La lista delle cose che ci siamo persi dormendo

di Itsamess
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il perdono, questo sconosciuto ***
Capitolo 2: *** Frozen yogurt ***
Capitolo 3: *** Ritorno al Futuro I/II/III ***
Capitolo 4: *** Allunaggio ***
Capitolo 5: *** Disco music ***
Capitolo 6: *** Star Trek/Star Wars ***
Capitolo 7: *** Selfie ***
Capitolo 8: *** Frappuccino ***
Capitolo 9: *** NBA ***
Capitolo 10: *** Serate Revival ***
Capitolo 11: *** L'ultimo punto della lista ***
Capitolo 12: *** Lui (epilogo) ***



Capitolo 1
*** Il perdono, questo sconosciuto ***


 
La lista delle cose che ci siamo persi dormendo
 
 
 
 Non voglio chiudere gli occhi
Non voglio addormentarmi
Perché ti perderei, amore
 e non voglio perdermi niente
 
I Don’t Wanna Miss A Thing, Aerosmith
(32esimo punto della lista delle cose da recuperare)
 
 
 
 
 
 
Capitolo 1 Il perdono, questo sconosciuto
 
La gente ha una visione distorta degli Agenti Speciali.
Se li  immagina sempre vestiti di tutto punto, con i capelli impomatati e le scarpe appena lucidate, pronti ad utilizzare avanzatissime tecnologie di intelligence per salvare la Terra un giorno sì e l’altro pure.
Purtroppo per loro, la realtà è ben diversa.
Anche per gli Agenti Speciali esiste il lunedì mattina, la calca in metropolitana e la coda in mensa per aggiudicarsi l’ultima porzione di pizza fantasia.
 
«Non ti azzardare» lo minacciò Bucky in tono serissimo, sfiorando lentamente il bordo zigrinato del coltello con la punta delle dita.
Era tagliente, bene strano.
Alzò lo sguardo sull’altro, aspettandosi di vederlo tremare di paura o quantomeno allontanare la mano, eppure Steve non si mosse di un millimetro.
 
«Altrimenti cosa fai? Mi pugnali con le posate di plastica?»
 
«Non tentarmi» lo avvertì, tenendo gli occhi fissi sul coltello.
 
Steve non poté fare a meno di notare che l’amico aveva fatto uno strano sorriso. L’idea di una battaglia all’ultimo sangue nella mensa dello S.H.I.E.L.D. gli piaceva più di quanto fosse lecito, e si sentì percorrere da un brivido di paura.
Sapeva che razionalmente non c’era nessun motivo per essere spaventato, dato che la mente di Bucky era stata epurata dai condizionamenti dell’HYDRA e che alla fine stavano solo scherzando su una stupida fetta di pizza… eppure non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine del suo migliore amico che puntava un’arma contro di lui. Perché Bucky era davvero capace di pugnalarlo, ne aveva avuto la prova solo poco tempo prima. La ferita alla spalla poteva essersi cicatrizzata all’esterno, ma aveva lasciato traccia anche dentro di lui..
 
Quasi riuscisse a leggergli nella mente, Bucky riprese «Non ti conviene combattere con me. Sai quanto sono abile nel corpo a corpo»
 
«Per carità, risparmiateci i dettagli della vostra vita privata!» 
Non ebbero nemmeno bisogno di voltarsi per sapere che la voce stentorea che li aveva appena rimproverati apparteneva a Tony Stark, il quale senza farsi alcuno scrupolo si fece largo fra di loro, sporgendosi verso la vetrinetta. L’uomo aprì lo sportello, prese l’ultimo piatto di pizza fantasia e lo posò sul vassoio. Poi levò gli occhi sui due amici ed aggiunse «Rogers, Barnes, smettetela di flirtare, state bloccando la fila»
 
 
Si sedettero al primo tavolo libero senza rivolgersi una sola parola, come del resto facevano sempre più spesso. Quello strano silenzio li accompagnava infatti da settimane, da quando a Bucky era stato offerto di unirsi allo S.H.IE.L.D. e a Steve era stato chiesto di aiutarlo ad integrarsi.
Come se fosse facile.: Bucky e il lavoro di squadra non erano esattamente due elementi affini, senza contare poi che non tutti gli agenti erano disposti a lavorare con uno che fino a poco prima aveva combattuto sul fronte opposto. Sostenevano di doversi poter fidare del proprio partner nelle missioni, perché era la loro vita ad essere in gioco e non potevano metterla a rischio solo per far sentire qualcuno parte del gruppo, per questo Bucky era finito per essere sempre quello dispari a mensa, dispari nelle riunioni, dispari nelle esercitazioni.
Era stato allora che Nick Fury aveva avuto la geniale idea del Tutor per l’Integrazione - figura a metà fra il supervisore e il secondino – il quale avrebbe dovuto aiutare l’inserimento del nuovo membro nell’organizzazione, coinvolgendolo nelle attività comuni ed aiutandolo a riguadagnare la fiducia degli altri.
In poche parole, l’incarico perfetto per Steve Rogers, che non solo non aveva ancora perdonato Bucky per quello che era successo nel loro ultimo scontro, ma  che non aveva neanche la minima idea di come convincere altre 500 persone a fidarsi dell’Ex Soldato d’Inverno.
 
 
«Dì un po’, cos’è che scrivi sempre in quel tuo taccuino?»
La domanda di Bucky fu improvvisa e quasi incomprensibile, dal momento che  aveva la bocca piena di patatine, eppure Steve non poté ignorarla. Alzò la testa verso di lui e pensò a quanto sembrasse innocente, lì seduto al tavolo della mensa con in testa quel cappellino da baseball con ricamato sopra il logo dell’organizzazione…eppure, per quanto cercasse di non vederlo,  c’era sempre qualcosa in lui che rendeva impossibile dimenticare il suo passato come Soldato d’Inverno: forse era il sorriso obliquo, forse gli occhi di ghiaccio, forse il braccio metallico che scintillava minaccioso sotto le luci al neon, ma una parte di Bucky sembrava essere rimasta fredda anche dopo la procedura di scongelamento.
 
Il moro dovette notare la sua distrazione, perché ripeté più lentamente «Il taccuino, Steve. Lo porti sempre con te e mi chiedevo-»
 
«Non è niente di importante» lo fermò Steve scuotendo la testa. In fondo immaginava che prima o poi la gente avrebbe iniziato a fare domande sui misteriosi appunti che prendeva, ma quella richiesta tanto diretta lo fece avvampare.
 
Bucky fece spallucce.
«Ok»
 
«In che senso ok
 
«Ok se non ne vuoi parlare, avrai i tuoi motivi…» gli rispose, riprendendo distrattamente a spiluccare dal piatto «Solo che pensavo che la regola numero uno fra amici fosse “Niente segreti”»
 
«No, la regola numero uno fra amici è “Non uccidersi”!» sbottò Steve, incapace di trattenersi oltre. La voce gli uscì  molto più dura di quanto desiderasse - tanto che un paio di persone sedute al tavolo accanto si voltarono incuriosite verso di lui - eppure non si pentì delle proprie parole: era davvero stanco che lui e Bucky continuassero a comportarsi come se non fosse successo niente, come se fossero ancora i due migliori amici che saltavano la scuola insieme per andare a vedere la parata militare in piazza. A dividerli c’erano 70 anni di lontananza, una guerra combattuta su fronti diversi, quattro pallottole e innumerevoli lividi, non tutti visibili.
 
«Ah, allora è questo il problema! Non l’hai ancora superata!» concluse Bucky sollevato, rilassandosi sulla sedia come se stessero discutendo di questioni di cuore e non di tentati omicidi. Assaggiò un’altra patatina e aggiunse in tono sereno «Immagino che ti ci voglia del- tempo, no? Per elaborare la cosa, accettare quello che è successo, riacquistare la fiducia nei mei confronti… tanto io non ho fretta. Non ti farei mai pressioni, mi conosci»
 
«No, non ti conosco! Non ti riconosco» stava urlando e lo sapeva, ma da troppo tempo desiderava dirgli la verità e ora che aveva iniziato non riusciva più a fermarsi «Quando ti guardo non vedo il mio Bucky e non vedo nemmeno il Soldato d’Inverno, vedo solo un estraneo a cui chissà come hanno dato un badge dello S.H.I.E.L.D. e dei buoni per la mensa»
 
Il moro, sorridendo divertito, gli fece segno di abbassare la voce.
«Me li hanno dati per merito tuo! Sei stato tu a venirmi a cercare, ricordi?»
 
E come dimenticarlo?
Steve aveva passato mesi a raccogliere informazioni sul suo conto, interrogando chiunque avesse avuto a che fare con il Soldato d’Inverno. Aveva mappato, passo dopo passo, ogni luogo in cui lo avevano avvistato, spinto solo dall’urgenza di ritrovarlo prima che fosse troppo tardi. Natasha, Fury, Tony - avevano tutti cercato di dissuaderlo, avvertendolo che Bucky era una persona diversa da quella che conosceva e che poteva essere pericoloso dargli la caccia, ma Steve non aveva voluto sentire ragioni: per anni aveva pianto la morte dell’amico ed ora che lo aveva rivisto non poteva pensare di perderlo di nuovo.
Tuttavia, dopo settimane e settimane di ricerche infruttuose nell’Europa orientale, era stato costretto ad arrendersi: se ne era andato, una volta per sempre. Doveva accettarlo. Con la morte nel cuore e la foto di Bucky ancora nella tasca, aveva prenotato il primo volo diretto a New York. Era stato allora - nella hall dell’albergo dove stava aspettando il taxi – che lo aveva visto: il Soldato d’Inverno, dall’altra parte della stanza, che stringeva la mano ad un uomo sconosciuto.
Steve avrebbe scoperto solo in seguito che quel losco figuro era un industriale pronto a pagare migliaia di dollari per i suoi servigi da mercenario; avrebbe capito troppo tardi che non si può salvare chi non vuole essere salvato.
In quel momento, si era semplicemente alzato dal divanetto ed era corso verso l’amico.
La prima cosa che Bucky aveva fatto era stato abbracciarlo.
La seconda pugnalarlo.
 
«Forse è stato un errore»
La ferità al costato pulsò dolorosamente in assenso.
 
