata: Salve a tutti! Per prima cosa
vorrei ringraziare davvero di cuore tutti coloro che si sono fermati a
leggere il primo capitolo della storia che sto attualmente cercando di
scrivere (con una lentezza da bradipo) e che non so ancora esattamente
di quanti capitoli sarà composta... sempre troppi comunque. Mi sono
dimenticata di dire all'inizio (sapevo
che mi sarei
dimenticata qualcosa) che per adesso ho scritto solo i primi sei
capitoli e che ne posterò uno alla settimana (molto probabilmente, ma
comunque voi non credetemi a prescindere, perchè essendo molto
impegnata in questo periodo, non ho davvero idea di come e quando avrò
il tempo per rivederli ed eventualmente correggerli). Quando questi
saranno
finiti, non so esattamente quanto ci metteranno gli altri ad
arrivare... spero poco, ma non si sa mai parlando di me...
Portate pazienza. Molta pazienza.
Ci rivediamo al prossimo capitolo! Bye bye :) |
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Capitolo 2 *** Capitolo due ***
Capitolo due corretto
Buon dieci di dicembre a
tutti! Natale è sempre più vicino ed il mio cuore è sempre più colmo di
gioia. Quanto amo il periodo natalizio! Le decorazioni per le strade,
le spese folli per i negozi in cerca dei regali, il clima freddo, la
cioccolata calda... manca solamente la neve, ecco, far nevicare sarebbe
meraviglioso, sarebbe davvero la ciliegina sulla torta. La cosa
curiosa, che però succede ogni anno a Natale, è il sentire l'arrivo del
periodo natalizio fin dagli inizi di novembre, per poi vederlo
improvvisamente scemare all'avvicinarsi del 25. Ma forse sono l'unica a
cui succede.
Sento lo spirito natalizio crescere in me sempre più bello e sempre più dolce, fino a che, nel momento in cui dovrei davvero
sentirlo, è già finito ed al suo posto è rimasta solo la disperazione.
Mi piacerebbe davvero sentire le vostre teorie in merito.
Coooomunque, ecco qui il secondo capitolo! Ve l'avevo detto di non fidarvi di me, sapevo
che non sarei riuscita a rispettare la scadenza. Sono passati davvero molti... troppi giorni
da quando ho pubblicato il primo capitolo (alla faccia dei 6 giorni) e
chiedo davvero venia per essermi presa così tanto tempo.
In questo capitolo nuovi personaggi vengono introdotti e tutto viene
spiegato un po' meglio, per la gioia di grandi e piccini. Coloro che
hanno letto anche altre mie storie, sanno che l'html rappresenta il
mio acerrimo nemico e che ci litigo una volta sì e l'altra pure, quindi, molto
probabilmente, deciderà di non pubblicarmi l'immagine che ho intenzione
di inserire nel testo. Quindi, se in uno specifico punto della
narrazione doveste ritrovarvi confusi, sappiate che è perché manca
l'immagine. Io comunque ci provo, poi si vedrà. Buona lettura a tutti :)
Angela Smith
Capitolo due
"Baker Street, che posto incantevole", pensò ironicamente Samantha
mentre sfogliava il suo fascicolo.
L’incontro della sera precedente si era concluso in modo tanto originale quanto
era cominciato. Ricordava veramente poche cose, un po’ a causa del grande
rilascio di adrenalina che aveva offuscato parte dei suoi ricordi, e in parte
perché improvvisamente si era sentita cadere, ritrovandosi a terra, accucciata
ai piedi del consulente criminale.
Solo la mattina seguente, a mente fresca, aveva avuto modo di capire cosa le
fosse successo e il trovare un minuscolo foro nella cialda del caffè che la
sera prima aveva utilizzato, confermò la sua ipotesi.
Oh, quanto bene la conosceva Moriarty.
Aveva fatto finta di non ricordare quello stupido e apparentemente inutile
particolare su di lei, mentre era quello che gli aveva permesso di farla franca
non lasciandole nemmeno la possibilità di ribattere.
Il tè. Lui sapeva che lei non lo avrebbe preso, per questo aveva
avvelenato il caffè. Probabilmente aveva iniettato una piccola quantità di
qualche sostanza soporifera nella cialda per mezzo di una siringa, ed il rumore
che aveva sentito Samantha -e che l’aveva spinta ad andare in cucina a
controllare- era stato quello dell’anta del mobile che si richiudeva. Si era
inoltre fatto un tè per spingerla inconsciamente a fare altrettanto, sapendo
però che lei avrebbe optato per il caffè, odiando il sapore dell’altra bevanda.
E tutto questo lui aveva potuto farlo perché la conosceva e lei non poteva fare
nulla contro questo. Doveva assolutamente ricordarsi però di buttare tutte le
altre cialde, probabilmente anch'esse piene di quella strana sostanza.
Moriarty e lei erano stati colleghi per molti anni e a causa di questa
vicinanza lui aveva potuto apprendere più cose su Samantha di quante forse non
ne conoscesse lei stessa. Moriarty era un uomo brillante: malvagio, crudele ed
un assassino a sangue freddo, certo, ma brillante e questo Samantha lo sapeva
bene. Era inoltre conscia del fatto che non avrebbe potuto rifiutarsi di fare
quello che lui le aveva “chiesto” la sera prima, sarebbe stato solo inutile
opporsi, un inutile spreco di energie, energie che le sarebbero servite per ben
altro. Inoltre quella minaccia non faceva che ritornarle in mente: “dicono
che perdere i genitori tempri e faccia diventare più saggi…”.
Samantha bevve un altro sorso del suo cappuccino, rovesciandone un po’ sul
tavolo nel riappoggiarlo. “Ti piacerebbe provare?”. Chiuse
istintivamente gli occhi come una bambina spaventata fa quando pensa di aver
visto un’ombra minacciosa apparire sul muro della sua cameretta: si rannicchia
sotto la coperta e così pensa di essere al sicuro, di essere protetta da tutti
i mali del mondo. Così Samantha faceva lo stesso, chiudeva gli occhi e si
rintanava nei suoi pensieri, nella sua mente, che ormai aveva assunto l’aspetto
di una vera e propria casa: lì, tenuti in perfetto ordine, giacevano i suoi ricordi
e le sue emozioni e solo in quel luogo ormai riusciva a sentirsi al sicuro,
protetta. Ma quella bambina ancora non sapeva che rintanarsi sotto le coperte,
astratte o non che fossero, non avrebbe cambiato la realtà ed esse non
avrebbero fatto fuggire l’ombra che si stagliava minacciosa sul muro della sua
cameretta e che sembrava ingrandirsi sempre di più.
Riaprì gli occhi di scatto guardandosi intorno e facendo un profondo respiro,
per poi ritornare a posare il suo sguardo sul fascicolo e sfogliarlo nervosamente.
Ormai l’aveva quasi imparato a memoria a furia di leggerlo e rileggerlo.
Era dalle sette di quella mattina che lo aveva tra le mani chiedendosi quale
fosse il vero punto della faccenda. Che cosa aveva in mente Moriarty? E poi,
cosa c’entrava Irene Adler con tutto ciò? Perché sarebbe dovuta essere
interessata a tutta quella faccenda?
Mentre stava lì seduta al tavolo di quel bar vicino a Baker Street, si era
trovata a pensare al fatto che non avesse mai visto La Donna di persona.
Ovviamente aveva sentito parlare di lei e delle sue… doti, ma non aveva
mai avuto il piacere di conoscerla durante la sua carriera di criminale. Che
termine volgare “criminale”, più volte si era sorpresa a pensarlo. In fondo era
un po’anche lei una consulente criminale, perché escludere completamente
quell’aspetto del suo mestiere alludendo solo alla parte più brutale?
Si costrinse a scacciare questi pensieri dalla sua mente. Non erano più affari
suoi quelli, se ne era lavata le mani due anni prima ed il fatto che Moriarty
fosse ripiombato prepotentemente nella sua vita non avrebbe fatto la benché
minima differenza.
Aveva solo paura che quello in cui stava per essere coinvolta fosse qualcosa di
più che una semplice vendetta e, forse, non aveva tutti i torti.
Appoggiò il fascicolo sul tavolo per estrarre dalla sua borsa un cellulare, un
cellulare che però non era il suo. L’aveva trovato la mattina stessa sulla
scrivania della sua camera da letto, appoggiato sopra il fascicolo che ora
giaceva sul tavolino di quel bar. Se lo rigirò tra le mani, valutandone il peso
e cercando di scorgere qualche dettaglio che poteva esserle sfuggito, ma non
ebbe fortuna.
Era nuovo ed avvolto in una cover rosa che Samantha aveva cominciato ad odiare
da subito. Si decise ad accenderlo. Probabilmente era con quello che Moriarty o
uno dei suoi scagnozzi si sarebbe messo in contatto con lei. Come a conferma di
quello che aveva appena pensato, arrivò un messaggio, segnalato da un
fastidioso accenno di violino, due stridenti note alquanto inquietanti. Non
esitò a leggerlo immediatamente.
Da: numero nascosto
2 novembre 2015, ore 10:02
Trovato qualcosa di interessante?
JM
Samantha alzò gli occhi al cielo e
riprese in mano quello stupidissimo fascicolo. Interessante? Oh, quel fascicolo
era tutto meno che interessante. Lo odiava, odiava dover seguire delle
istruzioni ed odiava essere comandata a bacchetta.
File di Samantha Brooks di età 27, nazionalità inglese
La vita al 221B di Baker Street
Se sei entrata in possesso di questo file, vuol dire che hai accettato i
termini e le condizioni dell'accordo. Non appena avrai letto questo documento
esso dovrà essere distrutto.
Dovrai memorizzare i dati necessari e tenere bene a mente le informazioni che
ti verranno fornite. Allegato alla presente troverai un cellulare che dovrai
utilizzare per riferire i dati raccolti. Potrai usare solo ed esclusivamente il
mezzo di comunicazione fornito, essendo protetto da numerose password di
sistema che impediranno a qualsiasi hacker di attingere alla memoria interna.
Ti sarà fornita un'identità fittizia ed una storia di copertura.
A questi aspetti è già stato provveduto.
Di seguito sono elencati il tuo nuovo nome e tutti i dettagli riguardanti la
nuova identità che dovrai assumere.
Nome: Page Lincoln
Età: 27 anni
Data di nascita: 3 febbraio 1988
Impiego: disoccupata
Padre: Josh Lincoln
Madre: Elizabeth White
Stato sentimentale: single
[...]
Samantha
staccò per un istante gli occhi dal fascicolo. Non riusciva ancora a capire
perché fosse così rilevante specificare il suo stato sentimentale, cioè
diamine, Moriarty esattamente cosa si aspettava che facesse? Avrebbe dovuto
sedurre Sherlock Holmes? Al solo pensiero le scappò da ridere. Da quanto aveva
sentito dire, sembrava che fosse un tipo molto improbabile e, a quanto pareva,
i giornali si divertivano a sbizzarrirsi sulle più strampalate teorie a
proposito della relazione “molto più che platonica” tra il detective ed il suo
assistente John Watson. Anche a questo pensiero non poté trattenersi dal ridere
divertita.
Di malavoglia ritornò a concentrarsi su quel maledetto fascicolo.
[...] Oltre
alle informazioni di base che le sono appena state fornite, nel corso della sua
permanenza al 221B di Baker Street le verranno inviati ulteriori aggiornamenti
sugli atteggiamenti da tenere in presenza e non del sig. Sherlock Holmes. Nelle
pagine che seguono è stata stilata una lista delle principali abitudini del
soggetto e parte delle sue peculiarità caratteriali, anche se solo parziale
perché si ritiene che l'incaricata della missione debba rimanere principalmente
all'oscuro di maggior parte delle informazioni relative al soggetto.
Samantha
alzò nuovamente gli occhi al cielo. Ecco un’altra cosa che odiava di quel
fascicolo: il fatto che non sapesse a cosa stesse andando incontro. Inoltre,
anche se diceva ci fossero informazioni relative a Sherlock Holmes, quel
fascicolo ne era oscenamente sprovvisto. In realtà non era estremamente lungo,
c’erano solamente le informazioni essenziali e in fin dei conti non la
vincolava nemmeno tanto… nel senso che la lasciava abbastanza libera di
comportarsi normalmente, senza dover assumere una diversa identità caratteriale.
Beh… ovviamente fino ad un certo punto, non doveva certamente mandare a monte
la copertura mettendosi troppo a nudo. La cosa però che la incuriosiva
maggiormente era stata la frase, inserita in quelle poche pagine, che era stata
scelta per descrivere il detective. C’era solamente scritto:
Sherlock
Holmes:
I geni sono
i più felici tra i mortali, perché quello che amano fare di più è proprio
quello che devono fare.
Samantha
l’aveva letta e riletta più volte quella frase ed ogni volta che la rileggeva
acquistava un significato differente. Sapeva che voleva dire molto di più di
quello che lasciasse ad intendere, anche se sinceramente non avrebbe saputo
dire esattamente cosa, ma era certa che prima o poi tutto le sarebbe stato più
chiaro.
Si era appena rilassata, cercando di finire il suo cappuccino ormai freddo,
quando la suoneria del suo nuovo cellulare la fece sobbalzare.
Prese dalla tasca l’ormai odiato oggetto e si accinse a leggere il nuovo
messaggio.
Da: numero nascosto
2 novembre 2015, ore 10:15
Spero tu apprezzerai il piccolo regalo che ti sto
facendo. Dormi sonni tranquilli a Baker Street mia cara Sam. Se non sei ancora
molto convinta di questo mio piccolo spettacolo, prendilo come un esperimento:
dagli esperimenti si impara sempre qualcosa, non credi?
JM
Roteò
nuovamente gli occhi, chiedendo al cielo di darle la forza di proseguire.
Strinse ansiosamente tra le mani il cellulare, mettendosi a rispondere al
messaggio.
Destinatario: numero nascosto
2 novembre 2015, ore 10:16
Page Lincoln? Seriamente?
Da: numero nascosto
2 novembre 2015, ore 10:16
Non ti facevo così volubile. Vedi di concentrarti, hai
un solo tentativo, cerca di non sprecarlo.
JM
Destinatario: numero nascosto
2 novembre 2015, ore 10:17
Non mi pare di aver mai sprecato le mie occasioni, o
sbaglio? Comunque, sinceramente, non ho ancora capito cosa tu voglia da
Sherlock Holmes e soprattutto come io possa procurartelo.
Da: numero nascosto
2 novembre 2015, ore 10:18
Tutto a tempo debito, di questo non devi ancora
preoccuparti. Piuttosto, preoccupati delle cose serie.
JM
[Inviando immagine]
Destinatario: numero nascosto
2 novembre 2015, ore 10:18
Di lui non mi preoccupo. Non mi ha mai vista in
faccia, non potrebbe mai riconoscermi.
Da: numero nascosto
2 novembre 2015, ore 10:18
Cerca di fare una buona impressione, non vorrei
dovermi sporcare le mani di altro sangue innocente. Sarebbe davvero
disdicevole. Guarda alla tua destra, sorridi e per carità, con Sherlock sii te
stessa.
JM
“Sii te
stessa”? cosa intendeva dire? Moriarty non era certamente un uomo che si
sarebbe perso a fare delle raccomandazioni inutili. Perché mai avrebbe dovuto
essere se stessa con Sherlock Holmes?
Samantha guardò alla sua destra un po’ confusa, dal momento che non ne vedeva
il motivo, ma il motivo arrivò in tutta la sua magnificenza e pomposità. Il
motivo era Mycroft Holmes.
Ed era anche un gran bel motivo per sorridere come si era ritrovata a fare la
ragazza, temendo addirittura di non riuscire più a smettere di farlo. Era
seguito a ruota da un ometto, abbastanza basso, ma che avanzava con passo
deciso stringendo i pugni. Era biondo ed aveva un’espressione evidentemente
stanca. Aveva un passo quasi marziale.
“ Mi trovo forse al cospetto di un militare?” pensò Samantha mentre faceva
segno con la mano ai due uomini. Solo quando egli le fu ormai a pochi passi di
distanza si disse "un militare, ovviamente, sembra avercelo scritto in
faccia" e realizzò che si trattasse di John Watson, il fidato collega di
Sherlock Holmes.
Il sorriso stampato sulla faccia di Samantha non era dovuto alla simpatia che
provava per il maggiore degli Holmes, ma al suo aver notato un cecchino
appostato sul tetto dell’edificio dall'altro lato della strada.
"Meglio non fare passi falsi", si era detta.
"Miss
Lincoln, suppongo. Piacere di fare la sua conoscenza, sono Mycroft Holmes"
L’uomo fece
un sorriso forzato e tese la mano aperta verso quella di Samantha, che
prontamente si era curata di stringere calorosamente.
"Anche
per me è un piacere fare la sua conoscenza signor Holmes e… presumo che lei
invece sia il signor John Watson"
L’uomo
rimase un po’ interdetto, ma non esitò a stringere la mano che la ragazza gli
stava educatamente porgendo.
"In
persona. Piacere"
Si sedettero
tutti e tre al tavolino di ferro e rimasero a fissarsi negli occhi per cinque
secondi buoni. Samantha sentiva fissi su di sé gli sguardi di entrambi gli
uomini: menomale che aveva provveduto a “disfarsi” di qualsiasi dettaglio che
avrebbe potuto far dedurre di lei più di quanto lei non avrebbe voluto.
Aveva alterato i suoi dettagli. Si divertiva a farlo con quelli che
avrebbero potuto notarlo e sapeva che Mycroft Holmes era un attento
osservatore.
Amava mettere gli uomini come lui sulla pista sbagliata.
"Le
dispiace se le chiedo una sigaretta, miss Lincoln?"
Samantha
sorrise compiaciuta e fu ancora più compiaciuta di rispondere un "temo di
non poterla accontentare perché, vede, io non fumo"
L’espressione
dell’uomo non sembrò cambiare di un millimetro: si sistemò sulla sedia
accarezzando il manico del suo ombrello e ritornò a puntare i suoi occhi su
quelli della ragazza.
"Non
deve sentirsi in imbarazzo, non ho la tendenza a giudicare i fumatori e non
solo perché sono uno di essi"
"Non
mentivo quando le dicevo che non fumo"
"Le sue
labbra invece dicono tutt’altro"
"Mycroft…"
Disse John
intromettendosi, avendo paura di assistere ad una scena a cui fin troppe volte
aveva assistito. Sapeva che Mycroft stava per vomitare un fiume di parole
davanti a quella ragazza che il medico, erroneamente, considerava ingenua, e
non era certamente quello il motivo per cui erano venuti lì, non per dimostrare
le capacità deduttive di Mycroft.
"Credo
che sia meglio arrivare al punto"
Aggiunse
poi, sperando di aver acquietato le acque. Si rivolse a Samantha.
"Perché
vede signorina, abbiamo considerato la sua proposta e…"
Lei però non
lo stava ascoltando e non aveva smesso neanche per un secondo di fissare gli
occhi glaciali di Mycroft Holmes.
"Perché?
Cosa dicono le mie labbra, signor Holmes?"
John sospirò
e appoggiò il gomito del braccio sul tavolino, così che la sua mano potesse
sorreggergli la testa che aveva abbandonato stancamente.
Che quello che doveva accadere accadesse per l’amor del cielo, perché si era
stufato di fare da balia ai fratelli Holmes. Mycroft avrebbe parlato, la
ragazza sarebbe rimasta a bocca aperta ed avrebbe confermato tutte le deduzioni
dell’uomo, al che avrebbe lanciato qualche insulto o qualche complimento o se
ne sarebbe semplicemente andata e non avrebbe più accettato di condividere
l’appartamento.
Così si mise comodo ed aspettò l’inevitabile.
"Sono
curiosa, parli"
Mycroft non
si fece certo pregare.
"Oh, ma
è molto semplice miss Lincoln. Vede, le sue labbra sono molto secche, ma il
punto in cui lo sono maggiormente è al centro del labbro superiore, dove vi è
un piccolo foro che non fa combaciare perfettamente il labbro superiore con
quello inferiore. Una piccola imperfezione dovuta al fatto di tenere in bocca
la sigaretta. E deve fumare anche da abbastanza tempo, perché il buco è
abbastanza visibile. Inoltre i suoi abiti sanno di fumo e deve per forza essere
il fumo della sua sigaretta perché questo tavolo non è abbastanza vicino agli
altri da averle permesso di ricevere il potenziale odore acre della sigaretta
di un altro cliente. Poi, non per essere troppo ovvio, ma su questo tavolo è
presente un portacenere e si vede chiaramente che in esso c’è una sigaretta
fumata da poco, che, tra parentesi, deve per forza essere sua e non di un
cliente precedente"
Mycroft
annusò il tabacco contenuto nel portacenere.
"Direi…
mezz’ora… no, tre quarti d’ora fa ne ha fumata una e per sbaglio ha fatto
finire un po’ di cenere sulla manica del suo giubbotto. Ha provato a pulirlo
con la mano destra, dal momento che lei è mancina e quindi tiene la sigaretta
con la mano con cui scrive, cioè la sinistra, ovvio, ma evidentemente con
scarsi successi. Come posso dire che lei è mancina? Beh, il manico della sua
tazza è rivolto verso sinistra, inoltre ha un cerotto sul dito medio della sua
mano sinistra, callo della scrittura, probabilmente ieri sera o questa mattina
si è messa a scrivere ed esso ha cominciato a dolerle. Lei è una scrittrice?
Non mi sorprenderebbe. Ama scrivere a mano e non al computer visto il callo.
Quindi deve sicuramente avere un pacchetto di sigarette nella sua tasca destra
del giubbotto, ne intravedo la forma"
Samantha
rimase in silenzio per qualche secondo, si toccò la manica della giacca in
questione, guardando prima John Watson, che la guardava con compassione, e poi
Mycroft Holmes. Finse smarrimento finché non disse "meraviglioso, davvero
fantastico"
John fu
sollevato dall'udire quelle parole: evidentemente era più una tipa da
complimenti che da insulti.
