La sua testa era ancora
dall’agente Vaughn quando insieme agli altri specialisti stava analizzando la
collezione finora ritrovata, alla ricerca di un nesso comune. L’immagine del
suo viso pesto e sanguinante continuava a danzarle davanti agli occhi mentre scriveva
il rapporto sulla missione lì a Taipei. Non riusciva a concentrarsi su niente,
e aveva voglia di maledire quell’agente, che di nuovo era entrato senza
preavviso nella sua vita. Non le piacevano i ricordi che le faceva ritornare in
mente, specialmente ora che lei e Sark avevano una storia che lei desiderava
funzionasse con tutto il cuore.
Come se avesse saputo che stava
pensando a lui, Sark fece capolino nell’ufficio di Lara, domandandole se aveva
da fare.
“È una domanda retorica?”
“Tua madre mi ha detto…”
“Vorrei che mia madre la
smettesse di intromettersi nella mia vita. Credi che se glielo dici tu
finalmente lo farà?”
“Tu conoscevi già l’agente nostro
prigioniero?”
“L’ho visto durante la mia
prigionia.”
Dopotutto era vero. O quasi. Una
mezza verità.
“E…?”
“E era una delle mie vittime. Il
proiettile è stato deviato da una croce che portava al collo. Non c’è altro. E
ora se a te e a mia madre non dispiace potete lasciarmi in pace?”
“Scusami” rispose lui
appoggiandosi alla sua scrivania “non avevo intenzione di farti arrabbiare.”
“No scusami tu… È che sono
parecchio nervosa ultimamente.”
“Se ce ne andassimo per un paio
di giorni?”
“Non possiamo farlo… anche se mi
piacerebbe.”
“Allora prendiamoci solo questa
giornata. Andiamo, Irina può cavarsela da sola… e noi due avanziamo una serata
da soli.”
“Pensavo avessi da fare.”
“Io ho fatto il possibile.
Yoshigawa mi ha fatto sapere che verrà domani. Solo allora sapremo se l’agente
parlerà o morirà.”
“Anch’io avrei da fare…”
Sark non voleva assolutamente un
no come risposta, e in pratica la trascinò via dalla sede dell’agenzia.
Andarono a casa di Lara, un
appartamento non troppo diverso da quello di Sark. Anche il suo era molto
bello, ben arredato, ma anche altrettanto impersonale. Forse i quadri e le
fotografie contribuivano a dare un po’ di calore, ma le ripetute assenze,
sempre a causa di missioni in giro per il mondo, le impedivano di migliorare
l’atmosfera di quel posto.
I quadri appesi nel salotto erano
tutti paesaggi marini. Onde che s’infrangevano su alte scogliere, mari
tranquilli che lambivano coste sabbiose, o figure enigmatiche che si
stagliavano contro di esso, perse chissà in quali pensieri.
Era inutile.
Ricordava i momenti quando
insieme ai suoi genitori osservava le onde dell’Oceano Pacifico infrangersi
contro la spiaggia, quando ascoltava la risacca, e aspirava l'aria salmastra
che le scompigliava i capelli. Sentiva che sarebbe potuta rimanere là per
sempre ad ammirare quei quadri. Quei dipinti la rendevano felice, senza un motivo
preciso. Doveva essere una cosa comune a tutti quelli che nascevano o
crescevano in una città vicino all’oceano.
Sark, che lo sapeva, per il suo
ultimo compleanno le aveva regalato un quadro che aveva come soggetto il mare,
che Lara aveva subito appeso in soggiorno, al posto d’onore.
“Sapevo che ‘Monaco di fronte
all’oceano’ ti sarebbe piaciuto. Hai già altri quadri di Friedrich.”
“Non avresti dovuto…”
“E perché no?” rispose lui
avvicinandosi a Lara, di fronte al quadro. “Quando siamo andati in quel museo,
ti ho dovuto trascinare via a forza. Eri come ipnotizzata.”
“Sì, ma tra questo e il
commissionare il furto per me di un quadro dipinto da uno dei maestri della
pittura romantica ce ne corre.”
Sark la prese tra le braccia, e i
loro sguardi si incrociarono “Preferisco gli originali alle copie. Dovresti
saperlo.”
Lara abbozzò un piccolo sorriso
“Con te non vinco mai. È irritante.”
“Però siamo qui, e siamo
insieme.”
“Già…”
Lara aveva distolto lo sguardo, e
Sark ascoltando il tono assente di lei si voltò per vedere cosa stesse
guardando. Una fotografia che la ritraeva insieme ad una ragazzina dai lunghi
capelli scuri, vestita con quella che sembrava la divisa di un collegio.
“Ti manca, vero?”
“Non sai quanto vorrei che
vivesse qui con me, invece che in Svizzera.”
