Unexpected

di spongansss
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Emma ***
Capitolo 2: *** Killian ***
Capitolo 3: *** Profumo di cannella ***
Capitolo 4: *** Corde stonate ***
Capitolo 5: *** Solo per curiosità ***
Capitolo 6: *** Insonnia d'amore ***
Capitolo 7: *** Quella panchina, la loro panchina ***
Capitolo 8: *** Equilibrio infranto ***
Capitolo 9: *** La nostra giornata ***
Capitolo 10: *** Mal di testa ***
Capitolo 11: *** Operazione inseparabili ***
Capitolo 12: *** Guarire ***
Capitolo 13: *** "La fortuna che abbiamo" ***
Capitolo 14: *** Non avessi né occhi né orecchi ***



Capitolo 1
*** Emma ***


Capitolo 1
Emma

 

In casa regnava il caos, i preparativi per la festa avevano mandato Regina nel panico, la sua ansia era quasi palpabile. Emma lo sapeva, sapeva anche che sarebbe dovuta intervenire o la situazione sarebbe degenerata.
-“Regina, c’è davvero bisogno di tutto questo? Non sarà troppo?”
-“Troppo? Emma ma sei impazzita? Robin è stato via per sei mesi e credi sia troppo?”
-“Dico solo che lui probabilmente vorrà vedere te e basta, senza bisogno di questi grandi preparativi o di essere in tanti. Ecco, io mi sento anche di troppo, se proprio vogliamo dirla tutta.”
-“Ma ti ho detto che lui non sarà solo! E poi, scusami, credevo volessi rivederlo anche tu, o sbaglio?”
-“Certo che voglio rivederlo, è passato così tanto tempo, ma non è questo il punto. Ci saremmo potuti tranquillamente vedere domani. E poi non tirare in mezzo il fatto che ci sia anche qualcun altro, te l’ho detto un centinaio di volte che non ho bisogno di incontrare nessuno.”
-“Ancora con questa storia! Nessun appuntamento al buio, ho promesso. Non è qui per te. Verrà perché ha lavorato con Robin questi sei mesi ed è stato trasferito qui a Boston, quindi andrà ad abitare da lui. Certo non mi dispiacerebbe se riuscisse a scongelarti, sono stanca di vederti sempre sola.”
-“Ma io non sono sola, e lo sai. Prima di tutto, vivo con te da anni, essere sola qui dentro è praticamente impossibile. Poi c’è Henry, come potrei sentirmi sola quando ho lui?”
-“Emma, sai di cosa parlo. Da quanto tempo è che non hai una relazione?”
-“Sai benissimo da quanto e dovresti sapere ancora meglio che non ne ho alcun bisogno. E poi, quando ho iniziato questa conversazione, avevo intenzione di calmarti non di farmi fare la predica.”
-“Lo so, hai ragione. A proposito di Henry, oggi sarà con noi? Devo andare a cercare degli analcolici?”
-“No, stai tranquilla, andrà a dormire da Jake in modo da lasciarci liberi. Devi stare tranquilla, organizziamo tutto da settimane, andrà bene.”


Emma e Regina erano amiche da che ne avevano memoria. Si conobbero che erano molto molto piccole e da quel momento in poi furono inseparabili. Nella loro vita avevano condiviso tutto, dalla merenda quando andavano a scuola alla loro casa, adesso. Avrebbero, magari, condiviso la stanza al college se Emma avesse avuto i mezzi finanziari per permetterselo.
Emma era orfana e aveva passato l’infanzia in una casa famiglia. Lei e Regina si conobbero a scuola.
La presenza di quella sorridente ragazzina dai capelli corvini aveva illuminato la sua infanzia buia.
A diciotto anni Emma dovette lasciare la casa famiglia. La sua unica amica era al college e lei dovette cavarsela da sola.
Cominciò a lavorare in un bar con il cui stipendio pagava l’affitto di un appartamento molto piccolo che condivideva con altre due ragazze: Mary e Ruby.
Nonostante la loro presenza, quello sicuramente non era stato il suo periodo migliore.
Ebbe la sua prima storia d’amore importante, o almeno lei la riteneva tale.
Avrebbe voluto rimuovere completamente quella parte della sua vita. Solo una cosa, anzi, una persona non avrebbe rimosso: il suo bambino.
Quando Regina finalmente tornò, decisero di vivere insieme, per aiutarsi con l’affitto, soprattutto perché  Emma poteva permettersi ben poco. Regina aveva studiato, il che le permise di ottenere un ottimo lavoro come impiegata in una grande azienda, Emma, invece, aveva continuato a fare la cameriera in quel bar, dove ora lavorava anche Ruby, da sola non era in grado di permettersi l’affitto e il sostentamento suo e di suo figlio.
Emma si sentiva fortunatissima ad avere un’amica così al suo fianco, era convinta che senza di lei non sarebbe riuscita a prendersi cura di Henry, lavorare e non buttarsi via. Le doveva tutto, la adorava. Certo, quando cercava di trovarle degli appuntamenti, era meno simpatica, ma Emma aveva imparato ad apprezzarla così com’era.
Regina era fidanzata da una vita, almeno così diceva Emma. Lei e Robin si erano trovati e stavano vivendo una favola. Emma non aveva mai visto una coppia meglio assortita di loro, non sapeva se invidiare profondamente la sua amica o continuare a credere che quella vita non facesse per lei.
Aveva trovato un suo equilibrio e non voleva che le idee di Regina le scombussolassero la vita.
Stava bene e aveva intenzione di continuare così per molto tempo.









Angolo dell'autrice
Primo tentativo di fanfic divisa in capitoli. Non so ancora esattamente cosa accadrà nei prossimi capitoli, ma ho qualche idea.
Ho tentato di mantenere il rapporto di amicizia che c'è tra Emma e Regina perché lo adoro, anche se la descrizione di un personaggio come Regina mi spaventa un po', non vorrei renderla troppo OOC. 
Credo di riuscire a pubblicare il prossimo capitolo in breve tempo, ma non so dirvi niente per quanto riguarda i successivi.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Mi piacerebbe ricevere le vostre recensioni in modo da potermi migliorare, se qualcosa non vi piace.

 

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Capitolo 2
*** Killian ***


Capitolo 2
Killian

 



-“Ma tu sei sicuro che non sia inopportuno che ci sia anche io?”
re -“E perché mai?”
-“Beh, è la tua ragazza, è da tempo che riuscite a vedervi solo in video-chat, sono sicuro che le sarai mancato moltissimo, avrete voglia di stare soli, non so se mi spiego.”
-“Spieghi che sei un idiota. Regina ha voluto organizzare una specie di rimpatriata, ci saranno altri amici, non farai il terzo incomodo, questo è poco ma sicuro.”
-“Mi sento fuori luogo lo stesso. Non so chi siano questi amici e di certo saranno lì per te, non per me.”
-“Io, invece, credo possa essere un ottimo inizio. A Boston non conosci nessuno, giusto? Mi sembra un ottimo inizio incontrare un po’ di persone.”
-“Spera che i tuoi amici non siano noiosi o me la pagherai cara.”
Robin diede un pugno sulla spalla al suo vicino che nascose una risata con un’espressione di finto dolore.
-“Hai ragione, è impossibile, hai me come amico, anche tutti gli altri devono essere fantastici. Certo non pretendo che siano affascinanti come me, sono consapevole dell’impossibilità della cosa.”
Si era aggiudicato un altro pugno.
Una voce registrata li pregava di indossare le cinture, stava per iniziare l’atterraggio.
Erano, ormai, arrivati a Boston.


 
Killian e Robin avevano lavorato insieme ad Helena, nel Montana, per circa sei mesi. Lavoravano in polizia. Robin era stato mandato per un po’ lontano da casa in quanto ritenuto un ottimo elemento, uno dei pochi in grado di risolvere il difficile caso che stavano affrontando nel dipartimento di Killian.
Appena arrivato, Killian fu uno di primi a presentarsi. Entrarono subito in sintonia, parlando scoprirono che sarebbero, poi, andati a Boston insieme, a caso risolto.
Killian aveva chiesto il trasferimento mesi prima, gli era stato accordato, avrebbe solo dovuto aspettare che il caso venisse chiuso.
Voleva allontanarsi da quel luogo che per anni aveva considerato casa sua e che ora gli era estraneo.
Si stava avvelenando, e non voleva farsi del male, non voleva distruggersi come suo padre.
Era nato in Irlanda dove visse felice con i suoi genitori fino ai 15 anni.
Una notte sua mamma non rientrò, ma lui si accorse della sua assenza solo il mattino dopo, in quanto era andato a dormire molto presto quella sera, quando, appena alzato, trovò suo padre in lacrime sulla poltrona in salotto.
Venne a sapere che sua mamma, il suo punto di riferimento da sempre, aveva avuto un incidente stradale mentre tornava a casa dopo una giornata di lavoro.
Nei mesi successivi il padre era diventato sempre più assente, spesso tornava molto tardi, a volte, addirittura, non rientrava la sera. Killian intanto cresceva, a 17 anni ebbe la sua prima delusione d’amore e in quel momento si sentì perso. Non aveva nessuno a cui appoggiarsi. Suo padre si era lasciato andare e in quel periodo era peggiorato particolarmente.
Un mese dopo venne a mancare anche lui per un grave problema al fegato, probabilmente causato dall’eccessivo consumo di alcolici di quegli ultimi due anni.
Killian, essendo minorenne, venne affidato a suo fratello Liam che anni prima si era trasferito nel Montana, dove era entrato in polizia.
Killian lo raggiunse e completò i suoi studi. Riallacciarono il meraviglioso rapporto che avevano quando entrambi erano in Irlanda, quando erano felici, tutti e quattro.
Decise di seguire le orme del fratello, così fece i test per entrare, anche lui, in polizia.
Non sapeva esattamente perché lo stesse facendo, ma ritenne fosse la cosa giusta da fare.
E non si era sbagliato, aveva una vera e propria vocazione per quel mestiere.
La sua vita era proseguita serenamente con suo fratello, qualche amico e una donna.
La donna con cui aveva convissuto fino ad un anno prima, la donna che aveva rischiato di farlo avvelenare.
Aveva preso la decisione di allontanarsi dal quel luogo quando si era reso conto di non appartenergli più, quando aveva cominciato a credere che lì non sarebbe mai stato in grado di ricominciare.
Chiese il trasferimento per una città qualsiasi, non gli importava la meta, aveva solo bisogno di cambiare aria. Gli accordarono il trasferimento a Boston.
L’arrivo di Robin nel Montana fu un grande colpo di fortuna. Si erano trovati e il suo aiuto in quel momento difficile era stato fondamentale.
Quando Robin scoprì che sarebbero andati a Boston insieme, non poté che esserne felice. Aveva trovato un ottimo amico e gli sarebbe dispiaciuto perderlo di vista.
Il viaggio di ritorno era stavo molto più divertente del precedente, passare qualche ora con Killian prendendosi in giro non era paragonabile al passarle da solo.
Robin non vedeva l’ora di rivedere i suoi amici e, in particolare, la sua Regina.
Sperava davvero che quella banda di matti sarebbe piaciuta a Killian, e aveva delle speranze per una persona in particolare.









Angolo dell'autrice
Lo so, il primo capitolo è stato pubblicato poche ore fa. Non sono una pazza, giuro. Semplicemente ho passato la giornata a casa e, avendo bisogno di occupare il tempo, mi sono messa a scrivere. Domani riprenderò la mia normale vita e la frequenza non sarà mai, mai, mai questa, ovviamente.
In più, mi era venuto in mente qualcosa riguardo Killian e ho sentito il bisogno di mettere tutto nero su bianco prima che le idee mi sfuggissero.
Questi capitoli sono piuttosto brevi in quanto sono solo un modo per presentare i personaggi. Nel momento in cui si svilupperà la storia, sicuramente diventeranno più lunghi.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Spero di ricevere un vostro riscontro, positivo e negativo, per potermi migliorare.
 

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Capitolo 3
*** Profumo di cannella ***


Capitolo 3
Profumo di cannella


 
Regina andò a prendere Robin e Killian all’aeroporto mentre Emma accompagnava Henry dal suo amico.
Regina saltò letteralmente addosso a Robin causando in Killian una risata sommessa, non sapeva se dipendesse solo dal fatto che quella scena fosse incredibilmente comica o anche dal fatto che quei due fossero squisitamente teneri.
Certo lui non era il tipo da smancerie in pubblico, era sempre stato restio a questo genere di cose. Credeva che in un rapporto vero e profondo non ci fosse bisogno di dimostrare nulla a nessuno, bastava sapere quello che si provava l’uno per l’altra, e per questo bastava essere in due, il pubblico non serviva.
Regina e Robin si strinsero per quella che lui ritenne un’eternità, solo dopo lei gli si avvicinò per presentarsi.
Killian non poté fare a meno di notare di quando fosse bella quella donna e si ritrovò a fissarla per un momento. Osservò tutto il suo viso, i suoi occhi neri e profondi, la pelle perfetta e le sue labbra carnose colorate di rosso. Notò anche la bellezza del suo corpo quando si stavano incamminando verso la macchina poiché rimase qualche passo dietro la coppia.
Quando Regina andò dal lato opposto della macchina rispetto a lui e Robin, non poté fare a meno di sussurrargli, sperando di non farsi sentire da lei: “Bell’acchiappo, amico!”



Arrivati a casa, trovarono tutti i loro amici ad attenderli.
C’erano Mary e il suo fidanzato storico David, Ruby e un paio di amiche: Elsa e Anna, accompagnata da Kristoff, il suo ragazzo. Poi c’era Graham, il migliore amico di Robin, uno dei tanti uomini che Regina sperava sarebbero riusciti a scaldare il cuore di Emma.
Nel momento dell’ingresso di Robin si creò una gran confusione, in quanto tutti corsero ad abbracciarlo.
In quel momento Killian, come predetto, si sentì un po’ fuori luogo e si maledisse per non esser riuscito a convincere Robin a lasciarlo a casa.
Il pensiero durò solo un fugace attimo perché i suoi sensi furono rapiti da un inebriante profumo di cannella di cui non riusciva ad identificare la provenienza. Adorava la cannella, doveva scoprire da dove provenisse quell’odore, ma in quel caos difficilmente sarebbe riuscito ad identificarlo. Probabilmente proveniva dalla cucina, pensò. Rimase in uno stato di estraneazione, come fosse in trance, per un tempo che neanche lui sarebbe stato in grado di definire. Si risvegliò quando Robin cominciò a presentarlo a tutti gli altri.
Rimase particolarmente colpito dalla quantità di belle ragazze dalle labbra rosse di cui era circondato il suo amico. Doveva chiedergli quale fosse il suo segreto.

Il gruppo si spostò verso il tavolo, era arrivato il momento che Emma attendeva di più: la cena.
La sua visione cinica del mondo le faceva preferire quel momento a quelli degli slanci affettuosi. Aveva un ottimo rapporto con il suo cibo e mai l’avrebbe sostituito con le persone.
Regina e Robin andarono a prendere le ultime cose rimaste in cucina e lui le confessò di aver avuto un’idea riguardo il bel irlandese e l’orfanella di ghiaccio.
-“Lo so che l’hai pensato anche tu quando l’hai visto: lui sarebbe perfetto per Emma.”
-“Robin, lo sai, non vuole che ci mettiamo in mezzo e non credo che questa volta sarà diverso.”
-“Perché mai non si fa aiutare? E’ la tua migliore amica, possibile che non ascolti nemmeno te?”
-“Lei pensa di non avere bisogno di aiuto e, francamente, forse ha ragione. Se non si sente pronta, non credo che le nostre spinte possano aiutarla, sai. Penso ci arriverà da sola, prima o poi.”
-“Non so, io li vedo molto simili: hanno sofferto molto, credo potrebbero trovarsi.”
-“Senti, se dovrà succedere, succederà. Questa volta non mi metterò in mezzo, gliel’ho promesso. Ti prego, non farlo nemmeno tu.”
-“D’accordo, come vuoi. Ma sappi che questo non mi fermerà dall’interferire con Killian. E poi guardali, sono anche seduti vicini!”
-“E non pensi che questo possa essere un caso?”
-“Potrebbe essere un segno, no?”
Regina rispose a quella provocazione con un sorriso, non sapeva più cosa dire. Prese un paio di bottiglie, lasciò che Robin prendesse la teglia ti lasagne e si diressero in sala.


Mentre la coppia era intenta a conversare in cucina, gli ospiti presero posto a tavola e il caso volle che Emma e Killian si sedessero vicini.
A quella distanza era chiaro da dove provenisse il meraviglioso profumo di cannella, e quando Emma spostò una ciocca di capelli Killian ne ebbe la certezza: il profumo meraviglioso, quello che l’aveva distratto appena entrato, apparteneva a quella bellissima chioma bionda.
Non seppe neanche lui dove trovò il coraggio, ma l’istinto lo fece avvicinare a quella creatura eterea per sussurrarle nel modo meno evidente possibile: “Ehi, sai che hai un buon profumo?”
Forse la ragazza di fronte a lui lo sentì, Ruby, si chiamava Ruby. La vide fissarli e sorridere di nascosto. Si sentiva un idiota, non aveva idea del perché l’avesse fatto. Certo, aveva espresso quello che pensava, ma quel pensiero era del tutto inopportuno, e lui lo sapeva. Perché mai l’aveva fatto?
Tra l’altro lei non aveva neanche risposto. Aveva visto le sue guance chiare arrossire, e in quel momento aveva pensato che con quel colorito fosse ancora più bella.
Non sapeva che cosa gli stesse succedendo, quella ragazza non era neanche lontanamente il suo tipo, eppure l’aveva stregato, incatenato. Sarà stato il profumo? Neanche lui riusciva a spiegarsi quello che gli stava succedendo, aveva solo bisogno di cambiare aria un momento, così chiese dove poteva trovare il bagno e andò a nascondersi.
Si guardò allo specchio respirando profondamente, si sciacquò la faccia sperando che l’acqua fredda l’aiutasse a schiarirsi le idee.

Emma, intanto, riceveva delle occhiate da Ruby che non riusciva ad interpretare, anche se temeva di aver capito a cosa si riferisse l’amica.
Approfittando della sedia vuota che Killian aveva lasciato, Ruby le si avvicinò e cominciò la conversazione che Emma sperava non sarebbe iniziata.
-“Carino no? Poi, andiamo, ti ha fatto un bellissimo complimento e tu neanche l’hai degnato di uno sguardo. Suvvia Emma, almeno grazie potevi dirglielo. Secondo me l’hai colpito.”
-“E’ stato avventato e inopportuno, non sono stata in grado di rispondergli. Al suo ritorno gli stendo il tappeto rosso così rimedio, che ne pensi?” Credeva che a quel punto l’ironia fosse l’unico mezzo per fermare Ruby che era partita in discesa libera.
-“Andiamo Emma, è un così bel ragazzo. Se le avessi io le sue attenzioni, mi ci butterei, invece tu nulla, di ghiaccio. Perché mai Emma?”
-“Stellina, se lo vuoi, io te lo lascio. E poi, queste storie me le sarei aspettate da Regina, non da te. Hai deciso di fare le sue veci finché è in cucina?”
-“Ma guarda, sta arrivando, se vuoi le restituisco il suo ruolo subito.”


