When we were young

di AnnabethJackson
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0. Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Come back ***
Capitolo 3: *** 2. All I know is we said hello ***
Capitolo 4: *** Make yourself some friends ***



Capitolo 1
*** 0. Prologo ***



 




0.PROLOGO
 


5 ANNI PRIMA


 

Libero.

Ecco come si sentiva Zach Powell mentre camminava sull'interminabile marciapiede dell'isolato di Hailey, con le mani inserite nelle tasche dei jeans slavati e lo sguardo che pareva seguire l'avanzare regolare e cadenzale dei suoi piedi, uno davanti all'altro. Ma in realtà i suoi occhi non vedevano le Nike nere e bianche che calzava, leggermente più lunghe della sua misura; bensì Zach era concentrato su alcuni sassolini che stava calciando da un po', esattamente come faceva alcune volte da piccolo mentre camminava al fianco di sua madre, mano nella mano, sempre percorrendo quella stessa via.

A quel tempo Amelia non era ancora arrivata a fidarsi di lui tanto da permettergli di andare a far visita a Hailey da solo in autonomia, malgrado le innumerevoli volte in cui era stato a casa della sua migliore amica. Inoltre, il mezzo buco di topaia in cui vivevano lui e sua madre distava poco più di un isolato, una lunghezza relativamente troppo grande per un bambino di prima elementare. Così aveva tartassato Amelia per oltre due anni e, solo in seguito a continue suppliche, infine era riuscito a convincerla.

Zach ricordava bene il momento in cui aveva alzato lo sguardo la terza volta che aveva fatto quella strada a piedi, dopo aver seguito con gli occhi il percorso del sasso bianco calciato per tutta la durata di quella che, al tempo, gli sembrava una lunga passeggiata. Davanti a lui aveva visto Hailey appoggiata al tronco del faggio gigante piantato nel suo giardino, intenta a leggere uno dei libri che aveva sempre in mano e, forse a causa del vestito bianco che indossava e dei capelli biondi lasciati liberi al vento, gli era sembrata quasi surreale alla luce soffusa del sole che filtrava attraverso le foglie dell'albero.

Si fermò dopo una decina di metri, così, senza una vera e propria ragione, e chiuse gli occhi per qualche breve istante, beandosi della sensazione di leggerezza e spensieratezza che la libertà gli conferiva.

Finalmente poteva tirare un sospiro di sollievo: la scuola era ufficialmente finita, per sempre, a meno che Zach non avesse voluto frequentare il college.

Produsse uno sbuffo di divertimento a quell'idea che, in realtà, non era poi così malvagia. Dopotutto, per ottenere un lavoro che gli garantisse un mantenimento sufficiente per andarsene di casa e aiutare la madre con gli eventuali problemi finanziari, aveva seriamente bisogno di una laurea. Inoltre doveva davvero cominciare a pensare con serietà al suo futuro, anche quello lontano: e se, in un tempo non troppo vicino, avesse deciso di mettere su famiglia? Come avrebbe fatto a mantenere una moglie e degli ipotetici figli? Certo, prima, però, doveva trovare una ragazza che facesse al caso suo. Non voleva rischiare di finire bloccato in un matrimonio insoddisfacente, proprio come succedeva alla maggior parte degli adulti negli ultimi decenni, per poi divorziare qualche anno dopo la nascita di un piccolo pargoletto che avrebbe sofferto a causa dell'assenza di uno dei due genitori per tutta la durata dell'infanzia e dell'adolescenza. Quel senso di abbandono gli era fin troppo familiare per poterlo ignorare e fare l'indifferente.

In poche parole, voleva essere diverso da suo padre.

Di nuovo, rise tra sé e sé, dandosi dello stupido.

C'era tempo per pensare a quelle cose: che senso aveva trastullarsi il cervello per questioni non imminenti? Insomma, non erano bastati tutti quei discorsi seri che aveva fatto con Hailey per anni per averne piene le palle per un po' di tempo? Certo, nel caso di Hailey tutto era diverso: abituata a pianificare ogni singola cosa della sua vita nei minimi particolari con un margine di tempo considerevole, non era strano che avesse deciso l'università che avrebbe frequentato dopo il diploma già diversi anni prima.

Davvero, Zach era stato molto felice quando, finalmente, Hailey aveva smesso di parlare solo e soltanto di domande d'iscrizione e corsi da frequentare. Certo, aveva dovuto sopportare quello strazio per mesi, ma, alla fine, Zach doveva riconoscere che un po' gli era stato utile: ora sapeva recitare a menadito sia la storia della Columbia che quella della Boston University.

Ma Hailey era Hailey, e Zach era Zach. Lui viveva nel presente, lei proiettando tutte le scelte verso il futuro. E così sempre era stato.

Il ragazzo scosse la testa per scacciare quei pensieri, riprendendo poi a camminare.

Aveva o no deciso di rimandare la questione ad Agosto, solo dopo il suo compleanno? Sul serio, al massimo avrebbe dovuto saltare un semestre: la fine del mondo, a sentire Hailey, ma lui era ben felice di prendersi qualche mese di pausa dai libri. Dopotutto, non era mai stato quello che si definisce propriamente un genio, non se messo a confronto con Hailey e la sua carriera scolastica.

E poi non era riuscito nemmeno a godersi nemmeno un singolo istante di quella prima settimana di libertà dopo la consegna dell'agognato diploma: Amber non aveva smesso un solo momento di assalirlo con chiamate e messaggi, e ovviamente di visite a sorpresa a qualsiasi ora del giorno, cercando di convincerlo a tornare insieme, come già aveva fatto qualche mese prima, quando avevano deciso di prendersi una piccola pausa che poi si era rivelata essere fatale per la loro relazione.

Zach era stato chiaro fin dall'inizio: dopo il ballo di fine anno, a cui Amber teneva tantissimo, avrebbero rotto ufficialmente e definitivamente, sebbene la loro storia fosse terminata già un mese prima di quell'evento. Che poi, al ballo, lei lo aveva abbandonato già dopo il primo lento, concentrata sul farsi la compagna pubblicitaria dell'ultimo minuto per la tanto agognata corona di reginetta. Così Zach, ben felice di essersi liberato di quella ragazza – la quale era stata più una tortura che un piacere a ben pensare – prima del previsto, se n'era andato con...

Il ragazzo scosse la testa ostentatamente, scacciando il ricordo appena affiorato nella sua mente. Non doveva assolutamente ripensare a ciò che era successo dopo essere scappato dal ballo quella sera: l'avventura vissuta con lei era stata, senza ombra di dubbio, la migliore di tutta la sua vita e c'era mancato davvero poco che il giorno seguente lui avesse provato a darvi una continuazione duratura, proponendo ad Hailey di uscire per un vero e proprio appuntamento, ma nei giorni seguenti lei si era comportata come se nulla fosse accaduto, e non ne avevano più parlato. Anzi, le cose tra loro, dopo, erano persino peggiorate, malgrado Zach avesse stampato nella mente il sorriso di Hailey quella notte, così radioso e leggero da sembrargli ogni volta che ci pensava un miraggio mistico.

Erano migliori amici da una vita, eppure non si era mai sentito così lontano da Hailey come nei giorni seguenti al ballo: stranamente tra loro non c'era stato imbarazzo, com'era logico che fosse, ma, al contrario, il loro rapporto si era come congelato e lui non sapeva più che fare. Aveva una voglia matta d'invitarla a uscire con lui, pronto anche a rischiare di compromettere qualsiasi cosa pur di avere un pretesto per poterla baciare di nuovo, ancora e ancora.

Dio, dopo averle assaggiate, le labbra di Hailey erano diventate come una droga di cui lui ne era dipendente.

E poi, quella mattina, dopo essersi svegliato nel suo letto stranamente presto, si era accorto di una cosa strana: non vedeva Hailey da una settimana, esattamente dal pomeriggio seguente alla consegna del diploma. Zach ricordava di averla sentita dire che sarebbe andata alla festa organizzata al lago quella stessa sera, ma, forse a causa di un paio di birre di troppo, lui non ricordava affatto di averla vista in giro. Né quella sera, né nei giorni seguenti, e lui era stato così occupato a scacciare Amber da non essersene accorto prima. Ed era molto strano perché, malgrado Hailey non amasse molto le feste, difficilmente non vi partecipava, in sua compagnia oppure con Allison.

Ma la preoccupazione di Zach non derivava principalmente dal fatto che Hailey non si fosse fatta vedere al raduno sulla spiaggia: in quasi dodici anni di stretta amicizia, non era mai capitato che lei saltasse il loro abituale pomeriggio del mercoledì, alternativamente a casa dell'uno e dell'altra. Anche a costo di uscire con giaccone e sciarpa in preda ai brividi della febbre, non era mai mancata una singola volta.

Eppure, dall'ultima volta ne erano passati ben due, di mercoledì, ma di Hailey nessuna traccia.

Ovviamente Zach aveva tentato di contattarla con i messaggi e le chiamate, ma il telefono suonava testardamente a vuoto, ancora e ancora, così non c'era stato altro da fare che uscire dal letto, mettere un paio di jeans e una maglietta raccattati dal mucchio sul pavimento, e infilare le scarpe, diretto a casa della sua migliore amica – che forse, sperava, sarebbe diventata presto qualcosa di più.

Non c'era stato bisogno di avvisare Amelia: era tornata tardi da un appuntamento con Burt, l'uomo del momento. Anche se, pensandoci bene, Burt girava in casa già da cinque mesi, un record rispetto a tutti gli altri che erano venuti prima, i quali di solito se ne andavano via nel giro di poche settimane.

E, sempre paragonato al resto degli uomini, Zach doveva ammettere che Burt gli piaceva molto, sopratutto perché sua madre sembrava essere davvero felice in sua compagnia.

Questo per Zach era l'importante: vedere Amelia sorridere aveva davvero il potere di rallegrargli la giornata, a dispetto di qualsiasi cosa potesse andare storto al di fuori di casa. Dopotutto, aveva passato anni – per non dire tutta la sua infanzia – guardando la madre sottoposta a turni sfiancanti in un locale appena fuori città per permettere a lui di avere tutto ciò di cui aveva bisogno, schiacciata dalle numerose bollette della casa e dal resto delle spese necessarie per mantenere un figlio. Zach aveva fatto di tutto pur di alleggerire quel carico ad Amelia ed era stato davvero felice quando lei aveva trovato un posto come segretaria in uno studio di notai: i problemi finanziari erano stati lentamente dimenticati, lasciati alle spalle, e le cose erano diventate più facili, anche grazie al lavoro infrasettimanale di cameriere di Zach.

Zach pensò che, se si fosse trovato al posto di Amelia, difficilmente sarebbe stato in grado di cavarsela da solo, non senza trascurare il proprio figlio: Amelia, invece, era riuscita dove molti avrebbero fallito, distribuendo in modo uniforme il suo tempo tra lavoro e famiglia, sacrificando ovviamente ogni minuto di libertà che poteva ritagliarsi.

Sì, senza dubbio sua madre era la donna più in gamba che avesse mai conosciuto e le sarebbe sempre stato grato per tutto ciò che aveva fatto.

Raggiunse il pianerottolo della casa di Hailey con un sorriso in volto, superando con un balzo i due gradini che lo separavano dalla porta tinteggiata di bianco. Quante volte si era trovato parallelamente nella stessa situazione? Era impossibile stimarne il numero esatto, eppure quello era destinato a essere un giorno completamente diverso da tutti gli altri e Zach lo comprese poco prima di alzare il pugno per bussare.

Vide la propria mano muoversi come al rallentatore, per picchiare sul legno levigato della porta e attendere, con il rimasuglio del sorriso di prima stampato in volto.

Conosceva il signor Anderson – come lui si ostinava a chiamare malgrado il numero infinito di volte in cui Peter gli aveva detto che il nome di battesimo andava benissimo – da tantissimo tempo e per lui era diventato quasi un padre. Se aveva un problema, un dubbio che riguardava l'essere uomo, si rivolgeva sempre e soltanto al signor Anderson, sicuro che lui avrebbe trovato la risposta giusta, che gli avrebbe dato il consiglio migliore per ogni situazione. Non una volta lo aveva deluso.
Non ancora, almeno.

Ma quando la porta di aprì, lentamente, e davanti a lui comparve la figura intera del signor Anderson, Zach sentì che qualcosa non andava. Eppure, il sorriso continuò a persistere sul suo volto.

Peter indossava il suo maglione del giovedì, quello color panna che era finito così tante volte in lavatrice da essere diventato più grigio che non della tinta originale. Zach non sapeva perché il signor Anderson si ostinasse a indossarlo, giovedì dopo giovedì, accompagnato da un pantalone di lino e dalle sue espadrillas a righe. Con i capelli biondi che si ritrovava poi, impersonava un po' lo stereotipo del perfetto padre di famiglia, vestito a tema per la messa domenicale delle dieci. Zach, però, sapeva che quell'uomo aveva poco in comune con ciò che pareva sembrare.

« Salve, signor Anderson. Come va? » domandò, togliendo educatamente le mani dalle tasche, proprio come gli aveva insegnato l'uomo davanti a lui un bel po' di tempo prima.

« Ciao, Zach. Va tutto bene, grazie. »

Quella era la risposta che il signor Anderson gli dava sempre quando lo incontrava, ma, in qualche modo, quel giorno era diversa. Zach non riusciva a capire se fosse il tono di voce apparentemente ostile oppure l'espressione, perché, a differenza delle altre volte, Peter non aveva ancora ricambiato il suo sorriso, malgrado si potessero vedere bene le numerose rughe di espressione che gli incorniciavano gli occhi, le quali suggerivano quanto quell'uomo avesse riso in vita sua.

Fu allora che anche il sorriso di Zach cominciò a incrinarsi.

« Hailey è in casa? » domandò imperterrito lui, decidendo di non far caso a tutti gli indizi che, al contrario, suggerivano di starsene in silenzio.

Perché il signor Anderson lo stava fissando con quella strana espressione? Guardarlo negli occhi era come stare davanti al lago durante i giorni di tempesta, quando il vento infuriava e le onde dell'acqua si increspavano. Eppure, Zach era sicuro che Peter non fosse arrabbiato: nel quel caso l'uomo si sarebbe limitato ad aprirgli la porta, per poi chiudersi nel suo studio senza un minimo cenno di saluto.

Che diavolo stava succedendo?

Dopo qualche secondo, il signor Anderson scosse la testa, lentamente, senza mai smettere di guardarlo in quel modo strano, quasi come se fosse contrario alla domanda che il ragazzo aveva appena posto.

Zach si diede mentalmente del deficiente: che andava a pensare? Perché mai Peter doveva essergli contrario?

Okay, Hailey non era in casa. Zach evitò di domandarsi dove fosse, sicuro che, probabilmente, la ragazza fosse andata a rintanarsi in biblioteca per sfuggire al caldo torrido degli ultimi giorni. Dopotutto, Hailey diceva sempre che, in biblioteca, si potevano trovare le risposte a tutti i problemi della vita, da un esame particolarmente difficile, fino ad arrivare alla frescura e al calore che, rispettivamente, il ventilatore e il termosifone conferivano in base alla stagione corrente. Con tutte le probabilità, era già entrata nella fase “preparazione per la Columbia University” di cui gli aveva fatto cenno circa un centinaio di volte, e quindi necessitava di tutti i libri sull'architettura disponibili in biblioteca, malgrado Zach fosse sicuro che Hailey li avesse già letti tutti nel corso della sua infanzia e adolescenza.

« Okay, non importa » mormorò Zach, alzando un angolo della bocca. « Passerò più tardi. »

Il ragazzo non si aspettava certo di vedere Peter scuotere il capo nuovamente, sempre con la stessa espressione stampata in volto. Questa volta, però, l'uomo si passò una mano sulla fronte, massaggiando per qualche secondo la zona centrale, come se fosse stanco e avesse seriamente bisogno di uno stacco dal problema che lo affliggeva.

E, con quel gesto, Zach ebbe la certezza sicura che qualcosa non andava sul serio e che lo sguardo contrariato del signor Anderson era davvero rivolto a lui.

Fu allora che la sua realtà ebbe fine, inesorabilmente; la realtà del primo incontro con Hailey a sei anni, quella della loro amicizia, quella della loro migliore amicizia, quella del primo giorno di superiori e quella della notte del ballo.

Tutto finì, l'era di Hailey, della sua migliore amica Hailey, terminò.

