There is a light that never goes out

di clairemonchelepausini
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2 ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO 1 ***


There is a light that never goes out












 
CAPITOLO 1

Basta un momento, una persona, un luogo a cambiare la tua vita per sempre, a darti una nuova prospettiva ed a colorare i tuoi pensieri. Io ero felice, ma proprio quando avevo iniziato a credere che più felici di così… l’universo mi ha lanciato una palla curva. Sono passati due mesi, eppure sento ancora quel dolore annidato dentro di me. È impossibile respirare e cerco, invano, disperatamente di fuggire. Non si può evitare, né cancellare quella devastante sensazione.
 
La sofferenza ti porta nell’oscurità degli abissi. Ti manca l’aria, non respiri, non hai più il terreno sotto i piedi e tutto scompare tranne quel dolore che frantuma letteralmente in mille pezzi il cuore. Lui non c’era più. Eric: il mio tutto, l’amore della mia vita, il mio migliore amico, mio marito... se n’era andato via. Non si può superare tutto questo, non fino a quando pochi mesi fa si rideva, si scherzava e si prometteva amore.
Il dolore ti colpisce quando meno te lo aspetti: una fitta leggera e una sensazione di dispersione che va e viene. E poi c’è la sofferenza che non riesci a ignorare, così grande che cancella tutti i tuoi pensieri e fa scomparire il resto del mondo. Il dolore ti anestetizza, dobbiamo aspettare che se ne vada, sperare che scompaia da solo, sperare che la ferita guarisca. Non ci sono soluzioni, né risposte facili. Bisogna fare un respiro profondo e aspettare che il dolore si nasconda da qualche parte, perché la verità è che non possiamo conviverci, anche se è il modo migliore per affrontarlo. [1]
Sono stanca, stremata e imprigionata in questo atroce male: qualsiasi cosa faccio non può essere controllata, qualsiasi modo trovi per fuggire dalla realtà tutto mi riporta a lui, mi riconduce a quella sensazione di vuoto, alla morte che mi attanaglia privandomi della mia essenza. Come oggi, come ieri, come mesi fa il freddo mi divora e il dolore si prende ogni giorno una piccola parte di me.
Secondo Elizabeth Kübler Ross quando stiamo per morire o abbiamo subito una perdita drammatica, tutti noi attraversiamo cinque diverse fasi del dolore. C'è la fase del rifiuto perché la perdita è talmente impensabile che non possiamo credere che sia reale. La rabbia esplode contro tutti, contro chi sopravvive, rabbia contro noi stessi; poi patteggiamo. Preghiamo. Imploriamo. Offriamo tutto ciò che abbiamo, offriamo la nostra anima in cambio anche di un solo giorno in più. Quando il patteggiamento fallisce ed è troppo difficile contenere la rabbia, cadiamo nella depressione, nella disperazione, finché alla fine ammettiamo di aver fatto tutto il possibile e ci abbandoniamo.  Così arriviamo all'accettazione. [2]
Ho attraversato tutte le fasi in modi diversi e sull’ultima ci sto ancora lavorando. Ho dovuto fare in fretta. Anche se il dolore era così forte e costante, dovevo riprendermi. Occorreva più tempo ma dovevo pensare a lei, a quell’esserino che porto dentro e che deve essere protetto dalla crudeltà della vita. Dicono che il tempo è un bene prezioso che ci è dato, allora com’è possibile che passa così velocemente? Come può una persona migliorare, crescere, essere felice se quel filo si spezza? Passiamo tutta la vita a pianificare il futuro come se ciò potesse esserci d’aiuto; tuttavia, ogni volta che pensiamo di conoscerlo, anche solo per un minuto, il futuro cambia.
 
 
 
“Oggi
Un po’ come ieri,
Pensieri di corda
Si attorcigliano al cuore.
Ho bisogno di capire
Senza  temere né tremare”
 
 
 
La luce filtra attraverso le tende illuminando la stanza; chiudo gli occhi, i pensieri cambiano continuamente, le immagini si susseguono veloci e mi riportano a Eric. Abbasso lo sguardo e mi lascio andare. Mi ritrovo a rivivere quel momento meraviglioso e istintivamente porto una mano sulla pancia.



