Agent Janice

di Agent Janice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Istituto - parte I ***
Capitolo 2: *** 3-1-7 ***
Capitolo 3: *** Benvenuta! ***
Capitolo 4: *** Codice Rosso ***
Capitolo 5: *** La fine del nuovo inizio ***
Capitolo 6: *** AAA Cercasi 'Agente Supervisore' Livello 6 ***
Capitolo 7: *** AAA Cercasi 'Agente Supervisore' Livello 6 || Parte #2 ***
Capitolo 8: *** Punti di vista...e pianificazioni. ***
Capitolo 9: *** Anche gli Agenti dello S.H.I.E.L.D. vengono colpiti a San Valentino ***
Capitolo 10: *** 9.5 [Capitolo Bonus] Buon Compleanno, Agente Coulson ***
Capitolo 11: *** Una Missione Inaspettata ***
Capitolo 12: *** Sotto al St. Johnes, la tana del drago. ***
Capitolo 13: *** Istituto - parte II ***
Capitolo 14: *** Un po' più che un semplice film Horror ***
Capitolo 15: *** Provvisorio... Aspettando il prossimo capitolo. ***
Capitolo 16: *** Il torrente dei Ricordi ***



Capitolo 1
*** Istituto - parte I ***


Capitolo Pilot, 3-1-7

 

Il dolore era insopportabile. Lo era stato la maggior parte delle altre volte in cui 3-1-7 era stata sottoposta ad esami ed esperimenti, eticamente dubbi, per riuscire a scoprire l'orgine dei suoi poteri. 
Durante quegli anni in cui aveva vissuto nel'Iistituto l'avevano sottoposta ad un numero davvero inquietante di interventi, la maggior parte dei quali alla testa. 
Le avevano innestato svariati rilevatori di ultima micro-tecnologia-neurale in modo da poter monitorare il picco di attività cerebrale durante il manifestarsi del suo "dono". E ogni volta, puntualmente, lei li aveva involontariamente fulminati, annullando così gli sforzi dei ricercatori. 

Ma in quel pomeriggio, nel preciso istante in cui uno dei medici aveva cominciato a trapanarle il cranio dietro la nuca per farvi passare una delle nano-sonde-neurali , qualcosa dentro la cavia 3-1-7 si ruppe. 
No, non parte dell'osso occipitale... ma qualcosa dentro di lei, ovvero il bisogno estenuante di continuare ad obbedire. Perchè? Si era chiesta.

Strinse i denti per riuscire a sopportare il dolore e fare chiarezza nella sua mente martoriata, gridò mentalmente per trovare la forza di puntellare le mani e i gomiti sul lettino. Aveva difficoltà a mettere a fuoco i propri pensieri. Poche ore prima aveva subito un trattamento psicosomatico che la costringeva ad obbedire, a non ribellarsi, e i postumi erano gravi carenze di concentrazione. 
Ultimamente quel trattamento su 3-1-7 aveva sempre meno effetto e aveva ripreso a ricordare come mai fosse lì, e come mai avevano cominciato ad obbligarla ad obbedire... Semplice! Durante uno degli esperimenti, anni prima, aveva tentato di 'ribellarsi'. Parola curiosa non trovate?! R-I-B-E-L-L-A-R-S-I.

Sentì un tonfo metallico e un rumore stridente, girò la testa per rendersi conto di cosa fosse successo e vide lo scienziato in ginocchio con gli occhi sbarrati e gonfi di lacrime che si reggeva la testa in un urlo soffocato. 3-1-7 confusa ne approfittò per alzarsi carponi sul lettino, utilizzò le proprie sensazioni per trasformarle in una sorta di enrgia e rompere i lacci che la tenevano, respirò a fondo cercando di racimolare un po' di auto-controllo.
Si girò verso il medico che aveva recuperato lucidità e allarmato si stava alzando a cercare, probabilmente, degli anestetizzanti o peggio il teaser, in uno degli scaffali lì di fronte. 
La paura ebbe il sopravvento su 3-1-7. Si alzò dal lettino traballando, doveva fermarlo prima che lui fermasse lei, gli afferrò un braccio e sentì la rabbia, la sorpresa e la paura dell'uomo passarle per la pelle, con l'altra mano gli afferrò il viso per intralciargli la vista e allontanarlo dagli scaffali. Lui la colpì al petto con forza, senza scrupoli, per allontanarla ma qualcosa fece *chlack*... un rumore bagnato, viscido che non proveniva dalla stanza. Solamente 3-1-7 era stata capace di percepirlo. Lo aveva provocato lei.
Con il contatto fisico della sua mano sul volto dell'uomo era arrivata a toccare la sua mente, aveva toccato la sua paura e percepito la corrente elettrica delle sue sinapsi che lavoravano veloci per elaborare un piano...e lei le aveva interrotte bruscamente. 
L'uomo sbarrò gli occhi e cadde in terra con un tonfo sordo. La ragazza lo guardò terrorizzata portandosi le mani al petto come se avesse preso la scossa, aveva perso il controllo e sapeva di aver superato il limite, l'unico sua possibilità in quel momento era scappare... Si, ma come? Non aveva la benchè minima idea di come poter uscire di lì, non conosceva il luogo in cui aveva vissuto per tredici anni, era sempre stata dentro le solite 20 stanze, bianche e asettiche, senza mai vedere il mondo esterno. 
Il pensiero era tremendamente deprimente ma doveva sorvolare e cercare di pensare alla svelta. Non riusciva a trovare la lucidità, si guardò attorno e spinta più dalla paura e dall'istinto che dalla ragione aprì la porta e uscì nel corridoio cominciando a correre, non importava la direzione bastava non rimanere ferma, come un animale chiuso in gabbia. 
In fondo al corridoio si schierarono tre agenti vestiti di nero, muniti di casco e visiera. Loro erano i guardiani, coloro che si occupavano di non far scappare le cavie, 3-1-7 li vedeva sempre fare le ronde nei corridoi a due a due.
Dei tre quello centrale le si scagliò contro, l'afferrò per le spalle e la sbattè contro il muro con una forza spiazzante. Lei rimbalzò e cadde in terra, cercò di tirarsi in piedi ma l'equilibrio le venne meno lasciandola brancolare sul pavimento con la vista annebbiata. Gli altri due le puntarono le armi contro in sincrono, in un gesto meccanico, rimanendo immobili, mentre quello che l'aveva colpita la immobilizzò. 
«FERMI!» una voce fermò l'azione. Alzarono tutti gli occhi verso l'altro capo del corridoio. Il secondo medico, di cui 3-1-7 ne aveva dimenticata l'esistenza e che qualche attimo prima che lei si ficcasse nei guai era uscito momentaneamente dalla sala operatoria, li stava raggiungendo a corsa. «Me ne occupo io!» Aveva le mani alzate e mostrava qualcosa che 3-1-7 non riusciva a mettere a fuoco. L'agente che la teneva a terra allentò la presa mentre gli altri due si allontanarono tornando alle loro posizioni, e lei ne approfittò, si voltò il più velocemente possibile trasportata da una scarica di adrenalina, gli afferrò il volto come aveva fatto poco prima con l'altro uomo, lui la colpì con un pugno in bocca e *chlack*...le cadde addosso, pesante e senza vita. 
3-1-7 cercò di liberarsi dal peso del corpo inerme dell'agente ma era troppo per lei, l'adrenalina la stava abbandonando lasciandola indifesa. Sbattè gli occhi per schiarirsi la vista. Vide il medico sopra di lei, cercò di toccarlo allungando una mano verso di lui, partì l'allarme che assordò entrambi e che le fece chiudere gli occhi, gli altri due agenti non avevano perso tempo e spaventati avevano preso precauzioni.
F.Z.Z.T. una scossa elettrica le passò per tutto il corpo e quasi immediatamente le mozzò il fiato lasciandola priva di sensi. 
 


«Aiutami! Invece di star lì a tenere lo sportello...quello sta aperto anche da solo!» disse un uomo, vestito di nero, da dentro un furgone parcheggiato in un vicolo buio. «Magari se tu fossi un po' più cortese...» rispose l'altro, con ancora il camice addosso, abbastanza spazientito. 
«Oh mi scusi dottore! Le dispiacerebbe darmi una mano, sa sono un po' incasinato qui dentro?! COSI' VA MEGLIO PEZZO D'IDIOTA?» L'uomo con il camice bianco prese la cavia 3-1-7 ancora priva di sensi per le gambe e aiutò l'altro uomo a portarla fuori dal vano e a poggiarla sul marciapiede umido e maleodorante. «Sbrigati, falle l'iniziezione e andiamocene, prima che passi qualcuno di qui...» Il dottore alzò gli occhi al cielo, prese una siringa e tre fiale dalla tasca del camice spiegazzato. «Chi vuoi che passi di qui?» Caricò la siringa con il liquido delle tre fiale e ne cominciò a premere lo stantuffo per sistemarla. In realtà per il loro scopo non importava davvero eliminare l'aria all'interno della siringa, era più un gesto abituale il suo. «Questa dose dovrebbe bastare a...» «DOVREBBE?» Lo interruppe arrabbiato l'altro.« Sii certo che la metta k.o. non voglio storie con il capo. Se scopre quello che è successo la nostra coscienza, se ne abbiamo una, sarà l'ultimo nostro rimorso.» L'uomo in nero sbattè lo sportello del furgone innervosito e  spaventato. Dovevano mandare in overdose mortale la ragazza,  così da lasciarla lì e farla sembrare una tossica qualsiasi, di cui nessuno si sarebbe preoccupato più di tanto.  L'uomo in nero guardò l'orologio. Dovevano davvero sbrigarsi.  Di solito avevano un'altra metodologia per sbarazzarsi delle prove, ma la struttura dove lavoravano era già stata trasferita per metà, insieme ad un paio di cavie che il capo aveva ritenuto più interessanti e meno problematiche per le sue esigenze di quel momento. 3-1-7 sarebbe stata l'ultima ad essere trasferita, evidentemente aveva scelto il giorno sbagliato per ribellarsi, con tutti i problemi che aveva dato durante quegli ultimi anni arrivati a questo punto dei giochi era più facile liberarsi definitivamente di lei. 

3-1-7 socchiuse gli occhi senza vedere niente, solo ombre in uno sfondo semi-buio. Sussultò quando sentì un pizzicotto su un braccio e un ago freddo penetrarle la pelle...fece per gridare ma in realtà non uscì una sola nota dalla sua bocca. Ci riprovò...

Poco più in là quella sera un agente in vacanza dal suo 'straordinario' lavoro si stava dirigendo al punto d'incontro per un appuntamento galante con una donna che aveva conosciuto un mese prima durante una missione sotto copertura. Era contento, aveva trovato questa persona brillante e la sera si prospettava tra le più belle passate negli ultimi tempi. Tempi in cui il suo lavoro era diventato un appuntamento fisso. Non che gli dispiacesse, sia ben chiaro, amava il suo lavoro. Però, beh si sa, nella vita c'è bisogno anche di staccare la testa e trovare del tempo per se stessi.
Affrettò il passo, era in anticipo come sempre e voleva rimanerlo, girò l'angolo e... «AAAAAAAANGH!» un urlo strozzato lo raggiunse dal vicolo all'incrocio davanti a se. Lasciò cadere a terra la piccola scatola di cioccolatini che aveva preso per l'occasione e attraversò l'incrcoio non curante dell' ALT! lampeggiante in rosso e facendo inchiodare alcune macchine. 
Imbucò il vicolo e vide due uomini che gli davano le spalle, uno in piedi stava prendendo a calci un fagotto blu, che poteva essere un bimbo o una ragazza date le piccole dimensioni, mentre l'altro era chinato ad osservare la scena. L'agente non ci pensò due volte corse verso di loro e afferrò per le spalle l'uomo in piedi che cercò di liberarsi dalla sua presa ma lui lo colpì forte con un pugno prendendolo in pieno volto, scaraventandolo a terra e lasciandolo rintontito carponi sull'asfalto. Guardò il fagotto blu, prendendo atto che fosse una ragazza con un camice spiegazzato, sporco di sangue, del sudiciume del marciapiede e strappato in più punti. L'altro uomo si era scanzato, facendosi da parte impaurito e schiacciando qualcosa di vetro con un piede. 
L'agente si avvicinò alla ragazza cercando di capire se c'era qualcosa che avrebbe potuto fare per lei. 3-1-7 con l'aria confusa, gli occhi velati che fissavano indistintamente un punto sopra di lei, allungò una mano e afferrò la giacca dell'agente cercando di mettere a fuoco la scena, e di combattere spasmodicamente contro il cocktail che le era stato appena iniettato.
 
L'Agente si voltò verso l'altro uomo con il camice a cui semplicemente rivolse uno sguardo rigido che  gli fece alzare le mani in gesto di arresa: «La prego sono disarmato!» Anche l'Agente lo era ma non lo avrebbe rivelato, si limitò a guardarsi attorno e notò delle fialette rotte sul marciapiede e una siringa usata, si portò istintivamente una mano alla cintura spostando lo sguardo arrabbiato verso l'uomo con il camice.
«Non muovere un muscolo! Dimmi che cosa le hai iniettato.» gli ordinò l'Agente in borghese, o quasi a questo punto della vicenda. 
Sollevò la testa alla ragazza delicatamente, stringendo labbra e denti in un gesto nervoso e aggrottando le sopracciglia preoccupato. Aspettava una risposta dall'uomo con il camice e invece sentì l'uomo dietro di se muoversi e un rumore metallico lo avvertì che aveva tolto la sicura all'arma. Arma a cui l'Agente non aveva minimamente pensato, e per la quale mentalmente si maledì.
Alzò gli occhi al cielo e insieme, lentamente lasciando la ragazza, anche le mani disarmate. Vide il medico correre via, scattò verso di lui velocemente per fermarlo ma l'uomo in nero ancora intontito dal pugno preso poco prima sparò senza prendere la mira. Il rumore dello sparo fece modificare la dinamica dell'azione all'agente che frenando lo scatto si buttò a coprire la ragazza con il proprio corpo per proteggerla. Sentì le portiere chiudersi e il furgone partire con una sgommata. 
Sbuffò, le vacanze lo avevano davvero così rallentato? In realtà era accorso nel vicolo pensando ad una delle tante aggressioni a cui le grandi città come Los Angeles erano abituate, ma si era ritrovato in una situazione decisamente diversa, ed era stato fortunato che il colpo di pistola non fosse rivolto verso di lui. 
Allentò la presa sulla ragazza sorreggendole la testa e scanzandola dal proprio petto, la guardò con i suoi occhi verdi e le sorrise dolcemente, la lasciò appoggiata al proprio braccio, in modo che non tornasse a toccare il marciapiede e goffamente, data la posizione, si tolse la giacca per mettergliela addosso e coprirla, visto che il camice che indossava era in uno stato a dir poco pietoso.
«Sono l'Agente Phil Coulson, lavoro per la Strategic, Homeland, Intervention, Enforcement & Logistic Division. Sei al sicuro adesso.» 

«Agent Phil Coulson, with the Strategic Homeland, Intervention, Enforcement & Logistic Division. You're safe now.» 

                         


Lo disse con una calma tale che solo un'Agente dello S.H.I.E.L.D. era addestrato a mantenere.  «3-1-7» rispose con un sussurro la ragazza. 
«Cosa significa?» Le domandò Coulson passando due dita sulla macchia che il marciapiede le aveva lasciato sul volto. Alcune lacrime scesero dalle guance di lei, lo guardò negli occhi per alcuni istanti e perse nuovamente i sensi. 
L'inoltro della richiesta di - EMERGENZA - alla base S.H.I.E.L.D. più vicina era già partito dal telefono dell'Agente dal momento in cui aveva notato la siringa in terra con le tre fiale rotte accanto. I telefoni in dotazione agli Agenti, che Coulson portava sempre attaccato alla cintura, erano muniti di tasti veloci di emergenza che spesso nelle situazioni critiche potevano rivelarsi dei veri salvavita.  Infatti già si sentiva il rumore di un Quinjet in avvicinamento.

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Capitolo 2
*** 3-1-7 ***


3-1-7

Coulson stesso non aveva idea del 'perché' si fosse rivolto direttamente allo S.H.I.E.L.D. invece di chiamare un ospedale civile, per prendersi cura della ragazza. 
Qualcosa dentro di lui, probabilmente il suo sesto senso, gli stava gridando che quella era stata la cosa migliore da fare.
In quel momento si trovava sul Quinjet, ad un'ora di arrivo dalla base. Ormai aveva abbandonato l'idea dell' appuntamento romantico, appuntamento che sicuramente lo stava maledicendo per via della clamorosa buca ricevuta. 
Si era allentato la cravatta e rimboccato le maniche della camicia fino al gomito. 
Gli Agenti di supporto e i medici che erano arrivati con il veivolo, atterrato sul tetto di uno degli edifici intorno al vicolo dove era stata trovata 3-1-7, una volta aperto il portellone erano rimasti alquanto sorpresi nel vedere che l'Agente fosse piuttosto in salute e senza nemmeno un graffio e soprattutto che l'oggetto di tanta urgenza fosse una ragazza, per di più una civile. 
Comunque fosse si attennero agli ordini ricevuti, non avevano fatto altre domande che non riguardassero lo stato di salute della ragazza. «Rapporto, Agente!» disse con tono autorevole una dottoressa cominciando ad esaminare 3-1-7 mentre veniva portata velocemente sul Quinjet. 
«Civile. Due assalitori. Uno dei quali probabilmente medico, le deve aver somministrato un mix di quelle sostanze che erano contenute dentro le tre fiale che ho trovato laggù. Non so altro.» Seguì a passo svelto la barella osservando in modo alternato la dottoressa e la ragazza. Pensò velocemente a quello che era successo nel vicolo cercando altri dettagli che lì per lì potevano essergli sfuggiti. Fece un cenno di diniego con la testa e sospirò: «Non mi viene in mente altro. Ha provato a parlare ha detto 3-1-7 e poi ha perso i sensi. Non sembrava lucida, aveva lo sguardo fisso a tratti...» la dottoressa lo interruppe con un gesto della mano: «Ok. Non mi serve altro, stiamo già analizzando le fiale. Ne sapremo di più quando arriveremo alla base.» Coulson annuì e si fece da parte, osservando i medici intubare la ragazza, organizzarsi tra prelievi e flebo in modo rapido ed efficente.
 
Eccoci tornati al punto in cui l'Agente Coulson si era messo a pensare alla sua serata sfumata, distratto però dal pensiero più rumoroso di tutti gli altri, ovvero Chi diamine sei? rivolto verso la ragazza sdraiata sulla barella davanti a lui.  
Se ne stava seduto con i gomiti appoggiati alle ginocchia e il mento appoggiato sugli indici, pregando che i parametri vitali della ragazza, il cui *bip* dell'ecg a cadenza regolare era l'unico rumore che riempiva quella parte del Quinjet, si alzassero tornando in una fascia sicura. 
Guardò fuori e riconobbe le luci della pista d'atterraggio della base in lontananza, fece un respiro profondo e si accostò con la schiena al sedile allacciandosi in un gesto automatico le cinture. Strinse le labbra ad una fessura e strinse i denti. Aveva il brutto presentimento di essersi cacciato in una storia più grande di quanto in realtà appariva. I due uomini volevano disfarsi della ragazza "Probabilmente ha visto qualcosa che non doveva..." pensò appoggiando la testa al sedile aspettando le manovre di atterraggio del Quinjet.
Una volta toccata terra la ragazza fu portata d'urgenza nell'ospedale della struttura lasciando Coulson indietro a registrarsi e a fare rapporto sul motivo della sua presenza in quella base S.H.I.E.L.D.
Ci volle tutta la notte per stabilizzare i parametri vitali di 3-1-7. Coulson che era rimasto lì per tutto il tempo, tra scartoffie burocratiche e pensieri, si era allontanato dalla sala d'attesa solo la mattina seguente , con la parola dei medici che sarebbe stato informato non appena avessero avuto delle novità sulla salute della ragazza. 
Stanco Coulson si diresse in una parte della base S.H.I.E.L.D. dedicata agli Agenti operativi, dove vi erano dei monolocali destinati ad accoglierli quando erano in missione e non potevano allontanarsi dallo S.H.I.E.L.D. Trovò una stanza libera, vi passò davanti il proprio tesserino guadagando l'accesso ad un po' di meritato "RIPOSO". 
Mangiò qualcosa velocemente e altrettanto velocemente si spogliò lasciando i vestiti in ordine pronti all'uso su una sedia fuori dal bagno, si fece una doccia veloce e frugando nel piccolo armadietto nella stanza pescò una tuta unisex della sua taglia, nera con il marchio dello S.H.I.E.L.D. ben in vista. Questa cosa lo aveva sempre fatto sorridere, erano un'agenzia spionistica e il loro logo era ovunque e nessuno ci aveva mai fatto poi così caso. 
Una volta recuperato qualche momento per se stesso si stese sul letto e si addormentò, quasi per miracolo, con il rumore frenetico dei suoi pensieri. 
 

3-1-7 cominciò a recuperare coscienza, sentiva il rumore dei macchinari che la monitoravano rimbombargli nelle orecchie così si sforzò di aprire gli occhi. Quando vi riuscì si ritrovò in una stanza di ospedale, la frequenza cardiaca le si impennò, facendo impazzire l'ecg, per paura di essere tornata indietro dai suoi aguzzini. Alzò la testa e si sollevò su un braccio per guardarsi meglio attorno, si calmò quasi subito, notando alcuni particolari che le fecero riacquisire auto-controllo, uno dei quali il simbolo di un'aquila che ricorreva su diversi oggetti, come un marchio importante. Non lo conosceva e poteva essere un bene, sicuramente era quasi impossibile che esistesse un centro peggiore da quello da cui aveva tentato di fuggire. Si passò una mano sulla nuca dove sentiva una lieve pressione, con le punte delle dita toccò la superficie di un cerotto al disotto del quale sentiva la pelle tirare, ipotizzò che le avessero messo qualche punto...o forse erano stati quelli dell'istituto? Aveva qualche eco di ricordo ma non riusciva a mettere a fuoco i fatti. 
Nella stanza con lei non c'era nessuno, le tapparelle alla finestra erano abbassate, ma trapelava un po' di luce, ne dedusse solamente che sicuramente quella notte infernale era passata, poi se fosse passato più di un giorno non riusciva a stabilirlo. Finendo di passare la stanza con lo sguardo, su un bancone lì vicino vide una giacca nera appogiata in malo modo, e improvvisamente le tornò in mente l'uomo che l'aveva salvata. Si lasciò andare, poggiando la testa sul cuscino con un piccolo tonfo sordo, e cercò di rilassarsi, le facevano male tutti muscoli e tutte le ossa, si sentiva debole e la testa ovattata, il suo dono si era assopito annichilito da ciò che le avevano iniettato e ancora le era difficile concentrarsi, sapeva che quell'uomo dagli occhi verdi le aveva detto il suo nome ma in quel momento non riusciva a ricordarlo, oltre al colore degli occhi ricordava bene il timbro della sua voce: «...Sei al sicuro adesso.» «...You're safe now.»
Voleva credergli, anzi... ne aveva veramente bisogno, così chiuse gli occhi e si abbandonò al riposo. 
 

Quando 3-1-7 riaprì gli occhi fuori era nuovamente buio, sentì un rumore vicino a lei e girando la testa vide una donna con un camice bianco: «Chi è lei?» la voce le uscì roca, cercò di schiarirsela tossendo ma aveva la bocca impastata e secca. La donna si girò verso di lei: «Oh! Finalmente ti sei svegliata.» aveva l'aria sollevata e si affrettò a controllare i vari schermi vicino al letto, punzecchiandoli con le punte delle dita per ampliare le informazioni e metterle in primo piano al posto di altre. «Ti do subito dell'acqua...» disse distogliendo lo sguardo dai dati. «Sono la dottoressa Susan Cormack. Sei al sicuro in un ospedale, ci stiamo prendendo cura di te.» si allontanò dalla visuale della ragazza, che rimase in silenzio, per aprire uno stipetto da cui estrasse una bottiglia d'acqua e una pila di bicchieri di plastica. Ne prese uno e lo riempì tornando vicino a 3-1-7. Prima di porgerle il bicchiere premette un tasto sul telecomando del lettino per alzarne un po' lo schienale e avvicinò il tavolino scorrevole dove infine vi poggiò il bicchiere: «Ecco qua!» le disse accennando ad un sorriso: «Mentre chiamo i miei superiori, mi diresti il tuo nome? Così lo aggiungo alla cartella...» Così chiedendo premette un'altro tasto, questa volta da dietro la testata del letto, vicino ad uno degli schermi di monitoraggio.
 «3-1-7» rispose la ragazza guardandola e bevendo un sorso d'acqua. 
La dottoressa ricambiò lo sguardo perplessa. Si sentì un bip e una voce dall'altro capo dell'interfono: «Stanza 24B, ci sono novità?» «Si! Chiamate l'Agente Coulson, la ragazza si è appena...svegliata.» 
Coulson percorse il corridoio a passo svelto, era al telefono con il Direttore quando era arrivata la notizia che la ragazza che aveva trovato la sera prima si era finalmente svegliata. 
Nick Fury non era particolarmente contento della scelta di Coulson di portarla nella base S.H.I.E.L.D. e quest'ultimo si era sentito uno sciocco e si era quasi pentito di averlo fatto. «Mi occuperò personalmente delle conseguenze.» Aveva cercato di rassicurarlo. «Mi faccia solo fare alcune domande, ho un presentimento sulla ragazza...qualcosa non mi quadra in quello che è successo in quel vicolo.» Strinse i denti cammiando avanti e indietro per il corridoio con passo lento e fare nervoso aspettando una risposta dal Direttore che non arrivò.  «Stamattina presto ho letto il rapporto medico dello staff. La ragazza è piena di cicatrici che una persona normale non dovrebbe presentare.» Aggiunse.
Sentì un sospiro venire dall'altro capo del telefono: «Ho letto il suo rapporto su questa notte. E ho qui di fronte una copia della cartella clinica ed effettivamente ci sono alcuni dettagli che non quadrano con delle comuni aggressioni.» Coulson lo interruppe per un attimo: «Ho fatto delle ricerche, nei database non ci sono sparizioni recenti di ragazze che corrispondo al suo aspetto. Penso ci sia qualcosa di più dietro.» Parlando distrattamente si inumidì il labbro inferiore con la lingua, sperava di riuscire a convincere il Direttore. 
Ci fu silenzio per alcuni secondi e poi: «Agisca come crede sia giusto, mi fido di lei Agente Coulson, non me ne faccia pentire.» 
In quel momento arrivò un'infermiera correndo: «Eccola Agente, la stanno aspettando nella stanza 24B, la ragazza si è svegliata.» L'uomo fece un segno di assenso e le fece cenno con una mano che gli serviva solo un attimo. «Solo alcune domande Signore, se vedo che mi sto sbagliando la faccio trasferire in un ospedale in LA.» «Ha il mio permesso Agente».  
Phil Coulson bussò alla porta della stanza 24B ed entrò: «Buonasera, sono l'Agente Phil Coulson, non so se ti ricordi di me.» Si girò a chiudere la porta facendo una pausa per sentire se la ragazza era incline a parlare con lui. 
3-1-7 lo guardò incuriosita, senza rivederlo non avrebbe potuto descriverlo ma lo avrebbe ugualmente riconosciuto. 
«Mi ricordo di lei.» L'Agente si girò verso di lei sorridendo: «Posso sedermi vicino a te? Avrei bisogno di farti alcune domande...» La ragazza annuì, guardandosi le mani e sentendosi in imbarazzo. Era la prima volta che parlava con qualcuno al di fuori della struttura. Aveva ricordi lontanissimi, sapeva che era già successo, probabilmente con i suoi genitori ma non aveva ricordi visivi, solo pochissime sensazioni. E in più, si sentiva ancora abbastanza uno schifo.
Si guardò in giro per la stanza per poi tornare a concentrarsi sulle proprie mani. 
«Grazie...»  alzò lo sguardo verso Coulson. «La ringrazio per avermi salvata. Non sa...in che debito mi ha cacciata.» Accennò un sorriso storto, e una lacrima le scese su una guancia. «Mi scusi, è che sono nervosa, non riesco a controllarmi.» Si asciugò la lacrima e si schiarì la voce. Coulson fece spallucce: «Non è un problema per me. Hai tutte le buone ragioni per sfogarti.» Accostò la sedia della dottoressa al fianco del letto, mettendosi seduto di fronte alla ragazza. «Come ti chiami?» «3-1-7» rispose lei automaticamente.
«Oh...» Coulson si rese conto del significato della loro breve conversazione nel vicolo. Però questo non è un nome. La guardò incuriosito: «Non è un nome... comune.» 
Lei lo guardò preoccupata, aveva paura a raccontargli come stavano le cose, se l'avesse rimandata indietro? O se avesse voluto approfittare anche lui del suo potere? Non sapeva quasi niente del mondo al di fuori dell'istituto dove era cresciuta, i suoi ricordi ricorrevano a poche cose di quando aveva circa 10 anni e a quell'età si sa, è tutto rosa e fiori. 
«Non mi ricordo il mio nome, questo è quello che mi hanno dato all'istituto dove mi tenevano.» 
La storia cominciava a farsi interessante, il sesto senso dell'Agente gli urlò che aveva ragione, c'era qualcosa di più, ma non era più tanto sicuro di volerlo sapere. Rivolse un'altro sguardo alla ragazza, analizzandola: era magra, pallida e aveva alcuni lividi su viso, collo e braccia. Aveva notato che le maniere dei due uomini non fossero delle più delicate, ma probabilmente c'era stata una colluttazione prima che arrivassero in quel vicolo.  Riconobbe le cicatrici menzionate nel rapporto medico, perlomeno quelle in vista. Molte in via di guarigione, sottili, bianche, troppo precise per essere solo graffi. Aveva i capelli alle spalle tirati su che rendevano il cerotto sulla nuca ben visibile. 
«Quale istituto? Dove si trova?» Domandò appoggiandosi allo schienale della sedia e incrociando le braccia. 
«Non so dove sia, questa è la prima volta che esco da...anni. Fanno degli esperimenti la dentro.» Deglutì cercando di riflettere su cosa dire e cosa omettere. «Non so bene il perchè, non parlano mai con noi, ci operano. Ci fanno esami su esami. Test su test.» Coulson l'ascoltò basito. Non era una novità l'esistenza di tali strutture. E lo S.H.I.E.L.D. probabilmente aveva anche partecipato nel farne smantellare alcune. Soprattutto se dietro queste strutture c'erano menti criminali conosciute nell'agenzia. 
«Parli al plurale, c'erano altre persone come te, che subivano queste cose?» 3-1-7 ci pensò un attimo poi optò per una mezza verità: «Si. Fino a qualche anno fa c'erano altre cavie, poi piano, piano sono rimasta da sola.» Guardò l'Agente tirandosi un po' su, per stare più comoda, cosa difficile dato che dovunque toccasse le faceva male.
«Sai quando sei nata?» domandò Coulson avvicinandosi con la sedia alla scrivania per rubare un foglio e una penna e prendere gli appunti su quello a cui era venuto a conoscenza. La ragazza annuì: «Il 17 Giugno 1979». Voltandole le spalle l'Agente fece un rapido conto: «Dunque hai 23 anni.» «Già. Ho passato circa 13 anni all'istituto. Non... non ho molti ricordi di quando sono arrivata là.» Confusa guardò l'agente per qualche attimo negli occhi, cercando di concentrarsi e capire bene la situazione.
«Da che parte state ?! Intendo lei e la Strategic Homeland...» distolse un attimo gli occhi dall'uomo cercando di ricordare cosa avesse detto nel vicolo ma non vi riuscì. «Difficile da ricordare vero?» «A little bit mouthful doesn't it?» sorrise lui. «Stiamo dalla parte dei buoni, qui non ti verrà fatto niente di tutto ciò che hai raccontato. Gli unici esami saranno solamente per verificare le tue condizioni di salute.» 3-1-7 annuì ad ogni parola grata nel sentirgliele dire. «Okay. Hem...io, cosa mi succederà adesso?» Non aveva nessuno. Non apparteneva a nessun posto. Non sapeva niente della vita lì fuori. 
«Cercheremo di ridarti un'identità, o di creartene una nuova. Non ti lasceremo in mezzo ad una strada se è questo che temi. » La rassicurò l'uomo. 
«Temo che mi vengano a cercare.» Le uscì senza pensarci, e il terrore le si annidò dentro. Coulson lo notò e una parte in fondo a lui si incupì, non lo dette a vedere, da buon agente riusciva a mantenere una facciata neutra, così cercò di consolarla e di rassicurarla: «Dovrebbero prima essere certi che tu sia sopravvissuta alla notte, cosa improbabile dal loro punto di vista. Fino a qualche ora fa... beh lo era anche dal nostro di punti di vista.» Si alzò dalla sedia e si avvicinò al letto sedendovisi, vicino a lei. «Nel caso vengano a cercarti, saremo pronti a proteggerti. Nel frattempo cercheremo noi loro.» 
In quell'istante entrò la dottoressa Cormack nella stanza: «Salve Agente Coulson, ci metterò solo un attimo, devo solo prendere un campione di sangue dalla nostra ragazza. Vediamo a che punto siamo con le cure.» Così dicendo fece il giro del letto, andando dalla parte opposta dell'uomo. Prese il braccio della ragazza, chiuse l'agocanula della flebo. Applicò il laccio emostatico, scartò una siringa pescata dalla tasca e... a quel punto 3-1-7 si girò dall'altra parte. 
Coulson stava per sorridere ma se ne pentì solo per averne avuto l'intenzione, perchè ovviamente non era una paura infantile la sua, ma ricordi di una brutta esperienza. 
Quando la dottoressa con una mano afferrò il bracciò della ragazza per tenerlo fermo e con l'altra fece penetrare l'ago nella pelle, questa afferrò la mano dell'agente inconsciamente, cercando qualcosa a cui aggrapparsi. 
Come una valanga, i sentimenti della dottoressa le si riversarono addosso. Era stata una giornata lunga, stancante e per certi aspetti frustrante, per altri invece soddisfacente. 3-1-7 si sentì lieta di scoprire che faceva parte delle soddisfazioni del giorno e non delle frustrazioni. Quando finalmente la lasciò andare 3-1-7 riprese fiato e aprì gli occhi, che non si era accorta di aver chiuso. «Scusi, ho paura degli aghi.» mentì. 
Si accorse in quel momento che stava tenendo il polso dell'Agente. Lo mollò, lasciandoci un segno bianco. 
Guardò Coulson in viso e poi gli guardò il braccio. «Tutto a posto?» le domandò l'uomo. Lei annuì guardandolo ancora stordita. 
Coulson guardò la dottoressa che annuì alzando un sopracciglio in segno d'intesa e poi si rivolse di nuovo alla ragazza: «E' meglio se ti lascio in pace. Tornerò domani, con un piano per te e spero delle novità. Magari ti porto qualche libro, per passare il tempo.» 
3-1-7 rimase in silenzio. Si limitò ad annuire. Coulson strinse le labbra annuendo distrattamente a sua volta e si diresse verso la porta. 
«Riposati. E nel frattempo pensa ad un nuovo nome.» Sorrise, cercando di sollevarle il morale: «Uno tosto, te lo meriti!» (A badass one. You deserve it!)
 

3-1-7 si svegliò sudata e dolorante nel cuore della notte. Da quando aveva chiuso gli occhi, poche ore prima, era stato un susseguirsi frenetico di incubi. Alcuni senza senso che sfociavano poi in altri che davano sfogo, una ad una ad ogni sua paura. Il cuore le palpitava, non era più attaccata all'ecografo e nella stanza c'era un silenzio e un buio che la fecero rabbrividire. Allungò una mano in cerca del telecomando del letto e ne accese le luci fioche per la lettura. Piano, piano si calmò, scostò le coperte e si mise seduta respirando a fondo. Si guardò intorno per rassicurarsi e notò la giacca dell'Agente appesa all'attaccapanni a muro vicino alla porta. La dottoressa doveva averla spostata dalla notte prima e soprattutto doveva essersi dimenticata di renderla al proprietario. 3-1-7 si mise a sedere sul letto e piano, piano si fece scivolare sull'orlo del materasso fino a toccare con i piedi scalzi il pavimento ghiaccio. Appena riuscì a mettersi in piedi sentì la testa girarle, ancora non aveva fatto un pasto come si doveva e ne sentiva la mancanza fisiologica. Si appoggiò all'asta della flebo, ancora attaccata al suo braccio e piano, piano strascicando i piedi si avvicinò all'attaccapanni, sollevò la giacca con la mano libera e la portò con se al letto. Si rimise con le gambe sotto le coperte per recuperare un po' di calore. Appoggiò la schiena ai cuscini, mettendosi comoda.
Toccò il tessuto della giacca cercandone i "ricordi" ma niente, non avvertì nè vide niente. L'avvicinò al viso chiudendo gli occhi e concentrandosi, ma ancora niente, a parte il profumo che portava l'agente Coulson. Storse la bocca demoralizzata, probabilmente era ancora molto stanca e il suo "dono" non funzionava a dovere. Anche se...con la dottoressa aveva funzionato piuttosto bene. Si girò su un fianco, tirò le coperte fino a coprirle le orecchie e mise la giacca nera poggiata vicino al cuscino. Possibile che anche quell'uomo abbia un dono analogo al mio? Con questo pensiero il sonno fece di nuovo capolino e lei vi si lasciò andare sperando di non avere altri incubi.