Un attimo prima che Peter aprisse bocca per dire le parole inevitabili, Zach comprese che non avrebbe mai dimenticato quel momento, l'istante esatto in cui capì che tutto ciò che c'è di bello al mondo, purtroppo, ha una fine. Eppure, ascoltare quelle parole fu la cosa più difficile che avesse mai fatto fino a quel momento.

« Non è più qui, figliolo » mormorò Peter, guardandolo intensamente negli occhi. « Hailey se n'è andata. »
 




Al piano superiore di quella stessa casa bianca, seduta davanti a una vecchia scrivania in mogano, talmente antiquata da non essere più nemmeno levigata, Hailey poteva sentire tutto ciò che veniva detto giù, sul pianerottolo.

Avrebbe potuto evitarsi un sacco di dolore chiudendo la porta della camera, o mettendo gli auricolari nelle orecchie, ma, sinceramente, non ne aveva voglia. Da vera masochista non era riuscita a resistere alla tentazione di ascoltare un'ultima volta il suono rassicurante della voce di Zach, talmente familiare che molto spesso riusciva a riprodurla fedelmente in sogno. Se proprio doveva andarsene per quello che lei aveva calcolato essere molto tempo, udirlo un'ultima volta sarebbe servito solo a prolungarne il ricordo doloroso, lo sapeva, ma ne sentiva la necessità fisica, oltre che mentale.

Chiedere a suo padre di mentire era stato un gesto ignobile e codardo, ne era consapevole. Ma, costretta a prendere in fretta delle decisioni che avrebbero condizionato per sempre la sua vita, non le era venuto in mente nient'altro. Dopotutto, aveva fatto un piano ed era intenzionata a seguirlo fino alla fine.

Così, con una penna in mano e un foglio quasi completamente bianco davanti a sé, riprese a scrivere da dove si era interrotta, mentre una lacrima silenziosa cadeva sulla carta, sbiadendo qualche parola d'inchiostro. Ma Hailey non se ne curò e lasciò che il suo viso continuasse ad essere solcato da gocce amare, che sapevano di rammarico e abbandono.

Tanto era consapevole che quel pianto non era il primo, né, sicuramente, sarebbe stato l'ultimo.
 




Caro Zach,

No, aspetta. L'appellativo "caro" non va affatto bene per le circostanze. Dopotutto, cosa sei tu per me? Un amico? Il mio migliore amico? Oppure il ragazzo di cui mi sono innamorata giorno dopo giorno, anno dopo anno?

Okay, forse è meglio se ricomincio dall'inizio.
 

...

Ehi Zach,

Ciao.

Ho promesso a me stessa che in questa lettera non avrei fatto la drammatica, restando su toni più scherzosi. Ma insomma, non è così facile vista la situazione, non trovi? Ah, già, tu non lo sai.

Dio, che stupida che sono.

Sto qui a scrivere di umorismo da quattro soldi quando questa lettera non ha nemmeno senso, perché so già che non avrò mai il coraggio di spedirtela, oppure di fartela tramite papà o Allison. Probabilmente, una volta messo il tappo alla penna, riporrò questo foglio di carta nel cassetto della mia scrivania, sotto qualche libro, dove so che tu non guarderesti mai, nemmeno se per caso ti ritrovassi a mettere a soqquadro la mia camera...

Che idea stupida, eh? Decidere di andarmene senza dirti nulla, mandando mio padre a fare l'ambasciatore che non porta pena per evitare di cadere in trappola ai tuoi occhi. Il problema è che, solo guardandomi, riesci sempre a farmi parlare, anche quando non vorrei. E questa volta proprio non posso permettermi di lasciarmi sfuggire una sola parola, anche a costo di non poterti dire addio.

Ora, proprio in questo momento, ti sto ascoltando dalla mia camera mentre parli con mio padre, ed è difficile resistere alla tentazione di scendere le scale, correrti incontro, buttarmi tra le tue braccia e raccontarti tutto. Tu che sei sempre stato il mio confidente, colui che mi ascoltava attentamente anche nel cuore della notte e che mai si lamentava. Dio, quanto mi manca tutto questo.

Zach, non sai quanto io stia soffrendo nel scriverti questa lettera, proprio ora che la scuola è finita e che il nostro futuro è appena cominciato.

Sai, come un'ingenua credevo proprio che dopo il liceo le cose sarebbero cambiate per me, per te, per tutti... E, in un certo senso, è curioso scoprire che avevo ragione, come sempre: le cose stanno davvero per cambiare, ma non come avevo ardentemente sperato negli ultimi anni, stando al tuo fianco. Anzi, se devo essere sincera, questo risvolto ha dell'incredibile: come posso essere stata così stupida? Come possiamo essere stati così stupidi, tu ed io?

Davvero, ho sentito tante storie simili alla mia, ma non avrei mai creduto possibile che potesse succedere a me; non così presto, almeno. Io che pianifico tutto fin da quando ero bambina, io che avevo programmato così bene il futuro da sembrare fin troppo perfetto.

Già... Ovviamente non avevo messo in conto gli imprevisti che possono sempre sorgere.

Imprevisti.

Che buffa parola. Dopotutto, è giusto chiamarlo così? Un imprevisto? Perché, se devo essere sincera, io penso che tutto ciò sia solo un cattivo scherzo del destino che, proprio nel momento in cui pensavo a un risvolto positivo per noi due, ha deciso di fare il bastardo doppiogiochista, mettendomi definitivamente in panchina. Evidentemente, non siamo destinati ad appartenerci, malgrado la notte incredibile che abbiamo passato. Sono certa di non esagerare quando dico che è stata la più bella di tutta la mia vita. Non rimpiango un singolo momento passato insieme a te Zach, devi credimi.

Sto parlando per metafore, vero? Presumo che tu non ci stia capendo proprio nulla di tutto questo mio straparlare... Va beh, sai anche tu quanto mi sia facile perdermi in un bicchiere d'acqua quando vado nel panico. E sì, se te lo stai chiedendo, al momento sono nel più completo panico.

Un panico che mi blocca il respiro, che mi fa lacrimare gli occhi come poche altre volte prima d'ora. Un panico che mi costringe ad abbandonare tutto e tutti in modo da poter tornare a respirare.

Ho bisogno di andarmene, Zach. Scappare da questa piccola città, da questa casa così intrisa di ricordi... da te. Non ce la faccio più a vederti con un'altra ragazza che non sia io. Perché sì, sono gelosa. Così gelosa che più volte sono stata sul punto di strozzare con le mie stesse mani tutte le tue, cosiddette, commensali. Ma questo te l'ho già detto, no?

E poi c'è quel piccolo, minuscolo particolare. Il vero motivo per cui me ne devo andare immediatamente, prima che il virus del pettegolezzo diventi un focolaio epidemico in tutta la città, arrivando alle tue orecchie prima ancora che io possa dire o fare qualcosa.

Ciò che mi preme tu capisca, però, è che lo faccio per te, solo e esclusivamente per te. So cos'hai passato, ciò che hai dovuto sopportare nella vita, e proprio non ce la farei a vederti morire sotto ai miei occhi, schiacciato da quest'obbligo solo perché ne sei per metà responsabile.

Io voglio il meglio per il mio migliore amico, per il mio amore. Io voglio che tu possa goderti la vita appieno come hai sempre desiderato, esattamente nel modo in cui me ne hai parlato il primo giorno delle superiori, ricordi?

Non ti meriti quest'ulteriore fardello sulle spalle, Zach, perché sei una persona d'oro, pronta persino a sacrificare la vita per il bene di chi ami. Quindi, ora, io voglio fare questo regalo a te: per una volta sarò io a sacrificarmi, proprio come hai fatto tu nei miei confronti sempre e comunque.

Me ne vado sapendo che il mio rimpianto più grande sarà sempre quello di non averti mai detto quanto ti amo, quanto tu sia stato essenziale nella mia vita fino ad ora. E, con tutte le probabilità, lo sarai per sempre.

Senza di te non sarei la Hailey di oggi. Senza di te sarei ancora una stupida bambina di sei anni, con uno stupido cappello a visiera e la convinzione di essere sola al mondo. Senza di te, Zach, la mia vita, per quanto interessante e ricca possa essere, non avrebbe alcun senso.

Per questo ti ringrazio di avermi trovata su quello scoglio, di esserti avvicinato per parlarmi malgrado il mio caratteraccio, e di avermi salvata, in tutti i sensi.

Zach, sono lusingata e onorata di averti avuto come migliore amico e, ora, come padre di mio figlio.

Addio per sempre, 
Hailey






Annie ☚ Corner


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Ho deciso di aprire questo primo "spazioautrice" con Daniel perché... bho, perché sì e basta (?)
Salve a tutti, sono AnnabethJackson e questa è la mia storia. Non vi sto a scrivere tutta la mia autobiografia; vi basti solo sapere che sono approdata in questo mondo di originali dopo diversi anni in quello delle fanfiction. Una nuova avventura sotto molti punti di vista, insomma.
Dunque, preciso che a questa storia tengo molto.
Il motivo è dovuto al fatto che ci sto lavorando parecchio su, sia a livello di scrittura ma anche di intreccio...
Da questo prologo, probabilmente, vi sembrerà una trama trita e ritrita, ma io vi chiedo di dargli tempo. I capitoli seguenti saranno molto più lunghi, ve lo garantisco :) Per quanto riguarda l'aggiornamento vi avverto già che passeranno ere tra un capitolo e l'altro, come mio solito, ma prima o poi continuerò sempre.
Ringrazio anticipatamente se qualcuno deciderà di lasciare un commento e/o seguire la storia. (Vi raccomando anche di segnalarmi errori nel caso in cui ne troviate >.<)
Null'altro. Credo.
Grazie di aver letto fino a qui!
Al prossimo capitolo,

Annie 
 

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Capitolo 2
*** 1. Come back ***





 

1.COME BACK
 


PRESENTE


 

Gli alberi di faggio si susseguivano uno dietro all'altro mentre la macchina procedeva spedita lungo il viale. Hailey si era sempre domandata per quale motivo la strada del vicinato avesse proprio quell'esemplare di albero: con il tronco biancastro e il verde vivace delle foglie – sopratutto in primavera e in estate – sembrava di star percorrendo una sorta di corridoio infinito.

I faggi, piantati a due metri di distanza uno dall'altro, erano talmente alti – chissà quanti anni avevano – che, anche sporgendosi dal finestrino, era difficile scorgere il cielo azzurro di quella mattina.

Hailey ricordava bene il momento in cui aveva visto quel paesaggio per la prima volta, a sei anni: era rimasta così meraviglia, o meglio sbalordita, che non aveva potuto fare a meno di sporgere la testa fuori dall'auto con i capelli che volavano dietro di sé a causa del vento, malgrado le raccomandazioni di suo padre che alternava occhiate da lei alla strada per assicurarsi che non cadesse dal finestrino.
Si era sentita un po' come una formica: parte di un gruppo di suoi simili, ma minuscola se messa a confronto con il mondo esterno.

E ora, mentre percorreva quello stesso viale per la prima volta dopo cinque anni, non poté evitare di tornare indietro con la memoria e di assaporare le medesime sensazioni che aveva provato da bambina.

Respirò profondamente l'aria che entrava dal finestrino abbassato e che le faceva svolazzare una ciocca di capelli sfuggiti dalla coda. Percepì un fugace profumo di fiori e, insieme a quello dell'estate, sentì distintamente l'odore di casa. L'odore che aveva accompagnato la sua crescita, parte della sua infanzia e tutta l'adolescenza. Quel profumo – insieme a quello di lui – che aveva provato a risvegliare innumerevoli volte negli ultimi cinque anni, in particolare quando le cose si facevano più difficili, più dure; ma ovviamente tutti i suoi tentativi erano stati vani.
Niente poteva reggere il confronto con l'originale.

Hailey lanciò un'occhiata alla sua destra e non poté evitare di sorridere leggermente, allo stesso tempo divertita e preoccupata.

« Benjamin, stai attento a non sporgerti troppo » disse.

« Ma mamma, qui fuori è bellissimo! » urlò il bambino, cercando di sovrastare il rumore del vento che gli rubava le parole di bocca.

Hailey scosse la testa, certa che quel viale doveva avere proprio un strano potere sui bambini: suo figlio stava facendo la stessa cosa che aveva fatto lei a suo tempo.

Con un po' di tristezza, Hailey pensò che, se solo avesse portato Ben a casa molto prima, il piccolo sarebbe potuto crescere in quel posto circondato dagli stessi alberi e con la consapevolezza di essere nel posto in cui doveva stare fin dall'inizio.

Già, se solo...

Con una leggera pressione sul pedale del freno, girò il volante ed entrò nel vialetto che conosceva come le sue tasche per le innumerevoli volte in cui l'aveva percorso. Avrebbe potuto benissimo chiudere gli occhi e, con una probabilità certa, non avrebbe mai mancato l'entrata: dopotutto, suo padre l'aveva costretta a parcheggiare la macchina anche in retro finché Hailey non aveva imparato a rispettare i bordi laterali del vialetto.
Ricordava bene di essergli stata infinitamente grata per quell'allenamento quando aveva dovuto fare un parcheggio simile davanti all'esaminatore: alla fine era riuscita a mantenere il suo record di successi invariato, mettendo invidia non solo ad Allison, la quale aveva dovuto ripetere l'esame tre volte, ma anche al suo migliore amico. Dopotutto lui compiva gli anni un paio di mesi dopo di lei. Così lui aveva passato il tempo prima del compleanno scroccando passaggi gratis a Hailey che, dal canto suo, si era lamentava solo apparentemente.

Lasciò che la vibrazione della macchina scuotesse il suo corpo quasi impercettibilmente per qualche secondo, mentre al suo fianco Ben era tornato a sedersi composto, senza però riallacciarsi la cintura.

Una buona madre, sicuramente, non avrebbe mai permesso al proprio figlio di appena quattro anni di girare in macchina senza l'apposito seggiolino sotto il proprio sedere, ma erano in viaggio da ore e Benjamin aveva cominciato a lamentarsi di stare stretto e scomodo su quell'aggeggio infernale – così l'aveva definito lui. Alla fine, pur di farlo stare fermo con la cintura di sicurezza allacciata, Hailey gli aveva permesso di sedersi al suo fianco dopo la sosta al McDrive, a patto che non facesse più i capricci fino all'arrivo.

Per una volta, Benjamin aveva mantenuto la parola: forse perché troppo occupato ad assorbire il paesaggio, forse perché troppo eccitato all'idea di cambiare casa e andarsene lontano da Atlanta, non aveva osato staccare la faccia del finestrino finché Hailey non aveva svoltato in Rudy Road, esattamente due isolati prima.

Con uno scatto del polso, girò la chiave d'accensione, spegnendo il motore della macchina, senza però lasciare la presa della mano sinistra sulla pelle liscia del volante.

Era tornata a casa, finalmente.

Liberò un sospiro alla vista del garage tinteggiato di bianco davanti a lei: erano cinque anni che non vedeva quelle serrande di metallo. E, malgrado non fosse chissà che spettacolo, persino quello gli era mancato.

« Mamma? »

Sbatté le palpebre una, due volte, tornando alla realtà bruscamente. Hailey voltò il capo verso destra, inclinandolo di poco. « Che c'è, tesoro? »

Guardò il figlio ricambiare il suo sguardo, aprendo la bocca e scoprendo lo spazio tra i denti davanti: qualche settimana prima, Hailey stava ripiegando il bucato dal cesto della biancheria pulita, in piedi davanti alla lavatrice, quando Benjamin, tutto trafelato, era arrivato di corsa da lei, agitando i pugni e con gli occhi talmente spalancati da sembrare due palle da bowling azzurre.

« Mamma, mamma! Qualcuno mi ha strappato il dente dalla bocca mentre dormivo! » aveva urlato, aprendo il palmo della mano su cui c'era un piccolo e candido dentino bianco, macchiato appena di sangue.
Nel medesimo istante era squillato il telefono, perciò Hailey aveva appoggiato l'ultimo calzino sul coperchio della lavatrice, prestando tutta la sua attenzione a Benjamin, mentre con la mano cercava il cellulare nella tasca degli shorts.

« Ben, nessuno strappa i denti alle persone, nemmeno se queste stanno dormendo. È normale che cadano quando si diventa grandi » l'aveva rassicurato, passandogli la mano tra i capelli in una carezza.

Il suo istinto di madre avrebbe voluto immortalare il momento con uno scatto del cellulare, magari per condividerlo in un secondo istante con Allison, ma questo stava ancora squillando e quindi doveva rispondere. Senza premurarsi prima di guardare chi era, aveva fatto scorrere il dito sullo schermo dell'Iphone: dopotutto, le persone che avevano il suo – relativamente – nuovo numero si potevano contare sulle dita di una mano. Non c'era nessun motivo per temere una chiamata indesiderata...