«Andiamo, Steve. È davvero così difficile perdonarmi?» domandò il moro sgranando gli enormi occhi azzurri, incapace di credergli. Smise di dondolarsi sulla sedia e ridendo aggiunse «Se ci è riuscito Nick Fury, ce la puoi fare anche tu»
Probabilmente con quella battuta si aspettava di far sorridere l’amico, ma Steve restò in silenzio, le labbra tirate per lo sforzo di trattenersi dal prenderlo a pugni.
La voce di Bucky si addolcì «Dimmi solo cosa posso fare per riconquistare la tua fiducia ed io lo farò, te lo prometto»
 
«Così come mi avevi promesso di restare con me fino alla fine? Non immaginavo intendessi dire che saresti stata tu, la mia fine »
 
L’ultimo, speranzoso sorriso sul volto di Bucky si spense di colpo.
«Wow, ok» alzò le mani in segno di resa e prese un profondo respiro «Io propongo di prenderci una pausa a questo punto. Non ho intenzione di restare qui a sentirmi urlare in faccia tutto quello che ho sbagliato in questa fottuta vita»
 
Infatti non restò.
Steve lo guardò allontanarsi senza fare nulla per trattenerlo.
 

 
 
 


Angolino dell'autrice
Allora, premetto giustificando quello che molti di voi forse staranno pensando: Steve ha perdonato Bucky e lo sappiamo tutti. Sa che non è stata colpa sua, sa che sono stati i condizionamenti dell'HYDRA a trasformarlo in sicario e sa che sono gli anni in Russia ad avergli fatto mancare un paio di appuntamenti dal parrucchiere. Lui lo sa. Razionalmente lo sa. Nella sua mente si rende conto che non può fargliene una colpa. Ma la fiducia si basa su un organo molto più subdolo della mente, sul quale abbiamo ben poco controllo.
Questa storia sarà articolata in una decina di capitoli, che seguiranno la famosa lista delle cose perse dormendo.
Significherebbe tutto sapere che cosa ne pensate :)
Ah e se avete tempo e non la conoscete cercatevi la canzone degli Aerosmith che apre il capitolo. Prima di tutto perchè è bellissima, e secondo perchè è un classicone, la classica canzone che dal titolo non ti dice niente e che invece scopri di aver sentito mille volte.
(Ho scritto questa storia come regalo di Natale per la mia sorellina Leo, che condivide con me e Steve Rogers un amore segreto per Bucky, quindi of course la dedico a lei)
Itsamess

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Capitolo 2
*** Frozen yogurt ***


Se bussare alla porta sembrava incredibilmente difficile non era a causa della ferita alla spalla: grazie al siero che gli era stato iniettato Steve era in grado di guarire molto più rapidamente del normale, inoltre il dolore fisico non era più stato davvero in grado di paralizzarlo, ma la paura sì. Non sapeva come lo avrebbe accolto Bucky, se con un sorriso di sollievo o un coltello dietro alla schiena, pronto a colpirlo in nome dei bei vecchi tempi. C’era solo un modo per scoprirlo e prevedeva semplicemente di sollevare la mano a pugno e batterla contro quella tavola di legno chiaro, eppure la sola idea di ritrovarsi faccia a faccia con l’incubo che lo aveva tormentato negli ultimi tempi lo paralizzava.
Capitan America, immobile nel corridoio di un hotel: non si riconosceva nemmeno. E pensare che un tempo si credeva invincibile, come se nulla potesse scalfirlo.
 
Una timida cameriera si avvicinò per chiedergli se avesse bisogno di aiuto e Steve lottò per non risponderle che sì, aveva bisogno di aiuto per bussare ad una porta ed affrontare il suo ex migliore amico. In realtà non sapeva neanche bene cosa ci facesse lì nello squallido motel di Bucky, dal momento che la loro ultima conversazione risaliva a undici giorni prima e non era stata esattamente pacifica.
Ma non poteva restare arrabbiato per sempre, no? del resto si rendeva conto che ad aggredirlo non era stato lui, ma il Soldato d’Inverno creato dall’HYDRA- perché allora era così difficile perdonarlo? 
Questa nuova versione di se stesso - tutta sospetti e rancori e brutti ricordi – non gli piaceva per niente. Per allontanarla bastò bussare, con un po' di fatica, alla porta.
 
Bucky era in accappatoio, come se avesse previsto la visita di Steve e si fosse impegnato per sembrare il meno minaccioso possibile. Se era davvero quello il suo piano aveva funzionato alla perfezione: la cuffia di plastica, strategicamente unita a un paio di infradito di plastica usa e getta e a quell’aria innocente, era un tocco di classe.
 
«O-offerta di pace» boccheggiò il biondo non appena lo vide, sollevando timidamente il bicchiere.
 
«Pensi di potermi corrompere con il cibo?» scherzò l’altro, pur restando fermo sulla porta, quasi non sapesse se farlo entrare «Ti credevo migliore di così»
 
Steve resistette all’impulso di rispondergli  Anche io e semplicemente rispose «Senti, non fare tante storie e accetta questo frozen yogurt che mi si sta sciogliendo in mano. Posso?»
 
La camera di Bucky era completamente spoglia, come se vi si fosse appena trasferito e non avesse ancora fatto in tempo a disfare i bagagli, ma la verità era che di bagagli, di oggetti ed effetti personali, non ne aveva. Possedeva solo un paio di cambi di abito che gli aveva fornito lo S.H.I.E.L.D. e che con ogni probabilità erano riposti nell’armadio, ma per il resto la stanza sembrava disabitata. Le mensole erano vuote, sul tavolino non c’era niente se non il telecomando del televisore che a quanto pareva non era mai stato acceso. Steve si domandò se questo stile di vita austero fosse un retaggio del suo addestramento in Russia o se semplicemente l’amico non si trovasse a suo agio nel motel e preferisse non abituarcisi. In ogni caso, tutto in quella stanza vuota sembrava comunicare lo stesso, grave messaggio: non sono qui per restare.
 
«Che cos’è?»
La voce dell’altro lo costrinse a tornare alla realtà: un po’ imbarazzato, Steve smise di guardarsi in giro e posò finalmente gli occhi sull’amico. Bucky stava osservando con sospetto e smarrimento il bicchiere, pieno di poltiglia bianca gelata.
 
«Ah già che tu non lo conosci… è un dolce, freddo, a base di latte. È simile al gelato ma ha un più basso contenuto di grassi, perché non contiene panna» gli rispose Steve, sperando di citare correttamente la definizione che aveva trovato online qualche giorno prima «In realtà, è stato un’idea di Natasha, ha pensato che ti avrebbe fatto piacere»
 
«È così. Ti ringrazio»
Il sorriso colmo di gratitudine di Bucky faceva intendere che fosse felice del pensiero, eppure si vedeva che non gli importava niente del yogurt, perché lo aveva appoggiato sul comodino senza neppure assaggiarlo. Era un peccato.
 
«Non sapevo a che gusto prendertelo e ho deciso al cioccolato perché un tempo ti piaceva»
 
«Mi piace ancora»
Perché non è cambiato niente e sono ancora io era il sottinteso della frase e Steve avrebbe disperatamente voluto crederci, ma non poteva. Forse a Bucky piaceva ancora lo sciroppo al cioccolato e forse i suoi occhi erano ancora i più azzurri che avesse mai visto, ma questo non significava niente se la sua mente era stata riportata a zero un migliaio di volte e gli era stato ordinato di diventare una specie di macchina da guerra senza emozioni.
 
«Già» commentò Steve semplicemente, giusto per non restare in silenzio troppo a lungo.

Bucky fece un passo verso di lui ma si fermò nel vedere l’amico indietreggiare. Davvero aveva paura di lui? Non gli avrebbe mai fatto del male.
Mai più, almeno.
«Steve-»
 
«Il fatto è che mi manchi. E vorrei poterti abbracciare in questo momento ma non riesco a smettere di pensare che abbracciandoti potresti pugnalarmi alla schiena. Quindi non lo farò. Perché non ce la faccio. Non ora»
Steve parlava a scatti, come se ogni parola gli costasse un quantitativo di energia superiore alle sue forze e dovesse fermarsi per riprendere fiato.
«Ma sappi che mi manchi. Sono- anni che mi manchi»

Bucky distolse lo sguardo e mentì «Va bene», mentre in realtà non andava bene per niente, dato che il suo migliore amico aveva paura di lui e non osava nemmeno avvicinarglisi. Distolse lo sguardo da Steve - non riusciva a sopportare di vederlo così diffidente e spaventato – e si lasciò cadere stancamente sul letto. Rimase a guardare il soffitto per un tempo indefinito, finché non sentì l’altro fargli una proposta che era più simile ad un’offerta di pace di quanto non lo fosse stato il frozen yogurt.
 
«Potremmo semplicemente riavvolgere tutto, cosa ne dici? Niente rancori, niente brutti ricordi… Ripartiamo da zero, con un nuovo catalogo dell’amicizia»
 
Issatosi sui gomiti, Bucky affermò solennemente «Regola numero uno “Non uccidersi”»
 
«Regola numero due “Niente segreti”» gli fece eco Steve abbozzando un sorriso ed infilando una mano nella tasca dei jeans. Per un attimo Bucky si domandò se stesse tirando fuori una pistola, ma poi si ricordò che dei due era più probabile che fosse lui quello armato e scosse la testa.
 
Steve gli si avvicinò lentamente e gli porse un piccolo oggetto rettangolare dal colore rosso scuro, che all’inizio l’altro non riconobbe.
«Ecco. Il mio taccuino, quello di cui mi chiedevi l’altro giorno»

«Non sei costretto a farmelo leggere, se non vuoi»

Steve fissò gli occhi nei suoi «Lo voglio»
 
 
Il taccuino era assolutamente incomprensibile: pagine e pagine vergate dalla fastidiosa calligrafia regolare di Steve e del tutto prive di senso, tanto che Bucky si domandò più volte se  le parole al loro interno esistessero davvero. O forse era il suo cervello ad essere tanto abituato a pensare in russo da aver dimenticato l’inglese ed espressioni come goji e twerk. Rivolse all’amico uno sguardo smarrito e gli domandò «Che cos’è? E cosa vorrebbe dire Strabucks
 
«Starbucks» lo corresse dolcemente Steve «E comunque non lo so, credo sia una specie di bar del Ventunesimo secolo...»
 
«E perché lo hai scritto qui?»
Il biondo si sedette accanto a lui sul letto, stando attento a  mantenersi a distanza di sicurezza dall’altro. Erano lontani, eppure riusciva ad avvertire nell’aria il profumo alla vaniglia dello shampoo che doveva aver usato Bucky.
 «Quando mi hanno “scongelato” mi sono accorto di non capire molti aspetti della realtà degli anni Duemila, il mondo è talmente cambiato! Così ogni giorno mi appunto tutte le parole che non capisco o le citazioni che non colgo e nei weekend cerco di mettermi in pari… vedi, per ora sono arrivato fino a qui» si avvicinò per indicargli una voce a metà della pagina che recitava Frozen Yogurt.
Notando il suo sguardo dubbioso, Steve riprese « È divertente, comunque. Imparo un sacco di cose nuove. E il cibo del nuovo millennio è buono, non come quello che preparavamo noi, sempre bollito o stufato… bisogna solo farci l’abitudine»
 
Bucky si sporse verso il comodino e riprese in mano il bicchiere, il cui contenuto ormai si era completamente sciolto. Trattenendo a stento una smorfia di disgusto, chiuse gli occhi e lo bevve in un solo sorso. Forse non era poi così male, constatò con un mezzo sorriso.
 
