In silenzio, tre passi indietro come un'ombra

di eliseCS
(/viewuser.php?uid=635944)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Sei un angelo ***
Capitolo 2: *** 2. Il tuo angelo ***
Capitolo 3: *** 3. Sì, lo rifarei ***
Capitolo 4: *** 4. Guaio ***
Capitolo 5: *** 5. Ali ***
Capitolo 6: *** 6. Nuovo inizio ***



Capitolo 1
*** 1. Sei un angelo ***


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit.
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro-recensioni. 
Farai felice milioni di scrittori!
Chiunque voglia aderire a tale iniziativa, può copia-incollare questo messaggio dove meglio crede.
(© elyxyz)





 
Piccola nota prima di cominciare: questo è il seguito di una one-shot che avevo precedentemente scritto, della quale consiglio la lettura se si vuole rischiare di capirci qualcosa... La potete trovare qui






1. Sei un angelo
 
 
 
Aurora si lasciò andare ad un profondo sospiro appoggiandosi con la schiena contro la porta della sua camera, gli occhi chiusi e la mente persa nei ricordi di quello che era successo quel pomeriggio.
 
Un angelo custode può manifestarsi al proprio protetto solo in caso di particolare necessità, il che significava principalmente solo se il protetto si fosse trovato in pericolo di vita quando ancora non era arrivata la sua ora.
 
Di sicuro quella non era la situazione in cui si trovava Dylan quel pomeriggio, proprio no, ma lei non aveva potuto fare a meno di fare quello che aveva fatto.
Si era messa nei guai e lo sapeva.
Di sicuro un richiamo non glielo avrebbe tolto nessuno.
Al momento però la sua unica preoccupazione era buttarsi sul letto e dormire, con un po’ di fortuna non si sarebbe dovuta preoccupare di niente prima dell’indomani mattina.
 
 
Procedendo a tastoni lungo il muro la sua mano incontrò l’interruttore della luce che venne subito fatto scattare illuminando la stanza.
 
La ragazza trattenne un urlo portandosi una mano al cuore nel momento in cui si accorse che non era sola: un uomo era seduto sul suo letto e la stava aspettando.
 
“Dannazione Dave! Mi hai fatto prendere un colpo! Non potevi aspettare fuori e bussare come fanno tutti?” esclamò Aurora non appena si fu ripresa inveendo contro l’uomo che la guardava divertito.
Quello si tolse da davanti gli occhi scuri un ciuffo di capelli corvini che era sfuggito dalla coda in cui erano legati e si alzò in piedi.
Era abbastanza imponente, le spalle ampie e robuste, e la superava di almeno tutta la testa.
 
“E perdere così l’occasione di farti arrabbiare? Mai!” rispose andandole incontro e abbracciandola.
“È da tanto che non ci si vede, come mai da queste parti?” domandò Aurora dopo un po’ staccandosi dalla presa.
“L’ultimo protetto a cui ero stato assegnato non ha più bisogno di me e il Consiglio ha deciso di lasciarmi libero per un po’ prima di assegnarmene un altro” spiegò Dave.
“Ma non è per salutare che sono qui, Aurora. Se fosse stato solo per quello non sarei venuto a disturbare a quest’ora” aggiunse subito dopo assumendo un cipiglio serio.
“Non disturbi mai, lo sai…” commentò la ragazza in un ultimo tentativo di sviare il discorso, ma ormai anche il suo sorriso era scemato.
 
E meno male che lei sperava che l’avrebbero lasciata in pace almeno per quella sera.
 
“Cos’hai combinato Aurora?” domandò retoricamente Dave nel frattempo.
L’interessata abbassò lo sguardo, improvvisamente interessata ai suoi piedi, colpevole.
 
“Lo sai che è proibito…” la riprese Dave.
“Lo so…”
“Lo sai che con particolare necessità non si intende di certo una crisi adolescenziale…”
“Lo so…”
“E sai ance che così ti sei giocata la tua unica occasione in cui avresti potuto interagire direttamente con lui…”
“Lo so…” la sua voce ormai era un soffio.
 
Aurora si lasciò cadere sul letto prendendosi la testa tra le mani e le venne quasi da ridere quando si rese conto che era esattamente la stessa posizione in cui si era messo Dylan quel pomeriggio sugli spalti del campo da calcio.
Però per lei non ci sarebbe stato nessun angelo custode apparso magicamente al suo fianco, non era previsto.
 
“Hanno mandato te per indorare la pillola, vero?” domandò alla fine riportando il suo sguardo su Dave che era in piedi di fronte a lei con le braccia incrociate.
“Hanno mandato me perché, beh, non sono più il tuo responsabile da un pezzo ormai, ma resto comunque quello che ti ha insegnato praticamente tutto quello che sai” rispose impassibile Dave.
 
Aurora sorrise mentre alcuni ricordi le riaffioravano nella mente.
 
 
 
Chi si chiedeva da dove venissero gli angeli… beh, avrebbe continuato a farlo.
Lei sapeva solo che un giorno si era svegliata nella sua stanza dell’Accademia con l’aspetto di una bambina di dieci anni e aveva cominciato il suo addestramento per diventare un angelo custode.
 
Ogni nuovo arrivato veniva assegnato ad un angelo custode esperto che lo avrebbe seguito fino alla fine del percorso, e lei era stata assegnata a Dave che, come aveva poi scoperto in un secondo momento, era uno dei migliori in circolazione.
Aurora aveva sempre considerato l’angelo come un padre, un fratello e un amico, e quelli che aveva passato con lui erano stati alcuni degli anni più belli della sua vita.
 
Si ricordava ancora il brivido di eccitazione che l’aveva percorsa la prima volta che le era stato consentito andare al lavoro con lui in modo che potesse iniziare ad imparare come bisognava seguire un protetto.
 
In silenzio, tre passi indietro come un’ombra era diventato il loro motto.
 
O ancora quando, sempre sotto la sua supervisione, le era stato affidato il suo primo protetto che avrebbe dovuto seguire attenendosi scrupolosamente a tutte le regole e i protocolli per superare l’esame finale.
 
E dopo quello c’era stato l’ultimo periodo durante il quale Dave le aveva spiegato come si usavano i vari poteri di un angelo custode dopo che finalmente anche lei li aveva acquisiti, come per esempio cambiare il proprio aspetto o interagire con alcuni elementi dell’ambiente in cui il protetto si muoveva – cosa che era stata espressamente proibita fino a quel momento –
La cosa più importante era stata imparare ad instaurare il Contatto, ovvero avvicinarsi fino a toccare il protetto senza però manifestarsi, rimanendo quindi invisibile: poteva sembrare una cosa da poco ma in realtà costava non poca concentrazione e fatica, almeno le prime volte.
 
Dopo quelle ultime dritte Aurora era diventata un angelo custode a tutti gli effetti, e anche piuttosto bravo se doveva dirla tutta, soprattutto considerato chi era stato il suo insegnante.
 
Negli anni successivi era stata assegnata a diversi protetti: bambini, adulti, anziani, non si era fatta mancare nulla.
E aveva sempre, sempre, rispettato scrupolosamente il regolamento, mai una volta aveva dato motivo di essere richiamata dal Consiglio.
 
Adesso invece, per una sua azione impulsiva del momento, si era messa nei guai come una novellina alle prime armi.
 
Eppure non aveva mai sentito di fare qualcosa di così giusto come era successo quel pomeriggio al campo da calcio.
 
 
 
“Mi avranno rimossa dall’incarico immagino” ipotizzò Aurora alla fine ripotando la sua mente al presente.
Non sapeva neanche lei perché ma al solo pensiero di non poter più seguire Dylan le era comparsa una sgradevole sensazione alla bocca dello stomaco.
 
Dave la guardò alzando un sopracciglio: “In realtà no”
“No?!”
“Aurora, ci hai solo parlato con quel ragazzo! Nonostante non fosse una situazione strettamente consentita dal regolamento in linea di massima non hai fatto niente di sbagliato” confermò l’angelo, l’espressione divertita che riaffiorava pian piano sul suo visto.
“Ma allora…”
“Mi hanno mandato solo per avvisarti che avendo sfruttato la tua unica Manifestazione adesso ti terranno d’occhio con più attenzione, tutto qui” concluse.
 
“E non potevi dirmelo subito!” saltò su la ragazza sforzandosi di sembrare arrabbiata ma fallendo miseramente visto che non era riuscita a trattenere un sorriso di gioia.
Un peso le scivolò via dal petto: era ancora l’angelo custode di Dylan!
 
“Davvero pensavi che ti avrebbero sospesa per una cosa del genere? Sei una delle migliori, non avrebbe avuto senso. Tu cerca solo di fare un po’ più di attenzione da adesso in poi, evita i Contatti e cose così, almeno all’inizio, ok?” consigliò Dave ridendo alla reazione della sua ex alunna.
“Agli ordini capo!” assentì Aurora soffocando uno sbadiglio: era stata una lunga giornata.
“Ti lascio riposare, ma ci rivediamo in questi giorni, d’accordo?”
“Contaci!”
 
 
 
~ ~ ~
 
 
 
Dylan salutò i suoi compagni di squadra che già si apprestavano a lasciare lo spogliatoio aprendo il getto della doccia e buttandocisi sotto.
Quello appena terminato era stato un allenamento massacrante ma soddisfacente allo stesso tempo.
Dopotutto quell’anno erano riusciti ad arrivare alla finale del torneo studentesco che coinvolgeva le scuole della città e dintorni, e giustamente il coach non voleva che l’idea di poter perdere gli passasse neanche per l’anticamera del cervello.
E chi poteva biasimarlo? L’intera squadra era determinata a vincere tanto quanto lui.
 
Una volta che si fu asciugato e rivestito ed ebbe controllato di avere tutte le sue cose lasciò lo spogliatoio per raggiungere a sua volta la macchina che lo aspettava nel parcheggio.
 
Durante il tragitto però non potè impedirsi di fermarsi qualche istante ad osservare il campo.
Da quello agli spalti il passo fu breve e all’istante la sua espressione prima rilassata e distesa si fece pensierosa.
 
Ormai erano passati tre mesi, tre mesi e ancora non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine del visto di quella ragazza, le sue parole che ancora si ripetevano nella sua mente quando meno se lo aspettava.
Dire che con quel suo discorso la ragazza avesse fatto un miracolo sarebbe stato riduttivo.
 
 
Flashback
Quando quella sera Dylan rientrò, palesemente in ritardo per la cena, suo padre non era ancora arrivato pertanto si ritrovò a consumare il suo pasto in compagnia di Flor.
Flor che rimase davvero stupita quando Dylan aveva dato inizio ad una vera e propria conversazione visto che solitamente le cene in quella casa erano più silenziose di una veglia funebre.
Quando finalmente rincasò anche il signor Blake fu sorpreso non poco dall’accoglienza decisamente più calorosa del solito che il figlio gli riservò, accompagnandolo con la cronaca completa dell’allenamento di quel pomeriggio per tenergli compagnia mentre cenava visto che lui e Flor avevano già finito.
Alla fine augurò buona notte a tutti e andò a chiudersi in camera, senza sbattere la porta, lasciando al piano di sotto due adulti piuttosto perplessi.
 
Accese il computer e si collegò subito al sito del college su cui aveva messo gli occhi già da tempo andando nella sezione dedicata all’indirizzo di architettura.
Un’oretta e mezza più tardi, dopo aver ribaltato la camera in cerca di documenti vari e vecchi disegni che aveva fatto negli anni che aveva dovuto scannerizzare per poi allegarli al modulo da inviare, aveva finito: la sua domanda con tanto di curriculum e lavori vari era stata spedita e a lui non restava che aspettare la risposta che, a detta del sito, sarebbe arrivata via posta almeno un mesetto prima della data prevista per il diploma.
 
Aveva preso in mano la sua vita proprio come gli aveva detto la ragazza, e si sentiva sorprendentemente orgoglioso di se stesso.
 
Pensò a quel punto di poter finalmente andare a dormire, ma c’era ancora qualcosa che mancava.
Aprendo uno dei cassetti della scrivania per rimettere via alcuni fogli che aveva dovuto tirare fuori capì cosa.
Il suo album da disegno, confinato all’interno della scrivania ormai da più di un anno per completa assenza di ispirazione, si mostrò ai suoi occhi quasi gridando “Usami!”, e lui non se lo fece ripetere due volte.
 
Sfogliò con nostalgia le pagine già occupate da altri disegni, per lo più natura morta e paesaggi e occasionalmente qualche ritratto, fino ad arrivare ad un foglio ancora intonso.
 
Afferrò la prima matita che riuscì ad individuare in mezzo al disastro della sua scrivania estraniandosi da tutto ciò che lo circondava nel momento in cui la punta di grafite si appoggiò sulla carta.
 
Quando riemerse il volto in bianco e nero della ragazza che aveva incontrato al campo quel pomeriggio gli sorrideva dalla pagina.
 
Aggiunse altro disordine andando alla ricerca dei pastelli, perché quegli occhi azzurri che erano riusciti a capirlo e a rassicurarlo si meritavano di avere il loro vero colore anche sulla carta.
 
Quando anche quello furono rifiniti potè finalmente andare a dormire.
 
 
Il giorno dopo il peso del suo album nello zaino insieme a quello degli altri libri ebbe il potere di renderlo più sicuro di sé a tal punto che, durante la pausa pranzo, ebbe addirittura il coraggio di tirarlo fuori sotto lo sguardo piacevolmente sorpreso dei suoi amici.
Anche loro sapevano bene che erano secoli che Dylan non disegnava e il loro stupore aumentò ulteriormente quando il ragazzo mostrò loro il suo ultimo lavoro, chiedendo se per caso qualcuno avesse mai visto in giro quella ragazza.
Negarono tutti.
Luke, adempiendo egregiamente al ruolo di buffone del gruppo che si era auto-affibiato, non trattenne le sue battute sul fatto che aveva appena rotto con Vanessa e già andava dietro ad un’altra.
Stranamente Dylan non ebbe nulla da ridire.
 
 
Il ritratto di quella sera non fu l’ultimo che ebbe come soggetto la misteriosa ragazza, tanto che Dylan dovette addirittura procurarsi un album nuovo: era più forte di lui ma spesso si ritrovava a disegnare dettagli di quel viso senza neanche rendersene conto.
Quei tratti erano ormai così impressi nella sua mente che avrebbe potuto riconoscere quella ragazza anche solo vedendola da lontano o di sfuggita.
Il punto però era proprio quello: per quanto la cercasse in ogni posto in cui andava non era mai riuscito a trovarla.
 
 
E poi c’era anche l’altra questione.
 
In quel periodo la sua vita stava andando decisamente meglio.
Rispondeva sempre di buon grado ai “Buongiorno” di Flor la mattina e aveva persino smesso di fare merenda sul divano lasciando briciole in giro.
Anche con suo padre cercava di avere un rapporto più civile rispetto a quello che avevano nell’ultimo periodo, e se prima le cene in casa Blake erano un mortorio, adesso Dylan non perdeva occasione per raccontare la sua giornata inserendo sempre più spesso riferimenti al disegno e alla progettazione, accompagnati da quello che dicevano gli insegnanti di lui, sperando che il genitore capisse quello che il figlio stava cercando di dirgli tra le righe.
 
Nonostante tutto però ogni tanto gli capitava ancora di avere qualcuno di quei momenti in cui, chiuso in camera seduto sul letto con la schiena appoggiata alla testiera, si chiedeva se veramente stava andando tutto bene, se stava facendo la cosa giusta.
Ed era stata proprio la prima volta, quando si era fermato a chiedersi se avesse fatto bene a fare la domanda di ammissione al college senza dire nulla a suo padre, che aveva percepito la differenza.
 
In un modo che neanche lui avrebbe potuto spiegare poteva affermare che c’era qualcosa di diverso dal solito.
 
Per qualche strano motivo quando aveva quei momenti gli era sempre sembrato di non essere mai solo, come se di fianco a lui ci fosse qualcuno in grado di consolarlo con la sua sola invisibile presenza.
 
Sapeva che era sciocco da parte sua pensare una cosa del genere, ma da quando aveva incontrato quella ragazza quella specie di presenza, di impressione, era svanita.
 
Al contrario di quanto aveva fatto mostrando ai suoi amici il disegno della ragazza di quello non aveva parlato con nessuno.
Secondo loro andava già dietro ad una ragazza troppo perfetta per essere vera, non aveva bisogno che lo credessero pazzo perché il suo amico immaginario aveva deciso di prendersi una vacanza.
Fine flashback
 
 
Dylan si riscosse dai suoi pensieri facendo scorrere un’ultima volta il suo sguardo sul campo da calcio e sugli spalti: no, nessuna misteriosa ragazza dai capelli corvini e gli occhi azzurri in vista.
 
 
 
***
 
 
 
Quei mesi per Aurora erano stati un inferno.
E meno male che lei era un angelo, si ripeteva ironicamente.
 
Fin da subito aveva cominciato a seguire il consiglio che le aveva lasciato Dave riguardo le interazioni e i Contatti con il suo protetto.
A vedere come poi si era evoluta la situazione non avrebbe potuto fare altrimenti.
 
Quando quella famosa sera era tornata alla sua camera aveva lasciato Dylan convinta che stesse andando a dormire.
Era quindi rimasta molto più che sbalordita quando durante la pausa pranzo del giorno dopo aveva visto il ragazzo tirare fuori dallo zaino il suo blocco da disegno–era rimasta lì quel giorno per assicurarsi che andasse tutto bene- per poi esibire ai suoi amici il suo ritratto.
 
Era davvero stupendo.
Perfetto nei tratti e nelle ombre.
Ed era un disastro visto che i protetti non dovrebbero andarsene in giro a fare ritratti del proprio angelo custode.
In quel momento aveva dovuto davvero trattenersi dallo sbattere la testa sul tavolo al quale Dylan, lei e gli altri ragazzi avevano preso posto.
 
Si era detta che di sicuro quella era solo una fase di passaggio che avrebbe presto superato, ma si era sbagliata.
Più andava avanti e più Dylan sembrava determinato a trovarla.
Ed era stato questo impuntarsi su di lei da parte del ragazzo che aveva costretto Aurora a mantenere il distacco che lei aveva inizialmente previsto solo per un primo periodo.
E le piangeva il cuore non potersi sedere più sul letto di fianco a lui mettendogli un braccio intorno alle spalle: sapeva quali erano i pensieri che frullavano nella testa del ragazzo quando aveva quei momenti, e anche se mantenere un Contatto di quell’intensità richiedeva particolare attenzione non si era mai tirata indietro di fronte alla possibilità di far sentire Dylan un po’ meno solo con quel semplice gesto.
 
E ora non poteva più farlo.
 
Se le cose fossero andate avanti così Dylan avrebbe rischiato addirittura di farsi cambiare custode.
Più avrebbe continuato a comportarsi così e più lei gli sarebbe dovuta stare lontano, altro che parlare di nuovo con lei…
 
 
 
Ma ultimamente le cose sembravano non andare mai come Aurora si aspettava, quindi perché quella volta sarebbe dovuto essere diverso?
 
 
 
~ ~ ~
 
 
 
Quel giorno Dylan era andato a studiare da Ethan e la madre dell’amico aveva insistito talmente tanto che alla fine si era anche fermato a cena.
Gli era bastato avvisare Flor, con suo padre non ci sarebbero stati problemi, non era la prima volta che si fermava da qualche suo amico.
 
Quello che non si aspettava una volta rientrato era il sopracitato genitore che lo aspettava seduto rigidamente sul divano del salotto e un’espressione a metà tra il serio e l’arrabbiato sul viso.
 
“Mi spieghi cosa sarebbe questa?” domandò freddamente Mason Blake indicando con un cenno della mano il tavolino davanti al divano su cui era appoggiata una busta, aperta, e a fianco alcuni fogli fittamente scritti.
“È… è la risposta alla mia domanda di ammissione al college!” esclamò sorpreso Dylan dopo aver studiato la busta e il primo foglio dove effettivamente la commissione che esaminava le domande si congratulava con lui.
La sua felicità scemò abbastanza in fretta non appena suo padre riprese a parlare.
 
“Si può sapere cosa ti è saltato in mente Dylan?” chiese infatti il genitore sempre con lo stesso tono. “Avevo già cominciato a prendere accordi per la facoltà di giurisprudenza… che figura ci faccio? E poi, andiamo! Architettura? Da quando sei interessato a quello?”
Il ragazzo cercò di trattenersi dallo spalancare la bocca, sbalordito e sconvolto allo stesso tempo.
“Da quando? Da… da sempre!” rispose, la voce più alta di un’ottava nel tentativo di non urlare. “E tutte le volte che in questi mesi a tavola di parlavo dei disegni, dei progetti, di quello che i professori di arte e disegno tecnico mi dicono… tu non stavi neanche ascoltando?” lo accusò Dylan.
“Certo che ti stavo ascoltando Dylan, ma pensavo che fosse un tuo hobby, di certo non qualcosa da intraprendere come carriera lavorativa!” si difese il signor Blake passandosi una mano tra i capelli.
“Avevamo detto giurisprudenza, Dylan. Eravamo d’accordo…”
“No! Tu hai detto, tu era d’accordo, ha fatto tutto da solo senza mai chiedermi nulla!” lo interruppe il figlio che ormai aveva rinunciato a controllare il tono della voce. “Io forse ho sbagliato a non dirti della domanda, ma tu avresti potuto chiedere! Non ho intenzione di fare quello che tu hai deciso per me!” urlò.
“Senti un po’ signorino, dopo tutto quello che ho fatto per te non ti permettere di parlarmi in questo modo…!” urlò a sua volta il signor Blake, ma Dylan non lo stava già più ascoltando.
 
Abbandonò lo zaino di scuola che aveva tenuto sulle spalle fino a quel momento, fece dietro front recuperando le chiavi di casa che aveva lasciato nello svuota tasche sul mobile dell’ingresso e uscì sbattendosi la porta alle spalle.
 
Camminò per un paio di isolati finchè non si imbattè in un pub: non era quello dove andava di solito con i suoi amici ma andava ugualmente bene.
 
Diede metà del contenuto del suo portafoglio al ragazzo che stava dietro al bancone facendogli intendere che con il conto era a posto e adesso era libero di bere qualsiasi cosa volesse senza poi doversi preoccupare di pagare.
Ecco il lato positivo di avere un padre avvocato con uno stipendio a più zeri: paghetta settimanale decisamente cospicua.
 
Due ore più tardi un Dylan piuttosto barcollante decise che era ora di tornare a casa: si era appena ricordato che il giorno seguente c’era scuola.
 
