La notte fa paura

di Hyorei
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un'ombra nelle tenebre ***
Capitolo 2: *** La porta ***
Capitolo 3: *** Speranza ***



Capitolo 1
*** Un'ombra nelle tenebre ***


1

Un'ombra nelle tenebre

 


Vi siete mai chiesti come sarebbe stato questo pianeta se Hitler, invece di perire, l'avesse conquistato? Potrebbe sembrare una cosa così stravagante a pensarci, ma sono convinto che ognuno di voi abbia la necessaria fantasia per poterlo immaginare.

Ma se vi dicessi che io, Edmund, fossi quel suo fratello minore ritenuto morto a soli sei anni? Colpo di scena vero?

Sorpresa. Ciò che sto per raccontarvi sarà una di quelle storie che non siete soliti leggere o ascoltare, una di quelle storie che non potreste mai sfiorare col solo pensiero. Una storia così macabra e copiosa di terrore da sconvolgere le menti più forti, una verità nascosta così oscura da poter essere raccontata solo da un ombra, quale sono io. Ma per favore, chiamatemi solo...
«Ed! Ti sembra il caso di mettersi a scrivere in un momento del genere?!» mi urla Paula aprendo con un calcio ciò che avrebbe dovuto essere una porta prima del Terrore, di cui parleremo molto presto.
«Oh andiamo, abbiamo ancora 5 minuti prima che ricominci. Ho appena trovato questo bellissimo diario di carta artigianale amalfitana, appartenuta probabilmente a qualche sventurato italiano trasferitosi nel nostro bellissimo, abbandonatissimo paese; da quando la Germania è caduta trascinandosi dietro tutto il continente eurasiatico è diventato raro trovare libri, diari o quaderni, tanto meno penne e quant'altro. Voglio che i nostri discendenti, se mai ci saranno, sappiano ciò che è avvenuto o che potrebbe succedere Paula.»
    Paula. La mia piccola sorellina mora dagli occhi blu; alta quasi quanto me, snella, slanciata. Ciò che più amavo di mia sorella erano i suoi morbidi e mossi capelli neri, ondulati e scuri come il mare in una comune notte ad Amburgo.
«Eddy dobbiamo andare, presto saranno qui. Sai che è pericoloso, ed io ho una paura folle di loro, persino di pronunciare soltanto il loro nome, come se potessero sentirmi, scoprire il nostro nascondiglio, e portarci via.»
«Non pensarci nemmeno. Non permetterò che ti accada nulla, tanto meno che quei mostri ti portino via da me. Adesso andiamo, torniamo al Bunker, si è fatto tardi.»

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Capitolo 2
*** La porta ***


2

La porta

 


Il bunker. Un luogo tetro, oscuro, illuminato appena da una vecchia lampada ad olio e da poche candele sparse per la nostra lussuosissima e raffinatissima grotta, contenente niente meno che il necessario. Potrebbe sembrare una grotta qualsiasi, scavata sotto terra dall'uomo durante le grandi guerre, un semplicissimo bunker, sepolto fra le macerie sotto le trincee che ormai sfiguravano Berlino: lo sembrerebbe se solo non fosse stato progettato dal nostro tenero ed innocentissimo fratellone, in cui si nascose alla fine della guerra per fuggire dalle armate sovietiche; da questo bunker non uscì più, scomparso dietro ad un grande portellone di freddo metallo, incastonato nella roccia, come se fosse la porta degli inferi. Parte del soffitto crollò proprio lì davanti, nascondendola del tutto: solo qualche mese fa, io e Paula la scoprimmo, e riportammo alla luce, se così si può definire ciò che produceva quel pallido fuocherello emesso dalle candele.     Quella porta tetra, sporca e arruginita incute così paura, imprime uno stato d'ansia così forte, un terrore così intenso da far vacillare persino l'animo dell'uomo più freddo, più insensibile; un orrore così grande che non solo paralizza il mio corpo, ma anche i miei pensieri, la mia mente, come se congelasse il mio essere; la stessa mia anima si congela, il mio cuore rallenta: ho paura.
«Eddy non guardarla.»
«Non mi capacito di come Adolf sia potuto entrare lì dentro e scomparire. Saranno passati non so quanti mesi Paula, eppure da qui non è uscito, e nei progetti del bunker non c'è alcuna via di fuga, nemmeno la stessa porta compare sulle carte!»
«Non lo so ma mi mette paura. Ti prego, allontaniamoci e andiamo a dormire, sai che la notte è pericolosa, che dietro si trascina la morte. Ogni volta non so se riaprirò gli occhi: per favore, dormi con me sta notte, mi sentirò al sicuro.»
«Sì, speriamo che la notte passi velocemente, e che loro non ci trovino. Buonanotte Paula, sogni d'oro.»

