Zootropolis - Pack of One

di YakerHenbane
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Preludio - Yaker ***
Capitolo 2: *** Preludio - Kamal ***
Capitolo 3: *** Preludio - Alexander ***
Capitolo 4: *** Una tigre per compagno - Yaker ***
Capitolo 5: *** Di compagni e professori - Kamal ***
Capitolo 6: *** Completare il terzetto - Alexander ***
Capitolo 7: *** Viaggio di ritorno - Yaker ***
Capitolo 8: *** Vendetta - Alexander ***
Capitolo 9: *** Ira funesta - Kamal ***
Capitolo 10: *** Quel pomeriggio - Yaker ***
Capitolo 11: *** Trance - Kamal ***
Capitolo 12: *** Entusiasmo - Alexander ***
Capitolo 13: *** Se il buon giorno si vede dal mattino... - Yaker ***
Capitolo 14: *** Nudo - Kamal ***
Capitolo 15: *** Adrenalina - Alexander ***
Capitolo 16: *** Ansia ed Istinto - Yaker ***
Capitolo 17: *** Sollievo - Kamal ***
Capitolo 18: *** Un Attimo - Alexander ***
Capitolo 19: *** Rimuginare - Yaker ***
Capitolo 20: *** Occhi - Kamal ***
Capitolo 21: *** Estate - Alexander ***
Capitolo 22: *** Risveglio - Kamal ***
Capitolo 23: *** {FINALE} Branco - Yaker ***



Capitolo 1
*** Preludio - Yaker ***


“I won’t give up, no I won’t give in ‘till I reach the end, then I’ll start again!
Though I’m on the lead, I wanna try everything, I wanna try even though I could fail!”

La zampotta pelosa di Yaker scivolò da sotto il cuscino fino a raggiungere il comodino dove il suo cellulare gli dava gentilmente la sveglia sulle note di Gazelle, vibrando rumorosamente. Il giovane lupo ridusse i suoi grandi occhi gialli abituati al buio della sua cameretta a due fessure per cercare di preservarli dalla forte luminosità dello schermo: le 7:00 in punto. Il pollice indugiò un po’ a pochi centimetri dallo schermo e poi fece tacere la canzone. Yaker Henbane, 14 anni, quel giorno non avrebbe avuto bisogno della sveglia per alzarsi: al momento dell’allarme era, in realtà già da quasi un’ora, immerso in quello stato di dormiveglia cosciente, in un turbine di pensieri talmente monopolizzanti da mischiarsi di tanto in tanto ad immagini. Quel giorno, infatti, era un giorno importante: primo giorno di scuola. Yaker non era uno di quei bambini… No, a quell’età bisognava dire ragazzi! Yaker non era uno di quei ragazzi che si emozionava per quel tipo di cose, ma per lui quella giornata era veramente importante… Ed odiava doversi ridurre allo stereotipo del tipico novellino agitato, ma, visto che il ciclo di studi sarebbe durato (se tutto fosse andato per il verso giusto) ben cinque anni, era suo interesse che partissero nel migliore dei modi e non come in passato. Stavolta desiderava che ad avere stima di lui non fossero solo i professori, ma anche i suoi nuovi compagni!
Se l’era sempre cavata piuttosto bene nello studio senza fare mai sforzi immani, cosa che di per sé non aveva mai attirato la simpatia degli altri bambini, e in più era (il più delle volte candidamente e senza rendersene conto) uno di quei bambini saputelli, sì intelligenti, ma perennemente convinti di avere tra le piccole zampe la verità sull’universo e che, proprio perché bambini, si divertono costantemente a sbattere in faccia le poche conoscenze che hanno del mondo con saccenteria a chiunque gli capiti a tiro, adulti compresi. Nel caso di quest’ultimi, però, la cosa è presa molto alla leggera perché, in fondo, si tratta di bambini, ma quando un bambino si sente dire anche la più grande castroneria con quel tono di voce graffiante e irritante reagisce automaticamente con la forma di autodifesa migliore che conosca: l’offesa classica. Il piccolissimo Yaker degli anni precedenti agiva proprio in quel modo, scatenando nei suoi compagni di classe un odio profondo e radicato, parzialmente anche giustificabile, che li portò a fare una cosa quasi contro natura: un branco di predatori e prede coalizzato contro di lui. Ed il piccolo lupacchiotto ci rimaneva molto male quando veniva messo in mezzo o si sentiva rispondere male senza (per lui) un motivo valido, non riusciva a rendersi conto di come il suo atteggiamento desse profondamente sui nervi agli altri cuccioli. Questo suo comportamento era dovuto sia ad una buona dose di ingenuità, ma anche ad un sentimento di superiorità dovuto alle piccole vittorie (soprattutto scolastiche) che gli avevano fatto pensare di essere evidentemente superiore rispetto ai suoi compagni intellettualmente. Nonostante ciò, la sua caratteriale gentilezza (slegata, fino a quel momento, all’umiltà) l’aveva trattenuto dal diventare un grande egoista in un piccolo corpo. La vera e propria crescita caratteriale di Yaker era capitata l’anno precedente quando una professoressa della sua scuola gli fece notare che, se non voleva attirarsi addosso l’odio di chiunque, avrebbe dovuto evitare di infierire sui fallimenti altrui con fare superiore, che se lo faceva non poteva essere sorpreso di essere antipatico a tutti e che i suoi compagni avevano tutto il diritto di vederlo di mal occhio. Yaker dunque realizzò che fino a quel momento, benché ciò non giustificasse gli atti di bullismo che aveva ricevuto, gran parte di quell’odio era solo colpa sua! E allora decise di cambiare perché, dopo ancora un po’ di tempo e di riflessione, decise che il suo vecchio carattere, in fondo, stava antipatico anche a lui stesso. E quella mattina di Settembre sarebbe stata perfetta per mettere in pratica tutto quello che aveva imparato crescendo e per far partire quel nuovo ciclo di studi con la zampa giusta. Scattando in piedi gettò da un lato il copriletto nel quale era raggomitolato e scese dal letto a castello zampettando. Era agitato, sì, ma confidava che quel giorno sarebbe andato per il verso giusto. Recuperò due quaderni, uno a quadretti ed uno a righe, per prendere un paio di appunti il primo giorno e li infilò quasi lanciandoli nello zaino nero che sua madre gli aveva comprato una settimana prima assieme a diario e astuccio. 

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Capitolo 2
*** Preludio - Kamal ***


“Oh oh oh oh! TRY EVERYTHING! Oh oh oh oh! TRY EVERYTHING!
Oh oh oh oh! TRY EVERYTHING! Oh oh oh oh! TRY EVERYTHING!”

Una zampata poderosa colpì lo schermo del cellulare facendolo cadere rovinosamente dal comodino. L’intento iroso di Kamal di zittire la gazzella fallì, però, miseramente facendo procedere il brano dal pavimento, dove il suono raggiungeva ancora meglio il suo orecchio. Ringhiando frustrato per il risveglio brusco, Kamal nascose la testa sotto al cuscino e ripiegò quest’ultimo sopra le orecchie con una tale forza frustrata da graffiarne la federa, mentre faceva scivolare una zampa posteriore fuori dalle coperte aggrovigliate per tentare di avvicinare con un calcio l’aggeggio malefico che era caduto fuori portata. Kamal Rajan, 15 anni, voleva ufficialmente morire: solo il pensiero di dover abbandonare l’idilliaco periodo estivo per tornare a calcare i banchi risvegliava una qualche parte lemming della sua anima che lo incitava con veemenza a gettarsi dall’orlo di un precipizio. Aggiunto poi al fatto che avrebbe dovuto sorbettarsi tutti i discorsi arrugginiti dei professori su quanto l’anno scorso non fosse stato possibile promuoverlo, di quanto gli fosse dispiaciuto bocciarlo, di quanto lui fosse un tigrotto intelligente e capace che, purtroppo, aveva deciso di non studiare etc etc etc… In qualche modo, per colpo di fortuna, riuscì a far tacere Gazelle con l’alluce della zampa posteriore destra, cosa che lo fece sentire, in prospettiva, discretamente meglio.  Ma comunque uno schifo. Piano piano, il tigrotto si tirò su, gli occhi socchiusi e la voglia di uccidere tanta.
Kamal non era mai stato tipo da scuola e, benché avesse ottenuto anche buoni risultati in passato, aveva deciso che il suo futuro era un altro: si voltò lentamente, ancora seduto sul bordo del letto e squadrò il borsone da palestra già pronto; il suo futuro era lo spettacolo, la danza, calcare le scene più famose. E Kamal viveva per quello, per l’applauso, per il riconoscimento delle doti che tanto aveva coltivato. Ed era anche per quello che la bocciatura era stata un’umiliazione tremenda, secondo lui forse la peggiore che un qualsiasi animale della sua età potesse subire. Aveva già tentato il primo anno di superiori con risultati… inattesi. Di certo non si aspettava un tale salto delle pretese. Solo che non aveva alcuna voglia di aumentare la quantità di tempo dedicata allo studio che, a detta sua, era già fin troppa nella situazione attuale. Certo, studiare ogni tanto gli dava belle soddisfazioni, e mettersi in mostra era un suo traguardo, ma la gioia che gli nasceva dentro quando era in scena, sul palco, le luci su di lui, la platea con la bocca aperta, la galleria in visibilia… Quella non era possibile raggiungerla. E dunque Kamal lavorava con molto più zelo ed impegno per arrivare a dare al suo pubblico uno show il quanto più spettacolare ed emozionante possibile. In passato gli era capitato che in molti, soprattutto bambini ma anche adulti, persino famigliari, avessero tentato di dissuaderlo dal suo sogno: “Quindi da grande vuoi fare la ballerina?!” “Ma sei un maschietto, Kamal!” “Devi pensare a studiare!”.
Ma a lui, in fondo, non era poi interessato granché, sebbene ogni tanto gli avrebbe fatto piacere avere un po’ di supporto; supporto che era arrivato sempre e soltanto dai suoi genitori, gli unici che erano disposti ad essere sempre dalla sua parte. Kamal li amava molto anche per questo motivo ma, in realtà, anche perché erano stati per un sacco di tempo la sua unica roccia solida a cui aggrapparsi in quel fiume in piena di dissensi. Il tigrotto si alzò ed aprì un’anta del suo armadio, all’interno della quale c’era uno specchio, e si analizzò attentamente dalla punta delle orecchie agli artigli delle zampe: non sarebbe mai stato del tutto contento del suo fisico,  era da sempre stato molto esigente con se stesso; per lui, che voleva dimostrare proprio per mezzo di quello che poteva essere tanto mascolino quanto gli altri, ci sarebbe stata sempre quel po’ di effeminatezza che, in effetti, risiedeva solo negli occhi di chi guardava. Esplorò per bene ogni singolo muscolo del suo corpo girandosi e mettendosi di profilo più volte, contraendo e rilassando braccia e pettorali scoperti mentre si sfilava i soli pantaloni del pigiama. Passò molto tempo a decidere cosa avrebbe messo quel giorno, e poi decise per la solita canottiera bianca e nera ed un paio di jeans strappati. Uscì di casa con le cuffiette nelle orecchie, senza rendersi conto che aveva dimenticato lo zaino.

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Capitolo 3
*** Preludio - Alexander ***


“Try anything… ♫”
Le zampette di Alexander non si mossero di un millimetro da dietro la sua nuca. Lasciò semplicemente che la sveglia finisse di suonare con gli occhi chiusi e poi le lanciò un’occhiata infastidita. Con un lento movimento del braccio raggiunse il cellulare e lo osservò pigramente, per poi zittire la sveglia una volta per tutte. Un nuovo giorno, eh? Tre mesi di vacanza erano pochi. Definitivamente pochi. Si tirò su dal letto aprendo l’homepage di Muzzlebook e la fece scorrere lentamente: post di lamentele per la fine delle vacanze, post di lamentele per le lamentele sulla fine delle vacanze, foto di Zookemberg, meme su Leonardo di Capro che finalmente aveva vinto un Osfur… Tutta roba già vista e nulla di nuovo. Superò roba in disordine che lo separava dal computer poggiando le zampe nelle posizioni strategiche che solo lui conosceva e che i suoi genitori da svariato tempo ormai avevano rinunciato a capire. Arrivato di fronte alla sua scrivania si gettò sulla sedia da ufficio girevole ed accese il PC. Nome di login, Alexander Lontroni; la password? La sua età, 13 anni… In effetti, avrebbe dovuto cambiarla quella password. La piccola lontra aveva dormito nella tuta da ginnastica che aveva deciso la sera prima avrebbe messo il mattino seguente per andare a scuola. Che era poi la stessa che aveva messo il giorno prima ancora. E quello ancora prima rispetto a quello. Non che gli interessante, insomma, era la più comoda che aveva! Se fosse stato per lui, sarebbe andato a scuola in canotta e boxer, ossia vestito come era stato praticamente per tutto il resto dell’estate. E, per strappare qualche sorriso più avanti, magari l’avrebbe anche fatto, si riservava l’idea per più tardi… La storia della vita di Alexander era sempre passata così tra uno scherzo e una barzelletta, un meme ed un tormentone vecchio stile, e a lui era sempre andata bene così, per la maggior parte del tempo: far ridere gli altri gli faceva piacere, era un po’ come sentirsi apprezzato ogni volta che qualcuno rideva per un suo scherzo e questo lo portava a farne parecchi e spesso con le persone che conosceva. Ogni tanto, però, si rendeva conto di quanto lui fosse di più di quello e di quanto volesse che gli altri lo sapessero e vedessero questo suo lato meno giocoso e più maturo. Il cursore del mouse indugiò per qualche secondo sull’icona di Shower With Your Dad Simulator 2015, mentre Alexander ghignava divertito. Quel gioco era fin troppo meme per disinstallarlo, doveva tenerlo installato ad ogni costo. Il cursore, poco dopo, si fermò su una cartella chiamata “robe”, che era il luogo dove quel furbone della lontra teneva le immagini… piccanti in bella vista sul desktop. Si ricordava ancora di quando i suoi genitori trovarono la sua riserva privata di materiale hot e di come fosse stato imbarazzante, sia per lui che per i due adulti, fare il classico discorso su quanto quella cosa fosse normale alla sua età. Normale fatta eccezione per le immagini di altri animali maschi che figuravano tra le tante e tenere lontre. Ebbene, Alexander aveva dovuto ammettere ai suoi di gradire la compagnia maschile tanto quanto quella femminile, cercando di farlo con più naturalezza possibile per nascondere l’immane imbarazzo che quasi scaturiva nel senso di colpa che in quel momento stava provando. I suoi genitori l’avevano presa bene, erano soltanto sorpresi dall’accaduto… Sarebbe stato più facile spiegare loro la situazione se si fossero soffermati alle immagini raffiguranti lontre! Alexander era fatto così: le ragazze gli piacevano, ed anche tanto, ma per la maggior parte della sua specie, mentre i ragazzi… Per i ragazzi era diverso, per loro provava attrazione soprattutto se appartenenti ad altre razze. E lì dentro c’era di tutto, da lontre dal fisico snello e dall’aria sottomessa e passivella a torreggianti e dominanti leoni e bufali. Che ci poteva fare? Ad Alexander piaceva così, e non voleva che la situazione cambiasse. Aprì la cartella: completamente vuota. Si era accertato più volte di aver cancellato tutto proprio in seguito a quell’avvenimento spiacevole. Era felice di com’era e più o meno a suo agio, sì, ma non gli garbava di certo l’idea di dover ripetere quella faccenda! Tamburellò con le zampette sulla scrivania e poi si alzò per stiracchiarsi a lungo e darsi una bella grattata all’attaccatura della coda. L’occhio sonnolento gli capitò dunque sull’orologio appeso sopra la porta della sua stanza: le 8:15. Era in clamoroso ritardo. Decise che era tempo di uscire, dunque afferrò la sua borsa, ancora contenente i libri dell’anno precedente di scuola che, durante l’estate, Alexander non si era preso la premura di rimpiazzare ed uscì lentamente, fischiettando.

