La porta di Uruk

di Greatad
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'artefatto ***
Capitolo 2: *** Lacrime e sospiri ***
Capitolo 3: *** Viaggio nel deserto ***



Capitolo 1
*** L'artefatto ***


 
La porta sbatté. Veronica non si stupì, sbatteva sempre quando lasciava la finestra aperta. Le piaceva tenere la finestra aperta, entrava quella brezza invernale che la calmava sempre dopo una giornata stressante al lavoro.
“Veronica, la porta!”
Come poteva non sbattere la porta senza suo padre che glielo facesse notare? Ad ogni azione corrisponde una reazione pari e contraria. Oh, se aveva da ridire su questa cosa. Il rumore della porta che sbatteva e le urla del padre non le parevano uguali e contrarie, anzi.
Veronica accavallò le gambe e indossò le cuffie. “Sì, l’ho sentita.” mugugnò. Fece partire Deep Six di Manson. Brezza, buona musica e una tazza di cioccolata calda! Cosa poteva mai rovinarle la serata?
Driiin! Oh, che stupida che era. Il campanello! Ecco cosa poteva rovinare tutto!
“Veronica, la porta!”
Oddio, ma non sapeva formulare altre frasi quel demente? Veronica si tolse le cuffie e le gettò sul letto. Andò a vedere chi fosse. Di solito a suonare dopocena erano o scocciatori o parenti. Oh, spesso coincidevano i due però.
Provò a guardare dallo spioncino. Vide un tizio grassoccio con la bombetta, pareva uscito direttamente da Mary Poppins. Chissà, magari veniva dalla banca a dirle che il suo penny aveva fruttato milioni.
“Papà, penso vogliano te!” Di certo lei non aveva a che fare con tizi del genere. A meno che le ditte assicurative non avessero fatto passare un nuovo regolamento sull’abbigliamento nel posto di lavoro.
“Oh no signorina Vetusta. Sono qui proprio per avere una piacevole conversazione con lei.” Si sentiva un accento molto british. Veronica rimase senza parole. Riconobbe quella voce. Come poteva scordare uno dei pochi gentleman inglesi che conosceva? Aprì la porta e sorrise.
“Oh, lei è Jim vero?”
Jim sollevò un sopracciglio e tossì. “No, il mio nome è John.”
Beh, l’accento se lo ricordava, il nome no a quanto pareva. Poco male.
John estrasse un foglietto dalla tasca e un paio di occhialetti da lettura e dopo aver dato uno sguardo alla nota disse “Mi ha chiamato perché doveva mostrarmi un certo artefatto, sumero se non sbaglio?”
“Certo certo, mi segua in salotto, le preparo un tè. Penso di non riuscire a parlarne a mente sana senza una bella tazza di tè per tenermi su!”
Si diressero al salotto. La stanza non era molto grande, occupata da un divano sgualcito, una poltrona, su cui al momento il padre di Veronica stava risolvendo un sudoku, e un tavolino da tè.
“Vado a preparare il tè, immagino che un Earl Grey le farà piacere! Intanto si accomodi pure sul divano, è comodissimo!” E saltellando leggermente sparì in cucina.
 
#
 
John trovò gradevole quel salotto. Si fermò davanti una mensola e si mise ad osservarne i soprammobili. Un grazioso pagliaccetto su un triciclo che faceva roteare dei birilli lo stupì. Aveva già visto una cosa simile, ma non riusciva a ricordare, magari concentrandosi…
“Buonasera. Lei è?”
John si riscosse. Si accarezzò i baffi e fissò lo scocciatore. Non era anziano, dimostrava sì e no una cinquantina d’anni. La maglietta bianca e i boxer davano l’impressione che non facesse molto, oltre a grattarsi il sedere e scrivere numeri doppi nel suo sudoku.
“Oh, ha sentito chi sono dalla porta, non mi pare disti così tanto da qui l’ingresso. Lei invece?”
L’uomo appoggiò la copia de La settimana enigmistica sul tavolino e inforcò un paio di occhiali. Avvicinò le mani, si scrocchiò le dita e sbottò “Sono solo il proprietario di questa casa e lei è mio ospite ne deduco.”
John smise di accarezzarsi i baffi, oh se dovevano farlo arrabbiare per distrarlo dai suoi bei baffoni.
“Quindi la devo chiamare Proprietario-di-questa-casa?”
“O mi dimostra rispetto, o la sbatto fuori di casa!”
In quel momento Veronica entrava portando un vassoio con la teiera e un paio di tazze. Si bloccò, sbiancando.
John previde che stava per scoppiare contro il Proprietario-di-questa-casa. Non andava affatto bene, doveva liberarsene per poter discutere tranquillamente dell’artefatto che tanto sembrava preoccuparla al telefono.
Con uomini del genere l’unica cosa che poteva funzionare era svergognarli, e non pareva così difficile con uno che era praticamente in mutande. Fece un occhiolino a Veronica, che stava aprendo bocca in quel momento e si zittì perplessa.
“Proprietario-di-questa-casa, non perda il controllo, su. Guardi, ci sono scimmie che si godono la vita tirandosi dietro gli escrementi in questo momento, e… ma cos’è questo odore?” Fissò i boxer dell’uomo, sventolandosi una mano davanti la faccia. Questi diventò paonazzo e scappò in bagno per controllare, che non si sa mai cosa poteva fare mentre era tutto concentrato sui suoi sudoku.
 