Forse, in fondo, avevano trovato la perfetta coinquilina per Sherlock.
"Miss
Lincoln, mi duole essere stato magari un po’ brusco, le mie deduzioni a volte
sono un po’ troppo, ecco… invadenti"
"Oh,
non si preoccupi, non mi sono per niente offesa e non mi sento a disagio"
"Ne
sono fe…"
"Sarebbero
state ancora più incredibili le sue deduzioni, se ne avesse azzeccata almeno una"
Mycroft si
fermò di colpo, la mascella mezza aperta a metà di una frase e la mano appesa a
mezz’ aria, fermata nel bel mezzo di un discorso. Anche John Watson sembrò
risvegliarsi dal suo stato di stanchezza e sgranò gli occhi.
"Oh,
non intendevo dire nulla di sconveniente, signori"
Samantha
fece finta di niente, mantenendo un atteggiamento disinvolto, anche se dentro
di sé sembrava stesse per scoppiare un incendio e si sentiva così viva.
"Non
capisco cosa intenda, signorina"
"Esattamente
quello che ho detto. È stata solo una serie di equivoci a portarvi all’erronea
convinzione a cui siete giunto e cioè che io sia avvezza a quel fumo
mortale"
"Non ci
sono altre spiegazioni"
La mascella
di Mycroft si irrigidì all’istante, strinse ancora più nel pugno il manico del
suo ombrello nero rigorosamente chiuso ed alzò irriverentemente un
sopracciglio. Espirò e si ridiede un contegno, mentre il suo compagno non
smetteva di fissare allibito quella ragazza dai capelli biondi che aveva appena
osato contraddire un Holmes. Avrebbe cancellato tutti i suoi impegni per vedere
come sarebbe andata a finire.
"Vede
signor Holmes, non sempre ciò che sembra ovvio è la risoluzione al problema,
anzi, solitamente, sono le cose più improbabili a rendere un problema degno di
essere risolto"
"Temo
di non seguirla"
"Lei
non ha nemmeno considerato l’idea che potessi essere venuta in questo bar accompagnata.
Ha subito cominciato a dedurre ciò che vedeva, senza però pensare all’altra
faccia della medaglia. Perché vede, le cose hanno questo brutto vizio di poter
essere viste da diverse prospettive e a volte è davvero tediante, lo devo
ammettere"
"Accompagnata?"
"Esattamente"
"Scusate,
sono io a non seguirvi adesso"
Intervenne
Watson più confuso che mai, ma ormai abituato a quella sensazione.
"Quando
sono arrivata in questo bar, circa alle 9:15, ho deciso di chiamare una mia
amica che abita nei dintorni per venire a farmi un po’ di compagnia, sapete, mi
sentivo terribilmente sola"
Samantha si
godette lo spettacolo dei due uomini che la fissavano a bocca aperta, ansiosi
di venire messi a conoscenza del seguito della sua storia.
"Così è
arrivata verso le 9:30 e dopo aver parlato un po’, mi ha chiesto il permesso di
fumare una sigaretta, anche se sa che non amo particolarmente l’odore del fumo"
"Questo
spiega l’odore di fumo sui suoi vestiti, ma il resto?"
"Con
calma, ci sto arrivando. Così poi, mentre ci stavamo salutando, un po’ di
cenere della sua sigaretta mi è caduta sulla giacca, ma ho deciso di ignorare
l’accaduto per non farla sentire a disagio. Dunque quando se n’è andata ho
provato a toglierla, ma come vede, essendo una giacca bianca, non è stato un
tentativo molto riuscito"
"Ma non
è possibile che lei si sia pulita la manica destra con la mano destra!
"Ovviamente
mi sono tolta la giacca per farlo. Comunque, dove ero rimasta? Ah, sì. Così ho
continuato a bere il mio caffè in santa pace finché non siete arrivati
voi"
"Quindi
lei mi vuol far credere di non essere mancina?"
"Non
glielo voglio far credere, può constatarlo lei stesso"
Samantha
sfilò una penna dalla sua borsa e cominciò a scrivere con la mano destra su una
salvietta di carta. La sua scrittura era impeccabile.
"Potrebbe
essere ambidestra"
"Le
dimostrerò che anche questa sua deduzione è sbagliata"
Prese
nuovamente in mano la penna e se la passò nella mano sinistra. Era evidente che
non avesse la dimestichezza necessaria per scrivere con quella mano e la sua
scrittura irregolare e frammentata lo confermò.
"Vede?"
"Allora
come spiega il cerotto sul dito medio della sua mano sinistra? Non può che
essere un callo della scrittura"
"Mi
dispiace doverla deludere, ma mi sono solamente scottata con il caffè questa
mattina. Era nel suo bricco e, non so come mai, mi è scivolato e mi sono
scottata"
"Ma
perché mai il manico della sua tazza è rivolto verso sinistra se lei è
destrorsa?"
"Amo
bere il caffè con la mano sinistra"
A quella
risposta la faccia di Mycroft Holmes, da distesa, si riempì di grinze e di
rughe d’espressione. "Ridicolo" pensò.
"Ma le
labbra! Le sue sono labbra da fumatrice!"
"Anche
per le mie labbra c’è stato un piccolo incidente con il caffè questa mattina e
per questo motivo sono rimaste in questo stato… speravo che non fosse così
visibile"
John Watson
avrebbe giurato di aver visto Mycroft boccheggiare. Era immobile, i suoi occhi
ancora fissi su quelli della ragazza, sembrava non battere nemmeno le palpebre.
"Ah,
un’ultima cosa: odio scrivere a mano, ma adoro la tastiera del mio computer e,
no, non sono una scrittrice, ahimè!"
Samantha,
dall’alto del suo sadismo, cominciò a scusarsi in modo finto e calcolato,
godendosi quel momento come ne aveva goduti pochi nella sua vita. Come colpo
finale si era riservata di prelevare dalla tasca destra del suo giubbotto un
pacchetto di gomme americane, che aveva dato a Mycroft l’impressione di
essere un pacchetto di sigarette, e lo esibì con fare innocente. Ci fu un breve
silenzio.
"L’indirizzo
è il 221B di Baker Street, vero?"
Aggiunse la
ragazza.
"S..sì,
è q…quello"
Riuscì a
balbettare John, ancora visibilmente sconcertato.
"A domani
mattina, allora"
La ragazza
si alzò dalla sedia e lasciò dei soldi sul tavolo, seguiti da una lauta mancia.
"Amo i
bar, non trovate che siano così graziosi?"
E detto
questo si congedò, uscendo dal giardinetto del locale per scendere giù in
strada.
Quando fu certa di essere abbastanza lontana, scoppiò in una fragorosa risata.
Non si divertiva così tanto da molti anni e sperava che quel divertimento non
si interrompesse così presto.
"E'
stato…fantastico"
Disse John
Watson non appena la ragazza ebbe lasciato il locale.
"Si
tenga le sue espressioni di stupore per lei, dottor Watson"
"Non ci
posso credere, Mycroft Holmes... zittito da una ragazzina"
"Mi
pare che nemmeno lei sia rimasto tanto indifferente davanti ai discorsi della
ragazza, o sbaglio?"
"Io,
fino a prova contraria, non mi chiamo Mycroft Holmes"
"Grazie
al cielo, aggiungerei"
John non
dette peso alle parole dell’uomo, perché sapeva che egli era stato punto sul
vivo.
"Ho
solamente sottovalutato la situazione, può succedere"
Detto
questo, prese in mano l’ombrello e si incamminò verso l’uscita, seguito da
John.
"Non
sappiamo niente su quella ragazza e domani si presenterà a Baker Street
convinta di poter condividere l’appartamento"
"E così
sarà nei fatti, dottore"
A quelle
parole sul volto di John si formò un’espressione di incredulità.
"Non
credo sia una buona idea, non sappiamo niente di lei e non le abbiamo potuto
nemmeno parlare di Sherlock… insomma, non possiamo certo dire che sia un
dettaglio da ignorare"
"Domani,
quando si presenterà all’appartamento, non esitate a concludere l’affare"
E con
questo, Mycroft salì sull’auto nera che si era fermata a pochi centimetri dai
due uomini, lasciando John sul marciapiede della via affollata, solo, con i
suoi pensieri.
Perché mai Mycroft si era impuntato così tanto? Perché voleva che quella
ragazza, che lo aveva quasi umiliato solo qualche minuto prima, condividesse
l’appartamento con suo fratello minore? Il medico decise di non pensarci. Aveva
molte altre cose di cui curarsi dopo la morte di Magnussen.
Angolo autrice ritardataria: e così si conclude anche il secondo
capitolo, sperando che vi sia piaciuto e che non abbiate intenzione di
linciarmi. Spero mi facciate sapere che ne pensate con una piccola
recensione (che sono sempre più che gradite). Nel frattempo vi
auguro un buon fine settimana. A presto! |
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Capitolo 3 *** Capitolo tre ***
Capitolo tre corretto
Salve a tutti! In questo terzo capitolo lo Sherlock che stavate
aspettando tutti in trepidante attesa finalmente si degnerà di fare la
sua apparizione. Un hip hip urrà per Sherlock! Yeeee.
Anche per questo capitolo c'è stato un po' di ritardo (mi sa che la
faccenda continuerà ad andare avanti in questo modo purtroppo) e mi
scuso nuovamente.
Sono stata inoltre informata del fatto che l'immagine nel capitolo
precedente non si vede. Ho provato a ricaricarla ma l'html mi odia e
ovviamente non mi avrebbe mai permesso di portare a termine questo mio
compito. Dunque l'ho tolta e finché l'html non tornerà da me strisciando
implorandomi di rimetterla la situazione rimarrà invariata.
Mettiamoci il cuore in pace: io l'ho accettato, non c'è altro da fare.
Se qualcuno ha qualche prezioso consiglio o trucco da elargirmi in
merito, me lo scriva nelle recensioni, che sono disperata.
Samantha è sempre più stufa e l'incontro con Sherlock non farà che
peggiorare la situazione. Sguardi di fuoco e frecciatine d'odio
assicurate. Sperando che questo capitolo vi piaccia vi auguro una buona
lettura!
Capitolo tre
Tre colpi di
pistola. Era iniziata così quella strana giornata al 221B.
Cos’altro ci si poteva mai aspettare dal consulente investigativo più annoiato
al mondo?
Era da due settimane che non metteva piede fuori dal suo appartamento e la cosa
stava cominciando a tediarlo profondamente.
Come si era permesso Mycroft di segregarlo in casa? “Agli arresti domiciliari”
aveva detto.
Al solo pensiero Sherlock storse la bocca in un’espressione di disgusto.
Stava quasi quasi rivalutando quella missione che gli era stata assegnata dall’
MI6 come sconto della pena*. Probabilmente sarebbe morto entro sei mesi, ma
forse sarebbe stato meglio di tutto ciò che in quel momento era obbligato a
subire.
L’inattività lo stava uccidendo e non aveva nulla che potesse, anche solo
momentaneamente, ridurre le sue sofferenze. Mrs Hudson gli aveva nuovamente
nascosto le sue sigarette.
Poteva mai andare peggio di così?
Si alzò stancamente dal divano per andare ad ammirare da più vicino i fori che
le pallottole della sua pistola avevano lasciato sul muro.
Ne sfiorò uno con l’indice della mano destra per poi avviarsi verso la cucina.
Due uomini erano addetti alla sua sicurezza, o meglio, al suo controllo. Due
agenti, incaricati da Mycroft, sorvegliavano giorno e notte l’entrata del 221B,
evitando che qualcuno entrasse, ma soprattutto, che Sherlock ne uscisse.
Sherlock, come era ovvio, aveva già predisposto la sua fuga e mancavano davvero
delle inezie per portare il suo piano alla perfezione.
Tanto per cambiare quegli agenti erano americani. Solo un’altra volta aveva
avuto a che fare con loro ed era stata un’esperienza alquanto spiacevole.
Caso aveva voluto che uno degli agenti incaricati di sorvegliarlo fosse proprio
quello con cui aveva avuto una piccola…discussione, che si era risolta con un
volo dalla finestra del 221B**. Probabilmente l’agente non aveva gradito il
gesto.
La cosa più divertente era che erano autorizzati a sparargli non appena lui
avesse tentato la fuga. Il primo ministro era stato molto chiaro a riguardo.
Per uscire da quella prigione bastava non farsi ammazzare ed eludere la
sicurezza. Un gioco da ragazzi insomma.
Sherlock guardò di sottecchi i biscotti che gli aveva preparato la sera
precedente Mrs Hudson, l’unica con cui avesse contatti. Si annoiava così tanto
che avrebbe addirittura mangiato per poter far passare più velocemente
quell’agonia.
Ma all’udire dei passi concitati provenire dalle scale -passi che non
appartenevano né a Mrs Hudson né ai due agenti -decise che forse non ce ne
sarebbe stato bisogno.
***
Samantha
avrebbe preferito fare qualsiasi altra cosa, qualsiasi, piuttosto che
trovarsi lì, in quella strada e soprattutto davanti a quell’appartamento.
I tre numeri attaccati sulla porta d’ingresso troneggiavano al centro di essa
ed era ben evidente che non fossero stati lucidati da molto tempo.
"Due, due, uno", disse inconsciamente ad alta voce.
Avrebbe vissuto i mesi successivi all’interno di quell’edificio che ormai
percepiva come nemico.
Era sempre stata abituata a vivere da sola, le convivenze non erano proprio nel
suo stile, ed ora si sarebbe ritrovata a dover condividere un appartamento mai
visto prima con una persona a lei totalmente sconosciuta. La cosa stava
cominciando ad irritarla alquanto, ma d’altronde non c’era nulla che lei
potesse fare. Moriarty aveva cecchini appostati nelle ville accanto a quelle
dei suoi genitori, i quali venivano sorvegliati giorno e notte: ad un minimo
passo falso di Samantha, Moriarty avrebbe dato loro ordine di far fuoco.
Non avrebbe permesso che i suoi genitori scontassero il suo passato più che
discutibile, quello era un peso che aveva deciso avrebbe dovuto gravare solo ed
unicamente sulle sue spalle.
Si sistemò la gonna a vita alta e la sciarpa attorno al collo. Erano le 9:15 ed
era in largo anticipo per l'incontro con John Watson. Aveva dovuto dormire in
un hotel, dove aveva depositato gran parte dei suoi bagagli, e quella mattina
era stata svegliata da un incantevole messaggio, degno delle più struggenti
lettere d’amore.
Da: numero nascosto
3 novembre 2015, ore 8:03
Svegliati. Fatti trovare davanti al 221B di Baker
Street alle nove in punto. Non fare domande, vacci e basta.
JM
Ah, amava i
modi gentili la mattina presto.
Non aveva replicato, come aveva inizialmente pensato di fare, ma si era
solamente alzata per prepararsi a quella che per lei sarebbe stata una giornata
alquanto difficile.
Si era vestita in modo totalmente diverso dal solito: dal momento che doveva
fare finta di essere un’altra persona, perché non farlo in tutto e per tutto?
Così si era messa quella gonna alta e stretta in vita. Scendeva morbida sui
suoi fianchi e non poteva non pensare che le stesse divinamente. Anche quella
mattina aveva alterato i suoi dettagli: stava diventando una cosa estremamente
divertente ed aveva deciso che l’avrebbe fatto più spesso.
E così si trovava lì, al cospetto della dimora di Sherlock Holmes, un’ora in
anticipo rispetto all’orario prestabilito, o meglio, tre quarti d’ora.
Diciamo che non era arrivata esattamente alle nove in punto. E poi,
ritardare al momento giusto è un’arte e Samantha amava pensarla così. Non
sarebbe scesa così in basso da considerarsi una ritardataria.
Stava osservando il grande battente dorato sulla porta di vernice nera: era
perfettamente centrato e quella non sembrava affatto la sua posizione abituale.
Ne era la prova il fatto che esso avesse lasciato più di qualche graffio sulla
vernice nera ai lati della porta. Samantha si avvicinò ad esso e lo sollevò,
constatando che la sua ipotesi non era errata: infatti, avendolo sollevato,
poté vedere che il segno sotto di esso, lasciato sulla vernice, non era così
evidente come quello ai lati. Guardò per terra e vide un giornale ancora
avvolto nella sua confezione. Era completamente bagnato.
Quand’era l’ultima volta che aveva piovuto? Lunedì della settimana scorsa?
Comunque quel povero giornale sembrava averne presa più d’una di pioggia.
Rispostò il suo sguardo sul battente, questa volta però decisa ad utilizzarlo
per la funzione per cui era stato istituito. Un pensiero però la fermò.
"Staranno ancora dormendo...", pensò, ed un lieve sorriso solcò le
sue labbra.
Le piaceva da matti essere inopportuna. Magari era per questo che non suscitava
mai molta simpatia nelle persone. Sorrise di nuovo a quel pensiero. Ma
d’altronde non era colpa sua se quella mattina era stata svegliata in maniera
insopportabilmente sgradevole.
Non ebbe però il tempo di fare ciò che si era predisposta, perché tre spari
interruppero il flusso dei suoi pensieri.
"Cosa diavolo sta succedendo?", si chiese, aggrottando leggermente le
sopracciglia.
"Moriarty", pensò, avendo persino paura di quel pensiero.
Sentì un lieve pizzicorio alle tempie e lo stomaco contorcersi: un nodo in gola, quasi doloroso, al solo pensare di essere stata ingannata da quell'uomo. E se in realtà il suo piano fosse stato quello fin dall’inizio?
Sparare a Sherlock Holmes e far ricadere tutta la colpa su di lei per vendicarsi
di ciò che due anni prima gli aveva fatto?
Le mani della ragazza cominciarono a tremare. Questo avrebbe spiegato la
posizione del battente diversa dall’ordinario: uno degli uomini di Moriarty
avrebbe potuto facilmente infiltrarsi in quell’appartamento senza essere
notato.
Se quello era davvero il piano di Moriarty, Samantha avrebbe dovuto ragionare
freddamente e non farsi prendere dalle emozioni.
Fece un profondo respiro e provò ad aprire la porta. Con orrore la porta si
spalancò con estrema facilità. Guardò la rampa di scale: anche se Moriarty
stava cercando di incastrarla non poteva non salire.
Diamine e se, chiunque ci fosse nell’appartamento in quel momento, fosse stato
ancora vivo? Pensò di chiamare un’ambulanza e fuggire, ma non poteva essere certa
delle sue supposizioni, anche se sembravano combaciare così bene… il messaggio
di quella mattina… il battente…
"No, smettila Samantha, concentrati. Qualsiasi cosa sia successa non puoi
tirarti indietro. Se c’è qualcuno al piano di sopra, qualcuno che ha bisogno di
aiuto, devi salvarlo, non importa nient’altro in questo momento".
Corse su per le scale con il cuore che sembrava volerle uscire dal petto.
Erano passati troppi anni: due anni prima avrebbe saputo esattamente come reagire
in una situazione del genere, senza esitazioni, mantenendo il sangue freddo.
I battiti così accelerati non sarebbero certamente stati compresi nel
pacchetto.
Arrivata in cima si precipitò verso la porta chiusa a sinistra. Provò ad
aprirla, ma era chiusa a chiave. Si tolse due forcine dai capelli per provare a
scassinarla e per fortuna era una serratura semplice da far scattare.
Si fiondò nell’appartamento facendo sbattere la porta sulla parete.
Moderò i suoi respiri decisamente troppo frequenti e si guardò attorno.
Sembrava non esserci nessuno, ma sapeva che ciò non voleva dire assolutamente
niente: nel tempo che lei aveva impiegato per salire le scale e scassinare la
serratura, il potenziale assassino avrebbe potuto già portare a termine il suo
lavoretto e lasciare l'abitazione in completa tranquillità.
Fece un passo e per poco non rischiò di cadere su una pallina di gomma
abbandonata sul pavimento.
Setacciò tutto il soggiorno ma non sembravano esserci indizi che facessero
pensare ad una colluttazione. Oddio, vero era che sembrava che ci fosse passata
una mandria di bufali inferociti in quella stanza, il che rende l’idea di come
fosse possibile cercare qualche dettaglio rivelatore in quel disastro.
Un po’ tranquillizzata dal non aver ancora trovato tracce di sangue, Samantha
continuò a cercare per l’appartamento, setacciando ogni stanza, ma niente, non
c’era nessun corpo e nemmeno del sangue. Eppure era sicura di aver sentito
quegli spari, non se li era immaginati.
Fece un bel respiro e si mise le mani fra i capelli. Tutto ciò non aveva alcun
senso.
Ma nel girare la testa verso sinistra li vide. Strinse gli occhi a
fessura per poter vedere con più chiarezza e si avvicinò al muro che aveva
tanto attirato la sua attenzione.
Erano lì, in piena vista. I tre spari.
Sfiorò con l’indice della mano uno di essi, dandosi dell’idiota. Si guardò
intorno per cercare di capire da che distanza quei colpi fossero stati sparati.
L’unico punto sembrava poter essere la poltrona che era nell’angolo a destra
della stanza.
Dio santo! Come aveva potuto essere così scema?
Ritornò a fissare i tre buchi nel muro continuando a maledirsi mentalmente.
Ora l’unica cosa da fare era sparire senza lasciare nessuna traccia, o
almeno... questo era quello che aveva in mente di fare prima che le fosse stata
puntata una pistola nella schiena.
"Solo
due domande, sarò breve. Chi è lei e come ha fatto ad entrare"
L’uomo che
le stava puntando la pistola aveva una voce molto bassa e di lui, per adesso,
Samantha poteva solamente dedurre che era... un uomo, ovviamente, e che probabilmente
era un fumatore. Utile no?
