Only fool fall for you

di Luxie_Lisbon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Wild ***
Capitolo 2: *** Fools ***
Capitolo 3: *** Talk me down ***



Capitolo 1
*** Wild ***



 
https://www.youtube.com/watch?v=fdXNNveYOfU
 
Avverto i raggi del sole penetrare nella mia pelle. Mi scaldano, come mai prima di allora. Sembra quasi di essere in un sogno, un universo formato da stelle, luci colorate, universi. Quanto vorrei che questo luogo cambiasse, quanto vorrei ritrovarmi in un mondo in cui posso davvero vivere, non sopravvivere.
Il sole non mi piace, non mi è mai piaciuto, eppure avverto nel petto una strana ed intensa sensazione, come se fossi pronto a spiccare il volo. Apro le braccia, concentrandomi sui colori, sui suoni attorno a me, devastato dal dolore, dipinto da un colore che non mi dovrebbe appartenere. Il mio cuore è pesante, pesantissimo, assomiglia a un macigno.
Vorrei conservare un ricordo nella mia mente, un qualsiasi frammento di essere, un misero pezzo di cielo. Quello stesso cielo che osservavo assieme a lui. Di notte, di giorno, sempre. Soltanto un pazzo sarebbe disposto a cedere, a fare una cosa del genere. Un pazzo privo di futuro, il cui passato tenta di emergere ma il presente non glielo permette. Un pazzo infelice e privo di voglia di vivere.
Compio uno strano passo, ora. Mi sento pronto, appagato. Non mi resta più niente, soltanto il delicato ricordo delle sue mani su di me, delle sue labbra. Forse, in qualche modo, sarò cullato dalle sue carezze passate, nell’universo in cui andrò.
Chiudo gli occhi, sono stanco, posso anche lasciarmi andare. Non ce la faccio più.
 
WILD
Infanzia

 
In questo luogo non ci siamo rivisti, non ho avuto la possibilità di seguire le forme del suo viso con lo sguardo. Credevo di essere in grado di riuscirci, di penetrare nel suo corpo di pura luce per sfiorare la sua essenza, con l’unico desiderio di risentirla ed avvertirla di nuovo. Mi sono sentito smarrito quando se n’è andato, come se la sua scomparsa fosse fatta di pura energia, l’ambiente attorno a noi il cielo, ed io un essere fatto soltanto di carne. Non ero più un conduttore di energia, quel fulmine a ciel sereno mi ha carbonizzato. Per qualche istante ho creduto di essere immerso in un’atmosfera onirica, un sogno, o meglio, un incubo. Ha preso forma davanti a me quando la sua bara è stata chiusa ed il suo viso si è dissolto davanti ai miei occhi.
Conservo ancora un ricordo del suo volto pallido, reso più umano dall’uso abbondante del fondotinta. Steso in quel letto comodo e bianco, quel letto che avrebbe ospitato per sempre le sue spoglie mortali. Si sarebbe dissolto, disintegrato, portato al nulla, eterno ed indissolubile dolore nel mio petto.
Io ero più piccolo di lui, credevo che sarebbe vissuto per sempre, credevo che mi avrebbe osservato con il sorriso per sempre, credevo di avere il suo appoggio il giorno in cui, magari, mi sarei sposato. Ma non esiste più niente, è andato via, ed io, ora, sono qui, da solo, a vorticare in un universo fatto di pura luce, isolato.
Non pensavo a lui però, quando ho scelto la via più egoista. Non pensavo a lui nel momento in cui ho chiuso gli occhi e mi sono lasciato andare. Ci ho riflettuto in seguito, quando ho riaperto gli occhi e una luce accecante mi ha abbagliato, togliendomi quasi la vista. L’ho cercato, invano. Lui, non è accanto a me. Chissà in che cosa si è reincarnato. Spero in una bellissima bambina, nella figlia che spero lui darà alla luce. O adotterà.
Lui.
Avrei voglia di rivederlo, ma starà piangendo ora, devastato dalla mia perdita. Mi chiamerà nel cuore della notte, aspettando il mio ritorno che non ci sarà più. Vorrei andare da lui e restargli accanto, ma devo restare qui, nella luce. Quando scivolo a terra, avvolto dal sole, mi siedo e avvolgo le mie gambe con le braccia.
La mia mente assomiglia ad un foglio di carta ora. È bianco, bianchissimo, poi dei tratti di matita leggeri lo macchiano, dando forma ad immagini sepolte nella mia memoria. Vorrei chiudere gli occhi, per non soffrire, ma devo riviverle, in qualche modo. Osservo i colori, un rosso scuro, un azzurro, un giallo, un nero. Si stanno unendo per dare vita a figure appartenenti al passato.
Figure, voci e colori che mai avrei pensato di rivivere da spettatore.
 