Nel frattempo Coulson era nello studio di casa sua poco fuori Los Angeles, il computer acceso su alcuni database dello S.H.I.E.L.D. e di varie altre intelligence. Tamburellava con la mano destra la penna su  diverse cartelle in bianco che doveva riempire per il Direttore Fury e aveva fatto una lista su un foglio volante di quello che sapeva della ragazza per cercare di farne un po' più chiarezza.  
⦁    "3-1-7" è la sigla che le hanno dato nella "struttura" - Nome di battesimo non pervenuto.
⦁    Nata il 17 Giugno 1979 - presa dai suoi rapitori all'incirca nell'89 all'età di 10 anni, con cui è rimasta per circa 13 anni. 
⦁    Presenta numerose vecchie cicatrici riconducibili ad operazioni chirurgiche, data la precisione dei tagli, la maggiorparte delle quali situate dietro la nuca, sul collo e sulla testa dietro le orecchie.
⦁    Nei suoi racconti fa menzione di un istituto dove svolgono degli esperimenti - (Genetici? Chimici? Batteriologici?)
Usando la data di nascita e la data del "rapimento" cercò sul computer le sparizioni di bambine di 10 anni avvenute nell'89. Escluse i casi risolti. Escluse le false piste. E niente, non trovò assolutamente NIENTE. Si allungò sulla sedia e si passò le mani nei capelli corti lasciandole poi allacciate dietro al collo. Demoralizzato e stanco mise insieme due idee e mandò delle mail usando i canali S.H.I.E.L.D. a degli Agenti di grado superiore al suo per vedere se più menti e gradi più alti di autorizzazione riuscivano a mettere insieme qualcosa su questa faccenda. Fatto ciò, mise in ordine le cartelle pronte per portarsele dietro in ospedale il giorno seguente per riempirle insieme alla ragazza. 

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Capitolo 3
*** Benvenuta! ***


Benvenuta...!

La mattina seguente 3-1-7 si svegliò presto sentendo dei rumori nella camera. Alzò lo sguardo dalle coperte, la dottoressa Cormack era già al lavoro. «Buongiorno!» le disse la donna quando si accorse che era sveglia. 
La ragazza rimase un attimo in silenzio, poi un po' titubante si girò supina e con il telecomando del letto tirò sù lo schienale: «Buongiorno dottoressa.» 
«Come stai oggi?» Susan Cormack le controllò la flebo e guardò la ragazza aspettando una risposta ma 3-1-7 scostò lo sguardo distratta dal fatto che si era resa conto che la giacca dell'agente non era più sul letto. 
«L'ho messa da parte. Penso che sia meglio lavarla prima di rendergliela. No?» Le disse la dottoressa sorridendole. 
Le girò le spalle per prendere qualcosa dalla scrivania mentre 3-1-7 rimase in silenzio un po' imbarazzata. «E' normale che sia importante per te. Voglio dire...è un simbolo. Dio solo sa cosa hai passato e quello è stato il primo contatto con una nuova realtà». Dicendo questo la dottoressa si girò di nuovo verso di lei con un vassoio in mano. «Ecco la colazione, gentilmente offerta dalla Strategic Homeland Intervention e blah blah blah via dicendo!» scherzò la donna.
3-1-7 si affrettò a far scorrere il tavolino del letto fino ad arrivarle di fronte: «Grazie...» rispose la ragazza «...sto morendo di fame.» aggiunse facendo un sorriso storto. 
Ai primi bocconi cominciò subito a sentirsi meglio, sia fisicamente che moralmente, scordandosi l'imbarazzo del dialogo precedente.
Poco prima di aver finito la sua colazione, bussarono alla porta, era l'agente Coulson che aprì la porta alla risposta: «Avanti!» della dottoressa.  «Buongiorno dottoressa Cormak, buongiorno 3-1-7.» salutò entrambe le ragazze entrando nella stanza. 
«Buongiorno Agente Coulson, la lascio al suo lavoro, se ha bisogno basta suonare il campanello.» Disse la dottoressa prendendo le sue cose e sorpassando l'agente per uscire.
L'uomo si sfilò la borsa dei documenti dalle spalle poggiandola per terra e poggiò il bicchiere del caffè, preso poco prima ad un chiosco, sulla scrivania. «Buongiorno signore.» 3-1-7 notò che l'agente indossava un completo diverso, questa volta di colore grigio e al taschino aveva attaccato un tesserino bianco e giallo.
L'uomo afferrò la sedia che era lì vicino e l'avvicinò al letto della ragazza, portandosi dietro la borsa da cui tirò fuori la cartella che avrebbe contenuto da lì a pochi mesi tutti i dati di lei.  Coulson poggiò l'occorrente sul bordo del letto: «Mi dispiace disturbarti così presto ma domani rientro ufficialmente a lavoro e mi dovrò occupare di un altro incarico.» La ragazza annuì tirando giù l'ultimo sorso di succo d'arancia. Per poter scanzare via il tavolino e fare più spazio all'agente. «Non ci sono problemi. Non ho molto altro da fare.» 
«Per rimediare a questo, ti ho portato alcuni libri. Dopo ricordami di darteli.» Nel frattempo l'agente aprì la cartella e tirò fuori i primi fogli: «Ho fatto delle ricerche e nessun caso corrisponde al tuo. Anche dall'alto non è arrivato niente di utile. Quindi sarei per creare una nuova identità ed usare un nuovo nome, che ne dici? Hai pensato a qualcosa?» 
3-1-7 rimase un attimo in silenzio, effettivamente ci aveva pensato ma... in quel momento le sembrava una sciocchezza così annuì imbarazzata e distogliendo lo sguardo dall'uomo gli rispose: «Nell'istituto ho visto una serie tv, ambientata negli anni 40 e la protagonista era un'archeologa di nome Janice.» Dirlo a voce alta la fece sentire ancora più sciocca ed infantile, però quel nome le piaceva. «Ed era davvero tosta... Che dice, può andare?»
Coulson sorrise: «Bel nome, mi sembra perfetto. Ho visto anche io quella serie!» 3-1-7 rise portandosi le mani al viso: «Ok, è stupido vero?» Coulson diniegò con un cenno della testa ridendo anche lui: «No, per niente.» e scrisse il nuovo nome di 3-1-7. 
 
Nome originario: Non pervenuto - Conosciuta con il nome in codice 3-1-7. 
Nome nuova identità: Janice 
Cognome: ...
Sesso: F

«Quando verrà rivisionato questo file ti verrà assegnato un cognome a tua scelta tra diverse opzioni.» 3-1-7 annuì seguendo con lo sguardo la penna che scriveva i suoi nuovi dati.
 
Data di nascita: 17 Giugno 1979

«Sai dove sei nata?» 
«Nope. Ho sentito dire una volta che sono americana, ma non so di preciso di dove, e soprattutto se sia vero.» Coulson annuì senza distogliere lo sguardo dal foglio e aggiunse: 
 
Provenienza originaria: Sconosciuta 
Provenienza nuova identità: ...

«Anche questa verrà aggiunta quando decideranno dove spostarti.» Prese dalla cartella il foglio dei pochi dati presi dal team medico. 
 
Altezza: 1m 67cm
Colore degli occhi: Verdi
Colore dei capelli: Castani ramati.

«Hai dei segni particolari da riferire, oltre alle cicatrici dietro al collo e alla testa?» la ragazza arrossì: «Ho le cicatrici dell'intervento per la protesi.» Coulson alzò gli occhi dal foglio: «Protesi?» domandò sbigottito. 
La ragazza annuì. «Tre anni e mezzo fa una delle micro-sonde che mi applicarono nella testa si guastò...» era stata colpa sua ma non se la sentì di specificare: «...e persi l'uso delle gambe. Mi operarono e mi misero una protesi, è un esoscheletro applicato alle mie ossa che registra gli impulsi che arrivano dal mio cervello per passarli al mio sistema nervoso. Le gambe funzionano come prima, però sono capace di sopportare più peso, mentre la sensibilità non è mai tornata come prima.» 3-1-7 raccontò tutto cercando di omettere la parte per cui riusciva a farlo grazie le sue capacità cerebrali alterate. Coulson la guardò rimanendo a bocca aperta: «Ah, va bene, questa parte l'abbozzo e la lascio ai medici.» Magari possiamo risalire a qualcosa di interessante facendo uno scan delle protesi. Pensò l'uomo grattandosi una tempia con il fondo della penna. 
 
Segni di riconoscimento: Diverse cicatrici sul corpo, per informazioni precise rivolgersi all'allegato medico.

Sotto la dicitura "Background originario" Coulson scrisse tutto quello che avevano detto su di lei in quei due giorni. Il rapimento, il tempo passato nell'Istituto, dove l'agente venne a sapere che la ragazza aveva avuto un' istruzione normale, come si conviene ad ogni ragazza della sua età, in più il tempo per leggere e approfondire argomenti non era mancato, quindi aveva una cultura generale buona, mancava tutta la parte di esperienza personale, nessun viaggio, mai visto un museo, lontani ricordi di cosa potesse essere un cinema, pochissima tv con solo determinati programmi, e ovviamente nessuna vita sociale se non quella poca avuta con gli altri pazienti. 
L'agente rilesse quello che aveva scritto, controllando se il profilo, anche se incompleto, stesse prendendo forma, fornendo tutti i dettagli che sarebbero poi serviti ai diversi addetti per completare la sua scheda. 
«Non è molto...» ammise: «Ma è qualcosa su cui cominciare.» Mise in ordine i fogli che aveva compilato e li rimise nel fascicolo, ne recuperò altri dalla cartella che compilò e poi porse alla ragazza: «Mi servirebbe la tua firma qui...» disse indicando un punto. «E qui.» Aggiunse indicandone un'altro poco più sotto. 
«Va bene anche solo Janice, l'importante è che ci sia una prova grafica che ho compilato i moduli davanti a te e che non mi sia inventato tutto.» 
La ragazza prese i fogli e vi scrisse il suo nuovo nome sopra, una marea di sentimenti esplosero mentre la penna scorreva sul foglio, sorrise sentendosi improvvisamente qualcuno e non più un numero. Gli occhi le si gonfiarono di lacrime mentre continuava a sorridere: «Scusi...» riuscì solo a dire asciugandosi una guancia con la manica del camice. 
Coulson accennò un sorriso comprensivo e rispettoso della gioia e della commozione della ragazza: «Benvenuta Janice!» le disse. 
Rimasero qualche attimo in silenzio in cui l'Agente mise a posto tutti i documenti pronti per essere validati e nel mentre Janice si concentrava nel trattenere l'emozione, il brutto del suo potere era che doveva sempre mantenere il controllo perchè rischiava di influenzare i sentimenti di chi le stava intorno. 

«Questi sono i libri che ti ho portato.» Disse l'agente posando sul letto tre libri. «Spero che ti piacciano, ho scelto tra quelli che vanno di più tra i ragazzi, anche un po' a gusto personale a dire il vero, scopriremo se abbiamo gli stessi gusti...» scherzando tirò fuori anche un'albo a fumetti: «Questo è totalmente a gusto personale, ma vista l'origine del tuo nuovo nome, ora sono quasi certo che ti possa piacere.» Passò l'albo a Janice stringendo le labbra in un'espressione divertita, poi aggiunse: «Sono alcune delle storie di Captain America, è un po' il mio idolo. Condivido i suoi ideali e mi piace il simbolo di speranza che è  stato per molta  gente.» 
Janice lo guardò incuriosita, era strano vedere un uomo preso da dei libri di avventura, non aveva mai conosciuto persone così, o forse sì e semplicemente non le ricordava. Rimase un po' imbarazzata dalla sua gentilezza e non sapeva bene come rispondere... un semplice grazie sembrava ridicolo. 
«Grazie.» Rispose arrossendo e maledicendosi subito dopo. 
Coulson non disse nulla, non sorrise propriamente ma gli angoli della bocca si incurvarono in un mezzo sorriso che ricordava tanto un gatto. Sembrava gli avesse letto nel pensiero. 
«Mi sento un totale disastro in questo momento.» Ammise la ragazza. «In tre giorni la mia vita è cambiata radicalmente...» fece un sospiro profondo prendendosi un attimo di pausa. Coulson divenne serio e rimase ad ascoltarla. «Non sono nemmeno ancora sicura che voi siate i buoni, non so niente di voi... so solo che vi siete presi cura di me. E per me in questo momento tanto basta... ma sono confusa perchè devo ancora rendermi conto di quello che mi sta succedendo.» Coulson si passò la lingua sul labbro inferiore in un gesto distratto, non aveva ancora specificato alla ragazza cosa fosse la Strategic, Homeland, Intervention Enforcement and Logistic Divsion, per una questione quasi burocratica. Però quello sembrava il momento giusto di spiegarle in che mani si fosse messa. «A questo punto dei fatti, sei abbastanza coinvolta da permettermi di scoprire alcune delle carte in tavola e  poterti assicurare che siamo davvero i buoni.» Si alzò dalla sedia per andare a recuperare il suo bicchiere di caffè e tornò a sedersi. «Facciamo parte di un'agenzia di intelligence spionistica. Per quello molte delle nostre risposte sono:"Non è pervenuto." oppure:"Informazione riservata."» Scherzò sull'argomento e bevve un sorso di caffè, mentre Janice lo ascoltava: «Pochi sanno della nostra esistenza e di cosa ci occupiamo, non posso dirti più di tanto ma sappi che siamo tutti agenti specializzati che ci adoperiamo con ricerche e con missioni sul campo a mantenere sicure le persone dalle minacce che vi sono la fuori.» Janice annuì confusa guardando distrattamente i libri che aveva sulle ginocchia, aveva mille cose per la testa...e a quel punto le serviva solo tempo per metterle in ordine e vedere cosa succedeva. Si lasciò andare e si appoggiò al cuscino: «Grazie Agente!» Coulson annuì senza rispondere. 

«Da domani verrò assegnato ad un nuovo incarico e devo andare via per un po'. Una equipe specializzata si prenderà cura di te e ti aiuteranno con il tempo a muovere i primi passi in questo mondo.» L'uomo si alzò dalla sedia e gli porse la mano: «Mi ha fatto piacere conoscerti. Se non ci dovessimo rivedere, buona fortuna!» Janice allungò la mano titubante e strinse quella dell'Agente. Niente. Non successe niente. Confusa sorrise: «Buona fortuna a lei. Spero di rivederla... sennò come posso farle sapere se mi sono piaciuti?» disse tirando su la piccola pila di libri. Coulson aggrottò la fronte per un attimo e fece un mezzo sorriso divertito: «Giusto! Allora alla prossima Janice.» Così dicendo prese le sue cose ed uscì dalla stanza. Janice rimase ad osservare la porta chiusa e senza saperlo stava avendo la stessa sensazione che stava sentendo l'agente mentre percorreva il corridoio allontanandosi dalla 24B, ovvero la consapevolezza che il caso si stava chiudendo e che probabilmente non si sarebbero mai più rivisti.

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Capitolo 4
*** Codice Rosso ***


4. Codice Rosso: Base sotto Attacco

Erano passati 20 giorni da quando Janice era stata ricoverata alla struttura S.H.I.E.L.D. 
Durante la prima settimana i medici le avevano fatto un check-up completo del suo stato di salute, il cui esito aveva dimostrato che la ragazza aveva risposto bene alle cure ed era completamente disintossicata dal cocktail di droghe che le era stato iniettato, nonostante ciò la stavano ancora tenendo sotto controllo, facendo regolarmente degli esami veloci. 
I lividi si stavano piano, piano riassorbendo ed erano stati rimossi i punti dall'incisione dietro la nuca che stava guarendo bene.  
Le avevano fatto anche una scansione della protesi alle gambe, come aveva ordinato l'agente Coulson, ma senza scoprire granchè di particolarmente utile : era una protesi in titanio, di tecnologia avanzata e non comune negli ospedali civili, non vi erano né firme di fabbrica o del lotto da cui provenivano i vari pezzi usati, niente di niente che potesse essere minimamente utile per risalire a qualcuno a ad una società. 
Con delusione la scansione venne archiviata come "prova non valida" e aggiunta al database clinico della ragazza. 
Janice si era affidata alle cure dei medici e degli agenti che stavano cercando di aiutarla a crearsi una nuova vita, ovviamente non essendo una cosa fattibile in poche settimane, il Direttore Fury, che si stava occupando della faccenda a distanza, mise a disposizione della ragazza uno degli alloggi S.H.I.E.L.D. della struttura, così che potesse cominciare a recuperare contatto con una routine giornaliere e allo stesso tempo che potesse continuare il suo programma di recupero. 
Era stato deciso di assegnarle uno psicologo che l'aiutasse ad affrontare questa nuova situazione in cui si trovava e che si rivelò particolarmente utile dopo che, passati i primi giorni da sola nel nuovo alloggio, a causa degli incubi Janice si era svegliata diverse volte nel cuore della notte in preda a degli attacchi di panico e di ansia che aveva gestito a fatica. Lo psicologo la stava aiutando ad affrontare la situazione e le aveva prescritto dei farmaci per aiutarla ad avere un sonno regolare e a ritrovare la tranquillità. 
Era passata una settimana dall'ultima notte passata in bianco e la ragazza, aiutata dallo psicologo, aveva ripreso una vita normale passando il tempo a costruirsi una routine giornaliera. 

Aveva passato quei giorni leggendo i libri che l'agente Coulson le aveva portato in ospedale e guardando ogni tanto la tv. Stava anche imparando a cucinare cose semplici ed a gestirsi il tempo da sola, senza che nessuno dovesse dirle continuamente cosa fare e in quanto tempo. 
Si era tagliata i capelli, per necessità e praticità, sfoggiando ora un taglio corto, un po' asimmetrico...e soprattutto, scelto da lei. 
Per ultima cosa, ma non meno importante aveva finalmente lavato la giacca dell'agente Coulson, usando i consigli di una donna conosciuta per caso che aveva pernottato in un appartamento vicino al suo per pochi giorni. 
Così tra una cosa ed un'altra erano passati i giorni fino ad arrivare a  quella sera in particolare, in cui aveva fatto una lunga doccia, si era cucinata la cena a base di uova, pancetta e verdure e si era messa a guardare un po' di televione, passando da un canale ad un altro con curiosità.  Quando in tarda serata cominciarono a chiuderlesi gli occhi dalla stanchezza decise di spengere la tv, mettere a posto tutto, prendere le sue medicine e andare a dormire. 

Nel cuore della notte dei rumori provenienti dal corridoio del piano la svegliarono, erano indistinti e non riusciva ad associarli a qualcosa di familiare. Allungò una mano per accendere la luce, ma quando premette l'interruttore non successe niente. Guardandosi intorno notò che le spie degli elettrodomestici erano spente, ne dedusse così che era stata staccata la corrente. Si alzò dal letto con la paura che le cominciava ad insinuarsi dentro e con le mani tese verso il buio cercò di raggiungere la porta d'ingresso passando il minuscolo corridoio che divideva la camera e il bagno dalla stanza principale. Picchiò contro una sedia facendosi male e perse per un attimo l'orientamento nella stanza. Si agitò cercando a tastoni qualche punto di riferimento e sbattendo nei pochi mobili che c'erano lì attorno. 
Cominciava a mancarle l'aria ma finalmente colpì la maniglia della porta d'ingresso e vi si appese cercando di aprirla... in quel momento dall'altro lato una persona spinse la porta con forza verso di lei aprendola violentemente e sbattendo a terra la ragazza. 
La torcia, che l'uomo portava agganciata alla spalla della divisa nera, accecò Janice che ancora seduta per terra cercò di indietreggiare proteggendosi gli occhi. Sentì l'influenza dell'uomo scorrerle sulla pelle e la fece rabbrividire, senza vederne il viso o la divisa riuscì lo stesso a riconoscerlo, era uno dei guardiani dell'Istituto. Cercò di scappare via carponi ma lui la raggiunse mettendola all'angolo. «Pensavi che  non ti avremmo ritrovata, uh?» domandò alzandole con una mano il mento in modo che lo guardasse in faccia, alla luce della torcia. 
«Ah-ha 3-1-7...» le carezzò una guancia umida dalle lacrime. Sorridendo l'uomo avvicinò la bocca all'orecchio di lei aggiungendo: «Non ti è permesso scappare. Hai disobbedito...» Janice chiuse gli occhi e cominciò a singhiozzare, mentre il soldato alzandosi in piedi la sollevò da terra tenendola per il collo. 
 

Un biiip prolungato che proveniva da una consolle nell' ufficio, avvertì il Direttore Fury che una delle sue basi stava subendo un attacco, e non fu per niente sorpreso nel constatare che fosse proprio quella dove tenevano la nuova ragazza. 
Maledicendo da una parte Coulson e con il sentore di essere un passo più vicino a scoprire la verità sulla ragazza dall'altra, corse verso l'hangar del Triskelion dando direttive a diverse squadre di agenti che si trovavano già nelle vicinanze della base sotto attacco. Comandò loro di tenersi pronti all'azione in attesa di un suo ordine. Chiamò al rapporto alcuni agenti operativi che con lui formavano un'ulteriore squadra di supporto e insieme si organizzarono velocemente su un quinjet. 
Appena decollati il Direttore si portò il telefono all'orecchio, squillò mezza volta: «Direttore, Fury.» rispose Coulson dall'altro lato. 
«Interrompa qualsiasi cosa stia facendo Agente Coulson, e porti il suo culo alla base Asklepius, è sotto attacco, devono essere quelli dell'Istituto che in qualche modo sono riusciti a rintracciare 3-1-7.»  
L'agente Coulson strinse forte i denti fiondandosi fuori dalla base in cui si trovava in quel momento, abbandonando sulla scrivania il rapporto sull'ultima sua missione, cercando di ascoltare Fury e correndo il più velocemente possibile. 
«Janice.» Disse scendendo la scalinata a due gradini per volta che portava al parcheggio dove aveva lasciato la macchina . 
«Cosa?» domandò Fury. 
«Il suo nome è ...» Coulson saltò la ringhiera che lo separava dalla sua macchina. «Janice.» 
La risposta fece alzare gli occhi al cielo al Direttore, che però lasciò perdere. «Agente, quanto ci mette a raggiungere la base?» Coulson si infilò in macchina e accese il motore: «Con Lola? Sono praticamente già lì!»

Arrivato a destinazione Coulson scese di macchina, tirò fuori la pistola dalla fondina sentendo le sirene d'allarme della base e si incamminò verso l'entrata cercando di mantenere un profilo basso. 
Aprì la porta con una mano, tenendosi fuori dalla portata di tiro di un possibile nemico. Quando constatò che l'area era sgombra e sicura entrò nella struttura e dalle scale di fronte a lui spuntò la dottoressa Cormack che gli corse incontro con aria sgomenta e terrorizzata insieme ad un gruppo di persone che lavoravano nella base: «Agente Coulson! Sta succedendo qualcosa al piano degli alloggi... io... non so come spiegarglielo ma... non riusciamo ad avvicinarci...» La dottoressa si appoggiò all'agente afferrandogli un braccio confusa e cercando di mettere in ordine le idee ma qualcosa le stava mandando in panne il cervello. Anche le altre persone si comportavano in modo alterato e non dissero molto di più utile.
Coulson pensò che fossero in stato di shock e cercò di rassicurarli e di dargli delle direttive precise da seguire per metterli al sicuro: «Mi occupo io di quello che sta succedendo, voi uscite dalla base e aspettate i rinforzi. Non dovete più preoccuparvi, avete capito?» La dottoressa annuì confusa lo lasciò andare e si diresse verso l'uscita seguita dagli altri. La via era libera e Coulson si mise ad escogitare un piano su come procedere. Nel frattempo un piccolo gruppo di agenti aveva già raggiunto la base e gli si affiancarono aspettando degli ordini. Coulson si girò verso di loro: «L'intrusione è avvenuta al secondo piano, quello degli alloggi. Saliamo su, voglio massima concentrazione e basso profilo. Ci sono altri civili nella base, non sparate se non siete sicuri dell'entità della minaccia, intesi?» Guardò uno ad uno i cinque agenti che annuirono con un lieve cenno della testa. 
I sei uomini salirono le scale arrivando al primo piano e non trovarono niente in disordine o di insolito, Coulson fece ugualmente cenno a tre agenti di dividersi dal gruppo e di perlustrare la zona mentre loro continuarono a salire verso il secondo piano. Fecero l'ultima rampa mantenendosi al riparo dietro la struttura dello scorrimano delle scale. 
Coulson si affacciò per controllare la situazione, notò due persone a terra ma la via sembrava sgombra da minacce. Fece cenno di avanzare agli altri agenti che al contrario di lui erano meglio equipaggiati e protetti con le loro divise d'assalto. Uno di loro si avvicinò ad una delle persone a terra e fece cenno a Coulson che era ancora viva, l'uomo annuì e uscì dalla copertura puntando la pistola a terra e rimanendo vigile. Sentì un lieve fruscio nell'aria, come se fosse stata aperta una finestra. I due agenti con lui si immobilizzarono sgrandno gli occhi, entrambi sembravano terrorizzati e che non riuscissero a respirare. Coulson alzò la mira guardandosi attorno avvicinandosi a loro. 
«Cosa succede?» Domandò all'agente più vicino a lui toccandogli una spalla. L'uomo si voltò di scatto scanzandosi e mandando via la mano di Coulson. Si tolse il casco gettandolo via come se bruciasse: «Non riesco... non respiro...» cominciò a dire allentando il giubbotto antiproiettile e cercando di respirare forzatamente. «Aiuto...» delle lacrime gli scesero lungo il viso e prima che Coulson potesse fare qualcosa perse i sensi accasciandosi a terra. Dopo nemmeno un attimo anche l'altro agente finì k.o.
Coulson confuso dall'accaduto prese una delle trasmittenti dagli agenti  a terra e corse verso un riparo, la indossò e la attivò: «Qui l'agente Coulson, ho due agenti a terra privi di sensi. Mi servono rinforzi, ho dubbi su una diffusione di un qualche strano tipo di gas nervino, ma non riesco a vederne la causa.» Si sentì un ronzio e la voce di Fury rispose all'auricolare: «Sono al piano terra, rimani nascosto sto arrivando con i rinforzi.» 
Infatti pochi attimi dopo arrivò Fury seguito da un gruppo consistende di Agenti. Quando arrivarono ad un metro da Coulson cominciarono tutti a sentirsi male, la maggior parte, compreso Fury, fece qualche passo indietro recuperando lucidità, mentre alcuni altri crollarono a terra come avevano fatto gli altri due pochi minuti prima. Fury guardò Coulson: «Cosa diavolo sta succedendo?» L'Agente in risposta fece spallucce: «Non ne ho idea, signore.» Il Direttore si massaggiò la fronte e fece un respiro profondo, un senso di malessere gli si era insinuato dentro. 
«AIUTOOO! VI PREGO AIUTATEMI!» La voce di Janice raggiunse gli agenti e Coulson senza pensarci troppo si affrettò a raggiungerla, facendo attenzione ad ogni angolo e ad ogni probabile nascondiglio. 
Arrivò davanti alla porta dell'alloggio della ragazza che era chiusa a chiave e dovette usare il tesserino per potervi accedere. Quando entrò sentì la ragazza singhiozzare ma non la vide nel buio della stanza. Accese le luci e si guardò intorno. La ragazza era rannicchiata in un angolo vicino al banco della minuscola cucina, piangeva fissando il vuoto. Alcuni piccoli oggetti intorno a lei fluttuavano e vibravano a mezz'aria. 
«Oh, cavolo!» esclamò l'uomo poggiando l'arma su un ripiano lì vicino. Attivò la trasmittente: «Signore, non è stata un'intrusione a far scattare l'allarme. Rimanete a distanza.» 
Si accucciò avvicinandosi piano alla ragazza: «Janice?!» la chiamò per attirare la sua attenzione, ma lei non rispose. Avvicinò una mano e d'istinto la ritirò poco prima di avere un contatto con lei, aveva paura a toccarla, non sapeva cosa sarebbe successo, cosa avrebbe potuto fargli. 
Strinse i denti, chiuse gli occhi e si fece coraggio: «JANICE PER L'AMOR DEL CIELO! SVEGLIATI!» 
Le afferrò il braccio cercando di farla tornare alla realtà, lei lo afferrò a sua volta con l'altra mano, lo guardò negli occhi mentre pian piano il suo sguardo tornava vigile: «Sono l'agente Phil Coulson con la Strategic, Homeland, Intervention, Enfrocement & Logistic Division. Sei al sicuro adesso.» Le parole uscirono dalla bocca della ragazza con lo stesso accento e la stessa cadenza con cui le avrebbe dette l'agente, che rimase spiazzato a fissarla. 
Janice tornò in se, si guardò intorno ancora piangendo e prese atto che fosse stato solamente un incubo, e che la presenza dell'agente significava che fosse nei guai. 
Guardò Coulson con gli occhi pieni di lacrime: «Mi dispiace...» gli disse con un filo di voce. «Mi dispiace...». Tirò su con il naso e lasciò la presa su di lui, vergognandosi dell'accaduto.  
Phil non si sentì nè di giudicarla nè di trarre conclusioni affrettate così si rilassò, per quanto potesse, e si mise seduto vicino a lei: «Stai bene adesso?» le domandò confuso.  
La ragazza annuì con un cenno della testa. 
«Cosa è successo di preciso?» 
Janice si schiarì la voce, cercando di smettere di piangere. «Ho... ho perso il controllo sui miei poteri. Io non sono come gli altri, signore. Per... per questo mi tenevano nell'istituo.» Abbassò lo sguardo portandosi le ginocchia al petto.
Coulson rimase in silenzio, per la prima volta in vita sua non era sicuro sul cosa dire. Girò la testa verso di lei appoggiandosi al mobile: «Siamo i buoni, Janice. Ti proteggeremo e ti aiuteremo, ma... è arrivato il momento di dirci tutto.» Le porse la mano con il palmo rivolto verso l'alto, un po' tremante, un po' titubante nella paura che potesse succedere ancora qualcosa, ma voleva dimostrarle fiducia. 
La ragazza lo guardò: «Signore, su di lei il mio potere non funziona.» Fece un sorriso storto, terrorizzata dall'idea di dover essere isolata di nuovo: «Anche senza il mio potere, riesco a vedere che è sconvolto.» Così dicendo posò la mano su quella dell'agente. E come altre volte in precedenza, non successe niente.

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Capitolo 5
*** La fine del nuovo inizio ***


Commento personale: Questo capitolo mi è venuto corto e molto sbrigativo, non so bene perché, a dire il vero vi ho speso tempo sopra e ho le idee chiare di quello che volevo, però allo stesso tempo ho l'idea di aver tralasciato qualcosa, di averlo reso particolarmente superficiale. Se leggendolo trovate dei buchi, per voi che non avete in mente la storia, scrivetemi e ditemelo così anche io mi rendo conto del perchè ci sia qualcosa che non mi torni. Grazie per aver avuto pazienza di leggere queste righe. 

                    
 
La fine del nuovo inizio...

L'agente e la ragazza si alzarono da terra e in silenzio lasciarono la stanza dirigendosi ai piani alti dove il Direttore Fury, che nel frattempo aveva sistemato le cose per far tornare attiva la base, li stava aspettando. 
Janice notò che c'erano agenti armati ad ogni piano, pronti ad agire se lei avesse fatto qualcosa di storto, sentiva la loro tensione formicarle sulla pelle, qualcuno era confuso e in ansia, altri erano scocciati di essere lì per una "ragazzina". Abbassò lo sguardo sulle scale cercando di concentrarsi per isolarsi da quelle sensazioni. 
Pochi passi dopo, Coulson si fermò davanti ad un ascensore che attivò passando il suo tesserino sulla fotocellula della tastiera. Guardò Janice che ancora teneva lo sguardo fisso a terra.
«Se collabori, andrà tutto bene.» Gli uscì con un tono severo, voleva che la ragazza si rendesse conto di quello che era successo, però allo stesso tempo cercava anche di comprenderla. Lei gli annuì continuando a tenere la testa bassa. 
L'ascensore si aprì e i due vi entrarono, le porte si chiusero e scivolando tra i piani arrivarono all'ultimo, direttamente nell'ufficio del Direttore. 
Le porte si aprirono in una stanza più piccola di quello che ci si potrebbe aspettare. Coulson uscì per primo dall'ascensore facendo strada alla ragazza. Fury era seduto dietro alla scrivania con un gomito appoggiato sul ripiano di vetro e la testa appoggiata alla mano. Dietro di lui le vetrate mostravano una Los Angeles notturna invasa da un' infinità di luci. 
Il Direttore guardò i due farsi avanti, si sistemò dritto sulla sedia poggiando anche l'altro gomito sulla scrivania e facendo cenno con una mano a Janice di sedersi su una delle sedie davanti a lui. 
Coulson si fece da parte e rimase lì in piedi ad osservare la scena in silenzio. 
La ragazza si avvicinò alla sedia e titubante si sedette. 
«Penso che tu ci debba delle spiegazioni ragazzina.» La voce di Fury era atona, non trasparivano emozioni. 
Janice alzò gli occhi sull'uomo, asserì con un cenno della testa rimanendo in silenzio, cercò di mettere in ordine i suoi pensieri per trovare le parole giuste per raccontare la sua storia, la sua versione era ovviamente più completa di quella che aveva dato all'inizio ai due uomini ma mancava lo stesso di alcune parti. 
«Non so da dove vengo e chi fosse la mia famiglia, i miei ricordi cominciano da quando ero già nell'Istituto.» si schiarì la voce e si appoggiò con la mani alla scrivania avvicinandosi con la sedia: «Mi hanno detto più volte che avevo dieci anni quando mi portarono lì per studiarmi. Perchè... beh ero diversa dagli altri bambini. Ho sempre avuto l'abilità di influenzare l'umore della gente, di questo sono sicura, non so bene perchè ma sin da piccola se piangevo o se ridevo gli altri piangevano e ridevano con me, riuscivo a percepirne i  loro sentimenti e potevo...» Si fermò un attimo e guardò i due uomini, Coulson scambiò il suo sguardo e annuì incoraggiandola.
«Potevo trasformarli a mio piacimento se erano sensazione che mi facevano star male. E penso di aver dato dei problemi ai miei genitori. Non ho ricordi visivi di loro solo qualche sensazione.» Si fermò nuovamente e vide che la stavano ascoltando entrambi con aria sorpresa e preoccupata allo stesso tempo. 
«Nell'Istituto mi istigavano ad usare questa mia abilità e cercavano di monitorarla e di capirne il funzionamento. Le cicatrici che ho alla testa...» Alzò una mano e si toccò alcuni punti dietro la testa: «...sono tutte di operazioni che mi hanno fatto per analizzare il mio cervello e per impiantarmi delle micro-sonde che avrebbero dovuto registrarne e spiegarne la natura ma ogni volta duravano poco tempo e poi si fulminavano. Non importava quanto fossero di ultima tecnologia, finivano tutte per rompersi. Penso che... inconsciamente fossi io a fulminarle. Ci fu una volta in cui una delle micro-sonde si guastò e mi procurò danni cerebrali e persi l'uso delle gambe.» Si voltò verso l'agente Coulson: «Da lì mi misero le protesi interne per camminare.» 
«Durante i primi anni passati nell'Istituto, ricerca dopo ricerca la mia abilità si trasformò e si potenziò, ogni volta che riuscivo a controllarne una parte scoprivo qualcosa di nuovo che non riuscivo a gestire, così mi ordinarono di testare i miei poteri su delle persone... e così scoprii che se le toccavo potevo arrivare alla loro mente, non solo potevo percepire i loro stati d'animo ma potevo controllarli cerebralmente e scoprii anche di poter far perdere loro i sensi. Riesco a controllare la parte 'elettrica' del sistema nervoso in qualche modo.» Coulson si avvicinò alla scrivania incrociando le braccia e ascoltandola attento.
«Ma un giorno durante i test uno dei medici mi sfiorò a pelle un braccio, si fece immediatamente tutto lontano e arrivarono le prime visioni, vidi cosa avevano fatto ad un'altra cavia come me, 2-9-3 era il suo nome ed erano giorni che non si vedeva più, la visione era vivida come se fossi stata al posto del medico e mi spaventai per quello che gli avevano fatto e dalla paura mi ribellai facendo un bel casino, persi il controllo del potere un po' come è successo stanotte ma alla 10ima potenza. Intervennero le guardie e ne uccisi involontariamente una. Riuscirono a mettermi k.o. con un teaser.» 
Si toccò nuovamente la nuca stringendo gli occhi lucidi e i denti per non riprendere a piangere. «Dopo quel giorno mi sottoposero ad un test dell'obbedienza.» Coulson si avvicinò a lei appoggiandosi all'angolo della scrivania: «Dell'obbedienza?» domandò incuriosito. «Si... non so come funzioni non ho ricordi. Ti portano in una stanza e so solo che una volta uscita di lì hanno una parola chiave che ogni volta che viene pronunciata ti annichilisce i sensi.» Coulson e Fury si scambiarono un'occhiata, ricordarono tacitamente che era esistito in fase di sperimentazione un test simile nello S.H.I.E.L.D. che sarebbe dovuto servire a far scordare dati segreti di missioni importanti agli agenti in situazione di pericolo, così che non potessero raccontare niente. Però non aveva mai superato la fase di sperimentazione. 
«Dopo il test ero praticamente in balia del loro volere, facevo tutto quello che mi ordinavano senza poter avere una mia coscienza. E non sempre sono state cose buone...» Abbassò lo sguardo a terra piangendo silenziosamente. Si prese qualche attimo e fece un sospiro profondo. «Di tutto questo c'è stato un minuscolo lato positivo, quando rimanevo da sola potevo concentrarmi meglio nel controllare quello che sapevo fare... così ho imparato a gestire questo potere.» Si asciugò gli occhi con il palmo della mano: «Non so infatti come sia possibile che io abbia perso il controllo stanotte. Era un po' che non mi succedeva.» 