«Aiutami a completare la lista, Bucky. Del resto molte di queste cose sono sconosciute anche a te, potremmo iniziare a scoprirle insieme… E sarebbe un’occasione per conoscerci meglio»
 
Era strano fargli una richiesta del genere, dal momento che Bucky era l’unica persona che Steve poteva dire di conoscere veramente, eppure aveva scelto di ripartire da zero con la loro amicizia e quello era il prezzo da pagare: non poteva recuperare il legame che un tempo lo aveva unito a Bucky Barnes, ma poteva crearne uno nuovo con James Buchanan.
Lo sconosciuto casualmente assomigliava molto al suo compagno di infanzia, eppure non era lui. Steve doveva accettarlo. Bucky non sarebbe tornato, lo aveva perso il giorno dell’attacco al convoglio ferroviario. Tutti i ricordi che aveva di lui – felici, infelici, aveva più importanza? - li avrebbe messi da parte, insieme all’orgoglio ferito e allo scudo un po’ ammaccato.
 
Tabula rasa, come la pagina nuova di un taccuino incomprensibile.

 


Angolo dell'autrice
Volevo solo ringraziare chi ha recensito, apprezzato o anche solo letto il primo capitolo.
Significa tanto per me, quindi grazie grazie grazie. Spero di non deludervi con il resto della storia.
Ps: il frozen yogurt non mi piace particolarmente ma mi sembrava adatto ad un soldato d'inverno.
Psps: quello che state leggendo è un testo autocensurato. Nella versione precedente mi ero lasciata prendere un po' la mano con espressioni come "Bevve tutto d'un sorso. Il liquido bianco gli scivolò un po’ ai margini della bocca e Bucky si passò con noncuranza la mano sulle labbra". Poi mi sono ricordata che tecnicamente questa storia era un regalo per la mia sorellina e quindi-
Era una divagazione inutile, scusatemi.

Itsamess

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Capitolo 3
*** Ritorno al Futuro I/II/III ***


Capitolo 3 Ritorno al Futuro I/II/III

La sera stessa si diedero appuntamento in un vecchio cinema fuori mano, famoso per essere l’unico della zona ad avere in programmazione classici e pellicole d’essai invece dei soliti blockbuster. Quel piovoso martedì era dedicato alla trilogia di Ritorno al Futuro e - visti i trascorsi di Steve e Bucky - non sarebbe potuto esistere un titolo più azzeccato: come i protagonisti del film, anche loro erano stati improvvisamente catapultati nell’epoca sbagliata, e, proprio come i protagonisti del film, sarebbero volentieri tornati indietro, se solo fosse stato possibile.

Bucky era arrivato leggermente in ritardo, avvolto in un impermeabile nero evidentemente troppo grande per lui che lo faceva sembrare ancora più trasandato del solito. Non erano serviti a nulla gli inviti dell’amico: si era rifiutato di toglierlo anche dopo essere entrati nel cinema e lo aveva tenuto addosso per tutta la durata della proiezione, continuando a sostenere che dentro alla sala facesse freddo, nonostante il riscaldamento acceso ed i sedili di velluto rosso.
 
Prima che calassero definitivamente le luci e che per Steve divenisse impossibile decifrare le sue espressioni, i due avevano tentato goffamente di fare conversazione, ma era come se esistesse un muro invisibile a dividerli.
Era il silenzio.
Non quello che entrambi avevano cercato di rompere con delle stupide frasi di circostanza, ma quello che era calato tra di loro settimane prima, dopo l’amnistia di Bucky ed il suo inserimento nello S.H.I.E.L.D.
Steve non gli aveva mai chiesto cosa fosse davvero successo in Russia e quale addestramento là avesse ricevuto; quali ricordi fosse riuscito a conservare della loro amicizia, se ce ne erano, e come funzionasse l’azzeramento; di che materiale fosse il suo braccio, se contenesse recettori o fosse solo una protesi priva di terminazioni nervose; perché lo chiamassero Soldato D’Inverno e se almeno un po’ gli fosse mancato: tutte quelle domande lottavano sulle sue labbra quando gli ripeteva semplicemente dovresti togliere il cappotto o avrai più freddo all’uscita.
 
 
All’intervallo Steve si era allontanato con la scusa di andare a comprare dei popcorn, ma non si era diretto subito al bar, bensì verso i servizi. Il bagno era deserto, come sperava. Aveva chiuso la porta dietro di sé e le si era stancamente appoggiato contro, per poi lasciarsi semplicemente scivolare sul pavimento. Una lacrima di frustrazione gli aveva solcato il viso, ma era stata l’unica: Steve si era rialzato, aveva lanciato uno sguardo di disprezzo alla sua patetica immagine riflessa nello specchio ed era finalmente andato a prendere una confezione maxi di popcorn per annegare il suo dolore nel cibo spazzatura del Ventunesimo secolo.
 
Quando era rientrato in sala era appena iniziato il secondo film della Trilogia, quello in cui Martin e Doc si ritrovano nel 2015. Ironico, davvero ironico, aveva pensato Steve, mentre gentilmente offriva a Bucky di dividere lo snack con lui.
 
L’amico con un sorriso di gratitudine aveva immerso la mano nel cestino e solo allora Steve si era accorto che portava ancora i guanti. Doveva avere davvero freddo. Dopo tutti quegli anni trascorsi in Russia il gelo doveva essergli entrato sottopelle. Stava per domandargli se per caso voleva anche la sua sciarpa, dal momento che lui non l’aveva indosso e non gli serviva, quando si accorse che Bucky indossava solo il guanto sinistro.
 
D’un tratto capì: voleva nascondere il braccio di metallo.
Quell’enorme impermeabile e la storia del freddo erano tutte scuse per camuffare la sua protesi robotica, l’unica prova materiale che ancora lo rendeva legato al suo passato come Soldato D’Inverno. Istintivamente – quasi senza rendersene conto – Steve provò un’ondata incontrollabile di pietà e affetto nei suoi confronti: Bucky ce la stava mettendo tutta per cancellare quello che era stato, sia fisicamente che emotivamente.
 
«Lo so che non eri tu» gli disse subito velocemente, temendo che se avesse aspettato la fine del film se ne sarebbe dimenticato. Ma Bucky non lo stava ascoltando, infatti senza distogliere gli occhi dallo schermo biascicò in tono distratto e a bocca piena «Mpf-cosa?»
 
Steve lo prese per le spalle. Era la prima volta che lo toccava dal loro ultimo scontro e la sensazione gli era mancata più di quanto fosse disposto ad ammettere «Io voglio che tu sappia che-»
 
«Silenzio, là dietro, vogliamo sentire il film!» protestò qualcuno dietro di loro e Steve trascinò per il cappotto Bucky fuori dal cinema.
 




«Vuoi spiegarmi cosa ti prende?!» ringhiò il moro non appena furono fuori dall’edificio nella pioggia battente.
 
Steve fu abbastanza sorpreso dalla sua reazione: doveva aver trovato il film davvero avvincente per prendersela in quel modo… in fondo potevano guardare il terzo capitolo in altro momento – non era per questo che avevano inventato Netflix?
«Volevo dirti che mi dispiace per come mi sono comportato nei tuoi confronti» gli rispose guardandolo fisso negli occhi  «Ti ho attaccato per dei crimini che non avevi commesso- o meglio che hai commesso senza la piena facoltà delle tue azioni… Non sei stato tu ad attaccarmi. Né due mesi fa sul ponte, né sul hovercraft, né nella hall dell’albergo-»
 
«Smettila» lo interruppe Bucky con voce monocorde, ma l’altro lo ignorò e continuò a ripetergli che erano stati quelli dell’HYDRA, che gli avevano fatto un azzeramento della memoria, un lavaggio del cervello e Dio sa cos’altro, ma che non era in lui-
 
«E se invece lo ero?!» gridò Bucky esasperato, lanciandogli uno sguardo carico di dolore e disprezzo per se stesso. Era stanco di essere giustificato per dei crimini che erano tanto efferati quanto ingiustificabili.
Non se lo meritava.
Cosa aveva fatto per guadagnarsi la fiducia di Fury, che gli aveva concesso l’amnistia senza nemmeno pensarci? Cosa aveva fatto per essere all’altezza del suo nuovo incarico nello S.H.I.E.L.D., lui che aveva passato anni a combattere contro quelli che ora erano i suoi colleghi? E cosa aveva fatto di buono nella vita per meritare il perdono di Steve, che non solo era pronto a dimenticare pugnalate e proiettili vari, ma che aveva anche intenzione di tornare suo amico? Niente, semplicemente niente. Nessuno gli aveva chiesto di provare la sua lealtà all’organizzazione, avevano fede avuto fede nel fatto che fosse cambiato.
Ma che fosse cambiato davvero non ne era certo nemmeno lui.
Si sedette sul ciglio del marciapiede, tenendosi la testa fra le mani e cercò di spiegarsi «Io mi ricordo ogni singolo particolare, Steve… Ogni grilletto che ho premuto, ogni granata che ho lanciato! Se davvero non ero in me perché mi sento così?»
 
L’altro si sedette accanto a lui e con cautela, per non spaventarlo, gli posò il braccio sulle spalle. Non piangeva, probabilmente, perché Bucky non era mai stato il tipo da inutili sentimentalismi e comunque non avrebbe mai mostrato il proprio dolore così apertamente, eppure la sua reazione di poco prima era stata molto violenta. Doveva essere questo l’effetto che faceva avere un campo di battaglia nella testa e non poter nemmeno dichiarare la resa.
«Lo scopriremo insieme, Bucks, tu dimmi solo cosa dovrei fare-»
 
«Dovresti scappare, ecco cosa dovresti fare. Scappare prima che io tenti di ucciderti di nuovo»
 
La minaccia restò sospesa fra loro per qualche secondo, perché Steve non sapeva come reagire: aveva paura che non scherzasse ad avvertirlo di correre più in fretta che poteva- del resto glielo avevano consigliato tutti, fin dall’inizio- eppure sentiva che l’amico aveva bisogno di lui e anche le la sua voce gli diceva Vai, i suoi occhi sussurravano Resta
Restò.
Fino alla fine, si erano promessi.





