Precious di Angel Of Fire (/viewuser.php?uid=632644)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 1 *** Capitolo I ***
Capitolo I
Sì,
lo so... avevo anticipato un seguito di SSX... Soprattutto per farmi
perdonare la mini fic su Meeme ed Harlock XD Invece... Sorpresa! Ho
scritto un'altra long, che poi in realtà tanto long non
sarà... XD ma voglio lasciare l'alone di mistero ;) e che
non c'entra nulla con SSX.
Purtroppo
(o per fortuna ;) ) non essendo una scrittrice, ma solo un'autrice
amatoriale, vado di ispirazione e la devo prendere al volo, anche
perché il mio tempo scarseggia sempre di più e
devo necessariamente
cogliere l'attimo ;)
Ho
avuto questa visione... che non so come definire, forse un delirio
post film... e non ho potuto fare a meno di scriverla.
È che mi
piace scandagliare ogni aspetto possibile di questa coppia, che da
sempre ho nel cuore, soprattutto i lati più... oscuri. Sulle note
di Volevo te
di Giusy Ferreri... All rights reserved, no copyright infringement
intended.
Grazie
a chiunque si soffermerà a leggere ;)
Precious
Non
amo che le rose che non colsi.
Non
amo che le cose che potevano essere e non sono state.
(Guido
Gozzano)
Capitolo
I
che
succede dentro me che non so spiegare...
(Giusy
Ferreri, Volevo te)
L'acre
odore metallico misto a carburante e fumi di scarico si insinuava
prepotente nelle sue narici mentre camminava nell'ampio hangar dello
spazioporto di Hankorra1.
La cosa però non la disturbava più di tanto,
ormai era abituata
agli effluvi che caratterizzavano quegli ambienti, le erano
familiari. Kei si fermò e sospirò profondamente
guardandosi
intorno, quel luogo era sempre gremito di gente che proveniva da ogni
parte del Settore
431: commercianti dall'aria avida
e scaltra, ambiziosi ed eleganti uomini
d'affari che sfoggiavano con disinvoltura i loro vestiti costosi,
militari che marciavano fieri e orgogliosi nelle loro affascinanti e
lucide uniformi. Si
muovevano rapidi in ogni direzione, presi dai loro interessi, dai
loro impegni, dalle loro vite frenetiche. Nessuno si curava di lei.
Era solo una donna,
come tante. Uno dei tanti volti che passavano accanto veloci, sguardi
che si incrociavano per pochi secondi e che a nessuno interessava
mettere a fuoco.
Sorrise.
Le piaceva quell'ambiente, quel pianeta, si potevano fare degli
incontri interessanti, concludere buoni affari. La sua Astral
Gale2
aveva avuto un'improvvisa avaria ed era stata costretta a modificare
la rotta per dirigersi allo spazioporto più vicino. Era
passato
molto tempo dall'ultima volta che aveva messo piede su quel pianeta
di frontiera e, da allora, molte cose nella sua vita erano cambiate.
Riprese
a camminare dirigendosi verso l'ufficio direzionale: doveva
denunciare la permanenza forzata della sua astronave e pagare la
tassa di sbarco. Occorreva del tempo per riuscire a procurarsi i
pezzi di ricambio ed accertarsi che non fossero delle fregature.
Sbrigò le pratiche abbastanza velocemente ed uscì
dall'ufficio
immergendosi nuovamente in quel mare di folla variopinta che animava
lo spazioporto. Luxys3,
la stella di
Hankorra stava per tramontare e i lunghi raggi che filtravano
attraverso le grandi ed alte vetrate dell'hangar permeavano ogni cosa
di una calda e meravigliosa sfumatura dorata. Si sentiva leggera e
felice.
Camminava
veloce insinuandosi tra la gente, raggiungendo in poco tempo la parte
meno affollata e centrale della città: un lungo viale
alberato e
illuminato sul quale si affacciavano negozi, bar e locali eleganti.
Rallentò il passo soffermandosi di tanto in tanto ad
ammirare le
vetrine colorate e riccamente allestite, respirando a pieni polmoni
l'aria fresca della sera.
Doveva
trovare
una camera per passare la notte, poteva permettersene solo una
modesta, di pochi crediti, ma non le importava. Le
piaceva comportarsi come una persona normale,
anonima, insignificante, senza più doversi guardare
continuamente le
spalle, diffidando di tutto e di tutti. Era così lontano
quello
stile di vita che aveva caratterizzato gran parte della sua esistenza
che quasi non si spiegava di come avesse fatto ad accettarlo per
tanti anni.
Un
grazioso abito esposto in una elegante vetrina attirò
piacevolmente
la sua attenzione, chiuse gli occhi immaginandoselo addosso e
sorrise... Nello stesso istante, però, una strana sensazione
l'assalì, come se avesse percepito un'insolita vibrazione
nell'aria
proprio accanto a sé e, sussultando, sgranò gli
occhi. Distolse lo
sguardo dalla vetrina e rabbrividì stringendosi nelle
spalle. Non
era la prima volta che le accadeva, ma
non le era mai successo quando si trovava nello spazio, sulla sua
nave. Era come un leggero brivido che le attraversava le membra e la
scuoteva, lasciandole poi un senso di vuoto ed angoscia. Ma questa
volta era stato molto più intenso, violento: qualcosa le era
passato
accanto e l'aveva appena sfiorata.
Si
guardò intorno smarrita, ma nello stesso tempo, desiderosa
di capire
cosa le stesse accadendo e se quelle sensazioni fossero solo frutto
di una sua suggestione o qualcosa di reale.
Riprese
a camminare a testa bassa, stringendosi nella giacca scura e
nascondendo il viso nell'alto bavero, senza una meta precisa. Quella
strana e fastidiosa impressione non voleva abbandonarla, anzi, si
faceva sempre più intensa. Si sentiva osservata, seguita. Un
antico
timore che non aveva più provato da tanto tempo si
impadronì dei
suoi sensi.
D'istinto
decise di imboccare una piccola traversa e si infilò in un
vicolo
buio.
Si
fermò, appoggiandosi con le spalle alla parete di un
edificio ed
attese, aprì la giacca sfiorando con la mano la cosmo gun
che teneva
sempre appesa alla cintura. Un vecchia abitudine a cui non aveva
voluto rinunciare.
Il
cuore le martellava nel petto, poteva sentire perfettamente il rumore
del suo respiro irregolare, il fiato caldo che sfuggiva alla sua
bocca si mutava in piccole nuvole di vapore. Attese un tempo che le
parve infinito ma, stranamente, non accadde nulla di quello che
temeva potesse accadere.