"Ho
sentito degli spari e sono corsa qui"
"Non
era questa la mia domanda e non è cortese non rispondere alle domande che
vengono poste"
Samantha
inspirò profondamente.
"Non è
nemmeno molto cortese puntare una pistola contro i propri ospiti, mi pare"
Samantha non
poteva vederlo perché era girata di schiena, ma avrebbe giurato che l’uomo
avesse sorriso a quella sua risposta.
"Lei
non è certamente mia ospite, ma un’infiltrata. Non so come abbia fatto ad
eludere gli agenti di sicurezza ma…"
"Agenti?
Quali agenti?"
"Gli
agenti che sono al... pian terreno"
Notò una
nota di incertezza nella sua voce. Doveva essere davvero convinto che ci
fossero. Interessante, Sherlock Holmes -perché non poteva che essere lui l'uomo
che le stava puntando la pistola in quel modo così poco galante- era
controllato. Voleva saperne di più.
"Non
c’era nessuno al pian terreno e la porta era aperta. Oh, ho appena risposto
alla sua seconda domanda. Me ne manca solo una adesso. Non è
meraviglioso?"
Sherlock
ancora non sapeva se avrebbe potuto fidarsi di quella ragazza, non aveva idea
di cosa ci facesse nel suo appartamento, ma la sua scusa degli spari sembrava
credibile…un po’ meno il fatto che non ci fossero stati gli americani ad
attenderla al piano di sotto.
Si rimise la pistola nella vestaglia e fece qualche passo indietro, giusto per
dare modo alla ragazza di voltarsi.
Non la temeva più di tanto, anche perché non sembrava armata.
"Piacere,
sono Sam… ehm… Page, Page Lincoln"
"Il
piacere è tutto suo"
"Immaginavo
che non fosse una persona cortese, ma mai avrei pensato così tanto. La
pistola non era contemplata nemmeno nelle mie ipotesi peggiori"
"Immaginato?
Perché?"
"Perché
l’avevo immaginata? Oh, lei sa... non credo di essere l'unica ragazza ad aver provato
ad immaginare il famoso Sherlock Holmes"
"No,
non intendo questo, intendo perché si trova qui"
"Direi
che questo interrogatorio non sta venendo gestito in maniera appropriata"
"Forse
perché lei continua a non rispondere alla mie domande"
"O
magari perché lei continua a non farmi le domande giuste"
Sherlock
rise ironicamente.
"E
quali sarebbero le domande giuste, secondo lei?"
"Mi
sento sotto interrogatorio"
Disse
Samantha mentre si sfilava la sciarpa appoggiandola sulla poltrona accanto a
lei.
"Lei è
sotto interrogatorio, mi sembrava l’avessimo già chiarito"
"Allora
mi avvalgo della facoltà di non rispondere"
L’uomo
estrasse nuovamente la pistola dalla tasca della sua vestaglia.
"Non mi
sembra che lei sia nella posizione di avvalersi di questa facoltà"
"Credo
che…"
"Stia
zitta! In silenzio! Muta!"
"Era
proprio quello che le stavo suggerendo"
Sherlock non
poté fare a meno di sbuffare spazientito, ma sempre cercando di mantenere la
calma. Quella ragazza, chiunque fosse, stava cominciando a diventare estremamente
fastidiosa e voleva liberarsene il prima possibile.
Era alto e molto magro e a Samantha sembrava che i suoi occhi la penetrassero.
Erano di un verde intenso e luminoso, anzi, non avrebbe potuto dire con
certezza se fossero azzurri o verdi, sembravano cambiare continuamente colore
con il variare della luce.
Si sentiva messa sotto esame da quegli occhi che non si staccavano un secondo
dalla sua figura.
La stava osservando con estrema attenzione e lei pregava che lui facesse le sue
deduzioni a voce alta, amava vedere la gente sbagliare.
Purtroppo questa volta non avrebbe avuto il fattore sorpresa di cui aveva
potuto godere il giorno precedente con Mycroft.
Ma, quegli occhi…le ricordavano quelli di…no, non poteva essere.
Lo sguardo le cadde sui riccioli mori del ragazzo, fuori posto e disordinati e
le venne lo strano impulso di accarezzarli, solo per vedere che effetto le
avrebbe fatto.
Si risvegliò improvvisamente dai suoi pensieri, ritrovando il sangue freddo che
pensava di aver perso due anni prima.
Stranamente si sentiva a suo agio in quella situazione ed era anche
segretamente sollevata di non aver trovato nessun cadavere, ma solo un ragazzo
evidentemente annoiato che aveva pensato bene di sparare al muro del suo
appartamento.
Probabilmente lo avrebbe fatto anche lei se si fosse ritrovata nella sua stessa
situazione.
"A
giudicare dalle condizioni dell’appartamento direi che è da…due settimane che
non esce di qui. Potrebbero essere anche tre, ma forse questo salotto è sempre
stato in queste pietose condizioni"
Sherlock
sorrise in modo finto e si mise a sedere sulla sua poltrona, sprofondando
stancamente in essa. Sapeva che la ragazza aveva ragione, ma non le avrebbe mai
dato tanta soddisfazione da ammetterlo.
"Dilettante"
"Come
ha detto, scusi?"
Sherlock,
non smettendo di sorridere divertito, riprese in mano la sua pistola e sparò un
altro colpo sulla parete opposta a lui, proprio vicino a Samantha.
Aveva immaginato che la ragazza si sarebbe spostata di lì spaventata, ma ciò
non avvenne. Infatti Samantha rimase immobile a fissarlo con aria offesa.
Non era la prima volta che una pallottola la sfiorava e aveva il presentimento
che non sarebbe stata nemmeno l’ultima.
Sherlock non poté nascondere lo stupore, ed il fatto che avesse alzato
nuovamente lo sguardo per fissare con sgomento gli occhi di Samantha,
confermarono a quest’ultima che aveva finalmente ottenuto l’attenzione di
Sherlock Holmes.
Entrambi furono distratti da dei passi provenienti dalle scale.
Fecero il loro ingresso nel 221B un concitato John Watson ed un come sempre
impeccabile Mycroft Holmes.
"Sherlock!
Oh, grazie al cielo sei qui. La porta era aperta e…"
"John,
le avevo già detto che mio fratello non poteva essere uscito ma che,
certamente, qualcuno era entrato e come vede avevo ragione. Miss Lincoln,
piacere di rivederla"
"Il
piacere è tutto mio Mr Holmes"
"Rivederla?
Voi vi siete già visti?"
Sherlock
Holmes interruppe quell’amabile conversazione per esprimere i suoi dubbi in
merito a quello che stava succedendo, fatti di cui evidentemente non era stato
messo a conoscenza prima di allora.
"Mycroft,
perché conosci questa donna?"
Ora ad
essere confusa era Samantha. Guardava ora Sherlock ed ora Mycroft, non
riuscendo a capire perché il primo fosse così spaesato e confuso. Insomma,
dannazione, possibile che Sherlock non avesse ancora capito chi lei fosse?
D’altronde era il diretto interessato.
Un pensiero orribile si fece spazio nella sua mente.
A meno che lui non avesse ancora capito chi lei fosse perché non era stato
lui a volere una coinquilina. Samantha si morse il labbro ansiosa. Non
vedeva l’ora di vedere come quella faccenda si sarebbe conclusa. Mancavano
solamente i pop corn.
"Avrei
voluto che vi conosceste in circostanze…ecco…diverse, ma suppongo che ormai il
danno sia fatto"
"Danno,
quale danno? Mycroft, di cosa diavolo stai parlando?"
Mycroft fece
qualche passo in direzione di suo fratello minore. Aveva un sorriso di
circostanza stampato sulla faccia.
"Sei
libero, fratello caro"
"Cosa?"
"Intendo
dire che potrai uscire di nuovo e ricominciare a crogiolarti beato nella tua
fama da consulente investigativo"
"Ma,
l’ordine del primo ministro…"
"E'
stato revocato, Sherlock. Sapevi benissimo che prima o poi sarebbe
successo"
"Perché?
Come?"
Mycroft si
voltò verso Samantha, la quale stava ascoltando molto interessata i discorsi
dei due.
"Le
dispiace?"
Che era un
modo gentile per dire di andarsene, che parafrasato significava “si tolga dalle
scatole”.
Samantha decise di impuntarsi: le mancavano diverse tessere per risolvere
quell’immenso puzzle e non si poteva permettere di perderne neanche una.
"Veramente,
molto"
Sul volto di
Mycroft si dipinse un’espressione di fastidio e la tensione nella stanza si
fece palpabile. Samantha aveva paura che Sherlock menzionasse il fatto che lei
fosse entrata nel suo appartamento scassinando la serratura ed era dunque anche
per questo che non era benché minimamente intenzionata a lasciare quella
stanza. Ma il consulente in quel momento era molto lontano dal pensare a quel
dettaglio, dato che la sua attenzione era presa da ben altro.
Mycroft non doveva sospettare di Samantha, non poteva perdere tutto subito.
"Vedi
Sherlock, lei è la donna con cui, da oggi in poi, dovrai condividere questo
appartamento"
"E chi
lo avrebbe deciso, di grazia?"
"Il
governo, Sherlock. Ed ora smettila di fare il bambino e comportati come un
adulto"
"Perché
mai il governo dovrebbe volere che io condivida il mio appartamento con questa
donna? Cos’è? Una spia? Una guardia? Chi sei Page Lincoln?"
Sherlock
oramai stava parlando con Samantha ed i loro sguardi si incrociarono solo per
una frazione di secondo, poiché lei distolse il suo subito dopo.
"Lei è
solamente una civile, una ragazza che ha risposto all’annuncio sul
giornale"
"Oh,
fantastico. Quindi mi stai dicendo che dovrò passare il resto della mia
permanenza al 221B con questa ragazzina? Non se ne parla"
Incrociò le
braccia al petto, distendendosi maggiormente sulla poltrona. Samantha ebbe un
moto di disgusto e di rabbia. “Ragazzina”? Come si era permesso di chiamarla
così?
Avrebbe voluto strozzarlo, che faccia tosta.
Anche lei avrebbe preferito non condividere quell’appartamento con quel
detective da strapazzo, ma hey! Era stata minacciata dall’uomo più pericoloso
sulla faccia della terra, quindi non aveva molte altre alternative.
"Sei
libero di scegliere: puoi continuare a rimanere chiuso in casa per il resto dei
tuoi giorni e marcire qui dentro, oppure avere una coinquilina e ricominciare a
vivere la tua vita. Ti consiglierei caldamente di scegliere la seconda"
"Continuo
a non capire però come le due cose siano collegate. Perché devo avere una
coinquilina?"
"Non
credo che sia un’informazione che ti è dato avere, ti basti sapere di avere
queste due scelte. Allora, cosa hai deciso?"
Sherlock guardò
Samantha con fare sprezzante: la ragazza credeva che lui le avrebbe fatto
ricadere addosso tutto il peso di quella situazione veramente sgradevole.
Temeva che l’avrebbe usata come capro espiatorio.
E, forse, aveva anche ragione a temere tutto ciò.
Perché tutto
si doveva sempre concludere a suo sfavore?
* Ovviamente si riferisce all'ultima puntata della terza stagione, dove
Sherlock avrebbe dovuto venire "esiliato" per aver ucciso Magnussen.
** Riferito
all'episodio "A scandal in Belgravia", dove Sherlock getta dalla
finestra l'agente americano per aver ferito Mrs Hudson.
"And exactly how many times did he fall out of the window?"
"It's all a bit of a blur detective inspector... I lost count"
Angolo autrice stressata: tadaaaaan! Ed eccoci
arrivati alla fine anche di questo terzo capitolo. Spero davvero di
essere riuscita a mantenere Sherlock IC, ma soprattutto mi auguro che
la sua introduzione nella storia vi sia piaciuta e che l'incontro con Samantha sia risultato interessante. Fatemi
sapere cosa ne pensate della storia con una recensioncina: se vi piace,
se non vi dispiace, se credete che la narrazione sia troppo lenta, se
pensate che sia una schifezza immonda, etc... Insomma, le solite cose.
E con questo io vi lascio. Un bacio, Angela Smith
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Capitolo 4 *** Capitolo quattro ***
Capitolo quattro corretto
Salve a tutti! Come prima cosa direi di dimenticare tutto ciò che ho
detto a proposito del pubblicare un capitolo a settimana... già...
direi che è meglio. "Capitolo a settimana? Quale capitolo a settimana?".
Vorrei invece annunciare l'arrivo della mia nuova beta! Yeeee!! Che mi
ha aiutata nella revisione dei capitoli e in particolare di quello che
vi state apprestando a leggere. Il nome di questa dolce donzella è
marthiachan, che ringrazio molto (correte a leggere le sue meravigliose
sherlolly!).
Detto questo, siccome oggi non ho molta fantasia per questa nota, cosa
che so che vi farà segretamente piacere perché così non sarete
obbligati a leggervi uno dei miei interminabili soliloqui, vi lascio
direttamente al capitolo, che parla da sé.
Buona lettura!
Angela Smith
Capitolo
quattro
“Non abbiate
vicini se volete vivere in pace con loro”.
Era una frase che Samantha si ricordava di aver letto da qualche parte, ma in
quel momento proprio non riusciva a rammentare dove e forse non avrebbe poi
avuto tutta questa importanza. Sapeva solamente che era la frase adatta a
descrivere tutti i suoi innumerevoli pensieri di quel periodo.
Ovviamente gran parte di quei pensieri convergevano su Sherlock Holmes e se non
lo facevano fin da subito, trovavano sempre una via per sfociare in quel
vorticoso flusso, che Samantha percepiva ormai come un’agonia.
Come uscire da quella situazione? Cominciare una convivenza con tutto
quell'astio certo non avrebbe giovato alla missione della ragazza.
Come avrebbe mai potuto conquistare la fiducia di quell’uomo, se egli la odiava
già così tanto? Samantha non era mai stata brava nei rapporti interpersonali e
non contava certamente di diventarlo in quel momento.
L’unica cosa su cui sperava di poter contare era un aiuto esterno e non sarebbe
stato facile procurarsi degli alleati.
Sherlock Holmes aveva degli amici? Persone di cui si fidasse? Persone capaci di
fargli cambiare idea su una qualsiasi questione? John Watson, in quel momento,
sembrava la scelta più consigliata ma, per immensa sfortuna di Samantha, era
partito per Parigi: lui, sua moglie e la piccola bambina avuta da poco. Quindi
forse avrebbe dovuto trovare qualcun altro che stesse dalla sua parte.
Sherlock, come Samantha aveva potuto notare, non aveva preso molto bene la
partenza dell'amico. La ragazza supponeva che il detective si fosse sentito
abbandonato in balia del nemico, che in quel caso era proprio lei.
Samantha si distese sul divano, stanca di dover ragionare in piedi.
Si portò le mani alle tempie e chiuse gli occhi.
Era da appena due giorni che si era trasferita in quell’appartamento e la sua
vita era stata resa impossibile. Non che fosse riuscita in due sole giornate a
traslocare completamente tutte le sue cose all'interno del 221B, ma gran parte
di esse era già lì, ammucchiata in vari scatoloni che non sembrava si sarebbero
disfatti e sistemati da soli.
Il punto era che finché non fosse riuscita a conquistarsi (anche solo in minima
parte) la fiducia e la simpatia di Holmes, le sembrava veramente inopportuno
invadere il suo spazio più di quanto non avesse già fatto.
Era come se da quando avesse oltrepassato la soglia del 221B, una maledizione
le fosse stata scagliata addosso: una maledizione terribile, che portava
appunto il nome di Sherlock Holmes.
Purtroppo, come lei però aveva predetto, le aveva dichiarato guerra fin dal
primo momento e sembrava veramente determinato a vincerla e, soprattutto, a non
lasciare superstiti.
Dannazione a lei ed allo stupido piano di Moriarty, che, tanto per cambiare,
non le aveva ancora comunicato che cosa avrebbe dovuto fare.
Quale sarebbe dovuta essere la sua prossima mossa? Cosa diamine ci faceva
ancora chiusa in quell’appartamento?
L’unica cosa che sembrava confortarla era il fatto che Sherlock rimanesse fuori
casa per la maggior parte del tempo, assorto in casi misteriosi che sembravano
eccitarlo e mandarlo in visibilio.
Samantha proprio non riusciva a capire cosa ci fosse di così elettrizzante in
tutto ciò, anzi, sinceramente, la cosa le dava anche abbastanza fastidio.
Dovette però ammettere con se stessa che quel fastidio fosse dovuto al fatto
che lei un tempo si fosse trovata dalla parte opposta della scacchiera rispetto
a Sherlock e che si fosse sempre dilettata a giocare con i pezzi neri di quella
gigantesca "partita" contro il crimine.
Le dette fastidio il fatto di dover correggere il suo pensiero, realizzando che
lei si trovava ancora a giocare con i pezzi neri in quell’immensa
scacchiera (contro la sua volontà, certo, ma cosa importava?)
Ma se negli scacchi succedeva che alla fine una parte prevaleva sull’altra,
nella vita non sarebbe mai stato così. “Patteggiare”, quella era la parola
chiave.
La rete di criminali in tutto il mondo era così intricata che neanche il
detective più brillante avrebbe potuto smantellarla.
L’unica cosa che si poteva realmente fare era contenere i danni.
Samantha si girò sul fianco per trovare una posizione più confortevole, anche
se su quel dannato divano sembrava impossibile trovarla.
Era davvero stanca di rimanere lì ad annoiarsi in quello stupido appartamento.
Da quando ci aveva messo piede non ne era più uscita e certamente non per sua
scelta. “Fraternizza con il nemico”, era stato il messaggio che le aveva
inviato Moriarty due giorni prima. Ma come fraternizzare con Sherlock se era
costantemente fuori casa e con la mente sintonizzata solamente sulla
risoluzione dei suoi preziosi casi?
Se sulle prime le era venuto da ridere, ormai si stava dando alla disperazione.
Era oltremodo difficile fraternizzare con un persona che ti ignora
completamente considerandoti meno di niente. Ma la cosa che la faceva più
arrabbiare non era questa, ma bensì il fatto che lei dovesse sforzarsi
di essere simpatica ed accomodante con lui. Che cosa ridicola. Lei?
Sembrava tutto essere un gigantesco scherzo.
Moriarty avrebbe potuto spedirla in un covo di contrabbandieri d’armi o meglio,
sotto copertura come infiltrata nell’ MI6, quello sarebbe stato pane per
i suoi denti.
Ma costringerla a vivere a stretto contatto con un detective che si diverte ad
aiutare Scotland Yard, cercando di estorcergli informazioni diventando la sua
coinquilina ideale, no, diciamocelo, non era proprio nelle sue corde.
Si ricordò improvvisamente di quella volta in cui aveva dovuto rubare un Van
Gogh, oh, quello sì che era stato divertente. Precisamente, il quadro dei
girasoli.
Non era stato per niente facile, tutt’altro, però quando aveva finalmente
portato a termine il furto era rimasta molto compiaciuta di se stessa e delle
sue doti di ladra.
Ma la cosa ancora più divertente era che nessuno si era mai accorto che
l’originale fosse stato sostituito con un falso. Un falso molto buono però,
doveva ammetterlo: poteva benissimo comprendere che i critici e che i curatori
del museo non si fossero accorti di nulla.
Anche lei doveva ammettere che, se non lo avesse saputo, avrebbe potuto
scambiarlo per genuino.
Al ricordo di questa sua avventura, le si dipinse un sorriso giocondo sulle
labbra.
L’aveva sempre affascinata tutto ciò che c’era di proibito, o meglio dire,
l’affascinava tutt’ora. L’unica differenza era che aveva deciso di non farsi
più trascinare dall’istinto, ma di ponderare molto sulle sue scelte.
Una delle tante cose che le tormentavano l’animo però, era che non era stata di
sua spontanea volontà che aveva lasciato le dipendenze di Moriarty, aveva avuto
un piccolo…aiuto esterno, se così si poteva davvero definire.
Il solo ricordo la fece rabbrividire.
Lo sognava già abbastanza la notte, pensarci anche di giorno era masochismo.
Aprì gli
occhi di scatto, accartocciando mentalmente quello sgradevole ricordo: sapeva
però che con quello sciocco espediente non sarebbe riuscita a liberarsene così
facilmente, poiché quella disgraziata disavventura si era guadagnata un posto
d’onore nella sua mente, lì dove tutti i suoi pensieri venivano immagazzinati;
ogni ricordo, ogni informazione, ogni minimo dettaglio aveva la propria stanza,
la sua esatta posizione nello spazio. Samantha aveva imparato quella tecnica di
memorizzazione molti anni orsono e nonostante si fosse ripromessa di non far
finire nel suo Mind Palace nessun tipo di emozione o ricordo che potesse essere
dannoso per la sua salute mentale, quel dannatissimo evento ci si era infilato
a forza, eludendo le resistenze della ragazza. E dunque ora era lì, in quella
dannatissima stanza, e gli sforzi di Samantha per chiuderla a chiave non erano
che vani.
Doveva
distrarsi, immediatamente, ne aveva bisogno, aveva bisogno di pensare a qualcos’altro.
Richiuse gli occhi e quasi immediatamente una delle innumerevoli porte del suo
Mind Palace si spalancò, inondando la ragazza di nuovi ricordi e nuovi
interrogativi a cui doveva ancora trovare risposta.
Primo fra
tutti, il perché Sherlock fosse rimasto chiuso in casa per due intere
settimane.
Insomma, lo
conosceva da soli tre giorni ed aveva condiviso con lui quell’appartamento per
due e certo il suo coinquilino non sembrava tipo da rimanere così tanto tempo
inattivo senza uscire di casa.
Doveva essere qualcosa di estremamente interessante e deliziosamente grave per
avere suscitato l’interesse del primo ministro.