«Buongiorno principesse» mi sussurra dolcemente all’orecchio Eric, cingendomi la vita con le sue possenti braccia.
Mi volto verso quel suono melodioso e vedo il suo viso illuminato dal sole, il suo sorriso riscaldare il mio e la perfezione di quel momento. Nonostante essere un soldato lo portava spesso lontano da casa, lui non mi aveva mai lasciata sola, mi era stato accanto in ogni passo importante. All’improvviso, non appena le nostre labbra si toccano, un calcio mi arriva nel basso ventre, poi un altro e un altro ancora: qualcuno reclamava la nostra attenzione. Lui scosta le coperte, si abbassa al livello della mia pancia e inizia a parlarle, facendo pernacchie con voce smielata e piccoli cerchi con le dita. La mia piccola peste stava organizzando un campionato di calcio e non desiderava smettere. Eric appoggia ancora una volta la mano sulla pancia, mi guarda e sorride.
«Papà sta tornando, tesoro» le dice poco prima di alzarsi.
Ritorna poco dopo con in mano un paio di grosse cuffie rosse e un lettore mp3 dello stesso colore. Sistemo meglio il cuscino, mi metto in una posizione più comoda e sorrido.
«Non ridere» mi rimprovera scherzosamente, alzando la mano verso la mia bocca.
«Se ci troviamo così, è solo colpa tua» afferma serio ma felice allo stesso tempo; posa le cuffie sulla mia pancia e preme play.
La canzone si diffonde nell’aria e sulle note di “Celeste” la piccola si tranquillizza.  Alzo gli occhi sul suo viso colmo di amore: il mio rifugio, il mio posto sicuro è lì, in quello sguardo in cui mi perdo.
«Già lo vedo con i tuoi stessi occhi, le tue fossette e il tuo modo di fare».
«E ti amerò come accade nelle favole, per sempre. E ti aspetterò senza andar via» intona la canzone, lasciandomi stupita ed emozionata.
«Che c’è? Dopo dieci anni che stiamo insieme, davvero ti sorprende che io conosca e canti le sue canzoni?» mi domanda innocentemente, alzando le sopracciglia e sorridendomi.
«Non deve. Laura Pausini è diventata la nostra guida, in ogni momento felice vissuto con te c’è stata una sua canzone in sottofondo e se poi considerassi anche tutti i concerti a cui mi hai trascinato direi che… non è proprio così strano. Ormai la nostra intera vita è circondata dalla sua musica e ora, grazie a te, anche nostra figlia non ancora nata è pazza di lei».
Io sorrido per la magia del momento, per quelle parole vere e sincere, per il suo amore incondizionato e lascio che siano i piccoli gesti a parlare.

 

 
 
La sua voce mi riempie di gioia ma esattamente un attimo dopo mi devasta. Desidero solamente poterlo vedere e abbracciare un’ ultima volta. Sento la testa pesante, il respiro smorzato e quell’ondata di dolore che ormai mi accompagna da mesi. Il momento peggiore è la mattina: ti svegli e ancora confusa puoi credere di aver fatto un brutto sogno.  Invece allunghi una mano e senti il freddo, il vuoto, ti volti e vedi che tutto è rimasto esattamente come l’ultima volta.
È tutto vero. Il dolore è ancora lì e nello stesso momento in cui arriva, vieni travolta anche da nausea e  vomito: la mia solita routine ormai da sei mesi. Mi alzo in fretta, almeno per quanto mi è possibile, vado in bagno, faccio un profondo respiro e lascio che il calore di quel ricordo si propaghi dentro di me. Mi preparo velocemente fin quando non rimango qualche minuto ad ammirare allo specchio la figura di una donna incinta che non mi somiglia più e che fatico a riconoscere.
 
Io, Emily Lewis, ero la donna più felice e fortunata del mondo, con un marito e una vita che tutti invidiavano mentre, adesso, nulla di tutto questo mi è rimasto. Dalla donna forte e coraggiosa che ero, mi ritrovo persa, priva di energia e spenta. Tutto ciò che vedo sono i miei occhi gonfi e le mie occhiaie marcate, uno sguardo martoriato e una vita distrutta; tuttavia, in fondo a questo tunnel buio, c’è una luce, una scintilla fioca che brilla.  Do una spazzolata ai miei lunghi capelli neri, metto un filo di trucco ed eccomi pronta per un’altra giornata all’asilo. Fare la maestra era quello che sognavo da sempre: sin da piccola amavo i bambini e amavo trascorrere il tempo con loro; adesso però, pur essendo un lavoro che amo, è diventato angusto perché mi porta a stretto contatto con i genitori e… pensare che a mia figlia sia stata portata via questa possibilità mi devasta.
Ad un tratto, suona il campanello e... sento mancare l’aria, i battiti del mio cuore sembrano rallentare e per un attimo la mia mente torna indietro nel tempo.
 
 
 