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Veronica era stupita. Non ricordava di essere mai riuscita a zittire il padre senza alzare la voce o tirargli dietro un budino. Il suo budino al cioccolato della sera prima… Quanti sacrifici bisogna fare per avere un po’ di pace.
Posò sul tavolino il vassoio e versò il tè.
“Ecco qui! Vuole anche dei biscotti?”
“Oh, meglio di no, non sa le briciole sui baffi poi.”
Rise. Le stava simpatico questo John. Sentiva di potersi fidare, anche se come l’aveva conosciuto in una chat anonima sul paranormale la metteva un po’ a disagio. Aveva detto di essere un professore inglese di archeologia, e sull’inglese iniziava a crederci.
“Dalle foto che mi ha mandato, come le ho già detto, penso di aver riconosciuto quell’artefatto sumero, però prima di esprimere il mio parere vorrei poterlo vedere di persona.”
“Oh sì, lo ho appoggiato vicino a Gerry!”
“Gerry?”
“Oh, scusi, chiamo così il pagliaccetto di ceramica. Sa, tempo fa aveva tentato di uccidere mio fratello, è allora che ho saputo come si chiamava!”
“Ha tentato di… Oh, non importa.”
“Ecco qui.”
Veronica consegnò l’artefatto nelle mani di John, che si mise a rigirarlo e tastarlo con cura. Era di forma cilindrica, con impressi sulla base alcuni pittogrammi. John estrasse dalla tasca una lente d’ingrandimento e si mise ad analizzare i segni.
“Ha mai sentito parlare di Gilgamesh?”
Veronica sorrise. “Il cosiddetto divino re Gilgamesh di Uruk, figlio della dea Ninsun?” Quante rare erano le occasioni in cui poteva dare sfoggio delle sue conoscenze storiche!
“Oh, la vedo informata!” John fece un accenno di applauso e continuò. “Da dove deriva questa bravura?”
Veronica abbassò lo sguardo e spiegò. “Vede, mia madre era un’archeologa e questo artefatto è un suo ricordo…” Allo sguardo preoccupato di John continuò.  “È sparita 5 anni fa durante uno scavo a Baghdad, dicono sia stata rapita da qualche terrorista.” Sentiva le lacrime salire al triste ricordo, ma si fece forza e continuò provando a cambiare discorso. In fondo non era qui per ascoltare le sue lagne sulla madre scomparsa. 
“Quella… cosa si trovava in un vasetto che mi aveva spedito una settimana prima di perdere i contatti con lei. L’altro giorno mentre pulivo è caduto, e l’ho trovata tra i cocci.” Già, aveva rotto l’ultimo regalo di compleanno che le aveva fatto la madre. Il rimorso la prese e trattenere le lacrime si fece più difficile. Diamine Veronica, dovresti aver già pianto abbastanza quell’anno!
John le appoggiò una mano sulla spalla. Si calmò un attimo e rialzato lo sguardo vide che la stava fissando negli occhi. Ogni parvenza di giocosità era sparita dal suo viso, sostituita da un’espressione seria.
“Veronica, tu vuoi rivedere tua madre?”
“Sì, certo che sì!” Ecco, aveva risposto d’impulso. Una persona che conosceva da poco la prendeva probabilmente in giro e lei cosa faceva? Ma faceva il suo gioco ovviamente! Scostò la sua mano dalla spalla e corresse il tiro continuando a parlare.  “Perché me lo chiede?”
“Penso di sapere che fine abbia fatto. Posso assicurarti che tua madre non è stata rapita da terroristi. E il motivo per cui è stata rapita è proprio questa chiave.”
Oh, adesso si metteva pure a delirare. Stava iniziando a stufarsi di questa farsa. “Lei come fa a sapere tutto questo? Perché dovrei crederle?”
“Perché a quello scavo c’ero anch’io.”
L’ombra del dubbio si insinuò in lei. Dubbio? Non scherziamo. Era speranza. Una speranza che aveva abbandonato da secoli ormai. “E lei è ancora viva?”
“In un certo senso sì. E se non la salviamo, lo sarà per sempre.” John estrasse un tablet dalla tasca e dopo qualche minuto lo girò verso di lei. Riconosceva sua madre, pareva immersa in una gemma dalle sfumature arancioni.
“Questo… cos’è?”
“L’ultimo lascito di Gilgamesh secondo le iscrizioni rinvenute sul luogo. Anche se penso che la parola esatta sia… maledizione.”
 
