Era glaciale

di Sam27
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come ad Azkaban, solo che qui i Dissennatori sorridono ***
Capitolo 2: *** Un ciccio-panda brufoloso con le mani sporche di nutella ***
Capitolo 3: *** Maledette voci di corridoio! ***
Capitolo 4: *** Un condannato a morte di fronte alla ghigliottina ***
Capitolo 5: *** Sai che Torino è fatta a quadrati? ***
Capitolo 6: *** In confronto a questa posto l’inferno è solo una sauna ***
Capitolo 7: *** L'importante è che tu sia qui, ora ***
Capitolo 8: *** In compagnia di un troglodita troppo bello per essere vero ***
Capitolo 9: *** Fossi in te non me la farei scappare ***



Capitolo 1
*** Come ad Azkaban, solo che qui i Dissennatori sorridono ***


1. Come ad Azkaban, solo che qui i Dissennatori sorridono
 “L’amore è cieco
L’amicizia chiude gli occhi”
Otto von Bismarck


 
-Mi chiamo Eleonora e ho sedici anni, quasi diciassette- dico di malavoglia.
Lei mi guarda, inarca le sopracciglia e mi invita con un gesto appena accennato a continuare.
Io alzo platealmente gli occhi al cielo.
-Mi chiamo Eleonora, ho sedici anni e mezzo e sono sfortunata. Quando Dio distribuiva la fortuna probabilmente io ero seduta sul divano, un libro in una mano ed un barattolo di Nutella nell’altra. Non lo dico perché sono depressa o autolesionista,non si faccia strane idee, è semplicemente un dato di fatto. La sfiga mi perseguita ed ormai me ne sono fatta una ragione, probabilmente io e Neville siamo parenti lontani, ma cosa glielo dico a fare? Lei neanche sa chi sia Neville. Ecco: c’è una cosa che deve sapere di me, sono una fangirl e sto ancora aspettando che arrivi la mia lettera per Hogwarts
-Di cosa vuole che le parli ora? Della mia famiglia? E sia, d’altronde è per quello che sono qui, no? Perché i miei si sono separati. Non sono una di quelle figlie stupide che iniziano a ripetere: “questo mondo è ingiusto i miei si amavano”. No: mio padre amava mia madre, lei aveva altri gusti, per così dire.  L’ho vista mentre si baciava con un’altra donna. Ho sempre amato mio padre e adorato mia madre, ma da quel giorno...- faccio una breve pausa per riprendere fiato -Come se non bastasse mio padre ha iniziato a bere, ha perso il lavoro ed il tribunale dei minori l’ha ritenuto inadeguato per badare ad una sedicenne, senza tenere conto della mia opinione: ha dato l’affidamento a mia madre. Gli adulti non ascoltano mai, ma perchè glielo sto raccontando? Lei tutto questo già lo sa, gliel’avrà raccontato Rebecca, l’ex-moglie di mio padre.
-Quindi cosa dovrei dirle? Forse vuole sapere dei miei amici… Ho molti conoscenti che sopporto ogni tanto,  ho qualche amico sì, ma nessuno che io abbia avuto voglia di chiamare quand’ho scoperto che da domani dovrò vivere con Rebecca, capisce che intendo? Ho chiamato il mio migliore amico, invece, Alessandro- faccio una pausa e abbasso gli occhi mentre mi si colorano le guance sotto il suo sguardo indagatore, sembra che con quegli occhi grigi possa leggermi dentro e scoprire le insane idee che popolano il miocervello –E poi c’è il ragazzo che mi piace da due anni circa, si chiama Filippo ed è…-
-Parlami di come l’hai conosciuto- mi interrompe guardandomi da sopra gli occhiali squadrati.
-Filippo?- chiedo perplessa.
-Alessandro-
Arrossisco di nuovo, non riesco ad impedirlo: mi guarda come se già sapesse tutto ma avesse solo bisogno di una conferma.
-Sei sicura che sia solo un amico?-
-E’ il mio migliore amico- la correggo piano.
-Sembra quasi che tu ne sia innamorata-
Faccio una smorfia.
-E’ una lunga storia-
-Abbiamo ancora mezz’ora a nostra disposizione, racconta pure- mi incalza lanciando una breve occhiata all’orologio sulla parete.
-E’ un vecchio amico d’infanzia che ho rincontrato solo due estati fa. All’inizio non lo sopportavo, ho dovuto persino convivere nella stessa casa con lui e la cosa stava diventando insopportabile finché non mi sono accorta che mi piaceva. Ho scoperto che era fidanzato e mio fratello mi ha consigliato di distrarmi con Matteo, un modello dell’Abercrombie che conobbi quando andai con i mio padre a Milano per trovare la sua ex-moglie che in realtà lo tradiva con quell’altra,  così ho fatto ma ho scoperto che lui era gay e che gli piaceva suo cugino Luca, nonché bagnino della spiaggia in cui andavamo, li ho fatti mettere insieme e non ho concluso nulla. Come se non bastasse la ragazza di Alessandro, Rebecca, ci ha raggiunti,sembrava dolce e carina ma in realtà meditava istinti omicidi verso di me. Ho scoperto che tradiva Alessandro e dopo poco lo è venuto a scoprire anche lui, non per causa mia sia chiaro, si sono lasciati ed io e Sandro siamo rimasti amici-
-E Filippo?-
Mi scappa un’altra smorfia.
-Solita storia: è uno dei più popolari, bravissimo a scuola, capitano della squadra di calcio, fisico perfetto, occhi da favola -
-Non sembra ti piaccia così tanto-
-Mi piace- dico arrossendo –Ma è un’altra storia complicata-
Lei mi guarda, in attesa.
-Quando eravamo alle elementari era il mio compagno di giochi come molti altri, poi lui è andato alle medie ed ha tolto occhiali e apparecchio, diventando quello che è adesso. Io sono rimasta così. Lui ed i suoi amici mi hanno tormentata per anni, non era vero e proprio bullismo ma ci andava vicino, piccoli scherzi che se non fossero stati fatti in modo di divertire solo loro non mi sarebbero pesati… Al liceo le cose sono cambiate, probabilmente ora non sa nemmeno che esisto, nonostante i suoi amici continuino a farmi qualche battutina quando gli incontro nei corridoi. Ormai non ci faccio più molto caso ma lui… Lui è il sogno di ogni ragazza ecco, è gentile, intelligente e…-
Non mi viene in mente nient’altro da dire perciò mi zittisco: devo esserle sembrata parecchio patetica.
-Il nostro tempo è finito, Eleonora, ci vediamo la prossima settimana-
Le faccio un rapido cenno con la mano, mormoro un “Arrivederci” ed esco dalla stanza.
Quando mia madre mi ha detto che aveva trovato la risoluzione ai nostri problemi non avevo capito che mi avrebbe mandato da uno strizzacervelli e, per di più, quello della scuola.
Arrivo a casa prendendo l’autobus e mi butto sul letto, tra la pila di vestiti e le mie cose.
-Eleonora?- mio padre si affaccia alla porta: non ha una buona cera.
Mi ha promesso che smetterà di bere e verrà a prendermi, non so se crederci o meno.
-Sì?- gli domando con un debole sorriso sulle labbra.
-Dovresti iniziare a fare i bagagli-
Io getto uno sguardo alla valigia ai piedi del letto e sospiro, poi annuisco.
Lui si avvicina al letto, mi lascia una carezza sulla testa e se ne va.
Lo guardo finché non sparisce in cucina a tentare di affogare la tristezza tra i fornelli: ha gli occhiali storti, il naso rosso, la barba sfatta, la camicia fuori dai pantaloni e le mani che tremano. Non ha niente dell’uomo che conosco da quando sono nata eppure non posso fare a meno di amarlo. Ho provato a tenere nascosto a mamma il suo piccolo problema alcolico ma lei un giorno ci ha fatto una “bella sorpresa” scoprendolo ubriaco alle tre del pomeriggio, ho tentato di dirle che non era mai successo prima ma lei ha iniziato a frugare ovunque trovando le prove che le servivano. La odio ancora di più per questo e da domani dovrò convivere con lei e la sua compagna. Ho pensato seriamente di scappare di casa ed anche diverse volte ma Alessandro me l’ha sempre impedito, convincendomi a restare.
Sospiro e rinuncio a fare le valigie, chiamo invece il mio migliore amico, mi risponde dopo appena il primo squillo con voce allegra, so che finge ma mi basta.
Il giorno dopo il sole si affaccia timido tra le nuvole e la prima cosa che sento, al mio risveglio, è la voce calda di mio padre: -Buongiorno principessa!-
Poi le sue mani forti che alzano la tapparella e lasciano entrare la luce.
-Buongiorno- rispondo con la voce impastata dal sonno.
-E’ il grande giorno!- esclama lui tentando di essere allegro e sfilandomi le coperte di dosso.
Io grugnisco in risposta e mi tiro su a fatica, sbadigliando, i capelli ricci davanti agli occhi, non lancio nemmeno uno sguardo allo specchio alla mia destra per non lanciare un urlo di spavento e mi trascino a far colazione: brioches fatta in casa e succo alla zucca.
Due ore dopo siamo davanti alla casa di Rebecca in piedi uno di fronte all’altro, lui si torce le mani ed io cerco di non piangere.
-Guarda che non è un addio- cerca di scherzare lui –Ci rivedremo appena finiranno i due mesi d’obbligo nel centro specializzato, poi, se vorrai, potrai tornare a vivere da me. Sei abbastanza grande ormai, te la caverai-
Io annuisco, mordendomi il labbro, lui mi accarezza la testa ed apre il baule, porgendomi i bagagli che consistono in una valigia ed uno zaino: non ho voluto portare nulla di più, convinta che tornerò presto a casa mia.
-Devi andare- mi dice sorridendo imbarazzato.
Io gli butto le braccia al collo, lui rimane un attimo sorpreso poi mi stringe forte a sé con una mano.
-Ti voglio bene- dico, non meno imbarazzata di lui.
Era mamma quella affettuosa, che mi sbaciucchiava e mi sussurrava quanto fossi importante per lei, non papà.
-Girati un attimo- dice poi, aggiustandosi gli occhiali sul naso –E chiudi gli occhi-
Io gli lancio un’occhiata perplessa ma obbedisco. Un attimo dopo sento le sue mani grandi, sulle quali la mia sembra sparire, sfiorarmi il collo, poi qualcosa tintinnare al contatto con la cerniera del giubbotto. Apro gli occhi con un vago presentimento e mi guardo il collo: una catenina d’argento semplice ed un ciondolo a forma di mezzaluna con la scritta “I love you to the moon and back” affiancato da un altro ciondolo, rotondo e d’oro con la scritta “I love you”.
Lo guardo e sbatto le palpebre diverse volte, poi prendo un grande respiro solo allora riesco a parlare: -Non puoi permettertelo…-
-Posso- taglia corto lui con un gesto della mano.
Capisco che discutere non porterà a niente, perciò sorrido: -Grazie-
Gli scocco un rapido bacio sulla guancia e mi avvio verso la villetta di fronte a noi, trascinandomi dietro la valigia, lo zaino ed un vago senso di oppressione nel petto.
Non faccio in tempo a suonare che mio padre è ripartito e mia madre si affaccia alla porta, facendomi cenno di raggiungerla.
Mi lascio abbracciare senza opporre resistenza, lasciandomi scappare solo una smorfia.
-Questa è Michela-
L’ho già vista altre volte ma sempre e solo di sfuggita, questa è la prima occasione che ho di parlare faccia a faccia con lei.
Devo aiutarmi con una mano per riuscire a chiudere la bocca: è alta, con un corpo flessuoso e formoso ma magro nonostante i quarant’anni, i capelli lunghi sono sciolti sulle spalle e ha gli occhi verdi e sinceri, è vestita con un semplice maglione pesante ed un paio di leggings, ai piedi un paio di ciabatte.
Santo Godric! Perché mi sembra di conoscerla?
-Eleonora- dico cercando di suonare ostile ma riuscendo solo a balbettare leggermente, lei non stringe la mano che le porgo ma mi scocca due baci: uno per ogni guancia.
-Sono così felice di conoscerti!- esclama sorridendo sincera.
Io mi riscuoto e ricambio il sorriso. –Io no-
Lei sembra non avermi sentito, perché già mi sta invitando ad entrare.
-Lui è mio figlio Filippo- dice indicandolo.
Ora capisco dove l’avevo già vista.
Per un momento sento che la terra sotto di me scompare e penso che sverrò, batterò la testa, morirò e mio padre consolerà Rebecca al mio funerale la quale tornerà poi ad essere di nuovo mia madre.
-Eleonora- sussurra mia madre tra i denti mentre il giramento di testa passa.
Filippo ritira la mano che mi stava porgendo. –Non ti preoccupare, Rebecca, io e Eleonora ci conosciamo già. Sei nella classe affianco alla mia, vero?-
Ti prego, Dio, Godric,Zeus o chi per esso, fa che anche lui non sia gay,mi ritrovo a pensare mentre annuisco sorridendo stordita.
-Filippo, porti tu le valigie di Eleonora di sopra, vero?- gli chiede Michela gentilmente.
-Oh no, non c’è alcun bisogno, io…- borbotto arrossendo ma Filippo sta già facendo le scale tranquillamente.
-Tuo padre è già tornato a casa?- mi chiede Michela accompagnandomi in cucina, seguita da Rebecca –Mi sarebbe piaciuto prendere un caffè tutti insieme-
Scherza, vero?
-Deve essere al centro per le undici quindi immagino che sia in viaggio- dico confusa.
-Peccato- sorride lei –Cosa preferisci: caffè, aranciata, succo, acqua?-
Ditemi che scherza
-Preferirei andare a svuotare le valigie, grazie comunque- dico facendo per andarmene.
-Eleonora!- esclama Rebecca indignata.
-Tranquilla, nessun problema. Ti accompagno alla tua camera?-
-Non c’è problema, faccio da sola, grazie- insisto cercando di scappare da questa situazione assurda.
-Sei sicura? La casa è abbastanza grande potresti…-
-Ho detto che faccio da sola- ripeto secca uscendo dalla stanza.
Salgo le scale in fretta mentre sento le lacrime premere per uscire, vado quasi addosso a Filippo e mi ritraggo avvampando.
-Scusami- dice lui sorridendo –La tua stanza è quella-
Annuisco e mi dileguo, una volta dentro la camera mi butto sul letto e seppellisco la faccia nel cuscino.
Come possono essere così ipocrite?
Come si può fingere che vada tutto bene in questo modo?
Accarezzo il ciondolo della collana mentre con l’altra mano stringo le coperte con rabbia, poi mi lascio andare ad un lungo sospiro e chiudo gli occhi.
Vorrei tornare a quand’ero piccola ed il problema più grande era cadere dalla bici senza le rotelle o i mostri sotto il letto. E quando succedeva qualcosa di brutto potevo sempre e comunque contare sui miei genitori.
Sento la mia tasca vibrare e tiro fuori il telefonino: è Ivan.
-Pronto?-
-Sorellina?!-
-Fratellone?!-
Lo sento ridere. –Cambierai mai?-
-Dovrei?-
-Sei già arrivata a casa di mamma?-
-Sì-
-Come si sta?-
-Come ad Azkaban, solo che qui i Dissennatori sorridono-
-Attenta a non farti baciare allora-
La scena delle labbra di Filippo sulle mie si fa lentamente strada nella mia mente e mi ritrovo ad arrossire.
-Ehi, Nora? Ci sei ancora?-
-Sì, certo, presente-
-Il prossimo weekend tu ed Alessandro venite da me e Ludovica: vi portiamo a visitare Torino, che ne dite?-
Improvvisamente sento tutto il nervoso, l’ansia, la malinconia e la stizza sparire.
-Dico che ti amo fratellone!-
-Vacci piano: Alessandro potrebbe ingelosirsi-
Mi lascio scappare una smorfia. –Io ed Alessandro siamo solo amici, quando te lo metterai in testa?-
-Tu non me la racconti giusta, sorellina-
-Piuttosto- dico per cambiare argomento –Non ho ancora capito perché non ho potuto venire a vivere con voi, siete anche sposati!-
-Perché  non sono tua madre, Nora-
-Ma io preferisco stare con te-
-Nora…- mi ammonisce lui.
-Va bene, va bene- borbotto dopo qualche istante di silenzio –Ti aspetto: vieni a portarmi via da questa prigione-
-Tranquilla, verrò-
-Ciao mio eroe-
-Ciao piccola strega-
Non faccio in tempo a mettere giù il telefono che squilla di nuovo.
-Alle tre sono sotto casa tua, non voglio sentire né se e né ma, capito?-
-Sandro cosa…?-
Ma non faccio in tempo a chiedere altro perché lui ha già chiuso la chiamata.
-A volte vorrei conoscere gente normale- borbotto mentre inizio a disfare le valigie ma non posso fare a meno di sorridere.
 
Il pranzo si svolge nel silenzio più cupo, ad un certo punto mia madre tenta persino di accendere la televisione per rallegrare l’atmosfera; io mangio a testa bassa, cercando di non incrociare lo sguardo di nessuno e quasi ingozzandomi per potermi alzarmi da  tavola il più presto possibile.
-Gradisci qualcos’altro?- mi chiede Michela sempre con quel sorriso gentile.
Non la sopporto, né lei né il suo stupido sorriso.
-No, grazie- rispondo veloce –Ed ora credo che mi assenterò per andare a fare i compiti-
-Mi sembra che tu ti sia scordata una cosa, Eleonora- dice Rebecca alzando leggermente il tono di voce.
-Che cosa?- chiedo bloccandomi e girandomi lentamente verso di lei.
-Ci sono i piatti da lavare-
Io apro la bocca per replicare ma Michela mi precede: -Se devi andare a fare i compiti non c’è problema-
Così mi piaci donna,penso cercando di andarmene.
-Almeno aiuta a sparecchiare- insiste mia madre.
Io sbuffo.
-Eleonora!- mi riprende lei alzando la voce e lanciandomi un’occhiataccia.
Le sono sempre piaciute le occhiatacce, era con gli sguardi che comunicavano lei e papà, era con gli sguardi che si amavano.
-Ho capito- dico infine ed inizio a sparecchiare.
Anche Filippo si alza per dare una mano ed inavvertitamente mi sfiora il braccio. Io, inibita da quel contatto involontario ed improvviso, faccio cadere un piatto che si rompe in mille pezzi.
-Santo Koala Marsupiano!- esclamo mentre pezzi di porcellana rotolano di qua e di là.
-Modera il linguaggio, ragazzina- mi ammonisce per l’ennesima volta mia madre.
-Non ho usato un linguaggio volgare, se avessi detto…-
Lei mi interrompe prima che la situazione possa degenerare: -Guarda che pasticcio hai combinato!-
-Era un vecchio piatto, non fa niente- sdrammatizza Michela.
-Vai in camera tua prima di far saltare in alto la casa!- esclama mia madre guardandomi con ardore.
-Agli ordini, capo- borbotto io uscendo dalla stanza.
E’ solo l’una, questo vuol dire che mancano ancora due ore prima che Alessandro venga a salvarmi.
Osservo l’orologio a pendolo segnare, lentamente, il tempo che passa interminabile.
La mia stanza non è troppo grande ma sa di stantio, il mio letto ha il materasso più duro della storia e l’armadio sembra quello che condusse Lucy a Narnia –peccato che sia vuoto e triste invece che pieno di vecchie pellicce-, c’è persino una specchiera vecchio stile parecchio inquietante, come se non bastasse le pareti sono di un mostruoso giallo spento che assomiglia tanto al colore della pipì.
L’una e mezza.
Come posso resistere due mesi qua dentro?
Non sopporto di vedere mia madre e non sopporto di vederla felice con Michela, non sopporto nemmeno i sorrisi di quest’ultima. Non sopporto niente qui dentro. Come se non bastasse c’è Filippo… Preferisco non pensarci.
Le due.
Un leggero bussare alla porta.
-E’ aperto-.
Con mia sorpresa non è Rebecca, venuta per farmi una bella strigliata, ma Michela con in mano un vassoio pieno di biscotti caserecci.
-Ciao- dico imbarazzata.
-Ti ho portato dei biscotti! Li abbiamo fatti io e tua madre.
L’immagine di lei e mia madre che si rotolano nella farina, nell’intento di  fare di tutto fuorché impastare i biscotti, mi si imprime nella mente.
-Grazie- dico cauta, prendendone uno.
Lo mando giù e faccio una smorfia, cercando di non abbandonarmi al profondo piacere che provano le mie papille gustative.
-Lo so che non è un granché come stanza- ammette posando il vassoio sul comodino –Era la stanza degli ospiti e non la usavamo da parecchio tempo, ma sto già parlando con mio fratello affinché la venga a sistemare. Ti prometto che quando tornerai da Torino sarà perfetta!-
Io annuisco, senza mostrare troppo interesse.
Poi un’idea si fa strada nella mia mente malsana, così prendo un altro biscotto.
-Sono buoni- dico sorridendo.
Lei mi sorride, raggiante e illuminata da vane speranze.
-Potresti dire a Reb-…- mi correggo appena in tempo -Mia madre che alle tre passa Alessandro a prendermi?-
-Con piacere, ti dobbiamo aspettare per cena?
Io annuisco, dubito fortemente che mia madre mi lascerebbe stare tutto il giorno fuori, soprattutto oggi che devo fare la conoscenza della sua fantastica compagna.
-Ti lascio sola allora, vorrai prepararti.
Io annuisco ancora ma, di fatto, passo i quaranta minuti successivi a fissare il soffitto. Quando mancano ormai poco meno di dieci minuti all’arrivo di Alessandro afferro le prime due cose che sporgono dalla valigia: una salopette color jeans e una maglietta a maniche corte; insieme ad un giubbotto di pelle , il cellulare e pochi spiccioli.
-Io vado- urlo nel misterioso silenzio che aleggia nella casa.
-Non tornare tardi- dice mia madre a mo’ di saluto dal salotto.
Annuisco anche se so che non può vedermi ed esco di casa nello stesso istante in cui Alessandro scende dalla moto.
Gli vado incontro e gli butto le braccia al collo.
-Sei in ritardo- sussurro al suo orecchio –Perché la cosa non mi sorprende?-
-Perché non ami le sorprese.
Io faccio una smorfia mentre mi allontano da lui.
Mi porge un casco –anche se sarebbe più corretto dire il mio casco, visto che lo uso principalmente io e l’ha comprato per me- e salgo sulla moto dietro di lui, abbracciandolo.
-Sbaglio o quel babbeo che ci guarda dalla finestra al primo piano è il tuo adorato Filippo?- domanda a metà tra l’ironico e l’allibito.
-Zitto e metti in moto- dico improvvisamente nervosa.
-Okay, tieniti forte- si raccomanda come sempre.
Io mi stringo a lui mentre percorre velocemente le strade di questa triste città, arriviamo all’unico parco del paese dopo qualche minuto e scendiamo dalla moto.
-Allora?- mi chiede impaziente.
Io lo guardo inarcando un sopracciglio.
-Come si sta in prigione?
-Così- dico facendo spallucce.
-E dai, Nora! Non farti pregare: sputa il rospo.
Io scrollo le spalle mentre cominciamo a camminare in mezzo agli alberi.
-Santo Gargoyle, parla ora e subito!
Io scoppio a ridere. –Ti sto contagiando, Sandro. Ora inizi anche a parlare come me?
-Sei tu che hai una cattiva influenza- risponde semplicemente ghignando.
Dopo l’estate di due anni fa che abbiamo passato insieme suo padre ha deciso di accettare il lavoro che gli avevano offerto nella città vicino alla mia e si sono trasferiti tutti per evitare che mio padre cadesse in depressione, siamo stati vicini di casa fino a ieri e non abbiamo passato giorno senza vederci. Devo ammetterlo: quando lo vidi arrivare verso di me senza salutare e con il telefono tra le mani non avrei mai pensato che sarebbe finita così.
-Terra chiama Nora!- esclama sventolandomi una mano davanti alla faccia.
-Sì, scusa- dico piano –Michela è bellissima e perfetta, quindi si capisce da chi abbia preso il figlio: Filippo Montesanti. Sì, proprio lui. Quando me lo sono rivisto davanti mi è preso un infarto-
-Immagino- ridacchia lui.
Gli lancio un’occhiataccia. –Ti sembra il caso di ridere delle mie disgrazie?
-Non sia mai!- esclama ironico alzando le mani in segno di resa.
Gli tiro un pugno amichevole sul petto prima di continuare: -Stranamente è stato gentilissimo con me e sua madre si è rivelata perfettamente gentile e amichevole. Non sopporto di vederle insieme, okay? Mentre mio padre è in quello stupido centro per colpa sua… Io la odio, Sandro-
Lui mi guarda un attimo negli occhi, fermandosi: -Tu non la odi
Io deglutisco ed abbasso lo sguardo.
Lui mi stringe brevemente una mano.
-Va tutto bene, hai capito? Vedrai che andrà tutto bene.
-Lo so ma… Voglio tornare con mio padre. Non ci voglio stare con lei. Lo so che mi sto comportando come un’immatura ma questo senso di impotenza mi infastidisce, capisci?
Lui annuisce, cauto.
-Ti va un gelato?- mi chiede poi lasciandomi la mano.
-Con questo freddo?- gli chiedo rabbrividendo.
-Pensavo di prendere un ghiacciolo al limone, è un dolce babbano, sai?
-Ah sì?- gli domando ridacchiando.
-Quando tornerà Elena?- mi chiede mentre raggiungiamo il bar.
-Non so di preciso.
Non so se ridere maliziosamente o piangere dalla preoccupazione per come Rebecca spiegherà a Elena la sua situazione, già spiegarle che si sono separati è stata un’impresa.
All’inizio dell’estate è andata in Emilia Romagna dai nonni e gli zii e, quando sono iniziate le pratiche per l’affidamento, papà e Rebecca hanno deciso di andarla a prendere quando le cose si sarebbero sistemate. Ha fatto i primi quattro mesi di scuola lì. Ho detto che, ormai, sarebbe stato meglio lasciarla là fino all’anno nuovo e, quindi, al secondo quadrimestre scolastico ma, come al solito, nessuno mi ha prestato la minima attenzione e papà aveva troppa poca voce in questione.
-Stai tranquilla, lei se la caverà, anche meglio di te- dice facendo un sorriso sghembo.
Io devo alzarmi sulla punta dei piedi per dargli uno scappellotto dietro al collo.
-Stupido.
-Ma sono un bello stupido.
-Stupido e narcisista- ripeto arricciando il naso.
-Cosa desiderate?- ci domanda il barista.
-Due ghiaccioli al limone- dice Alessandro lanciandomi uno sguardo d’intensa.
Me li offre lui, senza che io possa obbiettare ed usciamo, continuando la nostra passeggiata nel parco.
-Cosa pensi di fare con Filippo?- mi chiede con sguardo indagatore.
-Cosa intendi?- gli domando arrossendo.
-Ci proverai con lui?
-Parli come se avessi una qualsiasi speranza- dico con una smorfia.
-Allora?- mi incita.
-Non ho una vera e propria scelta: non farò nulla.
-Sì che ce l’hai.
-E quale sarebbe?
-Ammettere che sei da sempre segretamente innamorata di me.
Io rido e gli tiro  la carta del ghiacciolo, mancandolo di parecchi centimetri.
-Dovrei darti lezioni private- dice sbuffando e buttando nel cestino la carta.
-Di cosa?- gli chiedo perplessa.
-Di qualsiasi cosa, sei una schiappa praticamente in tutto, Nora.
-No, ti sbagli, io sono una comune mortale, sei tu che sei troppo bravo in tutto.
-Questione di punti di vista- dice leccando il suo ghiacciolo.
Io tengo gli occhi ben puntati sui suoi e mordo il mio, lo vedo rabbrividire: è una cosa che odia. Non sopporta mordere qualcosa di ghiacciato o vedere gli altri che lo fanno.
-Smettila- dice infatti con una smorfia.
-Di fare cosa?- chiedo divertita mordendo nuovamente il ghiacciolo.
Lui mi guarda male, seccato.
Io lo mordo ancora e ancora.
–E’ colpa tua se mi guardi- lo prendo in giro.
-Allora vuoi la guerra?- mi chiede mentre l’espressione stizzita lascia lo spazio ad un sorriso furbo e divertito.
Indietreggio, timorosa, ma è troppo tardi: inizia a farmi il solletico con la mano libera, rincorrendomi.
-Smettila!- esclamo con un urletto per niente da me tra le risate.
-Ammetti che sono bello.
-Mai- soffio tra i denti, senza riuscire a smettere di ridere.
-Dillo.
-Sei bruttissimo- dico cercando di mantenere intatta la mia dignità.
Lui si allontana da me mentre io riprendo a mangiare il ghiacciolo con le mani appiccicaticce e bagnate dal limone.
-Solo perché ti voglio bene e perché so che menti- dice ricomponendosi.
-Come no- dico io alzando gli occhi al cielo.
Non sarà maturo o particolarmente intelligente ma riesce a farmi dimenticare tutto il resto.