    Infine arrivarono, insieme alla notte. Mi hanno portato via Paula e hanno tentato di farmi fuori. Potrebbero tornare da un momento all'altro, per cui tenterò di lasciarvi quanto più possibile per sapere almeno parte della verità: loro sono la notte, i cavalieri oscuri che agiscono nell'ombra, con le tenebre. Così si chiama il plotone di soldati-esperimento di Adolf: “Tenebre”. Erano uomini, una volta; uomini di cuore. Erano ciò che impediva a Hitler di sterminare completamente ogni ebreo presente sulla terra: con le loro manifestazioni pacifiste, continuamente represse, e i loro atti di sabotaggio nei campi di concentramento, diventarono il primo problema di mio fratello. Così li catturò tutti, e li portò qui, nel bunker, e uno ad uno li condusse attraverso quella porta che mi incute così paura. Io ero lì, fra loro; fui uno dei rivoluzionari, insieme a mia sorella Paula: Adolf ci legò ad un pilastro portante in legno, uno dei tanti a sorreggere il peso della terra sovrastante, e ci mostrò cosa vuol dire opporsi al führer.
    Molti di loro non sopravvissero agli esperimenti condotti in quelle stanze, oltre quell'infernale porta: quelli che ne uscirono, diventarono ciò che io e Paula temiamo più in assoluto, diventarono dei soldati senz'anima, dei mostri orrendi, più crudeli di quanto un uomo o una donna possano immaginare. Erano un centinaio, quando uscirono dal bunker, con l'ordine di un plotone formato da SS, diventate ormai antiquate e prive di ogni utilità. Adolf ci lasciò lì, chiusi nel Bunker, fino a quando pochi giorni dopo non tornò per nascondersi dai sovietici, oltre quel portellone gelido, da dove non uscì più. Prima di sparire, ci guardò negli occhi con uno sguardo forte, pieno di emozioni contrastanti fra loro; ciò che riuscì a dire, fu soltanto: “Perdonatemi, fratelli miei”. Io e Paula ci liberammo, uscimmo dal bunker, e ciò che vedemmo fu la tetra scenografia di un'altrettante tetra opera teatrale, quale è la nostra vita in questi oscuri giorni.
    Sovietici, SS, ebrei, civili. Tutti erano sparsi fra le trincee e le strade di Berlino, fatti a pezzi, immersi nel loro stesso sangue: da quello che lessi su qualche giornale abbandonato, capii che l'intero continente era in queste condizioni. I palazzi erano ormai caduti sulle loro stesse fondamenta, a causa dei bombardamenti, della guerra e delle Tenebre, che distrussero ogni forma di vita presente. Non restavano altro che macerie e rovine: ci sentivamo due formiche nella tempesta dell'apocalisse.
Potevamo, io e mia sorella, essere gli unici esseri rimasti in vita in quest'orrenda carneficina?
    Sopravvivemmo di scorte abbandonate, riparandoci dalle intemperie e dalla notte in quel bunker in cui fummo imprigionati, anche se per poco.
Io e Paula sapevamo che ciò che stava succedendo, non era il solo frutto di quei mostri che Hiter aveva risvegliato con gli esperimenti; sapevamo che c'era un orrendo disegno dietro tutto questo, architettato da lui stesso: ma come poteva comandare quelle infernali truppe, se dal portellone non uscì mai? Le Tenebre si muovevano con una geometria complessa ma ordinata, come se seguissero gli ordini di un grande generale. Io e Paula, fino ad ora, non riuscimmo mai a capire. Non riuscimmo nemmeno a capire come nostro fratello, sangue del nostro sangue, riuscì a commettere tali atrocità, come riuscì a sterminare tutte quelle brave persone che aveva rinchiuso nei campi di concentramento, condannati dal loro essere “ebrei”, come riuscì a scatenare quell'apocalisse senza alcun tipo di freno inibitore.
    Ora che Paula non è più al mio fianco ho perso la speranza. Ora che me l'hanno portata via, non ritengo più necessario vivere, combattere, fermarlo. Ora aspetto che tornino, che mi portino via, nella speranza di rivedere un'ultima volta la mia cara sorellina.

