Alters

di Fabbricante Di Sogni
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lui vive in te ***
Capitolo 2: *** Rivelazioni ***
Capitolo 3: *** Una coppia perfetta ***
Capitolo 4: *** Incontro ***



Capitolo 1
*** Lui vive in te ***


Alters

 
Ognuno di noi ha tante persone diverse dentro di se, c’è la persona più aggressiva, quella ribelle, quella ragionevole, quella sentimentale, quella infantile. Il disturbo dissociativo dell’identità è caratterizzato dall’incapacità del soggetto di ricordare il passaggio da una persona all’altra. In poche parole il paziente non ha ricordi degli istanti nei quali era una persona diversa da quella del momento presente. Questo disturbo è spesso frequente nei casi in cui il paziente ha subito abusi o traumi da bambino, una negazione del dolore subito può portare al dividersi della personalità. Questo disturbo implica la presenza di due o più personalità separate che prendono il controllo del comportamento del soggetto, accompagnato da un’incapacità di rievocare ricordi personali.


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Capitolo 1
.: Lui vive in te :.
 
La prima volta che *1«Atsuya» uscì fuori era nell’orfanotrofio; qualche giorno dopo la tragica morte della famiglia Fubuki, eccezione fatta per il figlio maggiore: Shirou.
Lui era spaventato, non sapeva cosa né sarebbe stato di lui e per di più non poteva convivere con il senso di morte che gli era rimasto addosso dopo l’incidente.
Non riusciva ad accettare la situazione per quella che era, inutile girarci attorno; lui era sempre stato così buono, aveva sempre cercato di far quadrare tutto.
Perché gli era capitata una cosa del genere? Perché non a qualcun altro?
Il dolore che non riusciva a esprimere era incredibile, troppo per un bambino della giovane età di otto anni. Fu così che sul posto*2 arrivo «Atsuya».
«Atsuya» assomigliava moltissimo al fratello che Shirou aveva perso nell’incidente d’auto, aveva addirittura lo stesso nome! Possedeva una voce calda e accesa, e uno sguardo malizioso e penetrante, quest’«Atsuya» però, oltre ad avere un marcato senso dell’umorismo e una sfiducia nei confronti degli altri, impressionante per un bambino, era totalmente inconsapevole dell’esistenza di Shirou.
Al sentire un’educatrice chiamarlo in quel modo rimase in parte interdetto.
Lui era pienamente convinto che il suo nome fosse «Atsuya» e non Shirou, sapeva che gli piaceva molto giocare a calcio, specialmente se in attacco. Adorava la neve e gli sport a essa annessi, eppure rievocare il colore candido dell’inverno, gli procurava uno strano senso di dispiacere.
Solo sei mesi più tardi avrebbe scoperto, dai discorsi delle educatrici, che fosse per via del della morte dei genitori del presunto Shirou in un incidente stradale, proprio nella medesima neve bianca.
«Atsuya» però non né soffrì tanto, non era un bimbo molto sensibile, e non piangeva, per di più lui non conosceva le persone di cui stavano parlando. Sentiva unicamente dentro di se un profondo senso di vuoto, come un assenza incolmabile. Anche se non avrebbe saputo dire cosa.
Adesso seduto a tavola in mezzo agli altri bambini dell’orfanotrofio, «Atsuya» non vuole buttare giù un boccone della minestra che si trova davanti, non si fida di quelle persone, prima i medici gli hanno provato a dare delle pastiglie, ma non appena si sono voltati le ha subito sputate.
Non conosce i dottori e non sa cosa gli vogliano fare, quindi non vede perché dovrebbe fidarsi di loro, del resto non gli ridaranno né i genitori del presunto Shirou, né la felicità.
Nonostante tutto però ha una discreta fame, ma non può mangiare, significherebbe arrendersi.
 
Shirou si svegliò trovandosi davanti un piatto di zuppa, non ha ricordi del lasso di tempo precedente, ma una cosa la sa, ha molta fame.
Trangugiò rapidamente tutto il contenuto del piatto e poi un’educatrice lo accompagnò in camera in mezzo a tanti altri bambini.
Gli piaceva quel posto tutto sommato; l’ambiente era accogliente e gli permetteva di non pensare ai tristi eventi dei giorni precedenti.
In oltre le assistenti gli raccontavano una fiaba tutte le sere prima di andare a dormire. Sentiva che poteva fidarsi di loro e iniziare una vita nuova, anche se l’incidente lo avrebbe segnato per sempre.
 