È impossibile spiegare il panico che ti assale ogni volta che suona il campanello di casa: se sei la moglie di un militare e non aspetti visite, pensi sempre al peggio. Era una tranquilla domenica mattina, ma non appena rivolgo lo sguardo alla porta, un brivido mi corre lungo tutta la schiena perché avevo la sensazione che qualcosa di brutto stava per accadere. La conferma arriva nell’esatto momento in cui apro la porta e sulla soglia di casa trovo il Colonnello John Booker e il tenente Peter King, nonché anche il migliore amico di mio marito.
Il cuore inizia a battere, la mente si paralizza e le dita sono intorpidite.
Urlo senza rendermene conto e mi porto subito una mano sul cuore mentre in un attimo il mio mondo cade a pezzi: in quel preciso istante io smetto di esistere. Tutto intorno a me si tinge di nero e inizia a girare, sento mancarmi la terra sotto i piedi. Non vedo nulla, ma all’improvviso sento due forti braccia sorreggermi, prendermi con forza e adagiarmi sul divano. In lontananza sento le loro voci allarmate e preoccupate, sento il trambusto di qualche sportello che viene chiuso, lo scrosciare dell’acqua e un forte profumo pizzicarmi le narici.
Non voglio svegliarmi. Voglio rimanere in questo stato di sofferta beatitudine, non posso sentire quelle parole.
Non posso aprire gli occhi e lasciare che la realtà entri nella mia vita come un fulmine, bruciando tutto ciò che tocca.
Una fortissima luce mi acceca e come per magia appare lui, mio marito: il tenente Eric Lopez in tutta la sua bellezza.
Strizzo gli occhi e l’immagine si fa più chiara: indossa la sua divisa e porta con onore le medaglie che gli sono state assegnate. Il suo viso è stanco, arrossato e sciupato dal vento e dal calore cocente del sole, ma lui irrimediabilmente ha sempre il suo meraviglioso sorriso.
Avanza verso di me, lentamente, a piccoli passi nella sua statura di un 1.90, con i suoi capelli neri corvino spettinati e gli occhiali da sole sulla testa. Non appena è così vicino quanto basta allungo una mano e sfioro delicatamente il suo viso e una sensazione di casa mi pervade.
Emana sempre lo stesso bagliore di pace e tranquillità, sento le sue braccia avvolgermi e stringermi forte, provocando in me un senso di dolcezza e, allo stesso tempo, di devastazione.
«Tranquilla amore mio, va tutto bene. Puoi farcela, non temere. Non sei sola ed io non ti lascerò» sussurra con voce flebile vicino al mio orecchio.
Quelle parole riecheggiano nella mia mente mentre soffici lacrime scendono dal mio viso. E proprio com'è apparso svanisce e con esso si affievolisce anche il battito del mio cuore.
All’improvviso sento una piccola fitta nel basso ventre, quel tanto che basta per scuotermi e farmi capire di non essere sola.  Non so nemmeno quanto tempo era passato, so solo che i miei occhi lentamente ritornarono a vedere la luce.
Ero in stato di shock, scossa e disorientata; cercavo di difendermi e sopravvivere, ma negare la realtà non sarebbe servito. Le lacrime bagnano ancora il mio viso, il respiro è strozzato in gola e gli occhi bruciano ma non me ne curo. Anche se riesco a seguire a malapena ciò che dicono, dato che la mia mente sente solo “Mi dispiace, Eric… non c’è l’ha fatta”, voglio anzi devo sapere.
«Co-co-co- me è successo?» balbetto con un filo di voce, stringo i denti fino a farmi male la mandibola.
Il colonnello mi guarda negli occhi, inizia a parlare tenendo le mani strette in grembo, le spalle tese e poi lancia uno sguardo di supplica e di aiuto a Peter. Lui si avvicina, prende le mie mani nelle sue e mi racconta ciò che successe quel maledetto giorno.
Non ci sono domande o risposte che avrebbero potuto colmare il vuoto che si era creato dentro di me, sapere che il colpevole era stato ucciso non mi dava conforto perché questo non avrebbe potuto portarmelo indietro.
Eric Lopez era un eroe, il mio eroe, però dopotutto mi aveva lasciato.
Ciò che rimase fu il silenzio, quel silenzio che fa tanto rumore quando il cuore è vuoto e la testa è piena.

 
 
 
“E arrivi tu
Che fai passare
La paura di precipitare”
 
 
 