«Come sei arrivata nel vicolo dove Coulson ti ha trovata?» Janice guardò Fury confusa, e cercò di ricordare bene quello che era successo quella sera: «Da qualche mese il test per l'obbedienza non aveva più grande effetto su di me, dopo poche ore potevo riprendere atto delle mie azioni... è stato istintivo, ho provato a scappare. Ma non sapevo come, è stato questione di un attimo e sono entrata nel panico, ho ucciso tre persone... mi hanno colpita e ho reagito d'istinto, non volevo arrivare a tanto. E poi niente... hanno usato il teaser e mi sono risvegliata nel vicolo.» 
Coulson strinse le labbra ad una fessura. Quello che aveva passato era terribile, ma purtroppo ancora più terribile era il fatto che non poteva controllarsi davvero come diceva. C'erano troppi punti a suo sfavore nella storia. 
Fury prese la parola interrompendo i pensieri dell'agente: «Mi dispiace ragazzina ma da oggi il programma di copertura per te salta, rimarrai sotto la nostra supervisione, in isolamento finchè non troveremo una soluzione, dovrai mostrarci e descriverci quello che sai fare in modo che una equipe scientifica possa capire se sia possibile contenere il tuo potere. Non posso aiutare una persona che in 10 minuti mi mette fuori gioco un'intera squadra di agenti, intesi?» Janice annuì non capendo se quella era la fine o un nuovo inizio. Coulson le aveva ripetuto che erano i buoni, ma non ne era più così sicura in quel momento. 
«Da oggi entrerai a far parte dell'INDEX.» Queste furono le ultime parole di Fury prima di alzarsi e portar via la ragazza. Coulson guardò Janice uscire dalla stanza insieme al Direttore, rimase in silenzio, non poteva obbiettare. Era la cosa giusta da fare. Però... era anche la più triste. 


 

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Capitolo 6
*** AAA Cercasi 'Agente Supervisore' Livello 6 ***


6. AAA cercasi 'Agente Supervisore' Livello 6
Accademia S.H.I.E.L.D. - 1 anno dopo

Coulson superò l'angolo del corridoio ritrovandosi esattamente al centro dell'edificio principale dell'accademia S.H.I.E.L.D. di Los Angeles. 
Si diresse verso il punto ristoro per prendere un caffè e staccare un attimo la testa dai propri incarichi e dai documenti da compilare.
«Salve Agente Coulson, era un po' che non si vedeva in giro.» disse la signora del bar vedendolo arrivare: «Di nuovo dietro alle scartoffie? Le porto il solito?» 
Coulson si appoggiò al banco sorridendole e ricambiando il saluto: «Si, grazie Helen... ci vuole proprio!» 
Dando una sbirciata alla vetrina dei dolci, l'agente strinse le labbra ad una fessura riflettendo su cosa potesse abbinare al caffè: «Mi darebbe anche quel pezzo di torta, per favore?» chiese indicando la torta al cioccolato. La donna gli fece l'occhiolino annuendo con un cenno della testa.
«Lo sa che i suoi dolci sono per me un più che valido motivo per essere felice di dover star seduto dietro ad una scrivania...» alzò un sopracciglio in un'espressione d'intesa verso la donna. 
Dopo poco, caffè pronto e torta sistemata su un piattino, Helen porse l'ordine all'agente che pagò e si diresse verso un tavolo libero. Non c'era molta gente, molti degli studenti dovevano essere ancora a lezione o a studiare, quindi c'era una vasta scelta di tavoli liberi e andò a mettersi su uno dei più isolati in modo da non dare noia a nessuno. Accomodatosi si tolse la giacca appendendola alla sedia e si rimboccò le maniche della camicia, tirò fuori una sorta di mini-tablet dalla tasca della giacca e cominciando a mangiare si mise a leggere le ultime notizie a lui accessibili sul database dello S.H.I.E.L.D.
Era appena passato un quarto d'ora quando...:«Agente Coulson?» 
L'uomo alzò lo sguardo dal telefono e vide una donna con i capelli corti, leggermente truccata che lo guardava sorpresa. 
Ci fu un attimo di silenzio tra i due, la ragazza vagamente imbarazzata distolse per un attimo lo sguardo: «Sono Janice, si ricorda di me?» 
L'agente si alzò in piedi sorridendole, l'aveva riconosciuta ma era rimasto a sua volta sorpreso di incontrarla in una struttura S.H.I.E.L.D. 
«Certo che mi ricordo, è bello rivederti.» Le porse la mano e lei la strinse: «Anche per me, signore...» 

In realtà per entrambi sarebbe stato abbastanza difficile scordarsi l'uno dell'altra, le vicende che li accumunavano erano talmente segrete che ovviamente tutti sapevano la storia del ritrovamento di Janice e le azioni eroiche di Coulson, non tutti sapevano esattamente tutta la storia a causa delle restrizioni di livello ma ognuno nello S.H.I.E.L.D. aveva aggiunto anche del proprio nel raccontarla, così ne esistevano già svariate versioni.

«Puoi chiamarmi Phil...» le disse Coulson dando una rapida occhiata all'orologio, poi le fece cenno di accomodarsi al tavolo con lui: «Ho ancora qualche minuto libero, hai tempo per fare due chiacchiere?» 
La ragazza annuì timidamente e appendendo la borsa alla spalliera della sedia si accomodò. 
«Quanto è passato, circa un anno? Non ho potuto mettermi in contatto con te durante la tua introduzione nell'INDEX, a causa dell'isolamento... e dopodichè sono stato soverchiato dal lavoro.» Cercò di giustificarsi Coulson. Aveva pensato a contattarla nei primi mesi dopo quella sera in cui la ragazza mise fuori uso la Asklepius ma gli vennero assegnate due grosse missioni* dopo le quali pensò fosse troppo tardi per ripresentarsi, oltretutto credeva che la ragazza avesse già lasciato lo S.H.I.E.L.D. e si fosse fatta una vita propria.
Janice gli sorrise: «Si è passato un anno e... Devo essere sincera, i due mesi per l'inserimento all'INDEX sono stati tosti...» scherzando aggiunse: «...penso di averla anche maledetta un paio di volte. Ma...» si affrettò a dire: «...in realtà le devo tutto.» 
«E' il mio lavoro proteggere la gente, non mi devi niente...» Coulson si appoggiò con i gomiti al tavolo, osservando come fosse cambiata la ragazzina misteriosa e maltrattata che aveva incontrato un anno prima... era diventata una donna e per di più molto bella. «...credimi, nonostante quello che si racconti, abbiamo avuto entrambi una bella dose di fortuna in quel vicolo. Ho rischiato di farti sparare...»
Janice lo guardò stupita: «Lei ha un modo strano di vedere le cose. Voglio dire grazie al suo istinto un po' suicida io sono viva, quindi la ringrazio, per me è un eroe... una sorta di Captain America senza costume.»
«Aaah beh... Fosse solo quello che mi manca...»
Janice rise alla battuta dell'agente che rise a sua volta.
«Beh ha il suo stile che fa la sua bella figura, con giacca e cra...» la ragazza si interruppe...: «Potrebbe... aspettarmi qui un attimo? Le devo rendere una cosa.»
L'uomo perplesso dette un'occhiata all'orologio: «Si, ho ancora una ventina di minuti, però...» «Perfetto! Sarò veloce prometto, il mio appartamento è nel corridoio dietro al bar... la prego non se ne vada.» Janice si alzò dal tavolo tirando fuori il tesserino che portava legato alla cintura e corse via. 
L'agente la guardò allontanarsi, non capendo bene la situazione... 
Per impegnare il tempo e sentirsi meno sciocco tornò al bancone a prendere qualcosa da offrire alla ragazza. 


          

Helen lo guardò con sguardo emozionato: «E' la prima volta che la rivede?» domandò a voce bassa un po' maliziosa. «Si, mi sono perso evidentemente qualche passaggio, pensavo se ne fosse andata dalla Stra... Hey Helen, come fa a...» «Suvvia agente Coulson, la vostra storia è sulla bocca di tutti... Posso chiederle, davvero ha combattuto a mani nude contro 20 agenti russi?»  Coulson perplesso per l'interesse ma divertito dalla versione della donna si arrese e rise: «Mi dispiace deluderti Helen, ma è stato molto meno eroico di quello che si racconta in giro.» La donna sospirò rimanendo effettivamente un po' delusa: «Beh però è sempre una bella storia di un salvataggio. Ha fatto del bene.» Coulson annuì assecondandola: «Su questo sono d'accordo, è per questo che lavoro qui, mi piace quando posso fare la differenza per qualcuno.»
La frase dell'uomo fece illuminare gli occhi di Helen di romanticismo: «Le do quello che prende di solito Janice.»

Coulson tornò al tavolo e mise il vassoietto con té freddo alla pesca e biscotti al cioccolato al posto della ragazza che arrivò poco dopo correndo e con il fiatone. 
«Eccomi, mi scusi... Sono senza fiato.» si avvicinò a Coulson tirando su dal braccio, per una gruccia, una busta trasparente con dentro qualcosa di nero. L'uomo si alzò aiutandola: «Cos'è Janice?» La ragazza arrossì visibilmente: «La sua giacca, signore.» 
«Quale...» Mentre stava per chiederle spiegazioni a Coulson tornò in mente in un flashback il suo gesto mentre copriva 3-1-7 con la sua giacca per mantenerla al caldo mentre aspettavano l'arrivo del quinjet. Gli si inumidirono gli occhi. Guardò Janice e cercò di sdrammatizzare: «Oh ecco che Helen avrà una bella storia da raccontare a tutti stasera.» 

«Me ne ero scordato, pensavo l'avessero buttata via in ospedale... Grazie.» Si passò la giacca all'altro braccio e allungò la mano libera ad accarezzarle goffamente la guancia, con espressione seria. 
Lei si irrigidì sul momento e poi sospirò sollevata: «Mi ero scordata che su di lei non...» si guardò intorno e abbassò la voce: «...non funziona...» 
Coulson si osservò la mano mentre riprendeva il proprio posto a sedere: «Questa cosa è rimasta un mistero vero?» domandò. 
«Si... a dire il vero non l'ho detto a nessuno, ma nei vari test per l'I.N.D.E.X. non ci sono state eccezioni. Hanno però scoperto che alcuni principi attivi di alcuni medicinali inibiscono il mio controllo su di esso, per questo è successo l'incidente della Asklepius... avevo preso dei sonniferi prescritti dallo psicologo, per non avere incubi... e invece è servito solo a farvi diventare parte di essi. Mi dispiace.» Coulson le fece segno di diniego con la testa: «Non ti preoccupare. Ormai è passato.» Ci fu qualche attimo di silenzio. In cui Coulson pensò se fosse giusto o meno non rivelare al sistema che su di lui i poteri della ragazza non funzionavano...

«E' passata Helen?» domandò Janice guardando il vassoio davanti a lei. Coulson annuì: «Volevo offrirti qualcosa, sembra che Helen ricordi il 'solito' di chiunque qui dentro.»
«Grazie mille...» di nuovo arrossì facendo sorridere Coulson: «Ehm... dopo le lezioni vengo sempre a fare uno spuntino prima di andare in palestra...»
«Lezioni? Studi qui alla Strategic?» la curiosità dell'agente si riaccese.
Janice bevve un sorso di té freddo e annuì con un cenno del capo: «Si, ecco stavo per dirglielo... Dopo l'INDEX, il Direttore Fury mi dette varie opzioni... e io ho scelto di rimanere qui e di intraprendere la strada per diventare un agente...» 
«Davvero?! E' fantastico, diventerai una del Team allora.» Coulson alzò il bicchiere del suo caffè verso la ragazza e insieme mimarono un brindisi. 
«Che ramo hai scelto?» le domandò dopo aver bevuto un po' di caffè. 
« "Agente Medico su Campo"... la mia idea è di essere di supporto sul campo agli agenti come lei, che vanno là fuori in missione a salvare la gente in difficoltà, come ero io. Lo so che sembra sciocco ma ci credo davvero e sto lavorando sodo, ma...»
«Sono sicuro che diventerai una fantastica Agente...»
La ragazza perse un po' del suo entusiasmo: «...ma sembra che dovrò penare per un po'... Non ho assegnato nessun 'Agente Supervisore' per adesso, per via dell'INDEX serve che sia almeno di Livello 6 e nessuno si vuol prendere la briga di starmi dietro.»
Coulson incrociò le braccia al petto appoggiandosi alla spalliera della sedia, strinse le labbra ad una fessura, gli angoli della boccca verso il basso. 
«Potrei fare io richiesta per te. Ho esperienza come Agente Supervisore ma non sono esattamente il più clemente... l'Agente Amador** non garantirebbe per me. Però se te la senti...» 
«Mi metta alla prova...» Janice si sporse verso l'agente stupita: «Vorrei diventare come lei... quindi nessun'altro meglio di lei può insegnarmi come, giusto? Non gliene farò pentire. Lo prometto.» 
L'entusiasmo della ragazza lo fece sorridere: «Sarai tu a pentirtene...» scherzò l'agente: «Intanto facciamo domanda e vediamo cosa succede.» 
L'orologio dell'agente suonò, doveva tornare al lavoro. Si alzò dalla sedia e Janice lo imitò. «Le prometto che il comportamento da fangirl sparirà in meno che non si dica... ero nervosa nell'incontrarla di nuovo, è successo senza preavviso. Di solito non sono così... Lo chieda al mio psicologo che non fa altro che ripetermi che sono sociopatica.» 
Coulson annuì con un gesto della testa, capiva la figura che rappresentava per la ragazza. 
Come nel giorno in cui la salvò aveva sentito che era stata la cosa giusta portarla allo S.H.I.E.L.D. invece che in un ospedale civile, in quel momento sentiva che era la cosa giusta prenderla sotto la propria guida. La conosceva poco ma insieme avevano passato due delle vicende più importanti che fossero capitate ad entrambi, e sapeva che ne sarebbe potuta venire fuori un Agente del livello della fondatrice... in più gli ricordava il se stesso di un tempo, avendo perso il padre all'età di 9 anni e la madre a 28, lo S.H.I.E.L.D. era per lui una sorta di grande famiglia. Il suo 'Agente Supervisore' era stato per lui un po' come un fratello maggiore, non a caso Nick Fury era una delle persone che stimava di più al mondo.  
«Ci vediamo domani, qui a quest'ora per compilare i moduli. Io nel frattempo mi metto in contatto con il Direttore.»
Janice, con un turbinio di emozioni che le stavano rivoltando cuore e pancia si limitò ad un cenno della testa e ad un: «Ricevuto, signore.»
L'uomo annuì e le dette una piccola pacca sulla spalla passandole vicino per andarsene: «Grazie ancora!» Alzò il braccio con la giacca pulita e le fece l'occhiolino.

*due missioni grosse: Una delle quali potrebbe riferirsi alla missione in Perù di cui si parla nell'episodio 1x02 '0-8-4' di Agents of S.H.I.E.L.D. dove incontra Camilla Reyes.
**Agente Akela Amador: riferimento all'episodio 1x04 'Spy-Eye' di Agents of S.H.I.E.L.D. dove si conosce l'identità di una delle protette di Coulson scomparsa misteriosamente durante una missione nel 2006. Ricordo che nella storia siamo ancora nel 2002. 

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Capitolo 7
*** AAA Cercasi 'Agente Supervisore' Livello 6 || Parte #2 ***


Piccola Intro della Fanfictioner dato che... scrittrice proprio non sono:
Ho impiegato un sacco di tempo a mettere su questo capitolo, lavoro e impegni personali sono stati la causa maggiore in più ci si è messa la poca concentrazione nel riuscire a mettere su bianco quello che mi ronzava in testa. Ammetto di averne fatte diverse bozze che poi sono state scartate perchè non mi convincevano, non riflettevano bene l'idea che ho in testa di questo momento delle vite ci Coulson e Janice. 
Ad occhi e croce mi pare che sia venuto un po' spiccio, un po' veloce, però efficace per quello che volevo raccontare. Ovviamente, ogni commento, e critica sono bene accetti. 

 

AAA Cercasi 'Agente Supervisore' Livello 6 || Parte #2

Appena l'agente rientrò nel suo ufficio la prima cosa che fece, prima di rimettersi al lavoro, fu mandare tramite la linea interna della Strategic una richiesta al Direttore per potergli parlare in privato. Dopodichè la giornata di Coulson procedette a rilento dietro a documenti da compilare e cartelle da sistemare e mandare al protocollo.
Gli era capitato più volte di distrarsi chiedendosi se avesse corso troppo velocemente dicendo a Janice che poteva diventare il suo Agente Supervisore, ma era inutile poiché il sasso era stato tirato, volontariamente per giunta , quindi non restava altro che aspettare e vedere come si sarebbero evolute le cose.
Si fece sera tarda e Coulson chiuse finalmente l'ultima cartella, ma dal Direttore ancora nessuna notizia. 
Ricompose le maniche della camicia e indossó la giacca, abbottonandola con un gesto abituale. 
Prese la sua vecchia giacca incelofanata e pulita che gli aveva riportato Janice e se l’ appese al braccio. Diede un ultimo sguardo alla stanza per controllare se stesse scordando qualcosa, così si avviò alla porta spense la luce ed uscen... con una mano fermò la porta poco prima che si chiudesse, alzò gli occhi al cielo nel buio e andò a passo svelto alla scrivania a prendere il plico di cartelle da consegnare alla direzione del suo piano. 
Uscì e percorse il corridoio, arrivando davanti ad una delle tante porte a vetri con uno schermo elettronico su cui passò il badge di riconoscimento "Agente Phil Coulson, Livello 6. Accesso Consentito." disse una voce elettronica. L'uomò oltrepassò la porta, entrando in una stanza piena di quelle che sembravano cassette di sicurezza ma che in realtà erano i database personali degli Agenti, dove lasciavano documentazione, cartacea o elettronica, delle missioni svolte o aggiornamenti di indagini in svolgimento. 
Ogni piano, ogni livello di accesso S.H.I.E.L.D. , ogni specializzazione aveva il suo 'raccoglitore' di dati che veniva puntualmente svuotato e registrato ogni sera da un team di tecnici che andava ad aggiornare e a protocollare ogni dato, mettendo in sicurezza i file completamente o parzialmente classificati per un livello di accesso inferiore. 
A Coulson piaceva fare ancora le cose alla vecchia maniera, finchè ne avrebbe avuto ancora la possibilità scriveva i suoi rapporti a mano, in modo che potesse prendersi quel momento per se stesso, senza l’influenza superficiale dell'automatismo che si ha nello scrivere con una tastiera. 
La parte burocratica sì, era per lui una noia mortale ma era anche l'unico momento in cui poteva ripensare dettagliatamente e a mente-fredda a quello che aveva fatto, a quello che gli era successo in missione, e riteneva che quei momenti fossero, nel suo lavoro, una parte importante. 
Consegnò così il plico di documenti nella sua casella, la chiuse ed uscì dalla stanza in direzione del parcheggio, era il momento di lasciarsi la giornata alle spalle e di tornare a casa.
***

Anche Janice non aveva fatto altro che pensare per il resto della giornata al suo incontro con l'Agente Coulson... si era finita quasi una vaschetta intera di gelato al cioccolato pensando alla figura da ragazzina sciocca che aveva fatto davanti a lui. 
Quell'anno passato dal loro ultimo incontro era stato 'rivoluzionario', qualsiasi cosa spiacevole le fosse capitata, come ad esempio i vari test per l'INDEX,  non era stata niente a confronto a quello che aveva passato nell' Istituto. 
Anzi... lì alla Strategic avevano ovviamente provato curiosità e timore nei suoi confronti ma a differenza dell'Istituto avevano davvero fatto qualcosa per aiutarla. Non avevano scoperto molto di più delle origini della sua abilità, ma un giovane bio-ingegnere era riuscito a creare un piccolo dispositivo da posizionare dietro alla nuca, tra i capelli simile ad una sottilissima passata, che riusciva a isolare il potere di influenza di Janice in modo da poterla far stare in mezzo alla folla senza impazzire e senza far impazzire nessuno. 
Infatti la ragazza all'epoca non si era resa conto che sia l'Istituto sia la Asklepius erano state strutture relativamente piccole, in cui vivevano solo le persone che ci lavoravano e per questo rimase sorpresa dalla difficoltà a controllare il proprio potere quando fu trasferita a una delle basi scientifiche più grandi della Strategic, appunto per la registrazione all'Index. 
Il team si era trovato costretto a sedarla in un paio di occasioni, prima di trovare una soluzione che rendesse innocua la sua presenza in mezzo ad una probabile folla... e in mezzo a loro soprattutto.
Le cose erano cambiate in poco tempo, finita quella prima parte in quasi completo isolamento, passando periodi alternati tra serenità e disperazione, era tornata a sperimentare una vita normale... e quello l'aveva spaventata più di ogni altra cosa, visto com’ era andata la prima volta.
Perlomeno alla base scientifica aveva avuto scienziati e dottori che si erano occupati di lei, che le avevano impegnato la maggior parte del tempo, e che bene o male era stata una situazione a lei familiare. 
Mentre al suo appartamento non c'era niente, soltanto lei e il silenzio. Anche qui i primi tempi si alternarono tra momenti di gioia a momenti di ansia per la solitudine, fino a quando il Direttore in persona si presentò alla sua porta, portando ciambelle e caffè. 

«Dobbiamo parlare del tuo futuro, Janice. Ho qui i tuoi nuovi documenti e le carte per cominciare la tua nuova vita.» 
La ragazza si sentì sprofondare, ma si tenne per sé i suoi sentimenti e si fece da parte facendo cenno all’uomo di accomodarsi. 
Fury alzò un sopracciglio, quello dell'occhio sano, in un'espressione di intesa: «Ho portato qualcosa da mettere sotto ai denti e del caffè… A stomaco pieno si prendono decisioni migliori.»  le porse una busta di carta con dentro due bicchieri bollenti e due buste di ciambelle, vaniglia e cioccolato*. 
Goffamente la ragazza aprì la busta, posizionò i bicchieri sul tavolo, prese un piatto dal ripiano lì vicino e vi mise dentro le ciambelle, si sedette al tavolo di fronte all'uomo e d'improvviso quel già minuscolo monolocale le sembrò ancora più piccolo e soffocante. 
Fury aprì la cartella bianca con sopra il logo della Strategic in nero: «Nervosa, Janice?» 
La ragazza annuì senza dire nulla. Lui le sorrise. Come solo lui sorrideva... impercettibilmente... anzi forse Janice era talmente disperata da esserselo immaginato. 
L’uomo abbassò gli occhi sui fogli che dispose in maniera ordinata sul tavolo, tra lui e la ragazza: «Se i miei Agenti fossero silenziosi come te, mi risparmierebbero metà del lavoro.» 
Non si capiva dal tono di voce se fosse una critica o una battuta. 
Nella confusione più totale Janice sospirò e prese un briciolo di coraggio:
«Mi scusi... è che mi stavo appena abituando qui.» alzò lo sguardo verso l'uomo cercando di mantenere una certa dignità, ma si sentì la parola ANSIA passarle a caratteri cubitali sulla fronte.
Fury si appoggiò con i gomiti al tavolo: «Ci saranno agenti specializzati che ti daranno delle dritte, non ti ritroverai da sola...» «Si, ma non avrò uno scopo. Io non conosco niente di quello che c'è lì fuori.» Lo interruppe bruscamente, ma non con maleducazione, fu più un vomitargli addosso la propria ansia prima che fosse troppo tardi... prima di ritrovarsi lontana da quell'appartamento a dover affrontare il completo ignoto. 
Fury rimase in silenzio, fissava la ragazza, qualche idea gli era già balenata nella mente, ma non sapeva se fosse il modo giusto di affrontare quella situazione. 
«Signore, ci sarebbe... tra quelle carte, un'opzione che mi permetterebbe di rimanere qui...?» domandò lei, in un ultimo tentativo abbassando lo sguardo sui fogli davanti al Direttore.
«Alla Strategic?»  domandò lui.
La ragazza annuì con un cenno della testa, senza il coraggio di guardarlo in faccia. 
«L'unico modo per rimanere qui sarebbe quello di diventare un'Agente.» le disse Fury, calcolando mentalmente i problemi e i vantaggi di avere un soggetto come lei tra le sue fila. A direi l vero ci sarebbero stati altri modi per rimanere, ma voleva metterla alla prova su strade più difficili. Dopotutto aveva appena detto che le serviva uno scopo, giusto?
Ci fu un attimo di silenzio tra i due.
«Cosa… cosa dovrei fare? Altri test? C'è un addestramento particolare?» L'ansia della ragazza cominciò a sciogliersi e notandolo Fury prese la cartella davanti a se, la chiuse e la mise da parte. «Dovrai entrare all'Accademia di formazione, scegliere il tuo ramo e farti un culo tanto per meritarti il badge e diventare un buon Agente.»
Janice aprì il bicchiere di caffé, improvvisamente le si era seccata la bocca, ne tirò giù due grossi sorsi prima di rendersi conto che era non solo bollente ma anche molto amaro. Cercò di reprimere espressioni di disgusto: «Qual’è il primo passo da fare? Quando posso cominciare?» 
«Non appena avrò distrutto queste.» disse Fury indicando la cartella bianca. Prese una ciambella al cioccolato e la passó alla ragazza. «Manterrai un'identità fantasma. Esisterai solo per la Strategic mentre là fuori potrai essere chiunque. Ci saranno delle regole da rispettare, e dei parametri di segretezza da mantenere a causa dell'Index. Ma beh...» Prese un’altea ciambella, stavolta alla vaniglia, la porse in avanti verso la ragazza tipo brindisi: «...ti do il benvenuto. Vediamo che tipo di Agente diventerai. O se moll...» 


In quel momento qualcuno bussó alla porta del piccolo appartamento e Janice si destó dai suoi ricordi, mollò il cucchiaio del gelato ed andó ad aprire. 
Dietro l'uscio c’erano due ragazze, una castana e una mora  entrambe con un sorriso sornione. «Helen ci ha raccontato cosa ci siamo perse oggi...» disse la prima. «Helen… ti rendi conto? Non tu...» precisò l’altra. 
Janice alzò scherzosamente gli occhi al cielo e le fece entrare. «Il bollettino accademico di Jennifer e Danielle… puntuale come sempre.» 
Le due ragazze si accomodarono al tavolino sfoggiando uno sguardo malizioso: «Vogliamo sapere T U T T O!» 
Janice richiuse la porta dietro di se: «Del gelato?» sapeva che anche se aveva poco da raccontare le cose sarebbero andate per le lunghe, quindi era giusto accompagnare il tutto con altri… zuccheri e forse anche un po’ di caffeina, data l’ora. 
***
 
Coulson era tornato da poco a casa, giusto il tempo di fare la doccia e prepararsi qualcosa di veloce per cena che il telefono squillò. 
L'agente si alzò dal tavolo per prendere il cellulare dalla mensola della libreria in sala, vide che il numero era classificato e sulla linea protetta della Strategic così recuperò il badge dal portafogli e lo passò sotto all'apposito sensore del telefono seguito subito dopo dal riconoscimento dell'impronta digitale, solo a quel punto gli fu possibile accedere alla chiamata in arrivo. 
«Agente Coulson, pronto...» 
«Phil, sono Fury. Cosa c'è?» l'essere spiccio senza troppi preamboli era sempre stata una dote del Direttore. 
«Buonasera Direttore, ecco vede avrei una proposta da...» 
«So che hai incontrato Janice.» 
«Come?»
«Helen... ovviamente lo sa tutta l'accademia.»
Coulson annuì al telefono come se il suo interlocutore potesse vederlo, si passò una mano sul mento sorridendo: «Giusto.»
«Passando ai fatti, ho richiesto di parlare con lei perchè mi stavo chiedendo se fosse possibile...»
«Si.» lo interruppe Fury, saltando tutti i 'perchè' e i 'se'  della formalità.
Coulson rimase un attimo perplesso. Lui e il Direttore erano amici di lunga data ma quando si parlava di lavoro non era mai stato troppo indulgente verso di lui.
«Davvero così facile?» domandò lasciando un attimo da parte le formalità, esternando i suoi dubbi.
«Sei l'unico che si sia offerto per quel ruolo, e la ragazza è tanto che sta aspettando. Non so se sia l'idea migliore, dato il tuo coinvolgimento nel suo passato... ma è l'unica opportunità che mi sia stata presentata da quando ho presentato il caso al livello sei.»
Ci fu un attimo di silenzio in cui i due uomini metabolizzarono i fatti. 
«Per i livelli bassi siete una sorta di favola su cui speculare sopra. Di cui parlare. Ma per chi sa tutti i fatti beh... è un'altra storia. Quello che successe alla Asklepius... diciamo che non invita particolarmente a mettersi sotto l'ala un peso del genere.» aggiunse il Direttore, cercando di chiarire le idee all'amico.
Coulson, suo malgrado, comprese il concetto anche se non lo condivideva. Per lui essere un Agente significava sapersi prendere delle responsabilità e anche rischiare per una buona causa, non solo crearsi un curriculum per salire di livello.
Si passò una mano sul viso e tirò un sospiro stanco: «Dunque, domani presenterò tutti i documenti per il caso, signore...»
Cercò di mettere insieme le proprie idee prima di concludere la discussione e attaccare il telefono. Sembrava fosse tutto in chiaro ma...
«Per quanto riguarda l'Index, come devo comportarmi?»
«Ti contatteranno loro, il tuo livello ti permette un accesso di comunicazione diretto con loro, così che possiate valutare i diversi metodi di assistenza per la ragazza.»
«Ok, signore. Domani mi metterò subito al lavoro.»
«In bocca al lupo, Coulson.»
«Grazie, Direttore. Buona Notte.»
Nick Fury dall'altro capo alzò gli occhi al cielo, si fidava di Coulson, sapeva che era rigido ma giusto come Supervisore, però essendo amici che parlano tramite la linea protetta della Strategic, beh poteva anche essere un pochino meno formale.
«Notte, Phil.» 

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Capitolo 8
*** Punti di vista...e pianificazioni. ***


Tutta questione di punti di vista...e pianificazioni.

Accademia S.H.I.E.L.D - la settimana seguente

"Domani mattina ore 7:00.
 parcheggio sotterraneo ala ovest. 
Puntuale."
- Agente Coulson 

Questo era il messaggio che Janice aveva ricevuto in tarda serata il giorno prima e che aveva fatto di lei ufficialmente una recluta, aspirante Agente, della Strategic. 
Sul momento si era sentita al settimo cielo ed aveva preparato tutto il necessario con meticolosità, cercando di non scordare niente... mentre in quel preciso istante, ad una decina di minuti dall'appuntamento, nel parcheggio sotterraneo dell'ala ovest,  poteva sentire l'ansia e l'insicurezza cominciare a farsi prepotenti verso tutti gli altri sentimenti... 
Cosa le avrebbe chiesto l'Agente Coulson? Come mai le aveva dato appuntamento nel parcheggio e non in una struttura di addestramento dell'accademia? Ne sarebbe stata all'altezza? Lo avrebbe deluso? 
BASTA!... urlò dentro la sua testa passandosi una mano sul volto per allontanare tutte le domande cercando di mantenersi lucida. Tirò un profondo sospiro, sentendo il rumore di una macchina in avvicinamento. 
Dalla pedana che portava al parcheggio fece capolino Coulson, sempre in giacca e cravatta, con la sua corvette rossa del '62, accostò al marciapiede dove la ragazza lo stava aspettando, scese di macchina salutandola: «Buongiorno Janice...» fece il giro e le aprì la portiera del passeggiero: «...scusa il poco preavviso di ieri sera ma fino all'ultimo non ero sicuro che sarebbe stato tutto pronto per oggi.» Con una mano le fece cenno di salire.
Janice passò lo sguardo dalla macchina, all'agente che si era appena avvicinato e poi di nuovo alla macchina: «Wow... è...» 
«Antiquata?» Coulson finì la frase per lei ridendo. 
«...avrei detto fantastica, in realtà.» lo contraddisse accomodandosi nella vettura e sistemandosi il borsone per terra, tra i piedi.
Coulson sorrise tronfio, ricordava molto un gatto nell'espressione, le chiuse la portiera tutto contento che Lola avesse ricevuto un complimento. 
«Grazie, non è facile che i ragazzi della tua età facciano i complimenti a Lola.» 
Janice non seppe come rispondere, però trovò curioso sentire l'uomo chiamare la propria macchina per nome e le scappò un sorriso.
Allacciò la cintura appena l'uomo mise in moto e... via la giornata era ufficialmente iniziata. 

Passarono tutti i controlli, Coulson perse un po' di tempo a mostrare tutti i documenti ma infine, finalmente riuscirono a lasciarsi l'Accademia alle spalle. 
Janice si guardò intorno incuriosita, raramente le era capitato di uscire e il mondo fuori era ancora abbastanza ignoto per lei. In un solo anno non era possibile recuperarne tredici di reclusione. 
Coulson la osservò con la coda dell'occhio e gli fece malinconia lo stupore negli occhi di lei. Si schiarì la voce per attirare la sua attenzione: «Stiamo andando in un vecchio centro di addestramento, dismesso da qualche anno ma in perfette condizioni, la Strategic li ha rimessi a nuovo appositamente per noi.»
La ragazza rimase in silenzio ad ascoltarlo. 
«La settimana scorsa, dopo aver parlato con il Direttore ed aver accettato il mio ruolo come tuo Agente Supervisore, mi è stata mandata la tua cartella, con materiale non solo burocratico ma anche informativo sui tuoi corsi, sui tuoi allenamenti particolari...» 
Fece una piccola pausa in cui si mise gli occhiali da sole e si inumidì le labbra con la punta della lingua, un gesto automatico, un tic in un momento di riflessione. 
«Devo essere sincero, ho letto cose e visto video che non mi sono piaciuti.» Lanciò uno sguardo a Janice che aveva assunto un espressione depressa e ci tenne ad aggiungere: «Non da parte tua, ma da parte dei tuoi tutori...» E mi sorprende che il Direttore Fury abbia lasciato correre sui metodi di insegnamento di certi soggetti. Non espresse i suoi pensieri in parole perchè si rendeva anche conto che Janice era una cosa nuova per la Strategic, che richiedeva un'organizzazione particolare. Come si poteva far fare una vita normale ad una persona con abilità così particolari come Janice, senza farla scoprire? Era una bella domanda, Coulson non aveva una risposta ma stava perlomeno perdendo tempo per cercare di scoprirla. 
Leggendo il dossier della ragazza aveva capito che era solo fortuna se i suoi compagni di corso non si erano ancora resi conto di niente. 
O fortuna o pessimo intuito da parte di futuri agenti... 
Quindi stava ideando un percorso da intraprendere per la ragazza che la rendesse più libera e annullasse quella enorme percentuale di rischio.
«Sono dell'idea che devi riuscire ad imparare e controllare ulteriormente la tua abilità, per conviverci in serenità...»
Janice lo guardò sgomenta: «All'Istituto uccisi involontariamente...» Coulson annuì, non se ne era dimenticato. 
«Vado ancora dallo psicologo per quello... non sono solo gli altri ad avere paura, sono io la prima ad averne...»
Coulson annuì nuovamente: «Però ricordo anche che raccontasti di poterti controllare, in situazioni normali. Parti da quel concetto.»
L'uomo si inumidì nuovamente il labbro superiore in un gesto automatico.
«Io sono un agente per un'agenzia spionistica. Potrei trovarmi in pericolo di vita in ogni momento, durante e dopo ogni missione. Per questo devo girare armato.» Fece una pausa per cercare le parole giuste da dire. «In missione mi è successo di combattere per la vita ed è stato terribile... lo è ancora. E' questo che ci rende umani, che ci rende consapevoli che siamo in grado di capire cosa è giusto e cosa è sbagliato. Quello che devi fare e ritrovare la tua sicurezza verso la tua abilità e svilupparla in modo da non perdere il controllo, anche in situazioni di stress e di pericolo.»
Janice annuì, recuperando un po' di stima e di coraggio. Era strano parlarne in maniera così diretta con qualcuno. 
«Quindi, tornando a noi, sono partito da questa idea per organizzare la giornata di oggi. Sarà una sorta di test per mettere le basi, così da avanzare passo, dopo passo con una scaletta precisa. Fino a guadagnarti il badge.»
Con quelle ultime poche frasi l'Agente era riuscito a farla affondare nuovamente nel panico. La parola TEST era un incubo per ogni accademico.