Di certo non era la sbronza peggiore che si fosse mai preso, altrimenti probabilmente non sarebbe neanche riuscito a reggersi in piedi, ma la quantità di alcolici che aveva ingerito era comunque stata sufficiente per non farlo vergognare mentre si lamentava della sua vita con il barista.
L’aria fredda della notte all’esterno del locale non era stata abbastanza da far passare l’intorpidimento che sembrava aver avvolto la sua mente e mentre camminava il suo unico pensiero era quello di sprofondare sotto le coperte del suo letto che lo stava aspettando.
 
La strada dell’andata gli era sembrata più breve.
 
 
 
In tutto quello Aurora gli era stata incollata per tutto il tempo.
Aveva sperato fino all’ultimo che il ragazzo cambiasse idea capendo che ubriacarsi non era la soluzione, ma non potendo interagire con lui per ovvie ragioni alla fine era rimasta due ore in piedi di fianco allo sgabello sul quale si era seduto, sospirando ogni volta che Dylan avvicinava un bicchiere alle sue labbra per poi riappoggiarlo vuoto sul bancone pochi secondi dopo.
Un paio di volte aveva persino provato ad allontanare il bicchiere senza dare troppo nell’occhio, ma la mano svelta del ragazzo l’aveva sempre raggiunto senza troppi complimenti.
 
Il viaggio di ritorno a casa le sembrò infinito.
 
 
Di tanto in tanto Dylan aveva bisogno di appoggiarsi a qualcosa –muro di un edificio o palo della luce che fosse- per far fronte ai giramenti di tesa che gli venivano di tanto in tanto.
 
Ormai erano quasi arrivati, ma Aurora non fece in tempo a cantare vittoria che successe.
 
 
Una macchina arrivò sparata dalla fine della via nel momento in cui Dylan si apprestava ad attraversare la strada.
 
A quel punto Aurora non ebbe tempo di pensare: afferrò bruscamente Dylan per la maglia tirandolo indietro con uno strattone togliendolo dalla strada tre secondi prima che la macchina –possibile che il guidatore fosse ubriaco pure lui?- passasse dove prima c’era il ragazzo.
A causa della spinta Dylan, che era già instabile di suo, perse definitivamente l’equilibrio finendo per cadere addosso ad Aurora che si ritrovò intrappolata tra lui e il pavimento del marciapiede.
 
Il ragazzo sbattè più volte le palpebre per cercare di capire cosa fosse successo e sgranò gli occhi non appena si rese conto sopra chi era atterrato.
 
Era lei!
 
 
Questo perché nella fretta di evitare che il suo protetto venisse spalmato sull’asfalto Aurora aveva gentilmente mandato a quel paese il regolamento e non si era minimamente curata di sforzarsi di rimanere invisibile nonostante il Contatto.
Motivo per cui l’espressione stupefatta di Dylan, che ancora non si era mosso, era assolutamente legittima.
 
“Sei tu!” esclamò il ragazzo a pochi centimetri dal suo viso tanto che Aurora potè sentire la puzza di alcol.
“Ehm, sì, sono io” rispose. Ormai il danno era fatto. “E ti sarei davvero grata se ti togliessi di dosso”
 
Dylan parve realizzare solo in quel momento la posizione in cui si trovava e si affrettò a spostarsi non senza arrossire.
Di colpo si sentiva quasi più lucido, probabilmente colpa della botta di adrenalina conseguente al quasi impatto con la macchina.
Se l’era vista arrivare addosso e non era riuscito a muovere un muscolo, paralizzato dall’alcol che aveva bevuto e dalla paura.
All’ultimo però qualcuno l’aveva tirato indietro, e quel qualcuno altri non era che la ragazza che aveva continuato a sperare di incontrare negli ultimi tre mesi.
 
“Mi hai salvato” disse nello stesso momento in cui lei sentenziava: “Devo andare e tu faresti meglio a tornare a casa”
Dopo qualche attimo di silenzio durante il quale i due si guardarono imbarazzati la ragazza fece per girare sui tacchi per andarsene.
 
La sua idea era quella di girare l’angolo e tornare invisibile in modo da poter seguire Dylan mentre tornava a casa, ma il ragazzo le afferrò rapidamente un braccio impedendole di muovere un solo passo.
“Non so nemmeno il tuo nome…” parlò lentamente guardandola pieno di aspettativa.
La diretta interessata si morse le labbra: e adesso?
“Aurora” disse semplicemente non prima di aver sospirato pesantemente.
“Allora grazie, Aurora” aggiunse rapidamente Dylan dopo aver ottenuto la sua risposta, senza allentare la sua presa sul braccio di lei.
“Non so come questo sia possibile ma salti sempre fuori quando ho bisogno… non è che mi stai pedinando?” disse poi, maledicendosi mentalmente subito dopo.
Lo aveva appena salvato da morte certa e lui insinuava che fosse una stalker?
In quel momento decise che non si sarebbe più ubriacato in vita sua.
 
Alla sua uscita Aurora ridacchiò sommessamente: non aveva tutti i torti il ragazzo…
“Stavo semplicemente passando di qua” rispose genericamente sperando che Dylan non si mettesse a fare altre domande.
Per una volta la fortuna sembrò essere dalla sua parte visto che il ragazzo non indagò oltre.
 
“Allora… io andrei” lo salutò alla fine liberandosi dalla presa di Dylan e cominciando ad incamminarsi.
“Aspetta!” sentì gridare alle sue spalle.
Fece in tempo a girarsi e a protendersi verso il suo protetto in modo da sorreggerlo per evitare che finisse per terra a causa dell’ennesimo capogiro che l’aveva colto appena aveva provato a camminare per andarle dietro.
 
“Potresti… potresti accompagnarmi fino a casa?” la pregò Dylan parlando talmente piano che Aurora pensò di esserselo immaginato.
Purtroppo per lei gli occhi supplicanti e lucidi del ragazzo le confermarono che invece aveva sentito benissimo.
“Per favore, praticamente basta attraversare la strada e siamo arrivati… non credo di riuscire a fare l’ultimo pezzo da solo… gira tutto…” continuò Dylan mettendo insieme le parole con non poca difficoltà, l’adrenalina aveva esaurito il suo effetto e l’alcol tornava a farsi sentire, interpretando il silenzio della ragazza come un rifiuto.
In realtà non ce ne sarebbe stato bisogno.
Ormai la situazione non poteva andare peggio di così, accompagnarlo fino alla villa non avrebbe fatto differenza.
 
Aurora annuì in silenzio e si fece passare un braccio del ragazzo attorno alle spalle in modo da poterlo sorreggere meglio.
Si trovò costretta a prendere lei dalla tasca dei pantaloni di Dylan il mazzo delle chiavi di casa, e se pensava di aver finito una volta che la porta fu aperta si sbagliava di grosso.
 
“Figurati se mio padre si fosse degnato di aspettarmi sveglio per vedere se stavo bene…” borbottò Dylan deluso a mezza voce, dopo aver chiuso la porta con un calcio e guidando senza quasi rendersene conto Aurora, che ancora lo stava sorreggendo, verso le scale che portavano al piano di sopra.
Dal canto suo l’angelo custode si era ormai rassegnata al fatto che probabilmente non sarebbe riuscita ad andarsene finchè Dylan non si fosse addormentato.
 
Arrivati in camera Dylan accettò di buon grado l’aiuto di Aurora per mettersi il pigiama, la mente ancora troppo annebbiata per chiedersi come facesse la ragazza a sapere dove lo teneva.
“Sei un angelo” sussurrò ad un certo punto mentre la ragazza lo stava aiutando a passare dalla sedia della scrivania dove si era seduto per cambiare i pantaloni al letto.
A quella parola Aurora si irrigidì momentaneamente.
Era solo una coincidenza, doveva esserlo.
“Shh, sei ubriaco Dylan” cominciò venendo colpita da un’illuminazione. Magari non sarebbe servito ma provare non costava nulla.
“E tutto questo è solo un sogno” concluse.
 
“Solo un sogno” ribadì un’ultima volta quando ormai erano arrivati al letto.
Di certo non avrebbe potuto prevedere quello.
All’ultimo Dylan, che ormai stava visibilmente dormendo in piedi, si girò ad abbracciarla.
“Se è un sogno allora non voglio svegliarmi” le disse, gli occhi chiusi, le labbra a pochi millimetri dal suo orecchio.
Sembrò poi che le forze lo avessero abbandonato di colpo tanto che cadde sul materasso a peso morto.
 
Peccato che Aurora fosse ancora incastrata nel suo abbraccio, e si ritrovò quindi stretta tra Dylan e un’altra superficie per la seconda volta nel giro di pochi minuti.
Non sapeva però se era più spaventata da quelle che sarebbero state le conseguenze per tutto quello che era successo o dal fatto che in quella posizione si sentiva dannatamente bene.
Quale fosse delle due non ebbe il coraggio di provare a liberarsi dalla stretta delle braccia di Dylan, rischiando per altro di svegliarlo.
Si limitò quindi a rendersi di nuovo invisibile mentre con la mano libera che non era schiacciata tra il suo corpo e quello del ragazzo scostò alcuni ciuffi di capelli dalla fronte di Dylan scendendo poi ad accarezzargli la guancia.
 
Quasi in risposta a quel gesto Dylan sospirò profondamente nel sonno mentre un sorriso appena accennato spuntava sulle sue labbra.
Aurora sorrise a sua volta: no, non aveva alcuna intenzione di spostarsi da dov’era.
Non c’era motivo per cui non avrebbe potuto aspettare fino all’indomani mattina.
 













Bene, ringrazio chiunque abbia voluto dare una possibilità a questa storia e sia arrivato a leggere fino a qui.
Avviso subito che ci saranno 5-6 capitoli, quindi questa cosa non andrà troppo per le lunghe.
Non chiedetemi da dove ho preso l'ispirazione perchè non lo so nemmeno io.
Come aveva detto all'inizio questa mini-long è il seguito della one-shot che avevo già pubblicato qualche tempo fa.
Vi tocca leggervela se volete capire di cosa si sta parlando in questo capitolo perchè la storia riprende esattamente da dove aveva finito la one-shot solo che io non avevo voglia di mettermi a modificare le caratteristiche della storia e ho preferito crearne direttamente una nuova
Se tutto va come previsto dovrei aggiornare una volta alla settimana, il giovedì.

Ci terrei davvero molto a sapere cosa ne pensate visto che è praticamente la prima volta che mi azzardo a scrivere qualcosa di originale (o almeno spero che lo sia).
grazie ancora
E.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. Il tuo angelo ***


2. Il tuo angelo
 
 
 
Dylan si svegliò al suono della voce di qualcuno che lo chiamava.
Si mosse lentamente sotto le coperte, confuso, cominciando ad apprezzare che il suono del suo nome pronunciato da chiunque stesse cercando di svegliarlo era ogni volta accompagnato da una fitta decisamente poco piacevole alla testa.
L’espressione mal di testa martellante non gli era mai sembrata così calzante.
 
Ormai strappato del tutto dal mondo dei sogni il ragazzo aprì finalmente gli occhi sbattendo le palpebre più volte per abituarsi alla luce del sole che entrava dalla finestra che qualcuno aveva già aperto per lui.
Mise a fuoco la figura di una contrariata Flor che lo osservava con un sopracciglio alzato e le mani sui fianchi.
Non capiva perché fosse venuta a svegliarlo: quando era vacanza poteva dormire quanto voleva e durante la settimana invece ci pensava la sveglia a…
 
Dylan rivolse il suo sguardo alla suddetta sveglia appoggiata sul comodino: segnava le 9.37 e l’abbreviazione del giorno della settimana sotto l’orario lo informava che purtroppo per lui il week-end era ben lungi dall’essere arrivato.
Era giovedì, erano le nove e mezza passate e lui era innegabilmente in ritardo per la scuola.
 
Di colpo la presenza di Flor ai piedi del suo letto acquistò il suo significato.
 
“In cucina la tua colazione e un’aspirina ti aspettano” commentò la donna quando fu sicura che Dylan avesse finalmente collegato il cervello in modo da poter capire quello che diceva.
“Se fai in fretta riesci ad arrivare per la terza ora” concluse poi lasciando la stanza.
 
 
Passato lo stordimento iniziale nella mente di Dylan si ricostruì quello che era successo la sera prima.
La risposta alla sua domanda per il college.
Il litigio con suo padre.
Il pub.
E di sicuro dopo veniva la sbronza, anche se non poteva dire di esserne certo perché se lo ricordava quanto per il fatto che quel mal di testa insopportabile, il saporaccio che aveva in bocca e il vago senso di nausea potevano essere ricondotti solo a quello.
Cavoli, non si ricordava nemmeno come era arrivato a casa!
 
Scalciò via le coperte e fece per alzarsi con movimenti lenti per evitare che la nausea degenerasse in altro, notando solo a quel punto, e con non poco imbarazzo, che fino a quel momento era rimasto nella posizione in cui aveva presumibilmente dormito tutta la notte: abbracciato al cuscino.
 
 
Fortunatamente la situazione era meno grave del previsto: dopo la doccia, una bella lavata di denti, la colazione e l’aspirina poteva dire di sentirsi quasi rinato.
Evidentemente al pub non aveva poi esagerato così tanto.
 
Una volta in macchina, la casa che si allontanava alle sue spalle, non potè però fare a meno di pensare di essersi dimenticato di qualcosa…
 
 
 
***
 
 
 
Quando la casa aveva cominciato ad animarsi Aurora dovette suo malgrado lasciare la posizione in cui si trovava.
Sapeva che di solito nessuno entrava in camera di Dylan quando il ragazzo stava dormendo, ma non poteva certo rischiare che l’unica volta che qualcuno fosse entrato avesse visto il ragazzo che dormiva mentre abbracciava… il vuoto.
 
Facendo attenzione ad ogni movimento si districò lentamente dall’abbraccio in cui era rimasta tutta la notte mettendo poi al suo posto il cuscino.
A quel punto sarebbe anche potuta andare via ma, doveva ammetterlo, era spaventata da chi avrebbe potuto trovare quando fosse tornata alla sua stanza.
Se per un semplice avvertimento avevano mandato Dave, il suo ex maestro, dopo quello che aveva combinato la sera prima si sarebbe ritrovata il Consiglio al completo, nella migliore delle ipotesi.
 
Si era quindi seduta sotto la finestra, le gambe incrociate e la testa appoggiata al muro, e aveva aspettato.
 
Ovviamente la sveglia non era stata impostata e Dylan continuò a dormire ben oltre l’ora che gli avrebbe consentito di arrivare a scuola in orario.
Forse per quella volta saltare le lezioni gli avrebbe fatto bene.
 
Lei sarebbe comunque rimasta lì ad aspettare che si svegliasse: prima di andare da qualsiasi parte doveva sapere
 
Evidentemente Flor non la pensava come lei riguardo il saltare la scuola visto che alla fine, nonostante gli avesse concesso due ore di sonno in più, aveva fatto il suo ingresso nella stanza e aveva svegliato Dylan senza farsi troppi problemi.
 
Era arrivato il momento della verità.
 
Osservò il ragazzo che riprendeva pian piano il contatto con la realtà quasi trattenendo il respiro.
Soffocò una risatina quando lo vide guardare confuso il cuscino che ancora stringeva tra le braccia per poi buttarlo subito dopo in malo modo sul letto.
Lo seguì quando salì in macchina e da lì a scuola.
 
Mai una volta l’aveva cercata, non una volta si era fermato a chiedersi dove fosse finita la ragazza che la sera prima lo aveva accompagnato a casa sano e salvo, evitandogli di diventare un’innovativa decorazione per il pavimento stradale.
Una parte di lei si sentiva quasi delusa, ma in fondo sapeva che era così che dovevano andare le cose: Dylan non si ricordava di lei e di quello che era realmente accaduto la sera prima, e andava benissimo così.
 
 
 
***
 
 
 
La sensazione di essersi dimenticato di qualcosa, qualcosa di importante, non aveva abbandonato Dylan per tutta la giornata.
Era persino più distratto del solito a lezione, il che era tutto dire.
 
Quando l’avevano visto entrare così tardi i suoi amici gli avevano subito chiesto spiegazioni, ma lui aveva velocemente liquidato la faccenda borbottando qualcosa che suonò come “Colpa di una sbronza non programmata” al quale ovviamente seguirono le lamentele dei ragazzi per non essere stati invitati.
 
Una volta tornato a casa Dylan pensò di aver finalmente avuto l’illuminazione: la sua lettera di accettazione del college!
Quando era uscito la sera prima l’aveva lasciata sul tavolino del salotto, e di sicuro suo padre aveva provveduto a farla sparire dalla circolazione visto che ovviamente non era più lì.
Poco male, l’avrebbe trovata, anche a costo di ribaltare lo studio del genitore, o di frugare tra i rifiuti se era per quello, meno male che facevano la raccolta differenziata.
 
Nonostante tutto sentiva che c’era ancora qualcosa che gli sfuggiva, come quando hai una parola sulla punta della lingua che proprio non ne vuole sapere di saltare fuori.
 
 
L’aiuto arrivò, totalmente inaspettato, da Flor.
 
La domestica aveva infatti appena finito di chiedergli come andava il suo mal di testa, che per fortuna sembrava effettivamente essere solo un ricordo di quella mattina, quando gli fece una domanda che non si sarebbe mai aspettato.
 
“E cosa mi dici di quella ragazza così gentile che ti ha riportato a casa tutto intero?”
Dylan si bloccò con uno dei biscotti che Flor gli aveva preparato per merenda a metà strada tra il piatto e la sua bocca.
“C-come scusa?” domandò a sua volta mettendo giù il biscotto e togliendosi le briciole dalle dita.
Aveva capito male, di sicuro. Non poteva essere che così.
“Ma sì, la moretta che ti ha praticamente portato di peso fino alla tua stanza, Dylan” continuò convinta lei. “Credo sia stata lei a metterti il pigiama perché ieri notte quando sei rientrato non eri di certo in grado di farlo da solo…” insistette facendogli addirittura l’occhiolino.
Il ragazzo sbattè più volte le palpebre completamente paralizzato.
Di cosa stava parlando Flor?
 
La donna era con loro da anni e ormai era diventata parte della famiglia tanto che risiedeva stabilmente in una delle stanze degli ospiti, che ora era sua a tutti gli effetti, da quando Dylan aveva cominciato il primo anno di scuola superiore.
In effetti era già capitato più di quanto il ragazzo ci tenesse ad ammettere che fosse stata proprio Flor ad accoglierlo quando tornava a casa la notte –o la mattina presto- ubriaco e a stento capace di reggersi in piedi, a scortarlo fino alla sua camera assicurandosi che arrivasse al letto senza che precipitasse giù per le scale durante il tragitto.
E fino a quel momento Dylan aveva pensato che anche quella volta non avesse fatto eccezione.
Evidentemente si sbagliava.
 
Flor era sì rimasta in piedi ad aspettarlo, ma quando era rientrato c’era già qualcuno con lui così lei era tornata a dormire senza farsi altri problemi.
 
Smise di ascoltare Flor che si stava chiedendo se ci fosse già una nuova fidanzata in vista nel momento in cui i ricordi della sera prima, tutti i ricordi, gli invasero la mente di colpo.
 
Stava tornando a casa.
Era talmente instabile che aveva regolarmente bisogno di appoggiarsi a qualcosa per recuperare l’equilibrio ed evitare di finire disteso per terra.
Solo che alla fine per terra ci era finito lo stesso perché nell’attraversare la strada non si era accorto di una macchina che era sbucata fuori dal nulla e per poco non era stato investito.
Ed era caduto, sì, perché qualcuno lo aveva tirato via all’ultimo momento e lui proprio non era riuscito a rimanere in piedi, finendo col trascinare quel qualcuno con lui.
E quel qualcuno altri non era che…
 
“Caro ti senti bene?” gli domandò Flor, e Dylan pensò che se la sua faccia rispecchiava anche solo in parte come si sentiva allora la donna non aveva tutti i torti a fargli una domanda del genere.
“Sì, certo… sto benissimo” rispose, ben consapevole di non essere stato neanche lontanamente convincente.
Fortunatamente Flor sembrò capire visto che non aggiunse altro e lasciò che il ragazzo si precipitasse in camera senza dire niente.
 
 
Il ragazzo buttò lo zaino in un angolo e si lasciò cadere sul letto a pancia in giù, il viso completamente immerso nel cuscino tanto che faceva pure fatica a respirare.
 
Si chiamava Aurora…
Era stata Aurora a impedire che finisse sotto quella macchina.
Aveva incontrato di nuovo Aurora e per colpa di tutto quello che aveva bevuto aveva quasi rischiato di dimenticarselo, si poteva essere più stupidi?
Non avrebbe mai più bevuto così tanto, decise, sorridendo poi ricordandosi di aver pensato qualcosa di simile anche la notte precedente.
 
E poi ricordò anche la frase, quella frase: “Sei ubriaco Dylan… e tutto questo è solo un sogno”
Così gli aveva detto, che quello, che lei, era solo un sogno.
E ci avrebbe anche creduto: quando si era svegliato Aurora non c’era più, come non c’era nessun segno che avrebbe potuto suggerire il suo passaggio nella sua stanza.
Ci avrebbe creduto se non fosse stato che però anche Flor l’aveva vista e lui proprio non credeva di aver avuto un’allucinazione collettiva.
 
Ma allora perché dirgli una cosa del genere?
Perché portarlo a credere che tutto quello non fosse mai successo?
 
Cercò di concentrarsi per ricordare esattamente cosa fosse successo dopo rimanendo abbastanza sorpreso dall’immagine che la sua mente gli fornì.
Aveva abbracciato Aurora dicendole che allora non voleva svegliarsi e poi era letteralmente crollato trascinandola nel letto con lui, ma non era quello il punto.
 
Il punto era che dopo mesi quella sensazione di non essere più solo, quella sensazione di avere qualcuno accanto come quando aveva i suoi momenti e si metteva a pensare seduto sul letto era finalmente tornata.
E lo aveva fatto nel momento in cui aveva abbracciato Aurora.
Non si ricordava di essersi mai sentito così bene come quando si era addormentato abbracciato a lei quella notte.
 
Se però poteva affermare con sicurezza che fosse lì con lui quando si era addormentato, altrettanto non poteva fare per tutte le altre volte che aveva avuto l’impressione che la ragazza fosse al suo fianco (perché sì, aveva deciso che quella sensazione era senz’altro opera di Aurora)
O stava impazzendo o c’era una spiegazione più o meno logica che ancora gli sfuggiva, e lui sperava con tutto se stesso che fosse la seconda.
 