Regina arrivò e Ruby trovo subito il modo di mettere Emma in imbarazzo.
-“Eccoci qui, possiamo iniziare. Ma Killian dov’è?”
-“E’ andato in bagno. Sai, Regina, ha fatto un complimento alla nostra dolce Swan ma lei non l’ha degnato di uno sguardo. E, sai, io lo capisco, ci sarei rimasta male anche io. Regina, diglielo che avrebbe dovuto almeno ringraziarlo.”
Emma voleva sprofondare, tentò di nascondersi tenendo basso lo sguardo. Sperava che se li avesse ignorati, l’argomento sarebbe caduto. Speranze vane, Regina e Ruby insistevano, finché l’argomento diventò interesse comune a tutto il tavolo. Ormai tutta l’attenzione era concentrata su di lei. Pensò di non essersi mai sentita così in imbarazzo, se avesse potuto si sarebbe scavata una buca e si sarebbe nascosta al suo interno fino alla fine della serata.
Suono di una porta che si apre, passi nel corridoio. Finalmente la discussione imbarazzante lasciò spazio ad altri argomenti dall’utilità ignota. Il ritorno di quell’uomo così sfacciato l’aveva salvata. Forse ora avrebbe dovuto ringraziarlo per davvero.










Angolo dell'autrice
Finalmente i nostri due protagonisti si incontrano, succede ancora poco tra loro, ma bisogna avere pazienza.
Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto. Aspetto il vostro riscontro.

 

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Capitolo 4
*** Corde stonate ***


 
Capitolo 4
Corde stonate
 



-“No, non esiste! Non farò giochi alcolici. Domani mattina devo lavorare, non posso permettermi di non essere in me.”
-“Andiamo biondina, divertiti un po’. Che sarà mai?”
Probabilmente perché condizionata da tutte le chiacchiere dei suoi amici, quella frase le aveva dato un gran fastidio. La nonchalance con cui l’aveva chiamata in quel modo l’aveva mandata in bestia. Loro non si conoscevano ed era già la seconda volta quella sera che la trattava come se fossero intimi. Emma aveva un po’ di difficoltà ad entrare in confidenza con le persone, a quanto pare lui aveva il problema opposto.
-“Come mi hai chiamata, scusami?”
-“Tesoro calmati, non pensavo ti desse fastidio.”
-“Smettila di parlarmi come se ci conoscessimo da sempre!”
-“Ma sei sempre così dolce o è un atteggiamento che riservi a me?”
A quel punto Emma non ci vide più, il sangue le ribolliva nelle vene. Non aveva idea di come una persona potesse essere così sfrontata e sfacciata con la prima sconosciuta che passava.
-“Ah davvero? Sono io il problema? Non hai pensato nemmeno per un momento che il problema potessi essere tu?”
Killian, dal canto suo, si sentì un po’ in colpa, pur non capendo che cosa avesse fatto di così grave. Da un lato gli dispiaceva che l’avesse infastidita, dall’altro gli dava fastidio che quella creatura eterea che l’aveva attirato così tanto gli stesse andando contro con così tanta forza senza che lui capisse il motivo.
Ormai il suo cervello era spento, le parole uscivano dalla bocca senza pensare.
-“Certo tesoro che ci ho pensato, ma ancora non capisco quale sia il problema.”
-“Ah lui non capisce, lui non capisce! Mi pare ovvio. E smettila di guardarmi con quel sorrisino. Finiamola qui, vado a prendere una boccata d’aria.”
Detto questo, sì alzò dirigendosi verso il terrazzo. Uscì chiudendosi la porta-finestra alle spalle.



-“Ehi!”
Sapeva di avere un po’ esagerato, era uscita per tentare di calmarsi. L’aria fresca della sera le stava facendo bene, ne aveva proprio bisogno. Inspirò forte, a pieni polmoni, sperando di sentirsi meglio.
Si era scaldata parecchio con quella discussione, si aspettava che qualche amico l’avrebbe seguita ma non si aspettava quella voce e, soprattutto, non lo voleva. Sperava fosse stato il suo cervello a tirarle un brutto scherzo, che avesse sentito male, che fosse stata suggestionata dalla situazione.
Si voltò e vide due occhi azzurri che la guardavano e non ebbe più dubbi.
Li guardò un attimo, era assurdo come quel colore risaltasse con così poca luce, era come se brillassero di luce propria. Ma ciò che la stupì ancor di più era ciò che lesse in quello sguardo: vide dispiacere.
-“Mi dispiace per prima, è che a volte parlo senza pensare. Io davvero non pensavo di infastidirti, forse perché non ho pensato affatto. Io non ti conosco, hai ragione, non avrei dovuto approcciarti così. Io sono fatto così, ho difficoltà ad esprimermi in modo più “formale” con le persone, entro in sintonia subito senza rendermi conto che non sono tutti come me e per permettersi questo tipo di confidenza ci sia bisogno di tempo. Mi dispiace, davvero.”
Emma era piuttosto brava ad inquadrare le persone sin dal primo approccio, ma lui non riusciva proprio a capirlo. Pensava che fosse uno sbruffone qualsiasi, anche piuttosto cafone a suo parere, poi si era presentato lì per scusarsi con lei e l’aveva trovato molto gentile e sincero, era brava anche in questo: capiva al volo quando qualcuno le stava mentendo, una specie di macchina della verità umana. Ne rimase piacevolmente colpita, anche se la disturbava il fatto che non riuscisse a capirlo, per lei era strano non sapere cosa aspettarsi dalle persone.
-“Ammetto di avere un po’ esagerato anche io, non so cosa mi sia preso. Il fatto che non apprezzi le confidenze non dovrebbe portarmi ad attaccare le persone così. Ero sulla difensiva, non sentivo più nulla, cercavo solo il modo di avere ragione. Sono uscita per questo, ho capito di star esagerando e avevo bisogno di calmarmi. Il vento fresco mi rilassa.”
-“Allora, ricominciamo da capo?” Le tese una mano, lei esitò un po’, poi la strinse forte.
Killian senti di nuovo quella sensazione, quella provata poche ore prima quando aveva sentito il suo profumo.
Al contatto delle loro mani, un brivido percorse la sua schiena. Non capiva come una persona così distante da lui potesse fargli quell’effetto. Erano due corde stonate, non si trovavano. Allora perché lui si sentiva così?
Sperò che lei non si accorgesse delle sue reazioni, non voleva metterla di nuovo a disagio. Non capiva neanche perché volesse che quella sconosciuta si sentisse a suo agio, a lui cosa importava? Non era nessuno, giusto?
Il silenzio era imbarazzante, Emma non sapeva cosa fare così abbassò lo sguardo. Sperava fosse lui a rompere il silenzio in qualche modo. Certo, sarebbe potuta rientrare, ma non voleva rinunciare a quell’aria frizzantina solo per evitare quella situazione.
-“E’ bello qui, capisco perché ti piaccia.”
Non sapeva quale dio ringraziare, le sue preghiere erano stare esaudite, aveva rotto quel silenzio che lei aveva incominciato ad odiare.
-“L’aria della sera è meravigliosa in questo periodo, quando non piove ovviamente. Non è ancora troppo freddo ma non c’è più il caldo dell’estate. Mi piace stare qui fuori, da sola o in compagnia, non ha importanza, purché possa godere un po’ di questa aria fresca.”
Si ritrovarono a chiacchierare del più e del meno, senza rendersene conto. Stavano bene, finalmente stavano bene.
 
 

Un paio di chiome scure tentavano di spiare i movimenti di quella coppia improbabile. Regina aveva creduto davvero che Robin potesse avere ragione, che forse Killian potesse essere quello giusto per la sua amica. Poi li aveva visti discutere per un nonnulla e aveva visto le sue speranze andare in pezzi.
Quando Killian era uscito per tentare di scusarsi, non sapeva cosa aspettarsi. Conosceva Emma, sapeva non sarebbe stato semplice farsi perdonare, anche per una questione così insignificante.
Ruby li osservava con lei, e sin dal primo momento aveva puntato su di loro, attaccandosi al fatto che “l’amore non è bello se non è litigarello”. Ma Ruby era così, adorava giocare a fare cupido con le persone, anche con gli sconosciuti che vedeva in strada. A volte, però, aveva davvero scoperto delle anime gemelle, prima ancora che i diretti interessati se ne rendessero conto. Era stata lei a convincere Mary a dare un possibilità a David.
Se Ruby era convinta, Regina non avrebbe mai puntato su quei due, nonostante ci sperasse.
Quando vide che si erano messi a chiacchierare amichevolmente rimase piacevolmente sorpresa, Ruby saltellava come una bambina a cui era appena stato regalato un nuovo giocattolo. Regina dovette trascinarla di peso su divano per farla stare ferma e zitta, non voleva che Emma e Killian si accorgessero che li stavano osservando.
 

 
La coppia più chiacchierata della serata rientrò ridacchiando per riunirsi con il gruppo di amici.
Alla fine decisero di evitare i giochi alcolici perché sia Emma che Anna il mattino dopo dovevano lavorare.
Decisero, però, di “tornare al liceo”.
“Ragazzi! Ragazzi! Ragazzi! Idea geniale! Obbligo o verità, lo so, da ubriachi è più divertente, ma ci potremmo divertire lo stesso, no?”
“Ruby, non abbiamo più quindici anni, cerca di essere seria.”
“Dai Mary andiamo, non fare la mamma di turno, può essere divertente proprio perché non abbiamo più quindici anni. Siamo tutti grandi e vaccinati, quindi nessuno si scandalizza, giusto?”
Ormai era partita in quarta, probabilmente nessuno sarebbe riuscita a fermarla e, a dir la verità, nessuno si impose più di tanto. La sua allegria era riuscita a contagiare tutti, perfino Emma e Mary che non avevano alcuna intenzione di rendersi ridicole a causa delle domande imbarazzanti che sapevano sarebbero arrivate.
-“Io ho proposto il gioco per cui, inizierò io. Robin, caro, sei stato fuori per sei mesi, mi sembra giusto che tu apra le danze. Obbligo o verità?”
-“Verità, ma datti una regolata Ruby.”
-“Tranquillo, è la prima domanda, sarò buona. Allora, durante la tua assenza qualche donna ci ha provato con te?”
-“E meno male che sei stata buona!”
-“Ehi, potevo chiederti quante volte hai fatto sesso in video-chat con Regina. Sono stata molto buona.”
-“Sei assurda. Comunque sì, è successo una volta. Ero con Killian, eravamo usciti a berci una birra. Questa ragazza ubriachissima mi si è avvicinata, ma io l’ho rifiutata con molta classe.”
-“Amico, con molta classe? Hai detto ‘ehi, il mio amico è single’ e sei fuggito in bagno.”
Il racconto scatenò una grande ilarità nel gruppo di amici, cosa che mise in imbarazzo il povero Robin, ma Regina lo fece sentire subito meglio stringendolo forte a sé.
Vennero a sapere un sacco di cose. Elsa aveva avuto una storia di una notte con una donna, di cui ricordava davvero poco vista la quantità di alcol che aveva ingerito. Emma negli ultimi dieci anni aveva avuto solamente storie da una botta e via, mentre Mary era stata solo con David in tutta la sua vita. Killian a cinque anni era fuggito dall’asilo perché aveva voglia di ciambelle, cosa che ovviamente non ottenne visto che era scappato. David da ragazzo aveva rubato qualche pacchetto di gomme da masticare in un tabaccaio. Ruby dovette mangiare un cucchiaio di tabasco, dato che aveva scelto obbligo “perché voi andate tutti sul sicuro, siete noiosi”, o almeno così disse. Regina pensava non volesse rischiare di dire qualcosa di imbarazzante.
Essendo finito il giro, era di nuovo il turno di Ruby.
-“Bene, è arrivato il momento di fare amicizia! Killian, obbligo o verità?”
-“Verità, perché sono una persona noiosa.”
Ruby colse la frecciatina e sorrise. Le piaceva quel ragazzo, pensava sarebbero potuti davvero diventare amici.
-“Ho visto che sei una persona spigliata, quindi mi prendo il diritto di chiedere quello che voglio. Bene, preferisci ascoltare la versione volgare o la versione censurata?”
-“Tu mi spaventi un pochino, quindi vai con la versione censurata.”
-“In questa stanza, secondo te, qual è la donna più attraente?”
-“Ora sono curioso di sentire la versione volgare!”
-“Chi ti scoperesti qui dentro? Ora non pensare di avermi distratta rispondendomi con una domanda, forza, è il tuo momento.”
-“Posso dare due risposte differenti? Non credo che le due domande significhino proprio la stessa cosa.”
-“E va bene, sono buona, farò un’eccezione.”
-“Chi mi scoperei? Mh, Regina. Scusa amico, la tua ragazza è dannatamente sexy.”
Ricevette un pugno sul braccio, ma sapeva essere scherzoso. Anzi, Robin si sentì perfino fiero grazie all’affermazione del suo amico. Regina, invece, diventò paonazza. Era davvero in imbarazzo.
“La più attraente, anche se credo che ‘affascinante’ le calzi ancora di più come definizione, è Emma con il suo meraviglioso profumo.” Le rivolse un occhiolino.
Lei rispose sorridendo e arrossendo leggermente. All’esterno mostro imbarazzo, ma lo fece solo per nascondere il fatto che fosse realmente lusingata, come lo era stata qualche ora prima.









Angolo dell'autrice
Sono strafelice di essere riuscita a pubblicare questi capitoli così velocemente. Mi sto divertendo un sacco a raccontare di questa banda di matti. Spero voi stiate apprezzando e, come sempre, spero di ricevere una vostra recensione.
Inoltre, ci tenevo a ringraziare tutti quelli che stanno leggendo e chi sta recensendo sin dal principio.
 

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Capitolo 5
*** Solo per curiosità ***


Capitolo 5
Solo per curiosità


 

-“Allora, Emma…”
-“Che c’è Regina? Ho sonno, starei andando a dormire. Sai com’è, si è fatto un po’ tardi.”
-“Solo una cosa” avvicinò il suo volto ai capelli della bionda, inspirò forte -“Profumi di buono.”
-“Dio Regina, stiamo davvero tornando su questo argomento a quest’ora?”
-“Sì, solo perché non vuoi ammettere che ti ha fatto piacere.”
-“Te l’ho già detto, non mi interessa. Ora posso andare a dormire?”
-“Non è vero, i tuoi occhi mi hanno detto la verità. Sei rimasta lusingata da quello che ha detto, ed anche un po’ sorpresa, credo.”
-“Andiamo Regina, l’ha detto solo perché è stato costretto da Ruby.”
-“Non è vero. Avrebbe potuto parlare solo di me. E poi a tavola nessuno gli aveva chiesto nulla, o sbaglio?”
-“Ma non è la stessa cosa!”
-“Come no? Dai ammettilo, Emma!”
-“Se ti darò ragione, potrò andare a dormire?”
-“Sì!”
-“Allora, hai ragione. Buonanotte.”
 


Emma si stese sul letto e chiuse gli occhi sperando di addormentarsi il prima possibile.
Non andò come sperava, aveva troppi pensieri per la testa per poter addormentarsi in fretta. Si rigirava nel letto mentre il suo cervello vagava sugli avvenimenti di quella sera.
Quell’ultima conversazione avuta con Regina aveva un eco nella sua mente che sembrava infinito.
Lei sapeva che la sua amica aveva ragione, ma non aveva alcuna intenzione di dargliela vinta. Erano anni che Regina tentava di farla uscire con qualcuno e in tutto quel tempo Emma non le aveva mai dato retta, di certo non avrebbe cominciato ora. E poi, come poteva Regina pensare che il fatto che quei complimenti l’avessero colpita significasse qualcosa? Chiunque sarebbe rimato piacevolmente sorpreso da delle affermazioni simili, non c’era alcun bisogno di coinvolgimento sentimentale.
Tra l’altro aveva fatto commenti anche su di lei, avrebbe dovuto capirla invece di insinuare interessi inesistenti.
Prese, quindi, una decisione: sapeva che Regina sarebbe tornata su quell’argomento, lei avrebbe risposto utilizzando la stessa arma.
Si girò nuovamente e chiuse gli occhi, sperando questa volta di riuscire a dormire.



La sveglia alle 6 del mattino la uccideva. Non aveva il tempo di svegliarsi per bene, di vestirsi e sistemarsi con la calma che sarebbe necessaria. Detestava il dover uscire di casa con le occhiaie per aver fatto tardi la sera precedente. La verità è che non voleva ammettere che la vera causa delle sue occhiaie erano state le due ore di sonno che il suo cervello in tilt le aveva offerto.
Persa nei suoi pensieri, aveva rischiato di riaddormentarsi davanti allo specchio, con lo spazzolino in mano. Ora era in ritardo, oltre che assonnata, non aveva tempo di fare colazione. Decise di prendere un caffè appena arrivata a lavoro.
Uscì di casa silenziosamente per non negare a Regina quell’ora di sonno che le era rimasta, invidiandola profondamente.
Entrò nel suo maggiolino giallo e scassato, si era ripetuta tante volte che avrebbe dovuto cambiare macchina ma il suo cuore non era in grado di rinunciare al legame che aveva con quel vecchio catorcio, e si diresse alla tavola calda.
Entrò e si fece un caffè che accompagnò con una ciambella. Aveva bisogno di energie vista la notte che aveva passato e sapeva che le persone che avrebbe incontrato non l’avrebbero aiutata.
Odiava il turno del lunedì mattina, le altre mattine erano già più accettabili, ma il lunedì era insopportabile. Le persone durante quel giorno della settimana erano spente, come “zombieficate”, prive di ogni forma di energia. Non le trasmettevano nulla se non l’angoscia del dover essere lì a servirli quando la loro voglia di vivere era pari a zero. Quel giorno in particolare, la vitalità assente delle persone la stava massacrando.


