Ciò che vede oltre la punta della spada

di SonLinaChan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'ultima battaglia ***
Capitolo 2: *** Il peso della colpa ***
Capitolo 3: *** Cambiamenti ***



Capitolo 1
*** L'ultima battaglia ***


L'ultima battaglia

L'idea per questa raccolta è nata dal fatto che, leggendo e adorando i romanzi di Slayers, mi è venuto spesso da chiedermi cosa pensasse Gourry in determinate scene. ^^ Ogni drabble sarà preceduta da una breve traduzione della scena a cui fa riferimento (per i riassunti dei romanzi, rimando invece al sito di QP Diana... purtroppo, solo per metà sono tradotti in inglese e ancora non esiste una traduzione italiana. ) Il titolo della raccolta si richiama invece allo spin off scritto da Kanzaka su Gourry. 

Come sempre, commenti e critiche sono graditi! ^^

Da Kanzeil giunse una strana risatina raschiante. I suoi occhi giganteschi si rilassarono e sembrò quasi sorridere, se è possibile sorridere senza una bocca. Levò l’indice e lo puntò dritto verso di me.
Il raggio magico partì nuovamente, trafiggendomi il fianco. La voce mi si bloccò in gola, mentre crollavo al suolo, piegandomi su me stessa per il dolore.
“Smettila!” Gridò Gourry, correndo furiosamente verso Kanzel, la Spada di Luce fiammeggiante.
Kanzel stava mantenendo la sua promessa: mancando tutti i miei organi vitali, mi stava torturando a morte.
Il dolore al fianco confondeva i miei sensi e mi annebbiava la vista. Kanzel arrestò il suo attacco per un momento, solo il tempo necessario perché riguadagnassi coscienza e, presumibilmente, potessi avvertire il dolore.
Lanciò un altro raggio, questa volta nell’altro fianco. Sussultai, e arcuai la schiena, mentre un grido silenzioso mi esplodeva nella mente.
Gourry gridò qualcosa e tirò un eccellente colpo di spada. Ma un istante prima che colpisse il suo bersaglio, un muro di oscurità avvolse Kanzel, riparandolo e respingendo l’attacco.
“Smettila, smettila, SMETTILA!” Gridò Gourry.
Kanzel rise allegramente, mentre Gourry tirava fendenti con la spada.
“Sì…” Esclamò Kanzel. “Sì! Posso avvertire la tua rabbia, la tua disperazione! Come sei delizioso!”
Dovevo aver perso i sensi per un momento, perché, quando riguadagnai conoscenza, mi trovai rannicchiata fra le braccia di Gourry.
Non so come avesse fatto. Non solo Gourry era riuscito a ripararmi da ulteriori attacchi, ma mi aveva spostato fuori dalla portata di Kanzel.
“Lina!” Implorò Gourry. “Resisti! Lina!”
“G- Gourry…” Presi un respiro, lottando per capire nuovamente dove mi trovavo. Riuscivo a malapena a muovermi, e la mia vista era annebbiata dalle lacrime, ma ero consapevole di una cosa: non stavo per morire.
Gourry premette le labbra contro il mio orecchio. “Ascoltami.” Sussurrò, con voce roca. “Lina, devi USARLO.”
“Usarlo?” Mormorai, vagamente.
“Usa QUELL’incantesimo.” Insistette Gourry. “Il più forte che hai! Mi hai sentito? Usalo!”
QUELL’incantesimo? La mia mente tornò improvvisamente all’attenzione. Il Giga Slave era l’incantesimo più forte che conoscevo, ed ero probabilmente l’unica persona in grado di usarlo. Traeva il suo potere da un Mazoku ancora più forte di Occhi di Rubino: Lord of Nightmares. Infatti, avevo usato il Giga Slave per sconfiggere Shabranigdu.
Era un incantesimo molto più forte del Dragon Slave, e persino Kanzel, quel presuntuoso bastardo, probabilmente non vi sarebbe sopravvissuto. C’era una controindicazione, però. Una grossa controindicazione.
Io.
“Non posso.”Sussurrai a Gourry.
“Perché no?”
“Non posso controllare l’incantesimo così ferita. E se non posso controllarlo, è un rischio troppo grande. Potrei uccidere TUTTI.”
E quando dicevo che avrei potuto uccidere tutti, intendevo TUTTI. Non solo me, Gourry, Kanzel, e gli abitanti di Sailune. Intendevo TUTTI QUELLI CHE C’ERANO SULLA TERRA.
E dal momento che il Giga Slave assorbe una grande quantità di energia vitale da chi lo lancia, sapevo che avrei potuto rimanere uccisa solo tentando di lanciare quel dannato coso. Riflettei per un momento.
“Hai qualche altra opzione?!” Chiese Gourry, febbrilmente.
“Sì…” Farfugliai. “… ma…”
“Niente ma!” Esclamò. “Fallo e basta!”
Bene, era stato Gourry a chiederlo, ed ora non c’era modo di tornare indietro.

Slayers – La battaglia di Sailune

 

 

Ad ogni colpo che la raggiungeva, una scossa di dolore fisico attraversava anche il mio corpo. Mi sentivo soffocare. Non potevo fare nulla, e lui la stava uccidendo. La stava uccidendo.

Mi stava uccidendo.

“Smettila!”

Mi lanciai in avanti, agitando la spada verso di lui.

Rimbalzò contro il suo scudo di tenebra e il contraccolpo mi respinse lontano. Dovetti lottare per non finire a terra. Piantai i piedi al suolo per mantenere l’equilibrio e barcollai per diversi istanti, prima di poter partire nuovamente all’attacco. Nel frattempo, l’attenzione del mio avversario tornò a concentrarsi su Lina.

“No!” La paura e il senso di impotenza mi privarono del fiato.

Non mi vedeva. Evitava i miei colpi e mi scacciava, pigramente, come un insetto fastidioso, ma non considerava quasi la mia presenza. Se solo fossi stato anche io un suo obiettivo, se solo avesse avuto l’ordine di uccidermi, avrei potuto attirare la sua attenzione, farmi colpire, permettere a Lina di guarirsi o di scappare… ma così non ero in grado di fare nulla per lei. Nulla.

Scattai in avanti, per tentare un nuovo attacco. Al mio movimento, il demone volse nuovamente i suoi occhi enormi verso di me e io ebbi un guizzo di speranza, credendo che avesse finalmente deciso di combattermi seriamente.

Poi, lo vidi sorridere, del suo strano sorriso senza espressione, e capii cosa intendeva fare. E il sangue mi si gelò nelle vene.

Levò la mano verso Lina e un altro raggio di luce partì dalle sue dita. Per qualche terribile istante, pensai che la avrebbe colpita a un organo vitale e che sarebbe stata la fine. Quando il colpo la raggiunse al fianco, per un secondo provai quasi sollievo. Poi, però, scorsi il dolore lancinante dipinto sul suo viso pallido, e i miei pensieri persero ogni coerenza.

“Prendi me!” mi trovai a gridare, follemente, mentre mi scagliavo verso di lui. “Prendi me, uccidi me!”

La mia spada lo raggiunse e pensai quasi che sarei riuscito a colpirlo. Ma all’ultimo, proprio all’ultimo, lo scudo di oscurità dietro cui continuava a cercare riparo lo schermò nuovamente e mi trovai a fendere il vuoto. Aveva atteso apposta che mi avvicinassi, per godere della mia disillusione, o lo avevo davvero mancato di poco? Non potevo saperlo.

“Smettila, smettila, SMETTILA!” gridai, la voce roca di disperazione, mentre continuavo inutilmente a colpire l’aria.

Kanzeil scoppiò a ridere. Una risata allegra, che mi ferì più di un pugnale.

“Sì! Sì! Posso avvertire la tua rabbia, la tua disperazione! Come sei delizioso!”

Mi feci avanti nuovamente e ancora una volta lo mancai di un soffio. Approfittai dei pochi istanti che impiegò per mettersi a distanza di sicurezza da me per arretrare e lanciare uno sguardo a Lina, sopra la mia spalla. Non si muoveva più. Volevo correre da lei per accertarmi delle sue condizioni, ma non potevo abbandonare la mia posizione. Ero il suo unico schermo agli attacchi del demone.

“Pare che il nostro oggetto di contesa ci abbia abbandonato.” rise nuovamente il demone, seguendo il mio sguardo. “Ora dovrò aspettare che si riprenda, perché sia di nuovo sensibile ai miei attacchi. Ma non mi lamento. Credevo che mi sarei dovuto accontentare di cavare fuori da quella ragazza qualche stilla di dolore fisico con le mie torture, e invece tu, con la tua scelta di restare a combattere, mi stai offrendo un vero banchetto. Anche se non avessi avuto l’ordine di non uccidere altri umani, credo che ti avrei comunque risparmiato, uomo.” Sorrise, nuovamente. “Sei innamorato di lei, non è vero? E’ così chiaro. Non vedo l’ora di sentire cosa proverai, quando la osserverai morire.”

