I am miss 𝐻𝑒𝓁𝓁𝒻𝒾𝓇𝑒

di marwari_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - come il gatto con il topo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - stagione di caccia ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - bambolina ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - vedova nera - FINALE ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - come il gatto con il topo ***


Capitolo 1 - come il gatto con il topo.

Prue Halliwell si sentiva bene in quelle vesti, anzi, si sentiva benissimo.

Forse sua sorella aveva ragione.. forse non era solo un lavoro per lei. Adorava essere una donna forte, indipendente, temuta, rispettata. Una donna dai mille volti, misteriosa, potente e letale assassina.  
Forse, per una volta, voleva provare cosa significava a stare dalla parte dei cattivi.. perché lo trovava estremamente affascinante e divertente. Un mondo fatto di armi e vestiti costosi, gioielli luccicanti, adrenalina, feste in locali dalla musica assordante, divertimenti di ogni tipo. Si divertiva ad impugnare le pistole che aveva trovato sparse negli abiti della spietata killer di cui aveva indossato i panni, si divertiva enormemente ad osservare l’immagine che lo specchio le restituiva: una donna invincibile, una mortale che giocava a fare il demone. Forse lo era. Lo era Hellfire come lo era Prue.

Adorava essere lei, adorava poter fare tutto quello che voleva, adorava poter essere senza inibizioni, giocare con quell’uomo misterioso, essere al centro dell’interesse e risolvere la situazione, come sempre, senza l’aiuto di nessuno.            
Era lei l’infiltrata, era lei che si era finta qualcuno che non era, era lei a rischiare la vita, era lei a giocare con il fuoco, era lei eroe e demone di quella partita a scacchi.

Prue si sentiva imbattibile, quasi immortale, nascosta dietro ad una maschera di cui nessuno conosceva il vero aspetto: nessuno avrebbe potuto scoprire il suo segreto, nemmeno Bane, l’uomo che le dimostrava così tanto affetto, passione, quello che la guardava con occhi ricchi di desiderio e che, era certa, avrebbe soddisfatto ogni suo più piccolo capriccio per assicurarsi la sua simpatia.

Lo stava seguendo, curiosa di scoprire il luogo in cui la stava conducendo; camminava a testa alta, sinuosamente tra i lunghi e bui corridoi illuminati fiocamente da qualche lume da parete. Era i grado di valutare ogni singolo oggetto contenuto in quell’edificio: dalle poltrone vintage di finissima fattura, alle statue di origine greca ai vasi orientali, tutto di inestimabile valore.. si sentiva un po’ più nel suo mondo, classificare quegli oggetti le dava sicurezza e tranquillità. Eppure per un secondo odiò farlo. Lo odiò profondamente.
Lei era Miss Hellfire. Una spietata assassina con le fiamme nelle vene. Poteva sfuggire alla sua monotona vita fino alla mezzanotte. Poteva essere lei, una donna considerata una dea, una portatrice di terrore e di morte. E a Prue piaceva.

Sorrise, compiaciuta, muovendo le spalle in modo che la pelliccia bianca, aperta davanti in modo da lasciare scoperti il succinto corpetto di pelle nera e i pantaloni attillati della medesima fattura.
Bane la fece entrare nel suo ufficio. Non sapeva cosa volesse da lei, cosa dovesse dirle di tanto importante da desiderare un posto appartato, ma poteva immaginarlo, perché lo aveva visto per tutta la serata nei suoi occhi

«Lo sai, Bane.. la mezzanotte è lontana.» la donna aveva aspettato che anche lui fosse nella stanza, che avesse chiuso la porta e si era portata vicino, forse troppo

«Non pensare di scamparla.» la risposta di Bane la spiazzò, ma cercò di rimanere calma «Tu hai ucciso Hellfire.» il cuore di Prue perse un battito. Come poteva averlo scoperto?

«Io sono Hellfire!» ribattè prontamente, le sopracciglia appena arricciate

«Sei una bugiarda!» l’uomo la spinse con forza lontana da lui.    
Prue aveva già alzato le mani, pronta a difendersi, sicura che di lì a poco le avrebbe sparato. Era l’unica arma che un mortale come lui possedeva.
Eppure, in quella stanza, lui non era solo.      
Prue si sentì afferrare con forza dalle spalle. Era una stretta ferrea che aumentava, così come una risata, che prima era lieve e che ora era energica, profonda e sardonica

«Prudence Halliwell.» conosceva quella voce e quella consapevolezza le fece gelare il sangue nelle vene: Barbas era lì, dietro di lei, e l’aveva in pugno.        
Non disse niente, limitandosi a divincolarsi per liberarsi dalle sue grinfie, ma lui fu più veloce: la voltò con foga, passando il dorso della mano destra di fronte al viso della donna.

Prue non potè far altro che chiudere gli occhi, mentre il potere del demone le leggeva dentro, studiava le sue paure, i suoi timori, scopriva come sconfiggerla, ancora una volta

«Non puoi uccidermi, Barbas!» gridò sprezzante, non appena riprese possesso del suo corpo

«Oh, mia cara strega. Le paure si rinnovano sempre.» ridacchiò l’altro trionfante «La tua maggior paura è quella di non essere in grado di proteggere le tue sorelle.» Prue cercò di non scomporsi, ma dentro di sé, sapeva che il danno era stato fatto «Quale meraviglia se non riuscissi a proteggerle da te stessa..» proseguì lui.

Prue tentò di scappare, di allontanare da sé sia Barbas che Bane, voleva andare dalle sue sorelle, avvertirle del pericolo.. ma non potè fare niente: i suoi piedi erano incollati al suolo. Temeva di essere impotente, temeva di aver fallito, temeva di morire senza aver salutato Piper e Phoebe. Aveva paura.     
E Barbas rideva mentre si avvicinava al suo orecchio.

«Il tuo prossimo incarico è al 1329 di Prescott Street.» mormorò con voce talmente sottile e flebile da essere udita solo da lei. Tentò di non ascoltarlo, ma le era impossibile «Tu non hai mai avuto delle sorelle. Devi uccidere quelle intruse. Vedrai Piper e Phoebe.. ma tu non le riconoscerai. Uccidile. Tu sei Miss Hellfire.»        
Prue non conosceva altro all’infuori della sua voce, di quelle parole, del loro significato.

«Io sono Miss Hellfire.» ripetè meccanicamente. Gli occhi chiari fissi in quelli di Barbas

«Devi uccidere gli intrusi che sono in casa tua.» il demone annuiva soddisfatto, cercando di gratificare l’obbedienza della sua creazione con un sorriso che gli era innaturale

«Devo ucciderle.» mormorò Prue.

 

Divelse la porta di casa Halliwell con un calcio. Scavalcò il legno rotto e scheggiato e si portò nell’atrio, davanti alle scale.   
Aveva pianificato tutto: le avrebbe uccise a sangue freddo. Forse avrebbe sparato, forse avrebbe usato il pugnale che teneva nascosto nello stivale, forse le avrebbe uccise a mani nude per aumentare il divertimento.. per ognuna di quelle opzioni possedeva un piano ben specifico.        
Barbas e Bane avevano promesso un’ingente ricompensa per loro, una ricompensa che sarebbe stata riscattata solo se quelle piccole intruse avessero cessato di respirare entro la mezzanotte.
Osservò la pendola: mancava quasi mezz’ora al termine della giornata. Aveva tempo per divertirsi a suo piacimento.

Sorrise compiaciuta, passeggiando tranquillamente per il piano inferiore, sicura della sua invincibilità e non appena si convinse del fatto che fosse deserto, si diresse al piano superiore.

Sembrava deserto anche quello, se non fosse stata per le luce che proveniva da una stanza all’estrema sinistra, dallo spiraglio di una porta socchiusa.