#

Una maledizione. Sua madre era stata maledetta. “Capisco. C’è modo di sciogliere questa maledizione?”
John si sorprese e quasi non gli andò di traversò il tè. “Non è stupita della cosa?”
“No, succedono spesso queste cose alla mia famiglia, ho superato lo stupore del paranormale da un pezzo.” Veronica fissò il soffitto, cercando di ricordare. “Anche il mese scorso ho aiutato mio zio Odoacre a esorcizzare un poltergeist che gli stava infestando la soffitta. Un po’ di sale e via.” Le grida terrorizzate del poltergeist le davano ancora soddisfazione.
“Ma un poltergeist non è una lumaca!” proruppe indignato John.
“Mah, per mia nonna erano la stessa cosa. Non sa i casini quando si trovava i cespi di lattuga che si muovevano da soli. Ci rimase orba ad un occhio per una carota posseduta quando era bambina.” Povera nonna. Ogni tanto l’Alzheimer le faceva rivivere i vecchi momenti del passato e dava fuoco agli orti dei vicini.
“Oh, beh, va bene… torniamo alla maledizione.” John si ricompose e appoggiò la tazza. “Tua madre partecipò alla spedizione di scavi a Uruk come ben sai. Mentre stavano traducendo delle iscrizioni rimasero tutti vittima della maledizione della vita eterna di Gilgamesh, come abbiamo scoperto in seguito addentrandoci nelle rovine.”
Qualcosa non quadrava a Veronica. Tutti vittima della maledizione? Ma se lui ci aveva partecipato ed era ancora qui… “E lei come si è salvato?”
“Ero andato in città a gestire i rifornimenti di materiale per gli scavi. Una volta Uruk si trovava lungo le sponde dell’Eufrate. Con l’andare del tempo il fiume ha cambiato corso e di conseguenza far arrivare i rifornimenti è difficile e richiede ore di strada.”
John sorseggiò il suo tè e poi riprese.
“Ero al mercato della città vicina, Baghdad, che tanto vicina non era visto che occorrono tre ore di camion per arrivarci da Uruk. Stavo trattando sul prezzo di funi e picchetti, quando la terra si mise a tremare e si vedeva una successione infinita di lampi di tutti i colori all’orizzonte, a sud-est, verso le rovine. Preoccupato ho accettato il prezzo che mi stava proponendo il mercante - una rapina - e sono corso ai camion. Ci siamo diretti a tavoletta verso lo scavo, e quando siamo arrivati c’era un silenzio di tomba. Non c’era anima viva nei dintorni. Dopo qualche ora di ricerca sono giunto ad una buca. Facendomi aiutare dagli inservienti sono sceso con una fune e lì ho trovato tutte le persone con cui ho chiacchierato e lavorato fino a poche ore prima cristallizzate. Una vista agghiacciante.” John tossì.
“Vuole un’altra tazza di tè?”
“No grazie, ormai ho finito di rivangare il passato. Ho chiamato subito dei soccorsi, qualcuno che potesse valutare le loro condizioni vitali. Dopo attenti esami si è scoperto che tutte le persone cristallizzate versano in stato di coma, con le funzioni vitali decelerate. Non sembra che stiano soffrendo. Purtroppo ancora non si è trovato modo di invertire il processo e liberarli da quei cristalli.”
“Non basta dare una pacca e rompere il guscio?” irruppe Veronica, poco convinta anch’essa di quello che stava dicendolo, avendolo quasi sussurrato.
“Non scherziamo. Sono come in un cubo di ghiaccio, un colpo troppo forte spezzerebbe pure la persona all’interno. Il nostro mondo non ha ancora sviluppato una tecnologia tale da liberare sua madre, Veronica. Ed è qui che entra in gioco la sua chiave.”
“Ma di quale chiave sta parlando? Anche prima l’ha nominata, ma io non ho nessuna chiave!”
“Il regalo di sua madre, Veronica. L’artefatto sumero è una chiave. La chiave che potrebbe salvare sua madre.”
 