“C’è un buon motivo se tu e tua
madre avete deciso così.”
“Io ci sono cresciuta in
collegio, non te lo dimenticare. Sono stata felicissima di tornarmene qui!”
“Esagerata… mai provato i collegi
inglesi?”
“Julian…”
“D’accordo, non parlo più.”
“Ottima idea” sussurrò Lara
baciandolo, se non altro per impedirgli di aprire la bocca di nuovo. Sark
l’attirò a sé con il braccio destro, mentre la mano sinistra dalla spalla
scendeva verso la sua mano destra. La prese nella sua, e non poté fare a meno
di notare che quell’anello era sempre lì.
“Perché porti ancora la vera
nuziale? Mi sembra di corteggiare la donna di un altro.”
“Non che ti abbia mai fermato, mi
pare.”
“Può essere un deterrente. Lara,
quell’uomo ti ha rovinato la vita. E il figlio di Korolenko, come me del resto,
se lo trovasse lo ammazzerebbe senza pensarci due volte.”
Ancora quella storia. Lara
dubitava se ne sarebbe liberata mai.
“Julian, ti ricordi quando mi hai
trovato?”
Se lo ricordava… Neanche lui si
sarebbe liberato tanto presto dell’immagine di lei stesa a terra, piena di
lividi sul viso e sulle braccia, con le palpebre talmente gonfie che quasi non
riusciva ad aprirle, un labbro spaccato, e livelli di Penthotal e Rohypnol tali
nel sangue che sarebbe potuta morirne.
Forse era stato allora che aveva
iniziato a pensare a lei in modo diverso che ad una collega, non sapeva dire
con esattezza. Sapeva che aveva condiviso l’impotenza e la rabbia di Ivan nel
vederla in quel letto di ospedale, ma se il giovane l’aveva chiaramente
esternata lui non poteva permettersi quel lusso. Si era gettato a capofitto nel
lavoro, diventando ancora più distaccato ed asociale del solito, ad un livello
tale che perfino sua sorella aveva problemi a comunicare con lui. Poi, era
ritornata. E sembrava che il suo mondo fosse cambiato all’improvviso. Il suo
cuore si era come indurito, e aveva preso la decisione di essere pienamente
coinvolta nel lavoro dell’agenzia, pur continuando a lavorare principalmente su
Rambaldi. Nei mesi che erano seguiti l’aveva vista nascondere il dolore che
provava, fino a quando non si era trasformato in rabbia, e in rancore. Anche
lei desiderava fargliela pagare con tutto il cuore, ma non era in cima alla
lista delle sue cose da fare.
“Sì.”
“Era stato mio marito a ridurmi
in quel modo. Mio marito… in teoria l’uomo di cui più mi sarei dovuta fidare.
Porto quell’anello perché in questo modo mi impedisco di dimenticare. E mi
ricordo di non fidarmi di nessuno.”
“Potrai sempre fidarti di me.
Sempre.”
Musica d’organo.
Un uomo nell’ombra ascoltava,
ispirato, e si avvicinò ad un altro, incatenato ad una sedia.
In mano aveva una pinza, e un
sorriso gentile, che non tradiva le sue intenzioni.
“Bach. Questa è una delle sue
cantate per organo… una delle mie preferite.”
Strinse con più forza l’attrezzo,
si avvicinò ancora di più all’uomo, che teneva lo sguardo fisso al pavimento.
“Il signor Sark mi ha convocato
per lei. Io gli avevo detto che sarei venuto domani, ma il mio precedente
impegno si è risolto più in fretta del previsto, e l’Uomo è stato molto
persuasivo, per convincermi ad anticipare la mia venuta… Posso rendere le sue
prossime ore sopportabili, oppure un vero inferno, a lei la scelta… deve solo
dirmi per chi lavora.”
Vaughn continuò a fissare il
pavimento.
“Come vuole.”
Dall’esterno, Irina osservava con
aria impenetrabile.
Sark sorseggiava un bicchiere di
vino bianco, guardando la vista che si godeva dall’appartamento di Lara.
Qualche minuto dopo Lara lo raggiunse, con un bicchiere in mano.
“Da quand’è che non riuscivamo a
stare così, senza pensare al lavoro o ad altri problemi, Andrew?”
“Da Mosca. Ti manca, la Russia?”
“Per niente. Hai fame?”
“Ora che mi ci fai pensare… sì,
parecchia. Ieri abbiamo saltato la cena tutti e due.”
“Potremmo andare a quel
ristorante che ha aperto da poco, ho sentito parlarne bene. Oppure se ti fidi…”
“Non mi fido.”
Lara finse un’espressione di
disappunto e lo colpì al braccio “Grazie tante!”