La donna sorrise, pregustando il momento dell’uccisione; un momento che le procurava sempre un’enorme benessere, il momento che le faceva amare il suo lavoro, oltre al denaro, il momento che la faceva sentire viva, scossa da un fuoco indomabile che animava la sua passione per la morte. Aveva sempre trovato così insignificante la vita che solo nella morte trovava del fascino, lei, Miss Hellfire, donna dai mille volti, donna misteriosa che nessuno poteva dirsi in grado di conoscere, donna spietata, assassina, emancipata.. e felice.           
Non si preoccupò di non fare rumore. Camminava volutamente all’esterno della passatoia che collegava tutte le stanze, facendo rimbombare il rumore ritmico dei suoi tacchi per la casa silenziosa. Poteva quasi vedere il volto della sua vittima, gli occhi spaventati che guizzavano in cerca della provenienza di quei rumori, poteva sentire il suo cuore aumentare i battiti, poteva percepire il sudore che solleticava la pelle.

Posò il palmo della mano sulla porta di legno. Fu lieta del cigolio sinistro che le regalò mentre la spalancava lentamente: avrebbe aumentato le paure della sua vittima.

Sorrise, pronta a lottare contro di lei per ucciderla, pensando, quasi delusa, a quanto sarebbe stato facile ucciderla, solamente strozzandola, dato il suo collo esile e la sua figura sottile, che avrebbe benissimo potuto sovrastare con il suo corpo e la sua forza. Aspettava il momento giusto per avventarsi sulla sua preda, aspettava che si girasse e, quando lo fece, i suoi occhi si posarono su un sorriso inaspettato e un viso sollevato

«Prue, sei tornata finalmente.» la donna non capiva. Non capiva perché quella voce le risultasse tanto familiare, esattamente come quel volto, quel nome che aveva pronunciato. Non si spiegava, soprattutto, come lei non la temesse

«Io sono Miss Hellfire.» accennò una risata e, senza pensare oltre, le corse incontro, afferrandole il braccio e girandolo dietro la sua schiena. Piper urlò di dolore mentre la mano di sua sorella stringeva e tirava, costringendola a rinunciare a tutti i suoi tentativi di ribellione

«Prue, che stai facendo?!» mormorò spaventata. L’altra rise, stringendole il proprio braccio libero attorno al collo

«Quasi mi dispiace doverti uccidere.» le sue labbra le sfioravano l’orecchio. Le baciò beffardamente la guancia prima di lasciarla andare, posizionandosi davanti alla porta perché non fuggisse

«Prue, sono io. Non mi riconosci?» la donna si chinò per un istante, afferrando il pugnale e facendolo roteare abilmente tra le dita. Sorrise quando l’altra afferrò una lampada per difendersi

«Dovrei?» chiese tranquillamente, poggiando la punta fredda del pugnale al mento mentre cercava di ricordare. Forse c’era un motivo perché trovava tutto quello così familiare. Forse aveva conosciuto quella ragazza, forse era già stata in quella casa. Forse era una ragazza che aveva incontrato ad una festa. Forse era una delle poche che l’aveva vista senza parrucche, senza occhiali da sole, senza trucco.. se l’aveva riconosciuta ora che indossava ben poco rispetto al solito, se non l’aveva temuta, allora ci doveva essere un’unica risposta a tutto quello: era stata una delle sue amanti. Una delle tante che non ricordava. Una delle tante che aveva illuso e con cui aveva giocato.

Rise ancora, più forte, lanciando il pugnale sul letto e camminando, ora lentamente, verso di lei. La ragazza non tentò nemmeno di usare la lampada che aveva in mano per difendersi.. erano tutte le conferme che le servivano. 
Quale divertimento uccidere quella ragazza, evidentemente ancora affezionata a lei, dopo averla presa in giro per l’ultima volta?

«Prue..» sussurrò l’altra. Era spaventata, sì, le guance erano rigate dalle lacrime.. eppure per qualche assurda ragione non era intenzionata a farle del male.. lei, che non avrebbe pensato due volte a romperle il collo per qualche migliaio di dollari.. lei che avrebbe fatto esattamente così.

«Mi ricordo di te.» mentì, sorridendole «Mettila giù.» posò la mano destra sulle sue dita, ancora strette al collo della lampada e gioì quando sentì la sua presa farsi sempre più debole fino a lasciar cadere l’oggetto a terra.     
La lampadina si scheggiò, producendo un sottile rumore e la stanza piombò nel buio. La donna dai lunghi capelli bruni si avvicinò all’altra, ancora ed ancora, soddisfatta nel sentire il suo corpo sempre più vicino al proprio; sollevò la mano sinistra con un gesto veloce, serrando le dita attorno al sottile collo della ragazza

«Prue, che stai facendo?!» la voce strozzata che le solleticò le orecchie le diede un brivido di piacere, così come le sue dita, febbrili e fredde che cercavano di infilarsi tra le sue e farle perdere la presa.

Quale enorme divertimento.      
«Faccio solamente ciò che mi piace di più.» sussurrò di rimando, sospingendola con violenza al muro più vicino, incurante di tutti gli oggetti che aveva fatto cadere nel frattempo; la intrappolò con il suo stesso corpo e si concentrò sulla sua pelle, liscia, calda, agitata dalle pulsazioni del suo cuore, dal respiro corto, dai brividi di freddo e paura. Era eccitante, era misterioso, era affascinante e lei lo adorava «Non aver paura.. mi prenderò cura di te in un modo del tutto speciale, questa volta..» la donna sorrise divertita, mordendole il labbro inferiore in modo che l’altra spalancasse la bocca e potesse baciarla, a lungo, soffocando ogni sua parola, tutte le sue proteste che divennero, man mano che i secondi trascorrevano, sempre meno decise.

Quale enorme divertimento.      
Giocare con la propria preda come il gatto con il topo, prima di ucciderla.

 

 

Note dell’autrice:    
Mente malata? Forse (ma non troppo). Le shippo. Dovevo scrivere assolutamente qualcosa, soprattutto dopo il rewatch di “Ms Hellfire” (2x09): questa breve ‘what if’ è venuta fuori praticamente da sola. Spero che questa storiella – sicuramente considerata una follia estrema dalla maggior parte dei lettori – vi sia comunque piaciuta. Ovviamente non intendo in alcun modo offendere nessuno, tantomeno stravolgere completamente i personaggi della serie. Questa storia è Fiction e come tale deve essere trattata. Ho immaginato questo scenario poichè il rapporto fra Prue e Piper è molto forte e penso che, oggettivamente, avrebbero potuto formare una bella coppia, al di là di tutto e tutti. Recensite e fatemi sapere cosa ne pensate.    
Sono assolutamente aperta a critiche, chiarimenti e discussioni intelligenti. A presto,
syriana94

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - stagione di caccia ***


Capitolo 2 - stagione di caccia

Si svegliò solamente quando un raggio di sole, fastidioso ed accecante, si posò sul suo viso. Mugolò seccata, mutando il largo sorriso che le aveva piegato le labbra fino a quell’istante in un smorfia. Si rotolò fra le lenzuola stropicciate, tirandosi le coperte fino sopra il petto nudo, cercando di mitigare quella leggera sensazione di freddo che le aveva pizzicato la pelle.

Poggiò il braccio sinistro sulla fronte, in modo da schermare i raggi del sole; a giudicare dalla loro luminosità, doveva essere mattina inoltrata e con piacere, eccitazione, fascino e mistero stava ricordando tutto ciò che era avvenuto la sera prima. Poco importava il fatto che non fosse riuscita ad uccidere i suoi obiettivi prima della mezzanotte: si sarebbe largamente accontentata di una paga più bassa perché, in fondo, ne era valsa la pena.
Ci avrebbe perso in denaro – tanto male: quello proprio non scarseggiava – ma aveva guadagnato in ben altro. Come poteva essersi dimenticata di quella ragazza? Doveva essere stata veramente ubriaca per essersela fatta sfuggire. Eppure lei la ricordava bene, la temeva in un modo del tutto nuovo, anzi, all’inizio non aveva nemmeno provato paura.. aveva visto la sua espressione felice quando era arrivata.. aveva protestato, all’inizio, con la voce strozzata le aveva chiesto, più volte, quali fossero le sue intenzioni e poi, all’improvviso, aveva smesso di agitarsi, ribellarsi. Era diventata una facile preda, un piacevole giocattolo con cui si era divertita, e che ora voleva scoprire, conoscere.. che, forse, non avrebbe ucciso se non quando non si fosse stufata di giocare con lei, se non quando avesse decretato che fosse arrivato il momento giusto.

