Chìmaira

di stellabrilla
(/viewuser.php?uid=40922)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nell'Abisso ***
Capitolo 2: *** Nell'Abisso - parte II ***
Capitolo 3: *** Nell'Abisso - parte III ***



Capitolo 1
*** Nell'Abisso ***


"Scrivo queste parole perché so che siamo vicini alla fine e temo che tutte le vicende di cui sono stato testimone possano cadere nell'oblio. Non deve succedere. I mondi devono sapere, devono potersi preparare a ciò che si abbatterà su di loro.
Io non ho potuto fare nulla per salvare il mio popolo, la mia terra, ma forse qualcun altro potrà riuscire dove io ho miseramente fallito.
La nostra era una vita tranquilla, di pace e prosperità prima che una orribile calamità si abbattesse di noi, una mostruosità vomitata dalle viscere della terra che è venuta al mondo per distruggere, ingoiare, corrompere qualsiasi forma di vita innocente con cui venga a contatto. In molti hanno creduto fosse una creatura innocua, quando venne da noi inerme, nuda, e bisognosa del nostro aiuto. Perfino io lo credetti, per qualche tempo. Alla fine, però, essa svelò la sua vera natura.
E tutto fu il caos.
Ancora oggi mi pento amaramente di non averla distrutta quando ne ho avuto l'opportunità. Ci sarebbero stati risparmiati molti dolori. Molte sofferenze. Ma è troppo tardi, tutto va in rovina. Tutto crolla.
A breve la nostra intera umanità sarà distrutta e coloro che sopravvivranno vagheranno come esuli e randagi alla ricerca di una nuova dimora. Prego per loro. Prego che la luce del nostro sole morente possa illuminarli fino a quel momento, non posso fare altro. Non posso sperare altro. Le pagine che seguiranno spiegano tutto, raccontano la storia sin dal principio, o almeno raccontano la storia che sono riuscito a ricostruire nel tempo, indagando a fondo le origini del male. Che coloro che leggeranno possano fare buon uso di queste informazioni. Che il sole illumini le vostre strade."
Dagli archivi storici della stanza del Fòs. 
Reperto datato 14° giorno post Iliostàsio
Anno del Cataclisma


 
 

1

Nell'Abisso

 
Si stiracchiò più che poté all’interno del cubicolo, fece forza sulle gambe irrigidite e le sentì scricchiolare come ghiaia calpestata, si sollevò sull'avambraccio destro e schiacciò la schiena contro il soffitto, quando le ossa della spina dorsale aderirono perfettamente al freddo acciaio, rilassò i muscoli e si distese sul fondo, con la pancia verso l’alto.
Faceva questi movimenti in continuazione, quando era rinchiusa nella cassa, aveva imparato che restare ferma troppo a lungo nella stessa posizione poteva causarle piaghe dolorose sulla pelle. Le era successo molte volte, in precedenza, le ferite si aprivano nei punti in cui il suo corpo poggiava sul fondo ruvido, si infettavano, puzzavano e ci mettevano molto tempo a guarire, più di tutti gli altri tipi di ferite.
Quando ebbe trovato una posizione sufficientemente comoda, si mise ad ascoltare i suoni provenienti dall’esterno. Respirava piano, l’aria all'interno della sua claustrofobica prigione era scarsa, pesante come la terra e il petto faticava a gonfiarsi. Non sentiva alcun rumore familiare, solo voci lontane, la confusione del Nido e una profonda vibrazione nel terreno, che stava aumentando rapidamente.
Con la lingua umida e liscia prese a leccare piano il braccio sinistro, era una cosa che la rilassava. Continuò fin quando sentì il suono che aspettava: il clangore del lucchetto aperto, lo scricchiolio dei cardini. Si accovacciò sul fondo della cassa e attese che il coperchio si aprisse. Un rivolo di aria fresca le accarezzò la faccia, le gonfiò i polmoni. Il bastone picchiettò tre volte sul bordo.
Si sollevò con cautela, era rimasta chiusa a lungo, le gambe erano intorpidite e rispondevano con lentezza, quando fu in posizione eretta, schioccò la lingua più volte, orientando la testa tutt’intorno, dal modo in cui i suoni ritornarono indietro capì in che parte del Nido si trovavano, erano vicini alle zone di cova degli Àpteros, dove le loro uova venivano custodite e protette dai predatori, in attesa che si schiudessero.
Davanti a lei c’era Desmo, che picchiò il bastone per terra, «Muoviti», le sibilò, «c’è del lavoro per noi».
Lei sollevò una gamba, poi l'altra e uscì dalla cassa, ma rimase ferma, attendendo che Desmo le stringesse la corda attorno alla gola. Era grossa, ruvida e pesante ma la pelle del collo le si era fatta spessa e resistente e non si lacerava più. La corda si tese e Lei si mosse assecondando la trazione.
Lei avrebbe seguito Desmo anche senza bisogno della corda, Lei avrebbe fatto qualsiasi cosa Desmo le avesse detto di fare. Desmo le diceva dove andare, quando mangiare, quando dormire e… quando uccidere. Desmo sapeva tutto, Desmo era tutto. Lei doveva solo obbedire.
 