Decise
di proseguire cercando di soffocare l'angoscia e il senso di
frustrazione che le erano rimasti, senza però riuscirci
pienamente.
Ma non si immise di nuovo sulla strada principale illuminata e
gremita di passanti, proseguì per il vicolo buio,
inoltrandosi
nell'oscurità. Chiunque fosse stato a seguirla certamente
l'attendeva all'entrata, cambiando direzione sperava di riuscire a
sfuggirgli.
Era
quasi giunta alla fine della stradina quando udì
distintamente dei
passi lenti avvicinarsi dietro di lei. Subito si fermò
pietrificandosi. Con la mano posata sulla cosmo gun e il cuore in
gola si voltò lentamente. Scoprì che si trattava
di un'alta figura
i cui contorni erano violentemente delineati dall'alone luminoso
delle intense luci provenienti dalla strada principale.
Non
era un'impressione quindi, non lo era mai
stata... Ma perché quell'ombra, che appariva quasi astratta
e
indefinita di fronte a lei, aveva deciso di palesare la sua presenza?
“Chi
sei? Cosa vuoi?” Gli intimò, con tono di voce
fermo e deciso che
non tradiva affatto il suo timore. L'individuo non reagì ma
rimase
immobile ed in silenzio a poca distanza da lei.
Il
senso di ansia non voleva abbandonarla, con la mano sulla pistola
ritornò sui suoi passi muovendosi verso quella sagoma scura,
pronta
ad estrarre l'arma in caso di necessità, smaniosa di
scoprire quel
volto sconosciuto.
Avvicinandosi i contorni di quell'ombra si andavano sempre
più delineando, la
flebile luce che proveniva dalle navi che si stagliavano in volo e
che attraversavano il cielo proprio sopra di loro le permisero di
svelarne l'identità. Riconobbe
quel viso, quello sguardo e il suo cuore perse un colpo. Non riusciva
a credere che fosse proprio lui.
Era convinta che non lo avrebbe mai più rivisto e,
soprattutto, non
dopo tanto tempo.
Sospirò
profondamente mentre lui continuava a fissarla in silenzio, con
quella sua tipica espressione triste e un po' frustrata,
tremendamente sensuale.
“Come
hai fatto a trovarmi?” Gli chiese addolcendo il tono e lui le
regalò un lieve sorriso compiaciuto piegando appena un lato
della
bocca.
Kei si
diede mentalmente della stupida. “Domanda
inutile...” si rispose, ricambiandolo con una smorfia
sarcastica.
“Perché
sei qui?” Sussurrò, questa volta con la voce
leggermente incrinata
dall'emozione.
Lui
esitò qualche istante prima di risponderle. “Avevo
bisogno di
vederti... ancora una volta.”
Continua...
Note:
1)
Hankorra è un nome di mia invenzione,
ogni riferimento a
cose, persone o situazioni esistenti è del tutto casuale.
2)
Astral Gale nome di astronave di mia invenzione,
ogni
riferimento a cose, persone o situazioni esistenti è del
tutto
casuale.
3)
Luxys nome
di stella di mia invenzione, ogni riferimento a cose,
persone o situazioni esistenti è del tutto casuale.
Disclaimer:
Tutti
i personaggi di Capitan Harlock sono © di Leiji Matsumoto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo II ***
Capitolo II
Eccoci al secondo
episoldio! Vorrei innanzi tutto ringraziare chi ha già messo
questa storia tra le preferite e seguite. Sono davvero lusingata. Spero
di non tradire le aspettative. E spero che le fan di Kei non mi
scortichino hi hi hi... Vi lascio al capitolo...
Capitolo
II
le
parole mancano, sembrano svanire,
certe
cose iniziano ma non hanno fine...
(Giusy
Ferreri, Volevo te)
Kei
l'osservò studiandolo
attentamente: quell'unico occhio, l'inconfondibile cicatrice che
sfregiava il suo bellissimo volto, i capelli lievemente mossi dalla
brezza serale. Ancora non riusciva a credere di averlo di fronte, ma
non era un'illusione, aveva udito davvero la sua voce
dall'inconfondibile tono morbido, profondo, che le accarezzava i
sensi... che le aveva fatto sanguinare il cuore troppe volte, aveva
sentito la pesantezza dei suoi passi. Non poteva che essere reale.
Era
avvolto in un lungo cappotto nero che esaltava ancora di più
la sua
figura alta, slanciata, e che lo aveva sapientemente mimetizzato tra
la folla. I capelli folti erano lievemente spettinati e ribelli come
sempre, il viso pallido, emaciato, l'occhio lucido, febbricitante. Le
mani nascoste nelle tasche. Era sempre lui,
non era affatto cambiato in cinque lunghi anni, ma di questo non ne
era sorpresa. Era lei invece ad essere cambiata.
Deglutì,
ma aveva la gola secca. Indubbiamente ritrovarselo di fronte,
così
all'improvviso, l'aveva turbata. Era riuscito a stupirla. Non avrebbe
mai pensato che un giorno l'avrebbe cercata, si era sempre sentita
insignificante dinnanzi ai suoi sentimenti. Invece, proprio quando
ormai si stava ricostruendo una vita senza di lui, lontano dal suo
mondo, Harlock era lì, in tutta la sua oscura e inquietante
bellezza, e in lei si stavano già pericolosamente
risvegliando
antiche sensazioni soffocate, ma mai sopite.
Ehi
Neela! Dove diavolo sei finita? Ho trovato un condensatore di energia
usato a meno di duecento crediti, un vero affare credimi, sembra
nuovo di zecca...
Una
voce maschile proveniente dal comunicatore che portava al polso la
fece sussultare. Harlock invece assottigliò lo sguardo
fissandola
ancora più intensamente, come se non fosse affatto sorpreso
di aver
udito quella chiamata.
Kei
avvicinò il comunicatore alle labbra senza distogliere gli
occhi da
quell'iride castana, screziata da mille sfumature dorate, che la
scrutava insistentemente con aria indagatrice. “D'accordo Dekher,
prendilo. Io sono... sono in cerca di una sistemazione per la notte.
Mi farò viva presto.” Mentì a
malincuore ed il tono della sua
voce, sforzatamente normale, tradiva il suo disagio; ma non aveva
altra scelta e, nello stesso istante, notò l'espressione di
Harlock
farsi più cupa.
Neela...
va tutto bene?
Insistette
l'uomo, lievemente preoccupato e lei chiuse gli occhi rassegnata, non
avrebbe mai voluto che Harlock sapesse dell'esistenza di Dekher.