 
Intenta a servire la colazione ad una ragazza non si accorse della porta che veniva aperta da una persona conosciuta.
-“Buongiorno signorina, cosa offre di buono questo locale la mattina? Sa, un’amica di un amico mi ha consigliato di passare ma non so esattamente in che genere di posto mi trovi. Lei cosa mi consiglia?”
Emma era di spalle al bancone, stava finendo di preparare un caffè, poté solo sentire quella voce e capì a chi appartenesse senza bisogno di voltarsi. Il suo accento era troppo evidente perché un qualsiasi scherzo potesse riuscirgli.
-“Killian, smettila di fare l’idiota! Dammi un secondo e sono da te.”
Si occupò di consegnare il caffè appena fatto e di incassare i soldi, poi si avvicinò al ragazzo che poco prima l’aveva trattata con un garbo che era del tutto incompatibile con la sua personalità.
-“Allora, inaspettato gentiluomo, qual buon vento ti porta qui?”
-“Beh, è il mio primo giorno di lavoro e la tua amica mi ha detto che qui fate dei pancake da urlo. Ho ancora un po’ di tempo prima di attaccare in centrale, per cui mi sono detto che avrei fatto bene a verificare se mi avesse detto il vero.”
-“Dico subito in cucina di preparartene una porzione. Vuoi anche qualcosa da bere?”
-“Per il cibo ho ascoltato il consiglio di una mora, ora vorrei il consiglio di una ragazza bionda.”
-“Dipende quello di cui hai bisogno. Se sei addormentato come me, credo che un banale caffè andrà benissimo. Altrimenti, faccio una cioccolata meravigliosa, provare per credere.”
-“Dopo una presentazione simile la curiosità mi scorre nelle vene. Che cioccolata sia.”
La bionda si mise all’opera mentre due occhi incredibilmente azzurri erano puntati su di lei.
-“Sai, sei un po’ inquietante. Posso sapere perché mi stai fissando?”
-“Come perché? A te non piace guardare le belle cameriere all’opera?”
-“Era un complimento?”
-“Poteva essere altro?”
Gli donò un leggero sorriso. –“Di solito quando la preparo per me o per mio figlio ci aggiungo un po’ di cannella, ne vuoi anche tu?”
-“Adoro la cannella e immaginavo piacesse anche a te visto che i tuoi capelli emanano il suo profumo. Ehi, aspetta… ma tu hai un figlio?”
-“Già…”
-“Come mai non ne sapevo nulla?”
-“Ieri non è saltato fuori l’argomento. Per lasciarci la serata libera è andato a dormire da un amico, lo vado a riprendere dopo la scuola. Comunque, ecco a te cioccolata e pancake.”
-“Grazie dolcezza. Allora, questo ragazzino, come si chiama? Quanti anni ha? Sai, sono di indole estremamente curiosa.” Tagliò un pezzo di pancake e avvicinò  la forchetta alla bocca.
Emma trovò che quel movimento fosse estremamente sexy fatto da lui, ma scacciò subito il pensiero e, se avesse potuto, si sarebbe tirata una botta in testa.
-“Fin troppo curioso, direi. Comunque, si chiama Henry ed ha dieci anni. Se te lo stessi chiedendo, sono quasi certa che sia così, l’ho cresciuto da sola, il padre non sa nemmeno che esista.”
-“Mi dispiace, credo. Scusa, non volevo metterti in imbarazzo.”
-“A me sembri tu quello in imbarazzo.”
Seguì un momento di silenzio che i due occuparono scrutandosi a vicenda.
-“La tua amica aveva ragione, questi pancake sono deliziosi ma non sono assolutamente paragonabili alla bontà della tua cioccolata calda.”
-“Ti ringrazio, ma stai attento a non farti sentire in cucina, Granny è molto orgogliosa dei suoi pancake.”
-“Starò attento, non temere.”
Killian decise di far cadere l’argomento così, ma la verità è che aveva notato quel dettaglio a cui lei probabilmente neanche aveva dato peso: l’età del ragazzo. Non sapeva con esattezza quanti anni avesse Emma, ma credeva non arrivasse ai trenta. Quindi era stata una ragazza madre. Evitò di fare commenti a riguardo, non voleva in alcun modo interferire nella sua vita privata. Il giorno precedente aveva capito di avere a che fare con una persona parecchio riservata e aveva deciso di rispettare questo aspetto della sua personalità.
Quella scoperta, però, lo colpì parecchio. Come le aveva detto, era estremamente curioso, ma nei confronti di quella ragazza la sua curiosità cresceva ancora di più senza che ne comprendesse il motivo.
Mentre faceva questi pensieri, continuarono a parlare praticamente di nulla o poco più, terminò la sua colazione e pagò.
Prima di uscire, la sua bocca parlò probabilmente per volere del suo inconscio. –“Hai da fare per pranzo?”
-“Come, scusa?”
-“Sai, Robin sarà bloccato in centrale fino alle 17, avrei bisogno di qualcuno con cui passare la pausa pranzo, qualcuno che conosca la città e sappia consigliarmi un posto dove si mangi bene. Non so perché, ma credo che tu di cibo ne capisca, quindi credo tu sia la persona migliore per adempiere a questo arduo compito.”
Quella spiegazione era talmente fuori dal mondo che le riuscì davvero difficile trattenere una risata. Nonostante l’assurdità, quindi la falsità delle sue motivazioni, decise che poteva uscire a pranzo con lui. In fondo, l’avrebbe sicuramente visto altre volte essendo amico di Robin, non c’era nulla di male nel tentare di diventare amici, giusto?
-“Quanto dura la tua pausa pranzo?”
-“Dalle 13.00 alle 15.00.”
-“Io stacco alle 13.30, passa di qua per quell’ora poi ti porto a mangiare la pasta migliore che tu abbia mai assaggiato.”
-“Non vedo l’ora Swan.”
Detto questo, uscì felice di aver ottenuto un’uscita con quella ragazza che trovava così dannatamente intrigante, non nel senso romantico del termine, cosa che Robin gli aveva fatto capire avrebbe apprezzato, ma un senso più distaccato, quel moto che spinge i bambini ad avvicinarsi tra di loro e fare amicizia. Aveva visto una luce strana negli occhi di quella ragazza e voleva proprio sapere da dove arrivasse.


  
-“Ehi capelli d’oro, sono pronto per assaggiare questa chiacchieratissima pasta!”
-“Fidati di me, non ne rimarrai deluso.” Si avviarono verso l’esterno del locale mentre Emma faceva strada verso Marco’s. –“Il posto è abbastanza vicino, non c’è bisogno di prendere la macchina. Ci vado spesso anche per questo, non solo perché è una gioia per il palato.”
-“Quando parli di cibo ti brillano gli occhi. Dimmi un po’, lo usi per colmare le tue carenze affettive?”
Si era ripromesso di lasciarla stare per non turbarla, ma era più forte di lui, adorava punzecchiarla, sapeva che prima o poi lei avrebbe apprezzato questo suo aspetto.
-“Non c’è bisogno di carenze affettive per apprezzare il buon cibo. Poi, carenze di che tipo? Ovunque vada sono in compagnia dei miei amici o di mio figlio.”
-“Parlavo di un altro tipo di affetto ma ho tentato di essere delicato per non offendere la sensibilità della bambolina.” Lo disse alzando il sopracciglio nascondendo una risata, le espressioni di quella ragazza lo divertivano incredibilmente.
Emma alzò gli occhi al cielo e così chiuse il discorso.
 

 
-“Emma!”
Appena furono entrati nel locale un grido entusiasta li accolse. Emma corse verso il proprietario di quella voce e i due si strinsero in un abbraccio.
-“August, ciao!”
-“E’ da un po’ che non ti fai vedere. Come stai?”
Per quei pochi attimi che precedettero la presentazione di Killian, lui si sentì strano. Non sapeva esattamente come si sentisse, sapeva solo dire che era strano. Era in un ambiente così familiare per lei e lui si sentiva di troppo, un’altra volta. Capì che lei e quel ragazzo fossero molto intimi e, senza sapere la motivazione, la cosa gli diede fastidio, ma tentò di scacciare subito quelle sensazioni poiché quell’uomo gli stava tendendo la mano. Era stato talmente preso dai suoi pensieri che nemmeno si era reso conto che Emma li stesse presentando. Cominciava a pensare di avere qualche problema di attenzione, gli capitava troppo spesso di perdersi per i sentieri intrecciati della sua mente.
Il ragazzo li accompagnò al loro tavolo, dove Killian decise di dare sfogo alla sua solita curiosità.
-“Allora, mi hai portato qui davvero per il cibo e perché volevi presentarmi il tuo ragazzo? Sappi che ti conquisterò comunque.”
-“August non è il mio ragazzo e se fossi in te non sarei così certa della conclusione.”
-“Tesoro, alla fine tutte ci cascano, tu non sei diversa.”
-“Lasciamo perdere. Comunque, io e August siamo amici da moltissimo tempo. Questo locale era di suo padre Marco, che come avrai intuito era italiano. Quando venne a mancare, lui decise di prendere le redini del locale seguendo le orme del padre. Per questo la pasta qui è così buona, è fatta da chi la conosce davvero.”
-“Ti brillano gli occhi quando parli di cibo.”
-“Lo hai già detto.”
-“Sto diventando una persona banale e ripetitiva? Maledizione! Così perderò tutto il mio charme.”



L’ora che passarono insieme volò. Emma non l’avrebbe mai ammesso pubblicamente, doveva pur difendersi in qualche modo, ma con quel ragazzo il cui atteggiamento l’aveva così irritata la sera precedente, si trovava bene. Non sapeva esattamente come fosse successo, ma si era lasciata andare, aveva lasciato perdere tutto quello che le avevano detto Regina e Ruby, aveva vissuto quella situazione con molta tranquillità, così la vera Emma aveva cominciato a emergere.
Regina non doveva saperlo, lei era stata davvero bene.














Angolo dell'autrice
Ecco la motivazione per cui non ho comunicato alcun tipo di appuntamento per quanto riguarda i capitoli, sono scostante. Per forza di cose, non perché non avessi voglia di scrivere. Pensate che contavo di pubblicare mercoledì poiché martedì sera mi era rimasta da scrivere solo la conclusione, poi gli impegni si sono messi in mezzo, ed eccomi qui.
Allora, ho tentato di scrivere un primo vero approccio tra Emma e Killian e, francamente, questa volta non sono in grado di auto-giudicarmi. Non so, sono confusa, non so se il capitolo mi piaccia o meno.
Quindi, pensateci voi a tentare di farmi capire se effettivamente questo capitolo valga qualcosa o meno.

 

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Capitolo 6
*** Insonnia d'amore ***


Capitolo 6
Insonnia d'amore

 
Killian era tornato a lavoro mentre Emma, avendo ancora un’oretta di tempo prima di dover andare a prendere Henry a scuola, decise di passare da Granny per salutare Ruby.
Chissà come mai avesse avuto quest’idea, razionalmente pensava fosse per avere un po’ di compagnia, ma probabilmente l’inconscio le aveva tirato un brutto scherzo: la regola dell’assassino. Si dice che gli assassini tendano a fare di tutto per farsi scoprire per un processo psicologico che fondamentalmente deriva dal loro senso di colpa, le loro azioni non sono, quindi, regolate dalla loro parte razionale. Ecco, forse Emma in fondo voleva che Ruby scoprisse che era uscita con Killian, solo non ne era consapevole.


-“Ehi Rubs!”
-“Emma, come mai qui?”
-“Ho un’ora libera prima di dover passare a prendere Henry così ho deciso di passare per un saluto.”
-“Ottimo, qui non si vede anima viva a quest’ora, così ho modo per passare il tempo.”
-“Sono la tua salvatrice, ammettilo.”
-“Allora, dimmi un po’, com’è andato il lavoro questa mattina?”
-“Tutto come al solito, perché me lo chiedi?”
-“Mh, come al solito… E non è passato nessuno? Non devi raccontarmi nulla?”
-“Ah già, sei tu che avevi detto a Killian di passare, dovevo immaginare che mi avresti stressata con questa storia.”
-“Certo che gli ho chiesto di passare! Senza il mio aiuto con chi avresti pranzato oggi?”
-“Scusami?”
-“Non fare finta di non capire. Mentre venivo qui vi ho visti vicino Marco’s, immagino steste andando lì. Eravate carini, tutti presi a ridere e scherzare tra voi. Formate una gran bella coppietta.”
-“Io lo sapevo che sarebbe andata a finire così, che prima o poi tu o Regina l’avreste saputo, ma pensavo di avere tempo almeno fino a questa sera.”
-“E invece no, sono stata più sveglia di te. Allora, com’è andata?”
-“Non come speri tu. Aveva solo bisogno di qualcuno che conoscesse la città con cui mangiare dato che Robin non era disponibile.”
-“Andiamo, tu davvero credi a questa storia?”
Emma ci pensò un attimo, sapeva perfettamente fosse una scusa, l’aveva capito subito, ma non aveva intenzione di far intendere questa cosa alla sua amica, non aveva intenzione di spiegare che effettivamente stessero cercando solo di diventare amici, anche perché sapeva sarebbe stato inutile.
-“Sì, era sincero quando l’ha detto, e lo sai che io capisco al volo se qualcuno mi mente.”
-“Secondo me il suo bell’aspetto ha mandato in tilt il tuo superpotere.”
-“Non penso proprio.”
-“Ho capito, con te non si riesce a parlare. Spero Killian sia un po’ più morbido in modo da poter estorcere qualche informazione a Robin.”



 
Quella giornata di lavoro aveva distrutto Killian, i nuovi inizi erano pesanti e lui lo sapeva bene. La cosa che non capiva era che nonostante la stanchezza, la difficoltà di ricominciare da capo, il nuovo ambiente e, soprattutto, le palpebre cadenti e pesanti, lui si sentiva bene. Pensava a quella mattina, alla sua colazione, al suo pranzo. In mente aveva solo il sorriso di quella donna, quella creatura così strana e intrigante che lo aveva stregato.
Disteso sul suo letto non riusciva a prendere sonno, nonostante non desiderasse altro. Nella mente aveva solo delle immagini: capelli dorati che si muovono nel vento accompagnando i movimenti aggraziati di una donna dalla figura lineare ed elegante seppur nascosta da un abbigliamento estremamente casual; degli occhi verdi, a tratti azzurri, indefinibili come lei; quel suo sorriso, magari imperfetto, ma che nella sua mente era rimasto impresso e sembrava non avesse alcuna intenzione di andarsene.
Era perso in quei pensieri che lo facevano stare così bene e così male allo stesso tempo. Sorrideva al ricordo del suono di quella voce soave, ma dentro ardeva di paura. Temeva quello che stava provando e faticava a comprenderlo. Non voleva ricaderci, non voleva donne attorno a sé. Era fuggito per stare solo, per riprendersi, per tornare a stare bene, ma lui ci stava cadendo di nuovo e aveva paura, una paura infinita. Non era pronto per questo, non era pronto per un’altra delusione, non era pronto per stare male un’altra volta, perché lui sapeva che sarebbe successo, sapeva di non interessarle minimamente, sapeva che era testarda e non avrebbe mai cambiato idea… e stava male.
Ma il suo nome riecheggiava senza sosta senza lasciarlo riposare.
Emma.


 
 
Emma cenò a casa con Henry e Regina come di norma, ma quel giorno nulla era normale.
Per quanto non volesse ammetterlo, quella mattinata le era rimasta dentro.
Mangiavano e conversavano, il suo piccolo ometto raccontava la serata precedente e la sua giornata scolastica, di come lui e Luke si fossero divertiti, di come James avesse mandato un bigliettino ad una compagna di classe e l’ammirazione che tutti i ragazzini avevano nei confronti del suo coraggio. Regina lo ascoltava assorta, adorava Henry e lo avrebbe ascoltato per ore, le piaceva la spensieratezza che trasmetteva e, a tratti, lo invidiava. Emma, invece, non riusciva a seguire il filo del discorso, la sua mente vagava nel ricordo della sua di giornata. Le dispiaceva tantissimo di non riuscire ad ascoltare ciò che suo figlio voleva dirle, perché lei voleva ascoltarlo ma non ci riusciva, era come se qualche forza estranea a lei e incontrollabile le impedisse di fare ciò che voleva. Era come costretta a pensare a quella mattinata, una tortura auto-inflitta incontrollabile.


Dopo aver finto di guardare un film, Emma si fece una doccia sperando che l’acqua calda potesse lavare via i pensieri. Si ingannava, lì sotto, da sola, i suoi pensieri viaggiavano ancora più velocemente, come un’auto costantemente in corsia di sorpasso. Era sola, quindi non doveva fingere, così la sua mente prese il sopravvento su di lei.
Pianse lacrime salate, gocce incontrollabili che non sapeva perché stessero rigando il suo volto, quando l’unica acqua che voleva addosso era quella della doccia.
Pianse silenziosamente per un tempo indefinito, potevano essere minuti o perfino giorni, non sapeva più dove fosse, perché si sentisse così. Pianse e basta, per tutto quello che aveva vissuto in quei 28 anni. Non sapeva cosa avesse dato il via a quella scia umida che rigava le sue guance, ma sapeva cosa l’aveva fatta continuare: tutto. Tutte le delusioni, tutta la sofferenza che aveva vissuto tornò viva in lei concentrata in quegli attimi. Capì di avere paura di quello che stava accadendo. Temeva che Regina avesse ragione, che il suo cuore stesse cercando di evadere da quella prigione che lei aveva costruito in quegli anni. Non capiva come e perché, ma quel ragazzo dagli occhi color del cielo le stava facendo questo e lei non voleva. Lei era di ghiaccio per proteggersi, non poteva sciogliersi e stare nuovamente male.
Ringraziò qualche dio indefinito per essere scoppiata sotto la doccia dove nessuno poteva vederla o sentirla. Quella situazione doveva rimanere solo sua, solo così sarebbe riuscita ad uscirne fuori, a tornare ad essere quella di qualche giorno prima. I suoi amici non dovevano sapere, altrimenti tutto quello che stava accadendo dentro di lei sarebbe potuto divenire reale.



2 del mattino, a pochi isolati di distanza le une dalle altre, due coppie di occhi chiari sono spalancati nel buio della notte.