Desmo si fermò, senza voltarsi sollevò la punta del bastone dietro di sé e la piantò nel petto della Bestia. «Aspetta qui», sibilò lasciando cadere la corda per terra.
Desmo stridette nella direzione in cui aveva sentito le voci e si diresse verso di loro, il terreno saliva leggermente a formare una collina, quando raggiunse il culmine incontrò tre soldati, armati di lunghe aste acuminate, che discutevano tra loro e che si zittirono quando lo sentirono arrivare.
«Sono davanti a voi, fratelli», si annunciò Desmo, prima di raggiungere una distanza poco cortese, i tre soldati stridettero e schioccarono le lingue nella sua direzione «ti sentiamo. fratello», risposero insieme. Il più grosso dei tre si fece avanti, «ti sei deciso a venire, finalmente, stavo per mandarti a cercare».
«Ho fatto più presto che potevo» rispose Desmo, «ma ero impegnato altrove. Allora, che cosa succede, fratello Cal?»
«C’è qualcosa nel tunnel vicino alle zone di cova», rispose il soldato, «è grosso e scava veloce, posso sentire la terra tremare anche a questa distanza, presto sfonderà la barriera del Nido».
«Di cosa si tratta?» chiese Desmo.
«Non lo sappiamo», rispose il soldato, «o almeno, io no. Il fratello Trì dice che è uno xsifosuride», indicò uno dei soldati alle sue spalle «ma se è vero, giuro che non credevo ne esistessero di così grossi».
Desmo si rigirò il bastone tra le mani «quanto grosso?»
«Se adesso noi ci mettessimo in piedi uno sull’altro, non arriveremmo a guardare sopra la sua testa», gli altri due soldati sibilarono di consenso, «pensi che la tua Bestia possa farcela, stavolta?».
Desmo stridette in tono affermativo, «la mia Bestia può farcela contro qualsiasi cosa. Uno xsifosuride gigante, eh? Mi piacciono le sfide», sentirono chiaramente la terra tremare sotto i loro piedi, «meglio sbrigarsi, prima che entri nel Nido e faccia danni».
Desmo diede le spalle ai soldati e stridette davanti a sé, la Bestia era nel punto esatto in cui l’aveva lasciata, non si era mossa di un passo, la raggiunse e raccolse la corda da terra.
«C’è un lavoro per te», le disse, «devi uccidere», sentì un fremito attraversare le fibre della corda, “il pensiero di la eccita”, pensò, “è l’unica cosa che riesca a provocare in lei qualche reazione. Forse, prima o poi, ucciderà anche me”, rabbrividì e strattonò la corda, la Bestia lo seguì.
Due dei soldati, Trì e Cal, camminavano davanti, Desmo veniva subito dietro e conduceva la Bestia, il terzo soldato, di cui Desmo non conosceva il nome, era dietro a chiudere la fila e continuava a stridere contro la Bestia, a sondarla e esaminarla in maniera insistente. Probabilmente ne aveva sentito parlare, ma non l’aveva mai incontrata, Desmo sibilò di compiacimento, la Bestia di Arsinòi era una leggenda, ormai, non v’era una sola creatura in tutto il Tòkhaos che le assomigliasse, o che potesse fare le stesse cose che faceva Lei, “ed io” si disse Desmo “solo l’unico padrone di una meraviglia”.
Raggiunsero la zona di cova in poche centinaia di passi, sotto di essa erano radunate alcune decine di soldati, schierati a falange, in posizione di difesa, con le aste acuminate puntate contro il muro di terra e pietra che costituiva il limite del Nido.
Le vibrazioni che provenivano dal sottosuolo erano ormai così forti da far tremare il pavimento e saltellare ogni pietra e sassolino nell'arco di molte centinaia di passi. Le femmine cui era affidato il compito di accudire le uova in quella zona sibilavano e stridevano come farebbe un migliaio di pentole cui viene raschiato il fondo con lame di metallo, il rumore era assordante.
Càl si avvicinò a Desmo, dopo aver scambiato alcune parole con il soldato a capo della difesa, «il Capitano ha confermato l'ipotesi di fratello Trì, si tratta di uno xsifosuride di dimensioni spaventose, adesso è abbastanza vicino da poterlo sentire chiaramente. Se riesce a entrare nella cerchia del Nido sarà un disastro, quelle creature sono estremamente voraci, la zona di cova corre un pericolo enorme. Dobbiamo fermarlo».
Desmo annuì, «Lei è pronta».