In quell’asilo, Takanori non avrebbe mai creduto di trovare un amico. Un bambino molto simile a lui, con gli occhi scuri, i capelli lunghi e neri, una pelle quasi olivastra, calda. Takanori aveva pensato che, se mai avesse appoggiato la sua manina sul braccio di Akira, si sarebbe scaldato. Aveva sempre tanto freddo, e la pelle di Akira doveva essere molto calda.
Mentre giocava con le macchinine, circondato da altri bambini giocosi e allegri, Takanori aveva alzato lo sguardo dal pavimento, e aveva visto Akira fissare con agonia uno dei palloni raccolti nella cesta. Si era chiesto se giocasse a calcio nelle giornate calde, in quei mesi in cui la mamma ed il papà lo portavano al mare. Akira sembrava essere sempre triste quando un giovane alto e con i capelli biondo cenere lo veniva a prendere alla fine della scuola. Takanori li osservava seduto sul suo camioncino giocattolo. Akira indossava già il cappotto giallo, un cappellino di lana calato sulla testa, seduto su una delle sedie di plastica in fondo alla stanza. Aspettava quel ragazzo biondo che veniva a riprenderlo. Era un ragazzo sempre tanto triste e serio. Takanori si chiese chi fosse. Aveva voglia di chiederlo ad Akira, ma i due non parlavano mai tra loro. Akira non parlava mai nemmeno con gli altri bambini.
Takanori, di sera, steso nel suo lettino con un libro di favole tra le mani, ripensava spesso a quel bambino con il cappotto giallo. Voleva rivolgergli la parola, a tutti i costi, voleva sapere perché mai era così serio.
Un giorno, a l’asilo, si avvicinò a lui con un cerotto colorato tra le mani. Si inginocchiò difronte ad Akira e senza dire una parola appoggiò il cerotto sulle ginocchia magre del bambino. Akira alzò lo sguardo e lo guardò incuriosito.
<< Così ti passa la bua>> aveva detto Takanori, sorridendo timidamente. Akira lo aveva guardato con gli occhi lucidi.
<< Non ho la bua>> disse soltanto, fissando il cerotto sulla sua pelle. Gli piacevano i colori ed i disegni impressi sulla superficie, ma non aveva idea del perché quel bambino con i capelli castani lo avesse premuto sulla sua pelle.
<< Sei sempre qui, solo a guardare noi giocare. Forse hai la bua da qualche parte>> disse Takanori. 
<< Non ho la bua. Sono triste>> rivelò Akira. Takanori non aveva capito il significato di quella nuova parola. Avrebbe voluto chiedere ad Akira che cosa volesse dire, ma le maestre li chiamarono per il pranzo e dovette rinunciare.
Nel pomeriggio Takanori si avvicinò ancora alla sedia di plastica gialla dove era seduto Akira, gli sorrise e gli mostrò la sua manina. Il bambino lo guardò senza capire, gli occhi sempre lucidi.
<< Vuoi venire a giocare con me?>> gli chiese Takanori. Akira sorrise, il suo piccolo cuoricino espose nel suo petto ed annuì, alzandosi dalla sedia e stringendo la manina di Takanori. Lo seguì in cortile, poi si sedette con lui tra l’erba e assieme giocarono con le macchinine.
Quando il ragazzo biondo venne a prendere Akira, Takanori fu molto triste. Credeva di aver finalmente capito il significato di quella parola. Akira piangeva, non voleva lasciare il suo nuovo piccolo amico, ma Takanori lo abbracciò forte prima di lasciarlo uscire dicendogli che lui ci sarebbe stato anche domani. Akira si sentì un pochino meglio, e andò a letto con il sorriso anziché le lacrime.
Stavano sempre assieme, mangiavano seduti a tavola vicini, facevano il riposino stesi sul futon assieme, ogni tanto Takanori stringeva la mano di Akira quando lo sentiva piangere nel sonno. Allora Akira smetteva e sorrideva.
Quando furono abbastanza grandi l’asilo li lasciò andare, ma Takanori non voleva perdere Akira, così chiese il permesso ai suoi genitori di invitarlo a giocare da lui. La sua mamma gli disse che prima dovevano parlare con la mamma ed il papà di Akira. Il bambino disse a Takanori che i suoi genitori erano volati in cielo, e Takanori non capì.
<< Ma quel ragazzo biondo non è il tuo papà?>> chiese Takanori ad Akira.
<< No, è mio fratello>>.
La mamma di Takanori gli accarezzò piano i capelli e gli diede un bacino sulla fronte quando lui le disse che il papà e la mamma di Akira erano volati in cielo. Mentre i due bambini giocavano a rincorrersi nel cortile della scuola materna, la mamma di Takanori parlò con il ragazzo biondo, che accettò di lasciare che il suo fratellino andasse a mangiare a casa di Takanori.