“Va
tutto bene” lo rassicurò addolcendo il tono,
cercando di mostrarsi
più tranquilla. Chiuse la comunicazione e riaprì
gli occhi
rivolgendosi ad Harlock, stavolta con uno sguardo severo ed
accigliato.
“Cosa
vuoi ancora da me?” Si rivoltò contro di lui
irritata, seccata.
Non riusciva a spiegarsi il motivo di quel gesto. Non era da lui
lasciarsi andare ai rimpianti, ai ripensamenti. Perché
l'aveva
cercata di nuovo? Davvero non riusciva a capire.
“Quell'uomo
non è chi dice di essere” la spiazzò
invece lui schietto, diretto
come lo era sempre stato, e Kei sgranò gli occhi
raggelandosi.
Era
assurdo: Harlock aveva silenziosamente indagato su di lei, sulla sua
vita, sulle persone che frequentava. Un moto di rabbia la scosse
violentemente. “Chi ti ha dato il diritto di intrometterti,
di
irrompere impunemente nella mia vita dopo... dopo avermi lasciata
andare?” Lo aggredì velenosa.
“Nessuno...
ma avevo il dovere di informarti...” si giustificò
lui in tono
calmo, pacato, senza svelare la sua crescente apprensione. Era
dannatamente bravo a mascherare la sua inquietudine, al contrario di
lei che invece si stava pericolosamente alterando.
“Non
hai più alcun dovere
nei miei confronti. Sono perfettamente in grado di badare a me
stessa...” fu la sua risposta secca e concisa. Oltre
all'incredulità si sentiva indignata, ferita.
Perché dopo tanto
tempo si stava interessando a lei? “Vattene. Torna da...
dalla tua
aliena, è quello il tuo posto. Lasciami in pace”
sibilò quasi
disgustata. Non poteva farle questo: riapparire come un'ombra, come
un maledetto fantasma nella sua vita, proprio adesso che era riuscita
a voltare pagina, a recidere quelle tenaci radici che l'avevano
tenuta legata a lui per tanto tempo.
“Dalla
mia
aliena?” Ripeté lui sorpreso, socchiudendo
l'occhio e accennando
un lieve movimento della testa. “È
questo quello che pensi? È
per questo che hai deciso di andartene?”
Kei
non riusciva a credere a quello che le stava dicendo. Ce l'aveva
ancora a morte con lui, la rabbia era un sentimento che non era
ancora riuscita a scrollarsi di dosso, nonostante gli anni trascorsi
e la lontananza. Detestava quel suo modo di fare apparentemente
distaccato, abilmente contorto, a volte tremendamente crudele. Si era
sempre comportato con freddezza nei suoi confronti, aveva annientato
ogni suo disperato tentativo di penetrare quell'assurda corazza che
si era costruito intorno. Aveva sbattuto contro quel muro di
indifferenza troppe volte e si era rialzata sempre a brandelli.
L'unica
confessione che era riuscita a strappargli era una verità
che non
avrebbe mai voluto sentire: un uomo come lui non avrebbe mai potuto
ricambiare i suoi sentimenti, non sarebbe mai potuto essere il
compagno che desiderava. E lei, alla fine, ne aveva compreso e
accettato il motivo: Meeme. Un'unica risposta a tutti gli
interrogativi che si era posta.
Era
l'aliena
che Harlock voleva ed era con lei che avrebbe trascorso
l'eternità,
non con una patetica ragazzina troppo intraprendente che avrebbe dato
qualsiasi cosa, persino la vita, per il suo
capitano.
In
quel momento si era resa conto di essere di troppo, o forse che non
poteva accettare quella misteriosa ed inquietante complicità
che
esisteva tra loro. Non le restava altro che abbandonare la nave, i
suoi compagni, gli ideali per cui aveva tenacemente combattuto per
andare a cercare la sua
libertà, lontano da lui. “Non è forse
vero? Vuoi forse ancora
negarlo? Solo con lei
non hai mai avuto bisogno di nasconderti...” Questa volta le
parole
le uscirono con un velato tono di dolore e di crudeltà.
Voleva
ferirlo e ci stava riuscendo.
Harlock
si turbò. “Kei, io...” non poteva
credere che avesse pensato per
tanto tempo una cosa del genere.
“Sei
innamorato di lei... abbi almeno il coraggio di dirlo guardandomi in
faccia” lo interruppe e la sua era quasi una supplica.
Harlock
per la prima volta si sentì spiazzato dalla schiettezza con
cui la
sua ex ufficiale gli stava parlando, si rese conto pesantemente che
la sua incapacità di comunicare e di esprimere quello che
davvero
provava, aveva portato Kei a compiere una scelta difficile, giusta,
seppur dolorosa, ma per dei motivi sbagliati.
“No,
Meeme non c'entra. Se ho agito in quel modo è stato solo per
il tuo
bene... per proteggerti. Non ho avuto altra scelta.” Chiuse
l'occhio e abbassò lievemente il capo, non avrebbe mai
voluto
esporsi, ma in quel momento non poteva più fingere.
Kei
sorrise sarcastica, ma le lacrime stavano pericolosamente facendo
capolino nei suoi occhi, illuminandole lo sguardo.
“Gentile
da parte tua” ironizzò amareggiata.
Perché voleva mischiare le
carte, confonderle le idee? Avrebbe tanto desiderato che quelle
parole le avesse pronunciate cinque anni prima, allora avrebbe potuto
credergli ed avere un appiglio a cui aggrapparsi. Sarebbe stato
tutto diverso. Ma adesso, quella specie di ammissione per lei non
aveva più senso. Recuperò tutto il suo
autocontrollo per non
mostrarsi debole, non gli avrebbe mai più permesso di
manovrare la
sua vita o di decidere al suo posto. “Sono libera, sono
felice, non
è quello che volevi? Non
faccio
più la guerra,
capitano. Né contro i tuoi nemici... né contro di
te. Quella
parentesi della mia vita si è chiusa, per sempre.”
Harlock
la fissò intensamente e scorse nei suoi occhi quella luce
antica e
inconfondibile che l'aveva sempre affascinato, riconobbe nel suo
sguardo fiero l'indomita guerriera che l'aveva seguito in mille
battaglie. Kei credeva di essere cambiata ma in realtà non
lo era.
Era ancora il suo prezioso
secondo ufficiale e lo sarebbe sempre stata. Ovunque e comunque.
Continua...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo III ***
Capitolo III
Capitolo
III
l’amore
è un limite, oltre non puoi andare...