Continua...
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Nell'Abisso - parte II ***



Parte II
 
Càl si sporse per lanciare uno leggero stridio oltre Desmo, la Bestia era lì, immobile e inerte, «quella cosa è sempre più magra», commentò, «ma le dai da mangiare? Se ti muore la tua fortuna è finita».
«Nessuna creatura sazia», rispose Desmo, «combatte allo stesso modo di una affamata cui viene promesso il pasto dopo la vittoria. Scommetto che la carne di xsifosuride le piacerà moltissimo».
La vibrazione del suolo si fece ancora più intensa, soldati si agitarono, da un momento all'altro il mostro avrebbe perforato la parete del Nido.
Desmo si voltò verso la Bestia, per prepararla alla battaglia, voleva che fosse il più inferocita possibile e che desse spettacolo. Già pregustava la ricompensa che avrebbe avuto dal Misá Fterá del Nido e la fama che sarebbe derivata da quella nuova impresa. Strattonò la corda con violenza e la Bestia scattò verso di lui. Desmo afferrò la testa della creatura, che gli arrivava appena all’altezza della vita e le cui ossa le sporgevano dappertutto, al tatto la sua pelle era tesa e stiracchiata come quella di una carcassa.
«Lo vedi quel muro, inutile mucchio d'ossa?» sibilò Desmo proprio nel foro auricolare della Bestia, «tra poco ne uscirà un mostro orribile che minaccia la mia vita e quella di tutto il Nido. Desidero che tu lo uccida, e desidero che tu lo faccia in fretta, mi capisci?» la Bestia sibilò in maniera affermativa, «bene, e se sarò soddisfatto di te, potrai mangiare a sazietà. Altrimenti, sai cosa ti aspetta», il bastone sferzò l'aria e atterrò sulla gamba sinistra delle Bestia, che guaì. Il colpo non era stato eccessivamente violento, non voleva invalidarla prima di un combattimento, ma era bene che ricordasse sempre quale fosse il prezzo del fallimento. In quel momento lo xsifosuride sfondò il muro, Desmo mollò la presa sulla Bestia, scaraventandola al suolo, mentre gigantesco essere simile a un insetto riversava la sua mole nel Nido.
Il corpo dello xsifosuride era composto da un ampio guscio liscio e ricurvo, come quello di un crostaceo, e duro come la pietra, sul quale erano incastonati due occhi, piccoli e sporgenti, e al quale erano attaccate cinque paia di zampe aguzze. La bocca del mostro era allungata in una fessura longitudinale munita di potenti tenaglie, che gli servivano per triturare la roccia. Dalla parta opposta del corpo spiccava una coda micidiale, dritta e affilata, sagomata come la punta di una lancia, capace di spezzare a metà qualsiasi nemico cercasse di attaccarlo.
Vi fu un istante di esitazione di fronte all'enormità di quell'invasore, ma le femmine strillarono e i soldati, sibilando e schioccando le lingue minacciose, gli si avventarono contro. Bastò allo xsifosuride agitare la coda tagliente, e i difensori del Nido furono falciati a metà come fili d’erba. I soldati più lontani provarono a colpirlo con le loro lunghe lance, ma la punta di osso intagliato rimbalzava contro la corazza del mostro, senza scalfirla.
«Muoviti Desmo», stridette Cal, «sguinzaglia quella tua dannata Bestia!»
Desmo sciolse la corda attorno al collo della Bestia e la sentì irrigidirsi , tutte le membra del suo piccolo corpo si tesero, aspettava solo il segnale. Desmo emise uno schiocco con la lingua e la Bestia si scagliò come un dardo di osso.