7 del mattino, un’altra giornata doveva essere affrontata, di nuovo con sole due ore di sonno alle spalle.
Emma, a dir la verità, avrebbe avuto un turno pomeridiano, ma ci teneva ad accompagnare Henry quando ne aveva la possibilità, così come andare a prenderlo. Sapeva quanto una figura genitoriale fosse importante nella vita di un bambino, lo aveva vissuto sulla sua pelle. Voleva che Henry stesse meglio di lei, aveva il diritto di essere felice; così Emma trovava sempre il modo di organizzare i suoi impegni in modo da avere il tempo per stare con lui.
Anche quella mattina le occhiaie segnavano il suo viso; aveva davvero bisogno di dormire.
Tentò di coprire quei solchi scuri il più possibile. Per quanto ci tenesse poco al suo aspetto, non voleva uscire sembrando un panda.
Fortunatamente gli orari della scuola di Henry erano più abbordabili di quelli delle sue mattinate lavorative, così ebbe il tempo di fare colazione con suo figlio con calma.
Prima di uscire prese con sé un libro. Aveva bisogno di rilassarsi un po’ in solitudine, così decise che dopo aver accompagnato Henry si sarebbe fermata al parco per leggere.
Era una cosa che amava fare sin da piccola, era il suo modo per non sentirsi sola anche quando attorno a lei non c’era nessuno. Passava le serate nel suo letto, che cambiava piuttosto di frequente, a leggere. Gli altri bambini preferivano guardare i cartoni animati o, da più grandi, le serie tv. A lei tutto questo non interessava, lei amava viaggiare con la fantasia, immaginare i personaggi che erano descritti nei suoi libri. Non voleva la visione già pronta, voleva costruirla da sola.
Cercò anche di imparare a disegnare, scoprendo di essere molto portata, per rappresentare quei personaggi che nel suo cervello si delineavano in modo chiaro.
Era una bambina strana, ma in senso positivo. Aveva molti interessi, era curiosa. Si era costruita una realtà parallela per evadere da quel mondo ingiusto che la circondava.
Aveva ancora l’abitudine, a fine capitolo, di disegnare qualcosa di ciò che aveva appena letto, così portò con se anche un quadernino e una matita.
Il viaggio in auto trascorse piuttosto velocemente, poiché lei e Henry si divertivano a cantare le canzoni che passavano per radio. Erano una coppia fantastica, il loro rapporto era invidiabile ed Emma se ne rendeva conto, lo capiva perché vedeva che Henry era sereno.


A quell’ora di mattina il parco era vuoto, quasi tutti erano a lavorare, per questo Emma aveva scelto quel momento per rilassarsi. Il vento fresco scompigliava i suoi capelli e le foglie producendo un rumore che trovava molto rilassante, quasi rigenerante. Se non avesse avuto sotto mano il suo libro era certa che si sarebbe addormentata su quella panchina ascoltando i rumori della natura.
Aveva terminato un paio di capitoli, così iniziò a disegnare: un letto di ospedale, un ragazzo sdraiato ad occhi chiusi, era in coma da qualche tempo, al suo fianco una ragazza, una ragazza leggera ed eterea, per questo la disegnò con tratti leggeri, si chiamava Even, Neve al contrario.1


-“Wow, sei davvero brava! Ma non è un po’ triste?”


L’aveva riconosciuta da lontano. I capelli dorati mossi dal vento erano gli stessi che avevano afflitto la sua mente la notte precedente.
Era uscito a fare due passi per non pensare, approfittando del turno in centrale che cominciava tardi. Voleva rinfrescarsi le idee, lasciarsi alle spalle quella nottata.
Invece lei era proprio lì, davanti a lui.
Era di spalle, avrebbe potuto girare i tacchi e andarsene, correre a casa a fare una doccia tentando di distrarsi in quel modo.
Non lo fece.
Per lui quella ragazza era una calamita, non era fisicamente in grado di starle lontano.
Era quello che desiderava?
Assolutamente no, ma andò da lei ugualmente.


Quella voce, quell’accento. Tutto ciò che quel giorno voleva evitare le si era presentato nel luogo più improbabile della città. In quel parco a quell’ora c’erano lei, qualche persona che correva e degli uccelli. Di tutti i luoghi che c’erano a Boston, proprio lì doveva andare? Doveva per forza avvicinarsi a lei? Non poteva semplicemente evitarla? Aveva dovuto sopportare Ruby, era riuscita ad evitare le domande di Regina per un pelo grazie alla costante presenza di Henry, aveva dovuto sopportare i suoi molesti pensieri notturni, era andata lì per non pensare. Lo stava odiando, senza che lui in effetti ne avesse alcuna colpa.
Tutte quelle sensazioni scomparvero quando si voltò, riparando gli occhi dal sole che si trovava proprio dietro la testa di Killian e vide il suo viso. Sorrideva. Sorridevano le sue labbra e con esse ridevano gli occhi, brillavano più del solito. A quella visione Emma si sciolse e, inconsciamente, cominciò a capire.


-“Grazie, ma non sono poi così brava. Per quanto riguarda la tristezza, sto rappresentando una scena del libro che sto leggendo, è un’abitudine che ho da quando ero bambina.”
-“Wow, hai tanta fantasia, eh biondina?! Mi sarebbe sempre piaciuto essere in grado di pensare a qualcosa e riprodurlo, ma le mie mani non sembrano ubbidire ai comandi.”
-“Ci vuole molta pratica, nessuno sa disegnare in principio. Ciò che ci distingue è la passione e l’impegno che ci sono dietro.”
-“E tanto tanto talento. L’arte è magia, non è per tutti.”
-“Cosa sono quindi, una strega? Una maga?”
-“Con questo visino angelico? Tu sei una fata. Comunque, non volevo disturbarti, continua pure a disegnare. Ho un solo desiderio, se lei acconsente: potrei avere l’onore di osservarla? Sono piuttosto interessato alla sua arte, sa, potrei essere un ottimo acquirente.”
Emma non riuscì a trattenere una risata. Quel ragazzo aveva un insolito umorismo che a lei faceva impazzire. Forse stava impazzendo davvero.
-“Se me lo chiede così, come posso rifiutare.”
Si sedette, quindi, vicino a lei.
Passarono un’oretta così, in silenzio.
Lei disegnava, lui la osservava.
Non scherzava, gli piaceva davvero il suo modo di disegnare, ne era rimasto realmente colpito.
Rimasti così, uno vicino all’altra, a volte si scrutavano con la coda dell’occhio.
Le loro gambe vicine si sfioravano. Quel contatto fece effetto a entrambi, ma tentarono di nascondere la cosa.
Ciò che entrambi stavano cominciando a capire, era che non avrebbero potuto far finta di niente a lungo.
La loro paura non era sufficientemente forte da fermare la loro attrazione.






1- Che ne sai tu dell’amore, Loredana Frescura e Marco Tomatis








Angolo dell'autrice
Allora, so che è notte ma ci tenevo ad aggiornare il prima possibile in modo da avere il tempo di postare almeno un capitolo prima delle vacanze di Pasqua poiché durante quella settimana non sarò a casa, quindi non avrò nemmeno il pc.
Questa volta sono piuttosto soddisfatta del capitolo, di alcune parti in particolare. Spero la pensiate così anche voi.
Mi sono resa conto di aver parlato molto di Emma in questi primi capitoli, quindi credo che il prossimo sarà incentrato più sul punto di vista di Killian.
Per quanto riguarda la citazione, il libro è italiano e non molto famoso, non so nemmeno se sia mai stato tradotto, quindi è altamente improbabile che lo possa leggere Emma, ma è di una delle mie scrittrici preferite, è uno dei libri che ho letto che mi hanno commossa più in assoluto, quindi mi faceva piacere citarlo e, perché no, consigliarvelo.
Ora smetto di sproloquiare.
Vi ringrazio per seguire la storia che sto tentando di scrivere, spero davvero vi stia piacendo.
Ringrazio le mie due recensitrici di fiducia (tanto sapete chi siete), fa sempre piacere poter leggere le vostre belle parole.
Ora la smetto sul serio.
Alla prossima.

 

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Capitolo 7
*** Quella panchina, la loro panchina ***


Capitolo 7
Quella panchina, la loro panchina






 
-“Killian, abbiamo entrambi la mattinata libera, andiamo a fare colazione insieme?”
-“Amico scusami, ho un impegno. Facciamo un’altra volta?”
-“D’accordo, purché mi presenti questo impegno, prima o poi. Oramai è impossibile passare del tempo con te la mattina. Da chi vai?”
-“Mi hai beccato amico, ma non ti darò la soddisfazione di ottenere una risposta concreta.”
-“Sai che lo scoprirò, vero?”




Era iniziato per puro caso, dopo quella mattina, la loro mattina.
Un accordo non verbale era nato tra loro.
Ogni volta che Killian aveva la mattinata libera si recava al parco, sempre alla stessa panchina, la loro panchina; ed Emma faceva lo stesso.
Killian portava con se il suo iPod, Emma il libro e il blocco da disegno.
A volte si incontravano, a volte no.
I turni non se li erano mai comunicati, lasciavano che fosse il caso a decidere.
Quando le loro anime si trovavano, non parlavano. Stavano seduti vicini, come la prima volta, in silenzio.
Le loro conversazioni non andavano oltre il saluto di cortesia, o qualche complimento di Killian nei confronti dei disegni di Emma.
Era una situazione strana ma estremamente intrigante. Andavano avanti così da un paio di settimane, senza parlarsi, lasciando solamente che i loro corpi si sfiorassero casualmente e che i loro occhi si cercassero vicendevolmente.
Era il loro modo di smettere di fuggire. Erano a contatto, la felicità a portata di mano, mai afferrata, solo sfiorata.
Era il loro modo per non soffrire, non avevano ancora il coraggio di superare le loro paure, ma neanche la capacità di stare lontani.
Così le loro navi si incontravano in mare aperto per poi sfuggirsi, e incontrarsi di nuovo, e sfuggirsi ancora.
Avevano smesso di scappare, dovevano solo riuscire a guardare in faccia la realtà.


Quel giorno Emma decise di non portare con sé il libro. Voleva disegnare qualcosa di indefinito, qualsiasi cosa si trovasse al parco in grado di ispirarla, qualsiasi cosa potesse creare un’emozione su carta.
Andò alla solita panchina, trovò Killian già seduto lì, con la sua solita giacca di pelle, quella che metteva in risalto le sue bellissime spalle. Sarebbe rimasta ad osservarlo per ore così, da lontano, senza farsi notare.
Erano giorni che pensava che quella situazione stesse diventando davvero strana, aveva intenzione di smettere di andare in quel parco, ma non ci riusciva. La sua anima era come calamitata da quella panchina, la loro panchina.
Lo raggiunse e gli si sedette accanto.
Si scambiarono un sorriso, come sempre. Non una parola, come sempre.
Tirò fuori il suo blocco e cominciò a tracciare qualche linea.
Tentò di disegnare l’albero che era davanti a loro, ma capì subito che non era quella l’emozione che cercava.
Doveva guardarsi attorno, trovare altro, qualcosa che davvero potesse diventare emozione.
Poi vide Killian con le solite cuffiette nelle orecchie, la testa leggermente reclinata indietro, gli occhi chiusi.
Non guardava ciò che stava disegnando, era strano.
Poi se ne accorse. Una lacrima rigava il suo viso. Una piccola scia bagnata si avvicinava lentamente al suo mento.
Allora capì, quella era l’emozione che cercava.
Pensò che la canzone che stava ascoltando dovesse essere davvero commovente. Forse triste, forse bella e basta.
Si girò leggermente cercando di farsi notare il meno possibile, in modo che l’atmosfera non venisse guastata.
Cominciò a delineare i tratti del suo volto, il ciuffo smosso dal vento che gli ricadeva sulla fronte, gli occhi chiusi da cui uscivano poche lacrime silenziose.
Finite di tracciare le linee guida si disse che avrebbe potuto continuare in seguito, a memoria o guardandolo in un altro momento.
Il pianto era aumentato e decise che il momento della privacy era finito.
Non poteva essere solo la canzone, era qualcosa di più. Quella non era commozione, era dolore.
Qualunque cosa lo facesse stare così, per quanto potesse non essere affar suo, la stava facendo stare male.
Si avvicinò al suo volto, con il polpastrello del pollice asciugò la sua guancia.
La sensazione calda di quel tocco lo fece risvegliare dal suo stato di semi-trance, neanche si era accorto di aver cominciato a piangere tanto era assorto.
Emma posò un lieve bacio sulla sua guancia, portando via, così, l’ultima goccia salata.
Killian tremò al suo tocco, sperò non se ne fosse accorta. Lei fece finta di nulla, ma in quel momento un’insana e irrazionale gioia si insinuò in lei.
Posò la sua testa sulla spalla di lui stringendolo forte a sé.
Non avrebbe chiesto nulla, gli sarebbe stata vicina, il passo successivo toccava a lui, perché solo lui sapeva se fosse pronto a parlare del qualunque cosa gli stesse facendo quell’effetto.


-“E’ passato un anno da quando il dolore è iniziato.”
-“Killian, non devi se non vuoi.”
Killian continuò a parlare, aveva bisogno di sfogarsi, stretto a lei si sentiva meglio, così capì che era la persona giusta con cui farlo.
-“Convivevo con una donna da parecchio tempo, stavo bene, bene come per anni non ero stato. Lei e mio fratello mi hanno trovato in un periodaccio, i miei genitori erano venuti a mancare uno dopo l’altro, mi sono dovuto trasferire dall’Irlanda nel Montana, dove mio fratello viveva da qualche tempo. All’epoca ero minorenne, così venni affidato a lui.
Avevo perso tutto: la mia famiglia, la mia casa. Avevo perso me stesso, non ero più io.
La presenza di mio fratello aiutava, certo, ma non bastava. Il dolore era troppo forte, era un fuoco troppo potente per essere spento soffiandoci sopra. Il processo di riappacificazione con me stesso e con il mio passato era estremamente lento. Poi è arrivata lei. Milah è stata una lanterna nell’oscurità.
Avevo 19 anni, per la prima volta mi innamorai veramente. Per la prima volta potevo ricominciare a credere in qualcosa. Siamo stati insieme dieci anni, eravamo felici. Entrambi, so che è così.
Un anno fa mi è stata portata via. Anzi, questa è la bugia che mi sono raccontato per mesi. Devo guardare in faccia la realtà. Se n’è andata via. E’ fuggita con un altro uomo, un uomo ricco, anche piuttosto anziano se devo dirla tutta. Io non credevo che lei fosse così, che avrebbe buttato tutto all’aria da un momento all’altro e che, soprattutto, potesse farlo per i soldi.
Oltre al dolore dell’abbandono, ho subito il dolore della delusione.
Io ci credevo, Emma, ci credevo davvero. Pensavo che saremmo diventati come i miei genitori, che si sono amati sempre, fino al giorno in cui mia mamma si è spenta.
Dopo la morte di mia madre, mio padre si è lasciato andare. Il suo dolore lo aveva avvelenato, lo aveva ucciso.
Io non volevo fare la stessa fine, così sono fuggito da quel posto che mi stava distruggendo. Avevo cominciato a sentirmi meglio, ma mi ero reso conto che in quella casa, in quella città non sarei mai riuscito ad allontanarmi pienamente da lei.
Ed ora che credevo finalmente di esserci riuscito, ora che cominciavo a sentirmi bene, è bastata una stupida canzone a riaprire quelle dannate ferite.
C’è un lato positivo, però, in tutto questo: queste lacrime io ho capito cosa sono. Non sono le stesse lacrime che hanno rigato il mio viso per mesi. Sono lacrime consapevoli di un ricordo, di un qualcosa che non c’è più. Sono lacrime di accettazione.”
Si era messo completamente a nudo con lei. Quella era una storia che non era mai riuscito a raccontare a nessuno, neanche suo fratello sapeva come fossero andate le cose, o almeno non completamente. Con lei ci era riuscito. Con lei si sentiva al sicuro.
Abbassò lo sguardo verso il volto di lei, poggiato sul suo petto. Una lacrima silenziosa rigava la sua guancia destra.
Killian alzò il suo mento, in modo che potessero guardarsi negli occhi, poi lentamente asciugò quella lacrima solitaria con la mano.
Emma era rimasta immobile, quasi in apnea. Quella situazione l’aveva spiazzata e le emozioni la stavano travolgendo.
Erano troppo vicini, non riusciva a rimanere lucida se la distanza tra di loro era così breve.
Era talmente scombussolata che la concezione dello spazio smise di funzionare. Era così presa da quegli occhi blu che le sembrava la distanza tra loro diminuisse sempre più.
Le ci volle poco più di un attimo per capire che quella non era una sensazione, ma la pura ed evidente realtà.

 
Killian la vedeva così inerme. Gli dispiaceva così tanto che il suo racconto potesse averle fatto del male.
Nei sui occhi vedeva comprensione, non pena.
Lei lo capiva perché anche lei aveva sofferto tanto nella sua vita.
Ora era lui a volerla consolare, a volerla stringere più forte a sé per fermare il suo dolore.
Ma i suoi occhi erano incatenati a quelli di lei. Per quanto il cervello gli ordinasse di stringerla, il suo corpo non ubbidiva. Si avvicinava a lei, ma non come gli era stato richiesto. I loro nasi si sfiorarono.


Le sue labbra su quelle di lei.
Occhi chiusi.
Entrambi immobili.
Fermi ma insieme.
Lei schiuse le labbra.
Il cuore di lui parve bloccarsi.
Poi correre all’infinito.
Labbra fra le labbra.
Una mano tra i capelli dorati.
Un’altra accarezzava una barba poco curata.
Cervelli spenti.
Cuori accesi.
Poco spazio tra loro.
Un respiro.
Occhi negli occhi.
Un sorriso contornato da piccole fossette.
Spazio sempre più ristretto.
Occhi chiusi.
Labbra unite.
Anime unite.









Angolo dell'autrice
Ciao a tutti.
Il capitolo è più breve del solito, lo so, perdonatemi.
E' nato per puro caso, scritto totalmente di getto. Per la prima volta, adoro interamente ciò che ho scritto.
Non l'ho allungato perché pensavo davvero che così fosse perfetto.
Però dai, la brevità è compensata dal poco tempo che avete dovuto attendere e, soprattutto, da quello che è successo tra i nostri adorati.
Come proseguirà? Sarà un inizio? Avranno ancora paura? E i loro amici?
Bah, chi lo sa.
Come sempre spero il capitolo vi sia piaciuto.
Alla prossima.

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Capitolo 8
*** Equilibrio infranto ***


Capitolo 8
Equilibrio infranto
 


Killian si svegliò volentieri, evento più unico che raro. Quel giorno il suo bellissimo letto non era invitante quanto quello a cui sarebbe andato incontro, o meglio, ciò che sperava lo aspettasse.
Aveva finalmente una mattinata libera, doveva necessariamente andare in quel parco, vedere Emma, capire cosa significasse il bacio di due giorni prima.
Dovevano assolutamente chiarire la situazione, capire cosa fare. Quel week-end avrebbero avuto una delle loro serate tra amici, lui voleva sapere come doversi comportare. Sperava con tutte le sue forze che i suoi turni coincidessero con quelli di Emma.
Il loro bacio non aveva cambiato la situazione, se possibile l’aveva resa ancora più strana. Continuavano a non parlarsi, incontrarsi per caso. Lui non voleva più questo, aveva bisogno di parlarle.
Così decise che l’avrebbe trovata ad ogni costo.