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Capitolo 4
*** Una tigre per compagno - Yaker ***


Ok, fino a quel momento tutto bene! Dopo il discorso iniziale, tutti i nuovi studenti erano stati divisi per classi e portati ognuno nelle proprie aule: l’istituto distingueva le classi in base alla grandezza degli studenti, per una questione di sicurezza. I piccoli roditori furono i primi ad essere smistati proprio per evitare che alunni più grandi potessero calpestarli accidentalmente nella transumanza; poi fu la volta delle classi di mammiferi di media grandezza, le più variegate: si andava da grandi leoni a piccole donnole, tutti insieme. E quella categoria comprendeva anche i canidi, quindi Yaker si alzò e tese le orecchie per cogliere il suo nome in mezzo all’immane appello. Fu chiamato relativamente presto, dunque seguì l’esempio degli altri animali invocati prima di lui e si incamminò nella loro stessa direzione, lasciandosi dietro l’aula magna ancora gremita di mammiferi di ogni tipo, prede e predatori. Il giovane lupo stimò che ci fossero almeno altre tre sezioni di razze di media statura prima di passare alla megafauna, che occupava gli ultimi piani dell’edificio, mentre i piccoli roditori avevano una sezione interamente dedicata a loro ed adatta alle loro dimensioni. Yaker sapeva che a Zootropolis c’erano, effettivamente, delle scuole dedicate anche solo a certi animali, soprattutto per i casi molto grandi o molto piccoli, ma quel liceo misto incarnava quasi il sentimento di unità proprio della città stessa! E poi, era più interessante avere contatto con specie diverse. Yaker era un tipo decentemente socievole ed apprezzava quasi ogni tipo di compagnia e, finché questa era capace di fornirgli una discussione piacevole, riusciva ad andare d’accordo un po’ con tutti. Se avesse potuto scegliere, però, avrebbe preferito circondarsi di altri canidi ed evitare i felini. Non tutti, ma almeno quei tipi di felini che si atteggiavano a razza superiore. Quelli non li aveva troppo in simpatia, benché ne avesse conosciuto qualcuno e fosse riuscito comunque ad intraprendere con loro un rapporto positivo. Non faceva di tutta l’erba un fascio, ma preferiva lasciar perdere con certi soggetti. Sapeva andarci d’accordo, volendo, ma di certo non ci sarebbe stato bene come compagno di banco. Il professore di italiano, storia e geografia, un orso di mezza età in sovrappeso, accompagnò la classe di Yaker nei corridoi verso l’aula che li avrebbe accolti per il resto dell’anno. Il giovane lupo non badò troppo ad inquadrare i suoi compagni, era fin troppo concentrato sulle parole dell’insegnante che, nel frattempo, gli anticipava di cosa avrebbero parlato nelle successive ore di orientamento. Aveva però visto di sfuggita tra i suoi compagni due lontre, un maschio e una femmina, un paio di volpi, forse, e sicuramente una tigre, che Yaker aveva notato solo perché gli era parsa visibilmente più grande d’età degli altri. In poco tempo, l’allegra combriccola arrivò davanti all’aula che gli spettava: era perfettamente quadrata, ampia e ben illuminata. Le lavagne erano due, una classica ed una interattiva multimediale, simile a quella con cui il lupacchiotto aveva familiarizzato durante il ciclo d’istruzione precedente. Alle pareti, cartine e cartelloni ben fatti ed organizzati a seconda dell’argomento su muri diversi. Yaker si prese un po’ di tempo per guardarsi intorno, non accorgendosi di come la maggior parte dei suoi compagni avesse ormai preso posto: quando se ne rese conto, il lupacchiotto si gettò sul banco triplo più vicino e si sistemò vicino al muro, grato di aver trovato un posto libero. Solo allora girò il collo per controllare la situazione della classe: fino a quel momento aveva notato solo predatori, ma un’occhiata più approfondita rivelò la presenza di anche un paio di prede: una pecora, due capre, una coniglietta… Si poteva descrivere quella classe come multirazziale. Tutti avevano ormai preso posto ad eccezione di un giovane animale: la tigre di prima, che aveva guardato il suo cellulare fino a quel momento e solo ora, con fare rassegnato ed infastidito, stava cercando posto. E gli unici posti liberi erano quelli del suo banco triplo. La tigre li individuò, squadrò Yaker per qualche secondo e poi gli si avvicinò lentamente tirando fuori la domanda che il giovane lupo ormai si aspettava:
“Sì, ehm, ciao. È libero qui?”
Yaker si limitò ad annuire e ad abbozzare un sorriso di gentilezza circostanziale, mentre pensava a come fosse capitato a stare vicino di banco proprio con un felino. La voce della tigre era possente, sì, ma anche subito riconducibile a quella di un giovane in crescita… Indossava una canottiera nera con un pattern di disegni tribali bianchi ed un paio di jeans strappati, in un look adatto a quegli ultimi caldi di Settembre che, presto, li avrebbero abbandonati. Aveva quasi il fisico di un atleta, pensò Yaker, ed era anche un po’ più alto di lui. Possibile che fosse stato rimandato? Sembrava decisamente più grande di lui, a giudicare dalla corporatura, ed anche solo un anno a quell’età basta a fare la differenza a causa del rapidissimo ritmo di crescita. La tigre scostò la sedia dal banco e ci si sedette sopra un po’ sbracato, si sistemò comodo e poi si voltò di tre quarti verso Yaker, rivolgendogli di nuovo la parola con tono di chi ha tutta l’intenzione di distrarsi dalle parole del professore.
“Sono Kamal, comunque.”
“Io sono Yaker, è un piacere!”
“Yaker, uh?” Kamal abbozzò un sorrisetto. “Spero che non ti offenda se me lo scrivo, sono pessimo con i nomi.”. Il compagno di banco si chinò sulla sedia verso un lato, come se stesse cercando qualcosa, e si ritirò su poco dopo con aria perplessa.
“Ah, ho dimenticato lo zaino… Non è che avresti una penna da prestarmi?”
“Oh, certo, come no!” Yaker aprì l’astuccio e ne estrasse una penna senza tappo.
“Grazie, amico!” Kamal afferrò la penna e cominciò a scrivere sul banco. Yaker stette ad osservare mentre il suo nuovo compagno di banco scriveva sulla superficie liscia della loro postazione il suo nome. La tigre si voltò con la fronte aggrottata verso di lui, con aria dubbiosa.
“Si scrive con la k o la ch?”
“Ah, no no, con la k!” La tigre annuì e completò la scrittura del nome: soddisfatto, poggiò la penna sul banco ed osservò il lavoro da più lontano per poi rivolgersi di nuovo al compagno.
“Beh, caro Yaker, spero che tu ti sia iscritto preparato a quello che avresti trovato in questa scuola…”. Kamal ghignò mentre il lupo ascoltava attentamente, chiedendosi dove volesse andare a parare.
“…Perché vedi, qui dentro è un po’ come andare in bicicletta, solo che-“
“Ah, e poi abbiamo il nostro signor Rajan qui con noi! Cosa pensi di fare quest’anno, Kamal? Metterti a studiare, forse?”
Yaker vide ogni tipo di ilarità e simpatia spegnersi negli occhi della tigre, rimpiazzate da uno sguardo frustrato e iracondo, quando il professore lo richiamò con ironia tagliente, confermando anche tutti i dubbi del lupo sulla precedente bocciatura del compagno. Kamal si prese due o tre secondi per formulare una risposta, e poi assunse un’aria quasi di sfida: fissò il professore dritto negli occhi e, con una voce come distorta dal finto entusiasmo che ci infondeva dentro, gli rispose:
“Professore, che piacere rivederla! A proposito di questo, pensavo davvero di dimostrarvi quanto vi siate sbagliati l’anno scorso a bocciarmi…”.
Gelo in aula per tutti tranne che per il professore, che invece incrociò le braccia quasi divertito e per nulla spazientito.
“Allora immagino che ti vedremo studiare come il più diligente degli studenti quest’anno!”
Kamal si appoggiò all’indietro sullo schienale della sedia ed allungò le gambe sotto al banco con la stessa aria di prima sul muso.
“Per quello è tutto da vedere…”.
Il professore fece una smorfia a metà tra l’esasperato ed il divertito e poi riprese con il noiosissimo discorso d’orientamento. Kamal, invece, fece un paio di rapide smorfie aggrottando il naso mentre fissava nel vuoto, inspirò rapidamente dal naso ed espirò di scatto poco dopo, l’ira negli occhi. Dopo un po’ si girò verso Yaker cercando di riprendere la calma e riprese a parlare normalmente.
“Scusa, ho perso il filo: che stavo dicendo?”

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Capitolo 5
*** Di compagni e professori - Kamal ***


Perfetto. Non era neanche passata la prima ora e già Kamal aveva voglia di strozzare Panettoni. Quel figlio d’un orsa in sovrappeso, mangia-miele a tradimento, già aveva iniziato a punzecchiarlo. La tigre di certo si aspettava un trattamento del genere, ma mai si sarebbe aspettato un approccio così rapido da parte del professore. Atteso o non atteso, comunque, quell’atteggiamento lo mandava letteralmente in bestia. Se in passato era bastato sparare pastiglie concentrate di distillato di ululatore notturno nei predatori per farli regredire ad uno stato ferale, adesso bastavano poche parole di un professore strafottente per replicare lo stesso effetto in Kamal. Almeno, il lupo nero seduto lì a fianco sembrava una distrazione sufficiente a non farlo completamente sbroccare: Yaker… Yaker! Sì, dai, in fondo non era così difficile da ricordare. Non si trova tutti i giorni qualcuno di nome Yaker. Di primo acchito, non gli era sembrato un tipo particolarmente affabile o simpatico; di certo, aveva l’aria spaesata. E sembrava tipo da seguire le lezioni, aveva portato tutto il materiale anche il primo giorno… Anche se, in realtà, fino a quel momento non era stato particolarmente attento alle parole di Panettoni, forse perché anche lui le trovava soporifere, Kamal non ne aveva idea. Sapeva soltanto che, in qualità di vicini di banco, avrebbero speso del tempo vicini e che voleva costruire un rapporto il più sereno e, possibilmente, amichevole possibile.
“Essere qui è come andare in bicicletta? O qualcosa del genere…” Yaker gli ricordò dov’era rimasto; la tigre riprese con tono ironico e volto al riso, sperando di alleviare un po’ la tensione con quella frase che aveva letto da qualche parte, solo non si ricordava dove.
“Ah, giusto! È un po’ come andare in bicicletta, solo che il sellino va a fuoco… E la strada va a fuoco… E tutto va a fuoco perché sei all’Inferno!”.
Kamal si rese conto che forse quella battuta avrebbe potuto impensierire il lupo, che sembrava un tipo che prende molto seriamente la scuola, ma invece Yaker lo stupì sghignazzando alla battuta, genuinamente divertito. Bene, aveva un senso dello humor, era un inizio. Tra una risata ed un’altra, Yaker rispose con espressione beffarda.
“Beh, di certo con certi professori ci divertiremo…”
Il lupo fece un cenno col capo in direzione di Panettoni, che nel frattempo stava parlando a ruota libera di argomenti vari di cui, effettivamente, a nessuno fregava granché. Kamal quasi scoppiò a ridere all’affermazione dell’altro.
“È la prima ora del tuo primo anno e già non sopporti Panettoni?! Penso che io e te andremo d’accordo, Yaker, ma non hai ancora visto nulla! Quest’uomo sarebbe capace di far fuggire un bradipo a cento chilometri orari quando-”. Il lupo abortì una risata premendosi una zampa sul muso e gli fece cenno di girarsi: Kamal fu consapevole della presenza del professore dietro le sue spalle ancora prima che quello entrasse nel suo campo visivo. I due si fissarono in silenzio per due o tre secondi, poi la tigre decise che ne sarebbe potuto uscire sdrammatizzando ed attirandosi le simpatie di tutti: sfoggiò un sorriso a tutte zanne e, con tono cordiale, esordì.
“Come posso aiutarla, prof.?”
L’intera classe rise brevemente, compreso Yaker dietro di lui. Il professore ovviamente se ne partì con le filippiche su come dovesse assumere un atteggiamento diverso se voleva passare l’anno, di come doveva rispettare i professori in quanto tali e bla bla bla. Kamal rispettava i veri professori, quelli che potevano vantare una cultura seria e la sapevano trasmettere efficacemente. Ergo, non rispettava Panettoni. Si limitò ad annuire senza ascoltarlo, aspettando che finisse di parlare. Nel bel mezzo del suo discorso, però, la campanella scandì l’inizio della seconda ora e, tutto allegro, fece la sua comparsa una giovane lontra che teneva stretti tra le zampe i due braccioli dello zaino. Tutti si girarono a guardarlo, probabilmente facendolo sentire a disagio, visto che si voltò verso la porta. Fece come per controllare qualcosa all’esterno e poi scattò nuovamente con la testa verso la classe.
“Ah, ok, non mi sono sbagliato! Questa è la Prima B, vero? Sono Lontroni, scusate il ritardo.”
Panettoni lanciò un’ultima occhiata a Kamal e poi andò a controllare il registro di classe, dove verificò con lentezza l’appartenenza del ritardatario a quella sezione. Kamal sbuffò rumorosamente e si girò verso Yaker, che ancora sghignazzava, e gli intimò, ridendo sotto i baffi: “Non. Una. Parola.”, cosa che scatenò ancora più riso sul muso del lupo.

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Capitolo 6
*** Completare il terzetto - Alexander ***


Il bidello all’entrata aveva fatto entrare Alexander più che altro per pena, visto il clamoroso ritardo con cui si era presentato all’entrata: con qualche moina e storiella inventata, la lontra era riuscita con relativa facilità a convincere l’assistente scolastico. Il punto era che, poi, si era trovato da solo nell’edificio sconosciuto senza la più pallida idea di dove potesse essere la sua classe. O, appunto, in quale classe fosse stato assegnato. Cioè, l’aveva letto sul sito, da qualche parte, ma chi se lo ricordava più ormai! Era una consonante… Forse? Boh, qualcosa del genere. Il primo passo per il piccolo predatore, dunque, era di capire dove doveva andare. Il secondo era effettivamente andarci. Sarebbe anche riuscito ad arrivare per metà della prima ora se avesse fatto velocemente! Ok, allora, la prima tappa era l’aula magna, no? Quindi chiese al primo bidello che incontrò dove potesse trovare quella. Per arrivarci, poi, la strada non era esattamente facile... Beh, in realtà Alexander si fermò ad un distributore automatico e poi si dimenticò da che parte era arrivato. Si raccapezzò comunque velocemente, ma un po’ di tempo lo perse. Poi, in aula magna, trovò solo qualche professore rimasto lì ad armeggiare con delle strane scartoffie; professori che gli dissero di sbrigarsi dopo avergli ufficialmente confermato che doveva andare in Prima B, sezione taglie intermedie ovviamente. Alexander decise dunque di ringraziare e correre lì… Sbagliando però corridoio e finendo nella sezione della megafauna. Se ne accorse più che altro per le macchinette giganti e per i gradini delle scale alti come tre volte lui, praticamente. Tornò dunque indietro ed imboccò la strada giusta, chiedendo a chiunque incrociasse se stava andando bene. Una volta giunto sul piano giusto, consultò una piantina della scuola per trovare la sua classe una volta per tutte: la individuò dopo un po’ e cercò di raccapezzarsi sulla direzione da prendere. In tutto questo, il tempo passava…
Finì per raggiungere la porta chiusa della sua classe a trenta secondi dal suono della campanella, tempo che decise di trascorrere lì, in piedi a ciondolare, per entrare esattamente al cambio dell’ora: a quel punto, tanto valeva. Dunque si aprì il pacchetto di croccantini che si era preso al distributore e cominciò a sgranocchiarne un paio nell’attesa, osservando fuori da una vicina finestra: c’era un gran bel tempo.
La campanella scandì il cambio dell’ora e, finalmente, Alexander entrò in classe.
Una volta dentro, sentì gli occhi di tutti girarsi verso di lui e capì immediatamente di essere al centro dell’attenzione, quindi decise di fare un piccolo siparietto per presentarsi nel migliore dei modi. Il professore, un orso dall’aria decentemente simpatica, lo informò che, purtroppo, il giorno dopo avrebbe dovuto giustificare il ritardo. Vabbè, pazienza, per un ritardo non sarebbe di certo morto nessuno, no? Alexander ringraziò e si incamminò verso l’unico banco libero rimasto, un posto in seconda fila accanto ad una tigre che chiacchierava con un lupo nero seduto lì vicino: la lontra scostò la sedia dal banco e ci si sbracò sopra con aria soddisfatta, mentre tirava fuori il cellulare da una tasca dei pantaloni. Controllò se c’era qualcosa di nuovo su internet, ma sembrava che non fosse accaduto nulla di che. Mentre ancora armeggiava con il dispositivo, si rivolse ai due compagni di banco che sembravano già conoscersi da un pezzo.
“Woah… Se non ci fosse stata quella piantina, non l’avrei mai trovata la classe!”. Aspettò che i due si girassero per continuare, e quando lo fecero gli porse la zampa entusiasta. “Alexander, per gli amici Alex! Che mi sono perso?”.
I due sembravano due tipi affabili, a primo acchito: il lupo era appoggiato al banco con entrambe le braccia incrociate e sorrideva a tutte zanne, mentre la tigre era appoggiata allo schienale della sedia e ghignava a bocca chiusa. Il primo a parlare fu il lupo.
“Ah, ciao Alex! Io sono Yaker. Beh, consolati, non ti sei perso granché…”
E subito dopo la tigre intervenne.
“Sì, guarda, penso che in effetti quello che se l’è cavata meglio in quest’ora sia proprio tu. Io sono Kamal, comunque!”
Fantastico: vicini simpatici, facce interessanti… Si prospettava un anno piacevole!
“Mitico, allora! Seeentite…”
Alexander si grattò il musetto con un indice, con aria quasi colpevole.
“…Dite che è un problema se non ho portato libri?”.
Yaker, il lupo, si chinò verso il suo banco ad osservare lo zaino della lontra e gli diede un’aria perplessa, mentre Kamal, la tigre, sghignazzò a braccia conserte e lo mise a suo agio ironicamente.
“Almeno tu lo zaino l’hai portato! Per oggi, io mi appoggio al buon Yaker, qui…”
Alexander rise di gusto, felice di non essere l’unico ad essersi dimenticato il materiale. Il lupo nero, invece, piegò la testa di lato e gli chiese curioso.
“Che hai nello zaino, allora?”
La lontra non ne era del tutto sicura, quindi nel dubbio lo aprì e ne tirò fuori i libri del ciclo d’istruzione precedente. Rise sotto i baffi e li mostrò ai compagni.
“Whoopsie, mi sa che sono rimasti lì dall’ultimo giorno di scuola dell’anno scorso!”.
I due compagni, stavolta, invertirono le reazioni: Yaker sembrava divertito e tese una zampa verso il libro per darci un’occhiata, mentre Kamal aveva un’aria incuriosita. Il lupo studiò rapidamente la copertina del libro e poi lo sfogliò velocemente, per poi porgerlo nuovamente alla lontra con un piccolo lancio.
“Mmmh… Io non avevo questo libro, l’anno scorso, sembra molto migliore del mio!”
Alexander riprese il testo al volo il tomo e lo ripose disordinatamente nella borsa.
“Pfff, fidati: qualsiasi libro tu abbia a scuola dopo un po’ inizi ad odiarlo…”
“Non sai quanto il piccoletto ha ragione, Yaker! E non pensate che quelli di quest’anno siano diversi”
La lontra si accorse che, forse, la tigre poteva essere stata bocciata: non gliene importava proprio nulla, finché gli faceva piacere conviverci. E sembrava proprio un tipo affabile ed estroverso. Il lupo, invece, pur dimostrandosi anche lui molto disponibile a farsi nuovi amici, era più spontaneo e curioso, comportamenti in cui Alexander si rivedeva molto: in fondo, stavano entrambi provando un’esperienza nuova!