Angolo dell'autrice
Se non avete mai visto Ritorno al Futuro rimediate subito perchè è davvero grandioso, soprattutto il secondo film (per la serie: Volopattini rosa? perchè no?)
Prometto che il prossimo aggiornamento non si farà attendere a lungo e come sempre grazie di tutto l'affetto che mi state dimostrando. <3
Itsamess



 

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Capitolo 4
*** Allunaggio ***


Forse fu perché era l’unica cosa capace di distrarre Bucky, forse perché fin da subito aveva aiutato Steve a risolvere i suoi problemi di integrazione negli Anni Duemila o forse solo perché era divertente affrontarla insieme come ai vecchi tempi, ma la questione della lista venne presa davvero sul serio dai due amici, che come prima cosa cancellarono tutti i loro impegni settimanali dandosi malati allo SHIELD.

Nonostante avessero cercato di far sembrare le loro contemporanee assenze un puro caso, all’interno dell’organizzazione avevano iniziato a circolare voci sul loro conto – voci che li volevano coinvolti in una torbida relazione segreta, voci che Tony alcune persone non facevano che alimentare, infarcendole di pettegolezzi tanto fantasiosi quanto falsi. Eppure non erano sempre così campati per aria, dal momento che anche se non era vero che Steve e Bucky si erano sposati in fretta e furia in una cappella di Las Vegas, era vero che condividevano una camera in un motel in periferia.
Quello che succedeva al suo interno era però molto diverso da quello che la gente si immaginava e di solito comprendeva film presi a noleggio, vecchi album ormai diventati classici e una connessione internet capace di iniziarli al magico mondo dello streaming.
 
Ma tutte le cose belle finiscono ed i gigabyte a disposizione con loro: proprio sul finale della seconda stagione di Sherlock, Netflix  smise di funzionare, sordo a tutte le loro proteste ed imprecazioni in lingua straniera. Senza mai sapere cosa fosse accaduto al famoso detective, Steve e Bucky decisero di passare al successivo punto della lista e dopo aver afferrato i cappotti si precipitarono in biblioteca.
 
 

Dopo aver superato scaffali e scaffali di letteratura sui vampiri e dopo aver passato – con un po’ di legittimo stupore – un’ intero reparto dedicato al libri di cucina vegana, i due trovarono finalmente la sezione Storia e presero ognuno un manuale incentrato sui fatti principali del Ventesimo secolo. La biblioteca era praticamente deserta, quindi non fu molto difficile trovare un angolo tranquillo dove colmare le proprie lacune sull’argomento Allunaggio: quel piccolo tavolino quadrato accanto alla finestra faceva proprio al caso loro, perché nessuno li avrebbe disturbati o riconosciuti. Bucky sospirò di sollievo all’idea di non dover passare la successiva mezzora a spiegare che Sì, era proprio un braccio di metallo e che No, quell’accento russo non era  un metodo per rimorchiare le ragazze, anche perché non ne aveva alcuna intenzione
 
Il biondo lo lasciò sedere proprio di fronte a sé ed iniziò a sfogliare rapido il libro, alla ricerca del capitolo giusto. Quando lo ebbe trovato si immerse avidamente nella lettura estraniandosi completamente dal mondo esterno mentre Bucky si distrasse quasi subito, impegnato com’era a guardare Steve tracciare con l’indice la traiettoria Terra-Luna: con un sorriso il moro notò lo stupore crescere nei suoi occhi azzurri. Ogni millimetro tracciato dal suo polpastrello corrispondeva a migliaia e migliaia di chilometri pertanto era legittima la sua espressione meravigliata, eppure Bucky se la godette lo stesso. Era da tempo che non lo vedeva così disarmato - la guardia abbassata ed il morale alto – e sapeva che era colpa sua. Se Steve era sempre sospettoso e guardingo in sua presenza era perché aveva paura di restare solo con lui e sinceramente non poteva dargli torto… eppure erano lì, no? in quella biblioteca comunale semivuota a cercare informazioni su un periodo storico che entrambi si erano persi perché addormentati, pronti a ricostruire la loro amicizia sulla base di nuove regole condivise.
 
Bucky si ricordò improvvisamente di un pomeriggio risalente ad 80 anni prima ma tanto vivido da sembrare appena trascorso, quando Steve per una volta nella sua vita da secchione aveva preso un’insufficienza in astronomia e lui aveva acconsentito ad aiutarlo dandogli ripetizioni su leggi di Newton che ora non conosceva più.
Non gli aveva mai chiesto come fosse andata la verifica, poi.
Era troppo tardi per domandarglielo ora, era troppo tardi per un sacco di cose.
 
«Wow» sospirò Steve, riportandolo bruscamente alla realtà del 2016 «Certo che gli Stati Uniti hanno preso davvero sul serio la corsa allo spazio»
 
Bucky gli rivolse un’occhiataccia «La Russia vorrai dire»
 
L’altro gli indicò un lungo e probabilmente noiosissimo paragrafo intitolato Mariner 4 e disse «Qui c’è scritto che la prima sonda su Marte era americana»
 
«E qui che il primo satellite mai lanciato in orbita era russo»
 
«E qui che il primo astronauta sul suolo lunare era americano»
 
«E qui che il primo cane nello spazio era russo»
Davanti all’adorabile immagine della cagnetta Laika mostratagli con evidente soddisfazione dall’amico, Steve non poté che decretare un pareggio e la fine della loro personalissima Guerra Fredda: con una sonora e sincera risata - che scatenò purtroppo per loro le ire della bibliotecaria -richiusero entrambi i libri con un tonfo e depennarono con un tratto azzurro quel punto della lista.


Angolo dell'autrice
Ciao a tutti! 
Manca meno di un mese alla Civil War e non sto davvero nella pelle, quini festeggerò con aggiornamenti pi frequenti e regolari perchè voglio postarvela tutta prima del 4 maggio, in una specie di calendario dell'avvento stucky =)
Questo capitolo è uno dei miei preferiti btw, forse perchè i miei nonni avevano una cagnetta di nome Laika o forse perchè Steve e Bucky che shippano Johnlock ce li vedo proprio.
un abbraccione
Itsamess

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Capitolo 5
*** Disco music ***


I know your eyes in the morning sun 
I feel you touch me in the pouring rain. 
And the moment that you wander far from me, 
I wanna feel you in my arms again. 



«Non ci posso credere che abbiamo dovuto pagare sul serio I-Tunes per ascoltare questa cosa» brontolò Bucky di fronte all’ennesimo coretto in falsetto dei Bee Gees. Era davvero troppo. Fece per alzarsi e andare a spegnere l’Ipod collegato agli amplificatori, ma l’immagine di Steve che ondeggiava goffamente a tempo di musica gli fece cambiare idea. Forse alla fine sarebbe stato divertente.

«Se la gente ha ascoltato la disco music per un intero decennio, noi potremo sopportare un paio di canzoni, non credi?» gli fece notare il biondo, fingendo indifferenza quando ogni singola fibra del suo essere avrebbe voluto scatenarsi nelle danze anche su un pezzo così bizzarro.

«Solo un paio di canzoni, poi la spegni»

«D’accordo, d’accordo…» promise Steve continuando a muoversi «ma tu devi cercare di fartela piacere- di entrare nel mood»

Il moro alzò gli occhi al cielo: si sentiva che l’amico era stato nei Duemila per più tempo di lui, perché usava sempre più spesso parole come mood e fashion e finger food. O forse lo faceva solo per farlo innervosire, dal momento che il più delle volte Bucky non capiva di cosa stesse parlando.
 
Come ora, che Steve aveva preso a criticare il suo look, colpevole di essere poco trendy e terribilmente out per gli standard di Tony Manero.
«Prima di tutto, negli anni Ottanta i capelli si portavano con il gel» lo minacciò il biondo scomparendo dietro alla porta del bagno per poi tornare in camera con un tubetto di brillantina.

Bucky sperò che stesse scherzando.
«Non metto il gel dagli anni 50 e sinceramente non ne sento la mancanza! E poi ora ho i capelli troppo lunghi, non credo che sia una buona idea»

«Ho abbastanza gel per tutti i tuoi capelli, Raperonzolo» lo rassicurò Steve avvicinandosi a lui. Si sedette a gambe incrociate sul letto, proprio di fronte all’amico, ed svitò il tappo del tubetto. La brillantina era trasparente ed emanava un odore vagamente tossico, notò Bucky con paura. L’altro ignorò il suo sguardo spaventato e se la spremette sul palmo della mano «Starai benissimo… E poi siamo solo noi. In una camera d’albergo- non ci vede nessuno»

Il moro sbuffò rassegnato e si preparò al peggio.
Chiuse gli occhi. Non voleva assistere a quel momento, a quel terribile ed immotivato cambio di look totalmente non richiesto.
Oppure voleva. Li riaprì. Era di Steve che si trattava. Non gli avrebbe mai fatto un’acconciatura tremenda- neanche se avesse voluto vendetta per la coltellata che aveva ricevuto. E poi voleva guardarlo negli occhi per ritrovare quella stessa gioia pura e semplice che aveva visto in biblioteca il giorno prima.
Con grande delicatezza – come se fosse una carezza più che un cambio di look - Steve gli passò la mano sulla testa, tirandogli le ciocche brune all’indietro ancora ed ancora ed ancora fino a quando non fu soddisfatto del risultato «Ora sei perfetto»

Non mentiva. E non perché i capelli così pettinati gli stessero particolarmente bene – anzi – ma perché ai suoi occhi era sempre stato così, anche ora che aveva un braccio di metallo e la memoria parzialmente azzerata e un pigiama di seconda mano tutto stropicciato.


And it's me you need to show 
how deep is your love. 


Bucky dovette notare lo sguardo di Steve soffermarsi sul suo abbigliamento perché domandò un po’ confuso «E i vestiti, vanno bene?»
«Quasi» mormorò l’altro «Le camicie- si portavano sbottonate»
Con la scusa che con il braccio metallico probabilmente doveva fare un po’ di fatica a sfilare tutti quei minuscoli bottoni dalle asole, Steve arrossendo violentemente si offrì di aiutarlo, mentre l’ennesima canzone dei Bee Gees riempiva la stanza.

Primo bottone

Deep is your love, 
how deep is your love, 
I really need to learn

 
Secondo bottone

'cause we're living in a world of fools 
breaking us down, 
when they all should let us be

 
Terzo bottone.