Insomma, era anche controllato da due agenti, come le aveva fatto capire al
loro primo incontro, il che spiegava anche il fatto di aver trovato il battente
della porta non nella sua posizione abituale.
Sherlock Holmes non aveva sicuramente solo lanciato delle uova sulla casa del
primo ministro per meritarsi di essere controllato costantemente, il tutto
sotto l’attentissimo occhio vigile di Mycroft, che non era solo il fratello
maggiore di Sherlock, ma anche il maggior esponente del governo britannico, o
almeno così tutti dicevano.
Samantha pensava solamente che fosse un pallone gonfiato: tutto pieno di sé,
sempre impeccabile e mai con un capello fuori posto (non che ci fossero
abbastanza capelli sulla sua testa in grado di esserlo...); ma aveva carattere
e decisione nell’affermare le proprie idee e Samantha sapeva che quelle
prerogative bastavano ed avanzavano per controllare il governo britannico.
“Fratello caro, sei libero” aveva detto al fratello minore con quel suo sguardo
glaciale. Libero…ma libero da cosa?
Di qualsiasi cosa si trattasse, Samantha ormai si era messa in testa di
scoprirla e Dio solo sa come qualcuno avrebbe potuto farle cambiare idea.
Il fatto divertente era che nemmeno Samantha capiva come il suo arrivo e il
rilascio di Sherlock Holmes fossero collegati. Cosa pensavano? Che lei gli
avrebbe fatto da baby-sitter? Era una cosa semplicemente ridicola. Ma la cosa
più ridicola era che avrebbe dovuto farsi chiamare Page Lincoln. Dannazione,
quel nome le andava proprio stretto. Come avrebbe potuto sopportarlo?
Non riusciva a rilassarsi su quel divano (in realtà non riusciva nemmeno a
ricordare l’ultima volta in cui si fosse davvero rilassata), così decise che
forse, facendosi una buona tazza di caffè, la giornata sarebbe diventata
vivibile.
Non riusciva più a combattere la noia, doveva assolutamente trovarsi qualcosa
da fare.
Mentre si avviava verso la cucina lo sguardo le cadde su una pila di fascicoli
che sbucavano da dietro la scrivania.
Quel soggiorno sembrava aver ospitato una battaglia tra l’esercito degli unni e
quello dei vichinghi (sì, navi comprese, e non le pareva per niente di star
esagerando), quindi le sembrava strano che quei fogli fossero addirittura
impilati e relativamente in ordine.
Diede un veloce sguardo furtivo alla stanza.
Sherlock non sembrava essere in casa, probabilmente era uscito per un caso,
Samantha non aveva idea di quale. Già era tanto se si salutavano.
Si avvicinò alla scrivania e prese quanti più fogli poteva e li appoggiò sulla
scrivania stessa. C’erano foto, file, documenti, schizzi e traduzioni da lingue
arcaiche… una fotografia in particolare attirò la sua attenzione. La prese in
mano: era leggermente spiegazzata e rovinata agli angoli; ritraeva una donna
mezza nuda di cui non si vedeva chiaramente il volto, i capelli scuri raccolti
ordinatamente in un cocon ed una frusta in mano.
Samantha deglutì rumorosamente: a quanto pare Sherlock Holmes forse non era
proprio asessuale come tutti dicevano…
Ne trovò un’altra in quell’immensa jungla di fogli, ma questa volta in basso a
sinistra troneggiava la scritta “Dominatrix”. In quest’ultima fotografia invece
il volto si vedeva molto bene, anche troppo. Samantha strinse il foglio
nervosamente: perché Sherlock Holmes era in possesso di queste fotografie di
Irene Adler? E soprattutto, com’è che la conosceva? Insieme a queste due foto
-che alla fine si rivelarono tre- c’erano numerosi altri fogli e documenti,
tutti racchiusi da una cartelletta di carta.
Era infinitamente interessante e Samantha pensò che non si sarebbe più staccata
da tutti quei numerosi fascicoli: in essi erano contenuti tutti gli indizi,
tutti i dettagli di tutti i casi, risolti e non, di Sherlock Holmes.
Si prospettava davvero una lunga ed estremamente dilettevole serata.
***
La porta si
aprì lentamente e Sherlock rimise piede in casa dopo sei ore che era stato
fuori nel tentativo di riuscire a risolvere il caso del sig. Double, visto che
Scotland Yard continuava a brancolare nel buio.
Comunque, tutta la faccenda si era risolta con un enorme buco nell’acqua.
Non era stata l’amante del sig. Dominic ad uccidere il fratello, come
inizialmente aveva supposto. Chiunque fosse stato, era stato estremamente
metodico e veramente attento a non lasciare nessuna traccia dietro di sé, ma
solo un enorme valanga di falsi indizi e false piste che lo stavano facendo
impazzire.
L’unica cosa che aveva in mano in quel momento era il libro che il sig. Double
sembrava aver conservato gelosamente per tutti quegli anni e che era stato
ritrovato vicino al suo cadavere.
Si sfilò la sciarpa dal collo per appoggiarla sull’appendiabiti in ingresso,
seguita subito dopo dal suo Belstaff.
Si tolse distrattamente le scarpe e nell’appoggiarle sul pavimento, notò con
fastidio che ce n’era un altro paio. Solo che erano scarpe da donna e
precisamente di quella donna.
Roteò gli occhi indispettito e profondamente annoiato.
Stare lontano dal suo appartamento per tutto quel tempo gli aveva fatto
dimenticare il motivo per cui ne era uscito, che, in effetti, era il suo
obiettivo principale.
Dimenticare l’esistenza di Page Lincoln.
Non aveva deciso lui di avere una coinquilina e soprattutto quale coinquilina
e questi erano due dei principali motivi per cui Sherlock Holmes non poteva
sopportare la vista della ragazza.
Un rumore proveniente dalla cucina attirò la sua attenzione.
Si mosse velocemente in quella direzione e nel vedere Samantha in cucina con
un’espressione di disappunto stampata in faccia e con gli occhi puntati verso
il pavimento, non poté fare a meno di seguire lo sguardo della ragazza.
Per terra era pieno di cocci di ceramica e di un liquido marroncino, che,
Sherlock suppose, fosse caffè.
"Secondo
te dovrei raccoglierla?"
Chiese
Samantha con reale dubbio.
“Spero tu
abbia intenzione di farlo”
Samantha
spostò il suo sguardo accigliato dalla tazza in frantumi fino a Sherlock.
“Altrimenti?”
Sherlock
ignorò la domanda della ragazza, roteando gli occhi infastidito. Girò sui
tacchi ed andò a distendersi beatamente sul divano.
Samantha non smetteva di fissare i cocci della sua ormai defunta tazza lì a
terra, con espressione annoiata.
"Immagino
che la mia idea di rendere questa giornata vivibile sia appena andata in
frantumi”
Alzò il
piede destro e fece un lungo passo per oltrepassare i cocci ed il lago di caffè
che sembrava espandersi a macchia d’olio.
Era sicura che ciò avrebbe irritato Sherlock e che, anche se questo non
l'avrebbe aiutata a conquistarsi la sua amicizia, le avrebbe dato una breve
soddisfazione, che sicuramente l'avrebbe fatta sentire meglio. Dopotutto mica
doveva asservirsi a Sherlock, giusto?
Si diresse verso la poltrona di destra e ci si sedette sopra.
Sherlock, che fino a quel momento non aveva mosso ciglio, si risvegliò dai suoi
pensieri.
"Quella
è la mia poltrona"
Disse a
denti stretti.
Samantha fece finta di non averlo sentito e continuò a leggere il libro che
teneva tra le mani.
"Ho
detto che quella è la mia poltrona"
Ripeté
Sherlock sempre più infastidito.
Samantha a quel punto fu costretta ad alzare lo sguardo.
"Cosa?
Intendi questa poltrona? La poltrona dove sono seduta?"
Lo provocò
con tono canzonatorio.
"Esattamente.
Ti pregherei di spostarti"
La ragazza
sorrise leggermente chiudendo il libro e poggiandoselo in grembo.
"Perché
mai dovrei farlo? Tanto non ne stai usufruendo e non mi pare che tu ne abbia un
immediato bisogno"
"Ciò
non toglie il fatto che sia mia e non tua. I tuoi genitori non ti hanno mai
insegnato a non appropriarti delle cose altrui?"
"Oh…capisco"
Fece
Samantha alzandosi dalla poltrona e poggiando il suo libro sulla scrivania,
prendendo un documento dal tavolo.
Sherlock, che non aveva mosso ciglio ed era rimasto perfettamente composto,
congiunse le mani ed appoggiò gli indici di quelle alle labbra con fare
pensante.
Samantha invece, che era rimasta in piedi, decise che sarebbe stata una
vergogna lasciar vincere quel ragazzino petulante e spocchioso che si credeva
così grande ed intelligente.
Si diresse verso il divano dove lui era disteso e ci si sedette sopra,
spostando con poca grazia i piedi del suo coinquilino, che fu sbalzato
praticamente giù dal divano.
"Cosa
diavolo…"
Riuscì a
dire, cercando di rimettersi composto.
"Hai
detto che dovevo spostarmi dalla poltrona"
Rispose
Samantha con fare innocente, mettendosi comoda sul lato del divano che si era
appena conquistata.
Sherlock stava cominciando a sentirsi innervosito da quella provocazione e non
aveva nessuna intenzione di proseguire quello sciocco giochetto.
"È
davvero buffa questa foto"
Disse
la ragazza, portandosi più vicino al viso il documento che aveva preso dalla
scrivania, nascondendolo alla vista di Sherlock.
"Cosa…di
che cosa stai parlando?"
"Non
sapevo che ti piacesse indossare questo genere di cappelli…beh, oddio, vero è
che ognuno ha diritto di indossare ciò che più gli piace..."
Lo schernì,
sorridendo profondamente divertita.
Sherlock le prese di mano la foto e con immenso fastidio vide che lo
raffigurava con indosso il cappello che quegli idioti di Scotland Yard gli
avevano regalato come “ricompensa” per averli aiutati in numerosi casi... o
meglio, tutti i casi.
Quello stupido cappello a due fronti che gli aveva fatto vivere più di una
situazione imbarazzante: “il detective dal cappello buffo”, idioti.
"È
carino"
Disse
Samantha non smettendo di ridere, avendoci ormai preso gusto.
"Smettila"
E detto
questo strappò la foto in mille pezzi che ricaddero sul pavimento.
"Ovviamente
ne ho fatte delle copie. Non potevo permettere che quell’ immenso patrimonio
culturale ed artistico venisse distrutto dalla follia distruttiva di un
detective"
"Consulting detective"
Disse a
denti stretti rivolgendole uno sguardo in cagnesco. Così si alzò per
raggiungere il suo amato violino, l’unica cosa che in quel momento gli avrebbe
permesso di mantenere i nervi saldi.
"Oh, ho
dato un’occhiata ad uno o due dei tuoi casi. Devo dire che sono veramente molto
interessanti"
"Uno o
due?"
Rispose
Sherlock, accennando con la testa alla pila disordinata di fogli sulla
scrivania.
"Uno
studio in rosa... immagino che non sia stata tua l’idea di dare dei nomi ai
casi"
"Infatti"
"John
Watson deve essere davvero un uomo simpatico, leale, perbene…"
E mentre
diceva tutto ciò, guardava il viso di Sherlock per cercare di dedurre qualcosa
da una sua possibile reazione o espressione ma, più di continuare a suonare il
suo violino, il ragazzo non sembrava reagire in nessun modo.
"Solo
platonico, eh?"
"Non
capisco cosa lei intenda"
"È
bello vedere come siamo già diventati così amici, continui a darmi del
"lei" mentre io sto disperatamente cercando di stabilire un
contatto"
"Disperatamente?"
Samantha si
rese subito conto del suo errore e si apprestò ad assestare il colpo.
"Ovviamente…ho
detto “ovviamente”…non “disperatamente”"
"A me è
sembrato di sentire “disperatamente”"
"Beh,
immagino che suonare il violino ti abbia confuso, perché non è quello che ho
detto... o almeno, non certamente quello che intendevo"
Samantha si
rannicchiò sul divano, portandosi le ginocchia al petto e sbuffando.
Le sembrava che la conversazione fosse conclusa e purtroppo non con la sua
vittoria.
Avrebbe dovuto inventarsi qualcosa e alla svelta.
Ma, con sua grande sorpresa, non ce ne fu bisogno, perché Sherlock smise
improvvisamente di suonare ed estrasse dalla tasca della sua vestaglia un
oggetto, purtroppo ben noto a Samantha.
"Oh,
adesso ti metti pure a rubare le mie cose? Chi è il bambino disobbediente
adesso?"
Sherlock
rise a labbra strette, lanciando il cellulare dalla cover rosa in aria per
riprenderlo subito dopo, facendolo cadere nel palmo della sua mano.
Quelle dita affusolate da musicista stringevano possessivamente l’oggetto e
Samantha realizzò che non sarebbe stato facile riappropriarsene.
"Se
vuoi giocare Page Lincoln, giochiamo"
Samantha
sorrise maliziosamente distendendo nuovamente le gambe e toccando terra con i
suoi piedini.
Si strinse maggiormente nel maglione caldo che stava indossando e studiò
l’espressione di Sherlock.
Quegli occhi…stava forse cercando di ipnotizzarla? Incantarla? Perché sembrava
che stesse facendo proprio quello, con un attento ed elaborato
gioco di sguardi.
"Che
gioco proporresti, Sherlock Holmes?"
Il
pronunciare il nome dell’uno e dell’altra suonava come un avvertimento, come
qualcosa che preannunciasse l’inizio di una battaglia.
"Saresti
la mia compagna di giochi?"
"Solo
perché sono sicura di vincere"
Sherlock
rise di gusto facendo scivolare il cellulare sul tavolo che si frapponeva tra
lui e Samantha.
Entrambi lo fissarono come un animale fissa la sua preda, ma sia Sherlock che
Samantha però sapevano che avrebbero dovuto lottare per ottenerla.
"Tieni
delle cose molto interessanti là dentro"
Disse
Sherlock con sguardo eloquente, accennando con la testa al cellulare, mentre si
sedeva sulla sua poltrona.
"Non
mentire, con me non attacca. È protetto da password"
"Le
password sono solo una serie prevedibile di lettere e numeri. Per indovinarla
mi ci sono voluti meno di quattro minuti"
Sherlock
studiava lo sguardo della ragazza, ma quella non sembrava né stupita né
sconvolta dal venire a sapere che lui aveva spiato il contenuto del suo
cellulare e non era sicuro che fosse perché non avesse niente da nascondere al
suo interno.
"Oh,
andiamo. Ti ho detto che con me non attacca. Se sapessi già che cosa c’è al suo
interno, perché avresti tenuto a farmelo sapere? Avresti potuto leggere tutto
ciò che volevi -anche se sinceramente non so cosa potrebbe importartene di
quattro messaggi in croce scambiati con le mie amiche- e poi rimetterlo al suo
posto e non sarei mai venuta a sapere nulla. La mossa del “io so già che tu
sai” non funziona ormai da anni"
"Valeva
la pena tentare"
Samantha
buttò la testa all’indietro sorridendo sorniona e portandosi le mani in grembo.
"Raccontami
un po’ di questo gioco. Mi interessa estremamente"
"Cominciamo
a dedurre allora"
Samantha
inspirò profondamente, ricacciando dietro l’orecchio una ciocca di capelli
fuori posto.
Quello era per lei un gioco pericoloso: non avrebbe potuto parteciparvi come
“Samantha Brooks”, bensì come “Page Lincoln” ed era lì che stava tutta la
difficoltà.
Non avrebbe dovuto dedurre troppo, ma nemmeno troppo poco, altrimenti non
avrebbe più potuto riappropriarsi del cellulare.
Doveva svuotare la mente e ragionare come una giovane ragazza, fresca di
università ed ancora ingenua e ignara di tutti i mali del mondo.
Realizzò che fingersi Page sarebbe stata una grande sfida.
"Fammi
vedere se ho capito bene"
Iniziò
Samantha.
"Se
vinco io a questo strano gioco, riavrò il mio cellulare. Ma se vinci tu…"
"Mi
dovrai rivelare la password per sbloccarlo"
Completò
lui.
"E deve
essere anche una password abbastanza elaborata, perché non ne sono venuto a
capo ed è raro che accada... il fatto che sia molto complicata potrebbe voler
dire che nascondi ben più di qualche messaggio innocente"
Samantha
sorrise compiaciuta.
"Perché
ti interessa così tanto quel cellulare? Davvero vorresti leggere tutti gli
sdolcinati messaggi tra me ed il mio ragazzo?"
Disse con
fare innocente e mieloso.
"Non è
a me che interessa così tanto…è a te"
"Solo
perché sono una ragazza molto possessiva"
"Mhm,
sai, non credo che sia per questo che tu sia così attaccata a quel
cellulare"
Sì alzò in
piedi di scatto e si avvicinò alla ragazza che si finse leggermente intimorita
e per questo ritrasse le gambe verso di sé.
"Page
Lincoln…"
Sussurrò a
fior di labbra con quella sua voce bassa che fece rabbrividire ogni fibra del
corpo della ragazza. Osservò attentamente la sua figura, squadrandola da capo a
piedi.
"Se
Mycroft ti ha mandata qui, ci deve essere un motivo. Non avrebbe certamente
fatto entrare chiunque a Baker Street"
"Il
fatto che tu stia ammettendo che io non sia chiunque, mi lusinga"
Ci fu un
momento di silenzio.
"Vedo
che hai trovato le mie sigarette. Ne gradirei una in questo momento"
Samantha lo
guardò confusa.
"Le
tue… sigarette?"
"Sì.
Una, grazie"
Samantha
tirò di mala voglia fuori dalla tasca dei pantaloni la sigaretta e gliela
porse.
"I tuoi
polmoni devono essere in condizioni pietose. Qui tutti sembrano cercare
disperatamente di non farti fumare. Chiunque abbia nascosto quel pacchetto di
sigarette, l’aveva fatto proprio bene. Mi ci sono voluti almeno venti minuti
per trovarlo"
"Non in
condizioni così pietose, dopo tutto. Difatti solitamente prediligo i cerotti
alla nicotina"
Sherlock si
sporse per raggiungere la sigaretta e questo provocò un curioso contatto di
mani che fece tremare leggermente la mano di Samantha.
Stupido Detective da quattro soldi, riusciva a metterla in soggezione solo
perché doveva controllarsi dall’essere se stessa.
Page Lincoln era una ragazzina e lui doveva crederlo fino alla fine.
"Noto
che hai scritto molto questo pomeriggio a giudicare dalle condizioni dei tuoi
avambracci e delle tue mani, pieni di inchiostro.
Posso dirti con esattezza tutto ciò che hai toccato in questo appartamento
durante la mia assenza e so esattamente cosa hai spostato e cosa hai nascosto,
molto più interessante oserei dire. Ma cominciamo parlando della ferita che hai
sul piede, che è molto più intrigante.
Perché hai preferito uscire dalla finestra piuttosto che dalla porta? Questo è
insolito.
Non volevi che qualcuno ti vedesse? Che Mrs Hudson mi avvertisse che tu fossi
uscita questo pomeriggio?
Evidentemente dovevi andare da qualche parte e qualsiasi posto fosse, non
volevi essere seguita.
Cosa c’entra con tutto questo la ferita che hai al piede? Semplice, nell’uscire
dalla finestra ti sei tagliata sul muro nel ridiscenderlo, probabilmente sei
scivolata perché dovevi tenere in mano le scarpe e quindi non sei riuscita a
fermare la caduta.
Le scarpe, ovviamente, le tenevi in mano per non graffiarle e così non far
notare che le avevi indossate e graffiate calandoti dal muro e, per la cronaca,
sapevi che l’avrei potuto notare visto che sono in ingresso a portata di vista.
Non ti sei ferita le mani però, il che vuol dire che non era la prima volta che
facevi quel genere di cosa, ridiscendere da un muro, senza l’aiuto di corde o
ausili. Sei una scalatrice? Un’arrampicatrice? Avrai praticato questo sport
all’età di…quattordici? Sedici anni? A giudicare dalle cicatrici sulle mani direi
più probabilmente la seconda.
Hai fumato una sigaretta e a giudicare dalla tua bocca e dalla tua pelle, non
direi esattamente che tu sia una fumatrice, probabilmente fumi solamente in
determinate occasioni.
Le occhiaie sul tuo viso sono relativamente visibili, anche se hai cercato di
nasconderle con un correttore.
Dormito poco ieri notte? Qualche incubo è venuto a disturbare il tuo
sonno?"
Rise sommessamente
infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni, visibilmente compiaciuto delle
sue deduzioni.
Samantha doveva dargli atto di essere davvero un uomo brillante: stava
deducendo tutto perfettamente, suo malgrado, anche se sulla parte della
scalatrice era un po’ calante.
Insomma, era ovvio che non avesse praticato quello sport! Andiamo!
La cosa che però la tirava su di morale era il fatto che la considerasse così
innocente da essere uscita dalla finestra solo per necessità.
Se solo avesse dovuto contare tutte le volte in cui era stata costretta ad
usare quell’uscita!
Era una ladra in fin dei conti e una ladra deve saper essere molto sciolta ed
agile e il saper uscire o entrare da una finestra era uno dei prerequisiti.
"Inoltre
hai usato lo stesso nascondiglio delle sigarette per nascondere
qualcos’altro…ma cosa? Perché avresti dovuto nascondere qualcosa qui? Il tuo
cellulare non ha smesso un secondo di suonare, il tuo fidanzato deve essere un
uomo davvero possessivo e geloso"
“Non
immagini quanto”, pensò Samantha, maledicendosi per non aver trovato ancora un
piano per salvare i suoi genitori, ammesso che fosse possibile trovarne uno.