Takanori ed Akira erano così felici. Akira abbracciò fortissimo suo fratello maggiore, dandogli un bacio sulla guancia. Poi la mamma di Takanori gli sorrise e lo prese per mano. Akira si sentì felice. Quella signorina alta e con i capelli lunghi e neri era davvero bella, assomigliava alla sua mamma.
Da quel giorno, Akira andò sempre a casa di Takanori per giocare. Dormì anche da lui. Una volta Takanori sentì Akira piangere accanto a lui, sul lettino, e lo abbracciò forte, dandogli un bacino sulla guancia per fargli passare ancora una volta la bua. Akira dormì serenamente e non fece più incubi.
Quel bacino sulla guancia lo fece sentire strano. Non ne parlò con suo fratello, voleva che fosse un segreto. Quando Takanori si addormentò, una sera di agosto, Akira lo baciò sulla guancia. La pelle del viso di Takanori era davvero fresca e profumata. Akira guardò le labbra del bambino ed ebbe voglia di lasciare un bacino anche lì. Si chinò piano su Takanori, ma il bambino si svegliò spaventando Akira.
<< Che stavi facendo Akira?>> chiese Takanori diventando tutto rosso.
<< Niente, volevo farti passare la bua>> rispose Akira mangiandosi le unghie. Takanori sorrise e tornò a dormire.
I due bambini trascorsero una bellissima estate assieme. La mamma ed il papà di Takanori invitarono Akira al mare. Venne anche suo fratello maggiore. Mentre Akira e Takanori giocavano sulla spiaggia con i loro costumini, costruendo castelli di sabbia e tuffandosi nel mare controllati a distanza dalla nonna di Takanori, i genitori di quest’ultimo e il fratello di Akira ridevano e giocavano a carte sotto l’ombrellone.  Hiroki, però, era sempre più triste, depresso. Per quanto ci provasse non riusciva a trovare un altro lavoro, la sua ragazza lo aveva lasciato, e per sfogare tutta la sua rabbia beveva alcol anche di mattina, non soltanto di pomeriggio e alla sera. I genitori di Takanori si preoccuparono quando i due bambini tornarono dal mare, la nonna di Takanori che stringeva la mano deastra del nipote e la mano sinistra di Akira. Hiroki si alzò, prese con un gesto brusco il braccio di Akira e lo obbligò a correre a farsi la doccia, perché era tutto sporco di sabbia. Akira voleva giocare ancora con Takanori. Suo fratello gli urlò contro, dicendogli di smetterla, di fare quello che voleva, e mentre la nonna di Takanori  accompagnava Akira a fare la doccia, bevve un lungo sorso di birra.
Il papà di Takanori prese in braccio il figlio, osservò con uno sguardo severo Hiroki, poi guardò Akira allontanarsi, provando compassione per quella piccola creatura.
Quando tornarono dalla vacanza, il papà di Takanori disse al figlio che lo aveva iscritto in una nuova scuola elementare, più grande di quella in cui stava prima. Takanori aveva chiesto se ci fosse stato anche Akira, ma suo papà gli aveva sorriso, un sorriso triste, facendo un cenno negativo con la testa. Takanori aveva pianto, aveva implorato i suoi genitori di lasciarlo stare, di far venire con loro Akira. Non poteva stare senza il suo migliore amico. I suoi genitori gli dissero che avrebbe comunque potuto vedere Akira al parco la domenica, chiamarlo e sentirlo al telefono, ma per Takanori era troppo ingiusto.
Invitò Akira a casa sua, perché voleva rivederlo un’ultima volta. Dopo aver guardato i cartoni animati in tv, fatto il bagno assieme, e indossato il pigiama, Takanori arrossì nel ripensare al corpicino nudo e magro di Akira. Gli accarezzò i capelli mentre dormiva accanto a lui, con il cuoricino che batteva, e poi si chinò per dargli un bacino sulla guancia. Akira in quel momento si svegliò, guardò Takanori che gli diede un bacino sulla guancia, poi sorrise e gliene lasciò uno sulle labbra. Avrebbe sempre voluto farlo. Takanori si portò una mano alla bocca, diventando rosso come un pomodoro. Akira tornò a dormire e si sentì stranamente felice. Takanori lo abbracciò forte, per proteggerlo.
L’indomani Hiroki venne a prendere Akira e lo riportò a casa. A Takanori mancava già da impazzire. Gli mancavano anche le sue labbra, il suo sorriso, le sue risate. Ma fu costretto a fare quello che volevano i suoi genitori.
Stretto tra le braccia del suo papà guardò Akira allontanarsi con Hiroki, la piccola mano calda stretta in quella del fratello. Akira si voltò, guardò Takanori con un sguardo triste, poi suo fratello lo spinse di più, facendolo quasi cadere.
Takanori quella notte pianse nel suo lettino, senza Akira accanto a lui.
Quella notte Akira andò a letto senza cena, piangendo, senza Takanori accanto a lui. 

