La Tigre e la neve

di Feds_95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1- Quell'Inverno ***
Capitolo 2: *** 2- Quel Profumo ***
Capitolo 3: *** 3- Un Nome ***



Capitolo 1
*** 1- Quell'Inverno ***


Quell'Inverno
 

Ieri- 7 anni prima


Strapparono con forza il bambino dalla panca su cui si era fermato a riposare, la palla da basket rotolò lontano, e lo trascinarono nel bosco:il suo corpo tracciò una scia poco profonda sulla neve, che andava dal suo mondo al mio.

Vidi quello che stava accadendo. Ma non li fermai.

Era stato l'inverno più lungo e freddo delle nostre vite. Giorno dopo giorno, sempre sotto un sole pallido e impotente. E la fame: fame bruciante e corrosiva, una padrona insaziabile. In quel mese tutto era rimasto immutato, il paesaggio congelato e privo di vita. Un omega era stato ucciso mentre rovistava tra i rifiuti di una casa della periferia di Tokyo; così noi altri restavamo nel bosco, bloccati dalla paura, a morire lentamente di fame. Finché non si avvicinò il ragazzo. Finché non attaccarono.

Si acquattarono intorno a lui, ringhiando feroci e azzannandosi per contendersi il diritto di sferrare il primo colpo mortale. Ero rimasta nella boscaglia, paralizzata.

Vidi quello che stava succedendo. Vidi i loro fianchi tremare di avidità. Li vidi strattonare il corpo del ragazzino, strappando il piumino che indossava e facendo volare delle piume. Vidi i musi imbrattati di rosso. E ancora una volta, non li fermai.

Eravamo un branco giovane, tutti cuccioli senza nient'altro a cui aggrapparso. Io avevo un ruolo preminente; erano stati Takeshi e Maeko a conferirmelo, quindi avrei potuto farmi avanti subito, e invece indugiai, tremando dal freddo e dalla fame. Il ragazzo emanava un odore di caldo, di umano soprattutto.

Lo vedevo agitarsi, tirare calci e gridare rabbioso, cercando di liberarsi e di farsi largo per fuggire. Ma un ragazzino di dieci anni non aveva speranza contro un branco di lupi. Eppure rimasi sorpresa dalla sua visibile energia e voglia di vivere.

Sentivo l'odore del suo sangue, un profumo caldo e vivido in quel mondo morto e freddo. Vidi Iwao sussultare e tremare mentre gli strappavano i vestiti. Mi si attorcigliò lo stomaco per il dolore: era passato così tanto tempo dall'ultima volta che avevo mangiato. Avrei voluto farmi largo tra i lupi per trovarmi al fianco di Iwao e fingere di non sentire l'umanità del ragazzo o le sue grida.

Era così piccolo in confronto alla nostra massa feroce; il branco accalcato su di lui, bramoso di scambiare la nostra vita con la sua.

Il ragazzo voltò indietro la testa, stringendo i denti per il dolore e la paura. Poi aprì gli occhi; fu allora che mi vide, nascosta tra i cespugli innevati, che si mischiavano al mio manto candido. Non ero sicura che mi avesse davvero vista, ma nei suoi occhi rossi si accese qualcosa ed io non riuscii ad ignorarla.

Con un ringhio e un bagliore di denti mi feci avanti.

Iwao ringhiò a sua volta contro di me, ma ero più agile di lui, nonostante la fame e la giovane età. Takeshi emise brontolii minacciosi per sostenermi.

Ero accanto a lui, e lui guardava il cielo respirando affannosamente. Non si muoveva. Spinsi il naso nella sua mano: il profumo del suo palmo, su cui erano presenti piccoli calli, tutto zucchero, pastello e cuoio, mi riportò ad un'altra vita.

Poi vidi i suoi occhi.

Svegli. Vivi. Luminosi.

Mi fissava, sosteneva il mio sguardo con un'onestà estrema. La luce che avevo visto poco fa era sparita.

Indietreggiai con un balzo e ricominciai a tremare, ma stavolta non era la collera che mi tormentava.

I suoi occhi nei miei occhi. Il suo sangue sul mio muso.

La sua vita. La mia vita.

Il branco indietreggiò. Iwao mi ringhiò contro, insieme a Darcia e Kunio, non ero più un capo per loro, e grugnirono contro la preda. Pensai che fosse il ragazzo più bello e vitale che avessi mai visto e loro stavano per farlo a pezzi.

