Amore impossibile...o no?

di Ale_2608
(/viewuser.php?uid=855024)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1 ***
Capitolo 2: *** Chapter 2 ***
Capitolo 3: *** Chapter 3 ***



Capitolo 1
*** Chapter 1 ***


Scuola. Il posto peggiore che qualsiasi alunno possa mai immaginare.

Erano solo dei ragazzini, ragazzini che giocavano con i propri sentimenti.

Giocavano a fare gli innamorati, ai fidanzatini, ignorando i propri sentimenti e della propria metà.

Erano da sempre stati amici, dal primo anno. Si conoscevano come le loro tasche, ormai. Almeno credevano...

-Scherzi spero!- gridò Leo, il ragazzo di Nicole, anzi, ex ragazzo ormai

-Mi dispiace Leo, ma preferisco che noi due rimanessimo solo amici, non fraintendere- disse la viola mortificata. Di ragazzi, e non solo, ai suoi piedi ne aveva finché voleva tanto, sarebbe stato facile scegliere qualcun'altro ed amarlo veramente, come si raccontava nei romanzi adolescenziali che leggeva spesso. Si congedò chiedendo ancora scusa, per poi uscire dalla casa dell'ex. Sapeva cosa fare e non poteva aspettare un secondo in più. Afferrò il telefono dalla tasca e digitò il numero della sua migliore amica, e forse, qualcosa di più. Attese qualche squillo e poi rispose una voce allegra, risollevandola quasi subito:

-Ciao Lubjana, sono io, Nicole-

-Tesoro, hai parlato con Leo, giusto?!- la viola ridacchiò sollevata e rispose:

-Mi serviva proprio parlare con te, sai proprio come tirarmi su di morale- la brunetta, sentendo la frase, non potè che arrossire furiosamente. Non si faceva problemi ad ammettere che le piaceva molto, ma il vero problema erano i suoi genitori. Erano abbastanza ' all'antica ' e sicuramente non l'avrebbero accettato di buon gusto. Prese un bel respiro e mormorò un semplice:

-Grazie-

Parlarono a lungo, perdendo la cognizione del tempo. Di amici entrambe ne avevano tanti, c'e n'erano i più intimi e quelli quasi conoscenti.

Omar era un ragazzo ossessionato dai videogiochi, quasi non parlava di altro, ma era riconosciuto a scuola per la sua "dote" di riuscir a rubare le ragazze dei suoi amici, non facendo nulla. Una chiaccherata e via, subito dopo la ragazza gli girava intorno quasi fosse sotto uno strano incantesimo creato da Ron ed Hermione.

Dennis era il donnaiolo per eccellenza. Era stato con tutte le sue amiche, tranne stranamente Lubjana e Alessia, anche se quest'ultima aveva un motivo più che valido per non avvicinarsi troppo a Dennis, ma non se ne parlerà proprio adesso. Era fissato con gli unicorni...sì, avete capito bene, unicorni.

Giorgia era la ragazza che completava "il triangolo". Ronzava attorno a Nicole e Lubjana quasi sempre, ma ad intermittenza. Prima con Nicole e il giorno dopo con Lubjana, era un ciclo continuo ormai e tutti se ne erano abituati.

Alessia era la tipica Tsundere del gruppo. Andava molto d'accordo con Omar e parlava spesso con lui di videogiochi. Lei era un'arma a doppio taglio però: poteva sembrare la cosa più pucciosa del mondo, ma se dicevi una parola sbagliata avevi finito di vivere...letterlamente. Il motivo del perché non fosse ancora stata con Dennis era la carta Sara, la sua migliore amica. Non c'era giorno che non le si vedesse insieme, sempre a braccetto. In poche parole, chiunque toccasse Alessia, Sara li uccideva.

Lubjana, sentendo il richiamo dei genitori per la cena, salutò a mal voglia Nicole, riattaccando pochi secondi dopo. Si stese di nuovo sul letto e guardò il soffitto per qualche minuto, per poi sussurrare a se stessa:

-Mi sono proprio cacciata in un bel guaio, ma forse potrebbe essere il guaio più bello della mia vita- chiuse gli occhi e si lasciò andare, addormentandosi e dimenticando i genitori, compresi i problemi ad essi collegati.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Chapter 2 ***