Piccola, veloce, silenziosa, la Bestia aggirò fulmineamente l’avversario, senza che lui fosse minimamente cosciente della sua presenza, gli afferrò una delle zampe la cui punta riusciva a stento a circondare con tutte e due le braccia scheletriche, e con un colpo secco gliela strappò di netto. Lo xsifosuride, stridendo per il dolore improvviso, ritrasse le restanti nove zampe, nascondendole sotto il corpo, adesso era un’inespugnabile cupola di guscio liscia e viscida, la coda a forma di spada fendeva l’aria fischiando.
Un schioccare di lingue concitato di diffuse tra i soldati che si erano fatti da parte per assistere allo spettacolo.
La Bestia girò ancora attorno allo xsifosuride, tenendosi bassa per evitare a coda tagliente, cercava un qualche punto debole in cui far penetrare il prossimo attacco, ma il guscio era liscio, uniforme e compatto, coperto di viscido muco scivoloso, colpirlo o provare a scalfirlo sarebbe stato inutile.
Un fendente improvviso della coda la costrinse ad allontanarsi dall'avversario e mentre indietreggiava nella sua mente si formò la chiara immagine del bastone del suo padrone pronto a calare su di lei. Non doveva indugiare, nemmeno un istante, se ci avesse impiegato troppo a uccidere quell'essere… beh, non voleva pensarci.
Non vi era alcun punto debole nella corazza dello xsifosuride, nessuna fessura, tranne una. Con uno scatto si portò davanti alla testa del mostro e si lanciò contro la sua bocca ribollente.
I soldati, tutt'attorno, stridettero di sorpresa e Desmo strinse forse il bastone quando il mostro chiuse le zanne attorno alla vita minuscola della Bestia, che emise un acuto sibilo di dolore. Mentre le tenaglie la stritolavano, sangue nero cadde ad imbrattare la terra, ma la Bestia sollevò il braccio sinistro, e lo calò con forza sull’occhio destro dello xsifosuride, appena prima che le tenaglie la spezzassero in due.
Il suono fu quello che fa il guscio di un granchio quando viene schiacciato, uno spruzzo di materia gialla e densa investì la Bestia in piena faccia. Si levò un sibilo esultante tra le fila di soldati, mentre il mostro impennava e si rovesciava all'indietro, alcuni di essi si lanciarono all'assalto del ventre scoperto, credendo ormai vinta la battaglia, ma nello spasmo di agonia lo xsifosuride sferzo l'aria con la coda in maniera inconsulta, tagliando e falciando braccia, gambe e torsi.
La Bestia emise uno strillo mentre lo xsifosuride serrava le tenaglie e le dilaniava il corpo. Il sangue della Bestia, nero e liquido, si mescolò a quello giallo e vischioso dello xsifosuride.
Nonostante stesse per essere tranciata a metà, la Bestia prese a infierire sull’occhio martoriato del nemico che reagì serrando ancora le tenaglie. La bestia strideva e strillava per il dolore, ma non si fermava, e dopo alcuni colpi ben assestati la stretta delle tenaglie si fece più debole. La Bestia riuscì a divincolarsi abbastanza da infilare entrambe le braccia nella spaccatura che aveva aperto nel guscio del mostro e cominciò a tirare con tutta la sua forza.
Fu un attimo.
Si sentì uno schiocco, poi il cervello dello Xsifosuride esplose fuori dal cranio assieme a schegge e pezzi di guscio frantumato.
Il mostro si accasciò al suolo, rantolando, emettendo stridii liquidi e ribollenti, mentre le tenaglie si allentavano lentamente La Bestia si lasciò scivolare a terra e si trascinò carponi, poco lontano dal corpo del mostro dove si accasciò, incapace di muoversi. Il sangue le sgorgava dal torso dilaniato, quasi tagliato a metà.

Continua...