E così mi lascio cullare da quelle parole che mi riportano alla realtà e che mi danno la forza necessaria per continuare a lottare.
Faccio appena in tempo ad arrivare all’ingresso che Peter ha già in mano il mio cappotto e la mia borsa, pronto ad accompagnarmi a lavoro. Io scorazzavo in giro con il mio pancione e i vestiti premaman che mi facevano sembrare una mongolfiera e lui, fermo davanti la porta con i suoi occhi azzurri, i capelli castani e con indosso un paio di jeans e un maglione, sembrava uscito da una rivista di moda. Non saprei nemmeno dire da quanto siamo amici, so solo che lui era presente a tutti i nostri momenti più importanti e ora, continua a starmi vicino, anche se il dolore che si leggeva nei suoi occhi era paragonabile al mio.
Io avevo perso mio marito, l’amore della mia vita, mentre Peter… beh, lui aveva perso il suo migliore amico, suo fratello. Ricordo ancora il giorno in cui si arruolarono insieme, il giorno che ricevettero le medaglie per una missione sottocopertura in cui stavano per rischiare la vita. Non si erano mai separati e per lui noi eravamo la sua famiglia, tutto quello che aveva. Adesso stavamo provando lo stesso dolore e condividerlo era l’unica cosa che ci faceva bene, anche se allontanava solo per un minuto quell’incessante sensazione di smarrimento che stava diventando parte di noi. Tutti mi stavano vicino e nonostante facessero del loro meglio, non avrebbero potuto scacciare i demoni che mi torturavano, a volte neanche Peter poteva; tuttavia, lui riusciva a capirmi meglio di chiunque altro, lui che aveva visto uccidere Eric sotto i suoi occhi senza poter fare nulla.
Cerchiamo di proteggerci con tutte le forze, ma non fa alcuna differenza perché quando le cose brutte arrivano, sbucano dal nulla. [3]
Ero stanchissima: avevo i piedi gonfi, mal di schiena e una nausea che quel giorno era più insistente del solito. Jodi mi aveva accompagnato a casa perché da scuola eravamo uscite tardi e non voleva che tornassi a piedi, anche se abitavo vicino. L’unica cosa che volevo fare, non appena arrivata, era gettarmi sul divano, rilassarmi e godermi una bella tazza di gelato alla frutta; invece, fu tutto il contrario.
Appena varcata la soglia, mi arrivò un dolce e speziato profumo e poco dopo vidi spuntare Peter, con indosso un grembiule che non era decisamente adatto a lui; diceva: “Sono la donna più bella e sexy del mondo”,  un regalo di Eric.
«Ehi! Ciao, Ems» grida dalla cucina, posando sul tavolo l’ultimo piatto e venendo verso di me per togliermi la borsa dalle mani e il cappotto.
«Ehi… Peter che ci fai qui?» chiedo ancora sorpresa, senza riuscire a nascondere un sorriso per il suo abbigliamento.
«Dovevi pur mangiare qualcosa» risponde, facendomi l’occhiolino e spostando la sedia per farmi accomodare.
Aveva preparato tutti i miei piatti preferiti o almeno quelli che potevo mangiare in gravidanza. Rimasi sorpresa. Non parliamo molto solitamente e comunque cerchiamo di non cadere mai sul campo minato Eric, ma è inevitabile. Tutte le volte che stiamo insieme finiamo per parlare di lui: ci raccontiamo qualche momento buffo o le volte in cui si metteva nei guai e, a volte, Peter mi racconta di quando erano nell’esercito.
«Dai, ti aiuto» dico alzandomi dalla sedia e prendendo i piatti sporchi, ma lui con un balzo mi raggiunge e me li toglie dalle mani.
«Tu, il tuo pancione e questa piccolina dovete andarvi a sedere sul divano a rilassarvi» afferma serio, spingendomi delicatamente verso il soggiorno.
«Io sistemo e faccio i piatti. Tu accendi la tv e rilassati. E poi, non è stasera il programma con la tua cantante preferita?» mi domanda con nonchalance mentre io apro la bocca sbalordita.
« E tu come fai a saperlo?».
«Perché Eric me ne parlava sempre. E non dimenticare che hai trascinato anche me ai suoi concerti. Siamo diventati tutti Pausini-dipendenti» dice lui prendendomi in giro e facendo ridere anche me.
Nel momento in cui mi siedo sul divano, dalla donna forte che mi sono sentita per qualche minuto, divento la vedova incinta di Eric Lopez.
Basta una frase, una canzone e tutto crolla nuovamente, i miei occhi diventano lucidi e così, in men che non si dica, sono catapultata fuori dalla realtà in un tempo in cui ero felice e credevo che tutto fosse possibile.
 
 
 
« Tesoro, ti prego, non farmi rivedere per la millesima volta “Le pagine della nostra vita”» afferma Eric dalla cucina sbuffando mentre io mi metto comoda sul divano, accendo la tv e inserisco il dvd.
«Ecco, lo sapevo» contesta lui, roteando gli occhi e alzando le braccia in aria per poi farle cadere sui fianchi in modo teatrale.
Arriva comunque con una bella tazza di gelato alla fragola, mi bacia sulla fronte e si tuffa sul divano accoccolandosi accanto a me. Sono queste piccole cose che mi mancano quando è via, ma è anche vero che sono proprio le stesse che lo rendono così… lui, il mio meraviglioso marito.
«Oh… Oh…» esclamo, sentendo delle fitte alla pancia; avvicino subito la mano ed ecco che ne arriva un’altra.
Eric è così preso dal film da non accorgersene, prendo la sua mano e la appoggio sulla pancia e un attimo dopo ecco un altro calcio.
«Ma… ma è nostra figlia?» mi domanda commosso, ma io non riesco a rispondergli così mi avvicino a lui e lo bacio.
«Dobbiamo scegliere un nome» dico io staccandomi dalle sue dolcissime labbra.
«Sì, come se io avessi diritto di parola» dice lui, alzando le sopracciglia e guardandomi torvo.
Io rido per la sua espressione così buffa e quando mi volto verso la tv, mi pizzica ed io ricambio facendo il solletico e continuiamo così per qualche minuto. Lui mi blocca le mani, attira il mio viso vicino al suo e inizia a baciarmi.
«Tanto lo sappiamo che la chiameremo Laura» afferma senza lasciare che io replichi. Ci sistemiamo: la mia testa sulle sue gambe e la sua mano sulla mia pancia.
«Davvero Eric, sono seria. Dimmi un nome che ti piace».
Lui ci pensa un po’ e mi lascia lì, sulle spine a  pensare a che nome proporrà.
«Ok… ok… Mi piace il nome Celeste» ammette in un sussurro che faccio quasi fatica a sentire.
«Mi piace» esclamo gioiosa, ma non faccio in tempo a finire che lui m'interrompe.
«Ma tanto la chiameremo comunque Laura» alla fine continua sorridendomi, prendendomi le mani e baciando ogni dita, poi si sofferma sulle mie labbra per finire sulla mia pancia.
Felicità, amore, gioia era tutto ciò che provavo e non desideravo altro.