Le mie viscere mi si torsero.

Pensai a tutti i compagni d’arme che erano caduti di fronte ai miei occhi, negli anni in cui mi ero trovato in guerra. Amici, con cui solo poche ore prima avevo riso, parlato, giocato a carte, e che avevo visto precipitare al suolo sotto la pioggia delle frecce o trafitti da un colpo di spada, gli occhi spalancati nel gelo della morte. Ma nulla, nulla di quello che avevo provato allora era paragonabile al dolore e al terrore che mi affliggevano in quel momento. Era come se a ogni attacco di Kanzeil contro Lina parte della mia vita mi venisse risucchiata via.

“Non ti permetterò di farlo!” ringhiai, disperatamente.

Agitai la Spada di Luce, senza muovermi. Stavolta, invece di seguire il movimento dell’elsa, la lama si staccò, fiammeggiando verso Kanzeil.

Il demone evidentemente non si aspettava quel trucco. Riuscì a evitare di essere colpito in pieno, ma un istante prima che sparisse lo sentii soffocare un gemito. Dovevo essere riuscito a ferirlo.

Chiusi gli occhi, prendendo un profondo respiro. Avevo una sola possibilità e dovevo affidarmi all’istinto per non sprecarla. Spesso, senza rendersene conto, i miei avversari ripetevano gli stessi pattern di attacco e di difesa, mentre ci scontravamo. Questo, alla lunga, rendeva i loro movimenti parzialmente prevedibili ai miei occhi. Mi augurai che il demone non facesse differenza.

Un istante prima che si materializzasse, mi scagliai verso il punto in cui immaginavo avrebbe ripreso forma. Ebbi fortuna, forse, ma lo indovinai in pieno. Il suo grido perforò l’aria, quando la mia lama di luce gli trapassò un braccio. Scomparve e riapparve a diversi metri di distanza, piegato su se stesso.

Sapevo che quella ferita non lo avrebbe bloccato per molto. Non persi tempo e inciampando, arrancando, mi affrettai verso Lina. Prendendola fra le braccia, avvertii il calore del suo corpo contro il mio, e mi parve la sensazione più rassicurante che avessi mai provato.

Avrei voluto stringerla a me e scappare, ma combattei quell’impulso e mi imposi di restare fermo. Kanzeil si sarebbe rirpreso in fretta e non ero così sciocco da pensare che avremmo potuto cavarcela, se lei non avesse contribuito alla propria salvezza. Eravamo abili combattenti, da soli, ma se c’era una cosa che avevo imparato nei nostri mesi di convivenza era che eravamo molto più forti insieme. Avevo bisogno delle sue idee e della sua magia. Avevo bisogno di lei.

“Lina!”

Aprì gli occhi e mi fissò, con sguardo annebbiato dal dolore. Dovetti sopprimere il panico, prima di poter parlare nuovamente. “Lina! Resisti! Lina!”

“G… Gourry.” Lacrime istintive, di dolore, salirono ai suoi occhi. A quella vista, la gola mi si strinse. E se fosse stata più grave di quello che avevo pensato? E se ci fosse rimasto un solo tentativo di attacco, a disposizione?

Mi abbassai e premetti le labbra contro il suo orecchio. Fu la mia voce a parlare per me, prima che potessi frenarla. “Ascoltami.” sussurrai, con voce roca. “Lina, devi USARLO.”

Mi fissò, evidentemente senza capire. “Usarlo?”

“Usa QUELL’incantesimo.” Insistei. “Il più forte che hai! Mi hai sentito? Usalo!”

Nel momento in cui pronunciai quelle parole, mi resi conto dell’enormità del loro significato.

Ricordavo perfettamente Sylphiel, mentre con voce grave annunciava quali avrebbero potuto essere le conseguenze di quella magia. Ero perfettamente cosciente dei rischi che comportava, così come ero perfettamente cosciente del fatto che in quella situazione era solo la vita di Lina a essere a rischio, e nessuna minaccia al nostro mondo giustificava l’utilizzo di un mezzo tanto pericoloso. Eppure, non me ne importava.

Nella scelta fra Lina e il mondo, era Lina a vincere.

“Non posso.” sussurrò lei. Dallo spalancarsi dei suoi occhi, seppi che aveva compreso perfettamente cosa le stavo proponendo.

“Perché no?”

“Non posso controllare l’incantesimo così ferita. E se non posso controllarlo, è un rischio troppo grande. Potrei uccidere TUTTI.”

Mi morsi il labbro, in preda al panico. Non avevo pensato alla possibilità che il dolore per lei fosse troppo anche solo per tentare.

“Hai qualche altra opzione?” chiesi, in tono febbrile.

“Sì, ma…”

“Niente ma! Fallo e basta!”

Sapevo quanto pericolose fossero spesso le “opzioni” di Lina, ma nemmeno di quello mi importava. Ero a una svolta. Forse non ne comprendevo ancora pienamente la portata, ma lo ero. Una svolta per la vita.

E non c’era più modo di tornare indietro.

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Capitolo 2
*** Il peso della colpa ***


“Adesso smettila! Luke!”

“Ora… mi dirigerò a nord…”

Nemmeno la voce di Gourry era riuscita ad arrivare al cuore di Luke.

“No, Luke! Più continui ad agire così, più l’odio crescerà nel tuo cuore! Una volta ucciso il gran sacerdote di Keres… il tuo risentimento si rivolgerà verso di noi. E se anche uccidessi noi, poi toccherebbe a qualcun altro. E in ultimo, finiresti per provare rancore anche verso te stesso. Se ti abbandonerai all’odio, se anche raderai completamente al suolo questa città, il tuo cuore non sarà soddisfatto!”

“E se… e se fosse toccato a voi…? E’ facile dire “sopprimi questi sentimenti”… ma se voi vi trovaste al mio posto? Se il vostro compagno fosse stato ammazzato da un idiota qualsiasi… e vi venisse detto di rinunciare al vostro odio, voi ce la fareste? Se vi venisse detto di smetterla, perché è inutile, pur capendolo, potreste farcela?”

“…”

Per me, non c’era modo di rispondere alla domanda di Luke.

Slayers- Odio a Sellentia

 

___

 

 

“Ho capito. Accetto.”

“Gourry?!” Alle sue parole, pronunciate con tanta sicurezza, alzai inavvertitamente la voce. “… aspetta un momento! Hai capito quali sono le condizioni?!”

“Lo ho capito.” replicò. Fissò i suoi occhi sui miei, con uno sguardo dolce. “Nemmeno io mi sento obbligato ad agire conformandomi al destino, o alla volonta del Maou… però… questa non è forse una cosa che ha deciso Luke? Qualunque cosa noi gli diciamo, probabilmente non cambierà mai idea. Solo lui conosce i propri sentimenti, e, in ultimo, solo lui può scegliere di mutarli. Perciò, a noi rimangono solo due possibili scelte. Accettare o non accettare. Solo queste. E se Luke ha intenzione di essere egoista… non trovi che anche per noi sia giusto accettare? …

“Ovviamente anche io non vorrei dover sacrificare Luke per la mia vita… però… se non accettiamo, se lo lasciamo fare… non vorrebbe dire anche quello affidarsi al destino, o alla volontà di qualcun’altro?”

“Però…” Mi sentivo sopraffatta da quelle parole.

“E poi, anche se per il momento noi tornassimo al nostro mondo… quanto ci metterebbero i Mazoku ad attaccare? Dovremmo preoccuparcene fino alla morte. In più…”

“Io sono la tua guardia del corpo. Non potrei mai lasciare il tuo futuro nelle mani del destino. Perciò… tutto ciò che è in mio potere fare, lo farò. Se per te è doloroso, Lina, non intervenire. Anche se sarò da solo… io lo farò.” 

Il tono di Gourry era definitivo. Con quelle parole, volse lo sguardo a Luke. Nei suoi occhi brillava la luce di una volontà che non poteva essere piegata.

Sospirai. “Sei furbo, Gourry…” mormorai. “‘Anche se è una battaglia persa datti da fare. Io me ne tiro fuori. Ci vediamo dopo.’ Lo sai che non potrei mai dire una cosa del genere, dopo che tu mi hai parlato a quel modo.”

Anche io non avevo intenzione di affidarlo al destino… il futuro mio e di Gourry – e il futuro di tutte le persone che avevo incontrato fino a quel momento. Lo sapevo. Se davvero esisteva qualcosa come il destino… quello e solo quello era il momento in cui avremmo potuto cambiarlo, con le nostre forze.