L'agente si rese conto della pensierosità di Janice e la lasciò stare fino a quando, un'ora più tardi, non arrivarono alla meta. Parcheggiò la macchina davanti allo stabile: «Bene, ci siamo... Vieni, entriamo.»
Janice scese svelta dalla macchina, l'adrenalina a mille, le gambe incerte. Prima che l'uomo aprisse la porta della struttra usando il proprio badge, lei dichiarò a voce bassa, con un tono vagamente colpevole:
«Io... ho buoni risultati nelle simulazioni virtuali sul campo, nelle tattiche ma non ho mai fatto simulazioni dal vivo. E non mi sono mai misurata con qualcuno durante gli allenamenti di combattimento... Io non so...» 
L'uomo si girò verso di lei sorridendo, rassicurante: «Lo so. Per questo siamo qui. Te l'ho detto, è il momento di cambiare le tue prospettive nell'allenamento. Fidati di me.»
Entrarono nella struttura e Coulson alzò alcune leve dal generatore principale, Janice notò che solo alcuni corridoi si illuminarono, e tutto ciò che rimase al buio... beh tanto meglio.
L'agente le fece strada fino ad una porta infrangifiamme, l'aprì e le diede il benvenuto in una stanza enorme, esagonale... era una palestra: perfetta, nuova, pulita ed attrezzata di tutto punto. Janice ne rimase piacevolmente sorpresa.
«Vieni, gli spogliatoi sono laggiù.» le indicò due porte di fronte a loro, dall'altra parte della stanza.
Janice annuì silenziosa e ne approfittò per dare un'occhiata intorno: c'erano spalliere, attrezzi, un sacco appeso al soffitto... un particolare oggetto rapì la sua attenzione, un mobile computer con varia attrezzatura tecnologica, purtroppo indistinguibile perchè era tutto coperto malamente da dei teli. «Tutta roba che deve essere finita ed omologata, saprai tutto a tempo debito.» fu la risposta di Coulson alla silenziosa domanda della ragazza, prima di sparire dietro alla porta dello spogliatoio di destra. 
Janice lo imitò entrando in quello di sinistra, rimanendo nuovamente sorpresa dall'ambiente, stranamente piccolo a confronto del resto della struttura, bianco asettico e maniacalmente pulito, aveva una doccia, un bagno, una panca con appendiabiti, il minimo indispensabile per essere perfettamente comodi. 
All'accademia era sempre stata costretta a tornare al suo appartamento per cambiarsi, fare la doccia e andare alla lezione seguente. Tutto perchè doveva evitare contatti con i compagni, e non ritrovarsi in luoghi particolarmente affollati, nessuno doveva scoprire la sua vera natura. 

***


Coulson uscì dallo spogliatoio in tuta nera a maniche corte, rigorosamente con il logo S.H.I.E.L.D. 
Si tolse l'orologio, impostò la sveglia sul telefono e appoggiò entrambi sul ripiano dove stava il computer. In quel momento entrò in palestra anche Janice, con una tuta che la ricopriva da capo ai piedi lasciando libero solo il viso. Si stava sistemando i guanti tattici: «Scusi se l'ho fatta aspettare, signore. Ma questi affari...» 
«Toglili, non ti serviranno.» Si avvicinò a lei e le prese il guanto che stava cercando di allacciare, lo slacciò al posto suo e lo tirò via, vicino alla porta dello spogliatoio. «Hai una t-shirt sotto la tuta tattica?» La ragazza annuì confusa. 
«Togli anche la tuta. Non l'avrai sempre a disposizione nel momento del bisogno...» 
Janice tolse l'altro guanto e slacciò la parte superiore della tuta che serviva a coprirle collo e braccia. «Signore, si ricorda che io ho dei poteri per cui è meglio che io non tocchi la gente?»
Coulson fece spallucce andando al centro della palestra: «Non me.»
Le fece cenno di raggiungerlo: «Ritengo sbagliato cercare di aggirarli nascondendoti dietro una tuta apposita, devi imparare a controllarli non a temerli.» Janice buttò a terra la tuta e si toccò le braccia nervosamente, le faceva strano tenere le maniche corte, essere così esposta.
«Cominciamo con un po' di riscaldamento...» l'agente si mise in guardia: «...  primo schema di attacco del programma dell'accademia. Lentamente. Pugni precisi e pieni, non giocare. Non avere paura di colpirmi.» 
Janice raggiunse l'uomo, titubante si mise in guardia davanti a lui. Cercò di accorciare le distanze tra di loro in modo da raggiungerlo con gli attacchi e appena si sentì pronta cominciò ad applicare lo schema. 
Il primo schema di attacco dell'accademia era tutto di pugni: al volto, all'addome e ai fianchi. 
Coulson si limitò a rimandarle indietro gli attacchi, deviandola semplicemente a mano aperta: «Stringi il pugno, mira bene e distanza giusta.» 
Janice annuì e riprovò. Arrivò a sfiorare il mento dell'uomo e lui parò con il suo polso e con lo stesso braccio la spinse indietro per una spalla di un paio di passi. Janice mantenette l'equilibrio ma non riuscì a metabolizzare quel poco che era successo.
«Non abbassare la guardia, sul campo non sai mai quando davvero uno scontro sia finito. Attacco io, tu esegui il Primo Schema di Difesa Frontale.» 
Janice si mise in posizione, cercando di rammentare... Cazzo! Pensò. 
Non aveva mai provato davvero lo schema in difesa... Il sacco con cui era abituata ad allenarsi non era programmato per attaccare, ovviamente. 
Il suo primo insegnante durante un allenamento le aveva involontariamente rivelato di avere una storia con una studente, semplicemente afferrandole un polso... e lei ne rimase talmente imbarazzata che lo spintonò via. 
L'uomo si insospettì e le fece pressione per dirgli cosa fosse successo, ovviamente non la prese bene, e nemmeno il Direttore. 
Le fu affidato un agente speciale che la seguisse nelle tattiche di combattimento e strategia, ma avendo accesso alla storia completa della ragazza non se la sentì di rischiare e decise di allenarla da 'bordo campo'.
Janice tornò alla realtà e vide che Coulson stava per applicare lo schema, appena si mosse Janice cominciò a sudare freddo, alla rinfusa cercò istintivamente di parare i suoi colpi, che seppur lenti erano saldi ed ogni suo tentativo di parata era una scossa lungo l'avambraccio, e del tutto inefficace.
Fece due passi indietro in preda al panico e Coulson ne approfittò per cambiare strategia, fece un passo avanti gli afferrò un braccio con la destra e glielo portò dietro alla schiena, mentre con il braccio sinistro la prese al collo. 
Janice si trovò immobilizzata e indolenzita: «Non so cosa fare.» Ammise afferrando con la mano libera il braccio dell'uomo che le passava intorno al collo. 
Coulson con tono tranquillo le spiegò: «In questo caso puoi sfruttare la forza nelle tue gambe...» Le diede un colpetto con la punta della scarpa sul tallone della sua, per farle capire la direzione: «Facendo attenzione a non rompermi una gamba, tira un colpo di tallone sopra al mio piede. Gira il polso verso la tua schiena, esci verso destra e con la mano libera se riesci colpisci, sennò allontanati.» 
Janice annuì, sapendo che la sua sensibilità sulle gambe era nulla e che Coulson era l'unica sua chance di diventare Agente, decise di spostare il piede velocemente all'indietro senza fermarsi alla resistenza posta dalla gamba di Coulson, così da farlo scivolare senza colpirlo. 
Quando lo sentì perdere l'equilibrio ruotò il polso e sgusciò via dalla sua presa come le aveva detto, girando verso destra, e... scappò, perchè le faceva male tutto e si era già sentita abbastanza goffa e ridicola per il primo quarto d'ora del loro allenamento.
 
                                                  

Coulson, che era scivolato su un ginocchio, si stava rialzando. Con sorpresa di Janice stava sorridendo. 
«Ho fatto schifo...» disse lei tirandosi indietro i capelli, umidi di sudore, dal viso. «...l'ultima volta che ho fatto gli schemi di difesa sarà stata sei mesi fa...»
Coulson annuì, sapeva tutta la storia e... la trovava ridicolmente divertente: «Era un test apposito per valutare queste piccole cose. So il lavoro che ti hanno fatto fare. E fa schifo. Ovvero, tecnicamente pulito, perfetto. Ma non hai dinamica, non sai perchè stai facendo quel dato schema, non sai a cosa serve. Perchè hai sempre combattuto contro i modelli anatomici e non contro persone che parano e contrattaccano.»
Le prese una mano e sollevò per guardarle l'avambraccio: «Dopo ricordiamoci il ghiaccio...» Dei segni rossi stavano affiornado sulla pelle della ragazza, dove aveva impattato cercando di parare i colpi dell'agente. 
Janice si sentiva frustrata. Si era impegnata tanto nei suoi allenamenti, pensava che essendo 'sola' mettendoci il doppio dello sforzo savrebbe fatto dei miglioramenti come i suoi compagni. Evidentemente si sbagliava.
L'agente notò l'aria perplessa della ragazza: «Da oggi si cambia tutto. Comincia il tuo vero addestramento.»
Janice annuì senza proferire parola, gli occhi lucidi, un po' perchè si sentiva frustrata e un po' perchè Coulson non la stava abbandonando ma anzi la stava metaforicamente tenendo per mano, quando tutti gli altri fino ad allora avevano sempre evitato di farlo.

Durante quel primo giorno fecero esercizi di rinforzo muscolare, dinamicità e ripassarono insieme gli schemi di Attacco e di Difesa, senza passare però all'uso delle gambe. Coulson fu particolarmente rigido ma ogni esercizio lo avevano portato avanti insieme, non si era mai fermato un attimo se non per spiegarle e mostrarle cosa dovesse fare, come dovesse migliorare. Era tutta un'altra storia lavorare in due, tutta un'altra dinamica, un'altra sensazione. Più frustrante perchè era il momento di verità tra conoscenza e abilità, però doveva ammetterlo: Che figata! Pensoò più di una volta.
*bip-bibibip-bip-bibibip-bip*

La sveglia del telefono suonò ed erano passate quattro ore da quando avevano cominciato ad allenarsi. Erano entrambi in condizioni pietose, sudati e stanchi. Coulson sorridente, Janice un po' meno. 
Le diede una pacca su una spalla: «Una bella doccia e poi andiamo a mangiare.» Lei annuì cercando di riprendere fiato cercò di rispondere con un: «Okay, signore.»
Sparirono dietro le porte dei rispettivi spogliatoi e si rividero mezz'ora dopo, puliti, rinfrescati e cambiati. Recuperarono le proprie cose e si avviarono all'uscita: «Giapponese? Cinese? Mc. Donald? Taco Bell?» 
«Cosa, scusi?»
«Dove vuoi mangiare? Cosa preferisci?»
«Non ne ho idea. Non ho mai mangiato fuori dall'Accademia. E le mie amiche quando vengono da me portano sempre Pizza o Tailandese da asporto.»
Coulson si fermò mentre stava chiudendo la porta, giusto un attimo per maledirsi mentalmente. Però era contento di aver scoperto che avesse delle amiche. 
«Okay, scelgo io. Vada per il Giapponese ce n'è uno non lontano da qui.» 
 

***


Arrivarono al ristorante e si sistemarono ad un tavolino vicino ad una vetrata che mostrava uno dei tipici paesaggi della periferia di Los Angeles, con viali a perdita d'occhio adornati di altissime palme. 
Il ristorante era semi-pieno e a Janice girò un po' la testa entrando in contatto con così tante persone. 
«Tutto okay?» le domandò Coulson. 
Lei annuì in risposta: «Solo un attimo per abituarmi, al resto ci pensa lui.» Gli indicò il cerchietto metallico sotto ai capelli, dietro la nuca.
Una ragazza dai tipici tratti orientali li accolse e li accompagnò ad un tavolo e diede loro due menù. Entrambi ringraziarono e cominciarono a scegliere. Ad ordine compiuto rimasero a guardarsi intorno finchè Coulson prese la parola: «Come funziona il dispositivo?» 
«Mi isola dagli altri, se mi concentro riesco a percepire la gente che ho intorno, ma il dispositivo mi impedisce di influenzarle... come successe alla Asklepius.» Coulson annuì pensieroso. 
A dire la verità sapeva come funzionava, e ci stava lavorando sopra ma voleva sentire se lei aveva dettagli personali da aggiungere.
L'uomo prese la borsa di lavoro che aveva appeso alla sedia e ne tirò fuori due manuali e un porta appunti con alcuni fogli fissati. 
«Mettili in borsa, sono il tuo programma per le prossime due settimane, se hai problemi con le altre lezioni mi chiami e vediamo di risolvere. Poi due libri. Uno fa parte della lista che mi hanno assegnato per te mentre l'altro è un manuale, che avrei piacere tu leggessi.»
Janice prese la roba, le diede un'occhiata veloce e ripose tutto nelle tasche laterali del borsone per non sciuparli.
«La ringrazio.» 
L'uomo prese la bottiglia dell'acqua e ne versò un po' prima nel bicchiere di Janice e poi nel proprio.«Prima hai parlato di alcune tue amiche. Come ti trovi all'Accademia?» Prese la bottiglie e ne bevve un paio di sorsi.
«Bene, signore...»
«Puoi chiamarmi Phil, o Coulson se ti torna meglio.»
«Ma pensavo che... ora che lei è...»
«Non siamo operativi in questo momento, tranquilla. Continua pure...»
«Oh, okay... beh dicevo, mi trovo bene all'Accademia. Ho sì, fatto un paio di amicizie, ci ritroviamo almeno un giorno a settimana per vedere un film o fare qualche gioco da tavola, scambiarci qualche pettegolezzo, qualche aneddoto.» 
«Non sanno...?!» 
Janice fece segno di diniego con la testa anticipando il finale della domanda. 
«Sanno solo che lei mi ha salvato la vita. Ma non sanno nient'altro. Mi avvicinarono, durante le prime lezioni, proprio per chiedermi dettagli, per loro somma delusione mi attenni ai piani del Direttore. "Non ricordo molto."» Janice rise ricordando le loro facce: «Per fortuna la delusione non le fece demordere ed oggi sono le migliori amiche che ho, probabilmente anche le uniche. Sono certa che non credano al fatto che sia stata rapita da piccola, e pensino la realtà sia un'altra, ma non fanno domande. 
Domani invece me ne faranno un sacco... me lo sento.»
«Insieme ad Helen, sicuro.» aggiunse lui arrotolandosi le maniche della camicia. Poteva immaginarsi la scena. 
«Lei invece ha scoperto come mai non è come gli altri?»
«Nope...» appoggiò i gomiti al tavolini unendo le mani davanti al mento:«...ma ne ho parlato con il Direttore.»
La ragazza sgranò gli occhi: «Davvero?»
«Devo essere sincero, non avevo mai dato troppo peso a questa cosa. Finchè non me lo hai ricordato l'altro giorno. Pensavo che all' I.N.D.E.X. avessero trovato una risposta, ma tu stessa mi hai detto che nei test non ci sono state eccezioni. Ho controllato nei vari files e mi è stato confermato. Quindi ho deciso di dirlo io al Direttore.»

6 giorni prima

La scrivania era completamente ricoperta di cartelle e fogli. L'Agente Coulson aveva letto e riletto più volte i risultati dei test dell' I.N.D.E.X. di Janice e le parole della ragazza: "Il mio potere non funziona su di lei." acquisirono un peso notevolmente diverso da come le aveva prese lui. 
Non aveva mai fatto veramente mente locale ai fatti, pensava di aver resistito alla Asklepius semplicemente per un caso fortuito. Perchè c'erano persone più inclini alla sua influenza e altre meno. Ma non era così. Non per i test. 
Così con un sacco di confusione in mente cercò di mettersi in contatto con Fury e riferirgli la faccenda. Usò la linea criptata e fortunatamente non mancò molto ad un:
«Cosa c'è Phil?»
«Le devo parlare, di persona.»
«Arrivo.»
Coulson riattaccò. Guardandosi intorno si rese conto di essere a casa e non ad una bas... 
*Driiin* Il suono del campanello lo lasciò perplesso. Si avvicinò alla porta e Fury era lì...
«Come diavolo?»
«Sono il Direttore di un agenzia spionistica, ho i miei segreti.»
Entrò in casa chiudendosi la porta alle spalle. 
«Di cosa volevi parlarmi Phil?»
L'uomo ancora allibito ci mise un attimo a mettere insieme le idee: «Ecco, intanto vorrei che si mettesse comodo perchè devo rivelarle una cosa. E sono sicuro che non ne sarà con...»
«Niente preamboli Phillip.»
«Il potere di Janice non ha influenza su di me... Per un motivo sconosciuto a quanto pare.»
«Lo so.» Rispose l'altro uomo accomodandosi sul divano. 
Coulson prese automaticamente due bicchieri, li appoggiò sul tavolino di fronte a Fury e si girò a recuperare una bottiglia di liquore. «Scusa Nick, cosa?»
Il dialogo prese decisamente note più personali e meno ufficiali. 
«Ho analizzato io stesso i video della Asklepius, attimo per attimo. Tu sei l'unica persona che è riuscita ad avvicinarsi a lei e a toccarla pergiunta. Mi sono fatto domande, soprattutto dopo che l'abbiamo trasferita. Sai quanti uomini hanno perso i sensi quando l'abbiamo spostata alla base I.N.D.E.X.?»
«23, c'è scritto nel rap... ooh ora capisco.»
Riempì i due bicchieri e prese subito un sorso dal proprio, accomodandosi vicino all'amico. 
«Come mai non l'hai riferito agli scienziati dell' INDEX? Non potrebbe essere importante?»
«Si, e no. E' importante perchè sei l'unico che può avvicinarsi a lei se perde il controllo. No, perchè ci sono cose che è meglio non scoprire. Possiamo usare questa cosa a nostro favore se lei un domani riuscisse ad entrare nelle file della Strategic come Agente operativo. Se si dovesse scoprire la verità su di lei, se qualcun'altro dovesse mettere le mani su di lei... beh non voglio dargli aiuti su come neutralizzarla.»
Improvvisamente Coulson si sentì parte di un grande piano diabolico. Stavano parlando di Janice come se fosse stata un'arma.  
«Lo sai vero che stiamo parlando di una ragazza? Di una donna? Una persona? E non di un'arma?!»
Fury annuì, alzando l'unico occhio al cielo. «Phil lo so che a te questi discorsi non piacciono, ma qualcuno deve prenderli in considerazione. Ho deciso di darle una chance perchè mi rendo conto del lato umano della faccenda, e sono con te.
Ma la tengo sott'occhio perchè un Istituto di cui non sappiamo niente l'ha tenuta sotto custodia per 13 anni. Facendo esperimenti su di lei. Facendo ricerche sui suoi poteri. L'hanno portata via alla propria famiglia perchè lei probabilmente è nata con questa abilità.
Fino ad ora abbiamo incontrato poca altra gente in grado di fare cose straordinarie, i soggetti dell'INDEX si contano sulle dita di UNA mano.
Lei è speciale e ci porterà guai, per quello te l'affido. Tu sei l'unico che può prepararla ad affrontarli.»
Fury tirò giù due sorsi dal suo bicchiere mentre Coulson si lasciò sprofondare nel divano guardando negli oc... nell'occhio? Insomma, scrutando il Direttore. 
Bevve tutto il rimanente nel proprio bicchiere rendendosi conto di essere stato un idiota. Di essersi comportato come un Agente novellino. Si stropicciò il viso con una mano. 
«Per questo ti ho mandato in Perù subito dopo. E mi sembra che  Camilla Reyes sia riuscita a distrarti...» Uno sguardo d'intesa fece sorridere Coulson. E se ne pentì all'istante. Soprattutto perchè...
«Ha cercato di impegnarmi per allontanarmi dalla causa?»
«Esatto. Non dovevi affezionarti alla causa, non sapevo se Janice avrebbe dato i risultati che speravo. E soprattutto non dovevi avere il tempo di pensarci, di ragionarci ed arrivare a queste conclusioni prima del tempo.»
Era tutto particolarmente crudele, enigmatico e soprattutto subdola strategia. Però purtroppo c'erano delle ragioni valide, si fidava di Fury, anche se aveva dimostrato molte volte di avere dei metodi drastici.

Tornando al presente... 

«Quindi...?»
«Quindi... niente, purtroppo è riservato, mi dispiace.» Coulson preferì troncare lì il discorso perchè non aveva intenzione di raccontargli tutti i fatti. 
«Comunque sia, questo mistero funge a nostro vantaggio...»
La ragazza si accigliò un attimo: «A lei non la incuriosisce questa cosa?»
«Molto...» ammise l'uomo «Ma ho fiducia nel sistema e nel Direttore... e nel servizio di questo ristorante, dato che sto svenendo dalla fame»
Il suo desiderio venne esaudito perchè l'ordine non tardò ad arrivare, per la felicità dell'uomo e la curiosità della ragazza. 
Mangiarono entrambi di gusto, continuando a parlare del più e del meno, mettendo così le basi del loro percorso, del loro rapporto allieva, mentore e della loro amicizia. Dopo tutto nella Strategic molti Agenti avevano trovato nei propri colleghi una nuova famiglia.

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Capitolo 9
*** Anche gli Agenti dello S.H.I.E.L.D. vengono colpiti a San Valentino ***


NOTA: Buon San Valentino a tutti ^_^ 
Vi premetto che è un capitolo in cui succede poco o niente, ho cercato di sottolineare (malamente devo ammettere) un rapporto di amicizia e fiducia che cresce, piano, piano, approfittando di un'avvenimento sociale come è San Valentino. Soprattutto nel caso di Janice, che del mondo conosce ben poco, figuriamoci delle persone e dei rapporti di amicizia. Un anno allo S.H.I.E.L.D. non ne cancella tredici segregata in un Istituto, giusto? 
In fondo al capitolo alcune note su alcuni dettagli che ho scelto di introdurci. 
Tanto amoreh a tutti <3 ahah. 
Ps: Sappiate che siamo vicini alle parti interessanti della storia ;) 

 

                                                                                                                              
 

9. Anche gli Agenti dello S.H.I.E.L.D. vengono colpiti a San Valentino

«Dettagli, Janice... vogliamo dettagli!» incalzò Danielle. Janice era seduta sul divano insieme a Jennifer e si stava massaggiando le braccia: «Dopo tre settimane di allenamenti ancora sono dolorante come il primo giorno, non c'è molto da dettagliare...»

Danielle scoppiò a ridere: «Beh siete sempre tu e l'Agente Coulson, soli... sudati...» venne interrotta da un cuscino, tiratole dritto in faccia da Jennifer: «Sei una lesbica imbarazzante...» Danielle le si avvicinò raccogliendo il cuscino caduto a terra e facendo il giro del divano le si sedette sulle ginocchia: «Sono bisex, e ho anche io degli occhi... e l'Agente Coulson non è niente male.» Le baciò la fronte per rassicurarla e Janice le osservò un po' intenerita, un po' imbarazzata per il tema del dialogo ma soprattutto un po' invidiosa, perchè lei ancora non aveva ben in mente cosa volesse dire innamorarsi.
Danielle e Jennifer si erano conosciute due anni prima, lì all'accademia, ma solo ultimamente avevano trovato il coraggio e si erano rivelate l'un l'altra. Janice ne era rimasta sorpresa... la prima volta che percepì i sentimenti di Danielle in risposta ad un semplice complimento di Jennifer. Probabilmente lo aveva scoperto lei prima di loro due ed era stato imbarazzante, perchè le sembrava di aver invaso la loro privacy, ma allo stesso tempo fu la prima volta che provò invidia per qualcosa che non aveva mai provato direttamente.
Le era capitato anche all'Istituto di conoscere un dottore dello staff, una delle poche persone gentili con lei, che ogni volta che si toccava la fede, appesa al collo con una catenina fine, provava sentimenti analoghi ma molto più profondi...
Lei, che era poco più di una bambina, all'epoca gli chiese la natura di quei sentimenti e l'uomo cambiò subito atteggiamento, la gentilezza lasciò il posto alla preoccupazione: «Si chiama vita, 3-1-7... si chiama amore. Sto pensando alla mia famiglia.» Lei gli aveva annuito senza capire davvero, e lui provò ad accarezzarle una guancia: «E' troppo presto per te, per capire...» impietosito dal fatto che i soggetti cavia, come lei, in quell'Istituto, quasi sicuramente non sopravvivevano abbastanza per conoscere quei sentimenti... al contatto con la guancia della bambina vide il viso della moglie e della figlia, una lacrima scivolò sul volto di entrambi, in malinconica sincronia.
«Questo è più una maledizione che un dono, 3-1-7... come fai? Io a malapena gestisco i miei di sentimenti... e tu sei così piccola.» Nel pronunciare a voce alta quei suoi pensieri si era guardato la mano... alzò lo sguardo verso la bambina e si accigliò.
«Mi dispiace...» sorrise malinconicamente e toccandole nuovamente la guancia cercò volontariamente di farle capire che non si sarebbero mai più visti, che era giunta l'ora per lui di correre ai ripari e prendersi cura della propria famiglia, perchè qualcosa stava minacciando la loro sicurezza.
Lei annuì, come era solita fare, senza dire una parola, ma qualcosa dentro di lei si spezzò.

...

«Hey Jan, cosa farai stasera?» I suoi pensieri vennero interrotti dalla voce di Jennifer. «Niente...mi godo un po' di riposo. Domani mattina presto ho la prima simulazione tattica con l'Agente Coulson...» fece un'espressione contrita: «Qui all'accademia le ho sempre portate a termine senza problemi, ma con lui ho la sensazione che non sarà la stessa cosa. Ho la sensazione che quell'uomo veda le cose in modo diverso dagli altri.»
«Penso stia solo cercando di farti recuperare il tempo perso in modo efficente...»
«Terapia d'urto, in poche parole se sopravvivi alla fine ci fai il culo a tutti.» aggiunse scherzando Danielle.
«Voi che fate? Andate alla festa?»
Le ragazze si guardarono maliziose e annuirono: «Ancora ci chiediamo come mai tu non voglia venire...»
«Perchè non fa per me, non mi piace stare in mezzo a tanta gente, soprattutto in questo contesto...» storse il naso in un'espressione diffidente: «San Valentino non è una festa che mi piace. Forse perchè ancora non la capisco...»
Fece spallucce sperando di essersela cavata con poche spiegazioni.
E... sì, c'era riuscita, le ragazze erano convinte, probabilmente anche perchè preferivano passare quella serata tra di loro, invece che con il terzo incomodo, quindi alla fine erano tutti contenti.
Davvero...?!

***

Le ragazze erano andate via da qualche ora e si era fatta l'ora di cena... composta da un paio di tramezzini ripieni di insalata di pollo, tutto pur di fare un pasto da poter mangiare comodi davanti alla tv.
Janice aveva fatto zapping tra i vari film d'amore, niente che la interessasse... però in quel momento passarono una pubblicità, con un lupo... ed un falco, si chiama LadyHawke* e sarebbe cominciato a breve, così decise di rimanere su quel canale, incuriosita dal trailer particolare.
Le squillò il telefono, era un messaggio.

Agente Coulson - 20:30 14/02/2003
Sei in appartamento?

 

Janice 20:30 14/02/2003
Si

Agente Coulson - 20:32 14/02/2003
Aspetti qualcuno?

Janice 20:35 14/02/2003
Nope

Agente Coulson - 20:36 14/02/2003
In 10 minuti sono lì, si guarda un film?
Porto guacamole e tortillas.

Janice 20:40 14/02/2003
Okay

Finito di digitare la risposta, passò un attimo ad assimilare la notizia.
Ospiti. Ospiti seri. Disordine?
Allungò il collo per vedere oltre la spalliera del divano per controllare che non ci fossero cose a giro, che la stanza non fosse particolarmente in disordine... ci mancava anche di prendere una ramanzina dal suo tutore.
Dopo aver analizzato la stanza, si guardò... portava una tuta, pulita ma spiegazzata così decise che era meglio cambiarsi, non che avesse molta scelta ma decise di indossare semplicemente dei jeans insieme ad un maglioncino rosso.
Coulson bussò alla porta pochi minuti dopo e lei aprì stringendosi nel maglione: «Buonasera, signore.»
Lui rimase sull'uscio, in giacca e cravatta, come suo solito, e con una busta di carta fra le braccia: «'Sera Janice, chiamami Coulson per favore, vengo in pace...»
«Buonasera, Coulson... entra accomodati.» si corresse lei imbarazzata.
L'Agente sorrise ed entrò sfilando dalla busta una scatola rossa di cioccolatini che le porse facendole un'occhiolino.
Sorpassandola andò al piccolo tavolino da pranzo appoggiandoci sopra la busta del take away messicano. La ragazza guardò sospettosa la scatola: «Le hanno dato buca ad un appuntamento?»
«Nope, ahimè non sono impegnato in questo momento... mi sono dovuto fermare a fare benzina ed erano esposti al bancone, ho pensato che il cioccolato fosse un buon dono per farmi scusare delle settimane passate...» fece spallucce tirando fuori una scatolina di guacamole «... e probabilmente anche per quelle a venire.» aggiunse tirando fuori anche due buste di tortillas, dopodichè si tolse la giacca e si ripiegò le maniche della camicia.
Aprendo la confezione di guacamole si sporcò un dito, se lo leccò: «Mi puoi passare della carta, per favore? Stò impiastricciando tutto...»
Janice si rese conto di essere rimasta imbambolata alla porta, pensando alla spigliatezza dell'uomo nel suo appartamento. Arrossì leggermente, non per imbarazzo vero e proprio semplicemente perchè non sapeva come comportarsi... era il suo mentore? Si. Poteva trattarlo come un amico? Si, glielo aveva dimostrato diverse volte, dopo gli allenamenti avevano praticamente mangiato sempre insieme, e avevano parlato del più e del meno. Lui le aveva raccontato qualche aneddoto di quando frequentava l'accademia e lei gli raccontava le sue giornate. Piano, piano si stavano conoscendo.
Sarebbero davvero diventati amici? Sveglia, Jan...
Resasi conto di essere ancora impalata decise di scuotere via tutti i pensieri e andò a prendere lo scottex sotto al lavandino della minuscola cucina: «Si, mi scusi. Ero sovrappensiero. Oggi siete tutti così ilari per la giornata che ho faticato il doppio a rimanere concentrata nella realtà...»
«Non sono un sensitivo ma...» si interruppe pensieroso: «... posso definirlo così?»
«Penso di si...»
«Insomma, non ho le tue capacità ma anche per me questa è una festa che non entusiasma. E non perchè sono un Agente da svariati anni e le relazioni da festeggiare in questa situazione sono più che rare... ma non mi fa impazzire il lato economico che si da all'amore in questa occasione.»
«Ma è perfetta per farsi perdonare?!»
Porse lo scottex a Coulson e lo aiutò a pulire il barattolino della salsa.
«Già, perfetto per quello. Come mai da sola stas...»
Si sentì una colonna sonora di sottofondo che attirò l'attenzione della ragazza che lo interruppe: «Oh sta cominciando.»
L'uomo si girò a guardare la tv: «Cos... Ah LadyHawke? Davvero?»
La ragazza lo guardò imbarazzata, leggendo la canzonatura sul viso dell'uomo.
«E' brutto?»
«No, è un buon mix tra fantasy, storia d'amore con toni dark e con una buona dose di musiche rock.»
Le passò la sua busta di tortillas, prese la propria insieme al barattolo di guacamole e si diresse al divano.
Janice prese dei piattini di carta e della coca-cola dal frigorifero: «Non ho birra, mi dispiace.»
L'uomo le fece cenno di indifferenza e lei avvicinandosi afferrò la scatola di cioccolatini e la poggiò al tavolino davanti al divano insieme alle altre cose.
Coulson si accomodò e si prese un po' di salsa in un piattino e si appoggiò al divano... si rese conto di star scomodo così si sciolse il nodo della cravatta, la tolse e la appoggiò al bracciolo: «Così risparmio di tintoria...» disse cominciando a mangiare.
Janice rise sedendosi vicino a lui e lo imitò prendendosi la sua dose di cibo da sgranocchiare davanti alla tv.
Il film cominciò e ben presto Janice scoprì di trovarsi coinvolta dalla vicenda del bel cavaliere Navarre e soprattutto, durnate la pubblicità le scappò un: «Che figo...» pensando di essere con Danielle.
«Non è il mio tipo... ma ammetto che Hauer è figo, si.»
Janice si girò un attimo a guardarlo ridendo sotto ai baffi, lui ricambiò lo sguardo sentendosi osservato: «Ricordami di farti vedere Blade Runner**, c'è sempre lui nei panni di un replicante.»
«Un robot?»
Coulson annuì.
«Oh, potrebbe essere l'uomo ideale per me...»
«Un po' grande per te, no?»
«Va beh se fosse un replicante prima o poi sarei io più vecchia di lui.
Però ci pensi, non potrei nè percepire i suoi sentimenti, nè potrei influenzarlo... e rimarrebbe per sempre figo co...»
Si scambiarono un'occhiata e lei allungò istintivamente una mano a pizzicargli un braccio, l'uomo la lasciò fare intuendo il suo ragionamento.
«Pensi che dovrei sottopormi al Voigt-Kampff Test?»
Lei lo guardò confusa: «Il Vo-che-test-cosa?»
L'Agente si scostò dallo schienale del divano per allungarsi a prendere da bere dal tavolino: «Il test usato nel film per riconoscere i replicanti dagli umani, vedrai.»
«Oh... direi che spiegherebbe un po' di cose. Tipo la sua irremovibilità durante il combattimento corpo a corpo...»
L'uomo le fece cenno con la bottiglia di coca-cola se ne volesse anche lei e lei annuì.
«No, quello è solo allenamento. Ho portato il culo in terra un sacco di volte prima di arrivare ai risultati di ora.»
«Ho speranza allora...»

Il film riprese e nella stanza calò nuovamente il silenzio. Avvicinandosi al finale Janice cominciò a commuoversi:«Lo trovo triste...» Si girò verso Coulson: «...passare la vita insieme ad una persona senza potersi veramente incontrare.»
Coulson, che era sprofondato nel divano, si girò a guardarla abbozzando un mezzo sorriso intenerito. «Si, decisamente.»

Entrambi, ancora non sapevano quanto quella riflessione li avrebbe riguardati da vicino, svariati anni dopo.

*bi-pop* Il telefono di Janice squillò a messaggio, la ragazza allungò un braccio per recuperarlo e vedere chi mai avesse voglia di scriverle a quell'ora.

Numero Sconosciuto 23:27 14/02/2003
- Scusami il ritardo ma... Buon San Valentino, Janice.
Che ne dici, usciamo una di queste sere?
Josh
ps. ho avuto il numero da danielle.

Josh era un compagno di corso di Janice con il quale ultimamente aveva cominciato a parlare durante la pausa pranzo. Era lui che si era avvicinato per primo una volta che Danielle e Jennifer erano impegnate in altri corsi. Era un bel ragazzo a dirla tutta. Era alto, con i capelli ramati e gli occhi color nocciola.
Ma lei non era interessata così gli rispose con un semplice:

Janice 23:30 14/02/2003
- Grazie, Buon San Valentino pure a te...
Mi dispiace essere scortese e diretta ma non mi va di uscire.