 
 
 
Ecco che la mente mi tradiva di nuovo e mi sentivo crollare ancora una volta tutto il resto del mondo addosso. Non mi ero neanche accorta che Peter si era seduto al mio fianco ed io avevo preso inavvertitamente la sua mano. Ricordi di una vita passata, parole non dette, lacrime versate e dolore profondo: era tutto quello che mi rimaneva di lui. Cerco di cacciare indietro le lacrime che premono tanto per uscire, ma non appena dalla tv si sente la voce di Laura cantare tutto si offusca. Sento una calda mano sfiorarmi il viso e asciugare le mie lacrime.
«Gli avevo promesso che mi sarei preso cura di te».
E poi, tutto avvenne in fretta. Il calore si fece più vicino e all’improvviso un bacio: dolce, lento e delicato. Non appena aprì gli occhi il momento si spezzò: portai subito le mani alla bocca, Peter sgranò gli occhi imbarazzato, si alzò velocemente, prese la giacca e sparì senza neanche una scusa, una spiegazione o un “mi dispiace”.
Colpevole, ecco come mi sentivo: per quello che non avevo detto, per quello che ho fatto e per quello che avrei dovuto fare. Non potevo cambiare la situazione e ciò mi devastava: anche se era stato solo un attimo di debolezza,  aveva cambiato tutto.
Sono passati alcuni minuti, non molti, ma abbastanza da dare il tempo alle lacrime di scorrere sul mio viso, bruciare gli occhi e attanagliare il cuore.
Era tutto sbagliato. Un attimo, era bastato un attimo per mandare in frantumi il mio mondo, ancora una volta.








Spazio d'autrice:
Ciao a tutti =)
Mi ritrovate di nuovo qui con una nuova storia originale, sembra che ci abbia un pò preso la mano, anche se ero la stessa che diceva che non avrei scritto mai un'originale eppure eccomi qui =D.
Credetemi mi suona ancora strano ^_^
Questa storia è stata scritta 
per "ALLEY'S AWARDS FOR YOUR ONE-SHOT" contest indetto da Down Hanna's Ally
 
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Prima di dire altro voglio chiarire tre cose:
Le canzoni presenti qui come ho detto sono di Laura Pausini e sono "Il lato destro del cuore" e "Simili"
Inoltre le frasi che accanto hanno il numerino sono citazioni prese da Grey's Anatomy, se non ricordo male dalla 2x05, 6x01 e 9x23.
E il titolo che ho messo è lo stesso della canzone degli The Smiths che consiglio a tutti di ascoltare e leggere il testo, per chi vuole ecco il link 
https://www.youtube.com/watch?v=DRtW1MAZ32M.
Questa storia è nata un pò per caso, mi ero già iscritta ma non avevo nessuna idea. Un giorno però mentre ascoltavo Celeste di Laura, la mia cantante preferita, se ancora non si fosse capito mi è venuta in mente questa storia e ho dovuto scriverci, non potevo fare diversamente. La storia che racconto è una storia inventata ma è un pò come  se mi ci rivedessi anch'io: voglio diventare mamma, ho sempre avuto questo desiderio, amo i bambini e in un'altra vita mi sarebbe piaicuto fare la maestra d'asilo e poi vorrei un marito che affianchi le mie passioni e in questo caso la Pausini. Lo so, sogno troppo ad occhi aperti, ma che male c'è? XD
Ho parlato anche tanto, ma ci tengo a questa storia e moltissimo e quindi mi farebbe piacere leggere i vostri pareri, sapere che ne pensate.
 Infine, voglio e devo ringraziare mia cugina Vivana per essere stata la prima a leggerla e a darmi i consigli di cui la storia necessitava.
Grazie infine a chi la leggerà.
Al prossimo capitolo =)
Claire

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 2 ***


CAPITOLO 2
 
 
 
Due mesi dopo….


 
 
 
 