***
Eccomi qui, sono tornata dopo un periodo di assenza davvero troppo lungo. Le mie stelline su facebook sanno perchè <3 Questa storia contiene molto di me, come le altre, ma scriverla è sia difficile che facile, per quello che c'è al suo interno. I tre video di Troye Sivan mi hanno ispirato molto, e la sua musica è presente in questa storia. Spero che vi piaccia :) La divido come sempre in più parti altrimenti diventerebbe troppo lunga come OS unica :)  ps: il fratello di Akira è Hiroki Narimiya
Alla prossima
Luxie 

 

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Capitolo 2
*** Fools ***


FOOLS
Adolescenza
...
https://www.youtube.com/watch?v=uxg222-hWWc
 
Nel sonno ricercavo una sorta di pace, mascherata, con una parvenza di benessere. In realtà, quando tornavo cosciente, mi rendevo conto che ero ancora vivo, che dovevo vivere, respirare, che mi aspettava un’ennesima giornata di sole oscurato.
In Takanori vedevo la speranza, la salvezza. Lui mi voleva bene, mi accettava per quello che ero, mi faceva sentire migliore. In lui c’era qualcosa che mi aiutava a sorridere nonostante il dolore onnipresente nelle mie membra, nel cuore. Avevo pensato molte volte di porre fine alla mia vita, di recidere i fili che tenevano incollate parti del mio corpo mortale, di interrompere il battito del cuore, ma dovevo continuare per mio fratello, cercando di ricordare che lui aveva soltanto me, ed io soltanto lui. Ma con Takanori, tutto il malessere si tramutava, almeno per qualche minuto, per qualche preziosa ora. Diventava meno opprimente, mi sembrava quasi di essere divenuto a conoscenza di cosa volesse davvero dire essere felice.
Quando ci hanno separati, tutto è crollato. Mi sono sentito veramente solo. Ma non una solitudine a cui ero abituato. Era come se mi avessero spezzato in due. L’altra metà del mio corpo era scomparso. Cercavo di resistere, ma volevo ancora il mio tutto, l’altra metà del mio corpo. Vivere senza di lui era orribile.
Mi distendo nella luce, avvertendo la schiena urlare di dolore. Non ho nessuna ala, non sto per spiccare il volo, non sono un angelo come diceva sempre mia madre. Sono completamente solo, anche qui. Attorno a me non sosta nulla, soltanto il mio malessere.
 