Aprì gli occhi di controvoglia, raggiungendo con le lunghe dita il pugnale nascosto tra le coperte. Non stava guardando, eppure la sua mano lo raggiunse subito, come se fosse stata perfettamente consapevole della sua ubicazione. Lo portò davanti al viso, passandolo da una mano all’altra e sorrise, divertita e soddisfatta, quando notò che la sua punta era leggermente sporca di sangue; pulì la lama con l’indice e lo portò alle labbra, poi, senza alcun preavviso, lo scagliò contro la parete che aveva davanti, conficcandolo con forza tra le assi di legno ricoperte dalla carta da parati a righe chiare.
Allargò infine le braccia, girandosi tra le coperte fino ad abbracciare il cuscino stropicciato che aveva accolto il capo dell’altra per tutta la notte. Ne sentiva il forte profumo di lavanda e rosmarino e sorrise nel ricordare che quell’odore caldo e familiare avesse fatto da sfondo ad una notte sicuramente calda, ma che non aveva avuto nulla a che fare con tutto il resto: guardandosi attorno vedeva spazzole d’avorio, fiori secchi in vasi dipinti a mano, cuscini di pesante tessuto decorato. Una stanza elegante, linda.. che era stata palcoscenico di una notte infuocata.

Lei era la donna degli estremi, lei era la donna di contrasti.

Il fuoco brucia meglio quando è l’acqua a fomentarlo.

Lei si sentiva come fuoco greco in quella stanza. Quella ragazza era ciò che aveva sempre cercato, inseguito.. il lato di sé che aveva sempre soffocato, fino ad ucciderlo. Era lei ciò che le era sempre mancato. Quella ragazza le serviva.. per qualche scopo che lei non conosceva.. ma le serviva. Anche solo per un’altra notte di passione come quella trascorsa.

Sì, forse l’avrebbe aspettata in quella stanza tutto il giorno, finchè lei non fosse tornata a casa. Non c’era motivo di attribuire la sua assenza ad una ragione negativa, in fondo non poteva certo dire che non avesse apprezzato.

Ne aveva le prove: aveva sentito il loro affiatamento, lo aveva percepito, toccato e respirato. Quella ragazza avrebbe potuto tutto, tranne negarlo.. avrebbe letto nei suoi occhi e lei si sarebbe piegata. Non era stata forse lei la prima ad essere felice della sua presenza? Non era stata forse lei ad accoglierla con un sorriso? Non era forse stata lei a ricordare il suo volto per prima? Non era forse stata lei a non provare paura nel vederla? Era stata lei, sempre e solo lei. Non doveva fare altro che assecondarla.

Si alzò dal letto, lasciando cadere le coperte a terra ed afferrò la sua pelliccia dal pavimento, rovistò a lungo tra le tasche ed estrasse un portasigarette in argento, intarsiato, dal quale tolse una sottile sigaretta con bocchino ed un fiammifero per accenderla. Immaginò che nessuno avesse mai fumato in quella stanza ed immaginò anche che quella dolce ragazza glielo avrebbe impedito se solo fosse stata là.. ciò la divertì molto e, con un sorriso, sputò verso il soffitto una nuvola di fumo densa e bianca.
Passeggiò tranquillamente per la stanza, facendo scorrere il suo sguardo sui mille oggettini contenuti in essa: storse il naso nel vedere gli enumerabili oggetti antichi che la adornavano, che spaziavano da lampade ai mobili, da specchi a spazzole, da cuscini a portafoto.. Quella ragazza doveva proprio essersi innamorata follemente di lei se possedeva una foto di loro due sulla cassettiera. Come poteva non ricordarsi di una relazione così duratura? Possibile che fosse sempre sotto effetto di alcool o droghe mentre la frequentava? Eppure non c’erano altre spiegazioni: non ricordava di quella foto, non ricordava di quella ragazza, non ricordava nemmeno il suo nome.. e da sobria non avrebbe di certo mai indossato quel maglioncino rosa che sfoggiava con così tanto orgoglio.

La donna prese in mano la cornice, osservando da vicino le persone della foto. Si vedeva tanto giovane.. forse era stato prima dell’incidente. Sì, non poteva esserci altra spiegazione. Forse quella relazione che doveva essere stata tanto lunga, profonda e duratura era stata prima del suo lungo periodo di coma e convalescenza: aveva perso anni di vita dopo che quel suo incarico l’aveva colta alla sprovvista, quasi all’inizio della sua carriera, e le aveva sparato un colpo dritto in testa. Era sopravvissuta per miracolo. E ne era uscita con dei buchi nei suoi ricordi e nella sua vita, una sete di sangue più forte di prima, un animo bellicoso e un sano desiderio di vendetta.
Da quel giorno non si era lasciata cogliere di sorpresa nemmeno una volta. Aveva ucciso tutti, specializzandosi in tutte le discipline conosciute. Aveva sempre adempiuto al suo dovere.. fino alla sera prima. Ma non di certo per una sua debolezza, anzi.. era stata una sua scelta. E lei ne andava fiera.

Posò la cornice e portò nuovamente la sigaretta alle labbra. Prese profondi respiri, osservando il suo corpo nudo allo specchio, velato dal fumo bianco che soffiava dalla bocca. Poteva ricordare ogni cicatrice ed ogni taglio.. eppure ciò che la fece sorridere furono i segni delle unghie più recenti, i lividi sulla sua pelle bianca che si stavano formando, giovani e scuri sui suoi fianchi e sulle sue braccia. Quella ragazza era stata una rivelazione in tutti i sensi: così composta, raffinata, come quella stanza.. e che poi, nel buio della notte, si era trasformata nella più selvaggia delle amanti, fino ad addormentarsi accanto a lei come un’adolescente alle prese con il primo amore. Non riusciva a capire quella ragazza, per quanto si sforzasse.. e le piaceva così.
Tutto quello era estremamente misterioso, affascinante, eccitante, nuovo e soprattutto divertente.
Non sarebbe potuto durare a lungo, però, quello era chiaro. Come potevano convivere due persone tanto diverse come assassino e vittima? Come avrebbe potuto continuare a fare ciò che le piaceva di più, come poteva continuare ad essere una spietata killer indipendente e dal cuore ghiacciato se c’era lei? Come poteva continuare ad essere miss Hellfire? No, non poteva durare a lungo.. ma per un periodo sicuramente. Un periodo di pausa da tutto il resto. La sua piccola selvaggia, nuova, strana e divertente distrazione.

Quella ragazzina era diventata il suo giocattolo, la sua preda e ciò che le piaceva di più era che lei glielo lasciava fare. Doveva solo ricordare il suo nome. Ingannarla ancora un po’ perché le permettesse di giocare ancora.

Certo, quella svolta decisamente inaspettata le aveva fatto cambiare i piani, eppure lei continuava ad essere miss Hellfire: lei doveva guidare, non essere condizionata. Lei doveva avere in mano la situazione, come sempre, lei doveva comandare, lei doveva avere il controllo.. e, per farlo, le occorreva solamente una parola. Doveva conoscere il suo nome per poterle provare che i suoi ricordi vivevano ancora nella sua mente, forti quanto come quelli della brunetta, doveva dimostrarle che anche lei provava gli stessi profondi e potenti sentimenti che lei nutriva nei suoi riguardi. Doveva, perché quello era l’ennesimo inganno, l’ennesima farsa, l’ennesimo gioco che le avrebbe permesso di dominare.. uno dei pochi incarichi e delle rare situazioni che le permettevano di mettersi alla prova in tutti i campi che più le piacevano. Non si sarebbe certo tirata indietro adesso.

Passò distrattamente la mano libera sulla superficie liscia e fredda del marmo della toeletta, sistemò le boccette di profumo in modo che fossero perfettamente allineate e sorrise ai piccoli peluche e bambole di pezza che le sorridevano con espressione anonime e vuote, schierati davanti allo specchio.