 

« Posso uscire dalla macchina ora? »

Hailey scacciò il ricordo dalla mente, decidendo che non era il momento per quel genere di pensieri.

Ci aveva ragionato su fin troppe volte da quel giorno, sopratutto la sera, dopo aver messo a letto Ben, e non voleva rovinare l'atmosfera idilliaca che l'aveva avvolta in un caldo torpore da quando aveva superato il cartello che augurava ai visitatori una “buona permanenza a Manning”, poco fuori dalla città.

Era piacevole sapere di essere a casa, anche se questo voleva dire rischiare di fare brutti incontri – o belli se la si voleva vedere da un altro punto di vista – e affrontare la situazione per cui era tornata.

« Certo che sì, Ben » disse, slacciando la cintura. Il tempo che impiegò per afferrare la bottiglietta d'acqua dal cofano e tirare il freno a mano che Benjamin già era uscito dall'auto, sbattendo il più forte possibile la portiera. Hailey sbuffò, appuntandosi mentalmente di rimproverare suo figlio per quel comportamento.

Poi, finalmente, uscì anche lei dalla macchina, prendendo una grande boccata d'aria.

Casa.

« Nonno! » urlò Benjamin da qualche parte alla sua destra. Aprì gli occhi appena in tempo per vedere la piccola figura di suo figlio spiccare un salto e lanciarsi addosso a un uomo in piedi sul primo gradino del portico, attaccandosi a quest'ultimo a mò di koala, com'era solito fare con tutti gli adulti che gli stavano simpatici.

A quelli antipatici... beh, era meglio stare nelle grazie del bambino, ecco.

Peter lo sostenne per qualche secondo con un braccio dietro alla schiena, poi lo rimise a terra, accennando un buffetto sulla guancia come aveva sempre fatto anche con Hailey da piccola, quando questa tornava da scuola.

« Ecco qui il mio campione! Diventi sempre più forte, eh? » disse, porgendogli una mano chiusa a pugno.

Ben rispose subito al saluto, facendo scontrare le loro nocche una contro l'altra: il suo sorriso gioioso, se possibile, si allargò ancora di più e questo fece piacere anche ad Hailey che adorava vedere il figlio felice.

« Tra poco riuscirò anche a batterti, nonno! » E così dicendo prese a tirare i pungi in direzione del nonno, borbottando un “ciuff, ciuff” ogni volta che sferzava l'aria in un tentativo infantile di imitare il suono di quel gesto.

Peter dal canto suo finse di piegarsi in due dal dolore finché Ben non iniziò a ridere, divertito dall'espressione contrita e buffa che l'uomo si era disegnato in faccia per simulare il male.

Hailey rimase lì in piedi ad osservare la scena con un sorriso, finché suo padre non alzò finalmente lo sguardo, guardandola in volto per la prima volta.

« Hailey. »

Quest'ultima, annullando le distanze con pochi passi affrettati, gli gettò le braccia al collo, godendosi il piacere di stringerlo a sé: erano mesi che non lo vedeva e dall'ultima volta la sua nostalgia di casa era aumentata a dismisura, superando persino quella che l'aveva travolta nel primo periodo dopo il suo trasloco.

Ma non fu solo la nostalgia a farle salire un groppo in gola.

All'improvviso, malgrado la decisione di non pensare alla telefonata fino a un momento più opportuno, lo stomaco le si strinse in una morsa ferrea anche se non riuscì a capire se fosse colpa della paura oppure della preoccupazione.

O forse un mix delle due.

« Ciao, papà » mormorò con il viso attaccato al suo collo cercando di scacciare il pensiero nell'angolo più remoto della sua mente e decidendo di godersi solo le sensazioni piacevoli. Come quelle che si scatenarono dentro di lei nel momento in cui respirò il profumo di suo padre, con il naso che sfiorava il colletto della camicia a quadri di Peter: la stoffa di cotone le solleticava la pelle, ma risvegliava anche i ricordi belli del passato.

Nella sua mente, Hailey vide lo scorcio di un loro abbraccio mentre erano sul divano del salotto in seguito a una brutta giornata: osservò brevemente sé stessa bambina affondare la faccia nell'incavo della scapola di Peter a lungo, finché i singhiozzi che l'avevano scossa non erano terminati, lasciando solo il vuoto e la tristezza.

Eppure, malgrado il ricordo non fosse dei più felici, Hailey lo associava da sempre alla parola “famiglia” proprio per il conforto che aveva tratto quel pomeriggio, impresso nella sua memoria.

« Mi sei mancata tanto, piccola Andy-ley » sussurrò Peter al suo orecchio, appena prima che i due si separassero.

Quello era il soprannome con cui suo padre la chiamava.

L'origine risaliva a quindici anni prima, quando Peter era andato a parlare con la maestra delle elementari della figlia per informarla brevemente di alcune questioni riguardanti il trasloco e la loro vita prima che arrivassero a Manning – come la morte di sua madre, ad esempio. E la maestra, guardando dal foglio che la segreteria le aveva fornito, aveva letto in modo errato il nome di Hailey, forse perché era mezza cieca e si ostinava a non voler indossare gli occhiali.

Il soprannome era piaciuto così tanto a Peter che questo aveva preso ad usarlo nei confronti della figlia alla quale non dispiaceva poi molto. Dopotutto solo tre persone in tutta la sua vita le avevano affibbiato un soprannome e, in ognuno dei casi, si era sentita speciale e unica proprio per l'esclusività: sua padre, Allison e...

Di nuovo, cercò di non pronunciare quel nome, nemmeno nella sua mente come se, rifiutandosi, avrebbe scongiurato qualsiasi possibilità – alta – di incontrarlo in giro per la città.

Una parte di lei si era già pentita della decisione di tornare: aveva pensato a lui fin troppo spesso da quando era arrivata a Manning e questo non andava affatto bene né per la sua sanità mentale, né per la sua vita in generale.

Non dopo tutta la fatica che aveva fatto per cercare di dimenticarlo negli ultimi cinque anni.

« Anche tu mi sei mancato tanto papà » disse staccandosi a malincuore.

« Allora, come è andato il viaggio? » domandò Peter mentre Hailey si spostava un ciuffo della frangia dietro all'orecchio, inutilmente visto che questo tornò a coprirle il viso pochi attimi dopo.

Doveva ancora abituarsi a quel nuovo taglio: malgrado fossero passati già tre mesi da quando si era decisa a fissare un appuntamento dalla parrucchiera vicino al suo appartamento ad Atlanta, per poi uscire dal negozio con un chilo – si fa per dire – di capelli in meno sulla testa, rimaneva ancora stupita nel sentire l'aria solleticarle il collo e nel non poter più fare una coda di cavallo senza che delle ciocche sfuggissero dall'elastico ogni volta che voltava il capo.

Ma aveva sentito la necessità di un cambiamento radicale e così l'aveva fatto, senza pensarci troppo.

« Tutto bene, grazie. Abbiamo trovato un po' di traffico nei pressi di Augusta, ma in generale la strada era abbastanza libera » disse Hailey.

« Bene, ne sono contento. E Ben? » domandò di nuovo Peter, indicando con un cenno della testa il bambino, il quale aveva preso a giocare con le sue macchinine nel prato davanti casa.

Hailey si strinse nelle spalle. « Grazie al cielo è stato bravo. Nei suoi limiti ovviamente » rispose, sollevando un angolo della bocca. « Dopo un'ora di viaggio deve aver visto dal finestrino un contadino portare al pascolo delle mucche perché ha cominciato a fare domande ad intermittenza sul perché le persone portano a spasso le mucche e le pecore anche se queste non vivono in casa come invece fanno i cani. Insomma, il solito. »

Peter rise divertito, conscio di cosa volesse dire essere sottoposto all'Interrogatorio di Ben Anderson – così lo chiamava Hailey.

Nelle rare volte in cui aveva fatto visita alla figlia, Peter aveva potuto assistere a numerosi “Interrogatori”, uscendone sì sfinito, ma con uno scintillo negli occhi, come se la curiosità eccessiva del nipote fosse motivo di orgoglio e di buon auspicio per lui, un rinomato storico in tutto il Paese.

« Su, forza, entriamo in casa » disse Peter, indicando la porta. « Qui serve un bel bicchiere di limonata fresca. Ai bagagli penseremo dopo, okay? »

Hailey annuì, richiamando il figlio prima di salire i pochi gradini del portico e chiudersi la porta bianca alle spalle con un sospiro.

Casa dolce casa.

Fece vagare lo sguardo da destra verso sinistra, abbracciando tutta l'entrata e assorbendo più dettagli nel minor tempo possibile. Il risultato fu quasi surreale: le parve di essere entrata in un nuovo mondo, completamente diverso dal precedente, ma che in qualche modo risvegliava in lei molteplici sensazioni. Prima fra tutte quella della familiarità.

Osò fare un passo in avanti, passando la punta delle dita della mano sinistra sopra il vetro della cornice contenente una foto di lei a dieci anni. In quello scatto rubato indossava un vestito blu a fiori bianchi, con i capelli lunghi che le arrivavano quasi alla vita posati sulle spalle. Aveva lo sguardo basso sul terreno e con le mani teneva sollevati i lati della gonna, come se fosse stata intenta a compiere il gesto di chinarsi verso il fiore ai suoi piedi.

Hailey non ricordava quando fosse stata scattata, ma aveva visto così tante volte quella foto, sopratutto quando prendeva le chiavi di casa dalla ciotola lì accanto prima di uscire, che in quel momento le parve di incontrare una vecchia amica dopo tanto tempo.

Lo stesso effetto le fece il vaso di calle finte posato sul mobiletto all'angolo delle scale che portavano al piano superiore e anche il divano nel salotto e la libreria sulla parete della medesima stanza.

Poteva sembrare assurdo, ma fu così e basta.

Ed Hailey non si aspettava diversamente: quando aveva preso la decisione finale, era consapevole a grandi linee di ciò che il suo ritorno – e l'arrivo di Ben – avrebbe comportato.

Si stupì però nel notare che niente aveva subito una modifica, come se il tempo in quella casa si fosse congelato nell'attesa di poterla accogliere esattamente come aveva lasciato la situazione cinque anni prima.

Al di fuori di lì, però, tutto era cambiato.

Sospirò mentre metteva le chiavi della macchina nella ciotola di ceramica, al cui interno già c'era un'altra chiave, probabilmente quella di suo padre; poi superò l'atrio dell'ingresso in pochi passi e svoltò a sinistra, entrando in cucina.

Benjamin aveva già preso posto sulla sedia a capotavola, accovacciato sulle ginocchia dato che non arrivava alla superficie, piazzando i gomiti sul tavolo in modo da poter appoggiare i palmi sotto il mento.

Il bambino osservava Peter che era di spalle, intento ad affettare delle fette di limone su un tagliere accanto al fornello. Quando questo gli porse un bicchiere con il bordo alto contenente la limonata che faceva in casa, Benjamin rimase a fissare il liquido, aggrottando le sopracciglia.

« Nonno, voglio del ghiaccio » sentenziò dopo qualche secondo.

Hailey, che nel mentre si era seduta accanto al figlio, gli puntò addosso uno sguardo di rimprovero, un sopracciglio alzato e le labbra arricciate. « Come si dice...? »

In tutta risposta, Benjamin aggrottò maggiormente le sopracciglia, ma dopo aver guardato negli occhi la madre per qualche istante alla fine abbassò lo sguardo sconfitto, sbuffando. « ... Per favore? »

« E non sbuffare! » aggiunse Hailey mentre Peter ridacchiava divertito della scena, girandosi verso lo sportello del freezer ed estraendo un paio di cubetti di ghiaccio che mise poi nella limonata del nipote.

Hailey sospirò, accettando con un sorriso di gratitudine il bicchiere che suo padre le porse qualche secondo dopo, prendendo posto di fronte a lei.
Lo aveva ammesso poche volte negli ultimi cinque anni – maledetto orgoglio –, ma c'erano momenti in cui era difficile essere una madre single, anche se la gioia che alcune situazioni portavano ripagava tutti gli sforzi e i sacrifici fatti.

« Forza, raccontami! Come va? » domandò Peter, puntando gli occhi addosso alla figlia.

Solo allora Hailey si prese il tempo di osservare interamente per la prima volta il padre, passando volutamente la sua figura da cima a fondo quasi stesse facendo una radiografia completa.

E ciò che vide non le piacque. Affatto.

Dall'ultima volta che Peter era stato a trovarla ad Atlanta erano passato cinque mesi, più o meno a metà Febbraio, in corrispondenza dell'uscita del suo ultimo libro, ma Hailey ricordava bene il viso del padre anche grazie all'aiuto delle foto scattate in quei giorni, in sua compagnia o con Ben.

E, con sgomento e un leggero senso di angoscia, la ragazza constatò che l'ultima versione di Peter sul suo telefono aveva qualcosa di completamente diverso dalla persona che ora stava davanti ai suoi occhi.

L'uomo aveva le guance decisamente più smunte, il mento appuntito e un leggero segno di occhiaie sotto le palpebre. Sembrava che non dormisse e mangiasse da giorni.

Il che non era poi così strano, in effetti: quando era sotto stress, in particolare nel periodo in cui era impegnato a fare ricerche per un nuovo libro mentre la scadenza di questo di avvicinava, suo padre passava ore intere chiuso nel suo studio senza mai uscirne se non per bisogni fisiologici.

Fin da quando aveva dieci anni, Hailey aveva imparato che era meglio lasciarlo in pace se non usciva dallo studio nemmeno la mattina, e quindi aveva preso l'abitudine di portargli silenziosamente un piatto di maccheroni al formaggio o un panino ripieno per paura che il padre stesse a digiuno per un periodo troppo prolungato. Ma da quando se n'era andata, probabilmente Peter non aveva cambiato affatto abitudini.

Di conseguenza, Hailey cercò di convincersi che il motivo per cui suo padre le sembrava così sciupato fosse dovuto al suo lavoro e non alla telefonata.

« Ti trovo bene, Hailey » continuò Peter, davanti al momentaneo silenzio della figlia.

Quest'ultima, riscossa dai suoi ragionamenti mentali, si passò distrattamente una mano tra i capelli, spostandoli indietro prima di rispondere con un'alzata di spalle e un sorriso che, sperava, essere rassicurante.

« Non c'è male, papà » disse. « Ma- »

« Mamma, mamma, mamma. »

La ragazza sospirò, interrompendosi a metà della frase per girarsi verso il figlio, il quale ora era in piedi al suo fianco, una mano a tirarle la stoffa della maglietta a mezze maniche e lo sguardo serio. Hailey conosceva fin troppo bene quell'espressione: Benjamin voleva qualcosa e, finché non l'avrebbe ottenuta, difficilmente si sarebbe zittito.

« Che c'è, tesoro? » chiese, trattenendosi dall'alzare lo sguardo al cielo davanti all'espressione del figlio. Non era certo il primo maschio a spalancare gli occhi in quel modo prima di porle una domanda che, sicuramente, lei non avrebbe gradito. Benjamin assomigliava fin troppo a...

« Posso andare a guardare la tv? Stamattina non ho visto i cartoni! » esclamò il bimbo, congiungendo le mani in un gesto di preghiera e guardandola. Gli occhi azzurri erano quelli di Hailey, certo, ma l'espressione supplichevole sicuramente l'aveva presa da qualcun altro.

E, per fortuna di Ben – o sfortuna della madre, se la si voleva vedere da un altro punto di vista – non era mai riuscita a resistere, né con il figlio né con lui.

« Va bene, ma guai a te se mi accorgo che ti sei messo a guardare qualche film horror, intesi? » Qualsiasi altra raccomandazione avesse da fargli sarebbe stata spesa al vuoto dato che, in meno di un attimo, suo figlio era già sparito dietro l'angolo della cucina, correndo come uno scalmanato e lasciando andare un grido di esultanza.

Qualche istante dopo, si udì distintamente la colonna sonora di 'Curioso come George' prevenire dal salotto e un tonfo sordo segno che Ben si era buttato di peso sul divano di pelle.

Hailey pregò mentalmente che George lo distraesse abbastanza da tenerlo occupato per un bel po': aveva delle questioni da sistemare con suo padre e dei bagagli da disfare, anche se temporaneamente.

Si voltò verso Peter, sentendolo ridere sotto i baffi che non aveva.

« Quel bambino è un uragano » disse con un sorrisetto divertito. « Come suo padre, dopotutto... Mi ricordo bene di tutte le marachelle che combinava a sei anni quel ragazzo » aggiunse tra sé e sé, scuotendo il capo.