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Capitolo 2
*** Un ciccio-panda brufoloso con le mani sporche di nutella ***


2. Un ciccio-panda brufoloso con le dita sporche di Nutella
“Le bugie più crudeli  sono spesso raccontate in silenzio”
Adlai Stevenson
 
Sfoglio ancora l’ultimo libro che ho preso in biblioteca - “Il giovane Holden”- mangiando le parole con gli occhi. Mi mancano cinquanta pagine ed ormai sono completamente persa nella lettura.
Mi aggrappo con forza alla copertina e strappo quasi la pagina nella fretta di voltarla.
-Eleonora!- mi chiama Rebecca dal piano inferiore.
Socchiudo appena gli occhi e serro le labbra: possibile che debba sempre rovinare i momenti migliori? Nella vita come nella lettura.  Mi dirigo lemme lemme e stizzita fuori dalla stanza, una volta sulla soglia inciampo, finendo lungo distesa sulla moquette.
-Eleonora!- mi chiama nuovamente Rebecca.
Sbuffo sonoramente.
-Tua madre ti sta chiamando- dice Filippo facendo capolino dalla sua stanza.
-Non l’avevo notato- dico sospirando ironica.
-Mia madre mi aveva detto che il nuovo pavimento è più comodo di quello vecchio, aveva ragione?- mi chiede sorridendo.
Lo guardo per qualche attimo, arrossendo e per un momento mi sembra di essere tornata alla medie: quando mi rendeva la vita impossibile e non perdeva attimo per canzonarmi. Scuoto la testa: non posso farmi trattare ancora come il fazzoletto smoccololato e nascosto nel pastrano di Hagrid. Apro la bocca per dire non so bene che cosa quando lui, con mia grande sorpresa, viene a sdraiarsi affianco a me.
-In effetti è abbastanza comodo- ammicca girando lentamente il viso verso di me.
La voce di Rebecca mi perfora un altro timpano.
-Sono caduta- mormoro con voce debole.
-Eleonora! Scendi subito!-
A questo punto ho bisogno di un apparecchio acustico ed ho meno voglia di alzarmi di prima.
-Ti aiuto- dice lui con una smorfia.
Filippo si tira su con un rapido colpo di addominali –cosa che non potrei fare neanche se Zeus in persona mi desse la forza- e mi porge la mano, la afferro, mormoro un timido “grazie” e scappo di sotto, senza riuscire ad impedire alle mie stupide guance di arrossire.
-Ce l’hai fatta?- mi domanda guardandomi arcigna.
Ha la mano destra appoggiata sul fianco, il peso sulla gamba sinistra ed il piede destro che batte lentamente per terra, gli occhi ridotti a due fessure.
Oh oh,mi ritrovo a pensare.
-Possibile che tu non riesca ad ascoltare la musica a volume più basso?- mi domanda con uno sguardo inquisitore che mi fa venir voglia di scappare –Sono dieci minuti buoni che ti chiamo!-
Una volta, quando mi sgridava in questo modo, correvo a nascondermi tra le gambe di papà.
Stringo i pugni ed alzo lo sguardo: –Leggevo-
-Ah, ecco! E ti pareva? Fare qualcosa di utile mai?-
Tipo? Rovinarti la vita come tu hai fatto con la mia?
Mi mordo l’interno della guancia per trattenermi dal rispondere.
-Perché mi hai chiamata?- riesco a dire infine con un tono più o meno accettabile.
-Domani mattina pensavamo di andare a fare shopping, che ne dici?- la sua voce si addolcisce appena al contrario del suo sguardo.
-Io e te?- domando dubbiosa.
-Io, te e Michela- mi corregge con sguardo duro.
-Se ti dicessi di no potrei restare a casa?-
-No.
-E allora cosa me lo chiedi a fare?!- esclamo esasperata ma temendo comunque la sua reazione.
-Tengo conto della tua opinione.
Alzo così tanto le sopracciglia da sentirle all’attaccatura dei capelli, forse tra un po’ spariranno e non sarò più costretta a farmi la ceretta. Lei sospira e abbandona la sua posizione d’attacco per venirmi vicina e mettermi le mani sulle spalle.
Un altro sospiro.
-Che c’è?- le chiedo titubante e per niente ammansita.
Lei sospira.
-Sono sicura che, se tu dessi una possibilità a Michela, diventereste ottime amiche.
-Ma io non voglio- mormoro con voce sottile e tremante.
So di farle del male e questo, se è possibile, mi fa stare ancora peggio.
Un sospiro ed un altro ancora, sto quasi per chiederle se si stia trasformando in un aspirapolvere quando riprende a parlare: -Ti prego, Nora.
Mi allontano da lei e le braccia le ricadono lentamente lungo i fianchi.
-Devo studiare- dico lentamente ma senza guardarla negli occhi –Ci sono le ultime verifiche prima delle vacanze di Natale-
Non mi risponde ed io inizio a salire le scale, sono ormai arrivata in cima quando, con voce ferma, dice: -Fatti trovare pronta per le dieci-
Sbuffo sonoramente, sperando che mi senta  e torno in camera.
Chiudo il libro e mi decido a studiare: non le ho mentito, pensavo davvero di farlo domani mattina. Diciamo che ultimamente lo studio non è stato la mia priorità ed ora sono in una situazione alquanto preoccupante.
Studio per un’ora, senza concedermi nemmeno una pausa poi chiudo il libro, sfinita e mi dirigo verso il bagno per lavarmi la faccia. Sono arrivata a metà corridoio quando il telefono, alla mia sinistra, inizia a squillare.
-Rispondo io!- urlo a squarciagola, mentre uno strano presentimento mi attanaglia le viscere.
-Pronto?- domando quasi timorosa.
-Buongiorno, sono la professoressa Barberi, parlo con la signora Rebecca Olga genitore dell’alunna Eleonora Lorenzetti?
Sembra che il mio cuore abbia risalito la cassa toracica e si sia infilato nell’esofago per, infine, raggiungere la gola. Cerco di deglutire e mandarlo al suo posto ma lui continua a battere velocemente, instancabile. Faccio una corsa verso il bagno e mi ci infilo dentro, chiudendo la porta a chiave.
-Certo, sono io, mi dica- rispondo dopo essermi schiarita la gola, tentando di imitare il tono di voce di Rebecca –C’è qualche problema con mia figlia?-
-Veramente sì, signora.
-Ah sì?- chiedo simulando un tono sorpreso –Non mi ha detto nulla-
-E’ normale, probabilmente per i problemi familiari in cui vi ritrovate. Devo essere sincera con lei: Eleonora non è mai stata una studentessa modello ma si è sempre distinta nella media con voti abbastanza buoni e qualche carenza qua e là, ma nulla di troppo pesante e che non si potesse rimediare con un po’ più di impegno. Il suo comportamento è sempre stato ottimo anche se un po’ riservato ma ultimamente le cose non stanno andando bene.
-Cosa intende?- domando con voce più alta del normale.
-Sua figlia ha quattro materie sotto, signora Rosa.
-Quattro materie! Pensa che riuscirà a recuperarle?
-Certo, siamo solo al primo quadrimestre, ma ho preferito avvisarla di persona.
-Ha fatto benissimo, parlerò con mia figlia al più presto.
-Perfetto. Mi dispiace solo di averla disturbata a quest’ora tarda ma sono appena uscita da scuola ed ho preferito non ritardare oltre questa nostra conversazione. Buona proseguimento di serata.
-Anche a lei, la ringrazio ancora.
-Arrivederci.
-Arrivederci.
Mi lascio scivolare per terra mentre la chiamata giunge al termine. Stringo forte il telefono nella mano destra, quasi fosse colpa sua tutto ciò che è successo. Il cuore sembra essere ritornato al proprio posto ma, in compenso, lo stomaco mi dona un nuovo senso di ansia. Subito vengo colpita da uno spiazzante senso di colpa: che cos’ho fatto? Poi la soddisfazione si fa largo, cauta, nei meandri del mio cuore. Infine mi resta un vago senso di inquietudine.
Tutto questo in una manciata di minuti, dopo esco dal bagno e vado a posare furtiva il telefono.
-Chi era?- domanda Rebecca dal piano di sotto.
-Alessandro- mento.
-Non sapevo che Alessandro ti avvisasse che tua figlia ha quattro materie da recuperare a scuola- dice Filippo apparendo alle mie spalle e spaventandomi.
Sobbalzo ed il mio cuore balza nuovamente su fino alla gola mentre inizio a sudare freddo.
-Non sapevo neanche che avessi una figlia in realtà- dice con un mezzo sorriso sghembo.
Quel sorriso non mi piace per niente.
E poi: chi si crede di essere?
-Non sono affari tuoi- borbotto senza troppa convinzione, guardandomi le ciabatte a forma di gatto unicorno.
-Non ti conviene trattarmi così, potrei dirglielo in qualsiasi momento.
Io lo guardo a bocca aperta, soffermandomi sul suo sorrisetto furbo.
-Non mi fai paura- dico guardandolo negli occhi.
Non più, aggiungo tra me e me cercando di scacciare i brutti ricordi.
-Hai bisogno di ripetizioni?- mi domanda poi facendosi serio.
-No, grazie- dico titubante.
Mi sta prendendo in giro?
-Sicura? Ho due anni in più di te, magari so anche qualcosa in più.
Mi lascio scappare una smorfia.
-Che c’è?- mi chiede confuso.
-Prima mi minacci e poi mi offri il tuo aiuto?- gli domando socchiudendo gli occhi.
La mia espressione vorrebbe essere sexy e sospettosa ma credo che assomigli più ad un gatto stitico  e pigro che osserva la sua pallina rotolare via.
Lui, con mia grande sorpresa, sbuffa:- Senti, ragazzina, sto cercando di essere gentile con te perché me l’ha chiesto mia madre. Ma smettila di pensare che il mondo giri intorno a te perché è una cosa piuttosto infantile.
Rimango nuovamente a bocca aperta mentre lui gira sui tacchi e se ne va.
Okay, ora sono ancora più confusa di prima.
Mentre me ne sto sotto le coperte a rimuginare sulla mia confusione mia madre mi raggiunge, subito faccio finta di dormire, chiudendo gli occhi.
-Ha dimenticato la luce accesa!- esclama in un borbottio confuso –Sempre la solita-
Rimane qualche minuto a guardarmi “dormire”, poi mi rimbocca le coperte e mi scocca un bacio sulla guancia: -Ti voglio bene- dice con gli occhi pieni di lacrime.
Forse per qualcuno sarebbe potuta essere la buonanotte perfetta, quella che ti fa scivolare in un sonno limpido ma a me ha tolto qualsiasi voglia di dormire. Resto a fissare il soffitto, crogiolandomi nel senso di colpa.
Sono davvero così egoista come ha detto Filippo?
Cosa ne vuol sapere, poi, quell’idiota?
Okay che è un idiota tremendamente attraente e intelligente ma rimane comunque un idiota.
Quando è ormai chiaro che questa notte non chiuderò occhio mi alzo dal letto  e mi dirigo al piano di sotto in punta di piedi: lo spuntino di mezzanotte è la cura ideale contro l’insonnia.
Prendo il barattolo di Nutella ed un cucchiaino ed inizio a mangiarne un po’, cercando di non fare rumore e di non mettere su troppi chili.
Improvvisamente vedo la figura alta e robusta di Filippo scendere le scale e mi maledico mentalmente per aver lasciato la luce accesa, sto per nascondermi sotto il tavolo quando lui entra in cucina.
-Ciao- dice cauto –Neanche tu riesci a dormire?-
Io mi osservo per qualche istante dal suo punto di vista: un ciccio-panda brufoloso con un cucchiaino in bocca e le dita sporche di Nutella piegato in un’assurda posizione e proteso verso il tavolo.
-Non avevo sonno- dico infine raddrizzandomi e andandomi a sedere sul tavolo.
Lui annuisce: -Ti va un po’ di cioccolata?-
-Okay- dico facendo ciondolare le gambe ed osservandole.
Prende un pentolino, lo riempie di latte, aggiunge  poi il preparato per la cioccolata poco alla volta a fuoco basso. Dal suo modo sicuro di muoversi mi ricorda papà e per qualche attimo la mia mente assonnata viene allagata dai ricordi poi mi porge una tazza fumante e mi riscuoto. Tra poco più di una settimana sarà Natale e fa abbastanza freddo, rabbrividisco mentre cerco di stringermi nel pigiama felpato.
-Scusami per prima- dice infine mentre aggiungo una bustina di zucchero alla mia cioccolata.
Probabilmente, se vivessi in cartone animato, la mia mascella starebbe pulendo il pavimento.
-E’ che mi sono appena lasciato con la mia ragazza e ce l’ho più o meno con il mondo intero.
Qualcuno nella mia testa ha iniziato a ballare il cha cha cha con tanto di maracas in mano e sombrero sulla testa.
-Mi dispiace- dico tentando di tramutare il sorrisino di soddisfazione in un’espressione di amara comprensione. Non mi deve riuscire molto bene perché sento i muscoli facciali doloranti perciò seppellisco il viso nella tazza di cioccolata.
-Stavamo insieme da quattro anni- aggiunge mogio.
No cucciolino, non fare quella faccia triste, ora ci pensa mamma Nora a farti tonare il sorriso
Cerco di scacciare le idee malsane su come potrei distrarlo e mi avvicino di qualche metro a lui.
-Mi tradiva, sai? Nell’ultimo anno e mezzo non ha fatto altro che andare a letto con il mio migliore amico.
-Ah sì? Non lo sapevo.
Affogo di nuovo nella cioccolata per non lasciargli intendere che sto mentendo. Erano la coppia del secolo: Filippo Perfetto Montesanti e Isabella Senonladòalventofalamuffa Cacciatore. Le voci di corridoio sussurravano malefiche che lei lo tradisse ma nessuno aveva mai osato dirlo ad alta voce nonostante fosse di dominio pubblico, solo lui sembrava non essersi accorto di come lei lo aggirasse e si desse alla pazza gioia con chiunque.
Io glielo avrei anche detto, se non fosse stato per il fatto delle prese in giro alle medie e tutto il resto.
Posa la tazza e viene a sedersi affianco a me, poi appoggia i piedi su una sedia ed i gomiti sul tavolo, prendendosi la testa fra le mani.
-Io la amo- mormora con voce strozzata.
-Potremmo fare chiodo scaccia chiodo, ho sentito che aiuta, sai?- dico in tono vagamente ironico.
Non posso credere di averlo detto davvero ed in questo momento il vestito di Babbo Natale è di una tonalità più chiara di quella che ho assunto io. Probabilmente ogni tanto potrei starmene zitta o almeno scegliere qualcuno con un senso dell’umorismo superiore al suo.
Solleva la testa e mi guarda, confuso.
-Scherzavo- aggiungo mesta, prima che possa farsi venire strane idee.
Lui scoppia a ridere poi mette su un sorriso malizioso  e avvicina il suo viso al mio così tanto che il mio cuore sembra implodere, il mio stomaco rivoltarsi e, se non fossi seduta, le mie ginocchia cederebbero facendomi cadere.
-Sicura di voler fare chiodo scaccia chiodo con me?- mi soffia sulle labbra.
-Scherzavo- ripeto così piano che potrebbe far finta di non avermi sentita se fossimo in una Love Story da quattro dollari ma questa è la mia vita sfigata, perciò mi sente eccome e mi lancia una lunga occhiata inquisitoria.
Quando ride e si allontana riprendo a respirare.
-Grazie per avermi risollevato il morale da meno cento a zero - dice con un rapido sorriso –Buonanotte-
-Buonanotte- rispondo, piano.
Le mie viscere hanno un ultimo spasmo prima di riprendere a ballare la salsa.
Se prima pensavo che avrei passato la notte in bianco ora lo so per certo.
 
Il mio aspetto riflesso nella padella esposta è distorto e deformato ma non poi peggiore di quello reale: ho il naso a patatina, gli occhi grandi e troppo vicini, le labbra troppo sottili, più lentiggini di quanti siano gli gnomi presenti a casa Weasley e un insopportabile brufolo sul mento.
Miseriaccia, è davvero enorme! E no, non sto parlando del mio adorabile fondoschiena.
-Guarda!- esclamo interrompendo Rebecca ed il suo interessantissimo monologo sul servizio piatti.
-Cosa?- mi domanda lei seccata, lanciandomi un’occhiata che assomiglia tanto a: “Perché mi hai interrotta? Stavo parlando con il mio amoruccio”.
Io ricambio l’occhiata assottigliando gli occhi quel tanto da intendere: “Potrei vomitare”.
-Questo brufolo- ripeto imperterrita, indicandolo –E’ colpa tua e dello stress-
-Stress?- mi fa eco Michela preoccupata –E’ proprio per questo che siamo venute a fare shopping, tesoro. Rebecca, amore, andiamo. Prenderemo il servizio di piatti un’altra volta-
Potrei vomitare sul serio, penso guardando le loro mani allacciate. Lei e papà non si prendevano mai per mano.
-Cosa preferisci comprare?- mi domanda Michela mentre entriamo nel negozio d’abbigliamento.
-Del veleno- mormoro sconsolata.
-Non credo che lo vendano qui- mi risponde seria.
E’ scema o cosa?
-Guarda che bello questo!- esclama indicando un vestitino rosa a pois che mi piacerebbe se avessi dieci anni di meno.
Cosa, decisamente cosa, mi rispondo mentre spero che uno gnomo su un fantastico unicorno venga da Narnia per portarmi con sé.
-Dai, Nora, ti servirà un vestito per Natale- insiste Rebecca.
-Perché? Che succede a Natale?-
-Nulla- mi risponde vaga –Ma scegli un bel vestito-
-Puoi provare questo!- esclama Michela lanciandomene uno.
Devo tuffarmi a sinistra e fare una rovinosa scivolata per riuscire a prenderlo.
-E questo!- continua convinta, avanzando e lanciando vestiti all’indietro come il peggiore giocatore di pallavolo.
Quando entro finalmente in camerino ho tra le mani almeno venti capi da provare. Inizio a credere che Michela non sia la santerellina che vuole dare a vedere quando devo spostare le tende e chiedere loro di prendere l’ennesima taglia in più. Potrò anche sembrare più magra dentro questo maglione ma pensare che io porti una S mi sembra abbastanza esagerato.
Ne esco -più o meno viva- solo un’ora dopo, stringendo una busta contenente l’unico vestito che sono riuscita a guardare senza che mi procurasse un attacco di dissenteria acuta: una tuta intera blu ed elegante con la parta più alta in pizzo.
Nella mia mente si è già formato il miraggio del Giovane Holden su un oasi circondata da cammelli e beduini quando Michela esclama entusiasta: -Ed ora dobbiamo pensare alle calzature perfette per quel vestito perfetto!-
 Non appena si allontanano per cercare il numero di un paio di scarpe con il tacco orridamente alto ne approfitto per chiamare Alessandro.
-Pronto?-
-Sandro muovi quel tuo deretano fastidiosamente perfetto sul tuo motorino e vieni a Tacco Dodici a salvarmi-
-Hai detto che ho un sedere perfetto?!-
-Muoviti- sibilo sempre più nervosa.
-Non è detto che i miei mi diano il permesso- borbotta mentre chiudo la chiamata.
Quando Alessandro arriva tutto trafelato Rebecca sta pagando con un largo sorriso, come se le avessero annunciato che è arrivata la sua lettera per Hogwarts o io e lei fossimo diventate amiche per la pelle.
-Alessandro!- esclama tutta contenta.
-Noi andiamo a prendere il coso della cosa- borbotto prendendo Alessandro per mano ed andandomene.
-Dobbiamo ancora prendere i gioielli e il trucco!- esclama Rebecca indispettita –E dovresti presentare il tuo migliore amico a…-
-Mi fido di voi!- dico di rimando, mogia.
-Torna per pranzo!- mi urla dietro Michela.
-Ci manca solo che mi comprino un braccialetto con scritto “Best Friends Forever” e passerei il resto della mia vita a vomitare arcobaleni- dico quando mi sono stancata di correre.
-Si può sapere che succede?- mi domanda Alessandro senza riuscire a reprimere un sorriso.
-Shopping in vista di un qualche evento a Natale di cui io, ovviamente, non sono stata informata.
-Ovviamente- mi concede lui con ironia –Ma non era quello che intendevo, hai in faccia un  sorriso così ampio che sembra ti sia fatta una paralisi facciale-
Non posso fare a meno di sorridere ancora di più ed iniziare a raccontare.
-Sono felice che tu sia felice- inizia lui.
Improvvisamente mi viene in mente una vecchissima canzone, perciò inizio a cantarla: -Se sei felice e tu lo sai batti le mani: ciak ciak!
-Se sei felice e tu lo sai batti le mani: ciak ciak!
-Se sei felice e tu lo sai dimostrarmelo potrai, se sei felice e tu lo sai batti le mani: ciak ciak!
Alessandro scoppia a ridere incurante di tutti gli sguardi attoniti che si sono posati su di noi; ormai, viaggiando in mia compagnia, ha dovuto farci l’abitudine, povera stella.
-Cos’è quell’espressione?- gli domando andandogli così vicino che probabilmente potrebbe contarmi le lentiggini, cosa che ha già fatto circa un anno fa.
-Ti stai innamorando di lui- dice con un sorrisino malizioso.
-Io… sì- dico arrendendomi subito.
-Forse- aggiungo poco dopo –E’ troppo presto per dirlo-
Lui rotea gli occhi, poi sbuffa e mi guarda esasperato: -Sono due anni che gli vai dietro, senza contare la cotta stratosferica che avevi per lui alle medie e mi vieni a dire che è troppo presto per dirlo?
Io apro la bocca per ribattere poi la chiudo e, semplicemente, gli sorrido in risposta.
-Stai attenta, Nora, lo sai che quel tipo non mi è mai piaciuto e non mi convince neppure ora- dice lui facendosi serio e guardandomi negli occhi.
-Stai tranquillo, starò attenta a non innamorarmi troppo e comunque, mal che vada, ci sarai sempre tu a ricucire i cocci infranti del mio cuore.
-Ora stai facendo la melodrammatica- ridacchia lui.
Io alzo gli occhi al cielo.
-Quasi dimenticavo!
-Cosa? Hai iniziato a scrivere una tragedia? Ti verrebbe bene-
Gli tiro uno schiaffo sul braccio prima di rispondere: -Nel prossimo weekend andremo a Torino con i due sposini
Lui spalanca gli occhi entusiasta, proprio come farebbe un bambino.
-Strastico!
Io annuisco, passiamo un’altra oretta a chiacchierare del più e del meno poi mi riporta a casa.
-Ah: questa sera sei invitata a cena da noi. Sempre che Rebecca ti dia il permesso di uscita per buona condotta- dice poco prima di salutarmi.
-Credo che se laverò i piatti riuscirò a strapparglielo- lo rassicuro con una smorfia.
-Allora passo a prenderti alle sette e mezza.
-Sii puntuale!- esclamo lasciandogli un bacio sulla guancia.
Lui mi fa la linguaccia subito prima di mettere in moto e partire.
 
-Allora: che succede a Natale?- chiedo rompendo il fastidioso silenzio che avvolge la sala da pranzo.
-Perché dovrebbe succedere qualcosa?- chiede Michela sorridente.
Questa volta non me lo bevo il suo stupido ed incantevole sorriso.
-Non sono stupida- dico con una smorfia –Oggi avete detto che dovevo comprare tutta quella roba per Natale. Perciò: cosa succederà a Natale?-
Adesso anche Filippo si è fatto attento, alzando gli occhi dalla sua bistecca.
-Glielo dici tu?- domanda Michela guardando Rebecca con gli occhi così tanto pieni di dolcezza che credo mi siano appena venute due carie ed un principio di diabete.
-Una riunione di famiglia- dice Rebecca guardandomi negli occhi e pregandomi di non fare scenate.
Probabilmente, oltre questa donna malata che è la mia genitrice, anche il pezzo di maiale che stavo ingerendo decide di prendersi gioco di me e di infilarsi nelle vie respiratorie piuttosto che nell’esofago, rischiando di soffocarmi. Sputacchio pezzettini di carne un po’ ovunque prima che Filippo mi batta qualche pacca sulla schiena e il colpevole del tentato omicidio atterri sul piatto ricoperto di saliva bianca.
Reprimo un debole conato di vomito e riprendo a guardare Rebecca esterrefatta e bordeaux.
-Cosa intendi?- le chiedo con voce flebile.
-Il fratello di Michela, i suoi genitori e la nostra famiglia al completo.
Questa volta impallidisco tanto da assomigliare ad un fantasma.
-Cosa intendi con “al completo”?-
-Beh, sai, mia madre, mia sorella, suo marito, i loro figli, tuo padre, i suoi genitori, suo fratello, la moglie di questo e Aurora.
Forse mi sbagliavo, forse Rebecca non vuole rovinare la mia vita, forse medita solo istinti omicidi.
-Papà?- riesco solo a chiedere con un filo di voce.
-Gli daranno un permesso per Natale in caso che fino ad allora le cose andassero per il meglio.
-Ti senti bene?- mi domanda Michela premurosa.
-No- rispondo flebile –Avrei bisogno di un cuore nuovo, un altro cervello e un kilo di gelato per metabolizzare la cosa-
-Nora…- mi ammonisce Rebecca con voce lievemente alterata.
-Ah ed un’ultima cosa: il permesso di andare a cena dalla famiglia Sinistro.
-Okay- risponde Rebecca cauta riprendendo a mangiare.
-Cosa? Mi compri il kilo di gelato?
-No- dice lanciandomi un’occhiataccia –Puoi andare a cena dai Sinistro-
Cerco di reprimere il sorrisino soddisfatto giù per la gola ma lui continua a risalire perciò mi butto a capofitto sui piselli, abbassando lo sguardo.
-E così vai a cena dal tuo ragazzo?- mi domanda Filippo circa mezz’ora dopo mentre lavo i piatti.
-Non è il mio ragazzo- mormoro arrossendo leggermente.
-Meglio- dice sorridendo.
-Perché?- chiedo mentre nascondo le mani nella schiuma per non fargli vedere che stanno tremando.
-Così- dice facendo spallucce ed abbandonando la cucina.
Sento il cuore battere impazzito e penso che, prima o poi, quel ragazzo mi farà morire di crepacuore.