“Non sono pazzo”
 
 
 
***
 
 
 
Quando Aurora aprì la porta della sua stanza non provò neanche a fingersi sorpresa nel trovare due persone che la aspettavano all’interno.
Dave la guardava con espressione indecifrabile e scosse la testa quando lei provò silenziosamente a chiedergli se fosse davvero messa così male.
Al suo fianco un funzionario del Consiglio, un ometto non troppo alto e rotondetto, i capelli color paglia, gli occhi marroncini, il naso a patata e le labbra sottili, riconoscibile grazie alla divisa dorata che indossava, aveva invece l’aria piuttosto annoiata.
Tra le mani stringeva un rotolo di pergamena, di quelli che sapeva che il Consiglio usava per le comunicazioni ufficiali, che non esitò a srotolare per leggerglielo non appena fu sicuro di avere la sua totale attenzione.
 
In pratica avevano registrato il fatto che si fosse Manifestata una seconda volta al suo protetto, violando così una delle regole cardine del regolamento.
 
Aurora stava già per protestare dicendo che l’aveva fatto per un valido motivo -ovvero salvargli la vita- quando il funzionario la interruppe spiegando che proprio per quel motivo non sarebbe stata sospesa.
A quanto pareva c’era un comma nella parte che regolava le Manifestazioni ai protetti, che consentiva una seconda Manifestazione nel caso fossero sussistite condizioni ancora più particolari rispetto a quelle che ammettevano la Manifestazione canonica.
La situazione in cui si era ritrovata Aurora era una di quelle.
 
L’angelo custode si ritrovò quindi a prendere atto del fatto che il Consiglio aveva imposto una visita ufficiale solo per la peculiarità delle circostanze.
Se l’era cavata ancora una volta con il solo suggerimento di evitare i Contatti e le solite raccomandazioni per continuare a svolgere bene il suo lavoro come aveva sempre fatto.
 
“Quindi… posso andare?” chiese Aurora ancora non del tutto sicura.
Le sembrava davvero strano che nonostante tutto non le avessero fatto nemmeno un richiamo piccolo piccolo.
E poi non voleva sembrare maleducata ma aveva come la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava con Dylan: una specie di sesto senso da angelo custode.
 
Il funzionario ebbe a mala pena il tempo di annuire dando il via libera e Dave provò inutilmente a trattenerla che la ragazza aveva già lasciato la sua stanza per poi smaterializzarsi direttamente nel corridoio fuori dalla camera di Dylan.
 
Dave scosse la testa per nulla contento: “Dovete dirglielo” disse con tono minaccioso al funzionario.
Quello stirò le labbra in un sorriso irritante: “Lo saprà a tempo debito” fu la sua risposta.
 
 
 
***
 
 
 
Dopo una lunga riflessione Dylan si era deciso: lo avrebbe fatto.
Era un’azione totalmente priva di senso e potenzialmente pericolosa? Certo che sì.
Poteva essere segno che la sua pazzia fulminante stesse peggiorando più velocemente di quanto si aspettasse? Forse.
 
Entrambe le volte che l’aveva incontrata Aurora era praticamente apparsa dal nulla per poi sparire senza lasciare traccia né spiegazioni.
Com’era possibile che sapesse sempre dove trovarsi al momento giusto?
La sera prima aveva detto che stava passando da quelle parti e lui era troppo ubriaco per rendersi conto di quanto poco esauriente e credibile fosse la spiegazione che gli aveva dato la ragazza.
Per non parlare del discorso che gli aveva fatto mesi prima al campo da calcio: come faceva a sapere tutte quelle cose di lui e della sua famiglia?
Lo teneva per caso sotto controllo? E se sì, perché?
Per il momento tutto quello che sapeva era che voleva parlare di nuovo con lei, solo che proprio non sapeva come fare per rivederla.
 
E lì era arrivata l’idea geniale.
 
Beh, forse non proprio così geniale visto che se qualcosa fosse andato storto aveva buone probabilità di finire all’ospedale, ma quella era davvero l’unica cosa che gli era venuta in mente.
Sapeva che stava probabilmente tirando un po’ troppo la corda, ma se era vero che Aurora lo seguiva allora non ci sarebbero dovuti essere problemi.
 
Non era mai stato il tipo da credere a fenomeni sovrannaturali e simili, ma più ci pensava e più la sua testa gli diceva che la convinzione che Aurora non fosse una ragazza completamente normale era giusta.
 
Ormai era in strada già da diversi minuti, ma non correva il rischio di essere disturbato da nessuno.
Alla cena mancava ancora abbastanza e la zona in cui abitava non era mai stata particolarmente affollata.
Era già tanto incontrare una persona o due lungo il marciapiede nelle ore di punta.
 
L’ennesima macchina che stava per passare all’altezza dell’attraversamento pedonale vicino al quale si trovava, lo stesso della notte prima, era perfetta: il guidatore era impegnato a parlare al telefono che teneva in una mano mentre con l’altra teneva il volante anche se a tratti la staccava per gesticolare animatamente.
Non sembrava prestare granchè attenzione alla strada.
 
Dylan fece un respiro profondo.
 
Non sono pazzo, si ripetè a mezza voce un’ultima volta prima di fare un passo verso la strada nel momento in cui la macchina sopraggiungeva.
 
 
 
***
 
 
 
Aurora fece letteralmente irruzione nella stanza di Dylan e imprecò come un angelo non avrebbe dovuto fare quando constatò che il suo occupante non era lì.
Però era vicino, lo sentiva.
Come continuava a sentire anche quella fastidiosa sensazione che come un campanello d’allarme la stava avvisando che c’era decisamente qualcosa che non andava e che lei avrebbe dovuto darsi una mossa.
 
Si concentrò nuovamente sul suo protetto in modo da potersi materializzare con più precisione e nel giro di un istante si ritrovò in strada, sullo stesso marciapiede dove aveva salvato Dylan la sera prima.
 
Ebbe pochi secondi per registrare quello che stava succedendo.
Una macchina, il cui guidatore sembrava completamente dimentico del volante che avrebbe dovuto stingere tra le mani al posto del cellulare, si stava velocemente avvicinando e Dylan davanti a lei sembrava sulla buona strada per avere un incontro ravvicinato con il suo cofano argenteo tirato a lucido.
Solo che stavolta il ragazzo non era ubriaco… lo stava facendo apposta!
 
Con un’espressione scandalizzata ben definita da ogni lineamento del suo viso la ragazza si affrettò ad afferrare con entrambe le mani la maglia di Dylan prendendolo alle spalle e tirandolo con forza indietro evitandogli –di nuovo- di finire sotto una macchina.
Sentiva il battito del cuore nelle orecchie: agli angeli custodi poteva venire un infarto?
 
Il tutto senza curarsi di mantenere l’invisibilità durante il Contatto per la seconda volta in meno di ventiquattro ore.
Ma questa volta non le importava nemmeno, quel brutto incosciente le avrebbe sentite: cosa cavolo gli era passato per la testa?!
 
 
 
 
 
I due ragazzi si ritrovarono a guardarsi l’uno di fronte all’altra, entrambi con il fiatone: Dylan per l’adrenalina ancora in circolo per aver rischiato di farsi investire, Aurora incavolata nera per il fatto che il suo protetto avesse deliberatamente cercato di portare a termine quello che aveva cominciato quella notte da ubriaco.
E per fare cosa poi?
 
Alla fine Dylan distese il suo viso in un sorriso a trentadue denti e fece per dire qualcosa, ma Aurora lo precedette.
“Si può sapere cosa cavolo hai in quella testa? Aria? Polvere? Segatura? A cosa stavi pensando, eh?” lo aggredì picchiettandogli con il dito indice contro il petto per ogni parola.
Aveva rischiato di morire e se ne stava lì a sorridere come un ebete: che avesse problemi e non se ne fosse mai accorta?
“Hai finito?” le chiese Dylan che non aveva perso il suo sorriso, anzi. Più la guardava e più quello sembrava aumentare, avendo però come effetto quello di farla arrabbiare ancora di più.
“No che non ho finito, brutto idiota! Non hai risposto alla domanda: si può sapere cosa pensavi di fare?” rispose lei senza modificare la sua espressione arrabbiata di una virgola.
 
A quel punto Dylan non era più così sicuro della sua risposta.
Insomma, Aurora era sbucata dal nulla senza nessun preavviso proprio come si era aspettato, ma dirle che stava per finire volontariamente sotto una macchina per vedere se lei lo stesse effettivamente seguendo e lo avesse salvato di nuovo forse era un po’ troppo… o no?
 
“Ehm… a quanto pare con questa sono due le volte che ti devo ringraziare per avermi evitato di finire in ospedale” disse alla fine.
 
Quella risposta la disorientò: due volte?
Questo voleva dire che dopotutto Dylan si ricordava di quello che era successo…
 
Il ragazzo sembrò capire quello che Aurora stava pensando.
“Ah, già” disse infatti assottigliando gli occhi. “Io ero ubriaco ed era tutto un sogno… non è vero… angelo?”
Aurora sgranò gli occhi, non sapeva se era più colpita dal fatto che le aveva appena rinfacciato quello che lei aveva provato a fargli credere o per il nomignolo assolutamente… appropriato.
“Potrei però far finta di niente se tu mi facessi il favore di dirmi come mai mi segui…” aggiunse Dylan alla fine visto che la ragazza sembrava aver perso momentaneamente la capacità di parlare, ancora presa a fissarlo con espressione vagamente sconvolta.
 
“Visto che sono stata io a salvarti la vita dovrei essere io quella che chiede i favori, qui. Non trovi?” rispose Aurora ricomponendosi e guardandolo freddamente.
 
Dylan si sentì strano: la sensazione di sicurezza che lo aveva pervaso quando la ragazza era comparsa lo aveva abbandonato nell’istante in cui Aurora aveva cominciato a guardarlo storto.
Possibile che la delusione e la freddezza che sentiva fossero quelle che la ragazza stava provando in quel momento nei suoi confronti?
 
L’angelo sorrise soddisfatta: sapeva bene cosa stesse provando Dylan in quel momento e non poteva fare a meno di pensare che se lo fosse meritato.
Fece per aggiungere qualcosa ma quella volta fu lei ad essere interrotta.
 
 
Flor era appena uscita di casa chiamando il nome di Dylan e guardandosi intorno alla ricerca del ragazzo, individuandolo in pochi secondi visto che alla fine dei conti era dall’altra parte della strada.
Aurora tornò invisibile in tempo zero mentre il ragazzo si girava al suono del suo nome: ci mancava solo che qualcun altro che non fosse il suo protetto la vedesse.
 
“Tua padre ha chiamato e ha detto che sta sera non ci sarà per cena, quindi se vuoi possiamo ordinare le pizze” comunicò Flor che era scesa in strada giusto per non urlare i loro affari a tutto il vicinato.
Alla risposta affermativa seppur poco entusiasta di Dylan la donna ritornò in casa.
Il ragazzo scrollò le spalle amareggiato ben consapevole che se suo padre rimaneva fuori a cena quella sera era solo perché nono voleva discutere di nuovo con lui.
E meno male che tra i due doveva essere lui l’adulto.
 
Si chiese anche come mai Flor non avesse invitato Aurora a fermarsi a cena con loro, visto che molto spesso lo faceva con chiunque si stesse intrattenendo con lui quando veniva a chiedere cose di quel genere.
Quando si girò per riportare la sua attenzione alla ragazza la risposta arrivò immediata: Aurora non era più lì con lui.
 
Era incredibile, si era girato cinque secondi per rispondere a Flor “Va bene, io prendo il solito” e la ragazza era sparita senza lasciare traccia.
Non l’aveva nemmeno sentita.
Se n’era andata lasciandolo senza uno straccio di spiegazione.
Di nuovo.
 
Però… però quella sensazione non era andata via con lei, era come se alla fine fosse ancora lì accanto a lui…
Si guardò intorno girando su se stesso.
Se qualcuno fosse passato in quel momento o si fosse affacciato a una delle finestre delle altre case che davano sulla via avrebbe di sicuro pensato che fosse impazzito.
Ma non era colpa sua, era Aurora che lo faceva diventare matto.
 
“Io non sono pazzo” disse a mezza voce.
Non era pazzo, e sapeva che Aurora in qualche modo era ancora lì e poteva sentirlo.
“Non sono pazzo!” ripetè alzando la voce. “E noi non avevamo ancora finito di parlare e… e io non sono pazzo ma rischio di diventarlo se questa storia va avanti così…” aggiunse, riabbassando i toni verso la fine.
Perfetto… era in mezzo al marciapiede a parlare con una ragazza invisibile.
Sentì qualcosa di umido scivolargli lungo la guancia: adesso cominciava anche a piangere… era patetico, se lo diceva da solo.
 
 
Non seppe se era per il fatto che aveva gli occhi leggermente appannati o se fosse stato a causa di un gioco di luce: l’aria davanti a lui sembrò vibrare e dopo qualche secondo Aurora era di nuovo ben visibile in piedi di fronte a lui sorridendo insicura.
Dylan la guardò con tanto d’occhi: tutte le volte che aveva pensato a come era sparita nel nulla non avrebbe mai detto che lo avesse fatto per davvero.
Era semplicemente impossibile!
 
“Come… come hai fatto?” le domandò balbettando.
Il sorriso sul volto della ragazza si fece furbo… e in un attimo Aurora non c’era di nuovo più, sparita letteralmente davanti ai suoi occhi.
Un altro istante, l’aria tremò di nuovo, ed eccola di nuovo lì, esattamente dov’era prima.
“Dov’è il trucco? Come fai?” chiese ancora Dylan guardandosi intorno come se si aspettasse di vedere qualcosa, qualsiasi cosa, che potesse spiegare quello a cui aveva appena assistito.
Sfortunatamente per lui sembrava non esserci assolutamente nulla di diverso dal solito.
“Sei un fantasma?” disse infine dando voce alla prima idea che gli era passata per la testa.
Aurora ridacchiò scuotendo la testa: “No, non sono un fantasma. Però penso che tu possa capire da solo cosa sono, in realtà mi hai già chiamato con il nome giusto un paio di volte…” rispose lei pazientemente nonostante la sua voce fosse stata percorsa da un tremito.
 
Non sapeva bene neanche lei cosa stava facendo: rivelare la sua vera natura al proprio protetto?
Non le avrebbero affidato mai più nessuno per il resto della sua esistenza.
Eppure, nonostante fosse fin troppo consapevole di quello che stava rischiando, proprio non sarebbe riuscita a fermarsi dall’andare fino in fondo.
Lo sguardo smarrito di Dylan quando si era girato dopo aver risposto a Flor e non l’aveva più vista l’aveva colpita profondamente e non si era mai sentita così in colpa.
Riapparirgli esattamente davanti agli occhi era l’unica cosa che era riuscita a fare.
L’unica cosa che aveva voluto fare.
 
Nel frattempo Dylan cercava di dare una risposta alla frase sibillina che aveva detto Aurora.
La ragazza aveva detto che praticamente lui sapeva già cos’era, che l’aveva già chiamata con il nome giusto…
La risposta arrivò alle labbra prendendo voce prima che potesse rendersene conto.
 
“Angelo… Sei… Sei un angelo?” le domandò continuando a guardarla con gli occhi sgranati.
 
Aurora annuì piano arrossendo leggermente: “È così, ma non è del tutto corretto” rispose.
L’espressione di Dylan era sempre più confusa.
 
“Sono un angelo, sì… ma sono il tuo angelo” precisò lei.
 
“Sono il tuo angelo custode
 
 
 
 
 
 
 
“Oh…”













Niente, mi stavo quasi dimenticando che oggi fosse giovedì, ma mi sembrava brutto iniziare già con i ritardi, quindi ecco il capitolo.
Spero che qualche anima pia mi faccia sapere cosa ne pensa, ci terrei davvero.
Non credo di aver altro da aggiungere, alla prossima settimana.
E.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3. Sì, lo rifarei ***


3. Sì, lo rifarei
 
 
 
 
“E così, ma non è del tutto corretto”
“Sono un angelo, sì… ma sono il tuo angelo”
“Sono il tuo angelo custode”
 
“Oh”
 
 
 
 
 


Dopo un primo istante di perplessità Dylan scoppiò a ridere in faccia ad Aurora.
Lo sguardo della ragazza dapprima –abbastanza- comprensivo si fece decisamente seccato quando il ragazzo, per il troppo ridere, cominciò addirittura a tenersi la pancia, quasi piegato in due.
 
Non era esattamente quella la reazione che si aspettava.
 
“Hai finito?” gli domandò guardandolo male, le braccia incrociate al petto.
Di nuovo quella strana sensazione di freddo pervase Dylan il quale smise all’istante di ridere, raddrizzandosi e cercando di darsi un contegno.
“L’hai fatto di nuovo!” la accusò infastidito.
Non gli piaceva per niente sentirsi così.
“Se è per questo lo facevo anche ogni volta che ti ubriacavi, ma evidentemente gli alcolici devono causare qualche interferenza visto che non mi pare ti abbia mai dato particolare fastidio…” lo provocò lei, lieta che finalmente fosse tornato serio.
 
Dylan non rispose subito.
“Scusa, è solo che… sai com’è… non capita mica tutti i giorni di incontrare angeli per strada. E se devo essere sincero tu non sembri esattamente un angelo…” disse alla fine.
“Interessante…” ribattè lei. “Quindi sentiamo: come dovrebbe essere esattamente un angelo?”
“Ehm, non saprei. Tunica bianca, ali e aureola?” rispose il ragazzo dubbioso.
Aurora storse il naso: “Ma ti prego! Credo non andassero in giro così neanche nella notte dei tempi… perché, non ti piace come sono vestita?”
Quel giorno indossava una felpa dello stesso colore dei suoi occhi, un paio di blue jeans e scarpe di tela bianche: sembrava in tutto e per tutto una ragazza normale.
“No, no… mi piace come sei vestita” si affrettò a rispondere Dylan arrossendo leggermente. “Ma quindi le ali…?”
Aurora scosse la testa: “La abbiamo, sì, ma non ti è consentito vederle. E fidati che è meglio così…”
“E perché…?”
“Non lo vuoi sapere davvero…” e lei di certo non glielo avrebbe detto.
Perché il protetto vedeva il proprio angelo custode com’era veramente con le ali e tutto il resto solo in un’unica circostanza, e Aurora sperava vivamente di esaurire il suo compito con Dylan prima che quella potesse verificarsi.
Alla sua ultima affermazione seguì un lungo istante di silenzio.
 
“Che ne dici se finiamo il discorso in casa? Se dovesse passare qualcuno sarei costretta a tornare invisibile e non vorrei mai che si pensasse che stai parlando da solo” disse alla fine Aurora prendendolo palesemente in giro.
“Beh, dopo che mi stavo per buttare sotto una macchina per vedere se esistevi per davvero parlare da solo mi sembra il minimo…” commentò Dylan svelando senza rendersene conto il motivo del gesto che stava per compiere solo pochi minuti prima.
 
L’espressione di Aurora si rabbuiò all’istante: “Tu…tu l’hai fatto per… brutto incosciente! Dopo parleremo anche di questo, puoi starne sicuro!” sbottò incredula dando al ragazzo uno scappellotto alla nuca.
“Ti aspetto nella tua stanza” concluse poi per poi sparire e lasciare Dylan da solo in mezzo al marciapiede.
 
Quello dopo essersi ripreso, ancora non era abituato a vedere la ragazza sparire a quel modo davanti ai suoi occhi, si affrettò ad attraversare la strada –non prima di aver scrupolosamente guardato se stessero arrivando macchine- per poi rientrare a casa.
 
“Cosa stavi facendo fuori, Dylan?” gli chiese Flor mentre passava quasi di corsa davanti alla cucina dove la donna stava preparando la tavola per la cena.
Il ragazzo fece finta di non aver sentito e passò oltre urlando un semplice: “Io sono in camera, non mi disturbate!”
 
Una volta giunto a destinazione si chiuse la porta alle spalle facendo scorrere lo sguardo per la stanza aspettandosi di vedere Aurora, che però non c’era.
Aggrottò le sopracciglia chiedendosi dove fosse finita senza sapere che in realtà l’angelo era proprio lì, invisibile vicino alla finestra mentre cercava di trattenersi dallo scoppiare a ridere.
Dopo un paio di minuti durante i quali non successe assolutamente nulla Dylan si sedette sul letto sospirando sonoramente.
Spostò il cuscino in modo che gli facesse da imbottitura nell’appoggiarsi alla testiera di legno del letto e dopo essersi tolto le scarpe stese le gambe davanti a lui.
Dove si era cacciata Aurora?
Perché non si era sognato che lei gli aveva detto che avrebbero continuato a parlare in casa perché non poteva farsi vedere da nessuno.
Non si era sognato… lei, giusto?
 
Nell’esatto istante in cui la sua mente formulava quel pensiero eccola, di nuovo quella situazione.
Dopo un paio di secondi Aurora apparve accanto a lui, e proprio come aveva immaginato aveva un braccio a cingergli le spalle.
“Davvero pensavi che ti avessi dato buca?” lo prese in giro stringendolo per un momento e togliendo il braccio subito dopo.
“Quindi eri sempre tu ogni volta?” domandò lui imbarazzato grattandosi la nuca evitando di rispondere e guardando ovunque tranne che verso la ragazza.
“Sì, ero io” rispose Aurora capendo al volo a cosa si stesse riferendo Dylan.
Il ragazzo annuì, cercando di pensare a cosa dire dopo.
 
“E quindi… come funziona?” se ne uscì alla fine. “Ogni persona ha il suo angelo custode che lo segue ventiquattr’ore su ventiquattro o… ?”
“No, non è proprio così” cominciò a spiegare Aurora. “Innanzitutto non tutti hanno un angelo custode. Diciamo solo chi… ne ha bisogno. Non so quali siano i parametri, ma il Consiglio decide che una persona piuttosto che un’altra ha bisogno di qualcuno che la segua e noi veniamo assegnati di conseguenza”
“Consiglio?”
“Sono un gruppo di angeli custodi, i più vecchi, infatti vengono chiamati anche Anziani, sono loro che prendono le decisioni e soprattutto che assicurano che tutti rispettino il Regolamento… diciamo che mandano avanti la baracca”
“Parlare con me adesso ti farà finire nei guai?”
“Beh… ho già ricevuto una visita non ufficiale e una sì, ma a questo punto non è che posso tornare indietro, no?”
Dylan la guardò mordendosi il labbro: non voleva che finisse nei guai solo perché lui aveva voluto rivederla a tutti i costi.
“E quindi se infrangi le regole cosa succede?” domandò.
“Dipende dai casi…”
“… per esempio in questo caso…?”
Aurora sorrise mestamente: “In questo caso… nella peggiore delle ipotesi ti cancellerebbero la memoria e ti assegnerebbero un altro angelo, immagino”
“Possono farlo? Cancellarmi la memoria, intendo”
L’espressione seria di Aurora fu una risposta sufficiente.
 