Sark posò il suo bicchiere e
quello di Lara sul tavolo della cucina, e cinse la sua vita con le braccia
“Potrei fidarmi stasera però, a cena, tu che ne dici, Lara?”
“Dico che se non andrò a comprare
qualcosa avrai ragione a non darmi mai più credito come cuoca.”
Sark sorrise alla battuta, e Lara
alzò una mano per carezzare il suo viso, sorridendo anche lei.
“Non pensavo ti avrei più visto
sorridere così. Devo ritenermi la causa o sono presuntuosa in maniera
insopportabile?”
Julian prese la sua mano e la
portò alle labbra “Ti voglio presuntuosa in maniera insopportabile. Sei sempre
stata troppo zitta e buona per i miei gusti, in questi anni.”
In contemporanea, entrambi i
cellulari di Sark e Lara squillarono. Un’altra volta il lavoro irrompeva nel
loro mondo.
La telefonata per Lara veniva da
Vladimir. Sembrava ci fosse qualcosa di cui voleva discutere con lei ma non per
telefono, e le chiedeva se le andava di fermarsi a pranzo con lui e Olga. Lara
osservò Sark e la sua espressione seria, e decise di accettare l’invito.
“Lasciami indovinare” disse lei,
quando Sark terminò la chiamata “il prigioniero.”
“Sembra voglia parlare, ora.”
“Bene.”
“Dove devi andare tu?”
“Da Vladimir. Olga sicuramente è
ancora sotto shock per il trasferimento qui.”
“Non ho mai avuto il piacere.”
“Vladimir tende a separare piuttosto
nettamente il lavoro dalla vita privata.”
“Con te fa un’eccezione.”
“Perché altrimenti Olga lo
squarterebbe. Si era tanto abituata in Russia a vedermi in giro per la casa
insieme a Ivan che si dev’essere convinta che anch’io sia sua figlia.”
“Allora vai, non farli aspettare.
Ti chiamerò se la situazione con l’agente CIA evolve in qualche modo.”
Sark non poteva saperlo, ma
nominare quell’agente era ogni volta un colpo allo stomaco per Lara.
Più si sforzava di non pensare a
lui, più il suo volto era presente nella sua mente, insieme al senso di colpa
nei confronti di Julian. Era attratta da tutti e due, c’era poco da fare… Era
con Julian però che voleva costruire qualcosa. Doveva dimenticarsi di Michael
Vaughn, il suo nemico, il prigioniero dell’organizzazione di sua madre, anche
se non sarebbe stato facile per niente.
Ringraziando il cielo, varcata la
soglia della nuova casa dei Korolenko, i problemi rimasero all’esterno. Olga
aveva raggiunto suo marito solamente da nove mesi, perché fino all’ultimo si
era rifiutata di lasciare la Russia. Quando alla fine aveva capitolato, in
cambio aveva preteso una casa che non fosse niente di meno di quello che si
aspettava, e Lara, Ivan e Vladimir ci avevano messo molti giorni e molta
pazienza per riuscire ad accontentarla.
“Lara, ma che piacere!” esclamò
sorridendo Olga accogliendo Lara all’ingresso. Senza darle il tempo di dire
qualcosa, Olga la portò in soggiorno e le chiese se voleva qualcosa da bere.
“No, grazie. Ho già preso
qualcosa con Sark prima di venire qua.”
“Ah.”
A Lara non era sfuggito il modo
secco con cui aveva parlato, e il modo in cui le sue labbra si erano
assottigliate. Julian non riscuoteva l’approvazione di Ivan, ergo la sua. Gli
occhi cobalto di Olga esprimevano chiaramente questo.
“Vladimir mi ha invitato a
pranzo. Spero che almeno te l’abbia detto, stavolta!”
“È stata una mia idea. Non ti ho
quasi mai visto da quando mi sono trasferita qui anch’io. E la casa è ancora
tutta in subbuglio… ascoltandomi non si direbbe che lavoravo per il Ministero
degli Esteri e che in otto anni prima di sposarmi ho cambiato residenza dieci
volte, vero?”
“Ti prego, Lara, fermala prima
che inizi a tediarci con i ricordi” disse scherzosamente Ivan, scendendo le
scale che portavano al piano di sopra.
Schivò uno scapaccione di sua
madre diretto alla testa, e abbracciò stretta Lara dandole un bacio sulla
guancia “Finalmente ci si vede. Ti pare brutto telefonare ogni tanto,
disgraziata?”
“Lavoro… Sai com’è, no?”