Dopo quasi un mese Shirou mise per la prima volta piede sul campo da calcio dell’orfanotrofio, aveva preso ormai abbastanza confidenza con l’ambiente circostante da provare perlomeno a giocare.
In parte aveva paura di far riemergere il ricordo del fratello, ma era anche dell’idea che non si potesse continuare a posticipare la cosa.
La maggior parte delle preoccupazioni però non furono di carattere commemorativo, Shirou sapeva giocare davvero bene in difesa, e la maggior parte dei suoi compagni si complimentarono con lui.
Ciò nonostante iniziò ad avere dei vuoti di memoria durante le partite; sempre più spesso gli capitava di andare a segnare nella porta degli avversari senza ricordarsi benché minimamente come avesse fatto.
Nonostante questo ogni volta che Shirou finiva una partita, si cambiava con estrema lentezza come se ogni suo arto gli si fosse congelato. Capitava così che si ritrovava sempre solo nello spogliatoio, abbandonato a se stesso, ed era allora che la mancanza di Atsuya si faceva sentire, non sopportava il distacco che col tempo si era andato a creare.
Perdere i suoi genitori era un conto, ma perdere il suo fratello gemello con cui aveva condiviso gran parte delle esperienze da piccolo era tutto un altro paio di maniche.
In quei momenti riaffioravano i ricordi di tutte le volte che i due fingevano che le coperte del letto fossero una tenda per restarvi sotto a raccontarsi storie, i litigi per le cose più banali, le discussioni in campo durante la partita per decidere a chi spettasse il compito di calciare un pallone anzi che un altro.
Avrebbe potuto fingere di non ricordarsi, soffrire di meno, ma in qualche modo era come se lui volesse soffrire e rivivere tutti quei bei momenti per mantenere vivido il ricordo del gemello. Aveva paura che se solo avesse smesso di pensarlo i ricordi sarebbero svaniti e così la sua infanzia.
Poteva ingannare gli altri dicendosi di star bene, ma non poteva ingannare se stesso. L’assenza del fratello lo logorava ogni secondo di più. Lacrime calde sgorgarono dagli occhi celesti dell’albino.
 
«Atsuya» aprì gli occhi, sentiva il volto bagnato e non sapeva perché, si ritrovò a toccarsi il viso e scoprirsi a piangere. Perché stava piangendo? Nemmeno lo ricordava. Sbuffò, non andava bene per niente, continuava ad avere dei completi vuoti di memoria, l’ultima cosa che ricordava era lui che segnava in porta. Poi il vuoto.
Un conto era avere brevi amnesie, ma un lasso di tempo così lungo rendeva la cosa preoccupante. Studiò l’ambiente in cui si trovava; erano gli spogliatoi, ed erano deserti, lui che ci faceva lì a piangere?
Ipotizzò che una squadra lo avesse picchiato per averla fatta perdere, eppure non aveva ripercussioni fisiche, com’era possibile? Finì col abbandonare lo spogliatoio nella confusione più totale.




 

*1 Utilizzerò “«»” per indicare l’Atsuya personalità, mentre per la persona viva lascerò il nome senza virgolette
*2 Userò questa frase per spiegare quando una o l'altra personalità prendono il controllo del'atteggiamento.
 Spero di essere stata chiara, per qualsiasi cosa chiedetemi pure c: 


Smiley's Corner

Che dire, per questa Fic mi sono puramente ispirata al libro Una stanza piena di gente, in caso non lo abbiate letto ve lo consiglio vivamente, è molto psicologico e scritto bene.
Ad ogni modo ho provato ad analizzare l'esperienza di Shirou da un punto di vista psicologico, tenendo sempre conto che è di un bambino che stiamo parlando e quindi non si possono avanzare ragionamenti troppo complessi.
Questa storia l'ho già scritta, è lunga cinque capitoli suddivisi in sbalzi temporali lunghi più o meno un anno, penso che posterò un capitolo a settimana, salvo inconvenienti.
Spero di aver chiarito qualsiasi dubbio, in caso di incertezze chiedetemi pure e sarò lieta di spiegarvi meglio, in ogni caso una recensione o un qualsiasi commento mi farebbe davvero felice.

Un sorriso,

Smiley


 

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Capitolo 2
*** Rivelazioni ***




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capitolo 2
 .:Rivelazioni:.