Takanori iniziò la sua nuova avventura in una scuola diversa da quella di Akira. Passare tutte quelle ore scolastiche senza il suo amico era doloroso, ma nonostante questo continuava ad impegnarsi nello studio, per non deludere i suoi genitori. Non aveva più rivisto Akira da quel giorno in spiaggia, quando suo fratello lo aveva portato via.
Un giorno, quando Takanori tornò a casa da scuola stanco e spossato, vide Akira seduto sul muretto della sua casa, un pallone da calcio tra le mani. Takanori sorrise di cuore e corse verso il suo amico. Akira scese con un balzo dal muretto e accolse tra le sue braccia calde il corpicino del suo amico.
“Mi sei mancato” sussurrò Takanori. Akira sorrise. Avrebbe voluto dire la stessa cosa, ma si vergognava, suo fratello lo avrebbe sgridato se avesse saputo quello a cui stava pensando, così si limitò ad accarezzare i capelli di Takanori.
“Vuoi giocare a calcio con me?” chiese Akira. Il sorriso di Takanori si spense, e gli disse che i sui genitori lo aspettavano a casa per il pranzo. Però promise ad Akira che sarebbe andato da lui nel pomeriggio. Giocarono a calcio dalle tre alle sei del pomeriggio. Akira rise così tanto quando Takanori cadde tra i fili d’erba, rise quando non riuscì a calciare il pallone, troppo pesante per i suoi piedini. Si lasciò andare ad un sospiro quando Takanori lo abbracciò prima di correre verso casa sua.
Anche per Akira a scuola le ore non passavano mai. Restava seduto al suo banco in silenzio, senza mai rivolgere la parola a nessuno, in attesa di rivedere Takanori nel pomeriggio. Giocavano a calcio, andavano a fare tantissimi giri in bicicletta, mangiavano gelati e panini seduti ad un chiosco in centro. La loro infanzia trascorse così, un insieme di ore in solitudine e pomeriggi ricchi di gioia. Incisero anche sul tronco di un albero accanto alla casa di Takanori le loro iniziali. Takanori pensò di contornarle con un cuore, ma si vergognò immediatamente di quel pensiero, così lasciò stare. Anche Akira ci penò, arrossendo, poi prese la manina di Takanori e tornarono alle biciclette.
Quando Takanori si iscrisse ad una scuola superiore, sperò con tutto se stesso di vedere Akira nello stesso istituto. Ma non fu così. Il fratello del suo amico lo aveva iscritto ad una scuola professionale, sperando che imparasse sin da subito a lavorare. Questa ennesima lontananza non distrusse il loro rapporto. Takanori ed Akira passavano le loro ore pomeridiane a giocare a calcio. Ora Takanori era migliorato nel gioco, Akira era sempre più snello e bello. Takanori arrossiva sempre quando il suo amico lo abbracciava forte, gli sorrideva. Pensò che Akira fosse davvero bellissimo, e di notte, steso nel suo letto, immaginò più volte di toccare le sue braccia, di sfiorare i suoi capelli ora biondi, di baciarlo. Comprese di amarlo quando Akira gli sorrise, steso tra l’erba del parco dove giocavano a calcio, e gli prese la mano. La strinse così forte. Takanori chiuse gli occhi, poi si sollevò un po’, portando una mano alla nuca e il gomito tra l’erba, osservando Akira steso accanto a lui. Senza timore che qualcuno li potesse vedere si chinò su di lui e lo baciò. Non fu un bacio innocente come quello che si erano scambiati quando erano piccoli. Fu un bacio delicato ma pieno di amore. Erano consapevoli l’uno dell’amore dell’altro. Le mani di Akira finirono tra i capelli di Takanori, li accarezzò piano, e quando si staccarono erano entrambi senza fiato. Non dissero nulla. Akira aprì piano le braccia avvolgendo il corpo di Takanori, che appoggiò la guancia sul suo petto. Gli piacque terribilmente ascoltare i battiti del cuore del ragazzo che amava, il petto alzarsi ed abbassarsi, segno che era vivo, reale, lì, tra le sue braccia.
Continuarono ad andare a scuola, a studiare divisi, Takanori nella sua grande casa sulla collina, Akira nella sua stanzetta piena di poster di auto e videogiochi. Takanori odiava la sua grande casa. Possedeva troppi soldi che avrebbe voluto lasciare ad Akira, ma i suoi genitori erano severi. Gite al lago, vacanze in montagna. Quando Takanori era lontano da Akira il suo cuore non batteva quasi più. Era come se morisse, lentamente, ora dopo ora, giorno dopo giorno.
Dopo quel bacio, il desiderio di toccarsi era troppo forte per i due. Una sera, al cinema, seduti sulle poltrone rosse, i due ragazzi avvertirono un bisogno di amarsi molto forte. Al buio, il volto illuminato soltanto dal tenue bagliore dello schermo, Takanori adagiò le mani sulle gambe di Akira che arrossì violentemente. Prese la mano di Takanori e la strinse forte, pregandolo con un gesto di volergli bene. La curiosità fu tanta, Takanori scese con la mano gelida, sfiorando Akira che chiuse gli occhi. Era un momento così intenso. I due uscirono dalla sala, in silenzio, guardandosi intorno impauriti, poi si chiusero in uno dei bagni del cinema, fortunatamente deserto. Si amarono. Akira baciò Takanori togliendogli il fiato, e la mano di Takanori tornò ad accarezzare il ragazzo. Akira chiuse gli occhi, quasi crollando sul corpo esile di Takanori, cullato dalle sue carezze. Non aveva mai provato una sensazione così intensa e bella prima d’ora.
“I miei genitori sono fuori domani pomeriggio. Vuoi venire da me?” chiese Takanori, senza lasciare la mano di Akira, fuori dal cinema. Akira annuì, pensando al fatto di dovere mentire a suo fratello per avere la possibilità di uscire.
Quella sera disse a Hiroki che avrebbe passato il pomeriggio in biblioteca a studiare. Il ragazzo annuì, poco attento alle parole del fratello minore, poi si versò un ennesimo bicchiere di vino.