Ivan si scostò per fissarla negli
occhi. C’era ancora un’ombra dell’antico rimprovero, ma non poteva smettere di
volerle bene. Era sempre Lara, la sua amica d’infanzia e di isolamento in quel
collegio di Lugano. Aveva fatto scelte diverse dalle sue, forse non comprendeva
appieno le motivazioni dietro queste scelte, ma continuava a essere il suo
confidente e consigliere anche se ultimamente erano più le volte che lo mandava
al diavolo che quelle che gli dava retta.
“Ovviamente.”
“Dov’è tuo padre? Al telefono mi
ha detto che doveva parlarmi.”
Ivan fece strada nel corridoio,
fino all’ultima porta. Bussò, ed entrò senza aspettare risposta. Suo padre era
al telefono, e conversava in arabo, lingua che Lara non conosceva ancora
perfettamente. Ivan, che la ignorava completamente, alzò gli occhi al cielo e
uscì chiudendo la porta dietro di loro.
Vladimir, senza interrompere la
telefonata, fece un cenno di saluto con la testa e indicò a Lara di sedersi in
una delle poltrone di fronte alla sua scrivania.
Lo studio era incredibilmente
uguale a quello che aveva avuto in Russia, solo la vista era diversa. I libri,
le fotografie, i quadri… tutto era al suo posto. Sapeva che Vladimir era
preciso fino all’incredibile, ma certe volte sfiorava il maniacale.
“Scusami” disse, una volta finita
la conversazione “Immagino tu abbia saputo.”
“Nottingham è morto. E tutto il
mondo sospetta di noi.”
“Anche Shalaan El Hassein ne
sembra convinto.”
“Il nostro contatto in Egitto?”
“Proprio lui. Non so come la
notizia sia arrivata fin lì, ma la faccenda è grave. Pare che si stia radunando
un commando di forze, una sorta di coalizione di tutte le agenzie che si
servivano di Nottingham, e che sia loro intenzione farcela pagare.”
“E cos’altro? Vladimir, che cosa
non mi stai dicendo?”
“Temo che ci sia una talpa.
Qualcuno che li sta aiutando.”
“È escluso. Siamo solo in tre,
quattro se contiamo anche te, a sapere quello che sta succedendo.
L’informazione è strettamente classificata.”
“Tieni gli occhi aperti, Lara, ti
prego.”
“Lo farò.”
“Come vanno le cose?”
“Con Sark? Abbastanza bene, anche
se il lavoro di sicuro non semplifica le cose.”
“Lara, voglio solo che...”
“So a cosa ti riferisci, ma
questa volta sto procedendo con i piedi di piombo. Anche lui sa cos’ho passato,
e non ha fretta.”
“Lo sai che ti voglio bene, e
vorrei che non ti capitasse niente di male, non di nuovo.”
“A te Julian non piace proprio…”
“Non riesco a inquadrarlo, e non
mi piace quello che non conosco. Te lo ripeto, fa attenzione. E ora andiamo a
mangiare, prima che Olga fulmini entrambi.”
“Dov’è mia figlia?” domandò Irina
a Sark, appena arrivato.
“A pranzo dai Korolenko.”
“Tempismo perfetto, non avrei
saputo come dirglielo…”
“Che Yoshigawa sarebbe venuto a
interrogare il prigioniero oggi?”
“Ho notato che non era molto
incline a quel genere di soluzione. Lontano dagli occhi lontano dal cuore.”
“Non mi piace ingannare Lara di
proposito, Irina. Le voglio bene davvero.”
“Sono felice di saperlo, ma gli
affari sono affari e Lara certe cose non le sa gestire.”
“Ha parlato?”
“Si chiama Michael Vaughn. È un
inizio. Vediamo col Penthotal che cosa sarà in grado di dirci.”
“Conti davvero di ucciderlo?”
“Se non ci sarà utile, sì.”
Lara, seduta a tavola con Olga,
Vladimir e Ivan, si sentì come a casa. Complici anche la quiche e il tiramisù
di Olga, sue specialità. Non ricordava neanche più quand’era l’ultima volta che
aveva mangiato tanto ad un pranzo.
“Olga, pietà o non entrerò più in
nessuno dei miei vestiti!” protestò Lara, cercando di rifiutare la seconda
fetta di dolce.
“Tanto di guadagnato, ho sempre
pensato che fossi troppo magra” rispose lei, mettendole nel piatto un’altra
fetta di tiramisù. Lara aveva alzato gli occhi al cielo, e Ivan si era messo a
ridacchiare.
“Zitto tu! Ma non hai fa fare a
Hyderabad, a Bangalore o da qualche altra parte della Silicon Valley indiana?”
“Sono in vacanza. Cos’è, sei
invidiosa?”
“Ti odio, io mia madre la devo
supplicare per delle ferie.”
“Strano” disse Olga “pensavo
fosse felice di dartele.”
“Non da quando mi sto rendendo, a
dir suo, indispensabile.”