Fu quando Shirou aveva da poco compiuto nove anni che incontrò per la prima volta «Atsuya», non il vero Atsuya; suo fratello, ma quello che viveva dentro di se.
Accadde durante l’intervallo di una partita amichevole con un’altra squadra dell’Hokkaido.
Il ragazzo era andato nel bagno dello spogliatoio per sciacquarsi la faccia dal sudore, nonostante tutto si stava impegnando molto in difesa, eppure erano sotto di un gol, doveva metterci più impegno. Doveva essere perfetto.
I suoi compagni di squadra lo avevano più volte esortato ad andare a segnare uno dei suoi soliti gol, ciò nonostante non lo aveva ancora fatto. Non sapeva perché, osservò il suo viso riflesso nello specchio e improvvisamente udì una voce; *“Cosa ci fai ancora qui? Dobbiamo andare in campo e fargliela vedere!” il ragazzo si girò spaventato, ma nel bagno non c’era nessuno.
Era strana come voce, bassa ma euforica ed inoltre l’albino provava la sensazione che il suono rimbombasse dentro di se.
«Chi sei e dove sei?» chiese con un’espressione preoccupata. Adesso iniziava pure a sentire le voci oltre a che dimenticarsi continuamente cosa faceva, non andava bene per niente.
“Io sono qui, dove sei tu piuttosto?” ribatté seccata la voce.
«Anch’io sono qui.» sbottò per risposta Shirou che iniziava a perdere la pazienza, chiunque fosse il ragazzino che si divertiva a prendersi gioco di lui, non era per niente divertente.
“Come possiamo, secondo te, essere nello stesso posto contemporaneamente?” gli fece osservare la voce che pareva parecchio annoiata e infastidita allo stesso tempo.
«Non né ho idea, tu come ti chiami?» tentò in fine Shirou, deciso a giungere alla fine di quella discussione il prima possibile.
“Io sono Atsuya, e tu?” a Shirou gli si bloccò un attimo il respiro a sentire quel nome, com’era possibile? Che Atsuya fosse vivo? Eppure all’ospedale avevano detto che era morto sotto il peso della valanga, solo lui era sopravvissuto, solo lui.
«Io sono Shirou.» rispose convincendosi che in qualche modo il fratello era rimasto dentro di se.
“Bene Shirou, vogliamo andare a dargli una lezione a quei perdenti dell’altra squadra?” chiese il presunto fratello in tono retorico.
«Ovviamente.» fu la risposta che gli parve subito spontanea.
Provò una strana sensazione che non sentiva da tantissimo tempo, era l’adrenalina che gli correva nelle vene, dopo l’incidente aveva continuato a giocare, ma non si era mai sentito impaurito all’idea di perdere, semplicemente non gli importava, adesso, invece, vincere era di vitale importanza.
Adesso che «Atsuya» era di nuovo lì, con lui, niente poteva fermarli.
 
All’iniziare del secondo tempo Shirou rimase cosciente mentre «Atsuya» prendeva il controllo del suo comportamento, lo vide scartare due avversari e segnare dritto in porta con una tecnica che non aveva mai visto usare, ma che presto avrebbe imparato a conoscere come la Tormenta Glaciale.
Shirou imparò che era possibile rimanere cosciente mentre l’altro prendeva controllo della coscienza, ciò nonostante richiedeva un grosso dispendio di energia.
Era incredibile come il fratello avesse un così ottimo controllo di palla, nonostante ciò riprese coscienza giusto in tempo per impedire un’azione che avrebbe portato l’altra squadra a segnare.
Sentì la voce di «Atsuya» sussurrargli all’orecchio come muoversi, e non fece altro che eseguire i consigli alla lettera, con l’aiuto del fratello Shirou si sentiva forte e invincibile; la stessa emozione, che provava quando il vero Atsuya, gli era affianco, in pelle e ossa. Adesso però la sensazione era quasi identica, ma allo stesso tempo totalmente diversa.
Prima, pur interpretando solo con uno sguardo i pensieri dell’altro, i fratelli Fubuki erano pur sempre divisi in due persone, adesso facevano parte della stessa entità, solo con nomi diversi.