La sveglia suonò e il suono era spiacevole. Se la sveglia suonava significa che era ora di alzarsi. Se non si alzava sarebbe stata la madre a buttarlo giù dal letto, e neanche molto cautamente. Calciò via la coperte e si sedette sbadigliando. Si alzò e si vestì come ogni singolo giorno, infilandosi pure la maglietta al contrario dal troppo sonno. Aveva passato troppo tempo la sera precendente a giocare con i videogiochi, andando a letto solo alle tre meno venti di mattina. Da casa sua alla scuola la strada era abbastanza lunga, ma sotto sotto non gli dispiaceva più di tanto sgarnchirsi le gambe il lunedì mattina, prima di entrare in classe. Si mise la cartella in spalla ed uscì, metà: scuola. Era una giornata primaverile e il caldo stava arrivando, non era così strano vedere un quattordicenne passeggiare per la strada alle sette di mattina in maniche corte. La scuola gli era sempre sembrata una specia di gabbia di tortura per i ragazzi adolescenti, ma era proprio la che aveva conosciuto delle persone molto importanti, gli amici che lo avevano accompagnato per tre anni. Al solo pensiero che l'anno dopo non si sarebbero potuti rivedere lo faceva stare tremendamente male, per questo si era imposto di non pensare al futuro ma al presente. Arrivò a scuola e aspettò come ogni mattina gli amici, che effettivamente non tardarono ad arrivare. Come sempre, Alessia arrivava dopo di lui e si lamentava del fatto che arrivava sempre lui primo, ma la cosa lo faceva ridere solo per l'espressione che usava per tutto il monologo:

-La prossima volta ti batto, stanne certo!- diceva sempre così, anche se finiva con il perdere. Entrarono in classe e cominciò la noiosissima lezione di italiano. Il professore continuava e continuava a spiegare le liriche di Ungaretti, anche se quasi nessuno stava ad ascoltarlo, si facevano gli affari propri. C'erano poche cose che annoivano veramente Omar e una di questa erano proprio le liriche o la scuola in generale. Continuava ad assecondare l'idea di Alessia nel far saltare in aria l'edificio, ma la stava riconsiderando e la piccola non aveva tutti i torti, sarebbe stata adorata dalla maggior parte della scuola. Scosse la testa dimenticandosi di quel assurdo pensiero, ma nel sentir pronuciare la parole 'ANCORA' decise che forse era meglio assecondare quella pazza della sua amica.

La pausa era arrivata e stavano scendendo in cortile come tutti i giorni. Erano troppo ripetitivi e non era una cosa molto gradita dal nostro amico. Beh, non erano loro ripetitivi, era la scuola che li costringeva ad essere così. Si misero nel loro angolino e cominciarono a parlottolare tra loro.

OVVIAMENTE i 'Tistuproicapelli' non mancavano mai. Erano tre ragazzi di seconda che continuavano a toccargli i capelli e Dennis si era inventato il nome di quei quattro, ed era pure azzeccato. Dopo qualche minuto se ne andarono e si intravise Giorgia e Nicole strattonare Lubjana, un braccio a testa. L'espressione di quest'ultima era quasi supplichevole, Sara e Alessia provarono ad aiutarla, ma rischiarono di morire, così lasciarono perdere. Dennis proprio se ne fregò altamente, non che lui e Lubjana vadano molto d'accordo:

-Forbicio dammi una mano!- Dennis la guardò e poi rise, rigirandosi a parlare con Alessia. Omar si avvicinò alle tre e liberò Lubjana, rischiando di morire a sua volta però. La campanella suonò nuovamente e si diressero verso la loro classe. Ci furono le due ore di matematica, le quali Alessia, Giorgia e Dennis vennero rimproverati per essersi addormentati proprio durante la spiegazione delle equazioni. Infine ci fu l'ora di inglese, la materia più temuta dal nostro gruppetto di “avventurieri”. Fortunatamente finì anche quella abbastanza velocemente e corsero fuori dalla classe dopo aver sistemato le loro cose. Omar salutò gli amici e si diresse per la via di casa sua. Aveva sentito parlare Alessia di sfuggita sul fatto che Nicole e Lubjana erano molto più vicine del solito, certo, il perché era praticamente lampante per tutti nel gruppo. Tutti sapevano delle amiche e non se ne facevano un problema, erano loro quelle felici e non potevano mica descriminarle solo per amare una persona del proprio sesso. Entrò in casa e salutò i genitori, ma si rabbuiò scoprendo che era solo, di nuovo. Nel giro di sole due settimane si ricordava a stento l'ultima volta che li aveva visti. Erano quasi menefreghisti sul suo conto, non gli importava se prendeva un brutto voto, una nota, se si fosse addirittura rotto una caviglia a basket, il loro unico interesse era quello di avere un erede per la loro compagnia famosa a livello nazionale. Entrò nella stanza e si lasciò scivolare sulla porta, guardando la propria stanza.

Vuoto.