Olga assottigliò di nuovo le
labbra, in un’espressione strana, come se stesse ricordando qualcosa che non le
andava.
***flashback***
Olga entra nella sede dell’organizzazione di Irina, stringendo la borsa
e guardandosi intorno. Irina, che la vede, le va incontro sorridendo, ma Olga
la raggela. Non è lì per conversare frivolamente.
“Irina.”
“Olga. Quanto tempo.”
“Possiamo parlare?”
Irina fa strada fino al suo ufficio, fa entrare Olga, e prima di
chiudere la porta dietro di sé dice alla sua assistente che non vuole essere
disturbata per nessun motivo.
Olga si siede in una poltrona, e Irina dietro la sua scrivania.
“Sapevo che prima o poi noi due avremmo avuto questa conversazione.”
“Vladimir mi ha detto la verità sul suo lavoro. Non lavorava per i
servizi segreti, ma per te e Khasinau… per due terroristi.”
“Vladimir addestra i miei agenti, è vero, ma non è coinvolto quanto
pensi tu.”
“Non offendere la mia intelligenza!”
“Ha sempre cercato di proteggerti. Questo non lo puoi negare.”
“Come?”
“Ti ha fatto lasciare il mondo della diplomazia. Vladimir temeva che un
giorno la tua posizione sarebbe potuta diventare molto scomoda, o molto
preziosa… non voleva fossi coinvolta in quel che facciamo, e neanche Ivan.”
“Tutto mi sembra possibile, a questo punto. Mio marito lavora per dei
terroristi, l'ha fatto per anni e io lo scopro solo ora…”
“Mi dispiace.”
“No, non è vero. Dimmi, Irina, io e Ivan non andavamo bene, ma tua
figlia Lara sì?”
“Ho fatto tutto quello che era in mio potere per allontanarla! L’ho
mandata in Svizzera, pensavo che sarebbe potuta rimanere a vivere lì e tornare
saltuariamente in Russia, ma Lara è testarda, non te lo devo certo dire io. Le
dissi tutto, nella speranza che mi odiasse e scappasse via… invece ha scelto di
rimanermi vicino.”
“Lara ti vuole bene, è tua figlia… certe volte la sento vicina come se
fosse anche figlia mia. È per questo che sono qui. Se posso, voglio evitare che
soffra inutilmente.”
“Ma non puoi. Lara ha già scelto la sua strada.”
“Quando era troppo sconvolta per pensare coerentemente!”
“Non credere. Lara è più forte di quello che sembra.”
“Questo sicuramente l’ha preso da te. Lasciala andare, Irina.”
“Olga, non potrei neanche se lo volessi. Nessuno lascia da vivo questa
agenzia, solo da morto.”
“Dannazione, stai parlando di tua figlia!”
Irina chiude gli occhi, abbassa la testa. Sorride amaramente.
“Se non l’avessi portata con me non sarebbe successo niente di tutto
questo… forse Jack sarebbe stato un genitore migliore di me.”
“Jack Bristow è stato accusato di tradimento, e sospettato di essere in
combutta con te. Dopo mesi di prigionia e una quasi condanna è stato rilasciato
e discolpato completamente… non te lo devo dire io che una cosa del genere
lascia il segno. Ha iniziato a bere e a correre rischi inutili. Non sarebbe
stata una decisione saggia lasciare tua figlia con lui.”
Irina fissa il volto di Olga, sorpresa. La donna ricambia lo sguardo, e
fa un piccolo, freddo sorriso.
“I diplomatici certe volte sono meglio delle reti di spie dei servizi
segreti, specialmente se hanno amici in alto, o conoscono qualche ex collega
del marito al dipartimento di stato. E dopo anni di misteri e tessere di
mosaico apparentemente scollegate, ho iniziato anch’io a pormi qualche domanda.
Certo, le mie ipotesi erano un tantino diverse dalla verità.”
“Non cambia niente.”
“Rimani delle tue idee?”
“Vale lo stesso anche per te.”
“Fai una cosa per me, comunque. Sark. Non ho mai avuto l’occasione di
conoscerlo di persona, ma da quello che so non mi piace. Lara lo ama, ma non
sono certa sia la persona giusta per lei.”
“Gli affiderei la mia vita.”
“Ma io no. Se proprio non puoi, o non vuoi, lasciare Lara, almeno
vigila su loro due. Lara potrebbe non reggere ad una scottatura del genere per
la seconda volta, non importa quanto tu, ma anche lei stessa, pensi di essere
forte. Ti saluto, Irina.”
Detto questo, Olga riprende la sua borsa ed esce dall’ufficio. Irina,
seduta, la osserva andare via.
***flashback***
“Davvero?” disse Olga, passandole
la caraffa dell’acqua.