Vidi quello che stava succedendo. Vidi lui come non avevo mai visto nulla prima di allora. E li fermai.

 

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Capitolo 2
*** 2- Quel Profumo ***


Quel Profumo
 

Oggi


La prima volta che mi trovai lì lì con lui faceva caldo, pur essendo primavera. Perfino in libreria, con l'aria condizionata, il calore strisciava sotto la porta ed entrava ad ondate, portandosi dietro il profumo dei fiori appena sbocciati.

Io me ne stavo seduta composta sullo sgabello, dietro al balcone, al sole, e risucchiavo il calore come se avessi potuto preservarne ogni goccia. Mentre le ore passavano lente, la luce del pomeriggio trasformava i libri sugli scaffali nella versione pallida e dorata di loro stessi. Mio fratello si era recato al Liceo Seirin per firmare gli ultimi documenti riguardanti la mia iscrizione; avrei cominciato a frequentare regolarmente la scuola entro pochissimi giorni, benché le lezioni fossero già cominciate.

Non vedevo l'ora.

Stavo leggendo quando la porta si aprì con un leggero ding, portandosi dietro una folata di aria profumata e alcuni ragazzi. Discutevano tra loro e non sembravano aver bisogno del mio aiuto, così continuai a leggere e lasciai che si spintonassero e chiacchierassero di tutto tranne che di libri. Solo uno, con i capelli insolitamente azzurri, sembrava veramente interessato a ciò che offriva il negozio. Indossavano tutti la divisa del Seirin; tra loro faceva capolino anche una ragazza.

Non credo che li avrei degnati di un'altro sguard, se con la coda dell'occhio non avessi visto uno di loro passarsi una mano tra i capelli rossi e sbuffare, dichiarando di avere fame. Il gesto in sé er insignificante, ma il movimento spanse nell'aria una scia di profumo.

Riconobbi quell'odore. Lo riconobbi subito.

Era lui. Non poteva che essere lui.

Non capivo come avessi fatto a non notarlo subito, dato che era tra i più alti del gruppo e, di certo, la sua capigliatura non passava inossarvata.

Cercai di coprirmi il viso con il libro e azzardai un'occhiata verso di loro. Tre, i due più alti e la ragazza, continuavano a parlare e gesticolare, indicando un uccello di carta che avevo appeso al soffitto sopra la sezione dedicata ai bambini. Lui però non parlava; si era avvicinato al ragazzo con i capelli azzurri e lo pregava di sbrigarsi a scegliere così sarebbero potuti andare a mangiare. I suoi occhi danzavano tra uno scaffale e l'altro, in cerca di una via d'uscita.

Mi ero immaginata mille versioni di quella scena, ma ora che il momento era arrivato non sapevo cosa fare.

Lui era così vero. In un modo diverso da quando l'avevo osservato giocare al campetto o nel giardino di quella casa in periferia.

In quei momenti di distanza c'era un vuoto tra noi quasi impossibile da colmare; sentivo tutte le ragioni per stargli alla larga. Ma in quella libreria sembrava vicino come non lo era mai stato, tanto da togliermi il respiro. Non c'era nulla che mi impedisse di rivolgergli la parola, se non la mia timidezza.

Guardò verso di me annoiato e io distolsi subito lo sguardo, abbassandolo verso il libro. Non avrebbe riconosciuto il mio viso, ma i miei occhi sì, se avesse avuto una buona memoria. Una parte di me aveva bisogno di credere che avrebbe riconosciuto i miei occhi.

Pregai che se ne andasse, così avrei ripreso a respirare.

Pregai che comprasse un libro, così sarei stata costretta a parlargli.

Uno dei ragazzi gridò: << Noi vi aspettiamo fuori! Non metterci troppo Kuroko! >> per poi uscire dalla libreria. Rimasero solo il ragazzo con i capelli chiari, Kuroko, e lui.

Kagami Taiga.

Trassi un respiro lento e osservai la sua larga schiena illuminata dalla luce del sole, mentre si sporgeva sopra il compagno e guardava il libro che quest'ultimo aveva tra le mani. Guardavo la luce che filtrava attraverso le finestre, colpendo i suoi capelli e trasformandoli in fiamme. Muoveva la testa quasi impercettibilmente, avanti e indietro, al ritmo della musica di sottofondo. Le mani piantate nelle tasche; la borsa poggiata svogliatamente sulla spalla.