Espirò ancora una volta.

Poi la vide.

Una cartolina bianca, in bella vista tra le zampe paffute di un orsacchiotto dal pelo rovinato a causa degli anni

«Piper..» lesse con voce sottile, quasi dolcemente. Un sussurro così lontano dal suo usuale tono di voce. Era dunque quello il nome della fanciulla? Doveva essere così: altrimenti non si spiegava perché avesse subito provato qualcosa nel pronunciarlo, perché le sembrasse così familiare, così bello. Tutto tornava, tutto era chiaro.

Quella fanciulla era stata un tassello importante nella sua vita e lei l’aveva scordata. Tuttavia, come diceva sempre sua madre – era sua madre? – “tutto accade per un motivo” e forse Barbas, inconsapevolmente, le aveva affidato quella ragazza, quella Piper, perché così aveva voluto il fato. I loro cammini erano stati destinati ad incontrarsi di nuovo e quello era stato il momento propizio.

Carezzò quelle lettere con l’indice della mano, stringendo le labbra attorno al bocchino ed inspirando ancora e ancora. Fu solo quando voltò la carolina che trasalì.

Spalancò le labbra, il suo cuore in preda all’agitazione e alla paura.
Riconosceva bene quell’opera riprodotta su carta scadente: “L’urlo di Munch, 1893, galleria nazionale di Oslo, valore d’asta circa 100 milioni di dollari.” Pensò meccanicamente, senza preoccuparsi troppo da dove potessero provenire quelle informazioni. Quel dipinto era da sempre stato considerato emblema della solitudine, dell’angoscia, dell’abbandono.. il ritratto della paura stessa.

«Barbas.» sibilò a denti stretti.

Spense la sigaretta pestando il piede con un gesto deciso, adirato, incurante della cenere ancora accesa che stava già bruciacchiando le setole più esterne del tappeto. No, questo Barbas non avrebbe dovuto farlo. L’aveva tradita, l’aveva sottovalutata.. e lei non lasciava mai impunito tale errore. Aveva già ucciso parecchi suoi mandanti, lui non avrebbe fatto certo eccezione.

Il suo sangue ribolliva, carico d’odio, ira e di vendetta. Indossò i suoi abiti di pelle nera, la pelliccia, gli occhiali da sole e si legò i capelli in una lunga treccia. Le armi erano al loro posto. Avrebbe inseguito quell’uomo spregevole fino all’inferno se fosse stato necessario e l’avrebbe salvata, l’avrebbe portata a casa sua, al 1329 di Prescott Street. Era il suo giocattolo, solo il suo. E lei non aveva condiviso mai niente con nessun altro.

Barbas aveva aperto la stagione di caccia e lei avrebbe agguantato la preda migliore.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - bambolina ***


Capitolo 3 – bambolina

Portò gli occhiali da sole sulla punta del naso, abbassando appena il capo perché potesse vedere attraverso il buio del garage: la lampadina solitaria che penzolava sulla sua testa non era ovviamente abbastanza per illuminare sufficientemente l’ambiente, perciò lasciò la porta socchiusa.    
Osservò a lungo tutti gli attrezzi che riposavano impolverati negli angoli, alcuni coperti malamente da teli di plastica. Vedeva biciclette per bambini, vecchi tagliaerba arrugginiti, e ciò che le premeva di più, al centro del fatiscente edificio.

Non guardò nemmeno la Jeep parcheggiata sulla destra, dirigendosi direttamente verso la Mazda decappottabile con il tettuccio abbassato. Avrebbe preferito una macchina sportiva, sicuramente, ma quello non era il momento di storcere il naso.

Si chinò sotto il volante, spostando indietro il sedile e prese il coltellino svizzero da uno degli scompartimenti segreti nella fodera della pelliccia; lo fece scattare con un gesto veloce e trovò il tempo per sorridere, nonostante l’agitazione e la preoccupazione, per il sottile sibilo che la lama aveva prodotto nello sferzare l’aria viziata del garage.

Le sue dita esperte quasi la precedevano nei movimenti, intanto che districava i fili ricoperti di plastica e gomma colorata, individuava quelli giusti e, con un gesto preciso e veloce, interrompeva le connessioni che le interessavano. Le ci vollero pochi minuti prima di riuscire a ricollegarli, isolarli e rimetterli al loro posto mentre sul suo volto si dipingeva spontanea un’espressione soddisfatta e compiaciuta, non appena le sue orecchie furono piacevolmente solleticate dal rombo roco e cupo del motore in accensione.

Si sedette al posto di guida e partì sgommando per il vialetto, incurante del gruppo di adolescenti costretti a buttarsi per terra nel tentativo di evitare di essere investiti.      
Guidò veloce, incosciente ed sfrontata per le vie di San Francisco, alla vista delle macchine ammaccate e delle persone urlanti che si lasciava alle spalle. Aveva osservato più volte, compiaciuta, le nuvole di fumo nello specchietto retrovisore, dalle quali spuntavano macchine malandate, ammaccate, in fiamme, persone urlanti ed colleriche verso quell’automobile decappottabile sgusciata fuori dal groviglio di rottami con un’abile sgommata.  

I suoi pensieri erano focalizzati su Barbas, Bane, su quello che avrebbero potuto farle, come punizione della sua negligenza verso il lavoro assegnato, oppure solamente per divertimento. E se era come immaginava lei, sarebbe andato tutto a discapito di Piper. Sicuramente stavano pensando di tenerla in pugno, di avere la vittoria ad un passo da loro, forse pensavano che l’indifesa ragazzina era la perfetta merce di scambio.        
Ed era proprio lì che si sbagliavano: Piper era il suo giocattolo, la sua preda e nessuno si sarebbe divertito con lei al posto suo.. li avrebbe uccisi senza battere ciglio, se solo le avessero torto un capello. Ma no, chi voleva prendere in giro? Li avrebbe uccisi comunque, senza pensarci, perché nessuno poteva osare tanto, nessuno aveva mai osato sfidarla e quei pochi stupidi che avevano tentato, non avevano avuto il tempo nemmeno per rimpiangere la loro ottusa decisione.

Piper.. lei era solo una motivazione in più per premere il grilletto.

 

Sterzò di colpo, lasciando una vistosa striscia nera sull’asfalto di fronte all’edificio elegante e sofisticato. Stonava vistosamente in mezzo a quegli uomini in giacca e cravatta, quasi si sentiva quasi fuori luogo. Eppure non ne aveva motivo.. era solamente un sicario in mezzo a tanti altri sicari con armi nascoste sotto stoffe pregiate e di velluto, nel quartiere più importante della città in quanto affari.       
Esattamente come la regola fondamentale dell’assoluta segretezza, l’arte del camuffamento lì era di casa. L’identità di ognuno di quei pericolosi assassini era a tutti sconosciuta. Ci si chiamava per nome, un nome che bisognava aver guadagnato in anni di servizio, per buona condotta ed ottima reputazione da killer. Si parlava spesso in codice, per formule che tutti avevano studiato e comprendevano e al minimo sospetto si veniva tolti di mezzo con una pallottola in mezzo agli occhi.        
Era una società pericolosa, ma pagava bene e lei non se ne era mai lamentata.

Salì i pochi gradini d’ingresso ed osservò i finti uomini d’affari con le loro 24 ore piene, presumibilmente, di dollari, chiacchierare animatamente all’interno e fuori dell’edificio, attraverso le ampie vetrate infrangibili. Si svolgeva praticamente tutto alla luce del sole e non avevano mai avuto dei guai. Aveva presto imparato anche lei che meno celava i suoi loschi affari, meno attenzione avrebbe attirato.      

E per la stessa ragione si era concessa un attico di lusso, macchine veloce, abiti e gioielli sontuosi, senza far segreto del suo denaro e del suo benessere. Nessuno aveva mai sospettato di lei, nessuno aveva mai controllato i suoi giri d’affari e nessuno si preoccupava di lei.. tranne il suo capo. E quella era l’unica nota stridente nella sua vita perfetta: si era unita a quel circolo solamente per essere pagata meglio, eppure, incarico dopo incarico, si era sempre sentita più parte di una fabbrica, una pedina che altri usavano, un’arma da comandare a piacimento in cambio di denaro.         