We belong to you and me…
 
Non ballarono, poi, perché una delle cameriere del servizio in camera bussò alla porta per sbaglio con un carrello pieno di cibo che nessuno dei due aveva ordinato e quando finalmente se ne andò balbettando che le dispiaceva e che aveva letto male il numero della camera il momento era passato e la canzone dei Bee Gees finita.



Angolino dell'autrice
Se volete sentire la canzone - ma credetemi sulla parola, non volete - la trovate qui 
https://www.youtube.com/watch?v=XpqqjU7u5Yc
Con un braccio di metallo in effetti deve essere difficile vestirsi e svestirsi, menomale che c'è Steve a dare una mano ahahah
Un abbraccio
Itsamess


 
 

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Capitolo 6
*** Star Trek/Star Wars ***


Steve aveva accettato di depennare la prima delle saghe fantascientifiche solo dopo aver accuratamente verificato la preparazione di Bucky, interrogandolo sui rapporti di parentela fra che univano Dart Fener, Luke Skywalker e la principessa Leila e domandandogli in cosa consistesse il cosiddetto Machete Order, eppure l’amico era riuscito a superare il test, infilando anche qua e là qualche citazione dai film solo per fare sfoggio della propria neo acquisita conoscenza in materia.
Si erano allora gettati a capofitto sui film di Star Trek, che avevano divorato in meno di quattro ore e che li lasciavano con molte domande inespresse sulla relazione ambigua fra Spock e Kirk e il desiderio irreprimibile di replicare il famoso saluto vulcaniano.
«Andiamo, non è difficile» gli ripeté Steve per l’ennesima volta «Devi creare una V con le dita, unendo l’indice al medio e l’anulare al mignolo»
Ma non era la parte teorica il problema: per quanto ce la mettesse tutta, Bucky non riusciva proprio a mantenere la mano in quella posizione tanto innaturale.

«È troppo difficile» si arrese abbassando il braccio.

«Provaci ancora una volta, dai»

«Fare o non fare, non c’è provare» lo corresse il moro con un sorriso, rialzando la mano

Steve gli rivolse un sorriso divertito nel sentire l’ennesima citazione di Yoda «Hai ragione. Allora fallo e basta»

Sul volto di Bucky apparve un sorriso sghembo, simile a quello che avrebbe avuto un giocatore di poker al momento di mettere sul tavolo la propria scala colore. Era certo che ce l’avrebbe fatta, stavolta. Anche se con un piccolo aiuto non proprio corretto.
Sollevò la mano sinistra.
Bucky chiuse gli occhi e le dita metalliche si disposero esattamente a formare il saluto vulcaniano.
«Lunga vita e prosperità» disse con voce solenne, aspettandosi di veder quantomeno sorridere l’amico, ma rimase deluso.
 
Steve stava fissando con occhi sbarrati  la sua protesi, come se temesse di vederla colpire da un momento all’altro e non si fidasse a perderla di vista. Era più forte di lui: il coraggio davanti a Bucky lo aveva perso da tempo, circa un paio di coltellate prima.

«È solo una protesi» mormorò il moro con scarsa convinzione, sperando comunque di rassicurarlo sulle proprie buone intenzioni.

Steve abbassò immediatamente lo sguardo, imbarazzato dall’essere stato colto a fissarlo in un modo così sgradevole «Lo so, scusami»

«Non devi scusarti… lo capisco. Anzi, credo che anche io non staccherei gli occhi dal tuo scudo, se ce l’avessi bizzarramente attaccato alla schiena, come una di quelle Tartarughe Ninja»
La battuta riuscì a farlo sorridere per un istante, eppure Bucky voleva chiudere le questioni rimaste irrisolte una volta per tutte, perché non poteva sopportare la situazione che si era venuta a creare. Tutto o niente, era sempre stato così fra lui e Steve. O si prendevano a cuscinate o si abbracciavano, l’indifferenza non faceva per loro. Non erano cambiati, dopotutto - semplicemente dalla battaglia di cuscini si era passati ad una un po’ più cruenta.
«Puoi chiedermi quello che vuoi, lo sai vero?»
 
Il biondo scosse la testa, perché anche se odiava il silenzio fra loro non voleva fare domande di cui lui si sarebbe pentito e l’altro si sarebbe addolorato.

Ma Bucky aveva già deciso per entrambi «Come vuoi, ma io sono stanco di tutti i segreti e le cose non dette - carte in tavola, tanto non ho niente da perdere. Allora, dove cominciare? La mia tecnica di combattimento è basata sulle mosse di arti marziali apprese fra le file dell’HYDRA ed è inoltre stata integrata con l’addestramento dal KGB; mi hanno iniettato un siero simile al tuo per potenziare le mie abilità fisiche, per questo sono considerevolmente più forte e più veloce di un normale essere umano; parlo fluentemente russo ed inglese; il lavaggio del cervello mi ha reso per anni fedele alla causa del Teschio Rosso; ho ucciso più persone di quante voglia a ricordare - e l’HYDRA in questo mi ha davvero aiutato, azzerandomi la memoria ogni volta che completavo una missione -; a causa dell’incidente al convoglio ferroviario ho perso il braccio sinistro, che mi è stato sostituito con uno prostetico. No, non è fatto di vibranio perché tutto quello disponibile sulla faccia della Terra è stato utilizzato per forgiare il tuo scudo, quindi hanno dovuto usare un derivato del carbonio molto resistente per creare il mio braccio. E se te lo stessi chiedendo, lo controllo con i neuroni periferici del sistema afferente, o almeno così mi pare abbiano detto- sai la maggior parte delle volte ero sedato o congelato»

«Bucks, non capisci che non mi interessa?!» sbottò Steve, sapendo di non poter sentire oltre.  C’era una profondo dolore in quelle parole così disperatamente ironiche e gli occhi lucidi di Bucky non facevano che farlo sentire peggio. Non voleva sapere la verità, se doveva essere così dolorosa per entrambi. Colmò la distanza fra di loro e gli strinse la mano.
Quella sinistra.
«La senti?»

Il moro strinse le dita metalliche argentee intorno alle sue e mormorò «La sento»

«È tutto quello che mi importa sapere»

Angolino dell'autrice:
*Il Machete Order lo conosceranno gli hardcore fan della saga, ma per tutti gli altri:
  il “Machete Order” è un particolare ordine di visione dei filme, che prevede di guardare il quarto e il quinto episodio – usciti nel 1977 e nel 1980 – per poi passare al secondo e al terzo – usciti nel 2002 e nel 2005 – e poi concludere col sesto, uscito nel 1983, saltando completamente il primo episodio, che è unanimamente considerato il peggiore (da qui la decisione di tagliarlo di netto, come con un colpo di machete ahahah)
*è opinione comune che a Bucky sia stato inettato il siero da super soldato, più che altro per riuscire a sopportare l'impianto di un braccio metallico di tali dimensioni e peso, tuttavia nei film (io seguo il moveiverse, essendo ignorantissima di fumetti) non viene mai detto esplicitamente. Tuttavia una prova del fatto che Bucky sia stato oggetto di esperimenti da parte dell'HYDRA lo si ha anche nel primo film, perchè quando vengono catturati e imprigionati gli Howling Commandos, Bucky è separato da loro - tant'è che Steve lo trova legato su una specie di barella
*questo è uno dei miei capitoli preferiti btw :')
*se non avete presente il saluto vulcaniano lo trovate qui 
http://www.artspecialday.com/wp-content/uploads/2015/02/Mr-Spock-mr-spock-10874060-1036-730-890x395.jpg
Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate
Un abbraccio
itsamess

ps: ieri al cinema prima di Batman vs superman hanno proiettato il trailer di Civil War ed io ho seriamente rischiato l'infarto, quindi se non mi vedrete più aggiornare vorrà dire che altri trailer stucky mi hanno mandata KO. Scherzo. Ma anche no


 

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Capitolo 7
*** Selfie ***


Ogni mattina l’appuntamento era alle sette e tre quarti nella hall dell’albergo, di solito arrivava prima Steve, il più puntuale dei due, che ingannava l’attesa sfogliando qualche rivista o scambiando due chiacchiere con il concierge. Bucky arrivava spesso ancora spettinato e con gli occhi un po’ assonnati, ma con un grande sorriso gli mostrava le ragioni del proprio ritardo, sollevando un sacchetto contenente due brioche, una al cioccolato per sé ed una alla crema per l’altro.
Quel giorno non andò diversamente.

Bucky corse trafelato giù dalle scale che aveva preso per non dover aspettare l’ascensore e trovò l’amico tranquillamente seduto sul divanetto di pelle bianca della hall, con la faccia bella riposata e lo sguardo di chi non ha un solo pensiero al mondo. Tutto il contrario di lui, che invece aveva l’aria di chi non dormiva da giorni o che era tormentato da incubi orribili- entrambe le  spiegazioni sarebbero state corrette, nel suo caso.

«Buongiorno, raggio di sole» lo salutò il biondo con affetto, chiudendo di colpo la rivista «Sei pronto ad una nuova avventura?»

«Certo, signor Capitano!» esclamò l’altro ridendo e mettendosi sull’attenti «Cosa abbiamo oggi?»

«Non ho ancora guardato, volevo aspettare te»
Steve tirò fuori dalla tasca dei jeans il taccuino rosso scuro e glielo porse dicendo «A te l’onore»
 
Bucky lo aprì al contrario – tanto ormai avevano indagato quasi tutte le parole della lista, quindi tanto valeva partire dal fondo - lo sfogliò fino a trovare l’ultima pagina e lesse ad alta voce «Selfie. Ok, e cosa sarebbe?»

Di solito Steve aveva tutte le risposte, eppure quella volta rimase un po’ perplesso. Pur restando seduto su divanetto gli domandò «Sei sicuro di aver letto bene?»

«Oh, sì, Steve. Scrivi con la calligrafia elegante e ordinata dalla mia vecchia insegnante di inglese, è difficile decifrare male la tua scrittura»

«Non ti lamentavi così quando dovevi copiarmi i compiti»

«Anche questo è vero… Ritiro tutto. Adoro la tua calligrafia» rise Bucky, prendendo posto accanto a lui. Aprì il sacchetto di carta della panetteria e assaggiò la brioche. Era buona. Il cioccolato gli piaceva ancora per davvero «Allora queste selfie?»

Steve si guardò intorno in cerca di aiuto: davanti ad una parola sconosciuta una qualsiasi persona del Duemila l'avrebbe cercata su Google, eppure per la mentalità anni ’50 la prima cosa da fare in questo caso è chiedere indicazioni ad un gentile passante. La cameriera laggiù davanti all’ascensore sembrava amichevole.
«Resta qui» disse distrattamente Steve dirigendosi verso di lei.
 