La morte cambia tutto.
Eric era e resterà sempre l’amore della mia vita: non amerò un altro uomo come ho amato lui, ne sono sicura. Come potrei? Lui se n’è andato ed io sono qui… l’ho perso e adesso niente potrà ridarmelo. Non faccio che pensarci di continuo. Ci penso e ripenso, come se ciò potesse cambiare le cose. [1]
Sono passati due mesi e quel senso di colpa mi divora ancora, la continua sensazione di errore per un bacio rubato non mi permette di dimenticare, di andare avanti. Tutto è sbagliato, eppure io continuo a cercare una ragione.
È da quella sera che non ci vediamo né parliamo, sembra che sia successo una vita fa. Adesso, è come se quel filo invisibile che ci legava si fosse rotto e ci trovassimo alla deriva.
So che è tornato alla base in Egitto, la stessa dove è stato ucciso Eric; ciò che di buono lì sarà fatto rimarrà sempre all'ombra di quanto successo, rimarrà sempre il posto in cui lui è morto. E forse è proprio per questo che ci è tornato, per sentirsi più vicino a lui, per placare il suo senso di colpa. Forse, entrambi avevamo bisogno di questa lontananza.
Solo stamattina mi sono resa conto che in questi mesi la casa è rimasta la stessa: nessun cambiamento, nessun movimento. Oggi, però, ho deciso di sistemare le ultime cose prima dell’arrivo della piccola.
Sì, perché sono entrata al nono mese: questo sarebbe dovuto essere il momento più bello per noi, avremmo dovuto stringerla fra le nostre braccia non appena venuta al mondo e farle sentire il nostro amore; invece, avrà solo le mie braccia a farle da scudo per gli ostacoli che la vita le metterà davanti.
Mi manca il suo sorriso, le sue braccia forti che mi facevano sentire al sicuro e il suo modo di assecondarmi.
Mi manca vederlo attraversare la porta d’ingresso, tutte le volte con qualcosa in mano: un regalo per la piccola, una rosa o semplicemente con un gelato alla fragola. 
Eric se n’è andato e con lui anche una parte di me. Tuttavia, questo non è il momento per i cuori fragili: un passo alla volta, devo andare avanti. 
Presa dalla malinconia salgo in soffitta, anche se è solo ormai una stanza adibita a ripostiglio. Accendo la luce e il profumo di vecchio mi assale, chiudo gli occhi e lascio andare i ricordi, anche se dolorosi. Non appena mi riprendo un pò, noto uno scatolone che non avevo mai visto prima, lo prendo e sbircio dentro.
D’un tratto, il mondo si ferma nuovamente.
Faccio un profondo respiro e torno a guardare dentro la scatola, comincio a rovistare tra magliette e vari souvenir dei nostri viaggi insieme. Tutto ciò che ho davanti mi parla di lui, di noi.
Afferro la sua felpa e la indosso: è un po’ larga per me, ma è l’unico modo che ho per sentire addosso di nuovo il suo profumo, quel profumo capace di regalarmi un'infinita sensazione di benessere.
Tra le varie cose che trovo, mi soffermo su una foto in particolare che mi riporta indietro nel tempo.
 
 
 
«La signora Lopez?» domanda la ginecologa dell’ospedale e noi, un po’ impacciati, entriamo nel suo studio.
Eravamo ansiosi: avevamo cambiato dottore e stavamo per vedere nostra figlia; nonostante tutte le ecografie precedenti quel momento ci faceva sempre paura.
E se non fossimo stati in grado di prenderci cura di lei? Se non fossimo stati dei bravi genitori?
Mi stendo sul lettino, Eric mi affianca ma è troppo nervoso e inizia a camminare avanti e indietro facendo innervosire anche me.
«Venga qua signor Lopez» lo richiama la dottoressa educatamente, con voce calma.
«Prenda il liquido e lo metta sulla pancia, dopo delicatamente passerà la sonda sopra. Forse… così riusciremo a farla calmare e non fare agitare lei» gli dice, spiegando nei dettagli i gesti che dovrà fare.
«Sono un soldato, mica un ginecologo» ribecca lui un po’ offeso, dato che negli ultimi minuti si era comportato come se fosse lui ad essere incinta, sdraiato sul lettino.
L’occhiata seppur dolce della dottoressa non ammetteva repliche, così Eric si avvicinò a me, prese il liquido dalle sue mani e lo sparse sulla parte bassa della pancia; prese la sonda e con mani tremanti fece movimenti delicati e circolari sulla pancia e allo stesso tempo mi strinse la mano con l’altra libera.
All’improvviso si sentì un forte "bum bum bum" e tutto quello che avvenne dopo furono lacrime di gioia. La ginecologa iniziò a parlare, ma noi non riuscivamo a sentire altro che il battito del suo cuore.
Eric asciugò il liquido sulla mia pancia, mi aiutò a rivestirmi e subito dopo mi baciò dolcemente. Un bacio che aveva il sapore di mille promesse e di un futuro insieme in cui la parola “amore” sarebbe stata come un albero sempreverde, forte nel resistere alle tempeste e capace di donare riparo a quell'angioletto che avevamo messo al mondo.

 
 
 
Ritorno alla realtà scossa dai brividi che mi percorrono la schiena, lasciando in me quella sensazione ormai così familiare di malinconia e dolore misto a qualcosa di nuovo, a cui non riuscivo ancora a dare un nome ma che sembrava fare luce nel mio tunnel di sofferenza.
«Era tutto così perfetto…» ammetto sottovoce sfiorando la foto e le parole mi escono a singhiozzi.
 
 
 
“Il ricordo adesso è come
Un pianoforte senza voce
Che più suona e più non sente le sue note.
A un tratto nel silenzio il mio pensiero
Vola verso quell’immagine.
Non servivano parole
Ricordo ancora l’emozione.”
 
 
 
«Forse un giorno ci rincontreremo e avremo la nostra occasione di vivere felici quello che c’è stato portato via» affermo tra me e me, lasciando vagare quella frase in quella piccola stanza chiusa.
In fondo alla scatola, qualcosa attira la mia attenzione, la prendo in mano e rimango senza parole.
 