“Davvero. E ora che Khasinau non
c’è più, le cose vanno sempre meglio.”
“Sono felice per te, Lara.”
Il cellulare di Lara iniziò a
suonare. Era uno dei suoi collaboratori, che l’aveva chiamata per dirle che
doveva consegnare il rapporto sulla missione insieme a Sark.“Credevo di averlo
compilato stamattina. Non lo trovate?”L’assistente rispose di no, e che
probabilmente si trovava nel suo computer, di cui lui però non conosceva le
password.
“D’accordo, ho capito, arrivo
subito.”
Lara si alzò da tavola “Scusate,
ma devo tornare al lavoro. Non trovano più una relazione che ho fatto questa
mattina e probabilmente dovrò riscriverla.”
“Vuoi che ti accompagni?” disse
Vladimir.
“Mi farebbe piacere. Scusami,
Olga, se vado via così, ma…”
“Il lavoro è lavoro. Vai, non preoccuparti.
Ci vediamo presto, d’accordo?”Lara annuì, e presa la giacca uscì con Vladimir.
“Ho detto a Olga la verità.”
Lara non riusciva a credere alle
proprie orecchie.
“Ma avevi detto…”
“So benissimo quel che avevo
detto, ma voleva sapere il perché di questo trasferimento, dopo dieci anni che
non mi ero quasi mai mosso da Mosca. Ero stanco di mentirle.”
“Non l’ha presa bene, vero?”
“Ha gridato, ha pianto, e non mi
ha più parlato.”Solo allora Lara si rese conto che durante il pranzo, Vladimir
era rimasto totalmente in silenzio. Né Ivan né sua madre gli avevano parlato, o
lo avevano coinvolto nelle loro conversazioni.
“Anche Ivan segue la linea di sua
madre?”
“Come sempre. Non che mi
aspettassi il contrario, beninteso.”
“Da tempo al tempo. Dopotutto, tutto
comprendere è tutto perdonare. Me lo dissero molti anni fa i genitori di un mio
amico da cui andai a vivere per un po’, durante il periodo in cui non riuscivo
neanche a guardare mia madre negli occhi…”
Vladimir sorrise, e Lara
ricambiò. Tutto comprendere è tutto perdonare. Nel momento in cui incrociò
Takeshi Yoshigawa, che le fece un cenno di saluto mentre usciva dalla sede
dell’agenzia, questo proverbio le sembrò tutto fuorché utile. Pregava di non
trovare né Andrew né Irina, altrimenti non sapeva che avrebbe fatto.
‘Mi hanno ingannato, e come una
stupida ci ho creduto. E io che credevo che Andrew… no, questa volta mia madre
me la paga!’
Attraversò i corridoi che
portavano agli ascensori, e quelli dei sottolivelli, con passo marziale.
Nessuno osava tagliarle la strada, nessuno osava rivolgerle la parola. Quello
sguardo era lo stesso di Irina quando era furiosa oltre ogni limite, quindi era
meglio rimanerne fuori. Non dovette neanche fare tanta fatica per trovarli.
Erano tutti e due nell’ufficio di Irina, e stavano discutendo di un piano di
missione. Lara respirò profondamente. Se fosse entrata come una furia, non
avrebbe ottenuto niente. Meglio prendere esempio dalla madre, e dire quello che
pensava con il massimo e gelido contegno.
“Ma che combinazione… ciao
Julian. Mamma.”
Entrambi sembrarono sorpresi di
vederla. Ottimo, pensò Lara.
“Mi hanno chiamato perché il mio
rapporto di missione manca. A voi risulta?”
“Non girare intorno
all’argomento, Lara. Parla.”
“Quale argomento?” rispose lei,
fingendo di non sapere. “Sono qui solo perché un mio assistente mi ha chiamato.
Non certo perché qualcuno mi ha detto che Yoshigawa è stato qui a torturare il
prigioniero.”
“Il prigioniero ha un nome,
Michael Vaughn.”
“Questo da voi due me lo sarei dovuto aspettare, ma speravo ci
fosse un limite anche alla diffidenza che devo nutrire verso mia madre e il mio
fidanzato.”
“Lara…”Qualunque cosa Sark stesse
per dire gli morì in gola, dopo che Lara gli rivolse un’occhiata gelida,
identica a quella di sua madre, e a pensarci bene anche di Jack Bristow.“Sark,
per favore, puoi lasciarci da sole?”
“Certo, Irina.”Una volta che
chiuse la porta dietro di sé, Irina parlò. “Smettila di comportarti come una
bambina.”
“Sapevi che ero contraria e pur
di fare quel che volevi hai detto a Sark di allontanarmi!”“Il tempo non è dalla
nostra parte.”