Slayers – Demon Slayers

 

___

 

Risuonò l’orribile suono di qualcosa di pesante che si abbatteva al suolo.

“Gourry! Gourryyyyy!”

Alle mie grida, il suo corpo si mosse, lievemente.

“Non è morto.” dichiarò il Maou, senza alcun accenno di emozione.

Ma certo. Temeva la collaborazione fra me e Gourry. Perciò, aveva finto di volermi attaccare per prima e aveva abbattuto Gourry, senza darci la possibilità di cooperare.

“Non è morto, ma non è nemmeno una ferita da nulla. Se mi sconfiggerai subito e lo riporterai nel vostro mondo per curarlo, potrebbe salvarsi. Ma se non lo farai… sai cosa accadrà, non è così?”

Se non l’avessi fatto… lui sarebbe morto.

Nell’istante in cui lo pensai… tutta l’aria parve venire risucchiata via dai miei polmoni.

Non avrei permesso che accadesse una cosa del genere. Mai.

Slayers – Demon Slayers

 

___

 

Qualcuno bussò alla porta.

“Sono io.”

La voce di Milgazia.

“Uh?” Gourry tentò di sollevarsi, ma io lo spinsi nuovamente sul letto, con la mano.

“E' aperto.” replicai, senza voltarmi.

Era finita. Gourry, ancora ferito, ed io eravamo tornati al nostro mondo, riapparendo al centro della città di Sailarg.

... beh, forse "città" non è il termine migliore, dal momento che era ancora in fase di ricostruzione, e le sue dimensioni erano più o meno quelle di un villaggio.

Grazie al cielo, Gourry non era ferito gravemente come avevo pensato inizialmente, ma in ogni caso lo avevo portato a una locanda, e lo avevo curato. Per tutta la notte. Per precauzione, ero rimasta su una sedia accanto a lui, mentre dormiva.

In quel momento, avevo appena finito di raccontargli cosa era accaduto dopo che aveva perso i sensi.

La porta si aprì, e due figure fecero il loro ingresso. Sapevo che si trattava di Milgazia e di Mephi.

“Ehi, ma che fine avevate fatto? Siete spariti così... eh? E' ferito?”

“Sta bene. Le sue ferite sono completamente guarite. Sta solo riposando, per precauzione.” risposi a Mephi, continuando a volgerle la schiena.

“Cosa... è successo?” fu la domanda di Milgazia. Rimasi in silenzio per qualche istante, quindi, lentamente, aprii la bocca.

“Abbiamo... sconfitto Shabranigdu. E' tutto.”

“Sha...”

“E'... la verità?” insistette Milgazia.

“Che ragione avrei di mentire?” replicai, in tono stanco.

“Se è la verità...” disse Mephi, in tono di ammirazione. “E' davvero grandioso. Immagino che ora dovremo chiamarvi Demon Slayers, eh?”

“Non abbiamo bisogno di un soprannome simile.” Sputai, la voce bassa.

Calò il silenzio.

“... prenderemo una stanza in questa stessa locanda.” disse Milgazia, in tono imbarazzato. “Ci farai un racconto più dettagliato... quando ti sarai calmata. Andiamo, Mephi.”

“V... va bene.”

Con un basso tonfo, la porta si chiuse. Sentii che si stavano allontanando.

“Lina…” mormorò Gourry, fissando il suo sguardo sul mio.

Mi aspettavo di sentirmi dire “non mi piace questo atteggiamento”, ma…

“Stai piangendo?”

“Non lo vedi? No che non piango.”

“Sì, lo vedo… e stai piangendo.”

“Ecco… mi fanno male gli occhi… e…” Mi interruppi a mezza frase. “… d’accordo, non è la verità. Sto piangendo.”

“Le tue versioni della verità cambiano piuttosto facilmente.”

“… è che… me ne sono resa conto ora… noi… non conoscevamo nemmeno il nome completo di Luke e Millina e… mentre lo pensavo… così… all’improvviso…”

“Va bene così. Piangi.” Gourry mi accarezzò dolcemente la guancia con la mano. “Qualunque cosa desiderasse Luke… è vero che noi gli abbiamo dato una mano… però…

“Gli esseri umani sono costretti ad andare avanti, per quanto numerosi siano i pesi che portano sulle spalle. Anche Rubia si sta facendo forza, mentre Luke… non è riuscito a vincere. Ma tu, Lina… tu hai la forza per farcela. Perciò, per ora… va bene così. Piangi.”

“Idiota…”

Dannazione a Gourry… era un idiota ma… in un momento strano come quello, riusciva a essere forte…

Così, solo per un po’… io, proprio io, piansi.

 

 

“Beh... direi che si è fatta ora di andare, Mephi.”

“D'accordo, zio.”

Presero questa decisione all'improvviso, a mezzogiorno, qualche giorno dopo l'incidente.

Gourry era ormai completamente guarito. Avevamo appena finito di pranzare nella sala da pranzo della locanda, e aveva consumato la sua consueta quantità di cibo, lasciando da parte, come al solito, il pepe verde.

Ora ci trovavamo nella via principale di Sailarg. Dico "strada principale, ma... beh, si trattava sempre di una città in ricostruzione. Le strade erano larghe, ma gli edifici erano radi, e si vedevano poche persone in giro. Nonostante questo, forse proprio perché la ricostruzione era in atto, vibrava di vita. Gli esseri umani, quando perdono tutto, soffrono. Ma poi si rialzano e vanno avanti, per costruire un futuro migliore. Sono davvero creature ostinate.

"Dite di dover andare... così all'improvviso... ma dove?"

"In letargo, magari?" mormotò Gourry, che stava camminando al mio fianco.

"..."

"Aaaaaah, scusami, scusami, non lo dirò più!"

Un'occhiataccia silenziosa da parte di Milgazia era stata sufficiente a fargli ritirare tutto.

Lo hai detto apposta, eh, Gourry?

Milgazia volse lo sguardo da Gourry a me. "L'incidente in sé è risolto, ma sono nati molto demoni di basso rango, e non sono ancora scomparsi." disse, nel suo consueto tono monotono di voce.

Naturalmente, avevo raccontato anche a loro due come erano andate le cose, nei giorni precedenti.

"Penso viaggerò di regione in regione con Mephi per un po', per eliminarli."

"Ne abbiamo già abbastanza con i Mazoku più potenti che ci sono in giro... come quello Xellos, e quelle due Mazoku..." disse Mephi a Milgazia. "A proposito, chi erano quelle due? Sembravano piuttosto potenti..."

"Non lo hai capito, Mephi? Qual era l'identità di quelle due?"

"Le conosci, zio?"

"Certo che le conosco. Erano la Beastmaster, Zelas Metallium, e Deep Sea Dolphin."

"EH?" ci lasciammo sfuggire Mephi ed io in coro, di riflesso.

"Ze... Ze..."

"Do... Do..."

"Erano più potenti di Xellos. E rimangono solo due Mazoku più potenti di lui." disse Milgazia, come se si trattasse di una ovvietà.

"Se è così... devo dire che ci hanno accolto piuttosto bene..."

"G... già... non ce la siamo cavata male..."

"Beh... se avessimo agito imprudentemente, probabilmente non ci sarebbe andata così bene. E siamo stati fortunati che dopo siano scomparse senza fare nulla. Quando ci ripenso, mi vengono ancora i brividi." Era immobile, e privo di espressione, ma mi resi conto che era spaventato.

"Ad ogni modo... così stanno le cose. Arrivederci umani. Se si presenterà l'occasione, forse ci rivedremo."

"State bene."

Dissero Milgazia e Mephi, all'improvviso. Ci volsero le schiene, e presero ad allontanarsi.

"Se ne sono davvero andati, eh?" mormorai.

"Forse si sono sentiti sollevati." replicò Gourry, osservandoli mentre si allontanavano.

"Sollevati?"

"Sì." Gourry mi pose la mano sulla testa. "Perché ora stai bene. Perciò si sono sentiti sollevati, e sono andati a fare ciò che dovevano."

"Sollevati... ero davvero così depressa?"

"Beh... sì. Un po'." Gourry spostò lo sguardo su di me. Mephi e Milgazia erano scomparsi dalla strada. "Comunque… ora che facciamo, noi due?"

"Già… non abbiamo nessun obiettivo particolare, e… Ehi, Gourry! Non fare sempre decidere a me, pensaci un po’ anche tu! Non hai un’idea, un posto in cui vorresti andare?"

Gourry mi fissò dritto negli occhi. "Che ne dici di casa tua?"

"… Eh…?" Il mio cuore fece un balzo. In preda all’agitazione, distolsi lo sguardo.

"E… ehi, Gourry… tu… capisci cosa significa quello che hai detto?!"