Bucky lo guardò allontanarsi con una strana fitta nel cuore che non ricordava di avere mai provato: un dolore preciso e concentrato in un punto solo - come immaginava dovessero fare male i proiettili sovietici senza legatura.
Doveva scusarsi con la Romanoff, la prima volta che l’avesse vista.
 
«Mistero risolto» dichiarò Steve tornando ai divanetti qualche minuto dopo «Se ho capito bene la selfie consiste nello scattarsi una foto da soli»

Bucky scoppiò a ridere, convinto scherzasse, ma l’amico era incredibilmente serio «E perché uno dovrebbe fare una cosa del genere? Io so come è fatta la mia faccia. E se non me lo ricordo – ed in effetti mi capita spesso, grazie HYDRA - esiste una cosa chiamata specchio!»
 

Un tempo – nel suo tempo, a dirla tutta – aveva amato farsi ritrarre in fotografia. Alle fiere di paese era sempre il primo della fila, pronto a posare con amici, parenti, ragazze carine che avrebbero fatto girare la testa ai suoi compagni di reggimento… eppure ora che ci pensava non aveva mai fatto nessuna foto con Steve. Lui si era sempre rifiutato, non importava quante volte lo avesse pregato, probabilmente perché non era molto sicuro del proprio aspetto fisico e temeva di sfigurare accanto all’amico.
Ma era cambiato tutto ed i ruoli si erano invertiti: Steve era diventato alto e muscoloso – il tipo di ragazzo che seduce le cameriere carine nelle hall, pensò l’altro – mentre Bucky aveva un braccio di metallo ed il viso solcato da più di una cicatrice.
Non era sicuro di voler comparire in una foto in quelle condizioni.
 
«Se non ne hai voglia non fa niente, possiamo saltare al prossimo punto della lista» abbozzò il biondo, notando l’espressione cupa dell’amico.

«No- no» ripeté Bucky con maggior convinzione, deciso a non rovinare la giornata e l’umore di Steve con dei pensieri tanto negativi. Mentì guardandolo negli occhi «Non è un problema»

«Grande!» rispose l’altro con un sorriso emozionato. Si vedeva che non stava più nella pelle all’idea di scattare una delle famose e misteriose selfie perché con un tono di voce ben più alto del normale esclamò «Allora mettiamoci in posa!»

Dopo qualche tentativo fallimentare, Steve riuscì finalmente a trovare il modo di selezionare la cosiddetta telecamera interna e si stupì di vedere comparire la propria faccia sullo schermo del cellulare.
Peccato che appunto ci fosse solo la sua faccia.

«Bucky, sei troppo lontano, non ti si vede» si lamentò attirando verso di sé l’amico, che sbuffò un po’ esasperato ma poi cercò di sfoderare il sorriso più convincente che conosceva.
Non aveva bisogno di mentire.
Era felice davvero.


Angolino dell'autrice
capitolo più light di un'insalatina scondita, solo che dovevo scriverlo. 
Non so se si capisce che il fluff stucky è il mio fluff preferito.
Abbracci a tutti (e come sempre grazie a chi recensisce, segue, legge e basta o capita qui a caso)
Itsamess

 

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Capitolo 8
*** Frappuccino ***


Le cose non vanno sempre come vorresti. Ad esempio una mattina tu ed il tuo migliore amico decidete di affrontare uno dei più oscuri punti della lista delle Cose Che Vi Siete Persi Dormendo ed entrate per la prima volta in un locale Starbucks.
Con un po’ di imbarazzo superate tavoli e tavoli di coppie felici, fate qualche apprezzamento sulla musica di sottofondo, date i vostri nomi ad una barista che con ogni probabilità li scriverà sbagliati ed infine vi sedete a gustare il vostro meritatissimo Frappuccino.
O almeno così credete, ma state sbagliando tutto.
Pensate davvero di poterlo bere prima di averlo fotografato?
E dire che te lo eri pure segnato sul taccuino, Steve.
Foto o non è mai successo

«Fermo, non berlo!»
Il biondo lo bloccò appena in tempo, strappandogli letteralmente il bicchiere di mano e posizionandolo accanto al suo sul tavolo.
Notando l’espressione a dir poco perplessa di Bucky, Steve spiegò «Se ho capito bene, prima di poterlo bere dobbiamo farci una selfie con in mano il bicchiere… Anche se secondo altre fonti dobbiamo fotografare solo i bicchieri appoggiati sul tavolo, sul quale dobbiamo svuotare tutto quello che abbiamo in tasca. Tu che cos’hai?»
Steve lo guardò frugare nella tasca del cappotto sperando con tutto se stesso che l’amico trovasse qualcosa di fotogenico, ma rimase deluso.
«Un coltello» rispose Bucky scrollando le spalle.

«No, quello meglio di no» commentò Steve scuotendo la testa «Andiamo, possibile che tu non abbia cose tipo una macchina fotografica, un libro di poesie, una bussola…»

«Tutte cose molto utili in una caffetteria» commentò l'altro con sarcasmo

«Più utili di un coltello» gli fece notare Steve, prima di arrendersi al fatto che la loro colazione non sarebbe mai stata immortalata e di conseguenza, non sarebbe mai successa. Era davvero un peccato, perché gli sarebbe piaciuto poter avere una ricordo di quella mattina trascorsa con Bucky.
O meglio, Bakki, come era scritto sul suo bicchiere.



Angolo dell'autrice
"Foto o non è mai successo" è la traduzione di "Pics or didnt happen", il motto non ufficiale di Instagram.
E so che questo punto della lista era breve e leggero, ma vi giuro che quando arriverà l'angst fra due capitoli rimpiangerete tutto il fluff precedente.
Un ringraziamento speciale a Fating e Bucky per le loro dolcissime recensioni e un abbraccione a tutti voi. Con ogni probabilità aggiorno lunedì sera :) Buone vacanze a tutti
Itsamess

 

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Capitolo 9
*** NBA ***


Knicks vs Chicago Bulls.

Lo scontro del secolo, o almeno così lo aveva definito Sam quando gliene aveva parlato. A Steve non erano mai interessati molto gli sport diversi dal baseball, eppure pensato che sarebbe stato divertente andarci con Bucky, anche solo per non restare sempre chiusi in quella camera d’albergo, ma forse aveva fatto male i conti, dal momento che l’amico non sembrava particolarmente preso dal gioco e continuava ad interromperlo domandandogli perché quel giocatore stesse facendo quella determinata mossa o perché un canestro talvolta veniva contato come 1, talvolta come 2 e talvolta come 3 punti.
Tutte domande a cui chiaramente Steve non sapeva dare una risposta, essendo ignorante quanto lui sulle regole di quello sport, dal momento che si era dimenticato di cercarle su Google o di chiederle a belle cameriere.
 
«Ancora non capisco cosa ci facciamo ad una partita di palla al cesto» brontolò Bucky

«Si dice basket» lo rimproverò dolcemente Steve «Sembri uscito dagli anni 50!»
Gli tolse il cappellino con la visiera e gli scompigliò scherzosamente i capelli, notando con piacere che i loro esperimenti con il gel della settimana prima non avevano lasciato danni permanenti alla sua chioma bruna, morbida e scarmigliata come sempre. Non sentiva più il profumo di vaniglia, Bucky doveva aver cambiato shampoo ed era un peccato, perché era buonissimo. Steve si ritrovò a pensare a come il vero Scontro del Secolo fosse quello fra il desiderio che aveva di baciarlo e la paura di come li avrebbero giudicati gli altri spettatori.
 
Alla fine prevalse la paura e ritrasse la mano, giusto in tempo per sentirsi rispondere «Anche tu»


Angolino dell'autrice
Eccomi di ritorno *saluta con la mano
Questo capitolo in particolare è dedicato alla mia nonnina, l'unica al mondo a chiamare ancora il basket "palla al cesto" - mia nonna adora le parole desuete come "pettinatrice" al posto di "parrucchiera" e chiama i piumini "lenzuola ripiene".
E dato che mi sembra di capire che non vedete l'ora di un po' di sano angst, aggiornerò il prima possibile -, who knows?
Un abbraccione ripieno
Itsamess

 

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Capitolo 10
*** Serate Revival ***




«Sai, non mi ricordavo davvero di avere scritto questa parola nel taccuino, eppure non so come ho potuto scordarmela! Queste serate revival sembrano davvero grandiose!»

C’era una ragione per la quale Steve non ricordava di aver scritto quel punto della lista, ed era perché in effetti non lo aveva mai fatto.
Era stato Bucky ad annotare quelle due parole in uno dei pochi angoli bianchi rimasti sul taccuino, approfittando di un momento in cui il suo possessore si trovava sotto la doccia. L’idea di aggiungere delle nuove voci alla lista delle cose da scoprire in realtà gli girava in testa da un po’, complice da una parte il desiderio di continuare a passare del tempo spensierato con Steve e dall’altra la poca voglia di tornare al lavoro allo S.H.I.E.L.D… eppure si era deciso ad aggiungerne una, solo una- e poi tutto sarebbe tornato come prima - quindi l’aveva scelta con cura.
 
La serate revival non erano solo una festa, ma un vero e proprio ritorno.
La musica, i vestiti, l’atmosfera… tutto gli sembrava familiare, per una volta. Per anni aveva vissuto come un estraneo in città sempre sconosciute. ad ogni risveglio era uno straniero a sorridergli di rimando allo specchio e uomini mai visti prima gli avevano dato ordini in lingue ignote, che solo con il tempo aveva imparato a capire. Ci aveva fatto l’abitudine, alla fine, eppure il costante senso di estraneità non lo aveva mai abbandonato davvero, fino a quel momento, lì con il suo migliore amico, di nuovo negli anni ‘40.
 
«Bella festa, vero?» domandò con voce un po’ indecisa, senza osare guardare negli occhi Steve, che da quando erano arrivati non si era ancora mosso dalla parete - come del resto faceva sempre quando si trovava ad una festa danzante. Il moro notò con un po’ di sollievo che anche se in tutti quegli anni il mondo era completamente cambiato rispetto a quello a cui era abituato, l’amico era rimasto lo stesso e riusciva ancora a fare un’impressionante imitazione della carta da parati.

«Sembra di essere di nuovo a casa!»  disse il biondo quasi gridando, per farsi sentire sopra alla musica, alle risate e al rumore di sottofondo del locale.

Per un attimo Bucky ebbe paura che l’amico si stesse lamentando che  quel punto della lista lo conoscessero già – dal momento che entrambi avevano realmente vissuto negli anni ‘40 – ma poi lo sentì aggiungere con la voce appena velata di malinconia «Come se avessimo trovato una macchina del tempo e fossimo riusciti a tornare indietro… e anche questa canzone-»
«- sembra quella della sera in cui mi sono arruolato, già» finì la frase l'altro.
 