"E
anche se continui a dire di avere molte amiche, il telefono di Baker Street non
ha suonato nemmeno una volta e tu non hai parlato con nessuno da quando hai
messo piede qua dentro, ma comunque il tuo cellulare continua a ricevere
messaggi… come mai?"
"Oltre
al fatto che potrei non aver ancora comunicato il mio nuovo numero di casa alle
mie amiche..."
Sherlock
sollevò leggermente un sopracciglio guardando Samantha con sguardo indagatore.
"Comunque...
potrei dire la stessa cosa di te Sherlock, dal momento che le chiamate non sono
arrivate né per me né tantomeno per te. L’unica volta che si è sentito
squillare il telefono è stato questa mattina quando hai risposto e sei uscito
di casa. Scotland Yard…dico bene? Siamo due persone sole, prima lo accettiamo,
meglio è"
Sherlock
distolse lo sguardo per qualche secondo e Samantha non avrebbe saputo dire
perché l’avesse fatto.
Stava andando così bene, aveva la situazione sotto controllo e che fa? Perde il
contatto visivo? Così era troppo facile vincere, le sembrava quasi di star
imbrogliando.
"Adesso
tocca a me, se non ti dispiace"
Rivolse un
sorriso finto in direzione di Sherlock, che nel frattempo si era messo a
cercare il nascondiglio.
"Non lo
troverai mai, Sherlock. È a prova di idiota"
Lui girò la
testa e fece un’espressione di disgusto all’indirizzo di Samantha.
"Allora
mi meraviglio che tu l’abbia trovato"
Samantha
rise, anche se forse non avrebbe dovuto, poiché quell’irriverente detective
l’aveva appena insultata, eppure non riusciva a contenere le risa.
Parlare con lui a quel modo, botta e risposta, questo veloce scambio di
deduzioni e frecciatine era come fare sesso per lei. E nello stesso momento in
cui se ne rese conto, si meravigliò non poco di questa sua considerazione.
Del sesso mentale, neuronale, forse molto meglio di quello
fisico.
Non l’avrebbe stupita se alla fine di quella serata, alla vera fine di quella
discussione, si fosse sentita soddisfatta e appagata come dopo un orgasmo.
"In
realtà non ho molto da dedurre di te, Sherlock Holmes"
Sherlock la
guardò non cercando per niente di nascondere il suo sguardo compiaciuto e
trionfante.
"Non ho
bisogno di dedurre niente perché…ecco… perché sei un libro aperto"
Sherlock si
bloccò: teneva in una mano un’arancia e nell’altra un libro di chimica ed era
in una posizione così innaturale che a Samantha sembrò fosse un fotogramma di
una scena comica uscita da una delle migliori commedie teatrali.
"Devo
darti ragione però: ho guardato e curiosato praticamente dappertutto qui in
casa e devo dire che ho trovato cose molto interessanti…ah, a proposito…la mano
nel congelatore è tua?"
"È un
esperimento"
Borbottò
Sherlock, gettando in mezzo alla stanza l’arancia, per liberarsene.
"Oh,
menomale. Pensavo che fosse un messaggio d’avvertimento da parte di qualche
serial killer determinato a vendicarsi di te e a tagliarti le mani"
"Hai
una fervida immaginazione"
Disse
girandosi a guardare la ragazza che non smetteva di avere un’espressione serena
e che si vedeva si sentisse a suo agio in quella situazione.
"Me lo
dicevano sempre a scuola"
"Tanti
amici anche lì?"
Le chiese
ironico Sherlock, cercando di rigirare il coltello nella piaga in modo tale da
individuare un possibile punto debole della ragazza.
"Non
molti in realtà, anche se non credo che tu sia la persona più adatta a
schernire la mia mancanza di amici d’infanzia"
Sospirò
sbrigativa, ansiosa di cambiare argomento.
"Voglio
dire… rimanere chiuso in casa per due settimane, controllato giorno e notte da
due agenti, Mycroft che ti scarcera solo qualche giorno fa dicendoti di essere
“libero”, il primo ministro che balza nella conversazione come un uovo di
pasqua… chi non sarebbe curioso di sapere il motivo scatenante di tutta questa
fibrillazione?"
"Mi
sembra strano che tu non l'abbia ancora capito"
"Perché
dovrei averlo già capito? Non sono così intelligente"
Sherlock si
bloccò per guardare Samantha dritto negli occhi: lui sapeva qualcosa sul suo conto,
ne era sicura, non poteva essere altrimenti. Perché riservarle quello sguardo
altrimenti? Non lo sapeva e lei odiava non sapere. Sherlock sospirò prima di
parlare nuovamente.
"Ho
ucciso un uomo"
La risposta
arrivò così improvvisa e così secca che Samantha non poté fare a meno di
sbarrare gli occhi per qualche secondo e subito dopo di ringraziare il cielo
che Sherlock si fosse rigirato dall’altra parte e perciò non l’avesse vista.
Non pensava che le avrebbe davvero risposto.
Sherlock Holmes che uccide un uomo. Chissà perché, ma proprio non ce lo vedeva.
"Un
buon uomo?*"
"Il
peggiore che abbia mai incontrato"
Sherlock si
girò e si avviò verso la camera da letto.
"Non mi
puoi lasciare così"
"Hai
vinto, tieni il tuo cellulare"
Lo raccolse
dal tavolo e lo lanciò a Samantha, che lo prese prontamente al volo.
Impugnò la maniglia della porta della sua camera da letto, ma prima che lui
potesse fare altro Samantha lo afferrò per la manica della vestaglia.
"Qual
era il suo nome?"
Gli chiese,
guardandolo dritto negli occhi.
L’uno poteva sentire il respiro dell’altra sulla propria pelle ed il cuore di
Samantha aveva improvvisamente cominciato a battere più forte.
Perché poteva essere attratta solo dal pericolo?
Sherlock sospirò rumorosamente districandosi dalla presa della ragazza.
Pensò che quegli occhi verdi non potevano che nascondere un terribile segreto e
che sotto l’apparenza di quel bel visino angelico e di quei boccolosi capelli
biondi, si nascondesse una vita piena di emozioni pericolose.
"Charles
Augustus Magnussen"
Samantha si
morse il labbro inferiore cercando di contenersi: Charles Augustus Magnussen… ora tutto le sembrava chiaro; il primo
ministro, l’isolamento di Sherlock, lo sguardo sfuggente di poco prima… Non
riusciva a credere che Sherlock avesse ucciso quell’uomo. Anche solo il “come”
fosse riuscito ad ucciderlo era inspiegabile per lei. Ma perché l’aveva fatto?
Che motivazioni c’erano dietro a questa sua scelta? Sherlock Holmes non era di
certo un assassino… oppure sì?
Lui si
districò dalla presa di Samantha ed aprì la porta della camera per poi
richiuderla rumorosamente dietro di sé.
"Buonanotte
anche a te"
Disse
Samantha ironica, ma ancora leggermente scossa, mentre si avviava verso la sua
camera da letto.
Era ritornata in possesso del suo cellulare troppo in fretta, qualcosa non
quadrava.
Insomma, non aveva assolutamente alcun senso! Se Sherlock avesse voluto davvero
scoprire la sua password, avrebbe potuto farlo egregiamente ed in tutta
tranquillità, ma aveva deciso di dare forfait.
Samantha immaginò che fosse perché quell’omicidio si fosse svolto in condizioni
traumatizzanti, ma sapeva che Sherlock non era tipo da farsi “traumatizzare”, o
almeno, non dopo aver letto tutti i file dei suoi casi...
Un pensiero sgradevole le attraversò la mente: e se lui avesse inscenato tutta
quella manfrina solo per vedere la sua reazione? Non era certamente un’ipotesi
da escludere.
"C’è
sempre qualcosa che mi sfugge"
Sussurrò
Samantha tra sé e sé mentre si rannicchiava stancamente sotto le coperte e
spegneva la luce.
* Semi-citazione della puntata di Doctor Who "Flesh and stone":
Eleven: "Octavian said you killed a man" (Ottaviano ha detto che hai
ucciso un uomo) ((Nella serie l'avevano tradotto con "Ottaviano"? Non
ricordo, ma facciamo finta di sì))
River: "Yes, I did" (sì, è vero)
Eleven: "A good man?" (un buon uomo?)
River: "A very good man. The best I have ever known" (un uomo molto
buono. Il migliore che abbia mai conosciuto)
(In questo caso ho ribaltato la risposta di Sherlock facendogli dire che era il
peggiore che avesse mai conosciuto, perché effettivamente l'uomo che gli ha
urinato nel caminetto non verrà di certo ricordato in modo positivo, no?)
Angolo autrice assonnata: Ma io mi chiedo, si può
mai essere assonnati alle due del pomeriggio? Non credo sia una cosa
possibile, eppure eccomi qua, esausta ed assonnata più che mai.
Comunque, evitando di parlare della mia evidente scarsezza di ore spese
a dormire, spero che il quarto capitolo vi sia piaciuto e che il
rapporto tra Samantha e Sherlock si stia sviluppando bene nella
narrazione. E' così difficile riuscire a mantenere Sherlock IC, ogni
santissima parola che faccio uscire dalle labbra di quell'uomo è come
un parto.
Inoltre -ma con questo non vorrei allarmarvi- sono leggermente...
perplessa, diciamo così; non so che svolta far prendere alla storia...
e questa cosa mi sta portando alla follia. Ma sto davvero cercando di
porvi rimedio, quindi donut worry, be tasty! (Ok... no, lasciamo
perdere, dormire poco non mi fa bene). Prima dunque che scriva qualche
altra sciocchezza, vi lascio e vi auguro un buon fine settimana! Alla
prossima!!
|
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Capitolo 5 *** Capitolo cinque ***
Capitolo cinque correttoE
dopo un'altra interminabile assenza, eccomi di nuovo qui a rompervi le
scatole con un nuovo capitolo.
Il rapporto tra Samantha e Sherlock
continua ad essere conflittuale e, non posso nasconderlo, la cosa mi
diverte molto. Spero che sia altrettanto per voi. Ma bando alle ciance! Vi lascio al quinto capitolo. Buona lettura!
Angela Smith
Capitolo cinque
"Offerta
di pace", pensava fra sé e sé Samantha mentre preparava il tè.
"Non è
una resa, è un’offerta di pace"
Continuava a
ripeterselo per autoconvincersi che fosse così.
Non aveva nessuna intenzione di arrendersi, ma continuare a vivere nella stessa
casa con Sherlock Holmes e non riuscire nemmeno a parlarci non era il massimo.
Non che lei preferisse parlarci. Insomma, era complicato.
Fatto sta che quel tè era un’offerta di pace che avrebbe educatamente porto al
consulente investigativo (come aveva precisato lui di essere la sera
precedente).
Che strana serata, i ricordi di Samantha erano confusi e non si ricordava bene
che cosa avesse pensato di tutta quella faccenda.
Aveva già tratto le sue conclusioni? Non le risultava, altrimenti a quel punto
non si sarebbe ritrovata così confusa.
Cercò di riordinare le idee:
- Sherlock
Holmes ha ucciso un uomo (ricordarsi di chiedere delucidazioni in merito,
possibilmente senza far scoppiare la terza guerra mondiale)
- L'uomo
che ha ucciso è Charles Augustus Magnussen (vedere file)
- Sherlock
evidentemente conosce Irene Adler, altrimenti nota come La Donna o Dominatrix
(approfondire, estremamente importante)
- Ancora
più evidentemente hanno avuto una specie di flirt
Samantha si
bloccò pensierosa, lasciando a metà il suo pensiero.
“Flirt”, che parola poco elegante… ma d’altronde era quella giusta per
descrivere il loro rapporto passato, no?
- Sherlock
si è permesso di chiamarla "ragazzina"
- Sherlock
non le ha estorto la password del cellulare (anche se avrebbe potuto)
Il ricordare
che Sherlock l’avesse definita “ragazzina” la prima volta che si erano
incontrati le faceva saltare i nervi.
Cominciò a mescolare più velocemente il tè contenuto nella tazzina.
Non aveva idea di quante zollette avrebbe dovuto metterci e se magari Sherlock
avrebbe gradito anche del latte.
Si diede della sciocca. A chi importava quante zollette ci fossero dentro?
L’importante era il gesto. Se poi Sherlock fosse stato obbligato a bere il tè
in modo differente da come lo prendeva di solito per pura cortesia, tanto di
guadagnato.
Non sapeva come avrebbe dovuto approcciarsi. Dargli del “tu” sarebbe
sicuramente stato il primo passo. Poi…ehm…salutarlo? Dargli il buon giorno?
Come avrebbe dovuto interagire con lui? Fingendosi la sua più cara amica o
mantenendo una certa distanza? Avrebbe dovuto abbracciarlo in segno di amicizia
oppure fare finta di niente, facendosi bastare un’amichevole stretta di mano?
Era in panico.
Samantha Brooks era in panico a causa di Sherlock Holmes.
Possibile che una pistola puntata alla tempia non le causasse il minimo
scompenso, mentre cercare di risultare simpatica a quell'uomo la facesse
impazzire? Era una cosa semplicemente assurda.
Aveva affrontato situazioni ben più pericolose e complicate di quella, anche
con il rischio di perdere la vita, eppure in quel momento le sembrava che il
minimo passo falso l’avrebbe fatta cadere nell’angolo delle “persone che
Sherlock Holmes disprezza” che a quanto pare erano un gran bel numero.
Cercò di ricomporsi e fece un bel respiro profondo.
Si accorse che stava mescolando quella povera tazza di tè da fin troppo tempo,
quindi lasciò cadere il cucchiaino, appoggiando il manico sul bordo di essa.
Si voltò verso la dispensa, fissandola attentamente.
Avrebbe dovuto aggiungerci anche dei biscotti?
"Sei
proprio una persona ridicola"
Disse ad
alta voce, prendendosi la testa fra le mani con fare disperato.
"Stai
parlando con me?"
Disse una
voce bassa e profonda alle sue spalle.
Chiuse gli occhi stringendoli in modo nervoso e si morse la lingua
maledicendosi mentalmente.
"No!"
Si affrettò
a rispondere mentre si girava nella direzione dell’uomo, sfoderando il suo
miglior sorriso.
Come diamine aveva fatto a non sentirlo arrivare?
Il consulente investigativo rispose con uno sguardo confuso e leggermente
annoiato. Aveva indosso una vestaglia blu elettrico tenuta aperta, la quale
faceva intravedere quello che lui probabilmente considerava il suo pigiama.
Samantha invece si era vestita indossando un maglione e dei jeans, onde evitare
l’imbarazzo che le sarebbe derivato dal farsi vedere dal suo nuovo coinquilino
in pigiama.
"Non
stavo parlando con nessuno, era una stupida considerazione"
"In
merito a chi?"
Chiese
Sherlock, non essendo interessato più di tanto alla possibile risposta della
sua coinquilina, dato che gli sembrava davvero scontata.
"Non è
davvero importante"
Concluse
sbrigativamente lei, cercando di togliersi da quell’impiccio.
Improvvisamente fu risvegliata dalla sua trance nel vedere la tazza di tè
appoggiata sul tavolo.
"Ho
fatto il tè"
Disse,
indicando la tazza in questione.
"Lo
vedo"
Fu ciò che
ebbe in risposta dall’uomo, il quale si stava avviando nuovamente verso la sua
stanza.
"No,
aspetta!"
Fu ciò che
uscì dalle labbra della ragazza. Sherlock si girò interdetto.
Dal tono che aveva usato, sembrava alla disperata ricerca della sua compagnia e
non era certamente il tono che avrebbe dovuto utilizzare né quello che avrebbe voluto
utilizzare Samantha.
"E' per
te"
Disse in
modo secco.
"Il tè
intendo"
Aggiunse
poi, appoggiandosi le mani sui fianchi.
"Perché?"
Samantha lo
guardò alzando un sopracciglio, non sapendo bene come rispondergli.
"Beh,
ecco, non lo so, prova a fare le tue deduzioni"
Rispose
accigliata e lievemente imbarazzata dallo sguardo che le stava riservando il detective.
"Non
faresti prima a berlo invece che farmi sciocche domande?"
Samantha
prese in mano la tazza e gliela porse in modo spazientito.
"Non
bevo tè alla mattina"
Sherlock
degnò per qualche secondo del suo sguardo la tazza che la ragazza gli stava
porgendo, non avendo evidentemente nessuna intenzione di prenderla dalle sue
mani. Samantha sapeva che Mrs Hudson, la padrona di casa, gliene portasse ogni
mattina una tazza e che Sherlock lo stava rifiutando solamente per darle
fastidio.*
Quanto lo odiava.
"Sei
inglese, certo che bevi tè alla mattina"
Si limitò a
dire lei, avvicinando maggiormente la tazza alla figura di lui.
"E
questo cosa vorrebbe dire? Il tuo rifarti a questo genere di stereotipi denota
una certa vena..."
Samantha
alzò il dito indice con l'intento di poggiarlo sulle labbra di Sherlock e così
zittirlo, ma si trattenne, limitandosi a tenerlo a mezz'aria in modo
provocatorio.
"Ti
fermo prima che tu possa dire qualcosa di cui poi potresti pentirti"
"Oh
grazie infinite, avevo davvero paura di offenderti o di ferire i tuoi
sentimenti"
"Perché
non puoi semplicemente bere quel dannato tè e farla finita? Così da finalmente
poter continuare le nostre vite in maniera civile e adulta?"
"Pensi
che prendere insieme il tè alla mattina ci renderà amici per la pelle?"
"Ma
perché devi interpretare ogni mio gesto come un misero tentativo di
conquistarti?"
"Non è
forse ciò a cui miri?"
Samantha gli lanciò uno sguardo gelido.
"Sei solo
un grandissimo str..."
Sherlock
alzò un dito in aria, similmente a come aveva fatto Samantha poco
prima, poggiandolo veramente vicino alle labbra della ragazza, a cui fu
impedito di formulare l'insulto che si era tenuta dentro fin dal primo
momento in cui aveva visto il detective.
"Ti fermo prima che tu possa dire qualcosa di cui in futuro potresti pentirti"
Sherlock
le
lanciò uno sguardo ironico prima di aprire l'anta del frigorifero e
compiacersi silenziosamente della sua piccola frecciatina. Ricominciò
subito dopo ad ignorare del
tutto la ragazza, continuando ad indossare quel suo sguardo a metà tra
l'annoiato e l'infastidito. Stava per ritornarsene direttamente in
camera sua,
ma qualcosa lo trattenne. Che fosse la sua celata voglia di concludere
quella
conversazione atipica o il desiderio di infastidire la ragazza, questo
nessuno
può saperlo.
“Bevi sempre
il tè alla mattina?"
"Come?"
Rispose
Samantha, che era già pronta a contrattaccare con una nuova frecciata, e perciò
confusa da quella singolare uscita di Sherlock.
"Il tè.
Cosa ne pensi del tè?"
Ripeté il
detective, roteando gli occhi.
"Il tè
non mi piace e dunque non lo bevo alla mattina, se è qui dove vuoi andare a
parare, ma sono sicura che se mi piacesse..."
"Dunque
non lo bevi, no?"
La guardava
ansioso che lei gli desse ragione.
"No,
non lo bevo, è vero... ma voi inglesi non potreste vivere senza il tè, è
praticamente l’unica cosa che vi manda avanti. Il pranzo, la cena, la colazione
e perfino lo spuntino di mezzanotte traboccano di tè e biscotti"
"Beh,
la mia alimentazione non trabocca di tè e biscotti"
Prese in
mano una delle strane fialette lasciate incustodite sulla mensola e fece come
per voltarsi.
"Ed
ora, se non ti dispiace, ho cose molto più interessanti da fare che disquisire
a proposito di tè con te. Buona giornata"
Le rivolse
uno sguardo di disappunto ed irritazione prima di proseguire per la sua strada.
Aprì la porta della sua camera e ci si richiuse dentro, lasciando Samantha nel
bel mezzo della cucina, con la tazza di tè ancora in mano.
***
"Va
bene, esperimento due"
Si disse la
ragazza mentre si infilava il trench blu.
Se non riusciva ad attirare l’interesse di Sherlock Holmes con la conversazione
e con le gentilezze mattutine, allora avrebbe dovuto cambiare strategia di
gioco.
Sentì l’aprirsi della porta della camera del detective e lo vide uscire da essa
pronto e vestito per uscire.
Il punto è che anche lei lo era. Pronta per uscire con lui.
Le rivolse uno sguardo glaciale quando gli si avvicinò porgendogli il libro che
lui aveva lasciato sul tavolo la sera prima (ovviamente non le era sfuggito).
L’aveva aperto e sfogliato distrattamente quella mattina e l’unica cosa che era
sembrata interessarle era stato il fatto che sulla prima pagina del libro fosse
stato scritto il nome ed il cognome del proprietario: “James Double xxx”**.
Tre baci? A meno che non se li fosse scritti da solo, dubitava che il libro
fosse suo... un regalo forse? Aveva subito pensato però che “Double” fosse uno
strano cognome.
"Cosa
pensi di fare?"
Le chiese
l’uomo passandole oltre per andare a prendere il suo Belstaff.
"Venire
con te, mi sembrava ovvio"
"Cosa?"
A quelle
parole si girò di scatto, sfoderando lo sguardo più minaccioso ed allo stesso
tempo turbato che possedesse.
"No"
"Perché?"
Chiese
immediatamente la ragazza, infilandosi il piccolo libro nella tasca del trench.
"Perché
no. Mi saresti solo di intralcio"
"Ma per
favore. Io di intralcio a te? Semmai il contrario. Mi sembra che tu sia ad un
punto morto con quest’indagine"
"Punto
morto?"
Ripeté
Sherlock visibilmente scocciato, infilandosi i guanti.