(GiusyFerreri,
Volevo te)
Harlock
la fissò scrutandola con quel suo unico occhio che aveva il
dannato
potere di trapassarle l'anima. “Anche se ti fai chiamare Neela
Yarr rimani sempre Kei Yuki. Che ti piaccia o
no sei
nata per combattere. Hai l'istinto. Poi costringerti a soffocarlo, ma
non puoi rinnegare la tua natura” la provocò con
quel suo solito
modo di fare sicuro e sprezzante.
Kei
sorrise amaramente. “Tu non sai proprio nulla...”
sibilò,
inasprendosi e assottigliando lo sguardo. “Non ti permetto di
giudicare come vivo la mia vita. Mi credi così stupida?
Debole?
Credi che abbia così tanto bisogno di essere amata da
buttarmi tra
le braccia di uno qualunque? Del primo arrivato?”
Inspiegabilmente
era quasi contenta, riconoscente, dell'inaspettata
possibilità di
potergli sputare in faccia tutto quello che non aveva mai avuto il
coraggio di confessargli sull'Arcadia.
“No.
Non lo credo...” ammise lui mesto, rendendosi
conto di aver colpito nel segno, avrebbe davvero voluto che Kei
avesse ragione, ma sapeva
che non era così.
Kei si
turbò, non credeva che sarebbe mai arrivato ad esporsi in
quel modo,
lo sentiva quasi vulnerabile. “Se hai davvero a cuore la mia
libertà... allora lasciami andare...” lo
pregò, nei suoi occhi un
misto di tristezza e dolore. Nello stesso istante lo sentì
sospirare.
“Sa
chi sei veramente. Ti sta solo usando per riuscire ad arrivare a
me.” Lo disse in tono insolitamente morbido, sapeva che
quelle parole
sarebbero state come una lama affilata per lei, ma non poteva tacere.
Non questa volta che era in gioco molto più dei loro
sentimenti.
Kei
scrollò il capo sorridendo sarcastica. “Davvero
credi di essere
così importante? O forse c'è qualcos'altro? Non
riesci ad accettare
che io possa essere felice lontano...
dal tuo inferno personale? In ogni caso sei patetico...”
Le
accuse di Kei lo scossero, ma non poteva darle torto. La sua presenza
lì, in quel vicolo buio, su quel pianeta di frontiera,
significava
solo una cosa: lei aveva ragione. Avrebbe tanto voluto darle quello
che desiderava, abbandonarsi ai sentimenti che nutriva per lei, ma non
ne aveva avuto il coraggio e, paradossalmente, aveva dovuto appellarsi
a tutto il suo coraggio per lasciarla andare, perché credeva
fosse la cosa più giusta.
“Lasciami
in pace” ribadì lei e questa volta nella sua voce
c'era qualcosa
di terribile che lo turbò nel profondo: una durezza che non
aveva
mai percepito.
“Non
posso farlo...” reagì, muovendo un passo nella sua
direzione.
Kei
non indietreggiò e rimase impassibile. “Non ti
avvicinare” lo
minacciò. Harlock sgranò l'occhio nell'udire un
rumore metallico
provenire da sotto la sua giacca e qualcosa luccicare
nell'oscurità:
era la canna di una pistola puntata contro di lui. La fissò
negli
occhi, quei suoi meravigliosi occhi azzurri, un tempo limpidi e
innocenti che ora invece lo accusavano severi, senza riuscire a
frenare il senso di sconfitta ed inquietudine. “Mi odi fino a
questo punto?” Riuscì appena a sussurrarle.
“Ho
dovuto odiarti... era l'unico modo
per trovare la forza di andarmene.” Non avrebbe mai voluto
dirglielo, ma lui voleva la verità, doveva sapere quello che
le era
costato, il dolore che le aveva lasciato dentro e che, a malapena, in
cinque anni era riuscita ad alleviare. “Non voglio che ti
intrometta più nella mia vita. Io ho fatto la mia scelta e
tu hai
fatto la tua... è troppo tardi, ormai.”
Harlock
socchiuse l'occhio e le fece un leggero cenno col capo; aveva fatto
tutto quello che era in suo potere per avvertirla, non era nel suo
stile insistere oltre.
Kei
annuì, addolcendo leggermente lo sguardo,
rinfoderò la cosmo gun
voltandosi lentamente e proseguì verso la fine del vicolo.
* * *
L'aria
fredda della sera le pungeva gli occhi inondati di lacrime. Camminava
velocemente a testa bassa con il cuore gonfio e un senso di angoscia
nel petto che la opprimeva. Aveva giurato a se stessa che non avrebbe
mai più
pianto per lui, ma non poteva immaginare che si sarebbe rifatto vivo
nella sua vita dopo tanto tempo. O forse addirittura non l'aveva mai
abbandonata.
Perché
era tornato? Perché proprio adesso che era quasi riuscita a
dimenticarlo? Perché non aveva almeno il diritto di vivere
una vita
normale accanto ad un uomo qualsiasi? Era davvero una cosa
così
assurda per una donna come lei?
In
quel momento si rese conto che forse lo odiava davvero. Se non lo
avesse
mai più rivisto sarebbe riuscita a perdonarlo, ma ora non ne
era più
capace.
Trovò
una sistemazione per la notte: una camera da pochi crediti ma pulita
ed accogliente. Trasportando il quantinuum1
non si sarebbe mai arricchita, di questo ne era consapevole, ma era
un lavoro onesto che non le dispiaceva. Avvertì Dekher di
raggiungerla, le era sembrato molto preoccupato attraverso il
comunicatore, lo rassicurò augurandosi che non le chiedesse
ulteriori spiegazioni.
Desiderava
solo guardare avanti e dimenticare, volare via da quel pianeta e
soprattutto dal pensiero di lui.
Mentre si liberava della
giacca e della pistola, i
ricordi di quegli ultimi cinque anni la travolsero come un'onda
impetuosa e non le rimase altro che farsi trascinare.
Dopo
aver lasciato l'Arcadia aveva vissuto molto tempo nella più
completa
solitudine, aveva bisogno di ritrovare se stessa prima di potersi
relazionare con gli altri. Aveva cambiato nome e stile di vita per
rompere qualsiasi legame con la sua vita passata. Ricominciare da
zero era l'unico modo per riemergere dall'oblio in cui era
sprofondata. Kei Yuki era morta e Neela Yarr era venuta alla luce.