“Alla mia bellissima moglie”


Leggo ad alta voce, sfiorando con mano tremante la sua calligrafia perfetta, fuori dalla busta bianca che stringo tra le mani.
Incerta su cosa fare, la porto al cuore e annuso la carta che ha il suo profumo; infine, ancora tremante, decido di aprirla.
 
 
Amore mio,
Sto scrivendo questa lettera semmai un giorno mi succedesse qualcosa, perché voglio che tu sappia quanto ti amo.
Sono seduto nella nostra veranda ad osservare l’alba e sorrido perché ho già visto qualcosa di meraviglio e perfetto in te.
Ti guardo dormire con le tue guance colorite, le tue labbra rosee e i tuoi capelli sparsi sul cuscino; non posso fare a meno di sentirmi l’uomo più fortunato del mondo.
La vita mi ha dato tutto quello che io avrei voluto: mi ha fatto conoscere te ed è stato il regalo più bello.
Non ho mai smesso di amarti e mai lo farò; tutte le volte in cui siamo stati lontani ti ho pensato ogni giorno, la mia vita senza di te non ha senso.
Ho provato a non darti mai per scontata e ogni giorno ho cercato un modo per riconquistarti come se fosse la prima volta. Mi diverto a trovare mille metodi diversi per dimostrati il mio amore: perché quando si ama qualcuno, come io amo te, è per sempre. Tuttavia, se stai leggendo queste parole significa che mi è successo qualcosa.
Mi ero ripromesso di essere ottimista e di non pensare al futuro con tristezza, ma ho visto così tanti orrori che forse, una parte di me, non ha mai smesso di essere pessimista.
Essere un soldato in zone pericolose, in cui la guerra è sempre presente negli occhi di uomini, donne e bambini,  mi ha fatto capire che la vita è il bene più prezioso e non deve essere sprecata; dobbiamo vivere realizzando i nostri sogni e stare con chi amiamo.
E io penso di avere anche più di quanto avrei immaginato della mia vita: sei diventata mia moglie, abbiamo vissuto giorni indimenticabili e non ho rimpianti; tuttavia, ho paura che se mi succedesse qualcosa tu… ti lasceresti andare e… io non lo voglio.
Forse non ci sarà bisogno, spero non sarà necessario anzi, forse quando un giorno ritroveremo questa lettera sorrideremo insieme del mio pessimismo; ma adesso, voglio comunque dirti ciò che penso perchè so che tu, in quel caso, avrai bisogno di sentirle da me e non da altri.
Ci sarà qualcuno che ti stringerà così forte da farti sentire al sicuro, attenuerà tutto il dolore che hai sul cuore e magari sarà in grado di farti amare di nuovo.
Lo so cosa stai pensando, sto provando a farti capire che non soffrirai quando me ne andrò, ma credimi: anche chi ti abbandona fa qualcosa di buono.
Il mio abbandono, se così posso chiamarlo, ti ricorderà che sei viva persino senza di me. Ti toccherà perdere numerose ore di sonno, leggere libri sulla sopravvivenza, confidarti anche con l’aspirapolvere. Dovrai aprirti agli altri e soffrire anche molto; ma cosa più importante, ti toccherà ricominciare, amare di nuovo. E tu… amore mio, tu amerai di nuovo perché hai un gran cuore.
Mi devi promettere una cosa… devi promettermi che non ti arrenderai. MAI.
Devi dare tempo al tempo e lasciare guarire le tue ferite. Anche quando non lo saprai, io veglierò su di te, ti sorriderò, ti abbraccerò e ti sussurrerò che puoi lasciarti andare, che puoi sorridere di nuovo perché io ci sarò sempre.
Vedrò amarti qualcun altro, qualcuno che sarà capace di darti ciò che non ho potuto io: ma devi permettergli di entrare nella tua vita, di lasciarti amare.
Ama e non dimenticare mai quanto è stato grande il nostro amore; immaginami sempre accanto a te perché è lì che sarò.
Ricordami per ciò che ti ho dato, per i sorrisi e le emozioni che mi hai donato, ricordami perché è lì che vivrò: dentro di te.[2]
Ti ho amato, ti amo e ti amerò per sempre.
Il tuo Eric.



 
 
Ho letto tutto d’un fiato la lettera e ora non mi è rimasto più niente.
Il suono peggiore era sentire quel silenzio che mi circondava, quell’ondata di calore che mi attorcigliava il cuore e allo stesso tempo spezzava la mia voce mentre provavo a parlare.
Mi sentivo sopraffatta dalle lacrime, dovevo prendere un lungo respiro tra un singhiozzo e l’altro, mentre pensavo a tutte le cose fatte insieme, ai momenti felici e alle giornate in cui non avevo mai abbastanza di lui.
Tutto era stato spazzato via, ogni cosa stava scivolando lentamente come se, solo adesso, mi fossi resa conto della realtà: Eric non sarebbe più tornato.
All’improvviso, una forte fitta mi arriva alla pancia tanto da smozzarmi il fiato, poco dopo un’altra più forte e l’una si avvicinava sempre di più all’altra.
Cerco di riprendermi, ma il dolore è così forte che non ci riesco e non appena sento qualcosa scendere sulle mie gambe capisco che è arrivato il momento tanto atteso.
«Nostra figlia Eric, sta per… nascere» sussurro piano, con gli occhi lucidi di gioia e tristezza allo stesso tempo.
Sapevo con certezza che Peter era tornato qualche giorno fa dall’Egitto e speravo con tutto il cuore che mi avrebbe risposto. Io, noi avevamo bisogno di lui, adesso.
Non faccio in tempo a prendere il telefono che lo sento chiamare a gran voce dall’ingresso di casa. Faccio un breve ma intenso respiro e grido con tutto il fiato che ho.
Non so quanto tempo passa e cosa succede esattamente, ma posso dire che tutti i libri sulla gravidanza e i corsi preparto non aiutano come dovrebbero a gestire il dolore o ciò che avverrà dopo.
 