"Sì. E ho intenzione di farlo."

La sua voce era… dolce.

"…Eh?..."

Per la seconda volta, il mio corpo tremò lievemente. Mi resi conto di essere arrossita.

Gourry riprese a parlarmi, in tono gentile. "Tempo fa mi dicesti che il tuo paese, Zephilia, era famoso per l’uva, giusto? E ora è proprio la stagione giusta."

"Stavi parlando di cibooooooooooooooooooooooooo!?"

Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaargh!

Estrassi prontamente la pantofola dalla tasca e lo colpii in un lampo.

"Cosa? Non ti piace l’uva?"

"Non è questo! Aaaaaaaaaaaaaah! D’accordo, d’accordo, mi va bene qualsiasi cosa!"

"D’accordo, allora è deciso. Si va a Zephilia."

"Come sarebbe a dire “è deciso”?"

"Hai detto che ti va bene qualsiasi cosa, no?"

"E… ehi…"

"E poi senza dubbio è bello tornare a casa, una volta ogni tanto."

"…"

Beh… in effetti non E’ male, una volta ogni tanto…

Certo, Gourry in quella occasione sembrava stranamente insistente… però in realtà probabilmente lo stava facendo senza pensarci davvero… giusto?

"Beh… va bene, ho capito. Allora ci dirigiamo a casa mia – la capitale del regno di Zephilia, Zephil City. D’accordo?"

"D’accordo!"

E così, Gourry ed io ci incamminammo fianco a fianco.

Slayers – Demon Slayers

 

***

 

 

 

Fra i denti, maledissi Luke.

Lo vedevo nei suoi occhi. Così come avevo riconosciuto il suo modo di combattere, riconoscevo anche il suo sguardo. Non era solo la volontà di Shabranigdu. Era lui a desiderare quello scontro.

Cercai con gli occhi la mia compagna, ma il suo sguardo, vitreo ed esterrefatto, era fisso sul nostro vecchio amico. Lo stomaco mi si serrò in una morsa, per la rabbia e la frustrazione. Comprendevo la sofferenza di Luke, comprendevo cosa significasse, ma non riuscivo comunque a perdonarlo. Come poteva farci questo? Come poteva fare questo a Lina?

“Dev’esserci un altro modo.” Sibilò la maga. Io distolsi lo sguardo da lei, le labbra una linea sottile. Sapevo già che non sarebbe riuscita a convincerlo.

 

“E se… e se fosse toccato a uno di voi…? Se il vostro compagno fosse stato ammazzato da un idiota qualsiasi… e vi venisse detto di rinunciare al vostro odio, voi ce la fareste?”

 

Non credevo che sarei mai riuscito a trovare una risposta a quella domanda. Forse, non volevo nemmeno pensarci realmente. Mi sarebbe piaciuto convincermi del fatto che saremmo stati più forti, Lina ed io, che entrambi noi ce l’avremmo fatta ad andare avanti, senza abbandonarci ai nostri impulsi più oscuri, se qualcosa fosse accaduto all’altro. Mi sarebbe piaciuto convincermene, perché sapevo quanto sarebbe stato difficile, da quel momento in poi, evitare la morsa dell’angoscia, ogni volta che una delle nostre avventure ci avesse trascinato in una scommessa con la morte. Ma ormai l’immagine disperata di Luke si era impressa nella mia mente e sapevo che non mi avrebbe più abbandonato.

 

“Un tempo, ero un assassino.”

 

Ricordavo la notte in cui per la prima volta mi aveva fatto quella confessione. Eravamo in viaggio, Lina ed io, Luke e Millina e quel tizio chiamato Jade. Ci trovavamo in una locanda e io dividevo la stanza con gli altri uomini del gruppo, ma non riuscivo a prendere sonno. Forse, in un angolo della mia mente, mi ero reso conto che presto saremmo stati attaccati.

Mi ero accorto di un avanzare di passi in corridoio e lo avevo immediatamente associato a Lina. Conoscevo bene quel suo modo di camminare furtivo. I suoi modi da ladra mi avevano divertito, all’inizio, ma ormai vi ero più che abituato.

Ero stato sul punto di alzarmi per seguirla, quando Luke aveva parlato. Non pensavo nemmeno che fosse sveglio. Aveva bevuto, quella sera, e quando eravamo saliti in camera i suoi occhi erano apparsi lucidi e le sue guance arrossate. Ero convinto che fosse crollato da tempo, ma forse anche lui era stato vittima dello stesso presentimento che aveva tenuto sveglio me.

 

“Non mi piaceva,” proseguì, la voce impastata dalla stanchezza e dall’alcol. “ma nemmeno mi dispiaceva. Non me ne importava. Per lo più mi occupavo di regolamenti di conti fra avanzi di prigione, ma non mi informavo mai granché su chi dovevo uccidere. Era solo carne da macello, per me. Qualunque essere umano lo era.” Tacque, per un momento. “E’ stato allora che ho incontrato Millina. Fu il primo dei miei obiettivi a darmi davvero del filo da torcere.” Scosse la testa. “Feci l’errore di sottovalutarla e lei mi imbrogliò come l’ultimo degli allocchi e mi sconfisse, senza alcuna possibilità di appello.”

‘Conosco la sensazione.’ considerai fra me e me, fissando l’oscurità, un vago sorriso dipinto sulle labbra.

“Alla fine, arrivò a così tanto dal tagliarmi la gola. Ero lì, col suo pugnale al collo, ed ero pronto a morire. Non dirò che non fossi spaventato, perché l’adrenalina sale, in momenti del genere. Ma ero pronto. Quella è una fine che metti in conto, quando ti scegli una vita del genere.”

Il mio sorriso sparì quasi istantaneamente. Conoscevo anche quella sensazione. Non ero mai stato un assassino, ma ero stato un mercenario, e so come, quando sei in guerra, diventi normale rassegnarsi al pensiero che quello potrebbe essere il tuo ultimo giorno.

“Ma lei non mi uccise. ‘Sei in gamba’. mi disse. ‘Sarebbe un peccato sprecare questo talento. Dimmi chi ti manda e ti risparmierò la vita.’ Non so nemmeno perché mi fidai e le diedi quel nome. Era un piccolo nobile locale. Venne fuori che Millina era stata ingaggiata tempo prima come sua mercenaria e aveva scoperto che quell’uomo, in alleanza con la Gilda dei Maghi locale, stava compiendo degli esperimenti magici considerati illegali. Aveva intenzione di denunciarlo al re e per questo lui voleva metterla a tacere. Millina si aspettava che lui fosse il mio mandante, in effetti. Ma nonostante non le avessi detto molto di nuovo, mantenne la sua parola.” Emise un sospiro. “‘Dovresti sceglierti meglio i tuoi datori di lavoro’, mi disse, quando allontanò la lama dalla mia gola. Io mi sentii un verme. In più, ero in debito con lei. Insistetti per aiutarla a liberarsi di quell’uomo, anche se non posso dire che fosse entusiasta dell’idea.” Mi parve di vederlo sorridere, nell’oscurità. “Da allora, non ci siamo più separati.”

“Perché me lo stai raccontando?” domandai. Non ero nemmeno certo che stesse parlando con me, in realtà. Non ero certo che quello non fosse un semplice monologo generato dall’alcol.

“Perché da quando conosco Millina riesco a distinguere.” replicò, in tono piatto. “Ogni volta che penso di odiare gli esseri umani, mi ricordo che anche lei lo è.” Tacque, per qualche istante. “Mi piace, quella tua Lina Inverse, anche se sa essere una donna incredibilmente irritante. E pericolosa. Credo di non aver incontrato mai un’altra persona tanto pericolosa.”

Scrollai le spalle. “Non mi dici niente di nuovo.” replicai, con un mezzo sorriso.

“Voi due siete brave persone. Sono felice di avervi conosciuti.” Fece una pausa. “Non è male… pensare di avere degli amici.”

  

Fissai lo sguardo su Luke, sui suoi occhi rossi e ossessionati. Non c’era nulla dell’ironia, della testardaggine, del calore che vi avevo trovato un tempo. Sembrava qualcuno di completamente diverso. Io non avevo avuto un vero scopo, nella vita, prima di conoscere Lina. Se pensavo alle occasioni in cui avevo rischiato di perderla… era davvero così difficile vedermi simile a come era lui in quel momento?

Trassi un sospiro. Le parole che dovevano uscire dalle mie labbra erano forse le più difficili che avessi mai pronunciato.

“Ho capito.” la mia voce suonò roca. “Accetto.”

Immediatamente, gli occhi di Lina si volsero verso di me. “Gourry!” mi apostrofò, con voce incredula. “Aspetta un momento! Hai capito quali sono le condizioni?”