Il terzetto cominciò subito a sinergizzare, dando fin da quel primo giorno l’impronta di quello che sarebbe diventato, presto, un vero e proprio Branco di Uno.
 

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Capitolo 7
*** Viaggio di ritorno - Yaker ***


“I won’t give up, no I won’t give in ‘till I reach the end, then I’ll start again!
Though I’m on the lead, I wanna try everything, I wanna try even though I could fail!
Oh oh oh oh! TRY EVERYTHING! Oh oh oh oh! TRY EVERYTHING!
Oh oh oh oh! TRY EVERYTHING! Oh oh oh oh! TRY EVERYTHING!”

Yaker tamburellava con le zampe sulle sue ginocchia mentre ondeggiava la testa a ritmo, le cuffiette nelle orecchie. Di fronte a lui era seduto Kamal, appoggiato allo schienale del sedile del treno, che guardava distrattamente lo schermo del suo cellulare… A fianco a lui, Alexander addormentato in una posizione quasi fin troppo sbracata. Il lupo sbadigliò pigramente e, fissando un punto nel vuoto, canticchiava seguendo le parole della canzone. Kamal, sollevato lo sguardo dal telefono, cercò di attirare la sua attenzione schioccando le dita. Yaker si accorse poco dopo del richiamo e si sfilò una cuffietta per sentire la voce dell’amico.
“Stai ANCORA ascoltando quella canzone?”
“Beh, che vuoi?! È bella!”
“Sì, va bene che è bella, ma ormai non se ne può più! Da quanto tempo è in giro, ormai?”
Yaker fece quasi per rimettersi la cuffietta nell’orecchio.
“E allora? È un classico senza tempo.”
“Eh, mo’, non esageriamo!”.
Kamal si piegò in avanti, ghignando.
“Secondo me è solo per Gazelle che ti piace…”
Il lupo rinunciò definitivamente alla musica, ripose cuffiette e cellulare in una tasca del giubbotto e diede retta a Kamal: ormai si conoscevano da tre anni, Yaker conosceva bene la tigre e, quando faceva così, aveva bisogno di attenzioni perché si annoiava; non gli dispiaceva di certo parlare con l’amico, quindi assecondava spesso queste iniziative della tigre. Ghignò anche lui, punzecchiando l’amico con l’argomento che, lo sapeva ormai, gli dava di più sui nervi.
“Perché, non glielo daresti un bel morsetto a Gazelle, te?”
Yaker lo vide tentennare un po’, come ogni volta che si entrava in argomento: non voleva metterlo in difficoltà, sapeva bene la soglia a cui fermarsi, si trattava solo di un giochetto d’orgoglio che faceva spesso con la tigre ed in cui entrambe le parti sapevano bene quale fosse il limite. Kamal, infatti, si riprese subito e puntellò il gomito sul bracciolo del sedile, appoggiando il muso al pugno della zampa chiuso.
“Glielo darei, altroché… Sia in senso letterale che figurato.”
I due sghignazzarono un po’ e poi il lupo commentò sorridendo.
“Che bestia selvaggia!”
La tigre assunse una finta espressione compiaciuta e si riappoggiò allo schienale del sedile, le braccia incrociate dietro la nuca, e rispose come per sembrare pieno di sé.
“Un vero maschio alpha, mica come te!”
Yaker non chiedeva di meglio, sapeva benissimo come farsi due risate e smontare la finta aria di superiorità di Kamal.
“Un possente maschio alpha che però si mette a pecora implorando pietà appena faccio QUESTO.”
Il lupo scattò verso l’amico con le zampe protese in avanti verso le costole di quello: una volta preso contatto, cominciò a fargli il solletico esattamente dove sapeva che il ragazzo ne soffriva. La tigre, presa alla sprovvista, lasciò andare un urlo di sorpresa prima di iniziare a ridere sguaiatamente, attirando gli sguardi curiosi ed infastiditi dei pochi altri passeggeri.
“UAGHAGHAGHAGHAGHA, NO YAKER, FINISCILA! HO DETTO DI PIANTARL-AHAHAHHAHAHAHA!”
Kamal si contorceva in preda alle risate e scalciava nel tentativo di ricacciare indietro il lupo che, poco dopo, si fermò di sua spontanea volontà e si risedette con aria vittoriosa.
“Proprio un vero maschio alpha, sì sì.”
La tigre stava ancora riprendendo fiato mentre lanciava all’amico un’occhiata divertita e complice. Quel gioco andava avanti da tre anni, ormai, sempre simile a se stesso ed eppure sempre diverso: le regole erano chiare.
Il treno si fermò in stazione, annunciando la fermata dove sarebbero dovuti scendere. Yaker guardò l’orologio: erano in perfetto orario. Cominciarono a raccogliere tutte le loro cose e, per ultima, raccolsero Alexander, ancora felicemente nel mondo dei sogni. Se c’era una cosa che mandava la lontra in bestia, lo sapevano entrambi, era l’essere preso in braccio da loro che, dal momento in cui l’avevano scoperto, non perdevano occasione per farlo. Quindi Yaker si prese il piccolo bagaglio di Alexander, mentre Kamal se lo appoggiò in spalla come avrebbe fatto con un bebè, ed i due si incamminarono verso la porta del vagone.
Ritornavano da un pomeriggio passato a casa di un loro nuovo compagno di classe, Vince, che viveva a Tundra Town: era un orso polare tarchiato e pieno di sé. Erano andati lì per terminare una ricerca di gruppo di Storia dell’Arte e, da quel momento in poi, li aspettava un pomeriggio di pazza gioia. Loro tre e Zootropolis a portata di zampe, le possibilità erano infinite.
“Yaaawn… Mh?”
Yaker e Kamal diedero il buongiorno ad Alexander, che avevano adagiato su una panchina della stazione.
“…RAGAZZI! DAI, E ANDIAMO! POTEVATE SVEGLIARMI!”
I due se la risero di gusto. Dopo qualche minuto, si unì anche Alexander alla risata: proclamò ironico.
“Giuro che un giorno mi vendicherò!”
Ed il branchetto si diresse verso l’uscita della stazione. Come avrebbero passato il pomeriggio? Non importava, la cosa fondamentale era che l’avrebbero passato insieme.

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Capitolo 8
*** Vendetta - Alexander ***


Ah, le ore di buco. Di certo il momento preferito di Alexander: ogni volta che, per un qualsiasi motivo, in un’ora mancava il professore la lontra sentiva quel forte sentimento di trasgressione appagante che, tuttavia, era completamente appoggiato dalla struttura scolastica. Niente professore in classe significava niente studio… E niente studio era sinonimo di baldoria. A mancare era la professoressa di Lingue Antiche, cosa che contribuiva a rallegrare ancora di più l’umore generale: se ci fosse stato un formale sondaggio tra gli alunni di quella classe, Lingue Antiche sarebbe risultata la materia più complessa. Si basava sulla conoscenza di idiomi arcaici risalenti ad una marea di anni precedenti con cui usavano esprimersi gli animali di allora, ancora poco più che bestie ferali. Incredibile come delle mentalità così semplici potessero concepire dei linguaggi così complessi da capire e tradurre: si passava da alfabeti incisi con gli artigli su tavolette di roccia, a geroglifici di antichi conigli dipinti sulle pareti delle caverne con tinte a base di carota, passando per le Lineari AUU e BAU, con le loro declinazioni incomprensibili e via dicendo. Solo un paio di studenti lì dentro si sentivano veramente padroni sicuri di quella materia, dunque per i pochi che erano venuti a scuola quel giorno, con la consapevolezza che la professoressa sarebbe mancata, gioivano e si crogiolavano in quell’ora trasgressiva. Tra di loro c’era la lontra, che aveva ben deciso di sdraiarsi su un banco ad osservare alcuni suoi compagni giocare una pigra ma competitiva partita a carte. Aveva giocato un po’ anche lui, ma dopo qualche partita s’era annoiato ed aveva lasciato perdere.
“La prossima la facciamo a strip poker!”
“Tanto vale che cominci già a spogliarti, allora!”
Nell’aula si respirava un’atmosfera di sano e terapeutico caos. Alexander si fece un selfie e lo postò su Muzzlebook, così, tanto per: mentre stava osservando il suo operato, arrivò un messaggio sul gruppo della classe. Era di Yaker. La lontra aprì l’immagine che aveva inviato per scoprire una foto di lui e Kamal sulla funivia del Distretto Foresta Pluviale, l’uno sotto il braccio dell’altro in posa per il selfie. Alexander sorrise alla vista dei due che si divertivano: gli avevano chiesto se voleva venire con loro quella mattina, ma lui aveva declinato.
“Sapete quante volte sono già mancato, farò meglio ad andare.”
Quale giorno migliore di quello in cui non avrebbero studiato nulla per farsi mettere presente?
Sul gruppo iniziarono ad apparire messaggi come:
“Che cariniiii <3”
“Ma guardateli <3”
“Non sono adorabili?”
Alexander alzò un sopracciglio e si voltò intorno per inquadrare un gruppetto di tre ragazze, due volpi ed un fennec, che sghignazzavano e digitavano con le zampe sugli schermi dei cellulari. La lontra non poteva riconoscere di chi erano i messaggi, non aveva salvato i numeri per pigrizia, quindi dedusse che erano state loro. Si alzò incuriosito e si diresse al loro banco e quelle, appena lo videro arrivare, lo chiamarono e gli fecero segno di avvicinarsi.
“Alex! Vieni qui un attimo!”
La lontra prese una sedia e si aggregò alle tre ragazze.
“Ditemi, ragazze.”
“Senti, tu sei molto amico di Yak e Kamy, no?”
Alex si grattò la nuca come riflesso condizionato, cosa che faceva spesso, e poi incrociò le braccia.
“Beh, sì, cosa vi serve?”
I loro musetti si rallegrarono improvvisamente interessati.
“Volevamo chiederti se tu sai da quanto tempo stanno insieme!”
La lontra strabuzzò gli occhi.
…INSIEME?! Yaker e Kamal non stavano insieme! Erano amici molto stretti, certo, ma non erano vicini fino a QUEL punto! Quelle tre avevano completamente sbagliato giudizio. Alexander sapeva che esistono delle ragazze che provano particolare interesse verso le relazioni omosessuali tra ragazzi, internet ne era pieno. Le cosiddette “Yaoiste”, come amavano farsi chiamare loro. Dal canto suo, la lontra non aveva mai potuto biasimarle del tutto, essendo lui bisessuale (e, con gli uomini, interrace), ma d’altra parte non aveva neanche mai potuto dichiarare di comprenderle in pieno, viste le loro reazioni isteriche ad un qualsiasi tipo di contatto tra due uomini. A quanto pare, ne aveva un gruppo di tre davanti.
Come aveva fatto a non accorgersene prima?! Ormai erano tre anni che praticamente conviveva con tutti i suoi compagni, avrebbe dovuto rendersi conto di certe cose; in quel momento, alla lontra fu chiaro a cosa erano dovuti gli urletti striduli che ogni tanto lanciavano.
Ma quella era la sua occasione. Ohhh, sì, si sarebbe divertito un bel po’!
“Mmh, fatemici pensare…”
Le ragazze pendevano estasiate dalle sue labbra. Alexander si grattò il mento con aria pensierosa mentre metteva insieme la sua vendetta per l’ultima volta che quei due l’avevano preso in braccio.
“…Penso che ormai siano quasi ad un anno di fidanzamento.”
La lontra si compiacque del suo operato, mentre le ragazze si girarono l’una verso l’altra trattenendo il respiro e, all’improvviso, scoppiarono in una delle loro reazioni esagerate.
Che machiavellico piano, Alexander. Questa volta ti sei proprio superato!
Ma… Non avrai esagerato un po’?

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Capitolo 9
*** Ira funesta - Kamal ***


Diario dell'Autore
Non sono solito fare premesse, ma per questo capitolo mi pareva d'uopo. Innanzitutto, volevo ringraziare i pochi che mi leggono e lasciano recensioni, per me significa molto: come avrete letto dall'introduzione della storia, per me tutti e tre i principali personaggi di questa storia sono molto importanti, sono parti di me e, di conseguenza, tengo molto a loro. Sono estremamente felice di poter narrare questa storia a qualcuno che ha interesse ad ascoltarla, non è nulla di che e non ci metto molto tempo a scrivere un capitolo, di certo non è un capolavoro, ma è un lavoro sentito. Questo capitolo l'ho scritto prima del tempo perché, all'improvviso, mi sono ritrovato dell'umore giusto per scriverlo, dunque lo avrete un po' in anticipo rispetto a quanto pensavo.
Passando al capitolo vero e proprio, spero di essere riuscito a veicolare quel sentimento che volevo portarvi. Senza troppi spoiler, posso dichiarare che questo capitolo sarà un punto fondamentale nella storia generale (e nello sviluppo caratteriale dei personaggi, due cose che in questa storia andranno di pari passo). Alzate le zampe in aria e fatevi sentire a riguardo, per questo capitolo ci tengo particolarmente. Mi rendo conto di aver già blaterato abbastanza e vi lascio allo scritto. Buona lettura!

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…Quella volta aveva davvero passato ogni limite. Kamal e Yaker erano seduti a parlare del più e del meno ad un tavolino interno di una gelateria quando il messaggio arrivò. Era di Riko, una loro compagna di classe; si era presa la premura di scrivergli in privato. Si… Congratulava per la duratura relazione e gli consigliava…
Kamal sentiva la rabbia già accumularsi, doveva continuare a leggere.
…gli consigliava di portare Yaker fuori per l’anniversario del loro primo anno. La tigre strabuzzò gli occhi ed avvicinò la testa allo schermo del cellulare: aveva capito bene?
Yaker finì un sorso di milkshake e gli chiese aggrottando le sopracciglia se andava tutto bene.
Kamal non gli rispose, si preoccupò solo di rispondere alla fennec.
“Scusa ma chi t’ha detto questa roba”
Non mise punteggiatura, era troppo urgente sapere chi era l’artefice di quel casino. Anche se un nome in testa la tigre già ce l’aveva.
“Alexander owo”
Lo sapeva. Chiuse il telefono e lo sbatté sul tavolo rumorosamente, rischiando di romperlo.
“Kamal, si può sapere che ti prende?”
“Hai finito lì?”
La tigre accennava al bicchiere di plastica con cannuccia da cui Yaker stava sorseggiando la bevanda.
“Posso bere per strada.”
“Bene, allora andiamo.”
Avevano già pagato, i due uscirono a lunghi passi. La punta della coda di Kamal guizzava nervosa mentre la tigre ringhiava tra i baffi. Come cazzo si permetteva quella lontra di andare a dire in giro cose false?! La tigre sentiva che non si sarebbe dovuto arrabbiare, si trattava solo di uno scherzo goliardico, tra i tre c’era sempre stato uno scambio di questo tipo. Ma quella volta… Per Kamal era diverso. Il solo pensiero che chiunque potesse pensare di lui che non era uomo abbastanza da avere una fidanzate e che, dunque, era propenso ad andare con altri uomini lo mandava in bestia. E sapeva che non avrebbe dovuto, che in fondo ciò che pensavano gli altri contava ben poco, ma lui si sentiva sminuito, umiliato dal pensiero che gli altri avevano di lui, e la cosa non era sopportabile. Reagiva male, mostrandosi iracondo e quasi violento, solo perché in realtà era profondamente deluso da sé stesso. Dentro di lui c’era una vocina che gli sussurrava di calmarsi, che se anche quelle voci fossero state vere non ci sarebbe stato nulla di male, che tutti avrebbero continuato a tenerlo in alta considerazione. Ma Kamal non ci credeva, aveva avuto abbastanza esperienze in passato che gli facevano pensare il contrario. Lui viveva per l’applauso, dava agli altri quello che loro volevano da lui aspettando il momento in cui si sarebbero alzati in piedi in visibilio.
Ma questo lo faceva veramente felice?
Era talmente tanto immerso nei suoi pensieri che non badava più a Yaker, che teneva il passo lì vicino, il milkshake squagliato ancora in una zampa. Si riaccorse della presenza del lupo solo quando questo gli si pose davanti impedendogli di camminare. Lì si rese conto che neanche lui sapeva dove stava andando. Al lupo bastò un secondo di fronte all’amico per capire il punto del discorso.
“Ok, ora mi mostri cos’è successo.”
Aveva visto quell’espressione già altre volte, e Kamal lo sapeva. Sbuffò frustrato e mostrò i messaggi sul cellulare all’amico. Yaker li lesse velocemente e subito riportò gli occhi su quelli dell’altro, che subito vi lesse la comprensione del problema. Il lupo gli sorrise e gli fece cenno di seguirlo.
“Dai, cerchiamo un posto per sederci.”
I due entrarono in un parco pubblico, deserto a quell’ora, e si sedettero su una panchina. Yaker bevve l’ultimo sorso di milkshake e gettò il bicchiere di plastica in un cestino. Poi si girò verso Kamal, che nel frattempo aveva un po’ fatto sbollire la rabbia e gli poggiò una zampa su una spalla.
“Tutto bene? Va meglio ora?”
La tigre diede una botta alla zampa dell’altro. Ci mancava soltanto che si comportassero anche come una coppietta… Forse l’avevano già fatto prima di allora? Era per quello che i compagni di classe pensavano che-
“Senti, è solo uno scherzo idiota di Alexander, se te la prendi gliela darai vinta.”
Yaker aveva ragione su quel punto, la lontra si sarebbe beccata una bella strigliata di lì a poco. Il lupo si mise più comodo sulla panchina e continuò a parlare.
“E poi stammi a sentire: se tu sai qual è la verità, Kamal, allora quello che sanno gli altri importa poco, no?”
Ecco. Il lupo conosceva fin troppo bene la tigre, aveva toccato la corda giusta come al solito. Il punto era che… Quello che importava agli altri era importante per Kamal. E lui stesso sapeva che non sarebbe dovuto esserlo, ma non poteva farci niente: era semplicemente fatto così, forse. Capiva che era un problema unicamente suo anche dal comportamento di Yaker, che sembrava tranquillo riguardo la situazione. La tigre gli replicò quasi ruggendo.
“E non ti urta?! Sapere che magari quelli in questo momento stanno ridendo di me… DI NOI.”
“Kamal, in primo luogo penso che i nostri compagni non vogliano prenderci in giro: siamo stati fortunati, siamo capitati in una classe intelligente e unita, nessuno lì dentro ha interesse di mettere in mezzo nessun altro. E poi, basta che gli diciamo noi come stanno davvero le cose e…”
Yaker interruppe il discorso, sembrava quasi imbarazzato, ma Kamal aveva capito dove voleva arrivare. Sorrise mesto mentre si fissava le zampe.
“…e fargli capire che Alexander è un’immane testa di cazzo.”
I due risero, ma al contempo interruppero un discorso che, magari, avrebbero voluto mandare avanti. Yaker sorrise alla tigre e gli diede una forte pacca sulla spalla, poi si alzò in piedi in controluce per stiracchiarsi un po’. Kamal lo osservò: era proteso verso il cielo, entrambe le braccia in alto, le gambe tesissime. Poi si lasciò andare e scodinzolò soddisfatto un paio di volte, quasi a voler sgranchire anche la coda. Indossava un paio di jeans a vita bassa, con un apposito foro che gli permetteva di muoverla liberamente. Kamal si diede uno schiaffo psichico sul muso: ma che stava facendo, fissava il didietro di Yaker?! Se faceva così, ovvio che gli altri lo scambiassero per innamorato. Il lupo si voltò e gli fece cenno.
“Dai, è quasi ora. Andiamo davanti a scuola ed intercettiamo Alexander prima che se la svigni.”
Kamal annuì complice e ghignò come faceva lui spesso, si tirò in piedi sulla panchina e saltò giù solo per il gusto di farlo. Seguì il lupo ciondolando, felice di poter contare sempre su di lui, di avere qualcuno con cui confidarsi in quei momenti. A parte i suoi genitori, Yaker era un caso unico. E lo adorava per quello, oltre che per un’enorme marea di ragioni in più.