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John stava per spiegare in che modo la chiave potesse salvare la madre ma venne interrotto subito.
"Non dire cazzate" esclamò il proprietario-di-questa-casa, che pareva si fosse rivestito.
Un altro sprovveduto che provava a mettere in dubbio le sue parole? "Non crede a queste mie teorie sul paranormale forse? Sappia che ho visto tutto con i miei occhi e numerosi testimoni oculari possono affermare che..." ma venne interrotto di nuovo. Questa volta dalla voce squillante di Veronica però, il che lo indispettì parecchio.
"No, John, si sbaglia. Non è questo che intende mio padre. Sa, lui ci sguazza sul paranormale normalmente..." Vide Veronica lanciare uno sguardo eloquente al padre. Cosa si era perso? Che fosse qualche fanatico religioso il proprietario-di-questa-casa?
"Cos'è quello sguardo scettico Veronica? Comunque, John, perdonami per prima. É che sai com'è, uno sta a rilassarsi e si vede la casa invasa così." Scoccò uno sguardo in tralice alla figlia "Potevi avvertirmi."
"Tanto non mi avresti ascoltato come al solito."
"Lasciamo perdere allora. John, io ti credo sulla chiave." Gli tese una mano. John si alzò dal divano e rispose al gesto.
"Sono Tolomeo Vetusta, ricercatore del paranormale e padre di questa disgraziata." La stretta fu decisa, nonostante a farla fosse un ricercatore del paranormale. Che razza di titolo era?
 "Come dicevo, ti credo su Uruk. Ma non sul fatto che Nora vada salvata."
"E su cosa baserebbe questa presunzione? Da quello che ho capito sua figlia pensava fosse stata rapita da terroristi fino a 10 minuti fa!"
"Ho i miei metodi per tracciare la mia famiglia e di sicuro non voglio condividerli con te, John."
John non disse niente e si limitò a fissare Tolomeo, attendendo che continuasse.
"Non mi interesso mai molto del lavoro di Nora, ma su una cosa sono sicuro. Lei non ha partecipato a quella spedizione."
Stava per aprire bocca e approntare qualcosa in difesa della propria posizione, quando Veronica scoppiò.
 
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 "Papà, smettila! Se non stai a badare al lavoro della mamma, come fai a sapere queste cose?"
Tolomeo si sistemò gli occhiali e con una voce teatrale rivelò: "Ho interrogato gli spiriti e mi hanno detto di non fidarmi di questo John!"
Veronica si portò le mani alla testa, chiuse gli occhi e massaggiandosi le tempie domandò apparentemente tranquilla: "E perché non dovresti fidarti?"
 Il padre si mise a fissare un angolino del soffitto, un ragnetto stava tessendo una tela. "Non lo so. Però mi hanno anche detto che Nora sta bene, e..."
"E non ne hai alcuna prova. Come negli ultimi 5 anni d'altronde. Papà, io voglio credere a John e andrò con lui a liberare la mamma!"
"Benissimo, fai come vuoi Veronica. " Si mise a sedere vicino a lei e le porse un braccialetto. "Ti chiedo solo di indossare questo."
Sentì che il padre era sincero, probabilmente si stava pure preoccupando per lei, gloria e giubilo. Si calmò, abbassò le mani dalla testa e chiese: "Perché?"
Sorrise. "Non te lo dico. Tanto anche se te lo spiegassi non capiresti e mi lanceresti addosso un altro delizioso budino."
Veronica sospirò. "Va bene papà." Prese il braccialetto e lo infilò al polso. Era poco più di un laccio di pelle, con un motivetto a spirali. Non un capolavoro, ma neanche di troppo cattivo gusto.
John era spaesato. Non gli capitava spesso, soprattutto dopo aver visto tutte quelle cose a Uruk. Ma doveva chiarire una cosa. "Veronica, ha detto di voler venire con me a salvare sua madre giusto?"
"Sì, pensavo di partire domattina col primo volo."
"Vede, io pensavo di riportare la chiave a Uruk con dei miei fidati compagni, con una certa esperienza in antichi reperti archeologici, non mi pare il caso che venga anche lei."
"Non ho mai chiesto la sua autorizzazione. La chiave è mia e viaggia con me."
"Domattina però è impossibile, non riuscirei mai a organizzare tutto con così poco preavviso..."
"Io parto, la aspetterò sul luogo. Mi bastano le coordinate, non è la prima volta che sto fuori in mezzo a rovine. Era divertente quando mi ci portava la mamma!"
 