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Capitolo 3
*** Maledette voci di corridoio! ***


3. Maledette voci di corridoio
“Una voce di corridoio non acquista credibilità
finché non viene ufficialmente negata”
Paradosso di Potter


 
Non ho bisogno di particolari riti di preparazione perché, oltre al fatto che non ho nessuna voglia di tentare di truccarmi ed assomigliare ad un ciccio-panda con tutti e due gli occhi neri, i genitori di Alessandro sono la mia seconda famiglia. Sto per uscire di casa ed avvisare con un urlo i miei coinquilini della fuga, infrangendo il silenzio, quando Rebecca mi anticipa.
-Tesoro! Mi sono dimenticata di dirti il compromesso.
-Compromesso?- le faccio eco con voce rotta e ansiosa.
Lei si affaccia dal salotto e mi sorride: -Domani andrai a scuola con Filippo in macchina.
-E perché?- chiedo a bocca aperta –Non credo che…-
Lei mi lancia un’occhiata tagliente: -Chi è la madre? Io. Vuoi uscire stasera? Allora non fare storie.
-E Alessandro?- domando infine.
-L’ho già avvisato e comunque potrai avvisarlo tu stessa questa sera.
Che madre premurosa!
Le sorrido, aspettando che si allontani poi sfogo la mia rabbia sullo stupido vaso di fiori vicino alla porta e, giusto per completare l’opera, tiro un calcio anche al cactus.
Santo cactus pungente! Esclamo tra me e me quando rischio di inciamparci sopra mentre esco. La nonna ha proprio ragione: tutto ritorna.
-Sandro!- esclamo sollevata, vedendolo.
-Nora- mi fa eco lui porgendomi il casco.
Quando arrivo in casa Sinistro ho ormai nascosto in un cassetto dietro al cuore a destra tutti i sentimenti negativi di questo week-end: la confusione, la diffidenza, la malinconia ed il disprezzo. Saluto tutti con un grande abbraccio mentre la piccola Sofia mi scocca un bacio grande e appiccicoso sulla guancia sinistra. Non capisco perché ma questa bambina riesce sempre ad avere le labbra sporche di caramelle e zucchero ed il cuore sporco d’amore.
Nessuno di loro mi fa alcuna domanda sulla mia situazione famigliare o su mio padre, parlano di tutt’altro. Li ho sempre adorati per questo: per l’atmosfera che si respira qua dentro, anche quando si prendono in giro a vicenda si capisce che si amano profondamente. Abitano in un appartamento modesto: una grande sala, un cucinino, tre camere da letto e due bagni. E’ tutto molto colorato ed allegro e, se potessi, farei subito i bagagli per potermi trasferire qui.
Sbuffo.
-Tutto bene?- mi chiede Laura lanciandomi un sorriso sincero, del tutto diverso da quelli di Michela.
-Ero solo sovrappensiero- dico sorridendo e finendo la mia fetta di dolce.
-Mamma posso avere un’altra fetta di torta?- domanda Sofia porgendole trepidante il piatto.
-Mamma, cosa?- chiede Laura severa.
-Per favore!- esclama la piccola regalandole un dolcissimo sorriso, forse anche più dolce della torta.
-La cena era buonissima- dico pulendomi la bocca con il tovagliolo.
-Un’altra fetta di torta anche per me!- esclama Alessandro a sua volta.
-Continua a mangiare così e non passerai più dalla porta- lo avvisa Paolo, bonario.
-Non credo, è come se avessero applicato al suo stomaco un incantesimo di Estensione Irriconoscibile- borbotto lanciandogli un’occhiataccia.
-Già- borbotta Laura porgendogli la quarta fetta di dolce –Talmente irriconoscibile che nemmeno i grassi e le calorie lo sanno, perciò non li assorbe-
Io scoppio a ridere mentre Alessandro ci fa la linguaccia e qualche smorfia. Paolo posa una mano su quella di Laura e gliela stringe brevemente, lei ricambia la stretta mentre si scambiano uno sguardo d’intensa.
-Abbiamo deciso di anticiparti il nostro regalo di compleanno- mi annuncia Laura con un grande sorriso mentre Paolo si dirige verso l’altra stanza.
- Sarà solo tra due settimane!- esclamo stupita.
- Ma quello è un bel regalo- sussurra Sofia come se fosse un segreto mentre Alessandro annuisce vigorosamente.
Paolo torna in sala con un enorme scatola impacchettata tra le braccia, la posa per terra e mi incoraggia con lo sguardo ad avvicinarmi.  Già promette bene: la carta da regalo è decorata con tanti piccoli gelati. Lo scarto lentamente, pregustando il momento, apro la grande scatola: dentro moltissimo polistirolo ed una scatola appena più piccola. Alessandro mi aiuta a tirarla fuori, dentro a questa c’è un’altra scatola e poi un’altra ed un’altra ancora fino a che non trovo una macchina per fare il gelato.
Apro e chiudo la bocca, balbettando parole indefinite e versi di gratitudine.
-Non devi dire niente!- esclama Laura facendomi l’occhiolino –Almeno adesso avrai qualcosa con cui distrarti-
-Voi volete farmi ingrassare- riesco a dire infine.
-Ti piace?- mi chiede Sofia titubante, osservando i miei occhi lucidi.
-Moltissimo- dico annuendo cauta.
-Allora perché piangi?- mi chiede lentamente.
-Perché sono felice.
-Io non piango quando sono felice, lo faccio solo quando sono triste o Alessandro mi fa arrabbiare.
Io ridacchio e le accarezzo i capelli, quanto vorrei tornare ad essere piccola ed innocente come lei. Li abbraccio tutti, scoccando anche un bacio sulla guancia alla piccola di casa e a Laura. Quando i miei si contendevano il mio affidamento ho chiesto prima di venire affidata a Ivan poi, trovando un muro di risposte negative, che la mia tutela andasse a loro. Mio padre era d’accordo ma mia madre si è opposta ancora con più forza, pagando i migliori avvocati affinché, alla fine, potessi andare a stare da lei.
Inutile dire che ci è riuscita, trascinandomi nel casino della sua vita mentre avrei potuto vivere allegramente la mia con qualcun altro.
Scaccio i brutti pensieri e seguo Alessandro al piano superiore, la sua camera è un miscuglio di pensieri, idee e gusti differenti: è dipinta di blu mentre i mobili (tastiera del letto, armadio e scrivania) sono azzurri, ci sono poster di ragazze di Wrestling, calciatori affascinanti e macchine da corsa. Sopra il letto, invece, diversi scaffali pieni di libri ed alcuni vuoti, suo padre dice che se continua a riempire così tanto ogni scaffale primo o poi gli cadranno sulla testa mentre dorme.
-Non avrei mai creduto che sarei veramente riuscita a convertirti alla mia religione- dico ridendo e buttandomi sul suo letto dalle coperte di Star Wars.
-Religione?- mi chiede lui perplesso sedendosi sul cuscino.
-I libri- gli spiego alzando gli occhi al cielo.
Sorride ma, prima che mi possa rispondere, il suo telefono inizia a squillare.
-Pronto?
Io giocherello con il bordo della trapunta quando lui mi lancia una breve occhiata.
-Sì , è con me- dice infine mentre sollevo le sopracciglia in una silenziosa richiesta.
-Certo- ridacchia –Le è piaciuto moltissimo. No, non proprio… No, non ancora. Sì, stai tranquillo. Come sempre!-
Poi mi passa il cellulare, sussurrando: -E’ tuo padre.
Gli strappo quasi il telefonino dalle mani e me lo premo forte contro l’orecchio quasi come se così potessi sentirlo più vicino.
-Papà?- chiedo.
-Nora?! Scusa ma ho potuto chiamarti solo ora e non mi rispondevi.. Hai il cellulare scarico? Va beh, non importa. Comunque ho immaginato che fossi da Alessandro.
-Mi hanno invitata a cena e tu come stai?
-Non c’è male, mi sto impegnando, sai? Ivan mi ha detto che vi porterà a Torino: comportati bene.
-Sì, certo. Mamma mi ha detto di Natale, ci sarai vero?
-Ci sarò- taglia corto con voce dura –Tu fai la brava e non odiare troppo mamma-
Faccio per ribattere e lui deve percepirlo perché riprende con voce accorata: -Lo sai che vuole solo il tuo bene e non lo dico solo perché è quello che ci si aspetta che io ti dica. Conosco tua madre più di chiunque altro, più della sua Michela e so che ti ama e darebbe tutto per te. Dalle l’occasione di dimostrartelo.
-Papà?- mormoro con le lacrime agli occhi.
-Sì? Il mio tempo sta per finire Nora, tra poco devo andare a dormire.
- L’amore fa sempre così schifo?
Sento lo sguardo di Alessandro su di me ma continuo a tenere gli occhi puntati sulla faccina sorridente e buffa di Yoda.
-No, solo a volte- sento che sorride dall’altra parte del telefono
-Ma perché?
-Non lo so, Nora, vorrei saperlo anche io. Ma non pensare che sia stata tutta colpa di tua madre, probabilmente ci sono state anche delle mancanze da parte mia
Per poco non scoppio a ridere. –Ma se tu la ami!-
Lui fa un grande respiro prima di rispondere. –Non sempre le cose vanno come vorremmo. Ora devo andare sul serio, piccola. Ci sentiamo, okay? Ciao.
-Ciao.
Porgo il telefono ad Alessandro sempre senza guardarlo, mi butto di nuovo sul letto, portando le mani dietro la testa.
-Nora?- mi chiede lui guardandomi con la testa inclinata.
Io apro gli occhi e gli sorrido: -Ti va di leggere qualcosa insieme?
Lui allunga la mano sopra la sua testa e prende il primo libro che gli capita a tiro: Le guerre del Mondo Emerso. Mi sposto appena, lui si sdraia al mio fianco, apre il libro ed iniziamo a leggere.
 
Odio i lunedì, specialmente quando sono preceduti da un domenica sera fantastico. Mormoro qualcosa di indefinito cambiando posizione e avvolgendomi metà cuscino intorno testa.
-Eleonora!!- chiama Rebecca perdendo la pazienza.
Io, per tutta risposta, mi tiro le coperte fin sulle orecchie.
Non è possibile che ieri sera mi sentissi a casa, tra la piccola Sofia e le risate mentre questa mattina vorrei che il letto mi inghiottisse o, come minimo, mi facesse scomparire dalla vista di questa donna nevrotica.
-Eleonora, muoviti! Ti porta a scuola Filippo in macchina, ricordi? E sono sicura che non vorrai far fare tardi anche a lui!- esclama uscendo dalla stanza.
Sento il sangue defluire dalle orecchie e mi alzo svogliata.
Non sia mai che il mio cucciolino arrivi in ritardo a scuola dai suoi compagni fighissimi, mi ritrovo a pensare mentre bevo lentamente il latte, i capelli ricci più intricati del solito, un bel paio di occhiaie e il cervello ancora sul cuscino. Rebecca, giusto per dimostrarmi quanto mi ama, stacca la caldaia per qualche minuto e mi costringe a fare una velocissima doccia ghiacciata.
Mi asciugo i capelli assonnata e, vestita solo con un asciugamano, medito che questo sarà un altro terribile lunedì da dimenticare in perfetto stile Nora Lorenzetti. Una volta conclusa anche quest’ardua impresa mi vesto in fretta e furia afferrando un maglioncino di lana fatto a mano –e non da una mano qualsiasi ma da quella fatata di nonna Secondina-. Quando finalmente mi infilo al posto del passeggero nella modesta –si fa per dire- macchina di Filippo sono anche riuscita a mettermi un filo di trucco e a non scordare la cartella.
Passo il viaggio in un ostentato silenzio, dimostrando al mio accompagnatore quanto io sia sociale e allegra al mattino presto. Arriviamo alla nostra grigia scuola che mancano ormai pochi minuti al suonare della campanella.
-Scusa se ti ho fatto arrivare in ritardo- mormoro mentre spegne il motore.
-Tranquilla, le lezioni non sono ancora cominciate e poi anche io me la sono presa comoda.
Sì, certo, se l’è presa comoda ad aspettarmi.
Non ribatto ed apro la portiera. Scendendo dall’auto sento un’orda di ragazzine con gli ormoni in fibrillazione cacciare urletti e lanciarmi occhiatacce. Credo che domani verrò a scuola con una maglia dalla scritta: “Non sono la ragazza di Montesanti” e dietro “E’ solo che le nostre madri sono lesbiche. Abbasso l’omofobia”.
-Ci vediamo all’uscita- dice Filippo poi si abbassa e mi lascia un breve bacio sulla guancia, fin troppo breve per me ma abbastanza lungo da far scoppiare altri gridolini e commenti malefici.
-A dopo- dico trattenendo a stento uno sbadiglio.
Mi dirigo lentamente verso la mia classe mentre sento sempre le stesse ragazzine in preda agli ormoni criticare tutto di me: dai jeans sbiaditi ai miei fantastici capelli vaporosi. Non do loro molto peso per forza dell’abitudine ed arrivo in classe sotto altri sguardi attoniti. Prendo posto nell’unico banco rimasto libero in seconda fila, vicino alla pettegola della classe.
Fantastico, ci mancava solo lei, borbotto sperando che non mi noti. Peccato che sia come infilarsi nella gabbia di un leone e sperare che faccia le fusa, appena qualche secondo dopo la mia entrata, mi riempie di domande inutili: -Allora? Cosa succede tra te e Montesanti? Solo ieri si è lasciato con la sua ragazza ed oggi già si è messo con te? Perché poi? Cosa ci troverà mai in te?-
-Grazie, Cristina- mormoro a denti stretti –Tu sì che sai come alzare la mia bassissima autostima-
Lei mi regala un falso sorriso, mostrandomi i canini.
-Comunque non stiamo insieme- aggiungo poco dopo, con la speranza che faccia come al solito il suo lavoro da ragazzina pettegola e lo dica a tutta la scuola.
-Ah no?- mi chiede solo vagamente interessata.
-Buongiorno ragazzi!- esclama la professoressa entrando in classe e salvandomi da morte certa.
Ci ordina brevemente di rimanere in silenzio iniziando a fare l’appello. Per la prima ora posso limitarmi a prendere qualche appunto, scribacchiare il simbolo dei doni della morte qua e là e schiacciare qualche breve sonnellino interrotto solo dalla voce petulante della professore di italiano che, ogni tanto, ha un’inspiegabile ascesa verso l’alto prorompendo in un suono di frequenza superiore ai 1000 Hz. E’ solo alla terza ora che mi pento di essere arrivata in ritardo: Cristina sembra riscuotersi dal torpore mentre Francesco esegue un esercizio piuttosto complicato di matematica alla lavagna ed inizia a tormentarmi, raccontandomi qualsiasi cosa le passi per la testa.
Quando finalmente suona la campanella che segnala l’inizio dell’intervallo non posso fare a meno di lasciarmi andare ad un lungo e quasi esagerato sospiro di sollievo.
-Allora? Vuoi dirmi come ci sei riuscita?- mi domanda cauta Giulia, parandomisi davanti e bloccando la mia fuga.
-Riuscita a fare cosa?-
-A conquistare Montesanti. Lo ricatti? L’hai drogato?- mi chiede con voce melliflua e falsamente adorabile arrotolandosi una ciocca nera attorno al dito.
-Magari hai usato qualche magia che hai imparato da Harry Potter- dice prendendomi in giro e ridacchiando della propria battuta.
-Mi dispiace: niente magie fuori da Hogwarts- rispondo fingendomi costernata e regalandole un rapido sorriso, prima di riuscire a sgattaiolare via.
-Lorenzetti!- esclama Francesco appoggiandosi allo stipite della porta e bloccandomi il passaggio.
-Cosa c’è?- chiedo al limite dell’esasperazione.
-Fai tanto la santarellina tutta libri e poi vai a letto con Montesanti?
-Io che cosa?!- gli domando strabuzzando gli occhi ed arrossendo.
-Allora è vero- mormora lui accarezzandosi la barba che non ha.
-E’ vero tanto quanto il fatto che il tuo cervello non è un pallone da calcio- dico sorridendo brevemente ed allontanandomi prima che riesca a capire la battuta.
Tra l’altro un pallone da calcio molto piccolo, aggiungo tra me e me
Quando riesco finalmente a raggiungere Alessandro sento di avere ancora il viso in fiamme e gli occhi fuori dalle orbite.
-Chi devo picchiare?- mi domanda lui ammiccando.
-Tutti!- esclamo lasciando che, finalmente, la mia rabbia abbia libero sfogo –Possibile che nessuno sia capace a farsi gli affari propri? O almeno potrebbero limitarsi a riferire le cose come stanno invece di ingigantirle! Maledette voci di corridoio-
-Cosa ti interessa?- mi chiede lui scrollando le spalle –Se a tutti piace credere a una cosa non vera lasciali fare, prima o poi si stancheranno. Non ti deve interessare il giudizio altrui-
-Non è questo!- esclamo esasperata –E’ che ora gli ho dato un pretesto in più per burlarsi di me!-
Abbasso lo sguardo, quasi pentita di questa rivelazione imbarazzante ed umiliante, lui mi afferra le mani e mi costringe a guardarlo negli occhi: -Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo permesso, chiaro?
Io annuisco e mi lascio andare ad un sospiro rassegnato.
-Vuoi un pezzo di pizza?- chiede prendendo l’involucro dalla cartella.
-La pizza è uno dei rimedi migliori- ammicco annuendo.
Lui ride: -Se sei una ragazza cicciona che pensa solo al cibo, sì.
-Io non penso solo al cibo- dico incrociando le braccia e fingendomi offesa.
-Hai indirettamente ammesso di essere cicciona.
-Zitto- sibilo prendendo il pezzo di cibo che mi sta offrendo –O mi costringerai a mettermi a dieta-
-Non sia mai!- esclama lui ironico.
-Grazie- dico infine iniziando a mangiare: sappiamo tutti e due che non mi riferisco solo alla pizza.
Passo le due ore successive a pregare che Zeus lanci una saetta proprio mentre la mia compagna di banco sta parlando, così che questa le tranci di netto la lingua o che Nagini ritorni dal mondo dei morti con una strana voglia di carne di pettegola. Grazie alla mia solita sfortuna non succede nulla di tutto ciò, perciò mi appunto mentalmente di comprare un paio di tappi per le orecchie per eventuali incontri futuri con Cristina ed esco da scuola con il mal di testa più atroce della storia, saluto rapidamente Alessandro e Elisa –una delle mie poche compagne che non vorrei sotterrare vive- e mi dirigo verso la macchina di Filippo.
-Scommetto che hanno rotto le scatole tutto il giorno anche a te- dice a mo’ di saluto.
-Ciao anche a te- rispondo infilandomi nel posto del passeggero.
-Lo prendo per un sì- dice infilando le chiavi e mettendo in moto.
Passiamo qualche minuto in silenzio mentre la mia testa sospira di sollievo e le mie orecchie cercando di riprendersi: Cristina ha parlato così tanto che ogni tanto mi sembra ancora di sentire la sua voce.
-A proposito di ‘sta mattina- dice Filippo tamburellando con le mani sul volante –Scusa per il bacio fugace ma c’era Isabella che ci guardava e.. insomma…-
Io gli poso una mano sulla gamba.
–Tranquillo, capisco- dico, nonostante io non capisca proprio per niente –Non dovresti neanche scusarti-
-Invece sì- insiste lui mentre allontano la mano –Probabilmente ti avranno tormentata tutto il girono anche per questo-
Per un attimo penso di mentire ancora poi faccio un rapido gesto con la mano: -Scuse accettate.
Una volta a casa mi godo la nostra solitudine: nessuna coppietta felice sbaciucchiante e nevrotica all’orizzonte. Prepariamo il pranzo senza dire molto, Filippo prepara una pasta carbonara che è la fine del mondo e due occhi di bue che fanno andare in ecstasy le mie papille gustative.
-Ti sposerei solo per il tuo modo di cucinare- dico con un filo di voce, appoggiandomi sazia allo schienale della sedia.
Questo è il motivo per cui probabilmente nessun ragazzo si innamorerebbe mai di me: le mie assurde uscite imbarazzanti. Come volevasi dimostrare Filippo scoppia a ridere.
-La mia proposta di aiutarti con lo studio è ancora valida- mi dice quando finiamo di lavare i piatti.
-Oggi pomeriggio viene Alessandro- dico deglutendo.
-Non studiate troppo scienze umane, allora- sussurra infine facendomi l’occhiolino.
Gli ultimi due neuroni che erano rimasti nel mio cervello si sono appena suicidati. Quando finalmente riesco a riprendermi ed a trascinare il mio sedere fino in camera devo tornare sotto per rispondere al citofono.
Apro la porta di ottimo umore, ricca di buoni propositi. Tutto questo sparisce non appena apro la porta e mi accorgo che Alessandro è in ottima compagnia. Ottima si fa per dire: al suo fianco c’è l’essere più idiota che io abbia mai conosciuto nella mia vita da fan-girl sfigata.
-Perché c’è anche lui?- chiedo sorridendo falsamente ad Alessandro ed indicando il suo amico.
-E’ bravo in tutte le materie in cui tu fai pena.
-Anche tu lo sei.
-Non in fisica- mi ricorda scrollando le spalle.
-Io sono qui- esordisce l’idiota sventolando le braccia come se fosse su un’isola deserta.
Non gli rivolgo più attenzione di quanta ne riserverei per l’escremento secco di una lumaca gigante africana. Faccio fare ad Alessandro un rapido giro della casa, evitando la camera di Filippo e continuando ad ignorare il nuovo arrivato.
Una volta arrivati nella mia insulsa e noiosa camera mi siedo sul letto, lasciando che Alessandro si accomodi al mio fianco e fermando il suo amico un attimo prima che lo faccia: -Ho appena rifatto il letto.
-Non ci vomiterò sopra.
-Non voglio mettere le coperte a lavare, non puoi sederti per terra?
Lui mi rivolge uno sguardo seccato, alzando le sopracciglia: “Davvero?” sembra chiedermi.
-Siediti pure- lo rassicura Alessandro.
-Non puoi lasciare che la tua lumaca infanghi il mio letto!- esclamo lanciando un’occhiataccia al mio migliore amico.
-Ehi!- esclama la lumaca senza ricevere risposta. D’altronde le lumache non dovrebbero nemmeno parlare.
-Devi accettare la mia esistenza se vuoi migliorare in fisica- mi fa notare.
Io lancio un’altra occhiataccia ad Alessandro ma lui sembra provare un forte interessamento per le proprie scarpe.
Questo essere insulso che mi osserva spocchioso è il migliore amico di Alessandro nonché amico d’infanzia di Filippo. Assomiglia a uno scimpanzé con le lunghe braccia sproporzionate al resto del corpo e i peli un po’ ovunque –dico io: com’è possibile che avesse già un principio di barba a dieci anni?-, è più intelligente di Einstein e più stupido di una gallina anche se non riesco ancora capire come ciò sia possibile. Inutile dirlo ma era uno dei principali sostenitori del R.V.N. –Roviniamo la Vita a Nora- insieme a Montesanti nonostante abbia un anno in meno di lui.
-Io accetto l’esistenza delle lumache- dico infine –Vogliamo iniziare? Non sbavare troppo sul libro, per favore-
Gabriel, la lumaca, lancia uno sguardo supplicante ad Alessandro ma, non ottenendo risposta, inizia a spiegare.
 
Detesto ammetterlo eppure ho capito più in quest’ora con la lumaca che in tutto il resto della mia vita, ovviamente questo lo tengo per me. Dopo fisica siamo passati a inglese, qui gli ha dato man forte Alessandro rendendo il tutto più sopportabile.
Manca una mezz’ora scarsa all’arrivo di mia madre dal lavoro quando scendiamo a fare merenda. Decido di provare la macchina dei gelati mentre scopro, non senza una certa delusione, che Filippo è uscito.
-Mi dispiace- dico a Gabriel, porgendogli una coppa di gelato –Non abbiamo quello all’insalata-
-Sei veramente infantile!- esclama lui alzando gli occhi al cielo.
-Esiste la protezione ambientale per le lamentele- lo rimbecco io seria.
-Allora, com’è andare a letto con Montesanti?- mi chiede poi avvicinando il cucchiaino di gelato alle labbra.
E fu così che la lumaca venne schiacciata dal ciccio-panda.