Hailey annuì con un gesto secco del capo, stringendo impercettibilmente le labbra a quelle parole: lo sapeva che prima o poi qualcuno l'avrebbe nominato, se non suo padre Allison sicuramente, ma non si aspettava di sentir paragonare Ben a lui così presto.

Perciò si morse un labbro e spremette le meningi per tirar fuori un argomento di natura diversa, cercando di spostare l'attenzione di Peter su qualcos'altro che non fosse il padre di Ben perché sapeva già dove la conversazione sarebbe finita intraprendendo quella strada.

« Come stanno tutti gli altri? Ho visto che il negozio del vecchio Joe è chiuso... » Quello era il tentativo più miserabile che Hailey potesse fare, ma Psuo padre decise di assecondarla, comprendendo forse che non era il caso di continuare con l'altro argomento.

« Sì, beh, un paio di anni fa ha deciso di averne abbastanza, così ha chiuso baracca, ritirato i risparmi di una vita e si è comprato una casa giù a Myrtle Beach. Ho sentito dire che ora passa tutta la giornata in riva all'oceano con una camicia hawaiana e un bicchiere di whisky in mano » disse Peter, scuotendo il capo.

Era evidente che non condividesse affatto quell'idea: per un tipo come lui la concezione di svago e riposo si traducevano in una battuta di pesca in solitario o la lettura di un buon saggio, seduto sulla sua poltrona nella sua stanza da letto.

« E che ne ha fatto della casa sul lago? »

« Mi pare che abbia cercato di venderla, ma nessun acquirente si è fatto avanti, quindi penso sia rimasta vuota da quando Joe se n'è andato » rispose il padre, facendo spallucce.

A lui, di quella casa, non interessava proprio niente, ma per Hailey aveva un grande significato perciò trovava la notizia molto interessante. Il lago era stato il loro rifugio fin dalla prima volta in cui si erano visti e quella casa, in particolare il fienile sul retro, era stato il luogo di un giorno speciale come tanti altri.
Sapere quel posto abbandonato la lasciò un po' triste, ma non se ne stupì più di tanto: Joe aveva trattato la sua baracca con sufficienza, lasciando che andasse alla deriva con il passare degli anni. Tutti in città sapevano quanto odiasse vivere lì e in molti spesso si erano chiesti per quale motivo l'uomo non se ne fosse andato anni prima.

« E tu, invece? Come stai papà? » Quella era la vera domanda che voleva fargli da settimane, ma non aveva trovato un momento migliore fino ad allora.

Come prima, Peter alzò le spalle in un gesto di indifferenza.

« Sto bene, Hailey, davvero. »

Chissà perché, lei non gli credeva.

C'era un motivo per cui Peter le aveva fatto quella telefonata, ne era sicura: l'istinto di Hailey sbagliava di rado, altrimenti non avrebbe mai preso la decisione di tornare così all'improvviso. Sentiva con tutta se stessa di dover star vicino al padre per una ragione che ancora non le era del tutto chiara.

Ma non ebbe il tempo di insistere ulteriormente per indagare perché Peter la bloccò: dunque non era solo lei a non voler parlare di un argomento ostico...

« Ho preparato la camera degli ospiti per Ben e la tua vecchia... Ho pensato che ti potesse far piacere » disse, indicando con il capo le scale che portavano al piano superiore.

« Va benissimo così papà, grazie mille. Sono felice di poter dormire nuovamente nel mio vecchio letto » lo rassicurò muovendo la testa su e giù. « Già da domani inizierò la ricerca di un appartamento per me e Ben, promesso. Conto di trovarlo in un paio di settimane al massimo, quindi non ti disturberemo per molto. »

« Come? Vuoi andartene? » La sorpresa sul viso di Peter era trasparente.

Hailey lo guardò per un attimo stupida a sua volta, poi prese a scuotere il capo un paio di volte. « Papà, ho un figlio di cui occuparmi. Non posso sfruttare la tua disponibilità solo per un fattore di comodità, non mi sentirei a mio agio. E poi, se non te ne sei accorto, Ben non è esattamente un angioletto... »

« Sciocchezze » disse Peter, facendo un gesto vago con la mano all'aria. « So bene com'è Benjamin, ricordi? Mi fa piacere vedere che ti stai occupando di lui in maniera più che egregia, ma questa casa è rimasta vuota per tanto tempo ed è fin troppo grande per un vecchio come me. Magari è la volta buona che questo posto torni a vivere... E poi ho bisogno di te qui, sia ora che nei prossimi mesi. »

Hailey aggrottò la fronte nel sentire quell'ultima frase: per quale motivo aveva bisogno di lei nel futuro immediato? Che avesse a che fare con la sua telefonata?

« Che vuoi dire, papà? »

« Nulla, non ti preoccupare » rispose il padre, rimanendo volontariamente vago. Hailey voleva ancora insistere, ma quando lui appoggiò una mano sopra la sua, non poté fare a meno di tranquillizzarsi un po': suo padre aveva ancora quel potere su di lei dopo tutti quegli anni.

« Hailey. Sul serio, sarei felicissimo se tu e Ben rimaneste qua con me » mormorò, abbassando impercettibilmente il tono di voce.

La ragazza rimase a guardarlo per quello che le parve essere molto tempo, ma quando alla fine si riscosse, dentro di sé sentì di appartenere a quella casa, il luogo che l'aveva vista crescere, ridere, piangere, innamorarsi, disperarsi, cambiare. Sua padre la stava supplicando di restare, ma Hailey si stupì nell'accorgersi che le preghiere di Peter non servivano affatto: lei aveva già deciso.

« Va bene, restiamo » disse alla fine, mettendo a sua volta la mano libera sopra quella del padre per stringerla leggermente. « Grazie papà... Per tutto. »

Non lo stava ringraziando solo per l'offerta di rimanere. All'improvviso fu come se non gli avesse mai detto quella parola: grazie.

Dopo tutto ciò che Peter aveva fatto per lei, a partire dal suo sostegno incondizionato nel momento del bisogno, fino all'amore che aveva dimostrato nei suoi confronti sempre e comunque, Hailey sentiva il dovere di ringraziarlo per esserci sempre stato.

L'uomo le sorrise, annuendo per farle capire che aveva capito tutto, senza bisogno che lei lo esprimesse a parole.

Era stato sempre così tra loro: bastava che si sedessero al tavolo della cucina o sul divano perché potessero parlare di qualsiasi cosa senza la paura di ripercussioni. Due adulti che si confrontavano. Era come se, una volta mano nella mano – quella del padre sopra la sua – il rapporto padre-figlia diventasse qualcosa di indissolubile a tal punto che ognuno poteva comprendere l'altro solo con uno sguardo.

Una sera di cinque anni prima era accaduta la stessa cosa: Hailey era tornata a casa e aveva indicato con un dito il divano. Una volta seduti, poi, lei aveva incrociato gli occhi di Peter e quest'ultimo aveva capito la situazione malgrado lei non avesse aperto bocca.

Hailey non aveva mai capito come alcuni ragazzi potessero odiare i propri genitori: le era inconcepibile. Tra lei e suo padre era sempre stato così e Hailey non poteva chiedere di meglio.

Questi pensieri le vorticavano nella testa mentre voltava lo sguardo fuori dalla finestra della cucina, scorgendo dietro alla tenda bianca il profilo del faggio corrispondente al vialetto di casa, alla sinistra della sua macchina.

Quello era il posto dove lui le aveva dato il loro ultimo bacio, quella sera...

« Stai pensando a- »

« No. » La sua risposta forse fu più secca di quanto volesse essere, ma non voleva assolutamente parlarne. Non in quel momento. Era come se, da quando aveva messo piede in macchina quella mattina prima di lasciare Atlanta, il pensiero di lui fosse diventato una costante.

Doveva smetterla.

Hailey spostò lo sguardo dalla finestra appena in tempo per vedere suo padre sospirare silenziosamente, rivolgendole uno sguardo di disapprovazione.

« Lo sai che prima o poi lo dovrai per forza incontrare, vero? Manning è una città piccola quando si tratta di evitare qualcuno Hailey... »

« Lo so papà, solo... » Sospirò, passandosi nuovamente una mano nei capelli. « Non ora. »

Detto ciò, decise di mettere fine a quella conversazione che Peter lo volesse o meno: si alzò, prese il suo bicchiere ancora mezzo pieno di limonata e quello vuoto del figlio, mettendoli entrambi nel lavandino insieme ad altri piatti sporchi che, si appuntò mentalmente, avrebbe lavato più tardi. Dopotutto, se voleva davvero rimanere a vivere in quella casa non avrebbe permesso che il padre si occupasse di tutte le faccende domestiche.

Peter seguì il suo esempio e, mentre lui riponeva la caraffa della limonata nel frigorifero e il coltello nel lavandino, Hailey uscì dalla cucina per andare a vedere cosa stesse combinando suo figlio, che era rimasto fin troppo in silenzio per non destare un minimo di sospetto.

Hailey tirò un sospiro di sollievo quando vide che Ben stava ancora seduto sul divano davanti alla televisione accesa, attento a non perdersi nemmeno un secondo del cartone animato. Il divano era così grande che le sue gambette erano sospese nel vuoto.

Hailey si avvicinò, si sedette al suo fianco e allungò le mani per prenderlo in braccio.

« Mammaaa! » esclamò Benjamin esasperato, cercando di sviare alla presa della madre che gli impediva di vedere il televisore. Quando però Hailey se lo posò sulle gambe, un braccio a stringergli la vita e l'altro tra i capelli, il bambino si calmò, tornando al suo programma in poco tempo.

« George sta per scoprire chi ha costruito la diga di bastoncini nel fiume » disse, aggrottando la fronte.

« Ah, sì? »

« Sì, ma è evidente che sono stati i castori! Chi altro può farlo? » rispose Ben, ridacchiando. Incrociò lo sguardo della madre e fece una faccia buffa, a metà tra l'esasperazione e la consapevolezza di star assistendo a qualcosa di ovvio.

Hailey, dal canto suo, pensò dentro di sé a quell'ennesima dimostrazione d'intelligenza che il figlio aveva dimostrato. Certo, non era così ingenua o arrogante da credere che Benjamin fosse il prodigio del secolo, né che dovesse iscriverlo alla scuola elementare al più presto, ma una parte di lei non poteva non essere compiaciuta della curiosità che suo figlio dimostrava verso molte cose e della logica con cui affrontava alcune situazioni.

Le sembrava un po' di trovarsi davanti alla propria immagine, solo più piccola e del sesso opposto.

Non riusciva a credere che Benjamin avesse già quattro anni – anzi, quasi cinque. Le parevano essere trascorsi secoli e, allo stesso tempo, solo poco attimi dalla sua nascita: il giorno prima stringeva a sé quel piccolo fagottino coperto da una tutina celeste e subito dopo spingeva la carrozzina per portarlo ai giardini, lo osservava spegnere la sua prima candelina e sporcarsi la bocca con la torta.

Hailey aveva la sincera paura di andare a dormire una sera e svegliarsi la mattina dopo che Benjamin si fosse già diplomato: non c'era un modo per fermare il tempo?

Osservò il suo volto di profilo, mentre con una mano gli scompigliava dolcemente i ben capelli ricci. Se gli occhi e la voglia di apprendere le aveva acquistate da lei, quei capelli sicuramente non facevano parte del patrimonio genetico di Hailey.

Fino a prova contraria, nella sua famiglia le persone nascevano con dei spaghetti biondi in testa da generazioni, lei compresa. E anche se avesse avuto qualche dubbio in merito, Benjamin assomigliava così tanto a lui da quel punto di vista – e altresì sotto svariati aspetti del carattere – che non avrebbe mai potuto sostenere il contrario nemmeno sottoposta alla tortura.

Passò un'ultima volta la mano tra i capelli del figlio, prima di godersi appieno la sensazione di aver vicino Ben e scacciare il ricordo che stava affiorando nella sua mente, in cui lei compiva il medesimo gesto nei confronti di lui quando ancora andavano al liceo e si trovavano a trascorrere interi pomeriggi in riva al lago.

Di nuovo, non poté evitare di formulare nella sua mente quelle due paroline: se solo...

 



 

« Buonanotte tesoro, fai dei bei sogni» bisbigliò all'orecchio di Ben prima di chinarsi a baciarlo sulla fronte. «Ti voglio bene. »

Il piccolo sorrise leggermente, mostrando un accenno del buco tra i suoi denti: le sue palpebre erano già pesanti, segno che in poco tempo di sarebbe addormentato.

« Buonanotte mamma. Ti voglio bene anch'io. »

Hailey uscì dalla camera degli ospiti arretrando con cautela, chiudendo poi dietro di sé la porta, e temporeggiò per un istante sull'uscio. Una parte di lei avrebbe voluto rimanere in quella stanza per assicurarsi che Benjamin dormisse bene, vegliando sul suo sonno fino alla mattina dopo.

Vinse però la parte razionale, quella che aveva la meglio sempre sugli istinti primordiali di madre che la colpivano spesso durante la giornata, fin dal giorno in cui aveva scoperto di essere incinta.

Si trascinò fin dentro la sua vecchia camera, dopo una sosta in bagno per pulirsi da tutto lo sporco accumulato durante il viaggio – una bella doccia aveva sempre il potere di risanarle il corpo abbastanza da non cadere sul letto completamente priva di forze – e poi si chiuse la porta alle spalle, come aveva fatto con quella di Ben.

Era stata una lunga giornata: dopo il pomeriggio tranquillo passato a scambiare qualche chiacchiera con il padre, Hailey aveva preparato la cena utilizzando gli ingredienti trovati nella dispensa – aveva scoperto così che il giorno dopo avrebbe dovuto fare la Spesa, con l'iniziale maiuscola visto che era sicura di non uscire da quel posto prima della notte inoltrata – cenato con Peter e Benjamin e ora, dopo aver salutato il padre, costretto con la forza il figlio a fare il bagno e letto la favola della buonanotte – non per forza in questo ordine – poteva finalmente rintanarsi nel suo vecchio rifugio.

Come aveva fatto quello stesso pomeriggio dopo aver varcato l'uscio di casa, fece vagare lo sguardo in circolo, abbracciando tutta la sua vecchia stanza. Rimase piacevolmente colpita nell'apprendere che ogni cosa era rimasta al suo posto, esattamente nella medesima posizione in cui l'aveva lasciata cinque anni prima.

Sembrava che nessuno fosse entrato in quella camera: le lenzuola erano ben stese sopra il letto – certo, Peter le aveva cambiate per lavar via la polvere prima del suo arrivo – la sua libreria era ben organizzata e la scrivania era posizionata sotto la finestra, la sedia corrispondente leggermente scostata.

Fu come se fosse appena tornata a casa da scuola, un giorno qualunque della sua adolescenza.

Ma non era così, ed Hailey lo sapeva.

Con pochi passi raggiunse la scrivania di mogano, passò la mano sulla superficie e si beò della familiare sensazione di ruvidità che il legno a contatto con la sua pelle suscitava.

Involontariamente sorrise.

Guardò fuori dalla finestra mentre si sedeva: all'esterno erano lentamente calate le tenebre con l'inoltrarsi della notte e ora faceva fatica a distinguere i profili delle varie figure.

La finestra di camera sua si affacciava esattamente al di sopra del portico d'entrata e quindi direttamente sulla strada. Questo, ovviamente, le aveva permesso negli anni di spiare i vicini, osservare le persone di passaggio e guardare se lui stesse venendo a farle visita – proprio come aveva fatto il giorno in cui era partita prima di mettersi a scrivere la lettera.

La lettera...

A quel pensiero, Hailey distolse in fretta lo sguardo dal vetro della finestra – appena prima che una familiare figura percorresse quella strada correndo –, per focalizzarlo sul gesto di aprire il secondo cassetto dal basso della scrivania.

Con il cuore che rimbombava i battiti fino alle sue orecchie, spostò con foga i diversi fogli e quaderni presenti al suo interno e poi, allungando le dita sotto tutte quelle cianfrusaglie, sfiorò inavvertitamente un'altra superficie ruvida e liscia allo stesso tempo.

Grazie a Dio, pensò.

In quei cinque anni nessuno aveva scoperto il suo nascondiglio anche se, in contrapposizione, una parte di lei avrebbe segretamente voluto che qualcuno lo trovasse davvero. In quel caso, probabilmente, avrebbe ricevuto notizie da Manning molto prima.