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La mattina dopo Veronica stava preparando le valigie. A nulla valsero le proteste del padre, che la giudicava incapace di cavarsela in questa impresa.
John non la voleva con sé, ma lei aveva insistito per esserci quando sua madre avrebbe ripreso a muoversi. Voleva abbracciarla e recuperare subito tutti quegli anni che avevano perso. Prese le chiavi della macchina, uscì e la mise in moto. Ma si accorse di aver lasciato i biglietti dell'aereo sulla scrivania, li aveva comprati e stampati la sera prima una volta che John se ne era andato. Scese dall'auto e tornò in casa. Mentre stava mettendo i biglietti in borsa udì un'esplosione. Corse fuori allarmata e vide l'auto in fiamme.
"Mi mancavano ancora due anni di rate..." Fortuna che l'assicurazione prevedeva anche la copertura da atti vandalici e misteriose esplosioni causate dal fato avverso. Oh, se le faceva comodo lavorare per una compagnia assicurativa in questi casi!
Chiamò un taxi e si fece accompagnare all'aeroporto. Sperava davvero non prendesse fuoco anche l'aereo, quello non aveva pensato di includerlo nella sua assicurazione. Non che le servisse a molto se prendeva fuoco mentre era a bordo...
 

 

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Capitolo 2
*** Lacrime e sospiri ***


Veronica salì sull’aereo. Non avrebbe dovuto attendere ore in attesa a cincischiare tra i negozietti carissimi dell’aeroporto. Si sedette e si guardò attorno. Ovviamente era in economica –era stato un miracolo trovare dei biglietti per l’economica con così poco preavviso. Siano benedetti i last-minute!
Si guardò attorno. Il sedile accanto era ancora vuoto e se lo fosse rimasto fino all’atterraggio non le sarebbe dispiaciuto. Per passare il tempo si era portata appresso alcune lettere dalla madre. Le piaceva rileggere delle sue avventure, spesso molto romanzate.
Estrasse da una busta una lettera e cominciò a leggere.

“Carissima dolcissima Nica, ciao! Questa settimana sono stata nella jungla! Hai letto quel classico di Salgari? Sono stata proprio là! Ma non ho visto molte tigri… In compenso ho incontrato un bellissimo tigrotto, se capisci quello che voglio dire!”
Veronica sorrise. Sua madre era stata sempre svenevole con gli indigeni, le piaceva un sacco fare amicizia con la gente del posto! E molti la corteggiavano a distanza regalandole tanti oggetti carini, capitava spesso partisse all’avventura quando le recapitavano qualche interessante reperto…
“Ma questo tigrotto sulle prime era molto misterioso e losco… Lo ho conosciuto ad una taverna. Era lì che cercava qualcuno che potesse riaccompagnarlo a casa! Mi sono messa a ridere, sei già così ubriaco di prima mattina gli ho chiesto? E lui mi ha risposto dicendo che il suo problema non era l’alcool, ma l’esilio…
“Esilio? Da dove sei stato esiliato?” Sembrava interessante la cosa, magari era un qualche principe di lontani regni, invece pareva semplicemente un pazzo. Diceva di essere stato esiliato da Álfheimr! La patria degli elfi! Che poi, la mitologia scandinava lungo il Gange? Ma stiamo scherzando? Certo, si sarebbe spiegato perché fosse così perso!
“Quindi saresti un elfo? E ci credo che ti sei perso, qui siamo lungo il Gange, e mi tiri fuori la mitologia scandinava!” Dovevo prenderlo in giro, non potevo resistere. “Se sei un elfo, posso toccare le tue orecchie?” Mi ha guardata malissimo. Mi aspettavo che mi prendesse a calci dando completamente di matto! Invece ha sospirato, si è tolto il turbante (non mi ero stupita prima perché eravamo in India, eh!).
Aveva dei capelli lisci lunghissimi, praticamente bianchi, e davvero le orecchie a punta!”
Ricordò la prima volta che aveva letto di questa storia. Non ci aveva creduto, era assurdo. Però considerando tutto quello che le era successo in prima persona negli ultimi anni…
“Mi ha raccontato che è un elfo reietto, stanco della vita noiosa e stupida degli elfi si è dato alla macchia per qualche secolo tra gli umani. Ma da qualche settimana gli è giunta voce che sua figlia ha partorito, e voleva vedere il nascituro… L’unico modo perché gli esiliati possano tornare a casa è attraversare un portale difeso da un golem runico!”
#
Sentì fastidio agli occhi. La lettera si era bagnata, a causa delle lacrime involontarie di Veronica. Le mancava un sacco la madre, i suoi discorsi fuori dal mondo, come la coccolava quando tornava a casa… E singhiozzando si addormentò, stringendo forte forte al petto quel vecchio pezzo di carta.
Veronica entrò nell’ufficio informazioni. Con il poco arabo che conosceva, chiese come fare per arrivare ad Uruk. Le portarono una salvietta. Al ché si rese conto che forse non lo conosceva per niente l’arabo. Provò con l’inglese, ed ebbe più successo.
“Le rovine di Uruk? Provi al mercato, forse potrebbe trovare una guida disposta ad accompagnarla. Con questa crisi ci si adatta a fare di tutto…”
“Non ci sono autobus, treni?”
“No, da qualche settimana i mezzi pubblici sono stati cancellati per degli atti di guerriglia.”
“Capisco! Mi può dare l’indirizzo per una concessionaria?”

