Konoha vista da Lei

di biancocchio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Una testa bionda fece capolino nel locale ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Questo prologo è molto particolare. In questa storia Sakura ha un diario-dove tende firmarsi ‘Lei’ sentendosi a v…. Ok se continuo vi dico tutto-  ed è proprio leggendolo che capiamo come in quel periodo di cambiamenti, dove si trasferisce in una nuova città  (Konoha), lei inizi a sentirsi sola. Ora non credo sia chiarissimo ma il prologo di questa storia non potevo farlo diversamente.
Buona lettura, Biancocchio.
P. s. Dal primo capitolo ci sarà un narratore esterno e solo alcune righe del suo diario


2 Ottobre 2015 17:02
Nubi nere macchiavano il limpido cielo che non osava piangere. La sua città non voleva deluderla, avrebbe sorriso fino alla fine e Lei gliene era grata perché era così che voleva ricordarla. Con il lucente sorriso del sole a baciarle le palpebre socchiuse.
 
2 Ottobre 2015 18:30
Il suo sorriso sapeva di stelle [della sorella] Gli occhi furbetti stonavano in quel volto così casto e delicato come spine indossate da candide margherite. I riccioli ribelli le danzavano sulla fronte e la fossetta solitaria le ricordava i familiari lineamenti della mamma. Elementi così contrastanti che formavano davanti a Lei la perfezione.
 
2 Ottobre 2015 19:23
Lei riteneva ironica come una semplicissima parola potesse nascondere al suo interno infiniti significati. ”Treno” era una di quelle. Lei ne aveva visti di treni che sfrecciavano sulle monotone rotaie portando con loro tante vite. Aveva visto gente partire con nei occhi la consapevolezza di non poter tornare più come prima. Chi invece indossava la giovanile voglia di mettersi alla prova, e chi desiderava solo un luogo in cui schiarirsi le idee. Lontano da tutti: dalle persone; dai problemi; dai pensieri… Ma la tua coscienza ti insegue ovunque e non puoi far altro che guardarti dietro, come se un’ombra ti osservasse ogni istante e tu senti il peso del suo sguardo che ti trafigge. Lei ne aveva viste di vite che si intrecciavano come i fili di un tessuto e riteneva ironico come tutte queste si riunissero in un unico luogo, un’unica parola, un treno.
 
3 Ottobre 01:01
La città si era vestita di un bianco pallore  [nebbia] per accoglierla. A Lei ricordava la sua città  quando, pensierosa, decideva se lasciar danzare eleganti fate fra candidi sorrisi o donare a quest’ultimi luce.
 
6 Ottobre 12:40
Era uno schizzo di rosso*** fra macchie di cemento. Saltellava, rapita egoisticamente dai suoi pensieri, sulle bianche strisce pedonali, particolarmente differenti da quelle sbiadite di dove era cresciuta. Saltellava fra le sue decisioni paurosa di scoprirne le conseguenze.
Semaforo verde. Tutto prosegue.
Semaforo giallo. Tutto rallenta.
 Semaforo rosso. Resta solo lei.
 Persa fra i frammenti geometrici di una vita tagliata in due da un treno. Solo un treno a dividerla dal suo passato come un sottilissimo muro fatto di tempo. Un secondo prima è presente. E un secondo dopo è passato. Lei era un semaforo rosso, forse prossimo a trasformarsi in giallo. Non lo sapeva, ma di una cosa ne era certa: per il verde mancava ancora molto.
 
9 Ottobre 2015 19:04
Aveva sempre associato la sua famiglia a un albero agli inizi di autunno quando le foglie incominciano a dipingersi di sfumature diverse, uniche fra loro. La sua famiglia era così: ognuno possedeva quelle tonalità che lo rendevano speciale. Ognuno con il proprio carattere forte a proprio modo e con un talento affascinante. A volte si sentiva stonare fra loro. Era come se non trovasse una costante. Come se cambiasse troppo velocemente colore e come se, a volte, diventasse troppo esile, troppo pallida, troppo poco. Lei era un ossimoro incomprensibile.
 