 
«Atsuya» non rimase troppo stupito quando scoprì che dentro di lui esisteva anche una persona che si chiamava Shirou. In qualche modo era come se lo avesse sempre saputo, eppure la risposta gli era rimasta avvolta nella nebbia, almeno finché non ci si era trovato a parlare a tu per tu.
Il parlargli di persona aveva solo dato conferma alle sue segrete convinzioni. «Atsuya» non sapeva nulla di Shirou, a parte il nome, aveva imparato a rispondere a quel nome e a comportarsi come tutti si aspettavano che Shirou si comportasse. Non era per nulla certo che il modo con cui il ragazzo si comportava fosse il modo in cui lui si voleva comportare. Shirou pareva candido e delicato come un fiocco di neve, puro in qualche modo. Era ingenuo, l’aveva capito da come gli aveva risposto, fidandosi subito ciecamente di lui, «Atsuya» non si fidava di Shirou come di nessun altro del resto.
Sapeva che presto o tardi si sarebbe ritrovato in contrasto con il ragazzo, non voleva cedere l’idea di respirare e la gioia che gli procurava il giocare a calcio a nessuno; ma questo Shirou non lo sapeva, l’avrebbe lasciato vivere tranquillamente, almeno finché non gli avesse dato problemi.


«Atsuya» camminava rabbiosamente per l’orfanotrofio, si sentiva oppresso, voleva respirare, uscì dalla sala principale, ritrovandosi davanti alla porta d’ingresso, la neve cadeva candida giocando a prendersi con il vento. Inspirò l’aria gelida, come il suo cuore, si sentiva meglio in quel clima freddo e ostile che in un ambiente caldo e accogliente. Sentiva se stesso l’unica casa che aveva, e il clima più simile al suo carattere era casa.
In un moto di rabbia si tolse il berretto di lana, non aveva bisogno di niente, neanche di quello, poi si addormentò.
 

Shirou aprì gli occhi, percepì un profondo gelo alla fronte completamente sudata, constatò solo qualche secondo dopo che il suo berretto di lana era per terra, fradicio.
Si chiese cosa avesse spinto «Atsuya» a gettarlo, e lo recuperò con le mani gelanti, rientrando nel refettorio dell’orfanotrofio. Aveva i capelli ricoperti di candidi fiocchi di neve.
Avrebbe voluto capire il modo di ragionare di «Atsuya», ma anche quando era in vita, con un corpo proprio, era impossibile entrare in quella mente tanto complicata e calcolatrice.
Mise il cappello ad asciugarsi sopra un termosifone, e gli si appoggiò per riscaldarsi a sua volta, sentiva le guance ancora gelide e si beo del calore datogli e rimase a chiedersi perché sentisse così l’oppressione su di se, si chiese se pure Atsuya provasse quella sensazione.
Rimase a fissare il soffitto fermo e immobile, bianco. Il colore immacolato era così profondo e allo stesso tempo superficiale. Il bianco inghiottì lo sguardo perso del giovane Shirou che si ritrovò a riflettere sul fatto che era stato il bianco a portargli via tutto.
Il bianco aveva catturato le vite dei suoi genitori e di suo fratello annullandole, il colore dei loro visi e il calore delle loro risate erano stati cancellati dal bianco. Shirou capì di odiare quel colore e capì, che anche «Atsuya» lo odiava.
Paradossalmente il suo nome portava al suo interno il medesimo colore, la traduzione di Shirou è, infatti, Bianco.
 

*Ho utilizzato le virgolette perché la voce di Atsuya è all’interno della testa di Shirou, e questo non parla realmente, un po’ come se stesse pensando.


Smiley's Conner:
Allua, in questo capitolo si dovrebbe un po' chiarire la natura della doppia personalità o almeno spero.
Preciso che il testo è diviso in sbalzi temporali, in oltre in alcuni momenti è una personalità a parlare e in un altro momento è un altra.
L'ho postato in anticipo perchè sì, gn.
Chiunque volesse lasciare un qualsivoglia commento è ben gradito, anche le critiche costruttive c:
Detto questo vi auguro un buon lunedì e una settimana incantevole.
Kisses,


Smiley
 

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Capitolo 3
*** Una coppia perfetta ***


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Capitolo 3
.:Una coppia perfetta:.