Lo aveva sopportato fino ad allora perché il confine non era ancora stato varcato.       
Non avrebbe più eseguito ordini, non avrebbe più accettato commissioni da loro, si sarebbe riappropriata del suo giocattolo, avrebbe dato loro una lezione e sarebbe tornata alla sua vita, quella da sicario, senza legami e senza società da cui dipendere.

Si diresse a passo sicuro verso l’ingresso, attendendo che le porte scorrevoli la lasciassero entrare. Il portiere le rivolse un’occhiata impassibile

«Hellfire.» non si voltò quando uno degli uomini di Bane cercò di attirare la sua attenzione. Loro erano gli unici che vestivano come pompose guardie del corpo ed erano gli unici ad essere riconoscibili

«Non ho tempo adesso.» sibilò tra i denti, dirigendosi verso l’ascensore. I due la seguirono senza fare complimenti

«Il signor Bane si chiedeva che fine avevi fatto.» disse il più alto e lei osservò il suo sorriso irrisorio crescere sulle labbra sottili

«È gentile a preoccuparsi per me.» attese che l’ascensore fosse sgombro, poi vi salì sopra, voltandosi verso i due ed impedendo loro di entrare «Vedrà da sé che so badare a me stessa.» concluse, schiacciando senza guadare il pulsante del 20° piano.

 

Aveva preparato tutte le sue armi con cura, come in un rituale, mentre i piani scorrevano veloci sotto i suoi piedi. Era pronta a sparare, se necessario, aveva il pugnale a portata di mano, i suoi piccoli e discreti shuriken nascosti nel corpetto ed altri subdoli oggettini sparsi dovunque. Tutto si poteva dire di lei, tranne che poteva venir colta alla sprovvista.
Quando l’ascensore arrestò la propria corsa, la donna sfilò lentamente gli occhiali e li lasciò su uno dei tavolini appoggiati contro il muro, in mezzo a due vasi antichi ricchi di fiori freschi e profumati. Si prese tempo per studiare l’ambiente circostante: le deboli luci da pareti, i pochi angoli presenti e i mobili che occupavano ogni nascondiglio perfetto per un eventuale agguato o sparatoria. Quel luogo, era evidente, era stato creato appositamente per regalare un vantaggio ai proprietari.. chiunque si fosse trovato nella sua situazione avrebbe compreso che il tentativo di uccidere Barbas o Bane sarebbe stato un suicidio.. un’opera impossibile. Ma lei non si era mai fatta intimidire e non avrebbe cominciato proprio allora.

I corridoi erano silenziosi, forse troppo e più avanzava, ascoltando il sordo rumore dei suoi tacchi sulla passatoia bordeaux, più la tensione saliva, facendo tendere i suoi muscoli e le sue orecchie già in allerta; non poteva certo escludere la presenza di telecamere nascoste e quasi poteva immaginare i volti beffardi e divertiti di quei due mentre attendevano come avvoltoi il momento giusto per scatenare i loro scagnozzi armati.

L’ufficio era sempre più vicino, il silenzio sempre più assordante e si ritrovò a pensare, senza praticamente rendersene conto, se quella Piper non fosse già perita in mano loro. Cosa avrebbe fatto allora? Li avrebbe ammazzati e poi? Non avrebbe ottenuto il suo piccolo e prezioso trofeo.. Ma no, né Barbas né Bane si comportavano in quel modo, esattamente come lei: se si fosse trovata nella loro situazione, se il suo compito fosse stato quello di punire qualcuno, di certo non avrebbe tolto di mezzo l’oggetto del suo desiderio.. la sofferenza e il divertimento, soprattutto, sarebbero stati troppo modesti.

Arrivò di fronte alla pota chiusa, attese qualche istante e sollevò la gamba destra, calciando con tutta la sua forza sulla maniglia e sulla serratura. Socchiuse le palpabre, per evitare che delle piccole schegge, ancora in aria, le infastidissero gli occhi

«Cerco Bane.» disse telegrafica e i due uomini, allertati e colti alla sprovvista, si affrettarono ad agguantare le loro armi «Ho un appuntamento.» disse sprezzante, afferrando saldamente un fermalibri in marmo e colpendo il primo uomo dritto alla tempia. Il secondo la stava tenendo sotto tiro con una pistola silenziata.

La donna sorrise, lasciando cadere la sua arma e si voltò verso di lui toccandosi i denti con la lingua; il ciuffo corvino della scarna frangia le era ricaduto sugli occhi «Cosa state sorvegliando?» domandò con un filo di voce, portando le mani accanto al capo. Non vedeva Bane, non vedeva Barbas.. non vedeva nemmeno una cassaforte in qualche angolo della stanza. In effetti non vedeva niente, nemmeno un motivo per cui due uomini armati e altamente addestrati dovessero trovarsi proprio lì.

Osservò attentamente le mani salde del suo avversario e non appena lasciò diminuire, anche di pochissimo, la presa sull’impugnatura dell’arma, la donna si abbassò, tendendo la gamba sinistra verso l’uomo e colpendolo alle caviglie. Avrebbe dovuto trovarsi disteso per terra, confuso e con l’espressione intontita.. eppure lui era già scattato in piedi prima di lei, le aveva lanciato un’occhiata fulminea ed era sparito dentro la parete.

La donna guardò attonita il muro.       

Ne aveva visti di passaggi segreti, lei era la prima a possederne nel suo appartamento, in caso necessitasse di una fuga rapida, ma non ne aveva mai visti di così ben riusciti: non si vedevano affatto i confini della porta e non si vedevano usure sul pavimento. Lei per prima non avrebbe mai pensato ad un passaggio segreto proprio in quel punto.

Piegò le labbra in una smorfia soddisfatta e curiosa, pensando che forse, per la prima volta, il nemico possedeva armi e mezzi più sofisticati dei suoi. Sarebbe stata una prova decisamente interessante.

Si sistemò la pelliccia sulle spalle e carezzò l’impugnatura della sua pistola con le dita, prima di avvicinarsi restia al muro. Allungò l’altra mano e spalancò gli occhi sorpresa ed incuriosita quando vide le sue dita scomparire, inghiottite da quella materia così soffice e malleabile da sembrare inesistente.      

Si modellava sulla sua pelle, quasi come un’illusione ottica.         

Ecco cosa doveva essere: un’illusione ottica, non c’erano altre soluzioni.

Allungò il piede e, trattenendo il fiato, si gettò dall’altra parte, socchiudendo appena gli occhi

«Codardo!» la voce di Barbas le riempì le orecchie, attirando la sua attenzione. L’unica cosa che riuscì a scorgere di quell’uomo, o quello che ne rimaneva, furono le sue poca ossa carbonizzate da fiamme alte e gialle. La donna si chiese quale nuovo tipo di bomba fosse e dove potesse procurarsene alcune «Miss Hellfire.» Barbas si stava strofinando le mani con aria compiaciuta, lei avanzò con passo lento verso di lui

«Questo sarebbe il tuo angolino segreto..? O dovrei dire il vostro?» più si guardava attorno, più si chiedeva come due persone ricche e facoltose potessero rifugiarsi in un antro buio, umido e spoglio come il ventre di una caverna. Fu sufficiente una rapida e discreta occhiata al gruppo di uomini più avanti per capire che, con molta probabilità, ciò che bramava si trovava là. Respirò cautamente, cercando di non mostrare verso quale direzione fosse realmente rivolto il suo interesse

«Sei venuta a farci visita?» la voce flautata di Bane riecheggiò tra le pareti scure per qualche istante

«Avete qualcosa che mi appartiene.» rispose sintetica lei, mostrando appena i denti stretti

«Qualcuno che non ti sei guadagnata.» ribadì Barbas, muovendo teatralmente le braccia come suo solito. La donna si trattenne a stento

«Ho chiuso con voi.» l’uomo dai capelli grigi piegò le labbra in una finta espressione infelice «La rivoglio, ora. Altrimenti..»