Ma ciò non era accaduto e ora, dopo aver chiuso il cassetto, Hailey si trovò tra le mani quel misero foglio ripiegato, distinguibile solo per alcuni scarabocchi piazzati ai bordi – chiaro segno che, nel momento in cui aveva utilizzato quel foglio, era agitata.

Non voleva aprirla, davvero, ma fu più forte di lei: con dita tremanti, alzò una delle alette ripiegate. Davanti a sé, in una grafia familiare e curata, righe e righe di emozioni, sentimenti e parole vennero riversate all'esterno.

Hailey scorse velocemente il testo, soffermandosi sulle macchie scure che chiazzavano il foglio bianco, ultima traccia delle lacrime da lei versate.

Non doveva leggerla, ma alla fine lo fece: fu così che, malgrado tutti gli sforzi fatti durante il giorno per evitarlo, inevitabilmente si trovò a pensare a Zach.






Annie ☚ Corner


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 UN COMMENTO ARZIGOGOLATO PER LO SCRITTORE E' UN DONO GRATO  
"WHEN WE WERE YOUNG" ON WATTPAD  

Dunque, eccoci qua. Di nuovo *v*
Non mi sono dimenticata di questa storia, giuro. Anzi, ho dei capitoli già completi, ma la mia frequenza a pubblicare non avrà mai uno schema, sorratemi c:
Grazie a chi ha letto il prologo, chi ha aggiunto la storia alle seguite, preferite, ricordate e via dicendo, e un grazie enorme a coloro che hanno lasciato una recensione. Giusto ieri ho terminato la fanfiction che avevo in corso, di conseguenza ora posso concentrarmi completamente su questa storia. Tempo permettendo, ovviamente. 
Null'altro, penso di aver detto tutto quello che dovevo dire. 
Ringrazio anticipatamente se qualcuno deciderà di lasciare un commento e/o seguire la storia. (Vi raccomando anche di segnalarmi errori nel caso in cui ne troviate >.<)
Grazie come sempre di aver letto fino a qui!
Al prossimo capitolo,

Annie

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Capitolo 3
*** 2. All I know is we said hello ***





 

2.ALL I KNOW IS WE SAID HELLO
 


PRESENTE


 

« Pronto? »

« Hailey. Sono io » La voce dell'altra parte dello schermo era debole come se la persona che la stava chiamando fosse a una certa distanza dal microfono.

Malgrado ciò, la fronte di Hailey si distese impercettibilmente, quasi fosse sollevata di sentirlo: sapeva a chi apparteneva quella voce e sopratutto conosceva l'uomo che stava parlando.

Suo padre.

« Papà, ciao! Mi fa piacere sentirti » attaccò a dire, cercando di fare mente locale sull'ultima volta che l'aveva sentito. Dovevano essere passate due settimane, durante le quali Hailey non aveva trovato un singolo instante per chiamarlo a sua volta. A causa dei turni serali sfiancanti del ristorante, alle varie commissioni e al dover seguire Ben quando lui non era all'asilo, non era riuscita a ritagliarsi nemmeno un secondo. Perciò era davvero felice di quella piccola sorpresa che le stava permettendo di staccare un attimo la spina dalla routine.

« Non indovineresti mai cosa è appena successo! A Ben è caduto il primo dente » continuò mentre sul suo volto si distendeva un sorriso. « Pensa un po', credeva che qualcuno glielo avesse staccato durante la notte » aggiunse, ridendo tra sé e sé. Suo figlio sapeva come intrattenerla, molto spesso involontariamente.

« Ah, sì? »

Hailey mosse la testa su e giù un paio di volte – anche se suo padre non poteva vederla – mentre recuperava l'ultimo paio di calzini dall'asciugatrice, mettendoli poi nella cesta dei panni puliti. In seguito spostò lo sguardo in basso, sul figlio, il quale era lì al suo fianco, il palmo destro aperto davanti a sé su cui era ancora posato il piccolo dente. Lo stava osservando come se fosse stato qualcosa di alieno, ma abbastanza interessante da scatenare in lui qualche oscura domanda circa la provenienza che, sicuramente, presto avrebbe posto alla madre in cerca di risposte, come sempre.

« Già, e dalla sua espressione credo proprio che non aspetterà molto per iniziare un nuovo Interrogatorio » scherzò, cercando la complicità del padre riguardo all'argomento. Ad esclusione di Allison e della maestra dell'asilo, loro due erano i soli a sapere quanto Ben potesse essere insistente, a volte.

Stava passando per la seconda volta la mano tra i capelli di Benjamin, un suo gesto abituale a cui non avrebbe mai potuto rinunciare, quando Peter, dall'altra parte della cornetta, emise due suoni di gola a un breve intervallo l'uno dall'altro come risposta.

All'istante, nella testa di Hailey scattò un allarme.

Che cosa erano quei due gemiti di assenso? Da quando suo padre rispondeva in quel modo?

Peter Anderson odiava di principio chi emetteva quei versi – che lui attribuiva essere caratteristici di un animale. Secondo l'uomo, una persona non poteva permettersi di cadere in simili banalismi da primato, non quando l'evoluzione millenaria aveva portato l'essere umano in una posizione strategica sulla scala animale. Dopotutto, sempre seguendo le convinzioni di suo padre, un uomo aveva le capacità di emettere dei fonemi che, se messi in un ordine, davano origine a un qualcosa di sensato proprio perché una serie di fortunate mutazioni avevano fatto in modo che l'uomo potesse comunicare sfruttando tale capacità, non per abbassarsi ai livelli dei primati e dei loro versi.

Nel corso della sua vita, Hailey poteva giurare di non aver mai sentito Peter lasciarsi andare a simili barbarie – già, gli studi antropologici di suo padre si facevano sentire in qualche modo.

In casa loro, una delle poche regole a cui la ragazza era sempre stata sottoposta, era proprio il divieto dell'uso di risposte-non risposte. Il fatto che Peter avesse controbattuto in quel modo era la causa dei campanelli dall'allarme nella testa di Hailey, la quale strinse la presa sul cellulare all'orecchio.

All'improvviso, tutta la sua attenzione era puntata sul pensiero di suo padre dall'altra parte del telefono, il dente di Benjamin accantonato in un angolo della testa.

Hailey sentiva che qualcosa non andava.

« Papà » mormorò. « Che succede? »

« Nulla. Perché me lo chiedi? » rispose Peter dopo un piccolo istante di silenzio.

Ovviamente quella impercettibile pausa non sfuggì all'orecchio della ragazza, la quale accigliò lo sguardo puntato sulla porta del bagno aperta che Benjamin aveva appena varcato, diretto chissà dove – probabilmente in camera sua per andare a intrattenersi con qualcuno dei suoi innumerevoli giochi.

Hailey aspettò in silenzio che il padre aggiungesse qualcosa, ma non si aspettava di certo che quest'ultimo riprendesse la conversazione cambiando argomento: non era da lui tergiversare. Peter amava andare dritto al punto.

« Come sta Ben? Cosa stavi dicendo a riguardo, prima? »

La fronte di Hailey si increspò ulteriormente e una piccola fossetta andò a delinearle il centro della parte inferiore della fronte, appena sopra allo spazio tra le due sopracciglia.

Quella era un'altra cosa che andava a scontrarsi con il tipico atteggiamento di Peter: da buon studioso e saggista, tendeva a ricordarsi più o meno tutto ciò che sentiva e che gli veniva detto. A volte ciò era andato a svantaggio di Hailey, in particolare durante gli anni da teenager quando le – poche – tipiche bugie innocenti che gli rifilava si rivelavano essere controproducenti – « No, papà, non ho bevuto niente » – , ma l'incredibile memoria di Peter era anche una delle migliori caratteristiche che lo rendevano un uomo competente e affidabile e un padre fantastico sotto molti punti di vista.

Non erano passati nemmeno due minuti da quando Hailey aveva smesso di raccontare di Ben, quindi com'era possibile che lui non se lo ricordasse già più?

« Papà » ripeté di nuovo, questa volta utilizzando un tono di voce che non ammetteva repliche. « Cosa c'è che non va? É successo qualcosa a casa? »

Dall'altra parte dello schermo, Hailey udì un sospiro appena accennato e un cigolio, che lei sapeva essere quello della sedia dello studio di Peter – segno che quest'ultimo si era accomodato –, prima che lui decidesse infine di gettare la spugna e parlare.

« Tesoro, puoi stare tranquilla. Davvero » disse lentamente, mentre la figlia tirava un metaforico sospiro di sollievo. Tutto andava bene, quindi perché Peter sembrava così strano quel giorno?

« É solo che in questo periodo sono un po' malato » riprese a dire suo padre poco dopo. « Però non c'è nulla di cui tu ti debba preoccupare, sul serio. In qualche giorno mi rimetterò in sesto, vedrai. »

Ma Hailey era preoccupata eccome: suo padre non era un uomo che amava parlare e lamentarsi delle proprie condizioni di salute. Le poche volte che si era preso qualche malanno, che fosse l'influenza o un semplice raffreddore, aveva banalizzato tutto con un gesto vago della mano in direzione delle domande premurose della figlia, dicendo che sarebbe passato tutto nel giro di poco e che non aveva bisogno di medicinali. Hailey lo aveva sempre lasciato fare, monitorandolo a distanza, e ogni volta tutto era andato bene.

Fino a quel momento.

« Che cosa ti senti? » domandò, cercando di non far capire al padre che aveva intenzione di fargli il terzo grado.

Puntualmente, proprio come la ragazza si aspettava, Peter minimizzò la situazione. Hailey era sicura che l'uomo stesse gesticolando all'aria, gli occhiali appoggiati sulla fronte e i ciuffi di capelli biondi un po' in disordine a causa delle numerose volte in cui probabilmente vi aveva passato la mano.

« Nulla di che, sul serio. Penso sia per colpa del freddo che ho preso la scorsa settimana a Portland. Ricordi che ti ho parlato del mio viaggio? »

Hailey, come prima, era ben consapevole che quello fosse un'ulteriore tentativo di cambiare argomento, ma non si sentiva ancora pronta ad accantonare la questione tirato in ballo da suo padre: dentro di lei, in un punto imprecisato del petto, all'improvviso era nato qualcosa, come un bozzolo di tulipano ancora chiuso, ma che pulsava.

Lo percepiva nel profondo dello sterno, là dove i suoi polmoni si dilatavano e dove la bocca dello stomaco di contraeva se voleva chiedere di essere riempita. La sensazione, però, non era affatto piacevole: anzi, era come se davanti ai suoi occhi stesse accadendo qualcosa di brutto, senza che Hailey potesse intervenire.

Ma razionalmente, lei non poteva fare nulla.

Dopotutto, Peter sosteneva di stare bene, quindi non c'era motivo di preoccuparsi ulteriormente.

Perciò alla fine sospirò e decise di concedere a suo padre la brusca modifica della conversazione.

« Sì, papà, me lo ricordo. Come è andata? » domandò, uscendo dal bagno con la cesta del bucato piegato sotto un braccio, il cellulare tra la spalla e la tempia e i piedi che percorrevano il corridoio in direzione del salotto del suo modesto appartamento.

« Bene grazie, e... »



 

Hailey premette il bottone sopra la sua testa e la luce del lampadario della camera si spense, lasciando spazio al buio ingombrante della notte. Dopo aver appoggiato la testa sul cuscino duro – quel genere di sprimacciamento che piaceva a lei –, strinse tra le dita il tessuto morbido delle lenzuola che la coprivano, anche se fuori cominciava a fare caldo – dopotutto la fine di Maggio era dietro le porte così come l'estate tipicamente torrida in Georgia.

Con un'occhiata alla sveglia sul comodino davanti ai suoi occhi constatò che erano passate da poco le dieci di sera e che la città stava appena entrando in quel momento della giornata in cui i suoni del traffico si attutiscono e le sirene degli agenti di polizia e della ambulanze fanno da colonna sonora agli schiamazzi dei pub affollati.

Di solito, a quell'ora il corpo e la mente di Hailey erano già proiettati a quelle magnifiche ore di sonno che l'attendevano, ma quella sera sembrava che tutto in lei fosse vigile, come se il suo cervello volesse prendere parte a qualche festino, sedersi a un bancone e ordinare una birra fresca. Ovvio che il motivo non era quello: per Hailey il momento della baldoria era già forzatamente terminato cinque anni prima, ma la sensazione era la stessa.

Lei sapeva bene cosa stesse accadendo: dopo aver chiuso la telefonata con Peter, non aveva avuto il tempo di formulare un pensiero che Benjamin era tornato all'attacco con il dente al seguito. Poi era arrivata l'ora della cena, quella del bagnetto e quella della favola, quindi Hailey non si stupiva che la sua testa avesse conservato energie sufficienti a sfruttare la notte per pensare: era stata lei stessa a classificare la questione sotto l'etichetta “importante” proprio quel pomeriggio, inconsapevolmente.

Perciò si meravigliò di se stessa quando, nel silenzio della sua camera da letto, nessun razionalismo guidò il corso dei suoi pensieri. Nella sua testa c'erano solo immagini confuse di suo padre, delle sue parole e del relativo tono di voce. Hailey stava inevitabilmente pensando al peggio.

Non riusciva a impedirsi di ipotizzare la situazione più catastrofica: Peter in un letto d'ospedale e lei al suo capezzale.

Così quando alla fine un singolo, ma essenziale pensiero razionale si estese al centro della sua mente, non perse tempo ad accendere la luce della stanza. Scostò malamente le lenzuola, posando i piedi nudi sul legno freddo del pavimento – incredibile come questo resistesse anche alle temperature più alte – e si precipitò nel corridoio, superando la cameretta di Benjamin, il bagno e il salotto.

Indaffarata com'era sempre, aveva dimenticato il cellulare esattamente dove l'aveva posato dopo la chiamata di suo padre: la cucina. Una volta preso tra le mani, fece scorrere l'indice con controllata frenesia sullo schermo, cercando l'unico nome che in quel momento poteva esserle d'aiuto.

Mentre attendeva che gli squilli cadenzati – e fastidiosi, se doveva dirla tutta – si interrompessero, il suo piede batté sul pavimento, producendo un rumore simile a quello dell'acqua quando la si schizza con la mano.

Ciack, ciak, ciack, ciack, cia-

« Pronto? »

« Allison! Sono io » esclamò, illuminandosi improvvisamente in volto. Sentire la voce della sua migliore amica – anche se a distanza – era sempre confortante.

« Hailey! Ti stavo per chiamare io, sai? » iniziò Allison, la cui voce sembrava essersi rianimata, come se avesse appena finito di bere decine di tazze di caffè. A quel pensiero Hailey sorrise, malgrado tutto. « Non sai cosa mi è appena successo! Hai presen- »

« Allison » disse Hailey, fermando a malincuore qualsiasi cosa stesse per dire l'amica, consapevole che se questa avesse iniziato a raccontare, difficilmente sarebbe riuscita a fermarle prima di un paio di ore.

Era sempre la prima se si trattava di ascoltare i suoi racconti – Allison lo sapeva –, ma quella sera aveva urgenza di sistemare un'altra questione: tutto il resto poteva attendere.

E proprio come la prima sapeva di poter contare su Hailey, quest'ultima era consapevole del silenzio che dall'altro capo si era creato improvvisamente dopo che Allison aveva udito il tono della sua voce: quello era esattamente il motivo per cui erano rimaste migliori amiche anche dopo che Hailey era scappata da Manning.

« Hai per caso visto mio padre, di recente? » domandò, catturando il labbro inferiore tra i denti. Allison era l'unica persona a cui potesse chiederlo, non perché il suo nuovo numero di cellulare l'aveva solo lei – se si escludeva Peter –, ma perché Allison lavorava come infermiera al Clarendon Memorial Hospital, il piccolo ma efficiente centro ospedaliero di Manning.

« Uhm... Sì » rispose la ragazza, dopo un momento di meditazione. Nel mentre, il cuore di Hailey perse un piccolo e impercettibile battito. « In effetti l'ho visto la settimana scorsa in fila allo sportello dei prelievi. Stavo andando al reparto di cardiologia, sai a guardare l'intervento del nuovo cardiologo, Charlie, quello carino. Presumo stesse facendo i soliti accertamenti... »

« Perché non me l'hai detto? » mormorò Hailey, aggrottando la fronte.