 

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Capitolo 4
*** Un condannato a morte di fronte alla ghigliottina ***


4. Un condannato a morte di fronte alla ghigliottina
“L’essere che, sotto il letto, aspetta di afferrarmi la caviglia
non è reale.
Lo so.
E  so anche che
se sto bene attento a tenere i piedi sotto le coperte,
non riuscirà mai ad afferrarmi la caviglia”
Stephen King


 
Il resto della settimana passa lentamente, senza che succeda nulla di particolarmente rilevante: vado a scuola, cerco di evitare le pettegole e gli stronzi, mangio e scambio quattro chiacchiere con Filippo, al pomeriggio studio con Alessandro a volte accompagnato dal suo fidato invertebrato, a cena mi limito a mangiare in silenzio e dopo cena leggo fino a che non mi addormento con la faccia sul libro. Questo fino al venerdì prima delle vacanze natalizie.
Oggi sono particolarmente felice: passerò un intero week-end a Torino e poco più di due settimane lontana dalla scuola e ad i suoi malati studenti.
Salutò Filippo e mi dirigo verso la mia classe, sono così insolitamente felice che non faccio nemmeno caso alle due profonde occhiaie che contornano i suoi bellissimi occhi. Non presto nemmeno attenzione al fatto che il gregge di persone sembra tenersi alla larga dalla mia classe. D’altronde chi sono io per giudicare questi pazzi babbani analfabeti?
Mi appresto ad entrare e subito sento il piede ottenere una leggera resistenza. Quando abbasso lo sguardo e scorgo il filo bianco in controluce è ormai troppo tardi: la puzza di marcio mi invade le narici e le uova andate a male mi cadono in testa, impregnando me e l’aria che mi circonda. La nausea sale in fretta, troppo veloce perché possa fermarla: vomito la colazione e ciò che è rimasto della cena sulle scarpe della persona di fronte a me senza preoccuparmi di chi sia, non potrei farlo neanche volendo a causa delle lacrime che mi offuscano la vista.
Le mie orecchie sono piene delle risate di chi ha organizzato tutto e di chi, complice, li ha aiutati a realizzarlo. Mi gira la testa e credo che sverrò.
-Lo trovate divertente?- domanda una voce acuta e femminile..
Alzo lo sguardo mentre del tuorlo d’uovo mi scivola giù per le guance mischiandosi alle lacrime.
-Sapete cosa trovo divertente io?- chiede ancora la stessa voce con voce tagliente –Il fatto che il suo cervello sia superiore a tutti i vostri messi insieme-
Non so come o perché ma poco dopo mi ritrovo nei bagni delle palestre insieme ad Elisa. Sento i capelli appiccicosi, così come la maglietta e questa insopportabile puzza continua a farmi venire voglia di vomitare.
-Stai bene?- mi chiede Gabriel arrivando subito dopo di noi.
-Avresti potuto darle una mano- dice Elisa prendendo un pacchetto di salviette e porgendomene alcune.
-Cos’ho fatto?- chiede lui alzando le mani in segno di resa.
-Niente, è proprio questo il punto- ringhia lei in risposta.
-Non centro niente con loro, io. Non sapevo dello scherzo- si giustifica abbassando lo sguardo.
-E non ho riso- precisa poco dopo continuando a non guardarmi.
-C’era anche Filippo, vero?- chiedo con voce flebile mentre cerco di scrostarmi le uova dai capelli.
Lui annuisce, osservando il pavimento grigio e stantio.
-Arriverete in ritardo a lezione- faccio notare loro debolmente mentre Elisa mi asciuga i capelli con un asciugamano.
-Vai a casa, Nora- dice invece lei.
Io scuoto la testa: non voglio che Rebecca lo sappia.
-Dovresti dirlo a qualcuno.
-E a chi?- chiedo con voce bassa.
-A qualche professore o alla preside- insiste Gabriel.
-Non so neanche chi sia stato, non farò nulla- dico scoraggiata.
-Io scoprirò chi è stato- dice Elisa con voce ferma –E ci vendicheremo, puoi stare tranquilla-
Io scuoto la testa di nuovo, non perché non pensi che Elisa riesca a trovare i responsabili -lei è l’eccezione alla regola, il riscatto per tutte le bionde, il fenomeno anomalo per chi associa i capelli chiari alla stupidità- ma perché non è così che funziona la mia vita.
-Se gli dimostro che non m’importa non ci riproveranno- dico infine scrollando le spalle.
-Ti hanno appena vista piangere, come potrebbero pensare che non ti importi?- mi chiede Gabriel inarcando le sopracciglia.
-Tu sì che sei d’aiuto- gli risponde Elisa prima che possa farlo io.
Quando sono pronta a tornare in classe manca ormai una manciata di secondi all’inizio delle lezioni. So ancora di marcio ed ho i vestiti macchiati ma i miei capelli sono asciutti e mi sono calmata.
Non appena usciamo dagli spogliatoi femminili vedo Alessandro venirmi incontro a grandi falcate.
-Sono appena arrivato e mi hanno detto quello che è successo- dice mentre vedo i suoi pugni serrarsi –Credo sia ora di mettere in pratica i due anni di Box-
-Perché dovrei abbassarmi al loro livello?- domando acida.
-Devi denunciarli ai docenti, almeno.
Faccio un vago gesto con la mano. –Credo nel Karma: tutto ritorna-
-Ma ti senti?!- mi chiede Alessandro alzando la voce –Quegli idioti ti torturano da anni!-
-Sono solo prese in giro.
-Nega di essere arrabbiata allora!- esclama afferrandomi il polso.
-Mi fai male- dico con voce bassa cercando di divincolarmi.
Sento il cuore esplodermi nel petto e lo stomaco rivoltarsi ancora ed ancora. Vorrei che mi abbracciasse o che mio padre fosse qui con me, ma questo non è uno stupido sogno ad occhi aperti.
-Fa’ ciò che vuoi.
Lo dice senza guardarmi negli occhi, mi lascia il polso e mi volta le spalle, allontanandosi a grandi passi. Si morde l’interno della guancia, come fa sempre quando è arrabbiato. Rimango un attimo basita, con il fiato corto fino a che la campanella non mi riscuote.
-Fregatene- mi dice Gabriel a mo’ di saluto prima di andarsene.
So che un consiglio dato da una lumaca non vale moltissimo ma lo apprezzo comunque.
-Pronta?- mi chiede Elisa quando ci troviamo davanti alla porta della classe.
Come un condannato a morte di fronte alla ghigliottina.
-Sono nata pronta- dico lentamente, mentendo e deglutendo con forza.
Mi accorgo di aver varcato la soglia solo quando Elisa si scusa con il professore di greco per il ritardo, prendiamo posto negli unici due banchi rimasti liberi ai due estremi opposti della classe: mi cede quello in prima fila ed io mi siedo malvolentieri.
Il professore decide di fare un piccolo ripasso ed io avverto che il mio corpo stringe la penna, iniziando a prendere appunti mentre la mia mente è concentrata su tutt’altro. Sento gli sguardi dei miei compagni puntati su di me, sembrano spilli ed aghi che si conficcano nella carne. Qualche risata che non so se sia rivolta alla sottoscritta ma che mi fa comunque stringere la penna così tanto da far sbiancare le nocche. Erano due anni e mezzo che nessuno mi prendeva più in giro e che non mi facevano qualche stupido scherzo.
Come ho potuto fidarmi di Filippo?
Chissà che non sia proprio lui il mio boia.
-Mi dispiace per quello che è successo sta mattina- mi sussurra il mio compagno di banco che è niente popò di meno che Francesco, l’idiota con il pallone al posto del cervello.
Non gli rivolgo neanche uno sguardo anche se sento il suo su di me, inutile dire che sono rimasta sorpresa dalle sue parole ma non ho intenzione di cedere così facilmente.
-Le uova marce, eh? Io avevo suggerito di aggiungere anche altro ma Giulia ha detto che era troppo cattivo.
Faccio finta di non prestargli attenzione mentre cerco di non pensare cosa intendesse con ‘altro’.
Passo l’intervallo in un angolo della classe: non ho alcuna voglia di andare a cercare Alessandro. Improvvisamente, però, una ciambella spunta sotto il mio naso facendomi venire l’acquolina in bocca e Elisa mi affianca, condividendo con me quel ben di Dio.
Non so perché non ci siamo mai frequentate prima, forse eravamo troppo prese dai nostri problemi e dall’odiare il resto del mondo per poter pensare che esistesse qualcuno per cui valga la pena di farsi buttare un secchio di uova marce in testa.
Quando finalmente arriva la sera sembra un piccolo miracolo: finalmente potrò rifugiarmi nei miei libri e non pensare né ad Alessandro, né a Filippo, né a nessun altro. La giornata scolastica, dopo lo scherzo delle uova, è passata piuttosto lentamente e in modo decisamente straziante; anche la professoressa di matematica sembrava burlarsi di me quando, a metà della lezione, ci ha guardati infastidita ed ha detto: “Consiglierei anche a qualcuno di voi di lavarsi ogni tanto, sento un odioso odore di uova marce!”. Ovviamente tutti sono scoppiati a ridere ed io non sono riuscita, ancora una volta, a scomparire a Narnia. Sono andata a casa a piedi dopo averlo detto a Filippo con una mezza frase biascicata a due metri di distanza e, sinceramente, non sono molto sicura mi abbia sentito, ho comprato un pezzo di pizza per strada e arrivata a casa mi sono messa a studiare da sola poiché Alessandro non è venuto. Ivan mi ha chiamata per definire gli ultimi dettagli per domani ed ho preparato le valigie appena più serena.
Ora la cena sta trascorrendo come al solito: in un glaciale silenzio intervallato dall’irregolare suono dei cucchiai contro i piatti o dei bicchieri sul tavolo. Riesco ad arrivare alla fine senza aver rotto nulla e mi considero salva quando do l’ultimo morso alla mia mela ma, probabilmente, la strega doveva aver avvelenato quel frutto rosso perché Rebecca mi guarda con gli occhi da grande discorso. Si schiarisce persino la voce prima di iniziare a parlare.
-Michela ti aveva promesso che avrebbe fatto sistemare la tua stanza, ricordi?- mi chiede tentando di sorridere.
Io sento la mascella scricchiolare ed il stomaco tentare di non rigurgitare tutto quello che ho appena ingerito mentre un capogiro mi sorprende, seguito da uno strano presentimento.
-Alcuni colleghi del fratello di Michela arriveranno subito dopo cena per portare via i mobili, lo so che non è un’ora adeguata ma le stanno facendo un favore e non possono venire nelle ore lavorative.
Annuisco mentre la curiosità e la paura si mischiano al purè.
-Quindi tu dormirai nella stanza di Filippo.
-Lui dorme in salotto?- domando fingendo tranquillità.
-No, dormirà nella sua stanza.
-Allora devi esserti sbagliata: volevi dire che io dormirò in salotto- insisto annuendo solennemente.
-Tu e Filippo dormirete nella stessa stanza stanotte.
-Credo di aver capito male- insisto afferrando il tavolo con tanto trasporto da far sbiancare le nocche.
-No, Nora.
Non so se scoppiare a ridere, pensare che Rebecca voglia che io mi accoppi prima dei diciotto anni o mettermi ad urlare. Nell’indecisione decido di bere un bicchiere di vino per metabolizzare la notizia ma, non appena sfioro la bottiglia, sento lo sguardo di Rebecca trucidarmi le dita perciò mi accontento di un po’ acqua.
-E’ solo una notte!- esclama Michela –E puoi stare tranquilla: Filippo è un bravo ragazzo-
Questa volta tento di scoppiare a ridere ma l’acqua mi va di traverso ed inizio a sputarla sul piatto ed a tossire. Avverto lo sguardo dei miei tre coinquilini puntati su di me mentre mi asciugo un rivolo di bava scivolato al mio controllo.
-Tu non vuoi che perda la verginità a diciassette anni, vero?- domando con calma rivolta a Rebecca.
Lei strabuzza gli occhi, Filippo arrossisce fino alla radice dei capelli e Michela tossicchia senza guardarmi.
-E’ la seconda volta che mi metti in stanza con un ragazzo sconosciuto potenzialmente sociopatico.
Filippo non prova nemmeno a ribattere, impegnato com’è ad essere imbarazzato.
-Avevo insistito affinché dormissi nella stesa stanza di Alessandro perché ti piaceva!- esclama ricordando l’episodio di due estati fa.
-E volevi farti perdonare per quello che ci tenevi nascosto?- domando cauta alludendo al suo tradimento.
-Ora stai superando il limite, Nora- dice mentre la sua voce si alza di un’ottava –Oggi non sei nemmeno andata dalla psicologa-
Mi batto una mano sulla fronte: con tutto quello che è successo me ne ero completamente dimenticata; poi guardo Filippo e mi lascio scappare un verso indistinto. Perfetto: ora la mia già inesistente vita sociale è stata disintegrata. Ora, oltre che ragazza santa e sfigata che passa la sua vita sui libri, sono anche una possibile psicopatica, questo non appena il belloccio seduto lì diffonderà la notizia ai suoi cari amici.
-Vado a farmi una doccia- dico infine alzandomi e spostando rumorosamente la sedia.
Infilo un pigiama che sia veramente un pigiama al posto della solita maglia sformata ed ignoro la moltitudine di uomini che entrano nella mia stanza, dirigendomi in quella di Filippo. La sua ha una scrivania sul lato, i muri neri ed arancioni, è tappezzata da innumerevoli poster su artisti musicali e film e, al centro, torreggia un enorme letto a una piazza e mezza.
Il pigro criceto che cammina nella mia testa inizia già ad immaginare che cosa un adolescente possa fare con un letto così grande quando noto, con mio estremo sollievo –o quasi-, che  qualcuno ha posizionato un altro letto il più lontano possibile dal suo.
Provo a contattare Alessandro ma lui continua ad ignorarmi perciò lancio il cellulare sul cuscino sbuffando sonoramente.
-Cosa c’è?- mi chiede Filippo sdraiato comodamente tra i cuscini, lanciandomi un’occhiata inquisitoria.
Sei serio?
-Alessandro non risponde ai miei messaggi.
-Tanto domani partite insieme, no?
Annuisco, lasciandomi andare a peso morto sul letto. Anche da qui si sentono i rumori dei mobili spostati e del nastro adesivo applicato sulle prese elettriche. Vorrei dormire per dimenticare quest’assurdo e disastroso venerdì ma credo che mi sarà impossibile ancora per un po’. Rimango sdraiata inerme ad osservare il soffitto mentre Filippo ascolta la musica tamburellando con il dito il ritmo della canzone, lo osservo di sottecchi. Dopo qualche minuto lo vedo arricciare il naso ed annusare l’aria.
Subito arrossisco, abbassando lo sguardo.
-Lo senti quest’odore?- mi chiede togliendosi le cuffie.
-Intendi quello di uova marce?- gli chiedo con un filo di voce.
Non so se sono più delusa, arrabbiata, triste o vendicativa, perché non si possono provare tutte queste emozioni insieme, vero?
Lui mi lancia una breve occhiata che non riesco bene a decifrare.
-No, sembra più vaniglia- dice arricciando ancora il naso.
-Oh- mormoro appena –Dev’essere il mio bagnoschiuma-
-Senti Nora, riguardo…- inizia lui serio, tirandosi a sedere.
-Ho veramente sonno- lo interrompo stizzita e frettolosa –Buonanotte-
Mi rifugio tra le coperte, seppellendo la faccia nel cuscino e deglutendo, mi accorgo solo in questo momento che gli uomini devono essersene andati perché la casa è avvolta dal silenzio. Un silenzio che fa quasi venir male alle orecchie.
 
Rebecca mi sta guardando come farebbe con uno scarafaggio o con la figlia che non ha mai voluto. Sorride, i denti aguzzi come pietre. – Filippo sarebbe stato un figlio perfetto come Alessandro ma tu, Nora, come puoi competere con loro? O solo con tuo fratello Ivan? Povera piccola ingenua. Così brutta e così stupida.
Michela, al suo fianco, annuisce e sorride sincera.
Vorrei rispondere qualcosa di pungente, vorrei dirle che neanche lei è stata una madre degna di questo nome ma dalla mia bocca non esce nulla mentre i miei occhi si riempiono di lacrime. Cerco di parlare ma non ci riesco, sono ferma ed impotente, bloccata, immobile.
-Davvero hai pensato che potessi mai piacermi?- le dà man forte Filippo –Andiamo, Eleonora! Sii realista-
Si avvicina, quasi come se dovesse baciarmi, all’ultimo, però, scoppia a ridere inclinando la testa di lato. Indietreggio di qualche passo mentre vedo con la coda dell’occhio Alessandro allontanarsi di spalle, vorrei rincorrerlo ma Filippo mi blocca la via di fuga.
Ora non è più solo lui a ridere ma anche moltissime altre persone di cui non riesco a scorgere i volti, in piedi di fianco a me.
-Voi non sentite questo odore di… non so… sembrano uova- dice Filippo continuando a ridere –Uova marce-
Le persone iniziano a farsi più vicine, stringendomi in una morsa di ghiaccio, mi schiacciano un piede, l’altro, mi tirano i capelli, premono sulla mia cassa toracica. Mi sento malissimo, mi sembra di non riuscire a respirare. Tutto gira.
Mi sveglio di colpo, spalancando gli occhi in cerca di luce e la bocca in cerca di aria, sento i capelli sudaticci appiccicati al volto, con un calcio getto via le coperte e mi passo una mano sulla faccia scoprendola bagnata di lacrime.
Che sogno stupido, penso scuotendo la testa eppure non posso fare a meno di lasciarmi scappare un singhiozzo.
Tutte le scene tornano a popolare la mia mente, mischiandosi alla realtà, creando un vortice pietoso che mi fa girare la testa, mi aggrappo con forza al cuscino mentre continuo a piangere. In un attimo è come essere nuovamente nel sogno, circondata da persone care e sconosciute che cercano di soffocarmi. Annaspo in cerca d’aria mentre mi sembra di sentire nell’aria un insopportabile odore di cibo andato a male.
-Nora- mormora Filippo nel buio.
Probabilmente, se non mi sentissi così male, mi spaventerei e penserei con ironia alla sua incredibile dote di spaventaNora.
-Tutto bene?- chiede ancora in un sussurro.
I miei occhi spalancati dal terrore riescono a distinguere la sua sagoma alzarsi dal letto e venire verso di me. Mi porto una mano al petto, tentando inutilmente di inspirare, credo che se aprirò ancora un po’ gli occhi i miei bulbi oculari rotoleranno sotto l’armadio.
E’ come se qualcuno si fosse seduto sul mio petto e non lasciasse entrare l’aria, boccheggio ed il mio cuore batte sempre più veloce. Ho paura, non so di cosa o perché ma il panico mi attanaglia le viscere e si fa spazio nelle vene, scorrendo al posto del sangue.
-Che cos’hai?- mi chiede sedendosi al mio fianco, preoccupato.
Continua a chiedermelo ma non riesco a parlare, riesco solo a tentare di dare aria ai miei polmoni mentre ansimo in cerca di ossigeno. Lui mi scuote appena con l’unico risultato di accrescere la mia paura già al suo culmine.
-Nora- dice appoggiando una mano sulla mia e sfiorandomi il petto –Credo tu abbia un attacco di panico, devi tranquillizzarti-
-Non… ci… riesco…- mormoro sempre più terrorizzata.
Un attacco di panico, non credo di averne mai avuto uno. Sembra che anche i miei pensieri si stiano facendo meno lucidi mentre Filippo tenta invano di calmarmi. La persona seduta sul mio petto deve essersi fatta più pesante perché sento che anche la testa inizia a dolermi.
-Vado a chiamare Rebecca- dice infine nervoso, facendo per alzarsi.
-No- riesco solo a mormorare scuotendo forte la testa.
Mi brucia la gola ed ho il petto in fiamme, credo di aver bisogno di un estintore ed un’enorme dose di ossigeno. Ansimo ancora ma l’aria non vuole entrare, resta sospesa al mio fianco, burlandosi di me come tutto il resto. Boccheggio, il petto brucia, la testa martella, i pensieri si confondono e nelle mie vene divampa l’incendio mentre la paura prende possesso del mio corpo.
Filippo mi guarda negli occhi indeciso sul da farsi poi mi bacia.
All’inizio penso che sia un’idiota: io ho bisogno di ossigeno e lui blocca una delle principali vie di entrata dell’aria. Subito dopo penso che voglia uccidermi, poi mi accorgo sul serio di quello che sta succedendo: mi sta baciando. Noto con un certo nervosismo che le mie labbra e le sue sono unite e la sua lingua si muove lentamente insieme alla mia, la sua mano è premuta contro la mia guancia. Quando si allontana mi lascio scappare un lungo sospiro, riprendendo a respirare.
E’ come riemergere in superficie dopo attimi di agonizzante naufragio, è come se prima stessi annegando. Ora sento una pace profonda in tutto il corpo mentre il cuore riprende il proprio battito e la paura si allontana.
-Grazie- mormoro ansimando –Come…?-
-Ho visto da qualche parte che un bacio può arrestare un attacco di panico- dice distogliendo lo sguardo –Su Teen Wolf, mi sembra-
Improvvisamente sento una rabbia sorda farsi spazio dentro di me, sovrastando per la prima volta la mia natura da fangirl.
-Mi hai baciata- sibilo allontanandomi impercettibilmente.
-Io…- dice perplesso.
-Non potevi trovare un altro modo che non implicasse l’uso degli ormoni?
-E’ l’unica cosa che mi è venuta in mente! Stavi soffocando se non l’hai notato!
-Sei un idiota, Montesanti.
La mia frase, detta di getto e con una nota amara di risentimento mi porta a qualche anno fa, quando il suo passatempo preferito era far parte del R.V.N..
Non riesco a dire nient’altro, non presto nemmeno più attenzione a quello che mi dice mentre mi rannicchio sotto le coperte e tento di dormire, serrando gli occhi, rifiutandomi di pensare al sapore dolciastro che mi ha lasciato in bocca. Mi massaggio il collo al quale avverto ancora una dolorosa morsa, come se qualcuno avesse appena azionato la ghigliottina.
Devo ammettere, però, che il boia bacia dannatamente bene.

 

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Capitolo 5
*** Sai che Torino è fatta a quadrati? ***


5.Sai che Torino è fatta a quadrati?
“È una questione di punti di vista:
come gli aquiloni,
che pensano che la terra sia attaccata al filo.”
Enzo Iacchetti
 
La prima cosa che noto del capoluogo del Piemonte  sono i quartieri di una precisione quasi geometrica, tutti uguali tra loro. "Sai che Torino è fatta a quadrati?" mi ha detto Ludovica non appena siamo arrivati "È stata costruita dai romani ed ha due vie principali: il Cardo ed il Decumano che formano una croce, tutte le altre sono costruite parallele ad esse. Così è più facile orientarsi" Mi sono da subito scoperta in disaccordo con lei, abbiamo svoltato così tante volte da darmi il voltastomaco, inoltre tutto questo gran baccano mi fa girare la testa: clacson impazziti, moto che sfrecciano per la città, donne che urlano, uomini in giacca e cravatta che corrono per andare a lavoro, bambini che giocano a palla sui marciapiedi, persone malvestite che chiedono l'elemosina, cani abbandonati e teppistelli che si aggirano con il cappuccio calato sul volto. Non appena ho aperto la portiera ho rischiato di venire travolta da una bici e, subito dopo, un signore di mezz’età mi ha urlato contro in piemontese chissà che cosa. Nonostante questo primo impatto burrascoso ho scoperto che la città ha anche un certo fascino.
Ivan non ha voluto perdere tempo ed abbiamo subito visitato il museo di Pietro Micca mentre ora stiamo facendo la fila al McDonald. Sono qui da neanche cinque ore e sono riuscita a discutere con una ragazza maleducata con più piercing che cervello che sosteneva le avessimo rubato il posto in fila.
Saranno tutti così questi torinesi?
Prendo un maxi-burger con carne di maiale, insalata, pomodoro, rucola e fontina, una confezione grande di patatine ed una bottiglietta d'acqua per mantenere una dieta salutare. Sto scherzando: da bere ho ordinato una coca-cola.
Prendiamo posto in alcuni tavolini ed iniziamo a mangiare nel locale sovraffollato. C’è così tanto rumore che non abbiamo neppure bisogno di parlare per sentirci a nostro agio, mangiamo in fretta, desiderosi di uscire da qui, sto sudando dentro alla camicia a quadri e noto che Alessandro ha il mio stesso problema. A proposito di Sandro: mi ha salutata con un freddo “ciao” e non mi ha più rivolto la parola, non che fossi particolarmente sociale alle cinque del mattino ma mi sarebbe piaciuto se ci avesse almeno provato; vorrei tanto farlo conoscere a tutti quelli che dicono che sono le donne ad essere strane.
Usciti finalmente all’aria aperta Ludovica trascina Ivan verso un negozio di vestiti qui vicino e ci diamo appuntamento tra un’ora, prima di andarsene mio fratello ammicca in modo tale da farmi capire che sa che dobbiamo risolvere qualcosa. Ho mai detto che lo amo?
Iniziamo a camminare senza una meta precisa sotto i portici ed io cerco di pensare, ad ogni passo, ad un inizio di discorso differente; dopo poche centinaia di metri in cui non ho ancora trovato il coraggio di iniziare a parlare, un ragazzo alto, dai vestiti larghi ed una felpa leggera si avvicina e ci sorride.
-Ciao, scusate se vi disturbo- inizia gentilmente guardandomi negli occhi.
Io, prontamente, abbasso lo sguardo, indecisa su dove voglia andare a parare.
- Sono Enrico, piacere, voi come vi chiamate?
Ci presentiamo brevemente mentre uno strano presentimento si fa largo dentro di me.
-Faccio parte di un gruppo di orfani di Torino, siamo degli artisti di strada e cerchiamo come possiamo di andare avanti. Ora lo so che anche voi avete i vostri problemi ma vorrei darvi queste penne, sono molto comode, se tiri questa levetta si srotola un calendario che potete anche usare per i bigliettini. Non avete qualche spicciolo? Mi basta poco, anche solo un euro.
Parla con disinvoltura e franchezza, la stessa semplicità di chi l’ha già fatto un milione di volte. Io e Alessandro ci scambiamo uno sguardo perplesso poi lui tira fuori il portafoglio.
Il volto di Enrico sembra illuminarsi.
-Grazie mille! Davvero, noi non siamo dei cattivi ragazzi, cerchiamo solo di vivere con quel poco che ci hanno dato e con la beneficenza. Dopotutto siamo artisti di strada, grazie davvero!
Se ne va, allontanandosi con cinque euro in più in tasca e lasciandomi una penna blu tra le mani insieme ad una vaga sensazione di disagio.
-Siete proprio stupidi. Non ci credo che avete abboccato.
Mi giro, interdetta, e mi trovo davanti la gentilezza in persona, cioè niente popò di meno che la ragazza piena di piercing di poco fa.
-Come, scusa?- gli fa eco Alessandro.
-I soldi li usano per comprarsi la droga, lo conosco Enrico, non è un santo.
L’avevo detto io che non c’era da fidarsi, Torino è decisamente una città infame.
-Voi, piuttosto, cosa ci fate qui? Andavate da qualche parte? Vorrei che mi fai compagnia- dice stuzzicandosi il piercing che ha sul labbro.
La prima cosa che mi viene in mente è: “Che mi fai? Che mi fai?! Ma questa da dove è uscita?”. Poi vedo Alessandro deglutire e mi sento decisamente presa in causa.
-Innanzitutto non sono affari tuoi- dico sorridendo più o meno in modo amabile –Punto secondo lui è mio-
-Tuo?- mi fanno eco lei e Alessandro all’unisono.
-Esatto, il mio ragazzo, quindi vedi di girare a largo.
Lei mi guarda attentamente poi fa schioccare la lingua contro il palato e si rivolge nuovamente ad Alessandro: -Sono Federica Garde, cercami su Facebook quando ti stanchi di questa qui.
Prima che se ne vada vengo colta da un lampo di genio e frugo nello zaino che ho sulle spalle, finalmente trovo l’oggetto tanto ambito e le corro dietro, porgendoglielo con un mezzo sorriso: -I congiuntivi sono a pagina quarantanove-. Torno da Alessandro sentendo il suo sguardo stupito vagare dalla mia schiena al libro tascabile di grammatica italiana che le ho appena consegnato.
-Ne porto sempre uno con me per i casi di emergenza- dico con finta noncuranza in risposta alla sua occhiata stranita.
-Il tuo ragazzo, eh?- mi chiede facendo una smorfia e infilando le mani nelle tasche.
-Oh, beh..- dico io facendo un gesto vago con la mano e dondolandomi sui talloni.
-Sei la persona più pazza che io abbia mai conosciuto- dice guardandomi negli occhi e ridendo –Ma forse è anche per questo che mi piaci-
Io rido a mia volta mentre continuiamo a scherzare, felici di aver fatto pace. Più tardi raggiungiamo i due piccioncini: è passato, ormai, il tempo in cui vedevo Ludovica come una rivale ed ero gelosa di lei ma, di tanto in tanto, quando vedo gli sguardi che si lanciano sento lo stomaco chiudersi in una rapida e dolorosa morsa.
Nel pomeriggio decidiamo di fare un salto al museo del cinema, mi sembra tutto fantastico e continuo ad afferrare la manica della felpa di Alessandro per trascinarlo a vedere qualche strano macchinario. Mi rabbuio davanti alla mia immagine allargata in una scatola ottica e rimango affascinata davanti alle ombre cinesi, Ludovica si ferma almeno dieci minuti davanti ad ogni attrazione per cercare di spiegarcene la funzionalità ed è proprio in questi momenti che vorrei che il suo amore per l’arte e per i musei non fosse così profondo. Finalmente raggiungiamo l’ascensore panoramico che sale fin sulla Mole Antonelliana e fremo, impaziente. Ci mettiamo in coda mentre non faccio altro che saltellare sul posto, cercando di scacciare le vertigini che già mi afferrano lo stomaco. Per mia incredibile fortuna veniamo divisi da Ludovica ed Ivan che saliranno con il gruppo successivo, non appena iniziamo a salire scaccio le vertigini e cerco di godermi il presente senza vomitare.
-Non credi che dovremmo parlare?- mi sussurra Alessandro all’orecchio per non farsi sentire dal resto del gruppo.
-Non mi sembra il momento più adatto- ribatto io quasi sicura di aver assunto uno strano colorito verdognolo.
In meno di un minuto raggiungiamo la cima della Mole e rimango a bocca aperta: Torino è strabiliante da quassù, l’aria gelida mi sferza il viso e devo stringermi nel cappotto per non rabbrividire, il cielo è di un grigio imperfetto e quasi innaturale, le montagne bianche, all’orizzonte, sono sommerse dalla neve, case alte e basse popolano i svariati quartieri. Da qui non si notano i graffiti e la spazzatura, Torino sembra perfetta da quest’altezza.
Ci pensa Alessandro a distogliermi dai miei pensieri ed a farmi richiudere la bocca, sollevando di peso la mia mascella.
-Ti entreranno le mosche- mi prende in giro –Non puoi arrenderti così-
-Hai idea di quanto mi abbiano tormentata?- gli chiedo girandomi verso di lui –Anni ed anni di lente prese in giro, tutto il giorno, tutti i giorni. Mai niente di troppo pesante, certo, ma piccole cose che sommate facevano sì che la mia autostima rasentasse il suicidio. Eppure tutto è finito, non so perché, ma tutto è terminato, okay? Non voglio che le cose tornino com’erano prima-
Con mio estremo disappunto riprendiamo a scendere mentre Alessandro rimane interdetto per appena qualche attimo.
-Nora quella dell’altro giorno non è stata una semplice presa in giro! Ti hanno fatto uno scherzo di pessimo gusto e ti hanno mancato di rispetto.
-E quindi? Cosa vuoi che faccia? Una protesta?- gli domando scuotendo la testa.
Scendiamo e salutiamo Ivan e Ludovica con la mano, facendo loro cenno che li aspetteremo appena qui fuori.
-Potresti dirlo ai professori, molto semplicemente.
-Perché non lo vuoi capire? Non voglio tornare ad essere lo zimbello di tutti!
-Non lo sarai, ci sono io adesso.
-Tu non ci sei sempre- rispondo secca, prima di riuscire a fermare le mie stesse parole, animata dalla discussione.
-Ah no?- mi domanda lui, confuso e ferito.
-No- rispondo soddisfatta e sempre più alterata –Ieri sera, per esempio, ho avuto un attacco di panico ed avrei potuto morire se non fosse stato per il bacio di Filippo!-
-Il bacio di chi?- mi fa eco lui sgranando gli occhi.
Ops…
-Ti dico che avrei potuto morire e ti preoccupi del bacio?
-Hai baciato Filippo dopo quello che ti ha fatto?
-Non hai sentito la parte del: “stavo per morire”? E comunque non ho le prove che c’entrasse anche lui.
-Ma ti ascolti quando parli?
-Non ho intenzione di fare nulla, Sandro, mettiti l’anima in pace.
Lui mi lancia un’occhiataccia, solleva l’indice verso di me e fa per dire qualcosa, infine distoglie lo sguardo e tira un calcio ad un sasso. Rimaniamo in silenzio fino all’arrivo di Ivan e Ludovica, quest’ultima inizia subito a riempirci di nozioni sul Museo Egizio, la nostra prossima tappa.
 