La canzone naturalmente era un’altra, perché alle serate revival la musica spesso è solo in stile vintage e non è quella originale, ma non importava davvero, perché aveva comunque l’effetto di catapultarli indietro nel tempo e di farli sentire ancora giovani e innocenti e felici - due ragazzini di Brooklyn che giocano con soldatini di latta, si appuntano medaglie fatte di cartoncino e vanno alle Esposizioni Universali con la scusa dell'appuntamento a quattro solo perché fare un’uscita a due fa troppa paura.
Intanto la musica continuava a rimbombare nelle orecchie e nel cuore di Bucky tanto forte da fargli vibrare tutta la cassa toracica, come quando aveva assistito ad uno spettacolo di fuochi artificiali o quando si era reso conto di essere innamorato di Steve, un pomeriggio d'autunno.
E lo amava ancora, dopo tutto quel tempo. Potevano anche suonare i Bee Gees, per quanto gli importava, tanto tutto quello che voleva era avere un pretesto per poter stringere a sé l’altro. Un pretesto per recuperare in 3 minuti e 36 secondi i 70 anni di lontananza che li dividevano irrimediabilmente,  quindi porgendogli la mano gli chiese se voleva ballare. 
 
Era una domanda retorica, naturalmente: prima di tutto perché non avrebbe accettato un no come risposta ed in secondo luogo perché era certo che Steve non aspettasse altro.
O almeno così pensava.
 
«Meglio di no, Bucks»
 
Bucky lo guardò scuotere la testa con un sorriso triste, restando immobile contro la parete.
Diceva sul serio?
«Qual è il problema, scusa?»
 
«Sempre il solito» rispose Steve distogliendo lo sguardo
 
«Ovvero?»
 
«Davvero non te lo ricordi?» gli domandò il biondo con una punta di esasperazione nella voce, prima di ripensare che in effetti l’HYDRA doveva aver azzerato la memoria di Bucky decine di volte, quindi qualche vuoto qua e là era comprensibile.
Prese un profondo respiro per calmarsi e cercò di decidere se raccontare o meno a Bucky dell’ultima volta che avevano ballato insieme, anche se era stato solo per pochi secondi: era successo proprio alla festa organizzata per salutarlo prima della sua partenza per il fronte. Steve si era sentito morire alla sola idea di doverlo salutare senza sapere se sarebbe tornato,  eppure alla fine aveva accettato a partecipare alla serata di commiato. Non poteva mancare, Bucky non glielo avrebbe perdonato.
Erano bastati pochi bicchieri per ubriacarsi – un tempo l’alcool non lo reggeva proprio – lui che di solito era l’autista designato, l’amico astemio che riportava indietro tutti. No, quella notte aveva bevuto, solo per il gusto di farlo e per dimostrare a Bucky che era cresciuto e che non doveva preoccuparsi per lui, perché se la sarebbe cavata anche da solo. Naturalmente le cose non erano andate proprio come pensava: aveva dato di stomaco dopo la quarta birra e Bucky era andato in una di quelle farmacie notturne a comprargli un'aspirina perchè gli passasse la sbornia. Davanti ad un bicchiere pieno di liquido effervescente, Steve sottovoce aveva chiesto all’amico di ballare - perché era un idiota, aveva tutta una sua teoria sul primo ballo della vita, sul fatto che lo si dovesse fare con la persona giusta, aspettandola anche per sempre se necessario, solo che la sua persona giusta stava per partire per l'Europa per non tornare forse mai più – e lui gli aveva detto di sì, probabilmente perché Steve gli faceva pena, o perché non voleva lasciarlo solo e sbronzo in balia dei suoi amici o perchè forse aveva bevuto anche lui e non sapeva quel che diceva. 
Qualunque fosse il motivo,  gli aveva detto sì per davvero e lo aveva trascinato fuori dalla tavola calda perché non li vedesse nessuno, anche se volevano solo ballare, non commettere un crimine. In ogni caso quel nascondiglio non li aveva protetti abbastanza: un gruppo di ragazzotti in cerca di guai li aveva pestati a sangue nel parcheggio, tanto forte che Bucky aveva rischiato di vedersi revocare l’autorizzazione a partire per il fronte a causa di tutti quei lividi. 
Steve aveva sempre evitato con cura di parlare di quell'episodio e persino quando si era confidato con Peggy aveva preferito non scendere nei dettagli. Durante un viaggio in auto aveva solo buttato lì, distrattamente "mi hanno pestato dietro a quella tavola calda". La ragione era rimasta un segreto.
 
«Cosa non mi ricordo?» gli domandò il moro con insistenza, avvicinandosi a Steve.
Il triste episodio era ancora vivido e pulsante come una ferita nella sua memoria, mentre sembrava essere stato rimosso da quella dell’amico. Ed era meglio così, perché era un ricordo pieno solo di urla e lacrime e calci e pessime idee - le immagini scorrevano a velocità accelerata nella testa di Steve, come i fotogrammi di un film che avrebbe preferito non dover vedere mai più.
Non voleva costringere Bucky a rivivere tutto di nuovo, perchè aveva già sofferto abbastanza da espiare tutte le colpe che gli si potevano attribuire e non si meritava una nuova dose di dolore, quindi scrollando le spalle rispose, semplicemente  «Niente di importante… è solo che credo di aver cambiato idea. Ti va di ballare?»
 
In realtà vorrei baciarti pensò Bucky, ma non glielo disse – disse invece «Con molto piacere» e si avviò con lui sulla pista da ballo. 

Quella notte, in un modo o nell’altro, stavano entrambi infrangendo la Seconda Regola dell’Amicizia tenendosi dei segreti a vicenda.
Un segreto solo in realtà, dal momento che era lo stesso per entrambi e più specificamente era l’amore che provavano l’uno nei confronti dell’altro: ognuno ballava illudendosi di aver saputo celare bene i propri sentimenti, eppure se così fosse stato Tony Stark non li avrebbe presi in giro fin dal primo giorno, vedendoli litigare per l’ultima fetta di pizza. 




Angolo dell'autrice
ciao a tutti voi people!
Eccomi di ritorno con il tanto annunciato capitolo angst, che actually prende origine da una battuta di Steve nel primo film, quando lo si vede in auto con peggy per le vie di brooklin. Mi sono chiesta per quale motivo fosse stato preso di mira così spesso da essere pestato nella maggior parte dei vicoli e questa è una possibile e terribile risposta. 
Le serate revival - e i locali revival - esistono veramente e sono piuttosto awesome, per intenderci sembrano il flashback di Cap in avengers age of ultron, solo in versione 3D e interattiva (manca solo Chris evans in pratica). Se volete farvi un'idea della canzone, io avevo in mente questa cover di All of me in versione vintage: https://www.youtube.com/watch?v=UXS52TSweKc
(tutte le cover del gruppo sono stupende, by the way)
Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate :)
Un abbraccione 
Itsamess


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Capitolo 11
*** L'ultimo punto della lista ***


 

La verità era che si erano mancati per anni e quella del taccuino era solo una scusa per vedersi.

 

Bucky aveva pensato più di una volta di aggiungere altre parole alla lista, così come aveva fatto nel caso della serata revival, eppure non ne aveva più avuto il coraggio. Non perché avesse paura di tentare e fallire – al massimo si sarebbe sorbito una noiosa predica di Steve sul rispetto degli oggetti personali altrui– ma perché aveva paura di tentare e riuscirci. Era certo che avrebbe continuato ad aggiungere punti e punti al taccuino, scegliendo a caso titoli di film da internet e bevande bizzarre dal menù di Starbucks ed innamorandosi sempre più del suo migliore amico. E questo non doveva succedere: doveva farsela passare e scordarsi del modo in cui le mani di Steve avevano indugiato sulla sua schiena mentre danzavano la sera prima, come se neanche lui avesse intenzione di lasciarlo andare e si stesse aggrappando con tutto se stesso a quell’istante in cui esistevano solo loro due e quell’ultimo primo ballo.

Doveva davvero scordarselo – dov’era l’HYDRA quando serviva?

 

Per fortuna quella mattina erano giunti all’ultima parola sconosciuta.

Come sempre si erano dati appuntamento nella hall dell’albergo, ma per una volta era Steve ad essere in ritardo.

Molto in ritardo, ora che ci pensava: erano già le otto e mezza. Bucky lo aveva chiamato un paio di volte senza ricevere risposta ed iniziava a preoccuparsi. E se gli fosse accaduto qualcosa? Probabilmente stava esagerando, ma la prudenza non è mai troppa, soprattutto se si abita in una città pericolosa come New York e si hanno brutti trascorsi con malvagi alieni e organizzazioni criminali naziste. Bucky si alzò di scatto dal divanetto e corse verso l’ascensore. Non arrivava più. Imboccò la rampa di scale - la prima, la seconda, la terza- continuando a chiedersi se Steve fosse stato in grado di difendersi da solo anche senza il suo amatissimo scudo di vibranio.

La 508, finalmente. Bussò con violenza alla porta, ma non ottenne nessuna risposta.

Forse lo avevano già aggredito ed ora era troppo tardi per salvarlo oppure quella smorfiosa della cameriera a cui Steve aveva chiesto informazioni era in realtà una mercenaria incaricata di ucciderlo –anche il Soldato di Inverno una volta aveva ricevuto un ordine simile.

Bussò nuovamente. Silenzio. Indietreggiò di un paio di passi per prendere la rincorsa e con forza si scagliò contro la porta, buttandola giù.

 

La camera era perfettamente in ordine: nessun segno di colluttazione, nessun corpo senza vita disteso sul pavimento -anche perché l’unico corpo a cui Bucky importava giaceva sereno sotto le coperte. Ma possibile che non si fosse ancora svegliato?

 

Il moro si avvicinò al letto, chiedendosi come avrebbe giustificato quell’irruzione tanto improvvisa e come avrebbe riaggiustato la porta lui che non riusciva nemmeno a montare un mobile IKEA. Si sedette sul ciglio del materasso. Steve dormiva con un espressione perfettamente felice dipinta sul volto, come se stesse facendo un sogno bellissimo a cui Bucky non era stato invitato. L’amico lo chiamò di nuovo dolcemente, senza osare toccarlo «Stevie»

«Steve» ripeté a voce più alta, ma lui non si mosse.

Quando stava per arrivare a prendergli il polso per controllare che fosse ancora vivo, finalmente Steve aprì gli occhi e mormorò «Bucks»

La sua voce, pur impastata dal sonno tradiva la felicità che stava provando a vederlo lì, in camera sua, seduto sul suo letto. Era così bello svegliarsi così. Era come non svegliarsi proprio e poter continuare a sognare.