Arrossì di colpo alzando lo sguardo dal telefono guardò Coulson imbarazzata. Era la seconda volta quella sera che si scordava di lui.
L'uomo socchiuse gli occhi come per metterla a fuoco e sorridendo malizioso: «Arrivato San Valentino?»
«No, no, no... no.» rispose lei imbarazzata.
L'uomo sorrise assumendo un'espressione da gatto tronfio. «Non c'è niente di male.»
«Lo so.» Si arrese all'argomento, un po' titubante.
«Ma... posso essere sincera senza che lei pensi che io sia una sciocca? O una che si crede chissà chi e che se la tira?»
Coulson annuì con un cenno della testa.
«Penso di essere nata storta. Non mi sono mai affezionata, nemmeno all'Ist...» si interruppe un attimo, le parole le morirono in bocca e d'improvviso la stanza si fece piccola e soffocante. Fece un sospiro profondo e per mascherare il disagio aprì la scatola di cioccolatini, offrendone uno all'uomo, che accettò abbozzando un sorriso.
«Scusi, dicevo che all'Istituto ho avuto poche occasioni per volere bene a qualcuno. Inizialmente mi affezionai ad alcune persone, ad altri numeri come me, ma prima o poi sparivano... e faceva male.»
Prese un cioccolatino anche lei e ne morse un pezzetto, gli tremavano le labbra perchè ricordare era sempre un'esperienza terribile.
Coulson la guardava, dolce. Un po' come un fratello guarda la sorellina che sta raccontandogli un incubo ricorrente.
«Le cose, qui dentro, per ora non sono cambiate molto.» coninuò lei indicandosi il petto. «E per ora, so cos'è l'amore, lo sento con la pelle degli altri, ma non ho mai provato niente di simile... non so se ne sarò mai capace.»
«Certo.»
«Dice?»
«Un anno solo di vita normale non ne cancella tredici del tuo passato. Non ti far influenzare dalle aspettative degli altri, trova la tranquillità, trova la fiducia verso gli altri. E' difficile, soprattutto per le restrizioni che hai ed i segreti che devi mantenere, ma non è impossibile. Qui, non perderai le persone che hai vicino tanto facilmente.»
Delle lacrime cominciarono a scenderle le guance: «Ho... ho paura che un domani tutto questo possa finire... di risvegliarmi in una stanza bianca, in camice e sapere che per colpa mia vi è successo qualcosa... a lei, alle mie amiche e al Direttore...» prese un attimo di pausa per non piangere spudoratamente di fronte all'agente, si sentiva già abbastanza sciocca.
Coulson allungò una mano ad asciugarle la guancia, a cercare di consolarla.
«Non volevo piangere, mi dispiace...» abbassò il viso a guardarsi le mani. L'uomo si avvicinò e l'abbracciò. «Piangere fa bene. Aiuta a metabolizzare e a sfogare le paure.»
Janice si lasciò andare, con le mani si aggrappò alle braccia dell'Agente, alla sua camicia per essere precisi e singhiozzando silenziosamente lasciò scorrere tutte le brutte sensazioni, tutte le paure... e lo fece con una delle persone a cui teneva di più, a cui voleva dimostrare di essere forte... in un secondo momento questo l'avrebbe fatta sentire stupida ma in quell'istante si sentì leggera.
Pochi attimi dopo recuperò un po' di dignità, si allontanò da lui che era rimasto in silenzio. «Grazie... mi sento meglio. Però mi dispiace di averle rovinato la serata.»
«A me no. Sono stato bene. Mi fa piacere che tu abbia condiviso le tue paure con me. E voglio che tu sappia che non mi aspetto che tu diventi un Agente in un batter d'occhio, e che esserlo non significa non avere paura, non piangere. A me è capitato e sono sicuro che capiterà di nuovo... Quindi sii te stessa. »
Poi indicò il telefono della ragazza: «Quando ti innamorerai, o avrai una cotta, e succederà... te l'ho detto, te ne renderai conto facilmente perchè non impiegherai tre mintui per rispondere...» Le fece l'occhiolino cercando di farla sorridere e ci riuscì. «Poco ma sicuro...» rispose lei cercando di asciugarsi il viso con la manica della maglia.
«Nel caso avessi bisogno di aiuto, o di parlare, hai il mio numero e quello delle tue amiche. Usali. Sono tuo stretto supervisore, soprattutto nel caso in cui centri tu-sai-cosa, quindi ho l'obbligo di risponderti a qualsiasi ora.» Fece spallucce come dire Ahimè e si alzò dal divano guardando l'orologio, era mezanotte e mezzo.
«Bene... ci vediamo tra 5 ore e mezza da Helen per fare colazione, contenta?» Recuperò giacca e cravatta e si diresse alla porta.
«Da morire.» scherzò lei.
Tornò seria: «Grazie, Coulson.»
«Di niente Jan.»
Jan? Sorrise chiudendo la porta dietro all'uomo, aveva finalmente la sua risposta... Sì, stiamo diventando amici.

                                                                                                                                                        

 

*LadyHawke se si parla di film che raccontano una storia d'amore, beh ne ho solo tre nel cuore. Il cartone Disney della Bella e la Bestia che ho sempre reputato la storia d'amore per eccellenza. Poi LadyHawke che da bambina mi fecero vedere in alternativa a Blade Runner, ero affascinata, troppo piccola per essere innamorata, di Hauer. Infine Anna e il Re, la versione con Jodie Foster, che mi fa sempre piangere ed innamorare nonostante l'abbia visto un milione di volte.

**Blade Runner  piccola curiosità su Clark Gregg e di conseguenza anche su Coulson. Questo film è effettivamente tra i preferiti di Clark, lo ha detto in svariate interviste e su alcuni post mirati su twitter, e in più in un uno degli ultimi episodio di Agents of S.H.I.E.L.D. Coulson, quando May domanda se Aida può pensare, e lui risponde:"Maybe about electric sheep." che è un easter egg dedicato proprio a Blade Runner perchè il libro da cui è preso il film si intitola 'Do Androids dream of electric sheep?'

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Capitolo 10
*** 9.5 [Capitolo Bonus] Buon Compleanno, Agente Coulson ***


9.5 [Capitolo Bonus] Buon Compleanno, Agente Coulson 

 

Introduzione personale: questo capitolo l'ho inserito (in data 9/07/17) come [BONUS] per assecondare la mia voglia di scrivere qualcosa per il compleanno dell'Agente Coulson, che la Marvel ha stabilito essere l'8 Luglio (1964... ha un anno in meno dell'attore che lo interpreta). 
Per problemi personali con la linea fissa internet, pur avendo scritto questo capitolo in un solo giorno non sono riuscita a pubblicarlo in orario, un po' la cosa mi dispiace e stavo anche per cancellarlo ma, pur avendolo tirato giù velocemente mi sono affezionata ahah e quindi lo pubblico lo stesso. Spero vi faccia sorridere. 
Buona lettura. 

                                                                                                          

Erano le 21:00 dell’8 Luglio 2004,
Coulson entró in casa di ritorno da New York, dopo una riunione di approfondimento della Strategic svoltasi in due lunghissime sessioni nell’arco di due giorni.
Non particolarmente stanco era però accaldato cosí decise di rilassarsi e rinfrescarsi con un bel bagno.
Il tempo di prendere il ricambio dai cassetti e spogliarsi che la vasca era pronta, vi entró dentro immergendo per un attimo anche la testa e poi si accomodó appoggiandola al bordo.
Chiuse gli occhi, sentiva le gocce percorrergli il viso o ticchettare ritmicamente scivolando dai corti capelli nell’acqua, piano, piano si rilassò…
Non seppe quanto tempo era passato, e nemmeno se si fosse addormentato, ma il telefono notificó un messaggio… ed aprire gli occhi fu un immane sforzo. 
Si giró verso il ripiano del lavandino e allungó un braccio a prendere l’aggeggio-rompiscatole, lo aprí e premette su: Leggi Nuovo Messaggio, immaginando qualche aggiornamento di lavoro.

Janice 21:53 8/07/04
Per favore vieni subito qui, ho combinato un guaio.

Agent Coulson 21:55 8/07/04
Arrivo.

Finito di digitare la risposta, preoccupato uscí dalla vasca, recuperó un asciugamano randomico dal mobile sotto al lavandino e si vestí velocemente afferrando un paio di jeans ed una gruccia a caso nel reparto camicie, beccandone una blu. 
Passando davanti allo specchio si passó una mano nei capelli bagnati per metterli in ordine e uscí di corsa di casa prendendo al volo le chiavi di Lola.
Ci mise quaranta minuti ad arrivare all’accademia della Strategic dove viveva Janice, non sapeva bene cosa aspettarsi, per premura si preparò mentalmente tutte le scuse plausibili da usare con Fury.
Salì ai piani degli alloggi usando l’ascensore, percorse il corridoio arrivando finalmente davanti all’appartamento della ragazza. 
La porta era socchiusa, all’interno della stanza buia si intravedeva solo un fioco bagliore, la spinse varcando la soglia: «Permesso… Jan?!»
Nessuna risposta.
Cominció a preoccuparsi seriamente e stava cercando l’interruttore: «Jan, tutto be...» quando notó nel buio alcune fiammelle che danzavano sopra al ripiano in cucina.
L’uomo fece due più due, sorrise tra sé maledicendola mentalmente per averlo fatto preoccupare: «Sorpresa...» disse sottovoce aspettandosi che lei uscisse dal buio da un momento all’altro.
Passarono un paio di minuti, Coulson cominciò a sentirsi sciocco ad aspettare così si avvicinò alla torta con le diverse candeline accese, senza accendere la luce dell’appartamento.
Notò con piacere che il dolce era glassato al cioccolato e sopra vi era appoggiata la sagoma a forma di occhiali da sole, stile aviatore, in cioccolato fondente con sotto scritto in azzurro: Happy Birthday, Sir.
Anche il contorno della torta era decorato con riccioli bianchi di... glassa, panna o cioccolato? si domandò lottando contro la tentazione di inzupparvi un dito e scoprirlo… ma qualcosa doveva essere andato storto perché una parte era sbavata, come se qualcuno vi avesse appoggiato sopra la mano, o vi avesse urtato involontariamente. 
Vicino alla torta notó un biglietto:

“Temuto il peggio, eh?! Te l’avevo detto di aver combinato un guaio, solo non ho specificato che era ‘con il cioccolato bianco’”

«Svelato l’arcano...» sussurrò nuovamente Coulson guardandosi intorno per avere segnali di dove Janice potesse essere nascosta. 
Continuò a leggere:

“Bene bando alle ciance Agente, ora che ha trovato la torta… la sua missione è portarla alla vera festa sana e salva (non come ho fatto io passandola dal tavolo al ripiano)… la stiamo aspettando da Helen.”

Sorrise divertito dalla presa di giro e contento della piega che quella serata stava prendendo prese la torta cercando di non fare ulteriori danni e si incamminó nel corridoio verso il punto ristoro di Helen. 
Finito il corridoio e svoltato l’angolo, oltre a due tavoli buffet colmi di spuntini, patatine e bevande che gli fecero ulteriormente salire la fame c’era un numeroso gruppo di persone che lo stavano aspettando.
Rimase impalato davanti a loro, sorpreso da quante fossero. 
Janice era di lato, come al solito non si era esposta in prima fila dove invece c’era Helen che si era accorta di lui e gli stava rivolgendo un sorriso dolcissimo, era sicuro che la donna stesse pregustando ed organizzando quella nuova storia da raccontare.
Notó dietro di lei l’agente Maria Hill, vicino c’era la sua collega ed grande amica Melinda May accompagnata dal marito Andrew Garner, poi riconobbe le due migliori amiche di Janice, Danielle e Jennifer, con cui aveva fatto amicizia a sua volta ed un sacco di suoi colleghi con cui aveva lavorato…
«Ooh…» non riuscì a dire molto altro perché il gruppo accortosi di lui gli diede il benvenuto con un sonoro: «Buon Compleanno!» 
Gli andarono incontro per salutarlo, Helen gli tolse il dolce di mano per lasciarlo libero di ricevere pacche, abbracci ed auguri, però non senza farci scappare l’occasione di dirgli: «Janice è proprio una ragazza premurosa… ha organizzato tutto lei, sa?» gli mandò un occhiolino indicando con un gesto della testa Janice che era rimasta seduta in disparte. 
Dopo essere riuscito a salutare tutti, Coulson la raggiunse con un piattino pieno di roba per entrambi: «Mi hanno detto di doverti ringraziare...» le porse il cibo sedendosi sulla panca vicino a lei, lanciando uno sguardo verso il gruppo di amici che si stava servendo al buffet chiacchierando e ridendo. 
Janice pescò una focaccina: «Io ho solo proposto al Dr. Garner e lui ha coinvolto la Hill e l’agente May per pescare tutti i tuoi colleghi più vicini...»
Il Dr. Garner era diventato il suo nuovo psicologo subito dopo esser stata trasferita dalla Asklepius all’accademia, ed era stato il primo dottore ad aver fatto davvero la differenza per lei, facendole affrontare tutti gli incubi che la perseguitavano e non cercando di evaderli come aveva fatto il dottore prima di lui. 
Coulson le annuì facendo tutti i suoi collegamenti: «Grazie, è un gran bel gesto… anche se mi hai fatto rasentare la sincope.»
Janice si lasciò sfuggire un’espressione di colpevolezza: «E’ stata un’idea dell’agente Hill, ha detto che sarebbe stato l’unico modo per farti venire qui senza domande e senza sospettare di niente.»
«Ahimè, aveva ragione...» tirò un morso ad un panino. 
«Come mai sei rimasta qui in disparte?» qualcuno accese della musica scatenando un’esclamazione di approvazione generale. 
«Non voglio creare scompiglio… quarant’anni si compiono una volta sola, io invece avrò tutto il tempo per farti dannare dietro ai miei poteri. Per una sera posso evitare, e stare attenta. Ho già fatto abbastanza casino con la torta… mi dispiace...»
«E’ bella, sei stata brava, soprattutto è la mia preferita. L’hai fatta tu?»
«Si, gli occhiali però li ha commissionati Helen alla pasticceria in cui si serve per il bar.»
«Come facevi a sapere che mi piace quel tipo di torta?»
«L’hai ordinata un po’ di volte al pub inglese dove mangiamo ogni tanto, dopo gli allenamenti.» gli ricordò Janice, senza aggiungere che tra tutti i dolci che aveva visto mangiare all’uomo e che aveva assaggiato anche lei era anche il suo preferito, quindi era stata tutta questione di egoistica-fortuna l’aver azzeccato quello preferito da lui.
«Giusto, sei una buona osservatrice...vediamo se sei anche una buona cuoca.» facendole l’occhiolino si alzò andando a prendere una fetta di torta, passando in mezzo alla gente che si era messa a ballare. 
A missione compiuta tornò da Janice con due piattini, uno anche per lei.
«Non vai a ballare con loro?» gli domandò prendendo la propria fetta di torta.
«No, mi piace ballare ma in questo momento preferisco la torta. Sono due giorni che sto in piedi e mangio panini.» si leccò un dito che aveva involontariamente sporcato di cioccolato prendendo male il suo piattino. 
«Tu non vai?»
Lei gli fece un gesto energico di diniego con la testa: «Il ritmo è un 0-8-4 per me...»
«L’importante è divertirsi...»
«...appunto, non far divertire gli altri alle tue spalle.» Gli fece la linguaccia.
L’uomo assaggiò la torta e gli si illuminarono gli occhi: «Mmhwoow» ingoiò il boccone e riprovò: «Fantastica...»
Il complimento donò un sorriso a Janice che rammentò di avere un’altra cosa:«Giusto, ecco ti ho preso un regalo, una sciocchezza, perchè non ho idea di come si facciano i regali,sei la seconda persona a cui ne faccio uno, però con Danielle ho avuto l’aiuto di Jen...» aggiunse lei sporgendosi verso un tavolo dove c’erano diversi pacchetti destinati all’agente, che continuava a mangiare la torta con gusto.
«...forse è un po’ infantile, però mi ha divertita l’idea.» gli passò il pacchetto un po’ imbarazzata.
L’uomo si pulì le mani su un tovagliolino e prese il pacchetto che risultò morbido al tatto. Cominciò a scartarlo incuriosito, strappato un pezzo di carta fece capolino una stella bianca ricamata su fondo blu. 
Coulson sorrise alzandosi in piedi finendolo di scartare, era una maglietta in cotone cucita sul modello della divisa originale di Captain America, con tanto di strisce bianche e rosse, cucite una ad una e stella bianca sul petto ricamata in rilievo. 
«Ommioddio, è bellissima, grazie.» Abbracciò la ragazza, che si era alzata in piedi per aiutarlo a vedere se la taglia fosse giusta, senza nemmeno darle il tempo di realizzare di aver azzeccato taglia e idea: «Non pretendo che la indossi per uscire ma pensavo sarebbe stato un ottimo pigiama… o comunque da casa...» specificò facendogli appoggiare un’altra volta la maglia al petto..
«Si, diventerebbe la prova del nove per le nuove fidanzate, Coulson...» scherzò Maria Hill appoggiandosi alla spalla dell’agente:«... dal commento che riceverai saprai se davanti hai la donna della tua vita o meno»
«Credimi Maria, con la fortuna che ho di solito, potrebbe farmi risparmiare non poco tempo.»
In quel momento passò anche Danielle con la sua reflex: «Dite ‘cheese’?!»
Coulson andò a sedersi vicino a Janice e le passò un braccio dietro le spalle, con l’altra mano si tenne la maglia di Cap appoggiata al petto sfoggiando un sorriso da vero fanboy mentre Maria Hill lo abbracciò sedendosi vicino a lui dall’altra parte, appoggiandosi alla sua spalla aiutandolo a tenerla stesa… 
Nell’obbiettivo sulle spalle dell’uomo sbucarono altre due mani seguite da un viso che si affiancò al suo, intonando un: «Cheese!» dall’inconfondibile accento cinese.
Appena fatta la foto il telefono di Coulson notificò un altro messaggio. Scanzandosi dalle tre donne si alzò tastandosi i pantaloni per trovare in quale tasca lo avesse messo.


Nick Fury 23:07 8/07/04
Buon Compleanno, Phil.
Mi spiace, sono bloccato al Q.G.

Coulson 23:08 8/07/04
Grazie, signore.

La sera proseguì tra chiacchiere, regali, scherzi e balli… finendo tardi con Coulson addormentato sul divano dell’appartamento di Janice.   

                                                                                                             

PS. se pensate che May possa essere troppo in stile Ming-Na e meno se stessa, ricordate che questo episodio è ambientato nel 2004, i fatti che accadono nel Barhain che cambieranno un po' il carattere della donna saranno nel 2008.

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Capitolo 11
*** Una Missione Inaspettata ***


10. Una Missione Inaspettata


Janice uscì dallo spogliatoio pronta per cominciare l'allenamento, ormai erano svariati mesi che si allenava con Coulson e cominciava a vederne i risultati, i colpi dell'uomo non erano più impossibili da parare ed i loro scontri corpo a corpo stavano diventando più dinamici, evolvendo di volta in volta in qualcosa di più tattico e meno tecnico, diventando così delle sfide interessanti per entrambi.
Coulson l'aveva battuta sul tempo ed era già in tuta davanti al monitor di un computer portatile, con lo sguardo che passava velocemente dal foglio che teneva in mano ad un punto preciso dello schermo, sembrava stesse seguendo delle istruzioni per inserire dati precisi.
La ragazza si avvicinò a lui incuriosita e guardandosi intorno vide delle paline-trasmittenti poste lungo il perimetro della stanza.
«Servono per l'allenamento di oggi, signore?»
Coulson, che accigliato stava controllando la stringa di comandi appena inserita, le annuì distrattamente, cancellò un paio di numeri e premette INVIO sulla tastiera.
Il programma elaborò le richieste sotto lo sguardo dell'uomo, confermandogli in poco tempo di essere attivo e pronto all'uso. Le sagome delle trasmittenti apparvero sullo schermo.
«Oh bene, per fortuna è andata al primo colpo... Non sono molto amico di questi aggeggi...»
Si girò verso Janice tutto soddisfatto del proprio traguardo come tecnico improvvisato ma trovò solo lo sguardo perplesso della ragazza che ancora non capiva cosa stesse succedendo.
«Giusto... beh oggi cambiamo musica, si passa alla terza fase del nostro allenamento.» le rispose sorridendo emozionato.
«Potresti togliere lo schermatore e darmelo, per favore?» chiese indocandole la testa con un cenno.
Janice tolse mal volentieri il cerchietto che portava dietro alla nuca e glielo passò: «Come mai?» domandò.
«Ho abbastanza esperienza sul campo da poterti confermare che raramente va tutto liscio come sperato...» le fece spallucce cercando di essere ironico nel mentre collegava il dispositivo al computer tramite un cavetto: «E per evitare che tu mandi in tilt un'intera squadra durante una missione, perchè questo...» agitò davanti a loro il cerchietto con aria scettica: « ...si rompe, si stacca o ti viene strappato via, ho pensato di mettere le mani avanti.»
«Devo fare un impianto sottocutaneo? Non cre...» L'uomo la interruppe rabbrividendo all'idea: «Hew! Questo non è un esperimento. Non sono uno scienziato...» Tornò al computer e cliccò su: SIMULAZIONE.
«Ti ricordi quando alla Asklepius affermasti che nell'Istituto stavi imparando a controllare questa tua abilità...»
Janice annuì ricordando il dialogo.
«Ecco, è esattamente quello che faremo. Fa parte di te, quindi non devi annichilirlo, non devi evitarlo, al contrario penso che devi conoscere le tue potenzialità, devi farle tue... esattamente come hai allenato il fisico, solo che questo... solo tu puoi farlo.»
Le dette una piccola pacca sulla spalla, lei ancora era titubante: «E se non riuscissi?»
«Riuscirai.»
«Come fa ad esserne certo?»
«Perchè ho avuto un'idea brillante e deve funzionare...» la guardò con un sorriso sornione che le ricordò l'espressione di un gatto.
«Ora attivo la simulazione, potrò solo monitorarti e darti i consigli a secondo dei dati che le trasmittenti mi daranno. Il resto tocca a te. Sei pronta?»
Janice annuì, e si avviò al centro della palestra cercando di concentrarsi.
Lui nel frattempo avviò la prima simulazione dalla console tarata a 10 PERSONE e attivò i comandi vocali.

Una voce femminile metallica avvisò: "AVVIO SIMULAZIONE IN 5... 4... 3..."
Coulson si posizionò in guardia davanti alla ragazza.
2... 1... SIMULAZIONE AVVIATA" sullo schermo in lontananza apparvero 10 punti verdi e le trasmittenti intorno a loro cominciarono a lampeggiare.
Janice percepì la presenza di altre persone intorno a loro, senza però ovviamente vederne, si concentrò su Coulson e si mise in guardia.
«Cominciamo. Primo schema di difesa.» le disse.
Cominciarono l'esercizio e subito lei trovò faticoso concentrarsi, non era più abituata a stare senza protezione e percepire così nettamente altre presenze, così dopo soltanto i primi scambi il computer segnalò "ERRORE" e dallo schermo tutti e dieci i punti verdi divennero rossi.
Coulson si fermò e posò una mano sulla spalla della ragazza: «Hey Janice, respira e recupera concentrazione.»
Lei si aggrappò al suo braccio con lo sguardo perso nel vuoto cercando di fare come le diceva.
«Co...cosa è successo?» si guardò intorno confusa, mettendo di nuovo a fuoco la vista e notò che tutte le trasmittenti lampeggiavano di rosso.
«Hai appena messo k.o. dieci persone...»
«Okay... un attimo, e riproviamo.» respirando regolarmente cominciò a passeggiare avanti e indietro nella palestra per ritrovare un equilibrio mentale e fisico.
«Con calma.» la rasicurò Coulson, osservandola.
Dopo pochi minuti si misero di nuovo in guardia uno di fronte all'altra.
Coulson alzò la voce verso il computer: «RESET»
"RESET IN CORSO."
"SIMULAZIONE PRONTA."
«AVVIO»
"AVVIO SIMULAZIONE IN 5... 4... 3... 2... 1... SIMULAZIONE AVVIATA."
Sudata e ancora confusa Janice si concentrò su Coulson cercando di isolarsi dalle dieci presenze invisibili.
Sapeva come fare. Era stata per anni a contatto con ben più di dieci persone in una unica stanza, eppure all'epoca non era stato così difficile.
In quel momento invece non era solo la combo stress psicologico + stress fisico, a metterla in difficoltà, Coulson aveva probabilmente ragione, il suo potere era come un muscolo, e per farlo funzionare doveva allenarlo costantemente e prenderci dimestichezza.
Si allenarono per ore quella mattina, e Coulson dovette riavviare il sistema da zero per ben tre volte, perchè Janice nei picchi di stress era riuscita a mettere k.o. le trasmittenti stesse, per overdose di dati.

I giorni proseguirono e gli allenamenti si intensificarono, Coulson la metteva alla prova con ogni mezzo e simulazione e lei dava il massimo per superare i propri limiti per poi imporsene di nuovi. Non sempre le cose erano andate per il meglio, erano state molte le volte in cui i due avevano litigato e Janice era scoppiata in attacchi di rabbia e pianto che aveva sfogato su quell'agente che attraverso giorni, mesi ed anni era diventato la sua mini-famiglia.

Con il tempo avevano superato insieme le difficoltà, e avevano scoperto pregi e difetti dell'abilità della ragazza, insieme erano riusciti a tovare diverse scappatoie e a trasformarli in punti di forza.

***

Erano passati cinque anni (siamo nel 2007) dal primo incontro come Agente Supervisore ed Allieva tra Coulson e Janice.

In quel periodo, lei era riuscita a finire i propri studi per diventare Agente su Campo con specializzazione Medica mentre lui aveva portato avanti il proprio progetto con Janice e la propria carriera in parallelo, cercando di far andare le due cose di pari passo. Come optional ogni tanto aveva cercato anche di avere un briciolo di vita sentimentale, come una persona normale... ma purtroppo era un Agente della Strategic, quindi il più delle volte erano state storie dalla durata minima.
Anche Janice aveva provato ad avvicinarsi ad un neo agente conosciuto in accademia, ma la cosa era finita malissimo, c'era quasi stato un bacio tra loro... ma il ragazzo non riuscì nemmeno a sfiorarle le labbra che perse i sensi, volando a terra come il classico sacco di patate... fu così che Coulson e Janice scoprirono che nonostante lei stesse sviluppando un certo autocontrollo sulle sue abilità, il contatto diretto era sempre una grossa incognita. Fortunatamente al ragazzo non rimase memoria della serataccia, ma nonostante gli incoraggiamenti di Coulson, Janice decise di chiudere lì quella storia e di tirare avanti per la sua strada, di pensare una cosa alla volta e il suo obiettivo più importante in quel momento era finire gli studi e guadagnarsi il badge, diventando così a tutti gli effetti un'Agente.

Quella sera sia Coulson che Janice si erano presi una serata in 'famiglia' e la stavano trascorrendo sul divano dell'appartemo di lei all'accademia, giocando a LEGO: Star Wars in co-op online su xbox 360 con sottofondo di sgranocchiar di snack e pizza e sorseggiar di bibite e birra.
A rovinare la serata fu il telefono di Coulson che squillò a metà di una partita. Sullo schermo il blocco della linea protetta della Strategc.
L'uomo si alzò dal divano facendo spallucce a Janice e recuperando il badge dalla giacca appoggiata sulla spalliera si avviò alla porta: «Torno subito.» disse uscendo nel corridoio.
«Speriamo non sia un incarico...» sbuffò Janice facendo il log-out dalla partita in corso e mettendo in pausa la console.
Uscito nel corridoio, Coulson si chiuse la porta alle spalle e passò la propria tesserina sotto al sensore del telefono, sbloccando la chiamata.

«Agente Coulson. Pronto.»
«Sono Fury. Se sei con Janice allontanati da lei in modo che non possa sentire.»
Coulson obbedì facendo qualche passo nel corridoio in modo da allontanarsi abbastanza dall'appartamento.
«Ci sono. E' successo qualcosa?»
«Ho ricevuto poco fa una chiamata anonima, criptata a dovere, nessun nostro dispositivo è riuscito a rintracciarne la posizione.»
«Qualche ex Agente?»
In sottofondo si sentirono un paio di 'bip' seguiti da il rumore di una tastiera, all'istante il telefono dell'Agente vibrò debolmente avvertendolo che aveva un file in arrivo.
«Penso sia qualcosa di più grosso. Ascolta l'audio.» gli ordinò senza troppi spicci.
Coulson staccò il telefono dall'orecchio, mise la chiamata in attesa, recuperò il file audio e avviò la riproduzione della registrazione riportando il dispositivo all'orecchio, così giusto per fare le cose in maniera discreta.

[FILE AUDIO]

«Pronto?» era la voce di Fury.
A rispondere sottovoce era un uomo, con un tono leggermente ovattato come se stesse tenendo qualcosa davanti alla bocca per modificarne ulteriormente il suono.
«Parlo con il Direttore della Strategic?»
«Si, con chi sto parlando? Come ha fatto ad entrare nella nostra linea interna?»
«Non ha importanza. Non ho tempo ed ho informazioni importanti su 3-1-7.»
Fury rimase in silenzio.
«Dovete assolutamente tenerla al sicuro. Sorvegliatela. Loro la stanno cercando.»
«Loro chi?» sbottò Fury.
«Non posso dirglielo. Deve fidarsi di me. Avrà le sue risposte se andrà ad indagare al St. Johnes.»
«Il vecchio Sanatorio?» «Il Sanatorio» la voce incredula di Coulson in coro con la registrazione di Fury.
«Ai piani inferiori c'è ben altro...»
Si sentì un rantolio e l'uomo misterioso si schiarì la voce diverse volte prima di riuscire a parlare nuovamente.
«Trovere l'Istituto.»
«Come fa a sa...» Fury stava chiaramente temporeggiando, probabilmente cercando di rintracciare la chiamata.
«Non c'è tempo!» La voce del misterioso uomo sbottò, costringendolo a tossire nuovamente.
«Mi prometta di tenere al sicuro la ragazza. Di non abbandonarla al proprio destino, come ho fatto io anni fa... Lo prometta?»
«Le assicuro che non è mai sola...»
La linea si interruppe bruscamente, Coulson riattivò la chiamata con il Direttore.

[//FILE AUDIO]

«...» Non parlò subito, cercò prima di riordinare le idee.
Dopo tanti anni passati a cercare l'Istituto, a cercare indizi e dare disperatamente un'origine a Janice, a scoprire la sua verità... ecco che improvvisamente informazioni così importanti erano appena piovute dal cielo.
Puzzava tremendamente di trappola.
Fury interruppe come d'abitudine i pensieri di Coulson.
«Ho in mente di tirar su una squadra per indagare. Ti voglio pronto in un'ora. Senza obbiezioni. L'unico consiglio che ti chiedo è: secondo te dobbiamo portare anche lei?»
«Puzza di trappola...» rispose Coulson dando voce ai suoi dubbi.
«Tremendamente, ma lei è l'unica che può esserci utile là sotto. Ammesso che ci sia davvero l'Istituto, lei è l'unica ad esserci già stata.»
Coulson odiava quando Fury gli poneva delle domande quando in realtà aveva già preso la sua soluzione.
Cercò per un attimo di sviare l'argomento, mettendo in tavola i propri dubbi personali: «Nick non penso di riuscire ad essere obiettivo in questa situazione...»
«Stai mettendo in dubbio il tuo coinvolgimento personale verso di lei, Phil?»
«In un certo senso, sì. Mi sono affezionato a lei in questi anni. E nonostante come Agente Sadico Supervisore potrei accompagnare Janice in ogni sorta di missione, anche pericolosa, senza battere ciglio perchè so quali sono le sue capacità e so bene quali sono i miei limiti... in questo caso, quello che troveremo laggiù potrebbe, non so come dirlo ma, potrebbe essere fin troppo... personale?! Invasivo?! Potrebbe farle male a livelli che una pallottola in un arto diverrebbe uno scherzo.»
«E' questa tua lucidità che ti fa guadagnare fiducia. Non sappiamo cosa succederà, in un modo o nell'altro, lei avrà bisogno di te... Noi avremo bisogno di te.»
Ecco, che la freddezza da calcolatore di eventi e rischi di Fury tornava a farsi viva.
Coulson strinse i denti e si passò una mano sul viso per mandar via i brutti presentimenti.
«Tra un'ora fuori dalla base.»
«Sì, signore. Vado ad informare Janice.»
Entrambi riattaccarono.

Coulson si passò una mano sul viso sgomento cominciando a percorrere nuovamente il corridoio, questa volta all'inverso e con una insolita lentezza. Stava prendendo tempo per metabolizzare.
Girò la maniglia della porta entrando nell'appartamento e se la chiuse alle spalle.
«Sei desiderato ai piani alti?» domandò Janice mettendo a posto i resti della loro serata nerd, arresasi all'idea che la pacchia fosse finita e che Coulson se ne sarebbe dovuto andare in missione, chissà dove.
Lui, avvicinandosi a lei annuì con un gesto del capo incurvando gli angoli della bocca verso il basso.
«Hey Coulson, c'è qualcosa che non va?» Nonostante gli anni passati lei non riusciva ancora a chiamarlo per nome però, una cosa era certa, con il tempo aveva imparato a riconoscere quei piccoli segnali che lasciavano trasparire l'apprensione dell'uomo.
Lui non rispose subito, si limitò ad appoggiarsi al piccolo tavolino guardando a terra per qualche attimo facendo cadere la domanda nel nulla.
Si sedette al tavolino:«Siamo entrambi richiesti dai piani alti...»
Coulson mise enfasi nella parola 'entrambi' alzando lo sguardo verso di lei e facendole cenno di sedersi: «Nick - il Direttore Fury...» si corresse mentre lei obbediva: «ha ricevuto informazioni sulla probabile locazione dell'Istituto. Dobbiamo essere pronti in...» guardò l'orologio per stimare il tempo loro rimasto: «... cinquanta minuti.»
Janice fissò l'uomo a sua volta, rendendosi conto di quello che stava succedendo, contenta di avergli dato retta e di essersi seduta... le salì ansia e paura ed allo stesso tempo sorpresa ed emozione di poter finalmente dar luce e chiudere definitivamente un enorme capitolo oscuro della sua storia.
«Quindi... posso venire anche io?» la domanda le suonò ancor più sciocca posta a voce alta, ma i due neuroni che ancora riuscivano a ragionare non erano riusciti a pensare a qualcosa di meglio da chiedere.
«Sì, ma i patti sono "solo se te la senti"...»
Delle lacrime rigarono le guance della ragazza che fece di tutto per mantenere calma e professionalità. Entrò nella sua modalità Agente: «Sì, signore. Sarò pronta in men...» la voce le venne meno e Coulson prontamente le asciugò le lacrime con una carezza: «Andrà tutto bene.»
Janice chiuse gli occhi per qualche attimo annuendo più a se stessa che alle parole dell'uomo. Riaprendo gli occhi prese la mano dell'uomo tra le sue e lo scansò affettuosamente alzandosi dalla sedia, facendogli capire che andava tutto bene.
«Metto la divisa e arrivo...» gli disse avvicinandosi ed aprendo l'armadio vicino alla porta d'ingresso: «C'è anche la tua divisa 'd'emergenza' per le chiamate improvvise...» aggiunse, vedendo un borsone come il suo anche se decisamente più usato, con la classica aquila bianca simbolo della Strategic, appoggiato vicino al suo.
«Mi bastano giubbotto e fondina...» le rispose prima che potesse finire la domanda cominciando a rimboccarsi le maniche della camicia.
Lei le passò il borsone e si mise a tracolla il proprio: «Torno subito.»
Coulson annuì mentre slacciava le cinghie del giubbotto antiproiettile appena estratto dalla borsa.
Janice approfittò del tempo impiegato a mettersi la divisa tattica per pensare allo scenario che le si sarebbe parato davanti di lì a poco.
Uscendo dalla sua stanza aggiustandosi la fondina al lato della gamba, domandò:«Pensa che troveremo qualcosa? Cioè, stavano smantellando tutto quando hanno cercato...» di uccidermi? pensò, ma non riusciva a dirlo così tagliò corto con un: «...quando mi ha trovata.»
«Non ne ho idea, la faccenda mi perplime quanto te.»
Ci fu un attimo di silenzio in cui entrambi rimuginavano sui dati che avevano sull'Istituto, nel mentre uscirono nel corridoio abbandonando il piccolo appartamento.
«Potremo trovare soltanto stanze vuote, piene di polvere e macerie...» la delusione si insinuò nella voce di Janice.
«Cosa vorresti trovarvi?» domandò Coulson chiamando l'ascensore dell'Accademia.
«Non ne ho idea... in questo momento ho la nausea all'idea di poter scoprire qualcosa su di me, ed allo stesso tempo paura che si riveli una totale delusione... di non poter chiudere con tutta questa storia... speriamo solo non sia una trappola. Il Direttore come ha fatto ad avere il luogo esatto?»
«Una soffiata anonima... l'unico indizio dopo cinque anni, non sarebbe saggio ignorarlo.» fece notare Coulson aggiungendo un attimo di pausa.
«Come non sarebbe saggio non presentarsi armati fino ai denti.» aggiunse scambiando un sorrisetto malizioso con lei.
La invitò ad entrare nell'ascensore, le porte si chiusero e la scatola metallica cominciò a scendere, verso il loro punto di ritrovo con il Direttore. 

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Capitolo 12
*** Sotto al St. Johnes, la tana del drago. ***


11. Sotto al St. Johnes, la tana del drago.


Il cielo era completamente coperto dalle nuvole, rendendo il buio di quella tarda notte ancora più denso. In quell'angolo isolato alla periferia di Los Angeles l'insegna in ferro battuto del St. Johnes incombeva sul gruppetto di agenti che si stava preparando a disturbare il vecchio sanatorio ormai abbandonato da anni.
Coulson e Janice arrivarono sul luogo con una macchina della Strategic, un fuoristrada nero con l'inconfondibile aquila bianca stilizzata stampata sulla fiancata: «Ci siamo...»
Coulson slacciò con una mano la cintura e alzò l'altra verso Janice: «Sei pronta?»
«Sí, signore.»
Gli rispose battendogli il cinque un po' sorpresa dal fatto che il suo super-severo mentore non si fosse ancora calato nel ruolo di agente.
Scesero di macchina e si avvicinarono alle altre due vetture della Strategic parcheggiate nello spiazzo di fronte al cancello d'ingresso del St. Johnes. Janice si fermó a presentarsi al gruppo di agenti, che stava preparando l'attrezzatura tecnico/scientifica, con cui avrebbe fatto squadra.
Secondo le loro divise c'erano: due agenti della divisione ingegneria e due agenti del reparto scientifico.
Fu l'agente Roland, una donna della divisione scientifica, a presentarsi per prima e ad introdurla nel gruppo.
Nel frattempo Coulson si incamminò per raggiungere il Direttore Fury che era già davanti al cancello e stava impartendo ordini a sei agenti specialisti. Raggiungendolo vide due di loro rimanere al fianco del direttore mentre gli altri quattro andarono a disporsi di vedetta ai fianchi del cancello.
«Agente Coulson»
«Direttore Fury»
I due si salutarono formalmente con un cenno del capo, tono completamente diverso da quello che avevano avuto al telefono soltanto un'ora prima.
«Come l'ha presa?» domandò Fury dando un'occhiata da lontano a Janice che stava facendo domande sull'attrezzatura all'agente Roland.
«E' un po' turbata ma affronterà questa faccenda in modo professionale, vedrà.»
«Chissà da chi avrà preso...» un accenno del loro rapporto di amicizia scaturì da quell'affermazione. Coulson non sapeva se prenderlo come un complimento, in ogni modo gli fece ricordare un episodio di appena un anno prima.