Sapevano entrambi quello che sarebbe successo quel pomeriggio. Quando Takanori aprì la porta d’ingresso ad Akira, sorrise, porgendogli la mano fredda. Akira la strinse forte, poi crollò tra le braccia del ragazzo, baciandolo come se temesse di perderlo. Finalmente erano liberi di amarsi. Crollarono senza staccarsi mai sul letto di Takanori, dopo aver chiuso la porta. Le mani ora più esperte assaporarono ogni centimetro di pelle, le labbra baciarono e sorrisero, i corpi tremarono. Akira abbracciò forte Takanori, con il cuore che rischiava di uscire dal petto, e gli chiese quasi il permesso. Takanori annuì a corto di fiato, lasciandosi cadere tra le lenzuola, aprendo piano le gambe e accogliendo le labbra di Akira. Si amarono intensamente, delicatamente, e quando arrivò il momento che avevano soltanto immaginato, fu come essere circondati da tanta luce. Erano felici come mai prima di allora.
“Ti amo” disse Takanori, le labbra sul petto di Akira.
“Ti amo” rispose Akira, chiudendo gli occhi e accarezzando i capelli del ragazzo.
Tutto sembrava andare per il verso giusto. Avevano compreso di amarsi, di volersi bene. Ma un fulmine carbonizzò Akira. Suo fratello li vide tornare a casa mano nella mano. Vide Akira baciare sulle labbra Takanori. Vide i due amici restare abbracciati, l’uno tre la braccia dell’altro. Quando Akira rientrò a casa, Hiroki lo aggredì, facendolo cadere sul pavimento. Hiroki era inorridito, non riusciva a comprendere quello che aveva appena visto. Mentre Akira cercava di scappare dalle sue sberle, Hiroki lo minacciò. Doveva abbandonare Takanori, doveva dimenticarlo. Non avrebbe mai avuto un futuro amando un ragazzo. Akira si coprì il volto con le mani, ma non servì a nulla. I pugni e i calci arrivarono ugualmente. Suo fratello era furioso.
Quella sera Takanori non ricevette il messaggio della buonanotte di Akira. Nemmeno il buongiorno. Quando provò a chiamarlo, preoccupato, il silenzio che ricevette dall’altra parte lo annientò. Andò a casa sua, vide Akira e suo fratello in giardino, intenti a sistemare la vecchia auto di Hiroki. Takanori sorrise nel vedere Akira, lasciò andare la rabbia che aveva provato non ricevendo alcuna notizia da parte sua e lo chiamò perché andasse da lui. Ma quando Akira si avvicinò al ragazzo, tutto quello che Takanori ricevette dopo giorni di assenza fu il nulla. Akira gli chiese di andarsene. Takanori non dimenticò mai lo sguardo vitreo e gli occhi pieni di lacrime di Akira, la sagoma di Hiroki alle spalle del ragazzo che amava. Visto che Takanori non si spostava, Akira quasi gridò, così Takanori alzò le braccia in segno di resa e si voltò. Gli disse semplicemente “ti amo”. Akira avrebbe voluto sussurrare a Takanori “anche io” ma non aveva il permesso.
La solitudine distrusse il cuore di Takanori. Provò ogni sera a chiamare il ragazzo, ma c’era sempre la segreteria. I suoi sms non ricevano mai risposte. I genitori di Takanori, difronte alla tristezza del figlio, pensarono che una vacanza dai nonni gli avrebbe fatto bene. Takanori partì contro voglia, piangendo. Trascorse tutte le vacanze chiuso in casa, gli auricolari alle orecchie, rileggendo all’infinito i messaggi che si erano scambiati lui ed Akira. Messaggi in cui dicevano di amarsi, messaggi in cui si confidavano, in cui si giuravano amore eterno.
Dopo un’estenuante settimana, Takanori ed i suoi genitori tornano a casa. Dopo aver disfatto le valigie ed essersi fatto una doccia bollente, Takanori uscì di casa. La sua meta era la casa di Akira. Voleva affrontare Hiroki, dire al ragazzo che lui ed Akira si amavano, dirgli che era pronto anche a rinunciare a tutto per Akira. Ma sulla strada dell’andata, Takanori incontrò Akira, la mano stretta in quella di una ragazza. Il suo cuore si disintegrò. Akira e la ragazza gli passarono affianco senza neppure guardarlo. Akira aveva lo sguardo rivolto in avanti, lei parlava di chissà che cosa. Quando Takanori gli passò accanto, Akira non lo guardò neppure. Lo aveva notato all’inizio della strada. Si era sentito morire. Ma doveva portare avanti quella recita, per convincere suo fratello che era stato soltanto un errore. Doveva convincere suo fratello di non amare Takanori. Ma quel sentimento non sarebbe mai andato via.
Takanori osservò la coppia andarsene, senza riuscire a distogliere lo sguardo dalle loro schiene, continuando a camminare. Quando tornò a guardare a terra si sentì morire. Era morto, il suo cuore aveva veramente smesso di battere. Attese un po’, fermo al centro del sentiero, poi si voltò e tornò a casa. Alla vista di quel tronco d’albero che le loro iniziali, ebbe voglia di cancellarle per sempre, ma non aveva la forza. Chiuse gli occhi e proseguì per la sua strada, in solitudine. Gli aspettavano ore, giorni completamente bui, confortato dal buio e dal nulla, steso in posizione fetale nel suo letto. In quel letto che conservava ancora il profumo del corpo di Akira.
Takanori non versò neppure una lacrima.
Era soltanto uno sciocco. Si sentì pazzo, perché soltanto un pazzo continuava ad amare una persona dopo che questa gli aveva spezzato il cuore. Le loro vite non si sarebbero incontrate mai più. 
***
***Eccomi qui anche con la seconda parte! Scrivere di mattina è più producente devo dire xD Spero che vi sia piaciuta. Mi sono ispirata al video verso la fine, perchè le scene concepite da Troye mi sono piaciute tantissimo, e ci stavano, purtroppo, nella storia :( Spero che vi sia piaciuta anche questa parte <3 Vi voglio bene, alla prossima bellezze <3
Luxie
 