 
 
«Sei rimasto» costato a dir poco stupita, vedendo entrare Peter con in braccio mia figlia.
«Lo avevo promesso a Eric e, come ti ho detto più volte, ci sarò sempre per te, per voi» afferma subito dopo, accennando appena un sorriso, poco prima di darmi la piccola che aveva iniziato a strillare.
Averla tra le braccia e poterla stringere a me è qualcosa… d’inspiegabile, talmente meraviglioso da sembrare quasi magico. Avevo pensato a lungo a questa decisione, ma poi mi ero accorta che non c’era nulla da decidere, sapevo già che il suo nome era stato scritto.
«La piccola si chiama Celeste» dico con un sorriso mentre una lacrima mi scende dal viso ed io mi affretto ad asciugarla.
Il dolore era ancora presente, forse non più forte come prima ma era sempre lì, vivo dentro di me.
Porto l’attenzione al fagottino che si era appena addormentato tra le mie braccia e non riesco a smettere di guardare il suo viso così piccolo e dolce.
«E’… E’ bellissima» esclamo subito dopo, accarezzando con un dito il suo soffice viso.
«Somiglia a te» afferma lui sedendosi sul lettino accanto a me, ma mantenendo sempre una certa distanza.
«Credevo di non farcela. E poi, è arrivata lei e ho visto il suo viso, ho visto lui in lei» [1.1] confesso poco dopo. Alzo lo sguardo e vedo i suoi occhi esprimere ciò che con terrore non avevano il coraggio di esprimere i miei.
Eric Lopez, il nostro Eric era morto.
Lui non c’era più ma, in qualche modo bizzarro, c’era qualcosa di lui in Celeste, così come ci sarebbe sempre stato qualcosa di lui in noi.
Ho capito che lo lascerò andare solo quando sarò sicura di essere pronta a perdermi.
Ho bisogno di lui.
La nostra storia era già stata scritta e noi non potevamo fare altro che viverla, innamorarci per poi perderci.
 
 
 
Ci sono persone dalle quali non guariamo mai.
I loro sorrisi ci faranno sempre battere il cuore,
le loro risate ci faranno tremare le gambe e
ogni loro parola resterà sulla pelle.
I loro gesti sono destinati a rivivere
in ogni nostro singolo movimento,
i loro respiri nelle nostre orecchie.
Ci sono persone che sono destinate
ad essere semplicemente nostre,
per sempre, anche solo attraverso i ricordi. [3]
 
 
 
 
Ricordi.
I ricordi sono tutto ciò che ci rimane quando qualcuno se ne va.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 







 
 
Spazio d’autrice:
Ciao =D
Sì, eccomi di nuovo qui…. Lo so, ci ho messo poco ad aggiornare ma siccome la scadenza per il contest è vicino ho deciso di mettere i due capitoli lo stesso giorno.
Che dire?
Questa storia mi è piaciuta, ho amato scriverla anche se è una storia triste, molto triste ma ho amato ogni particolare. E poi, quando l’ho finita mi è sembrato come se avessi perso una parte di me, forse sarà stupido.
Come per il precedente capitolo avviso che:
[1] e [1.1] corrispondono alle citazioni di Grey’s Anatomy della 11x23 e 11x22
[2- 3] corrispondono alle citazioni di un libro “Lascia che il nostro amore arrivi alle stelle”
E poi il pezzo della canzone “200 note” che ho inserito è sempre della Pausini.
Se vi chiedete perché ho inserito la frase di un libro semplicemente perché credo che calzi a pennello con la storia, penso che sia perfetta e non credo ci sia conclusione migliore.
Spero che la storia vi piaccia, che ha lasciato in voi tenerezza, dolcezza e vi abbia fatto provare delle emozioni così come è successo a me nello scriverla. E inoltre spero di non offendere nessuno per come ho affrontato il tema della morte di un marito, o comunque di una persona cara perché penso che ognuno reagisca al dolore in modi differenti.
Chiudo ringraziando come sempre mia cugina Viviana che ha reso questa storia perfetta, almeno per me, mi ha consigliato, suggerito e ha fatto sì che la storia prendesse la forma che io avevo in mente e che forse in alcuni punti non riuscivo.
Grazie infine a tutti voi che la leggerete <3
Baci,
Claire.
 

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