Prima tappa: il bar.
Con sua grande delusione, al bancone c’erano Ruby e una ragazza a lui sconosciuta. Fece colazione senza chiedere nulla di Emma per non destare sospetti. Dall’esterno sembrava davvero tutto normale. Dentro bruciava. Nel cervello mille domande lo tormentavano, credeva di impazzire. Cominciò a pensare che forse avrebbe dovuto fare l’attore dato che, a quanto pare, nessuno aveva notato l’aria sofferente che gli sembrava di respirare.
Terminato il suo cibo, decise di dirigersi verso il parco.
Pensò che, magari, quella fosse una delle loro giornate.
La loro panchina era lì, vuota.
Rimase lì per circa un’ora, solo.
Pensò che Emma non lo volesse vedere. Il suo cervello gli ordinava di rispettare la sua volontà, il cuore lo portò a casa della bella bionda.
Esitò un attimo prima di suonare il campanello. Di nuovo il cuore vinse sul cervello.




Emma e la confusione erano, ormai, una cosa sola. Il sonno era scomparso, in compenso due solchi neri sotto gli occhi erano arrivati a rovinare il suo bel viso.
Le immagini di quel pomeriggio le affollavano la mente, qualsiasi cosa facesse la riportava a quel momento: al suo attimo di felicità.
E lei aveva tremendamente paura della felicità.
Ci aveva impiegato anni a trovare un equilibrio che la rendesse serena. Ci aveva messo del tempo ad accettare Henry per ciò che realmente è, era difficile per lei non vederlo come una aggiuntiva punizione dell’universo nei suoi confronti.
Per mesi aveva pianto da sola nella sua stanza, quando Neal se ne andò. Piangeva mentre la sua pancia cresceva.
Credeva davvero di non farcela e, probabilmente, senza Ruby e Regina non sarebbe riuscita a riprendersi. Senza di loro non avrebbe cambiato idea, avrebbe dato Henry in adozione e sarebbe tornata a morire nel buio della sua stanza. Voleva lasciare il suo raggio di sole, ci mise una vita a capire quello che avrebbe perso.
Fu proprio Henry a ritirarla su.
Questa volta non ci sarebbe stato un altro bambino a farle bene.
Questa volta sarebbe caduta definitivamente a pezzi. Sapeva di non poter soffrire ancora.
Lei quella felicità, però, la voleva. Dopo averla provata era difficile separarsene.
Era combattuta. Voleva illuminare la sua vita ma temeva di farlo.
Emma era la contraddizione scesa sulla Terra.

Aveva la mattinata libera, ma decise di rompere la loro tradizione. Niente parco quel giorno, non voleva rischiare di incontrare Killian, non era pronta. Avrebbe già dovuto incontrarlo quel weekend e sapeva che la situazione l’avrebbe mandata ancora più in confusione, non voleva anticipare il problema.
Il campanello suonò.
Il suo sogno ed incubo si avverò.


-“Killian!” esclamò sorpresa. Si sarebbe aspettata chiunque, ma non lui. Lo stupore, evidentemente, era tangibile sul suo volto.
-“Tesoro, che c’è? Hai visto un fantasma?”
Per assurdo, aveva colto nel segno. Lui era il fantasma che la stava tormentando da giorni, quello che le aveva tolto il sonno, quello che voleva tanto vedere e per questo si odiava. Quella che l’aveva fatta crollare da quel sottile filo che era il suo equilibrio.
-“No figurati, è solo che non mi aspettavo di vederti qui.”
-“So che probabilmente non avresti voluto vedermi ed io non dovrei essere qui. Ho tentato, lo giuro, di non disturbarti, di rispettare il tuo desiderio di non vedermi, ma non ce l’ho fatta. A volte la razionalità non vince sul cuore, mi dispiace.”
Non che avesse detto nulla di eclatante, ma quelle parole colpirono molto Emma. Si conoscevano appena, quasi non si parlavano. Rare confessioni li avevano uniti.
Lui sentiva ciò che sentiva lei. Era come se un filo li unisse, un filo invisibile che esisteva da sempre, ma lei ci aveva messo un po’ a vederlo, lui aveva percepito subito quel legame.
-“Perché ti scusi?”
-“Davvero Emma, se non vuoi parlare, sono pronto ad andarmene.”
-“Non ci pensare nemmeno, entra.”
Dopo tanti anni, Emma agì d’impulso, lasciò che fossero le emozioni a guidarla, non il cervello.
Ne aveva bisogno, ci aveva messo un po’ a capirlo, ma alla fine ce l’aveva fatta.
Si diressero verso il divano. Si sedettero vicini come spesso facevano sulla loro panchina, abbastanza vicini affinché il loro gambe potessero sfiorarsi.
-“Non ho intenzione di forzarti a fare nulla, voglio solo capire come debba comportarmi. Ho capito che c’è qualcosa che ti frena. L’ho vista subito la sofferenza nel tuo sguardo: è stata proprio quella tua aria da sopravvissuta che mi ha attratto. Io so quanto è difficile far rimarginare le ferite del passato, quelle che non scompaiono mai, diventano dei segni bianchi che è difficile ignorare. Ma è l’unico modo per smettere di sopravvivere e incominciare a vivere. Smettere di sanguinare, alzarsi in piedi, mandare al diavolo quelle strisce bianche che ci hanno fatto così male e riprendere in mano la nostra vita. So che non è semplice, ci ho messo un anno per capirlo.”
-“Io sono dieci anni che tento di guarirmi, Killian. Io ho paura.” Le aveva letto dentro, l’aveva capita. Per lei fu difficile trattenere quelle lacrime che le stavano inumidendo gli occhi.
-“Lo so e ti capisco perché anche io ne ho. Sto provando tutti quei sentimenti che speravo non mi si avvicinassero mai più. Avevo giurato di smettere di soffrire, ma ho capito che fuggire da ciò che si sente è peggio che rimanerne feriti. Come ti ho già detto, non voglio forzarti a fare nulla, anche perché sono io il primo a faticare a comprendere ciò che è successo tra noi. Sono qui solo per capire.”
Per la prima volta dopo tanti anni, Emma si sentì protetta e libera. Lei non meritava tutto questo, un uomo così. Quell’uomo che aveva odiato dal primo istante, quello così sfacciato da infastidirla fin dentro le viscere, si era dimostrato estremamente comprensivo, aveva lasciato a lei il timone. Per la prima volta pensò che, forse, il suo momento fosse arrivato e, per quanta paura avesse, non voleva lasciarselo scappare.
Si avvicinò più a lui, strinse la sua mano. Quel calore la rassicurò, sapeva ciò che doveva fare.
“Io non so con esattezza cosa sia successo né cosa significasse, ma sono stanca di fuggire. Così non posso più vivere. Non voglio lasciarmi più sfuggire nulla, la paura non può più impedirmi di prendermi la felicità che mi spetta. Ti andrebbe di scoprire insieme a me cosa sta succedendo?”
Nuovamente le loro labbra si sfiorarono, poi si cercarono, si unirono, si fusero. Se possibile fu ancora più emozionante della prima volta perché ora sapevano di essere pronti per ricominciare a vivere.
-“Però, Killian, non diciamo ancora nulla agli altri, ok? Non mi sento pronta per condividere tutto questo con qualcuno che non sia tu.”
-“Sabato sarò un perfetto amico qualsiasi.”
-“Grazie, per me conta molto.”



Si erano visti il pomeriggio seguente senza farsi scoprire dagli altri.
Le ore passate insieme volarono. Finalmente parlavano e stavano bene. Avevano smesso di rincorrersi per poi scansarsi.
Finalmente i loro cuori battevano all’unisono.




Sabato sera, casa di Emma e Regina
Tutto appariva normale, una qualsiasi serata tra amici.
Regina e Robin sempre appiccicati, dopo circa un mese e mezzo ancora sentivano il bisogno di recuperare il tempo perso. Ruby, Killian, Mary, David ed Emma ridevano in gruppo.
Emma riusciva a nascondere le scariche elettriche che qualsiasi contatto, anche visivo, avesse con Killian le provocava. Killian non si incantava a guardarla, come tanto avrebbe desiderato fare.
Erano degli attori fantastici, pronti per ricevere il loro Oscar alla carriera.

Emma si avviò verso la cucina per prendere da bere, seguita da Ruby.
-“Bene biondina, ora che siamo sole puoi dirmi cosa è successo tra te e l’affascinante irlandese.”
-“Come scusa?”
-“Devo ammettere che recitate la parte degli amici piuttosto bene, ma lo sai che io sento l’odore. Allora, quando è iniziata? Direi da poco, altrimenti l’avrei notato prima. Comunque, sappi che ho fatto il tifo per voi sin dal principio. Regina non mi voleva credere, avrei dovuto scommetterci dei soldi, sarebbero stati più gratificanti che uno stupido ‘te l’avevo detto’. Su su, forza, racconta.”
-“Ma sei in grado di stare un attimo zitta? Ruby, ti prego, sto cercando di capire cosa stia realmente succedendo tra noi, non so neanche se ci sia davvero qualcosa o se sia solo attrazione fisica, potresti evitare di dirlo a tutti? Ho bisogno di tempo.”
-“Va bene, d’accordo, farò la brava. Però prima devi rispondere ad una sola ed insignificante domanda, sai che sono curiosa.”
-“Ho paura di te, ma vai, spara.”
-“Ci sei già stata a letto? Ha l’aria di essere uno che sa come far stare bene una donna, e sai che io ho un certo fiuto per queste cose.”
-“Tu sei davvero irrecuperabile.”
-“Tu mi adori per questo.”







Angolo dell'autrice
Lo so, lo so, lo so. E' tardissimo. Pensate, questo capitolo avrei voluto pubblicarlo prima dell'inizio delle vacanze di Pasqua, ma un impegno improvviso mi ha portato via il tempo che avrei voluto dedicare alla stesura di questo capitolo.
La mia prof di lettere mi ha chiesto di partecipare ad un concorso letterario. Bello, tutto molto bello, se non fosse che non è proprio sveglia ed ha pensato di dirmelo a pochissimi giorni dalla scadenza, così ho dovuto scrivere un brano e un aforisma in pochissimo tempo.
Poi sono partita, lo studio, una cosa e un'altra e, alla fine, per puro caso, sono riuscita a finire tutto oggi. Per fortuna, aggiungerei, perché temevo la pubblicazione sarebbe slittata a settimana prossima, dato che anche questo weekend non sarò a casa.
Tralasciando i miei infiniti impegni, spero abbiate passato una buona Pasqua e vi faccio gli auguri con tanto, tantissimo ritardo.
Infine, spero come sempre che il capitolo vi sia piaciuto. Ora vorrei raccogliere un po' le idee per scrivere qualcosa di un po' più sostanzioso nel prossimo capitolo.
Alla prossima.
 

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Capitolo 9
*** La nostra giornata ***


Capitolo 9
La nostra giornata



 
-“Mamma, ultimamente sei davvero strana… e sai qual è la cosa assurda? All’inizio mi sembrava stessi male, ora mi sembri felicissima. Cosa succede?”
Quel ragazzino era assurdo, così piccolo e già capiva così bene le persone… la genetica evidentemente ha una valenza, è un osservatore come sua madre.
Nel suo maggiolino giallo, Emma non sapeva come rispondere alle domande del suo bambino. Non perché non volesse parlare di ciò che le stava accadendo, sapeva di avere a che fare con un ragazzino estremamente sveglio e maturo per la sua età, che voleva il suo bene quasi quanto lei desiderava quello del suo ometto. La verità era che lei stessa non sapeva come affrontare l’intera situazione. Non ci era più abituata: uscire ogni tanto con le amiche, bere un po’ più del dovuto e andare a letto con un qualsiasi ragazzo lei ritenesse sufficientemente avvenente era estremamente più semplice che dover gestire tutta quella confusione. Era brava a capire gli altri, era con sé stessa che aveva qualche problema. Poi Killian era uno del gruppo, non avrebbe nemmeno potuto tenere segreta la loro “relazione” – che poi era una relazione quella che avevano? – infatti già Ruby, non si sa come, li aveva scoperti, era solo questione di tempo e anche gli altri avrebbero capito.
-“Mamma, mi stai ascoltando?”
-“Oh, scusami ragazzino, mi ero distratta un attimo. Comunque, non so cosa tu abbia notato con esattezza, però posso dirti che sono stata un po’ stressata sul lavoro ed ora sto riprendendo i miei soliti ritmi, sarà questo.”
Detestava mentirgli, ma doveva proteggere sé stessa. Non poteva ancora permettersi di parlare con qualcuno, non era pronta. Aveva fatto un passo in avanti con Killian ed era andata molto vicina al pentirsene. Gli atti di spontaneità non facevano per lei, troppo razionale e riflessiva per buttarsi, troppo spaventata dalla vita per rischiare. L’inconscio aveva lavorato al suo posto. Aveva interpretato l’accaduto come un segno del bisogno fisico di felicità che aveva. In fondo sapeva che ciò che aveva, per quanto bello fosse, non le bastava più… aveva dovuto agire senza controllo per capirlo, eliminare ogni tipo di filtro e guardarsi dentro.
Stava proteggendo anche lui, a dir la verità. Per quanto credesse che Henry avrebbe capito, non poteva averne la certezza. Aveva solo 10 anni e aveva sempre vissuto con sua madre, mai nessuna figura maschile si era presentata nella sua vita. Lei non conosceva il rapporto che un figlio potesse avere con un genitore, ma pensava che in età infantile un cambiamento simile potesse creare una gelosia irrazionale anche nel bambino più maturo. Non lo poteva sapere personalmente, ben pochi legami aveva avuto nella sua vita, né aveva potuto studiare qualcosa che potesse avere un minimo di attinenza con l’argomento, ma la sua idea se l’era fatta. Voleva aspettare, per sé e per lui.
-“Io non credo sia solo questo. Comunque, ho capito che non vuoi parlarne ma, non temere, scoprirò tutto.”
-“Tu passi troppo tempo con Ruby, cominci a parlare come lei.”
-“La zia Ruby è fantastica, questo è un grande complimento. Tralasciando tutto ciò, dove andiamo per pranzo?”
-“Pensavo di passare da Marco’s così salutiamo August ma, se vuoi, possiamo andare da qualche altra parte.”
-“Ma come da qualche altra parte? Io adoro August e adoro le loro lasagne. Però non dirlo a Regina che preferisco le loro alle sue.”
-“Tranquillo ragazzino, il tuo segreto è al sicuro con me.”


Avevano deciso di passare una giornata madre e figlio. Era da un po’ che non avevano un po’ di tempo tutto per loro. Quando Emma aveva fatto quella proposta ad Henry, lui era diventato un agglomerato esplosivo di felicità. Adorava passare del tempo con sua mamma. Sapeva di essere fortunato: sua madre era molto giovane ed estremamente disponibile, lo adorava e, per quanto non volesse darlo a vedere, nel profondo era ancora una bimba. Inoltre, con lui stava vivendo tutti quei momenti famigliari che la sua infanzia le aveva negato.


Dopo aver parcheggiato il maggiolino giallo ad una distanza che Emma ritenesse sufficiente per poter passeggiare tranquillamente con il figlio, si avviarono lentamente verso il ristorante.
Formavano una coppietta niente male. Passeggiavano mano nella mano, la sciarpa di lui assurdamente abbinata al giacchetto di lei. La cosa fantastica di quei due era che, nonostante non si somigliassero quasi per nulla, chiunque avrebbe capito al volo che fossero mamma e figlio. Avevano quel guizzo negli occhi, quella curiosità infantile che non aveva mai abbandonato Emma; poi avevano lo stesso sorriso. Gli occhi erano diversi ma assurdamente simili: quelli di Henry sembravano quelli della mamma visti con poca luce. Avevano quel colore indefinito, di quelli che non capisci se siano chiari o scuri. Quelli di Emma, invece, erano di un bellissimo verde, anche i suoi un po’ camaleontici, di quelli che a volte appaiono azzurri.
E proprio due occhi azzurri apparvero davanti a loro.
Emma non si accorse di nulla finché non se li ritrovò a un palmo dal naso, era talmente presa dalle risate che stavano animando lei e suo figlio da non accorgersi che Killian stavo procedendo sul quel marciapiede in direzione opposta alla loro.

-“Ehi Swan, te l’hanno mai detto che quando si incontrano persone conosciute, sarebbe buon costume salutarle?”
-“Killian! Non ti avevo visto, scusami.”
-“Figurati, immaginavo, so che non potresti mai evitarmi.”
-“Non credi di essere un po’ presuntuoso? Comunque, Killian lui è mio figlio Henry. Henry, lui è Killian.”
-“E’ lui l’amico di Robin, mamma?”
-“Sono proprio io. Piacere di conoscerti, tua mamma e Regina hanno parlato molto bene di te.”
Henry sorrise in risposta. Dopo i convenevoli, Killian si era concentrato su sua madre la quale ricambiava tutte le sue attenzioni. Henry aveva perso il filo del discorso, continuava a seguirli camminando vicino a Emma stringendole la mano. Non sapeva esattamente come fosse successo, ma si ritrovarono tutti e tre seduti da Marco’s. Un tavolo per tre. Dovevano essere in due. Doveva essere la loro giornata, quella intromissione non gli andava proprio giù.
A dir la verità Emma aveva chiesto ad Henry se avesse voglia che Killian si fermasse con loro, ma lui era troppo preso dai suoi pensieri per darle ascolto, così annuì senza dare peso alla domanda che gli era stata posta. Fece male.


-“Allora, tu che sicuramente conosci questo posto più di me, cosa mi consiglieresti di prendere?”
Killian si era reso conto della leggera ostilità che Henry aveva nei suoi confronti, così provò ad approcciarlo, parlarci e metterlo a proprio agio.
-“Siamo in un ristorante italiano, prendi la pasta.”
Henry capì quale fosse l’obbiettivo di Killian e, per quanto detestasse ammetterlo, apprezzò quel gesto, ma non per questo si ammorbidì. Quella era la sua giornata madre-figlio, non madre-figlio-amicouscitodanonsisadove, non gliel’avrebbe data vinta.
Emma capiva la situazione complicata, per cui evitò di sgridarlo sul serio, ma gli mandò un’occhiataccia.
Anche Killian comunicò con Emma attraverso i suoi bellissimi occhi lanciandole uno sguardo interrogativo. Di solito i bambini lo adoravano, cosa che di solito lo infastidiva dato che l’amore non era reciproco, per lui era strano che quel ragazzino tenesse così le distanze.
Ci misero un po’ di tempo per ingranare, ma alla fine passarono il pranzo in modo tranquillo e piacevole.
Henry non aveva un problema con Killian nello specifico, anzi, lo trovava persino simpatico, gli dava semplicemente fastidio la sua intromissione. Non appena fosse tornato a casa avrebbe espresso tutto meno che felicità riguardo la giornata appena trascorsa.
Dopo aver finito di mangiare Henry si diresse in bagno lasciando soli i due adulti per qualche minuto.
-“Scusami Killian, io davvero non capisco cosa sia successo. Di solito Henry è un bambino solare e socievole, mi dispiace tanto.”
-“Tesoro, figurati! Non si può piacere a tutti.”
-“Cambierà idea, come ho fatto io.”
-“Allora, non sono bravo con le parole quindi cercherò di dire quello che ho in mente da questa mattina senza giri di parole. So che non vuoi ancora che si sappia che stiamo uscendo…”
-“Killian, io…”
-“Aspetta Swan, fammi finire, non ti sto chiedendo questo. Vorrei, con la solita segretezza, che mi concedessi un’uscita vera. Sabato sera.”
-“Oh Killian, certo che voglio uscire con te.”
-“Questo ti fa onore Swan, so che per te, in quanto donna, sarà difficile gestire l’ansia senza lo squadrone di amiche al tuo fianco, apprezzo il coraggio.”
-“Sei un idiota.”
-“Non lo pensi davvero.”