Presa a noleggio una jeep si diresse al vicino mercato. Le indicazioni che le aveva lasciato il tipo al punto informazioni si erano rivelate esatte, non fosse stato che aveva voluto fare di testa sua per evitare una coda e allungato così la strada lungo una “scorciatoia” suggerita da Google Maps.
Parcheggiò la jeep e si inoltrò nella piazza del mercato. Era parecchio vivace, nonostante la situazione politica del paese. Giravano in mezzo alle casalinghe indaffarate gruppi di soldati armati, che fermavano persone a caso per perquisizioni.
Stava dando parecchio nell’occhio com’era vestita, di turisti non se ne dovevano vedere molti da quelle parti… Così si fermo al primo banco di vestiario disponibile dove una simpatica vecchietta le rifilò un bellissimo mantello tarlato in cambio dei suoi occhiali da sole. Veronica si stupì che ancora fosse accettato il baratto! Stupore che durò poco quando i figli della vecchina la bloccarono e le fecero capire che gli occhiali erano un regalo rispettoso verso l’anziana, e che il mantello avrebbe dovuto pagarlo. Riluttante mise mano al marsupio per pagare, ma non c’era nessun marsupio. Con la coda dell’occhio vide un ragazzino correre in mezzo alla strada tutto trafelato-pumf che inciampone-con stretto tra le braccia quello che pareva il suo marsupio giallo con i coniglietti.
L’artefatto!
Si divincolò dai due omaccioni pestando diversi piedi – dovette prenderne almeno tre con tutta la folla che c’era per beccare quelli giusti – e si mise a rincorrere il piccoletto. Il mantello se lo tenne perché le pareva uno scambio più che equo per i suoi cari occhiali da sole!
Non dovette correre molto. Il bambino era stato bloccato da un giovane alto, che pareva lo stesse rimproverando.
Si fermò davanti a loro tenendosi i fianchi per riprendere fiato.

“Scusa, quel marsupio è mio!”
Si girarono verso di lei. Il bambino in lacrime probabilmente aveva appena convinto il tipo alto che no, quel marsupio lo aveva trovato per terra e per Vishnù e Buddha lui non lo aveva appena rubato a quella signorina senza fiato con lo sguardo cattivissimo.
Il tipo si voltò e un paio di occhi nocciola si fissarono sui suoi. Improvvisamente non fu poi così cattivissimo lo sguardo di Veronica.
“Ciao, io sono Veronica!” esclamò. Avvicinò le mani alle sue e con un tocco lieve si fece ridare il marsupio.
“Ho bisogno di una guida per arrivare alle rovine di Uruk. Mi faresti compagnia?”

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Capitolo 3
*** Viaggio nel deserto ***


Diamine. Forse era stata un po' troppo diretta, non le rispondeva niente...
Ma certo. Gli aveva parlato in italiano, come faceva ad averla capita?
"Piacere, io sono Gorilla. Ti dispiace se viene anche Scimmietta? Lo so che ha rubato, ma oggi devo badargli per conto di mio fratello..."
Oh? "Scimmietta?"
"Sì, è come si chiama mio nipote."
Ma la vera domanda era...
"Tu parli italiano?"
"No... Mi ha stupito sentire te parlare arabo, sono rari i turisti con una pronuncia così fluente!"
"No no... Stamattina mi hanno pure dato delle uova in edicola al posto del giornale da quanto lo parlo male!"E chinò la testa, con un lieve rossore in viso. E vide che teneva l'artefatto tra le dita, giocherellandoci. Lo rimise nel marsupio, essendosi assicurata che non si fosse rovinato durante l'inseguimento.
"Scusa, lasciamo stare, sarà qualche mistero della lingua... puoi guidarmi ad Uruk?"
"blablaba in arabo"
"Ma... non ti capisco più!"
Il bambino prese l'artefatto e le parlò.
"Ehi, ridammela! È una cosa importante per me!"
"Adesso ti capisco! È una pietra miracolosa!"esclamò il bambino sorridendo. Gliela porse.
"Pietra miracolosa? ... e Uruk. Forse posso aiutarti, sembra una cosa interessante! Mio nonno mi raccontava spesso strane leggende del deserto, e tra queste c'era anche quella delle pietre di Babele...  possiamo fermarci da lui prima di andare ad Uruk se sei interessata!"
"Ci capisco poco però... va bene! Mi affido alle tue braccia muscol- sono nelle tue mani!"
Assicurò l'artefatto ad una collana acquistata al mercato e se lo mise al collo, così da poter avere il suo personale traduttore tascabile sempre attivo.
Guardò il marmocchio, chinato ad allacciarsi una scarpa. Magari poteva chiuderlo nel bagagliaio mentre lo zietto non guardava...
Il bambino si voltò e le rivolse un sorrisone a 24 denti. Rispose al sorriso con una linguaccia mentre lo zio si allontanava per fare un po' di spesa per il viaggio.
Salirono poi sulla jeep di Veronica e si avviarono.
C'era un silenzio imbarazzante in auto. Lei era imbarazzata, volendo attaccare bottone ma non trovando come farlo senza sembrare troppo invasiva. Diamine, perché lui non parlava?
Continuava a guardare fuori dal finestrino. Forse non gli piaceva, o l'aveva vista mentre litigava col bambino e meditava di lasciare da sola quella strana estranea.
"Fermati!"urlò Gorilla.
Veronica inchiodò, temendo di aver investito un passante. Aveva ancora gli incubi da quella volta che aveva tirato sotto un templare e aveva dovuto far rifare tutto il paraurti dell'auto. Che siano dannati i cavalieri armati che cercano Graal nei tombini!