  “Lo ho capito.” replicai. Spostai gli occhi su di lei e avvertii il mio sguardo addolcirsi, di riflesso. Lina… avrei voluto che fosse possibile risparmiarglielo. La morte di Millina la aveva scossa più di quanto avesse mai ammesso, lo sapevo, e ora a tutto si sommava anche questo. Però, non c’era modo di evitarlo. L’unica cosa che potevo fare per lei era spronarla a lottare.

“Nemmeno io mi sento obbligato ad agire conformandomi al destino, o alla volontà del Maou.” dichiarai. “Però… questa non è forse una cosa che ha deciso Luke? Qualunque cosa noi gli diciamo, non credo cambierà mai idea. Solo lui conosce i propri sentimenti, e, in ultimo, solo lui può scegliere di mutarli. Perciò, a noi rimangono solo due possibili scelte. Accettare o non accettare. Solo queste. E se Luke ha intenzione di essere egoista… non trovi che anche per noi sia giusto accettare?”

Non c’era modo di addolcire quella verità. Luke aveva perso la propria battaglia con se stesso e aveva fatto una scelta. Lo avrei accolto a braccia aperte nel momento esatto in cui ci avesse ripensato, ma questo non sarebbe accaduto per le parole mie e di Lina. Era una decisione che solo lui poteva prendere e, nel mio intimo, sapevo già che non lo avrebbe mai fatto.

Ricordavo… molto tempo prima, non molto dopo che Lina ed io ci eravamo conosciuti, avevo incontrato un mio vecchio compagno d’armi, Grais. Era emerso che si era unito a una specie di setta che, se fosse riuscita nei propri obiettivi, avrebbe dato vita a una sanguinosa guerra fra regni. Grais viveva per la guerra. Era diventata il suo unico scopo di vita. Non erano valse a nulla le mie parole per fermarlo. Alla fine, per evitare che colpisse a morte Lina mentre tentava di fermare quei pazzi, avevo dovuto ucciderlo con le mie stesse mani.

La situazione non era così diversa. Solo, conoscevo e capivo Luke molto più di quanto non avrei mai conosciuto e capito Grais. Potevo davvero farcela, anche quella volta?

Fissai bene lo sguardo su Lina. Cercai di trovare in lei la forza di rimanere fedele alle mie intenzioni.  

“Ovviamente anche io non vorrei dover sacrificare Luke per salvarmi la vita,” proseguii “però… se non accettiamo, se lo lasciamo fare… non vorrebbe dire anche questo affidarsi al destino, o alla volontà di qualcun’altro?”

Lina parve incerta. “Però…”

“E poi, anche se per il momento noi tornassimo al nostro mondo… quanto ci metterebbero i Mazoku ad attaccare? Dovremmo preoccuparcene fino alla morte. In più…” Presi un respiro. “Io sono la tua guardia del corpo. Non potrei mai lasciare il tuo futuro nelle mani del destino. Perciò… tutto ciò che è in mio potere fare, lo farò. Se per te è doloroso, Lina, non intervenire. Ma anche se sarò da solo… io lo farò.” 

Quell’affermazione era un colpo basso. E Lina, com’era degno di lei, lo comprese immediatamente.

“Sei furbo, Gourry…” mormorò, dopo un breve sospiro. “‘Anche se è una battaglia persa datti da fare. Io me ne tiro fuori. Ci vediamo dopo.’ Lo sai che non potrei mai dire una cosa del genere, dopo che tu mi hai parlato a quel modo.”

Dovetti reprimere un sorriso. Non c’era modo che la avessi vinta, con lei.

Non avevo mentito. Chiunque avesse voluto ucciderla, sarebbe dovuto passare sul mio cadavere. Ma sapevo bene che lei non avrebbe mai e poi mai permesso che io mettessi in gioco la mia vita per salvarla, senza entrare in campo e combattere per se stessa.

I nostri sguardi rimasero fissi l’uno nell’altro per qualche istante, quindi entrambi si diressero verso Luke. Avremmo avuto l’intera vita per le parole, i rimorsi, le lacrime, dopo aver vinto la battaglia.

Ora, il tempo dei discorsi era finito.  

 

***

 

Uno spiraglio di luce fece capolino fra le mie palpebre chiuse, ferendomi la vista.

Mi sforzai di aprire gli occhi. Lentamente, la coscienza dell’ambiente che mi circondava si fece strada nella mia mente.

Ero sdraiato supino, in quello che, a giudicare dalla morbidezza, doveva essere un letto. Davanti ai miei occhi c’era un soffitto bianco, costellato di macchie di umidità. Non vedevo molto della stanza, dalla mia posizione, ma a giudicare dalle tende consunte alla finestra, e dalle pareti che avevano urgente bisogno di una mano di pittura, non doveva decisamente trattarsi della sala di un qualche palazzo reale. Molto probabilmente, era una comune stanza di locanda.

Mi resi conto solo a posteriori che qualcuno era seduto al mio fianco. Volsi lo sguardo, lentamente, e mi trovai a fronteggiare Lina.

Non si era accorta che mi ero svegliato. Stava fissando con fare assente il panorama fuori dalla finestra, inondata della luce biancastra dell’alba. Studiai il suo profilo pallido e non potei fare a meno di notare i cerchi neri sotto ai suoi occhi. Aveva addosso un pigiama, con una coperta avvolta a coprirle le spalle, ma mi chiesi se quella notte avesse dormito. Sulla sua guancia destra spiccava un taglio non del tutto rimarginato. Del sangue di ferite non fresche, o forse di ferite che non le appartenevano, le incrostava i capelli e il collo.

Quella visione bastò perché riaffiorassero i ricordi. Per un istante, fui semplicemente grato del fatto che fossimo ancora vivi. Bastò poco, però, perché nel fondo della mia mente si facesse strada la coscienza di ciò che questo significava. La consapevolezza mi stordì, soffocando la gioia, e facendomi improvvisamente sentire svuotato.

Mi mossi lievemente, per cercare di risvegliare le mie membra intorpidite, e una fitta mi attraversò come una scarica il busto. Non era il dolore intenso di un colpo ricevuto di fresco, ma non era comunque piacevole. Mi chiesi se non mi fossi rotto qualche costola.

Al mio sussultare, avvertii la pressione delle dita di Lina sulla mia mano sinistra. Fino a quel momento, non mi ero nemmeno reso conto che la stesse stringendo fra le proprie.

“Gourry.”

I nostri sguardi si incontrarono. Lessi sollievo, nel suo, diluito in un fondo di angoscia.

“Stai bene?” le domandai, automaticamente. La mia voce, mi resi conto, suonava quasi ridicolmente ansiosa.

Produsse un debole sorriso. “Mi stai chiedendo se sto bene?” domandò a sua volta, in tono fievole. “Chi è quello che se ne sta a letto con la schiena spezzata?”

Emisi un sospiro. La mia mano, di cui ora il mio corpo pareva in qualche modo consapevole, strinse con più forza la sua.

“Cosa… è successo?” domandai, in un debole sussurro. Non ero felice di farle quella domanda. Dubitavo che il suo stato d’animo le rendesse semplice rispondermi e dubitavo anche che la risposta mi sarebbe piaciuta. D’altra parte, il bisogno di sapere era troppo forte.

“Lu… Shabranigdu ti ha colpito e hai perso i sensi.” replicò lei.

Io annuii. I miei ricordi più nitidi, paradossalmente, riguardavano proprio gli ultimi istanti prima che perdessi conoscenza. Ricordavo chiaramente la finta di Luke, come mi aveva fatto credere di voler colpire Lina per prima, facendomi perdere la concentrazione e riuscendo ad abbattermi. Ricordavo il terrore degli ultimi istanti, al pensiero che avrei lasciato Lina da sola ad affrontare tutta quella situazione. Ricordavo la sua voce che chiamava il mio nome, più e più volte, e il mio tentativo disperato di rialzarmi.

Questo, prima del buio.

Ero stato uno stupido. Luke conosceva bene il modo in cui Lina ed io combattevamo: era ovvio che giungesse alla conclusione che la nostra cooperazione era la cosa più pericolosa, per lui. Lasciandoci separare, avevamo fatto il suo gioco.

“Ci conosceva.” replicò Lina, leggendo forse nel mio sguardo il muto rimprovero che mi stavo rivolgendo. “Non è stato così difficile, per lui, sfruttare i nostri punti deboli.”

“Lo hai… ucciso.”

Mi osservò, lo sguardo stanco. “Non mi ha lasciato scelta. Non ti aveva ucciso, ma se non ti avessi portato immediatamente a Sailarg per curarti, non ce la avresti fatta. Non mi ha lasciato scelta.” La sua mano prese quasi a stritolare la mia.