Allison attese un momento prima di rispondere, ma il suo tono di voce, dopo, era controllato e tranquillo, rassicurante: conosceva fin troppo bene Hailey per non comprendere la situazione con poche, semplici frasi.
« Pensavo stesse facendo un prelievo di routine. Hailey, puoi stare tranquilla. Alla sua età questo genere di esami vengono fatti mediamente ogni anno, non è affatto strano come invece potrebbe sembrare » disse, ed Hailey malgrado tutto era sicura che se la sua amica fosse stata lì al suo fianco, in quel momento avrebbe posato una mano sopra la sua.
Ecco perché Allison era finita a fare l'infermiera: i pazienti con lei si sentivano al sicuro a discapito di qualsiasi intervento o esame dovessero affrontare. E allo stesso modo si sentiva Hailey in quel momento. Dentro di lei il nodo allo stomaco si stava pian piano allentando e i pensieri nefasti lasciavano lentamente spazio a quelli più miti.

Perciò, dopo aver scambiato ancora qualche altra battuta con l'amica, salutò Allison – la quale doveva tornare al suo turno serale in ospedale – promettendole di chiamarla il giorno dopo per ascoltare le novità, e tornò a letto con il cuore leggermente meno pesante.

Non si stupì poi molto, però, quando la sua mente non ne volle sapere di spegnersi e di concedersi qualche beata ora di riposo: il pensiero era lì, ormai radicato nel suo cervello. Non era un'immagine precisa, un figura a cui potesse dare una definizione calzante. Ma Hailey conosceva fin troppo bene suo padre per poter accantonare la preoccupazione con irrilevanza.

Sentiva qualcosa, lì nel suo stomaco.

Fu solo qualche minuto più tardi che finalmente riuscì a capire cosa fosse: istinto. E questo le stava dicendo a chiare lettere qualcosa che mai avrebbe immaginato di formulare, non prima di un altro paio di anni, almeno.

Il suo istinto gridava casa.

 



 

Le lettere lampeggianti del cartello segnalatore erano appese sopra un palo che non raggiungeva nemmeno gli otto metri di altezza, ma era abbastanza luminoso da attirare l'attenzione dei viaggiatori anche in pieno giorno, quando il sole era alto nel cielo e le luci artificiali risultavano praticamente inutili.

Negli ultimi dieci anni quel palo era stato piegato un numero tale di volte che Hailey non riusciva nemmeno a stimarne la quantità approssimativa: ubriachi alla guida e studenti in cerca di emozioni forti – se così si potevano chiamare – per sfuggire alla noia della scuola sembravano ricavare qualche sorta di divertimento nell'andare a sbattere con il paraurti contro la struttura del cartello segnalatore del supermercato. Sicuramente Hailey non era tra quelli.

Quindi, invece di sferzare bruscamente verso destra, superò il palo di metallo grigio e rallentò per prendere l'entrata del parcheggio, fermando l'autovettura in uno dei tanti posti vuoti delineati da delle strisce bianche, talmente schiarite che ormai non si riusciva più a capire dove un lotto terminasse e un altro iniziasse. Probabilmente quello era il motivo per cui parecchie auto presenti erano sistemate in modo asimmetrico, a distanze irregolari una dall'altra.

Mentre estraeva le chiavi dal vano dell'accensione, Hailey cercò di non incrociare la superficie dello specchietto retrovisore che, era certa, stava riflettendo la figura dell'edificio alle sue spalle: la sua vecchia scuola superiore.

Non era di certo un caso che il palo venisse storto frequentemente dagli adolescenti: dopotutto, era lì davanti a loro quando uscivano con i loro catorci dalla scuola e, in qualche modo, doveva essere un richiamo sistematico per coloro cui il processo adolescenziale aveva bruciato parecchi neuroni.

Il motivo per cui Hailey non voleva vedere la scuola, però, era un'altro: ovviamente non correva il rischio di incrociare lo sguardo di qualche conoscente visto che tutti i suoi coetanei si erano lasciati quegli anni alle spalle da molto tempo, ma come un po' tutte le strade di Manning che Hailey aveva percorso negli ultimi tre giorni, non voleva rischiare di risvegliare qualche scomodo ricordo – anche se si rendeva conto essere inevitabile.

Si lasciò sfuggire quello che sembrava essere un sospiro di stanchezza, ma che a tutti gli effetti era solo un tentativo di scacciare il senso di nostalgia affiorato pian piano dal suo stomaco. Poi, recuperata la sua borsa beige dal sedile del passeggero, uscì dalla macchina e si diresse verso la fila di carrelli sul fianco del Walmart. Ne prese uno, inserendo una piccola moneta trovata sul fondo della borsa ed entrò nel negozio, fermandosi davanti alle porte scorrevoli che le sferzarono il volto con una ventata d'aria fresca proveniente dall'interno.

Fu un vero sollievo per Hailey: l'afa di Luglio era talmente intensa che i suoi capelli erano permanentemente attaccati al sudore creatosi sulla sua fronte e, se c'era una cosa che odiava, era proprio il sentirsi sporca. Perché il sudore faceva esattamente quell'effetto.

Con passi sicuri, Hailey spinse il carrello lungo l'entrata, battendo una volta di troppo le palpebre pur di mascherasi la vista all'improvvisa intensità che il bianco candido della pareti irradiava. Dovevano aver tinteggiato da poco perché cinque anni prima quegli stessi muri erano tristemente grigi, “abbelliti” da parecchi graffiti – l'altro svago dei liceali, in alternativa al palo.

Per il resto, nulla sembrava essere cambiato: gli scaffali erano disposti nello stesso ordine lungo le corsie, così come le tre stazioni di pagamento e il bancone dei surgelati. Hailey sospirò di sollievo: non riscontrando difficoltà nell'orientarsi, avrebbe potuto muoversi più velocemente e sbrigare quella faccenda della spesa in poco – relativamente parlando – tempo.

Il giorno seguente al suo ritorno, aveva fatto un ulteriore check-up della casa – in particolare delle credenze in cucina – per essere sicura di non essersi lasciata sfuggire nulla alla lista che aveva scritto la sera precedente. Ad Atlanta, si era abituata a fare una spesa sostanziosa alla fine di ogni settimana, comprando saltuariamente i pochi prodotti che servivano per preparare una cena o un pranzo e che le mancavano.

Aveva, dunque, l'intenzione di mantenere le sue abitudini anche in casa del padre, ma constatato che l'ultima vera spesa fatta da Peter doveva risalire a millenni prima, Hailey si era rimboccata le maniche e aveva stilato una lista di cinquanta voci, più o meno, tra alimentari e utensili necessari per sopravvivere.

In realtà, era in ritardo di un giorno sulla sua tabella di marcia: la situazione in casa di Peter era così disperata che il giorno precedente era dovuta venire a patti con un paio di cartoni di pizza d'asporto – per la gioia di Ben e l'indifferenza di Peter, abituato fin troppo al cibo d'asporto – perché tra il sistemare tutti i loro bagagli, pulire un po' la casa e risolvere alcune questioni, non era riuscita a ritagliarsi un paio di ore per compiere quel duro lavoro.

Quella mattina, Hailey si era svegliata convinta di poter affidare Benjamin a suo padre per il tempo necessario ad andare e tornare dal supermercato. Purtroppo non aveva messo in conto l'impegno di lavoro che avrebbe tenuto lontano Peter da Manning per tutto il giorno e Hailey non aveva alcuna intenzione di portare suo figlio con sé. Non se ne voleva uscire viva.

Ricordava bene l'ultima volta in cui Ben era entrato in un supermercato: c'era mancato poco che Hailey non avesse dovuto pagare un intero scaffale di sottaceti. Quindi no, non se ne parlava proprio.

Per una qualche benedizione dal cielo, però, Allison l'aveva chiamata mentre faceva colazione. Aveva appena terminato il suo turno all'ospedale e stava andando a casa per riposare perciò non si era persa in molte chiacchiere, ma aveva chiesto con entusiasmo ad Hailey se poteva tenere Ben con sé quel pomeriggio, sostenendo di non aver mai passato del tempo da sola con quel bambino da quando era nato.

Per sua sorpresa, Allison non aveva dovuto insistere molto perché Hailey aveva accettato senza troppi giri di parole, non smettendo un attimo di ringraziarla per l'aiuto immenso che, inconsapevolmente, le stava dando.

Così, dieci minuti prima, aveva lasciato Ben a casa di Allison, la quale li aveva accolti con una grande abbraccio e il profumo di biscotti appena sfornati. Dentro di sé, Hailey aveva sorriso, complimentandosi con l'amica per l'ottima tattica ideata per assicurarsi la completa simpatia del suo piccolo mostriciattolo goloso.

Si fermò accanto alle scatole di cereali, prendendo da un ripiano intermedio tre confezioni che poi mise nel carrello, tirando una linea sottile sopra la voce della lista che aveva in mano.

Ordine, piani, organizzazione.

Erano tre parole familiari a Hailey. Attraverso di esse poteva gestire la sua vita, controllarla in modo da poter sopravvivere sempre e comunque. Era così che aveva gestito gli ultimi cinque, dieci, quindici anni... Così aveva gestito la sua vita da sempre.

Piani su piani l'avevano portata ad organizzare il suo futuro in anticipo rispetto ai suoi coetanei i quali, all'alba del diploma, si trovavano a girare senza bussola in un oceano, completamente sperduti.

Era divertente pensare che alla fine si era ritrovata nella loro stessa situazione, ma con la differenza che, superato lo spaesamento iniziale, si era rimboccata le maniche e aveva sconvolto i suoi piani precedenti. Ne aveva fatto un altro, profondamente diverso e allo stesso tempo molto più gratificante, e dopo cinque anni Hailey era sì una persona diversa, ma in qualche modo aveva conservato le vecchie abitudini.

Dopotutto, quelle erano sempre dure a morire, no?

Passò allo scaffale successivo, mettendo nel carrello più articoli di quelli che in realtà le servivano – se proprio doveva essere paragonata a qualcosa, preferiva l'immagine di uno scoiattolo che raccattava provviste in vista dell'inverno... L'esperienza le aveva insegnato che non si poteva mai sapere come sarebbero andate le cose con al seguito un bambino di quattro anni turbolento – e nel mentre si ritrovò a canticchiare il motivetto della canzone che l'altoparlante del Walmart stava trasmettendo in quel momento.

Arrivata nella seconda corsia, si trovò quasi a scontrarsi con il carrello di una coppia di anziani: quella che doveva essere la moglie stava sistemando delle scatole in modo quasi maniacale – e se lo pensava Hailey la situazione doveva essere grave sul serio – mentre il marito la osservava annoiato, salvo poi portarsi una mano alla bocca per coprire il colpo di tosse che lo scosse.

Non doveva avere più di settant'anni, ma il suo corpo sembrava fragile.

Per qualche motivo che preferì non indagare, Hailey pensò a suo padre. Si ostinava a non volerle parlare della sua salute, malgrado lei avesse ideato diverse imboscate nel corso degli ultimi due giorni: in qualche modo, Peter riusciva sempre a sfuggirle, nominando un libro che doveva assolutamente leggere o un'idea che doveva urgentemente appuntare da qualche parte, finendo poi con il barricarsi nel suo studio per parecchie ore pur di sfuggire a un altro attacco della figlia.

La notte precedente, circa un'ora dopo che Peter se n'era andato a letto, Hailey era scesa al piano di sotto in punta di piedi, intenzionata a cercare un indizio, qualcosa che potesse dare una risposta alle sue domande.

Ovviamente, come già si aspettava, era stato tutto inutile: Peter Anderson era bravo a nascondere qualsiasi informazione se non voleva far sapere nulla alla figlia, così come era bravo a mantenere un'aura di mistero intorno a ogni libro saggistico che scriveva prima che questo venisse pubblicato definitivamente.

Questo non voleva dire che non avesse nulla da nascondere.

Hailey sapeva che, se voleva trovare qualcosa, avrebbe dovuto cercare nello studio di Peter che era praticamente inaccessibile a chiunque non fosse lui: passando così tanto tempo in quella stanza, e chiudendo a chiave la porta ogni volta che ne usciva, era inimmaginabile credere di potervi entrare senza essere stati prima invitati.

Era bloccata, in tutti i sensi.

Doveva solo continuare a insistere, sperando che prima o poi...

« Hailey? Hailey Anderson? »

La testa di Hailey scattò verso destra mentre la sua coda di cavallo ruotava, disegnando nell'aria un semicerchio perfetto, per poi andarle a sbattere sulla tempia.

A chiamare il suo nome – e pure il cognome – era stata una ragazza in piedi accanto al banco della frutta. Questa la stava guardando con gli occhi spalancati, la bocca tinteggiata di un rosso accesso leggermente dischiusa e le sopracciglia arcate che sparivano sotto la frangetta bionda.

Hailey si concesse un rapido sguardo alla sua figura, da capo a piedi, sperando che lo studio l'avrebbe portata a dare un nome alla ragazza sconosciuta, e in effetti ci riuscì: corpo slanciato, gambe coperte – o meglio, scoperte – da dei pantaloncini di jeans inguinali, una canottiera rosa che accentuava le curve superiori e un paio di sandali con la zeppa ai piedi sulle cui unghie spiccava uno smalto rosa shocking.

Eccome se conosceva quella ragazza.

Purtroppo.

L'istinto le stava gridando di puntare dritto davanti a sé e far finta di non averla sentita. Ma era un po' impossibile ignorare la voce acuta di Amber Walter, com'era assurdo pensare di poter ignorare una zanzara fastidiosa che ti ronza nell'orecchio nel bel mezzo della notte.

Così Hailey si stampò in faccia la sua migliore espressione confusa, nella speranza che Amber rinunciasse.

Ovviamente era una speranza vana.

« Hailey? » ripeté quella, avvicinandosi con lunghe falcate e ampi movimenti dei fianchi. Probabilmente stava cercando di essere elegante, con il solo risultato di sembrare solo un'ubriaca instabile sulle proprie gambe. « Sono Amber! Amber Walter, ti ricordi di me, no? »

E come poteva dimenticarsela? Dopotutto, anche se probabilmente la diretta interessata lo ignorava, era stata una delle ragioni per cui Hailey se n'era andata cinque anni prima.

Perciò, costretta all'inevitabile, Hailey allargò lentamente il viso in un sorriso a labbra strette, sperando di riuscire a chiudere la faccenda in fretta e tornare alla sua lista con altrettanta rapidità.

« Amber, ciao! » esclamò, portandosi una ciocca di capelli sfuggiti alla coda dietro l'orecchio. Dentro il Walmart si riusciva a respirare grazie all'aria condizionata e il collo di Hailey si era ormai asciugato dal sudore, così la ragazza si arrischiò a togliersi l'elastico dai capelli, legandoselo al polso dove già ne aveva un paio – non si era mai troppo sprovvisti di elastici.

« Oddio, non posso credere che tu sia qui! » disse con quella vocetta nasale che usava sempre quando voleva mostrarsi cordiale. O quando voleva affascinare qualcuno. O quando... Insomma, la sua voce abituale. « Ho rischiato di non riconoscerti, sai? Sei, come dire, cambiata. »

Amber, invece, non era cambiata affatto. Il modo in cui disse quell'ultima frase era lo stesso che usava quando al liceo si trovava costretta a fare un complimento a chiunque non fosse stato il suo riflesso: in altre parole, Hailey doveva ritenersi quasi lusingata da tanta dimostrazione d'affetto.

Ma non erano solo i suoi modi di fare a non essere cambiati. Con un'altra discreta occhiata, Hailey poté constatare che nemmeno il più piccolo pelo del sopracciglio sinistro era cambiato. Storcendo il naso e con un pizzico della gelosia che l'aveva arsa a suo tempo, Hailey dovette ammettere che Amber Walter era bella e carismatica esattamente come cinque anni prima.

E poi, spostando lo sguardo verso destra, ci mancò poco che si dovesse portare la mano al cuore, accentuando lo spavento che prese quando i suoi occhi videro l'orso alle spalle di Amber.

Beh, non era proprio un orso, ma Hailey non si sarebbe stupita se, da un momento all'altro, lui si fosse messo a grugnire, pretendendo un barattolo di miele per mantenersi buono.

Con una mano a circondare la vita di Amber, c'era l'uomo più massiccio che Hailey avesse mai visto: spalle larghe, bicipiti gonfiai a dismisura, fianchi stretti e gambe fasciate da un paio di jeans strappati, per non parlare della massa informe di capelli che aveva in testa. Da dove diavolo era comparso quel tipo?

In effetti, però, Hailey non doveva stupirsi molto: Amber era sempre stata famosa per la scelta di uomini grandi e grossi, e sopratutto pompati. Da quello che aveva sentito dire in giro, Amber voleva essere sicura di non trovarsi mai in svantaggio, nel caso si fosse stata nei guai.