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Nell'Abisso - parte III ***


Parte III
 
Si svegliò nella cassa. Era riversa a pancia in giù, con la faccia schiacciata contro il fondo umido, sentì il sapore del suo stesso sangue nella bocca. Provò a muovere le braccia, che parevano rispondere e si tastò delicatamente la schiena e il petto. Unghie affilate di dolore le si conficcarono attraverso tutto il costato, là dove sentiva lo spessore di grossolani punti di sutura, Desmo l'aveva curata. Lui la curava sempre, ma non gli piaceva farlo e quando era costretto dopo la puniva. "Non voglio noie da te", le diceva, "solo guadagni".
Ma adesso non aveva voglia di preoccuparsi della punizione che sarebbe arrivata, desiderava solo riposo, acqua, un po' di cibo. Da quanto non mangiava? Desmo aveva detto che avrebbe potuto nutrirsi con la carne di quel mostro, ma evidentemente non era stata abbastanza brava. Non aveva meritato il cibo.
Rinunciò a provare a muoversi, perché le si bloccava il respiro. Leccò un po' del suo stesso sangue, per attenuare il senso di sete e di fame, ma aveva un sapore sensoso e le fece venir voglia di vomitare. Provò a rilassare i muscoli e a concentrarsi su quello che sentiva al di fuori della sua prigione. I carro su cui poggiava la cassa era fermo e Desmo parlava con qualcuno. .
 
«Sono davanti te, Misá Fterá Trýpas» disse Desmo, e rimase fermo, in attesa di essere ispezionato dal proprio interlocutore, ma non seppe trattenersi e aggiunse, «sei qui perché hai sentito le meraviglie che la mia creatura può fare, immagino».
Le mezze ali di Trýpas vibrarono, «sei sfrontato per essere un Àpteros», disse, «nessuno del tuo rango sociale si rivolgerebbe a un suo superiore così direttamente, ma tu pensi di avere le spalle coperte da quella tua guardia del corpo così micidiale,vero?» Desmo non rispose e Trýpas gli si avvicinò, quando furono alla distanza di un braccio l'uno dall'altro, la differenza di stazza fu evidente, la testa di Desmo non arrivava che alle spalle Misá Fterá «Mi hanno detto di te», proseguì Trýpas, «e ho assistito personalmente alla straordinaria vittoria della Bestia sullo xsifosuride due piene fa, ma ti confesso che non sono ancora convinto di voler usufruire dei tuoi servigi», un servo accanto a lui teneva sollevato un cesto pieno di lumache e il mercante ne afferrò una ficcandosela in bocca, il guscio scricchiolò tra i suoi denti aguzzi, «ma sono curioso, e desidero vedere la Bestia da vicino».
Desmo esitò, valutando la situazione: la Bestia era gravemente ferita e non sapeva nemmeno se fosse possibile farla alzare in piedi, non avrebbe fatto grande impressione, così conciata, ma non poteva permettersi di scontentare il Misá Fterá, entrare al suo servizio avrebbe voluto dire poter lasciare quel buco puzzolente, sprofondato nell'Abisso che era Arsinòi, avrebbe voluto dire, forse, viaggiare fino alla Capitale, salire in qualche modo nella gerarchia, elevarsi socialmente. I ranghi sociali, nella sua specie, erano molto rigidi, o nascevi con le ali o senza. E se nascevi senza ali, se eri un misero Àpteros, il tuo destino era servire, e basta. Probabilmente a nessun altro Àpteros della storia era mai stata offerta una tale possibilità di riscatto. Senza indugiare oltre, Desmo si voltò per aprire la cassa. La Bestia era sveglia e cosciente, e si mosse prontamente al suo richiamo, benché le sue ferite fossero orribili. Desmo si domandò quale maledizione o quale occulta magia le permettessero di restare in vita, di non morire mai, quali che fossero i danni inferti al piccolo corpo scheletrico. Le mise la corda attorno al collo e la sollevò di peso.
 