<< Mi scusi. >>

Scattai indietro quando vidi un viso sbucarmi davanti. Non quello di Taiga.

Era l'altro ragazzo, Kuroko. I capelli avevano lo stesso colore dei suoi occhi, inespressivi e fermi, puntati nei miei. Non mi ero neanche accorta che non si trovasse più vicino all'amico. Tra le mani aveva un grosso libro, uno dei nuovi arrivi sulle leggende e i miti giapponesi. La libreria di mio fratello era specializzata in questo tipo di articoli e riscuoteva un modetso successo. L'interesse maggiore era riservato al reparto sui manga, sempre fornito e ben organizzato.

<< Vorrei comprare questo. >> disse con voce monotona. Il viso rimase imperturbabile.

<< C-certamente. >> Gli presi dalle mani " Lupi nei miti del Giappone Antico", scoccando ogni tanto un'occhiata veloce a Kagami, che si era spostato nel piccolissimo spazio dedicato alle riviste sportive, composto esclusivamente da due espositori.

<< Venti Yen. >> dissi.

Il cuore mi batteva forte.

Senza cambiare espressione, mi porse i soldi ed io misi lentamente il libro e lo scontrino in un sacchetto, pensando che forse Taiga sarebbe venuto a vedere perchè ci stessimo mettendo tanto.

Invece rimase dov'era, sfogliando svogliatamente una rivista. Il ragazzo fantasma afferrò il sacchetto e mi rivolse un'occhiata che non seppi decifrare; risposi con il sorriso più naturale che potei simulare. Senza una parola, raggiunse Taiga e insieme andarono verso la porta.

Voltati, Taiga. Guardami. Sono proprio qui.

Se si fosse girato, in quell'istante preciso, avrebbe visto i miei occhi e mi avrebbe riconosciuta, per forza. Io non avevo mai dimenticato il colore scarlatto delle sue iridi, il profumo della sua pelle.

Il rosso aprì la porta- ding- e sollevò le braccia, stiracchiandosi, per poi unirsi al resto del gruppo. Kuroko si volse un attimo, e i suoi occhi incontrarono i miei. Mi rendevo conto benissimo di starli fissando, che fissavo Taiga per la precisione, ma non riuscivo a smettere.

Il ragazzo con i capelli color del cielo sereno, senza cambiare mai espressione, uscì dal negozio a testa bassa, richiamato dai compagni.

<< Muoviti Kuroko! >> gridò severa la ragazza con corti capelli scuri.

Mi faceva male il petto, il mio corpo parlava un linguaggio che la mente a stento riusciva a decifrare.

Attesi.

Ma Taiga, l'unica persona al mondo che volevo mi riconoscesse, attese che l'amico lo raggiungesse, poi si incamminò al seguito degli altri, schiamazzando e ridendo.

Non si accorse neppure che ero lì, e che gli sarebbe bastato tendere la mano per toccarmi.






 

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Capitolo 3
*** 3- Un Nome ***


Quel Nome

Un Nome

 

Ieri- 7 anni fa

 

Dopo quell’episodio lo rividi ancora, sempre al freddo.

Era nel campetto al limitare del bosco, con uno zaino e un pallone da basket in mano. Teneva gli occhi fissi sui cespugli, nei quali mi ero acquattata come ero solita fare per osservarlo. Trovavo incredibile che un ragazzino fosse in grado di giocare con quel freddo, insopportabile persino per noi lupi.

Stava lì, a volte tirava a canestro o si sedeva sulla panca finché non sentiva addosso il mio sguardo. Tuttavia non ero mai del tutto sicura che riuscisse realmente a vedermi o se lo immaginasse solamente.

Si avvicinava lentamente; veniva piano piano verso di me con la mano tesa, il palmo verso l’alto, gli occhi bassi. Senza minaccia. Cercava di parlare il mio linguaggio, ed io lo capivo.

Però, per quanto mi sforzassi, non riuscivo mai a farmi toccare, sparivo sempre tra gli arbusti prima che potesse annullare la distanza tra noi.

Non ebbi mai paura di lui, né lui di me apparentemente. Ero grossa quanto bastava per strapparlo via dalla panca, più grande di un lupo normale, forte abbastanza da gettarlo a terra e trascinarlo nel bosco. Ma sapevo che la ferocia del mio corpo non raggiungeva i miei occhi, in ogni gradazione di verde.