“Ma quindi perché mi avrebbero assegnato un angelo custode?” chiese Dylan cambiando discorso.
“Questo non mi è dato saperlo” rispose prontamente Aurora. “Noi seguiamo i nostri protetti per dare loro supporto e per… beh, assicurarci che la loro vita non si concluda prima del tempo. Ma non possiamo assolutamente interferire direttamente con le loro scelte e quindi per questo non ci viene detto espressamente perché qualcuno ha bisogno di essere seguito: ci sarebbe il rischio che a qualcuno venga voglia di intervenire per cambiare le cose e questo non si può fare” spiegò.
“Quindi chi ha bisogno viene seguito per tutta la vita?”
“Non necessariamente. Può anche essere solo un periodo. Per esempio Dave, il mio mentore, ha smesso di seguire il suo ultimo protetto qualche mese fa e adesso è in attesa che gliene venga assegnato un altro”
“Tu hai già seguito altri?” domandò il ragazzo dopo un attimo di pausa.
Sperava che la punta di gelosia che aveva pervaso le sue parole fosse stata solo una sua impressione.
Anche se in realtà gli faceva un certo effetto pensare ad Aurora con qualcun altro che non fosse lui.
 
La ragazza sembrò capire quello che gli stava passando per la testa.
“Sì, ho già seguito altre persone, diverse a dire il vero. Ma se proprio devo dirla tutta non ho mai avuto l’occasione di fare conversazioni così lunghe con nessuno. Con qualcuno non mi sono mai neanche Manifestata…” disse infatti cercando di rassicurarlo.
“Manifestata?”
“È così che si dice quando un angelo si rende visibile al suo protetto e interagisce con lui. E dovrebbe essere fatto una sola volta in circostanza eccezionali
“Quindi dopo quella volta al campo da calcio tu non avresti più potuto…”
“Non avrei più dovuto farmi vedere” confermò Aurora. “Ma siccome tu che finisci sotto una macchina rientrava nelle circostanze eccezionali hanno fatto un’eccezione alla regola” aggiunse già vedendo il senso di colpa pervadere il viso di Dylan.
Trovava davvero dolce il fatto che lui si preoccupasse che lei potesse finire nei guai.
Il ragazzo stava per farle un’altra domanda quando qualcuno bussò alla porta aprendola subito dopo.
 
“Sono arrivate le pizze!” comunicò Flor facendo capolino dalla porta. “Tutto bene?” domandò poi.
In effetti Dylan aveva praticamente trattenuto il respiro visto che la porta si era aperta prima che lui potesse dire qualcosa, ma si tranquillizzò non appena notò con la coda dell’occhio che al suo fianco Aurora non era più visibile.
Sentiva però che era ancora lì, e quasi a volerglielo confermare sentì qualcuno stringergli il braccio come per rassicurarlo.
“Sì, certo” disse sicuro. “Arrivo subito” aggiunse poi invitando implicitamente la donna a lasciare la stanza.
Flor gli riservò un’ultima occhiata dubbiosa e si richiuse la porta alle spalle.
 
Non appena sentirono i suoi passi scendere lungo le scale Aurora riapparve ed entrambi scoppiarono a ridere.
“Per un attimo ho pensato che ti avrebbe beccata!” esclamò Dylan sollevato che non fosse accaduto.
“Nah… sono abbastanza pronta di riflessi, non c’è pericolo” rispose Aurora.
 
Il ragazzo decise di sorvolare momentaneamente sul fatto che in realtà Flor l’aveva già vista la sera prima: glielo avrebbe detto un’altra volta.
 
“Perché non vieni giù a cenare con noi?” le propose invece. “Potresti suonare alla porta e dire che sei una mia compagna di classe… per te potrei addirittura dividere la mia pizza!”
“Sono onorata ma… Intanto sarei una compagna di classe piuttosto maleducata a presentarmi a casa d’altri a quest’ora” ribattè Aurora. “E poi quale parte di nessuno deve vedermi non ti è chiara?”
 
Come non detto.
 
“In realtà… Flor… ecco, potrebbe essere che ieri notte quando mi hai accompagnato lei…” balbettò Dylan
“Cosa?! E quando aspettavi a dirmelo? Cavoli, se il Consiglio lo viene a sapere sono finita… Una ragione in più per rifiutare il tuo invito, mi dispiace Dylan” esclamò la ragazza saltando su dal letto e camminando su e giù per la stanza.
Il ragazzo abbassò lo sguardo dispiaciuto: “Scusa…”
“Non essere sciocco” lo interruppe subito lei. “Non è mica stata colpa tua. Certo, tu avresti potuto fare a meno di ubriacarti, ma io sarei dovuta essere più attenta, ma ormai il danno è fatto… Senti, vai pure giù a cenare. Promesso che non mi muovo di qui, non sparirò di nuovo”
“Ok” acconsentì Dylan. “Se vuoi ti porto qualcosa quando torno su?” le domandò alle fine.
Aurora scosse la testa trattenendo le risate: “Non c’è bisogno Dylan”
Il ragazzo la guardò interrogativo.
“Non ho bisogno di mangiare” si affrettò a spiegare lei.
Dylan spalancò la bocca: “Tu non mangi?”
“No”
“Mai?!”
“Mi è capitato di assaggiare qualcosa un paio di volte, trovo la cioccolata particolarmente piacevole, ma non ho bisogno di mangiare, no”
Dylan non sembrava ancora convinto fino in fondo.
“Vai a cenare adesso, quando torni ti spiego bene come funzionano le cose per me, ok? Forza, prima che Flor venga qui a controllare se sei stato rapito dagli alieni…” lo esortò Aurora buttandolo praticamente fuori dalla camera.
 
 
 
Dylan non ricordava di aver mai mangiato una pizza in così poco tempo.
Era andato così veloce che se non fosse stato che la pizza si era già raffreddata a causa del suo ritardo molto probabilmente si sarebbe ustionato la lingua.
Ovviamente Flor si era insospettita non poco a quel suo comportamento, ma alla fine Dylan era riuscito a giustificare la sua fretta chiamando in causa un inesistente compito di matematica di cui si era dimenticato e per il quale doveva assolutamente essere preparato per il giorno dopo.
 
La verità era che invece aveva paura di tornare in camera e non trovarci più Aurora, come se ancora non si capacitasse fino in fondo che la ragazza esistesse o quantomeno fosse realmente chi diceva di essere.
 
Buttò il cartone vuoto della pizza che Flor non era ancora arrivata a metà della sua, e scusandosi per non rimanere lì a farle compagnia si fiondò di nuovo in camera.
 
 
 
Spalancò la porta di colpo e rilasciò il fiato che non si era nemmeno accorto di trattenere non appena vide Aurora appoggiata al davanzale che guardava fuori dalla finestra sbirciando attraverso le tende.
 
“Avrei riconosciuto il tuo passo leggiadro tra mille” commentò la ragazza senza neanche girarsi prima che lui potesse aprire bocca per chiederle cosa sarebbe successo se non fosse stato lui ad entrare nella stanza ma qualcun altro.
Che gli angeli custodi potessero leggere nel pensiero?
“E prima che tu mi chieda anche questo: no. Non posso leggerti nel pensiero” aggiunse girandosi e ridendo all’espressione stupefatta di Dylan.
 
“Hai fatto in fretta… Allora: dove eravamo arrivati?” gli domandò poi prendendo posto sul letto dov’era prima e invitando il ragazzo a fare altrettanto.
Dylan rimase imbambolato altri due secondi, poi si riscosse e andò a prendere posto al fianco di Aurora.
 
“Dicevi che non hai bisogno di mangiare…”
“Mm-mm”
“E quindi non…” ok, era imbarazzante.
Aurora rise “Ho capito. No, diciamo che i bagni non mi sono di alcuna utilità… però con tutto quello che mi fai correre ogni giorno la doccia è d’obbligo, e ho anche bisogno di dormire. Non tanto come voi, ma almeno qualche ora ogni giorno”
“E dove dormi?”
“Non qui, tranquillo”
Come faceva a spiegare che le bastava pensare alla sua stanza all’Accademia, situata in una specie di realtà parallela creata apposta per consentire agli angeli di avere posti tutti loro, e ci si ritrovava?
 
“Ma quindi non seguite i vostri protetti proprio tutta la giornata…” aveva proseguito intanto Dylan.
“Esattamente. Pensavi davvero che stessi a scuola con te tutto il tempo? Sai che noia! No, ogni tanto vi lasciamo a cavarvela da soli…” ridacchiò Aurora.
“Oggi pomeriggio non mi stavi seguendo” non era una domanda.
Adesso che ci pensava su poteva dire con sicurezza di aver sentito la differenza nel momento in cui Aurora era arrivata.
“No” confermò lei.
“E allora come hai fatto a…?”
“A salvarti le penne anche se non ero dietro a farti da balia?” concluse lei.
Dylan non potè non notare il cambiamento della voce e dell’espressione.
 
“Fortunatamente per te gli angeli custodi hanno una sorta di sesto senso che li avvisa quando il loro protetto sta per mettersi nei guai, o si trova in pericolo… o sta per fare qualcosa di incredibilmente stupido e privo di qualsiasi logica… si può sapere cosa ti diceva la testa? Hai idea dello spavento che mi hai fatto prendere?” aveva iniziato parlando piano, ma alla fine presa dalla foga non si era neanche accorta di aver praticamente urlato l’ultima parte.
Ma d’altronde non aveva mai avuto così tanta paura come in quel momento.
Lei si era sentita morire alla prospettiva di vedere Dylan investito.
 
Il ragazzo sembrò capire la gravità del suo gesto e per un po’ nessuno dei due disse più nulla.
 
“Mi dispiace davvero. Io non…” incominciò alla fine Dylan rompendo il silenzio, ma non riuscì a terminare la frase preso alla sprovvista dal gesto totalmente inaspettato di Aurora.
La ragazza si era infatti girata verso di lui e gli si era letteralmente buttata addosso stringendolo in un abbraccio.
“Non farmi mai più una cosa del genere” la sentì dire, il viso nascosto nell’incavo del suo collo.
“Non lo farò” si affrettò a rispondere lui ricambiando l’abbraccio.
Aurora si staccò per guardarlo negli occhi: “Promettimelo”
“Promesso” assicurò lui senza distogliere lo sguardo.
 
“Bene, adesso sono più tranquilla” commentò lei dopo un po’ tornando a sorridere. “Altre domande?”
 
In effetti quel discorso gliene aveva fatta venire in mente una…
 
“Hai detto che voi angeli vi assicurate che la vita delle persone che seguite non si concluda prima del tempo. Ma per esempio… negli incidenti… ecco… come fate a sapere…?”
Aurora chiuse gli occhi per qualche secondo: argomento delicato.
“Ci viene detto” rispose semplicemente. “Se il protetto è destinato a… beh, a morire mentre è ancora seguito da un angelo custode il Consiglio avvisa l’angelo, giusto con un po’ di anticipo. Nient’altro. E ovviamente noi non possiamo assolutamente intervenire”
“E a te… è mai capitato?” chiese ancora sperando di non risultare indelicato.
Con suo sollievo Aurora scosse la testa: “Per incidenti no. Mi è capitato con qualche protetto, ma erano tutti per vecchiaia e quello è… sopportabile. Non so come reagirei se dovesse succedere per altro
 
“Se hai seguito così tante persone come mai hai ancora l’aspetto di una ragazza? Insomma, potresti avere la mia età!” domandò Dylan passando ad un argomento che fosse meno pesante.
“Questa è una bella domanda” convenne Aurora. “La cosa dell’età è un po’ strana per noi angeli, soprattutto se partiamo dal presupposto che volendo possiamo cambiare il nostro aspetto più o meno a nostro piacimento”.
“Più o meno?”
“È un processo che costa parecchia energia perciò evitiamo di farlo se non è strettamente necessario. Diciamo solo che per seguire una persona di, per esempio, settant’anni, non mi presenterei con l’aspetto di una ragazzina ma con uno da adulta. Sai com’è, se mi dovessi Manifestare non sarei molto credibile con il mio aspetto attuale, no?”
Dylan annuì senza interromperla.
“E nel caso te lo stessi chiedendo questo è il mio vero aspetto. L’invecchiamento per noi, come avrai capito, funziona in modo decisamente diverso: centra qualcosa la nostra esperienza, il numero di protetti che abbiamo seguito, ovviamente il numero di anni da cui siamo in circolazione e anche come noi ci sentiamo di essere”
“Quindi diciamo che tu ti senti di essere ancora un angelo piuttosto… giovanile?”
“Praticamente sì”
“Ok…” a quel punto gli sarebbe venuto da chiedere se anche gli angeli potevano morire ma all’ultimo decise che avevano già parlato abbastanza di quell’argomento per quella sera, sarebbe stato per un’altra volta.
 
 
Come passarono dal parlare di lei a parlare di lui proprio non avrebbe saputo dirlo.
In quel momento Dylan sapeva solo che nessuno, a parte forse i suoi amici, lo aveva mai ascoltato così quando parlava dei suoi interessi.
 
Aurora rimase ad ascoltarlo mentre spiegava come mai giocare a calcio gli piacesse tanto: il modo in cui correre dietro ad un pallone e fare goal, per quanto stupido e infantile potesse sembrare, lo riempisse di soddisfazione, per non parlare del bel rapporto che si era creato con gli altri giocatori della squadra (forse a parte il ragazzo con cui Vanessa l’aveva tradito, ma era un altro discorso…)
 
Lo guardò fiera come sarebbe dovuto essere suo padre quando le parlò della sua passione dell’architettura (era stato uno dei pochi a scegliere volontariamente storia dell’arte come materia supplementare) e le fece vedere i disegni e i progetti che aveva realizzato in quegli anni, grazie anche all’aiuto del suo professore che sembrava convinto del suo talento.
Probabilmente quelli erano l’unica cosa in ordine nella sua stanza: tenuti con cura all’interno di diverse cartelline ben stipate nella piccola libreria che aveva di fianco alla scrivania.
 
Da quelli ai disegni che invece faceva a mano libera sul suo album da disegno il passo fu breve, e nonostante gli iniziali rimproveri per il numero assurdamente alto di ritratti che le aveva fatto alla fine Aurora aveva ceduto e aveva acconsentito a farsene fare uno dal vivo.
 
Vedere Dylan così felice le faceva ricordare quando era piccolo e i genitori gli compravano le caramelle o un nuovo giocattolo se si comportava bene o se prendeva un bel voto a scuola.
 
Inutile dire che arrossì non poco quando il ragazzo, una volta terminato il ritratto, lo firmò per poi staccare il foglio dall’album porgendoglielo dicendo che quello era per lei.
 
 
 
Era quasi mezzanotte e stavano ancora parlando, rigorosamente a bassa voce per non insospettire Flor che era già andata a dormire da un pezzo, quando dal piano di sotto sentirono la porta dell’ingresso aprirsi: il signor Blake era tornato a casa.
 
Dylan si irrigidì all’istante e il cambiamento non sfuggì ad Aurora.
“Vai a parlargli” lo spronò la ragazza.
“No” rispose all’istante Dylan quasi digrignando i denti. “Se voleva parlare poteva degnarsi di venire a cena invece di far finta di dover stare in ufficio fino a tardi”
“Magari era così, non puoi saperlo” insistette l’angelo.
“Non mi interessa” ribattè testardo il ragazzo. “Se vuole parlare sa dove trovarmi”
 
Di certo non si sarebbe mai aspettato di sentire qualcuno bussare piano alla sua porta solo pochi minuti dopo.
 
Aurora sorrise come se la sapesse lunga e si alzò dal letto indietreggiando fino alla finestra in modo da non stare in mezzo.
Dylan seguì i suoi movimenti con uno sguardo quasi terrorizzato.
La ragazza lo notò e si riavvicinò al suo protetto a stringergli la mano.
“Non mi vedrai ma non vado da nessuna parte. Sono qui come sempre: in silenzio, tre passi indietro come un’ombra” lo tranquillizzò per poi diventare invisibile nello stesso momento in cui il signor Blake bussava di nuovo chiamando piano il nome del figlio.
Evidentemente vedendo la luce passare da sotto la porta aveva immaginato che fosse ancora sveglio.
Dylan sospirò passandosi una mano tra i capelli: “Avanti”
 
La maniglia della porta si abbassò scricchiolando e pochi istanti dopo Mason Blake fece il suo ingresso nella stanza.
Si era tolto giacca e cravatta e la camicia era fuori dai pantaloni, i primi bottoni slacciati e le maniche arrotolate sugli avambracci.
Sembrava davvero stanco.
 
Fece qualche passo incerto entrando definitivamente nel territorio del figlio accostando la porta e si fermò quando registrò fino in fondo quello che si trovò davanti agli occhi.
Tutti i disegni, gli schizzi, i bozzetti e i progetti che Dylan aveva fatto vedere ad Aurora erano ancora sparpagliati sulla scrivania e sul letto. Un paio erano addirittura finiti sul pavimento.
Il signor Blake si avvicinò in modo da poterli osservare da vicino, chinandosi a sfiorare qualcuno di quelli appoggiati sul letto con la punta delle dita.
 
“Li hai fatti tutti tu?” chiese.
Dylan annuì in risposta senza ancora aprire bocca.
“Sei bravo” commentò ancora il padre continuando ad osservare come incantato i lavori del figlio.
Alla fine sospirò pesantemente e si girò in modo da fronteggiare Dylan che per fare qualcosa nel frattempo si era alzato in piedi.
 
“Credo che a questo punto non ci sia più bisogno di parlare di questa” disse sventolando dei fogli che aveva tenuto in mano fino a quel momento a cui il ragazzo non aveva fatto caso.
Gli bastò comunque un’occhiata per riconoscerli: erano la sua lettera d’ammissione per il college.
 
Il respiro quasi gli mancò: non voleva sapere cosa suo padre voleva fare con quei fogli.
Probabilmente se avessero avuto un camino li avrebbe usati per accendere il fuoco, poco ma sicuro.
 
Sentì la mano di qualcuno che gli si appoggiava sulla schiena e quel tocco ebbe la capacità di calmarlo all’istante.
“Non puoi saperlo…” si sentì bisbigliare all’orecchio, talmente piano che forse se l’era solo immaginato.
Alla fine deglutì e alzò lo sguardo a fissare negli occhi suo padre che ancora non aveva aggiunto altro.
 
 
“Mi dispiace per quello che ho detto ieri sera, non avrei dovuto, non è così che dovrebbe comportarsi un genitore” cominciò il signor Blake facendo sgranare dalla stupore gli occhi del figlio.
“Mi dispiace per essere stato così poco presente in questi anni e per non aver saputo capire quali erano davvero i tuoi interessi” continuò.
“In ufficio ho letto la lettera e i docenti che hanno esaminato i lavori che hai mandato dicono che sono molto buoni e che hai mano… e direi che non posso che essere d’accordo con loro” disse indicando con la mano libera i vari disegni sparpagliati per la stanza.
“Questo è senza dubbio quello che vuoi fare e a quanto pare sei anche piuttosto bravo, abbastanza da meritarti una borsa di studio parziale…” proseguì anticipandogli quello che evidentemente c’era scritto nella lettera.
 
Una borsa di studio…
 
 
Alla fine lo sguardo gli cadde sull’orario segnato dalla sveglia del figlio.
“Ormai è tardi, ma domani quando torni da scuola ne parliamo meglio, ok? Vai a dormire adesso” stabilì porgendo a Dylan i fogli della lettera e accennando addirittura un sorriso quando il figlio li prese con la mano che gli tremava quasi non credesse che quello stesse realmente accadendo.
“Buonanotte” gli augurò poi girando sui tacchi per lasciare la stanza.
 
Aveva appena appoggiato la mano sulla maniglia della porta quando si sentì richiamare.
“Papà?”
Il signor Blake si girò a guardare il figlio non aspettandosi di certo che quello lasciasse cadere i fogli della lettera per poi andargli incontro e abbracciarlo come non accadeva da tanto –troppo- tempo.
“Grazie” sussurrò Dylan, la voce rotta, gli occhi serrati per cercare di fermare le lacrime che minacciavano di scendere.
Dopo un primo istante il signor Blake si riscosse e restituì l’abbraccio con altrettanta forza.
 
Erano anni che padre e figlio non si abbracciavano così.
 
Alla fine i due si separarono e dopo aver augurato di nuovo la buona notte al figlio il signor Blake lasciò definitivamente la stanza.
Dylan aspetto di sentire la porta della camera da letto del padre che si chiudeva prima di chiudere a chiave la sua.
 
Si girò lentamente e Aurora era di nuovo davanti a lui che gli sorrideva soddisfatta.
 
Non riuscì a resistere e in pochi secondi stava abbracciando anche lei, questa volta senza curarsi di trattenere le lacrime.
Non si vergognava a farsi vedere così, non da lei.
 
Non ci fu bisogno di dire nulla.
 
 
Quando si fu calmato Aurora lo costrinse ad andare in bagno a farsi una doccia, nonostante fosse già tardi, e a mettersi in pigiama, e quando tornò in camera Dylan trovò che nel frattempo la ragazza aveva rimesso a posto tutti i disegni liberando il letto.
Aveva persino dato una parvenza di ordine alla scrivania e i fogli della lettera di ammissione al college facevano la loro bella figura sul ripiano adesso decisamente più libero del mobile.
 
“Puoi restare?” le chiese guardandosi i piedi per l’imbarazzo.
“Non vado da nessuna parte” fu la risposta di Aurora che sotto lo sguardo sbalordito del ragazzo cambiò la sua felpa e i jeans in un pigiama blu notte decorato con un motivo a stelline giallo ocra.
“Altro super potere da angelo?” domandò Dylan impressionato.
“Ovvio” rispose la ragazza facendolo ridere per il modo in cui l’aveva detto. “Adesso però basta, a nanna… che domani la scuola ti aspetta” aggiunse poi.
 
Mezz’ora dopo Dylan stava dormendo abbracciato ad Aurora proprio come si era addormentato la notte prima.
 