All'inizio si concedeva solo relazioni occasionali, che duravano una
notte o poco più, e poi sentiva il bisogno di fuggire, di
non
lasciare tracce, di non legarsi. L'ombra di quello che era stata
continuava a perseguitarla, era convinta di non potersene
più
liberare. Poi lentamente, giorno dopo giorno, anno dopo anno,
faticosamente era riuscita a scrollarsi di dosso parte del dolore, del
senso
di sconfitta che le era rimasto dentro, e a guardare al futuro con
ritrovato entusiasmo. Ma soprattutto aveva iniziato a farsi strada in
lei il bisogno di dare fiducia a chi desiderava avvicinarla. Ormai
era convinta che, dopo tanto tempo, nessuno l'avrebbe mai
più
collegata alla ciurma dell'Arcadia.
Dekher
non era nemmeno vagamente simile ad Harlock, era proprio tutto
l'opposto e forse era stato proprio questo che l'aveva colpita la
prima volta che si erano incontrati. L'aveva difesa da un balordo che
voleva metterle le mani addosso in un locale di dubbia fama,
prendendosi anche un pugno in faccia. Non
che lei fosse incapace di difendersi, ma l'intraprendenza di quel
giovane, a cui probabilmente era sembrata fragile ed indifesa,
l'aveva colpita.
Erano
fuggiti per evitare di essere arrestati dalle forze dell'Ordine
Supremo Galattico2
sopraggiunti per sedare la tremenda rissa scoppiata e da allora non
si erano più separati.
Non
credeva possibile che un giorno si sarebbe legata a qualcuno
completamente differente dal suo
capitano. O forse era accaduto proprio perché in quel
giovane non
riusciva a riconoscerlo. Dekher non possedeva nulla che potesse
ricordarglielo, aveva i capelli corti, biondo scuro, alcuni ciuffi
più lunghi gli ricadevano scompigliati sulla fronte
incorniciando un
viso magro ma regolare, terribilmente sensuale. Quello che colpiva
maggiormente in lui erano le iridi chiarissime, di un colore
indefinito, cangiante, che variava dall'azzurro cristallino al verde
acqua. Il suo sguardo intenso e quel suo sorrisino accattivante,
sempre stampato sulle labbra leggermente carnose, l'avevano
piacevolmente conquistata. Era alto e snello ma lievemente
più
muscoloso di Harlock e, di sicuro, anche più giovane. Ma
soprattutto
era diverso il suo modo di fare: Dekher era disinvolto e affabile,
ironico ma mai sfacciato, aveva sempre la battuta pronta senza
apparire presuntuoso o, peggio, volgare. E soprattutto la faceva
ridere come non le era mai accaduto prima. Aveva bisogno della
compagnia di qualcuno
che le donasse un po' di serenità e gioia di vivere, per
questo era
convinta che l'avvertimento di Harlock fosse infondato. Non gli
avrebbe mai più permesso di sopraffarla, di destabilizzare
il suo
cuore.
*
* *
Dekher
le si avvicinò sorprendendola alle spalle,
affondò il naso tra i suoi
capelli e, con un lieve bacio, le solleticò l'orecchio.
“Mi sei
mancata...” le sussurrò malizioso stuzzicandole il
lobo con la
punta del naso e lei sorrise. La sua voce era morbida, chiara,
accattivante.
“Anche
tu” gli rispose in un soffio, era ancora turbata
dall'incontro con
Harlock ma l'improvviso abbraccio di Dekher le aveva ridato fiducia.
Il calore del suo petto a contatto con la sua schiena era avvolgente,
tranquillizzante. Chiuse gli occhi e si lasciò cullare da
quel
tepore. Aveva bisogno di recuperare la sua rassicurante
quotidianità,
quelle piccole cose che le riempivano il cuore, quelle preziose
attenzioni che Dekher sapeva riservarle e che la facevano sentire
desiderata, amata.
Si
voltò verso di lui ruotando tra le sue braccia e gli
posò un lieve
bacio sulle labbra prendendolo alla sprovvista. Poi lo
guardò
sorridendogli, le mani scivolarono sensuali sulle sue spalle
muscolose e poi sulla nuca, infilando le dita tra i suoi capelli.
Dekher le cinse la vita attirandola a sé,
avvicinò la bocca alla
sua e la prese in un lungo bacio avido ed appassionato.
Poi
però, inaspettatamente, si scostò da lei frugando
nella borsa che
portava a tracolla. Ne tirò fuori un piccolo oggetto
cilindrico che
Kei riconobbe subito. “Eccolo, il nostro lasciapassare
per la prossima frontiera.” Le fece l'occhiolino mostrandole
il
condensatore
di energia
che teneva stretto e saldo nella mano.
Kei
sussultò leggermente assottigliando lo sguardo,
l'espressione serena
che aveva dipinta in volto si fece improvvisamente seria e tirata.
“Credevo lo avessi già sostituito...”
azzardò, corrugando la
fronte, ma lui le rispose con un sorrisino beffardo. “Non
ancora...”
Continua...
Note:
1)
Quantinuum: nome di minerale di mia invenzione, ogni
riferimento a situazioni esistenti è puramente casuale.
2)
Ordine Supremo Galattico: nome delle forze di
polizia di mia
invenzione, ogni riferimento a situazioni esistenti è
puramente
casuale.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Capitolo IV ***
Capitolo IV
Capitolo
IV
E
passano i giorni, partenze senza ritorni
graffiano
i muri, le mani e noi che siamo lontani...
(Giusy
Ferreri, Volevo te)
Kei
scrutò Dekher accigliata, sentendo salire dentro, come una
marea
irrefrenabile, un senso di inquietudine. “Perché
non l'hai
sostituito, cos'hai fatto per tutto questo tempo?” Lo
riprese,
insospettita da quel suo repentino cambio di atteggiamento.
Il
biondo rinnovò il suo sorrisino compiaciuto esitando qualche
istante
prima di risponderle: “ho incontrato un vecchio
amico...”si
giustificò, rimanendo sul vago.
“Credevo
non avessi amici in questo settore...” Kei lo
fissò con
diffidenza, aggrottando la fronte. Aveva compreso che c'era qualcosa
di strano, ma non era nel suo stile aggirare l'ostacolo, semmai
proprio il contrario.
Un
silenzio inquietante scese tra loro. Dekher abbassò la testa
come a
voler evitare il suo sguardo indagatore. “Ci sono molte cose
che
non sai di me...” la spiazzò pronunciando piano
quelle parole,
pericolosamente ambigue e, nell'udirle, Kei si irrigidì.
Lentamente
si allontanò da lui muovendo qualche passo all'indietro fino
a
quando non incontrò la fredda parete della camera e vi si
appoggiò
turbata.