«”Altrimenti” cosa?» Bane sembrava essere stato punto sul vivo, lei gli sorrise

«Altrimenti vi uccido.» Barbas fu il primo a ridere beffardo, il suo compare lo affiancò con un risolino appena accennato «Non mi sfidate.» li avvertì lei, ma senza successo.

A differenza del suo capo, Bane aveva sfoderato la sua pistola e, senza prendere nemmeno la mira a dovere, le aveva scaricato addosso una raffica di colpi che non andarono a segno.     

L’assassina con la quale si stava confrontando era agile, preparata e sicura di sé. Avrebbe fatto di tutto pur di riottenere il suo giocattolo, avrebbe fatto di tutto pur di vendicarsi.    
E lo fece: non appena si sentì alle strette, portò una mano al petto, strinse il suo fidato shuriken tra l’indice e il pollice e lo lanciò contro Bane con un gesto veloce e preciso.

Sorrise nell’udire il sottile sibilo dell’arma e poi il lamento soffocato di Bane, il quale, invano, cercava di estrarre il piccolo oggetto di metallo dal suo torace. L’uomo stramazzò al suolo dopo pochi istanti, mentre il suo sangue sgorgava veloce dalla ferita

«Molto brava.» la voce di Barbas era accanto al suo orecchio. Si era quasi completamente scordata della sua presenza. Si sentiva in sua balia, impotente, come ogni volta che le sue dita ossute le stringevano il braccio, come ogni volta che quei piccoli occhi chiari si fissavano nei suoi, come ogni volta che il dorso della sua mano destra scorreva davanti al suo viso.   

Come aveva potuto permettere che si avvicinasse tanto a lei? Come aveva potuto abbassare la guardia proprio quando si trovava così vicina al suo obiettivo?

«Non puoi sconfiggermi.» sibilò lei tra i denti, cercando strenuamente di combattere contro il suo corpo che, pigramente si stava piegando al volere di quell’essere

«La tua paura più grande..» continuò con voce perentoria, vittoriosa «È che qualcuno scopra la tua vera identità.» la donna lo guardò a lungo: aveva ragione.       

In tutti quegli anni aveva ucciso persone e lo aveva fatto ogni volta con un volto ed un’identità differente; spesso, nelle giornate più nere, si ritrovava davanti allo specchio con una bottiglia in mano a rivolgersi domande sulla propria identità, sulla propria vita, sulla propria esistenza. Era nata per uccidere e forse il mondo l’aveva accolta per quella che era, per una donna dalle mille facce, oscura e misteriosa. Aveva celato il suo viso così tante volte che stentava a riconoscerlo persino lei.          

Eppure.. eppure qualcuno c’era che teneva a lei. Qualcuno che l’aveva accolta per quella che era, qualcuno che aveva fiducia in lei, qualcuno che avrebbe messo la propria vita nelle sue mani. Qualcuno che l’aveva guardata negli occhi e non l’aveva temuta.       

Qualcuno che, forse, l’aveva amata.. e che probabilmente avrebbe continuato a farlo, nonostante lei lo ritenesse solamente un gioco divertente.           

Curioso come la sua preda, colei che avrebbe usato e poi ucciso di lì a poco, si fosse trasformata nella sua salvezza. La risposta era lì vicino a lei, a pochi metri di distanza.
La risposta era un giocattolino inerme che rispondeva al nome di Piper.          

Osservò Barbas a lungo. Poi sorrise.

Le apparve, forse per la prima volta, confuso.

«A quanto pare qualcuno ti ha preceduto, Barbas.» disse infine lei, trionfante «Qualcuno mi conosce già per come sono. E non prova paura. Come non ne ho io.» vide nuovamente il dorso della sua mano destra passare sui suoi occhi, una, due, tre volte. Barbas non aveva più potere su di lei «Io non ho paura.» ripetè, più forte, certa che quelle parole sarebbero bastate per sconfiggerlo e così fu. L’aveva tenuta in pugno per anni, con le sue paure. Era stata l’arma segreta di Barbas con tutti, in quell’enorme stabile.. ma ora non avrebbe mai più comandato su di loro, su di lei specialmente. Aveva combattuto la paura con l’unica cosa che il suo giocattolo poteva offrirle: l’amore.

«Hai vinto la battaglia.» Barbas stava sorridendo in modo strano. Agitava l’indice con fare quasi orgoglioso, come un padre che vorrebbe denigrare la bravata del figlio e finisce per lodarla. Si era arreso così? «Ci rivedremo, mia cara strega.» disse con voce tranquilla, dandole le spalle e sparendo oltre la porta invisibile che celava quel tetro nascondiglio.
Si sarebbe aspettata grandi uscite di scena, guardie che giungevano da ogni lato, colpi d’arma da fuoco, coltelli lanciati da ogni dove.. era quasi delusa dall’uscita del suo temutissimo capo ed era spaventata, perché non era riuscita a comprenderlo. 

«Come se fosse il peggior epiteto con il quale io sia stata chiamata.» commentò la donna, camminando con noncuranza sopra le ceneri sparse sul pavimento e dirigendosi svelta verso il piccolo antro che aveva notato in precedenza. Con suo grande dispiacere, notò che gli uomini che presidiavano quella squallida cella, erano sfuggiti.

«Piper?» chiamò incerta, l’orecchio appoggiato al freddo metallo che costituiva una porta storta e massiccia

«Prue?» sorrise spontaneamente sentendosi chiamare in quel modo, perché oramai lo associava al volto di quella ragazza. Doveva aver coniato quel nome prima dell’incidente, perché nella sua voce poteva distintamente percepire quella nota d’affetto capace di riscaldarle il cuore, in qualche modo. E se lei continuava a chiamarla così, anche allora, in passato doveva averglielo permesso.. non vedeva motivo per il quale proibirglielo. Una piccola gioia per il suo prezioso giocattolo: Piper sembrava essere tanto felice quando la chiamava così e lei non protestava. Era quella l’identità che voleva possedere per lei, solo per lei. Una faccia tra le mille solamente per Piper. «Sei tu..?» la sua voce era flebile, spaventata, quasi un pianto. Non le piacque. Dovette far ricorso alla maggior parte delle sue armi per riuscire a scardinare quelle serrature, ma alla fine riuscì ad aprirsi un varco.

Piper era stesa a terra, legata ed imbavagliata, tremante di freddo e di paura.
La donna le fu accanto in pochi istanti e la liberò velocemente. Ricambiò il dolce sorriso dell’altra con uno dei suoi più sinceri

«Ti riporterò a casa, non temere.» la rassicurò, poggiando appena le labbra sulle sue, in un morbido bacio.  
Era un bacio che sapeva di vittoria, perché aveva conquistato il suo trofeo, il simbolo della sconfitta di Bane e Barbas, la testimonianza che la vendetta di miss Hellfire era sempre fatale.           
Era un bacio che sapeva di casa, perché il 1329 di Prescott Street sarebbe stata la sua dimora per quella notte e quelle avvenire, fin quando non si fosse scoperta troppo annoiata.         
Era un bacio che sapeva di passione, perché aveva percepito la sua stretta sul suo corpo, quando le aveva tolto la benda e le aveva concesso di rifugiarsi nel suo abbraccio.    
Era un bacio che sapeva di lavanda e cannella, amaro e caldo, dolce e pepato, come la sua vita da quando l’aveva ritrovata.

Quasi si sentiva in colpa a doverla uccidere, un giorno. Sarebbe stato come tradirla.        
Eppure come poteva fare diversamente? Non poteva esistere Miss Hellfire se c’era amore nella sua vita, non poteva vivere temendo per la vita di qualcun altro. Doveva fare quello che andava fatto.. ma certo non avrebbe lasciato che altri giocassero con la sua preda. Era solo sua e non l’avrebbe divisa.     

E anche il suo giocattolo non avrebbe mai avuto occhi per altri. Glielo aveva detto, sussurrato all’orecchio la notte prima: sarebbe stata solo e solamente sua, per tutta la vita.
Com’era fragile Piper, così devota ed ingenua.