"Già"
"Non
sai nemmeno di che cosa tu stia parlando. Non ne hai la più pallida idea"
"Allora
avrai sicuramente già capito che cos’è questo libro"
"Chiaramente"
I due si
scambiarono uno sguardo di sfida ed in quel preciso momento Sherlock rimpianse
di non aver preso il libro quando Page gliene aveva data l'occasione.
Un osservatore qualunque avrebbe detto che Sherlock fosse sincero, che avesse
già la risoluzione del caso in pugno, ma Samantha notò che non era per niente
così e che l’uomo che aveva davanti stava mentendo spudoratamente.
"Allora
non ti servirà questo libro suppongo…visto che hai già capito di che cosa si
tratti…"
Sherlock
strinse gli occhi a fessura quando realizzò che non avrebbe davvero potuto
andare avanti nelle indagini senza quel libro perché no, non aveva ancora
capito come fosse collegato alla morte del sig. Double.
Quella ragazza lo avrebbe fatto impazzire e questa era una delle poche cose di
cui era sicuro in quel momento.
"E'
comunque una prova che devo restituire a Scotland Yard, non la puoi
tenere"
Disse,
cercando di persuadere la ragazza a ridargli il libro.
Tese la mano verso di lei per farle capire le sue intenzioni e molto
probabilmente si aspettava che quella gli mettesse il libro in mano,
abbandonando ogni speranza di venire con lui e decidendosi a farsi gli affari
suoi. Ma l’idea di arrendersi al detective non passò nemmeno per l’anticamera
del cervello della ragazza.
"Andiamo?"
Disse in
risposta la ragazza, precedendolo ed aprendo la porta davanti a sé.
Sherlock si voltò nuovamente infastidito.
Non la voleva portare con sé, gli sarebbe
solamente stata di intralcio e lo avrebbe infastidito fino a fargli perdere la
ragione.
Pensò che con una mossa repentina avrebbe potuto ricacciarla dentro
l’appartamento e chiuderla a chiave, in modo tale da poterla seminare prima che
lei uscisse dalla finestra.
"Oh
Sherlock, non è gentile quello che stai pensando"
Disse
Samantha stringendosi nelle spalle e dandogli la schiena.
"La
chiave che stai cercando l’ho presa dal tuo cappotto prima che tu lo
indossassi. Chiudermi dentro non sarebbe un gesto molto galante, non
trovi?"
E detto
questo si incamminò giù per le scale senza nemmeno degnarlo di uno sguardo.
Sherlock sbuffò infastidito e si arrese all’idea che quella giornata sarebbe
stata ancora più difficile di quanto non avesse immaginato.
Il viaggio in taxi fu estremamente silenzioso perché né Sherlock né Samantha
avevano la benché minima intenzione di parlare con l’altro.
Lui non capiva perché Samantha fosse così interessata alla sua compagnia e lei
non capiva perché lui dovesse essere così freddo e scontroso.
Entrambi insomma non capivano i punti di vista dell’altro e Samantha non sapeva
come risolvere la faccenda.
Più che altro avrebbe voluto fare al suo nuovo coinquilino molte domande a cui
attualmente non trovava risposta, ma decise di tenersele per sé, anche perché
lui probabilmente non le avrebbe risposto o avrebbe sbuffato e si sarebbe
inabissato ancora di più nel suo silenzio.
Samantha aveva capito quale fosse lo sporco gioco di Holmes e non aveva
intenzione di caderci vittima.
Poteva quasi sentire i suoi pensieri, che dovevano essere all'incirca quelli
che avrebbe avuto un bambino di dieci anni costretto dalla madre a socializzare
con gli altri bambini: “se la ignoro e la allontano non avrò bisogno di
interagire con lei” oppure “ vorrei sapere di più su di lei ma non ho
intenzione di parlarle perché ha invaso la mia casa”.
Questi dovevano essere i suoi pensieri predominanti e la ragazza aveva già
deciso che avrebbero dovuto cambiare. Dopotutto sarebbero anche potuti andare
d’accordo se solo ci fosse stato dell’impegno da entrambe le parti.
Doveva fare in modo di guadagnarsi l’interesse di Sherlock ed aiutarlo a
risolvere un caso era proprio quello che faceva al caso suo.
La cosa che però doveva continuamente ricordare a se stessa era che lei non era
Samantha Brooks, ma Page Lincoln e come tale avrebbe dovuto comportarsi in un
modo ben specifico.
Ad attenderli in Broadwick Street c’era un intera squadra di Scotland Yard che
non aveva tardato a delimitare il perimetro con i suoi scoccianti nastri
gialli.
Un uomo alto e con i capelli brizzolati aprì la portiera del loro taxi e quando
ne vide uscire Samantha rimase leggermente spiazzato.
"Signorina,
lei non può stare qui, la polizia sta…"
"Lascia
perdere la solita manfrina Graham, lei è con me"
Disse
Sherlock uscendo dall’altra portiera e raggiungendo il primo uomo.
"Greg"
Lo corresse
quello, roteando gli occhi indispettito.
Sherlock non sembrò badarci più di tanto.
"Ce n’è
stato un altro, vero?"
"Temo
di sì. È per questo che ti ho chiamato questa mattina, abbiamo bisogno
di…"
Ma non finì
la frase, perché non poté fare a meno di guardare Samantha con fare confuso.
"Lei
chi è Sherlock?"
"È la
mia coinquilina"
Disse
Sherlock a fior di labbra, evitando accuratamente lo sguardo della ragazza che,
ne era sicuro, sarebbe stata alquanto compiaciuta di vederlo ammettere che lei
fosse la sua coinquilina.
"Oh,
non sapevo ne avessi una"
Si limitò a
dire l’uomo, guardando attentamente la ragazza.
"Piacere,
sono Page Lincoln"
Gli tese la
mano amichevolmente.
"Greg,
Greg Lestrade"
Rispose il
Detective Ispettore, allungando la mano a sua volta per incontrare quella di
lei.
"Bene,
ora che le presentazioni sono finalmente state fatte, datti da fare e mostrami
il cadavere"
Lestrade,
ancora un po’confuso dalla presenza della ragazza e soprattutto sul perché
Sherlock se la fosse portata dietro, guidò i due dentro l’abitazione mandando
uno sguardo di scuse per i modi bruschi del detective all’indirizzo di
Samantha, che rispose con un lieve sorriso.
D’altronde non era la prima volta che Sherlock portava sulla scena di un
crimine un assistente. Prima John, poi Molly… magari quella ragazza sarebbe
stata la prossima.
"La
vittima si chiama Louise Shepard, quarant’anni,
sposata da due anni con il signor Victor Russel. Avevano deciso di fare una
vacanza a Parigi, sarebbero dovuti partire oggi, ma questa mattina il marito ci
ha chiamati dicendo di essere tornato dal lavoro e di aver trovato sua
moglie... beh, ecco... insomma... morta"
Erano ormai
di fronte alla porta del salotto, dove alcuni della scientifica si erano
riuniti per discutere.
"Non
sembra avere alcun senso…"
Diceva uno,
guardando gli altri con fare preoccupato.
"Cosa
non sembra avere alcun senso?"
Chiese
Lestrade, raggiungendo il piccolo gruppetto e mettendosi in mezzo a loro.
"Ecco…"
Iniziò
l’uomo, togliendosi i guanti di lattice.
"La
donna è morta… di morte naturale"
"E
perché non dovrebbe avere senso?"
Rispose
Sherlock unendosi alla compagnia, ridendo divertito.
L’uomo della scientifica fece qualche passo nella direzione del detective,
guardandolo sinistramente.
"Perché
è stata accoltellata"
"Deciditi,
o è stata accoltellata o è morta di morte naturale"
"Entrambe"
Disse l’uomo
senza battere ciglio.
"Anderson,
di' agli altri di lasciare la casa"
L’uomo si
voltò verso l’ispettore.
"Non
vorrà mica lasciarlo ispezionare il cadavere! Non voglio correre il rischio che
la scena del crimine venga contaminata"
Sherlock
alzò gli occhi al cielo.
"È già
stata contaminata dai tuoi stupidi uomini della scientifica, nessuno potrebbe
fare di peggio a questo punto. E adesso, se non ti dispiace..."
Sherlock lo
scansò malamente in parte ed entrò direttamente nel salotto, mettendosi subito
ad osservare la stanza, facendo correre il suo sguardo dappertutto.
"Con
permesso…"
Fece
Samantha mentre sorpassava anche lei Anderson.
"Aspetta,
aspetta"
Le disse
quello, prendendole il braccio e trascinandola indietro.
"E tu
chi saresti?"
L'uomo le
stringeva saldamente il braccio impedendole di proseguire. Samantha stava
perciò per dire qualcosa, quando Sherlock uscì come una furia dal soggiorno.
"Non
volevi risolvere un caso Page? Beh, allora sbrigati perché non c’è un minuto da
perdere"
Così
Anderson la lasciò andare alzando le mani in segno di resa.
"Questa
non è una scena del crimine, è un circo"
Borbottò,
mentre usciva dalla casa.
Lestrade si appoggiò sullo stipite della porta del soggiorno, osservando
attentamente i movimenti del consulente investigativo. Samantha fece lo stesso,
ma non tralasciando di fare le sue deduzioni.
Avrebbe potuto difendersi anche da sola da quell’inetto della scientifica (che
tra l’altro sapeva di alcol) senza l’aiuto di Sherlock. Non avrebbe saputo però
interpretare il gesto del detective... perché l'aveva aiutata? Probabilmente
non era nemmeno consapevole di averla tirata fuori da una situazione
sgradevole, altrimenti, ne era sicura, ce l'avrebbe lasciata, cercando di
peggiorarla ulteriormente.
La vittima era distesa al centro del salotto con la schiena rivolta verso
l’alto ed aveva gli occhi aperti pieni di terrore. Non doveva essere stata una
morte piacevole, doveva aver sofferto molto.
Samantha si avvicinò cautamente ad essa, attenta a non intralciare i movimenti
del consulente investigativo, ed osservò attentamente le pugnalate lasciate
sulla schiena.
Prima di fare alcunché cercò di intercettare lo sguardo di Lestrade, come a
chiedergliene il permesso.
L’ispettore assentì con un lieve moto del capo, sospirando leggermente.
I fori lasciati dalle pugnalate non sembravano essere stati inflitti a caso,
parevano seguire uno schema.
Samantha si allontanò leggermente dal cadavere, facendo qualche passo indietro
per vedere la stanza nel suo insieme. Si guardò attorno girandosi e provando a
guardare la scena da una differente angolazione. Fece un giro su se stessa per
cercare di capire da dove la donna potesse essere stata aggredita o se, come
sospettava, fosse stata portata nel salotto solamente dopo. Non era molto
pratica di come si risolvesse un omicidio o un caso di quel genere, dato che
lei si era sempre ritrovata nella situazione opposta, ovvero in quella di
nascondere le tracce o comunque farne il meno possibile depistando le autorità.
Sapeva qualche trucchetto o due sui principali modi per nascondere delle tracce
ed in quel momento stava cercando di ragionare con la mente dell’assassino.
Se lei si fosse trovata in una situazione del genere, da dove sarebbe fuggita?
Chi avrebbe cercato di incolpare? Le informazioni a disposizione sulla donna
erano ancora troppo poche per poter fare una supposizione.
Si spostò di qualche passo a destra, rimanendo con lo sguardo fisso sul
cadavere, mentre Sherlock si era alzato dalla sua posizione supina e si era
spostato alla sua destra osservando anche lui le pugnalate sulla schiena della
donna.
Inevitabilmente si scontrarono.
Samantha si riscosse dai suoi pensieri e dal suo tentativo di sintonizzarsi con
i pensieri dell’assassino e Sherlock venne distratto dalla sua deduzione.
Si guardarono, uno sguardo veloce, per poi ritornare a fissare la donna sul
pavimento. Entrambi capirono di aver visto la medesima cosa.
"M"
Disse
Samantha, congiungendo nell’aria con il dito indice le pugnalate, come se
fossero state dei puntini.
"Esattamente,
M"
Ripeté
Sherlock pensieroso, portandosi le mani alla bocca e congiungendole,
allontanandosi dalla scomoda vicinanza con la ragazza.
Samantha non perse un secondo e si fiondò sulla scrivania della stanza. Doveva
esserci, andiamo, doveva!
Lestrade era ancora appoggiato allo stipite della porta e gli sembrava di star
guardando una specie di coreografia: entrambi si muovevano nella stanza sicuri
dei loro movimenti, non lasciando trasparire nessun’emozione o sentimento.
Analizzavano qualsiasi cosa arrivasse alla portata della loro vista e
sembravano non lasciarsi sfuggire nemmeno un dettaglio. Non era mai stato più
curioso di sapere chi fosse quella ragazza e perché si trovasse lì con Sherlock
in quel momento. Poteva essere sua sorella? Poteva essere un’ipotesi, anche se
l’ispettore non capiva perché allora Sherlock avrebbe dovuto mentirgli dicendo
che fosse la sua coinquilina. Eppure, si muovevano in maniera così simile ed i
loro sguardi erano gli stessi.
Quegli occhi vivi ed indagatori, bramosi di conoscenza, ma anche spauriti ed
indifesi che aveva visto in Sherlock, quel giorno li aveva rivisti anche in
Page Lincoln e la cosa non poteva che affascinarlo e spaventarlo nel medesimo
momento.
"Trovato!"
Urlò Samantha
febbricitante con gli occhi che quasi le brillavano.
Estrasse dalla tasca del suo trench il libro che Sherlock aveva trovato
sull’altra scena del crimine ed andò a pagina undici. Lo lasciò aperto sulla
scrivania tenendolo con la mano destra mentre ne apriva un altro a pagina
ventidue tenendolo aperto con l’altra mano. Sherlock alzò lo sguardo e si
avvicinò velocemente a Samantha che aveva un sorriso soddisfatto stampato in
volto.
"Lo
sapevo! Non poteva essere altrimenti!"
"Che
cosa non poteva essere altrimenti?"
Chiese
l’ispettore, avvicinandosi ai due con fare confuso.
Il suo sguardò passò da un libro all’altro senza capire però di che cosa la
ragazza stesse parlando.
Sherlock prese in mano il primo libro discorrendo la pagina indicatagli da
Samantha ed un’espressione dubbiosa gli apparve sul volto.
"La
rosa e l’usignolo?"
Disse
rivolto a Samantha.
"A
quanto pare. È un racconto di Oscar Wilde "
"No,
no, fermi voi due. Che cosa diamine sta succedendo?"
Chiese un
alquanto confuso ed irritato Lestrade.
"Emme!"
Rispose
Sherlock prendendo in mano anche il secondo libro.
Samantha si morse il labbro pensierosa e fece qualche passo indietro.
"Sulla
schiena della vittima sono presenti delle coltellate, ma non sono state quelle
ad uccidere la donna, dato che lei è morta poiché le è stato fatto ingerire a
forza del veleno, un particolare tipo di veleno che non viene rintracciato
facendo gli esami post-mortem e che viene comunemente scambiato per morte
naturale"
Disse
Samantha staccandosi dai due e togliendosi i guanti.
"L’unico
segno che lascia è quello del colorito giallognolo delle unghie delle
mani"
Concluse
Sherlock sorridendo mestamente.
"Ma
cosa significano i due libri allora?"
"Se le
pugnalate non sono state fatte per uccidere la vittima, allora per cosa? Le
guardi ispettore, non le sembra che siano disposte in una maniera ben
precisa?"
Continuò
Samantha, indicando il corpo a Lestrade e guardandolo con occhi di fuoco.
"Oh…
sembra… una emme"
"L’assassino
ha voluto lasciarci un messaggio, un modo per decifrare i due libri"
Disse
Sherlock mentre raggiungeva la ragazza e le porgeva uno dei libri.
Lei lo guardò confusa. Glielo stava affidando? Aveva superato una specie di
prova? L’unica cosa che fece, fu quella di sorridergli appena, discorrendo la
pagina alla ricerca di qualche altro dettaglio che poteva esserle sfuggito.
"Ed
esattamente, come avete “decifrato” i due libri?"
"In un
modo oltraggiosamente semplice, forse fin troppo. Chiunque abbia deciso di
lasciarci questo segno doveva volere davvero che noi capissimo quello che
voleva dirci. Voleva che noi comprendessimo come decifrarli e a che pagina
guardare"
Gli disse
Samantha chiudendo il libro ed infilandoselo nel trench.
"La
emme è l’undicesima lettera dell’alfabeto, così mi è bastato aprire il secondo
libro e…"
"Come
potevi sapere che era quello il libro a cui l’assassino si riferiva?"
Questa volta
era Sherlock a fare la domanda e non mancò di essere leggermente inquisitorio
nel porgergliela.
"Perché
erano amanti"
"A
questo ci ero arrivato anche io. Ma perché quel libro?"
"Chi
era l’amante di chi?!"
Chiese
Lestrade, evidentemente al limite della sopportazione.
Sherlock era già abbastanza di suo senza che si aggiungesse quella Page a
rendere le cose ancora più confuse e complesse.
"Mrs Shepard era l’amante del sig. Double, mi sembra
ovvio"
Rispose la
ragazza, ansiosa di rispondere invece alla domanda di Sherlock.
"Quei
due libri erano il segno del loro amore. Se li erano scambiati ed entrambi li
custodivano gelosamente, probabilmente in riferimento a qualche ricordo comune
che li legava sentimentalmente. L’assassino lo sapeva, doveva conoscere bene
entrambi, il che restringe un po' il campo delle ricerche"
“Quindi lei
intende…”
Cominciò
Lestrade sfregandosi il mento con fare pensieroso.
“Intende
dire che ha cercato a pagina ventidue del secondo libro perché il cognome
dell’uomo glielo ha suggerito?”
“Esattamente
Lestrade, ovvio. “Double”, significa “doppio”, quindi non poteva che essere
quello”
Era stato
Sherlock a rispondere alla domanda dell’ispettore e a Samantha dette non poco
fastidio.
“Credevo lo
stesse domandando a me, Sherlock”
Lo
rimproverò, puntando i suoi profondi occhi verdi su quelli del detective.
“È
irrilevante”
Rispose
quello con un alzata di spalle.
Samantha sospirò per poi continuare la sua spiegazione.
“Quello che
voglio dire è… perché lasciarci degli indizi? Che senso avrebbe avuto? La cosa
più importante da fare adesso è analizzare i due libri e capire quale sia
il messaggio nascosto”
"Se
è davvero presente un messaggio nascosto”
Samantha si
girò nella direzione di Sherlock con aria confusa.
“In che
senso “Se” è davvero presente? È ovvio che ci sia! Deve esserci!”
Sherlock
sbuffò leggermente, assumendo un tono di voce simile a quello che avrebbe avuto
un insegnante che cerca di spiegare un’ovvietà ai suoi studenti più duri di
comprendonio.
“Potrebbe
essere solamente una falsa pista, qualcosa studiato apposta per farci perdere
tempo mentre l’assassino circola liberamente per le strade di Londra. Ho un po'
più esperienza di te in questo campo”
“Oh, per
favore, non essere così scettico! Gli omicidi, quello di Mr Double e quello di
Mrs Russel sono chiaramente collegati e non vedo davvero perché
l’assassino avrebbe dovuto mettere in scena tutta questa manfrina… no, c’è
qualcosa di più sotto…”
A quel punto
l’atteggiamento di Sherlock si fece più stizzito che mai: non era abituato ad
essere contraddetto -come d’altra parte non lo era Samantha- ed il solo fatto
di star facendo una conversazione di quel genere lo avrebbe infastidito, se in
più ci si aggiungeva il fatto che non gli piaceva la persona con la quale stava
discutendo, certo non si avrebbe potuto prevedere come tutto ciò avrebbe potuto
trovare risoluzione.
L’aiuto di Lestrade per acquietare le acque fu, oserei dire, indispensabile.
Un “faremo analizzare i libri dalla scientifica” ed un “manderemo il corpo di
Mrs Russel all’obitorio dove Molly potrà confrontarlo con quello di Mr Double”
fecero rilassare Samantha da una parte e sparire l’imminente collera di
Sherlock dall’altra.
Lestrade pensò che se non avesse avuto fortuna come Detective Ispettore,
avrebbe certamente trovato un futuro come mediatore.
* Dall'episodio "His last vow", quando Mrs Hudson sorprende
Sherlock a ballare sulla musica che lui stesso ha composto per il matrimonio di
John e Mary e lui "confessa" di non aver mai capito che il tè che
ogni mattina ritrova nel suo appartamento sia preparato dalla sua padrona di
casa (non so quale sia esattamente la traduzione di landlady... chiedo
perdono). What a rubbish detective <3
** Gli inglesi utilizzano questo simbolo "x" per indicare un bacio.
Solitamente vengono aggiunti nei messaggi informali in maniera affettuosa. L'ho
voluto scrivere perché, quando ero ancora all'oscuro del loro significato, mi
dava estremamente fastidio il non capire che diamine ci stessero a fare in un
determinato contesto. Probabilmente lo sapevate già tutti il suo significato,
ma non si sa mai.
Angolo autrice confusa: Salve a tutti! Spero che
questo capitolo vi sia piaciuto e che mi facciate sapere che cosa ne
pensate con una piccola recensioncina (il mio angolo recensioni piange
e si dispera). Non ho altri importanti annunci da fare, quindi vi
lascio. Andate in pace cari lettori! (Lasciatemi perdere, sono un caso
disperato). Buona continuazione di serata. Un bacio, Angela Smith
|
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Capitolo 6 *** Capitolo sei ***
Capitolo sei corretto
Salve
a tutti cari lettori! Sono finalmente tornata dal mio infinito letargo per
pubblicare il sesto capitolo! (una frase che molto probabilmente avevate perso
le speranze di leggere).
Even
Sherlock series four came after that!