Lo
vide sogghignare. “Io invece, conosco molte cose interessanti
sul
tuo conto...” continuò lui, sollevando lo sguardo
diventato
improvvisamente più severo, “per esempio che non
sei poi così...
indifesa. Ho ragione, Kei
Yuki?”
Sentirsi
chiamare col suo vero nome le fece l'effetto di una doccia gelata,
qualcosa le si spezzò dentro e tanti piccoli frammenti
affilati le
si infilzarono nel cuore. Istintivamente portò la mano al
fianco per
impugnare la pistola, ma si ricordò che si era liberata
dell'arma
appena entrata nella stanza, per mettersi a suo agio. Girò
velocemente gli occhi verso la poltrona dove pendeva il cinturone e
si rese conto che era troppo lontano per poterlo raggiungere e
Dekher, nel frattempo, le si era avvicinato di più.
“So
cosa hai in mente, scordatelo” la freddò.
In
quell'istante Kei si sentì morire: Harlock
aveva ragione, il disperato bisogno di sentirsi amata, desiderata,
l'aveva resa debole, vulnerabile. Si era fidata di quell'uomo
abbandonandosi a lui, senza preoccuparsi delle possibili conseguenze.
Ma cosa
voleva davvero Dekher da lei?
“Perché?”
Gli sussurrò piano, fissando quei suoi occhi cerulei
divenuti due
sottili fessure, gelidi ed inespressivi, molto lontani da quelli che
l'avevano sempre accarezzata con dolcezza.
“Facevi
parte del suo
equipaggio, non è vero? L'equipaggio di quel
pirata” la provocò
affilando lo sguardo, con un tono tagliente che non avrebbe mai
creduto potesse appartenergli.
“Non
so di cosa tu stia parlando...” Kei tentò di
prendere tempo,
qualcosa doveva pur inventarsi per uscire da quella situazione.
“È
inutile
mentire, so che eri il suo secondo ufficiale. Ho accesso agli archivi
segreti della Gaia” la sorprese, senza lasciarle via di
scampo.
“Un
cacciatore di taglie...” mormorò lei, arrendendosi
all'evidenza e
fissandolo disgustata.
“Oh,
ti prego, non guardarmi con quell'aria schifosamente delusa. Credevi
davvero che saremmo stati insieme tutta la vita? Mi meraviglio di te,
ti facevo più scaltra.”
“Cosa
vuoi?” Riuscì a mala pena a pronunciare. Non era
nella sua indole
lasciarsi andare alla disperazione, non lo aveva mai fatto, nemmeno
di fronte al rifiuto del suo più grande amore. Ma questa
volta aveva
creduto davvero di essersi lasciata la sua vita precedente alle
spalle, si era illusa di poter vivere ed amare come una donna
qualunque. Invece, Harlock aveva avuto ragione ancora una volta, la
sua maledizione
non voleva abbandonarla, l'avrebbe tenuta legata a lui per sempre.
Non avrebbe mai potuto allontanarsi abbastanza, anche se fossero
stati distanti migliaia di anni luce.
Dopo
averla brutalmente derisa Dekher la imprigionò con il suo
corpo
contro la parete. “Ho una proposta da farti: come ufficiale
in
seconda di sicuro sei a conoscenza del codice criptato con cui
l'Arcadia comunica con i ribelli, la sorgente del codice è
l'unico
modo per rintracciare la sua posizione in qualunque punto
dell'universo... La Gaia ce lo pagherà una fortuna, altro
che quei
pochi miseri crediti che racimoliamo trasportando il quantinuum.”
Kei
sussultò; Dekher sapeva del codice, evidentemente era molto
più in
gamba di quanto pensasse. “Credi davvero che sia disposta a
rivelartelo? Non mi conosci abbastanza...” Si
sforzò di mostrarsi
sicura, anche se dentro di sé si sentiva andare in frantumi.
“Oh
andiamo... che ti importa di quel pirata? L'hai lasciato, no?
Rifletti: diventeremo ricchi e potremo spassarcela, alla faccia di
quel terrorista fanatico” tentò di convincerla
addolcendo il tono
e mostrandosi più accomodante.
“Mi
fai schifo...” riuscì solo a sputargli in faccia,
disgustata da
quelle viscide insinuazioni, “non te lo rivelerò
mai!” Sentenziò
categorica sostenendo il suo sguardo senza timore.
Dekher
sorrise malefico scuotendo il capo. “Lo farai, invece.
Sostituire
il condensatore di energia è l'unico modo per lasciare
questo buco;
in caso contrario l'Astral Gale è più lenta di
una bagnarola ad
impulso. Non andresti lontano anche se riuscissi a
scappare...” Il
suo atteggiamento era provocatorio e velenoso mentre le mostrava il
piccolo cilindro metallico che aveva ancora nella mano. Le
strizzò
l'occhio compiaciuto e poi lo ripose prudentemente nella borsa.
Kei
deglutì a vuoto fissandolo amareggiata. Non aveva molta
scelta: era
sola ed in trappola. Quell'infame non aveva torto: non poteva
lasciare il pianeta con l'Astral Gale in quelle condizioni, e nemmeno
impadronirsi di un'altra astronave, troppi controlli e troppi
soldati.
Sospirò
stancamente, ormai non aveva più speranze. Per l'ennesima
volta il
mondo le stava crollando addosso. “Sei stato tu, vero? Hai
sabotato
apposta il condensatore per costringermi ad un atterraggio di
emergenza.”
Dekher
sorrise divertito. “Sei in gamba. Ma non abbastanza per
fregarmi.
Però devo ammetterlo... scoparti
è stata una delle cose migliori che mi siano mai capitate. È
un vero peccato. Arrenditi e ne trarremo entrambi vantaggio. Dammi
quel codice!” Ribadì serio e il suo tono secco
lasciava intendere
che non stesse affatto scherzando.
Kei
scosse lievemente la testa, le lacrime le stavano prepotentemente
salendo agli occhi, ma si sforzò di non piangere. Si sarebbe
fatta
uccidere, ma non gli avrebbe mai rivelato quello che voleva sapere,
non avrebbe mai tradito quello in cui aveva creduto per una vita.