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Capitolo 3
*** Talk me down ***



https://www.youtube.com/watch?v=Lo3lxS-6joY
 
TALK ME DOWN 
Maturità
 
Sei qui, che mi osservi, ricercando il tuo essere, quel frammento di te che alimentava la mia essenza. Mi corrodi, con quel tuo sorriso, perché so che, una volta sveglio, non lo rivedrò più. Ti osservo, bevo la tua essenza, mi nutro di essa, alla ricerca di un barlume di speranza, che mi aiuti a ritrovare me stesso. So per certo che non sto sognando, tu sei qui accanto a me perché sei morto, così come lo sono anche io. Ma cerco di fingere che sia tutto un sogno, fingo di vagare ancora nelle mie immagini oniriche, create dalla mente. Sei pronto, mi dici, sono pronto per passare oltre. Non voglio, ci sono ancora alcune cose che devo fare prima di dissolvermi. Elementi della mia vita passata che devo rivivere, per costudirli nel mio petto, nella mia mente. Per l’eternità.
Fratello mio, attendi ancora qualche minuto. Sono stanco sì, ma non posso lasciarlo andare senza prima averlo salutato.
 
Takanori non riuscì più a chiudere occhio. Dal giorno in cui aveva visto Akira passeggiare mano nella mano con quella ragazza, i suoi sogni si erano tramutati in incubi, e non aveva più alcuna forza per affrontarli. Preferiva restare sveglio. Aveva iniziato a fumare, a bere tazze e tazze di caffè. Con la disperata illusione di allontanare il sonno. Rischiò soltanto la morte, perché un giorno, guidando, perse quasi il controllo dell’auto, rischiando di addormentarsi al volante. Decise di porre fine a tutto quel dolore, cercando di non pensarci più, ma era impossibile.
Di lei sapeva soltanto il nome. Mika. Era una bellissima ragazza dai lunghi capelli neri, un sorriso meraviglioso ed uno sguardo penetrante. Takanori aveva fatto molte ricerche su di lei. Conoscevo quasi tutto della sua vita. Era geloso, geloso. Il suo cuore era alimentato da odio e dolore. 
Akira gli mancava terribilmente. I suoi attacchi di panico erano sempre più frequenti. Aveva scoperto di soffrine il giorno stesso in cui gli aveva visti assieme. Tornando a casa si era sentito smarrito, il fiato gli era iniziato a mancare, e rischiò di cadere a terra a causa del buio impenetrabile che scese davanti ai suoi occhi. Urlava nella sua mente, cercando di riprendere la calma, ma si era reso conto che niente e nessuno avrebbe potuto farli smettere. La sua medicina era soltanto un abbraccio di Akira, un abbraccio che non ci sarebbe stato mai più. 
Pregò Akira con il pensiero, lo prego di andare da lui e calmarlo, ma comprendeva perfettamente che era tutto inutile. Di notte, steso nel suo letto, ripensava a tuti i bei momenti che lui ed Akira avevano passato assieme. Ricordare gli faceva paura, ma era l’unica cosa che gli restava. Si sedette, una sera di agosto, alla scrivania, ed iniziò a disegnare. Disegnare di notte iniziò a diventare surreale, perché in quelli schizzi lui riversava tutto il suo dolore ma anche l’amore per Akira. Le sue mani, le sue labbra, due corpi stretti l’uno all’altro. Non c’era altro che amore in qui disegni. 
Un pomeriggio caldo e disturbante, Akira telefonò a Takanori. Non appena sollevò la cornetta di casa ed udì la sua voce, il suo cuore esplose nel suo petto. Tanti piccoli frammenti che gli graffiarono le ossa della gabbia toracica, dopo aver perforato la carne. 
“Takanori…” sussurrò Akira. Takanori scivolò sul pavimento del salotto, chiudendo gli occhi, tremando. Provò a rispondere ma la sua voce era stata recisa da un paio di forbici invisibili.
“Mio fratello è morto” disse Akira, piangendo. Sopra di loro, il cielo si tinse di nero. Nuvole dense e cariche di fulmini offuscarono tutto, e quello che era rimasto di bello svanì. Soltanto un lento, incessante, corrosivo senso di morte. Gli uccellini smisero di cantare, il sole sparì. Non era rimasto più niente nella vita di Akira. Suo fratello aveva avuto un orribile incidente d’auto, che aveva distrutto il suo corpo, la sua mente, la sua vita. 
Takanori pianse, portando una mano alla bocca per imprigionare i singhiozzi, poi avvertì il suono della conversazione che si era interrotta. Scagliò la cornetta sul muro. 
Reita restò a fissare il muro della camera da letto per quasi un’eternità. Distrusse con la mente tutti i ricordi belli che aveva di suo fratello. Si aggrappò soltanto a quelli brutti. Aveva perso ogni singola speranza. Le loro litigate, le sberle, gli insulti. Ma anche le carezze, i giochi quando erano più piccoli, le corse in bicicletta. Tutto assunse un colore grigio, poi nero. Poi svanì.
Il giorno del funerale di Hiroki, Takanori si presentò con un completo scuro. Camminò lentamente e a testa bassa tra le lapidi, senza versare una lacrima. Si soffermò a riprendere fiato, cercando con tutto se stesso di non crollare. Non si era mosso il giorno della veglia, era rimasto a casa, immerso nel dolore causato dalla perdita. Avevo perso Akira che aveva perso l’unica persona che gli era rimasta. Akira, fissando il volto di Hiroki, quel volto coperto dal fondotinta nella prima volta nella sua vita, avvertì un opprimente senso di abbandono. Sembrava che suo fratello dormisse, non sembrava morte. Perfettamente vestito, di scuro, una bellissima cravatta grigia. Le mani giunte, le dita curate, la pelle pallida, un piccolo tono del colore dato dal trucco. Un lieve sorriso, le palpebre abbassate per sempre. Akira ebbe la maledetta voglia di toccarlo un’ultima volta, ma non ne ebbe più la possibilità. Morendo, Hiroki aveva spezzato tutto. Akira provò rabbia, repulsione, ma non pianse mai. Si rifugiò nel malessere in silenzio. 
Il giorno del funerale, quando Takanori arrivò difronte ad Akira, lo vide accanto a Mika. La ragazza stringeva la spalla del ragazzo, cercando di sorreggerlo, ma era un gesto invadente, doloroso. Takanori fissò la ragazza vestita di nero, poi Akira. Il ragazzo fissava la lapide di suo fratello, immobile. Non disse una parola. Soltanto il vento gelido, gli scompigliava i capelli. Pregò Mika di lasciarlo andare, e prima di andarsene, al termine delle ultime preghiere, Takanori vide un vecchio parente di Akira ed Hiroki portare via la ragazza che scosse forte la testa. 
Per Takanori fu abbastanza. Corse lontano, lasciando Akira solo nel suo dolore. Tornò sui suoi passi, tremando, rischiando di cadere troppe volte. Ebbe la voglia di morire. Mentre camminava, passando accanto alle statue di angeli, ricordò le lunghe passeggiate di lui ed Akira, quando erano più piccoli. Osservando di sfuggita una lapide bellissima, piena di fiori di marmo, riportò alla mente le gite nei boschi di lui e del ragazzo che amava. Akira gli mostrava alberi, fiori mai visti prima, un bellissimo sorriso ad illuminargli il volto. Le immagini del passato si mischiarono a quelle del presente. 
Akira, seduto a terra, difronte all’ultima dimora del fratello, fece lo stesso. Ripensò a tutti i ricordi belli che aveva di Hiroki, ma il dolore lo fece piangere e si sentì smarrito. Un corrosivo pensiero si fece strada nella sua mente. Un consiglio, una voce delicata e sempre presente. Quella voce lo aiutò ad alzarsi, a dare le spalle alla lapide e a camminare. Sapeva che cosa fare, non aveva più nulla ormai. Costretto a fingere di amare qualcuno che non gli dava nulla, costretto a stare lontana dalla sua unica ragione di vita. Non ce l’avrebbe mai fatta. Era solo. 
Lo cercò per minuti, forse ore, non se ne curò. Quando lo vide seduto tra l’erba, una sigaretta tra le dita, la schiena adagiata ad un vecchia lapide, corse da lui. Takanori alzò lo sguardo dalla terra umida, vide Akira, bellissimo difronte a lui. Si alzò, colto di sorpresa. I due si guardarono a lungo. Takanori avrebbe voluto consolare Akira, ma non aveva più parole. Tutto il dolore che aveva provato, la presenza di Mika, svanirono difronte al viso di Akira. Il ragazzo biondo si lasciò andare ad un lungo sospiro, poi portò le mani al collo di Takanori e lo attirò a se, per baciarlo. Takanori si aggrappò con tutte le sue forze alle spalle di Akira. Il bacio fu intenso, meraviglioso, le loro menti si unirono, stringendo i loro cuori in una morsa. Era come se non si fossero mai allontanati.
Poi Akira si staccò da lui, e portando la sua fronte su quella di Takanori disse soltanto “Ti amo”
Poi lo lasciò andare, dandogli le spalle, correndo lontano da lui. Doveva continuare a correre, senza voltarsi mai. Non ce l’avrebbe mai fatta altrimenti. Takanori lo chiamò a gran voce, in lacrime, ma Akira non si voltò più indietro. Takanori crollò di nuovo tra l’erba, nascose il volto tra le mani e pianse.
 