Quella parola gli era rimbombata così tante volte nella testa che ormai aveva perso il conto. Sorrise debolmente e sussurrò:

-Non so cosa farei senza i miei amici, forse adesso sarei proprio come i miei genitori...- alzò il braccio, quasi come afferrare qualcosa, ma lo ritrasse subito dopo:

-Poi sono io che dico ad Alessia che è ancora una bambina-

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Chapter 3 ***


-COSA?! Cos'è questo votaccio?!- gridò la madre di Alessia guardando la verifica di matematica. Alzò lo sguardo verso la più piccola, che la guardava con disinteresse. Perché doveva arrabbiarsi lei se il votaccio l'aveva preso lei stessa?

La madre aveva voglia di tirarle un bello schiaffo sulla pelle nivea della figlia, come quasi ogni giorno. Il padre e la madre erano divorziati da qualche anno, infatti Alessia non era più la ragazzina innocente e dolce di una volta, era cambiata radicalmente.

La rimproverì nuovamente e la molla scattò. Alessia si alzò di scatto dalla sedia, facendola cadere a terra e rispose ad alta voce:

-Non hai il diritto di rimproverarmi! Non sei tu quella che soffre ogni giorno per il tuo comportamento da bambina! Io ho bisogno della mia libertà!- nella casa riecheggiò soltanto il suono della sberla. Ad Alessia non cambiava molto, se le avesse tirato una sberla o meno. Girò di poco la faccia e la guardò, freddamente:

-Non pensare che tirandomi sberle io possa capire- si infilò le scarpe e la giacca nera. La madre la bloccò con forza e disse:

-Dove cavolo vuoi andare adesso?! E' sera!- Alessia la staccò bruscamente e rispose:

-Me ne vado- salì di corsa le scale e raggiunse i suoi due fratelli minori, che erano in camera loro. Studiavano da quasi tre ore e Christian, il più piccolino, minacciava di addormentarsi. Chiuse entrambi i quaderni e disse:

-Prendete una borsa e metteteci dentro poca roba, dei vestiti al massimo- Patrick si girò e chiese:

-Perché?- Alessia prese una sua borsa abbastanza grande e ci mise dentro il telefono, caricabatterie, auricolari e dei vestiti:

-Andiamo via da questa casa- entrambi spalancarono li occhi dallo stupore, ma non dissero nulla, facendo quello che era stato appena chiesto dalla sorella. Si misero gli zainetti in spalla e uscirono, ignorando completamente la madre. Appena Alessia fece per chiedere, guardò verso la madre in modo triste e disse piano:

-L'unico motivo per qui io rimanevo qua era per papà, tutto qua- poi fece sbattere la porta. Prese per mano i fratelli ed uscirono dal condominio. In quel momento era decisamente impossibile raggiungere il padre, si trovava all'estero e Alessia non aveva abbastanza soldi per raggiungerlo. Strinse piano le mani dei fratelli e si incamminò:

-Sorellona, dove andiamo?- chiese Christian stranamente calmo. Alessia non rispose subito, ma riuscì solo a dire:

-Andiamo a vivere veramente- dopo di che non rispose a nessuna domanda posta dai fratellini. Andare da loro nonna era un no categorico, li avrebbe sicuramente riportati indietro. Lei non lo faceva per se stessa, no, lo faceva soprattutto per i suoi fratelli, le persone più importanti della sua vita. Fecero qualche giro per la città, fino a quando non dovettero fermarsi, ed ecco che la lampadina si accese nella testa della più grande. Lo aveva saputo da fonti esterne (Un'amico stretto) e adesso sapeva che Omar era quasi sempre solo a casa sua, oltre che fosse enorme. Prese sulle spalle Christian, che ne frattempo si era addormentato, per poi camminare tutti verso la casa dell'amico:

-Alessia, sono stanco- disse Patrick tenendosi alla giacca di Alessia, camminando a stento. Anche Alessia era stanca, ma doveva farcela, almeno lei:

-Tranquillo, siamo quasi arrivati- camminarono per altri dieci minuti, fino a ritrovarsi di fronte a casa di Omar. Alessia suonò al citofono e sentì:

-Chi è?-

-Alessia, puoi far salire me e i miei fratelli?- un rumore le fece capire che poteva entrare, così entrò con i fratelli e lo raggiunse piano:

-Ma che ci fai qui Alessia? E' tardi- disse Omar prendendo in braccio Christian. Alessia lo zittì con un segnò della mano e disse:

-Chiamiamo gli altri e poi parliamone- Omar li fece entrare e Patrick si addormentò subito dopo sul divano:

-Ti prego, chiama solo gli altri e digli di fare in fretta- quasi lo supplicò la ragazza con il capo chino. Il riccio sorrise intenerito e rispose:

-Tra poco saranno qui-

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3389565