Scattò
per gettarsi a recuperare il cinturone, conscia che Dekher avrebbe
fatto di tutto per fermarla. Ma a quel punto non aveva più
nulla da
perdere. Avrebbe preferito morire, piuttosto che finire in mano alla
Gaia e mettere in pericolo Harlock e i suoi vecchi compagni. L'uomo
la bloccò repentino afferrandola per un braccio e,
piantandole una
mano alla gola, la immobilizzò di nuovo contro la parete
fissandola
spazientito. “Non hai scampo tesoro,
ti conviene collaborare. In caso contrario... vali parecchi crediti
anche da morta.” Strinse le dita con più forza e
lei si sentì
soffocare. Cercò di divincolarsi dalla sua presa ma Dekher
era
forte, dannatamente troppo forte. Quelle braccia che l'avevano
stretta tante volte, l'avevano consolata, l'avevano cullata dopo
essersi amati, ora la stavano imprigionando senza pietà.
Decise
di arrendersi e di non ribellarsi; sarebbe morta lì, tra
quelle
braccia che aveva voluto credere amiche, con la gola serrata tra le
dita della sua mano.
La
vista cominciava ad annebbiarsi e tutto iniziava a farsi scuro e
confuso, Kei stava per lasciarsi andare, era finalmente finita, ma un
colpo secco fece sussultare Dekher. La stretta che aveva al collo si
allentò e riuscì a malapena a riprendere fiato
prima di soccombere.
Distinse vagamente l'espressione di quell'uomo farsi incredula, gli
occhi sgranati la fissavano sconvolti, un violento colpo di tosse lo
scosse ed alcune gocce di sangue le schizzarono addosso.
Dekher
cercò di pronunciare qualcosa ma le parole gli morirono in
bocca;
lasciò definitivamente la presa gettandosi su di lei,
aggrappandosi
alle sue spalle, artigliando la sua maglia. Poi, lentamente,
scivolò
a terra, ai suoi piedi, rimanendo immobile.
Ansimando
Kei si portò le mani al collo dolente, riempì
finalmente d'aria i
polmoni e, adagio, si lasciò cadere seduta sul freddo
pavimento di
quella camera da pochi crediti.
Volse
lo sguardo verso la porta, dalla quale era giunto il colpo. Aveva
ancora la vista offuscata ma stavolta dalle lacrime che le inondavano
gli occhi. Scorse una sagoma scura che impugnava una pistola, ancora
fumante per il colpo esploso, senza riuscire ad intuirne
l'identità.
Lo
sconosciuto ripose l'arma e le si avvicinò con passo
pesante,
metallico. A poca distanza da lei si chinò per raccogliere
qualcosa,
poi la raggiunse e le tese una mano guantata. Kei alzò gli
occhi
lentamente per metterla a fuoco. Il suo sguardo, sconvolto e
disperato, scivolò lungo l'avambraccio e poi ancora
più su, verso
la spalla, fino a raggiungere il viso: Harlock la fissava con un
lieve sorriso, sincero, rassicurante. Un sorriso che non gli aveva
mai visto.
Titubante
mosse la mano per afferrare la sua e poté sentire la sua
stretta
forte, potente, che la sollevava avvicinandola a sé. Si
ritrovò in
piedi di fronte a lui, incredula e ancora scossa, il corpo senza
vita di Dekher steso a terra, poco lontano dai suoi piedi.
Harlock
la guardò con un'espressione dolce, stranamente tranquilla,
lievemente velata di tristezza, e lei si sentì morire
un'altra
volta. L'aveva protetta, avvertita, infine salvata, e lei non aveva
voluto credergli, nemmeno concedergli il beneficio del dubbio. Era
talmente arrabbiata con lui che non era più disposta ad
ascoltarlo e
dargli fiducia.
Harlock
invece si sentiva per assurdo sconfitto. Credeva di averla resa
libera lasciandola andare, voleva offrirle la possibilità di
essere
davvero felice come era giusto che fosse. L'aveva scoraggiata di
proposito affinché potesse guardare oltre. L'aveva lasciata
andar
via costringendosi a soffocare i suoi sentimenti, comportandosi in
modo crudele e spietato, perché era convinto che fosse
l'unico modo
per non lasciarle rimpianti.
Ma lui
l'amava, non poteva negarlo a se stesso, per questo non aveva mai
smesso di vegliare su di lei. Per cinque anni era rimasto nell'ombra,
l'aveva seguita, osservata a distanza, per essere sicuro che stesse
bene e che avesse trovato qualcuno che valesse davvero la pena amare.
Qualcuno che l'avrebbe resa felice. Ma non si era reso conto di
quanto, in tutti gli anni che avevano condiviso, le avesse
condizionato l'esistenza. Kei era e sarebbe rimasta comunque una
pirata, una fuorilegge, sarebbe stata sempre una facile preda per i
suoi nemici, un'allettante possibilità da sfruttare in modo
subdolo
per arrivare a lui.
Senza
volerlo aveva segnato il suo destino per sempre. Le aveva concesso
una libertà fittizia, illusoria, di cui non avrebbe mai
potuto
veramente godere. Ma non poteva permettere che fosse Kei a pagare per
i suoi errori, per le sue scelte. In cuor suo aveva sperato che
avrebbe potuto vivere un'esistenza normale, ma anche quella si era
rivelata una crudele illusione.
Notò
che Kei stava tremando, inevitabile conseguenza dello shock che aveva
appena subito e, agendo d'impulso, la circondò con le sue
braccia
stringendola forte a
sé, questa volta senza dubbi, timori o incertezze. Kei aveva
bisogno
di lui e lui era lì. Lo era solo per lei, per il suo prezioso
secondo ufficiale. Non l'avrebbe mai lasciata in balia di quella
solitudine in cui l'aveva costretta ancora una volta. Non esisteva
nient'altro se non quell'istante tra loro, agognato da troppo tempo.
La
strinse fino a quando non la sentì rilassarsi e abbandonarsi
tra le
sue braccia. Avrebbe dovuto farlo tanto tempo prima. Sarebbe stato
tutto diverso. Non sarebbero giunti a quel punto di non ritorno. Ma
non poteva cambiare il passato, poteva solo cogliere quell'attimo che
era stato loro concesso.
Istintivamente
cercò le sue labbra scoprendosi smanioso dalla voglia di
sentirle,
di gustarne il sapore sconosciuto. Si inclinò verso il suo
viso,
lentamente, per farle capire le sue intenzioni.
Kei
si scostò leggermente da lui per fissarlo incredula. Non
aveva mai
visto quell'espressione dolce e rilassata dipinta sul suo viso,
sempre cupo, imperturbabile, ed un brivido intenso la scosse. Rispose
a quel richiamo, così invitante quanto assurdo, incerta,
titubante
mentre le braccia scivolavano inconsciamente sulle sue spalle per
aggrapparsi disperatamente a lui.