 
Shirou entrò nella scuola media all’età di dieci anni, era infatti andato a scuola un anno prima, con Atsuya. Erano entrambi nati all’inizio di gennaio in una mattina nevosa, e inoltre erano sempre stati reputati molto avanti di testa.
Atsuya era terribilmente ingegnoso, fin da piccolo aveva dimostrato una propensione per l’elettronica, e un’incredibile capacità di mentire senza ritegno.
Shirou invece aveva un carattere più calmo, adorava scrivere e disegnare, e a detta di una sua maestra dell’asilo aveva una spiccata propensione per l’arte.
Adesso, le loro abilità e i loro difetti, convivevano nella stessa persona. Il nuovo Atsuya non ricordava nulla dell’incidente, né tanto meno del rapporto che i due fratelli avessero prima, era come se si trattasse di due persone completamente diverse, eppure il nome, il carattere e le capacità erano le stesse.
Shirou finì col convincersi che il fratello vivesse in lui e che fosse solo soggetto a un’amnesia che gli impediva di ricordare il dolore.
Shirou/Atsuya furono presto adocchiati dalla squadra della scuola; l’Alpine, che proprio in quel periodo era alla ricerca di nuovi giocatori. Shirou costituiva una difesa difficilmente superabile, e Atsuya formava un attacco che raramente non concludeva in rete, quindi tutti li presero subito in simpatia.
Del resto solo sul campo riuscivano a unirsi alla perfezione, era come giocare di squadra, Shirou bloccava la palla e Atsuya segnava in rete, erano una coppia perfetta, proprio come lo erano stati quando il fratello era ancora in vita.
I compagni di Shirou non notarono troppe stranezze in lui o comunque non gli diedero troppo peso, era un ragazzo eccentrico e specialmente dopo aver saputo della tragedia della sua famiglia, nessuno provò più a contestargli l’alzare troppo la voce e l’essere aggressivo, quando dopo un secondo sembrava un ragazzo sereno con lo sguardo da cucciolo bastonato.
In oltre si aiutavano reciprocamente, quando Shirou si trovava a disagio o sotto pressione ecco che accorreva Atsuya che lo tirava fuori dai guai con qualche frase schietta, detta senza indugiare. Quando invece Atsuya si trovava a doversi comportare secondo le regole o a essere carino con qualcuno, arrivava Shirou, che con il suo sorriso angelico, sapeva sciogliere anche il più freddo dei cuori.
In quel periodo Shirou fu passato a un assistente sociale che si occupò personalmente di lui, spesso con l’assistente era Shirou a parlare, il carattere malizioso di Atsuya l’avrebbe messo facilmente in soggezione. Talvolta però era la personalità del gemello a occupare il posto, una volta aveva smontato l’intera lampada della cucina, rimontandola in modo da renderne più efficace la luminosità. Quando l’assistente gli chiese come avesse fatto Shirou rispose candidamente che non né aveva idea.
Ad ogni modo la scuola media piaceva a entrambi, nonostante Atsuya avesse tendenze sociopatiche, mentre Shirou fosse molto popolare, era all’ordine del giorno che il ragazzo rispondesse in maniera acida a qualcuno per poi scusarsi, spesso senza nemmeno ricordare la frase che aveva detto.
Un giorno, Shirou, uscito con una sua cara amica da poco entrata anch’essa a far parte della squadra si ritrovò in difficoltà poiché la ragazza, palesemente attratta da lui tentò più volte di baciarlo.
Arrivò subito sul posto Atsuya che con aria arrogante gli disse:
«Levati, ho bisogno di respirare un po’ d’aria.» e senza farsene troppi problemi proseguì a testa bassa per una quindicina di kilometri con le mani in tasca.
Quella notte prese talmente tanto freddo che si ritrovò il giorno dopo a casa con l’influenza e una seria ramanzina da parte dell’assistente sociale, che Shirou ascoltò senza fiatare.
Il grande problema era che Atsuya era spesso imprudente e impulsivo, raramente si fermava a riflettere sulle conseguenze delle sue azioni, detestava le folle, le persone gli mettevano agitazione e ansia, più di quanta lui già né avesse di per se.
E spesso quando si trovava in mezzo a così tanta gente, entrava nel panico, iniziava a respirare troppo velocemente, accusava di veri e propri attacchi di panico, e andava a dormire. Si svegliava Shirou che si ritrovava in situazioni di claustrofobia, con un grosso senso di ansia addosso che però riusciva a contenere con grossi respiri.
Shirou una volta si era ritrovato accerchiato da un gruppo di bulli, non che avesse fatto qualcosa in particolare, semplicemente era incapace di difendersi con quel suo carattere quieto dagli insulti altrui.
Tre ragazzi dell’altra classe avevano finito per prenderlo in antipatia, e ora si trovavano tutti e quattro in un vicolo cieco.
«Accidenti.» aveva sussurrato a denti stretti, con le spalle al muro, senza una via di fuga.
“Lascia stare queste teste di cazzo, ci penso io a questi incapaci.” Gli aveva detto Atsuya ghignando.
«Né sei sicuro?» gli aveva chiesto Shirou premuroso.
“Non c’è problema, lascia fare a me.” Rispose il ragazzo prendendo il controllo della coscienza, alzandosi con le spalle dritte e i pugni chiusi.
«Allora siete ancora qui?» ridacchiò rivolto alle tre figure e cambiando totalmente atteggiamento.
 