Il suo giocattolo preferito.. la sua bambolina.           

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - vedova nera - FINALE ***


Capitolo 4 – vedova nera

Non aveva ancora capito come la notizia della morte di Bane, braccio destro di Barbas, potesse essere già giunto ai piani inferiori. Forse aveva dato l'allarme lui stesso quando era uscito dall'edificio, allertando le guardie e gli altri sicari dell'organizzazione.. eppure non c'era un solo sorvegliante ad attenderla a piano terra con le armi puntate nella sua direzione. Era stato strano, ma in fondo le aveva fatto comodo: come avrebbe potuto evitare di essere colpita se doveva anche pensare a Piper?

La donna guardò la strada per assicurarsi che fosse sgombra prima di alzare gli occhi sullo specchietto retrovisore, aggiustarlo e perdersi pochi istanti ad osservare il volto addormentato di Piper. Quei segni non le davano giustizia. Provava un forte senso di rabbia quando pensava a quegli uomini che, sotto gli ordini di Bane o Barbas, la maltrattavano. Nessuno doveva osare.. nessuno tranne lei.

Aveva guidato a lungo, per ore, nel tentativo di far disperdere le sue tracce qualora Barbas o uno dei suoi fosse al suo inseguimento. Aveva percorso le strade principali, sentieri segreti che si districavano fra villette e condomini, aveva persino imboccato il Oakland Gate, vagando per l'intestatale 80 fino a Reno, senza nemmeno pensarci.
Piper, stremata, si era addormentata dopo poche ore.

Erano rientrate in città solamente a notte fonda, quando la donna, gli occhi celesti di nuovo circospetti e vigili, fu certa che nessuno le avrebbe dato più disturbo.. almeno fino a quando non fosse stata lei a cercarli.

Sorrise compiaciuta e soddisfatta per essere stata in grado di riprendere in mano la sua vita, la sua natura, la sua vocazione, senza vincoli e senza persone che la comandavano in cambio di denaro. Era diventata miss Hellfire per conto suo, si era guadagnata mazzette verdi e copiose con la sua abilità ed ora poteva tornare agli albori, quando la sua carriera da killer ancora la appassionava.
Era e si sentiva come una pittrice, Hellfire: lei dipingeva con pugnali e pistole e quando uccideva si sentiva bene; quando oltrepassava il limite di ciò che la gente mediocre amava chiamare civiltà e legge si sentiva se stessa. Aveva bisogno del brivido della morte, dell'oscurità, di sentire il proprio cuore lacerarsi alla vista del sangue e al suono degli spari.
Aveva bisogno di avere un ultimo assaggio di ciò che di buono e di puro albergava nel suo cuore.. per poi rimuoverlo per sempre.


Anche se era così profondamente addormentata da sembrare priva di sensi, Piper non pesava nulla per le sue braccia allenate. Si sentiva fin troppo buona, in quel momento, per tutto quello che stava facendo con quella ragazzina: l'aveva sistemata sul letto della sua stanza, le aveva tolto le scarpe ed aveva lasciato i rubinetti aperti della vasca da bagno, aggiungendo sapone e una spugna gialla. Lei sapeva che Piper avrebbe apprezzato.

Ancora Aveva atteso con pazienza che la vasca fosse piena prima di tornare da lei, spogliarla di quegli abiti sudici e laceri che aveva in dosso, prenderla di nuovo in braccio e depositarla nell'acqua calda.
Forse era svenuta, forse tutto quello che era accaduto era stato troppo per lei e la sua mente, o il suo inconscio, aveva deciso di tenerla intrappolata nel mondo dei sogni.. E probabilmente era meglio così.
Era al sicuro: ci sarebbe stata lei a proteggerla. In fondo l'unica persona che Piper doveva temere era solo lei.. eppure ignorava i suoi piani, quindi non avrebbe mai provato nessun tipo di paura nei suoi confronti. Non appena si fosse svegliata e avesse puntato i suoi occhi fiduciosi nei suoi, lei le avrebbe sorriso, rassicurandola, per poi tradirla l'ultima volta. Sarebbe stato un gioco perfetto. Osservò quasi incantata la pelle bianca di lei assorbire l'acqua, guardò le gocce scivolare sulle sue braccia, sul collo, tra i seni e sparire nella schiuma. Le ferite che la segnavano erano poche, eppure erano un tremendo squarcio su di una tela perfetta. Era confusa sulla natura di quella rabbia che scorreva nelle sue vene: la sentiva perché le avevano fatto del male, giocando con qualcosa che non apparteneva ad altri che lei, oppure perché quei segni non erano stati opera sua?
Si alzò in piedi di scatto quando le sue orecchie furono solleticate da un rumore inaspettato. La sua mente si spense di colpo, come se qualcuno avesse toccato un interruttore: ogni suo pensiero, ogni suo muscolo ed ogni sua azione aveva rivolto la propria attenzione verso quel cigolio estraneo.

Poteva essere Barbas, poteva essere la polizia, potevano essere altri sicari mandati da qualcuno per uccidere lei o quelle due di cui non si era occupata personalmente.. in ognuno di quei casi, doveva essere pronta.

Si assicurò che Piper non corresse nessun pericolo da sola e si chiuse la porta del bagno alle spalle, impugnando velocemente la pistola che aveva legata alla cintura. Appoggiò le spalle al muro, stando ben attenta a non urtare i vari dipinti attaccati alle pareti con il rischio di farsi scoprire e, lentamente, si portò vicino alle scale principali. Attese in perfetto silenzio, le braccia tese e l'arma puntata, ma quando non vide e non sentì nulla, decise di avventurarsi al piano inferiore.

Passo dopo passo, gradino dopo gradino, si avvicinava al luogo da cui era provenuto quello strano rumore: forse la porta principale che veniva varcata, forse i cardini rotti che gemevano sotto il peso di qualcuno.
Poteva escludere che si trattasse della polizia, perché gli agenti in divisa poco apprezzavano le entrate in sordina, senza esibire distintivi, torce e luci rosse e blu dalle volanti in strada; poteva anche escludere Barbas, perché lui era invece il maestro delle apparizioni improvvise e se avesse voluto farle una sorpresa, si sarebbe presentato alle sue spalle senza il minimo rumore. Non poteva essere che un altro sicario, giunto al 1329 di Prescott Strett per uccidere lei o Piper.

Poteva concedersi un po' di divertimento, in fin dei conti. Si accucciò nell'angolo del sottoscala, perlustrando con sguardo esperto l'ingresso e il salotto più piccolo che aveva davanti. Si affidò al suo orecchio per assicurarsi che anche il salotto che dava sulla strada principale fosse sgombro; decise di passare per la sala da pranzo, lanciando una rapida occhiata circospetta alla veranda ad angolo.. ancora nulla.

Rimaneva solamente la cucina.

Poteva scorgere il tavolo, dalla sua postazione, con le spalle premute alla parete e le braccia contro il petto, la punta del naso a sfiorare il metallo freddo della canna dell'arma. Era lì. Poteva quasi sentire l'intruso respirare, poteva percepire la sua paura.. glielo aveva insegnato Barbas.

Respirò lentamente, cercando di immaginarsi cosa avrebbe fatto, le possibili reazioni dell'altro, il suo corpo senza vita riverso in una pozza di sangue scuro.

Contò fino a tre, trattenne il respiro ed allungò le braccia di fronte a sé. Le ci vollero pochi istanti prima di aggiustare la mira e puntare la pistola verso l'esile figura schiacciata contro il lavandino, il coltello mancante dal ceppo nella mano tremante

«Prue.» balbettò quella, la mano premuta sul petto. La sua voce era rotta dalla paura e da una profonda angoscia, eppure aveva udito distintamente chiamarla in quel modo.

La donna aggrottò infastidita le sopracciglia, inclinando la testa di lato per poter osservare quella stramba donna al di fuori del piccolo confine del mirino e della tacca.