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Capitolo 10
*** Quel pomeriggio - Yaker ***


“I-io… Scusa.”
La sua voce non era mai sembrata così fredda. Il solito Alexander dal tono entusiasta e dai modi amichevoli si era rattrappito in un piccolo sacchetto di sensi di colpa. Yaker sapeva che non lo aveva fatto con malizia o per cattiveria, quindi gli scompigliò la pelliccia sulla testa e gli sorrise benevolo.
“Tranquillo, lo so che volevi solo fare uno scherzo…”
La lontra fissò il lupo dal basso verso l’alto: si trovavano nel salotto della casa di Yaker.
“…Però sarebbe il caso che chiedessi scusa a Kamal. Probabilmente ti avrà già perdonato, ma sai quanto ci tiene.”
Alexander annuì e si tirò su un po’ col morale. Yaker lo notò e gli diede un paio di forti pacche su una spalla, come era solito fare anche con l’altro amico.
“Quindi, vuoi qualcosa da sgranocchiare? Dovrei avere delle patatine da qualche parte…”
“Oh, sì, grazie!”
Il lupo si diresse in cucina e tirò giù dalla dispensa un grande pacco di snack salati. Lo poggiò sul divano sotto gli occhi avidi di Alexander e poi si sdraiò sul pavimento subito di fronte al sofà, il joystick tra le zampe. Spesso i due si riunivano per giocare insieme e passare qualche pomeriggio ad ignorare i compiti per casa: la prima volta che il lupo invitò la lontra da lui, però, sorse il problema dei controller. Per quanto ci provasse, infatti, Alexander non riusciva a gestire bene il joypad della grandezza delle zampe di Yaker. Quindi, la volta successiva, la lontra si portò il suo da casa e così continuò a fare. I due giocavano ad una grande varietà di giochi multiplayer per potersi divertire entrambi ma, per quella volta, optarono per un gioco single player, uno dei preferiti di Yaker.
“Kingdom Hearts? E come ci giochiamo in due?”
La lontra era perplessa dalla scelta del lupo.
“Un boss a testa? Vediamo se riusciamo a finirlo prima di stasera!”
Il lupo era entusiasta di poter rigiocare per l’ennesima volta uno dei suoi giochi preferiti. Alexander, invece, non l’aveva mai toccato con zampa e quindi aveva l’ansia della scoperta, anche se era comunque un po’ perplesso.
“Ma non l’hai già giocato milioni di volte?”
“Sì, ma che importa! Ogni tanto lo ricomincio, così, perché mi va…”
La lontra si convinse e, mentre sgranocchiava una patatina, ghignò all’altro.
“D’accordo, allora, ma il tutorial lo fai fare a me.”
“Mmh, va bene, così poi non muori male contro i primi boss. Forse.”
Alexander diede un calcio alla testa di Yaker, facendolo solo ridere. I due passarono l’intero pomeriggio a giocare e, solo quando si accorsero dell’imbrunire, distolsero l’attenzione.
“Che ore sono, Yak?”
“Mmh? Vediamo… Sono le 9.”
Alexander si stiracchiò.
“Quanto manca alla fine del gioco?”
“Ehm… Almeno un altro paio di mondi più quello finale.”
“SCHERZI?! Sarà meglio organizzarci per la cena!”
Yaker era un po’ pensieroso, cosa che risvegliò l’interesse della lontra.
“Che hai?”
“Eh? Ah, no, è che pensavo che Kamal avrà finito l’audizione a quest’ora…”
Il lupo fissava nel vuoto, tamburellandosi un ginocchio con una zampa. Non riusciva a smettere di pensare alla reazione della tigre, a come doveva stare Kamal: quasi senza rendersene conto aprì il suo contatto e gli scrisse un paio di messaggi.”
“Hey bro, com’è andata? Ti aspettiamo per mangiare, facci sapere!”
Nel frattempo, Alexander stava anche lui digitando sul cellulare, con il muso tutto preso.
“A  chi scrivi, Alex?”
“A Jennifer, mi ha chiesto se domani ce ne andiamo a prendere un milkshake, dopo scuola!”
Jennifer era l’attuale ragazza di Alexander, era una lontra che frequentava lo stesso loro anno nella sezione accanto alla loro. I due avevano molto in comune e, anche se per un bel po’ sembrava che sarebbero solo dovuti rimanere amici, dopo un po’ lui s’era fatto avanti e lei, contro le previsioni di tutti, aveva accettato.
Vedere Alexander così preso dalla sua nuova relazione lasciò Yaker un po’ interdetto e turbato: quando era poco più che un cucciolotto aveva avuto qualche fidanzatina di circostanza, ma la sua vita sentimentale era ridotta a quello ormai da un bel po’; per lui contava come prima cosa la comunicazione, quell’asse emotiva che si veniva a creare tra un ragazzo e una ragazza che li portava a rimanere per sempre insieme. Voleva una lupacchiotta che si interessava alle sue stesse cose, e lui voleva essere interessato a quelle di lei, voleva poterle parlare di ogni cosa senza peli sulla lingua e potersi fidare ciecamente. Quella lupacchiotta, fino ad allora, non s’era mai trovata. E Yaker immaginava una lupa ma, se avesse trovato la ragazza giusta, non si sarebbe posto il problema della specie… finché rimaneva di taglia simile alla sua.
Il lupo si fece un po’ malinconico finché la tigre non rispose.
“Uno schifo bro, mi hanno dato il trattamento - LE FAREMO SAPERE -…”
“Tranquillo, ciccio, quelli non vedrebbero il talento neanche se gli ruggisse in faccia. Vieni qui a casa mia, che ci ordiniamo qualcosa di buono.”
“Ciccio?! Cosa, sono troppo grasso per te?!”
“No, no, era solo un nomignolo, non volevo…”
“Tranquillo Yak, scherzo: prendo una metro e sono da voi.”

Yaker sorrise. Le audizioni di Kamal non andavano mai bene. E lui era bravissimo, il lupo l’aveva visto ballare più di una volta, ma quelle selezioni finivano sempre per escluderlo e demoralizzarlo. Lui lo sapeva e quindi desiderava tirarlo su di morale. Sorrise mentre distoglieva lo sguardo dallo schermo e guardò Alexander con aria di chi sa già la risposta alla domanda che vuole porre.
“Senti… Ti va sushi stasera?”
Gli occhietti della lontra si illuminarono prima che questo iniziasse ad esultare scomposto.
Sì, era quella la reazione che si aspettava.

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Capitolo 11
*** Trance - Kamal ***


Kamal stava tornando a casa: era tardi, il buio aveva già inglobato la città che cercava di combatterlo con le sue luci urbane. La metropolitana era praticamente vuota e stava percorrendo probabilmente l’ultima rotta della giornata, le lampadine fredde dei vagoni che vibravano in contrapposizione con l’esterno. La tigre era seduta su un sedile, curva in avanti ed assorta nei suoi pensieri: aveva passato una serata fantastica con Yaker e Alexander, ma non riusciva a non essere almeno un po’ sconsolato per l’ennesima volta che l’avevano respinto ad un provino. Gettò uno sguardo che sfiorò il borsone appoggiato sul sedile a fianco a quello su cui era seduto ed intravide le culottes color carne che aveva indossato quel giorno. Solo e soltanto quelle di fronte ad un cliente che era lì per giudicare non solo le pure doti e capacità, ma anche il fisico e l’apparenza. Kamal si riteneva inadeguato in ogni campo, sia nelle semplici tecniche di danza, sia nella propria forma fisica. Non sarebbe mai stato abbastanza abile o attraente ai propri occhi e, nonostante tutti continuassero a ripetergli che aveva fatto del suo meglio e che era colpa dell’inflessibilità degli esaminatori, la tigre non poteva accettarlo. Era colpa sua, solo e soltanto sua. Se non lo sceglievano significava semplicemente che non era abbastanza per risultare sufficiente. Non si dava pace, doveva alzare l’asticella e tentare di arrivare sempre più in alto. Uno sprone che, all’apparenza, sembrava sano e positivo lo frustrava ed umiliava di fronte a se stesso per la sua inferiorità… E vedere gli altri performer non era d’aiuto. Strinse le zampe attorno al bordo del sedile e sbuffò frustrato, approfittandone mentre nessuno poteva vederlo. Non poteva permettersi di mostrarsi in quel modo, doveva essere forte ed impeccabile, tutti dovevano vederlo solo al meglio mentre lavorava sodo per arrivare al suo sogno. Non lo faceva solo per sé, lo faceva per chi aveva creduto in lui in tutto quel tempo: i suoi genitori, Alexander…
E Yaker.
Come avrebbe potuto deluderli dopo tutto quello che avevano fatto per lui? Ringhiò in silenzio in preda alla frustrazione, chinando la testa verso il basso e serrando violentemente gli occhi. Tirò per sbaglio fuori gli artigli, graffiando la plastica del sedile. Subito si riprese e li ritrasse… Cosa gli prendeva? Si passò una zampa sul viso e cacciò un violento sospiro. Il suo cellulare vibrò, distraendolo da quella situazione.
Un paio di messaggi. La tigre neanche sapeva perché il cellulare aveva vibrato, lui la teneva sempre disattivata… Erano di un paio di suoi compagni di classe che scrivevano in caps maiuscolo, tutti eccitati per qualcosa.
“RAGAZZI DOMANI NOVITA’ A SCUOLA VENITE TUTTI”
“ODDIO È QUELLO CHE PENSO?!?!?!?”
Kamal rimase a fissare la chat per un po’, aspettando che la discussione partisse. Non aveva idea di cosa stessero parlando e non si sentiva di scrivere, quindi sperava che qualcun altro lo chiedesse al posto suo. Non accadde, dunque la tigre rinunciò e fece per mettere via il cellulare, rassegnato a scoprire tutto solo il giorno dopo. Indugiò per qualche minuto con il dito quando arrivò un messaggio di Yaker nel gruppo.
“WOAH! Non pensavo che l’avrei mai detto, ma domani potrei andare a scuola volentieri!!”
Kamal fissò lo schermo per qualche secondo e poi aprì il contatto di Yaker nella sua rubrica, fissando la sua foto. Lo avrebbe fatto soprattutto per lui, sarebbe diventato quello che sognava perché il lupo ci teneva tanto quanto lui e lo aveva sempre sostenuto in ogni scelta.
Quel giorno non si sarebbe mai ripreso senza il suo aiuto ed era la seconda volta che si ritrovava a fissarlo quasi ipnotizzato. Erano davvero vicini, si sostenevano a vicenda in tutto, sapevano farsi ridere a vicenda… Sembravano davvero due innamorati, e Kamal quasi cominciava a pensare di poter addirittura superare la vergogna scaturita da un’ammessa attrazione per lo stesso sesso per stare con un animale meraviglioso come Yaker. Il solo pensiero di un’umiliazione del genere gli diede una specie di conato psicologico e bloccò il cellulare, facendo sparire la foto del lupo ed annerendo lo schermo. Alzò di nuovo la testa: la sua fermata doveva essere vicina. Avrebbe fatto bene a darsi una mossa ad arrivare a casa e ad andare a dormire, a quanto pareva la giornata seguente sarebbe stata da non perdere.
Sperava soltanto di non doversi sentire così anche l’indomani.

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Capitolo 12
*** Entusiasmo - Alexander ***


Diario dell'Autore
Stavolta, di scuse. Questo è un altro capitolo filler, un po' raffazzonato e poco interessante, ma è necessario ai fini della narrazione, visto che introduce quello che sarà il tema dei prossimi capitoli e, soprattutto, la loro collocazione.
Spero che possiate godervelo comunque, cercherò di garantirvi un capitolo un po' più corposo la prossima volta! Fatemi sapere cosa vi aspettate dal prossimo capitolo, mi interessano molto i vostri pareri e le vostre aspettative!

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Il giorno dopo, Kamal non venne a scuola. C’era da aspettarsi che si volesse prendere un giorno per sé. Beato lui che poteva, ad Alexander spesso veniva voglia di starsene a casa in panciolle, anche per motivi futili, ma il conto delle sue assenze ammontava a ben oltre una cifra che gli potesse dare la garanzia di non venir bocciato quell’anno per non aver frequentato un sufficiente numero di lezioni. Quel giorno, tuttavia, era diverso: la sera precedente si erano create aspettative su una voce allettante che, nel periodo precedente, gli era giunta da bidelli indiscreti. Appena lo vennero a sapere, tutti gli animali nella classe cominciarono a scalpitare, a specularci sopra e a costruirsi speranze nell’ottica che quello che sembrava un sogno diventasse realtà. Alexander e Yaker, quel giorno, partecipavano al tumulto generale in attesa di buone nuove dal coordinatore di classe, una volpe dalla corporatura stranamente imponente e dal fascino esotico e meridionale (che faceva impazzire le signorine e morire d’invidia e di rispetto contemporaneamente i ragazzi…) che aveva sostituito Panettoni per la gioia collettiva della classe. Il professor Pulchri quel giorno entrò in classe e gli annunciò con la sua solita aria da intellettuale gagliardo, fallendo a mascherare una velata complicità con il fermento dei suoi alunni, che le loro aspettative erano, in realtà, ben fondate. Avrebbero fatto quell’anno stesso, ormai era ufficiale e siglato, una gita da una settimana fuori città. A quelle parole, la classe esplose, e con lei Yaker e Alexander: tra fischi, zampe che battevano, cacofonie esultanti non ben definite ma comunque ilari, il professore richiese subito l’ordine con disciplina, facendo leva sul rispetto che i suoi alunni riponevano in lui. E subito la classe tacque.
Persino Alexander, forse il più euforico lì dentro, riuscì a frenare l’entusiasmo e a rimanere fermo sulla sedia… Circa. La lontra si voltò a guardare Yaker mentre questo digitava in preda all’euforia un rapido messaggio per Kamal, in caps lock: il lupo sembrava al settimo cielo, il suo sguardo guizzava da una parte all’altra mentre informava ogni assente della notizia.
“Non è incredibile?!
Dopo tutto quello studio sfiancante, avrebbero avuto una settimana DI SCUOLA in cui sarebbero stati occupati a divertirsi ed imparare fuori dalle mura dell’edificio. Quasi più non importava la destinazione, l’importante era la compagnia. Alexander si guardò in torno: di classi così unite ne aveva viste poche, in vita sua, ed era felicissimo di farne parte. Pulchri si espresse poco dopo.
“Sono molto felice anch’io, ma ora devo spiegare dei carmi. Gioirete dopo.”
Nessuno fiatò, anche se l’entusiasmo si poteva carpire nell’aria, e la lezione procedette senza intoppi. Suonata però la campanella che scandiva la ricreazione, tutti si precipitarono all’esterno della classe per informarsi meglio e cercare informazioni, indizi, speculazioni, fughe di dati, qualsiasi cosa gli avesse potuto dire qualcosa di più sulla gita imminente. Alexander rimase in classe insieme a Yaker, ed entrambi parlarono entusiasti di dove sarebbero potuti andare, cosa avrebbero fatto, quali cose avrebbero portato e che souvenir potevano riportare a casa. Misero Kamal in vivavoce e parlarono in tre, ognuno trascinato dal torrente di parole che uscivano dai loro musi, alcune realiste e concrete, altre talmente esagerate da far scoppiare il riso. Ed erano belle le une e le altre. Pensavano a come avrebbero voluto stare insieme in camera, se sarebbero stati l’unica classe a partire, a come Alexander sarebbe fuggito fuori dalla finestra per andare nella stanza di Jennifer se ci fosse stata, a cosa si sarebbe potuto fare in hotel e a cosa invece fuori, se li avrebbero portati in città o in campagna, in musei o in parchi acquatici, o ancora piazze, monumenti, grattacieli, luna park, riserve naturali, ed altri, altri ancora fino alla fine della ricreazione. Quella giornata ormai era stata monopolizzata e non c’era speranza che le lezioni potessero riprenderla in mano ed attirare l’attenzione dei ragazzi: persino gli assenti partecipavano entusiasti con messaggi e note vocali. I professori quindi si rassegnarono e lasciarono alla classe la “giornata libera” per smaltire l’adrenalina.
Presto avrebbero scoperto dove sarebbero andati, ed allora le acque si sarebbero calmate. Speravano.
Alexander, dal canto suo, passò anche l’intero pomeriggio a contattare animali più grandi che avevano già partecipato a viaggi simili per sapere tutto quello che poteva. Non vedeva l’ora, come chiunque altro.