Quella sera il ragazzo tornò a casa con il labbro inferiore spaccato e il sangue che gli usciva dal naso, i tre ragazzi, però non provarono più a dargli fastidio.
«Quel tappetto mena come dieci persone insieme!»
«Dove ha trovato i muscoli, è magro come uno stuzzicadenti.»
«Non gli daremo più fastidio, è forte come un lupo. Il lupo dei ghiacci
La voce si sparse per tutta la scuola e nessuno provò più a infastidire Shirou, ignaro di cosa Atsuya avesse combinato, ma felice di non essere più preso di mira dagli altri.
Del resto il ragazzo continuò a comportarsi gentilmente con tutti, come aveva sempre fatto prima di allora; tanto che spesso la gente non riusciva a credere alle storie che si raccontavano di lui collegandole a quel viso angelico.
Atsuya accolse di buon grado e con estrema soddisfazione tutte le storie che s’insinuarono sul suo conto, nonostante, a volte, arrivassero pure a essere eccessive e palesemente gonfiate delle leggende metropolitane.
 
Un anno più tardi Shirou e Atsuya decisero di comune accordo che fosse il caso di tornare a fare sport con la neve; prima dell’incidente Shirou era abituato ad andare spesso a pattinare con il fratello, lo sci e lo snowboard erano sempre stati uno sport che entrambi amavano con tutto il cuore, per non parlare dell’andare sul bob.
Dopo l’incidente, però, la paura della neve si era fatta troppo forte e il terrore di una valanga aveva avuto la meglio sulla voglia di divertirsi.
Erano passati, però almeno tre anni dall’incidente, ed era il momento di ricominciare quella passione che tanto aveva segnato l’esistenza del ragazzo in giovane età.
«Atsuya», in oltra aveva insistito molto sul fare quell’esperienza, e alla fine aveva convinto anche Shirou a prenderne parte.
Dopo essere saliti su una montagnetta di neve, con lo snowboard sotto il braccio, Shirou fissò gli scarponi appositi alla tavola celeste, dopo averli controllati più volte, inspirò a fondo una boccata d’aria gelata, e lasciò al vento il compito di trasportarlo giù nella valle.
La sensazione inebriante della velocità si fece subito sentire, era bellissimo essere di nuovo sullo snowboard, sembrava non fosse passato un secondo, e che tutto il tempo si fosse azzerato improvvisamente.
“Lasciamelo anche un po’ a me però.” Protestò «Atsuya» ridacchiando per la felicità dell’altro.
«Atsuya» prese il posto del fratello e saltò una montagna di neve trovandosi per una manciata di secondi a mezz’aria, l’adrenalina nelle vene del ragazzo andava a mille.
Si sentiva parte del vento, e il vento era parte di lui.
Continuarono a darsi il cambio per tutto il resto del pomeriggio, alla sera tornarono a casa con un sorriso a trentadue denti che partiva da un orecchio e arrivava all’altro.
Il giorno dopo toccava agli sci.



Smiley's Conner:
Buon salve popolo di efp, non ho molto da dire, questo è un capitolo di passaggio che ha il fine di spiegare l'affinità e il cambiarsi delle personalità all'interno di Shirou.
Spero che la lettura del capitolo possa esservi stata gradevole e per qualsiasi svista sono sempre aperta a critiche e consigli, un qualsiasi commento mi farebbe molto felicia.
Kisses


Smiley

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Capitolo 4
*** Incontro ***


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Capitolo 4
.:Incontro:.