Sì,
perché per quelli di voi che non lo sapessero già (lo so, sono una sprovveduta
a pensare che non siate già informati di tutti i minimi dettagli di questa cosa,
ma lasciatemelo credere) Moffat e Gatiss si sono finalmente decisi a girare la
quarta serie di Sherlock!!!! Ed il super richiesto ed occupato mister
Cumberbatch finalmente veste di nuovo i panni del nostro amato consulente
investigativo!! (e questa volta con i riccioli, non poteva reggere a lungo la
storia dei capelli tirati indietro nello speciale di Natale, chi pensano di
prendere in giro).
Qualche giorno fa ho visto su tumblr un video delle riprese del set in cui si vedeva John che teneva
in braccio una bambina! Sono così felice!! La piccola Watson è finalmente
arrivata!
Ma,
ricomponendoci, ritorniamo a parlare della miracolosa apparizione del nuovo
capitolo che se no poi divento troppo prolissa e mi saltate completamente la
nota dell’autrice (quanto vi capisco):
La
vera verità è che questo non è il capitolo originale, infatti la prima versione
che avevo scritto era davvero molto
diversa.
È semplicemente
successo che mentre stavo rileggendo la versione precedente mi sono resa conto
del
fatto che non mi piacesse, che risultasse troppo noiosa ed
inconcludente ed ho
pensato “se non piace a me, come potrebbe piacere a loro?”. Così mi
sono messa
al computer, affiancata dalla mia fedele tazza di caffè, ed ho
cominciato a scrivere, presa dalla follia di un'ispirazione momentanea.
Qualche
spoiler in anteprima (non sono davvero spoiler, abbassate quei mitra):
questo
capitolo è un salto nel tempo; il salto temporale è di un giorno e
grazie a
questa escamotage si scopre che cosa abbia fatto la nostra cara
Samantha
durante l’assenza di Sherlock. Ricordate che Sherlock stava indagando
sul caso di Mr Double e che dunque era stato tenuto lontano dal 221B
per un po' di tempo? E ricordate che, mentre stava deducendo Sam, si è
accorto del fatto che lei fosse uscita? Ma uscita dove? E perché?
Oltre a rispondere a tutte queste domande, in questo capitolo si riuscirà anche ad intravedere un nuovo
pezzetto della vita della ragazza, che sarà costretta ad affrontare una
situazione alquanto spinosa...
La
piccola ormai "aiutante detective" inoltre si sbizzarrisce per suo
puro diletto a formulare curiose e (forse) fondate teorie su un particolare
caso di Sherlock che ha attirato la sua attenzione.
Ora vi
lascio davvero al capitolo. Spero davvero che vi piaccia!
Buona lettura
a tutti.
Angela Smith
Capitolo sei
(Il
giorno precedente...)
Ferirsi sul
piede era stata una complicazione, certo, ma niente che potesse impedirle di
camminare come un comune essere umano. Beh… ecco… il piede di Samantha poteva
non essere della stessa opinione.
In realtà la ferita aveva cominciato a bruciarle… ed anche parecchio.
Cosa poteva fare? Nulla, solo sopportare.
D’altra parte però non era certo colpa sua se era da due lunghi anni che non
era stata obbligata ad uscire da nessuna finestra in nessun’occasione.
Ne era davvero valsa la pena? Uscire dalla finestra dell’appartamento solo per
non essere vista da Mrs Hudson? Sperava almeno che in questo modo Sherlock non
venisse a sapere che lei fosse uscita… anche se probabilmente lo avrebbe
dedotto lo stesso.
Quel ragazzo era troppo sveglio per i suoi gusti e notava fin troppe cose…
Ma la vera complicazione in quel momento era il fatto che non avesse ben capito
dove dovesse farsi trovare e perché fosse proprio necessario vedersi di
persona.
Moriarty le aveva mandato un messaggio dicendole di presentarsi ad uno strano
indirizzo, aggiungendo che lui sarebbe stato lì ad aspettarla.
Samantha non ci aveva creduto nemmeno per un istante.
Certamente avrebbe mandato uno dei suoi collaboratori, il quale le avrebbe
riferito le direttive del "capo". Molto meglio per lei dato che non
ci teneva per niente ad incontrare il consulting criminal.
Era ad almeno un isolato di distanza dall’indirizzo datole e non riusciva a
togliersi dalla mente i casi che Sherlock Holmes si era ritrovato tra le mani
in tanti anni di carriera.
Quello però che più di tutti stuzzicava la sua curiosità era quello intitolato
“Uno studio in rosa”.
Sapeva che fosse stato uno dei tanti crimini organizzati da Moriarty, ne poteva
quasi riconoscere la firma.
Due fialette, una contenente la pillola con il veleno, l’altra completamente
innocua… Nel resoconto del caso c’era scritto che il tassista sapesse
esattamente quale delle due fialette fosse quella innocua e quale quella col
veleno e che potesse anticipare le mosse della sua sventurata vittima.
Il documento che Samantha aveva letto riportava inoltre i nomi delle quattro
vittime… Quel tassista era riuscito ad uccidere quattro persone con il suo
piccolo “gioco” ed era (quasi inspiegabilmente) riuscito a sopravvivere… ma come?
Come era stato possibile? Come poteva prevedere che fialetta avrebbero scelto
quelle quattro persone?
Non era una cosa umanamente fattibile e Samantha si rifiutava di credere che ci
fosse un intricato ragionamento dietro le mosse dell’uomo.
“Solo fortuna” non faceva che ripetere a sé stessa mentre camminava per le
affollate strade di Londra.
O almeno, questo era un lato della medaglia.
L’altro, che rappresentava anche la parte razionale della ragazza, non riusciva
ad escludere così a cuor leggero l’ipotesi che il tassista sapesse esattamente
cosa stesse facendo e che prima di scegliere le sue vittime le studiasse in
modo tale da capirne i ragionamenti e la mentalità, così da coglierli in fallo
e far cadere loro in mano la pillola mortale ancor prima che loro se ne
rendessero conto.
Sembrava una teoria così irreale… ma ovviamente nulla poteva essere escluso.
La prima cosa che Samantha aveva pensato leggendo il resoconto del caso era che
il veleno doveva essere certamente contenuto nell’acqua che il serial killer
porgeva alle sue vittime per ingerire la pillola, ma quando era venuta a
sapere, continuando la sua lettura, che nessun bicchiere d’acqua era mai stato
offerto a quelle quattro persone, si era decisamente incuriosita.
A metà del suo tragitto si era definitivamente decisa a pensare che ci fosse un
trucco, uno sporco trucco, sicuramente degno di Moriarty.
Certo, non l’avrebbe mai davvero scoperto, a meno che non l’avesse chiesto di
persona al criminale, ma non aveva nessuna intenzione di farlo, il pensiero non
la sfiorava nemmeno.
La sete di conoscenza che in quel momento la invadeva aveva fatto così cadere
in secondo piano tutti i suoi altri pensieri: non riusciva a smettere di
scervellarsi per cercare di capire la mentalità di quel serial killer tanto
insolito quanto (forse) geniale.
Provò ad immaginare se stessa nella situazione in cui si era trovato Sherlock
numerosi anni prima: quale delle due pillole avrebbe scelto? Quella che il
tassista le porgeva o l’altra? Probabilmente l’altra, la stessa che, come
diceva il resoconto, aveva scelto Sherlock.
Samantha sospirò leggermente irritata. Tanto alla fine nessuno aveva mai
scoperto quale fosse quella avvelenata e quale quella innocua, quindi qualsiasi
ipotesi potesse avanzare sarebbe stata completamente inutile e non
confermabile.
Beh, diciamo che era la cosa più divertente che potesse occuparle la mente
durante quel noiosissimo tragitto, che l’avrebbe portata sicuramente davanti ad
un mare di altre complicazioni e guai.
Quindi, cosa aveva da perdere?
Ammettendo che il tassista studiasse davvero i profili psicologici delle sue
vittime, in qualche modo, anche se molto contorto, sarebbe comunque riuscito a
comprendere, sebbene in parte, le loro tendenze ed il loro carattere. Ora,
supponendo nuovamente che le scelte di ognuno di noi vengano fatte sulla base
di uno schema, come se ci fosse un numero prestabilito di “cause ed effetti” ed
essi si ripetessero ciclicamente, il serial killer avrebbe potuto, inserendo le
due variabili (cioè le due pillole), calcolarne la probabilità. Anche se ciò,
appunto basandosi sulle probabilità, non sarebbe certamente stato un calcolo
sicuro al 100%. Che alla probabilità si sia aggiunta anche la fortuna? Quattro
casi non sono poi così tanti dopotutto e sopravvivere a tutti non poi così
impossibile…
La seconda ipotesi di Samantha era sicuramente meno scientifica e razionale,
anche se certamente anch’essa avesse una sua logica. Probabilmente sarebbe
stato il metodo a cui lei si sarebbe affidata se fosse stata il serial killer.
Più volte nella sua vita si era resa conto che calcoli e probabilità non
valevano certo per qualunque cosa, non potevano ovviamente potersi applicare a
tutte le situazioni e a tutti i contesti.
Non si poteva sempre fare affidamento solo e soltanto sulla propria parte
razionale, perché sicuramente, prima o poi, questa avrebbe fallito miseramente
e ti avrebbe trascinato sul fondo.
Samantha credeva di sapere perché Sherlock non avesse scelto la pillola che il
serial killer gli aveva offerto.
Conosceva molto poco Sherlock Holmes e certamente la fama che lo precedeva non
aiutava molto a capire il vero animo del Consulting Detective. Quello che però
poteva dire di sapere per certo, era che non fosse una persona che si facesse
guidare facilmente: non si sarebbe certamente piegato al volere del primo
venuto, figuriamoci a quello di un serial killer o pseudo tassista che si
diverte ad avvelenare i propri clienti. Sherlock
deve aver capito il suo gioco e così, quando egli gli ha offerto la
pillola innocua, il detective ha preso l'altra, attuando il
ragionamento del
"quinto bluff". Era un ragionamento astuto e Samantha si compiacque
di averci pensato. Sarebbe stato esattamente il ragionamento che
avrebbe messo
in atto lei, qualcosa che mescola psicologia e probabilità insieme, un
vero
capolavoro. Il trucco era molto semplice: conosci Moriarty e conoscerai
la
risoluzione al puzzle. A Moriarty era sempre piaciuto giocare con le
sue
vittime, pressappoco come fa il gatto con la sua preda prima di
mangiarsela: la
tormenta, sfinendola, per poi darle il colpo di grazia. Il ragionamento
era
molto interessante e consisteva nel attuare un numero di bluff pari al
numero
di vittime uccise; in parole povere si sceglie come pillola di
riferimento
-cioè quella benevola- quella che non viene offerta al soggetto,
dopodiché si attua un doppio
bluff se è il secondo soggetto su cui si applica quella strategia, un
triplo
bluff se è il terzo soggetto e così via. Sherlock sarebbe stato il
quinto
soggetto e quindi, facendo i conti, la pillola benevola sarebbe stata
quella non offertagli, esattamente quella che il detective aveva
scelto. Bravo Sherlock
Holmes, il caro ragazzo sarebbe sopravvissuto alle insidie di Moriarty.
Samantha non sapeva se stesse sopravvalutandolo attribuendogli la
consapevolezza di aver scelto la pillola innoqua; poteva anche essere
che ne fosse ignaro, che avesse solo avuto fortuna. Certo, poteva anche
essere che il ragionamento di Samantha non fosse corretto, ma lo
riteneva davvero improbabile, anche perché alla fin fine tutto sembrava
quadrare. Infatti il buon tassista aveva insistito nell'ingerire la
propria pillola, sfidando Sherlock a fare altrettanto. Perché avrebbe
dovuto volerlo, se non per togliersi la vita? Ormai a quel punto aveva
capito che a breve sarebbe stato
accerchiato dalla polizia e che sarebbe finito in prigione per il resto
della
sua breve vita, dunque deve aver preferito andarsene da questo mondo in
maniera
dignitosa, diventando da carnefice la vittima della sua stessa
trappola,
ingerendo la pillola mortale. Samantha non poteva certo biasimarlo,
probabilmente avrebbe fatto lo stesso: quale modo migliore di andarsene
che
avvelenati dalla propria velenosità? D'altronde era la fine che
Samantha da
sempre si aspettava di fare, era sicura che non sarebbe potuta andare
diversamente la sua morte.
Stava ancora camminando mentre faceva queste considerazioni e lo scorgere la
cabina telefonica accennata nel messaggio di Moriarty le fece capire che era
quasi arrivata alla sua meta.
Si avvicinò ad essa per controllare se fosse effettivamente quella indicata: la
grande “M” pitturata su di essa con una bomboletta spray glielo confermò. Che
esibizionista.
Si guardò attorno per vedere se ci fossero suoi scagnozzi nelle vicinanze, ma
le sembrava che fosse tutto estremamente tranquillo, forse anche troppo.
Guardando alla sua destra notò un ragazzino che avrà avuto sì e no nove anni,
il quale stava attraversando la strada tenendo stretta la mano di sua madre.
Era un bambino dai capelli ricci e folti che stringeva possessivamente nella
sua manina una lente di ingrandimento. Samantha involontariamente sorrise: non
avrebbe saputo dire esattamente che sensazioni le fece provare vedere quella
scena… pensieri felici senza dubbio, ma comunque… strani e diversi. Le ricordò
i suoi genitori e la piccola lente di ingrandimento che le avevano regalato a
cinque anni: quanto amava quella lente da bambina, per lei era stato il regalo
più bello del mondo. Si ricordava esattamente la sua felicità nello scoprire
che sotto la carta dorata del pacchetto si celava una bellissima e lucidissima
lente. Qualsiasi altro bambino avrebbe preferito una macchinina, una bambola o
un animaletto di pezza, ma tutte quelle cose non l'avevano mai interessata; lei
era curiosa, amava le scoperte e voleva analizzare anche i più piccoli dettagli
e credeva, nella sua mente di bambina, che possedere una lente l'avrebbe resa
la più brillante investigatrice del mondo e che avrebbe potuto scoprire tutte
le verità più nascoste. Doveva avercela ancora da qualche parte, di sicuro non
l'aveva buttata via: non si sarebbe mai separata da un ricordo così prezioso
per lei. Ma questo ricordo, evocato così all'improvviso, portò con sé un
retrogusto amaro, una punta di turbamento: le riportò alla mente il fatto che i
suoi genitori non fossero con lei, ma in pericolo sotto le grinfie di Moriarty
e sapeva che era tutta colpa sua; era stata lei che invece di utilizzare il suo
talento per il bene aveva preferito fidarsi dell' uomo più pericoloso che
avesse mai conosciuto... e perché? Perché era ingenua e desiderosa di
contravvenire alle regole. Perché smaniava di conoscere il lato oscuro
dell'uomo, ciò che lo rende crudele e assassino. Sospirò pesantemente. Non
poteva permettere che quei ricordi la rendessero debole, doveva resistere, solo
così avrebbe potuto salvare i suoi genitori da morte certa.
Stava per proseguire lungo la via quando, ancora prima che se ne rendesse
conto, si ritrovò una mano davanti alla bocca, mentre possenti braccia la
stringevano da dietro. L’odore del cloroformio era nauseante e per quanto cercasse
di divincolarsi era comunque molto più debole del suo aggressore. Il panno
imbevuto le veniva pressato contro la bocca ed il naso ed improvvisamente si
sentì mancare. Non fu abbastanza svelta da reagire o da guardare in faccia chi
fosse l’uomo, che era già sprofondata in un sonno profondo.
***
Al suo
risveglio ci fu un doloroso mal di testa ad accoglierla ed una residua
sensazione di nausea che sembrava non volerla lasciare. Aprì lentamente gli
occhi, redendosi conto di trovarsi completamente distesa a terra, su un
pavimento freddo e duro. Cercò di capire dove fosse, senza ancora però trovare
la forza di alzarsi; intravide da distesa delle ruote di una grande auto nera a
circa otto metri di distanza da lei. Provò a muoversi, ma sentì una resistenza
al polso sinistro. Spalancò gli occhi, alzandosi in piedi con un movimento
brusco, tanto che la vista le si offuscò brevemente a causa del movimento
repentino. Si guardò il polso sinistro: era ammanettata ad un tubo verticale
scoperto. Si guardò intorno e vide per intero la berlina nera in mezzo a quello
che sembrava essere un grande parcheggio, sfortunatamente per lei interamente
vuoto, eccetto per quell’auto nera parcheggiata proprio al centro.
“Sveglia
sveglia mia piccola addormentata”
Samantha si
irrigidì: si girò verso la voce alle sue spalle per riconoscere il volto del
ben noto consulente criminale. Indossava un completo grigio ed una cravatta
bianca a cui era attaccata una spilla a forma di volpe. Era incredibile come
quell’uomo potesse risultare minaccioso anche indossando un colore diverso dal
nero. Era impeccabile come sempre, ma non per questo privo di dettagli
rivelatori: dei piccoli residui di cenere sui pantaloni indicavano che avesse
fumato una sigaretta da poco e che quindi fosse stato sottoposto ad una
situazione stressante (Samantha sapeva che fosse solito fumare soprattutto per
rilassarsi dopo una situazione particolarmente difficile), le piccole occhiaie
sotto agli occhi mostravano che non avesse dormito regolarmente da almeno due
giorni, se non tre; stranamente le date sembravano combaciare con il loro
ultimo incontro. Quella situazione doveva davvero renderlo parecchio nervoso
per riuscire a togliergli il sonno. Che cosa mai avrebbe potuto volere da
Sherlock Holmes? Ma soprattutto, cosa che lei potesse procurargli?
Osservandolo ancora notò anche, dettaglio molto più interessante, che sulle sue
scarpe nere c’erano residui di fango fresco; quindi, probabilmente il giorno
stesso, il caro consulente criminale si era concesso una piccola gita in
campagna. Qual era l’unico luogo abbastanza vicino da poter essere raggiunto in
giornata e che a Moriarty sarebbe importato di visitare personalmente? Era
ovvio. La villa dei genitori di Samantha. Ebbe l’impellente desiderio di
saltargli al collo.
Si scambiarono uno sguardo gelido e penetrante, che sembrava dire “so che tu
sai, te lo posso leggere negli occhi”. Moriarty sorrise serafico.
“Grazie
per avermi drogata nuovamente e portata in un luogo ancora più buio del
precedente. Stai davvero cominciando a viziarmi”
Moriarty
distorse il suo sorriso in un ghigno, avvicinandosi di qualche passo alla
ragazza.
“Anche
tu mi sei mancata”
Rispose
languido.
“Scusami
per quella precauzione”
Disse
indicando le manette al polso di Samantha.
“Ma mi
mancava vederti così docile e soprattutto vincolata al mio cospetto”
Samantha
sorrise, portandosi indietro i capelli.
“Deve
sempre finire così tra noi due? Io, te… e le manette”*
Dette uno
strattone al palo a cui era legata con il braccio sinistro, facendo tentennare
le manette, che fecero risuonare il loro eco metallico per tutto il parcheggio.
"Vedo
che ti sei ferita. Cerchi di modulare il peso per non farlo gravare sul piede
sinistro. Problemi ad evadere dal 221B? Sherlock ti tiene al guinzaglio per
caso?"
Samantha non
rispose e Moriarty colse l'occasione per avvicinarsi ulteriormente,
stringendole con le lunghe dita il braccio destro. Studiò l’espressione della
ragazza e vedendo che essa non sembrava spaventata, ma al contrario,
completamente rilassata, colse l’occasione per avvicinarsi al suo orecchio e
succhiarle il lobo sinistro.
“Ti
sono mancato, non è vero?”
Samantha
si sentì in trappola, come sempre con lui.
Continuava a chiedersi se le fosse mancato, se davvero Moriarty avrebbe potuto
mancarle in quei due lunghi anni. Non poteva… giusto?
Il consulente criminale passò a baciarle il collo, con baci leggeri e
ravvicinati, scostandole prima la manica della maglia per poterle baciare la
spalla e poi la spallina del reggiseno.
Samantha a quel punto si divincolò, allontanandosi di un passo da lui.
Moriarty non disse niente, si limitò a sorridere maligno, squadrando la ragazza
da capo a piedi.
“Perché
rapirmi? Potevi chiamarmi per riferirmi le tue informazioni”
“Che
cosa impersonale le chiamate da cellulare, preferisco molto di più il contatto
diretto”
Calcò
molto sulla parola “contatto”, cominciando a camminare avanti a sé con le mani
infilate nelle tasche dei pantaloni.
“Volevo
vederti dato che l’ultimo nostro incontro non si è concluso nel migliore dei
modi…”
“Si è
concluso esattamente come questo è iniziato, cioè con me drogata e trascinata
in luoghi dove non avrei ragione di stare”
“Ma
come, pensavo gradissi la mia compagnia”
Sorrise
nuovamente, portandosi due dita alle labbra.
“La
gradirei molto di più se fossi lucida e soprattutto non legata”
Si
avvicinò a grandi passi a Samantha, cingendola violentemente da dietro,
stringendole possessivamente i fianchi e poggiando la testa sulla sua spalla,
facendole sentire il suo respiro affannato.
“Ma è
proprio questo il bello Samantha”
La
baciò nuovamente sul collo, due soli baci, dolci, morbidi come le sue labbra e
passionali come lo era lui.
"Ricordami
perché non ti ho ancora scopata Sam, muoio dalla voglia di farlo"
"Forse
eri troppo impegnato a cercare un modo per uccidermi"
"Ah
già, quasi lo dimenticavo"
"Eppure
non ci sei mai riuscito"
"Forse
non ci ho mai davvero provato"
Un brivido
le percorse la schiena.