Non stava capendo. Perché anche quella l'aveva chiamata in quel modo? No, non aveva intenzione di imitarla solo per quello: non avrebbe abbassato la sua arma

«Come conosci quel nome?» domandò con voce ferma, determinata a scoprire l'arcano mistero racchiuso dietro tutto ciò

«Prue?» accennò una debole risata, il volto di quella ragazza era incredulo «Ma cosa dici? Non mi riconosci? Sono Phoebe!» si era avvicinata di un passo e la mora aveva compiuto lo stesso gesto, all'indietro, ristabilendo velocemente la loro distanza «Dov'è Piper?» insistette l'altra.

Piper? Piper non era un suo problema.
Forse la donna che aveva davanti, quella Phoebe, non era altri che l'altra sua designata vittima, ignara di tutto l'accaduto.

«Ma certo che ti riconosco.» la mora sorrise, abbassando la pistola e mettendo la sicura – ci sarebbero voluto pochi millesimi di secondo per toglierla, in caso di evenienza. Si avvicinò lentamente all'altra, cercando di capire quale relazione potesse esserci fra Phoebe e Piper.. amanti? Amiche? Sorelle? Era tutto possibile, ma nessuna di quelle opzioni spiegavano il nome con cui la chiamavano. Erano forse state tutte e tre amiche in un passato che aveva dimenticato? Quei nomi con l'iniziale “P” non erano altro che soprannomi inventati? In effetti quella coincidenza aveva tutta l'aria di un gioco di bambini.

«Dov'è Piper?» domandò Phoebe, dalla sua voce si poteva ben capire che l'atteggiamento di lei non l'aveva convinta del tutto

«Sta bene, me ne occupo io.» sorrise ancora, la guardò negli occhi, cercando di infonderle tranquillità, seppur con polso fermo. Forse la percezione della sua finta dolcezza e della sua palese autorità l'aveva messa in allarme..
Nonostante i pensieri diffidenti che le correvano nella testa, ben visibili dalla sua espressione preoccupata, Phoebe si lasciò avvicinare. E lei sorrise di quella genuina e puerile stupidità che evidentemente affliggeva le donne che abitavano quelle mura

«Non avevo notizie di voi da parecchie ore. Stavo per chiamare Morris..» aveva deglutito. Non capiva nulla di quello che stava dicendo. Chi era quel Morris? Quella Phoebe stava sicuramente parlando di Piper, se vivevano insieme era chiara la sua preoccupazione.. eppure perché stava conversando in quel modo anche con lei? Non poteva occuparsi della nuova ospite da sola, c'erano troppe cosa che doveva chiarire.. e le risposte le avrebbe avute Piper, una volta sveglia

«Vedi carina.. parli troppo.» le aveva circondato le spalle con il braccio. Phoebe la stava assecondando, la i suoi occhi erano piegati all'insù, verso il suo viso

«Chi sei?» le domandò tremante. La mora sorrise, sopprimendo a stento l'istinto di attivare nuovamente la pistola ed ucciderla senza ripensamenti e si voltò verso l'altra, stringendole con forza le dita sulle sue spalle. Quando cercò di liberarsi, i suoi muscoli reagirono prontamente per eludere il tentativo. Come osava sfidarla?

La donna spalancò gli occhi azzurri, serrando la mascella e la sospinse di uno, due passi, all'indietro, verso la porta bianca di fianco ai fornelli che, a causa del colpo, si socchiuse con un sinistro cigolio

«Il tuo incubo, per ora.» le rivolse un sorriso folle mentre la spostava, passo dopo passo, verso quella che riconosceva come una buia scala che conduceva ad una cantina «Salutami l'uomo nero.» rise e la gettò con una spinta giù dalle scale. Si divertì ad ascoltare le sue grida e i suoi lamenti, poi, quando cessarono, sorrise e chiuse la porta a chiave.


Respirò rilassata l'eccitazione e l'adrenalina che pompavano veloce il sangue nelle sue vene. Si sentiva bene, anche se quasi sicuramente quella caduta non era stata fatale. Aveva un'altra vittima nella cantina, al sicuro, una piccola sorpresa per Piper, una volta risvegliata.. sì, era ancora tempo di occuparsi della sua bambolina.

Si stava dirigendo verso le scale quando, di fronte ad esse, per caso, notò un mobile pieno di soprammobili ed oggettini d'argento sicuramente tramandati da nonne e zie e, per un secondo, si perse ad osservare i tagliacarte decorati, pezzi unici che avrebbero potuto arricchire la sua già fornita collezione. E vicino ad essi, vide una cornice d'argento che racchiudeva una strana foto. Non riusciva a vedere bene, a causa della scarsa luce, ma era quasi certa che si trattasse di loro tre, giovani, sorridenti, l'una al fianco dell'altra. Si voltò istintivamente prima verso la cucina, poi sollevò lo sguardo.. che fossero davvero parti fondamentali del suo passato? Aggrottò le sopracciglia confusa.
Piper. Poteva chiedere solo a lei.

Sospirò, focalizzando ogni suo pensiero sul suo giocattolino che la aspettava poche stanze più in là, indifesa, dipendente da lei in tutto per tutto, assetata di protezione, amore e passione. Assuefatta dalla sua oscurità come lo era lei per Piper.


Non vide altro, nella sua figura rilassata ancora immersa nell'acqua immobile, coperta malamente da pochi rimasugli di schiuma attaccati ai bordi della vasca.

Ci sarebbe voluto un attimo, uno solo.
Avrebbe potuto semplicemente spingere il suo capo sotto il bordo dell'acqua.. non se ne sarebbe nemmeno accorta. Quanto potevano faticare le sue dita esperte per spezzare quel sottile collo? Quanto avrebbero impiegato le sue mani veloci ad impugnare un coltello e conficcarlo nel suo candido petto? Quanto avrebbero impiegato le sue braccia per sollevare una pistola e i suoi occhi per prendere la mira e fermare per sempre quel tenace cuoricino? Ma non ancora: non era il momento.

Quella bambolina ancora non aveva adempiuto al suo compito.. non aveva ancora dimostrato a lei, a se stessa e al mondo che la delicata Piper era solo e soltanto sua.

Avrebbe giocato, avrebbe amato e avrebbe ucciso. Avrebbe soddisfatto ogni suo più carnale desiderio, avrebbe appagato le sue più oscure bramosie.

Si sarebbe divertita, avrebbe dominato la più candida ed indifesa delle creature, l’avrebbe rimessa in piedi, solo per farla cadere di nuovo, per mano sua.

Dopotutto aveva faticato enormemente per fare del suo nome, Hellfire, un biglietto da visita, infallibile e sicuro. Lei era l’eleganza di una pantera, la passione travolgente di un purosangue e il silenzioso strisciare di una vipera.

La sua bambolina era l’unica piacevole distrazione dal suo mondo misterioso di killer e assassini, maschere irriconoscibili ed oggetti costosi. Non si sarebbe lasciata sfuggire l’occasione di dominare se stessa, sconfiggere le sue debolezze, tutte racchiuse in quella ragazza addormentata di fronte a lei. Una nuova miss Hellfire sarebbe rinata dopo quell’uccisione: una donna spietata, senza più alcuna debolezza.

Sorrise, sfiorando il viso di Piper con il dorso delle dita

«Non ancora, bambolina.» sussurrò, per non svegliarla.

Un giorno, molto vicino, Hellfire sarebbe rinata, un’ultima volta, con nuovi traguardi e rinnovata ferocia. Una donna bellissima, con il cuore di ghiaccio.

Per il momento, tuttavia.. si sarebbe goduta quella sua succulenta preda, quel dono ritrovato e piovuto dal cielo: un ultimo assaggio di quello che si sarebbe lasciata alle spalle. L’avrebbe ingannata, tradita, ma non era che il primo passo verso la sua nuova vita. Perché in fondo l’amava Piper, l’amava sul serio, ma non era che un freno per lei. L’avrebbe amata e avrebbe preso tutto da lei, senza rimorsi.

Sarebbe stata dolce amante e violenta carnefice. Come una vedova nera.

Perché, dopotutto, era quella la sua natura: lei era miss Hellfire.

 

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