Dopo quasi tre ore, Takanori si alzò, i vestiti zuppi d’acqua a causa della pioggia. Il cimitero stava per chiudere, così, lentamente, si incamminò per uscire. Nell’istante in cui Takanori si lasciò il cimitero alle spalle, in quegli stessi e precisi istanti, Akia scavalcò il parapetto di quel ponte che lo separava dalla strada. Quel ponte alto e lunghissimo, che lui e Takanori avevano percorso almeno cento volte, in bicicletta, da piccoli. Con la schiena premuta alla lastra di ferro, alla rete, le mani strette all’unico sostegno, rivede lui e Takanori da bambini. Si rivede felice, per la prima volta nella sua vita. Poi chiuse gli occhi. 
Takanori inciampò in mezzo alla strada, cadendo e versando lacrime.
Akira restò con gli occhi chiusi, lasciò andare il sostegno che lo teneva ancora in vita. 
“Akira” urlò Takanori, le lacrime che gli annebbiavano la vista.
“Ti amerò per sempre Takanori” sussurrò Akira, mentre cadeva nel vuoto. Il suo corpo illuminato dall’unico raggio di sole. Quel corpo freddo e caldo allo stesso tempo. Reso gelido dalla morte, scaldato dall’amore. 
 
Sono qui, proprio accanto a te. Ti sfioro i capelli. Tu stai dormendo. Mi senti Takanori? Sei bellissimo. Vorrei stringere la tua mano, vorrei avvicinarmi a te, ma se lo faccio, non riuscirò più a andarmene. È tutto ciò che voglio fare adesso, ma devo calmarti, stai tremando. Appoggio le labbra sulla tua fronte gelida, te la riscaldo piano. Tu ti lasci andare ad un sospiro, torni a respirare.
“Ti amo vita mia” ti sussurro all’orecchio. Tu sorridi. Ora, amore mio, se non ti dispiace, oltrepasso quella linea, quel confineVorrei restare con te, vorrei dormire con te, ma tu devi vivere, anche per me. Ti amerò per sempre.
“Vieni” sussurra Hiroki accanto a me. Senza smettere di guardarti allungo una mano verso mio fratello. Lui me la stringe. Ti amo Takanori, ti amerò per sempre. Tu sorridi ancora. Sei bellissimo. Ora sono pronto, sei sereno, lo so. Verrò a trovarti ogni tanto nei sogni, in un uccellino davanti alla tua finestra, nel sorriso di un bambino che ti guarderà, in un raggio di sole che ti scalderà quando avrai freddo.
Ti amo.
Mi volto verso Hiroki. Lui mi sorride, mi attira a se, appoggia il braccio sulla mia spalla. Mi aggrappo a lui, poi lo seguo, nella luce. 

***
Siamo alla fine anche di questa piccola avventura <3  Ho preso molta ispirazione dal video. Taka e Akira sono giapponesi, purtroppo non sono molto informata sullo svolgimento dei funerali in Giappone, e mi sono ispirata totalmente al video nella parte del funerale. Spero che vi sia piacuto tutto :) Anche il finale, che si sia cpaito tutto quello che volevo trasmettere <3 Le parti in grassetto sono prese appunto dal testo della canzone Talk me down. Avrei voluto scrivere altro, ma le parole sono uscite così come le avete lette, dal mio cuore, e penso che vada bene così :) Vi voglio molto bene <3 Alla prossima :*
Luxie 
ps: se volete ascoltare le canzoni di Troye e il suo cd Blue Neighbourhood. Sono meravigliose. 

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