"Giuro che non l'ho visto!"
Gorilla scese dall'auto ed entrò in un'armeria.
"Ma cosa è andato a fare?"
"Andare nel deserto è pericoloso, se troviamo soldati ostili che vagano in cerca di persone da razziare è meglio essere armati!"
Gorilla tornò indietro dopo qualche minuto e le appoggiò in grembo una pistola. "Sai sparare?"
"N-no..."rispose. Prese in mano il ferro e lo soppeso. Era freddissima al tatto, e non si sentiva per niente a suo agio.
"Tranquilla, è inserita la sicura! Appena ci accamperemo ti darò qualche lezione di tiro. Dovremo fare turni di notte, ed è meglio tu non ti faccia cogliere troppo impacciata."

Una volta usciti dalle strade della città dovettero superare un posto di blocco dell'esercito.
Gorilla scese dall'auto, e confabulò per una decina di minuti con i soldati.
"Secondo te finirà nei guai per portarmi fuori da Baghdad?"
"Vedendo come sei vestita potrebbe spacciarti come sua concubina e dire che vuole spassarsela con te in periferia, non è così raro..."
Cosa c'era di male in un top e shorts, diavolo, se deve visitare un luogo caldo perché coprirsi! Si limitò a lanciare uno sguardo carico d'odio al piccoletto dalla lingua lunga mentre attendeva che Gorilla tornasse. Vedendolo di spalle mentre parlottava, notò come aveva delle belle spalle larghe...

Ripresero il viaggio.
"Cosa hai detto perché ci lasciassero passare?"
La guardò con una faccia colpevole.
"Ho dovuto dire una piccola bugia, fortuna che la tua bella pancia scoperta mi ha dato l'idea..."
Veronica arrossì. Quindi le aveva guardato la pancia... Fare palestra nell'ultimo anno stava dando i suoi frutti! Sentì lo sguardo divertito del bambino dal sedile posteriore. Inchiodò di colpo facendogli cozzare la testa contro il sedile.
"Cos'è successo?"
"Niente niente, ho solo evitato di investire una scimmietta che mi ha attraversato la strada."
"Scimmie? Ma qui non ho mai visto scimm..."
"Allora Gorilla,"iniziò a parlare Veronica dopo aver accelerato "cosa fai nella vita? Dentista? Avvocato?"
Si guardò i bicipiti e sorrise. "Beh, devo estrarre denti molto pesanti per aver fatto su tanti muscoli."
Il bambino dietro rise sguaiatamente.
"Lavoravo per una ditta di estrazione di combustibile. Sono stato licenziato dopo che dei soldati hanno fatto chiudere la fabbrica per cui lavoravo... Il termine corretto sarebbe fatto esplodere."
"Mi dispiace tantissimo per te!"
"Non farlo. Molti giovani sono rimasti menomati, e ringrazio Dio per non aver perso qualcosa anch'io... Ora aiuto mio fratello con la sua famiglia, come puoi vedere!"
E continuarono a chiacchierare fino a sera, quando si accamparono.
"Allora mettiamo su la tenda!"

Montando la tenda Veronica si fece aiutare dal bambino a fissare i chiodi.
"Oh, scusa, mi dispiace, sono davvero imbranata in queste cose!" Esclamò dopo aver beccato per la terza volta di seguito un dito al piccolo. Una per ogni volta che l'aveva messa in ridicolo in macchina con Gorilla! Per certe cose era proprio una bambina, ma si divertiva troppo.