Mi lascio cadere pesantemente sul letto mentre sento Alessandro arrampicarsi in quello sopra al mio, Ivan e Ludovica si sono appena scambiati il bacino della buonanotte nel letto matrimoniale mentre io ed Alessandro ci siamo rivolti appena un cenno, sistemandoci nel letto a castello. Sono sfinita, felice ed acculturata ma esausta. Tento invano di dormire, girandomi e rigirandomi tra le coperte, ci riuscirei se il letto non fosse così scomodo, duro e non avesse quest’odore così fastidioso; infine mi alzo in punta di piedi, afferro una felpa qualunque dall’attaccapanni ed esco in balcone. Faccio appena in tempo a pensare che avrei dovuto mettere almeno le pantofole quando Ivan mi raggiunge.
-Ciao- dico distrattamente, appoggiandomi alla ringhiera.
-Ciao- mi risponde lui osservando il cielo sopra di noi.
E’ nuvoloso e non riesco a scorgere neanche una stella, sarà sempre così il tempo in questa città?
-Quando ti decidi a chiedere scusa ad Ale?
-Io, cosa?- gli faccio eco sorpresa e convinta di aver capito male.
-Si nota lontano un miglio che avete litigato.
-E perché dovrei chiedergli scusa io?
-Spesso non si chiede scusa perché si pensa di avere torto ma perché si tiene più a quel rapporto che all’orgoglio.
-E tu come lo sai?
Lui ride, come se avessi fatto la battuta più divertente del mondo.
-E’ una cosa che ho imparato dal matrimonio, non hai vita lunga se non chiedi scusa alla tua dolce metà.
Io sbuffo e mi stringo ancor più nella felpa. Osservo il cielo a mia volta mentre un odore familiare mi pervade le narici, solo ora mi accorgo di aver indossato la maglia di Alessandro. Sa di buono. Un profumo da uomo mischiato al semplice odore della sua pelle.
-E comunque sono quasi certo che tu sia nel torto- aggiunge poco prima di rientrare.
Non faccio in tempo a ribattere perché è già sparito nella stanza dell’hotel che abbiamo prenotato, sospiro rassegnata e mi dirigo al mio letto troppo duro e che profuma di stantio: domani mi aspetta una giornata troppo lunga per poter fare la schizzinosa.
Tredici ore più tardi mi decido finalmente a chiedere scusa ad Alessandro.
Questa mattina siamo stati allo Juventus Stadium, per far felice il mio migliore amico. Ho visitato il mio primo vero stadio ed ho fatto una foto dietro l’altra, esaurendo la memoria della macchina fotografica. Quando abbiamo intravisto il pullman della Juve ho pensato seriamente di far loro un gestaccio per vedere come avrebbero reagito ma mi sono trattenuta per non peggiorare ulteriormente la situazione tra me ed Alessandro. Sono persino entrata nel negozio di souvenir con lui ma ho avuto l’accuratezza di toccare ogni cosa con i guanti, siamo amici ma non rinnegherei mai la mia squadra per la sua.
Ora abbiamo appena finito di mangiare in un ristorante cinese molto ben arredato, Ludovica si è alzata per andare ad incipriarsi il naso e Ivan sta saldando il conto. Io mi tormento le mani, mordendomi la lingua e farneticando parole indefinite.
-Perché hai la mia felpa?- mi domanda Alessandro, squadrandomi.
Mi coglie alla sprovvista e rischio di cadere dalla sedia, mi lancio una breve occhiata e mi accorgo che ha ragione.
-E’ comoda- dico scrollando le spalle.
-Puoi tenerla se ti va- dice sempre senza guardarmi.
-Scusa.
Non so come mi sia uscito, probabilmente è il frutto di una lunga lotta interna tra il pancreas ed i reni, o qualcosa del genere. Il mio problema non è tanto l’orgoglio quanto la stramaledetta voglia di avere sempre ragione.
Lui si lascia andare ad un lungo sospiro.
-Perché non vuoi capire che io lo dico per te?- mi domanda scuotendo la testa –Non puoi almeno pensarci?-
Mi guarda con quei suoi enormi occhi castani e proprio non ce la faccio a dirgli di no. Annuisco brevemente e ringrazio Zeus che Ivan e Ludovica arrivino in questo momento con tempismo perfetto, sciogliendomi dall’imbarazzo.
Come ultima tappa eravamo indecisi tra una gita sul Po, una passeggiata al Parco del Valentino e una corsa tra supermercati e outlet per i regali di Natale. Inutile dire che ha vinto Ludovica, facendo gli occhi dolci a Ivan, così ora siamo in fila nell’ennesimo negozio, io lancio un’occhiata supplicante a mio fratello e lui mi regala uno sguardo sfinito, finalmente riusciamo a pagare tra cassiere maleducate e gente frettolosa, io mi allontano furtivamente da loro sommersa da mille ed uno borse, ben attenta che non mi notino. Corro nel negozio di accessori per la casa e prendo uno zerbino dal disegno simpatico e divertente, poi mi dirigo verso il negozio di musica. Con mia grande sorpresa e fortuna trovo un ragazzo dall’aria cupa e le braccia tatuate che proclama a gran voce la vendita dei biglietti per il concerto di Hilary Duff. Devo vendermi un rene per riuscire a comprarli perciò spero proprio che Alessandro li apprezzi, inoltre il ragazzo sembrava un pusher con il cappuccio calato sugli occhi e l’aria malsana. Vengo percorsa da un brivido e preferisco non pensarci mentre raggiungo nuovamente gli altri.
Sembrano così annoiati ed esausti da non essersi nemmeno accorti della mia breve assenza.
Quando finalmente saliamo in macchina è più tardi del previsto, mi addormento non appena tocco i sedili e la mia testa ricade lentamente sulla spalla di Alessandro.
Il mio ultimo pensiero va a Torino ed alle sue molteplici facce.

 

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Capitolo 6
*** In confronto a questa posto l’inferno è solo una sauna ***


6. In confronto a questa posto l’inferno è solo una sauna
“-Dove sei? Chi c’è con te?-
-Nessuno. Siamo io, me stesso e me-“
Il giovane Holden, J.D. Salingher


 
Entro in prigione direttamente e senza passare dal via.
Non so come vi vengano in mente certe cose, forse ho sprecato troppo tempo a giocare a Monopoli negli anni passati, comunque sia non ritiro quello che ho detto sulla prigione. Faccio un rapido saluto a tutti e corro a chiudermi in camera per evitare Filippo.
Mi appoggio alla porta, tirando un gran sospiro di sollievo e tenendo gli occhi chiusi. Quando sento il cuore riprendere a battere un ritmo accettabile apro gli occhi e lascio cadere a terra il borsone per lo stupore. Mi sento un po’ come se fossi appena capitata su Via della Accademia sulla quale Michela ha costruito tutti e quattro gli alberghi, giusto per rimanere in tema. Prima la mia camera non era il massimo ma ora è decisamente il posto più brutto che qualcuno potrebbe progettare: le pareti sono fucsia e rosa chiaro, a separare i due colori c’è una striscia bianca di carta da parati con l’orlo d’oro, la tastiera del letto, l’armadio ed il comodino sono castano scuro e il letto e dello stesso fucsia odioso e brillante della parte inferiore della parete, giusto per completare l’opera ci sono diversi quadri di gatti appesi alle pareti.
Per un attimo penso di essere appena capitata nello studio della Umbridge poi mi riscuoto e mi dirigo al piano di sotto a grandi passi.
-Che cos’è successo alla mia stanza?
Michela e Rebecca si girano verso di me, interrompendo i loro discorsi sul gossip.
-Non ti piace?- mi domanda Michela sorridente.
-Preferirei avere un gatto aggrappato ad una tetta con gli artigli, piuttosto che dormire là dentro- rispondo massaggiandomi preventivamente il seno.
Filippo, che non avevo ancora notato, cerca di tramutare la risata in un colpo di tosse, continuando a preparare da mangiare.
-Nora…- cerca di ammonirmi Rebecca –Ti proibisco…-
-Non ho mai sopportato il rosa!- esclamo infine, senza nessuna traccia di ironia –Mi odi così tanto?-
Lei rimane spiazzata ed io mi accorgo della gravità di quello che ho detto solo quando vedo gli occhi di Michela riempirsi di lacrime, non posso negare di sentire il senso di colpa mischiarsi alla rabbia e lascio la stanza, prima di aggravare ulteriormente la situazione.
Mi siedo sul letto, non prima di aver preso dallo scaffale il primo libro che mi capita a tiro. Cerco di non guardarmi intorno e di concentrarmi solo sulle parole che mi scorrono davanti agli occhi per non scoppiare a piangere o rischiare di vomitare. Passa un tempo che mi sembra indefinito, durante il quale non riesco proprio ad afferrare il senso del romanzo che mi hanno assegnato per le vacanze. All’improvviso la porta della stanza viene aperta con violenza e sono quasi felice di dover distogliere gli occhi da “Cent’anni di solitudine”.
-Dobbiamo parlare- dice Rebecca piazzandosi davanti a me con lo sguardo duro e le mani sui fianchi.
Torno a rivolgermi al libro, senza dar segno d’averla sentita.
-Nora!-
E’ così arrabbiata che mi sembra di vedere il fumo uscirle dalle orecchie.
-Sto leggendo-.
-Hai idea di quanto si sia impegnata Michela per far sì che questa stanza ti piacesse? E tu le rispondi in modo così maleducato! Possibile che tu non capisca che cerca solo di esserti amica?
-Sto leggendo- rispondo cauta.
Non le urlo addosso, non lascio che i sentimenti prendano possesso delle mie parole, sotterro tutto ciò che vorrei dirle e tento di tenere gli occhi incollati al libro.
-Non te ne importa nulla?
Tento di rimanere impassibile nonostante io senta la sua voce tremare.
-Sto leggendo- ripeto per l'ennesima volta.
-Guardami quando ti parlo- dice Rebecca alzando la voce.
Credo che questa volta perderà davvero il controllo. Alzo lo sguardo su di lei, supplicandola con gli occhi di andarsene. Ho il terribile presentimento che se non lo farà le cose prenderanno una brutta piega.
-Perché ti comporti così?- mi chiede con gli occhi lucidi.
Io per poco non scoppio a ridere o a piangere o entrambe le cose contemporaneamente.
-E' perché sono lesbica?- insiste abbassando appena la voce -Lo so che vorresti avere una madre normale ma io e Michela ci amiamo e...-
-E' perché hai tradito papà!- urlo, senza ascoltare le falsità che so che avrebbe detto -Ed io ti odio per questo, Rebecca-
Lo schiaffo arriva subito e lo accolgo quasi con sollievo. Non fa male, è più che altro il rumore a sorprendermi, avverto il bruciore sia sulla guancia che all’altezza dello stomaco.
-Ti ho vista baciare un’altra! E non è il fatto che fosse una donna o che fosse Michela, il punto sta nel fatto che tu eri lì con qualcun altro! Ed ora osi venire qui a farmi la predica come se fossi io quella che dovrebbe vergognarsi. Hai rovinato la vita di papà e, di conseguenza, anche la mia! Dici che mi vuoi bene eppure non fai nulla per dimostrarlo!
Mi brucia la gola perché sto urlando e mi bruciano persino gli occhi mentre le lacrime calde mi solcano le guance. Sento bruciore ovunque, è come se andassi a fuoco e non è per niente piacevole. Tutto ciò che non le avevo mai detto esce dalle mie labbra senza che io possa fermarlo.
-Tu fai qualcosa per migliorare la tua vita? Assolutamente no! Non ti va mai bene nulla, non fai che incolparmi, rispondere male ed essere maleducata- dice urlando a sua volta.
-Mi hai cresciuta tu, avresti dovuto educarmi, forse non ti è riuscito molto bene.
Normalmente non le parlerei mai in questo modo e non alzerei la voce così con lei, ma non c’è niente di normale in tutto questo.
-Già, probabilmente hai ragione. Magari se ti avessi educata non mi mentiresti e non andresti così male a scuola.
Un altro colpo al cuore, l’ennesimo quest’oggi, il mio respiro si fa ancora più irregolare mentre balbetto parole confuse.
-Filippo te l’ha detto?- esclamo con voce amara, abbassando lo sguardo.
-Filippo?!- mi fa eco confusa –Mi ha telefonato la scuola, dicendomi che stavi recuperando ma che avresti dovuto fare di più se non volevi avere insufficienze in pagella! Mi hanno anche detto che avevano già chiamato-
-Ho avuto altro da fare piuttosto che studiare, ultimamente. Dovevo badare ad un padre ubriaco perché la moglie l’ha lasciato e ad una madre sclerotica!-
Non riesco quasi a parlare, ho la voce rotta dal pianto ed i pensieri in subbuglio.
-Ti proibisco di parlarmi in questo modo!
-E allora vattene- sibilo mentre sento che le lacrime hanno iniziato a bagnarmi anche la maglietta –Non chiedo di meglio-
-Sei in punizione, Nora- mi dice mentre mi accorgo che è sul punto di piangere anche lei –Da qui fino alla fine delle vacanze non potrai più uscire né usare il telefono, non festeggerai il tuo compleanno e prenderai ripetizioni da Filippo-
-Non capisci che così è peggio? Il nostro rapporto non fa che peggiorare!
-Non so cos’altro fare. Ho provato ad essere gentile, a non rimproverarti, a lasciarti i tuoi spazi ma hai esagerato: evidentemente ci vuole un tono più autoritario.
-Tra qualche giorno compio diciassette anni, ancora un anno e poi non dovrai più preoccupartene- lo dico con un filo di voce ma non abbastanza piano affinché non lo senta.
Mi porge la mano e le do il cellulare, poi mi volta le spalle, sbattendo la porta.
Lascio che le lacrime continuino a scendere e vado a sedermi sulla specchiera: l’impronta delle dita di Rebecca è rosa brillante sulla mia pelle e fa pendant con la parete alle mie spalle. Il mio sguardo cade poi sui miei lunghissimi capelli, socchiudo gli occhi mentre ricordo un periodo lontanissimo in cui avevo il capriccio di volere i capelli corti e mia madre mi ripeteva che così erano bellissimi, pettinandomeli con le mani e baciandomeli. Adoravo quando mi passava la spazzola tra i capelli o quando me li accarezzava se piangevo aggrappandomi alle sue ginocchia. Mi accorgo come in un sogno di avere le forbici in mano mentre sento che le lacrime hanno smesso di scendere. Mi lego i capelli in una coda lunghissima e vaporosa, poi li taglio cercando di fare una linea il più dritto possibile, infine mi lascio cadere sul letto e mi addormento in un sogno tormentato e popolato da forbici rosa.
 
Quando mi sveglio mi accorgo con malagrazia che è la vigilia di Natale, non mi preoccupo di cambiarmi ed osservo appena con una smorfia le occhiaie causate dal pianto ed il mio nuovo ed orribile taglio di capelli appiattito su un lato. Se almeno sapessi sfoltirli avrebbero un’aria decente ma, sinceramente, non mi interessa. Scendo a fare colazione senza guardare in faccia nessuno.
-Buongiorno Nora- dice Michela allegra, porgendomi il caffè.
Non rispondo ed inizio a sorseggiare la mia tazza.
-Come si dice?- domanda mia madre a denti stretti.
-Ciao- borbotto stizzita, afferrando un biscotto.
-Buona Vigilia!- esclama Filippo entrando in cucina ed afferrando una brioches.
-Anche a te, caro!- esclama Michela regalandogli un bacio.
-Nora?!- esclama mia madre con gli occhi fuori dalle orbite, incitandomi a rispondere.
-Vaffanculo- dico io, lasciando tintinnare la tazza sul piattino ed andandomene.
So che non avrei dovuto dirlo ma tanto ormai non ho più nulla da perdere.
-Prima l’era glaciale adesso l’Inferno- dice Filippo, abbastanza forte affinché io lo senta.
-In confronto a questa posto l’inferno è solo una sauna- borbotto io, abbastanza piano affinché possano far finta di non aver udito.
Non so se ce l’ho più con mio padre per avermi abbandonata quaggiù, con mia madre per essere quella che è, con Michela per essere così odiosamente gentile, con Filippo perché è così maledettamente affascinante o con me stessa perché riesco a ferire le persone in questo modo. Vorrei telefonare ad Alessandro ma non posso e so che, probabilmente, si starà chiedendo che fine io abbia fatto. Non posso sperare nemmeno che passi a salutarmi visto che ieri ci siamo scambiati regali e auguri, non posso contare su Ivan poiché lui e Ludovica saranno gli unici assenti questa sera. Rimango solo io e, visto come si sono messe le cose, faccio abbastanza schifo come unico punto d’appoggio.
Giaccio in una situazione di apatia confusa fino all’ora di pranzo poi scendo sotto per mangiare nonostante il mio stomaco voglia restare placidamente a digiuno e prendo posto con aria abbattuta.
-Gradirei che vi vestiate in modo decente per questa sera- dice Rebecca indugiando sulla mia felpa macchiata in vari punti e sui pantaloni della tuta a vita bassa di Filippo.
–E che vi comportaste bene- aggiunge a mezza voce.
Io e Filippo ci scambiamo uno sguardo d’intensa, ci accorgiamo quasi subito di ciò che stiamo facendo e rivolgiamo l’attenzione alle patate al forno. Le mangerei con voracità se non provassi quest’incessante voglia di vomitare.
-Hai tagliato i capelli?- mi domanda cautamente Michela, interrompendo il quieto rumore di forchette e bicchieri.
-Oh no- rispondo calma e con un falso sorriso –Mi sono caduti durante la notte-
-E come mai?- domanda Filippo, pensando di fare il simpatico e restando al gioco.
Stai attento, belloccio, perché ho una riserva di munizioni non indifferenti.
-Erano disperati- dico addentando un wurstel così forte da farmi male alla mascella.
-Non ti sopportavano più?- mi chiede ammiccando.
Rebecca trattiene il respiro, probabilmente intuendo la mia successiva risposta ed il fatto che Filippo abbia osato troppo in una manciata di minuti appena.
Qui Nora, siamo pronti a sganciare, ripeto: siamo pronti a sganciare, passo; non posso fare a meno di pensare con un mezzo sorriso.
-Forse, o più probabilmente: non sono riusciti ad apprezzare pienamente il tuo bacio della buonanotte, l’altra sera.
Bomba sganciata, baby.
Filippo deve pensare la stessa cosa perché impallidisce ed arrossisce al tempo stesso mentre Michela assume la vacua espressione di chi è sul punto di svenire.
-Che cosa intendi?- mi domanda Rebecca posando il bicchiere d’acqua che stava per portarsi alle labbra.
-Chiedetelo a lui- rispondo scrollando le spalle.
Filippo balbetta qualcosa di indefinito ed io mi alzo da tavola, senza finire di mangiare e senza sparecchiare. Ho chiuso tutte le emozioni nel sacco di spazzatura nel quale ho buttato i capelli e mi sento vuota, persa e terribilmente sola. Non credo di riuscire a sopravvivere tutto il pomeriggio e temo, sinceramente, di non superare il Natale.
Torno in camera strascicando i piedi e, una volta lì, riapro il libro che ho lasciato sul pavimento ieri sera. Continuo a rileggere la stessa pagina senza riuscire a capirla e non so nemmeno se sono io in uno stato confusionale o lo era lo scrittore del libro.
-Possiamo parlare?- mi domanda Filippo affacciandosi alla soglia della mia orripilante camera da letto, rosso in volto e reduce da una strigliata.
Prima che io possa rispondergli a tono il campanello suona salvandomi in calcio d’angolo, mi precipito di sotto, apro la porta superando con uno scatto felino Michela mi ritrovo davanti Elisa, al quale braccio è aggrappato Gabriel Lumaca, con la faccia di chi vorrebbe essere ovunque tranne che qui.
-Hai dimenticato gli appunti di fisica- dice sventolandomi sotto il naso alcuni fogli all’apparenza bianchi e non miei.
-Gli appunti di fisica- ripeto confusa.
Lei annuisce convinta: -Posso entrare, vero?
Non mi lascia il tempo di risponderle o di fare gli onori di casa, mi supera e corre ad abbracciare e baciare Michela e Rebecca con tanta gentilezza ed entusiasmo da far sì che le due piccioncine rimangano estasiate da lei e non ribattano niente. Infine ci troviamo in camera mia, senza che io ricordi con esattezza ciò che è successo negli ultimi minuti.
-Ovviamente sono qui per vedere come stai- dice con tono critico, scrutandomi da capo a piedi –E da quel che vedo ho fatto bene a passare-
-La Lumaca cosa c’entra?- domando curiosa, sedendomi a bordo del letto.
-Non sapevo il tuo indirizzo, perciò ho avuto bisogno di qualche indicazione- dice mentre inizia a girovagare per la stanza.
-Potevi cercare nelle pagine gialle- dico grattandomi la testa.
-Non ci ho pensato- risponde sinceramente sorpresa.
-Potevi lasciarlo fuori dalla porta- dico buttandomi sul letto.
-Non ho pensato nemmeno a questo- dice sedendosi al mio fianco.
-Io sono qui- ci fa presente Gabriel, sventolando le braccia come se fosse il povero superstite su un’isola deserta. Ruolo che non può avere visto che è già stato occupato dalla sottoscritta.
-E’ un miracolo che vi abbiano fatto entrare- mormoro mordendomi il labbro per non scoppiare a piangere di nuovo –Sono ai lavori forzati-
Gabriel si siede alla mia destra ed io lo lascio fare, non ho nemmeno la forza di fare qualche battuta sarcastica sul suo conto. Elisa, senza dire nulla, mi abbraccia e mi accarezza la schiena con fare materno. Prendo un grande respiro e racconto loro tutto quello che è successo, senza tralasciare nulla, non mi importa che siano una mia compagna di classe stravagante ed uno degli esseri umani che sopporto di meno. Le parole mi escono di bocca come un fiume in piena e mi lasciano appena più serena, è come se il ghiaccio nel mio petto si fosse sciolto ed ora fosse mare gelato, altrettanto fastidioso ma meno pesante da digerire.
-Ed io che pensavo di avere una famiglia complicata perché mio fratello è “una persona speciale”- dice mimando le virgolette con le mani e strappandomi un mezzo sorriso.
-Tu e tua madre avete dei seri problemi di dialogo- commenta invece Gabriel.
Io alzo gli occhi al cielo senza commentare nulla e restiamo per un attimo in silenzio, ognuno di noi alle prese con il proprio filo dei pensieri.  Ci pensa Elisa a riscuoterci: si alza con un veloce movimento degli addominali, batte le mani e mi guarda con un sorriso a trentadue denti. Penso che il suo sia uno dei sorrisi più belli che io abbia mai visto, riesce a coinvolgerti con due semplici fossette ai lati della bocca.
-Diamo una sistemata a questi…- si ferma un attimo e mi osserva con una smorfia divertita – ‘cosi’. Almeno i tuoi parenti avranno qualcosa su cui discutere-
Prima che possa ribattere alcunché mi ritrovo seduta di fronte alla specchiera orribilmente rosa mentre Elisa afferra un paio di forbici mostruosamente rosa e osserva il nostro riflesso nello specchio.
-E come va con il tuo principe azzurro?- mi domanda Gabriel ancora seduto sul letto.
-E tu come fai a sapere di Filippo?- gli domandò arrossendo furiosamente.
-Filippo?- domanda confuso –Io alludevo ad Alessandro-
-Oh- mormoro arrossendo ancora.
-Sei sicura di quello che stai facendo?- chiedo poi preoccupata ad Elisa.
Lei annuisce mentre continua a tagliare ciuffi qua e là, pettinare e bagnare i miei capelli con uno spruzzino incantevolmente rosa. –Mia madre è parrucchiera la osservo praticamente da sempre, l’ho fatto moltissime volte. I tuoi capelli hanno solo bisogno di essere sfoltiti. Non sarà poi tanto diverso che con le bambole.
-Bambole?
-Bambole, persone… i capelli sono uguali!
Tento di rilassarmi e la osservo ridurre i miei capelli ad un caschetto quasi perfetto, appena più lungo sul davanti ed ordinatamente riccio. Non appena posa la piastra con la quale ha ritoccato qualche riccio rendendolo un bel boccolo perfetto, le suona il cellulare.
-E’ mia madre- geme –In teoria dovrei essere al supermercato a comprare le ultime cose per il cenone, ho fatto un salto qui perché ero di strada… più o meno… ma ora devo proprio andare!-
E detto ciò mi abbraccia, mi scocca un rapido bacio sulla guancia e si dilegua.
-Stai molto meglio- disse Gabriel infilando le mani in tasca e dondolando sui talloni.
-Grazie- dico brevemente, osservandomi indecisa nello specchio.
Rimaniamo in silenzio per lunghi attimi imbarazzanti in cui entrambi cerchiamo di guardare ovunque piuttosto che l’altro e tossiamo, per far sparire il silenzio che, però, torna ancora più forte di prima, avvolgendosi nelle sue spire ingannatrici.
-Forse dovrei andare anche io- dice infine avvicinandosi alla soglia.
Annuisco e lui resta per un attimo indeciso, aprendo e chiudendo la bocca come se dovesse trovare il coraggio per dirmi qualcosa infine scrolla le spalle e se ne va. Quando apro l’armadio noto subito che Michela ha arricchito il mio guardaroba e, almeno in questo, non ha sbagliato. Prendo un vestito blu a maniche lunghe e lo butto sul letto poi controllo l’ora e tiro un gran sospiro: mancano poco più di tre ore al cenone e non sono preparata né mentalmente né fisicamente. Mi siedo indecisa sul letto e, ben presto, un profumo di roast-beef, crema pasticcera e patate al forno si fa strada su per le scale, arrivando alle mie narici e facendo brontolare il mio stomaco.
Decido infine di ingannare il tempo rilassandomi, mi dirigo quindi in bagno, riempio la vasca e verso all’interno di essa ogni bagnoschiuma che riesco a trovare. Quando c’è abbastanza acqua calda mi spoglio e mi ci immergo, mi scuso mentalmente con Elisa mentre lascio che anche i capelli si bagnino, poi prendo un bel respiro e lascio che tutti i pensieri si disperdano. Socchiudo gli occhi e mi abbandono al piacere del caldo, dell’acqua che accarezza la mia pelle, riemergo lentamente ed inizio a giocare con la schiuma come facevo quand’ero bambina.
Sospiro.
Vorrei che Alessandro fosse qui con me.
Subito dopo averlo pensato arrossisco nonostante nessuno possa vedermi. Non intendevo certo dire che vorrei fare il bagno con lui, solo che avrei bisogno della sua presenza confortante al mio fianco. Annuisco convinta, poi scrollo le spalle e socchiudo di nuovo gli occhi. Improvvisamente la porta del bagno si spalanca e Filippo entra in bagno intento a smanettare con il cellulare in modo frenetico. Io lancio un urlo isterico e lui alza gli occhi dal marchingegno che, per la sorpresa, gli cade con un tonfo sordo sul tappeto.
-Oddio, scusa, io…- balbetta raccogliendolo.
Il mio primo istinto sarebbe quello di alzarmi e scappare ma, pensandoci meglio, farmi vedere nuda da lui non sarebbe il massimo per sciogliere l’imbarazzo.
-C’è la luce accesa, possibile che tu non abbia pensato che ci potesse essere qualcuno?
-Non ci ho fatto caso- dice azzardando una risata nervosa.
-Bussare è fuori moda?
-Scusa, davvero, stavo messaggiando con Isabella e… mi dispiace.
-Okay, okay- mormoro sempre più nervosa, sperando che la schiuma copra tutto –Ora potresti uscire?-
-Certo, certo-.
Si volta, mette la mano sulla maniglia, fa per uscire, si blocca e torna sui propri passi. Io, che avevo quasi ricominciato a rilassarmi, mi irrigidisco nuovamente e alzo gli occhi al cielo: perché ogni volta che mi piace un ragazzo devo finire in una situazione imbarazzante con lui in bagno? E perché questo deve anche essere sempre fidanzato? Potrei inventare il complesso di Nora.
-Sei arrabbiata con me?- dice poi guardandomi negli occhi.
Io abbasso lo sguardo, sempre più imbarazzata.
Annuisco sempre senza riuscire a guardarlo. Lui sembra finalmente accorgersi del mio nervosismo perché ride.
-E’ come se fossimo fratelli, non dovresti vergognarti- mi stuzzica.
Avvampo ancora di più e sento che il caldo è improvvisamente diventato soffocante.
-Io potrei spogliarmi e questo non dovrebbe crearti alcun fastidio- dice guardandomi ammiccante.
Oh, miseriaccia, E’ l’unica cosa che riesco a pensare quando si toglie la maglietta e resta solamente con i pantaloni della tuta che lasciano intravedere i boxer blu scuro. Mangio il suo petto con gli occhi mentre penso che potrei svenire.
-Filippo…- mormoro e non so nemmeno io cosa sto per dire.
Nel silenzio carico d’attesa che si è creato sentiamo chiaramente i tacchi, che Michela dev’essersi infilata per la cena, ticchettare nel corridoio verso di noi.
-Nasconditi nella doccia!- esclamò facendogli dei grandi cenni con la mano ed indicando il box.
Lui vi si precipita, portandosi appresso la maglietta, Michela bussa con delicatezza ed io rispondo con voce roca, cercando di riprendere un certo contegno. Entra timorosa e dubbiosa, quasi in punta di piedi ed io tento di assumere un cipiglio corrucciato e di non lanciare continue occhiate al box doccia.
-Questa sera potrai parlare con mio fratello, dirai a lui come desideri la stanza e provvederà a ridipingerla. Mi dispiace che non ti sia piaciuto, era il mio regalo di Natale.
Mi guarda negli occhi e noto che, sotto al trucco, ci sono due profonde occhiaie e gli occhi gonfi di chi ha passato molto tempo a piangere. Lo stomaco mi si stringe nell’ennesima morsa pungente: da una parte vorrei urlarle addosso e fare una scenata, dall’altra scoppiare a piangere e scusarmi. Nell’indecisione borbotto qualcosa di indefinito ed annuisco appena. Quando lascia il bagno riesco finalmente a riprendere a respirare, Filippo esce dal box doccia, fa per dire qualcosa ma poi ci rinuncia e, con un piccolo saluto militare, si congeda.
Mi immergo sott’acqua, lasciando che i capelli galleggino insieme alla schiuma. Vorrei poter tirare lo scarico e sparire nelle fogne. Chissà che laggiù, da sola, tra melma, fango e altri oggetti non meglio identificabili, io non riesca a combinarne una giusta.