14 Ottobre 2015 08:05
Il primo giorno di scuola poteva esser visto da molti punti di vista e, per quanto avesse imparato a mantenere la calma nelle situazioni più critiche, arrivata davanti al portone arrugginito, una parte di Lei non poté far altro che  ripeterle di “darsela a gambe levate” mentre la parte razionale del suo cervello la costringeva a camminare. Era come se un passo per i studenti che la circondavano fosse un salto chilometrico in un mare di melma per Lei. Salendo le scale pensò a quei anime in cui dei personaggi scendono macabri e infiniti scalini in bianco e nero con tanto di sottofondo malinconico e iniziò a sentirsi come se tutto attorno a lei andasse troppo velocemente. Semaforo rosso.
Dieci scalini. Vuoto.
Dodici. Turbamento.
Quindici. Ansia.
Forse erano passati solo pochi minuti o forse delle ore. Con certezza non sapeva dirlo ma, alla fine, salì l’ultimo gradino rendendosi conto solo in quel momento di un piccolo particolare: non sapeva quale fosse la sua nuova aula. Sospirò. Eh già… forse era meglio, quando era ancora possibile, darsela a gambe levate.
 
 25 Ottobre 22:30
Star Light. Una scritta lucente ravvivava l’oscurità della notte. Una porta. Luce nel buio.
Un suono.
Una nota.
Una canzone.
Una vita. Che si confonde fra mille altre.
Una ragazza. Vestita di bianco fra mille in nero.
La musica, e Lei; unica protagonista di quella vita, della sua vita. Circondata da un caleidoscopio sfocato. Ricordi di aria. Sfuggenti. Più tenti di afferrarli, più ti si allontanano. “Dispettosi”. Si, da giovane [attraverso alcune esperienze (che non vi cito) riconosce di essere maturata più velocemente dei suoi coetanei e di conseguenza sente di poter utilizzare l’espressione “da giovane”]li llavrebbe definiti decisamente così. Ma in quel momento sentiva solo l’eco della sua anima che le rimbombava dentro. Ed era la sensazione più bella dell’ultimo mese. Si sentiva finalmente viva. Sola, ma viva.
 
27 Gennaio 2016 03:47
E cade nell'oblio, lentamente.
Una vita. Un dipinto sempre meno leggibile. Sempre meno vivo.
Si, meno vivo.
C'è chi è vivo, chi morto e lei… lei è meno viva dell'istante prima.
E cade nell'oblio, lentamente. E si offusca il suo ricordo nella mia mente. E viene inghiottita dalle tenebre della mia memoria, la sua risata.
Ed io… ed io non rimembro più il mio nome. Non rimembro più chi sono ma soprattutto0 ‘cosa’ sono e se lo sono e non comprendo se questa è solo una crudele realtà o una bugia recitata bene da quell'ombra che la notte mi osservava quando ero solo un foglio bianco. Quell'ombra che ho imparato ad amare come ho imparato ad amare lei. Come ho imparato ad amare me stessa.

Note: da dan! Se sei arrivato fin qui davvero grazie mille…è un po’ lunghino e avevo paura di annoiare. Che dire? Spero vi abbia incuriosito. Se avete del tempo vi prego di recensire per farmi sapere cosa ne pensate e vi prometto che i capitoli non saranno mai così (forse uno o due… ma se mi vengono da scrivere di getto non posso farci nulla😣).
Baci, Biancocchio 

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Capitolo 2
*** Una testa bionda fece capolino nel locale ***