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Capitolo 13
*** Se il buon giorno si vede dal mattino... - Yaker ***


“Daaaaaai… Ancooooora un po’… Sooooono sicuuuuuuro cheeeeeee… ADESSO!”
Alexander era proteso sul nastro trasportatore dell’aeroporto sul quale scorrevano pigramente i bagagli di milioni di animali, cercando di predire l’apparizione dei loro. Yaker, tornando dal bagno, fece in tempo ad assistere alla scena poco prima che la lontra si sbilanciasse troppo e cadesse rovinosamente sul baule di un altro passeggero: rialzatosi di scatto, chiese subito scusa al grande orso polare che imprecò tra le zanne e si girò subito di nuovo verso la porticina da cui i bagagli uscivano. Il lupo sorrise tra sé e sé e si avvicinò lentamente al teatrino di quella scenetta, dove erano raggruppati anche tutti i suoi compagni di classe, in affranti dalla colossale lentezza del recupero bagagli. Tutti tranne uno.
“Hey ragazzi, Kamal?”
Un compagno indicò con un pollice un punto al di là delle sue spalle e, girandosi, Yaker riuscì a vederlo: era seduto sul pavimento a gambe incrociate e stava controllando il cellulare, appoggiato su una coscia. Il lupo gli si avvicinò facendosi largo tra gli studenti delle altre classi e gli si accucciò vicino.
“Ti va uno snack?”
Kamal sollevò pigramente gli occhi dal telefono e sorrise benevolo, scuotendo la testa. Yaker lo ricambiò con una pacca su una spalla mentre un urlo si alzava dal nastro trasportatore.
“RAGAZZI PENSO DI AVERLI INTRAVISTI!!”
Alexander si sbracciava scomposto, come faceva quando era emozionato, cercando di attirare l’attenzione di più gente possibile. Il lupo si alzò e tese una zampa alla tigre, che la afferrò e ci fece leva per tirarsi su, ed insieme si incamminarono verso il nastro trasportatore, schivando di nuovo la folla di animali di altre classi che, a detta di Yaker, sembravano girarsi spesso a fissarlo con occhiate strane.
La diceria dei bagagli si rivelò veritiera, dunque il nastro trasportatore fu presto invaso dai bagagli degli studenti che si ammassavano freneticamente vicino a quello per acchiapparli, sollevati dal fatto che non fossero stati persi o scambiati. Quando tutti ebbero recuperato il proprio bagaglio, gli insegnanti fecero strada verso i pullman che li avrebbero portati in hotel: si trovavano in una località di mare, una grande isola dalle coste sabbiose e rocciose dove faceva veramente caldo; si trovavano lì in gita perché sul posto erano nati svariati accampamenti di animali primitivi e numerose colonie arcaiche, dunque i siti di carattere storico-culturale abbondavano come in nessun altro luogo. I pullman non erano divisi per classe, dunque tutti salirono su quello dove salivano i loro amici, ed i nostri tre fecero lo stesso, ritrovandosi però con pochissimi altri compagni di classe e circondati da musi relativamente nuovi, musi che Yaker ricordava bene per quelle strane occhiate all’aeroporto. I tre decisero di sistemarsi nei posti davanti, Alexander e Kamal vicini l’un l’altro e Yaker subito dietro, con il posto vicino vuoto. Nessuno aveva voluto sedersi lì, quindi il lupo, pur sentendosi a disagio per quel motivo, decise che tanto valeva poggiarci la sua borsa e parlare con i due lì avanti, che nel frattempo avevano deciso di intrattenersi con giochi stupidi del calibro di “Nella Mia Valigia Metto” e simili. Il pullman partì un po’ dopo, e Yaker sbadigliava sonoramente: quella mattina, per prendere l’aereo, si erano dovuti svegliare molto presto, dunque una dormitina gli avrebbe fatto parecchio comodo. Sapeva che il viaggio sarebbe durato almeno due o tre ore, quindi aveva tutto il tempo per rifocillarsi un po’. Tirò fuori il cellulare, si infilò le cuffiette e fece partire un brano casuale, poi chiuse gli occhi e si rilassò sul sedile, perdendo la cognizione del tempo.
Dopo un periodo di tempo che sarebbe potuto essere di un’ora, come di due, come di tre minuti, si sentì strappare bruscamente le cuffiette dalle orecchie: sobbalzò e si voltò verso il corridoio dell’autobus, per trovarci un ragazzone, un bufalo dall’aria poco intelligente, che giochicchiava con le sue cuffiette facendole roteare per il filo. Il tizio di un’altra classe sbuffò e, con aria aggressiva, fece un cenno verso la borsa di Yaker.
“È da maleducati occupare i posti a sedere, sai?”
Il lupo aggrottò le sopracciglia, chiedendosi per quale motivo quel tale avrebbe dovuto alzarsi dal suo posto e venire a rompere le scatole proprio a lui, soprattutto dopo che tutti gli altri erano riusciti a sedersi e che, dunque, non c’era motivo di lasciare il posto libero. Yaker però ammise a se stesso che occupare i posti in quel modo poteva esser visto come maleducato comunque, e dunque rispose tranquillo allungando una zampa per prendere lo zaino.
“Beh, se serve a qualcuno di sedersi qui lo sposto…”
Il bufalo non rise, semplicemente mise un ghigno sul muso ed alzò il naso con aria di chi ha ottenuto proprio ciò che voleva.
“Non è quello che devi spostare, frocio, è il culo dal sedile. Stai occupando un posto per animali normali.”
Il mondo crollò all’improvviso addosso al lupo. Dai… Ma veramente? Anche al liceo?! Yaker era stato vittima di lieve bullismo in passato, ma in primis si trattava dei tempi in cui erano ancora poco più che cuccioli minuscoli, e in alteris poteva comprendere i comportamenti che lo avevano portato ad essere preso di mira, ma stavolta era uscito tutto fuori dal nulla senza preavviso. Guardò oltre la spalla del bufalo e vide altri animali ridere di lui per nessun motivo. Ritornò a fissare il tizio negli occhi, provando un misto di rabbia e grande sconforto, mentre quello sghignazzava guardandolo dall’alto in basso. Non poteva più stare in silenzio, non avrebbe sopportato passivamente di essere messo alla berlina in quel modo… Con quali accuse, poi?! Non l’aveva neanche capito… Sui sedili lì avanti, Alexander e Kamal erano accigliati e arrabbiati quanto lui, Yaker riuscì a sentire il loro supporto silenzioso e sapeva che l’avrebbero difeso, dunque ostentò un’aria non curante e lasciò andare lo zaino per rimettersi comodo sul sedile.
“Non vedo animali normali in piedi che si possano sedere. Solo te.”
Per quanto sembrasse tranquillo, dentro ardeva di frustrazione e vergogna per essere stato messo in mezzo in quel modo. Alexander emise un sonoro “AH!” e Kamal rise a bassa voce del bufalo, scuotendo la testa. Il bufalo mantenne quell’aria di superiorità e si girò di pochissimo per lanciare un’occhiata di sdegno a Kamal, che la ricambiò fulminandolo con le iridi.
“Ridi poco te, che sei la cagna della lupa.”
E con “lupa”, accennò a Yaker. Il lupo sapeva bene cosa sarebbe successo, ed infatti scattò in piedi insieme ad Alexander nell’esatto istante in cui lo fece anche la tigre, che ringhiava ed aveva gli occhi rossi d’ira, e però quasi velati di lacrime. Yaker afferrò un polso di Kamal e gli parlò con tono fermo ma calmo.
“Kam. Non ne vale la pena…”
E subito Alexander zompò appoggiandosi alla spalla destra della tigre, cercando di dare una mano all’amico.
“Sì, questo idiota probabilmente neanche capisce cosa ci stiamo dicendo adesso…”
Le parole della lontra furono condite da un’occhiata di rabbia pura che tinse il suo muso di una luce completamente diversa dalla solita. Kamal si sedette sbuffando dal naso, cercando di eliminare la frustrazione accumulata, e così fecero anche Yaker e Kamal mentre si fecero scivolare addosso qualsiasi altro insulto nei loro confronti, al punto che una volta scesi non ne ricordarono più.
Erano arrivati finalmente all’hotel, il viaggio da quell’episodio in poi era stato un inferno: Yaker aveva trascorso il resto del tempo guardando fuori dal finestrino, il muso appoggiato sul pugno della zampa chiusa ed il gomito puntellato sul bracciolo; riusciva a percepire la pesantezza dell’ambiente circostante che gli gravava sulle spalle, era una sensazione orribile. Il lupo pensò che anche Kamal stesse provando lo stesso ma non osò porgergli un po’ di solidarietà per paura di essere bersagliato di nuovo, mentre Alexander tentava come meglio poteva di risollevare il morale ad entrambi.
Il peggio era passato, i tre si sistemarono nella loro camera (avevano pagato una piccola quota aggiuntiva per scegliersi la sistemazione) e si lasciarono andare lì, sfogandosi come meglio poterono: Alexander si lasciò andare ad una colorita serie di insulti facendo avanti e indietro nella camera, mentre Yaker disse un paio di parole di conforto a Kamal, che però si chiuse in bagno per farsi una doccia, lasciando gli altri due ai fatti loro. Il lupo dunque decise di sdraiarsi sul letto matrimoniale su cui avrebbe dovuto dormire con Alexander (per via della taglia) e cercò di rilassarsi. Tra un’ora ci sarebbe stato l’orientamento, e poi avrebbero avuto il resto della giornata libera, sperava solo di poter isolare quel momento come peggiore dell’esperienza e godersi il resto. La voce del rapporto omosessuale tra lui e Kamal era in giro già da prima che Alexander facesse quello scherzo, dunque la colpa non era di certo sua, benché la lontra non nascondesse un po’ di colpevolezza a riguardo. A Yaker ovviamente dava sui nervi, perché tra lui e Kamal non c’era niente, ma comunque, anche se ci fosse stato, non sarebbe mai stato un buon motivo per un attacco così infame. Al lupo dava fastidio anche dover essere attaccato di nuovo, ma soprattutto stava male per la tigre, molto più sensibile di lui in situazioni simili: i due condividevano una visione simile, si sentivano entrambi umiliati agli occhi altrui da esperienze simili, ma Kamal reagiva particolarmente male ed aveva bisogno della comprensione di qualcuno che capisse veramente quello che provava. Allo stesso modo, Yaker si sentiva sollevato dal sapere che poteva affrontare la cosa insieme ad un amico fidato. Alexander poi era stato di grandissimo aiuto, prendendo le loro difese in un modo che il lupo non si sarebbe mai aspettato. Ed, in più, sapeva che sarebbe riuscito a rallegrare l’atmosfera velocemente, era nella sua indole.
“Aspetta e vedrai, quel figlio d’una bufala è già spacciato! Parola di Alexander!”
Yaker fissò il soffitto quasi come se lo potesse aiutare anche lui, mentre pensava al perché era successo tutto quello senza trovarci molto senso. Pensava a Kamal, a come nessuno di loro si fosse meritato un trattamento simile.

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Capitolo 14
*** Nudo - Kamal ***


Una nuvola di vapore denso quasi al punto di diventare pioggia uscì dalla cabina della doccia mentre Kamal, col pelo ancora zuppo d’acqua, usciva dalla doccia e si infilava sovrappensiero un paio di infradito alle zampe scivolose. Era nero di rabbia ed arancione di vergogna e frustrazione, l’acqua che gli appesantiva il pelo era allegoria delle sensazioni orribili che provava in quell’istante, che invece gli appesantivano l’animo e l’umore. Prese a fissare un punto nel vuoto. Perché…? Perché doveva capitare proprio a lui? Non lo aveva chiesto, sarebbe stato molto meglio senza quell’ulteriore difficoltà. Non poteva farci niente, ed aveva provato con tutte le sue forze a combattere quello che era. Nulla, sforzi inutili che si accatastavano sull’enorme montagna di pesi che gli gravava sul cuore e che lo umiliavano ancora di più davanti a se stesso. Ringhiò per la frustrazione sempre fissando il vuoto, ma non era aggressivo: strinse gli occhi e fece uscire qualche furtiva lacrima, che scivolò sulla pelliccia già impermeabile per colpa dell’acqua assorbita fino a passargli oltre i pettorali, l’addome, l’inguine, le cosce. Quando giunsero entrambe ai suoi talloni, Kamal sentì un suono e si portò velocissimo un braccio agli occhi per asciugarseli: qualcuno aveva bussato alla porta del bagno.
“…Sì?”
Ci fu qualche istante di silenzio.
“Sono Yaker, Kam. Hai dimenticato l’asciugamano, posso entrare?”
La tigre si rese conto solo in quel momento che, effettivamente, non aveva nulla per asciugarsi. Indietreggiò un po’ con una zampa sulla tempia e si sedette sul gabinetto, perché sentiva le gambe cedergli, per poi rispondere con il tono di chi ha smesso di piangere da pochi istanti e che, contemporaneamente, non ha mai iniziato.
“Sì, sì, entra pure…”
La porta si aprì lentamente ed apparve Yaker, svestito per la notte con solo un paio di boxer addosso: sorrise alla tigre dalla porta quasi con aria paterna, chiuse la porta dietro di sé e fece qualche passo per porgergli l’asciugamano bianco che teneva nella zampa destra. Kamal lo squadrò dal basso verso l’alto con aria sommessa e poi accennò una smorfia agrodolce. Prese l’asciugamano e si alzò, per legarselo in vita: non sapeva quanto tempo era stato a fissare nel vuoto, ma probabilmente abbastanza da far asciugare la maggior parte dell’acqua dal suo pelo.
“Grazie, Yak… Io-“
“Devi stare tranquillo, ok? Non devi rispondere a nessuno di quello che non sei…”
Kamal abbassò di nuovo lo sguardo, non resisteva più. Doveva sfogarsi, e doveva farlo con Yaker: era l’unico animale a cui l’avrebbe detto in quel modo, senza vergogna o quasi; ed ormai s’era reso conto persino lui stesso di non poterne fare a meno.
“…E se lo fossi, Yaker?”
Ecco, l’aveva detto praticamente. L’aveva ammesso di fronte alla persona di cui, forse, gli importava di più, così, senza ragionarci. Ovviamente, se ne pentì subito e cominciò a morire dentro: non fu più capace di sostenere il suo sguardo, dunque si voltò verso quel punto distante che fissava prima, lo sguardo nuovamente rosso, sempre per le lacrime e non più per il furore.
Ci fu qualche secondo di silenzio, Yaker tentennò e fece per aprire la bocca senza però spiccicare parola. Solo dopo qualche attimo eterno d’incertezza che a Kamal parvero un abisso, il lupo parlò. Ma senza aprir bocca. Lentamente si fece avanti e cinse l’altro in un abbraccio che senza dire nulla diceva tutto: diceva “Per me sarai sempre il meglio”, diceva “Non c’è nulla di male per me”, diceva “Ti sosterrò qualsiasi cosa succeda”. La tigre non ricambiò subito, rimase in silenzio sbigottito: nella sua testa frullavano mille emozioni. “Ecco, anche questo è da froci!” “Ma sento che devo farlo…” “Cosa penserà di te se lo fai?” “Cosa può pensare qualcuno che mi abbraccia in questo modo?” “Vuoi davvero ridurti così?” “Vuoi davvero lasciare che questo attimo finisca?” “Come puoi essere un vero uomo se lasci vedere così le tue debolezze?” “Come puoi essere un animale felice se non ti permetti di sfogarti?” “Non farlo!” “Fallo…” “Trattieniti!” “Lasciati andare…” “Non provare emozioni!” “Concediti questo lusso…” “Non lasciare che il mondo ti veda!” “Ma ormai il tuo mondo lo sa, Kamal. La vera domanda è…
…chi è il tuo mondo?”
Kamal ricambiò l’abbraccio e strinse Yaker a sé come se non volesse mai più lasciarlo andare. Le lacrime ricominciarono a scivolargli dagli occhi, silenziose e sfuggevoli, ognuna carica di anni ed anni di frustrazione. L’asciugamano che aveva in vita cadde alle sue zampe e la tigre era lì: autentico, nudo di fronte a se stesso esattamente dove era felice di stare. E in quell’attimo non c’era vergogna che potesse tenere, Kamal disse tra le lacrime tutto quello che aveva maturato in quel periodo e che aveva tenuto stipato dentro senza possibilità di esprimerlo.
“Yak…”
“Dimmi tutto, Kam.”
“Io credo di amarti…”
Singhiozzò ed andò avanti.
“…Non penso che potrò mai più fare a meno di te.”
Il lupo gli portò una zampa su una guancia e gli asciugò una lacrima con il pollice.
“Pensi che io possa essere alla tua altezza, Kam?”
“Ti prego, abbassati tu alla mia.”
Yaker divenne pensieroso per un istante, quasi se stesse ricordando un pensiero lontano, e poi tornò a fissare Kamal negli occhi, fissandolo dal basso.
“Ho solo da alzarmi per te.”
Kamal non resistette più. Ormai, quella sera, avrebbe fatto qualsiasi cosa sentiva di voler fare, senza vergogna. Ponderò il suicidio, nel caso Yaker lo avesse rifiutato in malo modo non avrebbe potuto vivere con il senso di colpa, e in una frazione di secondo lo baciò. Sulle labbra, per pochi istanti. Yaker fu visibilmente rigido, al punto da spaventare Kamal nell’animo, e poi espirò dal naso, sorridendo mentre i loro musi erano ancora uno sull’altro. La tigre dunque si staccò, turbato dal gesto che aveva appena compiuto, ma il lupo tornò a stringerlo e a cercare le sue labbra per un secondo dolce bacio, questa volta molto più lungo.