 
Shirou aveva da poco compiuto tredici anni il giorno che incontrò per la prima volta la Raimon.
Ne aveva sentito parlare in lungo e in largo di quella squadra di calcio, l’unica capace di battere la Zeus. Non che fosse un accanito tifoso di calcio o seguisse con particolare attenzione il FF, ma a scuola non si parlava d’altro, i giocatori dell’Inazuma Eleven erano diventati come degli eroi nazionali.
«Atsuya» non era d’accordo a pensare che fossero più di tanto bravi, se la cavavano secondo lui, niente di più.
“Io e te riusciremmo a batterli facilmente, non sono questi grandi campioni che tutti credono.” Gli sentiva spesso ripetere.
Ad ogni modo la venuta degli alieni non aveva fatto altro che mettere ulteriormente sotto buona luce la squadra, adesso da vincitori di un torneo erano diventati gli eroi che giravano il Giappone per salvare le scuole sotto attacco.
“Non sarebbe male se distruggessero anche la nostra scuola, niente esami finali.” Scherzò una volta «Atsuya» con Shirou.
«Non dirlo nemmeno per scherzo, sarebbe una catastrofe, già la nostra scuola è piccola e indifesa per conto suo.» lo aveva rimproverato.
“Dai, dicevo per dire, non prenderla così sul personale.” Aveva risposto sempre ridacchiando.
 
Una mattina Shirou e «Atsuya» avevano deciso di andare ad allenarsi in mezzo alle piste da sci lasciate fresche dopo la nevicata della notte precedente; la fatica portata dallo sforzo del correre sulla neve gli avrebbe certamente rinforzato i muscoli, l’avrebbe quindi reso più forte.
Aveva ripreso da un po’ di tempo confidenza con la neve, adesso non lo spaventava più, del resto quello era da sempre stato il suo elemento naturale.
Ricorrere un pallone da calcio in mezzo a un prato bianco non era affatto facile, soprattutto se si considera che il pallone da calcio è bianco e scompare con facilità sotto gli schizzi di neve.
Ciò nonostante il ragazzo si stava davvero divertendo, era fantastico sentirsi così liberi dopo tutto quel tempo, quasi non si rese nemmeno conto che aveva iniziato a nevicare e che aveva i capelli ormai tutti infradiciati.
Non sapendo bene cosa fare decise di portarsi sulla strada per automobili, sperando di elemosinare un passaggio da qualcuno, a quell’ora non passavano molte macchine .
“Tentar non nuoce però.” gli fece osservare «Atsuya» che intanto si era preoccupato di recuperare il pallone.
Fortuna volle che proprio in quel momento un autobus passasse e notando una figura in mezzo alla strada, in parte ricoperta dalla neve si fermasse per controllare di chi si trattasse.
Un ragazzo moro, con una fascia in testa a fermargli i capelli e gli occhi color cioccolato lo invitò a salire sul camioncino con un gesto amichevole della mano.
Shirou si sprecò in ringraziamenti e non scordò di ringraziare anche e ancora una volta la sua buona stella.
I ragazzi del mini autobus dovevano essere una squadra di calcio, erano tutti con indosso una tuta, i colori di quelle divise gli erano familiari, anche se non avrebbe saputo dire dove li aveva già visti. Probabilmente era solo un’impressione si disse.
Ad ogni modo erano tutti molto curiosi, s’interessarono più volte a lui e alle sue passioni, Shirou rispose a tutte le domande con cortesia e senza lasciar intervenire «Atsuya», era lui quello delle relazioni con le persone.
«Ti alleni qui tutto solo?» gli chiese a un certo punto il ragazzo dagli occhi castani.
«Sì, esatto.» rispose solare Shirou.
«Certo che ci vuole un bel coraggio, ho sentito che questa è una zona a rischio valanghe!» lo informò il conducente.
Vi fu un tumulto nell’animo dell’albino, come poteva essere andato ad allenarsi in un luogo del genere senza un minimo di premura? Si era fatto trascinare da «Atsuya», un’altra volta, maledizione al fratello, presto o tardi l’avrebbe fatto uccidere. In qualche modo provò un brivido di terrore all’idea.
Improvvisamente l’autobus si bloccò, una delle ruote era finita nella neve, ora la si sentiva girare a vuoto in mezzo alla neve fresca mentre fuori infuriava la tempesta.
L’albino osservò che non dovevano essere molto intelligenti ad essere andati su fino in Hokkaido senza l’ombra di una catena per le ruote del camioncino.
«Scendo a dare un’occhiata.» propose l’autista dopo aver controllato di non poter far nulla.
«No, la fuori c’è il vecchio della montagna.» lo bloccò Shirou, con un brutto presentimento, spaventato all’idea che l’uomo rischiasse di morire in balia del vecchio orso bruno che popolava quei monti.
Un secondo dopo il veicolo venne colpito violentemente, confermando l’ipotesi del ragazzo.
L’albino scivolo fuori dal furgoncino con in mano ancora il pallone e allora «Atsuya» prese controllo del atteggiamento del ragazzo e con una potenza precisa colpì il vecchio orso in mezzo agli occhi.
L’animale sembrò stordito e abbandonò la presa del piccolo bus, «Atsuya» allora liberò con un altro calcio la ruota e salì a bordo tornando a essere Shirou, sotto gli sguardi sconvolti della squadra.
 