John Flathcer, Christian Dry, Cole Barry erano solo tre dei componenti della squadra di lotta della scuola con cui Amber era uscita. Li aveva fatti passare tutti, non discostandosi mai troppo dal suo modello tipo tranne che per Zach.

Già, come poteva dimenticarsi di lui? Quei due erano usciti insieme per un anno intero...

« Cara, è passato un sacco di tempo dall'ultima volta che ti ho visto! Insomma, sei sparita dalla circolazione da... quattro anni? Cinque? »

Hailey si strinse nelle spalle, certa che quella fosse una domanda retorica. Anche in caso contrario, non ci teneva molto ad alimentare la conversazione: aveva la sensazione che, sebbene fossero passati molti anni, Amber Walter avesse ancora il suo giro di galline pettegole e che le sarebbe bastato un semplice messaggio alla persona giusta con le informazioni giuste perché tutta la città venisse a sapere gli affari suoi nel giro di poche ore.

« Ti trovo bene » disse Amber, squadrandola indiscretamente da capo a piedi, proprio come aveva fatto Hailey nei suoi confronti, ma senza cercare di nasconderlo. Dalla faccia che fece dopo, però, sembrava invece non aver apprezzato ciò che aveva visto.

Le era forse rimasta una macchia di latte sulla maglietta dopo che Ben l'aveva rovesciato a colazione? Hailey abbassò il capo, sospirando di sollievo quando vide che la sua canottiera era pulitissima.

Che problemi aveva, allora?

« Il tuo taglio di capelli è sensazionale, fattelo dire » commentò, allungando una mano perfettamente curata per prendere una ciocca dei capelli di Hailey che, dal canto suo, si costrinse a rimanere ferma.

« Grazie, anche il tuo mi piace » rispose solo per dire qualcosa. Dei capelli di Amber non le poteva fregare di meno.

« Hai mai pensato di iscriverti in palestra? Sai, James lavora lì e ti potresti stupire dei risultati che si possono ottenere in pochi mesi! » esclamò Amber indicando l'orso dietro si sé.

Nella sua mente, Hailey rise leggermente: Amber non era cambiata proprio di una virgola.

Non ci voleva un genio per capire il messaggio che le stava lanciando, ma si rifiutava di sottostare alle vecchie regole di Amber Walter. Non avevano più diciassette anni e non erano più delle ragazzine, ma adulte, malgrado quest'ultima sembrasse non aver ancora superato la fase adolescenziale.

« Ah, sì? Beh, grazie dell'informazione, ci farò un pensierino » rispose Hailey con tutta tranquillità.

Tornare a una linea perfetta dopo una gravidanza era difficile. Il problema di molte neo mamme stava principalmente nel tempo: dopotutto, con un poppante al carico era un po' complicato ritagliarsi del tempo libero per fare attività fisica.

E per Hailey non era stato diverso. Anzi, se possibile era stato ancora più difficile. Era una madre single, viveva da sola in una città lontana dalla famiglia e, sopratutto, era molto giovane. Per quattro anni non aveva fatto altro che pensare a Ben, mattina, pomeriggio e sera, e a volte anche la notte quando lui la svegliava piangendo perché voleva la poppata. Chi aveva il tempo di andare in palestra?

Malgrado ciò, quando si metteva davanti allo specchio, Hailey non era mai troppo scontenta dell'immagine che si trovava a guardare: certo, non poteva pretendere di avere il corpo di una super modella, ma andava fiera delle curve dei fianchi e del seno – maggiormente accentuate dopo la nascita di suo figlio.

Si sentiva più donna.

« Allora, da quanto sei tornata? Subito dopo il diploma sei sparita... Ho sentito dire che sei andata alla Columbia per partecipare a non so quale corso preparatorio, è vero? »

Era stata proprio Allison a far girare quella voce dopo la partenza di Hailey, e quest'ultima non poté fare altro che ringraziarla nella sua testa perché ora le stava fornendo l'alibi perfetto per spiegare la lunga assenza senza che la pettegola della città fosse la prima a scoprire il suo segreto.

« Sono tornata due giorni fa. Ho ricevuto una proposta interessante dalla Columbia e mi sono detta: “Perché no?”. » Beh, la proposta l'aveva ricevuta davvero, ma, ovviamente, aveva dovuto accantonare il sogno della Columbia molti anni prima.

« Capisco... Beh, ci sei mancata » disse Amber con un sorriso, largo tanto quanto la falsità dell'ultima affermazione. « So che sei ancora molto legata a Allison Bye, no? Non eri amica anche di... come si chiama?... Ah, già! Zach Powell? » continuò, sbattendo le ciglia finte una volta di troppo con fare innocente.

Hailey non era stupida e nemmeno indifferente a quel nome, ma conosceva fin troppo bene il gioco che stava facendo Amber: la stronza si ricordava molto bene chi fosse Zach Powell, così come si ricordava tutte le mattine di mettersi tre quintali di fondotinta in faccia per coprire i segni che l'acne giovanile le aveva lasciato.

In fin dei conti, lo aveva tenuto legato al suo guinzaglio di strass per quasi un anno.

Allo stesso tempo, la stronza sapeva anche quanto Hailey e Zach fossero legati e che, in seguito alla partenza della ragazza, il loro rapporto si era incrinato: dopotutto, Amber aveva contribuito in buona parte a quella rottura là dove il loro errore già non era arrivato.

Ma, ancora una volta, Hailey si costrinse a fare un piccolo sorriso di condiscendenza e un cenno con il capo.

« Beh, purtroppo dobbiamo andare. Io e James siamo stati invitanti a uno dei party di Piper Gunt, ci credi? Sarà sicuramente uno sballo. »

Hailey non aveva proprio idea di chi fosse quella Piper Gunt, ma tutt'a un tratto di trovò a ringraziarla mentalmente perché dava feste talmente da sballo che Amber non voleva arrivare in ritardo – festaiola com'era sempre stata, poi, c'era da stupirsi che alle sei di pomeriggio di un venerdì sera fosse ancora sobria.

James, l'uomo alle sue spalle, rimase imperturbabile: come diavolo faceva Amber a uscire con uno del genere? Non che lei fosse molto più interessante...

« È stato bello rivederti » aggiunse Amber, sebbene il suo tono di voce suggerisse il contrario.

Hailey non poteva dire lo stesso: se avesse avuto la facoltà di decidere chi vedere dopo un lungo periodo di allontanamento, Amber non sarebbe stata nemmeno all'ultima posizione della sua lista.

« Anche per me » si costrinse a dire, accompagnando le sue parole con un cenno del mento.

La voglia di mandarla a quel paese era molto forte, ma Amber voltò le spalle in fretta, spinse indietro una ciocca dei suoi capelli platinati e se ne andò in direzione della cassa con al seguito il suo body guard – fosse stata in James, Hailey avrebbe preteso un pagamento per correre dietro ad Amber tutto il giorno – lasciando dietro di sé una scia di profumo scadente.

Ecco come buttare ventitré anni nel cesso, pensò Hailey con una smorfia.

Avesse avuto lei la possibilità di gestire la propria vita indipendentemente, i party certo non sarebbero rientrati nei suoi piani. Ma il destino aveva scelto di riservarle un altro tipo di futuro ed Hailey l'aveva accettato, scoprendo che anche le sorprese più inattese possono riservare sempre qualcosa di bello.

Quando anche l'ultima chiappa soda di Amber Walter scomparve dietro l'angolo, Hailey tornò alla sua lista, lasciando andare il sospiro di sollievo che non si era accorta di star trattenendo.

Quaranta minuti dopo, mentre attendeva in fila alla cassa con un carrello così pieno da scoppiare, il pensiero di Amber le invase nuovamente la testa: era stata la prima persona che aveva visto da quand'era tornata a Manning se si escludevano Allison e suo padre. Ma ciò che mise in agitazione Hailey fu l'analisi delle emozioni provate durante la conversazione con Amber.

Quando si è lontani da casa è facile pensare di essere andati avanti, lasciandosi dietro tutto ciò che prima ci ha turbato, eppure fu destabilizzante scoprire che Amber aveva risvegliato in Hailey quella gelosia che l'aveva colta anche in passato.

Hailey era certa di aver superato tutto.

Evidentemente le cose non stavano così, anche se Amber non stava più con Zach.
 



 

Passo, passo. Respirare.

Passo, passo. Rilasciare.

Quando i polpacci cominciano a far male, quando i polmoni iniziano a bruciare, quando il corpo grida a gran voce di smettere... È allora che il piacere di correre acquista un senso.

Nel momento in cui si raggiunge una certa velocità, anche i colori che definiscono la realtà cominciano a sbiadire, a mischiarsi gli uni con gli altri, creando sfumature multicromatiche indefinite su cui è impossibile focalizzare l'attenzione, ma che scorrono ancora e ancora sullo sfondo.

Per gli odori, invece, funziona in maniera diversa, malgrado respirare diventi difficile. Ogni boccata d'aria è come uno schiaffo in faccia, di una violenza tale che non puoi distrarti un attimo perché l'agguato seguente è sempre dietro l'angolo: lo schiaffo successivo può venire da destra, così come da sinistra. Chi può saperlo?

E allora si impara a godere dell'odore acre che ti entra in bocca, nelle narici, giù per la gola e poi ancora giù, là dove il fuoco dei polmoni arde.

Erba, gas di scarico, fiori, pane appena sfornato, pioggia... Zach li sentiva, li sentiva tutti.

Correre non gli era mai piaciuto. Troppo fatico, un dispendio di energie immenso per un movimento banale come il mettere un piede davanti all'altro. Poi, però, un giorno di cinque anni prima era tornato a casa e si era diretto nella sua camera. Calzati i primi pantaloncini corti trovati sul pavimento e una maglietta a mezze maniche, era uscito e aveva iniziato a fare quel movimento.

Una, due, tre volte... il settimo giorno già non ricordava più perché prima odiava correre.

Di solito il suo turno di lavoro finiva ben oltre l'orario di cena e quindi non gli capitava mai di soffrire per il caldo degli ultimi raggi solari – dopotutto cosa c'era di meglio del buio notturno e della luce della luna? Quel giorno però aveva scambiato il turno con Freddie, in modo che quest'ultimo potesse passare la prima metà della giornata con il figlio che già vedeva poco, dopo la recente separazione con la moglie.

A Zach non importava granché, anzi: era felice di aiutare Freddie quando poteva. Quell'uomo gli aveva insegnato molto nei primi mesi del suo tirocinio al laboratorio e scambiare il turno gli sembrava il minimo. Malgrado non fosse ancora padre, Zach poteva capire che poche ore alla settimana erano una benedizione se si trattava di passarle con il proprio figlio.

I suoi piedi continuavano a muoversi in una successione continua di passi perciò lasciò che la mente si liberasse da qualsiasi pensiero indiscreto l'avesse colto durante la giornata.

Si fidava dei suoi piedi.

Si fidava così tanto che impiegò un po' per accorgersi di aver preso una strada diversa dal solito.

Una strada che non faceva mai.

Fu solo quando la punta della sua scarpa destra inciampò in una radice irregolare del terreno che apprese di essere sulla Moye Street invece che sulla Briarcliff. Tradotto: aveva preso la seconda strada a sinistra – quella che evitava come la peste – invece della prima.

Cazzo, non potete tradirmi così, pensò mentalmente Zach rivolto ai suoi piedi mentre si chinava per sistemare la stringa della scarpa incriminata, il fiato grosso e una sensazione strana che cominciava a farsi largo dentro di lui. Le punte delle dita delle mani gli prudevano, così come il sangue nelle gambe sembrava scorrere più veloce del solito.

Possibile che il pensiero di una casa – legno, calcestruzzo, tinturapotesse fargli quell'effetto tutte le volte? Maledetto subconscio: lo faceva sembrare un grande fifone.

Si alzò con uno scatto e lanciò un'occhiata alle spalle per essere sicuro che nessuno l'avesse visto commettere quel passo falso, poi riprese il suo cammino, senza però tornare alla velocità di corsa che aveva in precedenza.

Non poteva. Non finché quella casa non fosse stata alle sue spalle.

Probabilmente fu una fortuna che non stesse correndo, altrimenti sarebbe inciampato nei suoi stessi passi per la seconda volta in una giornata, facendo la figura del coglione più di quanto non lo fosse veramente. Perché dieci metri dopo, dietro al suo faggio preferito – poteva il pensiero di un bacio rubato sotto quell'albero fare ancora male? –, un auto a lui sconosciuta era parcheggiata nel vialetto della sua casa preferita – e alla stesso tempo che più odiava.

Ma ciò che più gli fece rimpiangere di aver sbagliato strada proprio quel pomeriggio fu la figura dolorosamente famigliare nascosta per metà dai sedili posteriori dell'auto.

Perché Zach conosceva molto bene quelle gambe, quei metri quadrati di pelle chiara e liscia lasciati scoperti da un paio di pantaloncini di jeans. Aveva toccato quella pelle, l'aveva accarezzata e l'aveva anche baciata. Cazzo, alcune notti quelle gambe erano persino state oggetto dei suoi sogni più tormentati.

Non stava avendo un'allucinazione, vero? Perché quel giorno mancava solo di finire all'ospedale con una diagnosi di problemi mentali sulla cartella clinica...

Il respiro, che fino a qualche istante prima si stava regolarizzando, ad un tratto riprese ad essere affannoso e veloce come se Zach non si fosse mai fermato dalla corsa.

Non voleva dire quel nome.

Non voleva pronunciarlo.

Eppure il fiato gli sfuggì dalla gola, portandosi dietro un suono candido e chiaro.

« Hailey. »






Annie ☚ Corner


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 UN COMMENTO ARZIGOGOLATO PER LO SCRITTORE E' UN DONO GRATO  
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Sabato, tempo di aggiornamento direi.
In realtà non dovrei pubblicare visto che non ho ancora finito di scrivere il capitolo seguente, ma tant'è. 
Non ho molto da dire su questo capitolo. Spero non ci siano errori/sviste. Io faccio quel che posso, ma non avendo nessuna beta non posso essere sicura che i testi siano lindi e perfetti. 
Ringrazio come sempre chi legge e leggerà, chi segue e seguirà, chi mi ha lasciato una piccola recensione e chi magari ne lascerà una, chissà.
Alla prossima,

Annie

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Capitolo 4
*** Make yourself some friends ***





 

3.MAKE YOURSELF SOME FRIENDS
 


17 ANNI PRIMA


 

Zach doveva catturare quell'ape prima che scappasse. Aveva deciso che era perfetta per la sua collezione di insetti morti che aveva a casa.

Sventolò la sua maglietta arrotolata in aria, cercando nel mentre di non inciampare nei cumuli irregolari di sabbia e nelle alghe che la marea aveva portato con sé a riva poche ore prima.

In realtà, la sua non era proprio una collezione, sopratutto perché la mamma si metteva ad urlare ogni volta che vedeva un animaletto che fosse più piccolo di un canarino. Era più una scatola di latta che in origine conteneva dei biscotti, al cui interno Zach metteva ogni genere di insetto morto che trovava: piccoli ragni nascosti sotto il letto, farfalle bianche con le ali un po' deturpate, libellule pescate nel giardino che confinava con casa sua... Insomma, tutto ciò che riusciva a trovare e a portare a casa prima che la mamma lo scoprisse.

E le api mancavano alla sua lista, forse perché l'ultima volta che aveva provato ad ucciderne una era tornato a casa con la mano gonfia e le lacrime agli occhi. Alcune volte i suoi piani gli si volgevano contro, ma erano rischi del mestiere.

Di darsi per vinto non se ne parlava proprio.

E quello era senza dubbio un giorno perfetto per catturare un'ape. Non solo perché la spiaggia era ancora mezza vuota e il rischio di inciampare in qualche signora che si abbrustoliva al sole era minimo, ma anche perché un uomo si era avvicinato alla mamma e avevano iniziato a parlare.

Di stare a guardare quel brutto ceffo con la pancia e una foresta di peli sulle gambe fare la corte alla mamma non ne aveva voglia. L'ultimo uomo che aveva cercato di intavolare una conversazione con la mamma in spiaggia l'anno prima aveva finito per essere poi quasi morto d'infarto in acqua: non era colpa di Zach se Rudy, il serpente di plastica regalatogli dalla mamma per il suo compleanno, era finito accidentalmente addosso al tipo. Zach di certo non poteva sapere che lo stesso avesse paura di tutto ciò che assomigliava lontanamente a un serpente.

Insomma, chiunque sapeva che i serpenti d'acqua non possono vivere in un lago così freddo! Le due settimane di punizione senza televisione che la mamma poi gli aveva impartito erano senza dubbio valse la pena.