 

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Capitolo 7
*** L'importante è che tu sia qui, ora ***


7. L’importante è che tu sia qui, ora
Ogni famiglia ha un segreto,
 e il segreto è
che non è come le altre famiglie
Alan Bennett
 
Avete presente quelle famiglie in cui tutti vanno d’amore e d’accordo? Dove c’è lo zio extramiliardario la quale moglie fa i regali giusti ai nipoti, dove la nonna ha vinto Bake Off Italia e l’unico rumore che si sente durante la cena sono i mormorii d’apprezzamento? Dove si ride e si scherza ma sempre senza esagerare, si sta bene insieme e si fa una rimpatriata ogni tanto, ci si tiene costantemente in contatto e si sa tutto di tutti rispettando comunque la privacy? Le zie sono come delle amiche, gli zii ti comprano i preservativi e i cugini più grandi ti insegnano come ci si deve comportare nella strada angusta della vita?
Beh, la mia non è una di quelle.
Poco prima di aprire la porta alzo gli occhi al cielo e mormoro: -Per una volta, una volta sola, ti prego, fa che vada tutto bene-. Poi abbasso la maniglia e vengo travolta da zia Cesarina. Potrebbe sembrare una cosa da niente se non fosse che mia zia è più larga che alta –e lei è una di quelle persone che, con un paio di tacchi, rasentano il soffitto con la testa enormemente acconciata in una crocchia disordinata-, mi strapazza per bene, afferrandomi le guance e tritandomele, poi mi scocca due sonori baci su ogni guancia e mi stritola ancora un po’ nella sua mole enorme. Suo marito, zio Lorenzo, è l’esatto contrario, mi devo abbassare per salutarlo e lui mi sorride, prolungandosi in una moltitudine di complimenti. Poi arrivano i gemelli sciagurati che mi sono capitati per cugini: Cristiano e Gregorio –dico io, come puoi chiamare i tuoi figli Cristiano e Gregorio?- . Hanno preso un po’ dal padre e un po’ dalla madre con il giusto compenso: sono alti e allampanati, così magri che fatico a scorgerli di profilo e con cos’ tanti brufoli in faccia che stento a vedere le chiare lentiggini castane, hanno gli occhi azzurri come Rebecca e i capelli costantemente in disordine. Quasi dimenticavo: sono fastidiosamente intelligenti, asociali e sarcastici.
Quando zia Cesarina vede Rebecca lancia un risolino eccitato, poi la abbraccia rischiando di soffocarla –non negherò che io ci abbia sperato per una frazione di millisecondo- ed inizia a strapazzare anche Filippo quando il campanello suona nuovamente: è il famoso fratello di Monica, l’architetto che ha progettato la mia obbrobriosa camera, è bello almeno tanto quanto la sorella ed è più che elegante.
Gli porgo timidamente la mano e lui me la stringe con un largo sorriso: -Sono sicuro che saremo ottimi amici- mi dice con un occhiolino –E penso che, se ti fosse piaciuta quella camera, non avresti mai potuto entrare a far parte della famiglia.
Rimango per un attimo interdetta, indecisa se sorridere o meno ma ci pensa lui a togliermi dall’imbarazzo scoppiando a ridere in modo sguaiato ed insolitamente affascinante.
-Federico- dice infine con una altra strizzata d’occhi e continuando a stringermi la mano poi si precipita ad abbracciare Filippo.
Il campanello suona per la terza volta e mi precipito ad aprire ancora sconvolta: entrano due anziani signori intenti nel litigare. Io porgo loro la mano, immaginando che siano i genitori di Monica, la signora –che mi invita a chiamarla Nonna Carlotta- mi stringe un abbraccio caloroso, il signore –“Nonno” Claudio- mi scambia per Rebecca e, per fortuna, arriva lei a chiarire l’equivoco. Non faccio in tempo ad allontanarmi dall’uscio che il campanello suona di nuovo, entrano Nonna Secondina, Nonno Giuseppe, Zio Giorgio, zia Anna, Aurora, la mia piccola Elena e, prima che possa richiudere la porta, anche Nonna Meme e Nonno Ivano. Non mi ero accorta di quanto mi mancasse la mia sorellina fino a che non è corsa ad abbracciarmi.
-E papà?- mi chiede subito dopo avermi riempito di baci appiccicosi al gusto di zucchero filato.
-Non è potuto venire- mormoro.
Nessuno me l’ha detto ma suppongo sia stato così.
Rebecca e Monica fanno strada in salotto e lì trovo un bel tavolo imbandito con tovaglia bianca, tovaglioli rossi, bicchieri in cristallo ed una curiosa serie di piatti con disegnati buffi Babbo Natale blu. Mi siedo tra Elena e zio Giorgio, il più lontano possibile da Rebecca. Arrivano i primi antipasti nel silenzio totale, interrotto solo dal lento chiacchiericcio di Elena e Aurora. Inizio ad essere nervosa e a pensare che la serata trascorrerà in questo modo orribile quando finalmente Nonna Meme interrompe il silenzio.
-Nora, hai tagliato i capelli?- mi chiede urlando, come se fossimo in una stanza affollata immersi nel caos totale.
-No, nonna- dice Gregorio alzando gli occhi al cielo.
-Li ha mangiati- aggiunge Cristiano.
Elena scoppia a ridere sonoramente e Aurora la segue.
-Ai miei tempi non si rispondeva così ai nonni!- esclama Nonno Giuseppe  indicando i gemelli e brontolando qualcos’altro a mezza voce.
-Per forza, all’era dei dinosauri non era stato inventato il linguaggio- esclama zio Giorgio ammiccando.
-Cosa c’entra il linciaggio, tesoro?- domanda Nonna Secondina confusa.
-Stavo scherzando.
-Non si scherza sul linciaggio, non è una bella cosa- replica Nonno Ivano scuotendo la testa.
-Come mai questa drastica decisione?- mi domanda zia Anna lasciandoli al loro sproloquio.
Rebecca mi lancia un rapido sguardo ammonitore mentre riempie i piatti di risotto ai frutti di mare.
-Da grandi poteri derivano grandi responsabilità- rispondo io ingrossando la voce e mettendomi una mano sul fianco. Zia Anna ride ma non indaga oltre mentre Gregorio mi lancia una lunga occhiata inquisitoria.
-Stavi meglio prima- dice zia Cesarina, nonostante non mi veda da più di un anno –Ora sembri una scopa! Non è vero, Lorenzo?-
-Ma certo cara- risponde lui sorridendo a mo’ di scusa.
-Non si dicono queste cose a tavola!- esclama intanto nonna Secondina, ancora in piena discussione con suo figlio.
-Ma mamma…- fa per dire zio Giorgio sulla soglia dell’esasperazione.
-Niente se e niente ma, anche se ormai sei grande e vaccinato, ho ancora il diritto di rimproverarti! Non mi sembra il caso di parlare di genitali!
-Cara, credo che intendesse i legumi- gli dà man forte Nonno Giuseppe appoggiandole una mano sul braccio.
-Non ti ci mettere anche tu, non sono mica sorda!- esclama lei rimproverandolo con la forchetta.
Filippo non ha ancora toccato il suo risotto, perso com’è nella contemplazione della mia assurda famiglia. Un po’ mi fa pena: non è facile per nessuno la prima volta. Penso che potrebbe essere anche divertente la mia parentela, se presa a piccole dosi. Ma così, all’improvviso, è decisamente destabilizzante. Lo tocco appena con il piede e lui si volta verso di me. Io faccio una smorfia, indicando con gli occhi tutti quanti, lui fa spallucce e mi sorride.
Rotto il ghiaccio zio Giorgio inizia a discutere con Federico di politica mentre Nonno Giuseppe ogni tanto si intromette con qualche frase sgangherata, io converso più o meno amabilmente con le zie e le nonne parlano tra loro. Procede tutto in modo abbastanza normale, almeno fino a che Nonno Ivano non confonde il bicchiere di zio Lorenzo per il proprio ed inizia a bere vino.
-Balliamo la salsa!- esclama mentre io tento invano di tagliare il mio salmone in modo dignitoso.
-Come puoi mettere la salsa sul pesce?- gli fa eco Nonna Secondina disgustata.
-Ti senti bene, nonno?- gli domanda Gregorio preoccupato mentre quelli si alza e si lancia in un balletto piuttosto imbarazzante.
-Aveva un sapore strano quella coca cola!- esclama lui girando su sé stesso.
-Credo che abbia bevuto il mio vino- mormora Lorenzo osservando, perplesso, il proprio bicchiere vuoto.
Mentre zia Cesarina inizia ad urlargli contro nonna Meme prende in mano la situazione e, insieme a Rebecca, porta il nonno a stendersi di sopra. In realtà Meme non è il suo vero nome ma, siccome quand’ero piccola non riuscivo a pronunciarlo, le è rimasto il soprannome con cui la chiamavo che, detto tra noi, fa decisamente la sua figura in confronto ad Ermenegilda.
Il resto della serata trascorre in modo abbastanza tranquillo per i nostri standard –compresa la parte in cui Aurora e Elena trovano divertente lanciare pezzi di cibo addosso alla gente e i gemelli danno loro man forte riuscendo a non farsi scoprire, o quando zio Giorgio inizia a raccontare la storica barzelletta del francese, l’inglese e italiano, o ancora quando la signora Carlotta sommerge me e Filippo di domande imbarazzanti e zia Cesarina le dà man forte, chiedendomi se io sia ancora vergine, a quel punto interviene Rebecca domandando quante persone desiderino il dolce a voce un po’ troppo alta-. Sto giusto tagliando la mia fetta di torta ai mirtilli –l’unico particolare per cui vale la pena essere nipoti di zia Cesarina e zio Lorenzo- quando Federico si sporge in avanti, in modo da farsi vedere da me nonostante la mole di zio Giorgio, e mi domanda come vorrei la mia camera.
Filippo, nel frattempo, ha la brillante idea di farmi il piedino sotto il tavolo. Inizialmente tento di ignorarlo pensando che, vista l’esiguità di spazio vitale di cui disponiamo, lo faccia per sbaglio ma, quando persiste mi sento avvampare e gli lancio una breve occhiata lui ricambia ammiccando ed io mi sento sciogliere come Olaf davanti a un camino.
-Niente di particolare- dico infine a mezza voce –Mi piacerebbe di un bel blu rilassante-
Tento inutilmente di parlare, ignorare Filippo e mangiare la torta contemporaneamente.
-Magari sfumato nell’azzurro?- mi domanda pensieroso.
-Sarebbe perfetto- annuisco senza poter sorridere a causa della bocca piena.
Il piede di Filippo ha iniziato ad accarezzare il mio, lentamente.
-Smettila- gli sussurrò lanciandogli un’occhiataccia mentre tento di scacciare la fastidiosa sensazione al basso ventre.
-Di fare cosa?- mi domanda lui candidamente.
Manca ormai poco meno di un’ora alla mezzanotte quando sentiamo dei colpi alla porta. Io corrugo la fronte: chi mai potrebbe bussare invece che suonare il campanello? Immediatamente la mia mente malata formula l’ipotesi di un serial killer o, come minimo, un ladro sgangherato.
-Stai tranquilla- mi rassicura Gregorio lanciandomi un’occhiata penetrante da sopra lo strato di brufoli.
-Sì- aggiunge il gemello con lo stesso sguardo inquisitorio –La percentuale di furti ed omicidi qui, nell’ultimo anno, è scesa dello 0,09%, arrivando all’esigua quota di cento casi all’anno-
-E questo dovrebbe rassicurarmi?- domando mentre la mia voce sale di un’ottava.
Filippo ride ma, non appena nota il mio sguardo, tramuta l’eccesso di risa in un attacco di tosse. Subito dopo Babbo Natale entra nella stanza. Inizialmente penso di aver sbagliato bicchiere anche io e di aver bevuto tutta la birra che si è scolato zio Giorgio, poi Elena ed Aurora si alzano in piedi, lanciano gridolini eccitati, corrono incontro all’uomo vestito di rosso dandomi conferma della sua materialità.
-Ho qui un sacco pieno di regali!- esclama da sotto la barba bianca e palesemente finta.
Una strana sensazione si fa largo nel mio stomaco: nonostante cerchi di camuffare la voce sono sicura di conoscerla molto bene. Mentre tento di rimuginare e di afferrare ciò che continua a sfuggirmi la tavola si riempie di regali: Elena ed Aurora se ne caricano le braccia, ne ricevo qualcuno anche io e mi affretto a scartarli, scoprendo libri, vestiti e qualche gioiello. Babbo Natale scuote il sacco, come se questo fosse realmente capace di far apparire i regali sul momento e dice: -E l’ultimo per la piccola Nora!
Il mio cuore fa un tuffo e, senza aspettare che Rebecca mi porti il pacchetto, mi alzo e mi dirigo a grandi passi verso Babbo Natale. L’odore pungente di dopobarba non è che l’ennesima conferma, abbraccio mio padre più felice che mai, senza neanche prestare attenzione al regalo che mi sta porgendo.
-Sei venuto!- esclamo mentre sento che ride e mi stringe a sua volta.
-La terapia sta andando molto bene ed hanno deciso che potevo venire a portare un regalo a mia figlia- dice accarezzandomi la schiena e soffermandosi sul mio caschetto disordinato –Mi dispiace di non essere venuto per cena ma volevo farti una sorpresa ed il regalo in realtà… io…-
-L’importante è che tu sia qui, ora- mormoro sottovoce incurante dell’imbarazzo e di tutti gli altri che ci fissano chi sorridendo e chi borbottando –Questo è il più bel regalo-
Apro il pacchetto che mi porge e vi trovo un’Ipod nuovo di zecca, di un bel blu profondo, sulla carta regalo poche parole: “Da mamma, ti voglio bene”. Faccio il giro per ringraziare dei regali ricevuti e mi accorgo, non senza un certo scetticismo, che Rebecca non c’è. Non faccio in tempo ad andare da Monica per chiederle spiegazioni che Filippo mi si para davanti con addosso il pullover che gli ho regalato.
-Grazie- dice sorridendo e dandomi un bacio sulla guancia.
-Anche a te- dico ricambiando il sorriso.
-Ma se non ti ho regalato nulla- dice lui perplesso.
-Pensavo..- mormoro imbarazzata –Che tu fossi compreso nel regalo di tua madre-
Lui scuote la testa poi mi porge un pacchetto incartato in modo goffo, incitandomi con lo sguardo ad aprirlo. Lo scarto con delicatezza e trovo due orecchini d’argento a forma di fata. Sorrido a trentadue denti e gli butto le braccia al collo, lui mi stringe con una mano e ride.
-Ora posso ringraziarti?- dico sorridendo a mia volta ed allontanandomi appena da lui.
-Direi di sì, piuttosto: mi sono fatto perdonare?- domanda dondolandosi sui talloni, la sua mano appoggiata ancora sulla mia schiena.
-Direi di sì- gli rispondo sorridendo.
Rimaniamo per qualche attimo così poi, prima che la situazione possa evolversi in modo disastroso, Elena mi strattona esclamando qualcosa sulla sua barbie nuova di zecca. A mezzanotte in punto zio Giorgio stappa lo spumante, tutti urliamo i nostri auguri, tutti tranne zia Cesarina intenta a massaggiarsi la testa a causa del tappo che le è rimbalzato addosso.
Prendo un bicchiere di spumante ed una fetta di Pandoro, mentre mi avvicino a Gregorio e Cristiano per far loro gli auguri.
-Ti farà soffrire, Nora- dice Cristiano sorseggiando il suo bicchiere.
-Chi?- dico facendo finta di non capire.
-Il belloccio, non fa per te- dice Gregorio scuotendo la testa.
-Esatto: tu hai bisogno di qualcuno con un po’ più di sale in zucca.
-E’ come se fossimo fratelli- farfuglio addentando il bicchiere al posto del dolce.
-Certo, ma ricordati che puoi avere di meglio.
-Per esempio?- domando alzando gli occhi al cielo.
-Alessandro- dicono in coro con due sorrisi che non mi piacciono per niente.
-Voi state male.
-E’ inutile che lo neghi- dice Cristiano ridendo.
-E’ chiaro come il sole- aggiunge Gregorio.
-Limpido come l’aria- annuisce Cristiano facendo un ampio gesto con la mano.
-Non dovresti negarlo, cuginetta: siete fatti l’uno per l’altra- conclude il gemello ammiccando.
-Detto da uno che si chiama Gregorio Gregucci non so quanto possa valere.
Lui fa una smorfia terribile, come se gli avessero appena ricordato il suo peggior nemico.
-Quello è colpa della balenottera- dice Cristiano indicando sua madre che si sta scolando l’ennesimo bicchiere di spumante –e, ora che ci penso, credo che Rebecca ne abbia comprata una bottiglia solo per lei-
Gregorio annuisce vigorosamente e si massaggia il petto, come se gli avessi appena inflitto un colpo mortale citando il suo nome.
-Primo o poi verrà ricompensata per la sua cattiveria- aggiunge a mezza voce.
-E come? Andate all’anagrafe, vi spacciate per lei e le fate riacquistare il cognome da nubile? Così che ritorni ad essere Cesarina Cesarini?- domando scuotendo la testa.
-Ottima idea!- concorda Gregorio ridacchiando.
-Lascia stare- dice invece Cristiano –A volte penso che abbia sposato nostro padre solo per poter cambiare cognome-
-Non dovreste essere così perfidi con lei- dico scuotendo la testa.
-A volte penso che non ce ne sia bisogno perché lo è già stata madre natura- mormora Gregorio con una strizzata d’occhi.
Io scoppio a ridere un’ultima volta poi sento suonare il telefono, sepolto dal baccano che regna tra noi sovrano, e corro a rispondere.
-Pronto?- dico tappandomi un orecchio.
-Buon Natale, principessa!- esclama Ivan.
Sento, in sottofondo, altro baccano e non riesco più a distinguere se derivi dall’ambiente circostante o dal telefono.
-Come stai?- mi domanda dopo che ci siamo scambiati gli auguri.
-E’ venuto papà!- esclamo io in risposta –Aspetta, ho un’altra chiamata in linea-
-Okay, ci sentiamo! E grazie per i regali, erano bellissimi. Un bacio! Salutami la mamma ed Elena-
Lo saluto a mia volta, poi cerco inutilmente di allontanarmi almeno un po’ dal rumore ma, anche chiusa in bagno, continua a sentirsi il fastidioso sottofondo assordante.
-Pronto?
-Buon Natale, babbana!- esclama Alessandro scoppiando a ridere.
-Attento a te: tra qualche giorno compirò diciassette anni, allora potrò usare la magia e, la prima cosa che farò, sarà affatturarti.
-Prima dovresti venire a trovarmi o, per lo meno, scrivermi.
Io mi lascio scappare un gemito.
-Scusa, Sandro, davvero! E’ che Rebecca mi ha messa in punizione, è successo un casino- mormoro per non farmi sentire.
-Quindi niente cellulare?
-Niente cellulare.
-Ecco perché non mi rispondevi, ti ho lasciato più o meno trecentonovantaquattro chiamate perse, credo…
-Per fortuna ti ho dato il numero di casa.
-Per fortuna sono intelligente.
Rimaniamo per un attimo in silenzio mentre mi contemplo la punta delle scarpe ed avverto, in un miscuglio di voci ovattate, che hanno già notato la mia assenza –“dov’è Nora?” sta chiedendo Nonno Ivano. “Quante volte ti devo dire che mia nuora è morta!!” esclama nonna Secondina-.
-Credo che io debba andare, Buon Natale scemo.
-Grazie per i biglietti, ci andremo insieme sappilo. Buon Natale, Nora.
Mette giù ed io rimango con il sorriso sulle labbra a fissare il telefono ancora un po’ poi poso il Cordless al suo posto e scendo di sotto dove stanno ancora brindando e chiacchierando allegramente. Finalmente trovo Rebecca e la ringrazio calorosamente –o, almeno, con più affetto di quanto ne avrei mostrato questa mattina- per il regalo.
-Grazie- dico sorridendole.
Lei mi abbraccia ed io resto immobile, imbarazzata, vedo con la coda dell’occhio qualcosa di strano sul suo viso ma, prima che possa rifletterci su, è già sparito. Subito dopo propongo a gran voce di giocare a tombola e tutti accettano entusiasti. Solo i nonni decidono che si è fatto troppo tardi e ci salutano –nonna Meme sostenendo nonno Ivano- ed io li abbraccio tutti, sentendomi allegra ed affettuosa. Avanzo persino un “è stato bello conoscervi” rivolto alla signora Carlotta e a suo marito.
Infine si crea una divisione quasi naturale: gli adulti sostano al tavolo tra caffè ed amari a chiacchierare di questioni più o meno importanti mentre io, Filippo, i gemelli e le due pesti giochiamo a Monopoli seduti sul tappeto davanti al camino acceso. Quando sto per vincere Elena si appoggia sulle mie gambe e si addormenta mentre la accarezzo i capelli.
-Sì!- esulta Gregorio battendo il cinque al gemello quando finisco su Via Vittoria e devo sborsargli più soldi di quanti io abbia mai visto nella mia vita.
-Non urlare- lo rimprovero con un’occhiataccia, indicando Elena.
-Agli ordini, mamma Nora- mormora lui sorridendo entusiasta.
-Tanto perderai- dice Cristiano mentre lancio i dadi.
-Certo, se continui a fare l’uccello del malaugurio.
-Non è quello- dice Gregorio –E’ questione di statistica: non hai mai vinto contro di noi-
-Solo perché voi siete abituati a maneggiare i soldi- ribatto a denti stretti.
Presto anche Aurora si addormenta sdraiata sul divano e noi decidiamo di cambiare gioco.
-Potremmo optare per una semplice partita a carte- propone Filippo.
-Oppure giocare a Master Mind a coppie- dice Gregorio.
-Perché no?- risponde il Filippo sorridendo.
-Non è una buona idea- lo avviso io con un sospiro di esasperazione –Gregorio e Cristiano sono così intelligenti da farmi venire la nausea-
-Potremmo batterli comunque- dice Filippo facendo spallucce.
Dieci partite e neanche una vittoria più tardi il belloccio si arrende.
-Avevi ragione- mi dice buttandosi all’indietro e finendo con la testa sulle mie gambe dove, fino a poco fa, c’era Elena –Sono troppo intelligenti-
-D’altronde da qualcuno avrò preso- dico schiarendomi la voce.
-Sbagliato- mi corregge Gregorio scuotendo la testa.
-Noi abbiamo l’intelligenza, Ivan e Elena si sono presi la bellezza, quindi credo ch tu e Aurora condividiate qualcosa-
-Tipo?- domando assottigliando gli occhi.
-L’amore per il cibo- risponde Gregorio ammiccando.
Io incrocio le braccia al petto, fingendomi offesa, mentre Filippo ride a sua volta, gli rifilo uno scappellotto e lui si tira su di scatto, continuando a ridere.
-E’ ora di andare, ragazzi- dice zio Lorenzo, infilando la giacca –Sono già le tre del mattino-
-E’ un orario mostruosamente tardo, cribbio!- esclama Cristiano.
-Nessuno dice più cribbio- faccio notare loro alzandomi in piedi per salutare.
-Non c’è nemmeno più nessuno che si chiama Gregorio. Ma prova a spiegarlo a mia madre.
Io rido, accorgendomi solo in questo momento che la serata non è stata affatto un completo disastro, poi sbadiglio, stiracchiandomi. Quando se ne vanno tutti la casa piomba nuovamente nel silenzio e la magia sembra essersi rotta. Restiamo tutti a guardare la parete di fronte o i resti della serata, per non dover incontrare gli occhi altrui, mio padre fischietta assorto, le mani in tasca, la testa bassa.
-Forse dovrei andare anche io- dice mio padre, passandosi una mano tra i capelli –Domani, che poi sarebbe oggi, dovrò essere in clinica alle cinque-
-No, scommetto che mamma non avrà nessun problema se dormirai sul divano- dico io prontamente, sorridendo e sbattendo le ciglia con le ultime energie che mi sono rimaste.
-Ma certo- sorride Rebecca annuendo, un po’ troppo in fretta perché sembri sincera.
-Nonna Secondina e Nonno Giuseppe pensavano di fermarsi fino all’Epifania per salutare i vari parenti sparsi per la regione, perciò forse torneranno a fare un salto- mi informa papà.
Io annuisco, poi saluto brevemente Monica, Rebecca e Filippo, mio padre mi segue su per le scale ed io gli prendo una coperta dall’armadio.
-Ora capisco perché hai fatto tanto casino per questa stanza- dice mio padre ridendo ed aggiustandosi gli occhiali sul naso.
Io sorrido e, poco dopo, mi sento già scivolare nel mondo dei sogni.
-Buonanotte- dice mio padre rimboccandomi le coperte e lasciandomi un bacio sulla fronte. Mi rannicchio e mi raggomitolo, sorridendo appena poi mi addormento, scivolando in un sonno senza sogni.