    Stanno arrivando. Posso sentire i loro lamenti, il fracasso che si portano dietro quando si muovono. Mi troveranno qui, davanti a quell'orrenda porta che mai sono riuscito ad aprire, e che mai aprirò. Sotterrerò questo diario vicino ad uno dei pilastri, su cui segnerò gli indizi che ne rileveranno la posizione. Spero che qualcuno disseppellisca questo diario e trovi il coraggio di combattere contro mio fratello. Spero che trovi quel coraggio che io non ho saputo trovare.
«Ci rivedremo presto, mia piccola Paula.»

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Capitolo 3
*** Speranza ***


3

Speranza

 

Sono passati quarant'anni ormai, da quando questo diario è stato sepolto. Un giovane, di cui vi parlerò fra non molto, lo ritrovò fra le rovine del bunker: ha avuto l'ardire di combattere per la verità, e così, si mise a cercare; se non fosse stato per il coraggio di questo ragazzo, io non sarei qui a scrivere, e non avrei mai più rivisto la mia amata sorella, Paula.
   Il suo nome fu Heinrich Hitler: era un soldato delle forze armate Wehrmacht, nonché mio nipote. Heinz, così veniva chiamato, fu uno dei pochi soldati ribellatosi al führer, uno dei pochi uomini sopravvissuti all'inferno delle Tenebre. L'ultimo, ad aver guardato negli occhi Adolf Hitler. Heinz trovò questo diario in una delle spedizioni ordinate dai 7 generali, che avevano ormai preso il controllo di tutte le divisioni dell'armata tedesca, nominati direttamente dal führer prima di nascondersi nel bunker: i 7 volevano ritrovarlo a tutti i costi. Certamente non perché mancasse la loquace e tenera presenza del mio fratellone, ma per ciò che egli celava nei suoi segreti. Heinz riuscì a scoprire cosa Adolf nascondeva con tanta avidità, con un'ossessione tale da trasformarlo in un orrendo mostro di crudeltà. Ciò che nascondeva era la chiave di ogni segreto, capace di svelare i misteri dell'umanità, della vita, e della morte. Ma non divaghiamo, seguiamo l'ordine cronologico degli eventi.
    I 7 non furono altro che il prodotto degli ultimi e ben perfezionati esperimenti ordinati da Hitler: la loro pelle era dura come il metallo, le loro ossa indistruttibili, i loro muscoli dotati di una potenza inumana; essi stessi non erano più umani. Ciò che più li rendeva terrificanti erano i loro occhi, tinti del rosso più macabro, come se fossero imbevuti nel sangue delle loro vittime. Si dice che i generali escano solo di notte, per assassinare chi di giorno ha osato contraddire la loro parola, o addirittura contrastare le loro azioni: se potesse, solo chi ha visto venire verso di se quegli occhi potrebbe dire di aver provato la vera paura, se non fosse che con loro, viene anche la morte. Le loro terminazioni nervose finirono con l'essere bruciate, per cui non poterono mai provare dolore; a dirla tutta, non poterono provare più alcun sentimento. Una leggenda aleggiava attorno a loro, attorno ad un possibile punto debole: durante i loro rari momenti di sonno, i muscoli del loro collo si rilassano, lasciando esposta ai pericoli la nuca; un pugnale d'argento imbevuto nel sangue degli Hitler può così porre fine alle loro terrificanti vite, e con essi, il Terrore.