Prima di Janice aveva già avuto degli agenti sotto la propria ala, una dei quali era scomparsa in missione ormai da un anno. L'agente in questione era Akela Amador*. Lui conosceva bene le potenzialità della donna: era intelligente, aveva talento da vendere ed era coraggiosa.
Purtroppo ne conosceva anche la debolezza, era totalmente riluttante al lavoro di squadra. Per questo nel suo addestramento aveva provato a riempire questa sua lacuna, forzandola ed insistendo.
Alla fine, fiducioso, l'aveva assegnata ad una squadra scelta per introdursi in una delle basi di un criminale noto alla Strategic per il suo ruolo nel mercato nero, T. Vanchat**. La missione finì male, il resoconto della seconda squadra inviata fu tragico.
In poche parole l'aveva mandata a morire.
Aveva sbagliato tutto e lei ci aveva rimesso con la propria vita.
In quel periodo prese in considerazione di abbandonare il proprio progetto con Janice, di lasciare il suo ruolo a qualcuno di più competente di quanto era stato lui.
Sapeva che Fury lo avrebbe redarguito dicendogli che non ci sarebbe stata alcuna alternativa valida a lui, ma aveva già pianificato di parlarne con l'Agente May, sua fidata collega e migliore amica, nessun altro avrebbe potuto finire l'addestramento della ragazza meglio di lei.
 

***

Ricordò che durante una di quelle sere passate a rimuginare sulla faccenda e a bere per annegare il rimorso, il campanello di casa sua dovette suonare diverse volte prima di riuscire a catturare la sua attenzione.
Si alzò dal divano strizzando gli occhi sperando che una volta riaperti la stanza avrebbe smesso di girare. Ovviamente non successe, così si sforzò di alzarsi ed imboccare il percorso giusto per arrivare alla porta senza inciampare o picchiare da tutte le parti.
«Chi é?» biascicò appoggiando la fronte alla porta e chiudendo gli occhi cercando di recuperare lucidità.
«Coulson?» la voce di Janice suonò preoccupata dall'altro lato.
L'uomo borbottò qualcosa di incomprensibile anche a se stesso.
Impiegò qualche attimo per trovare le chiavi, beccare la serratura ed aprirle la porta.
Janice non credette ai propri occhi.
Camicia spiegazzata e mezza aperta. Capelli in disordine. Barba incolta. Occhi rossi ed a mezz'asta. Un odore acre di alcool e di sudore.
Da uno degli uomini più ordinati che avesse conosciuto...
«Oh cavolo, cosa ti é successo?» entró in casa offrendoglisi come appoggio e lo aiutó a raggiungere nuovamente il divano. Tornó indietro a chiudere la porta.
«É riservato...» le rispose.
«Strano...» la ragazza alzò gli occhi al cielo aiutandolo a sedersi, poi tornò a guardarlo. Aveva gli occhi lucidi e rossi: «Quant'é che non dormi?»
«Che giorno é oggi?»
Janice rimase a bocca aperta, un po' sgomenta dal comportamento dell'uomo, in quel momento totalmente diverso da come lo conosceva.
«Ti preparo del tè. Vediamo di toglierti un po' di alcol di dosso.» Si tolse giacca e l'appese all'attaccapanni: «Posso usare la cucina?»
L'uomo si sdraiò mugugnando un 'sí'.
Dopo qualche minuto fece mente locale, si rialzò a sedere e si girò verso la cucina: «Aspetta... Tu... tu che ci fai qui? Chi ha firmato il permesso?»
Janice mise l'acqua sul fuoco, cercó di perdere tempo prima di rispondere, quando sentí un tonfo alle sue spalle. L'uomo si era seduto a tavolino con le braccia incrociate appoggiate sul ripiano e la testa sprofondata in mezzo ad esse.
Gli si sedette vicino cercando di aggiustargli i corti capelli.
«A dire il vero, vedendo te... mi vergogno un po' a dirti il perché...»
«Grazie, sono lusingato...» il tono sarcastico risultó ovattato da dentro le braccia di Coulson.
«Mi sentivo sola. Questa settimana, mentre eri al Triskelion***, ho lavorato con un'altra squadra...»
«Come é andata?»
«Uno schifo...»
«Buono, già meglio di 'un disastro'.»
Janice gli tiró un nocchino sulla punta dell'orecchio che sporgeva sopra alla spalla.
«Ahia...»
Passó un attimo di silenzio.
«Quando non sei nei paraggi mi trattano un po' come un animale da circo...»«Ti hanno fatta saltare dentro un cerchio di fuoco...?»
«Lo sai che da ubriaco hai un pessimo senso dell'umorismo?»
Dal tremolio delle spalle dell'agente Janice capì che stava ridendo.
«Sei tu a sbagliare...» il tono di Coulson si fece serio, alzó la testa sorreggendosela con le mani: «...anche quando sarai un agente ci sarà sempre qualcuno che ti sottovaluterà, o che avrà paura della tua natura.» socchiuse gli occhi infastidito: «Scusa, mi sta salendo il mal di testa...»
«Intanto, guardo se l'acqua é pronta...»
Janice si alzó dal tavolo avvicinandosi ai fornelli pensando alle parole dell'uomo. L'acqua nel pentolino era vicina a bollire, dato che non doveva fare un infuso staccó il gas, cominciando a cercare la scatolina di té verde che l'agente teneva nei ripiani sopra al lavandino.
«Ti stavo dicendo...» riprese Coulson: «Ci sarà sempre qualcuno che ti discriminerà, che ti tratterà male, che ti farà star male. Tu non devi permettergli di sentirsi dalla parte della ragione. Abbi rispetto ma allo stesso tempo fatti rispettare. Tieni la testa alta, fai quello che ti dicono e fagli vedere che si sbagliano, che sul campo non potranno fare a meno di te. Che le tue abilità rendono la...» le ragioni per cui aveva bevuto quella sera tornarono a galla, strinse le labbra ad una fessura per un attimo, inarcando gli angoli della bocca verso il basso, tiró un lungo sospiro arrendendosi alla sensazione schifosa: «...rendono la squadra più ricca non più pericolosa.»
Janice notó quella sua espressione tipica nei momento di disagio o preoccupazione. Portó due tazze piene di té al tavolo e si sedette di nuovo vicino a lui.
«Credimi Coulson, ci provo... ma spesso non é facile. Hai tirato su un addestramento assurdo pur di farmi padroneggiare le mie abilità senza problemi. Ci siamo fatti un culo cosí...» Janice mimó le dimensioni: «...e niente, nessuno mi da credito. É dannatamente frustrante.»
«Vedrai che poi le cose si sistemeranno. Impareranno a conoscerti e farai parte di un team che crede in te. E chi non ti ha dato credito si mangerà il fegato.»
«Questa cosa mi fa girare le scatole. Anche solo per rendervi orgogliosi. Intendo a te e al Direttore, per farvi capire che non avete perso il vostro tempo con me...»
Si guardarono per un attimo, Janice si rese conto di aver ulteriormente rabbuiato lo stato d'animo dell'uomo e stava cercando di capire cosa gli stesse succedendo.
«Sai cos'é brutto in questo momento?»
«Il mio aspetto?»
«Anche...» scherzó lei rivolgendogli una mezza linguaccia tra i denti.
«Avere il potere di poter alleviare gli stati d'animo negativi di chiunque e non di quell'unica persona che fa parte di quelle poche che ti danno fiducia.»
Lo sguardo di Coulson si intenerì, nonostante le fitte alla testa che stavano aumentando: «E' normale. Non vorrei nemmeno che tu mi aiutassi altrimenti.»
«Mi fai sentire 'normale'... » gli fece una smorfia per sdrammatizzare:«...dopo tutti gli allenamento passati a diventar tutt'uno con il mio potere, mi fa quasi schifo come sensazione...» 
Entrambi ci sorrisero sopra e Coulson un po' sollevato provó a bere il té, anche se non gli piaceva granché, lo teneva per gli ospiti, non per sé.
«So che non ti piace, ma devi tirare giù dell'acqua per far passare il mal di testa.»
«Si, dottoressa...»
«Bastasse questo, non dovrei sorbirmi un altro anno di esami.»

Finito il loro té tornarono sul divano a guardare un po' di televisione.
Coulson stette un po' ad occhi chiusi per far passare il mal di testa.
Dopo un po' Janice gli dette una tocco di gomito sul fianco per chiamare la sua attenzione: «Apri un attimo gli occhi, guarda come ti somiglia questo attore?» gli sorrise sorpresa indicando lo schermo dove l'attore in questione stava interpretando il ruolo di un transgender****, e in quel momento stava dando consigli sullo studio ad un ragazzo: «Oddio...» Coulson rimase senza parole dalla somiglianza.
«Ora sappiamo che aspetto avresti da donna...»
«Mi sa che nella vita ho sbagliato tutto...» aggiunse lui.
«Giuro, non ti sto prendendo in giro...» Janice gli lanció uno sguardo malizioso: «... direi che sono anche un po' invidiosa...»
«Dei capelli ricci, vero? Li sto invidiando anche io.» Si passò istintivamente le dita sulla stempiatura e poi tra i corti capelli.
Passarono un po' di tempo a seguire il film e poi Coulson appoggió il braccio sulla spalliera del divano e con la mano diede un buffetto affettuoso sulla guancia della ragazza.
«Jan?! Grazie di essere passata stasera.»
«Ed averti preparato il té?» scherzò lei.
«Nope... ed avermi fatto superare la serata senza fare cazzate.»
«Cosa avevi in mente?»
«Volevo lasciar perdere il nostro lavoro ed affidarti a qualcun altro.»
«Ti avrei odiato a morte. Perché poi?» si scostò dalla spalliera e si giró verso di lui per parlare faccia a faccia.
«Perché...» Coulson si strofinò la fronte cercando di mettere in ordine le idee. Tra il mal di testa e la confusione che gli aveva portato l'alcool aveva paura di rivelare qualcosa di classificato... ma stava male:«...é successo qualcosa che mi ha fatto sentire un fallimento.» Si rimuginò sul posto, come se stesse scomodo: «Ho fatto un enorme sbaglio di valutazione e penso di aver combinato un disastro.» distolse lo sguardo per un attimo. «Di quelli da cui non puoi tornare indietro...» si rigirava le mani una dentro l'altra in un tic nervoso.
Janice si tolse le scarpe e tirò su le gambe sul divano appoggiandosi alla spalla dell'agente posandogli una mano sopra alle sue per farlo calmare.
«Beh non lo sei. Un fallimento, intendo. Ti conosco ormai da sei anni e ritengo tu sia un uomo ed un agente come pochi al mondo. E' la prima volta che ti vedo così sconvolto, non so cosa sia successo ma so per certo che un solo errore, ammesso che lo sia davvero, non determina ciò che si è.»
Cercò di sollevargli il morale: «Molti dei tuoi colleghi darebbero un rene per essere come te e per essere nella tua posizione...»
Lo sapeva, perché aveva sentito quell'invidia sulla propria pelle. Alcune volte era stata pura incredulità, qualcuno si era chiesto come un agente, da loro reputato anonimo, come Coulson fosse arrivato ad essere così vicino al Direttore.
«E quale sarebbe la mia posizione?»
«Essere l'occhio Buono di Fury.»
«Cosa? Mi chiamano cosí in accademia? Mi fa sembrare raccomandato...»
«Nope, é cosí che ti chiamano Maria Hill e il Direttore stesso.»
Janice negli anni passati alla Strategic aveva legato molto con la donna. Non erano proprio amiche del cuore, ma qualche volta erano uscite a mangiare qualcosa insieme dopo le riunioni di aggiornamento sul suo stato nell'INDEX. Trovava la compagnia dell'agente Hill piacevole e d'ispirazione.
«Coulson?»
«Mmh?»
«Hai cambiato idea vero?»
«Sì, domani mattina riprendiamo l'ultima sessione di strategia.»
«Prima però ricordati di confermare il mio permesso di uscita di stasera.»

***

In quei pochi attimi passati a ricordare quell'episodio, intorno a lui il gruppo di agenti aveva finito di organizzarsi ed era pronto ad entrare in azione.
«Benvenuti a Silent Hill...» si fece scappare Coulson osservando l'alto muro di mattoni che circondava la struttura mentre si aggiustava il giubbotto in kevlar in modo che non gli ostruisse i movimenti.
Janice gli si affiancò, seguita a ruota dall'agente Roland, e guardò oltre l'inferriata dove si poteva scorgere una parte del groviglio di erbacce che li separava dalla scalinata che portava dal portone principale.
A parte un senso di inquietudine che le correva lungo la pelle sotto alla divisa, il luogo non le era familiare.
Non poteva far finta che dentro di lei non martellasse il pensiero che quella missione poteva rivelarsi soltanto un'illusione e che non li avrebbe portati a niente se non, nel peggiore dei casi, ad una trappola. Ma perchè? Si domandò. Cosa potrebbero volere da me dopo tutto questo tempo?
«Squadra ai vostri posti...» la voce del Direttore mise tutti in riga, distogliendo la ragazza dai propri pensieri.
Fury con un gesto invitò un agente alle spalle di Janice a procedere per aprire il cancello.
«Agente McKlone, il perimetro è libero?» domandò rivolgendosi ad uno del reparto ingegneria che stava scansionando i dati ricevuti dai droni spia in perlustrazione: «Il perimetro è libero, signore. Possiamo procedere.»
Il primo agente passò vicino a Janice per raggiungere il cancello con in mano le cesoie ed involontariamente la urtò appena con un braccio, per lui fu abbastanza da farlo scansare di scatto come se avesse preso la scossa.
Paura e malessere accarezzarono i sensi della ragazza mettendola in imbarazzo, sapeva di esserne la causa. Combatté contro l'istinto di farsi indietro ricordando i consigli di Coulson, quindi non diede segni di incertezza a cui far aggrappare il timore dell'uomo. Fury la guardò e sorrise compiaciuto.
Dopo diversi minuti, finalmente con un *clack* la spessa catena che teneva unite le ante del cancello cedette sotto alle cesoie dando all'agente il pretesto di poter tornare in fondo alla fila e stare il più lontano possibile da Janice.
Fury, fece finta di non notare la poca professionalità del suo sottoposto, afferrò saldamente il cancello e spinse facendo cigolare i grossi cardini arrugginiti, degli agenti gli si affiancarono per aiutarlo e lasciarlo libero di sgusciare nel cortile e farsi largo tra i rovi e le erbacce verso l'ingresso dell'edificio.
Arrivati davanti al grosso portone d'ingresso rimasero stupiti da quanto era pericolante e messo male. Gli ingegneri si assicurarono attraverso l'avanzata tecnologia della Strategic che non vi fosse anima viva all'interno.
Dopodiché Coulson si affiancó ad altri agenti ed insieme smontarono l'anta pericolante sganciandola dai gangheri.
Janice, arma in mano e torcia della divisa accesa, sfidó per prima il fitto buio ed entró per prima nell'edificio affiancata a ruota dal Direttore.
I fasci di luce bianca degli agenti che man mano entrarono dietro a loro rivelarono un largo corridoio con due porte sulla destra, UFFICI ed APPUNTAMENTI ed una sulla sinistra affiancata da un casotto in vetro, ormai opaco dagli strati di polvere che vi si erano incrostati negli anni, con sopra riportata la scritta: INFORMAZIONI. Percorsero quel corridoio finendo in un grosso atrio con due ascensori sul fondo proprio di fronte a loro.
Erano posizionati in mezzo a due rampe di scale in stile ottocento, in legno e pietra. Vicino alla rampa di sinistra c'erano due porte frangi-fiamma moderne che portavano a due diversi reparti, PSICHIATRIA e NEUROLOGIA, mentre alla destra c'era un unico reparto di PSICHIATRIA INFANTILE affiancato da quello che una volta doveva esser stato un piccolo bar.
Fury si avvicinò agli ascensori scrutandone le condizioni, mentalmente si ripetè le parole della fonte anonima. Aveva menzionato dei piani inferiori...
Passandosi le dita sul mento strofinando la corta barba, rifletté sul da farsi.
«Tre squadre di perlustrazione, cerchiamo i generatori e vediamo cosa ancora funziona di questo posto.»
Si formarono immediatamente tre squadre, Coulson e Janice rimasero insieme e seguiti dall'agente Roland si diressero nel reparto alla loro sinistra: NEUROLOGIA.
Il gruppo percorse il corridoio del reparto in rigoroso silenzio facendo attenzione a ciò che vedevano, scrutando l'interno delle stanze dove si potevano scorgere diverse sedie a rotelle e diversi letti con cinghie di contenimento, scaffali pieni e ripiani mobili con sopra vassoi in metallo, stetoscopi, elettrodi e diversi arnesi arrugginiti e rovinati dall'umidità e dal tempo.
Nel corridoio il pavimento era coperto di polvere, detriti e persino da pezzi interi di intonaco crollati dal soffitto in corrispondenza di un'arrugginita tubatura ormai quasi del tutto scoperta che ne percorreva l'intera lunghezza, gocciolando acqua in diversi punti.
Alla sola luce delle torce quell'ambiente così malridotto e decadente risultava ancor più tetro, quell'atmosfera condizionò i pensieri di Coulson che cercò di immaginare quella che sarebbe potuta essere stata la realtà di Janice in tredici anni vissuti in un posto del genere.
Si inumidì le labbra diverse volte scrutando nel buio, cercando di evidenziare qualcosa di importante con la torcia.
Incrociando lo sguardo di Janice interruppe quel silenzio.
«Tutto bene?» La ragazza gli annuì distrattamente passandogli vicino, concentrata nella sua ricerca. Dopo qualche istante si rese conto che probabilmente l'agente Coulson si stava preoccupando per lei e gli rispose cercando di rassicurarlo: «Inquietudine che sprizza da ogni granello di polvere di questo luogo a parte... non ho ancora visto niente di familiare.»
L'uomo si sentì stranamente sollevato da quelle parole. Sollievo apparente, che durò poco perché la ragazza, entrando nella penultima stanza aggiunse sottovoce: «Ho una brutta sensazione addosso... anche se ormai sono solo macerie e polvere, questo posto è ancora denso di sofferenza...» si girò verso l'uomo per vederne il viso.
«Puoi vedere quello che è successo qui?» la domanda proveniva dall'agente Roland.
Janice ne rimase sorpresa: «No, ma posso averne una sensazione...» anche Coulson si avvicinò incuriosito per ascoltarla.
«E' come avere un presentimento, però su qualcosa che sai esser reale...» si mordicchiò nervosamente il labbro inferiore cercando di trovare le parole giuste per spiegare cosa sentiva: «Sono come delle sensazioni-fantasma, sono flebili ma posso sentirle perchè hanno impregnato questo luogo per diversi anni...» si guardò attorno: «...in molti hanno aspettato e sperato che i propri cari tornassero a prenderli, che li riportassero a casa...» aggrottò la fronte sentendosi vicina a quelle sensazioni: «Per i primi anni l'ho sperato anche io...» si voltò a guardare Coulson: «...non so come mai ad un certo punto abbia smesso.»
L'uomo non trovò le parole per risponderle, silenziosamente tornò nel corridoio con lei, seguiti a ruota dall'agente Roland che al contrario di lui aveva ragionato una risposta: «Probabilmente ti avranno fatta credere che quella fosse la tua normalità...»
Janice si ricordò del sistema usato per farla obbedire e vi collegò le parole della donna. Le fece spallucce dandole mentalmente ragione.
Arrivati in fondo al corridoio il gruppetto si stava accingendo ad aprire l'ultima porta che chiudeva l'esplorazione del reparto, quando un fruscio percorse improvvisamente il corridoio e la corrente riprese a scorrere nell'impianto dell'edificio illuminandolo per qualche attimo come l'Enterprise.
Fu questione di poco tempo ed alcune lampadine nel corridoio e nelle stanze scoppiarono facendo trasalire Janice.
Gli agenti rimasero al buio, in silenzio, ipotizzando quanti dei loro colleghi fossero rimasti fulminati nel riattivare il generatore.
Si sentì un second fruscio ed il corridoio si illuminò di una luce fioca, da quelle poche lampadine sopravvissute.
Roland si incamminó verso la hall per raggiungere il Direttore e ricevere i nuovi ordini, Janice la seguì fermandosi però dopo qualche passo. Coulson era rimasto davanti a quell'ultima porta rimasta chiusa. Nella poca luce, sempre più utile delle sole torce, notò il cartello scolorito "SOLO PERSONALE ADDETTO".
Provò ad aprirla, pensando di trovare un magazzino di medicinali e strumenti. Con sua sorpresa la maniglia girò facendolo entrare in una vera e propria stanza... vuota e buia, dando una rapida occhiata aiutato dalla torcia notò che tutte le luci al neon erano state rimosse.
Janice lo raggiunse aiutandolo ad illuminarne l'interno. Dopo qualche attimo attirò l'attenzione dell'uomo verso il soffitto: «Guardi lassù, Coulson...»
Guardando il soffitto videro che la crepa della tubatura rotta sul soffitto del corridoio aveva continuato la sua corsa fin dentro quella stanza rivelando che la parete di fondo era semplice cartongesso, rovinato dall'umidità nel punto in cui toccava il soffitto.
I due cominciarono a picchiettare la parete in cerca di indizi sulla presenza dei cardini o direttamente di punti di cedimento. Nel frattempo vennero raggiunti dal resto del team.
«Trovato qualcosa?» domandò Fury entrando nella stanza.
«Non lo so ancora...» gli rispose Coulson continuando a tastare la parete.
Due agenti del reparto ingegneria gli si affiancarono usando degli scan particolari che in poco tempo rivelarono dove dovevano spingere per far scivolare la parete verso l'interno di una stanza, dove li aspettava un'altra porta chiusa, questa volta a farle la guardia c'era un pannello elettronico acceso e lampeggiante che segnalava ERRORE. 
«Sembra una partita di Dungeons & Dragons...» commentò uno degli agenti avvicinandosi al pannello. Quell'uscita fece sorridere Coulson che stava ironicamente pensando la stessa cosa. Più si avvicinavano al drago, porta, dopo porta gli ostacoli aumentavano.
Coulson e Fury si scambiarono uno sguardo d'intesa, senza aggiungere niente l'agente superò il Direttore facendo cenno agli altri di allontanarsi. 
Dalla fondina sganció un piccolo detonatore a tempo, lo applicó sulla porta all'altezza della serratura e si allontanó di qualche passo, istintivamente, dando le spalle alla porta, incroció le braccia al petto.
Dopo pochi secondi un tonfo sordo riecheggió nella stanza precedente e nel corridoio, facendo cadere qualche altro calcinaccio ma sbloccando la porta che nascondeva l'ingresso ad un grosso ascensore.
«Voi due...» Fury indicó due agenti nel gruppo: «...rimanete qui, di guardia.» i due uomini chiamati in causa annuirono e si disposero ai lati della stanza per lasciare il via libera agli altri.
Coulson premette il tasto di chiamata, fortunatamente il grosso ascensore era funzionante, ed una volta arrivato al piano aprì le proprie porte al team di agenti.
L'agente entrò per primo, rendendosi conto che era molto simile agli ascensori che si trovano negli ospedali, ampio abbastanza da poter trasportare una barella. 
Janice seguendolo alzò lo sguardo al soffitto, riconosceva quell'abitacolo: «Direttore, sono già stata qui...» si appoggiò alla parete vicino a lei e con una mano ne sfiorò la superficie. Fu un attimo, un flash, un ricordo si fece largo nella sua mente mostrandogli il volto di una donna, gli occhi grigi e uno sguardo glaciale. 
«Stai calma! Hai capito? Devi stare calma!» Nonostante le parole di conforto la voce uscì in tono brusco e con un diverso accento dalla bocca di Janice. Rimasero tutti sbigottiti tranne Fury e soprattutto Coulson, che aveva già visto la ragazza avere quella sorta di 'ricordo-vivido'. La sera dell'incidente alla Asklepius la ragazza aveva parlato con il suo accento, ripetendo le parole che gli aveva rivolto quando l'aveva trovata.
Anche questa volta, passato quel momento di smarrimento, gli occhi di Janice tornarono presto vigili e sorpresi di trovarsi al centro dell'attezione. 
«Tutto bene?» domandò il Direttore in tono preoccupato. 
«Sì, signore...Scusi...» evitò di guardare Coulson, era confusa perchè erano anni che non le succedeva di avere una visione del genere. 
«Cominci a ricordare?»
«Sì, signore... ero su un lettino, legata...» si guardò i polsi, sentendo ancora la sensazione dei lacci di contenimento: «...un'infermiera cercava di farmi calmare. E' stata la prima cosa che ho visto quando vennero a prendermi.»
«Questo significa che è davvero...» cominciò il Direttore.
«...l'Istituto.» Janice e Fury finirono la frase all'unisono. 

 

Note:

*Akela Amador:  
personaggio già nominato in questa fanfiction, è presente nel mondo MarvelTV ed appare nell'episodio 1x04 "Spy Eye" di Marvel's Agents of S.H.I.E.L.D.

** Vanchat:  criminale nell'ambito del mercato nero di armi e di tecnologia aliena (chitauriana), dopo la Battaglia di New York (Marvel's The Avengers) viene nominato spesso nella serie tv Marvel's Agents of S.H.I.E.L.D. negli episodi: 1x01 "Pilot" e 1x04 "Spy Eye" e lo vediamo nell'episodio 1x11 "The Magical Place". 

***Triskelion: base principale dello S.H.I.E.L.D. dove vi è stabilita la sede ufficiale.  

****il ruolo di un transgender: il film in questione è reale ed è intitolato "The Adventures of Sebastian Cole" dove Clark Gregg (l'attore interprete di Coulson) interpreta il ruolo di Henry/Henrietta Rossi, patrigno del protagonista che decide di fare coming-out nei primi minuti del film. 




 

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Capitolo 13
*** Istituto - parte II ***


Istituto - parte II


L’ascensore rallentò la sua corsa soltanto dopo essere sceso svariati metri nel sottosuolo, al suo interno la squadra di agenti stava aspettando in silenzio l’apertura di quelle sue grosse porte d’acciaio, formulando mentalmente le proprie supposizioni su cosa aspettarsi.
Janice si era posizionata in uno degli angoli per poter avere tutto il vano ascensore sott'occhio. Ahimè in un luogo così chiuso, anche non volendo, era difficile evitare di percepire la curiosità ed il timore provati dal gruppo, con un contorno d’ansia provenienti da - reggetevi forte che questa è la ciliegina sulla torta - un soggetto claustrofobico, a cui Janice diede tanto di cappello perché stava riuscendo a mantenere una certa dignità esteriore. Infatti non seppe distinguere quale degli agenti stesse patendo le pene dell’inferno.
La realtà era che per una volta si sentiva sollevata che fossero gli altri a non poter percepire cosa lei stava provando in quel momento, e sperava di essere brava come quell'agente claustrofobico a nasconderlo.
Rivolse uno sguardo ad ogni agente presente nell'ascensore cercando di risultare il più tranquilla e naturale possibile: l’agente Roland, insieme ad un altro agente, ricambiarono il suo sguardo, entrambi con un breve cenno di approvazione, nel tentativo di rassicurarla.

«Direttore, posso dire due parole?» domandó Coulson, interrompendo il silenzio.
«Sí, Agente Coulson.»
L’agente si rivolse ai suoi compagni di squadra in tono sicuro, qualcuno avrebbe azzardato a dire che fosse autoritario ma in realtà era il suo modo per dimostrare schiettezza, come si suol dire ‘patti chiari ed amicizia lunga, questo non è un gioco’. 
«Janice non é ancora un agente operativo ma vi dó la mia parola che potete fidarvi di lei...» premise per fugare i dubbi sul particolare evento accaduto poco prima, ricordava come si era sentito la prima volta che aveva assistito ad una visione di Janice, aveva persino temuto di toccarla: «Noi abbiamo bisogno della sua conoscenza, e lei della nostra avanzata esperienza. Questa missione potrebbe portare a qualcosa di davvero importante sia per noi che per lei, e questo richiede un vero lavoro di squadra. Serve una certa dose di fiducia. »
Un lieve sobbalzo arrestò la loro discesa, chiudendo teatralmente il discorso di Coulson. Gli agenti rinnovarono uno sguardo più sicuro, annuirono all'uomo e si prepararono all'azione.
Le grosse porte scivolarono lentamente sulle guide spalancandosi, regalarono un nuovo panorama agli agenti… o forse no? Erano di nuovo nel buio più totale, a parte la luce del vano ascensore.

Fury uscì per primo accendendo la propria torcia per illuminarsi la strada. Fece cenno alla squadra di mantenere la posizione.
Si ritrovò in un largo corridoio, che girava a sinistra dopo pochi metri, con un'unica porta proprio di fronte a loro, con l’insegna: MANUTENZIONE.
Vi entrò speranzoso e come sospettato vi trovò un enorme pannello che gli permetteva di poter dare nuovamente vita all'impianto elettrico nei diversi reparti di quel piano. 
Si mise la torcia in bocca per avere le mani libere ed azionò diverse volte la leva grossa e piatta che caricava il generatore centrale, ed aspettò qualche attimo che la spia lampeggiante in arancio diventasse verde per poter attivare una ad una le diverse sezioni.

✔ Corridoi ed Uffici
✔ Alloggi Guardie / Armeria
✔ Sala Operatoria 1 e 2
✔ Sala Operatoria 3 e 4
✔ Ala Scientifica / Sezione Esperimenti
✔ Alloggi Reparto Scientifico / Medicina
✔ Mensa
✔ Biblioteca / Ala Studio
✔ Dormitori

O Reparto Ostetricia

Possibile che Janice sia nata quí? Che sia in realtà un esperimento genetico? pensó il Direttore indugiando qualche secondo prima di riattivare la corrente di quella zona.

✔ Reparto Ostetricia
✔ Centro Addestramento / Ala Riabilitazione
✔ Quarantena
✔ Zona scarto / Criocella

Quando tutte le luci furono accese spense la propria torcia ed uscí dalla stanza, la squadra di agenti era rimasta lí fuori ad aspettarlo come aveva ordinato, tranne Janice che si era spostata nell’angolo opposto, di fronte al secondo corridoio. 
Lo sguardo puntato a terra, pochi metri avanti a lei.
Coulson le si avvicinò, sorpreso da quel luogo. Lanciò un'occhiata giù per quella nuova ala dell’istituto e rimase a bocca aperta, le luci appena accese avevano rivelato che tanto era tetro, antico e malridotto il sanatorio, tanto era luminoso, moderno ed in perfette condizioni quel posto. A parte un lieve velo di polvere che copriva il pavimento, tutto il resto era di un bianco asettico quasi innaturale.
«Ero così vicina...» sussurrò Janice.
«Cosa?» le domandò Coulson avvicinandosi ulteriormente a lei.
«Quando cercai di scappare...» gli raccontò lei segnando una striscia per terra con lo sguardo: «Arrivai fino a qui. É dove mi atterrarono e mi scontrai con le guardie...» non specificò cosa successe, sapeva che Coulson conosceva bene la storia: «… pochi metri e c’era l’uscita, ed io non lo sapevo… di essere così vicina.»
Guardò l’uomo facendo spallucce con aria delusa, ed un po’ in imbarazzo per avergli dimostrato ingenuità.
«Probabilmente non sarebbe servito a nulla arrivarci. Me ne rendo conto. Con tutti i sistemi di sicurezza sarei rimasta ugualmente bloccata…però fa lo stesso rabbia.»
Fury era a pochi passi da loro, era rimasto in silenzio ad ascoltare la ragazza.
Notandolo, Janice cambiò atteggiamento tornando nella sua modalità ‘agente speciale’ - anche se ancora non lo era ufficialmente: «Chiedo scusa, signore.» Fece un breve inchino con il capo, in segno di rispetto che il Direttore ricambiò.
«Posso assicurarle che questo é il luogo da cui provengo.» fece un respiro profondo. «La soffiata era giusta.»
Fury le dette una pacca sulla spalla facendole l’occhiolino - avendo un occhio solo era un po’ azzardato dire che fosse effettivamente un occhiolino ma a lei piacque pensarla cosí.
«È tutto a posto recluta. Questo luogo...» lanció anche lui un’ occhiata lungo l’altro corridoio: «...è competenza tua. Ci mettiamo nelle tue mani.»
Si posizionó al suo fianco, facendo frusciare il lungo cappotto nero che faceva ormai parte della sua divisa - perlomeno Coulson non l’aveva mai visto senza, ed erano anni ormai che si conoscevano - come avrebbe fatto con un superiore, e le lasció carta bianca.
Janice cercó di concentrarsi, cominciando a regolare il ritmo di ispirazione ed espirazione, per staccarsi dai sentimenti che quella situazione le stava portando ed avere la mente lucida, esattamente come le aveva insegnato Coulson per affrontare i momenti di stress psicologici e fisici.
Tiró fuori nuovamente la pistola dalla fondina, senza peró togliere la sicura e si incamminó nel corridoio.
Indicó la prima porta, a due ante, bianca come le pareti, alla loro destra: «Da qui si entra negli alloggi delle guardie. A rigor di logica, con l’esperienza di ora, penso che possa includere anche un’armeria.»
Fury aprì la porta scoprendo un altro profondo corridoio con numerose porte.
«Ricordo che uscivano ed entravano sempre armati.» continuó Janice, motivando il suo ragionamento.
Infatti in fondo al corridoio Fury poté distinguere una porta diversa dalle altre, a prima vista sembrava blindata. Chiamó a se due agenti specialisti e gli diede il comando di perlustrare la zona.
Proseguendo trovarono un’altra porta,sempre a doppia anta, peró sulla sinistra.
«Non so bene cosa ci sia lì dentro, vedevo entrarci spesso i membri importanti dello staff, quelli che comandavano qui dentro. Per tutti gli altri, era severamente vietato avvicinarvisi.»
«Vediamo se abbiamo fortuna...» Coulson provó ad aprirla ma la maniglia non cedette, provó a forzarla ma fu interrotto da Fury sul pensiero: «Lasciamo fare agli altri, così noi intanto possiamo proseguire senza perdere tempo.» cosí dicendo chiamó altri due agenti, questa volta del reparto ingegneri e li lasció al loro lavoro.
Proseguirono arrivando cosí all’ultima grossa porta, una enorme frangi-fiamma grigio-azzurra, dell’ultima stanza di quel corridoio. Janice vi si affiancò dando un’occhiata all'interno da una delle due finestre in vetro doppio.
«Questa è la sala operatoria più piccola...» si toccó la nuca d’istinto: «...quella dove mi hanno sottoposta agli interventi alla testa.»
Con un braccio spinse piano su un’anta, affacciandosi cautamente nell’ambiente.
Nessun pericolo.
Entró facendo pochi passi, lasciando giusto lo spazio agli altri di entrare, poiché per terra di fronte a lei notó subito un camice polveroso con alcune grosse macchie di sangue sul colletto, vicino poco distante c’era una siringa ed il trapano chirurgico usato per le ossa del cranio.
Alzó lo sguardo confusa verso il lettino, dove le cinghie di contenimento erano spezzate.
«Possibile che se ne siano andati via quello stesso giorno?» si domandó a voce alta attirando l’attenzione dei due uomini che stavano osservando la credenza al lato della porta, cercando dei documenti ma trovando soltanto medicinali.«Cosa intendi?» le domandó Coulson.
«Quelle cinghie le ho rotte io.» gli indicò il lettino: «E questo é il camice del dottore che ho...» cercò di spiegare la sua perplessità trovandosi in difficoltà ad ammettere cosa aveva fatto. L’aver ucciso due uomini era il tema principale che lei e il suo psicologo, il Dr. Garner, discutevano durante le loro sedute: «...ucciso.» ammise alla fine con una fitta allo stomaco che le fece salire la nausea.
«Possibile.» asserì Fury accucciandosi sul camice per vedere se per caso nascondeva una spilla od un badge con un nome: «Hai creato scompiglio, una volta che non sono riusciti ad eliminarti avranno voluto allontanarsi da qui il più in fretta possibile...» Niente. Nel punto in cui sarebbe dovuto esserci il badge c’era rimasto solo il segno dei dentini della pinza che lo teneva.
«Ma non avrei mai potuto sapere come portarvi qui...» ammise la ragazza, ma nel dirlo a voce alta e ad ascoltare le proprie parole ci ragionó: «Pensa che fossero loro a conoscere voi... Perché hanno contattato direttamente la Strategic per la soffiata, giusto?»
«Si, esatto. Sembra ti stiano tenendo d’occhio e probabilmente temevano che prima o poi con le nostre risorse avremmo trovato il modo di risalire a loro...» Fury fece un sorriso quasi impercettibile rialzandosi in piedi.
Coulson lo notó. Ha apprezzato il collegamento che ha fatto Janice? non riuscí a fare a meno di domandarsi. La stà mettendo alla prova?