 

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Capitolo 8
*** In compagnia di un troglodita troppo bello per essere vero ***


8. in compagnia di un troglodita troppo bello per essere vero
Esaminava quel volto, cercando di non leggere
quello che vi era scritto così chiaramente,
e contro la sua volontà
vi leggeva quello
che non voleva sapere.
Lev Tolstoj, Anna Karenina
 
Guardo mio padre mettere in moto la macchina e l’attacco di panico inizia a farsi strada nella mia mente, facendo a pugni con la razionalità. E’ peggio di quando mi ha lasciata qui la prima volta perché, ora, so che cosa mi attende: i litigi, la freddezza, la maleducazione, i finti sorrisi, le parole non dette, i silenzi assordati; sono stufa di tutto questo. Lui mi rivolge un ultimo breve saluto con la mano, poi schiaccia l’acceleratore ed io rimango con la mano a mezz’aria a salutare una nuvola di fumo.
Nei giorni seguenti la calma sembra regnare nuovamente sovrana, il gelo pungente si avverte fin dentro le ossa e non riesco a scambiare più di qualche battuta con nessuno dei miei tre coinquilini, tutta la magia regalata dal Natale sembra essersi rotta. E si disintegra definitivamente quando, alla vigilia del mio compleanno, sediamo tutti di fronte alla televisione fingendo di essere una famiglia normale. Io sono raggomitolata sotto un minion gigante sottoforma di coperta, Filippo mangia rumorosamente dei pop-corn e le due piccioncine sonno raggomitolate una sull’altra in una posizione che non troverebbe comoda neanche un eremita del deserto specializzato in contorsionismo.
-Abbiamo deciso di farvi un regalo per capodanno- dice Rebecca sorridendo ad entrambi.
Mi metto subito sull’attenti: se sono buone notizie per lei non lo saranno di certo per me. Questa è matematica, signori miei.
-Cioè?- domando con un filo di voce.
-Domani pomeriggio io e Monica partiamo per un viaggetto a Parigi, perciò potete organizzare una festa-.
-A patto che non distruggiate la casa- aggiunge Monica ridacchiando.
Dov’è finita la famosa punizione con i lavori forzati?
Rivoglio la mia punizione!
Filippo fa correre lo sguardo da una all’altra, allibito e, per la sorpresa, gli va un pop-corn di traverso mentre qualche altro gli esce dalla bocca cadendo sul tappeto lindo. Tutto questo, però, è un misero chicco di riso in una dispensa cinese in confronto a ciò che sta accadendo a me: sento gli occhi bruciare come la spiaggia alle due del pomeriggio in piena estate, lo stomaco sigilla i battenti a qualsiasi idea di cibo, le lacrime iniziano a fare a pugni con le pupille per uscire ed i pensieri corrono impazziti nella mia testa.
-Grazie-.
Il tono con cui pronuncio questa misera parola è così amaro che stupisce persino me.
Ed io che pensavo che forse stessimo iniziando ad allacciare i rapporti, magari al mio compleanno avrei risentito “la magia del Natale” ed avrei chiesto scusa a Rebecca.  Ma lei no, ovviamente no, deve andare a Parigi con la sua innamorata. Con mia grandissima sorpresa non sento rabbia, solo delusione e malinconia. Affondo le unghie mangiucchiate nei palmi delle mani e prendo un gran respiro.
-Non sei contenta?- mi domanda Monica perplessa.
-Certo che lo sono, era proprio quello che avevo scritto nella lettera per Babbo Natale: un Capodanno senza la mia famiglia ma in compagnia di un troglodita troppo bello per essere vero.
Mi trema la voce ma non ci faccio caso, li guardo tutti e tre mentre le lacrime iniziano a solcarmi le guance, li sfido con lo sguardo a contraddirmi poi salgo in camera e mi butto sotto le coperte incurante del fatto che siano le cinque del pomeriggio. Non scendo per cena, resto semplicemente a fissare il soffitto maledettamente rosa senza versare nemmeno una lacrima.
Quando mi sveglio la prima cosa che avverto è il mal di testa, la seconda è che è il mio compleanno e questo mi sembra, forse, ancora più terribile del primo fatto.
Scendo a far colazione senza rivolgere la parola a nessuno, sembro uno zombie e me ne rendo perfettamente conto ma non ci do peso più di tanto. Monica e Rebecca, assorte nel discutere su cosa portare o meno in vacanza, si interrompono non appena metto piede in cucina.
-Auguri!- esclamano all’unisono facendo un sacco di moine inutili.
Inizio a mangiare con una lentezza esasperante mentre loro continuano il loro inutile sproloquio, a salvarmi ci pensa zia Cesarina telefonandomi per farmi gli auguri. Subito dopo pranzo –circa venti chiamate-compleanno più tardi- arriva Alessandro.
Ci sediamo sul divano siccome Monica e Rebecca sono appena uscite per una commissione ed io sto per cimentarmi nella spiegazione della tragedia più struggente mai rappresentata quando Filippo ci interrompe.
-Tua madre mi ha detto di dirti che dopodomani dovrai iniziare a prendere ripetizioni dal sottoscritto e volevo chiederti se vuoi che qualcuno sia invitato alla festa-
-Credo che resterò in camera mia senza fare il minimo rumore, fingendo di non esistere- mormoro con voce atona lanciando un rapido sorrisetto ad Alessandro.
Filippo fa per aggiungere qualcosa poi sembra ripensarci, gira sui tacchi e se ne va.
Racconto al mio migliore amico per filo e per segno tutto ciò che è successo negli ultimi tempi e tutto ciò che riesce a dirmi è, beh, niente. Rimane a fissarmi con una solida espressione da pesce lesso, le braccia incrociate sul petto.
-Che c’è? Questo non è il momento in cui mi insulti e dai ragione a Rebecca?-
-E così Filippo ti dà ripetizioni?
Scherza, vero?
-Ti ho appena spiegato che me lo ha imposto lei!
Lui mi lancia un’occhiata di sottecchi.
-So cosa stai pensando Sandro e, se ci fosse anche una sola remota possibilità che ciò accada, ti direi che se mi mettessi con lui tu resteresti comunque l’unico punto fermo della mia vita.
-Quindi ci hai rinunciato?- domanda lasciando perdere l’espressione sostenuta e facendosi più vicino.
Io faccio spallucce.
-Perché non ci provi con lui?
Scoppio a ridere sicura che lui stia scherzando, rido così tanto da rotolarmi per terra e battere ripetutamente il pugno sul pavimento, infine mi asciugo le lacrime e mi ricompongo.
-Dovresti almeno provarci, Nora.
Scuoto la testa con decisione.
-Come posso farlo? Non ne sono capace e lui non ricambierà mai i miei sentimenti.
Alessandro mi guarda negli occhi e assume un cipiglio serio, quasi severo: -Sei una bellissima ragazza, di quelle bellezze non convenzionali. Le altre si truccano e tu ottieni il doppio del risultato senza alcuno sforzo. Sei unica e non c'è qualcuno che possa starti accanto senza essere travolto dal tuo modo di essere. Quindi io non vedo nessun caspita di motivo per cui non dovresti provarci con lui.
Per un momento rimango interdetta e trattengo il respiro, ricambio l'occhiata intensa che mi sta lanciando e mi sento scaldare il cuore. Vengo rapita dai suoi enormi occhi castani e per qualche secondo mi perdo in essi. Per un solo, assurdo ed interminabile momento lascio perdere tutto il resto mentre ciò che ha appena detto nuota felice nella mia testa. Appoggio la mano sulla sua coscia e mi avvicino ancora di più a lui ma, poco prima che io arrivi al punto di non ritorno, Rebecca entra in casa allegramente accompagnata da Monica.
Scatto in piedi come una molla e, con un colpo d’anche disumano, mi lancio sulla poltrona. Ansimo e mi passo una mano tra i capelli mentre sorrido nervosamente.
-Ciao ragazzi- dice con voce allegra Rebecca.
-Io devo...- inizia Alessandro alzandosi e indicando furtivamente l'uscio mentre si mordicchia il labbro.
-Una verifica di matematica... domani mattina...- balbetto confusamente dirigendomi verso le scale.
-Giusto... devo studiare!- esclama Alessandro nervosamente, inciampando nella fretta di guadagnare l'uscita.
-Non vuoi fermarti a cena?- gli domanda Rebecca –Tanto stasera verrai alla festa, suppongo-
-Sì, cioè no, un'altra volta, grazie.
Chiude la porta nello stesso momento in cui mi catapulto su per le scale, faccio i gradini due a due ma, anche se sono ormai sulla soglia della mia camera, riesco a sentire Rebecca che, confusa, chiede a Monica: -Siamo nelle vacanze di Natale, quale verifica?-
Poco più tardi Monica e Rebecca mi chiamano a gran voce e mi fanno il solito discorsetto pre-partenza poi varcano la soglia di casa ed io non posso fare a meno di lasciarmi andare ad un lungo sospiro.
-Quindi non verrai questa sera?- mi domanda Filippo posando in tasca il cellulare che ha smanettato tutto il santo giorno.
-Te l’ho detto: me ne starò in camera mia senza fare alcun rumore e fingendo di non esist-…
-Non vieni neanche per fare compagnia a me?- mi interrompe e, con appena due passi, è al mio fianco, mi soffia sull’orecchio e sento il suo sorriso troppo vicino alle mie labbra.
Lancio un urletto da checca isterica –e non me ne vergogno nemmeno- e corro su per le scale, chiudendomi a chiave in camera mia. Poco dopo lo sento bussare con insistenza: -Ma che ti prende? Stavo scherzando!
Bussa con ancora più insistenza, poi sbuffa: -Comunque volevo solo dirti che ci sarà il tuo regalo di compleanno.
-Perché dovrei venire? Per farmi deridere dai tuoi stupidi ed infantili amici?
-Perché parlare in questo modo è molto maturo ed intelligente, vero?
Lo sento ridacchiare e faccio una smorfia: colpita ed affondata. Bussa ancora per un po’, infine ci rinuncia e nella casa ritorna il silenzio. Sgattaiolo in cucina poco prima dell’arrivo degli invitati, mangio qualche fetta di torta salata per poi ritornare nella mia tana ignobilmente rosa. Verso le nove e mezza sento la musica diffondersi in salotto, il campanello suonare e gridolini eccitati spargersi sul divano, circa alle dieci cerco di dormire inutilmente: la musica rimbomba in tutta la casa insieme a voci, chiacchiere e risate. Alle undici provo a leggere un libro infine, poco prima di mezzanotte mi infilo un paio di jeans ed una camicia e scendo di sotto.
Se fossimo in un film tutti si volterebbero ad ammirare la mia candida bellezza ma siccome questa è solo la mia stupida vita melodrammatica mi faccio strada tra ubriachi e ragazze mezze svestite come se fossi invisibile. Non vedo nessuno che conosco, nemmeno Filippo e sto per tornarmene di sopra quando due bicchieri colmi di champagne si incrociano davanti ai miei occhi.
-Buon compleanno, cuginetta!
-E voi che ci fate qui?- domando squadrando il cardigan arcobaleno di Cristiano e l’assurda cravatta con i pesci di Gregorio.
-Siamo stati talmente simpatici al belloccio a Natale che ci ha invitati, incredibile no?- domanda Cristiano indicando la gente che balla.
-Incredibile è che voi possiate stare simpatici a qualcuno- dico alzando gli occhi al cielo.
-Non per essere scortesi cuginetta, ma ci sono due belle bionde che ci aspettano!- esclama Gregorio e, facendomi l’occhiolino, trascina con sé il gemello in mezzo alla folla.
Mi fermo in un angolo ad osservare la festa: stelle filanti pendono dai mobili e dalla televisione, il divano e la poltrona sono ricoperti di gente, tovaglioli e stuzzichini avanzati, subito dietro di essi un tavolo è ricco di alcolici e bevande di ogni tipo ma, a stupirmi, è la quantità di gente che riesce a ballare, ubriacarsi e filtrare, il tutto contemporaneamente. Inizio ad avvertire un certo mal di testa perciò afferro un giubbotto qualsiasi –dopo tutto è casa mia, no?- ed esco in giardino.
-Ciao- dice Alessandro parandosi davanti a me e dondolandosi sui talloni.
Improvvisamente sento la bocca asciutta e le mani sudate.
-Ciao- mormoro.
-Alla fine oggi pomeriggio dopo… tra una cosa e l’altra, mi sono dimenticato di darti il tuo regalo di compleanno-
Lo guardo stupita, lui arrossisce ma si riprende subito e mi trascina con sé, prendendomi per mano. Una volta nel garage accende la luce e la mia mascella rischia di sbattere contro il pavimento: c’è un pacco enorme, alto tanto quanto me.
-Scartalo- dice, forse più eccitato di me.
Non me lo faccio ripetere due volte: con la grazia che mi caratterizza mi ci fiondo di slancio e strappo la carta da regalo. Non appena scorgo l’orecchio gli rivolgo un’occhiata estasiata, quando finisco di scartarlo –circa trecentonovantaquattro occhiate estasiate dopo- resto con la mascella così aperta da avvertire dolore ad ammirare il peluche di Stitch in formato gigante davanti ai miei occhi spalancati.
-Ti piace?- mi domanda conscio della risposta.
-E’ stupendo!- esclamo buttandogli le braccia al collo.
Lui ride e mi stringe a sé.
-Buon compleanno, stupida-
Io sorrido ancora, infine mi allontano da lui e mi schiarisco la gola. Rimaniamo in silenzio per qualche istante, imbarazzati. Spero che tutto ciò finisca presto perché odio il filo sospeso che avverto in questo momento tra me e lui. Torniamo in casa e veniamo subito accolti dal frastuono della festa.
-Eccoti!- esclama Filippo sorridendomi come se non avesse dubitato un solo istante del fatto che sarei venuta.
Io gli sorrido appena mentre mi conduce in cucina, qui il baccano si attenua appena ma riusciamo comunque a sentire le voci di chi ha già iniziato a fare il conto alla rovescia (-120).
-Ta da!- esclama Filippo mostrandomi la mia torta di compleanno.
E’ a forma di libro ed è semplicemente sensazionale.
-L’idea non è stata mia- mormora come a scusarsi –Ma di tua madre, le dispiace non essere qui ma…-
-Zitto, non rovinare il momento- lo ammonisco continuando a contemplare la torta.
-60
Subito dopo lo ringrazio, abbracciandolo brevemente e baciandolo sulle guance.
-E’ così bella che mi dispiacerà mangiarla- dico mogia.
-Almeno fatti fare una foto, così la mandiamo a tua madre.
Io alzo gli occhi al cielo ma acconsento.
-Ce la fai tu?- domanda ad Alessandro porgendogli il telefono.
Filippo mi circonda le spalle con un braccio e mi stringe appena mentre io metto su un sorriso finto e impostato per la foto, Alessandro scatta ed il flash mi fa lacrimare gli occhi.
-40
-Ora esprimi un desiderio, sorellina- dice Filippo accendendo le candeline e facendomi l’occhiolino.
Io gli faccio una linguaccia poi lancio un breve sguardo ad Alessandro che annuisce. Chiudo appena gli occhi ed esprimo la prima cosa che mi salta in mente: vorrei avere una vera famiglia che non sia formata da tanti insulsi vermicoli…
Soffio le candeline.
-Come sei vecchia, non riesci nemmeno a spegnerle in un colpo solo- mi deride Filippo mentre mi accorgo che ne sono rimaste accese più della metà.
-10
Finalmente riesco a spegnerle tutte.
-Se tu mi avessi detto che oggi sarebbe stato il tuo compleanno avrei organizzato tutto questo anche per te- dice poi passando il dito sulla torta e mangiucchiando un po’ di panna.
-Così che le avreste potuto tirare addosso qualche altro secchio?- domanda Alessandro con voce bassa.
Io arrossisco ed abbasso gli occhi.
-Di che stai parlando?
-Dovremmo fare il conto alla rovescia- intervengo io schiarendomi la gola.
-5
-Prendo lo Spumante- dice Alessandro con voce amara.
-2
-Si può sapere cos’è questa storia del secchio?- mi domanda afferrandomi un polso.
-1…
-Auguri!- esclamo abbracciandolo velocemente e dirigendomi verso Alessandro, faccio gli auguri brevemente anche lui, poi mi accingo a tagliare la torta.
-Eleonora…- mormora Filippo trattenendomi ancora.
Sostengo il suo sguardo mentre nel mio cervello arde una battaglia intensa. Avevo quasi dimenticato la questione e speravo che, con le vacanze di Natale, se la dimenticassero anche gli altri, ma se tiro fuori l’argomento ho paura che la situazione peggiorerà; inoltre non vorrei venire a sapere che è lui l’artefice dello scherzo. Si è scusato abbastanza ed io l’ho già perdonato.
-Parlava di quando mi hanno fatto quello scherzo- mormoro abbassando lo sguardo mentre si sente il suono dei petardi.
-Quale scherzo?- mi chiede lasciandomi andare.
-Lo sai- mormoro con una smorfia.
-No- dice alzando le sopracciglia.
-Poco prima delle vacanze di Natale stavo per entrare in classe quando il mio piede è inciampato in qualcosa: un filo attaccato ad un secchio pieno di uova marce che mi si sono rovesciate dritte in testa.
-Non è molto divertente- dice Filippo sorridendo.
-Non fare il cretino!- sbotto –Okay fingere di non ricordartene, ti ho già perdonato, te l’ho detto, ma addirittura così…-
-Perché? Non stavi scherzando?- mi chiede spalancando i grandi occhi verdi.
-Davvero Filippo smettila di…
-Non sto fingendo, cazzo! Perché non me l’hai mai detto?
-Ma tu lo sapevi!
-No
-Come no?! E quando eravamo in camera tua ed hai detto: “Riguardo a quella cosa…”-
-Mi riferivo alle ripetizioni che non volevi e alla chiamata che avevo origliato.
-Ma se hai cercato di farti perdonare fino all’altro giorno!
-Per il bacio.
-Gabriel mi ha detto che ti ha visto tra gli altri.
-Io non ne sapevo assolutamente nulla!- esclama con gli occhi fuori dalle orbite –Come hanno potuto farti una cosa del genere?-
Sento il lieve battere le mani di Alessandro. –Bravo, un’interpretazione da Oscar.
Filippo gli scocca un’occhiataccia.
-Si può sapere chi è stato?- domanda serrando i pugni.
-Non lo so… erano tutti lì che ridevano, Francesco, i miei compagni di classe, Luca, Matteo, tutta la tua combriccola insomma- mormoro –Ma è acqua passata, direi. I miei capelli hanno smesso di puzzare ormai-
-Sei seria?- mi domanda per l’ennesima volta.
-Sì, ti ho già detto…
-Non la passeranno di certo liscia!-
Gli lancio un’occhiata perplessa ma, quando capisco che non sta scherzando, è ormai troppo tardi per fermarlo.
-Ehi! Buon Capodanno!- esclama Gregorio arrivando insieme al gemello.
-Che bella torta, diamine!- esclama Cristiano.
-Non è il momento più adatto, ragazzi- mormoro superandoli a grandi passi.
Mi faccio largo tra la gente a gomitate mentre tento invano di non perdere di vista Filippo. Finalmente si ferma e penso quasi che potrei riuscire a fargli cambiare idea quando vedo che ha afferrato Luca per le spalle –che è il suo migliore amico- e gli ha appena urlato qualcosa a pieni polmoni per sovrastare il volume della musica.
-Che te ne importa di quella balenottera!- esclama indicandomi mentre cerco di confondermi con la tappezzeria.
-Credo che ne vedremo delle belle- sussurra Alessandro comparso al mio fianco. Ma, subito dopo averlo detto, mi stringe piano una spalla con fare protettivo.
-Muoviti Luca: sì o no?
-Sì! Contento? Ci si annoiava a scuola, perciò ho deciso di dare a tutto un po’ di brio. A chi vuoi che fotta se una ragazzina ha puzzato di marcio per un po’?
Per un momento penso quasi che Filippo, ora che ha ottenuto ciò che vuole, giri sui tacchi e se ne vada. Subito dopo, però, scorgo l’espressione nei suoi occhi: è furiosa e leggermente alterata dall’alcool. Una parte di me vorrebbe intervenire, la stessa che cerca di mettersi a studiare tutti i pomeriggi, l’altra, quella che mi convince ad accendere il computer e guardare le serie tv, si accomoda per godersi allegramente lo spettacolo. Prima che io possa dire “Santo Koala Marsupiano” o qualsiasi altra cavolata Filippo ha tirato un pugno a Luca. Si sente un rumore fastidioso come di ossa infrante e nella stanza cade il silenzio per qualche istante.
-Si dà il caso che quella ragazzina sia la mia sorellastra e che a me importi-
Luca barcolla e indietreggia, appoggiandosi al divano e coprendosi con le mani il naso, tenendolo, come se stesse per staccarsi. Filippo si gira verso di me e fa per dire qualcosa, io avverto il movimento con la coda dell’occhio ma, prima che riesca ad aprire bocca, Luca ha già buttato per terra Filippo.
-Fa’ qualcosa!- esclamo stringendo il braccio di Alessandro così forte da fargli male. Incitandolo ad andare ma, allo stesso tempo, tenendolo ancorato al mio fianco.
Filippo sorride mentre si alza in piedi, poi si gira e tira un altro pugno a Luca, questa volta all’occhio destro, un calcio alle gambe e finisce lungo disteso, poi uno in pancia. Io gemo ad ogni colpo, senza riuscire a comprendere se sia per pietà o per compiacenza. Non è come nei film dove tutti si soffermano a guardare: ognuno si sta facendo gli affari propri, continuando a rimorchiare o ad ubriacarsi, nessuno accorre verso Luca e nessuna ragazza cerca di fermare Filippo. Sembra che gli unici spettatori della scena siamo io ed Alessandro.
Filippo gli mormora qualcosa all’orecchio poi si allontana senza che io abbia il tempo di dirgli alcunché. Rimango a fissare Luca, indecisa, passando il peso da una gamba all’altra. Sto giusto per raggiungerlo quando lui si alza e, zoppicante,con la faccia piena di sangue e le mani tremanti, si dirige verso l’uscita. Salgo velocemente le scale e mi dirigo verso il bagno, spalanco la porta senza preoccuparmi di bussare e trovo Filippo con le mani serrate sui bordi del lavandino e gli occhi fissi nel proprio riflesso, Alessandro mi segue restando in disparte.
Sento la testa pulsare senza riuscire a capacitarmi di ciò che è appena successo, la musica e la festa sembrano solo un sottofondo a volume troppo basso ma ci sono le nocche insanguinate di Filippo, il suo sopracciglio malconcio e la sua espressione inusuale a confermarmi che non mi sono immaginata tutto: è successo davvero. Ha picchiato Luca per proteggere me. Una serie di sensazioni confuse si fanno largo nel mio stomaco, il mio cuore fa i salti mortali mentre la mia testa tenta invano di ripetermi che sono la sua quasi-sorellastra, è normale che faccia tutto questo.
-Filippo?- mormoro appoggiandogli una mano sulla spalla.
-Non c’è bisogno di ringraziarmi, ne ho approfittato per dargli quelle che non gli ho dato quando si è portato a letto la mia ragazza.
Io annuisco.
-Tranquilla si riprenderà, gli stronzi come lui si riprendono sempre.
Annuisco di nuovo, senza riuscire a trovare qualcosa di intelligente da dire. Restiamo in silenzio, ognuno perso nel contemplare i propri pensieri.
-Sbaglio o c’è da mangiare una torta?- domanda poi Filippo riprendendosi e dirigendosi al piano inferiore, io faccio un breve cenno d’assenso, lancio una rapida occhiata ad Alessandro incrociando i suoi occhi poi lo seguo.