Pochi kilometri dopo chiese cortesemente di lasciarlo scendere in vicinanza a una pista da sci, sarebbe tornato a scuola con quelli. Avrebbe scoperto poco dopo e proprio a scuola che quella era la Raimon, e che lo stavano cercando per proporgli di entrare a far parte della squadra che doveva battere gli alieni.
«Atsuya» era chiaramente soddisfatto della questione, si sentiva un giocatore forte, aveva sempre pensato di esserlo, ma adesso non era più una sua singola convinzione, le storie su di lui erano girate a tal punto da convocare la squadra più in vista del Giappone e chiedergli di entrare a farne parte.
Shirou, d’altro canto era felice della possibilità di aiutare il prossimo e, in parte, percepiva la grande scarica di adrenalina che anche «Atsuya» provava.
Inoltre avrebbe avuto nuovi amici e forse il terrore di rimanere solo per sempre si sarebbe un po’ attenuato.
L’allenatrice della Raimon chiese a Shirou di giocare con la sua squadra contro la vincitrice del FF, entrambi ne furono entusiasti e si trovarono a collaborare perfettamente, alternandosi il possesso di palla come non facevano da molto tempo.
Battere la squadra gialla blu fu addirittura troppo facile; i movimenti di Shirou erano rapidi e veloci in difesa, nessuno poteva superarlo e segnare, mentre in attacco «Atsuya» aveva una calciata potente e impediva a chiunque di rubargli la palla, per concludere con un gol preciso al millimetro.
Lo presero subito in squadra, anche se non tutti lo accettarono di buon grado, Someoka in particolare non la smetteva di puntargli gli occhi addosso, aspettandosi un qualsiasi suo errore. Criticava il suo modo solitario di giocare e le sue pretese di divertirsi; era sempre Shirou a rispondergli, se l’albino avesse lasciato a «Atsuya» il conflitto da risolvere, non era certo che la squadra lo avrebbe continuato a volere con se.
Ciò nonostante i due finirono per diventare quasi buoni amici, e Someoka fu costretto a cedere il posto a Shirou dopo il suo infortunio. Tutto però cambiò quando «Atsuya» non riuscì più a infiltrarsi nella difesa avversaria, non riusciva nemmeno a segnare nella porta degli alieni tirando dal calcio di rigore.
Per una personalità abituata a vincere e che aveva come chiodo fisso la perfezione come «Atsuya» questo fu un bel problema, l’equilibrio che si era creato fra i due ebbe il crollo totale nella partita contro la Genesis.
Il ragazzo crollò a terra stremato nel corpo e rotto nello spirito. Da quello scontro non si rialzò più veramente, rimase fermo in panchina ad osservare il gioco fare il suo corso, lui non poteva essere più di alcuna utilità; né come «Atsuya» che era profondamente ferito nel orgoglio e non ambiva ad altro che al controllo completo della personalità, né a Shirou, che sempre più confuso continuava a convivere con vecchi flash-back del suo passato.



Smiley's Conner:
Allora salve, questo è il quarto e penultimo capitolo di questa storia, si inizia già a intravedere dove vado a parare con tutte queste frasi e penso che chi mi conosce un po' bene sappia cosa ci sarà nell'ultimo captolo.
Volevo ringraziare solo tutti quelli che si sono presi la briga di leggere, commentare questa storia, anche chi mi ha dato dei consigli o incoraggiato, quindi grazie.
Con molta probabilità questa sarà la prima e forse anche l'ultima storia che riesco a portare a termine, quindi un traguardo abbastanza importante per me.
Dette queste cose inutili e che sicuramente non importeranno a nessuno vi ringrazio ancora una volta.
Kisses


Smiley

 

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