Perché non riusciva a rifiutare quei baci? Perché non si divincolava, perché
non urlava in preda al panico? Pensava che avrebbe dovuto, che la cosa giusta
da fare sarebbe stata quella di allontanarsi da lui, cercando una via di fuga…
ma quei baci, quella voce… si sentiva completamente nelle sue mani, vincolata
non solo dalle manette al polso, ma anche dalla sua personalità magnetica. Quei
baci la irretivano, le impedivano di ragionare razionalmente, non riusciva a
rendersi conto che fosse l’uomo più pericoloso della terra a cingerle i fianchi
e a baciarla vogliosamente. O forse era proprio la consapevolezza che lo fosse
ad impedirle di rifiutarlo; dopotutto il pericolo l'aveva sempre attirata, no?
E magari il sapere che fosse pericoloso la spingeva inconsciamente a fare
proprio la cosa sbagliata.
Voleva solamente rimanere lì, congelata in quell’istante di tempo, cancellare
tutte le vittime innocenti del consulente criminale, denudandolo di tutti i
suoi misfatti per potersi sentire nel giusto a voler prolungare quei baci. Ma
non esisteva un modo per fare tutto ciò, i morti non sarebbero risorti ed i
suoi crimini non sarebbero stati ripagati e di conseguenza non sarebbe mai
potuta essere nel giusto nel lasciarsi baciare da quell’uomo.
Lo odiava e lo desiderava allo stesso tempo ed era sicura che lui provasse lo
stesso nei suoi confronti.
Pensò ai suoi genitori e a quello che Moriarty minacciava di fare loro; pensò
anche al rossetto di Irene Adler sul suo colletto e a quello che la stava
costringendo a fare. Si divincolò una seconda volta dalla sua stretta da
serpente, questa volta però con il cuore che le batteva all’impazzata e non
riuscendo a mantenersi calma.
“Hai
ragione, avremo molto tempo per parlare di questo in futuro. Concentriamoci su
Sherlock adesso”
Il
nome del detective la fece sussultare visibilmente: con quella conversazione
era come se fosse precipitata improvvisamente in un'altra dimensione,
dimenticando completamente la realtà. Per un attimo si era dimenticata di
Sherlock Holmes e del 221B, come se fossero spariti nel nulla, in una realtà
non facente parte della sua vita, come un debole ricordo lontano.
Fece un profondo respiro stringendo i pugni.
“Ho
toccato forse una nota dolente?”
Samantha
distolse lo sguardo, sistemandosi la spallina del reggiseno e la manica della
maglietta.
“Hai
sussultato quando ho pronunciato il suo nome. Ti piace, vero?”
Lei lo
guardò sconvolta, facendo una smorfia disgustata.
“No!
Certo che no! E’ solo un pallone gonfiato!"
“Ma è
intelligente e questo ti piace”
“Sarà
anche intelligente, ma sicuramente non sa niente della natura umana”
“Mi
ricorda qualcuno di mia conoscenza, non credi anche tu Sam?”
La
ragazza lo guardò di sbieco, facendo una smorfia disgustata. Dannazione a lui.
“Mi
piace quanto a te piace la cara Irene Adler. Non vorrei essere io ad informarti
di ciò, ma lo sai vero che lei e Sherlock hanno avuto un flirt?”
“Se
toccarsi a vicenda il polso vuol dire avere un flirt, allora io e te siamo
sposati Samantha”
La
ragazza tremò alla sola idea.
“A me
pareva molto di più di una toccatina di polso, sai? A lei piaceva e lui, anche
se a modo suo, la ricambiava. Ho trovato... per caso naturalmente, la
trascrizione di alcuni messaggi che si sono spediti. Lei non faceva altro che
invitarlo "a cena". Ma quella donna smette mai di
pensare al sesso?"
“Irene
è una donna affascinante, riuscirebbe a conquistare tutti, uomini e donne”
“Io la
trovo abbastanza bruttina a dire la verità”
Moriarty
puntò i suoi occhi su quelli di Samantha, sorridendole maliziosamente.
“Gelosa?”
“Di
Sherlock?! Assolutamente no!”
“Lo
capisco quando menti”
“Ma
per favore”
“Ne
sei attratta, è ovvio. Ma d’altronde l’avevo previsto”
“Questa
volta le tue predizioni non si sono avverate Jim, perché non sono
attratta da Sherlock Holmes, non lo sono e non lo sarò mai”
“Staremo
a vedere”
Ci fu una
pausa, durante la quale si sentì un rumore metallico, come di un attrezzo che
fosse caduto, che allertò immediatamente Moriarty.
“Forse il
motivo per cui non vuoi ammettere che Sherlock abbia avuto un flirt con La
donna è perché la vorresti tutta per te e non certamente nel letto del tuo
acerrimo nemico, dico bene? Comunque non credere che sia così sciocca da non
aver notato la macchia di rossetto sulla tua camicia l’ultima volta che ci
siamo visti”
Moriarty
strinse il pugno della mano destra, chiaro segno che non fosse preparato ad una
frecciata del genere. Samantha si sentì soddisfatta di se stessa.
“So
che ti sarebbe piaciuto che quel segno di rossetto fosse il tuo”
Ribatté
immediatamente, ritrovando subito la sua precedente calma.
“Siete
andati a letto?”
Non le
interessava davvero saperlo, ma sembrava che avesse scoperto una nota dolente e
le piaceva mettere il dito nella piaga. Ora era il suo turno di tormentarlo.
“Ho
fatto ciò che Sherlock Holmes il verginello non era riuscito a fare”
“Sarà
anche un “verginello” come dici tu, ma secondo me ci saprebbe fare a letto. Saprebbe
come far godere una donna.** I musicisti sanno fare cose incredibili con le
loro dita…”
“E
scommetto che ti piacerebbe davvero molto testare quelle dita su di te,
dico bene?”
“Sto
solo facendo un’ osservazione”
“Nulla
di quello che dici è mai solo un'osservazione”
Samantha
ingoiò rumorosamente. Quella conversazione si stava trasformando in qualcosa di
ridicolo ed aveva intenzione di porci la parola fine il prima possibile:
era da quando avevano iniziato a parlare che stava armeggiando con la chiusura
delle manette e finalmente era riuscita a farla scattare. Jim avrebbe dovuto
sapere che nessuna serratura sarebbe rimasta a lungo chiusa essendoci lei nei
paraggi.
Samantha non perse un attimo: si liberò definitivamente delle manette e saltò
addosso al consulente criminale.
In breve si ritrovarono entrambi a terra, coinvolti in una lotta senza
esclusione di colpi. Era riuscita per un attimo a bloccarlo a terra,
guadagnandosi così l’occasione di prendergli dalla tasca della giacca la
pistola, ma lui fu più veloce di lei ad atterrarla nuovamente e a posizionarsi
sopra di lei, lanciando l’arma lontano dalla portata della ragazza.
Samantha lottò con tutte le sue forze per contrastare Moriarty, ma lui
conosceva i suoi punti deboli ed in breve riuscì a bloccarle le braccia a
terra, tenendola strettamente per i polsi.
Avevano entrambi il respiro affannato per lo sforzo e Samantha sentiva che il
cuore stava per esploderle nel petto. Non sapeva esattamente perché l’avesse
fatto: in che altro modo si sarebbe potuta concludere quella lotta se non con
la sua sconfitta? Non gli avrebbe mai davvero sparato e sapeva di non aver
provato fino in fondo a vincere. Gli aveva lasciato la vittoria in previsione
della sua futura vincita. Che gioisse finché poteva, perché sarebbe stata lei a
ridere per ultima.
“Mi
chiedevi perché dovesse sempre finire con le manette tra di noi. Beh, adesso
hai avuto la tua risposta”
“Non
fare finta che non ti piaccia stare sopra di me”
“Infatti
non mi piace… lo adoro. Dovremmo farlo più spesso, magari però coinvolti in
attività più... stimolanti"
Si
avvicinò al viso della ragazza baciandole l’angolo della bocca e leccandole
sensualmente il labbro inferiore.
“Dimmi
che cosa dovevi dirmi e falla finita Jim! Basta con questi trucchetti”
Disse
lei, mentre cercava di liberarsi i polsi dalla sua salda presa.
“Non
sei cambiata per niente, sei sempre stata selvaggia, uno spirito libero.
Ricordo ancora quando eri solo una ragazzina ed io ti insegnai l’arte del
crimine. Eri meravigliosa sin d’allora ed imparavi così in fretta. A quel tempo
credevo davvero che un giorno avremmo potuto lavorare insieme, fianco a fianco,
come una vera squadra vincente”
“Sai
benissimo che quei tempi sono finiti e sai meglio di me che non ritorneranno
mai più! Ma su una cosa hai ragione: allora ero solo una ragazzina, ma ora sono
cresciuta e lotterò fino al mio ultimo respiro per contrastarti!”
“Samantha,
ma non capisci che ti desidero? Ho bisogno di te, ora più che mai. Ho bisogno
che tu sia dalla mia parte in questa battaglia, devo sapere di potermi fidare
di te”
Le si
avvicinò pericolosamente al viso, sfiorandole le labbra e facendole sentire il
suo respiro sulla sua pelle.
“Per
favore basta! Per favore…”
Non
aveva mai chiesto pietà a Moriarty, ma non riusciva davvero più a sopportare
tutta quella situazione. Lui poteva pretendere che lei lo aiutasse, che
ingannasse Mycroft Holmes, che imbrogliasse Sherlock… ma non poteva chiederle
di tornare indietro… non poteva.
Fu tutto molto veloce: in un attimo Samantha riuscì a liberare il polso
sinistro dalla stretta di Moriarty e a sfuggire dalla sua presa. Si alzò,
correndo affannosamente verso la pistola che era stata lanciata
precedentemente: sentiva che lui le era alle spalle, ma sembrava non
importarle. Voleva solamente finirla lì, desiderava che tutto si concludesse
quel pomeriggio.
Arrivò alla pistola, la prese in mano: tremava tutta e James Moriarty era a
meno di un passo da lei; la canna della pistola praticamente toccava il petto
dell’uomo, proprio all’altezza del cuore.
Lui non fece niente, era perfettamente calmo, con appena un accenno di fiatone.
Fissava Samantha dritto negli occhi senza tentennamenti.
“Sparami
Samantha. Adesso o mai più, giusto? I tuoi genitori sarebbero salvi, anche
Sherlock Holmes sarebbe salvo… sarebbero tutti salvi.
Ma tu Samantha? Saresti salva anche tu? Pensaci bene. In questo garage
saranno presenti come minimo cinque telecamere di sicurezza. Secondo te quanto
ci metterebbero a capire che sei stata tu ad uccidermi? Dieci? Quindici minuti?
Con la lentezza con cui opera Scotland Yard magari anche venti”
“Ti
ricordo, nel caso te lo fossi dimenticato, che sono un’hacker, posso
tranquillamente eliminare il contenuto dei nastri di sicurezza e nessuno
saprebbe mai che sono stata io a commettere il tuo omicidio. Ma sai la cosa più
bella? Nessuno si scomoderebbe ad indagare sulla tua morte, caro consulente
criminale, e se anche lo facessero non mi vedrebbero certo come un'assassina,
ma come una salvatrice"
"Ne sei
davvero così sicura? Secondo te John Watson ti vedrebbe come una salvatrice? Un
medico che ha salvato centinaia di vite umane durante la guerra? E Sherlock?
Sul serio credi che ti sarebbe riconoscente per aver ucciso il suo acerrimo
nemico? Perché credi che non l'abbia ancora fatto lui? Perché si diverte,
ama questo nostro piccolo gioco.
Inoltre lo sai che non faresti altro che ricordargli se stesso: presto
comincerebbe ad odiarti, molto di più di quanto non lo faccia già adesso. Un
odio viscerale, che crescerebbe in lui di giorno in giorno, sempre più cattivo
e sempre più nero. Un odio inconscio che il buon consulente investigativo non
potrebbe riuscire a contrastare neanche se lo volesse"
"Stai
zitto! Non è vero! Smettila!"
"Credi
che ti mentirei? Suvvia Sam, non fare la bambina. Guarda in faccia alla realtà.
Senza di me saresti sola, completamente. Mi sono sempre preso cura di te, fin
da quando eri una ragazzina sprovveduta e adesso guardati! Sei una donna forte,
capace di impugnare un arma ed uccidere a sangue freddo! Ti ho resa
meravigliosa!"
"Tu mi
hai resa un mostro! Non vorrei essere così, non dovrei essere così... tu
mi hai resa ciò che sono, una criminale, un'assassina, e non posso
cambiare il mio passato, ma posso provare a cambiare il mio futuro, e quello di
cui sono certa è che non ti ci voglio!"
"Non
avresti nessun altro! Hai solo me!"
"Tu non
sai niente! Smettila!"
Una lacrima
minacciava di scendere lungo la sua guancia, ma la ricacciò indietro: doveva
mantenere la calma, non poteva perdere il controllo adesso. Moriarty stava
premendo apposta sui suoi sentimenti più celati per farla cedere, per
distruggerla pezzo dopo pezzo, ma non doveva permetterglielo.
"Ma
davvero Sam, quante vittime innocenti saresti disposta a sacrificare? Non siamo
soli in questo garage, per precauzione mi sono portato dietro qualche amico.
Civili, persone totalmente innocenti, che non farebbero del male neanche ad una
mosca, legate e controllate da miei uomini che hanno l'ordine preciso di
ucciderle al mio comando"
“Stai
bluffando, non può essere”
“Correresti
davvero il rischio Sam? Sul serio?”
Avrebbe
voluto premere il grilletto, farla semplicemente finita. Sembrava tutto così
semplice: se avesse premuto il grilletto tutto sarebbe finito e James Moriarty
sarebbe morto. Mille altre potenziali vittime innocenti sarebbero state
salvate: che cos'era la vita di quelle due persone rispetto a quella di
centinaia?
Si bloccò improvvisamente, spaventata dai suoi stessi pensieri: davvero stava
facendo questo calcolo? Che diritto aveva lei di decidere della vita di altre
persone? E se quelle persone avessero avuto una famiglia? Magari dei figli...
Il mondo sembrò fermarsi per un istante: sentiva solamente i battiti forsennati
del suo cuore ed il suo respiro pesante, nulla più. Le bruciava la testa,
l'adrenalina e la paura si erano unite in lei creando una tempesta terribile,
una di quelle in grado di radere al suolo intere città, quelle che sembra
impossibile che si concludano.
Ma davvero sarebbe stata in grado di ucciderlo a sangue freddo? Davvero sarebbe
riuscita a comandare alla sua mano di premere il grilletto? Sul serio sarebbe
riuscita a sopravvivere alla vista del suo sangue che gli scorre sulla camicia
e davvero sarebbe riuscita a guardare la luce nei suoi occhi che piano piano si
spegne? Vedere le sue labbra che esalano l'ultimo respiro ed il suo corpo
esanime accasciato per terra?
Solo un’altra volta nella sua vita era stata obbligata a commettere un atto
così osceno e disumano, un fatto che l'aveva segnata dolorosamente e che e
si era ripromessa di non fare mai più. Il ricordo di quella fatale notte non
faceva che tormentarla sia di giorno che nei sogni; come avrebbe potuto
sopportare anche la morte di Moriarty, operata dalle sue stesse mani? No, non
si sarebbe abbassata al suo livello, non lo avrebbe fatto vincere così.
Lei voleva la vittoria, ma sicuramente non le interessava ottenerla in quel
modo.
Con un movimento improvviso lanciò la pistola lontano, sentendo tutto il
rimbombo provocato dal suo tonfo sul duro cemento. Aveva intenzione di
barattare , offrirgli un'alternativa alla sua morte; si rese conto che l'unica
cosa che voleva in quel momento era proteggere le persone che Moriarty le
chiedeva di ingannare, non voleva che soffrissero come aveva fatto lei e
soprattutto non intendeva assolutamente essere la responsabile di altre morti.
Perché per quanto Sherlock Holmes fosse un pallone gonfiato pieno di sé,
insopportabile, pretenzioso, egocentrico e senza un briciolo di sentimento, Samantha
sapeva che fosse un buon uomo, in fondo, e che non si meritasse di essere
ingannato a quel modo. Non da lei almeno, non da Moriarty.
“Promettimi
solo una cosa Moriarty, solo una. Non uccidere Sherlock Holmes. Nessuna
persona a lui cara. Promettimi che le risparmierai, che loro vivranno e che le
lascerai in pace. Finirò il lavoro, ti darò ciò che vorrai, ma tu me lo devi
promettere”
Moriarty la
guardò con i suoi occhi neri e morti, profondi come una gola abissale, scuri
come il più nero dei segreti. La fissò ancora per qualche secondo, in silenzio,
osservandola attentamente, come se quella fosse per lui la prima volta:
sembrava volesse imprimersi nella memoria l'immagine di Samantha, la figura
della persona che era diventata.
Ma non le rispose.
Distese la sua espressione in un ghigno malvagio; si girò, dandole le spalle, e
si mise le mani nelle tasche dei pantaloni, avviandosi verso la berlina nera.
Camminava come se nulla fosse successo, come se Samantha non gli avesse appena
puntato una pistola al petto minacciandolo di premere il grilletto.
Canticchiava fra sé e sé una cantilena, di cui Samantha sentì solo alcune
parole. La sua voce rimbombava nel garage vuoto, risuonando inquietantemente
nella testa della ragazza:
“Tick
tock, goes the clock
You’ll be
the death of Sherlock
Oh, sleep
well my gentle lady
Your kiss is
fake already
May God rest
his soul
For I still
owe him a fall”
“Tick
tock, fa l’orologio
Porterai
Sherlock alla sua tomba
Oh, dormi
bene gentile fanciulla
Il tuo bacio
è già così artefatto
Che Dio
abbia pietà della sua anima
Poiché gli
devo ancora una caduta”
***
Era distesa
sul divano del 221B, massaggiandosi le tempie e guardando insistentemente il
soffitto, come se lì avesse potuto trovare la risposta a tutti i suoi problemi.
Era come se non si fosse mai mossa da quel punto, come se non avesse mai
lasciato il 221B. Tutto ciò che le era accaduto nel giro di quelle poche ore
era stato accantonato, quasi rimosso, i ricordi soffocati da altri ricordi,
rinchiusi tutti in una stanza del suo Mind Palace. Aveva chiuso la porta a
chiave e non l’avrebbe riaperta più, a meno che non fosse stato strettamente
necessario.
Per lei era meglio così. In questo modo si sentiva più al sicuro, più serena e
meno spaventata dal futuro orribile che sapeva attenderla.
Chiuse gli occhi. Quella canzoncina non faceva che risuonarle nella mente,
uccidendola, facendola sentire sola più che mai.
Sola ed in balia di se stessa.
Non ci sarebbe potuta essere cosa peggiore.
Si alzò bruscamente dal divano, scostando un ciuffo di capelli che le era
finito davanti agli occhi. Fece un profondo respiro ed estrasse dalla tasca
della vestaglia una spilla. Sorrise.
Samantha non era una sciocca; non era certo saltata addosso a Moriarty per
rabbia o per vendetta o per cercare di fuggire. Certo che no. Perché avrebbe
dovuto? Non avrebbe avuto alcuna possibilità di riuscita un piano del genere e
sicuramente non avrebbe giovato alla sua situazione.
L'aveva fatto apposta. Prendi in contropiede il tuo nemico, fai ciò che meno si aspetta. Sorprendilo.
Si rigirò quella spilla argentata a forma di volpe tra le mani, osservandone
ogni minimo dettaglio, ogni scalfittura, ogni segno lasciato dal tempo.
Quanto era stata brava, davvero impeccabile. Era riuscita a prendergliela poco
prima che lui le bloccasse i polsi a terra ed il bello era non si era accorto
di nulla.
Era dunque riuscita a mettersela nella tasca dei pantaloni, senza destare alcun
sospetto.
Sorrise nuovamente guardando la piccola spilla ormai in suo possesso. Si
sorprese nel constatarlo definitivamente: lei aveva un piano, o almeno,
stava cominciando ad averne uno.
Ora doveva solamente trovare un nascondiglio per la spilla.
Sapeva che Sherlock fumasse, così si mise a cercare il suo pacchetto di
sigarette e stranamente le ci volle più del previsto. Qualcuno doveva
avergliele nascoste, non poteva essere altrimenti.
Quando lo ebbe finalmente trovato, lo tolse dal nascondiglio mettendo al suo
posto la spilla.
Sorrise euforica mentre raggiungeva la cucina con l’intento di prepararsi una
buona tazza di caffè.
In fin dei conti se l’era meritata.
*Un'altra citazione di River Song... scusate, ma non riesco a resistere!
**Benedict
Cumberbatch docet. Frase detta proprio da lui in un'intervista. Se non
l'avete ancora letta, vi consiglio caldamente di farlo. Qui c'è il
link:
http://www.elleuk.com/now-trending/benedict-cumberbatch-talks-sherlock-and-sex
(sì, dovete copiarlo e incollarlo nella barra delle ricerche... abbiate
pietà della mia anima, sono una vecchina a cui è stato affidato un
computer. Ho problemi a mettere delle immagini nei capitoli,
figuriamoci ad aggiungerci dei link!)
Angolo autrice
inquietata: Riciao cari lettori. Spero di non avervi inquietato troppo
con questo capitolo. Mi auguro che vi sia piaciuto almeno la metà di
quanto mi sia divertita a scriverlo. Sto passando un periodo un po'
stressante e mettermi a scrivere al computer, riuscendo finalmente a
mettere per iscritto qualcosa, mi ha fatto sentire veramente
soddisfatta di me stessa ed in un certo senso mi ha aiutata a
rilassarmi. Voglio ringraziare davvero di cuore tutti
quelli che hanno messo tra le preferite/seguite/ricordate la mia
storia, mi date la forza di andare avanti! Grazie, grazie, grazie!
Auguro a tutti una buona giornata. Alla prossima!
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