Non appena furono rientrati a casa, Henry iniziò a svolgere i suoi compiti. Emma, invece, aveva bisogno della sua dose di dolcezza giornaliera; si preparò una cioccolata calda e la bevve sul divano.
Tecnicamente sul divano ci si tuffò come se non aspettasse altro da tutta la vita, tirando anche un forte sospiro.
Regina entrò in salotto e la trovò lì, sul divano con la tazza tra le labbra. C’era qualcosa di strano, qualcosa di diverso sul suo viso, nel suo sguardo.
-“Allora Swan, cos’hai di bello da raccontarmi?”
La prese alla lontana, non sapeva se Emma fosse disposta  a parlare del qualsiasi cosa avesse cambiato il suo volto.
-“Niente di che, una normalissima giornata madre figlio, le lasagne di August sono fantastiche come sempre, Henry quando mangia è uno spettacolo, abbiamo incontrato Killian e abbiamo mangiato un dolce davvero fantastico.”
Bingo! Regina conosceva bene Emma, non le sfuggi il sorriso che tentò di trattenere mentre pronunciava quel nome.
-“Oh, Killian era con voi, come mai?”
-“L’abbiamo incontrato lungo il percorso e si è unito a noi per il pranzo, tutto qui.”
-“Tutto qui? Davvero Swan?”
-“Sì, cosa c’è di strano?”
-“Di strano c’è che mai avevi permesso a qualcuno di unirsi alla vostra giornata madre-figlio, ma con lui hai fatto un’eccezione.”
-“Non ho fatto nessuna eccezione, con voi non è mai capitata l’occasione. Anzi, io ti ho chiesto più volte se volessi venire con noi ma non hai mai accettato.”
-“D’accordo, un punto per te. Ciò non toglie il fatto che i tuoi occhi si illuminano quando pronunci il suo nome.”
-“Non è vero.”
-“Andiamo Swan, sputa il rospo!”
-“Te l’ha detto Ruby?”
-“Cosa avrebbe dovuto dirmi? Ehi, perché lei lo sa e io no?”
-“Okay, va bene. Mi avete beccata… entrambe. Sono uscita un paio di mattine con Killian. Non vi ho detto nulla perché non so neanche io cosa stia succedendo, se ci sia qualcosa di concreto tra noi o se stiamo confondendo l’amicizia con qualcos’altro.”
-“Sì, ma in questi giorni non avevi questo sguardo, è successo qualcosa. Andiamo, a questo punto è inutile che mi tenga nascosto ciò che ti succede.”
-“Mi ha chiesto di uscire, per un’uscita vera, di sera, a ristorante, come le coppie normali.”
-“E tu te la stai facendo sotto.”
-“Esatto.”
-“Bhe, è ottimo che io e Ruby sappiamo tutto, così ti terremo a bada noi. Andrà tutto bene. Sono contenta che finalmente abbia deciso di riaprire il tuo cuore.”


Cenarono tutti e tre insieme come di consueto, Regina vide Henry un po’ rabbuiato così decise di attaccare bottone.
-“Allora, come è andata oggi?”
-“Così”
-“Sei di poche parole oggi. Cosa ti è successo? Sai che non puoi nascondermi nulla, ti conosco troppo bene.”
-“Diciamo che non è stata proprio la giornata che speravo.”
-“In che senso?”  -“Già ragazzino, vorrei saperlo anche io. Ho per caso fatto qualcosa che ti ha dato fastidio?”
Henry alzò improvvisamente la voce. –“Cosa hai fatto, mi stai chiedendo? Doveva essere la nostra giornata madre figlio, invece hai lasciato che qualcuno si intromettesse. Dovevamo essere solo io e te; io, te e il nostro cibo. Invece no, avete dovuto rovinare tutto.”
Così dicendo lasciò la stanza chiudendosi la porta della sua camera alle spalle.
-“Regina…”
-“Cosa?”
-“Non posso uscire con Killian.”






Angolo dell'autrice
Mi scuso, mi scuso, mi scuso per avervi fatto aspettare. Anche queste note saranno sbrigative perché sto per vedere la diretta e ho i tempi strettissimi.
Come sempre spero che il capitolo vi sia piaciuto. Happy OUAT day a tutti.
Alla prossima.
 

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Capitolo 10
*** Mal di testa ***


Capitolo 10
Mal di testa


 
-“Emma ma sei impazzita?”
-“Regina, hai sentito Henry? Non posso incasinare lui, non voglio che la sua infanzia possa avere dei disagi a causa di sua madre. Io lo so come ci si sente, non voglio fare lo stesso a lui.”
-“Ok, ufficiale, sei impazzita. Credi che un genitore non abbia il diritto di innamorarsi? Le persone scelgono di chi innamorarsi? No. I genitori sono persone? Sì. Ecco, risolto il problema. Emma, non puoi rinunciare a te stessa per Henry. Non è così che lo farai stare bene, i bambini sentono, sentono tutto. Credi che non se ne accorgerà? Credi che non gli peserà la tristezza della madre?”
-“Regina, non posso rischiare di fargli del male, non dopo tutto quello che è successo a me. E io non starò male. Sono stata benissimo fino ad ora, io ed Henry, basta. Perché dovrebbe cambiare qualcosa? Staremo bene.”
-“Le cose cambieranno perché prima non c’era Killian ed ora sì. E fa la differenza, e di molto anche.”
-“Non posso.”
-“Sai cosa penso? Questa di Henry è solo una scusa.”
-“Mi spieghi cosa vai farfugliando?”
-“Sì Emma. Vuoi proteggere te stessa, non Henry. Emma, ammettilo: hai paura. Hai paura di soffrire ancora, paura di scombussolare il tuo equilibrio, paura di tutto ciò che è incerto. Ma Emma, c’è una cosa che devi capire: nella vita le certezze non esistono, e non è barricandoti dietro a dei muri che risolverai il problema. Anche rinchiusa in te stessa, non sei in grado di controllare il resto del mondo che sbatte contro di te, non puoi. Allora smettila di sopravvivere e comincia a vivere, buttati nelle cose, fregatene della paura, insegui ciò che desideri. Ti prego Emma, io lo so che ne hai davvero bisogno.”
Emma rimase imbambolata. Le lacrime cominciarono a pizzicarle gli occhi e probabilmente la sua bocca si era spalancata contro la sua volontà. Non sapeva, davvero non lo capiva, come facesse Regina a leggere ogni parte di lei, anche quelle più nascoste, quelle che lei stessa non era in grado di trovare e di interpretare. Emma non era un libro aperto per Regina: era un libro aperto con immagini e note esplicative, comprese nel prezzo anche delle video lezioni tenute dai migliori professori al mondo.
Emma non si capiva, Regina invece lo faceva. Forse era stato proprio questo a farle avvicinare, a far sì che Emma, la timida ragazzina dallo sguardo spento, si aprisse finalmente con qualcuno e i suoi occhi cominciassero a splendere.
Trattenere le lacrime stava diventando davvero difficile, quelle maledette goccioline salate la stavano implorando di poter saltare fuori. Tentò di parlare, ma la voce le uscì rotta.
-“I-io non ce la faccio.”
 
 
-“Ehi amico, che fai?”
-“Costruisco un robot… Andiamo, Robin, sto facendo colazione, mi pare evidente.”
-“Prima o poi mi spiegherai dove trovi tutta questa ironia di prima mattina.”
-“Appunto, non rovinare questa giornata tenendo il muso o, se proprio devi avere quella faccia, tienila lontana da me.”
-“Questa storia mi puzza. Tutto questo bisogno di allegria fa molto ‘il buongiorno si vede dal mattino’ e non è da te. Cosa mi stai nascondendo?”
Killian non fece in tempo a trovare una scusa plausibile che il suono del cellulare lo salvò in corner. Erano le 7 del mattino, chi mai poteva mandargli un messaggio a quell’ora?

Killian, mi dispiace tanto, ho avuto un problema con Henry, non credo potremo uscire questa sera.
Emma


Tranquilla tesoro, la famiglia prima di tutto. Sarà per un’altra volta.

-“Vedi amico, te l’avevo detto di non tenere il broncio davanti a me.”
-“Io davvero non capisco di cosa tu stia parlando.”
-“Niente, non importa.”



Quella fu una giornata nera per entrambi.
Killian si era svegliato con il sorriso, poi la causa di quella gioia era svanita. Pensava davvero ciò che le aveva scritto, ma qualcosa non gli tornava. Poi ci teneva così tanto che presumibilmente anche se gli avesse scritto “scusa Henry è in ospedale” ci sarebbe rimasto male.
Aveva pensato alla possibilità di chiedere di uscire per giorni, poi per i giorni successivi al suo assenso. Era il suo chiodo fisso: quella donna lo calamitava come mai gli era capitato.
Nel buio della sua camera vedeva i suoi occhi, quel verde era la sua ossessione, l’avrebbe guardata negli occhi per sempre, avrebbe potuto vivere di quegli occhi. E quei capelli, non voleva nemmeno pensarci.
I suoi capelli avevano il profumo che, Killian ne era certo, era possibile annusare in paradiso.
Ciò che provava per lei stava prendendo il sopravvento sulla sua parte razionale, lavorare era diventato davvero complesso, guardava l’orologio compulsivamente nella speranza che quella giornata finisse.
Emma aveva lavorato alla tavola calda quella mattina, o almeno ci aveva provato. Era distratta, più volte aveva rischiato di confondere le ordinazioni, fissava l’orologio nella speranza che il momento di tornarsene a casa arrivasse presto. Nemmeno la presenza di Ruby, antidepressivo consigliato da tutti gli psicologi, era stata in grado di farla sentire meglio. Più il tempo passava più pensava che ci fosse qualcosa di davvero sbagliato in quella situazione, che se avesse fatto la scelta giusta si sarebbe sentita bene, non così abbattuta.
Finalmente il suo turno arrivò al termine e poté andare a prendere Henry a scuola. Sperò davvero di riuscire a distrarsi con lui. Le sue speranze furono vane: suo figlio aveva molto da studiare e avrebbe passato buona parte del pomeriggio sui libri. Emma rimase così: da sola in salotto in balia dei pensieri. La sua testa minacciava davvero di esplodere. Aveva cominciato a dolerle quella mattina verso l’ora di pranzo. L’affollamento dei problemi non aveva fatto altro che farlo peggiorare. Aveva davvero bisogno di riposo.
Si fece una doccia, prese una pastiglia e aspettò il rientro di Regina sdraiata sul divano, al buio, nella speranza che il picchio che aveva nel cervello si addormentasse.


-“Swan, cosa fai sdraiata lì in pigiama? Non dovresti prepararti?”
-“Regina, te l’ho detto, non ci vado.”
-“Spero bene che tu abbia avvisato anche Killian e non gli stia dando buca senza dire nulla.”
-“Sì, ho fatto tutto quello che dovevo. Ascolta, io ho mal di testa, non mangio, vado direttamente a dormire. Puoi pensare tu ad Henry?”
-“Sì Emma, ma poi non mi dire che questo cambiamento di programma non ha effetti su di te.”
-“Non ho intenzione di discutere, buonanotte.”


Emma si chiuse in camera, quasi senza che se ne accorgesse lente e silenziose lacrime cominciarono a rigarle il volto. Si addormentò così: abbracciando un cuscino bagnato di lacrime.


Regina ed Henry mangiarono da soli. Ovviamente Henry trovò strana l’assenza della madre; non era mai capitato che andasse a dormire senza mangiare.
-“Regina, cos’ha davvero la mamma?”
-“Ha detto che aveva mal di testa.”
-“No, non è solo questo. Non rinuncerebbe al cibo solo per il mal di testa. C’è qualcos’altro sotto.”
-“Sei sveglio ragazzino.”
-“Andiamo, sei la sua migliore amica, so che lo sai. Cos’è? Magari posso aiutare.”
-“Henry, io non voglio sostituirla, è una cosa che riguarda solo lei e io non ti posso mettere in mezzo senza che lei lo voglia.”
-“Oh, sembra una cosa ‘da grandi’. Problemi di cuore?”
-“Ma tu da dove sei uscito?”
-“So che ho indovinato, quindi a questo punto non sarà più colpa tua se mi dirai cosa le sta succedendo.”
-“Ragazzino, smettila di fare il furbo.”
-“È Killian, vero?”
-“Tu mi spaventi a volte. Comunque sì, doveva uscire con lui ma ha rinunciato.”
-“Perché?”
-“Ha detto che lo ha fatto per te, perché a te non piace Killian. Io non ci credo però, secondo me ha solo paura e ha trovato in te una scusa.”
-“E poi a me Killian piace!”
-“Davvero? E allora tutta quella storia del pranzo?”
-“Mi infastidiva il fatto che qualcuno si fosse intromesso tra me e la mamma, non lui in particolare. Allora, credo saremo d’accordo sul fatto che dovremmo aiutare la mamma ad affrontare i suoi problemi, non può stare chiusa in camera al buio per sempre.”
-“Ma tu sei sicuro di avere 10 anni? E, sentiamo genietto, come hai intenzione di fare?”
-“Io e te lavoreremo sotto copertura e faremo andare la mamma ad un appuntamento a sorpresa. Che ne dici?”
-“Geniale!”
-“Ottimo, ora manca solo un nome. Che ne dici di ‘Operazione Inseparabili’?”
-“Inseparabili?”
-“Sì, sono una specie di pappagalli, vivono in coppie e non sono in grado di stare separati, a costo di morire pur di non sentire la mancanza dell’altro.”
-“Mi piace, forse un po’ estremo, ma mi piace. Affare fatto.”









Angolo dell'autrice
Lo so, il tempo di attesa diventa sempre più lungo e temo che il mese di maggio sarà ancora peggiore. Purtroppo con al scuola va così. Magari a giugno riuscirò di nuovo a pubblicare con una frequenza decente.
Il capitolo è un po' più breve dei precedenti un po' per problemi di tempo, un po' perché è un capitolo di passaggio. Da questo punto in poi vedremo Regina ed Henry in combutta, a quel punto succederà qualcosa di un po' più concreto, promesso.
Non ho intenzione di spendere parole riguardo la puntata perché se no ricomincio a piangere. Vi dico solo che ieri notte ho visto la live nel letto accanto a mia sorella piangendo il più piano possibile per non svegliarla. Oggi l'ho rivista con lei con i sottotitoli e ho pianto un'altra volta. Ma io cosa ho fatto di male per meritarmi una vita così di stenti? E meno male che le coppie canon creano gioia. Sì, una cifra.
Comunque, spero che il capitolo vi sia piaciuto nonostante la sua brevità. Aspetto una vostra opinione.
Alla prossima.
Erika (si, mi sono resa conto solo ora che magari sarebbe carino se mi firmassi. Sono un po' tarda, lo so)

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Capitolo 11
*** Operazione inseparabili ***


Capitolo 11
Operazione inseparabili



Un trillo rompe il silenzio di una stanza buia. Erano le sette del mattino, Killian quasi non aveva chiuso occhio. Quel suono fu solo un motivo in più per non addormentarsi. Certo, non dormire di domenica dovrebbe essere un reato perseguibile dalla legge, ma non poteva farne a meno. Si alzò a fatica dal letto, a tastoni raggiunse il cellulare che tutte le notti teneva poggiato sul comodino collegato al carica-batterie e lesse il contenuto di un messaggio inaspettato.

Killian sono Henry. Mia mamma è stata una completa idiota, credo che sia lei sia tu siate stati male a causa di una decisione stupida che ha preso. Dato che, a quanto pare, voi adulti riuscite sempre a rendere tutto più complicato di quanto non sia, ho deciso di prendere in mano le redini della situazione.
Questa sera passi a prendere la mamma e uscite per quella cena ingiustamente saltata. Attenzione, è una sorpresa da parte mia, non dirle nulla. Per dirmi qualsiasi cosa scrivi a Regina, io e lei siamo d’accordo.


Quel ragazzino era incredibile. Sapeva di loro… e Killian era certo che non fosse stata Emma a riferirglielo. Anche Regina sapeva. Le opzioni erano due: O Emma non era stata in grado di stare zitta come aveva richiesto a lui o le persone che la circondano la conoscono meglio di quanto lei non conosca sé stessa.
Il dubbio che l’aveva attanagliato la giornata precedente diventava sempre più una certezza. Dietro l’SMS mattutino di Emma c’era qualcosa di più e a rivelarglielo era stato proprio Henry.
Decise di non porsi domande sulla motivazione per cui Emma aveva deciso di scaricarlo. Aveva, nonostante il poco tempo che aveva avuto a disposizione, imparato a capirla. Non era una donna semplice e, per quanto ne parlasse poco, il suo passato doveva essere stato davvero duro. Forse non ne parlava proprio perché non si sentiva pronta ad affrontarlo, aveva ancora paura di qualcosa che Killian ancora non conosceva. Non voleva forzarla, sapeva non sarebbe servito a nulla. Decise di aspettarla, ma non avrebbe rinunciato alla serata che quel ragazzino geniale stava tentando di organizzare. Il suo momento non era scomparso, era solo stato rimandato.

Ciao Henry, mi fa piacere sentirti. Non ho idea di come tu abbia fatto a scoprire tutto o come ti sia venuto in mente di organizzare un’uscita a tua madre, ma devo ammettere che ne sono davvero felice.
Vorrei sapere cosa debba fare di preciso. Devo prenotare da qualche parte per cena? Quando devo passare da voi? E, soprattutto, sei sicuro che Emma non si arrabbierà?

Killian sono Regina. Stai tranquillo, conosco Emma. Sicuramente all’inizio vorrà prenderci a padellate in faccia, poi sarà contenta. Allora, mentre noi architettiamo un modo per far vestire decentemente Emma senza che si insospettisca, tu potresti prenotare il ristorante, magari quello in cui sareste dovuti andare ieri.
Per quanto riguarda l’orario, credo che a livello organizzativo per noi andrebbero benissimo le 19.45 circa. Per te va bene?