Sorvoló, senza indagare ed insieme alla squadra continuó a guardarsi intorno cercando di trovare ulteriori indizi. Ma non c’era altro, solo pochi arnesi ed uno schedario vuoto, cosí decisero di passare alla seconda sala operatoria, quella più grande.
Janice l’aveva già vista, era dove le avevano messo la protesi in titanio nella schiena e nelle gambe, per farla camminare nuovamente. «Non ci servi a niente se non sei autosufficiente.» le avevano detto.

Ricordava bene quel giorno. Aveva dodici anni e come al solito la sua giornata era cominciata all’alba. Non la portarono in mensa per la colazione e quello poteva solo significare che l’avrebbero sottoposta ad uno dei loro esperimenti.
«Andiamo, 3-1-7.» le disse uno dei due infermieri, che era venuti a chiamarla, prendendola sotto ad un braccio.
Lei non si ribelló, si era ormai resa conto da anni che era inutile agitarsi, tirare calci e sbraitare, contro quella gente. Serviva soltanto a ricordarle che era solo una bambina, che non poteva fare nient’altro che obbedire per non essere sgridata o maltrattata ulteriormente. L’unica piccola cosa che poteva fare, di nascosto, era domandarsi il ‘perchè’ la maggior parte delle persone che la circondavano provassero paura.
Di cosa? C’é qualcuno che tratta male anche loro?.
Seguí l’uomo lungo i corridoi trottando per mantenere il passo contro quelle lunghe gambe e non rimanere con il braccio appeso sotto la stretta di quella mano che trasudava nervosismo provocandole scossoni di brividi.
Arrivati davanti alla ‘Sala Operatoria 1’, cosí la chiamavano, l’infermiere aprí la porta, mentre l’altro si mise d’attesa nel corridoio.
«Dottore le ho portato 3-1-7. Se non ha bisogno di me, dovrei...»
«Sí, sí… dopo potrà fare quello che vuole, intanto la posizioni sul lettino.» taglió corto il chirurgo senza degnarli nemmeno di mezzo sguardo, concentrato nel compilare un documento.
L’infermiere trattenne un moto di rabbia, che passó tutto a 3-1-7 facendole salire le lacrime agli occhi, non tanto per il sentimento violento ma perché di conseguenza le strinse il braccio in maniera dolorosa. La tiró su di peso da sotto le braccia e la mise sul lettino facendola posizionare a pancia sotto con la fronte appoggiata ad uno strano piedistallo che le sorreggeva la fronte lasciandole libero il viso e nuca esposta verso l’alto.
La immobilizzó con le cinghie di contenimento.
3-1-7 cominció ad andare in apnea dalla paura, come se trattenere il fiato potesse fermare il tempo.
L’infermiere lasció la sala senza dire niente ed il chirurgo imprecó quando vide il lavoro fatto a metà. «Merda! Cos’ha due scimmie ebeti al posto del cervello?!»
Si avvicinó a lei, le slegó la testa e le mise una mascherina dell'ossigeno che ricopriva naso e bocca, era una sorta di respiratore che la costringeva a mantenere il ritmo respiratorio senza permetterle di andare in apnea. Dopo di che le fermó nuovamente la testa al piedistallo del lettino.
Janice ricordava di odiare quel respiratore, che le risucchiava e le ridava l’aria ad intervalli regolari in quel modo artificiale che le faceva salire la smania di divincolarsi in tutto il corpo.
Sentí un ronzio e la fredda lama del rasoio elettrico passarle sulla nuca, in un punto in cui i capelli avevano appena ricominciato a ricrescere.
Arrivarono i pizzicotti sul collo dell’ago che cercava i nervi per rilasciare l’anestetico, li trovó, dopo pochi attimi tutta la cute e parte del viso le divenne insensibile.
Sentí lo stridio del trapano chirurgico contro le sue ossa. Niente dolore, solo strani fastidi senza riuscire a capire bene a cosa corrispondessero, anche se sapeva cosa il chirurgo stava facendo, e sapeva già quale sarebbe stato l’esito.
Ormai andava avanti da mesi, le avevano già messo delle nano-sonde neurali in diversi punti del cervello nel tentativo di monitorare e scoprire l'origine del suo potere, ma involontariamente le aveva fulminate… era una sorta di autodifesa del proprio organismo, ogni volta che le sondine venivano accese, secondo più o secondo meno non faceva molta differenza, il suo strano dono si attivava, ed allarmato individuava i corpi estranei e ‘FZZT’ le fulminava… ma ancora non sapeva che quella volta sarebbe andata diversamente.

Appena finito di applicate la sonda la testa di Janice venne richiusa e medicata con cura, applicandole infine un grosso cerotto per coprire i punti.
Slegó la bambina e l'aiutò a mettersi seduta, 3-1-7 strinse il bordo del lettino un po’ frastornata.
Il chirurgo recuperó dal bancone dietro un piccolo computer palmare e lo accese, sedendosi vicino a lei, su uno sgabello con le rotelle. 
Digitó un codice d’accesso sulla minuscola tastiera e premette su: AVVIO MONITORAGGIO.
Ci fu un attimo di silenzio, in cui Janice aspettava che la nano-sonda venisse ful… una scossa di dolore le percorse tutto il corpo facendole serrare i denti. 
Paura. Dolore. Sorpresa. Pianto. 
Istintivamente diede forma a quello che stava provando sprigionando energia, in un'ondata che fece sobbalzare il lettino con lei sopra, il chirurgo venne scaraventato a terra e tutti gli attrezzi schizzarono per aria finendo sul pavimento.

La sonda era andata, ma 3-1-7 sentí che si era portata dietro qualcosa di suo... non riuscì a capire cosa, stanca e rintontita si lasció andare all’indietro, chiuse gli occhi per riaprirli solo svariate ore dopo. Era nella sua stanza, era ataccata alla macchina dell'ossigeno e ad una flebo. 
Tiró su la testa senza ricordare bene cosa fosse successo.

Entró in quel momento il dottore che principalmente si prendeva cura della sua salute dopo ogni esperimento e che aveva sempre dimostrato una sorta, anche se non puro, di affetto per lei. «Non ti agitare, bambina.» prese una sedia e si mise vicino a lei cominciando a spiegarle cosa le era successo, come si fa con gli adulti. Quella era una cosa che lei apprezzava di quell'uomo. Non la trattava freddamente, come il codice che portava per nome. 
Le raccontò che aveva riportato una lesione cerebrale e aveva quasi perso del tutto l’uso delle gambe. L’avevano operata subito, impiantato una protesi speciale, che poteva funzionare con i suoi poteri ma che ancora non era attiva.
La bimba aveva allungato una mano verso la gamba senza peró sentire niente. Era talmente sotto shock che non pianse nemmeno. Il dottore la consoló, spiegandole per filo e per segno come sarebbero andate le cose.

Ora, a distanza di anni, Janice non aveva più quella protesi, ne aveva una nuova a marchio Strategic... e anche se le cause del cambio erano state per una questione di salute, la cosa l'aveva gratificata anche a livello psicologico. Non aveva più niente di tangibile addosso che la collegasse direttamente a quel posto.

Anni prima, durante gli allenamenti con Coulson, man mano che le lezioni si fecero più difficili, si erano resi conto che c’era qualcosa che non tornava, le gambe di Janice erano innaturalmente rigide in specifici movimenti. Lí per lí l’uomo aveva pensato ad una incapacità naturale di Janice, ogni persona ha il suo punto debole nello scontro corpo a corpo, però poi durante una sessione ebbero un piccolo incidente, la ragazza aveva provato a tirare un calcio circolare al sacco, forzando la posizione corretta, oltre quel limite, facendo accapponare la pelle a Coulson quando udirono un sonoro *clack* quasi metallico all’altezza del bacino.
«Non suona bene...» aveva commentato lui stringendo le labbra in una smorfia di dolore.
Janice rimase immobile, in piedi. Al contrario di lui, lei non esibiva nessuna smorfia.
«Penso si sia rotta la protesi...» aveva annunciato con tutta la tranquillità di questo mondo, lasciando l’uomo di stucco. 
Janice non avendp grande sensibilità agli arti inferiori non stava sentendo dolore, solo un lieve fastidio, ma rimase ugualmente immobile, sicura che sarebbe potuta cadere se avesse provato a fare un passo.
Passato quel primo momento di titubanza Coulson l’aveva presa in braccio, mettendola un po’ in imbarazzo, e l’aveva aiutata a sdraiarsi sulla panca. Aveva chiamato immediatamente il team medico che la seguiva, e che una volta arrivato l’aveva subito portata nella base medica più vicina.
Alla fine dei conti, qualche giorno dopo: dopo un accertamento ed una adeguata preparazione, decisero di operarla e cambiarle la protesi con una nuova più leggera e più dinamica che potesse funzionare insieme al suo sistema neurologico con il minimo rapporto di ritardo input-neurologico/reazione.
Quella che le avevano messo nell’Istituto era molto avanzata come tecnologia, ma una volta studiata nel dettaglio l’equipe medica si era resa conto che a livello di ingegneria nella componente dinamica era davvero grossolana, e anche i materiali stessi davano già segno di usura a causa di questa mancanza di accortezza.

Cominciata la riabilitazione le cose per Janice cambiarono drasticamente, in meglio.

Cercó con lo sguardo Coulson tentando di far fluire via la rabbia che il ricordo di quel luogo le portava e di concentrarsi invece sul suo presente. L’agente si stava guardando attorno, stupito e vagamente schifato da quanto fosse grande quella stanza dove c’erano: tre lettini e diversi macchinari di implantologia avanzata, più altri che i due uomini non riuscirono a riconoscere ma che l’agente Roland cominció a catalogare e studiare offrendosi volontaria per l’incarico.
Il team guardandosi attorno si sentirono più in una sala tortura, che in un reparto medico. Anche lí però, non trovarono niente di importante.
Proseguendo dettero un’occhiata veloce alla mensa, all’aula studio, alla biblioteca che conteneva solo libri didattici e poi altrettanto velocemente passarono dagli alloggi dello staff medico dove continuarono a non scovare niente. Era tutto dannatamente spoglio... e frustrante. Ma erano sicuri che scavando, prima o poi qualcosa, anche solo della dimensione di un'unghia sarebbe entrato nelle loro mani.

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Capitolo 14
*** Un po' più che un semplice film Horror ***


Commento personale: questo capitolo è stato un vero e proprio STRAZIO!  Perchè?! Perchè l'ho dovuto riscrivere due volte, e non perchè la prima stesura non mi aveva convinta, tutt'altro mi era venuta di getto, semplice, genuina, filava tutto liscio. WOW ero davvero orgogliosa. E poi?! Niente GoogleDocs ha deciso di non sincronizzare gli aggiornamenti di quella mattina e di cancellarmi 5 pagine e mezzo delle 9 che avevo scritto, lasciandomi con un sacco di rabbia, un sacco di frustrazione e soprattutto un sacco di caos in testa. 

Per questo capitolo, ve lo chiedo in ginocchio, ditemi se ci sono: ripetizioni esasperanti di situazioni o atteggiamenti dei personaggi. Se qualcosa non fila a livello logico, tipo contraddizioni o cose particolarmente fuori da ogni 'realismo' (sempre tenendo conto che è una fanfiction 'fantascientifica' ambientata nel mondo MARVEL).
Insomma ho bisogno del vostro sostegno perchè ho letto talmente tante volte questo capitolo, ho cercato di ricrearlo come avevo fatto alla prima stesura, intestardendomi e penso di aver fatto molta confusione. 
Chiedo scusa per il ritardo. Chiedo scusa per il caos. Il prossimo capitolo sarà un punto e a capo. Perchè devo scriverlo da zero, e sto arrivando ad un punto che adoro (sì, perchè nella mia testa il la trama è completa ahah). A presto.
 

13. Un po' più che un semplice film Horror

                                                                                                                    


I due agenti incaricati da Fury di controllare gli alloggi delle guardie si riunirono alla squadra principale. Con rammarico riferirono al direttore che non erano risaliti a granchè di utile.
Persino l'armeria, in cui i due avevano riposto gran parte delle loro speranze, si era rivelata un misero bottino, poiché era praticamente sgombra, se non per: quattro pistole di basso calibro e prive di munizioni, tre fucili d'assalto disassemblati e addirittura con parti mancanti ed infine un mobiletto in metallo imbottito di gommapiuma pieno di taser, ormai scarichi. Nient'altro.
Detto fra noi, quello che interessava ai due agenti non era recuperare nuove armi per rifornire le armerie della Strategic, tutt'altro, quello in cui avevano sperato era di trovare qualcosa su cui basare una indagine; codici dei telai, documenti con le immatricolazioni, particolari tipologie di munizione, particolari tipi di materiali, parti di ricambio, e così via dicendo. Ognuna di queste cose avrebbe potuto aumentare a livello esponenziale le probabilità di risalire ad una cerchia di contrabbandieri. I database della Strategic erano pieni zeppi di dati su contrabbandieri di armi e di materiali chimici di tutto il mondo. Sarebbe bastato davvero poco.
I due agenti, seppur delusi avevano ugualmente proseguito secondo la procedura standard esaminando quei pochi oggetti ritrovati. Li smontarono e ne scansionarono le varie parti usufruendo di particolari holo-scanner, digitalizzatori ottici di tecnologia avanzata, a marchio Strategic, che permettono di ricavare immagini olografiche in tre dimensioni dell'oggetto in questione, riuscendo a recuperare anche quei dettagli che l'occhio umano non riuscirebbe a percepire se non con un'analisi approfondita in un laboratorio adeguatamente attrezzato.
Infatti il passo successivo era stato inviare le immagini al QG per farle riscontrare con i dati dei vasti database della Strategic, ma come già sappiamo, non ebbero riscontri positivi di alcun genere. Sembrava che nessuno avesse prodotto quelle armi.

Esattamente come successe anni fa quando alla Asklepius esaminammo le protesi di 3-1... di Janice. Pensò il direttore Fury cominciando a trovare la cosa noiosa e dannatamente ripetitiva. Chiunque abbia gestito questo posto, sa il fatto suo su come pararsi il culo.

 

In quel momento, colpito da un'ondata di rabbia, si promise mentalmente che se mai avesse avuto l’occasione di ritrovarsi faccia a faccia con l’uomo che gli aveva indicato quel luogo lo avrebbe strozzato con le proprie mani.
Strinse i denti dal nervoso e tiró dritto lungo il corridoio per qualche passo fino a che non giunse ad un bivio.
«Recluta...» richiamó Janice con un tono aspro che rispecchiava di gran lunga il suo stato d’animo. Quella fu per la ragazza una di quelle rare volte in cui aveva percepito un’emozione trapelare dal direttore in modo cosí chiaro.
«Sí, signore.» fece un passo verso di lui obbediente.
«Dimmi, cosa c’é più avanti?» le domandó voltandosi verso di lei.
Janice guardò verso il fondo del corridoio, distogliendo momentaneamente gli occhi dal direttore, per fare mente locale: «A destra ci sono i dormitori, signore. Mentre a sinistra c'è sicuramente la SALA OPERATORIA 3 che altro non é che un piccolo ambulatorio di ginecologia, dove non vi tenevano granché nemmeno all’epoca...»
Fece una breve pausa cercando di ricordare tornando a guardare l’uomo in volto: «Penso che andando oltre dovrebbe esserci la sala operatoria di ostetricia, il corridoio che porta alla quarantena ed infine c'è una porta blindata. Potrebbe essere... un obitorio?!» Corrugó la fronte in un’espressione di disarmo, perché ricordava di aver visto portare uno dei suoi compagni, privo di vita, in quel reparto, ma nessuno sapeva dove fosse davvero finito, sarebbe anche potuta esserci benissimo un’altra uscita, per quello che ne sapeva.
«Non sono mai andata oltre l'ambulatorio, ho solo visto l’insegna sopra alla SALA OPERATORIA 4 e sentito dire più volte che era adibita ad ostetricia anche se ad essere sincera non ho mai visto donne incinta qui dentro. Mi dispiace, non so dirle di più, signore.»
«Va bene cosí.» il tono dell’uomo scaturiva una certa freddezza, ma non rabbia.
Janice fece un passo indietro per tornare in mezzo alla squadra, facendo particolare attenzione a non urtare nessuno. Venne imitata dagli altri due agenti specialisti che si erano appena riuniti al gruppo che presero posizione al fianco dei loro colleghi.
Tutti rimasero in silenzio, in attesa della decisione del Direttore.
Janice aveva detto la verità, davvero non era mai stata più in là dell’ambulatorio di ginecologia. A dirla tutta, all’epoca vi era stata portata soltanto quelle due volte l’anno per sottoporla ad un controllo generale, quindi anche i suoi ricordi di quella stanza erano vaghi. Al contrario peró, il reparto a destra lo conosceva molto bene, erano soltanto a pochi metri da quella che una volta era stata la sua ‘stanza’.
Un’altra fitta le attanaglió lo stomaco seguita nuovamente da una forte nausea.
Fu questione di un attimo, solo pochissimi secondi o addirittura centesimi di secondo in cui improvvisamente la divisa aumentó drasticamente di peso ed il colletto le attanaglió la gola impedendole di fare respiri profondi, mentre l’arma che teneva in mano le dava smania, avrebbe voluto lanciarla via con tutta la forza che aveva in corpo, il più lontano possibile, urlandogli dietro a pieni polmoni.
L’attacco di panico si stava malignamente prendendo gioco di lei, mettendola in seria difficoltà.
Per quanto le fosse possibile cercó con tutta se stessa di non farsi notare dai colleghi cercando di mantenere una facciata neutrale. Non era facile. Sentiva il cuore martellarle nel petto e le orecchie presero a ronzarle come un alveare di grosse vespe indaffarate.
Le si chiuse la gola e le salì il bisogno di urlare e piangere.

STOP.

DANNAZIONE.

BASTA.

Janice cercò di prendere la situazione in mano, strinse i pugni per darsi forza e si costrinse a fare un paio di profondi respiri e a razionalizzare i sintomi, dunque: la divisa é leggera e comoda come sempre, tra il colletto ed il mio collo ci passano tranquillamente due dita - portó meccanicamente due dita al collo per constatare la veridicità dei suoi pensieri - l’arma… beh quella basta riporla nella fondina e fine del problema.
La frequenza cardiaca si abbassó nuovamente tornando nei limiti della norma, la nausea si attenuó e l’unico sintomo che persistette fu quel maledetto mal di stomaco, che tuttosommato senza tutto il resto, era sopportabile.
Tutto si era svolto in una manciata di secondi, ma per lei erano ugualmente sembrati minuti interminabili.
Janice lanció d’istinto un’occhiata a Coulson che, dandole le spalle, apparentemente sembrava non aver notato il suo attimo di smarrimento e ne fu profondamente sollevata.
La voce del direttore la distrasse catturando la sua attenzione: : «Direi di lasciare gli alloggi per ultimi. Procediamo da questa parte...» sentenziò facendo qualche passo in direzione del corridoio di sinistra.
Il team si incamminó obbediente dietro a Fury fermandosi solo a dare un’occhiata veloce all’ambulatorio di ginecologia, che come aveva suggerito Janice, non aveva molto da nascondere.
La voce del direttore la distrasse ancora una volta, catturando la sua attenzione: : «Direi di lasciare gli alloggi per ultimi. Procediamo da questa parte...» sentenziò facendo qualche passo in direzione del corridoio di sinistra.
Il team si incamminó obbediente dietro a Fury fermandosi solo a dare un’occhiata veloce all’ambulatorio di ginecologia, che come aveva suggerito Janice, non aveva molto da nascondere.
Proseguendo oltre Coulson passó in testa al gruppo e fu il primo ad entrare nella ‘SALA OPERATORIA 4’, facendo strada agli altri.
La stanza che gli si paró davanti era sbalorditivamente enorme, al centro vi erano due grossi tavoli operatori con due lampade scialitiche* ciascuno; una grossa semi-fissa ed un’altra piccola con un braccio articolato molto lungo che probabilmente alla necessità le avrebbe permesso di avvicinarsi molto al ripiano del tavolo.
Quello che peró attiró l’attenzione di Coulson fu la parete al lato opposto alla porta da cui era entrato.
Lunga poco più di quindici metri, cosí ad occhio,la parete era interamente coperta, dal pavimento al soffitto, da un angolo all’altro, da scaffali di metallo lucido, le cui mensole erano stipate da contenitori cilindrici di vetro trasparente.
Ce n’erano di diverse dimensioni ed erano tutti colmi di un liquido verde acqua, sorprendentemente limpido, tanto che si potevano notare, avvolte al suo interno, strane forme, non distinguibili da quella distanza.
Ogni mensola era illuminata da una sottile striscia di led a luce soffusa che sembrava venir assorbita dal liquido di quegli strani contenitori, sprigionando luminosi riflessi verde-azzurro che si allungavano come sinuosi tentacoli sia sul pavimento che sui muri adiacenti, dando l’illusione di trovarsi di fronte ad una enorme onda di qualche bel posto tropicale.
Quando in realtà si trovavano in una stanza nascosta svariati metri sotto terra, in mezzo a quello che sembrava sempre più un inquietante mix di film dell’orrore.

Avete presente quelle storie dove troviamo un gruppetto di ragazzi che rimangono bloccati in mezzo al nulla cosmico con macchina in panne, ed ovviamente non gli rimane molto altro da fare se non inoltrarsi nel bosco (sí, c'è sempre un bosco) per cercare altre strade o case a cui chiedere aiuto e solo quando si fa notte arrivano davanti ad una vecchia villa. Ovviamente vi entrano perchè nessuno è in casa e tutto procede in modo tranquillo, diciamo pure ‘alquanto noioso’... Fino a quando d'un tratto, non si sa bene come ma in un modo o nell’altro il gruppetto di ragazzi si divide ed almeno un paio finiscono sempre per entrare in quella che si rivela la stanza degli orrori, uguale a quella in cui è adesso il nostro team, solo più buia, più sporca e piena di poltiglia putrescente.
Di solito a questo punto uno dei ragazzi nota, allontanandosi dagli amici a causa della sua maldestra curiosità, che il contenuto di quegli strani barattoli si muove, attratto dalla sua presenza cosí vicina… ed il suddetto ragazzo non ha il tempo di pentirsi di essersi allontanato che la creatura infrange il vetro con uno schiocco sordo e schizza fuori avvinghiandoglisi al volto, senza dargli il tempo di gridare.
Nel frattempo, dall’unico pertugio buio della villa, qualcos’altro di più grosso e terrificante scivola allo scoperto per infierire su questo povero malcapitato, ormai immobilizzato, e lo trascina via facendolo sparire misteriosamente...

Mioddio, guardo troppi film dell’orrore… si disse Coulson, passandosi una mano sul viso, strizzando gli occhi, come a voler scacciare via quelle immagini.

Si avvicinó alle file di contenitori per poterne distinguere i diversi contenuti. Da subito desideró di non averlo fatto - no, nessun essere alieno si mosse galleggiando nel liquido verde, tranquilli - inumidendosi il labbro inferiore con la lingua in una smorfia di disgusto, comprese che quella prima parte di scaffalatura era piena, dall’alto in basso, di feti in perfette condizioni, tutti di diverso tempo di gestazione ed ognuno con diverse malformazioni. Facevano senso perché fluttuavano in quel liquido limpido, pulito, e sembravano essere in stasi in attesa di svilupparsi.
Su ogni barattolo vi era un’etichetta con un codice particolare.
Coulson si schiarì la voce sentendosi bocca e gola secche: «Dobbiamo cercare bene, penso che da qualche parte debbano esserci dei documenti con tutte le catalogazioni di questo...» non riuscí a trovare una parola ‘professionale' adatta a descrivere quello schifo… perché di ‘schifo' si trattava. Che fosse sul pulito e non sul putrescente, come sarebbe stato in un film horror, la natura di quello che stava osservando gli trasmetteva disagio e disgusto.
Scorrendo ulteriormente le mensole con lo sguardo notó che, seppur radi, c’erano diversi spazi vuoti
«Qui ci sono degli spazi vuoti, in diversi punti.» annunció.
«Anche qui...» asserí Fury davanti al blocco successivo prendendo tra le mani un contenitore con dentro una mano, presumibilmente di un adulto, perfetta per proporzioni e condizioni, l’unico particolare erano le sottili membrane, quasi trasparenti, che univano le dita. L’uomo che nonostante stesse tenendo tra le mani un arto appartenuto a chissà chi, o chissà cosa, che lo rendeva raccapricciante a priori, riuscí a trovarci ugualmente qualcosa di affascinante. Bene o male, si doveva ammettere che tutti i membri del team, chi con disgusto, chi con semplice curiosità, si erano soffermati a guardare gli abitanti di quei cilindri, attratti da una sorta di inquietante magnetismo.
Tornando allo scaffale che stava osservando il direttore, si poteva dire che nel suo insieme era un enorme catalogo di deformazioni genetiche che affliggono arti e diverse parti del corpo, come: polidattilismo, mani e piedi con sindattilia semplice, ogni caso con diversi tipi di membrane, mani con squame fini come quelle dei pesci e parti di pelle con invece squame spesse come quelle dei grossi rettili.
C’erano persino sezioni di visi spellati che mostravano, anche ad un occhio ignorante in materia, una muscolatura particolare, innaturale, mentre altre presentavano addirittura dentature non conformi a quella umana.
Il direttore pensó che sembrava di star visitando un laboratorio di effetti speciali Hollywoodiano.
L’ultima sezione capitó a Janice, al contrario degli altri rimase indifferente davanti a tutti quegli organi: parti di apparati respiratori collegati a quelle che sembravano branchie, cuori di diverse dimensioni e forme, occhi con una o più pupille di forma atipica, ossa dalla composizione particolare, e cosí via, le sembrava di star facendo una particolare lezione di anatomia medica all’accademia. Abbassando lo sguardo incontró le forme di alcuni organi che erano persino stati decellularizzati, ed erano di un bianco candido, sembravano quasi essere stati intagliati nel marmo.
Quell’innaturalezza le fece inaspettatamente sussultare lo stomaco e la sensazione di un conato si fece largo nella sua gola, chiuse gli occhi e provó con tutta se stessa a reprimerlo.
In quel momento una mano le afferró la spalla facendola trasalire. Con la coda dell’occhio vide che era bianca, quindi dedusse fosse Coulson, nessun altro della squadra l’avrebbe toccata con così tanta confidenza, inoltre lui era uno dei pochi che non indossava i guanti perché non era in divisa.
«...Signore.» deglutí rumorosamente senza volere «Non sa cosa ha rischiato.»
Cercó di fare del sarcasmo ma era difficile in quelle condizioni.
Nel momento entró nella sala anche l’agente Roland troncando cosí sul nascere le parole che Coulson stava per rivolgere a Janice. «Direttore?!» chiese il permesso l’agente.
«Dica, Roland»
«Gli agenti della seconda squadra sono riusciti ad aprire i due uffici, hanno trovato diverso materiale cartaceo, cartelle mediche, documenti ed altro. Li stanno dividendo e preparando per il trasporto. Mentre io ho finito di catalo...» il suo tono professionale scemó in una smorfia di disgusto: «Hey, ma che diavolo di posto è questo?» si accostó ad una delle macchine più vicine all’entrata, l’aprí e ne controlló l’interno trovandovi delle provette sporche il cui contenuto peró era ormai compromesso.
La squadra era rimasta talmente scioccata da quella parete degli orrori che non aveva ancora rivolto lo sguardo alle proprie spalle per notare i diversi tipi di macchinari.
«Sa cosa sono, agente?»
«Sí, signore… servono per la procreazione in laboratorio. Tutti questi...» indicó diverse macchine: «...sono macchinari per lavorare il materiale genetico. Questa serve a dividere diversi geni...» indicò quella che aveva controllato: «...mentre quella é per creare materiale genetico chimico, serve a tappare i gap nei filamenti di dna.»
Aggrottó la fronte sconcertata e confusa: «Signore, sono tutte macchine sperimentali, sono anni che se ne parla e che ne vengono mostrati i prototipi alle expo, ma ancora non gira niente di ufficiale. Soprattutto, niente di funzionante.»
Janice sentendo quelle parole si portó una mano sulla propria spalla cercando quella di Coulson, che peró si era già scansato. Lo cercó con lo sguardo e richiamó la sua attenzione dando un piccolo strattone al suo giubbotto in kevlar. «Signore...» sussuró con lo sguardo perso nel vuoto: «Cosa… Se io… E se fossi nata qui…?» domandó cominciando ad andare completamente in panne.
Ad essere sinceri era lo stesso dubbio saltato in mente a Coulson, quando la Roland aveva pronunciato “procreazione in laboratorio”, ma allo stesso tempo nel caso di Janice, considerando la sua soprannaturale abilità, non sembrava una conclusione plausibile e non voleva alimentare le paure della ragazza prima di avere delle prove concrete.
Le afferró un braccio delicatamente e l’accompagnó dall’altro lato della stanza, allontanandosi dalle orecchie del Direttore, dalla Roland e gli altri agenti che stavano facendo capannella intorno alla donna, seguendo la sua discussione su quegli aggeggi infernali.
Piantó i suoi occhi in quelli della ragazza:«Calma Jan, non arrivare a conclusioni affrettate.»
Il tono dell’uomo, seppur basso per rimanere discreto, aveva abbattuto ogni barriera di formalità.
«Tu hai dei ricordi riguardo alla tua vita prima di entrare qui. Ricordi della tua famiglia, di que…»
Janice lo interruppe: «Sí, ma sono vaghi, potrebbero essere tutta opera loro, no?»
«Non è cosí facile. Pensaci, non sono mai riusciti ad entrare nella tua testa…Ti hanno sottoposta a terapie invasive pur di capire come funziona la tua mente ed hanno avuto risultati disastrosi. Non esiste ancora una tecnologia per riscrivere la memoria nelle persone...» Stava per dire…«Normali, non si faccia scrupoli… non qui dentro.» taglió corto Janice finendogli bruscamente la frase.
Coulson l’aveva sempre incoraggiata ad accettarsi per quello che era, per la sua diversità, con i suoi pro ed i suoi contro, ma spesso si era trovato in imbarazzo a rivolgerle determinate parole. Non era una questione di discriminazione per lui, semplicemente non voleva ferirla, voleva egoisticamente rimanere un punto di riferimento per lei senza metterla a disagio o farla dubitare del suo appoggio.
«Sí, normali...» continuó Coulson: «...e anche se avessero qualcosa in fase sperimentale sono certo che giacerebbe fulminato in un angolo del dimenticatoio se l’avessero usato su di te.»
«Ma il test per l’obbedienza. Quello… quello fu-funzionava...»
L’uomo fece cenno di ‘metà e metà’ con la testa.
«É vero, ma solo in parte. Ha funzionato talmente bene che ora sei qui, con noi della Strategic.» Le fece un mezzo sorriso cercando di consolarla.
Tutto ció gli venne davvero dal cuore, non poteva e non voleva giocare all’agente freddo e metodico, non in questa situazione.
Oltretutto non l’aveva presa ingiro, le aveva esposto un ragionamento a cui credeva davvero, non una cosa sconclusionata cosí tanto per rassicurarla.
Ovviamente poteva essersi sbagliato, ma fino a prova contraria poteva anche aver ragione.
Janice ci pensó un attimo, aveva paura che l’uomo si sbagliasse e di essere davvero soltanto un codice, un ibrido genetico. Cercó di concentrarsi, le parole di Coulson erano giuste, non erano assolute ma poteva riporvi la propria speranza ed appigliarvisi con tutta la forza che aveva. Perlomeno fino a quando non avrebbero scoperto la verità.
«Va bene...» inspiró a fondo diverse volte distogliendo lo sguardo dall’uomo perché sentí gli occhi riempirsi di lacrime.
«Signore...» la voce le tremava, anche se non stava davvero piangendo:«... forse ho sbagliato a venire. Non… non so se sono davvero pronta a sapere chi o cosa sono…» ammise, sempre guardando altrove.
«Sfido chiunque in questa stanza e in tutta la Strategic ad essere più coraggioso di te.» le fece un mezzo sorriso premuroso anche se lei non lo vide.
«Senti Janice, se tutto questo é troppo per te, basta una sola parola per farti tornare di sopra...»
«Cosí in una volta sola deludo il direttore, e ti… le faccio fare una brutta figu..»
Coulson la interruppe tirandole su il viso con una mano per poi poggiargliela fermamente su una spalla. Gli occhi azzurro-verdi dell’uomo si fissarono in quelli verdi di lei, serio e con una nota dura nella voce:«Questa non è una prova, Janice. Non é una missione di iniziazione in cui devi dimostrare qualcosa a qualcuno. Ti riguarda personalmente a livelli che nessuno di noi puó capire. Non ci siamo né io né Fury, ci sei solo tu.» indicó se stesso e poi dietro le spalle con un gesto ampio del braccio.
Janice annuì stringendo i denti per non piangere.
«Purtroppo qui ci sei tu ed i tuoi ricordi. Nessun livello nella Strategic sarebbe abbastanza alto per poterti giudicare.» fece del sarcasmo, cercando di alleggerirle il peso psicologico che le gravava addosso: «Io nei tuoi panni avrei giá cominciato a colpire e spaccare tutto questo ‘schifo'...» l’aveva detto ‘schifo', ‘schifo', ‘schifo’…:«...già nella prima stanza, compromettendo ogni sorta di indizio.»
Le asciugó una lacrima che sfuggita al suo controllo stava rotolando giù dalla sua guancia.
«Nessuno ti giudicherà se vorrai tornare di sopra.» le ripetè: «Ricevuto?»
La ragazza deglutí tirando su col naso :«Okay, ricevuto signore.»
Passó giusto il tempo che serví a Janice per riprendersi ed I due tornarono indietro.
Fury lanció uno sguardo su entrambi: «Tutto bene?»
«Sí, signore. Ci siamo solo posti alcuni dubbi ma finché non arriviamo ma non me la sento di esporli fintanto che non avremo qualcosa di concreto tra le mani.» Coulson cercó di tagliare corto per non dover accendere un dibattito sulle origini di Janice. In quel momento sarebbe stato comunque pura speculazione, quindi solo una ulteriore perdita tempo.
«Va bene agente.» il direttore comprese il genere di dubbio che i due si erano posti, era lo stesso che aveva tirato in tavola all’agente Roland pochi attimi prima, quando aveva visto Janice allontanarsi. Ma anche loro non erano giunti a nulla di concreto.
Guardó Janice per un attimo: «Ragazzina, se hai bisogno di aria basta un’alzata di mano. Si comincia a soffocare quaggiù.» le fece l’occhiolino prima di voltarsi verso il resto del gruppo.
«Agente Roland, prenda loro quattro...» indicó gli agenti intorno a se: «… e scansionate, documentate tutta questa stanza.»
«Sí, signore. Ho il permesso di chiedere di portarmi un drone dal piano superiore?»
Il direttore le annuí spiccio uscendo dalla stanza solo con un paio di agenti, piú Coulson e Janice al suo seguito.
Rimaneva un'unica stanza da controllare, evitando la quarantena per questioni di sicurezza, tanto sarebbero potuti tornarvi in un secondo momento con l’attrezzatura adatta, ed era la criocella.
Era chiusa da una porta ermetica molto grossa, ci vollero le forze del Direttore e di Coulson assieme per sbloccarne la leva di apertura.
Quando l’arnese cedette, facendo schioccare gli ingranaggi, i due tirarono la porta con forza, aprendo quello che a tutti gli effetti sembrava un freezer.
Una nuvola di gas si versó sul team facendo allontanare tutti a gran velocità. L’odore disgustoso riempí di prepotenza bocche e narici degli agenti, portandone due seguiti a ruota da Janice a correre lontano nel corridoio per vomitare l’anima.
La ragazza distinse e salutó la cena a base di pizza, patatine, birra e snacks, consumata poche ore prima insieme a Coulson… Coulson?!
Alzò lo sguardo da terra appoggiandosi alla parete, pochi passi dietro a lei Coulson ed il Direttore stavano annaspando cercando di riprendere fiato, entrambi con occhi gonfi, lacrimanti e molto arrossati, a causa del contatto con i gas.
Fury e Coulson si sostennero a vicenda incamminandosi lungo il corridoio, Janice li imitò andando ad aiutare gli altri due agenti che si erano sentiti male come lei: «Tutto a posto? Ce la fate a camminare?» I due non riuscirono a parlare assaliti dai colpi di tosse insistenti ma uno le fece cenno di riuscire a proseguire mentre l’altro alzò un braccio in gesto d’aiuto che la ragazza afferrò prontamente e lo fece appoggiare alle sue spalle, sostenendolo per la cintura della divisa con l’altra mano. «Non ti preoccupare. Arriverà l’altro team con le attrezzature. Presto ti sentirai meglio.» cominciò a parlargli per non fargli perdere completamente i sensi.
Fury tra un colpo di tosse ed un altro, raggiunse insieme a Coulson il lato opposto del corridoio attirando l’attenzione della Roland che stava cercando di contattare la squadra in superficie.
Il direttore la precedette attivando la trasmittende che aveva all’orecchio: «Abbiamo bisogno di maschere anti-…» la tosse gli taglió il fiato.
La Roland prese in mano la situazione passando sopra alle formalità e si avvicinó a lui per farsi sentire dall’altra parte della trasmittente: «Portate la valigia delle maschere anti-gas e prendete tutti i filtri di ricambio che abbiamo a disposizione.»
Il direttore le fece cenno di assenso tra un colpo di tosse e l’altro, solo lui poteva sentire le risposte. «Portate anche dell’acqua ed un paio di droni per le scansioni.»
Fury recuperó fiato, la gola bruciava ancora ma la tosse stava pian piano calmandosi.
«Ben fatto agente.» si complimentó con la donna.
In poco tempo il team che era rimasto in superficie li raggiunse dando loro il supporto che avevano richiesto.
Tutti gli agenti che erano stati coinvolti nell’incidente e avevano respirato dentro a quella nuvola di gas furono obbligati dall’agente Roland ad usare degli inalatori e del collirio ad intervalli regolari per almeno una mezz’ora prima di poter bere o indossare le maschere anti-gas.
Passata la mezz'ora Coulson aiutó Janice ad indossare la propria maschera regolandone i lacci in modo da farla aderire bene al viso della ragazza, che lo ringrazió limitandosi ad un gesto di ‘ok' con la mano ed una pacca di gratitudine.
Janice aveva addosso ancora vivida la sensazione di quell’odore terrificante, quindi aveva deciso di limitare le parole per non rischiare di sentirsi nuovamente male.
Fu molto sollevata quando al primo respiro dentro la maschera i filtri sprigionarono un profumo di menta, che a cose normali avrebbe ricordato una di quelle pomate balsamiche per il raffreddore, ma in quel momento era una manna dal cielo che allevió il suo disgusto.
Quando tutti i membri del team furono pronti, il direttore Fury diede il comando di proseguire inoltrandosi nuovamente lungo il corridoio che portava alla criocella.
L’agente Roland, unitasi al gruppo, si portó alle spalle di Janice e attiró la sua attenzione appoggiandole una mano sulla spalla: «Hey ragazza, tutto okay?» la voce fuoriuscí ovattata dalla maschera della donna.
«A parte aver cercato di pulire il pavimento con la mia cena…» cercó di fare del sarcasmo ma gli uscí malissimo, si arrese all’evidenza:«Non okay, immagine disgustosa, mi è uscita malissimo. Scusi, agente. In realtà, non so se sia tutti okay.»
La Roland annuí con un semplice gesto della testa: «Capisco.»
«Secondo me stai andando bene. Forse anche troppo! Si vede che sei allieva di Coulson, sai mantenere una facciata imperturbabile e professionale.»
Le fece l’occhiolino dalla maschera per esprimere il suo sincero apprezzamento.
«Peró sei una recluta, non devi ancora dimostrare niente sul campo. Non sforzarti...»
«Ho bisogno di sapere.» la interruppe Janice stufa di sentirsi dire che ‘arrendersi' era lecito nel suo caso.
Tiró un sospiro profondo: «Ho bisogno di sapere chi sono. Perché sono cosí? E perché, se avevo una famiglia, mi hanno abbandonata qui? Questo posto ha influenzato la mia vita per troppo tempo. Mi sta facendo uscire matta. Il mio addestramento come Agente é l’unica cosa che mi rimane a cui aggrapparmi per mantenere lucidità. Per essere qualcosa di diverso da quello che si aspettavano qui dentro.»
Ci furono alcuni attimi di silenzio mentre si avvicinavano alla porta blindata, ora socchiusa, della criocella.
«Non voglio che qualcuno si prenda il fardello di venirmi a raccontare la mia storia. Voglio vedere la verità con i miei occhi. Non importa quanto faccia male.»
«Ah dannazione. Coulson ha tirato su un’agente degna della co-fondadrice della Strategic.»
Janice rise «Non dirlo di fronte a lui che poi ci crede e mi fa un culo cosí...» mimó il gesto sorridendo alla Roland: «...ai prossimi allenamenti.»
Mentre lo diceva si rese conto che il team si era fermato davanti alla criocella, Coulson e Fury ne stavano spalancando la porta. Dei neon bianchi si accesero automaticamente sfarfallando ogni volta che l’intensità della luce aumentava.
Fury e la Roland entrarono per primi, seguiti a ruota da Coulson e Janice.
La stanza non era tanto diversa da quelle visitate in precedenza: anche lí lo spazio era enorme ed anche lì c’erano delle scaffalature che prendevano tutto il perimetro, non solo una parete.
La grossa differenza stava nello stato generale: il pavimento era ricoperto da una sottile melma scura, di colore indefinito che ricordava qualcosa di marcio e appiccicosiccio, e le pareti avevano enormi macchie di muffa, nere ed umide.
Le scaffalature erano ad altezza uomo, con soli tre ripiani. Nelle mensole in alto, che erano piú strette, c’erano dei contenitori isotermici, di solito usati negli ospedali per il trasporto di organi.
Mentre nelle mensole in basso, che erano molto profonde, c’erano a coppie dei sacchi neri, sporchi ai bordi dai quali gocciolava quella sostanza che aveva interamente ricoperto il pavimento.
«NON toccate niente. NON aprite niente.» comandó l’agente Roland con particolare enfasi sulla negazione.
Janice si avvicinó ad uno dei sacchi, tutti avevano capito che contenevano cadaveri, ma lei aveva bisogno di averne la conferma leggendo l’etichetta che penzolava dalla cerniera: 3-1-6…
Nonostante la consapevolezza, immediatamente un moto di rabbia e disgusto le salí al petto.
Coulson le si avvicinó superandola di mezzo passo per controllare di persona le altre etichette, una delle quali era attaccata ad un sacco più piccolo:«1-9-4, 2-7-9…»
L’uomo si portó istintivamente una mano sul volto, incontrando peró il vetro della maschera: «Sono gli altri ragazzini...»
Janice si voltó verso di lui: «Come mai li hanno lasciati qui?» domandó con un filo di voce e si affrettó ad aggiungere senza lasciarlo rispondere: «Perché non li hanno trasferiti o bruciati, che senso ha?»
A rispondere fu Fury: «Sarebbe rischioso spostare tutti questi cadaveri in breve tempo senza essere notati...»
«Soprattutto perché questo non era un obitorio, i cadaveri non andavano smaltiti. Questo é un frigorifero. Cercavano di mantenerli. Servivano a qualcosa.» specificó la Roland guardandosi attorno «Probabilmente a recuperare materiale genetico.»
Janice annuí fidandosi delle supposizioni dei colleghi. Con freddezza innaturale che fece preoccupare Coulson, la Roland e anche Fury, la ragazza continuó a guardarsi intorno senza proferire parola. Riconobbe i codici di quasi tutti i ragazzini che aveva conosciuto nell’Istituto e che man, mano erano spariti. Ma rimase sorpresa nel vedere molti più sacchi, molti più codici di quanti ne avesse mai incontrati. Suppose che fossero persone arrivate prima di lei, che quindi non aveva mai incrociato.
«Janice!» la voce di Fury la richiamó dai suoi pensieri. «Dobbiamo proseguire, te la senti?»
La ragazza si giró verso di lui con aria sicura: «Sí, signore.» gli rispose: «Con tutta sincerità penso che ormai non possa esserci niente che sia peggio di tutto questo.»
Fury fece un gesto che sembrava una sorta di spallucce: «Penso anche io.»
Le fece cenno di seguirlo mentre con una falcata usciva fuori dalla criocella.
«Hey ragazzina. Credimi, non ho mai visto tanta merda tutta in una volta.
Ed ho una lunga carriera alle spalle. Quindi di merda ne ho vista davvero tanta.»
«Le credo, signore.»
«Non hai mosso ciglio dentro al frigorifero degli orrori. Come mai?»
«Immaginavo già cosa vi avremmo trovato.» guardó il direttore togliersi la maschera antigas e lo imitó cercando di mantenere il suo passo lungo il corridoio.
«Una volta due ragazzi si misero a litigare nella mensa.» sentire nuovamente i rumori nitidi e soprattutto la sua voce in modo cosí cristallino le fece uno strano effetto.
«3-1-6 perse il controllo ed attaccó la guardia che cercó di trattenerlo. Lui poteva controllare la pressione del sangue.»
Si strofinó gli occhi d’istinto ricordando l’accaduto: «Non vado nei particolari ma sappia che la testa della guardia fece la fine di un gavettone.
Scoppió il trambusto, ci fecero tornare nelle nostre stanze mentre un’altra guardia riempì di piombo il ragazzo. 3-1-6 venne portato oltre quella porta blindata. Anche se non vedemmo cosa c’era all’interno, lo intuimmo.»
«Quanti anni avevi?»
«Quattordici. Credo…»
«Credi?»
«So quando sono entrata. E quando sono uscita. Ma non riesco a collocare nel tempo cosa é successo lì dentro.
Il Dr. Garner dice che é una conseguenza post traumatica. La mia testa cerca di dimenticare, ma non riesce, quindi l’unica difesa che le rimane é mettere tutto in confusione.»
«Sí, ho letto la cartella. Successe anche a me. Nella missione in cui persi l’occhio. Ho cominciato a ricordare i dettagli solo anni dopo.»
«Scommetto che é una storia classificata.»
«Naturalmente.»
Fury le fece un mezzo sorriso e alle loro spalle Coulson e la Roland erano rimasti a bocca aperta vedendoli parlare insieme.
Era riconosciuto che il Direttore fosse un uomo molto spiccio, di poche parole in missione.