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Capitolo 15
*** Adrenalina - Alexander ***


Alexander aveva visto sparire Yaker nel bagno ormai da 10 minuti buoni e l’aveva aspettato subito fuori dalla porta, curioso abbastanza da non fare altro nell’attesa ma dall’altro lato discreto a sufficienza per non imperversare all’interno. Sembravano tacere entrambi, non riusciva a sentire se si stessero dicendo qualcosa o se, effettivamente, fossero entrambi in silenzio. Tra i tre, probabilmente, Alex era il più arrabbiato per quello che era successo durante il viaggio in pullman: Kamal era sicuramente quello più colpito ed affranto, Yaker provava più che altro pietà per la povertà d’animo del tale che aveva lanciato quegli insulti, ma la lontra era probabilmente l’elemento più infuriato del terzetto, più che altro perché non capiva. Non capiva perché quelle parole sarebbero dovute essere un insulto per chiunque, a prescindere dal fatto che fossero dirette ai suoi due migliori amici, e la faccenda lo riguardava da vicino tanto quanto riguardava loro. Alexander era il primo a credere nel complesso sistema di sfumature che sono il fulcro dell’istinto d’attrazione corporale degli animali, aveva sperimentato sulla sua stessa pelliccia cosa significasse scoprire di possedere una complessità sessuale che si distaccava anni luce dalle etichette facilmente affrancabili a chiunque si esprimeva sui propri gusti. Ad Alexander piacevano le donne tanto quanto gli uomini, per motivi diversi le une e gli altri, e non l’aveva mai tenuto nascosto a nessuno proprio perché andava fiero di quello che aveva scoperto di se stesso attraverso un percorso di crescita tutt’altro che facile. Sentire una banalizzazione urlata con saccenteria e disprezzo urlata da una mente così piccola non solo lo disgustava, come succedeva per Yaker, ma gli infondeva anche un senso di orgoglio quasi patriottico che gli imponeva di infuriarsi quando assisteva a simili teatrini. Zootropolis sarà anche potuta essere la città dove ogni animale può essere quello che vuole, ma non era detto che esserlo fosse facile ed accettato… Non era passato molto da quando quella coniglietta, Judy Hopps, aveva rivoltato la città dimostrando come quello non fosse solo uno slogan ripetuto senza pensare ma che, accompagnato dalla buona volontà, poteva essere veramente qualcosa di indicativo dello spirito della città e dei suoi abitanti. Possibile che quell’esempio fosse passato in sordina così velocemente? Erano davvero tutti tornati alle etichette? Allora dunque tanto valeva applicare un collare di costrizione a tutti i predatori, visto che nessuno aveva imparato nulla… Non aveva passato anni della sua vita a scoprire se stesso per poi poter permettere al primo idiota di banalizzare tutto da capo, era una questione di principio egoistico che nessuno si sarebbe mai aspettato dalla goliardica lontra.
Il suo cellulare vibrò ripetutamente sul comodino, dall’altra parte della stanza: a grandi balzi, la lontra percorse la distanza che lo separava dal dispositivo per vedere il musetto di Jennifer apparire sullo schermo. Rispose frettoloso alla chiamata e si portò il cellulare all’orecchio con un ampio sorriso stampato sulle labbra.
“Pronto cucciola?”
La risatina di Jennifer dall’altra parte gli scaldò il cuore: la voce dell’altra, piccola lontra fungeva quasi da anestetico per Alexander, gli bastava udirla per dimenticarsi di tutti i bollenti spiriti risvegliati da quella brutta esperienza. C’erano altre vocette in sottofondo, delle compagne di stanza di Jennifer probabilmente, che ridacchiavano allo stesso modo, ed eppure la sua voce spiccava su tutte le altre come la più bella. Lei rispose quasi subito.
“Alex! Facciamo come nei piani?”
Seguirono altre risatine, ed Alex rise con loro e rispose con quel pizzico di malizia.
“Sarò lì da te prima che tu possa chiedermi come ho fatto!”
Ed attaccò la chiamata. Fissò la porta del bagno ed ascoltò per un istante: nessun segno di vita. Doveva andare, decise di lasciare un post-it sulla porta per avvertirli che sarebbe stato fuori per un po’ e che, se non tornava, significava che dormiva da Jennifer. Aprì di corsa il suo “zainetto delle cose fondamentali” e cercò disperatamente quel pacchetto di preservativi che si era procurato apposta, lanciando un po’ dappertutto paia di mutande pulite e roba simile. Si premurò di uscire in maniera decente, si infilò frettolosamente un paio di pantaloni sopra i boxer e una canottiera bianca, afferrò quello che gli serviva ed uscì in corridoio. Il caso volle che lo stesse facendo proprio mentre il professore stava facendo una ronda di controllo. I due rimasero a fissarsi un secondo, la lontra sgomenta e immobilizzata con la bocca aperta mentre la volpe, che aveva perfettamente inquadrato gli intenti di Alexander dal primo sguardo, gli lanciò un’occhiata quasi pietosa e ruppe il silenzio con tono interrogativo e sarcastico contemporaneamente.
“Lontroni, qualche problema?”
La lontra fece guizzare gli occhi da una parte all’altra mentre nascondeva maldestramente i preservativi dietro la schiena.
“Eeeehm… No, cioè sì, prof, però tutto… Tutto sotto controllo! Devo…”
Doveva pensare a qualcosa in fretta: Pulchri era un professore particolare, molto più comprensivo di quello che poteva sembrare, ma non avrebbe acconsentito ad un’infrazione tale delle regole. In quello, era intransigente.
“…Devo andare in bagno!”
L’aveva sparata così, a caso. Il docente alzò un sopracciglio.
“E per te il bagno in camera non è abbastanza comodo?”
“Eh, no, cioè, è occupato, Kamal… Sì, Kamal non si sente bene, quindiiiii… Ho deciso che non volevo aspettare ed andavo a quello in fondo al corridoio!”
Il docente sorrise con l’aria del gatto che ha mangiato il topo (o in questo caso della volpe che ha incastrato la lontra).
“Bene, allora! Ti ci accompagno io, così non ti perdi…”
Ecco, era fregato.
“Ma no, non c’è bisogno che si disturbi!”
“Ma è un piacere, figurati!”
“Ma in fondo non ci devo andare poi così tanto, cioè…”
“Quindi torni in camera?”
“Ehm… Penso di-“
“Allora buonanotte, domani ci sarà un appello alle sette prima del giorno libero, quindi fate modo di essere svegli per quell’ora o dovremo buttarvi giù dal letto.”
“B-Buonanotte…”
La porta della camera si richiuse e la zampa di Alexander colpì forte il suo muso con un sonoro facepalm. Rientrato trovò Kamal e Yaker che dormivano nel letto grande, dove avrebbe dovuto dormire lui, le lampade da comò accese. Il suo post-it era stato accartocciato e buttato, segno che probabilmente i due avevano letto… La lontra cercò di fare piano mentre attraversava la stanza in punta di zampe e si avvicinava alla finestra: sì, era tutto quello che sua madre si era raccomandata affinché non lo facesse, ma in quel momento il richiamo di Jennifer era troppo forte. Uscì in terrazzo e l’aria fresca della notte lo invase, infilandosi tra i suoi vestiti e la sua pelliccia, avvolgendosi intorno alla sua coda. Ne valeva la pena, doveva solo saltare dal suo terrazzo a quello di Jennifer, che era quello esattamente di fianco. La distanza non era tanta, era tranquillamente capace di farcela, e per lei avrebbe fatto questo ed altro. Si avvicinò alla ringhiera e ci appoggiò le zampe, sudando freddo consapevole di quello che sarebbe successo se avesse fallito. Il metallo era umido e freddo, un po’ scivoloso, cosa che lo preoccupava ulteriormente. Alexander si chiese un secondo se ne valeva la pena e se era completamente impazzito. Concluse che sì, era pazzo: pazzo di lei. Usò una sedia per arrivare al livello della ringhiera e ci appoggiò una zampa sopra per darsi appoggio e saltò.
Atterrò sull’altro bancone con una capriola e si irrigidì, impiegò qualche secondo per capire che ce l’aveva fatta. Fece qualche respiro profondo, si alzò in piedi e fissò la finestra grande della camera di Jennifer, pieno di adrenalina che sapeva come avrebbe sfogato di lì a breve. Ohh, sì che lo sapeva.

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Capitolo 16
*** Ansia ed Istinto - Yaker ***


Nella mente di Yaker si creò all’improvviso un vuoto. Era successo tutto fin troppo in fretta, non aveva la più pallida idea di… Perché aveva reagito così?! Vedere Kamal ridotto così era stato difficile ma… Ma non potevano aver fatto quello che avevano fatto così all’improvviso, doveva essere un qualche tipo di strano sogno. Eppure erano lì, in piedi uno di fronte all’altro, reduci da un lungo bacio, che si fissavano ancora incapaci di dire qualsiasi cosa. Non l’aveva mai ponderata prima una relazione con un altro ragazzo, il lupo, e nonostante ciò era stato capace di gettarsi in quel modo in quel gesto, trascinato dall’istinto che regnava sulla vuotezza incontrastata della sua mente, privata di ogni pensiero razionale. Era semplicemente successo, e non gli era dispiaciuto affatto… I due predatori si fissarono a lungo, Yaker intrappolato in una specie di limbo in cui vagava senza capire come, quando e perché, Kamal ubriaco di libertà ed ebbro di sollievo, entrambi sostanzialmente incapaci di intendere e di volere. Il lupo si sentì afferrare il polso e seguì la tigre in silenzio fuori dalla stanza, dove entrambi rinvennero il post-it di Alexander: lo lessero e si scambiarono un’occhiata silenziosa, senza bisogno di dirsi nulla. Yaker lasciò che i suoi boxer cadessero ai suoi piedi e con una zampa li calciò via, spedendoli in un angolo della stanza: si fissarono per un po’ di nuovo, entrambi forse inconsapevoli di quello che stavano per fare e allo stesso tempo consci e accondiscendenti. Si sdraiarono sul letto matrimoniale, dove avrebbe dovuto dormire Yaker con Alexander: sgusciarono sotto le coperte senza perdere mai il contatto visivo, senza sorridersi o ringhiarsi. Erano nudi, sdraiati l’uno vicino all’altro, e Yaker, come poche volte fino a quel momento, non aveva la più pallida idea di cosa avrebbe dovuto fare: non sapeva nulla, lui che quasi tutta la sua vita aveva voluto avere sempre la verità tra le mani ora era completamente cieco di fronte ad un’esperienza che non avrebbe mai avuto modo di prevedere e studiare con anticipo. Il cuore del lupo batteva forte, mentre era sdraiato su un fianco ed osservava il muso dell’altro, con occhi persi, che cercava di parlare per la prima volta in tutto quel tempo.
“Fammi tuo.”
Le uniche parole che Yaker non si sarebbe aspettato dalla tigre in quel momento, ed eppure eccole lì, nella stanza. Gli stava dando completa iniziativa, proprio a lui che non aveva la più pallida idea di cosa avrebbe dovuto fare; era sicuro di una cosa sola, quelle coperte erano troppo pesanti per la calda estate. Si tirò su in ginocchio, il materasso piegato sotto di lui, e gettò le lenzuola oltre la fine del letto. Poi si spostò, sempre sulle ginocchia, fino a trovarsi sopra Kamal che, sdraiato a pancia in su, lo osservava dal basso. Ma cosa gli stava prendendo? Yaker si sdraiò sopra la tigre, fece combaciare il suo petto con quello dell’altro più grande, cinse la sua vita con le zampe e carezzò i suoi piedi con i propri. E lo baciò di nuovo. Poteva sentire ogni singolo muscolo del suo corpo rilassarsi e contrarsi in sintonia con quello di Kamal, le due mascolinità coccolarsi come i due predatori stavano già facendo. Non avrebbe saputo dire quanto era durato, solo che avrebbe voluto che non fosse finito così presto: gli giunse all’orecchio il suono della voce di Alexander, dal corridoio. Kamal e Yaker si fissarono qualche istante negli occhi e subito scattarono a recuperare le lenzuola, si sdraiarono a pancia in giù per nascondere l’atto e finsero entrambi di dormire profondamente, dimenticandosi le lampade da comò accese. La lontra uscì dalla finestra, i due lo videro saltare sull’altro balcone senza poterlo fermare. Riuscirono a sentirlo, nel silenzio della notte, entrare nella stanza adiacente. Aspettarono qualche secondo, poi Yaker si alzò ed andò a chiudere la finestra, dalla quale sarebbero anche potuti uscire rumori traditori. Kamal lo osservò sdraiato riavvicinarsi al letto: il lupo si accucciò sulle zampe al livello dell’altro e gli sorrise, la tigre aveva ancora gli occhi lucidi. La cosa più importante in assoluto era far sì che si sentisse bene con se stesso. Kamal, però, ricominciando silenziosamente a piangere, si voltò sull’altro fianco e lasciò spazio a Yaker sul letto, che si sdraiò dietro di lui, cingendolo con un braccio. Il lupo non sapeva perché, ma aveva anche lui un’erezione come l’amico e gli sembrava così naturale da non capire perché fino a quel momento non fosse mai successo.
“Yaker… “
Kamal singhiozzava di nuovo
“Dimmi…”
“Sento che non dovrei farlo…”
“Allora lasciamo stare, Kam.”
“NO! No…”
Silenzio, lacrime sul cuscino.
“Voglio che tu vada avanti…”
“Ma se pensi che sia sbagliato…”
“È sbagliato…”
Yaker si sentì afferrare una zampa da Kamal, che se la strinse forte al petto.
“…ma mi piace.”
Yaker si sentiva  schiacciato dal peso della responsabilità: era suo compito far sì che Kamal, quella notte, potesse essere sereno. Ed aveva paura di sbagliare tutto.

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Capitolo 17
*** Sollievo - Kamal ***


Diario dell'Autore
Buonsalve! Eccoci qui con un altro capitolo flash, il primo di un arco narrativo differente rispetto a quello concluso con il capitolo 16! Gioite, shippers, i vostri sogni si sono avverati! (Spero, almeno...)
Volevo lasciarvi un link ad una piccola oneshot rating red (;^]) che ho scritto sulla notte di fuoco dei nostri Yaker e Kamal, si tratta del cosiddetto "Capitolo 16.5" che trovate qui (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3429259&i=1). Ho deciso di escluderlo dal filone della storia principale per evitare di intaccare il rating basso e per non urtare la sensibilità di chi non è interessato a prendere visione a scene di matrice sessuale in cui figurano animali antropomorfi. Per chiunque voglia goderne, comunque, la trovate in questa sezione ^^
Vi ringrazio per l'attesa di questo capitolo e vi auguro buona lettura, mi raccomando di recensire se avete qualsiasi cosa da dire sulla storia: mi fa sempre piacere! Su le zampe!
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“I won’t give up, no I won’t give in ‘till I reach the end, then I’ll start again!
Though I’m on the lead, I wanna try everything, I wanna try even though I could fail!”