Harlock
con il pollice le pulì uno schizzo di sangue che aveva sul
viso e
poi adagiò
le labbra sulle sue. Sebbene la sfiorassero a malapena, lei le
sentiva ardere. Con la punta della lingua lui le accarezzò
il labbro
inferiore, poi quello superiore e lei schiuse poco la bocca per
accoglierla, accarezzarla come aveva sognato di fare molte volte. Era
stranamente dolce e delicato il suo sapore. Gli sfiorò
lievemente
la nuca affondando le dita nei suoi capelli lunghi e morbidi
artigliandoli.
Le
piaceva come baciava, era passionale ma non troppo, istintivo ma
rispettoso. Un
desiderio rovente le invase le vene, le chiedeva con impeto di
bruciare ogni resistenza per lasciarsi andare senza più
alcun freno
a quel bacio improvviso, inaspettato, impulsivo, che diventava
pericolosamente sempre più famelico ed esigente.
Harlock
percepì il corpo di Kei fremere, combattuto tra il desiderio
di
scappare e di abbandonarsi finalmente ai sentimenti che aveva da
sempre provato per lui. La trattenne stringendola più forte,
per
farle capire che era solo lei che voleva, cercando di prolungare
quella danza appassionata e sensuale tra le loro lingue il
più
possibile, fino a quando il bisogno di prendere aria lo spinse a
malincuore a staccarsi dalle sue labbra.
La
fissò ansimante, eccitato e scosso per quel momento di
debolezza a
cui non aveva potuto fare a meno di cedere, ma l'espressione che colse
sul viso di Kei fu come un pugnale piantato nel cuore. Era triste e
dolce al contempo, riconoscente per quello che era appena successo, ma
anche consapevole che non le sarebbe bastato.
Le
sorrise. “È
questo quello che vuoi, vero?” Le mostrò
ciò che aveva nella
mano: il condensatore di energia che aveva raccolto poco prima,
rotolato fuori dalla borsa di Dekher. Quel piccolo oggetto,
dall'aspetto insignificante, rappresentava la libertà, la
possibilità di ricominciare di nuovo, ma doveva
essere Kei a decidere. Avrebbe voluto chiederle di tornare, di venire
via con lui ma era anche consapevole che, dopo tutto quello che era
accaduto, forse lei non era più disposta a rinunciare a
quella
libertà che aveva tanto voluto donarle a tutti i costi.
Kei
sospirò profondamente ed annuì stringendosi nelle
spalle,
lasciandogli ancora più cocente e pungente il senso di
sconfitta.
Per una manciata di minuti erano stati quelli che avrebbero voluto
essere: un uomo ed una donna soltanto, in una camera da pochi
crediti, su di un anonimo pianeta di frontiera. Ma c'era il corpo di
un uomo a terra a pochi centimetri da loro, un uomo che lei aveva
creduto di poter amare e che Harlock aveva ucciso a sangue freddo,
anche se solo per proteggerla.
“Grazie...”
gli sussurrò con dolcezza, prima di prendere il condensatore
dalla
sua mano ed allontanarsi a testa bassa, varcando la porta da dove
poco prima lui stesso era entrato, senza voltarsi indietro.
E
p i l o g o
“Capitano,
ho captato uno strano messaggio criptato in un vecchio codice, sembra
indirizzato a voi.”
Le parole di Yattaran lo stupirono mentre
se ne
stava assorto nei suoi soliti pensieri, abbandonato sulla sua
poltrona di comando. Era rientrato sull'Arcadia da settimane ormai,
nessuno aveva osato chiedergli il motivo di quel suo allontanamento
improvviso, nemmeno Meeme, ma lei aveva capito tutto, o forse, lo
aveva sempre saputo.
“Trasferiscilo
nella mia cabina” gli ordinò, sforzandosi di
mantenere il tono asciutto e distaccato. Si alzò dirigendosi
verso l'imponente motore
a materia oscura, la cui ruota era in perenne movimento. Tori
gracchiò sollevandosi dallo schienale della poltrona, dove
era
rimasto appollaiato per tutto il tempo del turno diurno e, planando,
si andò a posare sulla sua spalla. Dietro al motore c'era un
collegamento diretto che permetteva di raggiungere l'alloggio di
poppa attraverso un più veloce e comodo corridoio privato1.
Entrò,
immergendosi nella cupa oscurità del grande ambiente, con
uno strano
presentimento nel cuore. Si diresse deciso alla sua scrivania, si
sedette ed attivò il piccolo schermo virtuale che si
materializzò
subito dinnanzi al suo viso. Il messaggio trasferito da Yattaran
lampeggiava solitario pronto per essere decriptato. Lanciò
il
programma ed attese immobile, alcuni secondi, poiché erano
solo
poche parole:
Se
davvero vuoi che torni sai come trovarmi
F I N E
Note:
1)
Particolare
dedotto dal film in cui Harlock spesso spunta da dietro il motore ;)
Angolo
dell'autrice :)
Eccoci
giunti alla fine di questa breve, ma intensa avventura. Mi sono molto
divertita a scriverla ed è stato come un flash che mi ha
colpita e
che ho dovuto in qualche modo raccontare. Inizialmente doveva essere
una one shot, ma poi mi è uscita talmente lunga che ho
dovuto per
forza dividerla, così ho pensato di interromperla in punti
strategici per creare maggiormente il senso di attesa e di mistero.
Dedico
questa piccola long ad una mia carissima amica, non faccio nomi
perché lei sa benissimo chi è ;)
perché grazie a lei questa fic,
che doveva avere un finale molto più aperto e lasciato in
sospeso,
ha preso una piega più positiva... sfociando nel vero e
proprio
Happy End. E poi, si sa che con me sti due, gira e rigira, sempre in
un modo vanno a finire ;) Come recitava una vecchia canzone:
“certi
amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi...
ritornano” XD
Un
grazie sincero a chi ha letto questa mia piccola follia e un
abbraccio speciale a chi ha commentato, perché...
sì, sapere quello
che un lettore pensa, nel bene o nel male, è sempre
stimolante e
alimenta la volontà di condividere e produrre. Un grazie
sincero
anche a chi ha messo questa storia tra le preferite e seguite, e
anche ai lettori silenti che sono stati davvero tanti.
Arrivederci
alla mia prossima follia ;)
Disclaimer:
Tutti
i personaggi di Capitan Harlock sono © di Leiji Matsumoto.
Storia non scritta a fini di lucro. Ogni riferimento a situazioni
esistenti è puramente casuale.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3386550
|