Perfetto tesoro, ci vediamo questa sera.

Il primo ostacolo era stato superato. Killian aveva accettato l’idea della segretezza, senza però evitare di preoccuparsi della reazione di Emma. Regina si stupì di come in poco tempo Killian fosse stato in grado di anticipare le reazioni di Emma… La capiva. In pochi ci riuscivano.
Fortunatamente lei e Ruby non avevano scommesso dei soldi su di loro, altrimenti lei avrebbe sicuramente perso.
Il secondo ostacolo era trovare il modo di organizzare il tutto con Emma. La cosa più difficile sarebbe stata farla vestire da donna, perché Emma non era una di quelle persone che sarebbe potuta uscire a cena come era vestita la mattina, era l’anti-femminilità scesa sulla Terra. Regina doveva assolutamente trovare un scusa plausibile, non dico per farle mettere i tacchi, ma almeno per farle sfilare i jeans.
Aveva bisogno di un’idea, qualcosa di geniale.
Aprì l’armadio nella speranza che i suoi vestiti potessero farle da muse ispiratrici.
Poi lo vide… Un vestito che non indossava da un sacco di tempo, in realtà non ricordava neanche se l’avesse effettivamente mai indossato. Era lilla. Come le era saltato in mente di comprare un vestito lilla? Quel colore non la faceva impazzire, in più non le piaceva come le stava indosso. Davvero non capiva.
Pensò, però, che sarebbe stato perfetto per Emma. Doveva solo trovare un modo per farglielo indossare. Ma come? Aveva bisogno dell’aiuto di un genio, e chi si era dimostrato geniale in quei due giorni? Henry.
Emma aveva il turno all’ora di pranzo alla tavola calda, così Henry sarebbe rimasto a casa con Regina.
Il fato era dalla loro parte. Quello sarebbe stato il momento in cui avrebbero agito.


-“Henry, dobbiamo trovare una scusa per far vestire tua madre da donna. Ho già trovato un mio vestito che per lei sarebbe perfetto. Hai qualche idea?”
-“Ehi mamma, facciamo un gioco? Posso farti vestire e truccare, sarò il tuo personal stylist.”
-“Henry, hai mai fatto qualcosa del genere con tua madre? No. Capirebbe subito che c’è qualcosa sotto.”
-“Allora dille che stavi sistemando l’armadio e hai trovato un vestito che tu non metti, credi che a lei possa stare bene ma per esserne certe hai bisogno che lo provi. Per truccarla, non so, diventa make-up artist per un giorno.”
-“L’idea per il vestito è geniale, e credo che per il trucco userò una scusa simile. Tipo: ‘Oggi ho sistemato l’armadio e il bagno, oltre al vestito ho trovato anche un ombretto che sarebbe perfetto, ma c’è solo un modo per sapere se io abbia ragione o meno: provarlo.”
-“Non so quanto sia credibile, ma spero che dopo la nottata che ha passato e la giornata di lavoro non sia sufficientemente sveglia e in forze per sottrarsi.”

Killian era in uno stato di ansia estremo. Tentò prima di tranquillizzarsi stando sdraiato sul divano con la tv accesa, ma niente riusciva a interessarlo, cambiava continuamente canale, lo schermo sembrava in preda ad un attacco epilettico. Tentò di stare sul letto, al buio, con le cuffiette. Tentò prima con della musica rilassante, Yann Tiersen riusciva sempre a farlo stare tranquillo, in qualsiasi occasione, ma non in quella. Se la magistrale I saw Daddy today, con il suo delicatissimo tocco sui tasti del pianoforte, non riusciva a calmarlo voleva dire una sola cosa: la situazione era davvero grave. Tra l’altro, si aggiungeva il fatto che non capiva con esattezza quale fosse la motivazione di tutta quell’angoscia. All’inizio pensava fosse semplicemente il fatto che tenesse tantissimo a quella uscita, teneva tantissimo ad Emma e sperava davvero che le cose andassero per il meglio. Poi si rese conto che le cose il giorno precedente non erano così, quella voglia di vederla era euforia, non angoscia. Poi capì… aveva paura di un rifiuto, di una brutta reazione da parte di quell’angelo che angelica era solo nella sua mente. Per quanto credesse alle parole di Regina, che sicuramente la conosceva meglio di lui, temeva davvero che Emma, invece che essere felice, esplodesse di rabbia. Nel loro periodo di silenzio aveva capito che forzarla non era il modo in cui prenderla, che quella donna aveva bisogno dei suoi tempi e bisognava accettarli, per quanto lunghi potessero essere.
La comprensione dei suoi problemi fece allentare la presa a quella morsa che gli attanagliava lo stomaco, ma di certo non la fece sparire.  Fu sul punto di scrivere a Regina che avrebbe rinunciato. Ma lui non era Emma, lui seguiva il suo cuore, sempre. Era assurdo come due anime così diverse potessero essere così simili, così vicine. Come provassero le stesse sensazioni, come avessero lo stesso passato deragliato e come agissero, invece, in modo totalmente opposto.
 
-“Ragazzino, ehi, sono tornata” disse Emma tentando di simulare un minimo di entusiasmo, quello che la notte precedente le aveva strappato. Era totalmente sopraffatta dagli eventi, a stento aveva la forza di reagire ai suoi naturali impulsi fisiologici, il sistema nervoso era andato in tilt. Temeva davvero per la sua integrità mentale e psicologica.
-“Ciao mamma, come è andata la giornata?”
-“Tesoro, sono davvero distrutta, ma solo vedere il tuo sorriso mi fa sentire meglio.”
Si strinsero forte. Quel bambino era davvero la sua forza ed era grata di averlo nella sua vita.
“Okay mamma, tu riposati, io vado in camera mia a studiare.”
L’idea di Emma di riposo corrispondeva all’acqua calda che la accarezzava, così andò a farsi una lunga doccia.

-“Swan, vieni un attimo in camera! Emma, ti sbrighi?!”
-“Regina, sono a pezzi, c’è davvero bisogno di urlare?”
-“Oh, scusami. Comunque, oggi ho sistemato l’armadio, sai, per quanto io sia ordinata, ogni tanto c’è davvero bisogno di tenere sotto controllo al situazione. Ho trovato questo vestito che credo di non aver mai messo ed ho pensato che a te potesse piacere. Sarebbe anche un’occasione dato che il tuo armadio conterà si e no tre vestiti da donna.”
-“È davvero carino, ti ringrazio.”
-“No no, non hai capito. Te lo devi provare. In caso non ti stesse bene lo darei a qualcun altro. Non ho intenzione di buttare un abito così bello.”
-“Proprio ora?”
-“Ora. Certo. E quando se no?”
-“Va bene, d’accordo.”
Emma non stava tanto lì a discutere, ciò significava che era stanca e non sarebbe stato troppo difficile per Regina tentare di farle fare ciò che desiderava.
Altro colpo di fortuna, l’abito le cadeva a pennello.
-“Wow Swan, sei una donna, chi l’avrebbe mai detto?!”
-“Ah ah, simpatica.” La canzonò con la risata più finta della storia.
-“Però, ti posso dire una cosa? Non si capisce se un abito così stia bene o meno senza trucco e tacchi, quindi ora ti sistemerò come si deve.”
-“Regina, ma sul serio?”
-“Ho l’aria di una che sta scherzando?”
Emma era pongo nelle sue mani, il tutto stava riuscendo con una facilità incredibile. Erano stati talmente fortunati che Regina si aspettava che da un momento all’altro qualcosa andasse storto.
Iniziò a truccarla alle 19.30. I tempi stretti erano necessari perché se avessero finito in anticipo Emma si sarebbe cambiata e tutta quella fatica sarebbe stata inutile.
Finì di truccarla per le 19.45 in punto, doveva solo indossare le scarpe ed era pronta.
Killian le aveva scritto poco prima un messaggio dicendo che era già davanti alla loro porta, aspettava solo il via libera per suonare.
-“Emma va in camera tua, indossa le decolté nere e fatti ammirare.”
Approfittò della distrazione di Emma, quindi, per avvisare Killian che dentro era tutto pronto, poteva suonare.
Emma arrivò in camera, era una visione.
-“Bimba*, questo è un miracolo! Non solo sei una donna, sei anche strafiga.”
Emma non ebbe il tempo di rispondere che il campanello suonò.
-“Vedi Emma, sei tutta in tiro per andare ad aprire alla porta! Pronta a far svenire quello che probabilmente sarà John alla ricerca di qualche ingrediente che gli manca?”
John era il loro vicino, sarà stato sulla sessantina, che spesso passava da loro a chiedere un po’ di sale, un po’ di zucchero, un uovo. Aveva la passione per la cucina, un po’ meno per il controllare se avesse tutto il necessario in casa.
-“Perché ogni volta che suonano a quest’ora devo andare io ad aprire alla porta?”
-“Perché John ti adora.”
Emma, invece, non lo adorava per nulla. Detestava quel suo modo di squadrarla dalla testa ai piedi da lurido maniaco. Era per questo che Regina di solito mandava lei, per evitare gli sguardi di quell’uomo.
Aprì la porta.
Al posto del solito paio di pantaloni larghi e consunti trovò un paio di pantaloni neri eleganti. Al posto del solito maglioncino azzurrino, verdino, giallino trovò una camicia nera ed una giacca di pelle. Due gemme azzurre al posto degli occhi.
-“Wow…”
-“Killian, cosa ci fai qui?”






*Volevo fare una citazione non-sense da Lilli e il Vagabondo, così, per il gusto di sentirmi bambina.


Angolo dell'autrice
Finally, torno a farvi compagnia. Scusate, ci ho messo una vita a scrivere questo capitolo. Non sono molto fantasiosa e trovare un modo vagamente decente per far organizzare il tutto a Regina ed Henry è stato davvero difficile.
Ho deciso di citare il mio amato Yann Tiersen facendo diventare Killian un radical-chic, cosa che non vedo molto vicina a lui, perché mi piace inserire nelle storie qualcosa di me, come feci nel capitolo in cui Emma legge uno dei libri di una delle mie autrici preferite.
Se vi interessa trovate il brano qui: https://www.youtube.com/watch?v=kN3FBR7yL6Q
A parte questo, non vi assicuro nulla per il prossimo capitolo poiché mi aspettano due settimane di inferno. (season finale compreso)
Spero come sempre che il capitolo vi sia piaciuto. Vorrei anche ringraziare le mie lettrici e recensitrici abituali che riescono semrpe a strapparmi un sorriso con le loro dolci parole.
Ci sentiamo, spero presto.
Erika

P.s. Se qualcuno volesse sclerare con me per il Season finale, questo è il mio profilo twitter (imbottito da una buona dose di disagio) https://twitter.com/Spongansss
 

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Capitolo 12
*** Guarire ***


Capitolo 12
Guarire




 

Occhi spalancati.
Labbra serrate.
Respiro affannoso.
Cosa succede?
Cos’è l’equilibrio?
Cosa sono le certezze?
Anni anni e anni per costruire qualcosa per cercare di trovare il proprio spazio per mantenere un minimo di stabilità per non crollare da quel filo sottile che è la nostra vita. E poi? Tutto ti cade addosso il filo si spezza inciampi mi ero costruita un angolino, il mio pezzo di stabilità, ero riuscita a trovare il mio modo di stare al mondo rimanendo immobile con i piedi rinchiusi in quella piastrella che era l’unica certezza che avevo nella mia vita ho faticato così tanto per non farmela sfuggire per non finire nelle fughe delle piastrelle le fessure infuocate che temono i bambini e che temo anche io. Per una volta una sola dopo anni ho tentato di sporgermi ho fatto uscire le braccia dai confini ho provato ad ascoltare il soave canto delle sirene che mi chiamava fuori dal mio spazio e voleva tentarmi ad affrontare la ricerca di qualcosa di più. Mi sono sporta ma non ne sono mai uscita perché io ho bisogno di certezze non è vero non mentirmi anche tu con quel tuo sguardo ceruleo hai bisogno di certezze tutti noi abbiamo bisogno anche solo di un’unica certezza a cui rimanere aggrappati perché non sappiamo vivere librandoci in aria o saltando da una piastrella all’altra necessitiamo il nostro posticino sicuro, l’ancora salvavita. La mia intera vita è stata un’inutile ricerca di stabilità invece no basta un leggero soffio di vento e tutto ti crolla addosso. Ho tentato di sporgermi lo giuro io ho provato ad uscire con qualcuno ma poi sono sempre tornata nel mio quadrato sicuro e non so cosa fare non so cosa sia giusto e cosa no e ora tu mi guardi così e non so come abbiano fatto le mie ginocchia a non cedere e non so se debba rimanere qui nel mio piccolo quadrato o se la cosa migliore sia davvero cominciare a correre cercando di evitare le fughe per allargare il mio spazio sicuro per smettere di rimanere in bilico su un filo ma io ho paura di cadere e di quel filo ho bisogno o forse no non lo so. Ecco, lo vedi, mi togli tutte le certezze mi fai venire voglia di buttarmi ma io non voglio bruciarmi di lava nella mia vita ce n’è stata fin troppa e come faccio a lasciare il mio dolore e la mia mente nelle tue mani quando tutta la mia vita è stata una bruciatura? Come puoi assicurarmi che davvero esistono cose che durano? Come posso abbandonare il mio filo quando ogni volta che l’ho fatto sono caduta? Non mi mentire con quello sguardo limpido io lo so che nulla dura perché l’ho provato sulla mia stessa pelle e l’unico modo per riuscire a sopravvivere è cercare di non cadere ed io non so se voglio rischiare di precipitare. Anzi no lo so a me il rischio non piace perché il rischio diventa sempre realtà e a me non va più di cadere ma poi ti guardo e sento che mi stai leggendo dentro secondo me stai capendo tutto ciò che mi passa per la testa o forse no non lo so non so più nulla come faccio a non baciare quelle tue labbra inarcate in quel meraviglioso sorriso come faccio a rimanere qui da sola nel mio quadrato. Potresti entrare anche tu nella mia piastrella se solo fosse più larga invece no per due non c’è posto ci sono solo io e il mio filo che è talmente sottile da non poter sopportare il peso di un’altra persona e non so più cosa voglio e forse non l’ho mai saputo ma più ti guardo e più mi sento sciogliere e più vorrei tentare di lasciarti tra le mani tutto il mio passato i miei peccati i miei dolori e le mie paure perché forse davvero esistono cose che durano o forse no io non lo so ti prego guardami e dimmi che alcune cose durano solo che non so se mi stai capendo non so cosa stia succedendo quanto tempo è passato da quanto ti fisso come un pesce lesso da quando non riesco ad aprire bocca da quanto i tuoi occhi mi stanno facendo venire sempre più voglia di guarire?







-Sono disposto ad andarmene, anche ora, mi basta che tu mi dica la verità. Non trovare una scusa perché io lo so che sei combattuta, lo so che hai paura.
-Come lo sai?
-Te lo leggo negli occhi.








Angolo dell'autrice
Oggi più che mai ho bisogno di questo spazio. Lo so che aspettavate la vera reazione di Emma, l'eventuale cena o la possibile porta in faccia. Lo so, ed è esattamente ciò che volevo fare: infatti questo capitolo non era previsto, è nato per caso. Vi spiego - perché è inutile negarlo, un minimo di spiegazione è necessaria e anche dovuta - io faccio danza da tanti anni, è il mezzo che io uso per stare al mondo. Oggi credo di aver partecipato ad una delle lezioni più belle della mia vita. Si parlava proprio di certezze e di equilibrio. Quando l'insegnante ha spiegato il senso della coreografia e l'interpretazione che aveva dato alla canzone, oltre a pensare a come interpretare il tutto e fare mio il messaggio (non so se sia chiaro), ho pensato che la questione fosse inquietantemente aderente al personaggio di Emma e alla sua situzione. La coreografia non era meravigliosa solo concettualmente ma anche a livello emotivo. Ho scritto il capitolo di notte non perché sono pazza ma perché non volvevo perdere quell'emozione. Ho ricreato l'ambiente ascoltando la canzone mentre scrivevo (se vi interessa è Heal di Tom Odell) ripensando alla coreografia, tentando di rivedere davanti a me chi la eseguiva e ho buttato giù tutto di getto. La punteggiatura non è quasi inesistente perché sono impazziata o perché ho sonno, in realtà volevo ricreare i pensieri nel modo più veritiero possibile. Avete presente quando il cervello è talmente affollato e incasinato che i pensieri si accavallano l'uno sull'altro. Ecco, il senso voleva essere questo.
Io lo so che leggendo questo breve capitolo non proverete mai ciò che ho sentito io oggi, ma spero di essere riuscita in parte a ricreare in voi quell'emozione che oggi ha fatto piangere me. E sì, sto ancora ascoltando la canzone e tentando di spiegare l'inspiegabile ho riaperto il cassetto delle emozioni ancora di più di quando stavo scrivendo il capitolo ed ora gli occhi bruciano di pianto, di nuovo.
Smetto di sproloquiare, giuro.
Spero davvero che questo caos vi sia piaciuto e che non siate troppo delusi per le risposte che cercavate e che non vi ho dato.
Alla prossima
Erika

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Capitolo 13
*** "La fortuna che abbiamo" ***


Capitolo 13
"La fortuna che abbiamo"



“Però non hai risposto alla mia domanda.”
“Non pensare che sia uno stalker. Credo che per capire esattamente cosa sta succedendo dovresti chiedere a Henry.”
“Henry? E cosa c’entra lui con te?”
Si udì un urlo dall’altra stanza. Henry chiamava sua mamma con una certa insistenza.
“L’ho chiamato io. Ho capito che avevi rinunciato a qualcosa e ho fatto due più due. Quindi ora voi due uscite a cena.”
“Noi due cosa? Ragazzino, sei impazzito?”
Crac. Il suono emesso dal cuore di Killian nell’udire quella frase.
“Mamma, non mentirmi, lo so che dovevi uscire con lui. So anche che non l’hai fatto a causa mia e so che sei troppo orgogliosa per ammettere che io non c’entravo proprio nulla. Vai e basta.”
Emma davvero non capiva. Le era sembrato che Henry non apprezzasse Killian, invece la stava spingendo tra le sue braccia.
Poco convinta si avviò verso la porta assicurandosi di mandare a quel paese Regina per aver fatto tutto quel casino di nascosto e, soprattutto, per averle fatto indossare i tacchi.