La luce aveva inondato la stanza già da un po’ quando il cellulare di Yaker cominciò a vibrare rumoroso sul comodino vicino al letto matrimoniale. Un ringhio rauco e soffocato si levò dall’ammasso informe di coperte, lenzuola e cuscini; una zampa striata arancione si sollevò dal letto e tentò alla cieca, accompagnata da altri ringhi e lamenti frustrati, di zittire la sveglia maledetta. E cazzo era sempre quella canzone! Finalmente, dopo svariati tentativi, la sveglia fu zittita con una poderosa zampata e gettata a terra. Kamal sospirò e richiuse gli occhi, sdraiato prono sul materasso: non riusciva neanche a concepire l’idea di riuscire ad alzarsi quel mattino. Ma doveva. Si tirò su in ginocchio molto lentamente e, col muso ancora impastato dal sonno, buttò un occhio sull’orario: cinque minuti all’appello. Yaker era sdraiato a quattro di spade lì a fianco, supino e distrutto dalla stanchezza; era sveglio, ma non apriva gli occhi.
“Yaker, dobbiamo tirarci su…”
“…Mh? Facciamo altri cinque minuti, ok?”
“Yaker… Yaker non ce li abbiamo cinque minuti!”
La tigre si protese sul lupo, che aprì un occhio con aria infastidita e si tirò su a sedere. E fu lì che entrambi realizzarono: l’avevano fatto veramente. Kamal squadrò Yaker e lo vide nudo, così come l’aveva lasciato, e questo bastò a fargli notare la sensazione di… disagio che provava in mezzo i glutei. Strabuzzò gli occhi ed aprì la bocca, come a voler dire qualcosa, e poi si perse a fissare il vuoto.
“Hey…”
Sentì la mano di Yaker toccare la propria.
“…Se arriviamo un po’ in ritardo all’appello non muore nessuno, vuoi parlare?”
Kamal annuì silenzioso e Yaker gli si sedette di fronte, a gambe incrociate, per cominciare a parlare.
“È stata una cosa nuova per me stanotte, Kam, ed eppure mi è sembrato così naturale…”
Probabilmente il lupo sarebbe rimasto sorpreso da quella reazione, ma Kamal sorrise: si sentiva stranamente sollevato, riusciva a percepire tutto con più leggerezza ora che aveva qualcuno con cui condividere senza vergogna quello che provava, sentiva di poter ammettere finalmente a tutti di essere quello che era, di poter correre da quel bullo del bus ed urlarglielo in faccia. “Sì, cazzo, sono gay e voglio rimanerlo!”. Era qualcosa di completamente nuovo per la tigre, come se si fosse liberato in una notte del peso di 17 anni consecutivi di incertezze e paure.
“Sì, beh, l’ho sentito quanto ti sembrava naturale!”
Yaker era sorpreso, ma poi si sciolse subito in un sorriso dolce.
“Ti fa… male?”
“Passa presto, tranquillo.”
“Quindi… tutto apposto?”
Kamal vide nell’espressione del lupo quasi incredulità giocosa, come se si stesse chiedendo come mai non c’era nulla che non andava, visto che c’era sempre qualcosa. La tigre poggiò una mano sulla coscia dell’ormai compagno e lo carezzò, andando contropelo con le dita e poi lisciando i ciuffi alzati.
“Non sono mai stato così sollevato.”
Al sorriso benevolo di Yaker, Kamal non resistette più e si protese per baciarlo: i due musi si incontrarono per breve tempo e si staccarono subito, lasciando la tigre soddisfatta e il lupo… un po’ meno.
“Dai, prepariamoci!”
“Sissignore…”
Entrambi si alzarono, per primo la tigre e subito dopo il lupo: andarono alla ricerca dei boxer di Yaker, di cui nessuno dei due si ricordava più l’ubicazione, e si vestirono rapidamente. Entrambi si muovevano ed interagivano cercando di arginare un po’ d’imbarazzo, avendo tutti e due perso l’ultimo grammo di innocenza che quell’età ti concede in quella sola notte. Una volta pronti, Yaker a bruciapelo rivolse a Kamal una domanda che lo fece fremere:
“Ah, Kam. Non ho ancora capito…”
“Mh?”
“…Se vuoi che siamo una coppia o no.”
La tigre tentennò per qualche istante, sapeva benissimo dove voleva andare a parare e non sarebbe potuto essere più felice.
“In che senso?”
“Se vuoi che ci fidanziamo, Kam. Io e te.”
Kamal esultò interiormente, mentre all’esterno faceva il tonto per divertire Yaker: dondolava sulle gambe, si grattava la nuca e parlava con finta indecisione.
“Mah, non lo so… Cioè, devo pensarci…”
Yaker sapeva benissimo il suo gioco e sorrise divertito mentre Kamal si avvicinava: con le braccia la tigre lo cinse in vita e lo strinse a sé, appoggiando la sua fronte su quella del lupo.
“Certo che voglio, stupidotto!”
Il da poco eletto fidanzato ricambiò l’abbraccio ed appoggiò la testa sul petto del compagno, espirando dolcemente. I due rimasero in posa per qualche minuto e poi si sciolsero ridacchiando, ancora un po’ imbarazzati.
“Heh… Pensa a che faccia farà Alex quando glielo-“
L’espressione di Yaker cambiò radicalmente e si tinse di preoccupazione.
“…Dove cazzo è Alex?!”
Il lupo si fiondò al cellulare e cominciò a mandare messaggi all’amico, sperando che gli rispondesse rapidamente e senza ottenere alcun segno di vita. I due uscirono dalla stanza per recarsi nella hall, con l’ottica di incontrare la lontra per strada.
“Speriamo si presenti all’appello, è la volta che lo fanno secco altrimenti…”
“Starà bene, figurati! Yaker…”
“Che c’è?”
“Ti va se… ci teniamo per mano?”
Yaker ridacchiò divertito.
“Certo, amore.”

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Capitolo 18
*** Un Attimo - Alexander ***


Diario dell'Autore
Salve. Salve a tutti i lettori di Pack of One. Che bestia orribile che sono, vi ho lasciati senza capitolo per un bel po' e proprio ora che torno vi porto QUESTO capitolo...
È stata dura per me scriverlo, davvero. Forse è anche uno dei miei testi più goffi: è corto, è grezzo, è poco efficace... ma è umano, è personale. Sapevo sin dall'inizio della stesura che sarei dovuto arrivare a questo punto della trama e francamente non potevo arrivarci in un momento della mia vita al contempo così giusto e così sbagliato. Vi prego di perdonarmi per questo regalo che sto per farvi. Buona lettura, e grazie ancora per avermi seguito fin qui.
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Senza fiato. Completamente. Non poteva capacitarsi di quello che era successo. Era uno sbaglio, non… Non l’aveva fatto apposta! Come era potuto succedere?! Jennifer urlava con le zampette sul muso e gli occhi pieni di orrore, Alexander a malapena riusciva a sentirla: tutto attorno a lui ormai sembrava ovattato e distante, esisteva solo lo sgomento e la nausea. La nausea era fortissima, al punto che la piccola lontra faceva fatica a tenersi salda sulle zampe di fronte all’enorme disastro che era accaduto.
Ed era stata questione di un attimo. Aveva bussato alla finestra, aveva visto le tende scostarsi e c’era lei, bellissima, con la vestaglia bianca e rosa addosso. Gli aveva aperto e si erano baciati, felici di essere insieme, con sottofondo le risatine dolci delle amiche di lei. E poi l’aveva visto uscire dal bagno, nei grossi boxer e con un asciugamano sulle spalle: il bufalo, quel bullo del bus, era lì. In qualità di fidanzato di una delle amiche di Jennifer. In Alexander qualcosa si incrinò e si ruppe, rilasciando come il Vaso di Pandora una rabbia ed un disgusto che presero rapidissimamente il controllo del suo cervello. Inutile dire che la situazione era degenerata: il bufalo l’aveva schernito, lui aveva risposto, le ragazze tentavano di separarli incredule; fu primo il bullo a passare alle mani, calciando Alexander contro un comodino. La piccola lontra, calciata da un grosso bovino, accusò il colpo con fatica, ma si rialzò in piedi: lo faceva per Jennifer, per Kamal e per Yaker. Non poteva arrendersi di fronte a ciò che quell’idiota rappresentava. Era ripartito all’attacco, preso dalla foga della sfida e poco razionale, stupido nel reagire ad una violenza insensata. Gli era saltato addosso sotto gli occhi delle ragazze, incapaci di reagire per lo stupore. Indietreggiando, il bufalo uscì dalla finestra in terrazzo. Sbuffò infuriato, l’asciugamano umido cadde ai suoi zoccoli mentre Alexander realizzava che non dovevano comportarsi così. Ma era troppo tardi. Il grosso mammifero caricò a testa bassa la piccola lontra, che reagì d’istinto. Si chinò e lo morse su un polpaccio. Fu un attimo per il bufalo sussultare per il dolore improvviso. Fu un attimo incespicare e scivolare sull’asciugamano. Fu un attimo cadere oltre il parapetto, lanciando un grido disperato nel vuoto della notte, e colpire il terreno.
Era stato lui. Alexander Lontroni aveva ucciso un altro animale.
La testa gli girava, si sentiva svenire e schiacciare dal senso di colpa, cercava di auto convincersi di non avere alcuna parte in quella morte. Ma sentiva dentro di sbagliarsi. Intorno a lui, percepiva il raccapriccio delle ragazze, le lacrime di Jennifer; persino lo schiaffo che gli assestò la fidanzata del bufalo, carico della pazzia di chi ha perso un amore, gli parve in realtà soltanto parte di un insieme da cui sarebbe voluto fuggire, ma che lo tratteneva saldo e di cui era persino l’epicentro. Nulla di quello sarebbe mai successo se lui non si fosse lasciato andare in quel modo. Credeva fermamente in quello a cui pensava riguardo al bullismo dello stesso bufalo che quella sera era morto: che cosa era cambiato, dunque, da quando Judy Hopps e Nick Wilde avevano fermato la piaga degli Ululatori Notturni? Nulla. Perché esistevano sempre animali capaci delle pazzie più selvagge, capaci di ucciderne altri. Se solo fosse riuscito a piangere… Piangere lo avrebbe liberato, lo sapeva, da quella sensazione, doveva urlare ed eppure non ci riusciva: era chiuso nella sua fredda scatola di razionalità, non riusciva a fare altro che pensare alla colpa che aveva in tutto quello che era successo. Gli cadde l'occhio su una sveglia, le quattro del mattino. Era passato pochissimo tempo dall'incidente. Cosa avrebbe fatto ora? Cosa avrebbe detto ai compagni? E al professore? Che gli sarebbe successo? Avrebbe dovuto mentire?  Non riusciva a rispondersi, sapeva solo di dover scendere di sotto. Lo disse balbettando a Jennifer, quella tra le lacrime annuì. Si incamminarono verso il luogo dell’orribile atterraggio, ma giunti lì non seppero fare molto di più di quello che già avevano fatto in camera. Inginocchiarsi vicino al corpo fermo e deformato dalle fratture, gemere, singhiozzare, tremare e infine, quasi con sollievo, piangere.
Non ci volle molto per far arrivare la folla di ragazzi attorno agli sventurati, ancor meno ci volle per far giungere sul posto il professore, che rimase altrettanto shockato dalla vista di quella scena. In mezzo a tutti quei curiosi mancavano solo le due persone che Alexander non avrebbe mai voluto vedere lì: Kamal e Yaker.

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Capitolo 19
*** Rimuginare - Yaker ***


“Mamma, sarò a casa prima. C’è… stato un incidente qui all’hotel.
Un ragazzo è caduto dal balcone ed è morto. Ci riaccompagnano a Zootropolis dopodomani.
Ti voglio bene, ci rivediamo presto.”
L’SMS inviato da Yaker giaceva ancora non letto nel canale di messaggi, indirizzato al cellulare della madre. Sembravano passati secoli da quando lui e Kamal erano arrivati nell’atrio dell’hotel, avevano notato l’insolito caos e scoperto i fatti di cui, durante quella notte in cui avevano prestato poca attenzione a ciò che avveniva fuori dalla stanza, non si erano minimamente accorti. Il lupo era seduto su un muretto, con lo sguardo perso nel vuoto e il gelo più totale nella mente: non riusciva a provare emozioni, sentiva quasi di affogare nel vuoto più totale mentre il suo istinto gli urlava di provare rabbia, paura, orrore. Ma lui non ci riusciva, era semplicemente apatico, forse a causa dello shock, o della sorpresa, o… Non lo sapeva bene neanche lui. Aveva una bambinesca teoria, però… Così tante emozioni, prima tristi, poi gioiose, poi ancora romantiche, e dopo passionali e spensierate, forse collidendo con quell’impatto così negativo avevano creato un’apatia completa. Un’indigestione emozionale che lo portava a rifiutare ogni tipo di sentimento. Il lupo si auto convinse, rimuginandovi sopra in continuazione, che doveva essere così. Kamal non aveva reagito granché meglio, ed era prevedibile che non lo facesse, dopotutto: se per Yaker si era generato quello stranissimo limbo vuoto, la tigre si era gettata in pieno tra le fiamme e nelle fauci di Lucifero. Il compagno lo conosceva bene, sempre meglio, e riconobbe in quelle reazioni burrascose in pieno il Kamal che ben conosceva… Aveva preso Alexander, che invece era in lacrime disperato, lo aveva scrollato ferocemente per le spalle chiedendogli quasi sbraitando cos’era successo, gli aveva ringhiato sull’orlo delle lacrime e poi lo aveva stretto al petto. Non aveva proferito parola da allora, era seduto all’ombra di un albero poco distante a cambiare in continuazione posizione, esagitato. Yaker aveva provato a parlargli, ma in quel momento semplicemente non riusciva a trovare le parole giuste per tranquillizzare l’amico. Era meglio lasciare le cose così com’erano piuttosto che peggiorarle, senza contare quanto delicata fosse la situazione. Alexander era incontenibile, aveva raccontato tra un singhiozzo e un altro la vicenda a tutti, lasciando ognuno senza parole, visto che non c’era poi molto da dire. All’arrivo dell’ambulanza e delle autorità, non si poté far altro che accertare la morte del malcapitato, già piuttosto ovvia; in seguito ,queste ultime procedettero a interrogare i diretti testimoni, ossia Alexander, Jennifer e le sue amiche… Kamal, in un folle impulso, prima dell’arrivo della polizia aveva suggerito alla lontra di mentire su tutto, ma era benissimo consapevole anche lui quanto fosse sciocco farlo. Alex, nonostante egli stesso continuasse a ribadire il contrario, non aveva colpa in quello che era successo: era stata ovviamente una fatalità, e le autorità l’avrebbero immediatamente capito, a patto che si dicesse loro nient’altro che la verità. E così era stato, o almeno Yaker sperava che fosse così: Alexander e le ragazze erano dentro da un po’ ormai, e l’atmosfera s’era fatta gelida. Il cadavere era stato portato via, la zona recintata e ai ragazzi era stato detto di non allontanarsi. Forse sarebbero tutti stati interrogati, e al pensiero Yaker si chiedeva cosa avrebbe potuto rispondere alle domande… Nella sua testa, “stavo facendo sesso col mio fidanzato, non ho sentito nulla” suonava… strano. L’intera questione del fidanzato andava rivista. Era stato tutto così veloce, e poi il cadavere, lo shock, la polizia… Nulla di tutto quello era andato come sarebbe dovuto andare, Yaker sentiva il controllo della situazione scivolargli via dalle zampe. Gli era piaciuto, dannatamente piaciuto stare con Kamal, ma anche quello faceva parte di una catena di eventi completamente fuori dai piani o dalle previsioni. Era confuso da quella situazione, sbigottito, quasi allarmato nella sua temporanea apatia.
“Hey, cucciolo…”
Yaker alzò gli occhi dal terreno, per inquadrare un alto membro delle autorità, dal folto pelo nerissimo: indossava un completo nero di giacca e pantaloni sopra la camicia bianca, la cravatta anch’essa rigorosamente scura su quel trionfo di neri era allentata sul colletto.
“…Mi dispiace molto per quello che è successo, tu e i tuoi compagni avete le mie condoglianze…”
Da serio, quello che sembrava un investigatore della polizia cercò di chiacchierare un po’.
“Che giornataccia, eh?”
L’alto animale sorrise al lupetto, che di rimando fissò un attimo per terra e tirò su lo sguardo verso l’alto, abbozzando anche lui un mezzo accenno di sorriso e tirando indietro le orecchie sul capo, un po’ in soggezione e un po’ comunque assorto nei suoi pensieri.
“Sì, abbastanza…”
“Ti va qualcosa da bere o da sgranocchiare?”
“Ho lo stomaco un po’ chiuso, grazie lo stesso però…”
“Immagino…”
Si sedette sul muretto, accanto a Yaker.
“Io mi chiamo Tork.”
“…Yaker, è un piacere.”
I due parlarono per un po’: Tork chiese al lupetto perché fossero in gita lì, per sentirsi rispondere che erano in gita scolastica per studiare le incisione antiche etc.
Passarono poi alle dinamiche dell’incidente, ad Alexander e alla situazione: Yaker sapeva che lo stava probabilmente sondando per avere risposte sulla vicenda, ma, in fondo, gli faceva piacere parlare un po’ con quel Tork. Lo distraeva dal suo continuo rimuginare. 

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Capitolo 20
*** Occhi - Kamal ***


Per quanto Kamal si sforzasse a trovare un paragone calzante al suo stato d’animo, non riusciva a trovarne di adatti. Certo, c’erano le onde del mare grigio, mutevoli e burrascose ma al contempo malinconiche, ma la tigre pensava che fosse una metafora fin troppo inflazionata… Forse era meglio il monsone nella foresta pluviale? Ma sono piogge calde e benefiche, di certo non rappresentavano l’irrequietezza di Kamal. Il countdown di una bomba? Di certo rendeva l’idea dell’ansia e dell’irrequietezza, dell’incertezza: l’ordigno alla fine esploderà o no? Come si può disinnescarlo? Forse c’era vicino, ma doveva perpetrare la ricerca della perfetta allegoria dei suoi sentimenti. Non era nuovo a questi deliri poetici e drammatici, nei momenti di sbilancio emotivo, e lui stesso cominciava a rendersi conto di quel fatto: forse lo aiutavano come valvola di sfogo, come presa di coscienza sulla realtà e sulla sua psiche, inconsciamente ricercava le parole adatte ad esprimere come si sentiva per spiegarlo a se stesso. Non sapeva se si sentiva meglio conseguentemente a ciò, sapeva che era una cosa che faceva e che non vedeva il motivo di smettere, dunque una sua utilità doveva pur averla, no? Kamal era sdraiato sotto un albero, su un prato, e masticava nervosamente una pagliuzza. Dopo tutto quello che era successo, era difficile per lui pensare lucidamente, ed era altrettanto difficile concentrarsi su qualsiasi cosa. Il suo sguardo guizzava da sinistra a destra, dall’alto in basso ogni volta che gli veniva in mente qualcosa di diverso…
Che disgrazia… Proprio in una giornata così bella!” occhi al cielo. “Ma il professore…” occhi al prof. “ …Avrà parlato con le famiglie?” occhi alle ragazze. “E Alex?” occhi al portone dell’hotel. “Da quanto è dentro?” occhi al bar, chiuso. “Avrà fame? …Gah, che situazione del cazzo! Certo che…” sbuffo infuriato dal naso. “…Quell’idiota se l’è cercata!” smorfia contrariata. “Anche se nessuno merita di morire così…” zampe sul muso. “Che schifo di giornata!” di nuovo occhi sul prof, sta chiamando al cellulare, visibilmente scosso. Sospira. “Come reagirei io se mi chiamassero e mi dicessero che uno dei miei cari è morto così…?” occhi lucidi. “…Mia madre, mio padre…” occhi al cellulare. “…o Yaker.” occhi sul lupo, poco distante. “…Chi cazzo è quel tizio?!”
Kamal si accigliò con aria infastidita, mentre piano piano si alzava dal suo giaciglio d’erba e si incamminava verso il ragazzo e l’agente che stava chiacchierando con lui. Gli arrivò alle spalle, dietro al muretto su cui era appollaiato, facendosi di conseguenza notare dall’altro nero ed alto animale, a cui riservò subito un’occhiata non delle più amichevoli, che antepose ad una zampa poggiata su una spalla di Yaker, che appena avvertì il contatto si voltò e si rallegrò sul muso, rizzando le orecchie sul capo.
“Oi, Kam, ciao!”
“Hey…”
Il lupetto presentò alla tigre con un gesto della zampa l’agente, il quale ricambiò con un sorrisetto abbozzato e un gesto amichevole.
“Lui è Tork. Tork, lui è Kamal, te ne ho parlato poco fa!”
“Ciao Kamal, è un piacere conoscerti. Mi dispiace molto per quello che è successo al vostro compagno…”
La tigre lo squadrò con occhio quasi severo.
“Sì, beh, un po’ anche a me.”
Tork gli rispose sorridendo, facendo un po’ infuriare Kamal, che invece cercava di ribadire il possesso su Yaker, benché dubitasse che la situazione potesse anche lontanamente prendere una piega romantica; da una parte, perché si fidava di Yaker, e dall’altra perché sapeva che il lupetto non apprezzava solo gli uomini o solo le donne, ma desiderava solo le persone per cui provava qualcosa. E quello non era assolutamente il caso, vero?!
“Siete in classe insieme voi due?”
Rispose Kamal.
“Sì, stiamo insieme.”
Quando si rese conto che la domanda era se stavano IN CLASSE insieme, la tigre si affrettò ad aggiungere un’altra frase per sviare il significato della precedente.
 “…Anche Alexander è nostro compagno.”
“Ah, il lontrino? È un bravo cucciolo… Ryu, il mio collega, finirà con lui in men che non si dica e vi lasceremo andare, non c’è nessuno da arrestare o trattenere, tranquilli… È stata una fatalità.”
I tre parlarono per un po’, del più e del meno, Kamal distese anche un po’ i nervi, poi Tork si allontanò perché aveva faccende da sbrigare. Yaker guardò Kamal e gli sorrise.
“È stato gentile a venirci a parlare…”
“Sì, quello che vuoi, ma se prova anche solo a sfiorarti lo squarto a metà.”
“Ma… Kam?! Cosa dici?!”
“Predatore avvisato, mezzo salvato…”
“Sei un sacco carino quando sei geloso~”

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Capitolo 21
*** Estate - Alexander ***


“Look how far you’ve gone, you filled your heart with love.
Baby you’ve done enough, take a deep breath!”