La Bestia era sorpresa di vedere Desmo così presto, evidentemente era già ora della punizione, doveva essersi comportata davvero male se non aveva nemmeno aspettato che le ferite si rimarginassero. Uscì dalla cassa con l'aiuto del suo padrone che quasi le slogò il collo, strattonando la corda. Ogni movimento era doloroso fin quasi allo sfinimento, ma strinse i denti e provò a non emettere troppi lamenti, sapeva che Desmo ne era infastidito.
Riuscì a emergere dal suo piccolo carcere e a crollarne fuori in malo modo, accasciandosi al suolo priva di forze, ma Desmo la tirò in piedi strattonando la corda. Riuscì a mantenersi eretta, seppur con le gambe che tremavano e cedevano.
Trýpas sibilò e si avvicinò alla Bestia, la sondò con cura, emettendo schiocchi ripetuti con la lingua. Non aveva mai incontrato nulla di simile, aveva braccia deformi e disuguali: mentre uno era lungo e sembrava normale, con tre dita e altrettanti artigli ben ricurvi, l’altro era rattrappito e la mano aveva cinque dita tozze. La sua testa era ovale, coperta da una peluria filamentosa, come una specie di alga e sorretta da un collo esile. Morbosamente attirato da quella cosa così diversa e aliena da lui, Trýpas allungò un artiglio per sfiorare la testa della creatura, ma la sentì scostarsi di colpo e ringhiare. Allontanò la mano di scatto e allargò le ali pronto a spiccare il volo, «controlla questa creatura, Desmo», sibilò rabbiosamente, «o farò gettare entrambi in un pozzo».
Desmo stridette di rabbia e strattonò la corda, la Bestia si sbilanciò cadendo in ginocchio, e lui le assestò tre sferzata col bastone, alla base della schiena. La Bestia urlò e Trýpas drizzò le ali stupito per la natura di quel suono. Era... Diverso… qualcosa che aveva già sentito, prima.
«Misá Fterá Trýpas», proruppe Desmo, spezzando i suoi pensieri, «ti chiedo perdono per la condotta di questa creatura, è selvaggia e incivile».
«Me ne accorgo», sibilò Trýpas, sferzante, «e credo che non sarai tu a rendermi i servizi di cui necessito, ma sarai pagato per il disturbo di esserti presentato a me», il mezze-ali stridette ai suoi servi e si voltò per andarsene.
«Aspetta!» lo richiamò Desmo, «ascoltami, ti prego. Proteggo questo Nido da seicento piene del fiume, e so di cosa parlo, da quando ho con me la Bestia non abbiamo più perso una sola covata. Arsinòi è tra i Nidi più sicuri e prolifici di tutto il Tòkhaos».
Trýpas fece vibrare le ali, scettico, e Desmo lo incalzò, «la mia Bestia può proteggere te e chi ti accompagna meglio di un intero esercito di Àpteros, e comunque non troverai nessun altro disposto a scortarti fin dove devi arrivare» ribatté Desmo.
Trýpas emise un sibilo «cosa ne sai tu, di quale sia la mia destinazione?».
«Io so molte cose», disse Desmo, soddisfatto di avere catturato di nuovo l’attenzione del mezze ali, «le voci si propagano veloci come l’eco, qui da noi».
«Ma davvero?» disse Trýpas più divertito che infastidito, «e cosa dicono queste eco?»
«Che il carico che trasporti è estremamente prezioso: minerali provenienti dal cuore del Tòkhaos, e destinati al commercio con il regno di sopra. Dovrai arrivare fino al Nido di Frontiera, al confine con la Superficie».
Trýpas stridette pensieroso e ponderò Desmo e la sua Bestia, che ancora giaceva al suolo, probabilmente svenuta «certo sarebbe un bel colpo per un vile senza ali, come te, feccia della terra, riuscire a lasciare questo buco di Nido alla periferia del regno e viaggiare assieme a membri di rango molto più elevato. Ma le ali non ti cresceranno comunque, questo lo sai, vero? »
Desmo annuì, «sono cosciente della mia condizione inferiore, Misá Fterá».
«E fai bene ad esserlo», disse Trýpas compiaciuto, «l'arroganza non paga mai. Ad ogni modo, dato il mio bisogno urgente di una protezione per questo viaggio, prenderò in considerazione la tua offerta», il suo sguardo andò di nuovo alla Bestia macilenta che languiva ai piedi di Desmo, «Mi assicuri che questa Creatura non tirerà le cuoia nel bel mezzo del Tòkhaos, lasciandoci in balìa dei pericoli?»
«Non temere, la mia Bestia non morirà. Ha troppa paura del mio bastone anche solo per pensarci. Se io le dico di rimanere in vita, lei lo farà»
«Bene, dunque. Io parto alla prossima piena, ci incontreremo di nuovo qui», disse infine, «e ti dirò se avrai il lavoro».

 

Continua...

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3386912