 «Che ore sono? Non devo aver sentito la sveglia… ieri sera ho messo i tappi nelle orecchie per ignorare i suoni della coppietta nella 509»

 

La smorfia imbarazzata che accompagnò le sue parole fece scoppiare a ridere Bucky, che non aveva mai compreso a fondo la timidezza dell’amico nei confronti di questioni del genere. In parte era probabilmente un retaggio che veniva dritto dritto dagli anni ’40, in parte Steve era sempre stato molto riservato sulla propria vita privata, tanto che Bucky non ricordava di non averlo mai visto in compagnia di nessuna ragazza, neanche di quelle carine che gli aveva presentato con il solo intento di vederlo felice con qualcuno, invece che pestato insieme a lui.

«Oggi è il gran giorno. Quello dell’ultima parola della lista»

 

Steve si sollevò sui gomiti e gli domandò se avesse già guardato che parola era, anche se sapeva benissimo che l’amico lo aveva aspettato. Bucky infatti scosse la testa ed estrasse il taccuino dalla tasca. Se lo rigirò per qualche secondo fra le mani, accarezzandone la copertina rosso scuro e dicendogli mentalmente addio, poi lo aprì al contrario, lo sfogliò fino ad arrivare all’ultima pagina e lesse tra sé e sé l’ultima punto della lista con il sorriso dipinto sulle labbra.

 «Cosa c’è scritto?» domandò Steve con impazienza, strappandoglielo di mano.

Scarabocchiato a fondo pagina lesse flirtare.

«E quindi? Che c’è?» domandò in tono smarrito

«Su questa voce della lista posso darti ripetizioni io. Questa parola la conosco. Diciamo pure che sono un esperto»

La voce di Bucky voleva essere grave e seducente, eppure Steve non se ne accorse nemmeno, perso com’era a cercare di ricordare quando aveva annotato quella parola nella lista e perché. Doveva essere stato in tempi recenti, dato che era l’ultima del taccuino… ma da chi l’aveva sentita pronunciare? E soprattutto perché l’aveva sottolineata due volte? Era davvero così importante che lui e Bucky la conoscessero?

Tutte quei dubbi potevano essere risolti con una semplice domanda, che Steve non esitò a porre all’amico «Cosa significaflirtare

«Mostrare a qualcuno che si è attratti da lui» rispose Bucky senza nemmeno riflettere, poi aggiunse subito «O da lei, certo»

«Certo» ripeté Steve distogliendo lo sguardo perché l’amico non si accorgesse che stava arrossendo «E in che modo- lo si mostra?»

Bucky scrollò le spalle e disse con tutta la nonchalance di cui era capace che non sapeva bene come spiegarglielo a parole e che era molto più facile farglielo direttamente vedere. Affermò che qualora Steve gli fosse piaciuto, probabilmente avrebbe cercato di rimanere solo con lui trovando scuse patetiche e banali e assolutamente campate per aria. Gli avrebbe sorriso spesso, anche quando le sue battute non erano divertenti, anche quando avrebbe dovuto essere arrabbiato con lui. Avrebbe colto ogni occasione per sfiorarlo casualmente sul braccio o sulla schiena e non avrebbe mai perso il contatto visivo con lui e i suoi incredibili occhi azzurri.

Accompagnava ogni parola con un gesto esplicativo, quasi si trattasse di un tutorial di youtube o di un film a cui qualcuno aveva impostato i sottotitoli per non udenti. Steve non poté fare a meno di pensare che se quello era davvero flirtare loro due non avevano fatto altro da mesi e mesi.

Bucky era attratto da lui ed il sentimento, di questo poteva dirsi certo, era ricambiato.

 

 

Sbottonare la camicia di qualcuno avendo a disposizione solo una mano sana ed un braccio prostetico non era esattamente comodissimo, quindi era una fortuna che Steve avesse intenzione di collaborare e togliersela da solo. Lo fece lentamente, un bottone per volta, giusto per sfinirlo, eppure quando alzò lo sguardo su Bucky si accorse che l’amico stava piangendo. Era la prima volta che lo vedeva in quello stato e si domandò se non fosse colpa del suo goffissimo striptease.

«Hey, che succede?»

 

Il moro in tutta risposta lo abbracciò continuando a singhiozzare, con il cuore che gli batteva tanto forte che a Steve sembrava quasi di poterlo sentire rimbombare direttamente nel suo petto, come se le loro pelli si fossero fuse insieme e loro due fossero scomparsi l’uno nell’altro.

Rimasero così stretti per un tempo indefinito, poi Bucky si staccò leggermente da lui senza dire niente. Gli indicò tutti i lividi dalle diverse sfumature di viola e sfiorò la brutta cicatrice che sfregiava il petto dell’amico «Proiettile sovietico. Te li ho fatti io questi segni» mormorò fra le lacrime, le sue parole erano ormai ridotte ad un sussurro, come a bilanciare il peso della colpa che provava o forse soffocate dai singhiozzi. «Il senso di colpa alcuni notti è così opprimente che non riesco nemmeno a respirare. È come un macigno, qui»

 

«Ti perdono, Bucks»

Steve accompagnava ogni parola con un bacio.

Spalla, clavicola, zigomo, labbra.

«Ti perdono, ti perdono, ti perdono»

 

 

Angolino dell'autrice

Vi fermo subito:nonostante il mio stesso titolo, questo NON è l'ultimo capitolo. Ho scritto anche un mini epilogo, una specie di bonus per tutti voi che mi avete seguita fin qui. Vi ringrazio per tutto l'affetto dimostrato in recensioni e inserimenti in seguite/ricordate e preferite varie, non potete immaginare quanto mi abbia fatto piacere.

 Unica nota del capitolo: per chi non se lo rammentasse, Steve aveva scritto la parola flirtare quel giorno, a mensa con Bucky, quando il simpatico Tony aveva detto loro di smetterla di flirtare perchè stavano bloccando la fila. Mi piaceva l'idea che la storia avesse un andamento circolare, un po' come Steve che si mette con Bucky è il futuro e il passato che si incontrano, l'inizio e la fine di tutto. 

Un abbraccio a tutti voi

Itsamess

Ps completamente off topic: ho scritto una drabble post post credits della civil war, dovrei postarla questi giorni, dipende dalla collaborazione del wifi dell'universitá, se vi va passate a leggerla :)

È davvero tutto,aggiornamento al prossimo ed ultimo capitolo

Itsamess

 

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Capitolo 12
*** Lui (epilogo) ***


Sono le due del mattino a Brooklyn quando Steve Rogers si rende conto che hanno ragione gli Aerosmith.
Nel ritornello di una delle loro canzoni più note, I Don’t Wanna Miss A Thing, il cantante sostiene di non volersi addormentare - di non voler nemmeno chiudere gli occhi – perché spaventato all’idea di perdersi anche solo un istante della persona che ama, perché non vuole perdersi niente.
 
Dormendo si possono perdere un sacco di cose e Steve lo sa meglio di chiunque altro, essendosi svegliato dopo 70 anni in un mondo completamente cambiato, dove non c’è musica negli ascensori e i letti sono sempre troppo morbidi, eppure, ripensando alla canzone degli Aerosmith,  non prova dispiacere per tutti quei frappuccini che non ha bevuto e gli incontri sportivi a cui non ha assistito.
Lo prova per tutte quelle persone a cui è stato più legato e che mentre dormiva sono andate avanti con la propria vita, senza di lui: Peggy Carter, Howard Stark, gli Howling Commandos- per loro il tempo è passato, mentre per Steve è rimasto congelato, come il suo corpo.
 
Quando aveva finalmente aperto gli occhi aveva subito tentato di rimettersi in pari, recuperando quello che si era perso, punto per punto, e lo aveva fatto con l’unica persona al mondo in grado di capirlo. 
Bucky aveva ballato piano insieme a lui al ritmo di canzoni che suonavano familiari come ricordi e non aveva fatto storie qunado Steve aveva insistito per farlo rientrare nell’inquadratura della famosa selfie.
 
Sono le due del mattino e gli Aerosmith continuano a suonare. Menomale che è tutto nella sua testa, altrimenti Steve avrebbe paura di svegliare Bucky,che  di solito ha un sonno così leggero… gli accarezza con estrema delicatezza i capelli, tutti arruffati sul cuscino. Deve davvero tagliarseli, ormai neanche una vagonata di brillantina riesce a tenerli in ordine.
Lo ama. Sembra così innocente e giovane e vulnerabile ad occhi chiusi e Steve lo ama per questo. Non ha più paura del suo braccio metallico, se non quando Bucky insiste per pagare il conto al ristorante e finisce per smagnetizzare la carta di credito.
 
Si stende di nuovo accanto a Bucky mentre lo travolge la consapevolezza che la Lista delle Cose da Recuperare è sempre stato incompleta, perché di tutto quello che si è perso l’unica cosa che davvero rimpiange di non aver vissuto è lui.
Lui e la sua difficile convalescenza.
Lui e le sue scelte sbagliate.
Lui e il suo addestramento siberiano fra husky e whisky e Trockij…
 
«In realtà Trockij non l’ho mai conosciuto» aveva puntualizzato una volta Bucky, scrollando la testa.
Steve aveva sorriso
«Lo so. Volevo solo sentirtelo pronunciare con il tuo sexy accento russo» 



Angolo dell'autrice
Eccoci giunti all'epilogo della storia. Di note io non ne avrei molte, se non che la canzone è un classicone di quelli che si sono sentiti migliaia di volte ma di cui non si è mai saputo il titolo, ma casomai anche voi foste finiti in un ghiacciaio e vi foste persi la colonna sonora di Armageddon, la trovate qui (
https://www.youtube.com/watch?v=JkK8g6FMEXE ).
Un ringraziamento enorme a tutti voi che avete letto, apprezzato, commentato e compagnia bella, perchè mi avete resa davvero super felice.
Mini curiosità per voi, nel caso non aveste notato questo Easter Egg nascosto in The Winter Soldier: la lista delle cose da recuperare cambia a seconda del Paese in cui viene proiettato il film. Per intenderci, in Inghilterra sono presenti i Beatles e Sherlock, in America Lucy ed io e l'allunaggio e qui in Italia la Ferrari e Roberto Benigni. Se volete divertirvi a guardarle, le trovate qui ( 
http://docmanhattan.blogspot.it/2014/03/lista-cose-da-recuperare-Capitan-America.html )
Io vi spammo link, voi sappiate solo che sono il mio modo di dirvi grazie per tutto l'affetto ricevuto.

Itsamess

 

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