                                                                                                          

*lampada scialitica: sono quelle lampade, solitamente di forma circolare, che usano in chirurgia per illuminare il campo operatorio in modo uniforme, così da non avere ombre che potrebbero compromettere l’operazione.

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Capitolo 15
*** Provvisorio... Aspettando il prossimo capitolo. ***


AVVISO! 

Salve a tutti, confermo che sono viva, e soprattutto che sto continuando a scrivere Agent Janice. Negli ultimi due mesi mi si sono accavallati un po' di impegni (tra cui l'esame di cintura nera di karate, una bella soddisfazione che mi ha preso tempo ed energie), in più ho avuto qualche problema con il computer che è andato diverse volte dal tecnico, e dovrà tornarci un'ultima volta anche a metà Gennaio (periodo prima del quale penso di riuscire a postare almeno un capitolo)... quindi chiedo scusa per il ritardo nella pubblicazione, la mia è soltanto una piccola FanFiction, me ne rendo conto, ma mi rivolgo a quella manciata di carissime persone che ogni volta mi gratificano e mi danno l'entusiasmo giusto per continuare a scriverla. 

Auguro a tutti un Buon Natale e delle fantastiche Feste,
a presto,
Maria 

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Capitolo 16
*** Il torrente dei Ricordi ***


And the thing that gets to me
Is you'll never really see
And the thing that freaks me out
Is I'll always be in doubt

It is a lovely thing that we have
It is a lovely thing that we
It is a lovely thing, the animal
The animal instinct

[Animal Instinct - The Cranberries | In loving memory of Dolores O’Riordan]

_______

Per Janice fu strano ritrovarsi di fronte alla porta dietro la quale si trovava quella che fino a cinque anni prima era stata la sua stanza.

Tempo addietro l’avrebbe considerata come ‘il suo unico rifugio’, ma con il senno di adesso comprendeva che in realtà non era stata altro che ‘la sua prigione’.

 

“Eccomi di nuovo qui…” pensò strofinandosi le mani sui pantaloni della divisa cercando di pulirle da fastidiose sensazioni.Nonostante tutte le incertezze, la stanchezza fisica e la pressione mentale che cominciavano a farsi sentire, la ragazza non si perse d’animo, con fermezza afferrò la maniglia della porta frangifiamma e spinse facendola cedere con cigolio acuto di cardini arrugginiti che fece stringere i denti ad alcuni dei colleghi che attendevano alle sue spalle.  
Al contatto del freddo metallo della maniglia con la sua pelle, numerosi ricordi iniziarono a scivolar fuori dalle pareti del dimenticatoio, facendosi largo sinuosamente nella sua mente come un piccolo ruscello.

L’uscio nell’aprirsi, trasformando il cigolio in un vero e proprio stridio, rivelò al team l’ennesimo ampio e bianco corridoio bagnato da una luce soffusa, a causa di alcuni neon ormai scarichi che sfarfallavano debolmente minacciando di spegnersi da un momento all’altro.
Lungo le due pareti bianche, ad intervalli regolari incastonate nel muro c’erano le porte in metallo grigio-blu delle stanze che un tempo erano dedicate ad ospitare quegli individui che in quel luogo erano stati soltanto degli esperimenti.
Alcune di esse erano blindate elettronicamente, mentre altre erano porte ordinarie. Su ognuna vi era inchiodata una targhetta ad altezza sguardo con su inciso il nome dell’occupante della camera:

2-6-3

0-7-2

E cosí via.
‘3-1-7. Qui in mezzo c’é anche la sua stanza...’ Pensò Coulson serrando i denti in un gesto nervoso mentre entrava nel corridoio dietro ai suoi colleghi.

Il team di agenti non ebbe bisogno di ordini diretti da Fury per procedere nell’esplorazione, si divisero in modo quasi automatico in squadre da due persone ed entrarono a controllare le stanze accessibili.
Janice lasció che i suoi colleghi la sorpassassero per rimanere nel corridoio da sola con Coulson. 
Quando ciò accadde, pochi istanti dopo, si giró verso lui con un’idea precisa in mente ma indecisa sul da farsi. Pensierosa passó lo sguardo da Coulson ad un punto preciso verso la fine del corridoio per un paio di volte, prima di arrendersi al proprio istinto.
«Per favore, venga con me...» gli chiese incamminandosi verso la meta senza aspettare risposte e soprattutto ignorando la stanza che avrebbero dovuto ispezionare.
Coulson la seguì senza obiettare, sapeva che il loro obbiettivo era la porta con la targhetta 3-1-7, infatti bastarono pochi passi e Janice si arrestò davanti alla terzultima porta.

 

[_ 3 - 1 - 7 _]

 

Coulson, alle spalle della ragazza, percepí un improvviso senso di sgomento che gli si attanaglió alle viscere con artigli profondi costringendolo a qualche attimo di apnea.
Si portò una mano allo stomaco incontrando peró la superficie ruvida del giubbotto in kevlar.
Leggere il vecchio ‘nome’ di Janice su quella porta lo costrinse a razionalizzare bruscamente quanto profondamente quella faccenda lo coinvolgesse.
Egoisticamente il nostro cervello ci fa affrontare certi momenti davvero delicati in un modo che si potrebbe definire ‘freddo’, ‘distaccato’, ‘disinteressato’, addirittura ‘insensibile’...
In realtà avviene l’esatto opposto, non si tratta di mera freddezza ma bensì di un sistema di difesa che il nostro cervello innalza per permetterci di affrontare e gestire un grosso impatto emotivo.
Quindi Coulson era appena passato da uno stato di distaccamento professionale schierato in difesa, ad uno stato di angoscia interiore.

Non voleva sapere.

Non voleva vedere.

Non voleva che quella dannata stanza di cui Janice gli aveva raccontato essere stata uno dei pochi luoghi di tranquillità lì all’Istituto, diventasse reale.
DANNAZIONE. «Oh, dannazione...» il pensiero si espresse in parole dandogli atto del forte contrasto tra il suo guscio, atono e calmo, al suo interiore, agitato e sotto shock.
Janice alzó lo sguardo verso il viso dell’uomo, un po’ sorpresa che la barriera di formalità si stesse abbassando nuovamente: «Mi creda, a confronto con quello che abbiamo visto negli altri reparti, questo non é niente...»
Coulson annuí tirando un angolo della bocca in un mezzo sorriso, non voleva assolutamente caricare le spalle della ragazza con la sua apprensione, era lì per supportarla non per rincarare la dose.
«Mi raccomando agente, si pulisca le scarpe prima di entrare. Ho la moquette in camera.»
Scherzó Janice aprendo la porta.
Nel buio la sua mano trovó automaticamente l’interruttore elettrico: luce fù e Coulson guardó subito il pavimento dove effettivamente c’era della moquette, grigia e tristissima. Secondo un’osservazione personale dell’agente, che non espresse a voce alta, era anche fuori luogo e decisamente poco igenica per un posto come quello.  
«Prossima volta andiamo a comprarla insieme...» voleva farle una battuta e stare al gioco ma il suo innato carisma era andato a nascondersi da qualche parte, lasciandolo senza via di fuga e con un tono di voce apatico.
Si scambiarono un’occhiata di comprensione, Janice uscì dai panni di agente lanciandogli un malizioso occhiolino.
«Magari con una bella aquila bianca stampata sopra.»  evidentemente prendendo in giro la Strategic, la ragazza mimò con un gesto esagerato con le braccia le dimensioni che avrebbe dovuto avere il simbolo stampato sulla moquette. 
L’uomo sorrise passandole accanto per entrare nella piccola stanza. Si era reso conto che, al contrario di lui, da quando erano entrati in quella parte di Istituto, Janice, seppur ancora pallida da quello che avevano visto poco prima, appariva molto più tranquilla.
Le motivazioni potevano essere tante, tra cui le più plausibili secondo Coulson erano: o che l’aveva addestrata troppo bene e quella era tutta calma apparente, oppure era la quiete prima della tempesta.
La conosceva abbastanza bene da poter affermare che poteva essere la seconda opzione. La domanda era: cosa succederà quando la tempesta scoppierà e farà straripare i torrenti della memoria? 

Mentre Coulson ragionava su un possibile crollo psicologico da parte di Janice, si diede un’occhiata veloce in giro e la prima cosa che gli saltò all’occhio era l’austerità dell’ambiente: la stanza era piccolissima conteneva solo un lettino ad una piazza con cuscino, lenzuola bianche e una coperta grigia arruffati in disordine sopra al sottile materasso, appoggiato alla parete a sinistra; poi un piccolo armadietto striminzito di legno a due ante, appoggiato al muro proprio di fronte a loro ed infine quello che davvero catturò l’attenzione dell’agente...
L’unica nota di colore di quella stanza era sulla parete alla sua sinistra dove decine di disegni attaccati al muro con dello scotch facevano da cornice ad una piccola ed essenziale scrivania sul cui ripiano vi erano appoggiati dei pennarelli, delle matite ed una lampada da ufficio in plastica.
L’uomo in silenzio si avvicinó ai disegni per guardarli da vicino, sapeva che Janice era brava nel disegno, lo aveva scoperto i primi tempi in cui si allenavano, lei per ricordarsi i diversi schemi di combattimento e le diverse dinamiche di esecuzione le aveva disegnate al dettaglio su un’agenda, annotandovi intorno tutti gli accorgimenti che le erano stati detti e le aveva infine mostrate a Coulson per conferma, ma non gli aveva mai fatto vedere nulla di personale.
Lo sguardo gli cadde sul primo foglio della fila centrale attaccato alla parete, vi era stato scritto ‘3-1-7', in diversi colori, stili e caratteri, sembrava come quando ad un bambino si insegna a scrivere il proprio nome con la differenza che in questo caso ogni scritta era eseguita con una calligrafia già matura. 
Scorrendo con lo sguardo sul foglio subito accanto, che era leggermente sovrapposto e con un angolo arricciolato, vide quello che inizialmente interpretò essere un bambino che giocava con un gatto... o forse, a guardarlo meglio, poteva essere una bambina che giocava con un gatto.
L’uomo corrugó la fronte concentrandosi, gli venne in mente che poteva essere una sorta di ‘autoritratto’, perché quella immagine gli ricordò quando, tempo addietro, Janice gli aveva raccontato della coppia di anziani che viveva nella casa dirimpetto a quella dei suoi genitori. I due avevano un gatto, e se ne stava a giornate sane seduto o sdraiato a prendere il sole sul balcone della finestra di cucina o sulla sedia in vimini che avevano nel porticato. 
Lei lo guardava dalla finestra del piccolo salotto, lo adorava perché era bellissimo, tigrato chiaro, con il pelo lungo e lucido, pensava sarebbe stato morbidissimo da accarezzare e giocarci insieme, ma i suoi genitori, di cui non riusciva nemmeno a ricordarne il viso, non le avevano mai permesso di toccarlo.
‘Questo non puó - assolutamente - in alcun modo, essere un ricordo indotto da un macchinario.’
Coulson, immerso ancora in quel ricordo, cercò di auto-convincersi sfiorando il foglio con le dita, cercando di stendere quell’angolino arricciato.
Indugiando con lo sguardo su quel disegno un’altro ricordo venne richiamato alla mente dall’agente.

*****

Il ricordo risaliva ad una sera d’inverno particolarmente fredda di quattro anni prima, pochi mesi dopo da quando l’agente Coulson aveva preso Janice sotto la sua supervisione.

 

Uscendo dalla ex-base della Strategic dove si svolgevano le loro lezioni, entrambi rimasero a bocca aperta ritrovandosi di fronte ad una vera e propria bufera di neve.
Si guardarono negli occhi, increduli.
Per un attimo pensarono che in qualche modo fossero stati teleportati in un’altro posto o addirittura in un’altra realtà, dato che in quella parte di California vedere la neve, anche se si trovavano nella stagione più fredda, era più unico che raro.
Prendendo atto di quell'evento straordinario, Coulson decise che la scelta migliore per quella sera fosse fermarsi a casa sua, essendo questa molto più vicina a dove si trovavano in quel momento di quanto non fosse tornare fino all’accademia della Strategic, affrontando un tempo del genere.
Quella non era stata la prima volta in cui Janice veniva invitata a casa dell’agente Coulson, era già capitato che si fossero fermati a pranzo da lui dopo qualche allenamento, sulla strada per tornare all’accademia.
Era contenta che la Strategic le avesse concesso il permesso di rimanere, al di là delle condizioni climatiche del momento, le piaceva passare del tempo in quella casa. Era semplice, accogliente ed ogni angolo raccontava qualcosa del proprietario: le sue diverse collezioni, i libri che leggeva, la sua mania dei sottobicchieri* e l’ordine impeccabile; per farla breve agli occhi della giovane donna, quella era una casa vera.
Varcata la soglia si levarono le giacche, accesero il riscaldamento e andarono dritti in cucina dove chiacchierando del più e del meno mentre Coulson preparava una cena calda.
Appena, seduti  al tavolino, cominciarono a mangiare, qualcosa cominciò a far rumore contro il vetro appannato della finestra che si trovava sopra al ripiano della cucina davanti a loro.
«Oddio, cosa ci fa ancora fuori...» Coulson si alzò svelto per andare ad aprire alla finestra.
«Cosa é ‘ancora’ fuo...» Janice si ammutolì quando vide far capolino nella stanza una vecchia gatta di tre colori.
Si alzò subito anche lei per andare incontro alla gatta: «Da quando hai un gatto?»
«Non é mia.» asserì l’uomo prendendo un vecchio straccio di spugna da sotto al lavabo per asciugare la bestiola dalla neve che le si stava sciogliendo addosso: «É randagia, sono anni che gira nel vicinato. Dorme e mangia due o tre giorni in una casa e poi cambia, va a trovare qualcun altro.»
La micia miagolò con voce fioca all’uomo, a suo modo gli stava spiegando che razza di serataccia aveva passato.
«Non dare la colpa a me. Hai una cuccia sul retro a tua disposizione.»
E questo la gatta lo sapeva, peccato che Coulson ancora non si era accorto che la gattaiola installata sulla porta della lavanderia si era incantata.
Janice guardò incredula l’uomo mentre rispondeva a tono alla creatura.
«Sai, ti facevo più tipo da cani, non da gatti.»
Coulson sorrise finendo di asciugare la bestiola che non gradiva granché le maniere sbrigative dell’uomo.
«Infatti se non lavorassi alla Strategic un cane lo avrei preso. Ma io e Baffi-Mozzi** ci siamo trovati, siamo due vagabondi che ogni tanto sentono nostalgia di casa.»
«Baffi-Cosa?»
Coulson non rispose a parole, si limitò a tirate su il musino della gatta mostrando a Janice i baffi molto corti e storti che le adornavano le guance.
«Oh, ho capito.» lo sguardo della ragazza passò per un paio di volte dall’uomo alla bestiola prima di chiedere:«Secondo te, posso toccarla?» moriva dalla voglia di farlo.
«Vai, vai é buona. Al massimo scopriamo che sei una Dolittle.»
Janice non capì la battuta e Coulson alzò gli occhi al cielo in un falso gesto di scocciatura: «Dopo cena ti faccio vedere il film e capirai.».
La gatta, finalmente libera dall’asciugamano-trappola si allungò, un po’ per stiracchiarsi un po’ per accorciare le distanze con la sconosiuta ed annusarla incuriosita.
Janice, altrettanto incuriosita, allungò una mano ad accarezzarla.
Non appena le dita sfiorarono la fronte e le orecchie della micia, delle sonore fusa cominciarono ad uscire dalla creatura, mentre Janice non percepì niente di più che pelo morbido.
Guardando le due ‘donne' fare amicizia, Coulson pensò a quando gli era stato raccontato dalla ragazza stessa che all’Istituto gli scienziati testavano le abilità a distanza dei soggetti con poteri paranormali su cavie animali, come: cani, topi e conigli.
Janice ne aveva sofferto molto, perché aveva sempre provato una certa affinità con quelle creature. Erano come lei, spauriti e sfruttati, presi e messi lì senza nessun diritto di scelta. 
Come lei avevano avuto la sfortuna di non contare niente. 
Potevano urlare, potevano piangere, potevano implorare, a loro modo, ma niente faceva cambiare idea ai loro aguzzini, ai loro torturatori. 
Coulson inarcò gli angoli della bocca verso il basso ripensando a quel dialogo con lei mentre riempivano il dossier per l’INDEX.  
«Venite, si cerca qualcosa da mangiare per Baffi e finiamo anche noi di cenare.»

La serata finì con Janice e la gatta abbracciate sul divano e Coulson isolato, in poltrona. Tutti e tre a guardare il Dr. Dolittle. 

*****

Coulson tornò al presente di fronte a quella parete piena di disegni di una Janice bambina che non aveva conosciuto.

Facendo una panoramica sugli altri fogli notò che quasi tutti rappresentavano animali, dai più comuni ai più esotici, dai mammiferi ai volatili e agli anfibi, alcuni insetti e diversi animali marini; in poche parole sembrava la redazione di una bambina aspirante fotografa della National Geographic.
Si potevano distinguere i disegni di quando era bambina, imprecisi e molto cartooneschi, da quelli più recenti che al contrario erano fatti molto bene, in modo quasi impeccabile... d’altronde, purtroppo o per fortuna, di tempo per far pratica ne aveva avuto.
Gli tornò alla mente un altro buffo episodio.
Un paio di anni prima, sia lei che Coulson erano riusciti ad avere un intero week-end libero e l’uomo aveva preso l’occasione al volo per portarla a vedere lo zoo di San Diego.
La prima cosa che in quel momento a lui  tornó in mente fu che al ristorante dello zoo un cameriere li aveva scambiati per fidanzati, cosa che sul momento lo aveva fatto sorridere perché si era preparato di più a cose come: “Sua figlia si é divertita?”
Tra loro due non c’era cosí tanta differenza d’età, ma lui era convinto che la sua stempiatura lo facesse sembrare più vecchio dei suoi 38 anni.
Janice invece aveva sfoderato un’espressione tronfia di fronte al cameriere leggendo in faccia a Coulson la sua meraviglia. Era diventata brava a comprenderlo. 
Durante la visita lei era rimasta affascinata da tutti quegli animali, la emozionó vederli dal vivo. 
Li conosceva tutti, li aveva visti in documentari e libri ma non avrebbe mai immaginato o perlomeno non ricordava che esistesse possibilità di vederli così da vicino, così facilmente.
La cosa che però fece rattristare Coulson a fine serata, quando ebbero finito il tour fu l’espressione negli occhi di Janice. 
«E’ stata una bella giornata.»
Se ne era uscita stringendosi nel cappotto. 
«Però fa un po’ tristezza vedere tutti questi animali costretti a vivere una vita fatta di routine in spazi così stretti, giorno dopo giorno…»
Coulson le aveva annuito con un leggero cenno della testa:«Sono pienamente d’accordo.»
Anche lui si teneva stretto dentro al cappotto per il freddo: «Però cerca di vederla in questo modo, molti degli zoo moderni sono una sorta di ‘discarica di rimpianti’, l’uomo sta cercando di rimediare ad anni di maltrattamenti nei circhi, deforestazione, bracconaggio, e alla stessa concezione di zoo che c’era una volta e persino ai laboratori...» si interruppe perché ascoltandosi si rese conto di quanto l’Istituto e la Strategic fossero per Janice un po’ lo stesso concetto che un laboratorio e un parco riabilitativo potevano essere per una scimmietta da laboratorio.
Strinse i denti cercando di trovare le parole giuste per esprimere il proprio pensiero senza offenderla.
Si avvicinó a lei, mentre camminavano per raggiungere la macchina, e tirando fuori la mano sinistra dalla tasca le passò il braccio intorno alle spalle: «Purtroppo Jan, ci sono prigioni che ti possono rovinare la vita e poi ci sono mura sicure che cercano di rimediarvi...» abbassò lo sguardo verso di lei: «Noi cerchiamo solo di farti da scudo, di proteggerti, non di segregarti.»
«Lo so, agente Coul…»

«COULSON...»
La voce di Fury interruppe bruscamente il flusso di ricordi dell’agente.

Tutto accadde nel giro di pochissimi istanti, sotto allo sguardo di Coulson i fogli attaccati alla parete avevano cominciato a vibrare debolmente, aumentando d’intensità a vista d’occhi, seguiti a ruota dalla piccola scrivania che cominciò a vibrare scostandosi dalla parete.
Un terremoto!’ pensò allarmato l’agente aprendo istintivamente le braccia in modo da mantenere l’equilibrio durante la scossa imminente… che però non arrivò.
La piccola scrivania continuava a vibrare contro il muro ma il pavimento era immobile.
Si rese conto che era qualcosa di elettrico nell’aria a muoversi...
«Phil, dannazione! E’ Janice...» Fury ringhiò quelle parole: «...fa qualcosa!» 
Coulson si giró verso l’ingresso della stanza sentendo dei brividi corrergli lungo la pelle, vide Fury appoggiato con una spalla allo stipite della porta che si stava reggendo la testa con le mani in una smorfia di fastidio. 
Quella forza invisibile aumentò di intensità strappando via i fogli dalla parete che cominciarono a vibrare nell’aria.
Coulson si girò verso Janice e la vide sdraiata in terra in preda alle convulsioni con stretta in mano la coperta del letto che fluttuava, vicino a lei, a pochi centimetri da terra. 
La ragazza teneva I denti stretti e gli occhi sbarrati, non emetteva suoni. 
«Janice! No, no… no.» Coulson si fiondò verso di lei cercando di soccorrerla: «Janice, sono qui. E’ tutto a posto.»
Cercò di aprirle la bocca per tirarle fuori la lingua in modo da non fargliela ingoiare, come si fa durante un attacco epilettico, ma la mandibola era serrata con forza. 
Al contatto del viso di Janice con le mani dell’agente gli occhi della ragazza si socchiusero e cominciò a piangere. 
«BASTA. Non ce la faccio più.» con tono sgomento cominciò ad implorare.
«Fermatevi, FA MALE.»
Coulson le sollevò il busto da terra appoggiandosela addosso. Le tolse i capelli dal viso e cercó di farla tornare al presente.
«Janice, sono Coulson, ti prego torna in te.» 
«Vi prego…FERMATELO.»
«Hey, siamo qui. Sei al sicuro.»
Continuava ad accarezzarle il viso sperando che smettesse di ricordare.
«No, no, no, no… fa male. Vi prego FA MALE...»
Janice urlò inarcandosi tra le braccia di Coulson che la strinse per non farla cadere.
«Rilassati Janice. Ti prego, calma.»
Fury biascicò qualcosa ma un senso di nausea lo pervase, la testa era ovattata e mettere insieme due pensieri stava diventando difficile.
«La co...»
«...cope...ta»
Coulson vide la coperta tra le dita della ragazza, gliela strappò letteralmente di mano in modo violento.
«Janice sono l’Agente...»
«...Phil Coulson con la Strategic Homeland Intervention e Logistics Division. Sei al sicuro adesso.» la ragazza ripeté le parole del primo incontro con l’agente,  usando la cadenza tipica di Coulson, ma questa volta non bastarono a farla tornare in se. 
«Non toccate la mia famiglia! Voi non potete fare questo. Che volete fare?»
L’accento era cambiato, non apparteneva né alla ragazza né a Coulson.
Anche l’atmosfera era cambiata. I fogli e il tavolo si erano placati. Fury non era più sotto l’influenza di Janice.
Ma Janice continuava a ricordare.
In modo meno empatico, più distaccato.
«Ho fatto quello che mi avete chiesto.» disse con lo sguardo vuoto, usando ancora l’accento estraneo.
«La mia famiglia. Loro non c’entravano niente. Che diritto avete...»
La mano di Janice strinse il braccio di Coulson. Lottò per tornare in sé e far tornare ad essere un torrentello il fiume in piena che la stava sopraffacendo.
Coulson e Fury erano vicino a lei, cercando di aiutarla.
«Forza ragazzina, puoi farcela.» le disse Fury senza osare toccarla. Ne aveva già avuto abbastanza.
Gli occhi di Janice stavano cercando di mettere a fuoco, stavano tornando vigili…
«C’é il Dr. Roy.» biascicò.
Si alzò a sedere, affaticata e tremante.
«É nella stanza infondo al corridoio. É ferito e disarmato.»
Combatté l’istinto di vomitare nuovamente.
«Ci sono degli esplosivi sulla porta.»
Coulson e Fury si guardarono stupiti in volto, chi diavolo era il Dr. Roy? Era forse l'uomo che li aveva chiamati?
«Prendo due degli artificieri e vado a controllare. Voi restate...»
«No, vengo anche io. Mi conosce. Non rischierà di farmi del male.»
Coulson l’aiutò a sedersi sul letto e sganciandole i guanti dalla cintura glieli fece indossare.
«Mi dispiace, signore.» si rivolse a Coulson con espressione delusa.
«Ho bisogno di proteggervi.» Tirò fuori il vecchio cerchietto da una delle tasche della divisa e se lo posizionò dietro la nuca.
«Non lo avevi già indosso?» domandò Fury sorpreso.
Coulson e Janice si guardarono, la ragazza comprese in quel momento che il suo Supervisore non era stato del tutto trasparente con il Direttore. Non sapeva cosa rispondere, non voleva metterlo nei guai, ma come poteva negare l’evidenza?
«É colpa mia, signore.» rispose Coulson.
«Lo sai che non sei parte del programma della INDEX…?»
«Sì, signore.»
«Bene. Quando torneremo alla Base ti prenderai il cazziatone. Per ora Agente Coulson procediamo.»
«Sì, signore.» Coulson abbassò lo sguardo imbarazzato. 
Janice gli strinse la mano alzandosi dal letto non appena Fury girò loro le spalle e sottovoce gli disse: «Mi dispiace… Non volevo...»
Coulson le sorrise in modo affettuoso e colpevole: «No, è colpa mia. Era una mia responsabilità.»



Sottobicchieri* : nella prima stagione di Agents of S.H.I.E.L.D. Coulson più di una volta viene sottolineata la precisione e l'accuratezza dell'agente nell'usare i sottobicchieri. 

Baffi-Mozzi**: era il nome della gatta che aveva mia nonna quando ero piccola. Non era vecchia quando la prese con se, ma aveva i baffi corti corti. 
 
Sclero dell'autrice: Abemus Capitolum! 
In barba al latino maccheronico questo capitolo è stato un reale parto. Ho passato mesi a scrivere le tre righe sul ricordo di Coulson con Janice che incontra Baffi-Mozzi. Perchè?! Perchè non riuscivo a rendere realistica e veloce la scena. Tutt'ora penso che non torni, una persona con poteri come Janice come agirebbe?! Ormai è una donna... cosa sopravarrebbe il suo desiderio di bambina oppure la concretezza di adulta con poteri paranormali?! Queste le domande che mi hanno fatto buttare via 5 versioni di quella scena (passando dalle 3/4 pagine ciascuna per finire a fare il riassunto del riassunto, per stringere). Avete idee? Consigli per migliorare questa scena? Sono tutta orecchi ed appunti per quando farò la rilettura completa (e festeggerò i miei 50 anni con voi x°D fate conto che ora ne ho 27...)
Comunque seriamente se sono uscita dai personaggi, se ho semplificato troppo ditemelo, che mi organizzo per rendere il tutto più concreto e meno 'fiabesco'. 

Ps. Sì, sono animalista, che non si capisce?! x°D

 

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