 
Dal canto suo l’angelo si era perso a riflettere su come fossero cambiare le cose in così poco tempo.
E sapeva che qualsiasi cosa avesse fatto da quel momento in poi non avrebbe di certo rispettato le norme del Regolamento, ma una parte di lei non poteva impedirsi di pensare che se quello la faceva sentire così bene come non si era mai sentita, forse non poteva essere così sbagliato.
 
Sapeva che affezionarsi a quel modo ad un protetto era tutto tranne che consigliato e che sarebbero stati problemi quando le sarebbe stato assegnato qualcun altro da seguire, ma alla domanda lo rifarei? la risposta era irrimediabilmente una sola:
 
sì, lo rifarei.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4. Guaio ***


4.Guaio
 
 
 
Le settimane seguenti passarono veloci, tanto che sarebbe stato difficile dire chi dei due fosse più sorpreso del fatto che giugno fosse già arrivato.
Dylan, al quale sembrava che la vita non gli fosse mai andata così bene, o Aurora, che quando si fermava a pensarci era ancora incredula che il ragazzo fosse ancora il suo protetto.
 
 
 
Aurora aveva sempre reputato di avere un’indole piuttosto ribelle e impulsiva, si sarebbe forse definita anche coraggiosa in qualche occasione, ma di certo non in quella.
Quando un Angelo Custode segue il proprio protetto di norma non può intrattenersi con altri angeli, come non è bene che un angelo entri in contatto con un altro mentre quest’ultimo è impegnato con il suo protetto.
Non avrebbe mai immaginato che avrebbe funzionato così bene, ma dopo quella famosa giornata in cui Aurora aveva rivelato la sua vera natura a Dylan l’angelo non era più tornata alla sua stanza all’accademia per un mese, trasferendosi quasi in pianta stabile nella camera del ragazzo.
 
Si era sentita tremendamente in colpa, ma la paura di quello che Dave e il Consiglio avrebbero potuto dirle, o farle, aveva prevalso: stare praticamente tutto il tempo con Dylan era l’unico modo per evitare in modo efficacie qualunque tipo di incontro sgradito, e aveva funzionato.
 
Consapevole del fatto che però non sarebbe potuta andare avanti così per sempre una sera aveva raccolto tutto il suo coraggio, che in quel momento non era poi così tanto, e dopo aver dato un bacio in fronte a Dylan che stava dormendo ignaro di tutto si era smaterializzata ed era tornata a quella che lei aveva sempre chiamato casa da quando aveva memoria.
 
 
La lavata di capo che le aveva fatto Dave, arrivato più o meno trenta secondi dopo che lei aveva rimesso piede nella sua stanza, era stata epica.
Letteralmente.
Una lunga ode alla sua irresponsabilità e improvvisa non curanza nei confronti delle regole, su quanto fosse stato sconsiderato da parte sua comportarsi a quel modo, su come l’avesse deluso con la sua condotta dopo tutti gli anni che aveva passato ad addestrarla e bla, bla, bla, perché poi Aurora aveva smesso di ascoltare disconnettendo le orecchie dal cervello.
Nonostante non si fosse mai vergognata così tanto di se stessa era ancora convinta che tornando indietro avrebbe rifatto tutto senza esitare e senza pentirsene.
 
Quando Dave aveva finalmente terminato la sua ramanzina era tutto arrossato e aveva il fiatone manco avesse appena finito di correre una maratona.
Aurora aveva ritenuto opportuno evitare di farglielo notare per non doversi sorbire un altro discorso colmo di rimproveri e si era limitata a esibire la sua espressione dispiaciuta e pentita più convincente.
 
Non aveva avuto il coraggio di chiedere cosa il Consiglio avesse in serbo per lei.
Non dovette comunque aspettare molto per saperlo.
 
Dopo un’ora abbondante, trascorsa a raccontare per filo e per segno a Dave come aveva trascorso quelle settimane con Dylan, l’aria nella stanza aveva tremolato lasciando alla fine apparire lo stesso funzionario del Consiglio con cui aveva avuto a che fare l’ultima volta.
 
Di nuovo la ragazza si ritrovò a pensare che il Consiglio le avrebbe tolto la custodia di Dylan, di nuovo la sentenza comunicatole dal funzionario le dimostrò di essersi sbagliata.
 
Superata la sorpresa iniziale Aurora si era affrettata a trattenere il funzionario prima che si volatilizzasse: non poteva credere di essersela cavata di nuovo per un’eccezione del Regolamento come le era stato detto nell’altra occasione, e lei voleva delle risposte.
Il funzionario le aveva allora spiegato che il Consiglio aveva esaminato attentamente il caso di Dylan e dopo aver considerato vari aspetti di cui lei, in quanto Angelo Custode del ragazzo, non doveva venire a conoscenza per limitare il rischio di interferenze nella vita del ragazzo, era giunto alla conclusione che il suo modo di agire non sarebbe stato da condannare in quanto, alla fine dei conti, aveva raggiunto l’obiettivo a cui ogni Angelo Custode avrebbe dovuto puntare: la felicità del proprio protetto.
Nonostante un rapporto così stretto tra angelo e protetto fosse sconsigliato (per non dire proibito) la situazione di Dylan era così particolare che il Consiglio le aveva dato il permesso ufficiale di poter continuare a frequentare il ragazzo come aveva fatto nell’ultimo periodo.
Per il momento quello era tutto ciò che doveva sapere, avrebbe eventualmente ricevuto alte informazioni più avanti.
 
Quando alla fine disse a Dylan che nonostante tutto non era nei guai e che era ancora il suo Angelo Custode il ragazzo insistette così tanto per festeggiare che riuscì addirittura a convincerla ad assaggiare la pizza –che per la cronaca era davvero buona come le aveva detto.
 
L’inquietudine che le era rimasta addosso dopo il colloquio con il funzionario, come se avesse avuto la sensazione che non fosse stato del tutto sincero con lei nascondendole qualcosa di importante di cui invece sarebbe dovuta essere al corrente, aveva avuto vita breve: era ancora con Dylan e quella era l’unica cosa importante.
 
Avrebbe forse dovuto capire in che guaio si stava cacciando quando la sua mente aveva formulato quel pensiero.
 
 
 
***
 
 
 
Dylan non ricordava di essere mai stato così felice in vita sua.
Aveva finalmente recuperato il rapporto con suo padre e il college –rigorosamente architettura- ormai aspettava soltanto che si diplomasse per poterlo accogliere tra le nuove matricole.
 
E nonostante Aurora continuasse a ripetergli che quello era tutto merito suo e che lei non aveva fatto niente, Dylan era invece pienamente convinto che senza di lei non ce l’avrebbe mai fatta.
Forse era vero che materialmente la ragazza non aveva fatto nulla, ma il sostegno che gli aveva mostrato in quelle settimane per lui era tutto –e forse qualcosina in più- e non poteva che essergliene grato.
 
Quando l’angelo gli aveva confessato che alla fine si era decisa a lasciarlo un attimo per andare a sentire quale sarebbe stato il suo destino c’era stato un attimo in cui aveva smesso di respirare.
Mai era stato più sollevato di quando Aurora gli aveva annunciato che superando le sue più rosee aspettative il Consiglio le aveva addirittura dato il permesso di continuare a interagire con lui.
 
Quella sera, sfruttando il fatto che fosse la giornata libera di Flor e che suo padre sarebbe davvero dovuto rimanere in ufficio fino a tardi, non aveva voluto sentire ragioni e aveva ordinato due pizze: una per lui e una per Aurora.
Dovevano assolutamente festeggiare.
Per un qualche miracolo che a lui non era dato comprendere era ancora con Aurora e quella era l’unica cosa importante.
 
Pensare una cosa del genere sarebbe forse dovuto essere un indizio del guaio in cui si stava cacciando.
 
 
 
~ ~ ~
 
 
 
Alla fine anche gli esami arrivarono e passarono, Dylan si diplomò con una media niente male che gli avrebbe consentito di arricchire ulteriormente la borsa di studio che gli era già stata offerta; sua madre non si era neanche fatta vedere dopo che lui stesso, rispondendo a una delle sue chiamate, le aveva detto chiaro e tondo che avrebbe fatto architettura e che di medicina non gliene sarebbe potuto importare di meno, ed entrambi i ragazzi non potevano essere più soddisfatti dell’equilibrio che si era instaurato tra loro.
 
Qualcuno però avrebbe detto che gli equilibri sono fatti per essere infranti.
 
 
 
“Perché no? Sono sicuro che non succederebbe niente. Molto probabilmente saranno tutti troppo ubriachi anche solo per ricordarselo”
“Questa non è comunque una valida ragione, Dylan”
 
Era ormai un quarto d’ora che Aurora e Dylan stavano discutendo: come ogni anno era stata organizzata una festa per i ragazzi che si erano diplomati, e Dylan stava cercando di convincere la ragazza ad andarci con lui.
Inutile dire che Aurora aveva subito bocciato la proposta: solo perché il Consiglio le aveva concesso di poter continuare a farsi vedere da Dylan non voleva dire che adesso poteva andare in giro visibile a chiunque.
 
Dopo un’altra decina di minuti di discussione e diversi messaggi da parte di Alan e i ragazzi che intimavano a Dylan di scendere perché lo stavano aspettando in macchina davanti a casa già da un pezzo, Aurora lo chiuse letteralmente fuori dicendo che quella era la sua festa, la sua serata, e che lei sarebbe stata ad aspettarlo quando sarebbe tornato.
Per una sera se la poteva cavare benissimo senza che ci fosse lei a fargli da baby-sitter.
Il suo ultimo saluto fu: “Per favore, questa volta non ubriacarti anche tu” prima di chiudergli la porta di casa alla spalle lasciandolo nelle grinfie dei suoi amici che ancora sbuffavano per il suo ritardo.
 
Era rimasto imbronciato per tutto il tragitto, deluso che Aurora non avesse voluto sentire ragioni e fosse rimasta a casa.
Come aveva detto lei era la sua serata: era quindi così strano che la volesse lì con lui?
 
 
La musica a palla perfettamente udibile già dall’esterno del locale lo distolse dai suoi pensieri fino a che anche solo pensare gli sarebbe stato quasi impossibile.
All’interno la musica del dj ingaggiato per la serata sovrastava qualsiasi altro suono e l’odore dell’alcol si mescolava a quello del sudore dei corpi che si muovevano –più o meno- a ritmo di musica creando un effetto quasi ipnotizzante.
 
Aurora era voluta rimanere a casa?
Molto bene, allora non avrebbe potuto lamentarsi del suo comportamento.
 
Fu Dylan ad offrire il primo giro.
 
 
La sua mente cominciava ad essere discretamente annebbiata, anche se comunque non aveva bevuto tanto quanto avrebbe voluto (chissà perché ma proprio non ci era riuscito), e fu forse per quello che non oppose resistenza quando una ragazza mora gli passò accanto agguantandolo per un braccio e trascinandolo in direzione dei bagni dove pareva esserci un po’ meno ressa.
 
Non ebbe neppure il tempo di capire cosa stesse succedendo che la ragazza lo aveva spinto contro il muro per poi avventarsi letteralmente sulle sue labbra.
 
Non era la prima volta che stava con qualcuna mentre era ubriaco, ma in qualche modo il viso di Aurora riuscì a farsi strada nella sua mente proprio in quel momento con un tempismo impeccabile dandogli lucidità sufficiente per scrollarsi la ragazza di dosso.
Quasi gli cadde la mascella dallo stupore quando la mise finalmente a fuoco.
 
“Vanessa?!” esclamò incredulo alla ragazza di fronte a lui che nel frattempo si stava riaggiustando il rossetto decisamente esagerato, sbavato dopo il bacio.
“Si può sapere cosa pensavi di fare?” domandò.
Quella scrollò le spalle quasi con noncuranza: “Sembravi così solo… e disperato… pensavo che qualche bacio in ricordo dei vecchi tempi ti avrebbe tirato su il morale” rispose lei.
 
Brutta oca superficiale.
Il modo in cui Aurora l’aveva ribattezzata qualche settimana addietro fu la prima cosa che gli venne in mente.
“Non ci tengo proprio a ricordare i vecchi tempi. Grazie al cielo non stiamo più insieme…” commentò lui abbastanza acidamente.
 
Di colpo l’unica cosa che voleva era tornare a casa.
Da Aurora, ma quello non l’avrebbe mai ammesso.
 
“Ecco, a proposito di questo…” lo bloccò Vanessa prima che riuscisse a svignarsela appoggiandogli una mano sul petto e riavvicinandosi pericolosamente.
“Sono stata davvero una stupida, ho fatto l’errore più grande della mia vita… non sai quanto mi dispiace per quello che è successo. Ma tu eri ubriaco, io ero ubriaca e Jackson pure, non sai quanto mi sono pentita di averlo fatto. Non sono mai stata così bene come sono stata con te, se solo volessi darci un’altra possibilità…”
Mentre parlava l’aveva di nuovo spinto contro il muro protendendosi verso di lui, ad ogni parola il suo viso si avvicinava sempre di più finchè anche le loro labbra non furono di nuovo sul punto di toccarsi.
 
“Quale parte di non ci tengo a ricordare i vecchi tempi non ti è chiara?” esclamò all’ultimo Dylan riscuotendosi e spingendola indietro.
“Tornatene pure da Jackson o dal poveretto di turno, Vanessa” le disse voltandole le spalle e cominciando a farsi largo tra la folla per raggiungere l’uscita del locale.
Una volta fuori rabbrividì all’aria fresca della notte e mandò un messaggio ad Alan avvisandolo che lui era già andato via mentre aspettava che il taxi che lo avrebbe riportato a casa arrivasse.
 
 
 
 
“Sembri distrutto, ti senti bene?” domandò Aurora sedendosi sul bordo del letto.
Dylan aveva cercato di fare il più piano possibile rientrando in casa visto che tutti erano già a dormire, ma una volta arrivato in camera si era buttato di pancia sul letto senza troppi complimenti desiderando sprofondare, quasi senza notare lo sguardo preoccupato che Aurora gli aveva riservato dalla sua posizione dalla sedia della scrivania.
 
“La festa era uno schifo” la sua voce uscì soffocata dal cuscino.
“Non ti sei divertito con i tuoi amici?” chiese l’angelo.
Dylan fece una risata forzata: “Ethan e Alan erano con le loro ragazze mentre Luke e Matthew hanno bevuto abbastanza per andare a cercare di rimorchiare qualcuna. Evidentemente io era troppo sobrio per divertirmi”.
 
“C’era Vanessa” aggiunse dopo un lungo attimo di silenzio.
La mancanza di risposta da parte di Aurora lo costrinse a cambiare posizione in modo da poterla guardare.
Non gli sembrava che avesse un’espressione diversa dal solito, forse poteva essere giusto vagamente incuriosita.
“Mi ha preso in disparte e mi è saltata addosso” continuò lui alla fine, mettendoci forse più foga di quanto avesse voluto.
 
Perché Aurora continuava a non dire niente?
Ma soprattutto: perché lui si aspettava che dicesse qualcosa?
 
“Ha detto che era in ricordo dei vecchi tempi, che era dispiaciuta per quello che aveva fatto e che voleva provare a tornare insieme” concluse tutto d’un fiato tirandosi su a sedere in modo da trovarsi faccia a faccia con l’angelo, che ancora ostentava un’espressione impassibile.
“Pensi che abbia fatto male a dirle di no?” le domandò alla fine.
 
Aurora alzò un sopracciglio: “Le hai detto di no?”
Dylan ricambiò lo sguardo, stupito: “Dopo quello che è successo non ci tengo proprio a rimettermi con lei… e poi pensavo che non ti piacesse”
“Mica sono io che ci devo uscire, è a te che deve piacere, Dylan” commentò la ragazza alzando gli occhi al cielo.
“Quindi secondo te avrei dovuto accettare la sua… proposta?” questa sì che era bella.
“Se siete stati insieme per un anno un motivo ci sarà, no? Se davvero eri innamorato di lei forse avresti potuto fare un altro tentativo”
 
Dylan non sapeva più cosa pensare.
Parlando con lei aveva subito capito quanto Aurora avesse all’epoca disapprovato la sua scelta di frequentare Vanessa, e gli aveva fatto capire in modo neanche tanto sottile che, alla fine dei conti, lasciarla era stata la cosa giusta da fare.
Com’è che aveva cambiato idea così di colpo?
 
In ogni caso non poteva comunque tralasciare il fatto che già da un po’ di tempo a quella parte, se Vanessa gli si fosse presentata con la sua proposta, la sua risposta sarebbe comunque stata quella che le aveva dato quella sera: no.
 
Dylan scosse la testa ponendo fine alle sue riflessioni: “Non credo che avrei mai potuto rispondere di sì a Vanessa, non più” cominciò.
“E perché no?”
“Ecco… diciamo che al momento sono interessato ad un’altra…” confessò arrossendo imbarazzato.
Sarebbe dovuto rimanere zitto.
 
Alla sua affermazione Aurora raddrizzò la schiena: un’altra ragazza?
Passava ormai quasi tutti il suo tempo con Dylan e non si era accorta che fosse interessato a qualcuna…
Che stesse cominciando a perdere colpi?
 
“Oh… E com’è questa nuova fiamma?” domandò interessata.
Se voleva dargli qualche dritta, da bravo Angelo Custode, avrebbe dovuto farsi raccontare qualcosa.
 
Se pensava che la prima volta che Dylan aveva dato un bacio ad una ragazza era stato perché lei lo aveva spinto perché il ragazzo era troppo imbarazzato per fare qualsiasi cosa ancora le veniva da sorridere.
 
Il ragazzo sembrò colto alla sprovvista dalla domanda.
“Ehm… è molto carina…” balbettò impacciato.
 
“Anzi, no. Credo sia davvero una delle ragazze più belle che io abbia mai conosciuto. Lei è… bellissima pur restando genuina e semplice. È splendida con jeans e maglietta e senza un filo di trucco, non penso che il suo aspetto le interessi più di tanto” proseguì acquistando sicurezza.
Se proprio doveva scavarsi la fossa da solo che almeno facesse un lavoro come si deve.
                                      
“E poi mi sa ascoltare come nessuno ha mai fatto e riesce a capirmi. E quando sono con lei mi fa sentire come se anch’io fossi davvero importate e si vede che tiene da conto quello che dico e cosa penso e…” dovette interrompersi per riprendere fiato.
“… e io credo davvero di essermi innamorato di lei” concluse abbassando lo sguardo.
 
 
Quella dichiarazione spiazzò Aurora, ma d’altronde sarebbe dovuta essere felice per Dylan, o no?
 
“Sono davvero contenta per te, Dylan” disse alla fine. “E se questa ragazza è davvero come dici sono sicura che tra voi andrà a gonfie vele. Però se devo essere sincera mi hai davvero colto di sorpresa” aggiunse. “Dove l’hai conosciuta?”
“Mmm… a scuola, ci siamo conosciuti a scuola…” sugli spalti del campo da calcio…
“Ah, beh, quindi è da un po’ che vi conoscete…”
“Qualche mese, sì”
“E ancora non le hai chiesto di uscire? Ti facevo più temerario, sai?” lo prese in giro Aurora.
“In realtà l’ho fatto” la corresse lui prima di rendersi conto che, di nuovo, avrebbe fatto meglio a rimanere zitto.
Ormai però Aurora lo stava guardando aspettando che proseguisse.
 
“L’avevo invitata alla festa di stasera ma non è voluta venire” disse sospirando.
“Oh…”
“Già”
 
“Mi sa che ti toccherà farmela vedere, perché sai che non ho proprio la più pallida idea di chi possa essere?” riprese la parola Aurora dopo un attimo di riflessione: era piuttosto certa che Dylan non avesse chiesto proprio a nessuno di andare alla festa con lui.
“La conosco?” domandò.
“Ehm, sì, la conosci”
 
No, avrebbe dovuto rispondere di no!
 
“Davvero?” adesso sì che era sorpresa. E curiosa. E forse anche un po’… delusa?
Dylan fece un profondo sospiro.
Tanto prima o poi Aurora lo sarebbe venuta a sapere comunque, che senso aveva rimandare?
 
“La conosci, sì” ripetè. “E in questo momento è…”
Si bloccò all’ultimo, le parole incastrate in gola.
“In questo momento è?” lo incitò Aurora protendendosi inconsapevolmente verso di lui.
 
Erano entrambi seduti sul letto, a gambe incrociate l’uno di fronte all’altra.
Dylan non avrebbe saputo dire cosa gli fosse preso in quel momento, ma qualsiasi cosa fosse gli diede abbastanza forza per protendere ancora di più il suo busto verso la ragazza, prenderle il viso tra le mani e baciarla.
 
 
 
Aurora si pietrificò all’istante.
Non era così che dovevano andare le cose.
Che lei si fosse presa una sbandata pazzesca per il suo protetto era un conto, poteva sopportarlo, ma che Dylan si fosse innamorato di lei non andava affatto bene.
Non era così che sarebbe dovuto essere, non era così che…
 
L’angelo mandò al diavolo i suoi ragionamenti rendendosi conto che Dylan si era rapidamente staccato da lei per poi alzarsi dal letto con la chiara intenzione di lasciare la stanza: aveva ovviamente frainteso la sua reazione.
Le mani che gli tremavano gli stavano dando però qualche problema con la chiave della porta –quando erano insieme la chiudeva sempre a doppia mandata per evitare che qualcuno entrasse per sbaglio senza bussare.
 
“Dylan…” lo richiamò andandogli dietro.
Intanto il ragazzo era riuscito a centrare la serratura.
“Dylan, aspetta” ripetè appoggiandogli una mano sulla spalla.
A quel contatto il ragazzo si girò bruscamente, quasi si fosse scottato, scrollandosela di dosso.
Aurora sentì una fitta al petto nel notare gli occhi oltremodo lucidi del suo protetto.
“Non importa” la precedette Dylan prima che potesse aprire di nuovo bocca. “Fai… fai finta che non abbia mai fatto niente, ok? Ti prego…” disse inspirando rumorosamente cercando di ricacciare indietro le lacrime.
 
“Dyl…”
“No, sono stato uno stupido, io… non so cosa mi sia preso… ti prego non…”
A quel punto Aurora decise che aveva già detto abbastanza stupidaggini e si affrettò a zittirlo.
 
Dylan spalancò gli occhi dalla sorpresa, una lacrima che gli rigava la guancia, quando Aurora si alzò sulle punte per riprendere il bacio da dove si erano interrotti.
 