Il suo tono di voce mi spaventò. Normalmente, mi veniva naturale rassicurarla, ma in quel momento persino provarci mi sembrava al di là della mia portata. Tutto mi pareva ovattato. Irreale.

“Lo ha… fatto apposta.” sussurrai. “Sapeva che così avresti combattuto al tuo massimo. In realtà, desiderava essere distrutto.”

“Lo so.” replicò lei. Le sue labbra si trasformarono in una linea sottile. “Ho distrutto i miei Demon Blood, per sconfiggerlo, evocando il potere dei Signori dei Demoni dei quattro mondi. Anche quello di Shabranigdu ha funzionato contro di lui.”

“Vuoi dire che…”

Annuì. “Ha permesso che lo usassi.” Fece una pausa. “Ha… lasciato che evocassi il suo stesso potere per distruggerlo.” Abbassò gli occhi. La vidi letteralmente ripiegarsi su se stessa. Un panico sordo mi catturò le viscere.

Prima che potessi dire qualunque cosa, però, qualcuno bussò alla porta.

“Sono io.” risuonò la voce di Milgazia.

“Uh?” Mi colse totalmente alla sprovvista. Mi ero onestamente scordato di lui e Mephi. Tentai di mettermi a sedere sul letto, ma la mano di Lina mi spinse nuovamente giù. Non avrei fatto molta strada, in ogni caso. Mi sentivo troppo debole.

“E' aperto.” dichiarò Lina, senza voltare le spalle.

La porta si aprì. Mephi fece il suo ingresso, a passo sicuro, seguita a ruota dallo zio.

“Ehi, che fine avevate fatto?” squittì l’elfa. “Siete spariti così... eh? E' ferito?” Il suo sguardo cadde su di me e i suoi occhi si spalancarono istantaneamente. Mi resi conto che non dovevo avere un bell’aspetto.

“Sta bene.” replicò Lina in tono piatto, senza voltarsi verso di lei. “Le sue ferite sono completamente guarite. Sta solo riposando, per precauzione.”

“Cosa... è successo?” chiese Milgazia. Il suo sguardo si spostò dalla schiena di Lina a me. Pareva preoccupato dal tono della maga e io non potevo biasimarlo.  

La mia compagna esitò per qualche istante, prima di replicare. Io non mi intromisi. Sapevo che stava cercando di elaborare una versione della verità che le fosse possibile sopportare di discutere in quel momento.  

“Abbiamo... sconfitto Shabranigdu. E' tutto.”

“Sha...”

“E'... la verità?” domandò Milgazia, con fare incredulo.

“Che ragione avrei di mentire?” Lina mi parve stanca. Stanca come raramente la avevo vista.

“Se è la verità,” commentò Mephi, con ammirazione. “è davvero grandioso. Immagino che ora dovremo chiamarvi Demon Slayers, eh?”

“Non abbiamo bisogno di un soprannome del genere.” La voce di Lina suonò bassa e gelida.

Un silenzio imbarazzato calò sulla stanza.

Milgazia mi lanciò un’altra breve, silenziosa occhiata. “Prenderemo una stanza in questa stessa locanda.” dichiarò, con esitazione. “Ci farai un racconto più dettagliato... quando ti sarai calmata.” Si volse verso la nipote. “Andiamo, Mephi.”

“V... va bene.” replicò l’elfa. Anche lei mi stava osservando, ma le fui grato, perché si astenne dal fare domande.

Con un basso tonfo, la porta si chiuse. I loro passi risuonarono nel corridoio, facendosi sempre più lontani.

Mi volsi verso Lina. Continuava a fissare dritto di fronte a sé. I suoi occhi, ora, erano arrossati e gonfi. Una lacrima era loro sfuggita e le stava scivolando lentamente lungo la guancia destra.

“Lina.” mormorai. “Stai piangendo?”

“Non lo vedi?” replicò lei, la voce tremolante. “No che non piango.”

“Sì, lo vedo.” le risposi, pacatamente. “E stai piangendo.”

“Ecco… mi fanno male gli occhi… e…” farfugliò, quindi si interruppe. “… d’accordo, non è la verità. Sto piangendo.”

“Le tue versioni della realtà cambiano piuttosto facilmente.” commentai, gentilmente.

Mi fissò di rimando, con uno sguardo vacuo che parve torcermi le viscere. “… è che…” proseguì. “Me ne sono resa conto ora… noi… non conoscevamo nemmeno il nome completo di Luke e Millina e… mentre lo pensavo… così… all’improvviso…”

Capivo perfettamente come si sentiva. Capivo come, in quella situazione, un semplice pensiero potesse portare ad esplodere. E per lei doveva essere anche peggio che per me, considerando che aveva assistito agli ultimi istanti di Luke, che, rimasta sola, lo aveva ucciso con le proprie mani. Non sarebbe bastata qualche parola a cancellare quei sentimenti. Sarebbe migliorato, certo, magari anche fino a non restare altro che un fondo di tristezza nella nostra mente. Ma la verità era che avremmo per sempre convissuto con il ricordo e con il senso di colpa.

Quelle lacrime, però, mi confortavano. Se poteva sfogarsi con me, allora forse la ferita poteva iniziare a guarire. Forse, potevo aiutarla in qualche modo.

“Va bene così. Piangi.” Allungai una mano, e presi ad accarezzarle la guancia. “Qualunque cosa desiderasse Luke… è vero che noi gli abbiamo dato una mano… però…” sospirai. “Gli esseri umani sono costretti ad andare avanti, per quanto numerosi siano i pesi che portano sulle spalle. Anche Rubia si sta facendo forza, mentre Luke… non è riuscito a vincere. Ma tu, Lina… tu hai la forza per farcela. Perciò, per ora… va bene così. Piangi.”

Mi fissò, gli occhi due pozze vitree.

“Idiota…” mormorò.

Si piegò in avanti, contro la mia mano, e si abbandonò ai singhiozzi. Lentamente, la trassi a me, facendola levare dalla sedia e lasciandole spazio sul letto. Ignorando il dolore sordo al torso, mi volsi sul fianco e la presi fra le braccia.

Continuò a lungo. I suoi singhiozzi, prima convulsi, si spensero lentamente contro il mio collo. Dopo che si fu sfogata, restammo per un po’ in silenzio, il suo viso nascosto contro la mia spalla, le mie labbra che le sfioravano la tempia e la mia mano che le accarezzava ritmicamente la schiena.

Dopo quella che poteva essere una mezz’ora, la sentii trarre un sospiro.

“Prima di morire… me lo ha rivelato.” mormorò, la voce resa roca dalle lacrime.

“Rivelato?” replicai, in un sussurro.

“Le ultime parole di Millina… ciò che gli ha detto, dopo che ci ha allontanati dalla stanza.” Sollevò la testa dalla mia spalla e mi fissò, con occhi gonfi e arrossati. “Puoi crederci? Gli ha detto ‘non odiare gli esseri umani.’ Si è preoccupata per lui fino alla fine. E quell’idiota… quell’idiota…”

Sorrisi, debolmente. Mi chinai su di lei e le baciai la fronte. “Sono certo” sussurrai, al suo orecchio. “che ovunque siano, ora, Millina gliele stia cantando di santa ragione.”

Lina produsse una strana via di mezzo fra un singhiozzo e una risata. “Me lo auguro proprio.” ribatté. La sua voce si abbassò ed ebbi l’impressione che fosse nuovamente sull’orlo delle lacrime. “Vorrei rivederlo.” mormorò. “Vorrei rivederlo, solo una volta. Dirgli che è un perfetto idiota e prenderlo a calci là dove non batte il sole.”

Chiusi gli occhi. “Un giorno, forse.” Mi trovai a stringerla, quasi con violenza. “Un giorno, forse, li rivedremo entrambi. E allora faremo ammenda, e chiederemo e daremo perdono.”

“Gourry?” aprii gli occhi, e mi trovai a fronteggiare uno sguardo preoccupato. “Ti senti bene?” mi domandò, esitante.

Le sorrisi e diminuii la mia stretta su di lei. “Sto bene. Scusami, sto iniziando ad accusare un po’ il colpo. Forse dovrei dormire un altro po’. E forse dovresti dormire anche tu. Hai vegliato su di me per tutta la notte, non è così?”

Non rispose alla mia domanda. “Non devi scusarti.” replicò invece, fermamente. “Non ti è vietato crollare. Non sei obbligato a essere forte anche per me.”

“Non ne avresti bisogno.” replicai. “E non credo di essere forte quanto tu pensi che io sia. Se riesco a tenermi insieme, ora, credo sia solo perché ti ho al mio fianco.”

Mi fissò in silenzio, per qualche istante. “Grazie, Gourry.” mormorò.

Mi chinai su di lei, a baciarle nuovamente la fronte. “Grazie a te.” replicai.