 

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Capitolo 9
*** Fossi in te non me la farei scappare ***


9. Fossi in te non me la farei scappare
“-Ma se sei bionda. Perché ti chiami Morena?-
-I capelli sono autentici. Secondo te dovrei tingermi il nome?-”
Massimo Gramellini, “L’ultima riga delle favole”
 
Un rumore di stoviglie arriva alle mie orecchie ancora addormentate e il dolce aroma di cioccolata calda mi fa arricciare il naso, quando apro gli occhi una luce accecante mi costringe a richiuderli: dalle persiane non chiuse completamente arriva una luce limpida e candeggiante. Mi lascio andare ad un grugnito mattutino e mi trascino con fatica fino alla finestra, una volta qui alzo la persiana e sono costretta nuovamente a socchiudere gli occhi per la troppa luce: questa notte deve aver nevicato perché i tetti, il vicinato e le strade sono coperti da candida neve. Mi stiracchio per bene emettendo un verso simile ad un miagolio,i sbadiglio sonoramente e lancio un ultimo sguardo alle strade imbiancate.
-Anno nuovo vita nuova- mormoro sospirando.
-Tutte cazzate- esclama ad alta voce Filippo facendomi sobbalzare.
-Ma davvero?- dico alzando gli occhi al cielo.
Lui annuisce solennemente, appoggiato allo stipite della porta e già vestito di tutto punto.
-Se tu volessi cambiare potresti farlo un qualsiasi giorno, in qualsiasi momento, perché devi aspettare il primo dell’anno?
Apro la bocca e la richiudo un paio di volte, mi gratto una guancia e aggrotto le sopracciglia.  Tutto questo pensare di prima mattina non è salutare per il mio organismo. Filippo si limita a guardarmi con espressione compiaciuta.
-Pensavo di uscire un po’, oggi.
-Dove vuoi andare?- mi domanda sorridendo –Potremmo fare del sano e vecchio shopping rubando i soldi dal cassetto delle nostre madri-
Avvampo furiosamente, mordendomi il labbro.
-Veramente intendevo telefonare a Sandro o Elisa…- dico tentando di guardare ovunque fuorché lui.
-Oh- dice mentre il sorriso gli si spegne sulle labbra –Beh, certo, però prima dovremmo studiare un po’ o Rebecca mi ucciderà e, soprattutto, dovresti fare colazione. Ho preparato qualcosa niente male-
Scendiamo in cucina ridendo e scherzando, qui ad aspettarci c’è una tavola imbandita di ogni leccornia, manca solo il bacon, le uova strapazzate ed il ketchup e penserai di essere stata catapultata in un film americano. Addento una brioches mentre mi riempio il piatto di biscotti e, con l’altra mano, mi verso del succo d’arancia.
-Hai davvero cucinato tutto tu?- domando con la bocca piena di biscotti a forma di albero di Natale e omini di marzapane.
-Certo- dice sorseggiando una tazza di caffè.
Gli rivolgo uno sguardo pieno d’ammirazione mentre inizio un’altra brioches. Filippo scoppia a ridere, scuotendo la testa: -Ho comprato quasi tutto in pasticceria questa mattina, tranne i biscotti, ma questa bugia è valsa il tuo sguardo, davvero.
Mi rabbuio e gli lancio un’occhiataccia: -Non è divertente!
-Lo è eccome- esclama facendomi l’occhiolino.
Finiamo di mangiare con tutta calma, dopo mi faccio una doccia veloce e lo raggiungo in camera sua.
-Con che cosa ti va di iniziare?- mi domanda lanciandomi uno sguardo ammiccante. Io, in risposta, gli lancio un cuscino, lui scoppia a ridere afferrando l’oggetto al volo e rigirandoselo tra le mani.
-Inglese- rispondo infine sedendomi al suo fianco con un profondo sospiro.
-Very good, baby- dice facendomi l’occhiolino ed aprendo il libro.
Troppi occhiolini e sguardi maliziosi per i miei gusti.
Per tutta l’ora seguente prendo appunti, faccio esercizi, sbadiglio, sgranocchio qualche nocciolina, lo ascolto e tento inutilmente di ripetere la sua pronuncia perfetta. Quando finalmente dice: -Facciamo una pausa- mi lascio cadere sul letto esausta, finendo sdraiata mentre mi osserva divertito.
-Sei un madrelingua, per caso?- gli domando mentre ruba il barattolo di noccioline che tenevo tra le mani.
-No, I’m not- mi risponde sgranocchiando –When are our mother going to return?-
-Parliamo in italiano, perfavore- lo imploro prendendomi la testa tra le mani –Comunque non ne ho idea, non so neppure se siano vive-
-Non dovresti avercela così tanto con Rebecca, lei cerca di fare del suo meglio.
-Evidentemente non è abbastanza- dico sbuffando e tirandomi a sedere.
-Ele…
-Smettila, Filippo! Non proteggerla! Non posso, non riesco e non voglio pensare che andarsene come un’adolescente con gli ormoni impazziti per fare sesso come un riccio a Parigi nel giorno del compleanno di sua figlia sia il suo meglio. Tu sì?- dico ferocemente rubandogli nuovamente il barattolo di noccioline e prendendone una manciata.
-Lei ti vuole bene.
-Buffo che tu lo sappia ed io no- dico mentre una nocciolina rischia di andarmi per traverso. Tossisco diventando tutta rossa e sputacchiando pezzi di cibo e saliva, Filippo mi batte delicatamente grandi manate sulla schiena.
-Vado a prendere delle altre noccioline- dico alzando con un cenno il barattolo non appena riesco a  riprendermi.
Quando fa così non lo sopporto, mi tratta veramente come se io fossi la sua sorellina viziata e lui il saggio fratello maggiore. E’ così snervante, soprattutto considerando che non vorrei fare altro che metterlo a tacere baciandolo. Arrossisco furiosamente mentre rischio di inciampare e non riesco più a capire se sia per l’imbarazzo o la rabbia. Mi sento frustrata come una donna di mezza età in meno pausa, cerco invano un barattolo di noccioline pieno e butto quello vecchio. Mi fermo e rimango appoggiata al lavandino con lo sguardo perso nel vuoto: è partita davvero senza di me con Monica e non posso neppure prendermela con quest’ultima perché è una brava donna, non riesco ad ammettere che in parte sia anche colpa mia perché, se così fosse, vorrebbe dire radere al suolo la mia già inesistente collina di autostima. Perciò preferisco scaricare tutta la colpa su di lei. Mi mordo distrattamente il labbro e, quando Filippo entra in cucina, continuo ad osservare un punto indistinto sulla gamba del tavolo senza dar peso alla sua presenza.
-Pensavo di fare le lasagne- dice osservandomi aggrottando le sopracciglia.
-Ah ah- mormoro facendo appena un cenno di assenso con la testa.
Lui mi affianca e segue il mio sguardo fino a trovare quella macchia sulla gamba del tavolo ed il filo dei miei pensieri, sembra seguirli ed annodarseli al dito, subito dopo fa una smorfia e mi tira una gomitata per allontanarmi dalla cucina.
-Vai a fare i compiti che paparino ti prepara da mangiare- dice sorridendo.
Io obbedisco regalandogli un rapido sorriso, una volta in camera mia mando qualche messaggio per organizzare il pomeriggio infine prendo “Fai bei sogni” dallo scaffale ed inizio a leggere.
 
-Sandro!- esclamo entusiasta buttandogli le braccia al collo.
Lui mi restituisce l’abbraccio con una mano sola, mentre con l’altra sostiene il casco.
-Questa mattina Filippo mi ha dato ripetizioni e… wow! Sì, ok, non è successo nulla di che ma era così wow! Cioè sembrava quasi interessato a me, continuava a fare battute a doppio senso… Ho già detto: wow?!- dico facendo grandi gesti con le mani e saltellando da un piede all’altro per allontanare il freddo.
Qualcuno dietro di lui scoppia a ridere e la lumaca sputacchia saliva qua e là, rovinando il mio momento di felicità giornaliero.
-Ciao- dico lanciandogli una breve occhiata.
-Dall’indifferenza alla freddezza, è già un passo avanti- dice Elisa comparendo al mio fianco.
-Hai sentito?- esclamo battendo le mani. So, anche se non posso vedermi, di avere un’espressione ebete e le guance insolitamente rosse. Mi sento straordinariamente felice: la mattinata con Filippo mi ha risollevato il morale, per non parlare di quando mi ha salutata dandomi un bacio sulla guancia decisamente più vicino alla bocca che…
-Smettila di pensare ad alta voce- dice Elisa tappandomi la bocca.
Alessandro, dietro di lei, sta fingendo di vomitare ed io gli rifilo una gomitata tra le costole con la precisione di un tiratore esperto. Mi ricompongo e ignoro Gabriel che trattiene a stento le risate.
Il supermercato è pieno di gente e dobbiamo farci spazio a gomitate tra mamme isteriche, signore in meno pausa e bambini lagnosi. Qualche ora dopo non abbiamo ancora comprato nulla apparte una cioccolata e stiamo facendo la fila per un paio di scarpe che Elisa non poteva assolutamente lasciarsi scappare. La coda è di una lentezza estrema e, dietro di noi, c’è una famiglia italiana DOC: la sedicenne ha gli occhi rapiti dal cellulare, il padre è al telefono ed il figlio minore è appena scoppiato in lacrime perché, volenteroso di volersi far friggere il cervello e imitare la sorella, vorrebbe utilizzare l’Ipad che gli è stato sequestrato dalla mamma acida e imperterrita alle lagne del figlio; davanti a noi una coppia di adolescenti si sta mangiando la faccia, due signori anziani litigano parlando di politica e una vecchietta discute con la cassiera per i prezzi troppo alti di questa società “che va in malora”.
Mezz’ora di coda alla cassa. Mezz’ora interminabile. Ora aspettiamo soltanto che i due ragazzi smettano di mangiarsi la faccia poi finalmente Elisa pagherà quelle stupide scarpe troppo care e potremo uscire di qui. Ho perso l’udito ad un orecchio a causa del piagnisteo del bambino viziato, sette denti per le carie procuratemi dalla coppietta, gli occhi per l’abito spaventosamente rosa della cassiera –che la fa assomigliare ad un confetto- e la voglia di fare alcunché a causa della noia. Inizialmente abbiano anche provato a chiacchierare ma ci stiamo tutti annoiando così tanto da non trovare alcun argomento di conversazione. Quando finalmente inizio a pensare che questa tortura stia per finire la commessa chiede al ragazzo una carta d’identità per le dieci bottiglie di liquore che ha comprato.
-L’ho dimenticata, non potrebbe fare uno strappo alla regola?- domanda regalandole il suo miglior sorriso da faccia-da-schiaffi.
-Direi di no- risponde la cassiera con lo stesso sorriso.
Come se tutto ciò non fosse già abbastanza patetico iniziano a litigare.
-Non comprerò più niente in questo negozio!- esclama il ragazzo mentre la fidanzata finge di trattenerlo dal picchiare la povera commessa, quest’ultima non lo degna di un’occhiata e tenta di chiamare il prossimo cliente –cioè noi- senza ulteriori danni.
-Ha capito?- insiste ancora con un marcato accento siciliano.
-Altrimenti ti ammazzo la famiglia, hai capito?- mi domanda Alessandro all’orecchio imitando l’accento e la voce dei mafiosi nei film.
La noia sembra sciogliersi come neve al sole e mi viene un’improvvisa voglia di ridere.
-Cosa credi di fare?- gli domanda Gabriel con lo stesso accento marcato.
-Minchia, mi devi stare lontano!- esclama Alessandro con un tono leggermente più alto e irato.
Non posso trattenermi oltre, scoppio a ridere trascinando con me anche Elisa mentre Sandro e la Lumaca continuano la loro scenetta in perfetto stile “Commissario Montalbano”. Più li guardo e meno riesco a smettere di ridere, è questione di proporzionalità inversa –visto, Rebecca, che non faccio poi così schifo in matematica?-.
-Tocca a voi!- esclama la commessa con un tono più alto del normale per superare le nostre voci.
La fila dietro di noi si è intensificata e tutti aspettano con facce scocciate, annoiate, frettolose e arrabbiate; persino la commessa sembra sfogare tutto il proprio risentimento per il ragazzo siciliano su di noi. Vorrei risponderle e scusarmi per il nostro accesso di ilarità ma non ci riesco, non posso far altro che ridere ed appoggiarmi a Elisa per non cadere.
-O pagate o ve ne andate! C’è gente che sta aspettando!- esclama la ragazza alla cassa al colmo dell’isteria.
-Minchia, questo non ce lo dovevi dire! Io ti faccio ammazzare la madre e la figghia- dice Alessandro a Gabriel prima di scoppiare a ridere a sua volta.
Elisa mi tira per la manica e, incespicando, correndo e ridendo, usciamo dall’edificio. Mi appoggio al muro per non cadere, la Lumaca si accuccia sul pavimento e Alessandro si tiene la pancia per i crampi. So che la scenetta di Alessandro e la Lumaca non è un motivo sufficiente a tanta ilarità ma riesco solo a ridere e tentare inutilmente di respirare. Rido fino a star male, più cerco di smettere e più non riesco a farlo, ho i muscoli facciali doloranti e i crampi alla pancia. Credo che sarà questo che ricorderò di queste vacanze: non mia madre che se ne va a Parigi, non Filippo ed il batticuore che provo nel vederlo ma un pomeriggio a fare shopping in cui abbiamo riso senza saperne il motivo. Più rido e più sento che la mente si svuota e lo stomaco si alleggerisce, improvvisamente mi viene fame sia di cibo che di vita. Avevo bisogno esattamente di questo.
Tempo dopo io e Elisa siamo davanti al bagno delle donne, le tengo la borsetta mentre vi si precipita (colpa in parte delle risate ed in parte della cioccolata annacquata che abbiamo bevuto all’inizio del pomeriggio), Alessandro e la lumaca sono in un negozio di fumetti. Mi osservo attorno, tranquilla, leggendo placidamente le pubblicità affisse un po’ ovunque e canticchiando a mezza voce.
-Alessandro è mio.
Inizialmente non penso seriamente che si stia rivolgendo a me ma, quando viene ripetuto una seconda volta, mi giro verso una ragazza dai corti capelli biondi e lo sguardo verde e determinato.
-Come, scusa?- le domando perplessa e sicura di aver capito male.
-Alessandro è mio- ripete calma, rivolgendomi un sorriso smagliante.
-E tu saresti?- le chiedo aggrottando le sopracciglia e deglutendo.
-Questo non è importante. Devi solo sapere che dovresti iniziare a stare alla larga da Alessandro perché lui è mio, capito?
Ho il cuore in gola nel vedere il suo sguardo deciso ed i suoi occhi assottigliarsi, il placido vuoto nel mio stomaco si è riempito di parolacce ed i miei pensieri vorticano confusi. Una strana sensazione si impadronisce di me e mi fa sudare le mani, cerco però di rimanere calma –almeno apparentemente-.
-Davvero, non capisco che cosa tu voglia.
-Dio santo! Non è difficile da capire, okay? Io amo Alessandro, lui è mio e tu devi stargli alla larga!
Inizio a muovere ritmicamente e nervosamente la gamba destra, incrocio le braccia al petto e deglutendo di nuovo: come può dirmi cosa devo fare? Il nervosismo e l’irritazione distruggono la timidezza, perciò alzo lo sguardo e punto gli occhi nei suoi.
-Punto primo: chi sei? Punto secondo: potresti anche essere la regina di Inghilterra e non mi interesserebbe. Punto terzo: sei arrivata tardi.
-Tu dici?- mi chiede piegando il lato destro della bocca in un ghigno –Sono molto più bella di te-
Mi guarda dall’alto verso il basso come se fosse davvero superiore a me ed io evito di soffermarmi sul suo corpo estremamente esile, magro e  flessuoso.
-Peccato che io abbia una cosa che tu non avrai mai.
-E sarebbe?- mi domanda lanciandomi un’occhiataccia perplessa e vagamente divertita.
- Alessandro.
Mi prudono le mani ed avrei voglia di prendere a schiaffi il suo bel visino strafottente nonostante io sappia che non ne avrei mai il coraggio, mi costringo alla massima calma e le faccio “ciao ciao” con la mano prima di voltarle le spalle.
Ho già iniziato ad allontanarmi incurante di Elisa quando sento la voce della lumaca: -Cosa credi di fare?
Mi volto e vedo la biondina tutta pepe propensa verso di me, con il braccio alzato e la mano di Gabriel stretta sul suo polso.
-Mi fai male- dice scoccandogli un’occhiataccia e non degnando della minima attenzione Alessandro qualche passo dietro Gabriel, intento ad osservarci allibito.
La lumaca le lascia il polso e rivolge anche a me un’occhiata inquisitoria.
Stava davvero per tirarmi uno schiaffo? Davvero?
Non capisco se sia la rabbia o la confusione a sovrappopolarmi la mente. La guardo spaesata, senza più la spavalderia che ho esibito fino a pochi minuti fa.
-Ricordati quello che ti ho detto, Lorenzetti- mi lancia un’ultima occhiataccia poi si gira verso Alessandro, gli fa l’occhiolino, si gira e se ne va sculettando.
La sto ancora fissando a bocca aperta quando Elisa esce dal bagno e la sua espressione si trasforma nel vedere le nostre facce: -Che è successo?
-Chi era quella?- chiedo io ad Alessandro.
-Non ne ho idea- dice lui facendo spallucce.
-Immagino- mormoro incrociando le braccia al petto, stizzita –Allora chissà come mai mi ha minacciata dicendo che sei suo-
-Non lo so- mi risponde sinceramente perplesso.
-Ah no? Allora…- mi blocco a metà frase mentre vedo il fondoschiena di quella cretina sparire dietro l’angolo. Perché dovrei permetterle di rovinarmi il pomeriggio? Prendo un bel respiro e riacquisto il sorriso.
-Che si fa adesso?- chiedo mettendo le mani sui fianchi e lanciando loro un’occhiata rilassata.
Elisa è ancora perplessa, Alessandro rimane per qualche attimo stordito dal mio rapido cambiamento di umore, solo Gabriel risponde al mio sorriso ed è sul punto di proporre qualcosa quando lo interrompo: -Mi dispiace, caro, nessuna foglia di insalata extra se non ti comporti a dovere.
Apre e richiude la bocca subito prima di lanciarmi un’occhiataccia, Elisa scoppia a ridere e mi prende a braccetto: -Voglio comprare ad entrambe un bel paio di scarpe visto che non ti ho regalato nulla per Natale e ci siamo lasciate scappare le altre, andiamo!
Ci dirigiamo verso il negozio a braccetto e, mentre ci allontaniamo, sento la Lumaca che, in un sussurro, dice a Sandro: -Io, fossi in te, non me la farei scappare- ma, dopotutto, potrei aver capito male data la distanza.
 
Ho appena finito di mangiare e sono stravaccata sul divano mentre faccio zapping in televisione, questa sera abbiamo mangiato frettolosamente ordinando una pizza a domicilio poi Filippo è scappato in camera sua a telefonare a non-so-chi per non-so-che-cosa. Maledico quella tirchia di mia madre per non aver fatto l’abbonamento a Sky e ricomincio per l’ennesima volta a cercare qualcosa di interessante. Sono sul punto di addormentarmi quando Filippo si degna di scendere e mi sposta di peso per potersi sedere al mio fianco, mi ricompongo e gli lancio il telecomando.
-Com’è andata oggi?- mi domanda lanciandomi una rapida occhiata.
-Non male apparte la zoccola di turno- dico sistemandomi i capelli in una morbida e disordinata coda.
-Ehi ehi! Piano con le parole-.
Per tutta risposta gli tiro una gomitata e mi riprendo il telecomando, giro su Italia Uno e lascio che i Simpson facciano da sottofondo alla nostra conversazione.
-Cos’avrebbe fatto, questa zoccola, per meritare un tale epiteto?
Glielo racconto tutto d’un fiato, come se non stessi aspettando altro, riempiendo il resoconto di altri simpatici “epiteti” e molte imprecazioni.
-Magari era una stalker, ora l’hai fatta arrabbiare e questa notte verrà ad ucciderti nel sonno.
-Allora cosa proponi?- domando trattenendomi a stento dal ridere vedendo la sua espressione solenne.
-Dovresti dormire con me, così che io possa proteggerti.
-Così che tu possa russarle addosso?
-Ehi! Io non russo- protesta indignato.
-Dopo aver bevuto sì, a volte mi tieni sveglia per ore.
Si rabbuia ed io scoppio a ridere nel medesimo momento in cui lo fa Lisa nel cartone animato.
-Le assomigli molto- dice indicandola con un cenno –Stessa intelligenza fuori dal normale, stessa stranezza in una famiglia psicopatica, stessa passione per i libri noiosi-
-Non so se ucciderti per come hai giudicato i libri, ringraziarti per il complimento o preoccuparmi perché ti sei definito “psicopatico”- dico quasi tra me e me.
-Comunque parlavamo della zoccola- mi ricorda con un mezzo sorriso.
-Eh sì, non c’è molto da dire, spero che abbia capito che Alessandro è mio e la pianti di rompere- dico senza pensarci e sbuffando.
-Oh oh, qualcuno è geloso.
-Non sono gelosa! Per me può amare Alessandro quanto le pare, basta che non stia a rompere i boccini…-
Mi guarda ammiccante, alzando le sopracciglia e dandomi piccole gomitate regolari. Io arrossisco mentre inizio a balbettare e mi rendo conto di come siano suonate le mie parole.
-Dico sul serio: non sono gelosa! E’ solo che mi ha dato fastidio! Molto fastidio.
-Se ti ha dato fastidio è perché sei gelosa.
-No, ti dico di no, non sono gelosa: n o – scandisco le lettere una ad una mentre continua a fissarmi con lo stesso sguardo malizioso.
-Andiamo, non c’è niente di male nell’ammettere che ti piace Alessandro.
-Non mi piace Alessandro!- esclamo esasperata, scostando stizzita il suo braccio –Ho una cotta per te da quasi due anni, come mi potrebbe piacere Alessandro?-
Per qualche secondo mi auto-convinco di averlo solo pensato e riesco a mantenere la calma poi noto il mutamento improvviso della sua espressione e non posso fare a meno di andare nel panico.
-Spider Pork!- esclama Homer alzando il maiale sporco di fango e facendolo camminare sul soffitto.
Mi sono veramente dichiarata a lui in questo modo?
-Spider Pork!- esclama ancora mentre Filippo mi fissa, incapace di proferir parola.
Ed ora che gli dico? Cosa faccio? In queste situazioni ci sono poche alternative: possibilità numero uno fare finta di niente ma lui ha sentito benissimo e sicuramente vorrà delle spiegazioni per poi friendzonarmi, possibilità numero due insistere nella spiegazione del mio amore per lui che, a quel punto, sarà super imbarazzato e cercherà di togliermi dall’imbarazzo per poi friendzonarmi, possibilità numero tre cambiare argomento ma lui vorrà ritornare su questo per poi friendzonarmi, possibilità numero quattro ucciderlo ma, quando morirò anche io, lui vorrà incontrarmi per poi friendzonarmi e, possibilità numero sette –il sette è la misura massima di qualsiasi cosa- scappare ad Hogwarts.
Credo proprio che sceglierò la settima.
-Il soffitto tu mi spork!- conclude Homer continuando a far camminare il maiale sul soffitto.
Devo solo trovare la mia lettera, il mantello dell’invisibilità e la bacchetta: dov’è la mia dannata lettera?
-E’ uno scherzo?- mi domanda.
-Nel senso che sono uno scherzo della natura? Credo proprio di sì. Ora che ci siamo chiariti, è stato bello conoscerti- gli stringo la mano, rossa come un peperone e scappo al piano di sopra senza dargli il tempo di dire alcunché.
Una volta in camera faccio la prima cosa che mi viene in mente: chiamo Alessandro.
-Ho fatto una minchiata- dico a bassa voce, camminando avanti e indietro nella stanza il più lontano possibile dalla morta.
-Hai usato una parolaccia, questo vuol dire solo una cosa: hai fatto un’enorme minchiata.
-Sandro non è il momento, sto andando nel panico!
-Puoi farti baciare di nuovo dal belloccio.
-Smettila, cazzo!
-Due parolacce in meno di dieci secondi. Diagnosi: hai fatto la più grossa minchiata della tua vita.
-Ho detto a Filippo che ho una cotta per lui.
-Tu cosa?
-Non l’ho fatto apposta! Diceva che ero gelosa di quella ragazza e che tu mi piacevi, mi ha fatta esasperare e così mi è scappato! Perché rovino sempre tutto?
-E lui che ti ha detto?
-Lui…ecco…- dico giocherellando con una ciocca di capelli sfuggita alla coda e guardando il pavimento.
-Nora?
-Sono scappata, okay? Volevo andare ad Hogwarts ma non trovo la mia lettera così mi sono dovuta accontentare della stupida camera rosa.
-Mi rimangio tutto: questa è stata la più grande minchiata della tua vita.
-Cos’avrei dovuto fare?!- gli domando sull’orlo dell’isteria.
-Ormai che c’eri dichiararti completamente, scema.
-I tuoi insulti non aiutano.
-Ascoltami bene: ora tu vai di là, gli dici tutto ciò che provi per lui, il belloccio ti bacia, ti trascina in camera sua e vedi di usare il preservativo.
-Sandro!- esclamo arrossendo.
-Non vorrai mica rimanere incinta?- mi chiede ridacchiando.
-Io…- cerco di dire mordendomi il labbro.
-Va’, muoviti.
E, detto ciò, chiude la chiamata.
Mi servono sette respiri profondi, venti minuti e sette tentativi per riuscire ad uscire dalla camera. Quando finalmente lo faccio trovo Filippo nella stessa posizione in cui l’avevo lasciato: seduto, perplesso e intento a guardare i Simpson.
-Devo dirti una cosa.
Che bell’inizio, genio, ti sei arrovellata il cervello per venti minuti per iniziare il discorso con questa frase? Davvero furba, pensa se fossi nata stupida! mi rimprovero deglutendo sonoramente.
-Anche due- dice Filippo abbozzando un sorriso.
-Il fatto è che io…
Il suono del campanello mi coglie così impreparata da farmi saltare come un Folletto di Cornovaglia affamato, nessuno di noi due muove un muscolo e, poco dopo, sentiamo l’allegra voce di Monica: -Abbiamo suonato solo per gentilezza! In caso steste facendo qualcosa di poco legale o poco consono ai nostri occhi materni-
Arrossisco così tanto che mi sembra di andare a fuoco e potrei mimetizzarmi con una piantagione di pomodori maturi. Le piccioncine entrano allegre e corrono ad abbracciarci, mi lascio salutare con noncuranza indecisa tra l’essere loro grata per avermi salvata o continuare ad odiarle per la storia del compleanno.
-Stanno arrivando gli operai per la tua camera- mi annuncia Rebecca.
-Quindi, onde evitare ulteriori disguidi- dice Monica lanciando un’occhiata indecifrabile al figlio –Andrai a stare dai Sinistro per questa notte e domani-
-Sei ancora in punizione- mi ricorda Rebecca –Perciò appena torni voglio vederti davvero concentrata nello studio-
-Elena?- chiedo con un filo di voce, ringraziando mentalmente chiunque per tanta grazia.
-Vado a prenderla domani mattina.
Annuisco con forza e, circa sette minuti più tardi, sono già fuori casa vestita di tutto punto e con un borsone carico del necessario.

 

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