    Heinz portò sempre con se questo diario, l'unico indizio fra le sue mani: cercò ovunque delle piste che potessero permettergli di risalire a me, cercò così intensamente, mettendo cuore e anima nel suo intento, seppur invano. Dopo essere fuggito ribellandosi agli ordini dei 7, Heinz finì col diventare, a causa della sua insubordinazione, il primo ricercato dei 7: il diario era quello che volevano, e lui ne era in possesso. Convinto di essere spacciato insieme all'intero pianeta terra, smise le sue ricerche, smise di sperare e di vivere. Di giorno, lottava per il cibo, la notte scappava dalle Tenebre: proprio durante una di queste notti la storia comincia a diventare interessante e degna di essere raccontata.
    Le Tenebre gli erano alle calcagna, assetate di sangue e inebriate dall'idea di poter banchettare con i resti del fuggitivo, ammesso che quei terrificanti mostri abbiano la capacità di formulare pensieri o addirittura idee; dopotutto, perdendo l'umanità ritengo che abbiano perso ogni più minuta caratteristica che potrebbe definire quegli abomini “umani”. Heinz correva veloce come il vento, utilizzando tutta l'energia del suo corpo, fino a quando la vista di un bunker sovrastato dalle macerie di un edificio, riaccese in lui la fiamma della vita, l'ardore della speranza; si precipitò ai piedi del portellone metallico che ne chiudeva l'accesso, cerando invano di aprirlo: poteva essere aperto solo dall'interno, e così, atterrito, si accasciò al suolo, arrendendosi al suo avverso destino, appoggiandosi al freddo acciaio della porta che l'avrebbe potuto condurre al sicuro. Proprio quando Heinz smise di sperare e si lasciò prendere dal suo triste e crudele fato, il portellone si aprì, ne uscì un fumogeno che destabilizzò gli abomini delle Tenebre, e una donna lo trascinò dentro.
«Avrei dovuto essere Marylin Monroe per farmi aprire prima o chi altro?!»
Disse stupito e al contempo spaventato Heinz, aiutato dalla ragazza ad alzarsi, la quale si lasciò scappare una tenera risata.
«Comunque sia ti ringrazio, mi hai davvero salvato la vita. Avevo smesso di sperare.» Sussurrò l'uomo, guardandola negli occhi. La ragazza gli sorrise, e il soldato ribelle si incantò davanti a quegli occhi blu che avevano incrociato i suoi, davanti a quello sguardo così intensamente bello e puro, che avevano catturato il suo, intriso della vista di molti peccati, dei innumerevoli orrori che caratterizzano quella cosa immonda chiamata guerra. «Qual'è il tuo nome, bionda?» chiese Heinz, ma la ragazza si fece scura in volto e improvvisamente il suo sguardo divenne triste e cupo; si sfiorò le labbra con le dita e una lacrima scese lungo la sua rosea guancia.
«Oh, tu non puoi... Beh che importa, spesso il silenzio vale più di mille parole, e i tuoi occhi sono il più bel carme composto dalla natura.» Heinz si innamorò di quegli occhi, tinti dell'azzurro più intenso, come il limpido mare che bagna le coste delle immacolate isole caraibiche. La ragazza gli sorrise, cercando di nascondere quella lacrima che le aveva solcato il viso.
«Non potendo sapere il tuo nome allora te ne darò uno io: ti chiamerò Klara, dopotutto, i tuoi occhi sono limpidi come i mari più cristallini che si possano vedere sul nostro pianeta. Sorridimi se sei d'accordo!» Lei sorrise teneramente, trasmettendogli con il solo sguardo quanto si sentisse felice, sentimento che probabilmente non provava da molto tempo. Lei accarezzò dolcemente il viso duro ma dolce del soldato, segnato dalle molte sofferenze causate dalla guerra; le asciugò quella lacrima, e la strinse forte fra le sue braccia.
    Heinz seguì Klara nei più profondi meandri del bunker, dove si nascondeva l'unico degli insediamenti umani rimasti sul continente: si narrava fosse solo una leggenda, ma ciò che il ribelle vide lo riempì di stupore. Se fosse rimasta la più piccola possibilità di ritrovare gli zii perduti, l'avrebbe potuta trovare in quello che si potrebbe definire un villaggio sotterraneo: lì avrebbe potuto cominciare una nuova vita, ricca di speranze. Lì, avrebbe potuto cominciare il suo viaggio verso la verità.

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