“Quante volte ti ho detto che devi lasciar parlare le persone per sentire quello che hanno da dire prima di giungere a conclusioni affrettate e, tra l’altro, completamente sbagliate?” lo rimproverò bonariamente Aurora quado si separarono asciugando la scia salata sul viso del ragazzo e sorridendo come mai aveva fatto.
 
Non le importava se lei era un Angelo Custode e quello il suo protetto.
Non le importava se aveva per l’ennesima volta infranto il Regolamento.
In quel momento non le importava nemmeno se dopo quello il Consiglio non le avrebbe più assegnato alcun protetto.
Il ragazzo che aveva davanti era l’unica cosa che contava, e forse la sua non era solo una sbandata pazzesca, forse era andata proprio fuori strada, e da un bel po’…
Forse anche lei si era innamorata…
 
 
 
Da parte sua Dylan non sarebbe stato in grado di descrivere quello che aveva provato quando Aurora l’aveva baciato.
Sorpresa, confusione, sollievo e felicità.
Felicità pura.
 
Arrossì imbarazzato al finto rimprovero della ragazza, pur senza smettere di sorridere come un ebete.
Diede per scontato che quella dell’angelo fosse una domanda retorica che non necessitava di alcuna risposta perché l’istate successivo entrambe le loro bocche erano di nuovo impegnate ad assaggiarsi a vicenda, decisamente incapaci di articolare una qualsiasi frase di senso compiuto.
 
Nel giro di pochi istanti la ragazza si era trovata schiacciata tra il materasso del letto e il corpo di Dylan, ma sarebbe stata la più grande delle bugiarde se avesse detto che quella posizione le dispiaceva.
 
 
“Dovresti dormire” sussurrò Aurora sfruttando un attimo in cui si erano staccati per riprendere fiato.
Entrambi stavano ansimando, le guance arrossate e le labbra gonfie.
Dylan si lasciò cadere al suo fianco facendo bene attenzione a continuare a tenerla tra le braccia, i loro visi così vicini che sarebbe bastato un niente per far riunire le loro labbra.
 
“Quindi sono sveglio, non è un sogno” disse Dylan di rimando facendo sorridere Aurora.
Se pensava che all’inizio aveva davvero cercato di fargli credere di essersi sognato tutto…
 
“No, non è un sogno” confermò alla fine l’angelo sempre sorridendo, ma a Dylan non sfuggì l’ombra che gli era passata sullo sguardo.
“Va tutto bene?” le domandò.
 
Sarebbe stato tutto bene se lei fosse stata una ragazza normale e non una creatura sovrannaturale di cui la maggior parte delle persone ignorava l’esistenza.
Sarebbe stato tutto bene se avesse potuto camminare tranquillamente per strada, ben visibile a tutti, senza doversi preoccupare di non infrangere uno stramaledetto Regolamento.
No che non andava tutto bene.
 
, tutto bene” rispose sorridendo e stringendosi ancora un po’ di più a Dylan.
“Però c’è un ma, vero?”
Beh, Dylan non era stupido, l’aveva sempre detto lei.
“Devo parlare di questa cosa con una persona” confessò Aurora. “Devo dirgli di noi prima che il Consiglio lo venga a sapere, e fidati che lo farà, presto”
Il ragazzo annuì: “E devi andare adesso, giusto?”
“Sì”
“Puoi… puoi aspettare che mi addormenti?”
 
Aurora non disse niente ma in compenso si sistemò meglio in modo da poter continuare a restare abbracciati pur stando comodi: ormai era così che si addormentavano praticamente ogni sera.
“Buona notte allora” gli augurò lei.
“Buona notte” replicò lui, muovendo poi la testa in modo da poter finalmente dare ad Aurora un bacio della buonanotte degno di essere chiamato tale.
Da quanto voleva farlo…
 
 
 
Quando finalmente il respiro di Dylan si fu regolarizzato, segno che si era addormentato, Aurora sciolse a malincuore l’abbraccio alzandosi dal letto.
 
Si materializzò direttamente nel corridoio fuori dall’alloggio di Dave, bussando decisa sulla porta ben consapevole di che ora fosse.
Il suo vecchio insegnante non la fece aspettare molto prima di venire ad aprire.
La porta si spalancò lasciando spazio alla sua figura ingombrante.
Anche se a dirla tutta con i capelli spettinati, il pigiama e una mano che si stropicciava gli occhi mentre sbadigliava sembrava meno minaccioso del solito.
 
“Aurora?” la salutò palesemente sorpreso dalla sua presenza lì. “Cosa ci fai qui a quest’ora? È successo qualcosa?” dritto al punto, la ragazza se lo aspettava.
Annuì, di colpo a corto di parole.
Sapeva che Dave era sicuramente la persona più adatta a cui parlare della cosa, ma questo non serviva a renderla meno insicura.
“Posso entrare? Dovrei… devo parlarti”
Dave non commentò e si fece da parte per farla passare.
 
Essendo un Angelo Custode con una certa anzianità –nonostante non dimostrasse più di una quarantina d’anni- il suo alloggio non era costituito da una sola camera come quello di Aurora e degli angeli più giovani, ma poteva essere considerato un vero e proprio appartamentino. Piccolo ma confortevole.
 
La ragazza si sedette sul divano presente nella stanza che fungeva da ingresso, salotto e cucina (non che gli servisse veramente) tutto insieme.
 
“Cosa? Tu e Dylan avete litigato?” la prese in giro piazzandosi davanti a lei.
“Peggio” replicò Aurora con voce da funerale alzando lo sguardo su di lui.
Dave alzò un sopracciglio divertito: “Peggio?”
Aurora assentì col capo sospirando rumorosamente: non aveva senso girarci intorno.
“Ci siamo baciati” confessò tutto d’un fiato, riabbassando la testa pronta a ricevere qualsiasi rimprovero Dave le avrebbe riversato addosso.
Contrariamente a quanto si aspettava la sua affermazione fu seguita da un pesante silenzio.
 
Riportò la sua attenzione al suo mentore stupendosi delle emozioni che poteva leggere sul suo viso, che non erano quelle che si aspettava.
Non sembrava minimamente arrabbiato o deluso.
Tutt’altro.
La sua espressione era seria e concentrata e… preoccupata?
Cercando nella sua memoria davvero non ricordava di averlo mai visto così, e ovviamente la cosa non la tranquillizzò affatto.
A quel punto avrebbe preferito se si fosse messo ad urlarle contro.
 
“E immagino che tu ricambi, non è così?” le domandò alla fine.
“Sì” sussurrò lei in risposta.
 
In un istante Dave sostituì il pigiama con dei vestiti presentabili.
“Dobbiamo andare al Consiglio. Ora” affermò porgendole il braccio in modo che lei lo prendesse per potersi smaterializzare insieme.
Aurora lo guardò interrogativa.
“Io l’avevo detto che dovevano dirtelo subito, ma non mi hanno voluto ascoltare. Direi che adesso non si può più rimandare” spiegò.
 
“C’è una cosa che devi sapere”














Salve!
Lo so che anche le (poche) persone che la seguivano si saranno ormai dimenticate di questa storia, ma avevo promesso che non sarebbe rimasta incompiuta, quindi eccomi qua.
A mia discolpa posso dire che sono stata impegnata con un altra storia (più i classici studio-esami-lezioni-tirocinio...) e quindi questa era passata momentaneamente in secondo piano.
Se i calcoli sono esatti dovrebbero esserci ancora due capitoli, quindi ancora due settimane e poi sarà definitivamente conclusa.
Grazie come sempre a chi legge
E.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5. Ali ***


5. Ali
 
 
 
Aurora correva.
Correva veloce come probabilmente non aveva mai fatto cercando di mettere la maggiore distanza possibile tra lei e la sala dove il Consiglio si era riunito.
Alle sue spalle Dave la seguiva cercando di indurla a fermarsi, senza successo.
All’ennesima svolta del corridoio –non sapeva nemmeno dove stava andando vista la scarsa attenzione che aveva prestato durante il viaggio di andata- si fermò appoggiandosi al muro per riprendere fiato.
“Aurora, aspetta!” sentì Dave che la chiamava, i suoi passi sempre più vicini.
Chiuse gli occhi per concentrarsi e l’attimo successivo era sparita, smaterializzata lontano da tutti e da tutto.
Lontana da quel luogo che era improvvisamente diventato una sua personalissima rappresentazione dell’Inferno.
 
 
Riapparve esattamente di fronte agli spalti del campo da calcio della scuola, proprio dove era simbolicamente iniziata tutta la storia con Dylan.
Prese posto alzando poi lo sguardo ad osservare il cielo scuro appena rischiarato da uno spicchio di luna e da una manciata di stelle.
Quelle ultime parole che l’angelo del Consiglio aveva pronunciato ancora rimbombavano nella sua testa.
 
“Mi dispiace” la voce di Dave la fece sobbalzare: era talmente concentrata nel tentativo di non piangere che non si era nemmeno accorta del suo arrivo.
“Non è colpa tua” rispose Aurora con un filo di voce.
“Avrei dovuto convincere il Consiglio a dirtelo prima, invece” ribattè Dave.
“Prima? Prima che me lo affidassero, prima che mi affezionassi o prima che iniziassi ad innamorarmi di lui?” domandò gelida la ragazza.
Per qualche istante entrambi tacquero, alla fine Dave riprese la parola: “Potresti sempre chiedere che sia qualcun altro a seguirlo…” propose.
Aurora lo guardò come se avesse appena detto qualcosa di assurdo: “Cosa? No! non voglio che venga seguito da un altro angelo, io non…” a quel punto non riuscì più a trattenersi e le lacrime cominciarono a scendere copiose lungo le sue guance.
Aveva lo sguardo perso e impaurito, era come Dave non l’aveva mai vista.
Avrebbe voluto poter fare qualcosa per cercare di consolarla, ma a quanto pareva abbracciarla mentre veniva scossa dai singhiozzi era tutto quello che poteva fare.
“Non voglio che sia solo” sussurrò Aurora contro la sua spalla.
Dave la strinse ancora un po’ di più.
 
 
“Non so come reagirei se dovesse succedere per altro
Questo aveva detto a Dylan quando gli aveva chiesto se le era mai capitato di perdere un protetto per cause che non fossero naturali.
Adesso, invece, avrebbe suo malgrado potuto rispondere: male, avrebbe reagito male.
Stava reagendo male.
Di sicuro non come ci si aspettava che un angelo custode apprendesse la morte prossima del proprio protetto.
 
 
 
FLASHBACK
La grande sala circolare dove gli angeli del Consiglio si radunavano era in un edificio a parte rispetto all’Accademia.
Aurora era entrata in quella stanza una sola volta, in occasione della cerimonia che aveva definitivamente sancito il suo essere un angelo custode.
Come all’epoca anche quella volta la ragazza non aveva potuto fare a meno di sentirsi in soggezione in quell’ambiente austero e solenne, sotto lo sguardo dei membri del Consiglio che la scrutavano dall’alto dei loro scranni quasi volessero leggerle dentro.
Dave era entrato prima di lei annunciando agli angeli la loro presenza. A giudicare dalle loro espressioni più corrucciate rispetto a quanto ricordava Aurora avrebbe potuto ipotizzare che non fossero molto contenti di essere stati disturbati a quell’ora.
 
“Mi rendo conto che questo è un orario quantomeno insolito per chiedere udienza, ma è anche vero che l’attuale situazione necessita la vostra immediata attenzione e non è più possibile rimandare” esordì Dave con tono sicuro.
Aurora lo guardò ammirata: lei al momento aveva paura di posare il suo sguardo anche solo sul pavimento, figuriamoci parlare così apertamente davanti all’intero Consiglio.
“Ci risulta che attualmente lei non stia seguendo nessun protetto, Dave” prese parola uno degli angeli dalla sua posizione al centro del semicerchio in cui erano disposti gli scranni. “Qual è quindi questa questione urgente?”
“Effettivamente la cosa non riguarda me in prima persona. Credo che vi ricordiate di Aurora, la mia ultima alunna” rispose cortesemente Dave.
La ragazza poteva sentire lo sguardo dei presenti puntato su di lei e si costrinse ad alzare il viso per ricambiare.
Si aspettava volti stanchi e scocciati, arrabbiati magari.
E invece no.
Gli angeli sembravano aver già capito come mai fosse lì, e la guardavano gravi, forse addirittura dispiaciuti.
Cosa cavolo stava succedendo?
“Certo che ricordiamo, dopotutto teniamo particolarmente da conto i nostri elementi migliori” commentò l’angelo che aveva parlato prima distogliendo la ragazza dalle sue riflessioni.
Dave annuì: “Glielo avrei detto io, ma da Regolamento comunicazioni di questa natura spettano solo al Consiglio o ai loro funzionari designati” si giustificò mentre Aurora si chiedeva di cosa mai stesse parlando.
 
L’angelo fece un cenno in risposta e si alzò dal suo scranno: “La qui presente Aurora è stata assegnata come angelo custode al mortale Dylan Blake diciotto anni fa, su decisione unanime del consiglio” cominciò. “La sua bravura e competenza, nonché le sue capacità ci hanno fatto ritenere che fosse la persona più giusta per occuparsi del caso. Sapevamo già che i genitori del Protetto si sarebbero separati, è stato deciso di assegnargli un angelo custode per aiutarlo a superare il periodo di depressione maggiore di cui era stato previsto che il ragazzo avrebbe sofferto” proseguì l’angelo.
 
Depressione maggiore?
Certo, c’erano stati periodi in cui Dylan era giù d’umore, ma da lì a parlare di depressione maggiore ce ne voleva eccome…
 
“Inutile dire che siamo rimasti molto più che sopresi e colpiti quando alla fine il Protetto è riuscito a superare tutto senza manifestare nulla di quanto previsto” disse l’angelo manco le avesse letto nel pensiero.
“Ora, per parlare di avvenimenti più recenti… all’inizio di quest’anno Aurora ha sfruttato la sua Manifestazione, fin qui nessuno ha nulla da ridire: ogni angelo custode è libero di scegliere quando Manifestarsi al suo protetto quando lo ritiene più opportuno. Tre mesi dopo però, Aurora si è manifestata una seconda volta. Nonostante il Regolamento specifichi chiaramente che la Manifestazione può essere una e una soltanto in questo caso non abbiamo preso provvedimenti alla luce delle circostanze in cui si è verificato il fatto. Salvaguardare la vita del protetto è uno dei compiti cardine di un angelo custode, per cui anche in questo caso non abbiamo ritenuto necessario nessun ammonimento. Ora, sono convinto che tutti in questa sala, te compresa mia cara, siano consapevoli che invece il comportamento che Aurora ha tenuto negli ultimi mesi vada ben oltre il consentito. Un semplice richiamo non sarebbe certo sufficiente, in altre circostanze una cosa del genere ti sarebbe costata la sospensione dal servizio per qualche anno, lo sai questo?”
L’angelo interruppe il suo discorso rivolgendosi direttamente a lei.
“Ne sono consapevole, sì” rispose la ragazza. “Eppure nonostante tutto mi è stato detto che potevo continuare a… frequentare Dylan. Perché?” domandò prima di riuscire a frenarsi.
L’angelo aprì la bocca e la richiuse, come se stesse cercando le parole migliori per rispondere.
 
“Perché gli angeli custodi non possono farsi vedere e interagire con i loro protetti?” le domandò alla fine cogliendola alla sprovvista.
Non si aspettava di certo una replica dell’esame finale, farlo una volta le era bastato e avanzato.
 
“Rivelarsi al proprio protetto potrebbe sconvolgere la vita dello stesso facendola deviare da quanto dovrebbe invece accadere. L’angelo custode segue il proprio protetto fornendogli aiuto e supporto senza che questo se ne accorga: in silenzio, tre passi indietro come un’ombra. L’angelo custode non può interferire per cercare di cambiare quello che deve succedere” rispose lo stesso diligentemente cercando di ignorare la spiacevole sensazione che aveva cominciato a pervaderla non appena aveva cominciato a parlare.
L’angelo annuì soddisfatto per la correttezza della risposta, la sua espressione non sembrava comunque felice.
 
Ad un certo punto sparì dal suo scranno per apparire di fronte alla ragazza: in quel momento non le sembrava di aver davanti uno dei membri del Consiglio, quanto un nonnetto dall’aria gentile che per qualche motivo sembrava sinceramente dispiaciuto per lei.
“Hai risposto bene alla domanda, vedo che nonostante sia passato diverso tempo la teoria la ricordi ancora bene, non è da tutti” si complimentò.
 
“Per i protetti che non necessitano di essere seguiti per tutta la vita ci assicuriamo di far rispettare questa regola in modo che una volta finito il periodo non vadano in giro a raccontare degli angeli” proseguì mettendole una mano sulla spalla.
“Penso tu possa arrivare a capire da sola come mai ti sia stato consentito di continuare ad interagire con il tuo protetto nonostante tutto” concluse guardandola negli occhi.
 
Ormai la spiacevole sensazione era definitivamente diventata un forte senso di nausea, assolutamente impossibile da ignorare.
 
Era vietato interagire con i protetti perché non si poteva interferire nella loro vita.
Era vietato interagire con i protetti perché non si poteva rischiare che poi quelli andassero in giro a parlare della loro esperienza.
 
A lei era stato concesso di continuare ad interagire con Dylan perché qualsiasi cosa avesse fatto non avrebbe potuto cambiare quello che sarebbe successo.
Qualunque cosa avrebbe fatto Dylan non ci sarebbe stato per raccontarla.
 
“No…” il suo sussurro uscì come un gemito strozzato. “No, no, no…”
“Mi dispiace Aurora” disse l’angelo cercando di mantenere un tono fermo e pacato. “Gli restano due settimane e poi…”
 
Aurora cominciò a correre.
FINE FLASHBACK
 
 
 
 
***
 
 
 
“Stai bene?”
Aurora aprì gli occhi che aveva momentaneamente chiuso ritrovandosi davanti il viso preoccupato di Dylan.
Aveva perso il conto di tutte le aveva fatto quella domanda, e lei ogni volta aveva dato sempre la stessa risposta: “Certo, tutto a posto”.
Anche se avrebbe voluto rispondere esattamente il contrario.
 
Come poteva stare bene dopo quello di cui era venuta a conoscenza?
 
 
Quella notte le ci era voluta un’ora abbondante per calmarsi, smettere di piangere e asciugarsi le lacrime, e un’altra per decidere come si sarebbe dovuta comportare quando sarebbe tornata da Dylan.
Perché sarebbe tornata da lui, su quello non si discuteva.
Dave le aveva ripetuto un numero esageratamente alto di volte che doveva ricordarsi di non lasciarsi sfuggire nulla e lei non aveva neanche risposto perché, andiamo, lei per prima non avrebbe mai avuto il coraggio di dire una cosa del genere a Dylan.
Alla fine era tornata a casa Blake che cominciava ad albeggiare.
Non si era però sdraiata di fianco al ragazzo, preferendo sedersi per terra, la schiena appoggiata alla parete di fianco al letto.
 
Si era addormentata senza neanche rendersene conto.
Quando poi si era risvegliata, distesa sul pavimento, aveva notato con sorpresa che qualcuno le aveva messo un cuscino sotto la testa e l’aveva coperta con un leggero plaid.
Sorrise mentre si immaginava Dylan compiere quei gesti.
 
Dylan.
 
Pensare il suo nome fu sufficiente per far rabbuiare la sua espressione.
 
Quando il ragazzo era tornato in camera –era sceso a fare colazione- l’aveva sottoposta ad un vero e proprio interrogatorio: tutto bene? Com’è andata? Non sei nei guai, vero? Posso continuare a vederti?
A quel punto Aurora aveva spinto ogni pensiero negativo in un angolino della sua mente, aveva sfoderato il migliore dei suoi sorrisi e aveva risposto che sì, era andato tutto bene; no, non era nei guai e sì di nuovo, potevano continuare a vedersi.
L’espressione prima rigida e preoccupata di Dylan si era distesa in una che corrispondeva in pieno alla descrizione di gioia pura, e l’attimo dopo erano entrambi troppo impegnati a baciarsi e a cercare di centrare il letto per non finire per terra per poter parlare di qualsiasi altra cosa.
 
 
Quelle ultime due settimane erano passate semplicemente troppo in fretta, Aurora a volte si ritrovava ancora a piangere senza neanche rendersene conto quando era sola, ma quando era con il ragazzo si mostrava sempre allegra e sorridente com’era sempre stata.
O almeno, cercava di farlo visto che evidentemente ogni tanto qualcosa andava storto e si ritrovava Dylan preoccupato a chiederle se stesse bene.
Allora puntualmente lei recuperava il sorriso e diceva di sì.
 
 
 
Quella mattina, l’ultima di quei quattordici giorni che l’angelo del Consiglio aveva detto fossero rimasti al suo protetto, si era però svegliata con un peso ad opprimerle il petto, e fingere che tutto andasse bene era estremamente difficile, per non dire impossibile.
 
Dylan se n’era accorto subito.
 
“Sicura?” insistette il ragazzo non soddisfatto dalla risposta affermativa, l’ennesima in quei giorni, che Aurora gli aveva dato.
Si era accorto che c’era qualcosa che la turbava, ma era evidente che la ragazza non aveva intenzione di parlarne con lui.
Che quella notte di due settimane prima non fosse andato tutto bene come gli aveva fatto credere?
 
“Ok… allora sei sicura di non voler venire oggi?” domandò alla fine.
Quel giorno lui e suo padre sarebbero andati a far visita al futuro college di Dylan: distava pochi chilometri dalla città e aveva uno splendido campus dove il ragazzo avrebbe avuto una stanza; avrebbero sistemato le ultime pratiche per l’iscrizione e poi ne avrebbero approfittato per fare un giro e vedere com’era l’ambiente.
 
“Sicura. Tuo padre si è preso la giornata libera per stare con te, goditela. Mi… mi trovi qui quando tornate a casa stasera” proprio non era riuscita ad evitare che la voce le tremasse alla fine della frase.
Dylan decise che non poteva continuare a far finta di niente.
“Mi vuoi dire cosa c’è che non va?” le chiese sedendosi sul letto e trascinando la ragazza con lui. “E non dirmi niente, perché mi sono accorto che mi stai nascondendo qualcosa”
La ragazza sospirò buttando rumorosamente fuori l’aria, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa fu interrotta dalla voce del signor Blake proveniente dal corridoio: “Dylan? Spero per te che tu non sia ancora in pigiama perché è la volta buona che ti trascino fuori di casa così come sei! Ti aspetto in macchina, se ci muoviamo riusciamo ad evitare il traffico”
 
Il ragazzo sbuffò alzando gli occhi al cielo, poi riportò il suo sguardo su Aurora.
“Qualsiasi cosa sia me ne puoi parlare. Me ne devi parlare. Adesso vado, prima che mio padre torni indietro a buttare giù la porta, ma stasera quando torno mi dici tutto, promesso?”
Stasera… promesso”
I due ragazzi rimasero a guardarsi per qualche istante per poi scambiarsi un rapido bacio.
Dylan salutò di nuovo Aurora con un “A stasera… Ti amo” e prima che la ragazza potesse rendersi pienamente conto di quello che il ragazzo le aveva detto aveva sentito la porta d’ingresso dell’abitazione chiudersi.
Rimase seduta sul letto con lo sguardo perso nel vuoto senza neanche la forza per piangere: probabilmente le lacrime erano anche finite.
 