“Qui non stiamo parlando di
tempo, stiamo parlando di fiducia. E tu non sembri averne nei miei riguardi,
mentre pretendi cieca obbedienza da me. Spiacente, non funziona così.”“Avresti
utilizzato Yoshigawa contro l’agente Vaughn? Rispondimi.”
“Se il Pentothal non avesse dato
risultati, sì. So anch’io che in certi casi la forza è l’unica soluzione, e non
mi faccio problemi ad usarla. L’ultima missione parla da sola, mi pare.”
Madre e figlia rimasero a fissarsi
per qualche secondo, in silenzio, poi Irina domandò a Lara se fosse andata da
Vaughn.
“Non ancora.”
Lara osservò sua madre, e decise
che sembrava sorpresa della sua risposta.
“Devo andarci?”
“Ho come l’impressione che tu
potresti essere l’unica in grado di farlo parlare. Ha detto qualcosa anche a
Yoshigawa, beninteso, ma io voglio anche il resto.”
“D’accordo.”Andare da Vaughn.
Lara aveva paura di quello che avrebbe visto… Visto?
Prima di andare doveva prendere
una cosa dal suo ufficio.Ancora una volta incrociò quell’operativo. Stavolta
Lara lo fermò e gli chiese chi fosse.“È troppo tempo che ti vedo in giro, e non
so ancora chi sei.”
“Ilir Smirnoff.”
“Accento georgiano. Stavi col
Direttorio K?”
“Quando il Direttorio è crollato,
mi è stato detto che potevo essere un prigioniero o un operativo. Ho scelto la
seconda offerta.”
“Non ti do torto… Ilir, devo
vedere il prigioniero, Michael Vaughn.”
Ilir la condusse fino di fronte
alla porta, poi Lara usò il suo badge ed entrò. Vaughn era semisvenuto, ancora
ammanettato alla sedia al centro della sala. Dalla fronte, dal naso e dalla
bocca scendevano rivoli di sangue secco. Di sicuro ora nella sua bocca mancava
almeno un dente. Lara si avvicinò lentamente, e il rumore dei tacchi fece
alzare la testa di Vaughn. Lara si mise un dito di fronte alla bocca, e
premette la pietra verde dell’anello che portava.
“Manderà in tilt le telecamere
per qualche minuto. Abbiamo problemi di questo tipo, pertanto nessuno si
insospettirà.”
“Che cosa vuoi da me?”
“Non chiedere cosa voglio io,
Michael, ma piuttosto cosa vuoi tu. Ti vogliono uccidere, credo tu l’abbia
capito.”
Vaughn non rispose, così Lara
continuò.
“Lo so che credi che sia stata
mandata da loro, ma non è così. A me non piace uccidere la gente, e non ho il
loro sangue freddo.”
“Bel tentativo, ma non
funzionerà.”
“E perché non funzionerà?”
Ancora silenzio. Ma certi silenzi
dicevano molto.
“D’accordo. Ma non dire che non
ti avevo avvisato. Sark e l’Uomo…”
“Tu e Sark avete una storia.”
L’intonazione della sua voce le fece capire che non era una domanda.
“Non cambia niente. La mia
offerta non ha a che fare con questo, e lo sai anche tu.”
“Se è per quanto è successo a Los
Angeles, non sentirti obbligata.”
“Come vuoi.”Premette di nuovo la
pietra sull’anello, e le telecamere tornarono a posto. Lara rimase a fissare
Vaughn per qualche altro secondo, e poi uscì diretta all’ufficio della madre.
“Mamma, credo che una squadra
della CIA verrà a liberarlo.”
Irina sorrise e scosse la testa
“Non è possibile. Cosa te lo fa credere?”
“È come se sapesse che la sua
situazione non durerà ancora a lungo. So cosa stai per dire, che questo è
quanto sperano tutti quelli tenuti prigionieri, ma io ne sono sicura.”
“Che bisogno avevi di creare un
segnale che interferisse con le telecamere? Non sei in territorio nemico.”
“Speravo si fidasse di me.”
“E perché?” domandò Irina, con
fare inquisitorio, mentre sorseggiava la sua tazza di caffè. Questa volta
sembrava decisa a ottenere una risposta. Lara desiderò darsi una mazzata in
testa. Sua madre l’aveva portata esattamente dove voleva lei, ovvero sempre a
quel punto che non voleva chiarire. Che relazione c’era o c’era stata tra lei e
quell’agente della CIA? Irina aspettava, e Lara decise di parlare. Non sarebbe
servito a niente mentirle ancora, se sospettava già qualcosa.
“Per via di una cosa che è
successa a Los Angeles. Io e Vaughn…”
“Non sentirti obbligata a
dirmelo. E non dirò niente a Sark, qualsiasi cosa sia successa.”