Sapeva che non gli avrei mai fatto del male.

Volevo che sapesse che non gli avrei mai e poi mai fatto del male.

E aspettava. Aspettava.

Anche io aspettavo, ma non sapevo cosa. Lui sembrava l’unico tra i due a cercare un contatto.

Tuttavia, nonostante non ci fosse mai riuscito, era sempre lì. A guardare me che guardavo lui.

E così per due mesi si ripeté lo stesso schema: la sua presenza ossessiva al campetto, la mia figura nascosta nei cespugli. Lui cercava di avvicinarsi e io mi allontanavo.

Però quel giorno fu diverso.

La neve era caduta molto durante la notte, arrivando a coprirmi le zampe e impedire a lui di giocare. Non aveva con sé il pallone, solo uno zaino rosso sulle spalle ed una sciarpa dello stesso colore intorno al collo. Stava lì, più vicino del solito, con gli occhi bassi.

E per la prima volta parlò.

<< Io... non potrò venire più. >> disse. Il suo sospiro creò una nuvola di vapore che si dissolse in pochi secondi. << Io e la mia famiglia torniamo in America, a Los Angeles. Lì non ci sono lupi. >> scherzò, alzando lo sguardo e puntandolo nel mio. << Perciò sono venuto a salutarti, Yuki. >>

Yuki?

Emisi un versetto, emergendo appena col muso da dietro il cespuglio.

<< Ehm… Non sapevo come fare per rivolgermi a te, così ho pensato di darti un nome! >> ridacchiò, grattandosi la nuca nervoso. << Mia nonna ha detto che Yuki significa “neve” e così mi è venuto il mente il colore della tua pelliccia. Ma se non ti piace, posso cambiarlo! >>

Feci qualche passo in avanti, incuriosita più che mai dal bambino che aveva dato il nome ad un lupo. Anche lui fece qualche passo verso di me, lentamente e alternando lo sguardo dal terreno a me. Cercava di non fare movimenti bruschi per non spaventarmi.

America… sapevo che era un posto molto lontano, praticamente dall’altra parte del mondo.

Sapevo che quello sarebbe stato un addio, un amaro addio. Se ne fossi venuta a conoscenza prima, mi sarei avvicinata, magari addirittura mostrata in forma umana, pur di passare più tempo con lui.

Si inginocchiò sulla neve, mentre io mi avvicinavo ancora di più.

Adesso eravamo vicini, più di quanto lo fossimo mai stati.

Occhi rossi in occhi verdi.

Due mondi in contatto.

Allungò la mano, col palmo rivolto in alto, piano piano. Io abbassai il muso e lui mi accarezzò fra le orecchie. Le sue dita sprofondarono nella mia pelliccia, toccando la pelle calda. I piccoli calli, dovuti alla palla da basket, e la ruvidezza della pelle causata dal freddo mi graffiavano lievemente, in modo piacevole.

Chiusi d’istinto gli occhi, ma lui non sembrò accorgersene, perché continuò a sorridere e ad accarezzarmi dolcemente.

Non so per quanto restammo in quella posizione, calmi e immobili. Sarei potuta restare così ancora, per sempre. Quel semplice contatto, che avevo scacciato per tutto quel tempo, mi trasmetteva un immenso calore, riscaldandomi le membra. Improvvisamente dentro di me era estate.

Il ragazzo allontanò la mano con lentezza, quasi come se non volesse farlo. Neanche io volevo che lo facesse, ma era inevitabile.

Si alzò, pulendosi la neve dai pantaloni neri, infilati negli stivali, e non smise mai di sorridere e sghignazzare allegro.

<< Sono contento che di averti potuta salutare! Ti prometto che tornerò a trovarti! >> disse, mentre ripercorreva la strada su cui aveva lasciato le sue solitarie impronte. Io mi voltai per tornare nel bosco, dal branco, alla ricerca di cibo. Camminavo lenta, sicura, col suo odore ancora addosso, intriso nella pelliccia.

<< Ah! Quasi dimenticavo! >> gridò all’improvviso << Io mi chiamo Kagami Taiga!! Non scordarti di me! >> poi prese a correre nelle direzione da cui era venuto.

Profumo di caldo e cuoio.

Ora quell’odore aveva anche un nome.

Taiga Kagami.

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