"Allora Veronica, pronta per le lezioni di tiro?"
"Sì!"
"Tu piccolino rimani qui, e vedi di mettere su il fuoco per la notte come ti ho insegnato!"
"Agli ordini!"E l'ometto si mise all'opera. Gorilla prese a braccetto una Veronica titubante e si allontarono.

"Non useremo come bersaglio Scimmietta, anche se immagino ti possa piacere l'idea."
"Oh? No, ma cosa stai dicendo!"Forzò un sorriso. "Mi sta troppo simpatica quella piccola canaglia!"
"Davvero?"
"... no."
"È un bravo ragazzo. Purtroppo ha il brutto vizio di derubare i turisti..."
"I bravi ragazzi derubano sempre i turisti da queste parti?"
"Se seguito credo nel suo potenziale di bravo ragazzo, mettiamola così. Ti sarei davvero grato se potessi aprirti di più e comprenderlo."
Veronica sospirò, sentendosi in colpa. Le strinse una spalla.
"Pronta a fare fuoco?"
Le porse la pistola.

Gorilla appese un bersaglio ad un muro di roccia, e iniziò a impartire le basi su come tenere la pistola alla sua giovane allieva.
"Tienila con entrambe le mani, il rinculo potrebbe sbalzarti via."Le sistemò le braccia, in modo che fossero leggermente piegate. "Ecco, ora prova a premere il grilletto mirando al bersaglio!"
Veronica sparò.
"Uhm, non è successo niente al bersaglio."
"L'hai mancato! Dai, fra qualche tentativo riuscirai a prenderlo sicuramente!"
Il sole finì di calare, e le prime stelle iniziarono ad accendersi in cielo.
"Sai, forse basterà la pistola a intimorire la gente, non dovrai mai arrivare a sparare. Speriamo."
"Sono così una pessima tiratrice?"
"Tu lascia sempre la sicura, che il più vicino ospedale è a 4 ore di auto, va bene?"
Veronica mise la sicura, e singhiozzò.
"Su, non prenderla così a male! Non tutti hanno il dono della mira... Poi è la prima volta che tieni in mano una pistola!"
"Ok."rispose mogia Veronica, strascicando i piedi mentre tornavano al loro piccolo accampamento.

"Sai, se tutti fossero imbranati come te forse la vita sarebbe più pacifica qui attorno!"esclamò Scimmietta dopo essersi fatto raccontare delle goffe prove di tiro di Veronica.
"Uno. Due. Tre. Dieci. Coraggio, non devi arrabbiarti! È un bambino, e con gravi deficit mentali. O almeno penso sia così. Argh!"
"Vuoi un altro po' di zuppa, Scimmietta?"gli chiese, forzando il suo migliore sorriso falso.
Sentì la mano di Gorilla che le carezzava la schiena, si voltò e lo sentì sussurrare un bravissima. Questo trasfigurò la smorfia forzata in un sorriso sincero e compiaciuto.

Finito il proprio turno di guardia, Gorilla la svegliò. Si alzò, e si mise davanti al fuoco, con la lettera della madre che non era riuscita a finire di leggere il giorno prima in aereo.

Interruppe la lettura. Un grido squarciò quella notte nel deserto. Il grido di un bambino!
"Scimmietta!"Esclamò Veronica, scattando in piedi e facendo cadere la lettera nelle braci.
"Dannazione!"mise mano alla pistola, ed entrò nella tenda.
Gorilla era a terra, svenuto, perdendo vistosamente sangue dal fianco. Un buco sul terreno vicino ai suoi piedi. Ma quello che attirò l’attenzione di Veronica fu qualcos’altro.
Un uomo stava tenendo per il collo Scimmietta.
"Lascia il bambino! O sparo!"urlò, non sapendo esattamente cos’altro poteva fare.
L’uomo girò la testa a piccoli scatti. Fissò Veronica per qualche secondo, come per cercare di metterla a fuoco.
"Merda!"Conscia che se avesse sparato avrebbe peggiorato la situazione, con un balzo si buttò sull'uomo, dandogli il calcio della pistola in testa.
Sul punto di impatto, la pelle venne via come carta velina. Un nero lucido si fece spazio sulla ferita.
"Ma cosa sei?!?"esclamò Veronica, lasciando cadere la pistola e facendo un balzo all’indietro. La creatura smise di strangolare il piccolo, facendolo rovinare a terra. Aprì la bocca. Zanne che non avevano nulla di umano morsero l’aria, facendo un TEKTEK secco.
Si lanciò su Veronica.
"La chiaveeeeergh!"

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