“Ma io credevo che…”
“Sì, ho capito cosa credevi. Io
volevo solo che tu fossi sincera con me. L’avevo capito che tra te e Vaughn
doveva esserci stato qualcosa, ma tu ti ostinavi a negare anche l’evidenza.
Questo offusca la tua capacità di giudizio.”
“Mi sembra di sentire Khasinau.”
“Alexander su certe cose aveva
ragione.”
“Dammi retta, mamma. Lo verranno
ad estrarre da qui.”
“D’accordo. Terremo gli occhi
aperti. E ora vai, non ti trattengo.” Lara si alzò, e uscita dall’ufficio di
Irina si diresse verso il suo. All’interno, sulla scrivania, c’era una rosa
rossa. Rimase ferma sulla soglia della stanza, a fissarla, per almeno due
minuti. Non sapeva se strangolare Andrew o perdonarlo. Che Irina avesse
ascendente su di lui lo aveva sempre saputo, quindi non era stupita del fatto
che obbedisse ai suoi ordini, anche se andavano ad interferire con la loro
relazione. Mentre rifletteva, sentì la presenza di Andrew dietro di lei. Chiuse
la porta, e sempre arrivandole da dietro le mise le mani sulle spalle,
avvicinandola a lui.
“Mi dispiace, Lara.”
“Comincia ad essere un
ritornello.”
“Lo so. Ma non ci posso fare
niente. Devo molto a tua madre e non mi posso rifiutare di fare qualcosa per
lei se me lo chiede…”
“…o te lo ordina. So come ci si
sente, è la storia della mia vita da quando sono venuta a lavorare qui.”
Le mani di Sark lasciarono le
spalle di Lara, e le sue braccia la strinsero in un abbraccio. Sark le baciò la
base del collo, e Lara sorrise leggermente.
“Non vuol dire che ho smesso di
avercela con te.”
“So anche questo. Come so che c’è
una cosa che desidero fare da almeno due settimane, e non ne ho trovato il
coraggio… fino ad ora.”
Lara aggrottò le sopracciglia, e
girò la testa verso Sark “Ma che vuoi dire?”
Andrew si portò di fronte a lei,
e le prese la mano con la fede nuziale “Ripensavo a questo anello. Pensare a
Gavrilo, o come diavolo si chiami quell’uomo, non ti fa bene. E ti prometto che
entro un anno da oggi riuscirò a fartelo togliere.”
“Non ci sono riusciti mia madre,
tua sorella e i miei amici e vuoi riuscirci tu da solo? Accomodati pure.”
“Riuscirò a fartelo togliere…”
disse prendendo dalla tasca la scatola di un gioielliere, che aprì di fronte a
lei, e che conteneva uno splendido anello d’oro con un diamante solitario
“…perché entro un anno da oggi riuscirò a convincerti a sposarmi.”Lara sentì
l’impellente bisogno di sedersi. Non sapeva che cosa dire… Sark invece sì.“So
che ti ho preso alla sprovvista…in due anni non abbiamo mai parlato di questo.”
“Sark, sarò esplicita. Ho paura
di impegnarmi di nuovo.”
“Tu sai chi sono. Sai quello che
faccio.”Lara scosse leggermente la testa “Non è questo…”Sark si inginocchiò di
fronte a lei “Non ti chiedo una risposta subito. Come ho detto, mi sono dato un
anno di tempo. Vorrei però che prendessi ugualmente questo anello” disse,
levando l’anello dalla scatola e mettendolo nel palmo della mano di Lara. Lara
alzò gli occhi verso di lui, senza capire. Sark si alzò da terra, e con una
mano tolse la polvere dai pantaloni. Poi la fissò negli occhi “Quando lo vedrò
al posto giusto, capirò.”
Lara fissava l’anello, ancora
nella sua mano. Cavolo, non se l’aspettava proprio che Andrew le chiedesse di
sposarlo. Voleva accettare subito, ma l’esperienza le aveva insegnato a non
essere impulsiva. Mai più. Quella Lara era morta dopo il matrimonio con
Gavrilo, e la notte passata con Vaughn le aveva dato il colpo di grazia. Poggiò
il gioiello sul bordo della scrivania, e con le mani cercò la chiusura di una
sottile catenina d’argento che portava al collo, oltre ad una collana d’oro con
un fiore di rubini e diamante come pendaglio. Una volta aperta, infilò la
catenina nel cerchio d’oro dell’anello, e poi la rimise al collo. In questo
modo le sembrava di fare un ottimo compromesso. Sark avrebbe visto che portava
l’anello, e lei non si sarebbe ancora impegnata definitivamente.
L’attacco della coalizione iniziò
alle diciotto di quello stesso giorno.
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