La macchina di Killian era davvero bellissima, Emma credeva di non essersi mai seduta su dei sedili più comodi. Era convinta che si potesse dormire meglio lì che sul suo letto.
Si avviarono verso il ristorante scelto da Killian.
“Ti dispiace se fumo una sigaretta?”
“No figurati, fai pure.”
Aprì il finestrino e si portò la sigaretta alle labbra.
Dio, se erano belle quelle labbra!
“Non sei convinta, non è vero?”
“Di che parli?”
“Sai, avevo avuto paura della tua reazione. Ti ho capita, sai, vuoi avere tutto sotto controllo, così pensavo ti saresti arrabbiata, e non poco.”
Le piaceva quell’intercalare che usava. “Sai”, lo diceva sempre.
“Certo se foste stati tu o Regina ad organizzare il tutto, sicuramente vi avrei preso a padellate in testa. Ma come si fa a dire di no ad Henry? Non avrei mai potuto arrabbiarmi con lui.”
Killian immaginò Emma correre per la casa con una padella in mano e a stento trattenne una risata.
“Allora perché non sei convinta?”
“Chi ha detto che non sia convinta?”
“Stai fumando Swan, in questi mesi non ti ho mai vista farlo. Sei agitata.”
Emma davvero non capiva come facesse quell’uomo a leggerle dentro così.
Il silenzio imbarazzante che seguì venne riempito dal suono proveniente dalla radio. Ed era strano: per loro il silenzio non era mai stato imbarazzante, anzi, tutto era nato dal silenzio. Il suo cervello incasinato le stava portando via anche ciò che l’aveva fatta sentire appagata in quei mesi.
Tu sei molto abile a stanarmi e a fare uscire fuori sempre troppo di me.
Anche la musica si prendeva gioco di lei. Il fato le stava mandando un messaggio. Ciò che le mancava era quale fosse la giusta interpretazione: era una cosa buona che Killian la capisse così?
Resto ferma sopra il ponte levatoio che si è appena abbassato e non so ancora se tornare indietro da sola un’altra volta oppure attraversarlo con te.
Okay, dovevano cambiare stazione radiofonica. Quella canzone la stava uccidendo. Il suo cervello già era incasinato, se poi anche i cantanti volevano farla pensare alle sue paure…
Se correre in discesa fa paura quando manca l’aderenza…
“Swan, sta parlando di te.”
Come diavolo faceva? In quella macchina c’era forse qualche marchingegno strano che era in grado di leggere il pensiero? Era forse uno stregone?
Puoi prendermi le braccia e immaginare siano freni di emergenza.
“Questo invece sono io”
E lì capì che pensare era inutile quando aveva la fortuna di avere al proprio fianco un uomo così. Ciò non faceva sparire le sue paure, non le bastava una frase detta così, commentando una canzone, ma era sempre un inizio e lei era stanca di scappare.
Gli sorrise, era la miglior risposta che potesse dargli. Lei non era brava con le parole, non lo era mai stata.


Emma rimase incantata davanti alla bellezza del ristorante scelto da Killian. Non era forzatamente elegante, anzi. Era molto moderno e semplice, non cadeva negli eccessi. Il pavimento era ricoperto di grandi piastrelle bianche; Emma si chiedeva come facessero a mantenere quel bianco candido così pulito. I muri avevano delle piastrelle di un grigio molto chiaro che colpirono Emma particolarmente: erano piastrelle ma sembrava fossero dei mattoncini irregolari ed erano fatte a regola d’arte, sembravano veri mattoni.
L’intero arredamento si basava su una scala di grigi, andando dal bianco al nero, fatta eccezione per le tovaglie che, invece, erano rosse dando così vitalità alla sala. Su un lato c’era un bancone dove venivano poggiate le portate, avevano un aspetto davvero invitante.
Il cameriere li accompagnò ad un tavolo piuttosto appartato. C’era una colonna a coprirli e sembrava quasi di stare da soli. Le piaceva quella posizione ma le toglieva il senso di protezione le dava l’avere persone intorno.
Killian la fece accomodare tirandole indietro la sedia come tutti gli uomini nei film romantici, quelli che Emma aveva sempre preso in giro, ma quel gesto fatto da Killian le fece molta tenerezza e non si spiegava il perché.
“Wow, da dove viene fuori tutta questa galanteria?”
Aveva bisogno di dire qualcosa per smorzare la tensione che si era formata, così disse la prima idiozia le venne in mente.
“Sono un gentiluomo, da sempre. Forse dovrai farci l’abitudine.”
“Non mi pare che la prima volta che ci siamo visti fossi così cortese, quindi non sei un gentiluomo ‘da sempre’. Hai forse preso delle lezioni per uscire con me?”
“Tesoro, non ho bisogno di prendere lezioni per sapere come sedurre una donna, ho un talento naturale.” Le disse alzando il sopracciglio. Doveva smettere di fare quella faccia o Emma gli sarebbe saltata addosso.
“Anche l’essere modesto ti viene naturale.”
“Modestamente.”
Finalmente tra loro era tornato tutto normale. Si punzecchiavano come una coppia di amici e Killian adorava poter uscire con una donna e poterci scherzare e prendersi in giro a vicenda. Non amava le coppie perfettine, quelle ingessate che dovevano per forza mostrare il loro lato migliore ed elegante all’altro. Secondo lui un primo appuntamento passato a chiedersi “cosa fai nella vita?”, “cosa ti piace?”, non era assolutamente paragonabile ad una serata passata con leggerezza e ilarità.
Poi la risata di Emma aveva un suono così bello, non poteva lasciare che diventasse seria.
In quel ristorante servivano principalmente pesce ed Emma non stava più nella pelle: aveva sempre adorato il pesce ed erano secoli che non ne mangiava. Leggendo il menù era attanagliata dall’indecisione, era tutto così invitante.
Decisero entrambi di prendere un antipasto e un secondo. Tartare di salmone per Emma, di tonno per Killian. Per secondo Emma scelse del tonno con aceto balsamico mentre Killian optò per dello spada con pomodorini e olive.
La serata trascorse meravigliosamente, tra risate di entrambi e gli sguardi languidi di Killian. Emma aveva un problema con gli occhi di quell’uomo. Stava perdendo la ragione per lui, si sentiva una sedicenne alle prese con la sua prima cotta. Non che fosse qualcosa di molto diverso, dato che era stata lontana per 10 anni da qualsiasi tipo di relazione di durata superiore alle dodici ore. Aveva dimenticato come fosse l’amore. Amore poi, che parola grossa, era solo molto presa da lui, e non sapeva neanche perché ne fosse così attratta, ma giunta a quel punto non le interessava più, le piaceva ciò che sentiva e questa era la cosa importante.
“Swan, ti va un dolce?”
“Non so, fammi leggere cos’hanno.  Oh mio dio! Hanno il tortino con il cioccolato fuso, potrei morire per uno di quelli.”
“Swan, hai per caso un problema con il cioccolato?”
“Mh… forse.”
Le portarono il suo dolce servito su un piatto trasparente cosparso di zucchero a velo. Quello doveva essere il paradiso.
Ne prese un pezzo con la forchetta , lo portò alle labbra. Dio, era fantastico. Chiuse gli occhi e era convinta di aver fatto qualche strano verso involontariamente. Infatti, non appena aprì gli occhi, si trovò davanti Killian che la fissava con uno sguardo indecifrabile. Arrossì visibilmente.
“No no, continua pure. Sei uno spettacolo niente male.”
A quel punto il rossore diventò impossibile da nascondere.
“Scusami, io e il cioccolato abbiamo una relazione molto fisica.” Gli sorrise. Doveva smorzare l’imbarazzo di quel momento.
“Lo vedo.” Le si avvicinò poggiando il pollice sulle sue labbra. “Sei sporca di zucchero” disse.
Emma rimase immobile a fissarlo, non si aspettava un contatto così ravvicinato, non in quel momento. Quando lui si staccò da lei cercava di riprodurre mentalmente la sensazione della sua pelle sulle sue labbra, ma non era la stessa cosa.
Dopo aver pagato la riportò a casa. Questa volta durante il tragitto non ci fu alcun tipo di silenzio imbarazzante, anzi.
Killian mise su un CD. Ben Howard. Emma davvero non se lo aspettava da Killian. Credeva fosse un tipo da hard rock, non da indie. Cantarono insieme, sembrava un viaggio fatto dopo un uscita di gruppo tra amici, invece erano loro due e seppur così diversi erano simili, si capivano.
Arrivati sotto casa di Emma arrivò il momento del distacco, quello che nessuno dei due volevano arrivasse.
“Killian, voglio dirti una cosa.”
“Dimmi.”
“Non sono uscita con te solo per non deludere Henry, prima mi ero espressa male e non voglio che tu pensi che l’abbia fatto per questo. Sono uscita con te perché volevo farlo.”
Detto questo Emma posò una mano sul petto di Killian, poi poggiò le sue labbra su quelle di lui.
Lui ne rimase sorpreso, non pensava sarebbe stata proprio Emma a prendere l’iniziativa. Per quanto credesse di capirla, in realtà trovava fosse davvero sorprendente, quasi imperscrutabile.
Assaporò le sue labbra, poi la sua lingua. Sapeva di cioccolato, era buona. Smosse i suoi capelli con una mano; liberarono un intenso profumo di cannella, avrebbe potuto annusarli per sempre.
Quel bacio era iniziato in modo così delicato che sembrava impossibile la potenza passionale di cui di era poi intriso. Il calore si propagava per i loro corpi, un brivido percorse la schiena di Emma quando Killian le morse il labbro inferiore. Era difficile separarsi arrivati a quel punto, ma sapevano di doverlo fare.
Fu il bisogno di respirare a farli separare, rimanendo vicinissimi. Occhi dentro occhi.
“Killian, è arrivato il momento di andarmene.” Sussurrò sulle sue labbra.
“È davvero necessario?”
“Eh già.” Baciò nuovamente le sue labbra poi aprì la portiera.
“Ci vediamo, Killian.”
“È una promessa?”
“Forse.”
 



Entrata in casa, si chiuse la porta alle spalle, cercando di far meno rumore possibile, e vi si poggiò contro.
Aveva un sorriso idiota stampato in faccia. Era una quindicenne in quel momento, e le andava bene così.
“Allora, com’è andata?”
“Ma sei pazza?! Mi hai fatto prendere un colpo! Perché sei lì al buio?”
“Dovevo placcarti in qualche modo. Comunque non mi hai risposto, anche se non credo ce ne sia bisogno, la tua faccia parla da sola.”
“Cosa vuoi dire?”
“Era tanto che non ti vedevo sorridere così.”







Angolo dell'autrice
Tadaaan! Ho fatto prestissimo, è un miracolo. Mi sembrava anche doveroso far scorrere la trama dopo lo scorso capitolo di stallo. Tra l'altro in questi giorni la fortuna è dalla mia parte: la canzone utilizzata, per quanto sia impossibile che venga ascoltata a Boston, è uscita due giorni fa e nelle parti citate mi ha ricordato un po' Emma e Killian, così ho deciso di utilizzarla. Ormai questi capitoli stanno diventando delle song-fic. Btw, la canzone è "La fortuna che abbiamo" - ecco da dove viene il titolo - di Samuele Bersani aka l'uomo della mia vita.
Spero veramente che il capitolo vi sia piaciuta, alla prima o poi con il prossimo.
Erika.

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Capitolo 14
*** Non avessi né occhi né orecchi ***


Capitolo 14
Non avessi né occhi né orecchi





- Buongiorno campione! Dormito bene?
- Robin avanti, non girarci intorno. Chiedimi quello che vuoi e facciamola finita.
- Davvero posso? Sul serio? Sei per caso impazzito?
- Chiedimi quello che vuoi, credo che sia arrivato il momento… E, soprattutto, penso di potertelo dire.
- Con chi stai uscendo?
- Con Emma e, veramente, non è che stiamo proprio uscendo. A dir la verità ieri è stata la nostra prima uscita vera e propria.
- Com’è andata?
- Meravigliosamente. Lei è fantastica, con lei riesco a parlare come vecchi amici, non è stato il classico “primo appuntamento”. È stato colmo di risate e la sua ha un suono celestiale. Sai che quando ride le vengono delle fossette sulle guance? Sono così tenere. Poi dovresti vedere come guarda il suo cibo, ha lo sguardo di chi ha paura che gli venga portato via ciò che ha di più caro al mondo. Si vede che le piace mangiare e non puoi capire quanto mi piaccia questa cosa, che si senta libera con il cibo, che le brillino gli occhi quando guarda il cioccolato. E poi profuma, mi nutrirei del suo odore, sa di cannella. E le sue labbra sono così morbide… non ridere cretino, non quelle labbra.
- Non ridevo per quello, è che stavi sproloquiando e non è da te.
- E con ciò?
- Con ciò sei innamorato.


Un caldo abbraccio, un morbido e caldo abbraccio. Era distesa in paradiso, il piumone non era mai stato così accogliente e il suo cuscino le avvolgeva la testa così bene, sembrava pensato proprio per contenere i suoi capelli dorati. Non si sarebbe più alzata da lì, aveva deciso. Caldo e profumo di caffè. PROFUMO DI CAFFÈ. Doveva alzarsi, immediatamente.
Si avvicinò scalza alla cucina, non aveva voglia di cercare le pantofole, non le importava del freddo, il caffè oltre a scaldare il suo stomaco avrebbe scaldato anche i suoi piedi. Lo aveva deciso e non avrebbe cambiato idea.
- Buongiorno Emma, credevo non ti saresti più alzata dal letto.
- Regina, cosa abbiamo detto riguardo il parlarmi appena sveglia prima che abbia bevuto almeno un paio di sorsi di caffè?
- Che lo trovi già pronto vicino al lavello.
Era difficile imporre qualcosa a Regina, ma il suo essere insopportabile la mattina vinceva contro la testardagine della mora.
Versò il liquido scuro nella tazza che portò alle labbra. Il nettare degli dei scaldo le sue membra, si sentiva già molto meglio. Anche i suoi piedi erano più caldi, o forse stava solo tentando di autoconvincersi di ciò.
- Bene, ora posso parlare. Hai intenzione di dirmi qualcosa riguardo ieri sera o c’è bisogno di chiuderti in una stanza come fanno negli interrogatori delle serie tv?
- Qualcosa tipo cosa?
- Non so… com’è andata, per esempio.
- È andata bene.
- Bene? Tutto qui? Non una parola in più?
- Sì, è andata bene. Tutto qui.
- Non me la racconti giusta, il sorriso di ieri sera diceva qualcosa di più.
- Non lo so, Regina.
- Fammi capire, non sai cosa provi o non vuoi saperlo?
- Che vuol dire? Se non lo so, non lo so.
- Buon segno, era da tanto che non ti vedevo così. Finalmente stai riaprendo il tuo cuore. Ne hai bisogno Emma.
- Non lo so, Regina.
- No aspetta, che vuol dire ora “non lo so”?
- Io ho paura.
Regina si avvicinò ad Emma, le prese il viso tra le mani e la avvicinò di più. Non capitava spesso che si trovassero così vicine, Regina era tutto meno che una persona espansiva. Bastò questo ad Emma per capire che la sua amica era estremamente emotivamente coinvolta. La ringraziò con lo sguardo per questo. Per quanto strano fosse il loro rapporto, Regina era la sua roccia.
- Tesoro, guardami negli occhi. Ho visto il tuo viso ieri: splendevi. Capisco che sia difficile per te dopo tutti questi anni, ma non puoi rimanere nascosta per sempre, non puoi continuare a scappare come quando eri piccola. Prova a buttarti nelle cose.
Emma aveva gli occhi lucidi, tentò di ricacciare indietro una lacrima. Fortunatamente ci riuscì. Non voleva piangere.
- Io esco.
- Che vuol dire esci? È dicembre, fa freddo. E poi non abbiamo finito.
- Oh si che abbiamo finito. Vado al parco a disegnare.
Regina la guardò dirigersi verso la sua stanza. Non insistette, la conosceva: aveva capito. Andava a disegnare quando aveva bisogno di riflettere sulla sua vita, lei lo sapeva, così la lasciò fare.



Emma non si capiva, non ci era mai riuscita. L’unico modo che la aiutava a conoscersi era ascoltare brani di pianoforte e contrabbasso, svuotare la mente e cominciare a disegnare. Senza pensare, pensava fin troppo durante la sua vita. Probabilmente in quei momenti il suo subconscio prendeva il sopravvento, liberando ciò che lei non era in grado di vedere, gli angoli più bui e inesplorati della sua anima.
Le note tristi della Nocturne di Tchaikovsky risuonavano nelle sue cuffiette.
Chiuse gli occhi, respirò a fondo.
Poteva cominciare.
Impugnò la sua matita e cominciò a tracciare delle linee imprecise sul suo blocco da disegno. Non aveva importanza che il risultato avesse visivamente senso, ciò che importava era che la sua mente capisse i sentimenti che ignorava.
A volte tracciava quelle linee perfino ad occhi chiusi, abbandonandosi al suono della musica, lasciandosi accarezzare dal freddo vento di dicembre.
Continuò per minuti, ore, forse persino giorni. In quei momenti il tempo non esisteva, era solo lei con se stessa, la lei razionale che tentava di fare amicizia con la lei emotiva.
Guardò il risultato. In quell’ammasso di linee insensate riusciva chiaramente a vedere due occhi e un paio di orecchie. Sparse sul foglio c’erano parole che doveva aver letto da qualche parte tempo prima, neanche ricordava a chi appartenessero.
*“Se non avessi occhi e solo orecchi, come amerebbero questa bellezza interiore e invisibile! Se fossi sorda, il tuo aspetto esteriore mi commuoverebbe ogni parte rimasta sensibile: e anche non avessi né occhi né orecchi, e non potessi udire né vedere, mi basterebbe toccarti per essere innamorata di te.”
Una lacrima scivolò silenziosa sulla sua gota. Aveva capito, finalmente anche la sua parte razionale lo sapeva: Regina aveva ragione.





* La strofa in questione sono i versi 433-438 del Venere e Adone di Shakespeare. Ho cominciato a scrivere (tecnicamente riscrivere, il pc si è preso gioco di me) il capitolo dopo una lettura notturna dell'opera e volevo assolutamente citare questa strofa nello specifico che mi ha rubato il cuore.









Angolo dell'autrice
Secoli che vi faccio attendere e capitolo parecchio breve. Lo so, scusatemi. Un insieme di impegni, conincidenze sfortunate e serie tv hanno impedito la stesura di questo capitolo prima di oggi (aka questa notte). Non sto ad annoiarvi con i miei casini, spero semplicemente che il capitolo vi sia piaciuto nonostante la sua scarsa lunghezza.
Francamente non so quando riuscirò a rifarmi viva, spero di riuscire a pubblicare un capitolo prima dell'inizio di luglio in quanto starò poi fuori tutto il mese senza pc e manderò in "pausa estiva", diciamo così, questa ff.
Non odiatemi.
Alla prossima, Erika.
 

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