Chiuse gli occhi e tacque nuovamente, per qualche istante. “Credo… che dovrei andare a scusarmi con Milgazia e Mephi.” mormorò alla fine. “Per come li ho trattati poco fa.”

“Sono certo che hanno capito la situazione. Pensa a riposarti, ora. Avrai un’intera vita per dare spiegazioni.”

“Ma che bella prospettiva.” Mi rivolse un debole sorriso. “Sono grata che tu stia bene, Gourry. Sono grata di averti al mio fianco.”

“Anche io lo sono.” replicai. “Mi auguro che non cambi molto presto.”

“Non finché avrò voce in capitolo.” Mi sorrise nuovamente, debolmente. Chiuse gli occhi e poggiò la guancia alla mia spalla.

“Per… il resto della vita, magari.” sussurrai, dopo qualche istante.

Non mi rispose. Probabilmente, nel dormiveglia, non mi aveva nemmeno sentito.

Ma andava bene così. Avremmo avuto tempo, in momenti molto più allegri, per discorsi di quel genere. In quel momento, volevo solo godere del fatto che fossimo entrambi ancora vivi.

Chiusi gli occhi e la strinsi a me.

In pochi minuti, scivolai a mia volta in un sonno senza sogni.

 

 

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Capitolo 3
*** Cambiamenti ***


Ho promesso a Raffy che avrei scritto qualcosa di ispirato alla sua ultima drabble, basandomi sulla scena corrispondente del romanzo, in cui Rezo riesce a ferire Lina (ipnotizzando due dei suoi compagni di viaggio). Questo è il risultato.:) Qualsiasi commento o critica è sempre gradito!
 

" Gourry, vorresti accompagnarmi?"
"Io?" Chiese Gourry, e si volse a guardarmi, per qualche motivo.
‘Le piaaaaci, le piaaaaci! Eh, eh, eh. Sui gusti non si discute, suppongo!’
"Dobbiamo andare." Disse Sylphiel, alzandosi. "E’ meglio fare presto."
Gourry, con l’aria ancora un po’ riluttante, si sollevò, e mi pose una mano sulla spalla. "Non fare nulla di avventato mentre sono via." Disse.
"Chi, io? Starò bene. Abbi fiducia in me." Feci una risata. Era dolce da parte sua preoccuparsi.
 
[…]
 
"Lina? Stai bene? Ti fa male?" Gourry, la mia auto proclamata guardia del corpo, sembrava disperato.
Tossii, e annuii.
Zelgadiss guardava da sopra la spalla di Gourry. Oltre loro, c’erano Lance e Eris. Non c’era segno di rubini sulla fronte di nessuno dei due. Lance sembrava sul punto di piangere, mentre Eris mi fissava con espressione triste.
Non sapevo come, ma ero stata salvata.
"Un po’ dopo che ti sei allontanata, ho sentito il suono di una spada che cadeva." Disse Zelgadiss, in tono calmo. "All’inizio ho pensato di averlo immaginato, ma avevo un brutto presentimento, quindi sono venuto a vedere. Ti ho trovata al suolo, e ho visto rubini su entrambe le loro fronti. Solo dopo averli bloccati e legati in modo che non potessero muoversi mi sono accorto della tua grave ferita. Sarei stato nei guai da solo, ma per fortuna Gourry e Sylhpiel sono tornati prima del previsto."
Il suono della mia spada caduta era riecheggiato nella grotta e aveva messo in allerta Zel.
‘Ma se è andata così, allora…’
"Quando abbiamo cercato di parlare a Lance e Eris, sono caduti in un sonno profondo." Proseguì Zel. "Sylphiel ha spezzato l’incantesimo, e ha rimosso i rubini dalle loro fronti. Non ricordavano nulla."
"Ero preoccupato." Sussurrò Gourry.
"Mmm…" Sorrisi, lievemente.
"Lina, mi dispiace tantissimo!" Si lamentò Lance da dietro di lui, rovinando il mio momento tenero. Gli feci cenno che non importava. Non era colpa sua.
 Romanzo 3 - Lo spettro di Sailarg
 
 

Sviluppi un sesto senso per i guai, quando vivi sulla strada. È un malessere che ti riempie i sensi, un allarme. Come l’odore di bruciato, che punge le narici e ti avverte che l’incendio sta per dilagare.
La mia testa sapeva che Sylphiel era quella che aveva bisogno di protezione. Che Lina non era sola, che in ogni caso era in grado di badare a se stessa, che per essere tutti al sicuro in quel momento avevamo bisogno della spada. Ma il mio cuore sapeva che non era quello, il luogo in cui dovevo stare.
“Manca poco, Gourry. Te lo prometto.” 
Continuavo a guardarmi alle spalle. La mia tensione agitava anche Sylphiel e un angolo meschino di me se ne compiaceva. Mi aveva messo con le spalle al muro, chiedendomi di accompagnarla. Non avevo la parlantina di Lina per tirarmene fuori, né avevo avuto una ragione logica per rifiutare.
“Eccola. Ci siamo.”
La spada era conficcata su una radice sporgente. Gli zaffiri incastonati nell’elsa catturavano la luce innaturale dell’albero sacro, rimandando bagliori spettrali. Massiccia e appariscente, avrebbe potuto essere una spada giocattolo, eppure anche a distanza mi rendevo conto del potere che emanava. Mi stordì e mi irritò. Avevo quasi sperato in un fallimento, per giustificare la mia impazienza irrazionale.  
“Ci siamo.” Ripeté Sylphiel. “Possiamo tornare.” Il suo tono era di scusa. La prospettiva di dirigermi finalmente verso Lina e gli altri alleviò la mia ansia quel tanto che bastava per farmene sentire in colpa.
“Sì.” Replicai, non sapendo che altro dire per rimediare. La superai, per estrarre la spada dal suo santuario nella corteccia. Per tutto il tragitto, continuai a sentire il suo sguardo incollato alla mia schiena.
Solo quando mi volsi di nuovo a fronteggiarla, mi resi conto davvero che eravamo soli. Soli, per la prima volta, da quando nella mia stanza al suo tempio mi aveva chiesto di restare, di permettere alla città di accogliermi come un eroe, e io le avevo risposto che avevo intenzione di ripartire. Sembrava una vita prima, eppure erano passati solo due anni. Nella frenesia della lotta con Rezo, non avevamo ancora avuto un momento per ricordare.  
I suoi capelli erano più lunghi, il suo volto più segnato, ma per il resto non era cambiata. Era ancora una delle donne più belle che avessi mai incontrato. Guardandola, le dighe che avevo accuratamente costruito nella mia mente si incrinavano e ciò che avevo cercato di reprimere tornava a filtrare. L’estate torrida di Elmekia, la sabbia che grattava la pelle e pareva scavare fino alle ossa, il sudore che si insinuava negli occhi e li faceva bruciare. La spada che pesava al mio fianco, le ultime parole di mio fratello nelle orecchie. Avevo accettato l’incarico come mercenario a scorta di un mercante, perché per la sua acqua, a quel punto, avrei venduto anche l’anima. E perché, combattendo per una persona per cui non avevo rispetto sulla strada infestata di briganti per Sailarg, potevo non pensare.
“Sei cambiato.”
Le mie dita si strinsero attorno all’elsa della spada.
“Quando hai salvato la mia città da quel demone ti sono stata grata, e mi hai sempre trattato con ogni gentilezza, ma una parte di me ha sempre avuto il sospetto che non ti importasse davvero di noi, di quello che stava succedendo. Ora… hai l’aria di un uomo per cui tutto importa troppo.”
Mi umettai le labbra. Non ero così sciocco da non capire che aveva provato qualcosa per me, quando me ne ero andato quasi di soppiatto, in quella lontana estate. Era solo l’infatuazione per un finto eroe, forse, superata con la velocità di un temporale. Ma ero stato comunque codardo a fuggire senza affrontare quel discorso. “Mi spiace di essermene andato a quel modo, Sylphiel. Tu e tuo padre mi avete accolto e curato, e io…”
“Non ci dovevi niente. Ci hai salvati e curarti era il minimo che potessimo fare.” Emise un sospiro. “E ora, di nuovo, sono qui a chiederti di aiutare questa città sventurata.” La sua espressione si fece solenne. “Faremo meglio ad andare.”  
Annuii, vergognandomi del mio sollievo. Avrei dovuto parlarle, spiegarle, lo sapevo. Ma in quel momento, la cosa di cui avevo più bisogno era tornare da Lina e accertarmi che stesse bene.
 