 
 
Non avrebbe saputo dire per quanto tempo fosse rimasta ferma nella stessa posizione, sapeva solo che con il trascorrere delle ore quella sensazione di oppressione al petto –che adesso che ci pensava era la stessa che aveva provato quando Dylan aveva rischiato di finire investito- non aveva fatto altro che aumentare, tanto che a tratti faceva persino fatica a respirare.
Nella sua mente continuava a ripetersi la vuota promessa che aveva fatto a Dylan prima che uscisse di casa.
Quella sera non ci sarebbe stato niente da raccontare per il semplice fatto che quella sera il ragazzo non sarebbe tornato a casa.
 
La sveglia segnava le otto e mezza di sera quando ci fu il primo movimento in tutta la giornata.
L’aria tremò e subito dopo Dave era apparso al centro della stanza.
Aurora era ancora seduta sul letto, le gambe al petto circondate dalle braccia mentre cercava di rendere in qualche modo sopportabile la sensazione di morte imminente che la tormentava da quella mattina e non l’aveva abbandonata un attimo.
Cercava di vedere il lato positivo della cosa dicendosi che almeno, finchè si sentiva così, voleva dire che Dylan era ancora vivo.
Di certo non era nemmeno lontanamente paragonabile a quello che aveva provato quando altri suoi protetti erano passati a miglior vita.
 
“Aurora, forza” la richiamò Dave scuotendola. “Avevi detto che non volevi che fosse solo, no? Glielo devi” aggiunse poi visto che la ragazza era rimasta immobile.
A quella parole Aurora annuì in modo quasi impercettibile, lasciando poi che il suo mentore la aiutasse ad alzarsi in piedi.
Non ebbe neanche il tempo di fare un paio di passi: sentì una scarica attraversarla dalla testa ai piedi che la fece tremare e spalancare gli occhi, il senso di oppressione al petto improvvisamente scomparso.
“Andiamo”
Agguantò il braccio di Dave e due secondi dopo la camera da letto era deserta.
 
 
 
 
 
La scena di un incidente stradale non le era mai sembrata così spaventosa.
Luci lampeggianti, sirene, voci che si rincorrevano, persone che andavano da una parte all’altra: Aurora tagliò fuori tutto, un unico pensiero nella mente. Trovare Dylan.
 
 
Nell’incidente erano state coinvolte cinque vetture.
 
Un ubriaco aveva imboccato la statale contromano, se solo ci fosse stato più traffico i danni sarebbero stati decisamente maggiori.
Tre delle macchine coinvolte non avevano subito danni troppo gravi, erano riuscite a frenare quel tanto che bastava per circoscrivere l’incidente ad un tamponamento.
Quelle veramente messe male erano quella dell’ubriaco e l’altra, le quali a causa della visibilità praticamente inesistente dovuta ad una curva si erano schiantate a velocità sostenuta.
Ovviamente quella macchina era quella su cui stavano viaggiando Dylan e suo padre.
 
Ascoltando le varie informazioni Aurora potè apprendere che il guidatore dell’auto che viaggiava contromano era morto sul colpo.
Per il modo in cui le macchine si erano scontrate il signor Blake si trovava in condizioni critiche seppur non in pericolo di vita immediato.
Delle altre auto coinvolte alcuni passeggeri avevano riportato qualche lieve trauma, ma comunque nulla che non potesse essere risolto con un gesso o una seduta dal fisioterapista o, nel caso peggiore, un paio di giorni di ricovero in ospedale in osservazione.
Quello messo peggio di tutti era Dylan, preso in pieno quando la macchina che viaggiava in senso opposto si era scontrata con quella del padre.
 
L’angelo lo individuò steso sull’asfalto, attorniato dal personale di soccorso.
Aveva il collare al collo mentre il resto del corpo, liberato dai vestiti, era equamente ricoperto da bendaggi, medicazioni tubi e cavi di varia natura; senza contare il sangue che sembrava essere dappertutto.
Aveva gli occhi ancora aperti, ma lo sguardo vacuo e perso indicava un evidente stato di shock.
Il personale di soccorso stava decidendo come e se caricarlo sull’ambulanza.
Aurora si fece largo tra le persone, rigorosamente invisibile a tutti, lasciando indietro Dave che non si perdeva un suo movimento.
Schivò abilmente un infermiere che aveva verosimilmente appena finito di attaccare l’ennesima flebo al braccio del ragazzo e gli si accovacciò affianco.
Non riuscì a resistere e allungò il braccio in modo da raggiungere la mano di Dylan per poi accarezzarne dolcemente il dorso.
 
A quel contatto gli occhi del ragazzo ebbero in guizzo e si mossero guardandosi intorno.
Aurora sorrise tristemente quando i loro sguardi si incrociarono: era invisibile a tutti ma non a lui, non quella volta.
“Mi dispiace” sussurrò non sapendo cos’altro dire davanti allo sguardo improvvisamente consapevole di Dylan che aveva capito.
Aveva capito come mai il suo Angelo era così strano in quell’ultimo periodo, aveva capito come mai non aveva voluto dirgli niente.
Ma non era arrabbiato, anzi, era felice di averla potuta vedere un’ultima volta.
“Mi dispiace così tanto” ripetè nel frattempo la ragazza.
Dylan cercò in qualche modo di scuotere la testa –visto che la voce proprio non ne voleva sapere di uscire- ma un infermiere bloccò tempestivamente il suo tentativo.
“Dottore! Credo che abbia appena cercato di muoversi!” Aurora lo sentì esclamare richiamando l’attenzione del medico che si stava occupando di lui.
Quello accorse subito scrutando il ragazzo con occhio critico, pronto a cogliere qualsiasi differenza sostanziale nelle condizioni del ragazzo.
 
 
Intanto Dylan non aveva occhi che per Aurora.
Adesso capiva come mai la ragazza era sempre stata così restia nel parlare delle sue ali.
Alla fine era riuscito a farle dire che i protetti possono vedere le ali del proprio angelo in un’unica circostanza, e nonostante Aurora non avesse poi aggiunto altro ormai lui pensava di aver capito quale fosse.
 
Se già a parer sua Aurora era oggettivamente bella, così era al di là di qualsiasi aggettivo.
I suoi occhi, sempre azzurri e cristallini sembravano brillare ancora di più insieme a tutta la sua intera figura che pareva emanare una soffusa luce dorata.
E le ali, ampie, candide e maestose alle sue spalle, erano semplicemente la cosa più spettacolare che avesse mai visto.
Era bellissima.
 
“Sei bellissima” esalò in un ultimo confuso gorgoglio nello stesso momento in cui il medico dava l’ordine di caricarlo sull’ambulanza.
Cercò per quanto poteva di tirare le sue labbra in un sorriso sentendo la mano di Aurora ancora sul suo braccio.
Quando ebbero finito di caricarlo e quella sensazione così familiare e rassicurante svanì lasciando di colpo il posto al dolore che era rimasto tagliato fuori fino a quel momento decise che poteva finalmente chiudere gli occhi.
 
Le porte dell’ambulanza si chiusero e il mezzo partì rapidamente a sirene spiegate.
 
Aurora si rese conto che dopotutto le lacrime ancora non erano finite.
 
 
 
***
 
 
 
Aurora era nella sala da una manciata di minuti e già aveva fermato tutti i funzionari che erano passati di lì indaffarati ponendo ad ognuno di loro la sua richiesta.
Evidentemente o loro non l’avevano inoltrata o il Consiglio aveva deciso di non disturbarsi.
Sapeva comunque che prima o poi si sarebbe riunito, e quando l’avrebbe fatto lei sarebbe stata lì ad aspettarlo.
Nonostante tutto si sentiva straordinariamente lucida ed estremamente determinata.
 
“Sei una ragazza testarda, Aurora, devo concedertelo” una voce familiare la strappò ai suoi pensieri facendola sussultare: nella sala era appena entrato qualcuno.
Era lo stesso angelo che aveva parlato quella notte di due settimane prima quando era stata trascinata lì da Dave.
Non era tutto il Consiglio, ma per lei era più che sufficiente.
 
“Ditemi cosa devo fare” esordì subito senza perdersi in convenevoli.
L’Anziano la guardò interrogativo: “Non capisco di cosa tu stia parlando, mia cara”
Aurora alzò gli occhi al cielo sbuffando: “Per salvare Dylan. Ditemi cosa devo fare per salvarlo e io lo farò” sentiva che non era morto, non ancora almeno. C’era ancora qualcosa –verosimilmente una macchina- che ancora lo teneva in vita, ma non poteva sapere per quanto tempo ancora.
L’angelo sospirò: “Lo sai che non c’è niente che possiamo fare Aurora. Non possiamo interferire con…”
“Non potete o non volete?” lo interruppe la ragazza.
 
Che diamine, erano creature potenzialmente immortali che necessitavano solo di qualche ora di sonno di tanto in tanto per poter andare avanti e le venivano a dire che non si poteva fare nulla per salvare Dylan?
Non ci credeva.
 
“Come ho detto non c’è niente che si possa fare, mi dispiace” ribadì l’Anziano indurendo il tono. “Posso capire che per te sia stato un evento oltremodo tragico e doloroso, ma posso assicurarti che non sei la prima e non sarai –purtroppo- l’ultima a veder morire il proprio protetto in circostanze di questo tipo”
Aurora rise, una risata spenta e completamente priva di allegria.
“Lei capisce? Davvero lei pensa di capire come mi sento in questo momento? Come ci si sente ad aver paura di muoversi perché ogni movimento, ogni respiro, fa male? Come ci si sente a sapere che il cuore è ancora lì dove deve stare e non te l’hanno strappato dal petto solo perché batte talmente veloce e talmente forte che lo sento rimbombare nelle orecchie?...” avrebbe potuto continuare a fare esempi del genere quanto voleva.
La verità era che quando Dylan avrebbe smesso di respirare lo avrebbe fatto anche lei.
Quando il suo cuore avrebbe cessato di battere anche il suo avrebbe fatto altrettanto.
 
La verità pura e semplice era che…
 
“Io lo amo, e non potrò mai dirglielo perché me ne sono resa conto troppo tardi e nel frattempo un ubriaco ha deciso di imboccare la statale contromano. E ora non solo mi dice che non c’è niente che io possa fare per lui, ma addirittura che capisce come mi sento. Mi perdoni se mi è difficile crederle”
L’angelo la guardò in silenzio, sembrava rimasto colpito dal suo discorso.
Sembrava combattuto tra il voler dire qualcosa e lo scappare a gambe levate dalla sala, magari per andare a chiamare la sicurezza e farla sbattere fuori.
Evidentemente decise per la prima.
“Ne ho viste parecchie in questi anni che sono in giro –e fidati che sono tanti- ma un angelo innamorato del proprio protetto… questo mai” disse con tono pacato e tranquillo manco stessero parlando delle condizioni metereologiche.
“Devo riconoscere che il rapporto che si è creato tra te e quel ragazzo era estremamente forte e stretto, e personale… ma da qui a chiamarlo amore… non stai correndo troppo, Aurora?”
“Il mio rapporto con Dylan è ancora molto forte, a quanto mi risulta lui non è ancora morto” ribattè la ragazza gelida.
“Certo” concesse l’Anziano. “Non ancora
 
Di nuovo la sala fu pervasa dal silenzio.
 
“Ripeto la mia domanda” riprese alla fine l’angelo. “Non stai correndo troppo? Sei sicura di quello che hai detto?”
“Sì” rispose Aurora decisa.
Se c’era anche la più piccola possibilità di fare qualcosa per salvare Dylan lei l’avrebbe colta.
“Posso quindi dedurre che saresti disposta a fare qualunque cosa per salvare il tuo protetto?” domandò ancora.
“Qualunque cosa”
“Anche dare la tua vita in cambio della sua?”
 
Quella parole ebbero il potere di farle scendere un brivido lungo la schiena.
Allora dopotutto c’era qualcosa che si poteva fare per salvare Dylan.
 
Aurora sorrise, un sorriso ampio e sincero come non gliene riuscivano da quando aveva saputo che il suo protetto aveva letteralmente i giorni contati.
 
Sorrise perché con Dylan la risposta a quella domanda era e sarebbe sempre stata una sola.
 
 
“Sì”













Come promesso ecco il quinto capitolo.
Il prossimo sarà l'ultimo, sarei curiosa di sapere cosa ne pensate di quello che è successo e quali sono le vostre ipotesi su come andrà finire.
Se qualcuno volesse farsi avanti vi giuro che non mordo :)
Alla prossima settimana e come sempre grazie a tutti coloro che sono arrivati a leggere fino a qui.
E.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6. Nuovo inizio ***


6. Nuovo inizio
 
 
 
Dylan scattò fuori dall’aula non appena il docente decretò di aver finito di spiegare.
Non che la lezione fosse stata noiosa, ma era a digiuno da quella mattina per quegli stupidi esami e non vedeva l’ora di toglierseli dai piedi per poter finalmente mettere qualcosa sotto i denti.
 
Abitando al campus aveva felicemente appreso che il tempo libero che gli rimaneva una volta finito di studiare era molto più di quello che aveva inizialmente calcolato, e il fatto che il college avesse la sua squadra di calcio capitava proprio a fagiolo.
Appena aveva potuto, una volta finita la riabilitazione e ricevuto l’ok dal fisioterapista e da suo padre, aveva fatto domanda per poter partecipare agli allenamenti.
Sorprendentemente, nonostante i mesi di fermo, il coach lo aveva notato e gli aveva dato il benvenuto in squadra: magari le prime partite le avrebbe giocate in panchina, ma a lui andava benissimo così.
Gli esami del sangue per i soliti controlli erano l’ultima cosa che gli mancava e poi sarebbe stato a posto.
 
Arrivato in infermeria salutò Roby, una delle infermiere del campus, che già aveva capito per quale motivo fosse lì, per poi storcere il naso all’odore di disinfettante che permeava l’ambiente.
Era più forte di lui, ma quell’odore lo portava ogni volta a ricordare un periodo che avrebbe volentieri dimenticato.
 
 
 
FLASHBACK
Inizialmente avrebbe detto di sentirsi la testa leggera, come un palloncino gonfiato con l’elio pronto a scappare libero verso il cielo alla prima occasione.
Poi aveva iniziato a sentirla pesante, sempre più pesante, finchè non lo era diventata così tanto che il palloncino si era trasformato in una pietra compatta ben ancorata al suolo.
Quella però era pur sempre la sua testa, e a meno che non avesse trovato il modo di staccarsi dal collo per andarsene in giro per conto suo, quella su cui era appoggiata non era terra, ma una superficie più morbida… un cuscino?
Pian piano aveva cominciato a riacquistare sensibilità anche nelle altre parti del corpo: la punta dei piedi, le dita delle mani, polsi, caviglie, braccia, gambe… poteva sentirli tutti.
 
Per primo era arrivato l’odore: forte, di disinfettante e di chiuso, non gli piaceva neanche un po’, gli dava quasi la nausea.
Poi i suoni, prima ovattati poi sempre più chiari e definiti.
Voci confuse che non riconosceva e quel bip-bip che faceva imperterrito da sottofondo qualsiasi cosa succedesse.
Quando alla fine riuscì a riacquistare il controllo dei suoi muscoli facciali la prima cosa che vide aprendo gli occhi e mettendo a fuoco fu suo padre che piangeva.
Di gioia.
Finalmente si era svegliato.
 
 
 
Da subito le sue condizioni sulla scena dell’incidente erano apparse critiche, per non dire disperate.
Inizialmente non erano sicuri di poterlo neanche caricare in ambulanza senza che subisse ulteriori danni.
Quando poi era arrivato in ospedale, ancora inaspettatamente vivo, si era gridato al miracolo.
 
L’incidente era stato violento e i danni c’erano, molti, ma non gravi come ci si sarebbe aspettato.
Il ragazzo era stato tagliato e ricucito, medicato, bendato e gessato e quando avevano finalmente finito con lui il primario del reparto in persona si era preso la responsabilità di parlare con il signor Blake (ovviamente dopo che anche lui si fu ripreso) per rassicurarlo sulle condizioni del figlio che al momento era stato messo in coma farmacologico per permettergli una guarigione migliore.
Quando si sarebbe svegliato, dopo la riabilitazione, avrebbe persino potuto tornare a giocare a calcio se lo avesse voluto.
 
Il ragazzo doveva avere un angelo custode particolarmente bravo per essere riuscito ad uscire così bene da un incidente del genere, aveva detto il medico scherzando.
 
Così, dopo un mese passato in coma, una mattina di inizio agosto Dylan aveva finalmente riaperto gli occhi riprendendo contatto con il mondo esterno.
 
Era stata dura, soprattutto all’inizio, ma alla fine poteva dire di avercela fatta, addirittura in tempo per cominciare a seguire le lezioni al college che sarebbero iniziate a metà ottobre.
FINE FLASHBACK
 
 
 
Una volta che Roby ebbe finito con lui Dylan si fiondò alla caffetteria: un bel panino con un cappuccino e magari anche una brioche al cioccolato erano il minimo.
 
Si era abituato abbastanza in fretta alla vita lì al campus: si era fatto nuovi amici e aveva presto trovato una sua routine.
Il vero motivo per cui era così contento di avere un alloggio lì e di non dover tornare a casa spesso lo sapeva però solo lui.
Non lo sapeva neanche suo padre anche se a dirla tutta era stato proprio il signor Blake, seppur inconsapevolmente, a portare a galla la questione.
 
 
Era venuto a trovarlo un fine settimana di metà novembre per stare un po’ con lui e portarlo a cena fuori come faceva abbastanza regolarmente dall’incidente, e la conversazione di quella serata aveva avuto una novità.
Suo padre era entrato in camera sua, non ricordava neanche per quale motivo, e proprio non aveva potuto fare a meno di notare il ritratto di una ragazza dai capelli corvini, gli occhi azzurri e la pelle candida che spuntava dalla libreria, infilato tra un libro e l’altro.
Ritratto che il signor Blake aveva portato con sé e portato al figlio perché pensava che gli avrebbe fatto piacere.
Al momento Dylan aveva ringraziato e aveva riposto il ritratto, il foglio arrotolato e fermato da un elastico, senza neanche guardarlo.
La verità era che non aveva idea di chi fosse la ragazza che suo padre gli aveva descritto.
Quando però quella sera, seduto sul suo letto con la schiena appoggiata alla testiera, il suo compagno di stanza Rick che già russava, aveva posato gli occhi sul disegno di colpo aveva ricordato tutto.
 
Il vuoto che aveva provato fino a quel momento, che proprio non si sapeva spiegare e di cui non aveva avuto il coraggio di parlarne con nessuno, aveva finalmente un senso.
In quel momento aveva deciso che non sarebbe riuscito a rimettere piede in camera sua tanto presto.
Non se Aurora non era lì ad aspettarlo.
 
 
 
Dylan sospirò scuotendo la testa: ogni volta che lasciava vagare i pensieri quelli in un modo o nell’altro finivano irrimediabilmente per concentrarsi sempre sullo stesso soggetto: Aurora.
In quei mesi si era spesso chiesto che fine avesse fatto, avrebbe dato qualsiasi cosa per poter parlare con lei un’ultima volta.
In effetti ancora non riusciva a spiegarsi come mai fosse ancora vivo dopo l’incidente, e per quanto avesse provato a ignorarlo, sapeva che il fatto che lui fosse vivo e Aurora sparita non poteva essere una coincidenza.
 
Certo, ormai erano a marzo e lui era molto probabilmente l’unico fra i suoi amici a non aver ancora cercato di rimorchiare una ragazza, ma a lui non interessava.
 
 
Lo strusciare dell’altra sedia libera del tavolino al quale si era seduto lo distolse dai suoi pensieri, facendolo tra l’altro rendersi conto che si era bloccato con la tazza del cappuccino a mezz’aria.
Dylan si ritrovò davanti Rick che lo guardava come se fosse un caso perso.
E forse lo era.
 
Dopo qualche istante di attesa sembrò spazientirsi e Dylan ricambiò il suo sguardo, interrogativo, togliendosi le briciole della brioche dalle dita.
Rick alzò platealmente gli occhi al cielo mettendosi le mani tra i ricci biondi: “Allora ti sei proprio dimenticato!” esclamò.
L’espressione sempre più stupita di Dylan fu una risposta affermativa sufficiente.
“Bella ragazza, capelli castani a caschetto, occhi nocciola, bel carattere, primo anno di psicologia qui al campus… ti dice niente?” domandò sbuffando.
“Ehm… no? Dovrebbe?”
“Oh andiamo! Quella con cui ho ballato sabato scorso alla festa di Victor!”
“Ah, sì, adesso ricordo. E allora?”
“Allora… eravamo rimasti d’accordo di prendere un caffè insieme dopo le lezioni, uno di questi giorni”
“Ah-ah. E io che c’entro?” davvero non capiva dove Rick volesse andare a parare.
“Beh, tu vieni con me, ovvio no? Così magari ti trovi una piccola psicologa in erba che sia in grado di analizzarti un po’ per poi rivelarci come mai sembri totalmente disinteressato a qualunque essere che abbia un paio di tette che gira qui al campus” spiegò rapidamente il biondo, molto fine come sempre.
Fu il turno di Dylan ad alzare gli occhi al cielo: “Ti ho già detto che non sono interessato ad uscire con nessuna al momento perché…”
“Perché pensi ancora alla tua ex, certo… tutte storie!” lo interruppe Rick. “Adesso andiamo, chissà che non sia la volta buona che riesci a trovarti un appuntamento con cui uscire” concluse arpionandogli un braccio e trascinandolo via.
Dylan non potè fare altro che seguirlo.
 
Non era mai stato nella zona del campo dedicata alle materie umanistiche.
Sapeva che c’erano lettere e psicologia e forse un altro paio, ma fino a quel momento aveva solo visto gli edifici dal campo da calcio dove faceva allenamento tre volte alla settimana.
 