Quel giorno, però, aveva dimenticato a casa Rudy e, in qualsiasi caso, Zach dubitava che l'uomo peloso sarebbe riuscito a vedere il suo giocattolo con quella pancia che gli impediva persino di guardarsi i piedi. Con un sospiro, quindi, si era arreso e aveva deciso di andare a costruire un castello di sabbia in riva al lago quando un'ape gli aveva sfiorato l'orecchio, intenta a volare nella direzione opposta.

Zach non si era lasciato sfuggire l'occasione: sfilata la maglietta che indossava, aveva iniziato a rincorrere l'insetto, seguito dalle grida di raccomandazione della mamma che gli intimava di non allontanarsi troppo perché era quasi ora di tornare a casa. Il bambino dubitava che l'uomo peloso l'avrebbe lasciata andare tanto presto, quindi non si preoccupò molto: voleva quell'ape a tutti i costi.

Quando però inciampò accidentalmente in un pezzo di ramo a terra e l'ape sfuggì alla sua vista, Zach dovette abbandonare i suoi piani. Sdraiato a terra ansante per la corsa, con la testa che gli girava un po' per averla tenuta alzata verso il cielo troppo a lungo, cercò di riprendere fiato.

Tirava un vento abbastanza forte e i capelli continuavano a finirgli negli occhi, così come i granelli di sabbia sollevati dal vento. Si mise seduto e indossò nuovamente la maglietta mentre si guardava attorno. Non aveva voglia di tornare dalla mamma e dal pancione, ma l'ape era ormai scomparsa alla sua vista e lì intorno non c'era nessun altro eccetto lui.

Aveva il mare alla sua sinistra e davanti a sé la spiaggia cominciava a restringersi. Qua e là comparivano sporadicamente dei massi irregolari e degli ammassi di cespugli. Era difficile che qualcuno si avventurasse lì, sopratutto chi voleva prendere il sole, perché il terreno era irregolare e molto spesso il vecchio Joe passava con la sua barca disturbando la quiete dell'acqua in riva.

All'improvviso, Zach saltò in piedi e lentamente un sorriso largo andò a distendersi sul suo volto.

Ecco cosa poteva fare! Il sentiero che portava alla casa sul lago di Joe partiva proprio lì davanti, in mezzo agli alberi, ma si poteva raggiungere in meno di cinque minuti a piedi anche attraverso la spiaggia. Arrivato lì, poi, Zach sperava di trovare il vecchio seduto sulla sua sedia a dondolo nella piccola veranda, con un sigaro puzzolente in bocca e un bicchiere di liquido scuro in mano.

La domenica il negozio di pesca di Joe era chiuso e lui passava tutto il giorno fuori in barca o a fumare nella sua veranda, lanciando i sassi ai gabbiani che osavano atterrare nelle strette vicinanze. Quell'uomo era l'incubo degli uccelli, ma, in compenso, era anche l'obbiettivo dei giovani di Manning con età compresa tra i tre e i diciannove.

Non importava quanti anni avessi, né se fossi maschio o femmina: tutti, prima o poi nella vita, in gruppo o in solitario, avevano passato un pomeriggio a organizzare uno scherzo al fine di far imbestialire il vecchio. Era divertente vedere come le vene del suo collo si gonfiassero e come la pelata diventasse scarlatta.

Molti erano stati banditi da quel posto, ma tanti altri erano riusciti a farla franca.

Zach sperava che fosse un giorno buono: con la fortuna dalla sua parte, avrebbe potuto far infuriare Joe soltanto avvicinandosi al portico. Magari ci scappava anche uno scherzetto, chi lo sapeva.

Deciso a non arrendersi, si incamminò in quella direzione, attento a dove posava i piedi. La spiaggia era molto spesso meta dei ragazzi più grandi. Zach li aveva visti alcune volte, sopratutto quando la mamma decideva di restare in spiaggia fino a tardi d'estate: arrivavano con le loro macchine grosse e, schiamazzando, occupavano quel pezzo di riva che si estendeva fino al Grande Masso. Carichi di grandi borse e mini frigoriferi, alcuni di occupavano di accendere il falò, mentre gli altri si sedevano in cerchio, cominciando a stappare lattine di birra e spintonandosi a vicenda. Agli occhi del bambino era uno spettacolo affascinante, ecco perché non vedeva l'ora di andare alle superiori per poter partecipare a uno di quei raduni.

In lontananza, dietro agli alberi, Zach riusciva già a vedere i lineamenti della vecchia baracca di Joe e, tendendo l'orecchio, poteva sentire lo scricchiolare della sua sedia a dondolo, segno che il vecchio fosse proprio dove sperava. Quando, però, Zach fece per scavalcare un tronco d'albero parecchio ingombrante, il suo cervello catturò un colore anomalo sulla sinistra.

Girandosi in quella direzione, vide qualcosa che lo lasciò basito per un istante.

Seduta da sola sul Grande Masso, c'era una bambina che gli dava le spalle. In testa aveva un vistoso cappellino a visiera giallo sgargiante, quel genere di colore che è impossibile non vedere anche a centinaia di metri di distanza.

Ciò che stupì Zach non fu la presenza in sé della bambina, né che fosse da sola, bensì il cappello, il cui colore era imparagonabile a qualsiasi altre cosa Zach avesse mai visto nella sua – seppur breve – vita. Voleva anche lui qualcosa che attirasse l'attenzione di chiunque avesse un paio di occhi funzionanti.

Dopo qualche attimo in cui rimase incantato, si ridestò e, spostando lo sguardo incuriosito sulla figura della bambina, dovette socchiudere le palpebre per l'improvviso cambiamento di intensità di colore.

La bambina aveva dei lunghi capelli biondi che al momento volavano in tutte le direzioni. Il vento sollevava le ciocche dorate in modo da formare delle onde di crini, come l'acqua del lago nei giorni di tempesta.

Da dietro, Zach non riusciva a capire chi fosse.

Molte sue compagne della scuola materna avevano sì i capelli biondi, ma dubitava che andassero in giro da sole su quel pezzo di spiaggia. O almeno, era scettico nel pensare che le sue compagne si divertissero a dar fastidio al vecchio: erano tutte così tranquille durante la ricreazione.

Bah, femmine.

La sua curiosità però era tale che gli fu inevitabile cambiare rotta e deviare, dirigendosi verso il Grande Masso. Sentiva solleticare i talloni dai granelli di sabbia che, a sentire alcuni suoi compagni, erano più grandi rispetto a quelli che si potevano trovare in riva al mare. Zach al mare non ci era mai stato e trovava difficile credere a quelle chiacchiere: come potevano esistere dei granelli ancora più piccoli di quelli?

Con lo sguardo seguì le impronte che lasciava dietro di sé finché non appoggiò i piedi sulla superficie liscia della roccia.

Il Grande Masso era esattamente ciò che diceva il nome: una distesa stranamente piana di lastra grigia, larga una decina di metri, che sporgeva sul lago in modo da creare un trampolino di lancio per i più spericolati. L'acqua, lì sotto, era parecchio profonda e quindi adatta per i tuffi durante l'estate. Ma era un posto perfetto anche per sdraiarsi a prendere il sole e, infatti, quando le vecchie stendevano i loro teli sulla superficie rocciosa, non c'era verso per coloro che si volevano tuffare di divertirsi finché quelle non se ne andavano.

Zach temporeggiò a un paio di metri dalla bambina per qualche istante, accorgendosi solo allora del blu candido della maglietta che indossava. Era un'accozzaglia di colori che, da vicino, facevano quasi male agli occhi. Era la prima volta che vedeva una femmina indossare qualcosa di blu.

« Ciao! »

Si lasciò cadere a terra al suo fianco, incrociando le gambe in modo da esserle quasi seduto difronte con la schiena semirivolta al lago, e sorrise. Un sorriso largo che inevitabilmente andò a disegnargli una piccola fossetta sulla guancia destra.

Non era sua intenzione spaventarla né farla sussultare, ma pensava che una minima reazione di sorpresa da parte della bambina ci sarebbe stata. Ciò che ottenne, invece, fu solo uno sguardo corrucciato e una fronte aggrottata.

« Lo sai che non ho mai visto una femmina indossare qualcosa di blu? Tutte le femmine della mia classe di solito hanno dei vestiti rosa o bianchi, ma mai blu. Il blu è da maschio » disse Zach imperterrito, deciso a non abbandonare il sorriso.

La frase non dovette piacerle molto perché il suo volto si corrucciò ulteriormente e gli occhi le si scurirono.

« Cosa vorresti dire? Che le femmine non possono indossare il blu perché è un colore da maschio? »

Zach ammutolì per un istante. Non si aspettava quella reazione né lo sguardo che lei gli lanciò subito prima di tornare a guardare il lago. Non era sua intenzione offenderla, ma il modo in cui gli aveva risposto sembravano suggerire il contrario.

In un decisione che si rivelò saggia, decise di lasciare perdere il discorso. Non voleva insinuare che il blu fosse da maschio, non lo credeva. Anzi, se proprio voleva essere sincero, considerava quella bambina forte: seppur femmina, si distaccava molto dalle sue compagne di scuola che mai volevano giocare ad acchiapparello o nascondino.

Era forte.

« Mi piace il tuo cappello » disse. « Sembra che abbia una luce propria, sai? Ne vorrei anch'io uno così. Dove lo hai comprato? » chiese tanto per dire qualcosa.

Per qualche motivo voleva che quella bambina gli parlasse ancora e che la smettesse di ignorarlo. Magari potevano giocare assieme.

« È impossibile. I cappelli non risplendono di luce, lo sanno tutti. »

La bambina lo guardò per un breve istante, alzando un sopracciglio. Il tono della sua voce era saccente, ma Zach non se la prese più di tanto, anche se capiva che la risposta di lei era volta a sottolineare l'assurdità detta da Zach.

Bensì, il modo in cui la fronte della bambina si corrucciò fece nascere in lui una risatina inevitabile dal profondo: era molto buffa. Cercava di fare la superiore, ma con quell'accozzaglia di vestiti e le ciocche di capelli che le finivano in bocca ogni volta che l'apriva, non incuteva tanto timore.

« Io mi chiamo Zach. Tu come ti chiami? » domandò dopo un po' di tempo che lei lo fissava. Almeno era riuscito ad attirare la sua attenzione.

« Mi sembra di averti già vista, ma non mi ricordo il tuo nome. Di solito sono bravo a ricordare i nomi, ma il tuo proprio non me lo ricordo. » Zach era consapevole di star dicendo una bugia: era vero che ricordava bene i nomi delle persone, di solito, ma era certo di non averla mai vista, altrimenti se ne sarebbe ricordato sicuramente. Trovava difficile dimenticare qualcuno come lei.

Purtroppo quella che voleva essere una provocazione per farla parlare, si rivelò inutile: la bambina si girò poco dopo verso l'acqua, senza rispondere alla sua domanda.

Guardandola attentamente, Zach notò che il suo volto aveva perso il cipiglio che era riuscito a suscitarle con i suoi interventi, e ora gli angoli della bocca di lei tendevano verso il basso, mentre la fronte le si era distesa. Dalla posizione in cui era, Zach non riusciva a vederle bene gli occhi, ma per qualche motivo capì che qualcosa in lei era cambiato. Sembrava triste.

« Sembri triste » disse, curioso. « Perché sei triste? »

Zach non conosceva molto bene la tristezza, ma sapeva cosa poteva suscitarla. L'aveva vista molto spesso in faccia alla sua mamma quando gli uomini uscivano da casa sua la mattina e lei era seduta al tavolo della cucina con una tazza di caffè bollente i mano. Saltuariamente, l'aveva vista anche quando i suoi compagni di scuola cadevano accidentalmente e si graffiavano il ginocchio. Ma il modo in cui quella bambina guardava imperterrita le acque scure del lago suscitarono in lui una sensazione strana.

Qualche istante dopo il labbro inferiore di lei cominciò a tremolare e finalmente tornò a guardare Zach negli occhi. Occhi pieni di lacrime trattenute.

« Mi manca la mia mamma » mormorò, alzando le spalle. Arricciò il naso e la bocca, passandosi una mano sotto il naso. « E poi non voglio vivere qui. Mi piaceva la mia vecchia casa, quella che abbiamo ora puzza di uova marce, e non posso più giocare con la mia amica Claire. »

Zach annuì.

« Sai, anche a me manca il mio papà a volte, anche se in realtà non so chi sia. » Si strinse nelle spalle mentre faceva rotolare un sassolino tra le mani.
« Però poi la mamma mi compra il gelato e me ne dimentico. »

In realtà la mamma gli comprava il gelato solo quando faceva il bravo, ma il modo in cui lo stava guardando quella bambina, come se si aspettasse una qualche rassicurazione, gli aveva fatto venir voglia di aggiungere quell'ultima frase.

La bambina alzò le sopracciglia in un'espressione al contempo sorpresa e pensierosa. I suoi occhi leggermente spalancati, che solo in quel momento Zach si rese conto essere azzurri come l'acqua del lago nei giorni di sole, erano grandi rispetto al resto del volto. Gli ultimi residui di lacrime facevano in modo che le sue ciglia fossero più scure ed evidenti, ma con un gesto di stizza si asciugò gli occhi.

« Mi chiamo Hailey » disse lei dopo un po'.

Zach fece un piccolo sorriso involontario, il quale si allargò inavvertitamente poco dopo. Fu come se la sua faccia si fosse illuminata.

« Ehi, mi è venuta un'idea geniale! » esclamò, mentre Hailey gli lanciava uno sguardo dubbioso. « Potremmo fondare il club dei bambini senza un genitore! Un po' dei miei amici hanno i genitori divorziati e potrebbero unirsi al club. »

« Okay, ci sto » disse Hailey dopo qualche istante, aprendosi in un piccolo sorriso. « Però tutti i club hanno delle regole. Forse dovremmo avere delle regole anche noi. »

Zach annuì concorde mentre il silenzio calava tra di loro. Entrambi si misero a pensare a quali potessero essere le regole. Zach guardò Hailey con il manto tra le mani e gli occhi socchiusi, e poi all'improvviso si illuminò in volto, alzando un dito verso la testa di lei.

« Nel club sono ammessi solo coloro che hanno un solo genitore e che portano un cappello giallo, proprio come il tuo » disse sorridendo, fiero della sua idea.

Hailey scosse il capo. « Ma tu un cappello giallo non ce l'hai. L'hai detto prima. »

Con uno scatto repentino, Zach balzò in piedi e acchiappò il cappello di Hailey con una mano, superando il Grande Masso con un balzo e cominciando a correre lungo la riva.

« Ehi, dammi il capello! » urlò Hailey mentre lo inseguiva a qualche metro di distanza.

Si rincorsero per parecchi minuti mentre Zach le faceva le linguacce ed Hailey rideva, forse per la prima volta quel giorno. Zach era proprio buffo quando incrociava gli occhi e tirava fuori la lingua, utilizzando le mani per farle cenno di venire a prenderlo.

Quando alla fine Zach rallentò la sua corsa volontariamente per farsi prendere – adorava giocare ad acchiapparello ma cominciava ad avere il fiatone ed Hailey non era veloce come lui – lei gli saltò addosso, rubandogli il cappello di mano e indirizzandogli una linguaccia di scherno.

Zach rise mentre cercava di riprendere fiato, poi allungò una mano in avanti, il palmo rivolto all'insù e il capo leggermente piegato.

« Amici? »

Voleva davvero farsi amica quella bambina, non solo perché sembrava forte sotto molti punti di vista. Non aveva mai avuto un'amica femmina e, da quello che aveva capito, lei si era appena trasferita, quindi molto probabilmente non conosceva nessuno. Magari poteva diventare il suo primo amico di Manning e fare in modo che quello sguardo triste rivolto all'acqua non si ripresentasse troppo spesso.

Hailey lo guardò per un secondo, mentre il suo petto si alzava e abbassava velocemente. Zach era davvero strano e di certo non poteva rimpiazzare Claire, ma in fin dei conti doveva pur farsi qualche amico visto che non conosceva nessuno con cui poter giocare, così strinse la sua mano e annuì, l'angolo della sua bocca leggermente sollevato.

« Sei buffo e un po' strano, sai? Però sei anche abbastanza simpatico » disse.

Lo guardò per un istante, soffermandosi sui suoi riccioli sbarazzini che svolazzavano dappertutto, un po' a causa del vento, un po' perché probabilmente era solo la loro natura, e sorrise. Allungando il braccio, gli mise in testa il suo capello giallo.

« Tieni, te lo regalo. Ne ho un altro a casa. »







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