Il percorso, a ritroso, non mi parve più breve. La sensazione di ansia si acuiva a ogni passo, accelerava il mio battito, mi si diffondeva addosso come un calore innaturale. ‘Non essere sciocco.’ Mi ripetevo. ‘Lina non ti darà pace, se le piombi addosso come una belva spaurita. Non essere sciocco.’ Ma ripeterlo non serviva.
Prima della grotta in cui avevamo lasciato gli altri, le pareti del tunnel si stringevano, l’oscurità si addensava. Questo lo ricordavo. Ma l’aria ora si era fatta più pesante, un odore dolce, metallico, la impregnava.
‘È successo qualcosa.’
Ne ebbi la certezza, prima di vedere la scena. Poi, il mondo si spezzò in una sequenza di immagini irreali. Lance e Eris legati, seduti al suolo, lo sguardo vacuo. Zel inginocchiato a terra. Il corpo di Lina scomposto, il rosso dei capelli che si spandeva sotto la sua schiena, su un letto di sangue.
“Lina!” La spada sacra mi scivolò dalle mani e crollò a terra, il clangore mi riverberò lungo la schiena. “Lina!” Scattai in avanti, caddi, di ginocchia e poi, mentre cercavo di rialzarmi, di petto. Tutta l’aria abbandonò in un colpo i miei polmoni.
Sentii Sylphiel che mi superava di corsa. Cercai di parlare di nuovo, ma la polvere mi invase la bocca e le narici. Piantai le mani al suolo, mi spinsi in ginocchio, il pietrisco mi si conficcò nei palmi.
Quando riuscii a rimettermi in piedi, Eris e Lance avevano gli occhi chiusi. Sylphiel era piegata su di loro, le mani protese in avanti.
“Cosa è successo?” La sentii domandare a Zel.  
“Rezo. La hanno colpita con almeno quattro colpi, allo stomaco. Sono riuscito a sorprenderli e bloccarli, ma non sapevo come guarire Lina.”
“Va bene.” Sylphiel abbandonò i corpi esanimi di Lance ed Eris e si inginocchiò su Lina. Le pose le mani sul petto e i suoi guanti le si tinsero immediatamente di purpureo. “Va bene, Zelgadiss, qui ci penso io. Tu occupati di Gourry.”
La chimera si accorse allora della mia presenza. Lo vidi avvicinarsi, valutare lo strappo sul mio ginocchio e i tagli sulle mie mani, l’aria di chi è grato di avere un compito semplice da svolgere.
Non gli diedi il tempo di toccarmi. Lo scostai, mi precipitai su Sylphiel.
“Come sta?” Sputai terriccio e sangue da un taglio alle labbra che non mi ero accorto di avere.
Sylphiel non rispose. Aveva gli occhi chiusi, mormorava una litania che non comprendevo. Feci per parlare ancora, ma le dita di Zelgadiss si strinsero attorno al mio braccio.
“Gourry, devi calmarti. Lina starà bene, ma Sylphiel ha bisogno di concentrarsi sull’incantesimo. Lascia che io pensi alle tue ferite. Non puoi avere le mani rovinate, se dobbiamo combattere.”
La sua calma mi sconvolgeva. Gli porsi i palmi, senza guardarlo, timoroso che, se avessi distolto lo sguardo dalle labbra di Lina, quelle avrebbero smesso di inspirare ritmicamente aria. I miei occhi continuavano a tornare morbosamente alle sue ferite. Erano una bestia, che le scavava nello stomaco, strappando tessuti, recidendo muscoli e ossa, e io non potevo fare nulla per fermarla.
‘Siamo un ammasso di carne e sangue, che un giorno tornerà alla terra,’ Me lo aveva detto mio padre, mentre piangevo sul corpo senza vita di mia nonna. Era la sua voce che me lo ripeteva nella mente, anche dopo che ero fuggito di casa, ogni volta che osservavo un compagno caduto in battaglia.
Eravamo davvero solo un insieme di cellule, che appena nate iniziavano a morire? Esisteva un qualche soffio vitale, ad animare quell’ammasso, o era solo un’illusione? Non me lo ero mai chiesto, ma ora mi rendevo conto che quel soffio per me era la risata di Lina. La luce nei suoi occhi quando stava per rubare una pietanza dal mio piatto, le fossette che un sorriso furbo le disegnava sul viso.
“Riportala da me.” Pronunciai quella frase ad alta voce, senza quasi rendermene conto. Sylphiel aprì gli occhi, allora. Il suo sguardo, stupito, si posò sul mio viso.
“Salverò la tua città ogni volta che me lo chiederai, ma per favore, riportala da me.” La pregai, incurante di quello che chiunque poteva pensare.
I suoi occhi me lo dissero ancora: ‘sei cambiato.’ Stavolta, seppi che aveva ragione. Ero cambiato, della differenza fra il silenzio e il battito di un cuore.
“Starà bene.” La nota amara nella sua voce mi spaventò. Dovette accorgersene, perché si morse le labbra e mi afferrò la mano. Il sangue di Lina si mischiò ai residui del mio, fra le nostre dita. “Starà bene.” Ripeté, con più gentilezza. “Siamo arrivati appena in tempo.”
Aveva ragione. L’emorragia si era fermata e il pallore e il blu delle labbra stavano cedendo spazio sul volto di Lina al consueto colorito roseo.
“Lasciamole un po’ d’aria.” Zelgadiss mi trascinò indietro. Non gli permisi di allontanarmi troppo. Non volevo che Lina si svegliasse da sola.
Alle mie spalle, avvertii il movimento di Eris e Lance che riprendevano conoscenza. Non volevo guardarli. Avrei potuto sfogare il mio senso di rabbia e impotenza su di loro e sapevo che non lo meritavano.
“Lina!” Sentii Lance gridare. “Cosa è successo?”
Zelgadiss iniziò a spiegargli, in tono calmo, ma Lance non gli diede nemmeno il tempo di finire. “Non… come è possibile? Lina! Per gli dei, mi dispiace così tanto! Lina!”
Lo sentii avvicinarsi. Zel lo trattenne, credo, perché non ci piombò addosso come temevo. Le sue grida, però, finirono per svegliare Lina. La vidi stringere le labbra, una smorfia di dolore dipinta sul viso. I suoi occhi si aprirono, incontrarono i miei. Il sollievo mi invase con tanta violenza da farmi tremare, mischiandosi al senso di colpa per averla lasciata da sola.
“Lina?” Mormorai. “Stai bene? Ti fa male?”
Annuì, tossendo. Non bastò a tranquillizzarmi. C’erano così tante cose che avrei voluto dirle, ma le parole mi si aggrovigliavano nella mente.
Zel mi precedette. “Un po’ dopo che ti sei allontanata, ho sentito il suono di una spada che cadeva.” Le spiegò, calmo. “All’inizio ho pensato di averlo immaginato, ma avevo un brutto presentimento, quindi sono venuto a vedere. Ti ho trovata al suolo, e ho visto rubini su entrambe le loro fronti. Solo dopo averli bloccati e legati in modo che non potessero muoversi mi sono accorto della tua grave ferita. Sarei stato nei guai da solo, ma per fortuna Gourry e Sylhpiel sono tornati prima del previsto. Quando abbiamo cercato di parlare a Lance e Eris, sono caduti in un sonno profondo. Sylphiel ha spezzato l’incantesimo, e ha rimosso i rubini dalle loro fronti. Non ricordavano nulla.”
“Ero preoccupato.” Fu tutto ciò che io riuscii a dire.
Lina tornò a guardarmi. Il suo sguardo si distese e, a dispetto di tutto, mi rivolse un sorriso.
Ci conoscevamo solo da qualche mese, Lina e io, ma sapevo leggere nei suoi occhi. Quando vivi ogni giorno al fianco di qualcuno, i gesti e gli sguardi iniziano a compenetrarsi, diventano un veicolo che non ha bisogno di parole.
Mi era grata della mia preoccupazione, lo vedevo, ma c’era anche qualcos’altro, in quel sorriso. Una tenerezza, riservata solo a me, che mi apparve tanto più preziosa in quanto così raramente espressa.
Lance ci interruppe, blaterando le sue scuse. Gli occhi di Lina lasciarono i miei, con vaga riluttanza, e l’incanto di quel momento si ruppe. Ma per me era già troppo tardi. In quel sorriso, mi ero perso.
Le mie ultime riserve, riserve che non mi ero nemmeno reso conto di covare, per il fatto che sembrava cosi giovane, per il fatto che eravamo diversi come il giorno e la notte, per il fatto che non si sarebbe mai interessata in quel senso a uno come me, erano cadute.
Incontrai di nuovo lo sguardo di Sylphiel. Lo distolse, abbassandolo su Lina, parlandole nel suo tono rassicurante.
‘È vero, sono cambiato’, avrei voluto dirle. ‘Sono cambiato, e non voglio tornare indietro. Ma non smetterò più di avere paura, ora che ne conosco la ragione.’
   

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