Gli ambienti all’interno non sembravano essere poi tanto diversi da quelli a cui era abituato a frequentare e non ebbero troppi problemi ad orientarsi per trovare l’aula dove la (forse futura) ragazza di Rick, tale Rebecca, aveva lezione in quel momento.
Lezione che sarebbe dovuta finire nel giro di pochi minuti a giudicare da quello che il suo compagno di stanza stava blaterando: Dylan aveva capito piuttosto in fretta che tendeva a diventare leggermente logorroico quando era agitato.
“Forse ultimamente non sarò uscito con molte ragazze, ma ti consiglierei di chiudere un po’ il becco se non vuoi farla scappare subito” gli consigliò Dylan non appena dall’interno dell’aula cominciarono ad arrivare i rumori inequivocabili di una lezione giunta al termine.
Per fortuna Rebecca fu una delle prime a lasciare l’aula e mentre lei e Rick –miracolosamente ammutolito – si salutavano timidamente lui lasciò vagare il suo sguardo sulla folla di studenti che avevano cominciato ad uscire riempiendo ben presto il corridoio.
 
Fu un attimo e una chioma di capelli corvini catturò inspiegabilmente la sua attenzione.
 
C’era stato un periodo in cui avrebbe detto che avrebbe saputo riconoscere Aurora anche solo guardandola da dietro e di sfuggita… che fosse ancora in grado?
 
L’istante dopo aveva interrotto senza troppi complimenti la conversazione dei due ragazzi guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Rick.
“Chi è?” domandò velocemente a Rebecca indicando la ragazza dai capelli neri prima che si allontanasse troppo.
Quella assottigliò gli occhi guardando nella direzione che le era stata indicata.
“Oh, lei” disse alla fine.
Dylan la esortò a continuare.
“È arrivata questa settimana, trasferita da non-so-dove. Suo padre dovrebbe essere uno psicologo molto richiesto, si sono trasferiti qui vicino da poco, ma lei abita comunque qui al campus. Tutti i ragazzi le vanno già dietro… solo per un paio di occhi azzurri…” commentò con forse una punta di gelosia.
Dylan si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo, ma solo perché era troppo impegnato a non perdere di vista la ragazza.
Ancora qualche metro e avrebbe svoltato nell’altro corridoio sparendo alla sua vista.
“Sai come si chiama?” domandò ancora.
“So che fa Bright di cognome, il nome non me lo ricordo” rispose lentamente Rebecca pensandoci su. “Qualcosa con la A. Tipo A… Alba?”
“Aurora?” azzardò Dylan
“Sì, ecco, Aurora” confermò la ragazza. “La conosci per caso?”
Ma Dylan non aveva neanche ascoltato l’ultima domanda troppo impegnato a cercare Aurora tra gli studenti.
Peccato che la ragazza fosse sparita.
 
 
 
ↄↄↄ
 
 
 
La sveglia si animò di colpo strappando dal mondo dei sogni la ragazza che occupava il letto accanto al comodino sul quale era appoggiato il suddetto aggeggio infernale.
Una mano si allungò oltre il bordo del letto per mettere a tacere quella sottospecie di gallo elettronico e subito dopo Aurora si tirò su a sedere stropicciandosi gli occhi e sbadigliando.
Soffocò un grido quando mise a fuoco la stanza in cui si trovava: grande cabina armadio con specchio esterno, ampia scrivania, libreria strapiena, letto a due piazze e scatoloni e confusione in giro come se si fosse nel bel mezzo di un trasloco… quella non era la sua camera dell’Accademia. Dov’era finita?
 
Qualcuno bussò alla porta interrompendo le sue riflessioni.
La ragazza si fece attenta quando la maniglia si abbassò e l’uscio si aprì quel tanto che bastava affinchè la testa di un uomo – biondo, capelli lisci, occhi azzurri, labbra sottili, sulla cinquantina – potesse fare capolino.
“Pronta per oggi tesoro? So che il trimestre è già iniziato, ma sono sicura che ti troverai bene comunque. Sei sempre stata brava e se tutto va bene questa è l’ultima volta che abbiamo dovuto trasferirci. Ti aspettiamo giù per fare colazione” disse l’uomo sorridente.
Aurora si ritrovò a rispondere con un “Sì papà” prima che potesse rendersene conto.
 
Papà?
 
L’uomo sorrise e lasciò la stanza richiudendo la porta.
 
PAPÀ?
 
Non si era ancora ripresa che si sentì di nuovo bussare.
Questa volta la porta si aprì del tutto facendo entrare la figura snella di una donna.
Poteva avere un paio di anni in meno dell’uomo che era entrato prima di lei, aveva i capelli corvini (non capiva come, ma Aurora sapeva che se li tingeva regolarmente per coprire la ricrescita ormai da un paio d’anni) elegantemente raccolti e gli occhi scuri. Le labbra piene colorate di rosso, il fisico messo in risalto da un tailleur dal taglio impeccabile.
“Ti ho stirato la tua camicetta preferita” annunciò appendendo il suddetto capo alla maniglia dell’armadio per poi tirare su le persiane delle finestre per far entrare la luce del sole nella stanza.
“Sono sicura che andrà tutto bene, tu non preoccuparti, ok?” disse poi chinandosi verso di lei per accarezzarle i capelli e lasciarle un bacio sulla fronte.
“Ti aspettiamo di sotto, tuo padre ha fatto i pancake come piacciono a te” concluse già mezza fuori dalla stanza.
“Arrivo subito mamma” di nuovo le parole uscirono spontanee prima che lei potesse fermarle.
 
Mamma?
 
C’era decisamente qualcosa che non quadrava.
 
Si alzò rapidamente dal letto per poi compiere un giro su se stessa in modo da avere una panoramica della camera ed eventualmente qualche indizio che le spiegasse ciò che stava succedendo.
Il suo sguardo cadde alla fine sul ripiano ancora sgombro della scrivania su cui erano appoggiati solo un paio di quaderni, diversi fogli ordinatamente impilati e una carta d’identità.
Aurora prese in mano il documento con timore e lo aprì.
Il suo viso le sorrideva allegramente dalla fototessera.
 
Aurora Bright, 5 maggio xxxx
 
come ebbe finito di leggere la sua mente fu invasa da una valanga di immagini.
Dylan, gli spalti del campo da calcio della scuola, Dylan che rischiava di essere investito (due volte), i baci, l’incidente, il colloquio con l’angelo del Consiglio…
Aurora tornò alla realtà boccheggiando: adesso ricordava.
 
Quando l’angelo le aveva chiesto se fosse stata disposta a dare la sua vita per salvare Dylan lei aveva risposto di sì senza alcun indugio.
Se quello era il prezzo da pagare lei era disposta a farlo.
L’Anziano aveva annuito e le aveva ordinato di rimanere lì ad aspettarlo.
Inutile dire che il tempo in cui era rimasta da sola nella sala le era sembrato un’eternità.
Alla fine l’angelo era ricomparso e l’aveva informata che Dylan era fuori pericolo.
Aveva seriamente rischiato di mettersi a piangere dalla gioia e dal sollievo.
 
 
 
FLASHBACK
“Via, via, posso capire che tu sia contenta, ma adesso dobbiamo vedere cosa farne di te…” disse l’angelo districandosi dall’abbraccio in cui Aurora l’aveva stretto in quell’impeto di felicità.
Nonostante l’espressione non esattamente tranquillizzante che l’angelo aveva usato la ragazza non perse il suo sorriso: Dylan era salvo, adesso toccava a lei fare la sua parte.
 
Il membro del Consiglio intanto aveva ripreso a parlare: “Ora, tanto per cambiare questa cosa non rientrerebbe nel Regolamento, ma considerati i fatti il Consiglio ha deciso che, essendo questa una situazione unica del suo genere, per una volta e solo perché sei tu si può chiudere un occhio. E sappi che confidiamo nel vostro buon senso”
Mentre parlava aveva cominciato a camminare facendo segno ad Aurora di stargli dietro, uscendo dalla sala e conducendola attraverso i vari corridoi dell’edificio.
Alla fine si fermò davanti ad un’imponente porta in legno massiccio finemente lavorato.
 
“Già solo il fatto di concedervi di incontrarvi di nuovo è eccezionale, non parliamo quindi del fatto che lasceremo ad entrambi i vostri ricordi…” continuò a spiegare sotto lo sguardo di Aurora che si era improvvisamente fatto curioso: di cosa stava parlando?
“Vedrai comunque che ti troverai bene, i Bright sono persone davvero…”
La ragazza non lo lasciò finire: non ci stava capendo più niente.
Dovevano solo porre fine alla sua esistenza, perché tante storie?
“Scusi, ma di cosa sta parlando?” domandò impaziente.
L’Anziano si bloccò con la bocca ancora aperta: “Della tua futura vita da mortale, mi sembra chiaro” disse infine.
 
Ok, no, non era chiaro per niente.
 
L’espressione sempre più perplessa di Aurora fece capire all’angelo che effettivamente la ragazza non aveva idea di quello che stava per succederle.
“Vedendoti così convinta pensavo che Dave ti avesse spiegato tutto, ma a quanto pare sbagliavo” commentò l’Anziano. “Davvero pensavi che saresti… morta?” le domandò poi.
“Beh, sì” rispose sinceramente Aurora.
“Devi amarlo davvero tanto quel ragazzo allora…” disse l’angelo tra sé e sé mentre armeggiava con la porta.
 
Aveva estratto dalla tasca della giacca una massiccia chiave d’ottone coordinata alla maniglia e alla serratura dell’infisso.
La infilò nella toppa e dopo avergli fatto fare tre giri si sentì uno scatto: le venature del legno brillarono e quando la luce si fu spenta l’Anziano le stava facendo segno di entrare mentre le teneva la porta aperta.
“Gli angeli non possono morire” cominciò a spiegarle mentre procedevano lungo quello che sembrava essere un lungo corridoio.
 
L’ambiente era scarsamente illuminato da delle torce appesa a intervalli regolari alle pareti, non c’erano finestre, e sembrava tutto decisamente più antico rispetto a quanto aveva visto del resto dell’edificio.
Aurora avrebbe potuto giurare che muri e pavimenti fossero interamente in autentica pietra.
 
“Ma ovviamente ad un certo punto quelli più vecchi vengono… mandati in pensione. Anche perché altrimenti non avrebbe senso continuare ad addestrarne di nuovi, no?” proseguì.
“Per cui quando arriva il momento del congedo li rendiamo mortali, cancelliamo loro la memoria e li inseriamo nel mondo di tutti i giorni; ricordi e tutto il resto compresi. Di solito è il Consiglio che tiene conto degli anni di servizio di ogni angelo e comunica quando non sono più richiesti i suoi servigi. Credo sia capitato un paio di volte che un Custode chiedesse di finire prima, ma di certo mai per motivi come questo. Ora, il fatto di non essere più immortale equivale all’aver dato una vita, quindi nel tuo caso diventare mortale è tutto ciò che ci si aspetta da te”.
“Perché tutte queste cose non le sapevo?” domandò Aurora approfittando della pausa del discorso.
“Di solito mettiamo al corrente i Custodi di questa cosa dopo svariati anni. Tu sei ancora giovane sotto questo punto di vista, fidati se ti dico che il Consiglio avrebbe di gran lunga preferito tenerti in servizio ancora per molto tempo. Per questo pensavo che fosse stato Dave a parlartene” rispose quello.
La ragazza annuì.
 
Erano arrivati: la fine del corridoio si allargava in un unico ampio stanzone con una grande vetrata circolare che si apriva sul soffitto lasciando vedere il cielo scuro.
Esattamente al di sotto era posizionato quello che aveva tutta l’aria di essere un altare in pietra con i fianchi scolpiti secondo un motivo che ricreava piante rampicanti e fiori.
Sul piano orizzontale, invece, erano incise un paio di ali.
Per il resto la stanza era vuota.
 
“Quindi cosa dovrei fare adesso?” domandò Aurora con fare indagativo mentre sfiorava con la punta dei polpastrelli la superficie fredda e ruvida dell’altare.
L’Anziano le si avvicinò e con un ampio gesto le indicò l’ara: “Stenditi” le disse.
La ragazza lo guardò dubbiosa – e un po’ diffidente, doveva ammetterlo – ma ubbidì ugualmente.
Si distese sul duro ripiano, rabbrividendo appena al freddo della pietra attraverso i vestiti leggeri, sentendo i rilievi e le rientranze che componevano il disegno delle ali che si trovava esattamente sotto la sua schiena, dove per altro era il posto di quelle vere.
 
“Chiudi gli occhi, rilassati…” le ordinò la voce dell’Anziano.
Aurora eseguì facendo dei respiri profondi, l’ultima cosa che vide fu la luna piena che spiccava nel cielo nero sopra di lei.
Ci fu qualche istante di silenzio, poi l’angelo cominciò a parlare, la voce lenta e suadente: “Ti racconto la storia di Aurora Bright, nata il 5 maggio xxxx da Christian e Alexandra Bright. Una bambina sempre allegra e vivace…”
Prima che potesse rendersene conto la voce dell’Anziano era diventata un indistinto brusio di sottofondo.
 
Aurora perse conoscenza.
 
L’ultima cosa che sentì fu che la sua schiena, là dove ci sarebbe dovuta essere l’attaccatura delle sue ali, sembrava andare a fuoco.
FINE FLASHBACK
 
 
 
Aurora riaprì gli occhi non appena ebbe finito di mettere ordine tra quelli che dovevano essere i suoi ricordi nuovi di zecca.
Ce n’erano davvero tanti e sembravano esserci sempre stati.
Non aveva problemi a ricordare nulla: sua madre era un’insegnante, suo padre invece era uno psicologo, molto bravo e richiesto, tanto che spesso erano costretti a trasferirsi per raggiungere la sede dove lo chiamavano.
E lei come suo padre a suo tempo aveva scelto di fare psicologia al college vista la sua naturale predisposizione a capire ed aiutare le persone.
 
Ma soprattutto, ricordava anche Dylan…
 
Quel pensiero la fece scattare: se i suoi ricordi erano esatti quel giorno avrebbe iniziato a frequentare lo stesso college dove si era iscritto lui, solo in un indirizzo diverso.
Le bastò pensarlo e tutte le nozioni che aveva cominciato a studiare nel college precedente, prima del trasloco, le invasero la mente.
 
Wow, certo che avevano fatto proprio le cose per bene.
 
Si diede una mossa a vestirsi – era così strano per lei doversi infilare i vari capi quando era sempre stata abituata a cambiarsi semplicemente pensandolo – e quasi si mise a ridere quando sentì la sua pancia che brontolava.
Allora era questo che si provava ad avere fame!
 
Prima di uscire dalla camera si diede un’ultima occhiata allo specchio dell’armadio.
Una ragazza dai capelli neri e gli occhi azzurri, vestita con jeans e camicetta e il tatuaggio di una piuma tatuato a linee sottili all’interno del polso destro le sorrise di rimando.
 
 
 
***
 
 
 
Erano già passati alcuni giorni da quando Aurora aveva cominciato la sua avventura al college.
Le lezioni erano tutte molto interessanti e la ragazza era rimasta non poco stupita quando si era resa conto di quanto tutto quello fosse simile a quanto le era stato insegnato per essere un Angelo Custode.
Non aveva ancora stretto chissà quali amicizie, ma al momento la sua priorità era un’altra: aveva i capelli biondi spesso e volentieri spettinati, gli occhi castani sempre gentili e rispondeva al nome di Dylan Blake.
Quello che la faceva arrabbiare era che le lezioni e tutte le altre attività, per quanto avvincenti, le impedivano di cercare il ragazzo, o per lo meno di cercarlo quanto avrebbe voluto.
 
Era solo riuscita a farsi dire quale fosse il blocco del campus dove si tenevano i corsi di architettura ma non era ancora riuscita neanche ad avvicinarsi.
E a suo parere lei aveva già perso abbastanza tempo.
Era rimasta molto più che incredula quando si era svegliata e aveva scoperto che non era giugno (il mese in cui era accaduto l’incidente), bensì metà marzo.
Non aveva la più pallida idea di cosa avesse fatto nel frattempo, sperava solo che Dylan stesse bene.
 
 
 
ↄↄↄ
 
 
 
Dylan uscì da sotto l’acqua dopo una lunga doccia che aveva seguito un altrettanto lungo e impegnativo allenamento, anche se l’allenatore insisteva sempre affinchè non si affaticasse troppo.
Ancora non era riuscito ad abbandonare quel suo rituale.
Quel pomeriggio poi era rimasto sotto l’acqua ancora più a lungo del solito, perso nei suoi pensieri.
 
Aveva fatto compagnia a Rick e Rebecca mentre pranzavano, chiedendosi come mai non era subito corso a cercare quella ragazza dopo averla persa di vista.
Volendo essere sincero con se stesso la risposta era stata che aveva paura di scoprire che tutto ciò fosse solo un’unica grande coincidenza e che quella ragazza non fosse chi si aspettava.
 
Ma alla fine dei conti come avrebbe potuto essere davvero lei?
 
Aurora era un Angelo Custode e molto probabilmente al momento era impegnata con un nuovo protetto che necessitava del suo aiuto.
Non l’avrebbe più rivista, doveva mettersi il cuore in pace e accettarlo.
 
Quando ebbe finito di sistemarsi ed ebbe radunato tutte le sue cose Dylan lasciò l’ambiente umido dello spogliatoio dirigendosi all’esterno verso il campo da calcio, completamente deserto dopo la fine dell’allenamento.
 
Aveva deciso che avrebbe se non altro provato a lasciarsi Aurora alle spalle una volta per tutte: avrebbe chiuso tutti i ricordi legati a lei in un cassetto della sua memoria e buttato via la chiave, avrebbe anche fatto sparire tutti i suoi disegni che l’avevano come soggetto se fosse stato necessario.
Ma prima voleva ricordarla come si deve, per l’ultima volta.
 
Per questo invece di andare direttamente alla sua stanza in dormitorio aveva deciso di fermarsi a temporeggiare al campo: era proprio sugli spalti di un campo da calcio che tutto aveva avuto inizio, ed era lì che sarebbe finita.
 
Dylan prese posto sulla panca fredda e rigida della prima fila, il borsone con le sue cose per terra a poca distanza dai suoi piedi.
 
Chiuse gli occhi rievocando uno ad uno tutti i ricordi dei momenti passati con l’angelo.
Uno sguardo e nulla più: doveva andare avanti, lo aveva promesso a se stesso.
 
Suo malgrado alla fine si ritrovò nella stessa posizione in cui l’aveva trovato Aurora la prima volta che si erano parlati: i gomiti appoggiati alle ginocchia, la schiena incurvata in avanti e la testa tra le mani.
 
Solo che quella volta nessuna voce sarebbe arrivata a coglierlo di sorpresa dicendogli “Non ne vale la pena”.
Come nessuna sarebbe più arrivato a mettergli un braccio intorno alle spalle quando era giù di morale e si chiudeva in se stesso.
Ancora non riusciva a capacitarsi di come con quel semplice gesto Aurora riusciva a farlo sentire compreso e meno solo e, in qualche modo, amato.
 
 
Si era concentrato così tanto su quelle sensazioni che gli sembrava quasi che, ad un certo punto, quel tocco leggero e gentile di una mano che gli accarezzava la schiena fosse reale e non solo frutto della sua immaginazione.
 
Inspirò ed espirò lentamente, più volte, mentre un brivido gli correva lungo la schiena e spalancava gli occhi mettendo a fuoco i suoi piedi e la terra del bordo campo: non se lo stava immaginando, qualcuno si era davvero seduto di fianco a lui e gli stava accarezzando dolcemente le spalle.
 
Si tirò su lentamente e si ritrovò a boccheggiare.
 
Capelli neri, lunghi e lisci.
Espressivi e cristallini occhi azzurri e folte ciglia scure.
Labbra piene incurvate in un leggero sorriso.
 
 
Dopo un lungo istante in cui i due rimasero a fissarsi il sorriso della ragazza si ampliò ulteriormente.
“Davvero pensavi che ti saresti liberato di me così facilmente?” gli domandò.
 
Il cervello di Dylan era in tilt: Aurora era davvero lì, davanti a lui, in carne ed ossa.
Ritrovarsela lì davanti senza alcun preavviso gli fece capire quanto fosse stato stupido a pensare di poterla dimenticare, per quanti sforzi avesse fatto non ci sarebbe mai riuscito.
Imporsi di credere di poterlo fare era stato mentire a se stesso.
 
“Se vuoi ripasso più tardi” aveva commentato nel frattempo la ragazza facendo scorrere su e giù una mano davanti alla faccia di Dylan che sembrava letteralmente incantato.
Dopo un paio di volte il ragazzo sembrò riscuotersi, anche se i suoi occhi dicevano chiaramente che non era ancora del tutto convinto che tutto quello stesse realmente accadendo.
 
Aurora ci pensò un po’ su prima di esclamare: “Sembra che tu abbia appena visto un fantasma…”
A quelle parole Dylan scosse piano la testa: “No, non un fantasma. Un Angelo…” disse.
“Mmm… un angelo, dici? Credo che non esistano creature del genere, e dal momento che questo non è un sogno e che entrambi siamo svegli la vedo un po’ dura” ribattè lei.
“Quindi questo non è un sogno?” domandò Dylan sporgendosi verso la ragazza.
“No, non lo è” sussurrò Aurora in risposta avvicinandosi a lui come se gli avesse appena confidato un segreto.
 
“Bene” disse lui, concedendosi finalmente di sorridere apertamente.
 
Non aveva idea di cosa avesse fatto per meritarsi un miracolo del genere, per meritarsi lei.
Ma le spiegazioni potevano aspettare.
 
Annullò l’ultima breve distanza rimasta tra loro e la baciò.
 
 
 
 
 
 
In silenzio, tre passi indietro come un’ombra, un uomo dalla corporatura massiccia, i capelli scuri lunghi fino alle spalle legati in una coda, gli occhi scuri ma allo stesso tempo caldi e gentili, osservava la scena sorridendo soddisfatto.
 
 
 
 
FINE.













Ed eccoci arrivati alla fine.
Nonostante sia stata breve mi sono comunque affezionata a questa storia, e come ogni volta mi dispiace sempre un po' mettere la crocetta sull'opzione "completa".
Ringrazio tutti coloro che hanno messo la storia tra le preferite/sguite/ricordate e chi ha dedicato qualche minuto del suo tempo facendomi sapere cosa ne pensava: GRAZIE.
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e soprattutto che il finale non abbia deluso.
A presto
Elise


 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3398365