Le parole note di quella canzone riempirono la stanza fendendo la penombra: la vibrazione del cellulare sul comodino quasi sembrava seguire il ritmo della musica, come aveva fatto per tutti gli anni di scuola in cui Alexander era stato svegliato da quel motivetto così famoso e di cui ancora nessuno si era stancato. Quel giorno, invece, Alexander era già sveglio nel momento in cui la solita scadenza lo avrebbe dovuto buttare giù dal letto, si stava vestendo nella stanzetta semibuia cercando di fare il meno rumore possibile, benché l’apparecchio elettronico fosse tutt’altro che rispettoso del sonno dei suoi genitori.
Giugno ormai aveva preso piede, e Zootropolis sfavillava di riflessi sulle vetrate dei grattacieli e nell’acqua delle fontane, come se l’intera città volesse partecipare di quel fulgore estivo così estroverso: persino TundraTown riusciva a partecipare a questa sfolgorante atmosfera, seppur mantenendo i suoi connotati freddi e un po’ distanti; i riflessi della luce rilucevano attraverso il ghiaccio cristallino quasi vitreo, riempiendo i dintorni di un alone innevato allegro e, in qualche modo, magico. Il Distretto Foresta Pluviale, d’altro canto, non poteva che sfoggiare i suoi arcobaleni tropicali: il sole, questa volta, rimbalzava scherzosamente sulle foglie degli alti baobab e zompava da una cima all’altra, lasciandosi dietro una coda allegrissima che gli animali potevano scorgere mentre filtrava dalle spesse chiome e faceva scintillare la rugiada. E se Outback Island e Sahara Square contribuivano al movimento cittadino con i loro turbini di sabbia e pulviscoli, che s’intrecciavano l’un l’altro nelle ampie distese percorrendo il perimetro di dune e rocce, mentre Paludonia risuonava in un concerto di gracidii ambientali che tradizionalmente accompagnano la vita delle attive manguste, il Distretto dei Notturni placido si insonorizzava e, proprio con l’arrivo della luce più potente, chiudeva gli occhi, per poi riaprirli al vespro e darsi alla pazza gioia tra i suoi luna park e casinò, le cui luci sgargianti si specchiano nei grandi cristalli opachi delle pareti cavernose, che consegnano all’esterno l’eco festoso delle grida e del divertimento. Circondato da quest’aria estiva, Alexander era diretto verso Pratèria, un distretto periferico di Zootropolis, dall’aria più rurale e che sembrava ben poco presente nell’atmosfera estiva che univa la città: Pratèria era placida; per quanto il sole la rischiarasse completamente, quasi tentando di trascinarla nella luminosa frenesia, rimaneva di fatto immobile. Le dolci e gentili colline verdeggianti ondeggiavano i fili d’erba guidate dal venticello e accarezzate da un cielo azzurro e cotonato da bianchissime nuvole, anch’esse lentamente accompagnate dallo scirocco nel loro sonnolento transito. Tra ogni piccolo colle sorgeva un borghetto, ognuno attraversato da timide stradine morbide e popolato da pecore anziane e cortesi, abituate alla loro vita tranquilla. Tra quelle pittoresche casette c’era quella che Alexander andava a visitare ormai con regolarità da quando aveva finito il terzo anno delle scuole superiori, ossia l’anno dell’incidente. Rivedere Pratèria ogni volta lo faceva sentire strano, come avvolto in una pace ovattata e talvolta persino sonnolenta che però, sistematicamente, lo riportava indietro con malinconia e lo proiettava in avanti con risolutezza: questo accadeva ogni volta che visitava una delle pochissime famiglie di bisonti rimaste di Pratèria, i Brownherd. Il piccolo predatore non riuscì (e con tutta probabilità non riuscirà mai) a scordare il modo in cui la signora Brownherd l’aveva abbracciato piangendo fiumi di lacrime quando, avvilito, si era voluto presentare a loro al ritorno dalla gita, come pianse la morte di Micheal al funerale vicino al fratellino della vittima, Chad… Da allora, Alexander aveva visitato con costanza i Brownherd, forse per alleviare un senso di colpa che credeva non lo avrebbe mai abbandonato, o magari per riscattarsi, o ancora per semplice altruismo; questo la lontra non lo sapeva, era solamente sicuro di voler vivere un pizzico della vita di quella famiglia senza Micheal e di aiutarli ad essere felici. Questo lo faceva stare bene, riusciva a percepire un senso di grande serenità nel farlo. Talvolta persino Jennifer lo aveva accompagnato a far visita ai Brownherd: il loro rapporto era sopravvissuto persino alla tragedia e, benché avesse attraversato momenti di traballante insicurezza, i due sapevano che era destinato a durare ancora, per il resto delle loro vite.
“Oh, Alex! Piccolino, cerca di non trascurare lo studio per venire qui, manca poco agli esami!”
“Buongiorno signora Brownherd. Non si preoccupi, ho tempo per quello, ma di certo non posso perdermi la recita di Chad, invece!”
“Avete lavorato così tanto insieme, per imparare tutte le battute, e proprio stamattina ha avuto il panico da palcoscenico. Sarà entusiasta di vederti tra il pubblico…”
“Andiamo signora Brownherd, non vorremo fare tardi!”
“Arrivo, Alex, arrivo.”

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Capitolo 22
*** Risveglio - Kamal ***


Angolo dell'Autore
Salve a tutti, cari mammiferi! Oggi vi porto questo piccolo capitolo "di riempimento".
Volevo anche avvertirvi dell'esistenza di questo account di Ask (QUI
) dove potete farmi domande!
Possono essere di qualsiasi tipo, sbizzarritevi... Ma ricordate che mi vendicherò delle più maligne.
Tutto qui, colgo anche l'occasione per augurare a tutti coloro che stanno leggendo al momento della pubblicazione delle bellissime vacanze natalizie! Su le zampe!
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“Don’t beat yourself up, don’t need to run so fast
Sometimes we come last, but we did our best”

La zampa di Kamal afferrò di corsa il cellulare e lo soffocò sotto il sacco a pelo, per evitare che con il rumore della sveglia disturbasse il sonno di Yaker, coricato accanto a lui. Inveendo mentalmente contro l’arnese, la tigre riuscì a zittire Try Everything e tirò un sospiro di sollievo. Si voltò a sinistra e vide il muso di Yaker, coricato prono nel suo giaciglio e beatamente addormentato. Sorrise. Dalla tapparella filtrava giusto quel piccolo spiraglio di luce solare, che profumava di mattino, sufficiente a rendere i dintorni visibili nella penombra. Kamal rimase immobile per un po’ di tempo, sapeva che quella sveglia sanciva l’inizio di una giornata importante, e presto si decise ad alzarsi. Si recò in bagno, dove aprì l’acqua del lavandino e indugiò di fronte allo specchio, appoggiato sulla ceramica. Si osservò attentamente, analizzando ogni singolo dettaglio del suo volto e del suo fisico: era alto, quasi 1,95, il fisico tonico e recentemente allenato nella più minuziosa cura, i pettorali erano definiti e ampi, visibili sotto al manto arancione e striato di nero, e sfumavano in degli addominali prosperi e un po’ sfrontati, definiti con cura e vanto. Il muso di Kamal era grande, proporzionato a corpo e altezza, dai lineamenti virili e, in quel momento, attraversato da un’espressione corrucciata, che era tangente ai profondi occhi verdi. Indossava un paio di boxer blu, da cui spuntavano la coda sfrontata e le gambe toniche, dai grandi polpacci atletici, che terminavano in agili e contemporaneamente possenti zampone, grandi anche per la sua altezza. Questa analisi minuziosa della sua immagine Kamal se la riproponeva ogni volta che doveva presentarsi a un provino. Nella sua mente, ogni volta, si ripresentavano le stesse domande: sarò bello abbastanza? Cosa ne penseranno di me? La faccerai la notte davanti? Sarò capace di sopravvivere là fuori? E lo spread? Chi lo risanerà il debito pubblico?
Kamal si voltò perplesso verso la porta del bagno, per trovarci uno Yaker sorridente, appoggiato allo stipite della porta, con le braccia incrociate sul petto nudo, poco più basso di Kamal e decisamente meno muscoloso, benché non fosse gracilino, in generale solo più snello e slanciato. La folta coda scodinzolava lentamente, rilassata lungo il corpo del giovane lupo, la punta bianca che dondolava verso il basso. La sua pelliccia, ancora un po’ arruffata dal sonno, ma irresistibilmente morbida a vedersi, era lustra, nera come il cielo notturno, al punto da apparire quasi bluastra; in netto contrasto la bianchissima pelliccia della parte inferiore del muso, del petto, del ventre, della sopracitata punta della coda e delle zampe, nella quale Kamal adorava affondare il muso e sentirne la morbidezza, annusare l’odore del lupo. Anche lui indossava solo le mutande, un paio di trunk aderenti, che gli mettevano in risalto il bacino. Era bellissimo.
Era bellissimo e lo stava prendendo in giro.

“Piantala.”
“Dai, lo sai che andrà bene…” Il lupo entrò nel bagno e strinse la tigre all’altezza del bacino.
“Umpf...” Kamal distolse lo sguardo, pensoso.
“Sicuro che tu non mi voglia lì?”
“No, ti vorrei… Ma il provino è a porte chiuse. Mi dispiace.”
La tigre diede un bacio al lupo, sulla punta del naso, e poi si incamminò verso la cucina mentre l’altro lo seguiva, stiracchiandosi. Quando seppe che Kamal aveva un provino importante, Yaker pretese di dormire a casa sua: si organizzarono per dormire in salone, entrambi col sacco a pelo, giusto per stare vicini. Entrambi avrebbero dovuto studiare per gli esami, ma per quel giorno avevano deciso che si sarebbero dedicati esclusivamente l’uno all’altro.
Ed entrambi avevano voglia di coccole.
Fino all’ora del provino, dunque, si sarebbero dedicati a qualche smanceria. Non vedevano l’ora.

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Capitolo 23
*** {FINALE} Branco - Yaker ***


Angolo dell'Autore
Salve. È con una lacrimuccia di commozione che sono orgoglioso di presentarvi il finale di Pack of One.
Non ho molte parole da dire, volevo solo ringraziare tutti i miei lettori per avermi spronato a portare a termine la mia prima fatica qui su EFP! Lo dirò, non sono del tutto soddisfatto della forma di questo scritto, sono sicuro di poter fare di meglio, però ritengo che sia genuino e spontaneo, ed è così che deve rimanere. Continuerò a scrivere qui su EFP? Probabilmente sì, ma cambierò genere e stile con enorme probabilità. Pack of One è davvero finito? Questo è il finale... Ma non escludo che i personaggi possano tornare, in futuro.
Quindi, vi ringrazio ancora per essere giunti fino a qui, spero di avervi offerto quello che desideravate ricevere da questa storia, e vi auguro di trovare presto il vostro branco! Su le zampe, siete i migliori!
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I won't give up, no I won't give in
'Til I reach the end and then I'll start again
No, I won't leave, I wanna try everything
I wanna try even though I could fail
I won't give up, no I won't give in
'Til I reach the end and then I'll start again
No, I won't leave, I wanna try everything
I wanna try even though I could fail

I'll keep on making those new mistakes
I'll keep on making them every day
Those new mistakes”


Un applauso scrosciante esplose nella stanza prima ancora che l’esibizione finisse, mentre Kamal sorrideva e si copriva il volto con una zampa, imbarazzato.
“Guardati, Kam! Hai spaccato!”
Yaker indicava la tv entusiasta, circondato da una rumoreggiante folla di mammiferi stipati sul divano troppo piccolo per contenerli tutti: Alexander aveva sparso pop-corn dappertutto e Jennifer lo stava sgridando, mentre Chad applaudiva lì vicino, e tutti i loro compagni di classe erano lì per vedere la registrazione della prima importante esibizione di Kamal, come parte del corpo di ballo di Gazelle.
Durante l’immortale esibizione di Try Everything, era salito sul palco per la prima volta ed aveva dato il meglio di sé. Il lupo l’aveva seguito dal backstage, gli aveva dato un ultimo bacio prima che salisse sul palco, ed aveva realizzato che, finalmente, quello era il suo momento, e vederlo felice era forse stato il miglior regalo che avrebbe mai potuto desiderare. Un fischio si levò nella stanza, dalle labbra di Jennifer.
“Yaker, tienitelo stretto d’ora in poi, o qualcuno verrà a rubarselo!”
Tutti stavano festeggiando la tigre per il suo momento di gloria, e Yaker riusciva a sentire nel compagno finalmente la felicità. Non tanto per l’obiettivo raggiunto, quanto per il supporto e il calore e la sensazione di essere finalmente riuscito a provare il proprio valore. Il lupo lo vedeva finalmente davvero contento.
“Così vicino a Gazelle?!?! Sono cosìììì invidiosa!”
Perdendo coscienza di quello che lo circondava, Yaker pensò a quanto fosse cresciuto in tutto quel tempo. Ripensò a quel primo giorno di scuola, ripensò alla routine quotidiana di quegli anni, ripensò ai pianti, alle risate, agli scherzi, ai litigi, e vide finalmente il quadro completo della situazione. Kamal, che non aveva visto di buon occhio da subito, era diventato la sua anima gemella: ogni momento passato con lui, nitido nella sua memoria, sembrava così vicino e così prezioso da essere vivo e parte pregnante di lui. Voleva proteggerlo, farlo ridere, invecchiare insieme a lui e tenerselo stretto, voleva farci l’amore, sbatterlo a terra più volte e batterlo con le arti marziali, e poi aiutarlo a rialzarsi; voleva vederlo ballare e ballare con lui, voleva vederlo ridere. E Alexander, che era passato attraverso così tante difficoltà e, ciò nonostante, era sempre stato lì per tirare su tutti di morale, aveva lottato a testa alta per superare mille difficoltà, mille ricordi meravigliosi passati con la lontra riaffiorarono nella mente del lupo mentre lo guardava ridere e battere le mani: tutte le partite ai videogames, tutti i pomeriggi passati insieme, gli scherzi incomprensibili per gli altri ma esilaranti per loro, le battute durante le lezioni, il supporto morale nei momenti difficili, le cene assieme e le nottate in sacco a pelo, nel salotto di casa sua o casa dell’amico, per poter alzarsi la mattina seguente e ridere pensando alle follie della serata. Voleva che questo continuasse, che non importasse nulla nel loro rapporto di grande amicizia il percorso intrapreso da entrambi, nella vita: voleva tenersi stretto lui, Jennifer, Chad, tutti i suoi compagni di classe, voleva farne parte di sé, quasi come una famiglia allargata… Un branco inseparabile, composto dagli animali che avevano potuto rendere incredibile quell’avventura durata così poco ed, eppure, così tanto.
“Sei stato grande, Kam! Però… Porca miseria! È tardissimo, dobbiamo andare, ci sono mille cose a cui pensare ancora… E il ballo è domani!”
Salutò tutti mentre uscivano, con la malinconia di chi saluta le persone care e la speranza di chi sa che li rivedrà presto. Chiuse la porta e si voltò, per trovare Kamal proprio lì, di fronte a lui, che sorrideva.
“Si dice che la vita abbia in serbo per tutti noi un posto, ritagliato su misura per ognuno, e poi alla fine stia a noi trovare la strada che ci porta lì. Sono fermamente convinto che questo sia il mio percorso, e ti ringrazio per averlo seguito insieme a me, passo dopo passo, zampa nella zampa.
Anche tu,ora, sei parte del branco. E questo branco è come se fosse d’uno.”
-Yaker Henbane, My Pack of One.
 
FIN

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