Si trovava in una biblioteca.
Si trovava a casa.
Il profumo di pergamena le solleticare le narici e un bambino dal volto sfocato le stringeva la manica con delicatezza. Si abbassò per guardarlo negli occhi quando davanti a sé cadde il buio. Una voce in lontananza, dolce ma forte, le diceva qualcosa. Un eco lontano. Il buio. E poi, una tenue luce.
-Sakura, svegliati o farai tardi-
Forse stava sognando. La madre non si svegliava mai a quel orario e tanto meno con quel sorriso così naturale stampato sul volto.
Il sole filtrava dalle tapparelle accarezzandole la pelle nivea.
Mamma è sveglia e c’è già il sole. Pensò avvicinando la mano a l'orologio. Ciò vuol dire che o la mia vita è cambiata in poche ore o -Sono in ritardo!-.
Ignorando il freddo contatto con la realtà e il pavimento si avvio velocemente verso il piccolo bagno trovandolo dannatamente, irrimediabilmente e catastroficamente chiuso a chiave. Dopo aver scongiurato la “piccola peste” di uscire da li per quasi 10 minuti ed aver liquidato la madre con un -faccio colazione fuori-, corse verso il carcere la scuola.
3 Marzo 2016 08:01
Le vetrine sono cambiate
In questa città le vetrine cambiano e il tempo
il tempo resta immobile
Perché in questa città tutto gira intorno a lui e le vetrine
le vetrine mutano
Il tempo al centro di tutto e noi lo inseguiamo come in una danza fatta di silenzi e immagini

Non dovrei scrivere di prima mattina. 
Barcollando in strada si avviò verso un piccolo rifugio dalle parenti colorate e profumato di salvezza: caffeina.
Con l’immagine di un cappuccino fumante in mente entrò nel piccolo bar dove un uomo l’accolse sorridendo raggiante. Troppo occupata a osservare i bianchi denti che sembrava l’avessero ipnotizzata, non si accorse che l’uomo le stava parlando.
-Giolnata pesante, eh?-
-Wow, devo avere una brutta cera- 
-Ahahah cosa posso prepalalti oggi Sakula?-
-Il solito-
-Alliva-
La sua R le scaturita un senso di euforia non motivato. Era così da mesi ormai: prendeva il suo cappuccino, lui parlava in quel modo buffo e lei iniziava a convincersi, ogni giorno più del precedente, che, in fondo, essere li a Konoha non fosse così male. A parte la nebbia mattutina, i compagni di scuola sgorbutici, la vita sociale inesistente, le materie noiose di quel noioso istituto e la mancanza dei parenti lontani. Ma questi sono particolari.
Ormai era in ritardo e non le avrebbero fatto superare i cancelli della scuola quindi decise di fare con calma mentre il suo cappuccino veniva posato con delicatezza sul bancone arancione e una voce le arrivava forte alle orecchie. Una testa bionda fece capolino nel locale. Lo riconobbe subito; era uno studente della classe accanto alla sua. Un certo Tatuno, Maruno, Maruto, -Naluto! Da quanto tempo lagazzo mio-. Ecco, Naruto.
Quello iniziò a chiaccherare amabilmente con Ichiraku , il barista, e solo dopo l’arrivo della sua cioccolata calda traboccante di marshmallow rosa confetto si rese conto della sua silenziosa presenza.
-Io ti conosco! Sei una compagna di Sasuke e Karin, giusto?!- Cominciamo bene.
Annuì -tu dovresti essere quello che ha tappezzato l’aula insegnanti di foto pornografiche- e lui iniziò a grattarsi nervosamente la testa. L’aveva visto fare tante volte e, anche se non amava ammetterlo, provava simpatia verso quel ragazzo, soprattutto quando, dopo quell’evento delle foto, aveva saputa che il professor Amato era svenuto. Ridette per un’ora e la professoressa Yuhi fu costretta a farla uscire dalla classe.
Non sapendo cos’altro dire e non volendolo mettere a disagio, l’unica cosa che le venne in mente di fare fu ‘scoppiare’ in una risata contagiosa. 
Quella fu la prima volta che risero assieme. Quello fu un giorno di prime volte ma, Lei, ancora non lo sapeva.

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